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Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS XI/XXII

 

 

Grice e Bovio – il linguaggio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trani). Filosofo. Grice: “You’ve got to love Bovio; he has a stamp, I don’t. My favourite is his piece on ‘linguaggio,’ on the implicature (plural of implicatura) of the ‘animale parlante’ – ‘un tono, una figura, …’ – But he also philosophissed fascinatingly on ‘La lotta,’ which is a bit like my model of conversation as a competitive game.” politico italiano, sistematizzatore dell'ideologia repubblicana e deputato al Parlamento del Regno d'Italia.   La casa natale di Giovanni Bovio a Trani Giovanni Scipione Bovio nasce a Trani da Nicola Bovio di Altamura, impiegato, e Chiara Pasquini.  Autodidatta, pubblica nel 1864 Il Verbo Novello, un poema filosofico scritto con intonazione enfatica. Fra i suoi scritti si ricordano la Filosofia del diritto, il Sommario della storia del diritto in Italia, il Genio, gli Scritti filosofici e politici, la Dottrina dei partiti in Europa, i Discorsi. Sotto il Ministero Minghetti, nel 1872, ottenne il pareggiamento della cattedra di Storia del Diritto all'Napoli e, nel 1875 consegui la libera docenza in Filosofia del diritto.  Bovio fu anche deputato alla Camera: nel 1876, con il subentrare della Sinistra costituzionale alla Destra, fu eletto nel collegio di Minervino Murge. Il suo atteggiamento, diversamente da quello dei suoi compagni che condividevano l'idea repubblicana, non fu incline all'astensionismo.  Nel 1880 Bovio sposò a Napoli Bianca Nicosia dalla quale ebbe due figli, Corso Bovio, così chiamato in onore agli italiani di Corsica sottomessi al dominio francese e Libero Bovio (1883-1942), poeta ed autore dei testi di molte celebri canzoni napoletane. Libero Bovio, a sua volta, fu il nonno dell'avvocato, giornalista e docente Libero Corso Bovio (1948-2007).  Napoli fu la sua città di adozione, dove morì il 15 aprile 1903. La città gli ha dedicato una piazza, che i napoletani continuano però a chiamare con l'antico nome di Piazza Borsa. La città di Firenze gli ha dedicato una strada. La città di Piombino gli ha intitolato la piazza sul mare più grande d'Europa, Piazza Bovio. La città di Teramo gli ha intitolato un importante viale. La città di Terni gli ha intitolato un intero quartiere che comprende tutta la zona est chiamato, appunto, Borgo Bovio.  «(Napoli) In questa casa morì povero e incontaminato Giovanni Bovio che meditando con animo libero l'Infinito e consacrando le ragioni dei popoli in pagine adamantine ravvivò d'alta luce il pensiero italico e precorse veggente la nuova età.»  (Epigrafe di Mario Rapisardi) Il pensiero  Targa in memoria di Bovio nella piazza di Napoli a lui dedicata  Passo Corese: targa, con testo attribuito a Giovanni Bovio, dedicata a Garibaldi Giovanni Bovio era sostanzialmente contrario alla monarchia. Come ideologo repubblicano, Bovio ebbe il motto "definirsi o sparire": palesò insomma ai repubblicani l'esigenza urgente di un'impostazione non confusa e non settaria, di una chiara direzione che spinse poi i repubblicani a definirsi in partito di moderno tenore.  Bovio stabilì per il Partito repubblicano nessi e prospettive nazionali ed europee.  Egli considera la monarchia come l'attuale realtà italiana. Ne segue che la repubblica è utopia, e Bovio si dichiara utopista. Nel suo pensiero la monarchia cadrà, proprio quando dovrà risolvere il problema della libertà. Serve comunque un lungo periodo perché la situazione monarchica si deteriori. Colma evidentemente di determinismo, la sua filosofia si definiva come naturalismo matematico.  Differentemente dalla teoria socialista, Bovio riteneva che il nuovo Stato a venire avrebbe avuto una "forma storica", non potendo dimensionarsi unicamente sulla base di azioni economiche. Bovio introduceva dunque una concezione formale dello Stato, che si sforzò di divulgare anche presso i ceti operai.  Fu molto considerato anche a Matera dove non si dimenticava peraltro che nella locale "scuola detta regia, fondata nel 1769 da Bernardo Tanucci, libero pensatore dei tempi suoi, quando era libertà contrastare alle pretensioni papali, fu insegnante di letteratura e di diritto Francesco Bovio, il quale intese queste dottrine nella libertà e per la libertà. Quell'insegnamento fu seme fecondo, e dalla sua scuola venne fuori la nobile schiera dei martiri del 1799, i cui militi rispondono ai nomi di Giovanni Firrao, Giambattista Torricelli, Fabio Mazzei, Liborio Cufaro, Antonio Lena-Santoro, Gennaro Passarelli, Marco Malvinni-Malvezzi". Nel 1904, a circa un anno dalla sua morte, nella "giornata più adatta" come "il fatidico XX Settembre", gli intellettuali laici materani con la loro associazione "G.B. Torricelli" tennero una solenne commemorazione "per pagare un tributo di affetto e di riverenza al Grande, che ci fu Maestro e ci amò di quell'amore di cui sono capaci soltanto gli educatori come Lui" dice un oratore. E un secondo aggiunge che "la titanica figura di quell'illustre profeticamente ci addita il sole dell'avvenire", per cui il tributo di affetto al suo carattere fiero ed onesto è tanto più doveroso "in questi tempi borgiani". Un terzo oratore, rivolgendosi al sindaco Raffaele Sarra, e nel consegnargli la lapide, lo invita ad additare "quel nome a questi onesti operai per indirizzarli sulla via della dea ragione, scuotendo così il giogo dell'oscurantismo e della superstizione, che li avvince e li abbruttisce". Promessa che il sindaco Raffaele Sarra non esita a fare, ritenendo quel marmo "un severo monito all'indirizzo di tutti coloro i quali nulla fecero e tuttora nulla fanno per strappare la nostra plebe dalla miseria, dalla ignoranza, dalla superstizione, dall'abbruttimento secolare". Per la precisione, la lapide commemorativa, scoperta quel giorno sulla facciata del palazzo di giustizia, sarà tolta negli anni '30 per iniziativa della sezione fascista (e gli incauti scalpellatori si riferiranno nell'operazione).  Bovio ebbe comunque anche l'esigenza di definirsi rispetto agli anarchici. La forma repubblicana, scrisse, è a metà strada fra la monarchia e l'anarchia, vale a dire fra l'ipertrofia dello Stato e la sua totale anarchica abolizione. Non a caso, quando l'anarchico Gaetano Bresci compì l'attentato contro Umberto I, Bovio invitò tutti gli anarchici a desistere dalla violenza. In sostanza, un'esagerazione utopistica tradotta in atti sanguinari (l'opera degli anarchici) avrebbe prodotto un rafforzamento reattivo dell'autorità costituita, allontanando proprio il momento dell'avvento della repubblica. Troviamo in lui un tentativo di superare l'idealismo della metafisica idealistica e insieme con essa l'approccio empirico del positivismo. Fondamentalmente Bovio introdusse in Italia l'eco delle nuove correnti speculative nella filosofia del diritto.  «Giovanni Bovio — cittadino di spartana austerità — fra il mercimonio affannoso dei politicanti — pensatore solitario — fra lo strepito di cozzanti dottrine — artefice possente di stile — fra la pretenziosa nullaggine dei parolai — traversò impavido — le torbide correnti del secolo — e ne uscì puro a fronte alta — con l'animo illuminato — dalla fede confortevole — nell'ascensione perpetua del pensiero umano.»  (Epigrafe di Mario Rapisardi) Bovio e la massoneria Bovio fu un membro eminente della massoneria(raggiunse il 33º ed ultimo grado del Rito scozzese antico ed accettato), così come lo erano i suoi familiari (suo padre Nicola, suo zio Scipione e suo nonno Francesco Bovio). Iniziato nella Loggia Caprera di Trani nel 1863, il 17 giugno del 1865 Giovanni Bovio ne divenne oratore. Il 30 maggio 1878, su invito della massoneria milanese, tenne a Milano la commemorazione del centenario della morte di Voltaire.  Nel maggio 1882 fu nominato membro del Grande Oriente d'Italia, di cui presiedette la Costituente del 1887. Il 17 febbraio 1889 fu eletto grande oratore, e restò in carica fino alla Costituente del 1894. Il 6 giugno 1889, in Campo dei Fiori a Roma, fu l'oratore ufficiale per l'inaugurazione del monumento a Giordano Bruno, voluto dalla massoneria romana ed eseguito da Ettore Ferrari, che sarà gran maestro del Grande Oriente d'Italia. Gran Maestro della Loggia Napoletana, nel 1896 fu candidato all'elezione di Gran Maestro nazionale.  L'8 giugno 1896, in un'interpellanza rivolta al presidente del consiglio e ministro dell'interno marchese di Rudinì a proposito dei provvedimenti che aveva annunciato contro la massoneria, Bovio disse «La massoneria è un'istituzione universale quanto l'Umanità ed antica quanto la memoria. Essa ha le sue primavere periodiche, perché da una parte custodisce le tradizioni ed il rito che la legano ai secoli, dall'altra si mette all'avanguardia di ogni pensiero e cammina con la giovinezza del mondo»  Il centenario della Rivoluzione di Altamura  Celebrazioni per il primo centenario (1899) della Rivoluzione di Altamura (con Giovanni Bovio) Giovanni Bovio partecipò alle celebrazioni del centenario della Rivoluzione di Altamura (nell'anno 1899), durante il quale fu eretto un monumento sulla piazza centrale di Altamura, che ancora oggi è presente e che fu realizzato da Arnaldo Zocchi. Il padre di Giovanni Bovio, Nicola Bovio, era di Altamura, così come lo era suo nonno Francesco Bovio, il quale insegnò diritto presso l'Università degli Studi di Altamura.  Nel suo discorso, Giovanni Bovio esaltò lo spirito degli altamurani e affermò che il concetto di libertà era stato sempre vivo nei loro cuori. Anche grazie al fervore di idee dell'antica Altamura, dotti, nobili e plebei altamurani si erano uniti tutti sotto l'idea di libertà ed erano pronti a sacrificare le loro ricchezze, i loro titoli e persino la loro vita per la libertà.  Antenati e discendenti di Giovanni Bovio Francesco Maria Bovio (anni 17501830)nonno di Giovanni Bovioprofessore di diritto e lettere presso le Regie Scuole di Matera e l'antica Università degli Studi di Altamura. Fu anche "giudice interino di pace" e massone iscritto alla loggia "Oriente di Altamura". Difese inoltre la Repubblica Napoletana, prendendo parte, nel maggio 1799, alla Rivoluzione di Altamura Nicola Boviopadre di Giovanni Boviocarbonaro (iscritto alla vendita "il Pellicano" di Trani) Scipione Boviozio di Giovanni Boviocarbonaro (iscritto alla vendita "il Pellicano" di Trani) Corso Boviofiglio di Giovanni Bovio- avvocato del foro di Napoli e successivamente docente Diritto Penale Milano Libero Bovio (18831942)figlio di Giovanni Boviopoeta e musicista Giovanni Bovio (1920-1978)nipote di Giovanni Bovioavvocato del foro di Milano  Libero Corso Bovio (1948-2007)pronipote di Giovanni Bovioavvocato, giornalista e docente Note  Matera contemporaneaCultura e società, Leonardo Sacco, 1983, Basilicata editrice  Alfonso Scirocco, BOVIO, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani,  13, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1971. 26 ottobre .  Gran Loggia . Massoneria e i suoi trecento anni di modernità, una mostra ricorda i massoni protagonisti del NovecentoGrande Oriente d'ItaliaSito Ufficiale, su Grande Oriente d'Italia, 4 aprile . 6 aprile  22 marzo ).  Ferdinando Cordova, Massoneria e Politica in Italia, 1892-1908, Carte Scoperte, Milano, 42.  Biografia di Giovanni Bovio (con video GOI radio), su montesion (archiviato il 13 gennaio 2005).  Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 200547.  Copia archiviata, su comunedipignataro. 25 luglio  30 giugno ).  Morto l'avvocato Bovio, "principe" della difesa, in La Stampa, 14-03-1978.  Giovanni Bovio, Teatro morale dogmatico-istorico, dottrinale e predicabile, Roma, nella stamparia di Giorgio Placho presso a San Marco, 1731. Giovanni Bovio, Teatro morale dogmatico-istorico, dottrinale e predicabile. Tomo secondo, In Roma, per Filippo Zenobj stampatore, e intagliatore di n.s. Clemente XII, incontro il Seminario Romano, 1734.  Repubblicanesimo Partito Repubblicano Italiano Piazza Giovanni Bovio (Napoli) Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Giovanni Bovio Collabora a Wikiquote Citazionio su Giovanni Bovio Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giovanni Bovio  Giovanni Bovio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Opere di Giovanni Bovio, su Liber Liber.  Opere di Giovanni Bovio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giovanni Bovio, .  Giovanni Bovio, su storia.camera, Camera dei deputati.  Armando Carlini, BOVIO, Giovanni, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930, giovanni-bovio. Alfonso Scirocco, BOVIO, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani,  13, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1971.Filosofia Politica  Politica Categorie: Deputati della XIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XIV legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XV legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XVI legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XVII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XVIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XIX legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XX legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XXI legislatura del Regno d'ItaliaFilosofi italiani del XIX secoloPolitici italiani Professore1837 1903 6 febbraio 15 aprile Trani NapoliRepubblicanesimoMassoniMazzinianiPolitici dell'Estrema sinistra storicaPolitici del Partito Repubblicano ItalianoStudiosi di diritto penale del XIX secolo. Roma Utopista non è chi sogna , m a chi pensa , e tanto più profonda è l'Utopia quanto più il pensiero coglie la relatività dei tempi. Greca è dunque l'origine della Utopia é utopista tipico fu Socrate che osó primo al costume civico contrapporre la missione individuale:– Io Socrate sono nato a liberamente filosofare e se cento volte per que sto iofossi morto e rinascessi, tornerei a filosofare.Non pena dun que mi è dovuta, ma il Pritaneo. Questo tentativo di ribellione dell'individuo contro il cittadino,del l'individuo che osa pigliarsi un mandato individuale che non solo valga il mandato civile m a ardisca riformare il costume , questo è punito e, in quella natura di tempi,era veramente crimine di Stato.Socrate anch'esso,come atterrito dal colpo ch'ei tira,sente che al cittadino è dovuta l'espiazione individuale, e rifiuta ausilio , e si apparecchia all'immolazione di sè non pure perché sente compiuta la sua mis sione e non gli piace vivere superstite a se medesimo , ma perchè vuole grecamente spirare:dum patriae legibus obsequimur.Che è quel l'ultimo pensiero del Gallo,che,rimossoillenzuolodalviso,eivuole sacrificato ad Esculapio? Vuol finire sul letto del carcere come fosse alle Termopili, e vuol morire con religione e costume attico come a punizione di alto trascorso individuale. L'individuo fu Socrate fi losofo;ilmoribondoèl'atenieserassegnato:ma ilpiùgrandeèque sto, che proprio questo ateniese punisce quell'individuo e non gli dà scampo. Pericle non potè salvare Anassagora; Socrate non vuole sal vare se stesso. Quando gli Dei patrii percossi dalla riflessione socratica supina rono sull'Olimpo muto , Epicuro sorridendo gitto sopra di loro un gran panno funereo e si rallegrò coll'uomo liberato dai divini ter rori. Però quel panno che Epicuro gittava sull'Olimpo copriva tutta la Grecia; giacché quel panno che soffocava la lotta semi-divina era indizio della missione greca già finita. Perciò Epicuro la scia i giar dini greci, le dolcezze e i profumi arcadici, e se ne viene nel Foro romano , e siede e sentenzia e giudica e genera di sè due uomini diversissimi, Orazio e Lucrezio, o da Orazio poi il tipo di Munazio Planco e da Lucrezio quello di Papiniano. Sono troppe cose che io dico insieme, delle quali molte non dette ancora e nondimeno prova bili non pure con la forma del discorso,ma col testimonio dei fatti,  24   Cicerone , vedendo Epicuro alle porte di R o m a , cerca fulminarlo col medesimo effetto onde Pio IX fulminava il soldato italiano ve nuto innanzi a porta Pia.Erano saette sine ictu.Epicuro sorride dei fulmini di Cicerone come di quelli del Giove greco ed entra in Roma e prende Cicerone per mano e segretamente sel fa suo.Ma appena entrato in R o m a Epicuro prende la natura del Giano latino, si fa bifronte, ed una sua faccia è quella di Orazio , l'altra di L u crezio.Or come avviene codesto miracolo?Miracolo no:è la dialet tica del sistema epicureo che ha questi due lati. L'uno dice cosi: La vita è brede ; di là non si continua ; dunque godiamola di pre sente.La morte ci colga quando possiamo gittarle infaccia la scorsa del pomo della voluttà, tutto premuto. L'altro dice cosi : La vita è breve; di là non si continua; osiamo dunque eternarla con un'opera degna della immortalità della fama. Perchè tentare la turpitudine se nel punto di asseguirla la morte può spegnermi? Ecco le due fronti di Epicuro , che sulla porta di R o m a assume forma gianesca. L'una è di Orazio : Vitae summa brevis nos detat spem inchoare longam . Di lá non v'è vita : N o n regna vini sortiere talis.La conseguenza ch'ei porge all'anima tua è sempre una:Carpe diem quam minimum credula postero. Questa illazione può signifi carsi con un grugnito del porco epicureo. L'altra è di Lucrezio : Omnia migrant, Omnia commutat natura et dertere cogit. Dalla quale migrazione eterna dell'essere deriva il summum crede nefas. Importa sol consegnare integra la lampa della vita alle generazioni sopravvenienti. Da Orazio nasce Munazio Planco , prima Cesariano ,poi P o m p e iano, poi repubblicano, poi di Antonio e di Cleopatra, poi cortigiano di Augusto e sprezzato da tutti: tipo del galantuomo di Guicciardini; e fini nella sua villa di Tivoli come Guicciardini nella solitudine di Arcetri. Da Lucrezio nasce il tipo del giureconsulto, Papiniano, che intese il dritto come bonum aequum , e non volle in Senato difendere un imperatore fratricida e piuttosto che l'onore volle lasciare la vita. Morendo,come avea sentenziato,provvide all'immortalità della fama .  25 Cosi abbiamo dalla medesima scuola il porcus de grege Epicuri, c de acie Epicuri miles. N è questo doppio tipo fu smarrito nel p e riodo del risorgimento, quando dopo la scolastica platonica e aristo telica si riaffacció l'epicureismo : dall'una parte si ebbe il Pontano cantore della voluttà, dall'altra il Cavalcante cercatore austero, tra i sepolcri, della immortalità della fama. 4   20 Da Epicuro ilmondo romano prende ilsenso della positività,ed è però mondo di prosa non di arte,con missione giuridica,con lin gua giuridica, con monumenti,storia,tradizioni giuridiche.La Gre cia ci ha tramandato due insuperabili documenti, la tragedia epica e la tragedia filosofica, l'Iliade e il Fedone; Roma il Corpus juris, con due potenti compagni, l'epigrafe e il responso. Quanto all'epigrafe , specie sintetica di letteratura , nessun altro popolo nė lingua ha il quarto della maestà e rapidità dell'epigrafe latina,nata rebus agendis:onde nazioni nordiche e neolatine e tran satlantiche pigliano ancora , e avverrà per lungo tempo , da R o m a antica l'epigrafe e il responso. E la più bella dell'epigrafi ha conte nuto cpicurco e giuridico: « Et creditis esse Deos ?» la tomba negata a Catone e a Pompeo è superbamente data ad un mimo ! Se gli Dei sono ingiusti, gli Dei non sono. E le epigrafi più solenni nascondono certa finezza d'ironia epicurea nel senso giuridico. L'epigrafe latina è solenne, perché è breve come il responso : Questa rapidità di percezione è dalla lingua istessa giuridica per eccellenza, imperativa e, se m'è lecito a dire, dittatoria: onde l'epi grafe è quasi sempre responsiva cioè di senso giuridico,e ilresponso è sempre epigrafico. E d in R o m a fu possibile il tipo del giureconsulto, dell'u o m o cioè che ha l'intera percezione del dritto,rapidamente e propriamente la significa e sa comandarla a sè stesso prima che agli altri. È tipo raro , tutto assorbito dalla meditazione etica , che traduce nella p a rola e nel fatto.Roma n'ebbe pochissimi e assai più pochi ne fiori rono in tempi posteriori;e quando oggi odo chiamare giureconsulti alcuni legisti meno che mediocri dico che o le parole non s'inten dono o sono stravolte dall'adulazione. Quando la lingua latina canta di amore a me pare,senza esage razione, udire il Ciclope favellare a Galatea.Non è qui la sua forza, la sua missione, il suo contenuto storico:dica rapidamente il dritto, dica il fatto; il responso e l'epigrafe, questo è il gran contenuto della letteratura latina, questo è suo proprio, è originale, è collatino,oso  ied « Quid quid praecifus, esto brevis, ut cito dicta Percipiant animi) dire:il rimanente é preso di qua o là e porta il mantello peregrino . Ed ha tre uomini sommi , Lucrezio , Papiniano e Tacito. Lucrezio non ha cantato un poema,nè si dà al mondo poema didascalico,ma ha dato l'esposizione epicurea della natura, la cui Venus non viene da Milo ma dal Foro e può somigliare ad Astrea. Papiniano ha dato il più alto responso , nel quale è la sintesi della missione latina e lo ha suggellato, come dovea, con la morte.L'olocausto di Socrate ci mandò la tragedia filosofica che è greca;l'olocausto di Papiniano citramanda latragedia giuridica che è latina.Perchè dopo ilNerone e la Messalina non cantare anche questa che è più solenne?La sto ria di Tacito suona sulle rovine imminenti dello Stato latino come la serventesi dell'ultimo degli albigesi.Tacito è fosco come la sera neb biosadiuna grande giornata;èriflessivocomechirasentalerovine; è triste come chi cerca una virtù ch'ei sa di non trovare. Perciò ei ritrae Tiberio assai meglio che Tiziano non ritragga Filippo II , m a dove pinge la virtù non è pittore molto ispirato. E grande col pen nello onde lo Spinelli ritraeva Satana;ma se gli dai la tavolozza di Raffaello ei te l’annacqua. Lucrezio,Papiniano e Tacito sono tre che si somigliano nella forma di concepire e nella rapidità scolpita della espressione. Tacito , che . segna la decadenza e lavora come il Sisifo di Lucrezio,qui semper victus tristisque recedit, spesso ti accusa la maniera e quando è breve, quandoècorto;ma èl'ultimode'grandiromani.Chicercalagran dezza del pensiero latino fuori di questi , e vuol trovarlo o nei l a menti di Properzio e di Ovidio , o nel citiso di Virgilio e nelle p r i mavere di Orazio , o pescarlo nel bicchiere di Catullo , o spiccarlo dagli orli della toga di Cicerone è come chi cercando l'anima del trecento,invece di volgersi a Dante ea Boccaccio,la spia negli oc chi estatici di Caterina da Siena o nel cipiglio di Passavanti. In questo teatro giuridico,che è il mondo latino,ilcontenuto della lotta si trasforma e di semidivino diviene pienamente umano . Qui non han luogo cause per divinità. Qui Lucrezio può vuotare il P a n theon che accoglie indifferentemente tutti gl'Iddii per vederli indiffe rentemente sfatare dal sistematore della Natura.Lucrezio morrà non per accusa di Melito , di Anito , di Licone ; m a morrá se gli piace, d i s u a m a n o , s e il d e s t i n o d e l l ' u o m o g l i p a r r à t r o p p o s o m i g l i a n t e a quello di Sisifo. Allora la Venus genutrix gli si muterà in Venere Libitina , ed egli userà della vita secondo quello che gli parrå suo diritto. Io non credo all'aconito ; credo suicida Lucrezio , e questo suicidio proprio di forma romana , come quello di Catone , cioè per  ius necis etiam in se.   Questa lotta umana,iniziata non compita in Roma,questa che è tutta e sempre lotta civile dal ritiro della plebe sull'Aventino sino ad Augusto,qui omnium munia in se trahere coepit;questa epopea tutta latina non trovabile in Virgilio ma un frammento Ciò significa : Il mondo greco , cominciato religiosamente ,finisce nella irreligione di Epicuro; ilmondo romano pieno della dotta ir religione di Epicuro, finisce nel mistero cristiano. Come sia avvenuto questo fenomeno chiariremo nella nostra le zione intorno a Cristo. Questo vien chiaro di presente,che ilcontenuto giuridico in Roma non può porgersi come ius civile abstractum ,ma come primo sen timento di equità,onde sigenera ilPretore,istituzione profondamente etica, ignota anche questa alla Grecia, e urbano e peregrino, e il cui fineèsemprel'aequitas,affinchèilsummum ius,nondiventassesumma iniuria o summa malitia.Quindi ilplacito del giureconsulto nella co stituzione delle leggi:In rebus novis constituendis coidens esse de bet utilitas, ne animus recedat ab eo jure , quod diu AEQUUM visum est (Fideicom L. IV .). Chiaro è che l'equità costituisca la misura del dritto;che questa equità lungamente saggiata,traducendosi in dritto, genera l'utile sincero ; e che questo utile debba essere evidente ai popoli nella costituzione delle leggi. Quindi l'iniquum erat injuria. Quindi l'aequitas appo i latini non è il concetto volgare che ci viene da Ugone Grozio,è l'assoluta,continua,ascendente correzione del dritto civile , cioè del dritto greco ; e però cosi coloro che v e g gono pura medesimezza del dritto greco e romano , quanto quegli altri che continuano a favoleggiare intorno alla origine greca delle dodici tavole mostrano ignorare la differenza delle due storie , dei duc popoli, delle due lotte,delle due civiltà.E iltesto canta chiaro: Ius praetorium adiuvandi, del supplendi, vel CORRIGENDI iuris civilis gratia est introductum ,propter utilitatem pubblicam..... Che è quel ius civile bisognoso di correzione ? È quello appunto che in R o m a  patriziato il tribuno per una certa equa partizione di cose e di ufficii,e genero , ignoto alla Grecia; l'altro tra l'individuo per una certa equa emancipazione ignoto alla Grecia. dell'individuo 28 il rimanente in Tacito, ha due periodi principali: l'uno tra plebe e e la comunanza ,e generó Spartaco, Livio e La plebe fu vendicata da Mario e più da Cesare che se oppresso il tribuno era segno che non v'era più patriziato sovrano ed operoso. Spartaco,sopraffatto da Crasso e da Pompeo e morto nella pienezza della sua protesta, trovò poco dopo più grande vendicatore , Cristo.   comincia a parere s u m m a injuria , la cui correzione costituisce l'i stituto pretorio,che è tutto romano,ilcui programma si assomma nella sentenza:Placuit in omnibus rebus praecipuam csse iustitiae ac AEQUITATIS quam stricti juris rationem .Quello stretto dritto è greco, è puramente civile, è quiritario, è aristocratico, e trasmoda nell'in giuria, o per violenza o per malizia,aut vi,aut fraude. Quell'acqui tas è la correzione pretoria, è la grandezza dello spirito latino, che tutto si manifesta e dimora nella giustizia pretoria e urbana e p e regrina.E quell'aequitas deriva dalla lotta umana,cosi della plebe contro il patriziato come del servo contro il padrone. Il ius civile e il risultamento della lotta semidivina ; l'aequitas è il prodotto della lotta civile:quella è greca,questa è latina:quella ha il suo fastigio storico da Socrate ad Epicuro, questa da Mario a Spartaco : quella è lotta filosofica, questa è giuridica: i canoni di Epicuro sono l'ora zione funebre all'Olimpo e però alla Grecia, la protesta di Spartaco èilrequiemalsuperbo ciris romanus.Insomma lagloriastorica diRoma non è ildittatore,nè ilconsole,nè ilsenato,nè ilque store,né l'imperatore,e nemmeno iltribuno,è ilPretore:ilsuo editto è la sintesi dei responsi; lo spirito dei responsi è l'equità; l'equità è ilprodottodellalottaumana;questalottaèilcontenuto della ci viltà latina.  - 29 Con questo spirito di equità torna agevole a Tacito descrivere il tiranno, scolpirlo. Volere parendo di rifiutare, comandare parendo d i s u b i r e , f a r t u t t o p a r e n d o d i n o n f a r e , q u e s t o è il t i p o d e l t i r a n n o , questo è il Tiberio di Tacito , rispetto al quale gli altri tiranni v e nuti di poi sono volgari,ubriachi,troppo scoperti e però troppo espo sti ad essere tiranneggiati. Tipico è questo Tiberio in Tacito,come AiaceinOmero,come UgolinoinDante,come inOtelloinSakespeare, e non patiscono ritoccamenti di nessuna mano : chi si attenta a ri farli, sotto qualunque altra forma , disfà. E in R o m a fu possibile il ritratto del tiranno,ilpittore di Tiberio, perchè in Roma fu possibile ilsentimentodell'equità,non astratto,ma tradotto inragione pre toria.Ne Riccardo III,nè Arrigo VIII,nè Filippo II,nè Alessandro VI o Paolo IV ritrassero Tiberio : vollero troppo, si chiarirono troppo, furono troppo tiranneggiati : m a il tipo , spento individualmente, r i sorse collettivamente nella Compagnia di Gesù , che per 333 anni dilargò l'oligarchia nera sulla terra, parendo di non volere , di non comandare, di non fare. M a e il gesuitesimo tiberiano , e il cesari smo gesuitico non possono essere tanto chiusi che il pensiero e la natura non v'entrino.   Fu peròequitàpiena,sincera,spiegataquestadiRoma,siche la si trovi tutta adempita nella ragione pretoria?La lotta umana di R o m a d i e d e p e r r i s u l t a m e n t o il d r i t t o u m a n o ? I n s o m m a il d r i t t o r o m a n o si continua a studiare , a chiosare , ogni giorno in ogni parte civile della terra, perchè effettualmente è l'ultima parola del dritto ? L 'aequitas in omnibus spectanda , quando non voglia essere un nome ma cosa,non un presentimento ma una idea,non in somma una esigenza m a un adempimento , bisogna che si manifesti come connessione ed equazione dei contrarii,ciod del genere coll'individuo, del cittadino con la persona, affinchè ne risulti l'interezza dell'uomo. Ora questa equazione torna possibile quando l'individuo si sia affer nato e contrapposto al cittadino e abbia avuto nella storia tanto v a Lacosastainquestitermini:L'equitàscientificamenteintesa spetta: all'avvenire, che sarà la sintesi del cittadino coll individuo per co struire tutto l'uomo : l'equità latinamente intesa fu il transito dal cittadino all'individuo per costruire l'individuo. Il transito non è la sintesi,è ilsemplice avviamento dall'uno al l'altro dei contrarii, dall'azione alla reazione, dal bianco al nero,m a non è il cenerognolo in cui l'uno e l'altro si fondono. Fu larva dunque di equità:e nondimento anche come larva quel dritto è rimasto solenne , tipico nella storia, come presentimento di quello che il dritto è destinato ad essere. Dunque nella storia il mondo romano è l'esodo, il passaggio dal cittadino greco all'individuo germanico. E in questo transito dall'uno all'altro dei contrarii consiste , chi  30 - . ME  evoluzione quanta ilcittadino se ne prese.Senza que stazione e reazione, o, come altrove dicono, senza questa tesi e a n titesi nessun'armonia finale e completiva,nessuna sintesi piena e d u revole,nessunequilibrio,nessuna equazioneinsomma èeffettual mente possibile : e se l'equità non è questa equazione, è ancora un sentimento vuoto.Se ne deduce che Roma non poteva ancora nė ideare nè porgere la vera equità giuridica,perché l'individuo non avea compiuto la sua reazione storica, non avea dato tutti gl'istituti che dovevano nascere di sé, dalla sua antitesi o contrapposizione al cit tadino. Dove s'era fatta la storia dell'individuo, l'autobiografia, per ché il Pretore potesse consapevole contemperare i contrarii, connet terli, equilibrarli? Vedesi dunque che questa equità è l'avvenire della storia non il passato;spetta alla giornata travagliosa dei posteri non alla lotta civile di Roma.Or dunque è stata spuma d'acqua sonante l'equità romana ? Troppo sarebbe stato il rumore !   31 consideri, l'universalità dell'impero latino.Il quale perde la sua ra gione di durare quando Cristo compie l'emancipazione individuale. Ragioniamo brevemente di Cristo.  Abbiamo nel nostro linguaggio certe parole fulminatorie che vogliono significare una gran fede e tradiscono l'ipocrisia di chi le dice ;vogliono atter rire e producono invece l'impressione comica delle s c o m u niche di un certo vescovo provenzale sull'animo di Gugliel mo IX,duca di Aquitania e conte di Poitiers.  - 52- questa , dopo la rinascenza , dettò a Galileo la riduzione delle leggi della mente e della natura sulla pietra L a v a gna ; anche oggi questa imponeva al Ferrari la riduzione de'periodi storici nel numero ; e sempre questa tornerà dopo le brevi soste o deviazioni del nostro genio.Anche nella politica noi vogliamo misurato ilnostro passo,e perd la nostra prudenza di governo e di popolo fu compendiata felicemente non nel cunctari nè nel festinare, m a in quel festina lente , che è la sintesi più mirabile e perfetta del nostro carattere.Non è già che ad ora destinata non ab biamo le rivoluzioni noi come gli altri popoli,m a i tremiti e leoscillazioninon levogliamo,nè vogliamo rifareilpasso. A rovinare i pensatori alquanto più arditi sino al 1860 avevamo tre terribili parole graduali :protestantismo, p a n teismo,materialismo.Oggi sono tre fulmini senza cuspide,   easprofondaregliscrittoridiparteavversa,abbiamo so stituito a quelle tre altre parole terrifiche con la stessa s a cramentale gradazione: repubblicanismo,socialismo, in ternazionalismo. Quelle tre prime parole suonavano una scomunica ca nonica,le seconde una scomunica politica;ma nessun fu rore biblico traspare dalla faccia rubiconda di chi fulmina le prime o le seconde.Si voleva sino al 1859 perdere uno scrittore,un libro,anche un'opera d'arte?Una parola ba stava:è panteista!Il libro era proibito,l'autore sottoposto ad una o a più delle sette polizie,e ilcritico con quella sola parola acquistava autorità e dispensa da ogni altra confu tazione . Oggi no:piùche ibeni spirituali della celesteGerusa lemme si ha paura di perdere le palpabili dolcezze della Babiloniaterrestre,edascomunicareun uomo,una dot trina,un pensiero,si grida la parola socialismo!e la qui s t i o n e è f i n i t a lì , c o m e s e t u t t i o g g i, i n u n c e r t o s e n s o , n o n fossimo socialisti,e come se oggi ci fosse al mondo un u o mo ,un cane,un rospo,una formica,una molecola dove non sia arrivata a penetrare la quistione sociale. Io ho udito nella Camera un oratore dare del radicale almini stro più mite e conservatore che, a udire accusa tanto s t r a n a , r i s e f o r t e e t r a s e c o l a t o , c o m e v o l e s s e d i r e : I o ! ... s t u dio lecostruzioni ferroviarie per muovere le vaporiere non gliuomini.Ne rise tutta la Camera,ma notò sin dove sale l'ipocrisia del linguaggio.  53 Sono,percontrario,parole privilegiate estillanti san tità queste altre: serietà, galantomismo, moderazione. Queste parole sono guscio a molte lumache ,scudo ad al   cuni faccendieri, e bandiera a non pochi paolotti.La m o derazione fu sempre virtù operosa de'fortissimi, non co stume dei pigri e degli adiposi: conosco in Italia uomini moderati in tutti ipartiti,ma non conosco un partito m o derato '). Ci sono poi due parole antitetiche, mi si passi l'aggiun to,nellapoliticadelgiorno:piazzaed impopolarità.La prima di queste due significa l'estremo dell'avvilimento, l'altra della sublimità.L'equivoco però entra spesso ad al terarne l'uso corrente e le giuoca secondo i fini di parte : se la piazza fa dimostrazioni festive ai sovrani,la chiamano cuore della nazione ; se ragiona e delibera su’dritti suoi , la chiamano canaglia. Impopolarità poi è parola stranissima,ma che può sve lare tutto un sistema.N e'governi rappresentativi è alta prudenza ilcoraggio dell'impopolarità! E questo governo che e chi vorrà rappresentare ? Sarà rappresentativo dei morti che si lasciano anatomizzare senza lamento , o dei gnomi che sistannochetinelcentro dellaterra? 1)Glieccessiaiquali,oggisegnatamente,silascia andarequestopartito,in curante del popolo quanto sollecito di potere , nuderanno l'essenza delle istitu zioni vacillanti.  - 54 - rappre sentativo del popolo o d'una sètta? del popolo o dei fini di un ambizioso ? e quando una Taide , nudandosi dove non conveniva,sfidava il pudore e lo sdegno di un popolo,m o stravailcoraggio dell'impopolarità?Eh via!anche l'ipo crisia del coraggio ci voleva , e l'impopolarità doveva e s sere lo scudo d'Achille sul petto di Tersite. Capisco in giorni eccezionali l'impopolarità d'un sapiente, m a il si stema dell'impopolarità ne governi rappresentativi è una contraddizione ne'termini.   Continui chi vuole e può altre osservazioni intorno a parole convenzionali, sulla fraseologia, sul periodo ferma to innanzi al plauso prestabilito , specialmente in certi giorni , m a osservi pure che se il linguaggio assai volte è dato a nascondere il pensiero e ci riesce, non può riuscir mai a nascondere la mente ambigua,l'oscillazione del con vincimento,l'ipocrisia,ilcarattere.Unapiùomeno visi bile gonfiezza,un certo tôno,una certa struttura e posa, una studiata semplicità,una bonarietà metodica,una figu ra,una parola, anche una reticenza ed una linea aprono, a chi non è volgo,tutto l'intimo dell'animale parlante. Osservo infine che se i dialetti talvolta fanno capolino nelle nostre leggi ,e specialmente nelle procedure, egli è segno che le regioni italiane non vogliono essere compres se e ricordano allo Stato nazionale quella parte di autono mia ad essi dovuta.Non un filologo deve venire a correg gere il dialetto nelle leggi,ma idialetti si levano a cor reggere l'accentramento.   Come dell'Oriente non si può narrare una vera storia del pensiero del pensiero come esame di sè e del suo oggetto, del pensiero come scienza così e per la medesima ragione non si può del diritto. Il diritto sorge come rivendicazione della persona o individua o collettiva, e la rivendicazione per virtù del pensiero, cioè del l'esame che comincia col rifermare la tradizione e finisce col distruggerla. U n a vera storia del diritto anteriore alla storia del pensiero è un sogno, una favola. Nell'Oriente l'immaginazione e la fantasia tengon luogo del pensiero, e lo simulano in quanto lo prenunziano l'immagi nazione più nella Cina, la fantasia più nell’India l'immagina zione che riproduce l'unità morta, la fantasia che variat rem prodigialiter unam (nol so dir meglio); e, mentre prenunziano il pensiero, non arrivano ancora nemmeno all'arte, nel senso più proprio di questa parola. Fanno e custodiscono, cristalliz zandola, la tradizione; e però sono il basamento psicologico di tutte le religioni. Il mondo orientale, dunque, è religioso, semplicemente reli g i o s o ; è p r e i s t o r i c o , i n q u a n t o p r e n u n z i a il p e n s i e r o , n o n l o a n nunzia ; non dà la grande arte che non procede nè dalla i m maginazione monotona nė dalla fantasia irrefrenata. Se in Oriente  - 51 Roma je, CO am ia olisi Ca , he   - 52 l'inno e l'epopea avessero raggiunto quella eccellenza che vien sognata, si sarebbero per necessità geminate nelle arti sorelle, rimaste li tra il bizzarro, il deforme, l'industrioso e il fucato. E lo Stato orientale è veramente Stato quanto quella scienza è scienza, ed arte quell'arte. La tradizione è indiscutibile, è immobile : l'esame nè la riferma, nè la modifica, nè la distrugge, nè la integra. Non il popolo, che si disse e fecesi dire eletto, pose primo il problema antropologico ; lo pose l'egizio, e lo simboleggiò nella Sfinge, problema irresoluto, perchè senza risposta. Il Greco ri sponde, primo, a questo perchè. La Sfinge muore innanzi ad . Edipo e gli rinasce dentro. Edipo sparisce nella notte colonea, come Prometeo che con una favilla rapita al Sole aveva ani mato la statua l'uomo orientale immobile sconta il fallo nella notte scitica. La favilla doveva esser presa di dentro, non di fuori. Nosce te ipsum . Tal'è il destarsi del pensiero, tale il cominciamento della storia, e la protasi è greca. Quindi dalla preistoria, che è orientale, alla protostoria, che è greca, il passaggio è il problema egizio posto e non risoluto. L’Oriente è la fanciulezza che ripete, l'Egitto è l'adolescenza che interroga, la Grecia è la giovinezza che risponde. Cotesto pensiero consapevole avventa il dilemma : o greco o barbaro. Più che negli altri antichi questo dilemma è lucido in Aristo tile, dove con la disamina tempera l'arroganza e pondera le co stituzioni secondo il carattere de'popoli. Agli orientali egli då la scaltrezza, non la scienza (disse meglio del Ferrari sin d'al lora), e la viltà che è degli scaltri ; nota la selvatichezza ed il coraggio dei popoli nordici ; e il coraggio e la scienza serba agli Elleni. Agli Elleni il pensiero e gli ardimenti del pensiero. E insieme con questo primo sorgere del pensiero è storica mente possibile alla Grecia la prima rivendicazione umana, cioè la prima determinazione giuridica. L'uomo, infatti, nella Grecia rivendica una parte di sé, quella che è più comune e fa più    possibile la saldezza dello Stato che sorge come organismo p o litico insieme con la prima rivendicazione giuridica: l'uomo in Grecia non è più strumento inconscio di un potere sordo e in discutibile, m a si fa cittadino : e però la prima determinazione del diritto è puramente civile. Nè più nè altro poteva essere. O che prevalga l'aristocrazia come a Sparta, o la democrazia come in Atene, o che un Solone, per equilibrare le due parti, riesca semplicemente a mutare l'oligarchia eupatrida in oligar chia plutocratica, o che lo Stato si presenti federale come nella Tessaglia e nella Etolia, o che egemone come nella Laconia e nell'Attica, il certo è che alla rivendicazione dell'individuo non si arriva neppure come sentimento e assai meno come concetto. Né la lirica che in fondo è epica frammentaria sia gueriera come quella di Tirteo, sia molle come quella di M i m nermo, o sentenziosa con Teognide, o solenne con Simonide, nė il pensiero — sia il più largo e più trasmesso — come quello di Platone e di Aristotile superano questa posizione storica. Il pensiero non smentisce il fatto, e l'etica di Platone e di Ari stotile sono a fondo civile. Quando lo stoico, superando il cit tadino, si eleva sino all'u o m o astratto, e l'epicureo prefigura l'individuo, Ja Grecia gloriosa, la Grecia del pensiero, della p a rola e delle armi, è passata, e noi siamo innanzi ad altro pen siero, ad altra parola, ad altre armi. Roma è il campo dello stoico e dell'epicureo. Prima di toccare R o m a e seguirla dalla prima alla terza, ei mi par di udire chi mi ripeta che la storia svolta sin qui sia del pensiero piuttosto che del diritto.Era storia del pensiero e del diritto, non separabili. I giuristi sogliono occuparsi men che poco de'filosofi, perchè, in generale, poco li conoscono ; m a il naturalismo che vede la storia derivar dal pensiero in quella medesima guisa e proporzione onde il pensiero deriva dalla n a tura, non può procedere in altro modo. E se, giunto al mondo romano, avrò più ad indugiarmi intorno alle istituzioni e sulle testimonianze che ce le trasmettono,non è già ch'io non faccia  53 .   egual conto delle istituzioni e degli scrittori greci, m a perchè il mio sommario va tutto raccolto da Roma ad oggi.Della Grecia e dell'Oriente si è detto quanto strettamente occorreva a l u m e g giare il mondo latino e ciò che gli venne appresso. Due cose,belle a sapere,ma non assolutamente richieste dal sommario , io lascio del tutto : la storia geologica d'Italia e la storia etnografica. come intui il Leopardi, e gli sterminati periodi tellurici dal l'èra protozoica all'antropozoica, legga la geologia d'Italia nello Stoppani e nel Negri,e la misura del tempo nella geologia,nel Cocchi. Anche le terre d'Italia testimoniano da ogni regione nell'età archeolitica la presenza de'cavernicoli o, alla greca, trogloditi. Probabilmente &'incavernarono nelle montagne subalpine ed appenniniche, contro le spaventose vicissitudini dell'epoca dilu viale, e parlarono quello strano linguaggio che diè loro P o m ponio Mela : strident magis quam loquuntur. Stridono a guisa di pipistrelli, aveva già detto Erodoto, che dié lor pasto di ser penti e di lucertole. E di questi non abbiamo a far parola,perchè sono, come si è notato, diis, arte, jure carentes, o, secondo Virgilio : gens duro robore nata Queis neque mos, neque cultus erat.  fumassero le Alpi e gli Appennini - 54 Dove andrei, se volessi rifar la storia geologica del mio paese, ed a che pro per il corso di questo anno ? Chi voglia, dunque, conoscere l'una dopo l'altra tutte le epoche di questa terra italica, dall'eocenica alla pliocenica, e sapere perchè un giorno Come or fuman Vesuvio e Mongibello, Nè mi occorre far la storia etnografica dell'Italia. Dovrei correr dietro alle tradizioni d'una Italia popolata dalle i m m i g r a zioni de'Tirreni, degl'Iberici e degli Umbri ? E poi investigare se i Tirreni ci sien venuti dalle falde del Tauro, cioè dal m e z   zodi dell’Asia minore,e gl'Iberici dall'Asia centrale, e se gli Umbri, della gran famiglia de'Celti, sian entrati ad accasarsi nell'Umbria, partendosi tra Vilumbri ed Olumbri ? Troppe le opinioni de'dotti e troppo disparate, più di cento le congetture, *1 non di poca importanza il dissenso tra Micali e Niebhur, l'uno risalendo agli autoctoni e l'altro negandoli,e ad un antropologo italiano fu forza conchiudere essere ancora oscurissima letno logia italiana: oscurità, che imponendo silenzio al Mommsen circa le altre due o tre immigrazioni, fecegli dire degli Umbri soltanto che la lor memoria giunge a noi come suon di cam pane di una città sprofondata nel mare. Questo a m e par certo ed indiscutibile, che più genti si sieno incontrate e mescolate in Italia più che in ogni altro paese di Europa cosi ne'tempi preistorici come dopo la ca duta dell'impero romano,donde poi la mirabile varietà non solo del genio m a del tipo italiano, e dell'uno perchè dell'altro. Quella che ne'tempi preistorici fu nella Italia nostra differenza tipica tra'crani brachicefali e i dolicocefali, differenza rimasta alquanto notevole tra il tipo dell'Italia superiore e quello della inferiore, ne'tempi storici divenne differenza di genio, di scuole, di sistemi, di governi, di dialetti, di tendenze, onde l'Italia è, per eccellenza, il paese più vario di Europa e più aborrente da qualunque forma e successione di governi accentratori. E questo fondamento naturale del nostro pensiero e della nostra storia vuol essere considerato non solo secondo la v a rietà delle genti che qui s'incontrarono, si urtarono, s'incrocia rono e si fusero, ma secondo la non meno lieve varietà del suolo, del clima, delle acque e de'prodotti. Senza boria nazio nale si può affermare che la nostra unità è la più ricca, perchè risulta della più disparata e molteplice varietà. Però, come a traverso i tanti dialetti suona armoniosa e pieghevole ad ogni sentimento la nostra lingua, c o m e a traverso le tante scuole a r tistiche e regionali si scorge a prima vista la precisione e la contemperanza greco-latina della linea italiana, così a traverso  55 1, Pe mani TE can   lo sperimentalismo dell'Italia superiore e l'idealismo dell'Italia meridionale si vede la qualità dello ingegno italiano, che, con temperando la sintesi con l'analisi e il sentimento coll'esame, non disquilibra le funzioni della psiche, le quali, storicamente, si vanno a tradurre sempre nella politica del festina lente. Questa unità ricca, questa unità multiforme costituisce per eccellenza armonico il genio italiano; e quesť armonia lo fa ar tista in ogni cosa. E infelicemente riusciamo in quelle cose,nelle quali non portiamo dell'arte,non portiamo cioè del nostro genio. Allora per parere tedeschi o inglesi ci facciamo semplicemente bastardi. Fu detto che il mondo romano così poco artista, cosi stret tamente giuridico e praticamente prosaico, fu non pertanto gran dissimo e maestro inimitabile di grandezza. E d ora accostiamoci ad osservare se il mondo romano disdica il carattere del genio italiano. Quando oggi i giuristi e gli storici più pensanti vogliono trovare un fondamento razionale alle istituzioni ed ai fatti di un popolo, prima salgono al genio ed al carattere del popolo stesso, in ultimo alle necessità naturali determinate, cioè al naturale ambiente, in cui sorge e si svolge la vita di quel dato popolo. Questo processo implica un sistema presupposto appunto il naturalismo. Donde i fatti e le istituzioni di un popolo ? Dal genio e dal carattere:vuol dire,in fondo,dalpensiero.Donde ilgenio e il carattere ? Dall'ambiente naturale, di cui primo prodotto è il tipo. E proprio così move il naturalismo: la natura si svolge e riflette nel pensiero ; il pensiero si svolge e riflette nella storia . La differenza, nella esposizione, è questa: il filosofo move dalla natura e guarda alla storia; lo storiografo move dal fatto sto rico e ascende al fatto naturale. Non si è potuto fare altrimenti, quando si è voluto investi gare la causa dei fatti di Roma nel genio romano, e di questo genio nell'ambiente naturale di Roma. Anche quando, spostati  56 -   i fatti, si riesce a spostare il genio di un popolo, si è costretti a spostare in ultimo il fondamento naturale. È un errore di fatti,che attesta la verità e la necessità del metodo.Cosi M o m m sen, quando vuol dimostrare che il rapido crescere di R o m a in ricchezza e potenza è dovuto al genio commerciale de'romani, ricorre come ad ultima causa, a questo fondamento naturale : Roma è posta sopra un fiume grande,navigabile enon lontano dal mare.Sbagliata laprima causa – ilgenio romano sba glia la seconda il fondamento naturale, quello che Dante chiama È costretto, dopo, a sforzare alcuni fatti ed alcuni testi, per sottometterli alla causa prestabilita. M a più tardi egli corregge sè stesso, non rispetto al processo che è vero, si bene rispetto alla più sincera determinazione de'fatti e delle cause. Egli si accorge che in Roma mancava il primo fatto, una classe di commercianti ; poi, che non poteva essere stato di commercianti il g e n i o d i R o m a ; i n u l t i m o , c h e il T e v e r e , t e n u t o c o n t o d e l l a sponda etrusca, non poteva avere una grande posizione c o m merciale. Quando il processo dello storico non va sino al fondamento naturale, simula le sembianze storiche, m a rimane metafisico. Si dice, per esempio, per ispiegare alcuni fatti ed istituzioni, che tale è il genio, tale il grado di coscienza o di pensiero in questo o quel popolo.Va bene,ma lastoriacosièfattaa mezzo, è fatta con la sola psiche, con lo spirito astratto, che, evulso dal fondamente naturale, diventa un fenomeno miracoloso. proprio questo il difetto della cosi detta scuola storica. Savigny, se voleva fare storia intera, non dovea dire soltanto che un tale o tal altro dritto è prodotto dalla naturale coscienza giuridica del popolo ; m a doveva dimostrare il fondamento n a turale di questa naturale coscienza giuridica. Così non facendo, l'evoluzione rimane astratta, e le parole coscienza , genio, i n  - 57 Il fondamento che natura pone. È   dole, carattere diventano altrettante astrazioni, e,a dispetto del l'espressione naturale coscienza, la dottrina rimane puramente metafisica . Anche Hegel – il metafisico per antonomasia nire militare il genio di Roma, senti la necessità di salire sino ad un quasi dato etnografico,e di stimare, secondo le tradizioni, la prima società romana come una compagnia di ladri.E sopra questo dato giustifica la colluvies e poi la repentina nobilitas ex virtute di Livio ; e la virtus dalla bravura, non pure perso nale, m a collettiva, quella appunto che giustifica le violenze ; e dalla violenza la manus, la quale si manifesta dal matrimonio, in m a n u m conventio, sino alla patria potestas, rispetto alla quale la schiava condizione del figlio era significata dal mancipium . Quindi,ladurezzadellafamiglia,delloStato,delleleggi inRoma ; quindi, il cittadino romano da una parte schiavo, dall'altra de spota, perchè della durezza che soffriva nello Stato se ne ripa gaya nella famiglia ; e tutta questa durezza compendiata in un assioma politico di Machiavelli, qui ripetuto da Hegel, cioè che uno stato formato da sè e adagiato sulla forza conviene che sia sostenuto con la forza Il corollario poi affatto hegeliano - è che tutto ciò che derivò da tale origine e da tale Stato, non fu un convenio etico e liberale,ma una posizione forzata di subordinazione. Un carattere romano proprio cosi fatto non ispiegherebbe, io penso, l'origine, il valore e la diffusione invidiata non rag giunta del dritto romano nello spazio e nel tempo.Hegel,te nendo conto del dato naturale, non solo lo limita al puro èle mento etnografico, ma impiccolisce anche questo, e non m o stra tener conto del dato geografico, che è più obbiettivo del primo, e sforza il popolo romano a farsi non solo militare, m a agricolo . Questa indole agricolo-militare, questa appunto, fa la reli gione romana cotanto diversa dalla greca, e cosi spiacevole ad Hegel che la chiama la religione prosastica della limitazione,  - 58 per defi   della corrispondenza allo scopo, la religione dell'utile. Ed ecco, troviamo,la seconda volta,negato il genio artistico a Roma :la prima, perchè è il popolo del diritto ; la seconda perchè è il popolo dell'utile, a cui gli Dei giovano come i servi o come gli strumenti del campo. Hegel trova che i romani adorano la dea pace ( pax, vacuna) e la sua contraria angeronia ; la salute e la peste; trova che in Roma Giunone non è bianchi-braccia,ma ossipagina, e che Giove è capitolino piuttosto che olimpico. Chiama prosaiche queste divinità,ma nè cerca le divinità cam pestri, nè se le spiega, passando dal campo arato allo Stato. Nell'arte - continua Hegel specialmente in Virgilio, cre duto il poeta religioso per eccellenza, la religione è d'imita zione,la quale porta le divinità ex marhina, non con la fan tasia e col cuore. I giuochi stessi rimangono qualcosa di esterno, in quanto il romano è spettatore, non attore, e non ha poeta che di propo sito li celebri : giuochi duri e prosaici come la famiglia,lo Stato, la religione, le leggi. La somma del discorso è E dietro questa somma del discorso si scorgono le conse guenze , alle quali il filosofo tedesco vuol pervenire : 1° noi dobbiamo l'origine ed il progresso del diritto posi tivo all'intelletto non libero, privo di spirito e di sentimento, proprio del mondo romano ; 2o che, se i romani giunsero a distinguere il diritto dalla morale, ed a liberarlo dalla variabilità del sentimento, concre  co'romani si ebbe la prosa della vita, prosa, in ultimo, riflessa sopra Roma proprio dal carattere italico.– Che è l'arte etru egli può conchiudere che sca ? 59 Noi troviamo nell'arte etrusca la massima prosa dello spirito, quanto più perfetta nella tecnica tanto più priva del l'idealità greca : è la stessa prosa che vediamo nello svol gimento del diritto romano e della religione romana. Que sto giudizio circa l'arte italica sarà più tardi esagerato dal Mommsen .   tandolo in alcun che di esterno e di obbiettivo, non arrivarono a conciliarlo con la libertà e con l'intimo dell'uomo ; 3o che però non può essere il dato supremo della sapienza. Ben'altra parola avrà a dirsi sul diritto, quando si tratterà di connetterlo con la libertà. Certo, un altro mondo la dirå. E già s'intravvede che questa gloria il filosofo tedesco vuole serbarla al mondo germanico che succede al romano. Solo due cose si vedono : che Hegel lavora sopra un dato naturale incompiuto, e che la parte naturale soppressa è sosti tuita con rapidità magica dalla costruzione metafisica. Noi osiamo affermare che,se il dato naturale fosse compiuto cosi dal lato etnografico come dal geografico, il genio ed ilca rattere di R o m a si mostrerebbero sotto altra forma. E si par rebbe che nè assolutamente prosaico e tutto pago della esterio rità è il genio italico, nè Roma – la severa Roma – con la rigidezza della formula giuridica riesce a rinnegare il genio co  60 - Egli è davvero cosi? mune.   # tan CAPITOLO SETTIMO. Carattere di Roma Allora, come oggi, la metafisica mi pareva vuota, l'avevo d e finito udenologia, ed il naturalismo mi si presentava come il successore storico d'ogni metafisica ; m a nel farne applicazione, si volava ancora, ed al volo bastavano poche penne in spazio illimitato, senz'aria e senza tempo. Oggi non si vola, ma si misura il cammino, e si ha ragione di dire ai giovani che non facciano sostituzioni estetiche alla storia, le quali poco servono alla scienza. Espongo,adunque,ciò che intorno alcaratterediRoma pub blicai molti anni addietro, e noto senza indulgenza i miei errori di allora, perché molti li ripetono e non trovano più scusa.  - 11: C'è un altro modo,più metafisico di quello usato da Hegel, di costruire il carattere romano, ed è di derivarlo non da un mezzo dato naturale, abbandonando l'altro mezzo a discrezione della metafisica, come vedesi aver fatto il filosofo tedesco, ma di costruirlo sopra alcuni documenti classici che si prestano alle più contrarie interpretazioni ed a tutt'i giuochi dell'estetica applicata e della critica letteraria. Non sarà inutile poiché questo modo,per essere il più comodo,è il più frequente presentarne un saggio,valevolecome criticasopra me medesimo, che, nella giovinezza, credei sostituire gli esercizii di estetica alla storia, ed al naturalismo la subbiettiva critica letteraria. 61 Utopista scrivevoallora- non èchisogna,machipensa,   62 e tanto più profonda è l'utopia quanto più il pensiero coglie la relatività dei tempi. Greca è, dunque, l'origine della utopia e utopista tipico fu Socrate che osò primo al costume civico con trapporre alcun che d'individuale : Io Socrate sono nato a liberamente filosafare, e, se cento volte per questo io fossi morto e rinascessi, tornerei a filosofare. Non pena dunque mi è do vuta,ma ilPritaneo. Questo tentativo di ribellione dell'individuo, contro il citta dino, dell'individuo che osa pigliarsi un mandato individuale che non solo valga il mandato civile, m a ardisca riformare il costume, questo è punito, e, in quella natura di tempi, era ve ramente crimine di Stato. Socrate,anch'esso,come atterrito dal colpo ch'ei tenta, sente che al cittadino è dovuta l'espiazione individuale, e rifiuta au silio, e si apparecchia alla immolazione di sè non pure perchè sente compiuta la sua missione e non gli piace vivere super stite a sè medesimo,ma perché vuolegrecamente spirare:Dum patriae legibus obsequimur.Che è quell'ultimo pensiero del gallo, che, rimosso il lenzuolo dal viso, ei vuole sacrificato ad Escu lapio? Vuol finire sul letto del carcere come fosse ad Anfipoli o a Potidea,e vuol morire con religione e costume attico, come a punizione di alto trascorso individuale.L'individuo fu Socrate filosofo ; il moribondo è l'ateniese rassegnato : m a il più grande è questo, che proprio questo ateniese punisce quell'individuo e non glidà scampo.Pericle non potè salvare Anassagora;So crate non vuole salvare se stesso. Come,secondo ilmito,la Sfinge, negata di fuori, rinasce dentro Edipo, cosi, secondo la storia, lo Stato attico, offeso di fuori, si riafferma dentro di So crate. O l'esilio di Colono o la cicuta, è sempre l'immolazione dell'individuo alla comunanza rappresentata dallo Stato.  Quando gli Dei patrii percossi dalla riflessione socratica su pinarono nell'Olimpo muto, Epicuro, sorridendo, gittò sopra di loro un gran panno funereo e si rallegrò coll'uomo liberato dai divini terrori: Diffugiunt animi terrores. Però quel panno che   Epicuro gittava sull'Olimpo,copriva tutta la Grecia; giacchè quel panno che soffocava la lotta semi-divina, era indizio della mis sione greca già finita. Perciò Epicuro lascia i giardini greci, le dolcezze e i profumi arcadici, e se ne viene nel Foro romano, e siede e sentenzia e giudica e genera di sè due uomini diver sissimi, Orazio e Lucrezio, e da Orazio poi il tipo di Munazio Planco e da Lucrezio quello di Papiniano.Sono troppe cose che io dico insieme, delle quali molte 'non dette, m a provabili con la forma del discorso e col testimonio dei fatti.Cicerone, vedendo Epicuro alle porte di Roma, si arma di poma soriane, inserte in forma di fulmini, e cerca saettarlo con furore iperbolico, pro prio nel modo onde il papato fulminava da Roma la rinascenza. Ma,come larinascenza,malgradoifulminipapali,siaccasava in R o m a , invadeva il Vaticano, e faceva poetare e sermoneggiare i papi con civetteria anacreontica, cosi Epicuro spunta tra due dita i fulmini di Cicerone, come avea già spuntato quelli del Giove greco, e, toccata appena la spalla dell'oratore romano,se lo fa suo.Ma, appena entrato in Roma,Epicuro prende la natura del Giano latino, si fa bifronte, ed una sua faccia è quella di Orazio,l'altradiLucrezio.Non èmiracolo,èilsistemaepicureo che, sotto la dialettica, manifesta queste due fronti. L'una viene adirecosi:La vitaèbreve;di là non sicontinua;dunque, godiamola di presente. La morte cicolga,quando possiamo git tarle in faccia la scorza del pomo soave,tutto premuto.L'altra, cosi:La vita è breve; di là non si continua;osiamo,dunque, eternarla con un'opera degna della immortalità della fama . Per chè tentare la gioia stolta, se nel punto di asseguirla la morte può spegnermi ? Ecco le due fronti di Epicuro. L'una di Orazio : Vitae s u m m a brevis nos vetat spem inchoare longam .Di là non c'è vita: Non regna vini sortiere talis. La conseguenza che ei porge all'anima tua,è sempre una : Carpe diem quam minimum credula postero. Illazione esprimibile con un grugnito del porco epicureo.  63 L'altra è di Lucrezio : Omnia migrant, omnia commutat n a   tura et vertere cogit. Dalla quale migrazione eterna dell'essere deriva il s u m m u m crede nefas. Importa sol consegnare integra la lampada della vita alle generazioni sopravvenienti: Vitae l a m pada tradere. Da Orazio nasce Munazio Planco,prima Cesariano, poi P o m pejano, poi repubblicano, poi di Antonio e di Cleopatra, poi cor tigiano di Augusto e sprezzato da tutti : tipo del galantuomo di Guicciardini ; e fini nella sua villa di Tivoli come Guicciardini , nella solitudine di Arcetri. Da Lucrezio nasce il tipo del giureconsulto, Papiniano, che intese il diritto come bonum aequum, e non volle in senato di fendere un imperatore fratricida, e piuttosto che l'onore volle lasciare la vita. Morendo, come aveva sentenziato, provvide alla immortalità della fama, et lampada juris tradidit. Da Epicuro il mondo romano prende il senso della positi vità, ed è però mondo di prosa, non di arte, con missione giu ridica, con lingua giuridica, con monumenti, storia, tradizioni giuridiche.La Grecia ci ha tramandato due insuperabili documenti, l a t r a g e d i a e p i c a e l a t r a g e d i a f i l o s o f i c a , l ' I l i a d e e il F e d o n e ; R o m a il Corpusjuris,con due potenti sommarii,l'epigrafe e ilresponso. Quanto all'epigrafe, specie suggestiva di letteratura, come direbbesi in Francia,nessun altro popolo nė lingua ha ilquarto della maestà e rapidità dell'epigrafe latina, nata rebus agendis : onde nazioni nordiche e neolatine e transatlantiche pigliano a n cora,e avverrà per lungo tempo,da Roma antica l'epigrafe!e il responso. E la più bella dell'epigrafi ha contenuto epicureo e giuridico : Et creditis esse Deos ?  64 Cosi abbiamo della medesima scuola il porcus de grege E p i curi,e de acie Epicuri miles. Nè questo doppio tipo fu smar rito nel periodo del risorgimento, quando dopo la scolastica pla tonica e aristotelica si riaffaccið l'epicureismo: dall’una parte si ebbe ilPontano,cantoredellavoluttà,dall'altrailCavalcante,cer catore austero, tra’sepolcri, dell'immortalità della fama.   La tomba, data umile a Catone, negata a Pompeo, ė superba mente elevata ad un mimo ! Se gli Dei sono ingiusti, gli Dei non sono. E le epigrafi più solenni nascondono certa finezza d'ironia epicurea nel senso giuridico. L'epigrafe latina è solenne, perché è breve come il responso : Questa rapidità di percezione è dalla lingua istessa giuridica per eccellenza, imperativa e, se mi è lecito a dire, dittatoria : onde l'epigrafe è quasi sempre responsiva, cioè di senso giuri dico, e il responso è sempre epigrafico. E d in R o m a fu possibile il tipo del giureconsulto, dell'uomo cioè che ha intera la percezione del dritto, rapidamente e pro priamente la significa e sa comandarla a sè stesso prima che agli altri. È tipo raro , tutto assorbito dalla meditazione etica, che traduce nella parola e nel fatto. R o m a ne ebbe pochissimi che dopo quella Roma furono comentati,non risatti; e,quando oggi odo chiamare giureconsulti alcuni legisti che tirano a m e stiere il codice, dico che o le parole non s'intendono o sono stravolte dall'adulazione. Quandolalingualatinacantadiamore,amepare- libero da preoccupazioni di scuola udire il Ciclope favellare a G a latea. I romani potean prendere le Sabine meglio con le braccia checolcanto:manu,haudcarminibuscaptae.Non ène'carmi la missione di R o m a : dica rapidamente il diritto, dica il fatto ; il responso e l'epigrafe, questo è il gran contenuto della lette ratura latina, questo è suo proprio, è originale, è collatino, oso dire : il rimanente vien di fuori e porta il mantello peregrino. Ed ha tre uomini massimi, Lucrezio, Papiniano e Tacito. L u crezio non ha cantato un poema, nè si dà al mondo poema di dascalico,ma ha dato l'esposizione epicurea della natura, la cui Venus non viene da Milo, ma dal Foro, e può somigliare ad Astrea. Papiniano ha dato il più alto responso, nel quale è la) Quidquid praecipiens, esto brevis, ut cito dicta Percipiant animi. 5 UNIVERSITÀ DI Qurais ROMA CCHIO   Lucrezio, Papiniano e Tacito sono tre che si somigliano nella forma di concepire e nella rapidità scolpita dell'espressione. Tacito, che segna la decadenza e lavora come il Sisifo di L u crezio, qui semper victus tristisque recedit, spesso ti accusa la maniera e quando è breve, quando è corto ; m a è l'ultimo dei grandi romani . Chi cerca la grandezza del pensiero latino fuori di questi,e vuol trovarlo o nella lirica di Orazio, ambigua, quanto alla forma, traPindaro ed Anacreonte,e ambigua nella sostanza tra lo stoico e l'epicureo, o trovarlo nell'epica incerta tra Vir gilio e Livio, cioè tra le reminiscenze omeriche e le favole tra dizionali, è come chi, cercando l'anima del trecento, invece di volgersi a Dante e a Boccaccio, la spia negli occhi estatici di Caterina da Siena o nel cipiglio di Passavanti. In questo teatro giuridico, che è il mondo latino, il conte nuto della lotta si trasforma e di semi-divino diviene pienamente umano . Qui non han luogo cause per divinità. Qui Lucrezio può vuotare il Pantheon che accoglie indifferentemente tutti gl’Iddii per vederli indifferentemente sfatare dal sistematore della N a tura.Lucrezio morrà non per accusa di Melito, di Anito, di Licone; norrà, se gli piace, di sua mano, se il destino del l'uomo gli parrà troppo somigliante a quello di Sisifo. Allora la  66 sintesi della missione latina,e lo ha suggellato, come dovea, con la morte. L'olocausto di Socrate ci mandò la tragedia filosofica che è greca ; l'olocausto di Papiniano ci tramanda la tragedia giuridica che è latina. Perchè dopo il Nerone e la Messalina non tentare anche questa che è più romana? La storia di Ta cito suona sulle rovine imminenti dello Stato latino come la ser ventese dell'ultimo degli albigesi. Tacito è fosco come la sera nebbiosa di una splendida giornata; è riflessivo come chi rasenta le rovine; è triste come chi cerca una virtù che ei sa di non trovare. Perciò ei ritrae Tiberio assai meglio che Tiziano non ritragga Filippo II,ma,dove pinge la virtù,non è pittoremolto ispirato. È grande col pennello onde lo Spinelli ritraeva Satana; m a , se gli dai la tavolozza di Raffaello, ei te l'annacqua .   67 Venus genctrix gli si muterà in Venere Libitina, ed egli userà della vita secondo quello che gli parrà suo diritto. Io non credo all'aconito; credo suicida Lucrezio, e questo suicidio proprio di forma Romana , come quello di Catone, cioè per jus necis etiam in sc. Questa lotta umana,iniziata,non compiuta in Roma,questa che è tutta e sempre lotta civile dal ritiro della plebe sull’Aven tino sino ad Augusto, qui omnium munia in se trahere coepit ; questa epopea lutta latina, più in Livio che in Virgilio, ha due periodi principali: l'uno'tra plebe e patriziato per una cerla equa partizione di cose e di ufficii, e generò il tribuno, ignoto alla Grecia ; l'altro tra l'individuo e la comunanza per una certa equa emancipazione dell'individuo, e generò Spartaco, ignoto alla Grecia. La plebe fu vendicata da Mario,e più da Cesare,che se op presse il tribuno,era segno che non v'era più patriziato sovrano ed operoso.Spartaco,sopraffatto da Crasso e da Pompeo e morto nella pienezza della sua protesta, trovò poco dopo più grande vendicatore, Cristo. Ciò significa: Il mondo greco, cominciato religiosamente, fi nisce nellairreligionediEpicuro;ilmondo romano,pienodella dotta irreligione di Epicuro, finisce nel mistero cristiano. La catastrofe religiosa in Grecia è spiegabile con la natura del pensiero, che comincia col rifermare le religioni e finisce col dissolverle; la catastrofe della irreligione in R o m a è spie gabile con la natura del pensiero istesso, che, se è dommatico, finisce col divorare se stesso. Chiariremo questo vero, quando saremo innanzi al cristianesimo. Questo vien chiaro di presente,che il contenuto giuridico in Roma non pud porgersi come jus civile abstractum, ma come primo sentimento di equità, onde si genera il Pretore, istitu zione profondamente etica, ignota anche questa alla Grecia, e urbano e peregrino, e il cui fine è sempre l'aequitas, affinchè il summum jus non si faccia summa injuria o summa malitia.    Quindi, il placito del giureconsulto nella costituzione delle leggi : In rebus novis constituendis eviders esse debet utilitas, ne a n i mus recedat ab eo jure, quod diu AEQUUM visum est (Fideicom . L. IV). Chiaro è che l'equità costituisca la misura del diritto; che questa equità lungamente saggiata, traducendosi in diritto, genera l'utile sincero; e che questo utile debba essere evidente ai popoli nella costituzione delle leggi. Quindi l'iniquum erat injuria. Quindi l'acquilas appo i latini non è il concetto volgare che ci viene da Ugone Grozio : è l'assoluta, continua, ascendente correzione del diritto civile, cioè del diritto greco ; e però cosi coloro che veggono pura medesimezza del diritto greco e ro m a n o , quanto quegli altri che continuano a favoleggiare intorno alla origine greca delle dodici tavole,mostrano ignorare la diffe renza delle due storie, dei due popoli, delle due lotte, delle due civiltà. E il testo canta chiaro : Jus praetorium adiuvandi, vel supplendi, vel CORRIGENDI iuris civilis gratia est introductum , propter utilitatem publicam ... Che è quel ius civile bisognoso di correzione ? È quello appunto che in R o m a comincia a p a rere s u m m a injuria , la cui correzione costituisce l'istituto p r e torio,cheètutto romano,ilcuiprogramma siassomma nella sentenza : Placuit in omnibus rebus praecipuam esse iustitiae ac AEQUITATIS q u a m STRICTI juris rationem . Quello stretto diritto è greco, è puramente civile, è quiritario, è aristocratico, e tra smoda nell'ingiuria, o per violenza o per malizia, aut vi, aut fraude. Quell’aequitas è la correzione pretoria, è la grandezza dello spirito latino, che tutto si manifesta e dimora nella giu stizia pretoria e urbana e peregrina. E quell'aequitas deriva dallalottaumana,cosidellaplebecontroilpatriziatocome del servo contro il padrone. Il jus civile è il risultamento della lotta semi-divina, l'aequitas è il prodotto della lotta civile: quella è greca, questaèlatina: quellahailsuofastigiostoricoda So crate ad Epicuro, questa dalle dodici tavole a Spartaco : quella è lotta filosofica, questa è giuridica : i canoni di Epicuro sono    69 l'orazione funebre all'Olimpo e però alla Grecia, la protesta di Spartaco è il vale al superbo civis romanus.Insomma la gloria storicadiRoma nonèildittatore,néilconsole,nèilsenato, nè il magister equitum e l'imperatore e n e m m e n o il tribuno, è il Prelore : il suo editto è la sintesi dei responsi; lo spirito dei responsi è l'equità ; l'equità è il prodotto della lotta u m a n a ; questa lotta è il contenuto della civiltà latina. Hegel che vede si addentro la cagione della rovina della repubblica romana e con Tacito giudica vana l’uccisione di Cesare, non vede con pari intensità in quella repubblica l'istituto pretorio e, sfuggi togli, tien conto solo della ratio strirti juris. Tutto il diritto r o mano gli si stringe nel summum jus. Non vide che la lotta umana era ed è l'equilà. Con questo spirito di equità torna agevole a Tacito descri vere il tiranno, scolpirlo. Volere parendo di rifiutare, c o m a n dare parendo di obbedire,far tuito parendo di non fure, questo è il tipo del tiranno, questo è il Tiberio di Tacito, rispetto al quale gli altri tiranni venuti di poi sono volgari, ubriachi,troppo scoperti e però troppo esposti al essere tiranneggiati. Tipico é questo Tiberio in Tacito, come Ettore in Omero, come Ugolino in Dante, come Otello in Sakespeare, e non patiscono ritocca menti di nessuna mano : chi si attenta a rifarli, solto qualunque altra forma,disfà. In Grecia fu possibile il sentimento del ti ranno, in Roma il ritratto tipico,perchè in Roma è delineato il concetto dell'equità. Tiberio non può esser veduto se non dielro il seggio del Pretore. Nè Riccardo III, nè Arrigo VIII, nè Fi lippo II,nè Alessandro VI o Paolo IV ritrassero Tiberio : vollero troppo, si chiarirono troppo, furono troppo tiranneggiati: ma il tipo, spento individualmente, risorse collettivamente nella C o m pagnia di Gesù , che per 333 anni dilargò l'oligarchia nera sulla terra, parendo di non volere, di non comandare, di non fare. Ma e il gesuitismo tiberiano e il cesarismo gesuitico non pos sono essere tanto chiusi,che ilpensiero e la natura non v'entrino. Fu però equità piena,sincera, spiegata questa di Roma,si    che la si trovi tulta adempita nella ragione pretoria ? La lotta umana di Roma diede per risultamento il diritto umano ? In somma il dirittoromano sicontinua a studiare,a chiosare, ogni giorno in ogni paese civile, perchè effettualmente è l'ultima parola del diritto ? L'acquilas in omnibus spectanda, quando non voglia essere un nome,ma cosa, non un concetto,ma un sistema, non in somma un'esigenza,ma un adempimento,bisogna che simani festi come connessione ed equazione dei contrarii, cioè del ge nere con l'individuo, del cittadino con la persona, affinchè ne risulti l'interezza dell'uomo.Ora, questa equazione torna possi bile,quando l'individuo si sia affermato e contrapposto al citta dino e abbia avuto nella storia tanto valore e tanta evoluzione quanti il cittadino se ne prese. Senza quest'azione e reazione, o, come altri dicono, senza questa tesi e antitesi nessun'ar monia finale e completiva, nessuna sintesi piena e durevole, nessun equilibrio, nessuna equazione insomma è effettualmente possibile : e, se l'equità non è questa equazione, è ancora un presentimento Se ne deduce che Roma non poteva ancora sistemare la vera equità giuridica, perchè l'individuo non aveva dato tutti gl'istituti che dovevano nascere di se, dalla sua antitesi o c o n trapposizione al cittadino. Dove s'era fatta la storia dell'indi viduo, l'autobiografia, perchè ilPretore potesse consapevale con temperare i contrarii, connetterli, equilibrarli? Vedesi, dunque, che questa equità è l'avvenire dellastoria,non ilpassato;spetta alla giornata travagliosa dei posteri, non alla lotta civile di Roma.Or, dunque,è stata spuma d'acqua sonante l'equità ro mana ? Troppo sarebbe stato il rumore ! La cosa sta in questi termini: L'equità scientificamente in tesa spetta all'avvenire, che sarà la sintesi del cittadino con l'individuo per costruire tutto l'uomo : l'equità latinamente intesa fu il transilo dal cittadino all individuo per costruire l'individuo. Il transito non è la sintesi, è il semplice avviamento dal  - 70   l'uno all'altro dei contrarii, a traverso i quali si vien costruendo l'uomo chiamato sintesi dell'universo e non divenuto ancora sintesi di sé medesimo ! Fu larva dunque di equità: e nondimeno anche come larva quel diritto è rimasto solenne, tipico nella storia, concetto più che presentimento di quello che il diritto è destinato ad essere. Dunque,nellastoriailmondo romano èl'esodo,ilpassaggio dal cittadino greco all'individuo germanico. E in questo transito dall'uno all'altro dei contrarii consiste, chi consideri, l'universalità dell'impero latino. Il quale perde la sua ragione di durare, quando Cristo annunzia l'emancipa zione individuale. Cosi me ladiscorrevo intorno al contenuto storico ed al carattere di Roma. Alcune delle cose dette, oggi, non ripeterei; m a ne accetto anche oggi moltissime,principalmentedue:chelalottainRoma èumana e senza neppur l'ombra del carattere religioso; e che risulta mento precipuo della lotta umana è l'istituto pretorio. Bastano queste due affermazioni per determinare tutto il ca rattere della prima Roma , e dal caratlere la sua missione, la gloria, l'universalità, la decadenza. A queste due affermazioni manca la giustificanza storica il metodo. Perché in Roma la lotta è del tutto umana ? A questa interrogazione, quando non si voglia dare una ri sposta astratta, come la darebbe la scuola di Hugo e di Savi gny,cioè tal era la coscienza o ilgenio di Roma,ci sono due modi di rispondere, l'uno metafisico, l'altro naturale. Il primo risponde: Alla lotta semidivina dovevo succedere la lotta umana : la prima, compiuta in Grecia, non si poteva ri p e t e r e i n R o m a . L e d u e lotte s o n o d u e m o m e n t i d e l p e n s i e r o ; e però Epicuro passa dalla Grecia a R o m a . Il secondo dice che questo lavorio del pensiero, affatto in d i sparte dal fondamento naturale, spiega la storia più che non  - 72 -   Quindi l'evidenza di lumeggiare la storia col naturalismo che le traccia il metodo. Ora, il naturalismo storico attraversa tre periodi notevoli : prima è teleologico, poi empirico, finalmente è scientifico È teleologico, quando presuppone i fini, e i fini diventano cause, e la natura è in gran faccenda a lavorare i mezzi per questi fini. In questo primo periodo il naturalismo non si è li berato ancora dalla metafisica, e, se non è essenzialmente antro pomorfico, è tale abitualmente . Questo periodo è rappresentato da Herder, il quale è vero che presume cercare la storia degli uomini nella storia del cielo, della terra e delle relazioni tra cielo e terra ; m a , presupponendo ancora i fini nella storia dell'uomo e della natura, viene abitual mente a credere divino quel che dev'essere tutto e semplice mente naturale, e – ciò ch'è ancora più teologico -- ad esclu dere i popoli fieri e sanguinarii dalla possibilità di adempiere nella storia un qualche fine provvidenziale. Che cosa sarà per Heder il cristianesimo ? — Il regno della giustizia e della verità ! Ecco la civiltà tedesca in forma di fine provvidenziale, che non poteva essere adempiuto dal popolo romano, perché aveva animo tirannico e mani insanguinate. E  - 73 - il genio o il carattere astratlo, m a in ultimo riesce astratto ed enigmatico anch'esso, perché il pensiero presuppone qualco saltro, da cui non si può divellere. È vero che altro è il genio greco, altro il romano ; è vero che la lotta fatta in Grecia non si può rifare a Roma ;è vero pure che Epicuro,passando dalla Grecia a Roma,accenna alla lotta umana che succede alla lotta religiosa : ma non si vede ancora perchè il pensiero si sia cosi determinato, e piuttosto in Italia che in Germania , e dell'Italia piuttosto in Roma che nell'Etruria o in altra regione. Sono, per conseguenza, da tenere in gran conto i momenti del pensiero che nè in sè nè nella storiasi ripete mai; ma re stano momenti vuoti, astratti ed inesplicati senza tenere in pri missimo conto il dato naturale.   74 - il genio giuridico di R o m a ? e l'universalità del dominio romano ? e la successione storica della civiltà romana alla greca ? e l'am biente naturale di R o m a , rispetto alla terra ed all'aria ? Tutto ciò sparisce, e restano un fine provvidenziale il cristianesimo, e l'odio tedesco contro R o m a , compagnia di ladri e nel principio e nel mezzo,cosi pel genio naturalista di Herder come per il genio metafisico di Hegel. Egli è perchè quella natura non è libera ancora da quella metafisica. È empirico il naturalismo, quando contende ogni investiga zione intorno agli ultimi fini e alla prima causa, e que'fini e quella causa respinge da se come contenuto della metafisica e campo Questo periodo è rappresentato da Comte, il quale respinge l'assoluto con troppo assolute negazioni,come Stuart Mill negava il sistema, sistemando ; e però l'uno si dà a cercare l'invaria bile attraverso i fenomeni naturali, e l'altro il permanente attra verso i bisogni umani . Vanno cercando quell'assoluto che hanno assolutamente negato. Avviene, in questa scuola de'puri senomeni,che le catastrofi sono sostituite all'evoluzione; che il passato sarebbe assoluta mente morto, non trasformato ; e che, come nell'ordine della successione filosofica il positivismo annunzia la morte di tutto il contenuto metafisico, cosi nell'ordine della successione politica ilperiodo industriale,p.e.,supporrebbeaffattospento ilperiodo legale, come questo supporrebbe spento del tutto il periodo m i litare.Da che sarebbe indicata la cessazione del periodo mili tare? Dalla caduta di Roma.Ed ecco che questaRoma,o forza di ladri o di soldati, non sarebbe stato altro che forza ! E ne il naturalismo teleologico nė l'empirico arrivano a vedere che in quella R o m a universale la forza fu universale quanto il diritto.  - come reazione mutila il contenuto scientifico, e non si accorge che quanto sot trae alla scienza tanto consegna alla religione. sino dal nome metafisica, dell'inconoscibile. In questo secondo periodo il natura lismo,aborrendo Finalmente il naturalismo storico esce dallo stato teleologico,   75 - dallo stato empirico, e diviene scientifico sotto queste determi nate condizioni : 1a sottraendo la statica e la dinamica so ciale all'indeterminato delle analogie e sottomettend le al cal colo determinato, nel quale sparisce l'uomo individuo e sorge l'uomo medio ; 2a sottraendo il calcolo ai ritmi misteriosi o ca balistici e riducendolo alla legge di proporzione tra causa ed ef fetto ; 3a sottraendo le cause allo indeterminato del numero e riducendole ad una causa sola, e facendo convergere tutti gli effetti verso un fine proporzionato alla causa medesima. Allora si viene a veder chiaro che la statica e la dinamica sociale fanno una fisica sociale che deriva dalla psico -fisica ; che il pensiero si traduce nella storia con la medesima proporzione, onde procede dalla natura ; che il calcolo, al quale sottostanno le scienze naturali, entra a dominare il mondo della storia ; e che in ultimo l'uomo individuo,il quale sparisce innanzi all'uomo medio, vuol dire l'arbitrio che sparisce innanzi alla libertà. Più sparisce l'arbitrio come causa, e più si chiarisce la libertà come fine. A tutto ciò, che è pur grande, il mondo moderno non può sottrarsi. Ha prodotto tre saggi,che sono saggi ancora, ma che aspettano con irremovibile certezza la sistemazione scientifica, e sono la Fisica sociale di Quetelet, la Storia dell'Incivilimento in Inghilterra di Buckle e i Periodi politiri di Ferrari. Anch'io nel 1872 — nel Saggio Crilico del Dritto Penale e del Fondamento etico avevo cercato dimostrare in che ra gione si movono nel tempo storico le istituzioni avverse e per chè il tempo stesse rispetto alla successione del pensiero come lo spazio rispetto alla successione de'corpi; m a anche quel mio libro, come porta il titolo, rimane saggio, ed aspetta la sistema zione scientifica che si determina co' criterii sopra stabiliti, senza de'quali non è possibile un naturalismo scientifico. E con questo proposito io mi sento libero da qualunque ar bitrio individuale, da qualunque monomania di originalità so litaria ed astratta, perchè da una parte veggo di obbedire alla    ragion de'tempi e dall'altra al genio italiano. Questo genio, o che si manifesti nello sperimentalismo più cauto del Galileo o nel più libero idealismo di Bruno,ha sempre ultimo fondo delle cose la natura, fuori della quale nulla vede e nulla spiega. È però genio matematico per eccellenza, perchè ogni legge natu rale si stringe in numero. Fu, quindi, possibile nella scuola di Galileo un Vincenzo Viviani che faceva ciò che appena Leibnitz osava desiderare, sommettere cioè gli atti umani alla misura, l'etica alla matematica. Risalendo i tempi, incontravasi nella scuola di Metaponto ; discendendo, preoccupava i periodi poli tici di Ferrari. Se è una sistemazione anche questa, perchè afferma l'evo luzione come processo dall'omogeneo all'eterogeneo, e non con sidera che l'evoluzione sarebbe impossibile senza la coesistenza dell'omogeneo con l'eterogeneo ? Perchè non considera se quella che appare coesistenza immediatamente al senso,non si faccia mediatamente connessione ? E , se cotesta connessione è recipro cità, perchè egli non mi lascia vedere le scienze esatte nelle naturali ? Ne deriverebbe che, esclusa la possibilità di ogni ente metafisico, il suo positivismo farebbesi naturalismo. E tanto m e glio ! Tutte le perplessità finirebbero, e non si parlerebbe a n  Spencer pose gran cura a distinguere sė da Comte,ciò che oggi vuol dire positivismo inglese dal francese. Molte sono le differenze notate dallo Spencer, m a fan capo ad una : che S p e n cer cre le necessaria l'analisi psicologica, da Comte giudicata impossibile. E dietro quest'analisi Spencer perviene a quel s a pere unificalo, sotto il principio universale della evoluzione, che costituisce la sistemazione del positivismo. 76 Innanzi all'universalità di queste leggi non vi sono per noi i riserbi, le oscillazioni dell'inconoscibile e del positivismo in glese ; vi sono invece l'universalità e l'ardimento del naturalismo italiano, del quale cosi, senza taccia di orgoglio nazionale, ra gionavo nella mia conferenza a Torino : Che cosa manca ?   Noi abbiamo affermato l'inconciliabilità tra l'infinità della natura e il vecchio caput mortuum della teologia.Non possiamo tornare indietro ; e le perplessità del positivismo sono sdegnate dal naturalismo italiano. La parola stessa positivismo per noi è un equivoco : scientificamente ci suona semplice reazione alla metafisica, e moralmente dice negazione di ogni elevato ideale. La parola è sciupata. Il naturalismo dura quanto la natura, ed è proprio nelle nostre tradizioni, nel nostro indirizzo e nel n o stro genio. Non temo le conseguenze : la Verità e la Libertà sono, in fondo, una medesima natura (1). Dietro questi criterii, tenuto conto non di uno o due , m a dei precipui elementi naturali ch'entrano nella storia primitiva di Roma e che possono essere determinati come i faltori elemen tari dell'incivilimento romano, ne risulta che l'indole violenta ed il costume erratico de'primi congregati devono essere dal vasto campo costretti a farsi agricoli, e che il prodotto di questi due fattori, la violenza e l'agricoltura,doveva essere il genio m i litare di R o m a . E militari si annunziano il primo re, le prime istituzioni,iprimi fatti che aprono lastoria di Roma,come mi litare la postura della città istessi, ottima delle posizioni stratc giche in tutlo il Lazio. Or,dato un popolo agricolo e militare,un popolo,cioè,che (1) G. Bovio : Il naturalismo. Torino, Roux e Favale, 1882.  -77 - vora dell'assolutamente inconoscibile, campo tetro,in cui possono rientrare tutti i vecchi pregiudizi, tutt'i terrori infantili e tutte le senili speranze sfatate dal naturalismo italiano. Diritto, ardito, impavido è l'ingegno nostro : è Colombo che, se ha da guardare verso l'America, non riguarda la Spagna ; è Galileo che, se s'in china, non nega il moto ; è Bruno che, se ode la sentenza, non disdice l'infinità della natura ; è Cardano che ha più timore di smentire il proprio oroscopo, che di morire. Cosi pensa e cosi vuole : italianamente volere è come il supremo fato storico.   78 stabilisca il mio e il tuo e con la forza faccia rispettare il li mite,quale sarà la risultante di queste attitudini,quale lamis sione o il destino di questo popolo ? È già evidente : sarà u n popolo giuridico per eccellenza, il popolo del diritto. Cosi va : la violenza e l'agricoltura fanno un popolo militare; l'agricoltura e la milizia fanno un popolo giuridico. La violenza temperata dall'agricoltura diventa milizia, a c u stodia del proprio c a m p o ; la milizia raddolcita dall'agricoltura diventa forza di equità. Cosi si scoprono i primi naturali fattori del genio romano : non forza contro il diritto (barbarie); non diritto contro la forza (decadenza ); m a diritto e sorza (civiltà giuridica ). N o n basta dire il m o n d o greco fu della scienza e dell'arte, ilmondolatinofudeldirittoedelgoverno,ma bisognasapere perchè fu cosi. Allora occorre vedere non solo la successione cronologica delle idee e delle civiltà, m a indagare i naturali fattori che dispongono una nazione,piuttosto che un'altra, ad una deterninata civiltà, e proprio quella e non altra nazione. E per convincersi che quello fu davvero il genio di Roma e quelli i fattori dello incivilimento romano,gli studiosi rivolgano a sè m e desimi alcune domande.Eccole ordinatamente: 1 . ° Q u a l e f u , i n g e n e r a l e , l ' i n d o l e d e ' p o p o l i i t a l i c i, e q u a l e tra le genti italiche la postura di Roina ? 2. Quali i rapporti tra gli agricoltori e quale il costume ? 4. Perchè fu tenace il costume e lento in R o m a l'accu mularsi della ricchezza ? 5.9 Perchè gl'idillii greci in R o m a diventano georgiche, come le cosmogonie diventano poemi della natura, ed in qual conto R o m a ebbe gli scrittori de re rustica e le divinità c a m pestri ? 6." Qual'è la forina più latina del pensiero latino ? 7.* È vero, in ultimo, che quel pensiero e quella forma —  3. Che cosa più occorre, quando questi rapporti e questo costume si elevano a missione giuridica ?   sostanza e modo di un mondo affatto prosaico alito di arte? - non hanno Se ciascuna di queste domande non avesse in sè molta im portanza, tutte insieme parrebbero da fanciullo per la loro di sparatezza, mentre, per la loro intima connessione, posson fare una sola domanda. E l'ordine delle risposte può far bastare una pagina, dove occorrerebbe un volume. Le genti italiche – per quell'armonia di facoltà, della quale abbiamo sopra toccato l'origine portano in ogni cosa che pensano e che fanno,non solo un senso finissimo di arte,m a g giore dove meno appare,ma quella che chiamano nota giusta ed è espressione di senso pratico, che, in fondo, è senso poli tico.E dico senso non per traslato nè per uso di linguaggio co mune,ma proprio nel sensopiùitalianamente scientifico,perchè intelletto e volontà sono evoluzioni del senso (1). Quindi sono popoli che hanno meglio equilibrati gli ordina menti politici, e più disciplinati gli ordinamenti giuridici e m i litari. R o m a , e per i fattori del suo genio e perchè posta nel cuore della penisola,veniva naturalmente a concentrare tutto il genio italico e a dargli quella espansione che può raggiare da una città nel medesimo tempo giuridica e militare. Il genio di Roma,insomma,traperl'origine e per la postura è nelle con (1) Non sarà inutile ricordare ciò che scrissi nel citato discorso sul n a turalismoap.19: Ilsensoeraumiliatoedepressodaduepresupposti: che lo avevamo comune con le bestie e coi zoofiti; e che la ragione p o teva far senza di esso, come l'anima senza del corpo. Presupposti, come è chiaro, della vecchia psicologia metafisica, esagerati dalla scolastica, raffi nati dall'idealismo più recente. Il senso che si osserva,e che si sente,si alza,si riabiliti e testimonia e scrive di sè stesso : Il senso avverte il fatto naturale, il movimento del fatto e in ogni fatto la coesistenza dei contrarii, per es., identità e differenza, genere ed individuo, comune e proprio. Il senso avverte sè,ilmovimento da cui deriva e in cui si deriva,ed in sè la connessione dei contrarii, per es., infinito e finilo, causa ed effetto, necessità e libertà. Il senso avrerte la  79   dizioni più naturali per concentrare ed espandere il genio ita liano. E ne'popoli agricoli, più che ne'commercianti,sorge schietto il sentimento del diritto e poi dell'equità, perchè più semplici tra gli agricoltori, che non tra'commercianti,sorgono i rapporti sociali. E , sorti, trovano subito stabilità nel costume e certezza nelle forme, come stabile e certa è la terra, sulla quale e per la quale l'agricoltore vive, come certo e stabile il limite del colto. E da questa medesima stabilità e certezza, la tenacità del costume e la rigidezza avversa ai subiti e pericolosi guadagni del commercio . Però in R o m a fu lento l'accumularsi della ric chezza e ancora più lento il contagio del lusso. Se poi questi rapporti e questo costume, ne'quali si accentra il genio di tutto un paese, sono destinati ad elevarsi a missione giuridica, ciò che più occorre per tradurla in atto cotesta m i s sione segnatamente in mezzo ad un mondo barbaro è la forza. Perciò una grande missione giuridica, la quale non sia militare nel medesimo tempo,è un'astrazione da missionarj,come una gloriosa missione militare che insieme non sia giuridica e non si ordini a qualche alto fine civile, è un'astrazione da nar ratori ciclici. Il dominio di R o m a è pari alla forza, e l'uno e l'altra sono pari al concetto ed alla missione giuridica. Quindi, propria tendenza a trasmutare ilfatto naturale in fatto storico, a insi nuare nella storia il proprio moto e a determinare il fine del moto sto rico nell'equilibrio dei contrarii, per es.,persona e Stato, lavoro e pro dotto, dovere e dritto. Volete questi diversi gradi del sentire chiamarli senso,intelletto e vo lontà ? Ritragga il linguaggio con queste parole questa distinzione di gradi, ma distinzione di gradi, non separazione di facoltà: distinzione di gradi nella evoluzione del senso,come ilsenso è dellanatura,non tante ipostasi di tante facoltà.Come l'evoluzione delle forze chimiche perviene sino al l'organismo e dell'organismo sino alla vita e della vita sino al senso,così l'evoluzione del senso sino all'intelletto e alla volontà. Nessuna ragione, m a il solo pregiudizio può condurci a moltiplicare i principii e le leggi.  80   col crescere e determinarsi del concetto giuridico si giustifica l'egemonia di Roma sopra tutto il mondo mediterraneo, e con la coscienza che Roma desta del medesimo concetto negli altri popoli, si spiega il testamentu di Augusto in Tacito : Addiderat consilium coercendi intra terminos imperii. Quindi , si spiega perchè in R o m a ,mentre tutto è militare e la procedura giuridica non si scompagna dalla lancia, tutte le distinzioni civili e politiche sono derivate dalla terra. È patrizio chi possiede terra ed il segreto de'diritti inerenti al dominio ; sono clienti, colientes,quelli che coltivano il campo del patrizio; plebei, quelli che coltivano e costumano vivere sul proprio campo ; proletarii, quelli che non hanno campo, fuori del quale non c'è avere. E si ponga mente a questo, che nel cliente c'è la radice del colono ; che ne' rapporti tra cliente e patrono è adombrata la prima tradizione feudale, che non si è interrotta mai nella storiadelmondo;cheilclienteècittadino,ma non saclasse di cittadini; e che in ciò principalmente si distingue dal servo che nè è persona, nè cittadino, nè fa classe di cittadini. Agraria è principalmente la lotta tra le parti in R o m a ; agraria l'origine del dominio bonitario ; agrario il fondamento del censo ; agrarie le leggi provocatrici de'più grandi dissidii e di radicali riforme negli ordinamenti politici e civili di R o m a . L'evoluzione dello spirito romano porta sempre questa impronta del principale fattore del suo genio. Tra la legge licinia e la legge sempronia c'era sempre sull'agro pubblico tesa una corda, che, tocca, consuonava con l'animo romano . Campestri da Saturno al Dio Termine sono le deità indigene diRoma;ilcampoaratoèara;proarispugnare inanticoè difendere il campo ; e da un fanciullo uscito dall'aratro impara rono l'arte degli aruspici, di gran momento nel cominciare le imprese civili e militari.Censorino scrive$ 4:Nec non in agro Tarquiniensi puer dicitur exar atus, nomine Tages, qui disci plinam cecinerit extispicii.– Anche negati gli aborigeni,restano gl’Iddii autoctoni che si piacevano di riti e canti campestri e 6 – G. B Vic.Disegno di una Storia del Diritto,ecc.,ecc.  - 81   82 da'campi mandaron voce ad Ercole di preferire le offerte di lampade accese ai sacrifizj umani. Gli Dei che dal primo anno urbe condita sino alla prima dittatura perpetua entrano in R o m a insieme co'popoli vinti, sono costretti ad entrare anch'essi in servigio del vincitore, dal quale assumono forma e costume. La Giunone di Grecia non è quella de'Latini,nè il Giove di Atene è quello di Roma. Quando non più assumono il costume del vincitore, non sono più adorati. Ma nė per numi peregrini nè indigeni c'è mai guerra tra i popoli latini, né dissidio civile, nè giudizio per divinità. L'aco nito di Lucrezio - se mai fu provato - non somiglia alla cicuta di Socrate : non ci fu accusa, da che i dotti di R o m a sentirono che il poema della natura era l'espressione più vera del senti mento contemporaneo. In Roma gli Dei sono piuttosto per l'uomo,che l'uomo per gli Dei, i quali più si allontanano come più si determina il sentimento del diritto, che ha dato alla lotta romana principalmente l'impronta agraria. — E l'ager romanus da prima determina le tribù, le quali sono non solo personali, m a locali secondo la partizione dell'agro. Nell'arte non si smentisce questo elemento precipuo del genio romano, anzi vi si determina e spiega. Se l'idillio greco entra in R o m a , si fa georgica, le quali Di patrii, Indigetes det tano ad alto fine : Quid faciat laetas segetes, quo sidere terram Vertere,... ulnisque adjungere vites Conveniat. Aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat. Ma,seèvero,comesentiHegel,chegliDeidiVirgilio ven gon giù dalla macchina, in queste georgiche la macchina è più visibile: mostrano abbastanza che vengono dopo il poema della natura, e che secondo leggi schiettamente naturali la terra vuol essere pulsata. E l'arte romana non ha nulla di più perfetto di    83 questo poema della natura e di questa applicazione che delle leggi naturali si fa nelle georgiche, poema agrario. Celebrati, dopo questi, sono scriptores rei rusticae et Gromatici veteres, per la tradizionale venerazione della coltivazione e della misura dell'agro: tra'primi M. Porcio Catone, Varrone e Colunella ; tra'secondi Sesto Giulio Frontino, Aggeno Urbico, Igino. Humana ante oculos foede cum vitajaceret In terris oppressa gravi sub relligione Primum Grajus homo mortaleis tollere contra Est oculos ausus,primusque obsistere contra (2). Ed è chiaro:sarà questo in Roma il contenuto filosofico:lo stoicismo non sarà che di reminiscenze, e l'eclettismo, di s c m plice erudizione. Quinto Sestio,stoico più che eclettico, non saprà parlare di Giove che con un motto sarcastico, tramanda toci da Seneca : Iovem plus non posse, quam bonum virum ; a Cicerone, eclettico più che stoico, morto otto anni dopo L u crezio, non saprà ammettere l'esistenza degli Dei che in via di sempliceopinione:Deosessenaturaopinamur.E idottisinno quanto questo opinatore magno, come Cicerone chiama sè stesso, confidi nelle sue opinioni teoretiche e teologiche. Intravedesi  E la filosofia? Dove sviluppato è il sentimento del diritto, e per questo appunto la lotta si fa tutta umana e principalmente agraria, gli Dei, a breve andare,si allontanano dalla scena.Epi curo occupa Roma è il suo campo naturale e Amafinio pubblicamente lo insegna in buona prosa latina come Lucrezio lo espone in versi mormorati a lui dalla natura ch'ei canta : Perchè ? (1)Lib.3. Te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nunc Fixa pedum pono pressis vestigia signis (1): (2)Lib.1.   84 che la macchina teurgica non manca a Cicerone che prelude ai politici di razza latina, invocando gli Dei piuttosto a rincalzo dello Stato che a fondamento di religione. Ma sopra tutt'i poemi e tutte le prose latine l'epigrafe mi parve sempre la più latina forma del pensiero latino. Versi e prose se ne scrivono in ogni lingua, più o meno classica,e morta e viva; ma l'epigrafe, che non è nè prosa nè verso, non mi parve mai vera in altra forma fuor della latina. N'è prova il fatto costante: sempre che si voglia far vivo un pensiero sopra una pietra e quasi comandarlo alla memoria degli uomini,lo si fa latinamente. E ,perchè il pensiero trovi equazione con la forma, bisogna che abbia alcun che di universale e d'importanza umana : una epigrase latina, oggi, sulla tomba di una giovinetta, di un fanciullo, di un uomo oscuro, accusa gli eleganti ozii di un pe dante, anche quando egli riesca alla pietosa eleganza di Antonio Epicuro, che gemeva in latino del cinquecento, e in dotte a n titesi, la sostituzione della morte alle nozze. Nam tibidumquevirum,tedas,thalamumqueparabam, Funera et inferias anxius ecce paro. Anche il nostro Settembrini, che avea gusto finissimo del bello,silasciòingannaredalsingultoin antitesieleganti,enon seppe distinguere tra l'epigrafe dotta e l'epigrafe latina. È vano sfatare l'epigrafe : sempre che si voglia dire con ef ficace brevità un pensiero universale o un fatto d'importanza universale, si dirà epigraficamente e latinamente.In altra forma e lingua apparirà lo sforzo, anche coperto dalla maestria del Giordani che sopra Colombo e Machiavelli scrisse le epigrafi meno incomportevoli. Noterò breve la ragione di questo fenomeno letterario. Quando si dice la lingua latina, imperatoria, ellittica, essere percið epigrafica, il discorso rimane all'esterno; e però viene a dire che la lingua latina è epigrafica, perchè è.– L'intimo è    che il pensiero latino — giuridico Si dirà, per afferrare transiti dove sfuggono, che l'epigrafe è il passaggio dal verso alla prosa,dalla fantasia alla riflessione, e tiene però dell'una e dell'altra. No : l'epigrafe esprime il sommo della riflessione, perchè determina ciò che in una gene razione c'è di più universale, o come pensiero o come senti m e n t o , e l o s t r i n g e s o t t o n o n il n u m e r o d e ' p i e d i o d e l l e s i l l a b e , ma delle parole,ed ha però forma egualmente discosta dal metro poetico e dalla licenza prosastica. Chi consideri come l'universalità del dirittosi determina nella precisione massima della parola, scopre subito l'equazione tra il responso e l'epigrafe, e conchiude senza peritanza, che, ri spetto al genio romano, sono di eguale importanza il corpus iuris e il corpus inscriptionum latinarum . Tutte le regole di Morcelli de stylo inscriptionum fanno la rettorica epigrafica, la più fatua melensaggine letteraria. Al g e suita mancava il pensiero. Intanto questa indole epigrafica di R o m a, che riappare da ogni carta e da ogni pietra,in ogni parola e in ogni lettera latina, questa appunto per la sua espressione nuda e severa ha fatto dire che il genio di R o m a non ha nulla di artistico. Quel che di fluido e più abbondante s'incontra nella letteratura latina, è greco. Per gli odiatori del nome romano, Roma è la città della forza; per i più benevoli, è la città del di ritto; per gli uni e per gli altri il genio romano è meno estetico del cinese. Conchiudiamo questo capitolo, esaminando questa affermazione. Che il mondo romano sia stato poetico davvero, come fu la Grecia, e come la nostra rinascenza greco-latina da Dante in poi, non si può dire, si perchè nell'arte di R o m a non troviamo l'individuazione de'caratteri poetici, e si perchè il canto vera  85 è universale, imperatorio, categorico. Per cosa ingiusta e con parole indecise non c'è forza di comando.Perciò ripeto che inRoma ilresponso è epigrafico, l'epigrafe è responsiva. .   mente poetico non si leva mai solo in un popolo, ma in un pe riodo in cui gli vengono successivamente compagne le altre arti: lapittura,lascultura,lamusica,l'architettura.Non c'èragione, perchè, una volta accesa la fantasia di un popolo, si debba tutta e solamente stringere ne'metri poetici e non cercarsi il ritmo nelle altri arti: c'è invece la ragione contraria, che, nato il canto, si presentano l'una dopo l'altra tutte le altre forme della individuazione poeticil. I caratteri poetici migrano per le diverse forme dell'arte, finchè si adagino nella forma più propria, dalla quale sdegnano essere rimossi. Così il Giove di Omero passa in Fidia,e ilgiudizio di Dante in Michelangiolo. Ma,se ilmondo romano non è poetico, nel senso estetico della parola, è nondi meno artistico in grado inimitabile, perché non neglige la forma dietro la ricerca di un contenuto informe, ma la cerca in equa zione perfetta col contenuto, anzi dal contenuto si studia deri varla, perchè sente che un pensiero che si deterinina, facendosi, si crea determinatamente la sua forma. Il contenuto, la sostanza propria del pensiero latino è il diritto, il quale in Roma si connatura con la forma romana, come il Giove greco con la forma greca. La parola del giure consulto latino scolpisce come la subbia di Fidia. Come da quella subbia esce il sopracciglio cuncta movens, cosi da quella parola erompe l'imperativo giuridico. Or, questa perfetta equazione tra pensiero e forma, tra l'im perativo giuridico e il grammaticale, tra l'imperio concitato e la forma ellittica, quasi tronca, onde Leibnitz, dopo gli assiomi de'geometri, niente vede più certo de' responsi latini, questa appunto è intensamente artistica. Il giureconsulto non è il poeta, è l'artista del diritto.  86 E per provare col fatto, io ben ricordo che la lex XII T a bularum fu chiamata carmen necessarium , e, cresciuta l'equità, -orrendocarme;chequesto carme fugiudicato un severopoema, ricco d'immaginazione e a desinenze quasi ritmiche; che fu salto imparare a coro da'fanciulli; che Cicerone ne parla con   quell'entusiasmo (1),onde iGreci ricordavano l'Iliade; che i R o mani derivavano più onore dalle XII tavole,che non dalle guerre puniche ; m a so pure che la voce carmen presso i latini ha si gnificato assai più largo che poesis, e mi baderò dal definire poema di qualsivoglia natura il carmen necessarium . Ma ag giungo subito che in queste medesime tavole si manifesta il genio artistico del legislatore romano, per una mirabile equa zione tra contenuto e forma, la quale ferma e stabilisce quelle tavole come tipo di tutta la legislazione romana, e le fa perenni nel culto di quel popolo togato e armato. Al primo sguardo sulla tavola prima si legge: SI IN IUS VOCAT,NI IT,ANTESTETOR ;IGITUR EM CAPITO. Non un articolo, nè un pronome in caso reito ; due impera tivi in cadenza, e tra'due, come a temperarne la durezza,l'igi tur, che presume parere la razionalità ed è la semplicità pri mitiva della legge.Ogni legge scritta è igilur in sè medesima, è il corollario particolareggiato di un principio generale e di una applicazione sottintesi ; e però l'igitur espresso non è trovabile fuor della semplicità infantile della legge. Basta averlo trovato in prima, e non pare che vi s'incontri due volte.Hegel direbbe che questa procedura non solo insita nella legge m a soverchiante, ed a cadenze d'imperativi della specie di capito, ricorda troppo la manus.Due cose sono da rispondere:l’una,che laprocedura molta e stabile, diffusa in tutte la dodici tavole, anche nelle due ultime che Cicerone chiama inique (duadus tabulis iniquarum (1) Per Livio è fonte ; per Tacito è fine; per entrambi è corpo del diritto : quindi, fons publici privatique juris in Livio ; finis aequi juris in Tacito ;corpus omnis romani juris ne'due storici e ne'giureconsulti. Ma più se n'esalta Cicerone nel De Oratore : Fremant omnes licet, dicam quod sentio.E dirà,giurando per Ercole,che ilsolo libretto delle dodici tavole per peso di autorità e di utilità avanza di assai le biblioteche di tutt'ifilosofi.Questo unus libellus era l'Iliade de'Romani.  87   legum additis), svelano l'indole di un popolo agricolo; l'altra, che tutta questa procedura primitiva, che è o la forza o simbo leggiata dalla forza, in R o m a è sempre in servigio di un diritto che determina un rapporto tra gli ordini noverati sopra, o tra due del medesimo ordine rispetto ad una medesima cosa. REM UBI PAGUNT,ORATO, Qui, nelle dodici tavole, é evidente, è propria, sto per dire, è bella : certo, come legge, questa evidenza epigrafica non è s o l o il s o m m o d e l l a b r e v i t à , m a d e l l ' a r t e . F u o r i d e l l a l e g g e , i n Tacito, assai volte la brevità perde l'evidenza e diventa cortezza, l'arte si svela e si fa sforzo, e l'oscurità della frase indica l'o scurità de' tempi e l'animo oscuro di chi si trova solo in mezzo a que' tempi. Bella ancora nelle XII Tavole la seguente procedura che sta bilisce equazione tra l'esrcizio della legge e del Sole : SOL OCCASUS SUPREMA TEMPESTAS ESTO. Tutt'i verbi trovansi all'imperativo, e l'imperativo nel rit mo,ma più di frequente questo verbo essere, come se l'essere in Roma questo dovesse significare principalmente: l'impera tivo giuridico. Parrebbe ai meno accorti soverchia la parola rem innanzi a pagunt : la levino e sarà come levata la parola inducias innanzi al pepigit di Livio. Le parole in quelle tavole sono numerate  88 Notinsi intanto l'evidenza nella brevità epigrafica, la rapidità del comando, la risolutezza della procedura. Non si saprebbe quale parola o monosillabo levare od aggiungere . È il getto di un pensiero giuridico, nato insieme diritto e procedura, impera tivo nella essenza e nel modo,ritmico senza esser verso, arti stico senza nulla di poetico. Notisi in questa ilmaximum della breviloquenza: si come nelle epigrafi, e risermano, con l'esempio, la dottrina espo sta intorno al genio di Roma . L'arte della legge,propria dello spirito romano, si annun zia sin da queste dodici tavole; e i primi ed i,secondi decem viri furono artisti. Coloro che anche in queste dodici tavole vollero vedere Atene, ed una legazione uscita romana e tornata attica, ed Ermodoro esule d'Efeso primo glossatore, e dietro le dodici tavole la statua di Ermodoro, furono confutati da Vico, e la confutazione fu di quelle che non ammettono replica. Non solo nella essenza delle dodici tavole c'è lo spirito originario di Roma,ma c'è ilgetto del pensieronellaforma.Le dodicitavole in greco suonano come l'Iliade in latino:chi sotto la forma indi gena non sente il pensiero esotico, è sordo ad ogni risposta di Cirra . Le dodici tavole,come forma,svelano ilgenio diRoma,mi rabile nella concezione ed espressione della legge, mirabile per quella equazione in che dimora l'arte di una qualunque disci plina; come fine, svelano un'altra equazione che è tutto il dise gno di un popolo giuridico:summis infimisque iura aequare; come origine, svelano la prima equità nella notizia del diritto, la promulgatio . La promulgatio accenna il transito dal s u m m u n ius all'ae quum bonum in un popolo che ha congenito il sentimento del diritto e lo sente e lo celebra come sua missione. Il Tribuno, provocando la promulgalio, astringerà il diritto consuetudinario e il quiritario a fissarsi sulle tavole; il Pretore, secondo i casi particolari, tradurrà il diritto scritto nell’equità naturale;ilGiureconsultotradurrà l'equità nelle regole uni versali di ragione. Il Tribuno sorge una generazione dopo ilregifugium ed una generazione prima delle dodici tavole : e, sorto tra queste due generazioni, significa, con la sua presenza, che, mutala forma di governo, si è mutato lo spirito di una nazione. Il Pretore, non quello semplicemente da prae ire, m a quello appellato urbanus,    Considerata l'origine del Tribuno, e i due primi, Giunio Bruto (forse nipote del primo) e Sicinio Belluto, tra patriziato e plebe ; considerati nel Tribuno il vus auxilii, il ius interces sionis e il veto ; considerata l'inviolabilità, ond’ era sacra la per sona del Tribuno, ed il violatore era caput Jovi sacrum ; fu detto che il Tribuno è un tipo affatio italico, e del tutto italica l'istituzione del Tribunato. Doveva dirsi invece che il Tribuno, il Pretore ed il Giureconsulto sono tre grandi momenti dell'equità romana ;e tre risultamenti memorabili della lotta umana ed agraria tra patrizio e plebe sono la promulgatio, l'editto ed il responso. E qui due considerazioni : la prima, come risultamento della lotta romana sono il Tribuno, il Pretore ed il Giureconsulto, tali hanno ad essere le dodici tavole, e tutte le leggi che da quelle promanano ; l'altra, che chi credesse ancora tutto e solo della forza questo mondo di Roma, dovrebbe correggersi innanzi al Tribunato, al Pretorio ed al responso. In R o m a , desto il sentimento dell'equità, fondamento p e renne della lotta umana che si agita in tutti i tempi di Roma, si desta insieme l'accorgimento politico, onde il patriziato cerca prevenire gli strappi e capitanare le riforme che non può nè respingere nè fermare :quindi, è possibile vedere da una parte la lotta agraria, le guerre servili, la guerra sociale e la guerra gladiatoria, dall'altra Spurio Cassio, patrizio, giustificare col suo sangue la prima legge agraria, F. Camillo, patrizio, giustificare l'equità pubblica, presentandosi primo pretore accanto al tempio votatoallaConcordia,EmilioPapiniano,patrizio,portareil re  90 quod in urbe ius redderet,venne tre generazioni dopo la pro mulgazione delle dodici tavole, perchè dopo tre strappi fu m e stieri di chi piegasse la legge scritta verso la naturale equità. Il Giureconsulto accompagna tutti i tempi del diritto, m a domina l'imperatore e lo Stato, il mondo di allora e i secoli posteriori, quando libera l'equità dallo editto e la incarna in pronunziati universali.Quindi,più dileguasiilTribuno,più scende ilPretore, e più grandeggia il Giureconsulto.   Sempre che gli uomini pronunzieranno questa parola « EQUI TÀ », la quale, in fondo, è libertà, ed è l'alto fine della storia, si ripresenteranno alla memoria di tutti il Tribuno, il Pretore, il Giureconsulto, il primo a promuoverla, il secondo a specifi carla, il terzo ad universaleggiarla. (1) Mi occorse nel 1881 rispondere ad alcune parole del Cancelliere del l'Impero tedesco ripetute nel Senato italiano, e pubblicai subitamente le parole che seguono per provare che non si hanno a chiamare concessioni quelli che nella storia sono strappi. Riconosco, nella calma dello scrittojo, la concitazione di alcune frasi che potrebbero alterare il senso positivo dellastoria,ma ilfondo rimane vero,epiùveroancora,chelapoliticafine dell'antico Senato oggi non può trovare imitatori nè in Germania, nè in Italia,nè in Francia.Ecco,intanto,le parole di allora: Giova ripetere il senso delle parole di Bismarck , ripetuto già nel Senato italiano, per mettere sotto gli occhi del principe tedesco e de' senatori italiani alcune verità storiche, alcune leggi e certi nomi che non dovreb bero essere mai dimenticati da'prudenti che presumono condurre gli Stati, lontani dai partiti estremi, e li trascinano fuori delle leggi storiche. Il Cancelliere ha detto : Da venti anni alla sommità dello Stato, ho potuto osservare che gli Stati,passando di una in altra concessione, pas sano dalla forma monarchica alla repubblicana. Il Senato ha detto : Le troppe concessioni al diritto di suffragio conducono al Senato elettivo. L'uno preoccupavasi della corona, gli altri della propria istituzione. Hanno ragione e torto. Ragione,perchè,passando di diritto in diritto,si perviene fatalmente alla sovranità nazionale senza delegazione, e a tutti gli ufficii per elezione. Torto,perchè non sono concessioni glistrappi.– Idirittifuronostrappati sempre dai popoli agli Stati, dalla scienza alla storia, non concessi mai. Si può dire al pensiero : « non conchiudere »,se la premessa è posta ? Si può dire alla storia:« non gravitare »,se l'impulso è dato? Idivieti dello Stato non fermeranno la storia, come i divieti del sacerdozio non fermarono ilpensiero. Vo'mettere sottogliocchidelcancellieretedescoedeisenatoriitaliani quattro secoli di storia dell'antico senato romano, cioè la rapida succes sione democratica di quattordici generazioni, dal 260 di Roma al 684, af  91 . sponso sopra l'imperatore Caracalla e per il responso lasciare la vita, come già Spuso Carisio per la legge agraria sulla rupe Tarpea (1).   I Tribuni, i Pretorie i Giureconsulti , venuti dopo di quelli, arrivarono in ritardo, perchè altro ai tempi nostri è il contenuto dell'equità, altro il metodo, altri ne sono i rap presentanti. Ora questo è chiaro : mentre da Papirio a Papiniano si svolge il tipo del giureconsulto,non appariscono in Roma scrittori po litici. In Tacito comincia, declinando lo Stato, ad apparire la finchè si accorgano che gli strappi non sono concessioni e che la gravita zione storica è continua. Sino all'anno 260 di R o m a che è la plebe rispetto al patriziato ? II senato, le cariche religiose e civili, il comando degli eserciti, il dominio ne' comizii curiati e centuriati, tutto è dei patrizii. Il plebeo che non può campar la vita dal ricolto o col magro bottino,è destinato a diventar d e bitore del patrizio, ad essergli venduto per aes et libram, a farglişi nexus o addictus. Ciònonèlungamentecomportevole. Iplebeisiritiranoinarmisul l'Aventino e ottengono due magistrati proprii, i tribuni. Iltribuno nacque come re:sacroecoldrittodiveto.Ilvetofu tri bunizio e destinato a farsi regio, perchè allora doveva essere limite all'ari stocrazia, oggi alla democrazia. L'attentato alla vita del tribuno era cri mine capitale.La formula è in Livio:Caput Jovi sacrum. Il veto e l'inviolabilità del tribuno furono concessioni ? I costretti vol lero parere e chiamarsi provvidenti. Una generazione appresso (anno 292diRoma)laplebefaintendereche non vale un magistrato proprio senza una legge comune e spiegata.Quindi, la mezza generazione che corre dal 292 al 303,è occupata da due decem virati, destinati alla compilazione delle dodici tavole, ispirate alla triplice necessità:promulgatio;libertasaequanda ;provocatio ad popolum.Ecco, la legge è scritta, è promulgata, non è più un segreto patrizio che erompe, come responso,dall'atrium,è aperta la viadelpontificatomassimo ad un plebeo,a Tiberio Coruncanio. Fu concessione ? Tacito accenna neque decemviralis potestas ultra biennium ,e Livio spiega quanta plebe in armi è dietro Virginio e quanta se ne accampa sul monte Sacro. L’impulso è dato, la gravitazione è in ragion diretta della massa. Nel medesimo anno 305, in che precipita il decemvirato, la tegge delle dodici  Fu concessione o strappo ? 92   93 politica ; m a lo storico prevale anche in Tacito, perchè siamo ancora discosti dalla catastrofe. tavole è sorpassata dalla legge Valeria Orazia. Iplebisciti,proclamati ob bligatori per tutti,obbligano ilSenato.La formula è in Livio: Ut,quod tributim plebesjussisset,populum teneret. La conseguenza è immediata : una plebe legislatrice può imparentare col patriziato. Ed ecco Canulejo tribuno, quattro anni dopo,nel 309 di Roma, sorpassa la seconda volta le dodici tavole,spezza iriparitralecaste,pro clama il connubium patrum et plebis, incrocia, confonde, mescola i ceti. Concessione niente,fu sedizione audace e flagrante: seditiomatrimo niorum dignitate, ut plebei cum patriciis jungerentur. Lo strappo è net tamente stabilito nel primo Libro di Floro : Tumultus in monte Janiculo, duce Canulejo tribuno plebis, exarsit. Il senato non voleva, m a la plebe exarsit. Potrà, or dunque, il plebeo salire anche al consolato ? Potrà sentirsi il rumore de'fasci in casa plebea? Si chiamino pure tribuni militari,ma la dignità consolare è divisa.Tacito scrive:Neque tribunorum militum jus consulare diu valuit;perchè,dopo unalottaquarantenne,ladignitàcon solare,ripreso il vecchio nome,non si limita ai vecchi uomini. Fattasi l'eguaglianza negli onori, è tempo che si proclami l'aequanda libertas, l'eguaglianza anche innanzi al diritto punitivo. Ed ecco,due anni dopo l'istituzione del tribunato militare, nell'anno di Roma 311,nasce il Censore che può notare d'infamia il plebeo e il senatore, il console ed il cavaliere, l'uom privato e il magistrato pubblico. La formula di codesta parità leggesi in Ascanio, Divinatio in Caecilium . « Hi prorsus cives sicnotabant,ut qui Senator esset,ejiceretursenatu;quiequesromanus, equum publicum perderet ; qui plebeius, in tabulas Ceritum referretur et aerarius fieret ». Livio ammonisce nel libro sesto che non ci furono concessioni. Dopo le discordiae sedatae per dictatorem ci dice CONCESSUM ab nobilitate plebi de consule plebeio ! R o m a , c h e , d i l a r g a n d o il d i r i t t o , d e m o c r a t i z z a l a r e p u b b l i c a e s a l e v e r s o l'aequanda libertas,èinexpugnabile;Roma,chenellospaziodidue ge -  E si vien chiarendo insieme al disegno di questo libro, che, cioè, mentre grandeggia lo Stato romano, e come re publica e come impero, fiorisce il giureconsulto; e più il dominio si dilarga, più si fa universale l'intelletto del giu reconsulto, e più n’esce universale il responso, dal patrizio   al plebeo, all'italiano, all'uomo. È vano cercare lo scrittore politico in questi secoli di grandezze e di gloria: il politico non sarà mai contemporaneo del giureconsulto. Mentre la gran politica sarà nel patriziato e sarà pratica di governo, non sarà scritta. Disfatti gli Stati italiani e nata, di contro ai grandi stati e u ropei che si formavano,l'esigenza di uno Stato stabile, quale nerazioni, dal 200 al 311, ha posto di contro al patriziato il tribuno, la legge decem virale, la legge Valeria Orazia, la legge Canuleja, i tribuni militari ed i censori, non può, nelle due generazioni dopo l'istituzione censoria, nel 354,essere distrutta da'Galli Senoni; ma, uccisa nelle vie, esce rinata dal Campidoglio. Senno patrizio e valore plebeo, concordi, la rifeceru. Usciti dal Campidoglio, per comun valore, occorre che l'aequanda li bertasabbialasuanormacerta,temperatricedelcertojussummum, sta bilita nelle dodici tavole. Ed a tale uopo, una generazione appresso (387), sorge, come speciale magistratura, il pretore che col quadruplice editto piega, corregge e integra il diritto stretto nella giustizia pretoria. M a Roma,un secolo appresso,è già capitale d'Italia,ed un secolo in punto appresso (488) accanto al pretore urbano viene a sedere il pretore pere grino : due alte magistrature che si suppliscono a vicenda e che di patri zie si fanno popolane non per concessioni, ma per terribili strappi ehe dentro sono discordie civili, e fuori la guerra sociale, onde Italia, a conto di Vellejo Patercolo, vide sopra campi italiani, in meno di un anno,uccisi più di trecento mila italiani che seppero,morendo, tramandare ai super stiti il dominium ex jure Quiritium . Perchè, dunque, codesto dritto quiritario di patrizio divenisse popolare, e di romano divenisse italico, quante grazie, quante concessioni di patrizii sceserospontaneesullapleberomanaesu'popoliitalici?– Ricordisipiut tosto la storia della Lex Plautia (De civitate), e lascino stare le conces sioni e le grazie. E quando,superate le discordie civili e la guerra sociale, noi ci tro viamo tra le armi di Mario e di Silla e vediamo Montesquieu torcere lo sguardo da queste ire implacabili tra due titani, dobbiamo noi imitare la pietà che inspirava lo Spirito delle leggi ? La critica storica è crudele:passa tra'cadaveri romani e vuol sapere perchè Silla fu'na di sangue latino. Silla preoccupa il ten'ativo di Giuliano  94 -   95 che si fosse, in Italia, sorgono ed eccellono, sopra tutti gli altri, gli scrittori politici. Allora il diritto non istà da sè, m a cade in servigio delle due tristi necessità che hanno a fare lo Stato : la forza e la frode. I glossatori abbondano, ma il giureconsulto non verrà cortemporaneo degli scrittori politici.E più gli Stati rovinano, e più la politica si rifugia ne' libri. l'apostata : l'uno vuol rifare l'aureola attorno al vecchio senato, come l'altro intorno ai crani de'vecchi Dei. Ma,come Giuliano, dopo aver cac ciato dalla sua sede S. Attanasio e altri vescovi, non rialzò l'Olimpo, così Silla,dopo avere abbattuto la plebe, compressi i tribuni, abbassati i cava lieri e disciolte le assemblee tribute, non potè rialzare il vecchio senato. Perciò, dopo cinque anni, abbandono la dittatura, cioè abbandonò Roma alle leggi storiche. Tal significato ha l'abdicazione di Silla, e tale a m m o nimento ne deriva al Senato, che nè per colpi di Stato, nè per reazioni si rifà l'antico potere. E pure la generazione che ha combattuto la guerra sociale, nella quale fu stabilito il dirittoitalico, la guerra civile non riuscita a rialzare il vec chio senato, è destinata a combattere due guerre servili e la guerra gla diatoria, ordinata in apparenza a rialzare l'antico patriziato sul cadavere di Spartaco. M a si guardi che, se la guerra sociale è per il diritto italico, la guerra servile, che chiude il lavoro della medesima generazione, è pel jus humanım : si guardi Spartaco morire combattendo, senza domandare quar tiere o tregua : si pensi s'ei non aspetti qualcuno dietro di lui, e se egli non senta che il vecchio patriziato non si rialzerà sul suo cadavere. Il senato non concede mai nulla e non riesce mai ad arrestare la d e m o crazia ; lo strappo rende popolare quel ch' era diritto patrizio, italico il dirittoromano,umano ildirittoitalico.Ilsenatochehacredutodivincere la guerra servile, è già servo : At Romae ruere in servitium consules, patres,equites!  - Siamo innanzi ad un mondo nuovo e senza nessuna concessione del Senato ! Bene o male ? Rispondo che fu quel che doveva essere. Inevitabile era il cammino della plebe sino alla proclamazione, in Roma, dell'equità umana che doveva dalle nazioni vinte esseretoltacontroRoma vincitrice. Io doveva dimostrare che tutto fu preso e niente concesso e che la grande politica del patriziato romano non consisteva soltanto nel cedere, sembrando concedere, ma nel preoccupare quel ch'era inevitabile nello svolgimento dell'equità : onde leggi democratiche si trovano più volte sotto l'auspicio di uomini consolari e di nomi patrizii.   96 - Quando lo Stato è in sul ricomporsi, e la rinascenza ita liana, che in parte ha fatto e in parte prepara le tre grandi ri voluzioni europee la germanica, l'inglese e la francese volge al suo compimento,allora abbiamo la sintesi degli accor gimenti co' responsi, della politica col diritto, e sorgono i giure consulti politici che sono filosofi della storia. Il giureconsulto è il tipo latino, il politico è u o m o della rina scenza, il giureconsulto politico è uomo moderno. Il primo è la pura esigenza dell’equità,m a dell'equità astratta, perchè il mondo romano era transito dal civismo ellenico all'in dividualismo germanico, e non riusciva a contemperare i due termini, perché il transito non è la sintesi. Il secondo simula il diritto, in cui traveste la forza e la fede, perchè meglio che a far l'uomo mira a rifare lo Stato. Il terzo che vien dopo l'evoluzione intera del civismo e dell'individualismo, riesce a contemperare i due termini e,rispetto ai mezzi,a comporre la politica col diritto, secondo la misura dei tempi e dei luoghi. Questo sentimento dell'equità,che,diffuso da Roma nel mondo faceva la grandezza di Roma e poi la rovina, questo medesimo ricostruivala centro del cristianesimo che era una nuova esi genza dell'equità, cioè non tra' cittadini e tra le nazioni, m a tra gl'individui. Perciò il mondo germanico potė diffondere il cristianesimo, non accentrarlo. E , quando il concetto dell'equità avrà superato anche il cri stianesimo, Roma proclamerà la laicità dello Stato. Ora seguiamo il genio di R o m a attraverso i periodi dei giu reconsulti.  Ferrari vide che il progresso umano è una risul tante del corso e ricorso, della rivoluzione e reazione, e che questa risultante è significata nella storia dalla soluzione. La rivoluzione e la reazione hanno per premessa la preparazione e per corollario la soluzione. Questo è il circolo sillogistico di Ferrari.– Ma nè questi circoli si concatenano, nè ci lasciano vedere dove vanno, nè l'autore vuole che si guardi fuori e so pra il circolo, dentro il quale l'uomo fatalmente si trova. I cir coli di Ferrari, salvo il criterio della misura, del quale si ha da tenere gran conto, ci lasciano poi innanzi al destino u m a no ciechi,come i circoli di Machiavelli. Vico, denominando le epoche e connettendone la successione, ci promette più larga notizia del nostro cammino, e poi riesce a chiudersi egli stes so dentro i circoli suoi. Ad ogni modo, noverando i periodi del diritto romano,è im possibile dimenticare Vico che non può oggi , come allora, vivere straniero e sconosciuto nella sua patria. Nessun genio compendio più dolorosamente la sua storia. Tutti oggi ripetia m o a coro gli errori di Vico, e ci pare grandezza perdonargli la sua teologia e le applicazioni storiche troppo ristretle al mondo romano, e non vogliamo sapere che la teologia di Vico è quasi di continuo una naturale teologia del genere umano,la quale va a confondersi con l'antropologia, e che il mondo romano,apparso universale,potė parere nel tempo un disegno reale di una storia universale eterna. Io non so se sia più n a turale la teologia di Vico o più teologica la natura di Herder m a vedo chiaro che, se Herder entra innanzi a Vico nell'esi genza del naturalismo storico come metodo, resta assai indie tro rispetto al contenuto. In Vico c'è più sostanza scientifica, perchè i presupposti teologici e metafisici sono in ciascun libro della scienza nuova superati dal naturalismo italiano che, oc cupando la filosofia della storia, fa Vico l'ultimo titano della rinascenza. Vico celebra la teologia ed è fatto naturalista dal genio italiano;Herder invoca la natura ed è fatto metafisico dal genio tedesco. Tengasicontodiquesteavvertenze:cheVico,ponendo Ba cone accanto a Platone ed a Tacito, poneva l'induzione sul contenuto classico; che l'induzione, prima di apparire teorica in Bacone, era stata teorica e prutica in Galileo e nella sua scuola;che venir dopo Galileo e Bruno in Italia significava portare nella storia le leggi della natura, come aveva tentato la medesima scuola di Galileo ; e che in questo compito doveva concludersi lo spirito della rinascenza. Perciò, sebbene Vico una volta appena tocchi di campagne, di cielo, di acque, di zone e di mutua influenza di nazioni, pure mette di natura nel suo li bro quanta ce n'è nell'uomo, dal senso all'intelletto, guardando in Lucrezio e presentendo Darwin.– Non c'è,dunque,da per donargli la teologia, m a da intendere pensatamente che cosa sono in lui la teologia naturale e la teologia civile. Queste due parole sono reminicenze della scuola privata; ma il contenuto messovi dal Vico è della scuola italiana. Quanto all'applicazione, Vico e Ferrari furono tirati ad o p postissimi errori, l'uno dal difetto dell'erudizione contempo ranea, l'altro dalla mancanza di sistema. Vico neglesse i p o poli storici o li trasse tutti dentro R o m a , Ferrari portò i suoi periodi anche ai popoli estrastorici, dove cioè m a n c a la vita e l'intelletto della storia.  98   Vico noverð tre epoche del diritto e della procedura e, tro vatele in R o m a , conchiuse averle trovate in tutte le nazioni. Nella prima epoca il diritto è divino e tutto involuto nella ra gione degli auspicii,che presso i popoli gentili tien lungo del la rivelazione, onde Iddio privilegið prima gli Ebrei e poi i cri stiani. Nella seconda epoca il diritto è nell'equità civile che è ragion di Stato, della quale il Senato romano fu custode sa piente e geloso. Nella terza il diritto è nell'equità naturale che è ragion comune, esercitata dalle repubbliche popolari e dalle monarchie umane. A questi periodi del diritto rispondono altrettanti della pro cedura. La quale, mentre il diritto è divino,“si esercita, Dio auspice e testimone, ne' giudizii divini. Quando il diritto è p o litico, la procedura è nella scrupolosa esattezza delle formole e delle parole giudiziarie e contrattuali, talchè il diritto paia più nelle parole,che negli uomini.Quando,in ultimo,ildiritto viene a combaciare con l'equità naturale, la procedura diviene una logica tutta'intesa al vero de' fatti, governata dall'intel letto e interpretata dall'equanimità.Quindi,icorpi jeratici go vernano prima, poi gli eroici, in ultimo gli uomini modesti ed equanimi. Vico trova questa successione di epoche nella natura u m a na, poi in Roma, poi, perchè nella natura dell'uomo e nella storia di Roma,nel mondo. R o m a , l'urbs, la città per eccellenza, la città universale, gli è sostrato al disegno di una storia universale. Ma,sollevata a questo vertice di universalità, avviene che prima perde R o m a 'la sua particolare fisonomia in quella delle altre nazioni, poi le altre, e senza serbarne traccia,la perdono in Roma.Non ci si lascia scorgere e neppure intravedere la ragione, onde certe leggi, certi istituti, e magistrati, e carattere ed imprese, furono romani, affatto romani, non trovabili fuori e dopo R o m a, ne perchè certi altri uomini e fatti e leggi non sono trovabili in R o m a . È conseguenza di una filosofia della storia, fondata sulla  99   troppo comune natura delle nazioni, nella quale spariscono le differenze. Perché il tribuno, perchè il pretore e il giureconsulto v e g gonsi in Roma e non fuori,perchè nascono dalla lotta romana e non dalla greca e dalla germanica, perché il responso come ufficio, come valore e forma, permane latino e non è mai supe rato nè imitato, tutto questo che importa sapere, non vi si dice da Vico. Non vi poteva esser detlo, perchè Vico investiga la comune natura delle nazioni e non le differenze, e la investiga nella mente che è comune,non nel dato etnografico e geogra fico che, modificandola, spiega le leggi della successione e della varietà . Se vogliamo,dunque,le epoche storiche del diritto romano, del romano e non di altro, bisogna cercarle nella propria sto ria di Roma, espressione del genio romano. Non è facile l'esatta partizione de' periodi del diritto ro mano ; non è facile almeno rispetto a tutte le sue parti:perchè,se il diritto pubblico si muove insieme con lo Stato e si trasmuta secondo le tre epoche apparenti della costituzione politica di R o m a , non si può dire il medesimo del diritto privato,di cui le divisioni meno apparenti sembrano assai più lente, più consentanee ad una legge continua di evoluzione. Nondimeno abbiamo susficienti criterii per ridurre a tre clas si gli storici che espongono i periodi principali del diritto r o mano . Gli storici che, secondo una dottrina di Vico, dividono le età di un popolo come quelle di un uomo, accettano una divisione fatta con lieve differenza - da Gibbon e da Hugo. Allora la storia del diritto romano vien divisa secondo i periodi d'infanzia, di giovinezza, di virilità e di vecchiezza. Gli storici che considerano il diritto come una funzione dello Stato e veg gono il diritto privato procedere dal diritto pubblico, dividono i periodi del dritto secondo i momenti della costituzione politica diRoma.Allora,lastoriadeldirittoromano nella monarchia, nella repubblica e nell'impero. Questa divisione pare accettata  100   dall'Ortolan che presume derivare la storia del diritto romano dalla storia del popolo.In ultimo, gli storici che studiano lo svolgimento del diritto romano nella missione peculiare che il diritto ha potuto avere nel mondo e nel genio di Roma, divi dono i periodi del diritto secondo i momenti dell'equità. Allora il primo periodo lo dicono conchiuso dalla venuta del pretore urbano, il secondo da Augusto, il terzo da Costantino. Questa partizione, posta da Hulzio, è di molto valore in sé, m i viziata nell'applicazione dall'autore istesso per difetto di filosofia e di critica storica. Non mancano alcune divisioni fatte secondo le condizioni e conomiche e morali di Roma,ma di lieve conto, perchè sono le più incerle ed arbitrarie. È nostro compito – confutate che avremo le due prime divisioni – recare a perfezione la terza.  101 La prima divisione de' periodi pecca di troppa generalità. Anche ammesso che la vita dell'uomo sia divisibile in quattro periodi isocroni e che tutti e quattro col medesimɔ isocroni smo siano applicabili alla storia, n'uscirà sempre una curva co m u n e a tutte le nazioni, nella quale non appare il profilo di ciascuna.Nè questa curva lascia scurgere il transito dall'un all'altro periodo. Se le date che hanno da fissare questi pis saggi non sono determinabili con esattezza nell'in lividuo, chi potrà affermare con certezza, qui finisce l'adolescenza di un p o polo e comincia la giovinezza? Quindi, vengon fuori quelle di visioni arbitrarie, nate piuttosto a comodo di una scuola o di una cronologia convenzionale, che delle intenzioni effettive della storia.Ecco, infatti,come procede questa scuola dell'isocronismo, che porta nella storia romana l'età dell'uom).Prende tredici se c o l i i n R o m a , d a l l a f o n d a z i o n e a G i u s t i n i a n o , e li r o m p e i n q u a t tro parti quasi uguali, di trecento in trecento anni, e denomina ciascuna parte da una delle quattro età dell'uom ). L'infanzia del diritto romano dura dalla fondazione di Roma alle dodici tavole; la giovinezza, dalle dodici tavole a Cesare; la virilità,dia Cesare ad Alessandro Severo ;la vecchiezza, da Alessandro Severo   a Giustiniano. L'infanzia sarebbe la monarchia, i primi consoli e iprimitribuni;lagiovinezza,tuttalarepubblica,dalla promul gatio sino alla riapparizione di quella che Livio chiama Vetus R e g i a L e x s i m u l c u m u r t e n a t a ; la virilità e la v e c c h i e z z a s a r e h bero tutto l'Impero,da cotesta tanto contrastata Regia Lex sino al Codex Iustinianeus. M a ciascun vede che i transiti sono estrin seci ed arbitrarii, e non lascian vedere le necessità intime che governano la successione de'periodi.Nė appare perchè invano Giustiniano si sforza, con cinque tentativi, di stringere il cristia nesimo sotto le leggi romane spirito nuovo in vecchia cor teccia – nè come il Cristianesimo si vien costruendo la sua più naturale espressione giuridica nelle leggi germaniche e nel gius canonico. La divisione pui de'periodi giuridici, fatta sulla successione della costituzione politica,è fatta davvero grossamente, e non ci lascia vedere né i momenti principali della repubblica, nè i pe riodi che si succedono nell'istesso impero . È certo che, mutata la costituzione politica,non è soltanto mutata la forma di go verno,ma dev'essersimutatoinsiemeilcontenutodeldiritto pubblico, e, conseguentemente, del privato, sebbene la conse guenza non si mostri immediatamente ; m a nessuno può affer mare che cotesti trasmutamenti non avvengano durante appa rentemente una medesima forma politica.Se l'epoca di Alessandro Severo può dividere in due periodi l'impero, perché la legge Publilia che dichiara popolare la repubblica, e la legge Petelia che libera la plebe dal diritto feudale rustico del carcere privato, non varranno, secondo la mente di Vico, a designare tanta di stanza tra repubblica e re ubblica, quanta forse non se ne trova tra Tarquinio e Bruto ? Ma si faccia questa considerazione che è la più intensa e la meglio dichiarativa, nella storia, della successione de'fenomeni civili e politici.Nell'ordine ideale ed effettuale delle cose umane , la successione de'periodi politici determina e spiega la succes sicne de'periodi giuridici, o, per contrario, la successione dei  - 102   periodi del diritto dichiara e prestabilisce la successione de'pe riodi politici?L'homessainteralaformadelladomanda,perchè la risposta erompa da sè. Sebbene nella storia il diritto e la politica, la ragione del l'uomo e la ragion di Stato, si presentino come due concetti, due forze, e - mi sia lecito a dire – due istituti avversi, e la politica sembri nata per comprimere il diritto, ed il diritto per urtare e trascendere gli ordinamenti politici, pure, in fondo ed in ultimo, la forma dello Stato finisce per dischiudersi alla nuova esigenza del diritto. Così sempre : se un nuovo bisogno vien determinando una nuova idea del diritto, già si sente per l'aria il fremito di una rivoluzione ; e se uno Stato nuovo sorge ad occupare questa nuova concezione giuridica, appena nato, già tende a cristallizzarla ed a mozzarne le illazioni. Tutto ciò può esser vero ; m a pur si vede e s'intende che la nuova forma di Stato, quale che sia, s'è venuta organando intorno a quel nuovo concetto del diritto. Per non far, dunque, irrazionali ed astrologici i mutamenti politici, noi dobbiamo affermare che l'ordine naturale delle cose c'impone di non derivare dalle forme successive dello Stato i periodi del diritto, m a dall'evolu zione della coscienza giuridica i periodi politici. Perciò scrissi e ripeto che ne'periodi politici del Ferrari ammiro la genialità del pensiero e i germi dischiusi del natura lismo italiano; ma sono periodi,ai quali mancano le premesse. Si potrebbe rispondere che per queste ragioni appunto i mutamenti politici andrebbero intesi come segni esteriori e certi dei periodi del diritto. No - ripeto per due chiare ragioni : l'una, che per questa via si viene a rendere equivoco il pro cesso della storia, potendosi assai facilmente scambiare le cause con gli effetti, e scambiare il diritto che promuove il muta mento politico, con la legge che ne consegue ; e l'altra, che verrebbero a mancare i criterii per distinguere i veri dagli a p parenti mutamenti politici e le rivoluzioni politiche dalle sor prese settarie e da'tumulli più o meno rumorosi e vuoti. Un  103   104 mutamento politico è reale e durevole, se determinato da una nuova concezione giuridica;e,quando no,sidilegua,lasciando tracce di sangue, non d'istituzioni. Occorre,dunque,come si è detto,seguire lo svolgimento del diritto romano nella missione peculiare che il diritto ha potuto avere nel mondo e nel genio di Roma,e però dividere i pe riodi del diritto secondo i momenti dell'equità, onde procedono le successive forme della costituzione politica di R o m a . Facciamo parlare i fatti. Perchè in R o m a si passa dalla m o narchia alla repubblica e poi all'impero ? Se rispondesi che Tarquinio potè estinguere il potere regio come Cesare rifarlo, si viene a conchiudere che l'origine e la rovina delle istituzioni sono in balia di un uomo. Una storia cosi fatta non c'è, nè c'è oggi chi torni a narrarla. Se Tarquinio potè finire il regno, perché l'impero non cessó in Domiziano, quando praecipua miseriarum pars erat videri et adspici? Altro, dunque, che la ferocia e la clemenza di un principe, di un sacerdote, di un capitano occorre per determi nare e spiegare la vita o la morte delle istituzioni politiche. Lasciamo a Voltaire la facilità di dimenticare le premesse del suo saggio su'costumi e sullo spirito delle nazioni, per affer mare che il delirio di un Cucupietre potè iniziare il periodo delle crociate, e gl'insidiosi interessi di monaci il periodo della riforma. Quanto a Roma,il vero si è che la reazione di Tar quinio mal poteva resistere ad una nuova esigenza giuridica, adombrata già dalla favola, che i Commentarii di Servio Tullio erano destinati a passare nelle mani di Giunio Bruto. Questo mito de'Commentarii era tutta una tradizione che diceva tra gli scritti di Servio Tullio essersi trovato nientemeno tutto intero il disegno di una costituzione repubblicana ; che questo non era soltanto un disegno,ma un proposito di Servio; che questo proposito appunto gli era costata la vita; e che non dimeno disegno e proposito erano passati da Servio Tullio a Giunio Bruto.   C'è, a primo intuito, qualche cosa in questa tradizione, la quale è assai più scientifica, che non una repubblica esplosa dalla superbia di Tarquinio, dalla fatuità di Bruto e dal cada vere di Lucrezia. La tradizione si fonda sopra questi dati di fatto: che la prima monarchia di Roma non somiglia a nessun'altra delle monar chie antiche e moderne,ed è,conforme al genio di Roma,una istituzione giuridico-militare ; che, secondo questo carattere ori ginario e primordiale di R o m a, il diritto è una continua ten denza verso il suo natural fine che è l'equità; e che però i periodi nella evoluzione dell'equità devono essere i periodi sto rici del diritto romano. Ora,se il diritto inRoma sorge come istinto o genio di tutti da una parte, e dall'altra come sapienza privilegiata di un or dine, di quello cioè che si reputa destinato a conoscere e cu stodire le leggi, quale potrà essere il vero primo momento del l'equità ? Suttrarre la legge al mistero, sottrarre la sapienza al privilegio, far la legge nota a tutti : promulgatio . Questa esi genza come diritto crea la repubblica ; come legge, succede al decemvirato . Quindi, il primo momento dell'equità è l'equità formale, la promulgalio, ma necessaria, perchè dalla forma si passi alla sostanza. L'ignoto sfugge all’equità. E questa necessità sa liente a traverso il periodo regio spiega la tradizione de' C o m mentarii di Servio, la reazione del Superbo, la fine della m o narchia sotto questa reazione, l'avvenimento della repubblica col disegno di Servio passato a Bruto, e primo prodotto della repubblica il Tribuno che a sua volta produce la promulgatio. In fatti, quanto tempo corre dal regifugium alla promulgatio ? Ben sessant'anni vi corrono, e tra queste due generazioni sorge in mezzo il tribuno. Accanto al cadavere di Gneo Genunzio sono possibili le rogazioni di Publilio Valerone, di Terentillo Arsa, di Siccio Dentato, sino alla istituzione de'Decemviri le gibus scribundis. 105 € Olitiche ܝܶܨܶܕ݂ܕܶܐ er io udo del gurt zione is ienterne cara 6; di Sem o chen Tulli e  106 - Quando si domanda che è la legge scritta e promulgata, si risponde che è l'eguale notizia della legge. E codesta egualità è l'equità prima e rudimentale, è il primo aequum bonum , ė la prima aequitas spectanda, è la prima libertas aequanda, è il primo poter dire formalmente summis infinisque jura aequare. Formalmente ancora,anzi appena,ma quanto costa questa prima equità,senza della quale nessun'altra sarà possibile,quante secessioni della plebe, ed un tribuno ucciso malgrado il caput Jovi sacrum intimato all'uccisore, e finalmente la figura tipica di Cincinnato, intervenuto ad equilibrare le parti nella lotta d e cennale tra l'istituzione del Decemvirato e la promulgazione delle prime dieci tavole ! La promulgazione, primo grado dell'equità formale, appunto perchè tale, può far tanta ingiuria al fine ed alla natura del l'equità, da rilevare la contraddizione nella parola istessa. A l lora il patriziato può inventare una parola nuova, inciderla in una colonna, e la colonna alzare nell'area, dov'erano le case distrutte di un plebeo ucciso.AEQUIMELIUM :ecco la nuova pa rola che annunzia in tuono di sfida la contraddizione tra il fatto e la forma. Questa contraddizione dichiarata tra la legge nota a tutti e favorevole a pochi, questa spinge al secondo momento dell'e quità formale, all'eguaglianza di tutti innanzi alla legge. Questa seconda equità sforza a tenere equilibrato conto delle condi zioni o circostanze che accompagnano i fatti e le persone, gli effetti e le intenzioni, affinchè la parità innanzi alla legge sia reale. Ecco il Pretore. L'editto prelorio è da prima l'equità ne'casi particolari, è, ciò che dev'essere l'eguaglianza innanzi alla legge, l'equità particolareggiata. Forse l'avvenimento del Pretore è un fenomeno puramente giuridico o giudiziario in disparte dalla vita politica di R o m a ?  È il prodotto della più travagliosa politica, determinata dalla più grande evoluzione giuridica della coscienza romana . II Pretore sorge,quando ai Decemviri legibus scribundis sono suc   107 ceduti i Decemviri sacris faciundis, cioè quando il diritto augu rale è passato dal patriviato alla plebe,quando ai tribuni con solari patrizii si contrappongono le rogazioni licinie, quando la plebe sale ad occupare il consolalo, la dittatura, il diritto cen sorio ed ogni magistratura curule, quando le ragioni pubļilie ci avvisano che la republlica di aristocratica è fatta democratica : eguaglianza di tutti innanzi alla legge. Costituitosi l'istituto pretorio, si risolve un gran problema sociale e s'inizia un nuovo periodo politico. Il problema sociale, risolutosi nella quarta secessione della plebe e per la dittatura di Valerio Corvo, è la liquidazione dei debiti e la divisione dell'agro pubblico. Il pericdo politico che s'inizia,è l'unificazione d'Italia.Il periodo unitario è annun ziato dalla prima guerra sannitica. Tra l'unificazione d'Italia e l'unificazione di tutti sudditi dell'impero fioriscono tutt'i grandi giureconsulti, onde si onora e perpetua la sapienza latina, Elio,Catone, Scevola, Servio Sul picio,Labeone,Sabino,Giuliano,Gajo,Papiniano,Paolo,Ulpiano,  Perciò, quando Vico avvisa che con la legge Publilia e con la Petelia tra gli anni 416 e 419 di R o m a si passa dalla libertà signorile istituita da Giunio Bruto alla repubblica popolare,ebbe presente Livio: Quum tamen per dictatorem datae discordiae sunt, concessumque ab nobilitate plebi de con sule plebeio, a plebe nobilitati de proetore uno, qui jus in urbe diceret,ex Patrilus creando.- Ed ecco l'origine politica del pretore, la quale dichiara questo processo della storia romana : 1° esigenza giuridica rogazioni licinie; 2° mutamento poli tico repubblica popolare ; 3° legge conditionibus se Se questo non fosse stato il processo della storia, e la legge non indicasse il mutamento politico, e questo non indicasse un periodo compiuto della coscienza giuridica, si continuerebbe a costruire una storia romana su'fasti femminei, e si direbbe che con Lucrezia cadde la monarchia, con Virginia il Decemvirato, e con una Fabia la repubblica signorile. editto pretorio. Sopra ogni altro è celebrato il responso di Papiniano,perchè più universale, e la cui ultima parola coincide con l'imperiale costituzione della cittadinanza universale. Il responso di Papirio, venuto prima del periodo unitario, e quelli di Ermogene, di Gregorio, di Triboniano e di Teofilo, arrivati con la decadenza, non ritraggono l'ufficio dell'equità romana . Ma codesta equità che di formale tende a farsi sostanziale, e da Roma si espande per l'Italia e dall'Italia nel mondo, è veramente l'equità u m ina ? ha assunto l'ultima espressione nel responso di Papiniano? percið vive ancora, interrogata e cele brata in tutti gli Atenei del mondo ? il mondo, insomma,studia il diritto romano),perchè fu davvero umano ? S  Modestino. Più si dilata l'unificazione e più universaleggia il responso ; e, come più il responso si fa universale, più ancora l'equità penetra dalla forma nel contenuto . A noi conviene esaminare partitamente i tre grandi periodi dell'equità in R o m a . N e rimarrà illustrata la storia della nostra antica grandezza.  A m e par di avere con sufficiente chiarezza fermata questa legge storica : che nella successione delle cose civili il m u t a mento politico framezza tra una nuova esigenza giuridica e la legge scritta. A coloro che hanno paura di ogni formola, cre dendola una minaccia metafisica o una nuova invasione scola stica, e non sanno che le formole sono o definizioni genetiche o espressione di leggi naturali, traduco questa legge storica in queste espressioni più analitiche: prima si determina un nuovo bisogno ed una nuova coscienza giuridica; poi Se cosi non procedessero le cose civili, mancherebbe l'ar tefice della nuova legge, mancherebbe la causa de'mutamenti politici. Non parlo delle congiure, delle sėtte, de'regicidii e di altre cause apparenti de'mutamenti politici per non creare a me stesso objezioni puerili a pretesto di analisi lunghe e volgari : tutti sanno che non c'è effettuale mutamento politico,se in fondo non ci sia una grande e maturata esigenza giuridica, la dichia razione di qualche diritto comune lungamente contrastato : m a non tutti sanno se ogni nuova esigenza giuridica basti a cagio nare un mutamento politico.  - 109 - stenze più o meno travagliose - un mutamento dopo resi politico;in ul timo, fica e sancisce dal nuovo potere costituito la nuova esigenza promana giuridica la legge . che speci   causa di mutamento politico ogni dichiarazione di diritto, che implica una diminuzione di privilegio nell'ordine domi nante . Cotesta dichiarazione ordinata a diminuzione di preminenze implica sempre,più o meno, un summis infimisque jura ae qu ire.Ogni periodo dell'equità, dunque, annunzia un nuovo pe riodo politico. Sono evidenti le due illazioni: non sono mutamenti politici quelli non giustificati da una nuova dichiarazione di diritti; non SONO mutamenti durevoli quelli non prodotti da larga e co sciente dichiarazione di diritti. Quindi, vi può essere molto sangue civile senza rivoluzione, ed una grande rivoluzione incruenta. N'emerge evidente non potersi fare la storia giuridica di un popolo senza la storia della costituzione politica : i periodi sono gli stessi : le fasi della causa si riscontrano nell'effetto. Nel momento,in che si passa dalla convivenza gentilizia alla costituzione politica, in R o m a comincia lo Stato : il m e m b r o della convivenza era gentilis, il m e m b r o della costituzione era civis. Le genti erano Ramnes, Tities, Luceres, Albani, Sabini, R o mulei ; la loro unità civile e militare fece lo Stato. Secondo più o meno si partecipava della costituzione politica, si era più o meno cittadino: civis optimo vel non optimo jure ; e l'unità fra tutti era personificata dal re, il quale, come ho detto, era unità giuridico-militare. Come istituzione giuridica, raccoglieva in sè il potere legislativo e giudiziario;come istitu zione militare, movea l'esercito e gli agenti esecutivi. Dissi ancora che non somiglia a nessun altro re antico e m o derno : non era assoluto, perchè la sovranità era nel popolo ;ne costituzionale, perché il suo imperium era temperato dal genio giuridico di Roma e dagli ordinamenti patrizii, non da un co stituito potere rappresentativo.  È - 110 Se la sovranità era nel popolo, l'imperium non si poteva esercitare dal re senza una legge curiata de imperio, una specie   di delegazione di sovranità.Mommsen non crede a questa legge primitiva de imperio e la dice trasportata per errore dalla ele zione consolare a quella de're. Ho ragione di credere piuttosto a Livio ed a Cicerone, i quali la deducono dall'istessa natura del potere regio , dall'essenza dello imperium. Non è lecito dubitare delle tradizioni del giure pubblico, del quale le for mole si trasmettono letteralmente. Rottosi il potere regio, l'imperium e conseguentemente la lex de impario, intesa come investitura, di perpetui divennero annui, cioè passarono dai re ai consoli, che Cicerone chiama potestas annua jure regia. Le altre magistrature ordinarie che sorgeranno più tardi, come la censura, l'edilità curule, la pre tura, la questura, saranno diramazioni del consolato. A voler secondare le tradizioni, niente è più difficile di co testo passaggio dalla monarchia al consolato. Secondo Tacito il transito sarebbe stato determinato dalla libertà,cioè dal proposito di più liberi ordinamenti. LIBERTATEM et consulatum L. Brulus instituit. Vico non consente, perché la repubblica sopravvenuta fu più signorile del principato,fu rivolta di patrizii che consen tirono a Bruto l'istituzione del consolato, non della libertà. C'è più di ragione in Tacito, perché il passaggio dal principato alla repubblica fu una evoluzione della legge curiata de imperio, la quale implicava la temporaneità e la responsabilità del potere. E questi due fattori che la tradizione doveva avere allogato nei Commentarii di Servio Tullio,passarono al primo Bruto.Non è di picciol valore la parola annua nella definizione data da Ci cerone alla potestà consolare, e, come più diminuisce la durata dell'imperium, più cresce la responsabilità. I re potevano allora, come oggi, rispondere innanzi alle rivoluzioni ed alla guerra ; i consoli, compiuto l'anno, erano esposti, non rei gerundae caussa sed rei gestae, alle accuse de'loro concittadini. E mi piace di risermare contro M o m m s e n che non la lex de imperio è una evoluzione della repubblica, ma la repubblica è una evo luzione della lex dc imperio. E sotto questo rispetto si può ri  111   petere con Tacito: Libertatem et consulatum L. Brutus in stituit; s'egli è vero che la temporaneità e la responsabilità dell'imperium sono i primi fattori della libertà politica. Quando affermo che l'evoluzione della lex curiata de i m perio mena dalla monarchia alla tepubblica, io rifermo questo alto principio, che i rivolgimenti politici sono prima periodi nella evoluzione del diritto. Senza questo processo, tanto è razionale spiegare l'origine della repubblica romana con una insurrezione di patrizii, intesi a sostituire l'aristocrazia al monarcato,quanto era possibile alla congiura de'Baroni rovesciare nel reame di Napoli il principato, per ricostruire,con prelesto popolare, tutt'i vecchi ordini feudali. Bisogna quindi rifermare che,come Tacito, usando la parola libertà nel senso spiegato sopra, ha ragione contro Vico, cosi Livio, riserendo a tutte le otto generazioni passate attraverso i sette re la lex de imperio,ha pienamente ragione contro M o m m Se si sposta o si tronca questa tradizione, l'avvenimento della repubblica esplode, non si spiega. Non è facile spostare certe tradizioni nè confutare alcune parole dei classici (1). Caduto il monarcato , contro la mutabilità delle magistrature e l'incertezza delle deliberazioni popolari rimase, sola istituzione stabile, il senato, già corpo consultivo, durante il principato, e, nella repubblica, istituto legislativo, politico ed amministrativo. Il potere amministrativo gli apparteneva intero, cosi sull'agro pubblico come rispetto ai fondi del pubblico tesoro. Intero gli (1) Livio e Dionigi d'Alicarnasso ci tramandano quasi l'identica tradi zione della legge regia. Cicerone ne'libri della Repubblica cura di ripe tere per ogni elezione di re le parole dette per l'elezione di N u m a P o m pilio : Quamquam populus curiatis cum comitiis regem esse jusserat, tamen ipse de suo imperio curiatam legem tulit. La costanza delle pa role di Cicerone indica due cose : la tenacità delle formole del diritto p u b blico e idocumenti pubblici,ai quali Cicerone aveva dovuto attingere.Ed io,considerando la legge curiata come il fondamento di tutto ildiritto p u b blico romano , non solo stimo il passaggio dalla monarchia alla repubblica essere stata una evoluzione di questa legge,ma stimo una evoluzione della  112 - sen .   apparteneva il governo della politica estera, per due ragioni: per la competenza e per il carattere militare dello Stato romano. È vero che tutti gli Stati sono gelosi e, quando possono, inva denti,e gli Stati antichi più de'moderni; ma sopra tutti gli antichi e moderni ,lo Stato romano ,al quale peregrinus erat hostis, e pax erat pactum , quasi stato di tregua, non di natura. Quanto alla politica interna ed al potere legislativo, il S e nato li aveva, partecipe il popolo convocato in comizii, i quali erano istituzioni giuridico-militari: giuridiche per il fine, mili tari nella forma. Militarmente il popolo interveniva, quasi exer citus urbanus, e militarmente non discuteva, m a rispondeva seccamente il suo uti rogas o antiquo. E bene, fu quest'assenza di discussione dall'assemblee p o polari la grande politica e la gran forza di Roma, fu il segreto della rapidità nelle deliberazioni, nell'esecuzione, e, assai volte, il segreto delle vittorie. Si o No. Ferrari, ricordando dall'Amlet che la discussione tronca il nerbo all'azione, vede l'inferiorità delle repubbliche quanto alla rapidità dell'azione ; m a non vide di quanto la repubblica romana avanzava per senno politico le repubbliche elleniche, e per subitezza d'azione tutti gli Stati moderni, compresa l'Inghilterra. Devo ricordare che questo carattere militare che R o m a m a nifesta sinanco ne'comizii, questo exercitus urbanus,che ricorda l'exercitus castris, non si dissocia mai dal genio giuridico di questo popolo agricoltore. Mai da' Romani fu fatta guerra per medesima iltransito dallarepubblica signorilealla popolare,edallare pubblica all'impero, quando,per nuove necessità, l'investitura de'poteri passò dalle magistrature temporanee all'imperatore. Nè dalla filosofia della storia né da'fonti mi risulta ragione alcuna, per la quale Mommsen possa affermare che la lex de imperio sia narrazione inventata evidente mente dagli insegnanti di diritto pubblico ai tempi della repubblica per l o r o f i n i. P e r q u a l i f i n i ? V e d o i n v e c e c h e l ' e r i d e n z a a p p u n t o m a n c a a l l a s u a affermazione,e che,facendo riposare egli stesso lalegge curiatasopra con suetudine antichissima,risale con Livio,con Dionigi d'Alicarnasso e col suo ingiustamente deriso Cicerone,sino ai tempi della prima monarchia romana) aggressione, more latronum ; mai guerra non dichiarata o per cause ingiuste, bellum iniquum : volevano iustum, purumque duellum; e con l'intervento de custodi della fede pubblica che erano i feciali, volevano pium bellum. Popolo belligero questo di Roma, perchè una missione giuridica non fu compita mai co'sermoni,ma che per questo appunto conobbe ed osservò il diritto delle genti più che gli altri Stati meno bellicosi,special mente con l'osservanza massima del rispetto agli ambasciatori. Tutte le formule per la dichiarazione di guerra ci sono di stesamente tramandate da Livio. Coloniale,quello de'cittadini romani trapiantati in citta vinta. Cosi lo Stato romano, primo efficace colonizzatore del mondo, asseguiva due fini: dava stabilità alla conquista e sgravavasi, in parte, del proletariato urbano. I coloni conservavano la piena cittadinanza cum suffragio et iure honorum . Municipale era il diritto civile di un comune non conqui stato,ma ridotto ad obbedienzaversoRoma,conqualcheobbligo (munus), come o di servizio militare o d'imposizione tributaria o dell'uno e dell'altra. Municipes erant cives romani sine suf fragio et iure honorum . Provinciale era proprio il diritto che avanzava ai vinti.Non più civis né la quasi effigies populi romani, dove troviamo un populus stipendiarius, un popolo cioè senza cittadinanza, senza territorio proprio,e spesso senza il commercium .Che è,dunque, che può essere avanzato ai vinti ? Non più di quel che si trova o nella clemenza o nell'ira o nella convenienza del vincitore. E la convenienza, sotto specie di magnanimità, prevaleva nel decreto del magistrato delegato ad ordinare la provincia. D u r a mente Gaio : Quasi quaedam praedia populi romani sunt vecti galia nostra atque provinciae. Il Mommsen segue Festo non Niebuhr nell'etimologia della parola provincia, da vincere, sia  ) 11'1 Con la guerra il diritto romano dilargavasi, e risultanze di verse della guerra erano le tre forme che, uscito di R o m a, il diritto assumeva : coloniale, municipale, provinciale.   poi che pro significhi il procedere de'due eserciti consolari, come piace a Mommsen, sia che ante,come piacque a Festo. Il certo è che dalla diversa vittoria si traggono le distinzioni ve dute da Cicerone tra la Sicilia e le altre provincie. M a per giungere a lutte queste diverse gradazioni del dritto, suori di Roma,le quali sono effetti diversi della guerra, bi sogna aver superato il periodo della repubblica aristocratica,di quella immediatamente succeduta al regno, quando i patrizii avevano tre mezzi per deludere é menomare della plebe, ed essere entrati nel periodo della repubblica p o polare, quando , meglio equilibrate le parti, comincia l'epoca dell'unificazione italica. I mezzi de'patrižii erano la convocatio, l'auctoritas patrum e l’ius augurale. I patrizii potevano convocare le assemblee e cancellare, per vizio formale, le deliberazioni popolari; e, quando, convocata l'assemblea, il voto accennava ad un certo indirizzo, potevano troncarlo, spingendo l'augure - a sciogliere il c o m i z i o c o n l a f o r m o l a : A l i o d i e : a t e m p o s e n z a m i s u r a ! I m porta ricordare le parole di Cicerone, DE DIVINATIONE : Fulmen sinistrum , auspicium optimum habemus ad omnes res, praeter quam ad comitia: quod quidem institutum reipublicae causa est, ut comitiorum , vel in judiciis populi, vel in iure legum, vel in creandis magistratibus, principes civitatis essent interpretes. Ecco, dunque, gl'interpreti de'comizii,principes civitatis; ed anche il fulmen sinistrum per frustrare il voto diveniva infau stum omen ! La formola,dunque, di Cicerone in DE LEGIBUS : Potestas in populo, auctoritas in Senatu sit, traducevasi una potestà senza potere. Occorrerà, dunque, qualche cosa, perchè questa potestà sia potere: occorrerà che trovi in sè l'autorità sua. Allora è necessario che il popolo abbia certa notizia della procedura, abbia certezza delle leggi, e che l'ignoto della legge le deliberazioni  115 ufficio patrizio   116 non sirisolva nell'arbitrio de'principescivitatis.Ed ecco la ne cessità della promulgatio, la quale non significa tanto notizia quanto certezza delle leggi. Non istiamo a ripetere quanta lotta costasse la promulgatio, perchè le parole di Livio e di Cicerone non superano il vero, quando affermano che prima della pubblicazione delle dodici tavole il diritto civile era riposto ne'penetrali de'pontefici: re positum in penetralibus pontificum ; m a lo superano, quando si tirano sino ai tempi posteriori alle dodici tavole. Certo che lotta fiera si dovette combattere per sottrarre il diritto ai penetrali de'pontefici, cioè all'ordine, cui i pontefici appartenevano, il quale a sua posta governava i comizii con la convocazione, con l'autorità e col diritto sacro. M a senza bisogno di gran lotta venne la pubblicazione delle formole procedurali, fatta da Gneo Flavio un secolo e mezzo dopo le dodici tavole, pubblicazione intesa sotto il nome di ius civile Flavianum , con la quale la plebe liberavasi dal bisogno di ricorrere e consultare i ponte fici. Se le formole comprensive non saranno mai oziose, si può dire cosi : le dodici tavole democratizzano la notizia del diritto; l’ius civile Flavianum laicizza la procedura e la giuri sprudenza. Doveva costar lotta la premessa, con la quale apri vasi un periodo storico, non la conclusione, con la quale chiu devasi.  1 Considerando il significato della promulgazione, io non posso credere agli scrittori che con beata semplicità stimano poco de mocratico e niente normale l'ufficio del tribuno in R o m a . A f fermo invece che le dodici tavole non si sarebbero potute mai promulgare senza gran lotta contro il patriziato, cui giovava il mistero delle leggi e segnatamente della procedura, senza della quale le leggi non si muovono; che questa promulgazione fu strappata in nome della prima equità,della prima aequanda li bertas, almeno circa la notizia e certezza delle leggi ; e che questa prima equità sarebbe stata ineffabile ed inconseguibile senza la persona sacra del tribuno. Il tribuno è il risultamento più normale ,più naturale della prima lotta tra il patriziato e la plebe; e non solo senza il tribuno non s'intenderebbe la p r o mulgatio, ma questa appunto compendia e spiega la più diretta missione dell'ufficio tribunizio : onde il popolo per conseguirla sospende nel decennio decemvirale sinanco la provocatio ad populum . Ora, quel che resta a sapere circa il valore della promulga zione, si è se quiesta prima equità consista soltanto nella eguale notizia della legge o, insieme, nella sostanza della legge istessa. (1) Bovio : Saggio critico del diritto penale e del nuovo fondamento etico. Napoli, 1872. Vedi ancora Corso di Scienza del Diritto. Napoli, 1877. Scritti filosofici e politici, Napoli, 1883. Cicerone, incerto sempre tra l'aristocrazia e la democrazia, ma,come tutte le tempre deboli e gli opinatori saliti in fama, piuttosto blanditore del patriziato, ecco ciò che fa dire contro il tribunato nel DE LEG.: N a m mihi quidem pestifera videtur (la potestà de'tribuni), quippe quae in  Un occhio alle dodici tavole chiarirà col fatto questo primo assioma di legislazione positiva : che, quanto più lato in uno statuto od in un codice è il diritto penale, tanto più stretta è l'equità civile. E questo spiega da una parte la voce continua dell'equità:Summum jussummainjuria;edall'altra,questa legge storica d'ogni legislazione positiva : il dritto penale e l'e quilà civile movonsi nella storia in ragione inversa (1). Credo avere largamente dimostrato in queste opere,che,quando si vo glia tener giusto conto de'fenomeni storici e considerare il valore degli istituti lungamente durati, convien dire che,come il naturale risultato della lotta tra la monarchia ed il popolo fu il consolato, cioè la regia potestà annua e responsabile, così il risultato naturale della lotta tra patriziato e plebe fu il tribunato, per la certezza de'diritti della plebe.Non solo nulla di anormale troviamo nell'istituzione tribunizia, la quale non fu mai un ba stone ferreo tra le ruote dello Stato romano,ma, fattasi popolare la re pubblica, tutte le magistrature troviamo come una evoluzione della potestà tribunizia. Gl'imperatori dovettero entrare in questa forma. Tacito pre senta Augusto consulem se ferens et ad tuendam plebem TRIBUNITIO IURE contentum , e il primo editto di Tiberio tribunitiae potestatis praescri ptione.   Esaminiamo. Cicerone vede il Libellus XII Tabularum superare le biblioteche di tutt'i filosofi per due ragioni: aucto ritatis pondere et utilitatis ubertate. Cosi, nel De Oratore. Nei libri della Repubblica l'entusiasmo sbolle, ed ei condanna gli ultimi decemviri: qui, duabus tabulis iniquarum legum additis, quibus, etiam quae disjunctis populis tribui solent, connubia, haec illi ut ne plebei cum patricibus essent inhumanissima lege sanxerunt. Ma è questa la sola ineguaglianza, onde Cicerone, ammiratore delle tradizioni, si lasci trasportare sino alla parola inumanissima? Furono più inumani,più patrizii, più aristocra tici i secondi decemviri legibus scribundis dei primi ? Quando nella III Tavola leggiamo contro il debitore: Tertiis nundinis partis secanto ; si plus minusve secuerint, ne fraude eslo; noi non dobbiamo commentare col relore Quintiliano che alcune cose illaudabili per natura siano permesse dal diritto, m a dobbiamo fingere di ricorrere ad una certa sapienza crudel srditione et ad seditionem nata sit: cujus primum ortum si recordari columus,inter arma civium etoccupatis etobsessisurbislocis,procrea tum videmus.Deinde quum esset cito letatus, tanquam ex XII Tabulis insigni ad deformitatem puer, brevi tempore ręcreatus, multoque toe trior etfedior natus est.IlTribunato,dunque,è venuto fuori come bam bino mostruoso e deforme! Ma come avviene che si svolge per tre secoli almeno di vita eroica ? e v’ha nella storia un provvisorio di tre secoli ? E nato ad seditionem o contra vim auxilium ? Si può perdonare a Cicerone d'avere ignorato, allora, che tutt'i diritti nascono in seditione, m a non si può ignorare oggi che senza i tribuni nè icomizii tributi sarebbero mai nati, nè plebisciti si sarebbero mai fatti, né i plebis scita avrebbero in s e guito acquistato valore di populi scita, nè la promulgatio sarebbe mai avvenuta,nè mai pubblicate quelle tanto celebrate Dodici Tarole, delle quali tanto ammiratore si professa egli proprio,Cicerone,nè la repub blica di signorile sarebbe passata a popolare,nè,in ultimo,egli,Cicerone, sarebbe mai stato console, o, eletto, si sarebbe davvero detto di lui quello che in miglior senso diceva M. Catone: Dii boni, quam ridiculum con su lim habemus ! Seneca ci dice che ai tempi di Tito Livio disputavasi se fosse stato meglio per la repubblica che Cesare fosse nato,o no.Era me - glio investigare,iodico,sesenzailtribunovisarebbemaistatarepubblica) mente pietosa escogitata da Aulo Gellio, che cioè gl'infelici sian fatti salvi dall'istessa enormità della pena : Eo consilio tanta i m manilas poenae denuntiata est, ne ad eam unquam perveni retur. La quale sentenza, divulgata ne'tempi dell'autore delle notti attiche, è respinta erroneamente sino ai tempi abbastanza reali del primo decemvirato: reali nel senso, che le leggi erano scritte per esser fatte. Se la carità del tempo ha voluto portar via dalla Tavola IV de jure patrio le disposizioni durissime circa la patria potestà sconfinata, resta la traduzione di Dionigi d'Alicarnasso che la riassumecosi:Siveeum (filium)incarcerem conjicere,sivefla gris caedere, sive vinctum ad rusticum opus detinere, sive occi dere vellet. Papiniano riassume in tre parole : Vitae necisque potestas. Forse sino alla virilità del figlio? Toto vitae tempore licet filius jam rempublicam administraret et inter s u m m o s magistratus censeretur, et propter suum studium in rempubli cam laudaretur. E si dà cura Dionigi di farci sapere che i D e cemviri non ebbero a portarla di fuori, come si favoleggiava, questa legge, m a a dedurla da quella che Papiniano chiamava lex regia, farla quarta delle dodici e metterla nel foro: Sublato regno,decemviriintercaeterasretulerunt,extatqueinXII Ta bularum , ut vocant, quarta, quas tunc in foro posuere. C i ò c h e r e s t a d i q u e s t a t a v o l a , è il p i ù u m a n o , i n c h e m o d o cioèsipossaaffermare:Filiusapatreliberesto;ma ciòcheil tempo ha cancellato, non è tale da giustificare tutto lo sdegno di Cicerone contro soltanto le ultime due delle dodici.  E che si deve dire, rispetto all'eguaglianza, quando si passa alla tavola V , per considerare la condizione delle donne, eccet tuate le Vestali? Anche qui il tempo ha passato la spugna,ma restano le istituzioni di Gaio per darci notizia di quel che manca : Veteres voluerunt feminas, etiamsi perfectae aetatis sint, prop ter animi levitatem in tutela esse... Loquimur autem , exceptis virginibus vestalibus, itaque etiam lege XII. Tabularum cau tum est.   Quando vuolsi davvero spiare dove un corpo privilegiato, predominante e nel medesimo tempo minacciato, studia l'alto riparo, si dà uno sguardo alla legislazione penale. L'abbon danza,la ferocia delle pene, la rapidità della procedura penale, compensano la parvità della ragion civile. Una tavola delle d o dici,l'ottava, de delictis, ci fa intendere che i decemviri,già scelti nell'ordine de'senatori,nè tra gli Dei indigeni nè tra'pe regrini accolgono la Dea Clemenza . Cicerone mostra consolar sene, assermando, ne'libri della Repubblici, che per pochi m a leficii le XII Tavole stabilirono la pena capitale. Il vero si è che, oltre il taglione, comune già a quasi tutte le legislazioni penali primitive, e le verghe che scendono ad illividire anche l'impu bere, la morte vi spesseggia, tanto che, traboccata dalla tavola ottava, entra ad occupare due disposizioni della nona, la quale tratta non più di reati e pene, ma de jure publico.  120 Si noti, a questo proposito, che l'assenza della morte dalla tavola X (dejure sacro) ricorda che la religione in Roma, se condo il carattere italico,non è l'elemento predominante, e che, come ho notato sopra,in Roma piuttosto gli Dei intervengono in servigio dell'uomo, che l'uomo degli Dei. E il rapido decre scere della giurisdizione pontificale ne'giudizii penali riserma questo concetto. Non è già che io tenga poco conto delle testi monianze di Dione, di Livio e di Tacito rispetto all’espiazione religiosa; ma voglio dire che nell'intervento del principio sa crale in tutte le legislazioni penali primitive è notevole questa differenza, che, dove presso gli altri popoli entra come conte nuto,in Roma interviene piuttosto come forma; altrove cioè gli offesi possono essere gli Dei che costituiscono espiatrice la pena , e in R o m a l'elemento sacrale serve a rendere più temibile la pena, senza nè sospendere la provocatio ad populum , nè sot trarre ai comizii centuriati il diritto di sentenziare negli affari capitali per un cittadino romano. Cicerone ricorda nel De le gibus che le dodici tavole vietano di deliberare di cosa capitale fuori del comizio massimo : De capite civis rogari, nisimaximo   comitiatu, vetat.-- Non dimentico nemmeno l'etimologia sacra delle parole supplicium e castigatio ; m a ricordo che Festo c o n corda con Cicerone, affermando: At homo sacer is est quem POPULUS indicavit ob maleficium . E quel populus chiarisce la molta differenza dal diritto germanico, secondo il quale la di vinità direttamente offesa chiede espiazione diretta per mezzo dei suoi sacerdoti. Avverrà subito, ed anche in seditione, che dall'una egua glianza si tenti passare all'altra, dalla formale alla sostanziale, dalla eguale certezza della legge,alla certezza della legge eguale, e che appunto il matrimonio sarà l'argomento del transito, perchè contro i corollarii, cioè contro gli effetti visibili, c o m i n ciano le sedizioni popolari ; m a questa sedizione appunto, questa prima sedizione contro le dodici tavole, doveva avvertire Cice rone che quel divieto di certo connubio era il corollario, cioè  121 Tolto l'elemento sacro, resta abbastanza di asprezza penale per fare intendere quanto poco spazio resti alla ragione civile, la quale non può durare in tanta ineguaglianza, se non mante nendo la distanza tra' due ordini. Quindi, l’undecima tavola che vieta il matrimonio tra'patrizi e plebei, è l'espresso corollario delle dieci prime, è l'opera, onde i secondi decemviri compiono quella de'prini, è la lontananza custode dell'ineguaglianza. Come il senatore veneto non arrivava a comprendere il con nubio tra il moro Otello e la bianchissima Desdemona, cosi il senato romano non l'avrebbe compreso tra patrizii e plebei, due ordini lontani quanto due razze.La pari certezza della legge si,non la parità di diritti nelle leggi. Or,di che si sdegna Ci cerone? Che il matrimonio, permesso d'ordinario anche co'po poli stranieri, sia interdetto fra'plebei ed i patrizii con inuma nissima legge. È sdegno rettorico, è, almeno, poco logico, è troppo postumo, troppo gelido: egli aveva troppo ammirato le premesse. Le dodici tavole son fatte, perchè tutti abbiano l'e guale certezza della legge (e fu vittoria della plebe), e tutti la certezza della legge ineguale (e fu vittoria del patriziato).   che quella lontananza tra gli ordini era designata a custodire l'ineguaglianza tra'sommi e gl'infimi. È da esaminare, in fatti, donde comincia la reazione della plebe contro le dodici tavole, affinchè l'equità cominci a p e n e trare nel contenuto della legge. Non si deve credere che co minci con la legge Valeria Orazia De plebiscitis due anni dopo la promulgazione delle dodici tavole, per le seguenti ragioni : 1o perchè questa legge è la semplice soluzione di un diritto con troverso circa il valore de'plebisciti, non è l'affermazione di un diritto nuovo e contrastato ; 22 che il plebiscito, anche fattosi obbligatorio per tutto il popolo, non si sottrae all'auctoritas patrum per l'esecuzione; 3a che non per questa legge arse la terza sedizione, di cui parla Floro, nè avvenne la secessione sul Gianicolo,della quale parla Plinio; 4a che questa legge non si intitola da tribuni, ma da consoli. Livio dice che si venne a questa soluzione, « ut quod tributim plebes jussisset, populum teneret », 0, per dirla con Plinio, « ut quod plebs jussisset, omnes Quirites teneret », perchè prima cið era in controverso iure. Ma quando fu che la plebe arse in vera sedizione sul Gia nicolo ? quale e perchè una terza sedizione, dopo le due, l'una sul monte Sacro e l'altra sull'Aventino ? e perchè contro le d o dici tavole, se tanto le aveva volute, e se la promulgazione di queste era stato il massimo ufficio tribunizio, e sei anni appena e non interi dopo la promulgazione ? Ed, ecco, qui appare il nome di un tribuno, Caio Caruleio, una rogazione vivamente contrastata ed una sedizione vera di plebe che assale la legge nelle conseguenze ed osa divorar la distanza tra sé ed i patrizii per appianare l'ineguaglianza. La ribellione contro le dodici tavole comincia contro l'ultimo co rollario : la plebe non sillogizza invidiosi veri intorno alle cause, assale l'effetto. Rotto il primo, tira sulle cause. E quella gene razione che spezza il primo effetto, è destinata ad atterrare tutta l'istituzione. Tal è il significato della Legge Canuleia De con nubio patrum et plebis. Fatta la breccia, esaminiamo che cosa  122   in trent'anni resta di tutto l'edificio delle dodici tavole. Per la generazione che succede, si troverà che la cosa men necessaria è il carmen necessarium .Averlo fatto imparare e cantare a coro da fanciulli non vuol già dire che il carme dell'ira non suonerà più alto da coro di uomini armati. La prima sedizione è contro il supremo corollario delle d o dici tavole, contro il divieto di matrimonio fra patrizii e plebei ; l'ultima sedizione di questa medesima generazione è contro il console patrizio, vietante la divisione dell'agro pubblico tra i plebei, i quali per questa via si liberavano di fatto dalla terza delle dodici tavole, dalla più aristocratica, da quella appunto che, secondo Vico, doveva sancire il diritto feudale rustico del carcere privato, che i patrizii avevano sopra i plebei debitori. E , sebbene il Console fosse vincitore o stesse sopra il terreno vinto, pur vide i Tribuni prevalere ed i lieti onori trionfali tor nargli ne'tristi lutti dell'esilio. Poche considerazioni storiche varranno a lumeggiare i fatti esposli in questo capitolo. 1. La legge agraria, reclamata e non potuta attuare dal l'anno 268 di Roma sino all'anno 299, cioè reclamata e non potuta attuare da tutta la generazione che precede alla promul gazione delle dodici tavole, é e doveva essere la conclusione pratica della generazione che succede alle dodici tavole. Ciò che erasi cominciato nel sangue patrizio di Spurio Cassio,dove vasi compiere con l'esilio di Furio Camillo, patrizio vincitore. 2. Questa generazione succeduta alla promulgazione delle dodici tavole, cominciando la lotta contro la legge sul matri monio e conchiudendola con la divisione dell'agro pubblico sopra il territorio de'Vejenti, volle togliere la distanza tra gli ordini per giungere all'eguaglianza degli ordini. Potè essere detto, con sentimento del vero, che la divisione dell'agro accen nava finita la divisione de'ceti. 3. Questa divisione dell'agro dopo la comunanza de'm a trimonii, per l'eguaglianza degli ordini, dice che l'equità non  123   è più nella sola notizia della legge, m a dentro la legge. L'anno 363 di R o m a annunzia che le dodici tavole, benefiche quanto alla conseguita promulgazione, sono state superate nel conte nuto : annunzia che l'equità è passata dalla forma nella sostanza . Dietro il Tribuno verrà il Pretore, e già Caio Canuleio chiama il figlio di Furio Camillo. 4. Se è vero che la lotta per l'esistenza, la quale è di tutti gli animali, si faccia lotta per il diritto per diventare u m a n a , è vero pure che in nessun luogo questa lotta ebbe una espres sione più pura,cioè più umana,che in Roma,ed in nessun tempo quanto nella generazione che succede alla promulgazione delle dodici tavole. Posso dire che gli ottant'anni che corrono tra il tribuno Caio Canuleio ed il primo pretore, figlio del già espulso patrizio Furio Camillo,comprendono la più alta espres sione della lotta per il diritto. Si può dire che dentro questo periodo si raccolgono le premesse eterne della lotta umana. Dico la più pura espressione, non per enfasi, ma perchè questa lotla si fa tra uomo ed uomo, tra ordine ed ordine di cittadini per la parità civile, politica e sociale, senza intervento di Numi, senza pretesti religiosi, senza fini sovraumani.E, se in questo tempo la plebe, strappando il diritto augurale, fa n a scere i Decemviri sacris faciundis, non è già per propiziarsi i Numi o per un fine direttamente religioso, ma per un fine assolutamente ed umanamente giuridico. Questa è la grandezza di R o m a , ed il segreto dello studio non solo continuo, m a crescente, intorno all'indole tipica del diritto romano. Compiamo questo esame con la ricerca dello istituto pre torio e del responso.  124 -   125 CAPITOLO UNDECIMO. Conclusione dell'esame Aprendo il capitolo precedente, ho affermato che nella suc cessione delle cose civili il mutamento politico framezza tra una nuova esigenza giuridica e la legge scritta. Ho dimostrato, infatti, che,quando l'equità s'impone come eguale certezzadella legge,iltribunato diventa magistratura tipica; e,quando l'equità s'impone come uguaglianza nella legge, la repubblica signorile si fa popolare. Non solo tutte le magistrature si aprono alla plebe, m a alcune restano esclusivamente plebee. N o n si deve ricorrere, per vederne la formazione, ai m o menti astratti del pensiero, cioè ad una successione puramente logica d'idee, m a al pensiero determinato dal bisogno, cioè dalla natura,considerata sotto il doppio rispetto, nella compagine della persona e nello ambiente. Cotesto è il naturalismo storico. Il bisogno insoddisfatto ed assolutamente insuperabile per le condizioni della natura circostante non lascia sprigionare il pensiero nè iniziare civiltà veruna. Un bisogno superato, per condizioni benigne dello ambiente, libera il pensiero, ond'esce la prima favilla di una civiltà e di una storia. Insieme col pensiero sorgono alcune pretensioni, cioè una certa coscienza giuridica, proporzionata a quel bisogno, e, poco  Ora, ci sarebbe impossibile aprire questo capitolo e proce dere innanzi senza investigare come e perchè si formi una nuova esigenza giuridica.   126 dopo, una determinata forma politica, proporzionata a quell'esi genza giuridica. Mutato,crescendo,ilbisogno,si dilatailpen siero, si evolve la coscienza giuridica, si muta la forma politica, si cangia la legislazione del giure pubblico e privato e delle rispettive procedure. Se il pensiero cresciuto levasi a superare di tanto il bisogno naturale, quanto il bisogno ha superato i mezzi e l'ambiente, allora non c'è da aspettare,nè altra forma politica, nè altra le gislazione che duri: si aspetta la rovina che seppellisce una civiltà finita, per dare origine ad una civiltà nuova che equilibri le funzioni della vita,instaurando la proporzione tra il pensiero ed il bisogno, tra il bisogno e l'ambiente. Ora, è forse un annunzio di rovina la sentenza di Plinio : Latifundia perdidere Italiam,jam vero etprovincias? Asseguita la divisione dell'agro pubblico, con la quale si chiude il periodo della forte generazione che succede alla pro mulgazione delle dodici tavole,abolita di fatto la tavola III delle dodici (1), depositaria della preminenza di un ordine di cittadini sull'altro, si vede nascere un gran numero di piccoli proprie tarii che comincia a formare come uno stato medio in Roma, il quale meglio de'due estremi traduce in atto il genio agrario di Roma,e,mentre da una parte serba integro il maschio co stume antico e militare, dall'altra annunzia che l'equità ha fatto gran cammino : dalla forma è passata nella sostanza delle leggi. Abolita di fatto la terza delle dodici tavole, le altre undici stanno ritte come mummie che più tardi arriveranno dall'Egitto, documenti di una civiltà sepolta. Il carmen necessa rium si canterà come memoria di popolo legislatore che ha bisogno di ricordarsi per innovarsi. Per estimare quanta parte di vero si contenga nell'annunzio di rovina,che ci viene da Plinio,bisogna avere in vista il ca rattere di proprietà in R o m a . (1) Dico tirsa o quarta ecc., per seguire l'ordine più accettato.    dilui. No:lalottatramonarchiaepatriziato prima, e poi, continua, tra patriziato e plebe, è possibile in Roma , in quanto qui più che prima e fuori è spiccato il sentimento personale: sentimento proprio, più che ad altri, ad un popolo agricoltore e militare, il cui genio sarà giu ridico. Chi coltiva il campo specialmente nel modo in tensivo dei primi nostri e lo disende, sente insieme più intenso il sentimento del mio e del luo, e, per conseguenza, dell'io e del tu . Intenso è, dunque, nel cittadino romano il sentimento della proprietà personale, quanto illimitato il sentimento di disporne : e l'uno e l'altro contenderanno allo Stato romano la facoltà di un'imposta fondiaria. Nė ci fu contesa: lo Stato non osò esco gitarla: vi si sarebbe ribellato ilgenio agrario di Roma.Quando dicesi mancipium , si accenna all'origine romana dellaproprietà; quando mancipatio, alla libera trasmissione ; quando dominium ex jure Quiritum , all'effetto dell'uno e dell'altra ; e quando res mancipi e nec mancipi, si accenna non solo ad una divisione tra le cose,ma alla prima possibilità di una possessione boni taria accanto al dominio quiritario. Troviamo, in fatti, un limite nelle dodici tavole alla facoltà di possedere e di disporre? Rispetto alla prima, non altro limite che quello di vicinanza, donde quelle servitù o recipro canza di oneri, che sono strettamente in rerum natura. La ta vola VII è mirabilmente sottile nel determinare i modi ,aflinchè il dominium ex jure Quiritum non ne resti di troppo m e n o mato : neppure le chiama servitù ; m a le fa passare sotto il ti tolo de jure aedium et agrorum . E rispetta tanto la pietra ter minale, segno di proprietà sovrana, che, per entrare nel campo vicino a cogliere un frutto caduto dal proprio albero, ha avuto  127 Bisogna,innanzi tutto,smettere ilpregiudizio,cheloStato di R o m a ripeta lo Stato greco o di nazioni incivili, durante la civiltà romana : bisogna rimuovere quest'affermazione di Hegel, che cioè il padre sfogava sulla famiglia quella durezza che lo Stato sopra   gran bisogno di dirlo: Ut glandem in alienum fundum proci dentem liceret colligere. Cosi fatto dominio, perchè del tutto quiritario rispetto al l'origine ed al genio, sarà tale anche rispetto all'estensione ed alvalore:ilforestiero non lo acquisterà innessun modo,nė per mancipazione, nè per usucapione, nè per cessione innanzi al magistrato (injure cessio), nè in maniera quale altra si vo glia. – Tal è il significato vero ed intero di quella legge della Tavola VI (altri impropriamente dicono della III) : ADVERSUS HOSTEM AETERNA AUCTORITAS. E tutto questo è cosi assolutamente romano, che,per farlo greco più o meno,si ricorrerà invano a Solone. Sciendum est, in actione finium regundorum illud observandum esse,quod ail exemplum quodammodo ejus legis scriptum est, quam Athenis Solonem dicitur tulisse.Un quodammodo non basta a tramutare la leggenda in istoria. Rispetto poi alla facoltà di disporre, non altro limite in tutto questo periodo primitivo che quello della parola pro nunziata. QUUM NEXUM FACIET MAMCIPIUMQUE,UTI LINGUA NUN CUPASSIT,ITA JUS ESTO. Ne,quanto al testatore,sopravvengono limiti maggiori : UTI LEGASSIT SUPER PECUNIA TUTELAVE SUAE REI, ITA JUS ESTO. È facoltà sovrana di cittadino sovrano, di chi possiede ed esercita la lex curiata de imperio. Quando più tardi verrà una legge Cincia de donis et m u n e ribus ad annunziarci la necessità di un limite alla facoltà di di sporre, Questo che ho detto, non mi consente di accostarmi, come fa Mommsen,a Niebuhr che vuole introdurre qualcosa di do rico e forse di germanico,cioè di comune,nell'indole della pro prietà prediale romana,la quale fu affatto personale. Quanto alla mancata persona del figlio, non fu senza senti mento del vero averla spiegata e per la manus  1 128 è segno che la proprietà è mutata, è mutato con essa il diritto di proprietà, e che in un altro periodo è entrata la storia di Roma. espressione   del carattere militare la quale il marito aveva sopra la m o glie, e per l'istinto di padronanza che il civis optimo jure sen tiva sopra ogni suo prodotto, compreso il figlio. Non si dura fatica a vedere che la patria potestà nel civis sorge, si deter mina e si svolge piuttosto come un sentimento di proprietà, che di carità. Erano già, sin da prima, due modi di possedere separabili, perché, dove mancava la possibilità della patria p o testas, mancava il dominio ottimo ; e l'uno e l'altro comprende vano facoltà illimitata di disporre. Non parmi aver dimenticato gli argomenti addotti da Ihering contro l'analogia veduta tra il dominio oltimo e la patria p o testà. Io vado oltre la semplire analogia, trovo poco calzanti le osservazioni di Ihering,e domando,poichè grave è la quistione, le seguenti cose : 1.9 Fuori del sentimento o, a dir chiaro, fuori del concetto di padronanza sul prodotto, secondo il dominio ottimo, dove si andrebbe a trovare la ragione storica, efficiente, della patria potestà,cosi illimitata,cosi personale,cosi aristocratica in Roma ? La si presenterebbe come una esplosione inesplicabile, della quale poi si andrebbero a cavillare le origini dentro qualche piccolo istituto tra lo storico ed il mitico e non rispondente alla grande importanza dello effetto. Le azioni per rivendicare un figlio sottostanno alla procedura delle azioni reali? Non è il giuoco della dialettica giuridica,che modella le azioni di famiglia sulle actiones in rem : è invece la costituzione della famiglia, che crea cotesta proce dura. Ogni procedura è tale, in quanto procede da un diritto e per un diritto. 3. È un errore ricorrere ai limiti escogitati intorno alla patria potestà per separarla, o distinguerla almeno, dal dominio, perchè anche intorno al dominio furono escogitati alcuni limiti e ne'tempi più rigidi della patria potestà. Il figlio istesso p o teva provocare l'interdizione pretoria contro il padre che dava fondo alla cosa domestica : Moribus per praetorem interdicitur. 9- G.Bovio.DisegnodiunastoriadelDiritto,ecc.,ecc. in  129   Ecco,nel medesimo tempo,un limite alla potestà ed al do minio ; m a non crea differenza. 4. Ed è un errore ricorrere al peculio, acquistabile dal figlio, per crearla una differenza tra potestà patria e dominio, perchè il peculio non arriva a distinguere, rispetto al potere paterno,illfigliodal servo.Tre cose,circailpeculio,dicechiaro Varrone : chi può possedere il peculio (i minori ed i servi); chilopuòpermettere(ilpadre edilpadrone);echeèilpe culio la pecudibus dictum ). Se un istituto c'è, in cui il pater ed il dominus si presentano proprio sotto il medesimo aspetto è appunto il peculio; e, se un luogo che possa riconfermarcelo, è questo di Varrone. 5. Gli è vero, in ultimo, che, quanto al modo testamen tario di disporre, si vedono in fascio figli, servi e cose ? Nella Tavola V si legge : Uli legassit super pecunia tutelave suae rei, ita jus esto. Occorrono davvero tempi umani per tradurre u m a namente : sulla tutela de'suoi.Ma legassit implica dominio ed ordine; super spiega l'obbietto; suae rei dice in che rapporto si trovavano i suoi verso il testatore. Non ignoro che questo modo d'intendere la patriapotestà ha messo in mala vista il mondo romano innanzi agl'intelletti miti e pietosi. Ma questi hanno a considerare che una civiltà vuol essere giudicata da'suoi effetti; che il sentimento giuri dico, diffuso da Roma nel mondo, deriva dal sentimento perso nale più forte in R o m a che in Grecia ed assai più che in oriente ; e che da questo virile sentimento personale derivano le lotte intestine di R o m a, la proprietà romana e la potestà patria. Vico crede ripetuta questa eroica barbarie nel diritto feudale, e ripetuta la distinzione tra dominio quiritario e bonitario nella differenza tra il dominio diretto e l'enfiteusi, le mancipazioni nelle solennità del diritto feudale, e le stipulazioni nelle investi ture, come aveva veduto ripetersi le adunanze aristocratiche dei Quiriti nelle corti armate e ne'parlamenti, che nella rinnovata barbarie decisero de'nobili e delle loro successioni.  Vedremo che nè i tempi ricorrono, nè le analogie sono fon damento di ricorsi, né il tribuno, il pretore e il giureconsulto si sono ripresentati alla storia. Diciamo di presente soltanto questo, che, quando in Roma si giunse a poter dire: « Patria potestas magis in charitate quam in atrocitate consistere debet » è segno che il dominio quiritario è mutato. Ed è un gran cri terio di medesimezza tra'due istituti - il dominio ottimo e la potestà patria - l'isocronismo delle loro fasi neil'evoluzione. Chi mettesse occhio a cotesto,smetterebbe dal cercare differenze sottili che non arrivano a distruggere il fondo comune. La generazione cheabolivalatavolaterza,determinanteildo minio ottimo, segnatamente nel creditore, aboliva di fatto anche la quarta, scemando il soverchio della patria potestà. Può af fermarsi, senza alterare la storia, che dal giorno,in cui la Legge Petillia Papiria de nexis, secondando i tribuni Sestio e Licenio, disse inumano e proibì che i debitori potessero darsi per acs et libram in servitù al creditore, e al dominio ottimo fece un grande strappo, sottraendo la servitù de'nexi, da quel giorno cominciò ad attenuarsi sopra i figli la potestà patria, crudele assai volte quanto quella de'creditori e de'padroni,per l'eterna ragione espressa in ferrea forma dall'Alfieri : « Poter mal far grand'è al mal fare invito. » Cosi potevano e facevano il padrone,ilcreditore, il padre, sul medesimo fondamento del dominio ottimo. Seneca, tratlando della clemenza, accusava Erixo che, senza convocare un consilium , aveva incrudelito nel figlio, sollevando lo sdegno del popolo che voleva esercitare contro lo snaturato le stesse forme sommarie che quegli aveva contro il figlio. Ma questa collera di popolo, della quale parla Seneca, non è una esplosione, è figlia del maturo sentimento dell'equità e risale sino a que'tempi della repubblica, ne'quali un malvagio credi tore, L. Papirio, sfogando la sua crudeltà ne'debitori, provocava una sedizione popolare, un'altra collera, onde nacque la legge    de nexis, che, già svelando la presenza del pretore, chiarisce l'equità essere passata dalla forma nel contenuto della legge. Tito Livio, in fatti, ricorda la Legge Petillia Papiria come coro namento della generazione, nella quale è apparso il pretore. Eo anno plebi romanae, velut aliud initium libertatis factum est, quod necli desierunt. Mutatum autem jus ob unius foeneratoris simul libidinem , simul crudelitatem insignem . Tre osservazioni facciano i pensatori intorno a questo luogo di Livio. La prima, che quell'aliud inilium libertatis si ha da tradurre un nuovo momento dell'equità, cioè l'equilà passata dalla forma della legge nella sostanza . La seconda, la causa o c casionale, la crudeltà falla libidine, che chiarisce e documenta l a s e n t e n z a d i A l f i e r i . L a t e r z a , l ' a n n o , il 4 2 8 d i R o m a , n e l q u a l e si compie appunto la generazione che tra le ire civili vide appa rire, componitore equo, il pretore. Assai prima che Alessandro Severo obbligasse un padre ad accusare il figlio ai giudici ordinarii, assai prima dico, proprio nel miglior fiorire della repubblica, scaduto, innanzi a questo aliud initium libertatis,ildirittoquiritario,furonorallorzatiquei consigli domestici che frenarono l'arbitrio paterno. Nella generazione,in cui apparisce ilpretore,segnacolo del l'equità nella legge, cioè dell’aliud initium libertatis, la ditta tura può essere plebea, assolutamente plebeo uno de'censori, i plebisciti, che avevano conseguito già università di leggi, si li berano dall’auctoritas patrum , si pubblicano i fasti e si pubbli cano le azioni della legge, e, pubblicati i fasti, un plebeo può  132 E intorno al medesimo tempo era cominciata a prevalere la sentenza di Cicerone, negli Ufficii, circa le tutele, le quali non volevano essere considerate tanto come un diritto privato ed una quasi surrogazione della potestà patria,che le imponeva incondi zionatamente,quantocome un beneficousfiziosociale,ad utilitatem corum qui commissi sunt, non ad eorum quibus commissa est. E di quest'ordine delle date è da tenere gran conto per la giusta valutazione delle istituzioni.   salire al pontificato massimo. Cajo Marzio Rutiliano e Tiberio Coruncanio sono due nomi plebei che significano adempita l'equità civile e politica nella legge :il primo plebeo dittatore ed il primo plebeo pontefice massimo. Fermiamoci, per fare poche osservazioni. Che significa nell'anno 458 di Roma,ottoanni dopo la pub blicazione de'sasti e delle azioni di legge, trent'anni in punto dopo la Legge Petillia Papiria de nexis, e due generazioni dopo l'apparizione del pretore, che signisica, domando, nell'anno 458 la Legge Ortensia De plebiscilis, quando, prima e dopo del pre tore,c'erano già state la Legge Valeria-Orazia De plebiscitis (305) e la Legge Publilia (416), quella ·appunto che, secondo Vico, dichiarò popolare la repubblica romana ? Quando vediamo Livio, Plinio ed Aulo Gellio ripetersi intorno a questa legge de'plebi scili,e ripresentarla, riproducendo le meilesime formole,noi vo gliamo sapere se occorrevano tre leggi, o una medesima legge in tre tempi diversi,per far entrare i plebisciti tra le sorgenti di diritto pubblico e privato. M 'ė parso di vedere la critica storica imbarazzata e quasi sospettare della sincerità delle formole tra mandateci dagli scrittori citati sopra. Or bene,a me par chiaro che le tre leggi de plebiscilis in tre t e m p i, c h e a b b r a c c i a n o u n s e c o l o e m e z z o , c i o è d a l l a p r i m a i m mediata reazione contro le dodici tavole, e direttamente contro la nona, sino alla dichiarazione ellettuale della repubblica popo lare, non si ripetono,perchè in nessuna istoria si trovano nè sono possibili coteste ripetizioni, m a sono tre momenti progressivi del l'equità nel medesimo obbietto, cioè nei plebisciti, ordinati a d e mocratizzarela repubblica. C o n l a p r i m a , c i o è c o n l a V a l e r i a - O r a z i a ( 3 0 5 ), s i v i e n e a d a r valore di universalità ai plebisciti, secondo le tre formole con sone, l'una di Livio : Ut quod tributim plebes jussisset, populum teneret; l'altra di Plinio: Ut quod ea jussisset, omnes Quiriles teneret ; e l'altra di Aulo Gellio: Ut eo jure,quod plebes statuis set, omnes Quirites tenerentur.  133   134 Con la seconda, che è la Legge Publilia, che altri mettono sollo la data del 415, altri del 416, alcuni sotto il nome di C. Publilio Filone, tribuno della plebe altri di Q. Publilio Filone, dittatore (Vico lenne giustamente io credo pel dittatore), vennesi a fare non solo obbligatoria, ma presta bilita l'auctorilas patrum per tutti i progetti di legge sottomessi ai comizii centuriati. Tito Livio scrive : Ut legum quae comitiis centuriatis forrentur, ante inilum suffragium , Patres auctores ficrent.Ed ,ecco,quell'ante initum suffragium siela l'arclorilas di un caput mortuum , sopra il quale Silla vorrà invano alitare la vita. Con la terza, che è la Legge Ortensia (458 , che Plinio dice essere stata di Q Hortensius dictator, l'auctoritas è troncata di netto. La formola che abbiamo già detta di Cicerone: « Potestas in populo, auctoritas in Senatu sit », è già superata. La potestà trova in sè l'autorità, e la Legge Ortensia è l'espressione radicale della repubblica popolare.Mi sia lecito dire che la suprema equilii è questa equazione tra la potestas e l'auctoritas. Mi è parso necessario notare che l'universalilà de'plebiscili, l'obbligatorietà prestalilita dell'autorizzazione e, in ultimo, l'a bolizione dell'autorità estrinseca sono non ripetizioni di una m e desima legge, m a tre leggi plebiscitarie che dinotano dalle dodici tavole sino alla Legge Ortensia tre gra di progressivi dell'equità nella legge,tre momenti notevoli, onde la repubblica si demo cratizza. Chiariamolo anche meglio con una breve considerazione circa la pubblicazione de'fasti. La plebe un secolo quasi dopo i Decem virilegibus scrilun dis(292)consegui iDecemvirisacrisfaciundis(386),edunaltro mezzo secolo dopo (453), democratizzata civilmenie e politica mente la repubblica, riusci a democratizzarla anche religiosa mente, occupando le dignità sacerdotali, sicchè di otto nel col legio de'pontefici ne prese quattro, e cinque de'nove nel col legio degli auguri. È segno che il giureconsulto è uscito dal l'atrium , che il suo responso non è più un oracolo, che i fasti sono pubblicali, e che la procedura, nella quale il diritto si ha  per il 416 e   da muovere, non è più un segreto di parte, ma è promulgata come il diritto istesso. L'ius Flavianum (450) ha questo grande significato : non vi sono piu misteri. E questa espressione tra dotta dalla lingua religiosa nella lingua politica significa : non vi sono più privilegi. Questa promulgazione de'fasti, de’misteri giudiziarii e delle formole sacramentali per via di semplice evoluzione,senza urti, senza rogazioni, nè sedizioni, nè secessioni,parve alla plebe ro mana un si grande miracolo, che volle, dentro i tempi storici, creare una favola plebea e contrapporla ad una favola patrizia, cominciata a diffondersi in questi tempi. La favola patrizia era quella di Furio Camillo,scoppiato ful mineo sulla bilancia del Gallo, ed acclamato secondo fondatore di Roma.Cosi potè dirsi,un patrizio, Giunio Bruto, fondò la repubblica ; un patrizio, Furio Camillo, la salvò. La favola ple bea fu quella del liberto Gneo Flavio che ruba il mistero della procedura al giureconsulto patrizio Appio Claudio Cieco e butta in pubblico i fasti e le formule sacramentali. Certo, Polibio e Diodoro Siculo non parlano del miracolo di Furio Camillo, e il loro silenzio è troppo tardi interrotto dalla narrazione drammatica di Tito Livio. E , per simile, molte erano ai tempi di Cicerone le controversie circa l'origine della pro mulgazione laviana, nè Cicerone osa spiegarsela. Ma ben si vede in quel liberto, profanatore del mistero, la plebe fatta libera, ed in quell’Appio Claudio Cieco il patriziato ignaro dei tempi. In Gneo Flavio,di liberto,creato tribuno, senatore ed in magi stratura curule, è passato l'occhio mancato ad Appio Claudio. Que'che, tormentando anche le parole,mettono in forse tante narrazionidellastoriadiRoma,daRomolo aVirxinia,perché non hanno osato portare la critica storica dove più occorreva, sull'origine dell'ius Flavianum ? Altri, per fare più credibile il racconto, dissero che Appio Claudio della famiglia claudia, stata sempre nemica alla plebe, e punito di cecità da’Numi in età adulta per non si sa quale colpa, si fece lui proprio ispi 1  135   E ,dopo queste brevi considerazioni, possiamo spiegarci intero l'ufficio del pretore. Tra le sorgenti del diritto pubblico e privato sono entrati i plebisciti.Sublata auctorilatepatrum,larepubblicaèdemocra tizzata del tutto. Le leggi son,ma chi pon mano ad esse? Il Magistrato. Farle è del Senato, della plebe, del popolo ; dirle è del magistrato . Altro è ius condere, altro è ius dicere : due funzioni distinte e connesse. Condere è la parola potesta tiva del legislatore ; diccre è la parola sacramentale del m a g i strato . Dicere è la parola generale dell'applicazione della legge : i modi sono ius dicere, cdicere, aldicere, interdicere. Il derivato è edictum.L'edictum è la viva vox juris civilis. Questo è saputo, e con questo, che, quando si pronunzia la parola edictum assolutamente,ilpensiero non ricorre nè all'edic tum aedilitium , nè all'edictum provinciale, nè alle forme più o meno secondarie di edicta perpetua,repentina,tralatitia,ma ri corre direttamente all'cdictum praetoris. Non è cecità nè arbi bitrio del pensiero moderno, è perchè cosi, prima di noi, inte sero e dovevano intendere gli antichi. Quando Papiniano parla del diritto onorario, lo dice cosi nominato ad onore del pretore; quando Gaio parla dell'editto che emenda le iniquità del diritto, si riserisce all'editto del prelore ; ed al pretore si riserisce A s c o nio, quando accenna la ragione dell'editto perpetuo ; e del pre tore si duole Cicerone, quando vede l'editto superare le dodici tavole.La ragione storica è questa:la presenza del pretore si gnifica che le due parti avverse, nelle quali era divisa R o m a , si sono equilibrate ; il suo editto, in quanto spiccatamente porta ratore a Gneo Flavio, plebeo e figlio di un liberto, della novità benefica che è l'ius Flavianum , onde i pontefici furono obbligati a far pubblico il calendario. La versione pare più mitica del mito.  136   questa impronta di equilibrio, suona l'equità passata nella legge, l'aliud initium libertatis, la repubblica signorile fatta popolare; il suo editto è, perciò, la voce viva dell’ius civile, rimasto voce morta ; e però entra innanzi alle dodici tavole che in vano Cice rone lamenta neglette. Questo aliud initium libertatis è a b b a stanza commentato dalla definizione che del diritto pretorio ci manda Papiniano,ilgiureconsultomassimo:Juspraetoriumest, quod praetores introduxerunt, adiuvandi, vel supplendi, vel cor rigendi juris civilis gratia, propter utilitatem publicam , quod et honorarium dicitur, ad honorem praetorum sic nominatum . Se temesi che questa correzione pretoria sul diritto civile possa tornare precaria ed incerta, la Legge Cornelia provvede a sostituire l'editto perpetuo al repentino : Ut praetores ex edictis suis perpetuis jus dicerent.Se Cicerone duolsi del vedere torpide le dodici tavole innanzi all'editto, e se teme le sedizioni tribu nicie, dica se abbia trovato, il temperare il s u m m u m jus, altro mezzo evolutivo suori dell'edillo pretorio. Il summum jus a lui era summa injuria, a Terenzio summa malilia, a Gaio iniqui tates juris. Chi tempera quell'ingiuria, corregge quella malizia, e all'iniquilà sostituisce l'equilà ? La risposta è di Gaio : Haec juris iniquitates edicto praetoris emendatae sunt. Si dorrà forse anche di questo Cicerone, di vedere il m a g i strato sostituito al legislatore, la sentenza alla legge, la persona allo Stato. E davvero il caso parrebbe strano, se non fosse spie gabile in questo modo :che il pretore significa l'unità della legge, dove il legislatore era stato duplice — patriziato e plebe; e si gnifica l'equilà ristretta ai casi particolari, senza forma impera tiva, la quale è tutta del legislatore. Dove compiuto è il periodo dell'equilibrio delle parti, e co mincia il periodo unitario di R o m a nella politica, ivi è segno essere cominciato il periodo unitario del diritto nel pretore. Ne procede questa definizione dell'editlo pretorio, la quale compie,non nega la definizione di Papiniano : L'editio pretorio è l'equilà ne'casi particolari, cioè volta per volta ed anno per  137   anno , ed indica affermato l'equilibrio delle parli in R o m a , e co minciato il periodo unitario nel diritto e nella politica. La gloria del tribuno è di aver provocato la promulgazione delle dodici tavole; del pretore, averle superate con l'editto. La promulgatio chiarisce e denuda la repubblica aristocratica; S'ignorano davvero due cose : in che tempo la Legge Aebutia abolisse le legis actiones, e sino a che punto. La disputa è in decisa. Io credo che la legge Aebutia sia apparsa tra l'uno e l'altro pretore, l'urbano ed il peregrino, e che abbia abolito gran parte delle legis actiones, quando già alla procedura del vecchio diritto l'editto pretorio aveva contrapposto una procedura con suetudinaria . C o m p o s t o , n e l l a p e r s o n a d e l p r e t o r e , il d u a l i s m o , e c o m p i u t a , nella significazione dell'editto, l'unificazione giuridica, comincia l'unificazione politica nella generazione immediatamente succe duta al pretore. Il pretore appare tra il 387 ed 88;tra il 411 e 13 compiesi la prima guerra per l'unificazione politica. Questa unificazione politica ha due periodi: 1° l'unificazione d'Italia;2° l'unificazionedelmondo mediterraneo.Ilsecolo quarto di R o m a abbraccia il periodo della unificazione giuridica, e si c o n c h i u d e c o l p r e t o r e ; il s e c o l o q u i n t o a b b r a c c i a il p e r i o d o d e l l a  138 dictum la demolisce e l'annunzia democratica . l'e Sono da fare due considerazioni. L'una,che gli editti, non essendo espressione di facoltà legislativa,non portano forma i m perativa, e non possono averla ne rispetto all'origine che è giu risdizionale, nè rispetto all'obbietto che non è universale. In tutta la forma dell'editto appare la faccia benevola dell'interprete, non la severa del legislatore. L'altra è che l'editto, per suggel lare l'equità, deve aver superato non solo il vecchio diritto civile, ma la vecchia procedura:e però,se da una parte si lascia in dietro le dodici tavole e le iniquitates juris, dall'altra supera r a pidamente le legis actiones, cioè quella vecchia e aristocratica procedura,dentro la quale si muovevano iprivilegiati della re pubblica signorile.   139 - unificazione politica, e si conchiude col giureconsulto. Tra l'uno e l'altro periodo della unificazione politica, cioè tra quello della unificazione ilalica e l'altro dell'unificazione della civiltà m e d i terranea , appare il pretore peregrino, che è l'apparizione del diritto delle genti, il quale viene a fare umana l'equita latina. Il periodo dell'unificazione italica abbraccia le tre guerre sannitiche, le quali si compiono nel 462. E nel'a generazione immediatamente succeduta ( 190) comincia il periodo per l'uni ficazione del mondo mediterraneo, che abbraccia le tre guerre puniche. Il disegno e l'effetto delle tre puniche non furono la semplice indipendenza dell'Italia.Come dopo le sunnitiche a Roma fu facile la guerra tarantina, nella quale meglio che il ferro occorse l'oro per occupare la città da Milone messa all'incanto, e farsi signora della regione che dalla Macra e dal Rubicone va sino al capo Spartivento ed alla punta di Leuca, cosi dopo le puniche le fu facile la guerra corintiaca,onde si annesse l'Acacia ed alla civiltà ellenica sostitui definitivamente la latina. T :11 era l'effetto, perchè tale il disegno. Mommsen ammira come gran falto nazionale de'Romani la costruzione della flotta, ed io ripeto che quella impresa fu più che nazionale, più che italiana, e fu il disegno del gran duello per l'egemonia sul mondo mediterraneo. Come le guerre san nitiche significavano che l'unità d'Italia spettava od ai Romani od ai Sanniti, cosi le guerre puniche significavano che l'unità del mondo mediterraneo speltava o ai Romani od ai Carta ginesi. Fu crudeltà, ma fu politica. Delenda Carthago è la conse guenza di un dilemma: la metropoli del mondo mediterraneo o Roma o Carlagine. E Roma vinse,non perchè Marco Porcio Ca  È discutibile se sieno più feroci le guerre per l'indipendenza o quelle per l'egemonia. Queste io credo : perchè alle prime b a sta disarmare il nemico ; alle seconde occorre sterminarlo : D e lenda Carthago !   140 tone fu inesorabile e l’Affricano secondo più crudele del primo, m a perchè R o m a aveva un ideale, una missione ed un convin cimento che mancavano a Cartagine. Questa non è la metafisica della storia circa la predestina zione de'sini, è la rislessione storica sugli effetti determinati. Roma vinse, e con essa il Diritto romano che si farà umano, salendo,frapoco,dall'edittoalresponso;ma con Cartagine,se fosse stata vincitrice, non si sa quale alto fine civile sarebbe slalo vittorioso. Non è già che il popolo romano vinse, perchè aveva e sentiva astrattamente la missione giuridica; ma aveva questa missione, perché sin da principio il suo genio si era d e terminato di agricoltori e militari. E che si fosse cosi m a n t e nuto sino alla guerra corintiaca – malgrado la casa di Emiliano già aperta a Polibio, a Plauto, a Terenzio ed a Pacuvio si chiarisce dall'ordine espresso dal console Lucio M u m m i o ai r o mani deputati a portare a Roma da Corinto le meraviglie del Il pretore urbano prenunzia il periodo unitario. Espressione di cotesto periodo sono due grandi istituti della vita romana : il prelore peregrino ed il giureconsulto. Chiamo istituto, piullosto che ufficio,quello del giureconsulto per ragioni che si parranno (Giunti al respɔnso , non possiamo trovara nulla di più alto e di più comprensivo nella storia del diritto romano . Stimiamo utile far conoscere ai giovani studiosi come si scriveva la storia del diritto romano ai tempi di P o m p i n i o , m e t t e n d o i n q u e s t a n o t a s o t t o i l o r o o c c h i il f r a m m e n t o c h e t o gliamo dal primo libro del Digesto, e lasciando a loro la cura di correg gere le inesattezze che troveranno non solo rispetto ad alcuni fatti e nomi, m a alla cronologia ed ai criterii. Utile e non difficile lavoro, per la cura che abbiamo posta nello accennare le date principali ed i criterii storici che governano gl'istituti giuridici di maggiore importanza. Grozio discute assainelleVitaejurisconsultorumde'duePomponii.Zimmern- trattando  l'arte greca . tra poco. Il pretore peregrino è l'espressione viva e concreta dell'uni ficazione italica; il giureconsulto; della unificazione del mondo mediterraneo (1)   Il pretore peregrino compie il pretore urbano, in quanto di larga l’equità, senza dilungarsi da’casi particolari; ma, en e non dalle Variae lectiones. Ecco Pomponio : Necessario ci pare il mostrar l'origine propria e il procedimento del diritto. Al principio della nostra città il popolo cominciò ad operare senza legge certa, senza stabile diritto, e tutto reggevasi per mano dei re. In appresso, cresciuta in qualche modo la città,clicesi lo stesso Romolo dividesse il popolo in trenta parti, che chiamò curie, perciocchè a sen tenza di queste parti disimpegnava allora le cure del governo. Ond'è che ed egli ed i seguenti re proposero al popolo alcune leggi curiate, le quali tutte trovansi scritte nel libro di Sesto Papirio che fu uno dei principali personaggi a'tempi del Superbo, figlio di Demarato da Corinto.Questo libro è intitolato diritto civile Papiriano, non perchè Papirio v'abbia aggiunto alcun che di suo,ma perchè egli raduno in uno le leggi promulgate sen z'ordine. Cacciati quindi i re per legge tribunizia, tutte quelle leggi andarono in disuso, e il popolo romano cominciò di nuovo a reggersi con diritto in certo, e più dietro la consuetudine che secondo alcuna legge emanata ; e così continuò per circa venti anni.  141 Dopo le sannitiche,unitasi a Roma l'Italia,ilgenio dell'urbs si senti tocco, e però modificato,da due correnti nuove : il c o m mercio e la presenza degli stranieri. La rustica Dea Pales, in dividuazione mitica del genio originario di Roma, sentivasi mutar costume, e tollerava, con la presenza degli stranieri, que'commerci che erano parsi spregevoli al primitivo genio agricolo e militare di Roma. In nome di questa tolleranza un secolo ed alquanti anni (307) dopo il pretore urbano sorse il pretore peregrino, qui inter cives et peregrinos, plerumque inter peregrinos jus dicebat. L'equità estendevasi a quelli che prima del periodo unitario erano designati con tre nomi: hostes,pere grini, barbari. del diritto privato romano tiene pe'due. Puchta nel ('orso delle Isti tuzioni– tieneperunsolo.Unasolacosaècerta,cheilframmentoche noi riportiamo, è dall'Enchiridion non ricordato dall'indice fiorentino   tralo per tolleranza, gli sottosta, se non in grado di ufficio, in dignità ; nè metterà fuori un editto che contraddica a quello pubblicato dal pretore urbano ; nė tra gli antichi troverà chi voglia commentare il suo editto, privo di originalità. I giure consulti che vennero di poi, mentre inducevano la regola uni versaledidirittodall'edittodelpretoreurbano,non commen tarono mai l'editto del pretore peregrino. Anche io credo che il commentario di Labeone non resista alla critica. Giunto a questo fastigio del diritto romano , dove col pretore peregrino par nato l’jus gentium , e col responso l'equità ro mana sale a diritto umano, mi occorre vedere onde la deca denza imputatada Plinio ai latifondi, e come il giureconsulto, nel vero senso della parola, possa trovarsi coevo con la rovina della repubblica e compagno della corruzione imperiale. Onde ciò non avesse a durare più a lungo, piacque allora che fossero nominati per pubblica autoritàdieci,iqualitogliesseroleleggidallegreche società, e la città munissero di leggi. Incise su tavole d'avorio,le esposero sui rostri, affinché si potessero le leggi meglio imparare ; e fu loro dato in quell'anno il diritto massimo nella città,di correggere,se facesse bi sogno,e d'interpretare le leggi,nè vera appello da loro come dagli altri magistrati. Essi medesimi avvertirono mancar qualche cosa a quelle prime leggi, perciòl'annoseguenteviaggiunseroaltreduetavole,ecosìper l'accidente del numero furono chiamate leggi delle XII Tavole.Narrano alcuni che la composizione di esse fosse stata proposta ai decemviri da un certo Ermodoro da Efeso, esule in Italia. Promulgate queste leggi,avvenne,come naturalmente suole,che per l'interpretazione si desiderasse l'autorità dei prudenti e la necessaria d i sputazione del Foro ; questa disputazione e questo diritto ordinato dai prudenti, senza che venisse scritto, non ha nome in alcuna parte propria, come vengono distinte tutte le altre con proprio nome,ma chiamasi con titolo generale diritto civile. Quindi,dietro queste leggi,quasi contemporaneamente furono composte le azioni, colle quali gli uomini agitassero i litigi nati tra loro ;le quali a zioni,affinchè il popolo non le facesse a capriccio, vollero che fossero sta bili e legali; equesta parte del diritto chiamasi azione di legge,cioè le gittima. E così quasi in un tempo medesimo nacquero questi tre diritti,  delle XII Tavole,da cui scaturi ildiritto civile,e quindi leazioni.Siperò l'interpretazione delle leggi,si le azioni spettavano al collegio dei ponte fici,dai quali ogni anno sceglievasi chi dovesse soprantendere ai privati, e per circa cento anni il popolo segui quest' uso. In appresso, avendo Appio Claudio proposto e ridotto a forma queste a z i o n i , G n e o F l a v i o , s u o s c r i v a n o e f i g l i o d i u n l i b e r t o , s o t t r a t t o g l i il l i b r o , lo fece di ragione del popolo ; il quale servigio fu al popolo tanto grato, che elesse lui tribuno della plebe e senatore ed edile curule. Questo libro contenente le azioni chiamasi diritto Flaviano, siccome quell'altro d i ritto Papiriano; ma neppur Gneo Flavio aggiunse alcun che al suo li bro. Cresciuta la città e mancando alcune specie di azioni, Sesto Elio non molto dopo ne istituì altre, e pubblicò il libro che chiamasi diritto Eliano. Quindi,essendovi nella città la legge delle XII Tavole e ildirittocivile e le azioni di legge, accadde che, venuta la plebe a discordia coi padri e separatasene, istituì le leggi che chiamansi plebisciti, cioè decreti della plebe. Non guari dopo, richiamata la plebe, perchè frequenti discordie n a scevano intorno a questi plebisciti, per la legge Ortensia fu stabilito che avessero anche quelli per leggi ; e cosi avvenne che i plebisciti e le leggi differissero pel modo di farle,ma ne fosse eguale l'autorità. Quindi,perchélaplebeaccordavasi difficilmente,emoltopiùdifficil mente il popolo in si grande moltitudine di persone,fu d'uopo che si affi dasse al senato la cura della repubblica. Così cominciò ad intromettersi il senato, ed osservavasi tutto quello ch'esso avesse decretato, e questo di ritto fu detto senatoconsulto. A quei tempi anche iMagistrati proferivanogiudizi;ed,affinchéicit tadini sapessero qual giudizio intorno ad ogni cosa si proferirebbe e se ne premunissero, pubblicavano gli editti che costituirono il diritto onorario, così detto perchè veniva dall'onore, cioè dalla carica di pretore. Da ultimo, siccome pareva che l'autorità di far leggi fosse, per natu rale effetto delle cose,passata al minor numero,un po'per voltaavvenne che fu necessario che un solo provvedesse alla repubblica ; poichè il senato non poteva del pari amministrar bene tutte le provincie. Stabilito quindi il principe, gli fu dato il diritto, che si avesse per rato checchè egli d e terminasse. Così nella nostra città o si giudica pel diritto, cioè secondo la legge ; o v'è diritto civile, che consiste solo nell'interpretazione dei prudenti,non iscritta ; le azioni di legge,che contengono le forme da usare ; i plebisciti, che furono emanati senza l'autorità dei padri; gli editti dei magistrati, donde nasce il diritto onorario ; i senatoconsulti, che emanano dal solo    senato costituente senza legge ; e le costituzioni del principe, quello cioè che il principe determinò si osservi come legge. Conosciuta l'origine e il procedimento del diritto,conseguita che discor riamo i nomi e l'origine dei magistrati, perchè, come abbiam mostrato,da quelli che presiedono a far leggi, acquistano gli effetti. Imperocchè, che varrebbe essere nella città, se non vi fosse quegli che potesse far leggi ? Dopo ciò parleremo degli autori che si succedettero l'un l'altro, giacchè il diritto non può sussistere senza che siavi qualche giurisperito,dal quale esser possa mano mano migliorato. Quanto ai magistrati, nei primordi della nostra città i re ebbero tutto il potere. I tribuni dei celeri comandavano ai cavalieri, ed occupavano quasi ilsecondo posto dopo ire;del qual numero fuGiunioBruto,autore del discacciamento dei re. Espulsi i re, furono stabiliti due consoli, ai quali per legge fu concesso il supremo diritto : così chiamati, perchè bene provvedevano (consulebant) alla repubblica. Onde pero non si arrogassero regio potere in tutto,fu per legge stabilito che vi fosse appello da loro, nè potessero punire verun cit tadino romano senza il consenso del popolo : a loro fu soltanto concesso di obbligare e di far mettere nelle pubbliche prigioni. In appresso, dovendosi rinnovare il censo che da ogni tempo non erası fatto, nè bastando i consoli a questo incarico, furono stabiliti i censori. Aumentando il popolo, e nascendo frequenti guerre, delle quali alcune assai gravi, mosse dai confinanti, piacque di eleggere,ogni qualvolta il bi sogno richiedesse, un magistrato con potere maggiore ; furono per tanto istituiti i dittatori, dai quali nessuno poteva appellarsi, e che avevano a n che podestà di vita e di morte.Questo magistrato, perchè aveva un po tere sommo,non poteva durare più di sei mesi. A questi dittatori aggiungevansi i maestri, vale a dire comandanti dei cavalieri, nella stessa guisa che ai re i tribuni dei celeri, la quale carica equivaleva presso a poco a quella dei prefetti del pretorio : m a i magistrati erano tenuti per legittimi. Quando poi, circa diciassette anni dopo la cacciata dei re, la plebe si separò dai padri, crearonsi sul monte sacro i tribuni, ch'erano magistrati plebei,e fu loro dato tal nome,perchè una volta ilpopolo era diviso in tre parti, e da ciascuna se ne sceglieva uno, o perchè venivano nominati per suffragio della tribù. E parimenti, affinchè fosse chi soprantendesse agli edifizii, nei quali riferiva tutti decreti la plebe,deputarono a ciò due della plebe, che fu rono chiamati edili. Avendo poi l'erario del popolo cominciato ad esser pingue,furono n o  144   145 minati i questori che ne avessero cura ; cosi detti, perché dovevano esigere (quaerere o inquirere) e tenere conto del danaro. E perché, secondo abbiamo detto, non era concesso ai consoli pronun ciare sentenza di morte contro un individuo romano senza permissione del popolo,furono dal popolo nominati iquestori del parricidio,che giudi cassero i delitti capitali: di essi fa menzione anche la legge delle XII Tavole. Ed,essendo piaciuto che si facessero ancora altre leggi, fu proposto al popolo che tutti i magistrati si dimettessero, e furono nominati i decem viri per un anno. Questi si prorogarono la carica e si condussero ingiu stamente,nèvolevanoristabiliredinuovo imagistrati,peroccupareglino e il lor partito il potere ; e colla lunga e crudele dominazione loro con dussero le cose a tale, che l'esercito si ribello alla repubblica. Dicesi che capo di questa ribellione sia stato un certo Virginio.Questi vide che Appio Claudio, contro il diritto ch'egli stesso dal diritto antico aveva inserito nelle XII Tavole, gli aveva tolto il possesso della propria figlia, e giudi cato in favore di colui che, subornato dallo stesso Appio,laripeteva come sua schiava, perchè, acciecato dall'anjore per la fanciulla, non aveva più guardato a diritto o a torto, sdegnato che gli fosse tolto il diritto anti chissimo sulla persona della figlia, a somiglianza di quel Bruto primo con sole, che aveva dichiarato libera la persona di Vindice schiavo dei Vitellj, per aver rivelata la congiura ; e, riputando la castità della figlia essere da preferire alla vita, tolto un coltello dalla bottega di un macellajo, u c cise la figlia per sottrarla colla morte al disonore dello stupro ; e tosto, grondante ancora del sangue della figlia, corse tra'suoi compagni d'arme. I quali tutti dall'Algido, dove le legioni trovavansi a cainpo, abbandonati i capi, trasferirono le bandiere sull'Aventino, e là pure si condusse tutta la plebe della città. Allora altri dei decemviri furono uccisi in prigione, altri cacciati in esilio, e fu ristabilito nella repubblica l'ordine di prima. Alcuni anni dopo la pubblicazione delle XII Tavole, la plebe venne a contesa coi padri, volendo che i consoli si eleggessero anche dal suo corpo ; al che opponendosi i padri, avvenne che si creassero, parte dalla plebe, parte dai padri, i tribuni militari con podestà consolare, i quali varia rono di numero,poichè furono ora venti,ora più,non mai meno. Essendosi quindi convenuto di creare i consoli anche dalla plebe, si cominciò ad eleggerli dai due corpi. Afinchè però ipadri avessero qualche cosa più della plebe, piacque allora che si eleggessero dal loro ordine due edili curuli. E,perchè i consoli erano occupati dalle guerre coi vicini, nè vi aveva chi nella città potesse amministrar la giustizia,si creò un pretore,chia mato urbano,perchè amministrava la giustizia nella città. G. Bovio.Disegno di una Storia del Diritto,ecc.,ecc.  10   Dopo alcuni anni, non bastando quel pretore, perchè accorreva nella città moltitudine di forestieri,fu creato un altropretore,dettoperegrino, perchè per lo più rendeva giustizia ai forestieri (peregrini). Poi,essendo necessario un magistrato che presiedesse ai pubblici in canti, furono stabiliti i decemviri per giudicare le liti. A quel tempo furono pure nominati quattro soprantendenti alle strade, i triumviri monetali che vegliavano alla fabbricazione delle monete di rame,d'argento e d'oro,ed itriumviri capitali che custodivano le pri gioni, si che,quando dovevasi punire, facevasi col loro intervento. E ,perchè nelle ore vespertine i magistrati non avevano obbligo di tro varsi in officio, furono istituiti i quinqueviri di qua e di là dal Tevere, che ne facessero le veci. Conquistata poi la Sardegna, quindi la Sicilia,la Spagna e la provincia Narbonese, furono creati tanti pretori quante nuove provincie, i quali so prantendessero parte alle cose urbane, parte alle provinciali. Quindi Cor nelio Silla istitui i processi pubblici, come di falso,di parricidio,dei sicarj, ed aggiunse quattro pretori. In appresso Cajo Giulio Cesare istituì due pretori e due edili, detti cereali da Cerere, perchè soprantendevano ai grani. Così si ebbero dodici pretori e sei edili. Poi il divo Augusto portò a sedici il numero dei pretori, ai quali il divo Claudio altri due ne aggiunse, che giudicassero intorno ai fedecommessi;ildivo Tito ne soppresse uno,e il divo Nerva ve lo aggiunse ; essi giudicavano le liti fra il fisco e i privati. Per modo che diciotto pretori amministravano la giustizia della città. Tutto ciò si osserva, quando i magistrati sono nella città ; quando poi ne partono, si lascia uno che solo rende giustizia e chiamasi prefetto alla città, il quale una volta si nominava all'occorrenza, dopo fu stabile per le ferie latine,ed eleggesi ogni anno.Ilprefetto dell'annona e dei vigili,cioè delle guardie notturne, non sono propriamente magistrati, m a furono stabi liti straordinariamente per comodo : quelli però che abbiamo detto nomi narsi di qua dal Tevere,per decreto del senato venivano poi creati edili. Dunque,fra tutti, dieci tribuni della plebe, due consoli, diciotto pretori, sei edili nella città amministravano il diritto. Moltissimi e chiarissimi personaggi professavano la scienza del dritto civile, m a ora ci basta parlare di quelli che in maggiore stima furono presso il popolo romano, affinchè apparisca da chi e quali leggi ebbero origine e ne furono tramandate.E prima di Tiberio Coruncanio non ricordasi alcuno che pubblicamente professasse questa scienza ; tutti gli altri fino allora a v e vano creduto di tenere occulto il diritto civile,o soltanto si prestavano a chi li consultava, piuttosto che a chi volesse imparare. Tra i primi periti del diritto fu poi Publio Papirio, che radund in uno  l e l e g g i d e i r e ; d o p o q u e s t o , A p p i o C l a u d i o , u n o d e i d e c e m v i r i , il c u i s e n n o molto valse nel comporre le XII Tavole.Appresso viene altro Appio Clau clio che ebbe grandissima scienza in questa parte, e fu detto centimano. Fece egli costruire la via Appia, derivò l'acqua Claudia, e persuase di non ricevere Pirro nella città. Si disse aver egli pel primo scritto le azioni in torno alle usurpazioni, il qual libro però non esiste. Sembra che il m e d e simo Appio Claudio abbia inventato la lettera R , onde si disse Valerj in vece di Valesj,e Furj invece di Fusj. Dopo questi, di grandissima scienza fu Sempronio che ilpopolo romano chiamò coçov (sapiente), nome che a nessun altro fu dato nè prima nè dopo ali lai.Ma vi fu anche Cajo Scipione Nasica che dal senato fu chiamato ottimo, al quale fu anche data del pubblico una casa sulla via Sacra, onde più facilmente si potesse andare a consultarlo. Appresso fu Quinto Fabio che, mandato ambasciatore ai Cartaginesi, essendogli poste innanzi due schede,unaperlapace,l'altraperlaguerra,econcesso a luil'arbitrio di portare a Roma qual delle due gli piacesse, le prese ambedue,e disse dovere i Cartaginesi chiedere e ricevere qual più volessero. Fu,dopo questi,Tiberio Coruncanio chepelprimo,come dissi,cominciò a professare il diritto: di lui,sebbene non restò veruno scritto, si ricordano molte e memorabili risposte. Quindi Sesto Elio col fratello Publio Attilo ebbero grandissima scienza nel professare ildiritto,e furono anche consoli. Sesto Elio è lodato anche da Ennio, e di lui esiste un libro intitolato Tria partita, che contiene i primi elementi della scienza del diritto :gli fu dato quel nome, perchè,proposta la legge delle XII Tavole, vi soggiunse l'inter pretazione, e quindi vi unì l'azione di legge. Dicesi esserci di lui tre altri libri che alcuni però gli negano.Le pedate di questo calcò Marco Catone, capo della famiglia Porcia, del quale sussistono alcuni libri, m a più ancora di suo figlio; da questi vennero tutti gli altri. Tennero dietro a questi Publio Rutilio Rufo che fu console in Roma e proconsole nell'Asia; Paolo Virginio e Quinto Tuberone,ilprimo stoico e discepolo di Panezio che fu anche console.Di quel tempo fu pure Sesto Pompeo,zio di Gneo Pompeo,e Celio Antipatro che scrisse storie,ma at tese più all'eloquenza, che alla scienza del diritto. Lucio Crasso, fratello di Publio Muzio,e chiamato anche Muciano,da Cicerone è detto ilpiù facondo dei giureconsulti. Quinto Muzio, figlio di Publio e pontefice massimo, ordind pel primo il diritto civile, raccogliendolo in diciotto libri.  In appresso Publio Muzio, Bruto e Manilio fondarono il diritto civile : Muzio lascio dieci libri, Bruto sette, Manilio tre ; e di Manilio sussistono a monumento alcuni volumi scritti, Bruto fu pretore, gli altri due consoli, e Publio Muzio anche pontefice massimo.   Muzio ebbe più discepoli, tra i quali maggior fama acquistarono Gallo Aquilio, Balbo Lucilio, Sesto Papirio e Cajo Giuvenzio : Servio dice che Gallo ebbe grande autorità presso il popolo. Di tutti questi si conserva memoria,perchè Servio Sulpizio pose nei suoi libri iloro nomi: ma non restano loro scritti che tutti desiderino ed abbiano tra le mani: pure Servio compi i libri suoi, dai quali si ha memoria dei predetti. Servio che nel perorare le cause occupò il primo posto dopo Marco Tullio, si dice essere una volta andato a consultare Quinto Muzio intorno ad un affare d'un suo amico ; e, non avendo compreso quello che Muzio rispondeva intorno al diritto,gliripeté ladimanda;ma,non avendo meglio compreso la risposta,Muzio lo rimproverò,dicendo esser vergogna che un patrizio e nobile, che perorava cause, ignorasse il diritto che pure avea sempre tra le mani. Tocco da questo affronto, Servio si applicó al diritto civile, e fu discepolo a molti di quelli che abbiamo nominati: Balbo Lucilio gli diede i primi rudimenti, e lo perfeziono Gallo Aquilio da Cercina, onde di lui abbiamo molti scritti in Cercina. Morto in un'ambasceria, il popolo romano gli eresse una statua che tuttora si vedle sui rostri di Augusto : lasciò forse centottanta libri, assai dei quali restano ancora . Da questomoltissimiimpararono;quelliperòchelasciaronolibri,sono Alfeno Varo, Caio Aulo Otilio, Tito Cesio, Antidio Tucca, Anfidio Namusa , Flavio Prisco, Cajo Atejo, Placurio Labeone Antistio, padre dell'altro L a beone Antistio, Cinna e Publio Gellio. Di questi dieci, otto scrissero libri, che da Anfidio Namusa furon tutti ordinati in cenquaranta libri,ed acqui starono grande celebrità Alteno Varo ed Aulo Otilio,dei quali il primo di ventò anche console, il secondo cavaliere soltanto. Fu questi amicissimo di Cesare, e lasciò molti libri che trattavano ogni parte del diritto civile, scrisse anche pel primo intorno alle leggi della vigesima ed alla giurisdi zione. Il medesimo pel primo commentò con grande diligenza l'Editto del pretore, mentre pria di lui Servio avea intorno a quello scritto soltanto due libri brevissimi, diretti a Bruto . Di quel tempo furono anche Trebezio, discepolo di Cornelio Massimo, Aulo Cascellio, Quinto Muzio, discepolo di Volusio che ad onore di quello l a s c i ò p e r t e s t a m e n t o e r e d e il s u o n i p o t e P u b l i o M u z i o . F u q u e s t o r e , n è a c cettar volle onori maggiori, sebbene Augusto gli offerisse anche il conso lato. Di questi dicesi che Trebezio su più istrutto di Cascellio, e questi più eloquente del primo; di ambidue più dotto fu Otilio.Di Cascellio non resta che un libro solo di bei motti;molti di Trebezio,ma poco ricercati. Quindi v’ebbe Tuberone discepolo di Ofilio, patrizio, che dal trattar le cause passo ad esercitare il diritto civile, specialmente dopo ch'ebbe ac cusato Quinto Ligario senza poter ottenere da Caio Cesare che fosse con  148   dannato.Questo Ligario, mentre comandava nelle spiagge d'Africa, non vi lasciò approdare Tuberone malato, nè prender acqua : di ciò accusato, fu difeso da Cicerone, del quale esiste la bellissima orazione intitolata A f a vore di Quinto Ligario. Tuberone fu dottissimo nel diritto pubblico e pri vato, e lasciò molti libri intorno all'uno e all'altro ; affetto per altro lo scrivere antiquato, e perció i suoi libri piacciono poco. Seguono Atejo Capitone, discepolo di Ofilio, ed Antistio Labeone che tutti questi udi,ma fu istruito da Trebazio.Atejo fu console: e Labeone, offerendogli Augusto il consolato per sostituzione, non volle accettar l'o nore, per non interrompere i suoi studi, giacchè avea cosi ripartito l'in teroanno,chestavaseimesiinRoma coglistudiosi,glialtriseisene ritirava per attendere a scriver libri, e lasciò quaranta volumi, molti dei quali corrono per le mani di tutti. Costoro formarono quasi due sette o p poste : poichè Capitone seguiva il vecchio che gli era stato insegnato ; L a beone, per natura dell'ingegno suo e per fiducia di sapere, poichè avea atteso anche agli altri rami della sapienza, intraprese d'innovare moltis sime cose.E così a Capitone succedette Massimo Sabino,a Labeone Nerva, i quali due accrebbero quella divisione. Nerva fu amicissimo di Cesare; Massimo fu cavaliere, e pel primo diede risposte in pubblico, secondo gli fu concesso da Tiberio Cesare. M a , come tutti sanno,prima di Augusto non dai principi concedevasi il diritto di dar risposte in pubblico, ma chiunque confidava negli studi fatti, ri spondeva a quanti lo consultavano. Nè però davansi queste risposte in iscritto,ma perlopiùlescrivevanoigiudicistessi,oleattestavanoquelli che gli avevano consultati. Il divo Augusto pel primo, onde in maggiore stima venisse ildiritto,ordinò che si dimandasse per l'innanzi,come pri vilegio, di poter dare risposte in pubblico. Poscia Adriano,principe ottimo, avendogli alcuni, ch'erano stati pretori, domandato di poter essere consul tatiinpubblico,cosilororescrisse: Nonvolersiciòdimandare,ma fare; consolarsi,se vi avesse qualcuno che,in se confidando, si apprestasse a ri spondere al popolo. Da Tiberio Cesare, adunque, fu concesso a Sabino che rispondesse al popolo. Questi entrò nell'ordine equestre nella avanzata età di quasi quarantacinque anni; ebbe scarse sostanze, ma fu molto aiutato da'suoi ascoltatori. Gli successe Cajo Cassio Longino, la cui madre era figlia di Tuberone o nipote di Servio Sulpizio, perciò egli chiama Sulpizio suo proavo. Fu console con Quartino al tempo di Tiberio,e godette grande stima nella città, fintanto che Cesare non lo caccio. Andò quindi in Sar degna, e, richiamato da Vespasiano, mori in Roma.A Nerva succedette Proculo.Diquei tempifuancheNervafiglio,edun altroLongino,cava liere, che poi sali fino alla pretura. M a autorità maggiore ebbe Proculo e  i s e g u a c i d e l l e d u e s e t t e d i C a p i t o n e e d i L a b e o n e ; p r e s e r o a l l o r a il n o m e di Cassiani e di Proculiani. A Cassio succedette Celio Sabino che molto potè ai tempi di Vespasiano;a Proculo,Pegaso che sotto lo stesso impe radore fu prefetto della città;a Celio Sabino,Prisco Giavoleno;a Pegaso, Celso;a Celso padre,Celso figlio e Prisco Nerazio,iquali furono ambidue consoli, anche Celso due volte ;a Giavoleno finalmente succedettero Aburno Valente, Tusciano e Salvio Giuliano. -    CAPITOLO DUODECIMO. Il Giureconsulto e la Decadenza Il periodo unitario, per non rovinare nello accentramento , è equilibrato da quattro contraccolpi che sono le due guerre ser vili, la guerra sociale, la guerra civile e la guerra gladiatoria. Il Pretore ha annunziato una parola solenne nel diritto: l'e+ quità. La parola equità non è in Roma una legislazione, è una correzione, m a intanto col pretore è giunta al suo secondo periodo, è passata cioè dalla eguale notizia della legge dentro la legge istessa. Dove il legislatore era stato duplice, ed in dis sidio continuo, l'equità non poteva entrare che come correzione e in forma di casi particolari. L'equitå vorrà dire, di certo, che la repubblica signorile è fatta popolare ; che i peblisciti contrappesano i senato -consulti; che le grandi differenze si livellano ; m a dice qualcosaltro : l’e quità è una certa unità giuridica che preannunzia l'unità po litica. Ho designato i due grandi periodi dell'unità politica:l'unità italica; l'unità della civiltà mediterranea. Le sannitiche ele pu niche determinano specialmente questi due periodi.   Che cosa furono le due guerre servili e la guerra gladiato ria, quale valore e significanza ebbero, e furono guerre davvero, o un impeto disperato senza eco e senza effetto? Gli storici an tichi non danno ó fingono non dare molta importanza alle due guerre servili, con le quali si apre e chiude la generazione che 1 .   152 va dal 619 al 651. L'alto rumore di ciò che gli storici latini chiamarono Graccanae, e poi della guerra giugurtina, e poi della invasione dei Teutoni e dei Cimbri, gli uni sterminati da Mario nella Gallia transalpina, gli altri nella cisalpina, e poi della guerra sociale, e,immediatamente dopo,della prima guerra civile tra Mario e Silla, occasionata da Mitridate VII,tutto questo che non è poco rumore insieme con la politica sprezzante verso i servi, non arriva a spegnere il furore nè a soffocare il grido de' servi, che, levatisi a guerra vera contro i padroni, si batterono, vinsero, e poi caddero uccisi piuttosto che sconfitti. Strana guerra, m a spiegabile in R o m a e dopo il pretore e nella repubblica popolare. La voce dell’equità pretoria, l'aliud initium libertatis, che equilibra patrizii e plebei, l'imperio consolare coll'ausilio tri bunizio, creditori e debitori, padri e figli, romano e peregrino, quella arriva tra servi e padroni. I servi cominciano a voler essere considerati non romana mente,perché non sono e non si sentono di Roma,ma umana mente,da che sono venuti a Roma da ogni parte dell'umanità, ed hanno veduto in R o m a la lotta per l'equità. Hanno veduto e saputo che i diritti si strappano, e la solle vazione comincia dalla Sicilia, dove maggiore era il numero dei servi condannati alla coltivazione de'latifondi. Primo ucciso Da mofilo,proprietario di latifondi, in Enna,oggi Castrogiovanni; poi, disfatti quattro eserciti romani; in ultimo, de'settantamila servi cinquantamila uccisi in guerra, ventimila in croce. Nella seconda servile il moto fu più ampio : non si sol levarono i servi soltanto, m a insieme gli oppressi peggio che servi : proletarii e diseredati. I servi superstiti alla guerra si scan narono tra loro. Simile guerra non si era veduta mai, e la lotta per l'equità facevala possibile a Roma .Ed alle servili somiglia la guerra gla diatoria che può anche passare come terza delle servili, e della quale gli storici del diritto costumano non toccar motto. Eglino    153 Gli storici romani lodano Spartaco a denti stretti, chiamano guerra appena le due servili e la gladiatoria, e non si accor gono che sono le prime guerre,dopo le quali la sconfitta è toc cata ai vincitori. Da Euno a Spartacoilgridoè uno,quellodellavecchiaplebe romana : libertas aequanda;summis infinisque jura aequare.Cið che rispetto a quella plebe sediziosa erano stati i Gnei G e n u n zio ed i Publilii Volerone, surono,rispetto ai servi ribelli,ilsiro Euno e il trace Spartaco: gli uni tribuni della plebe romana, gli altri tibuni dell'umanità servile : quelli per giungere all'equità latina,questi all’equità umana. Senza queste prime considerazioni non sarebbe intesa l'uni versalità del responso. Mentre si acqueta la seconda guerra servile, divampa la guerra sociale,col proposito di conseguire non l'equità umana, ma l'equità romana e con effetto immediato. La guerra sociale durd men di due anni, rapida e violenta, se a conto di Vellejo Patercolo costo all'Italia più di trecentomila uccisi. E fu detta sociale non già nel senso moderno della parola,ma perchè mossa contro R o m a da’socii italiani, reclamanti parità di diritti politici e civili co’romani, dopo aver falio insieme con quelli la potenza diRoma.L'aspettazione c !epromesse eranostatelunghe;iltri huno Livio Druso che ricordavale, mettendo in una tre rogazio ni, fu morto prima de'Comizii;e con quella morte fu inteso che i diritti, data l'ora, si strappano, non s'impetrano.  non sanno che possono a lor grado diminuire i nomi di Euno, di Cleone, di Trifone e di Atenione,condottieri di servi,ma per nessuna via giungeranno a diminuire il nome di Spartaco che all'altezza del proposito univa l'arte dei mezzi. Spartaco intese l'ora e il luogo,cioè quando doveva dare il segnale della rivolta e come uscir d'Italia; intese ancora come gli restava a cadere, quando l'Italia gli si era fatta terra fatale. -- I seimila gladiatori, lungo la via Appia, appesi alle croci,come già i ventimila servi, dicono uno sterminio, non una sconfitta.   154 Di quindi la confederazione repubblicana, della quale i socii elessero centro Corfinium , cui posero nome Italica per signifi care il carattere nazionale della confederazione e della lotta. I centomila combattenti de'confederati si elessero duce Pompedio Silone, nome di un sannita,che ai popoli italici dev'esser sacro quanto il tribuno alla plebe romana, quanto Spartaco ai servi di ogni paese. Fu morto anche lui, uccisi i suoi,dopo la rovina di quattro eserciti romani,ma questa volta chiaramente i più scon fitti furono i vincitori. La guerra fu cominciata nel 663 : mentre durava, il diritto italico cominciava a farsi romano con la lex Julia(664),e,finitalaguerra,tuttal'Italiaacquistava idiritti di cittadinanza romana con la lex Plautia (665). Ecco l'evoluzione di questi diritti di cittadinanza derivati dalla guerra sociale : 1a gl'Italiani furono, per l'esercizio del suffragio, classificati in otto tribù nuove,aggiunte alle trentacinque pree sistenti; sicché tutta l'Italia venne a conseguire otto voci,quando Roma ne aveva trentacinque:sproporzione subito corretta, per chè gl’Italiani riuscirono in breve tempo a farsi distribuire pro porzionalmente nelle trentacinque tribů romane ; 2° il suolo ita lico è distinto dal suolo provinciale, è equiparato all’ager r o m a nus e liberato dal vectigal.L'italiano ha guadagnato ildominium ex jure Quiritium . Dopo la guerra sociale il diritto romano ė diritto italiano.Tra il romano e l'italiano sparisce il pretore peregrino. Non si ripeta questo errore,che le guerre servili furono ster minio senza essetto, e che feconda fu la guerra sociale. Dicasi invece che gli effetti delle guerre servili sono immediatamente invisibili e saranno più tardi raccolti dal filosofo e confidati al l'ideale di un jus hominum , mentre immediati sono gli effetti della guerra sociale, immediatamente saranno raccolti dal pre tore e dal giureconsulto, e passeranno nella costituzione politica diRoma.IlgeniomilitarediRoma potevaabbandonareiservi su'colti, m a non poteva espandersi senza de’socii. Interpretiamo la prima guerra civile.Da questa Montesquieu    torse gli occhi, e dentro questa bisogna ficcarli, per intendere la decadenza . L'Italia ha conseguito lacittadinanza romana,quando in Roma la cittadinanza ha perduto d'intensità quel che ha guadagnato di estensione. L'Italia, contro la vittoria di Silla, ultimo vindice della ragione quiritaria, ha afferrato il dominio ex jure Quiritium ; m a i Quiriti dove sono ? Dove i patrizii ed i plebei ? Se tra l'i taliano ed il romano è sparito il pretore peregrino, si può dire che il pretore urbano duri per sentenziare tra il patrizio ed il plebeo ? La guerra civile è una funesta rivelazione, non per le proscrizioni, ma pel sinistro lume sparso sulla rovina morale de'romani. Con la guerra civile si apre la reazione de'grandi de litti contro le tradizioni dell'eroismo civile. Accenniamo , non possiamo narrare Quelle facce sinistra mente predesignate di Mario e di Silla rivelano due diversi tipi di sanguinarii, vuoti d'ideali. Mario agitavasi in nome di una plebe ch'ei non ama, perchè non trova;Silla reagisce in nome di un patriziato ch'egli, quando non può rialzare,disprez za.Sapevano guerra e movere legioni agguerrite; ma caddero sopra sė medlesimi, senza lasciar traccia, perchè vissuti senza disegno. Mario finisce, non ricordando la plebe, m a sforzandosi dimenticare sė ; Silla, ricordando sè solo, e buttando la ditta tura che sforzavalo a ricordarsi d'altrui. Grande fu lo stupore del gran rifiuto non per viltà,ma per disprezzo: Silla non aveva potuto rizzare il vecchio patriziato, come Giuliano non evocare gli Dei morti. Nulla dicono intanto quei funerali di Silla,e due mila corone d'oro intorno all'arca marmorea, e lo scorruccio d'un anno alle matrone? Dicono una sola cosa:che la repub blica è finita, e che R o m a aspetta il principe col motto di Asinio Gallo in Tacito : U n u m esse reipublicae corpus, atque unius animo regendum . L'assenza delle due parti che han fatto l'alto dissidio di R o m a , delle parti che han combattuto la lotta pel diritto, composta nel l'equità, l'assenza di quella plebe indomita e gelosa della sua  155 .   maestà, e di quel patriziato che, quando non arriva a giustificare la preminenza con diversioni eroiche, tramuta in concessioni gli strappi, è accusata in Roma da due fattiirrefragabili: dalla uni versale viltà che accompagnò le proscrizioni sillane, e dal soli loquio infecondo dell'ultimo Gracco,al quale,moriente,addicevasi meglio il motto di Bruto minore (1). E ,dato il significato delle guerre servili,della gladiatoria,della sociale e della civile,è tempo di spiegarsi l'assenza delle antiche parti, la quale lascia intravveder l'Impero. La devastazione bellica, segnatamente dopo laseconda punica, e l'importazione commerciale sono le due cause precipue,onde i piccioli fondi cominciano a sparire per formare i latifondi,e però cominciano a spostarsi le parti, sostituendo alla questione poli tica la sociale : dov'erano patrizii e plebei cominciasi a vedere ricchi e poveri. Quindi, il potere pe’ricchi,le frumentationes pe' poveri, l'agricoltura pe’servi.Quindi,mentre da Silla a Pompeo la facoltà de'giudizii ballottavasi da’senatori a'cavalieri e viceversa, l'ordine giudiziario corrompevasi , di giuridico facendosi politico, e, più che politico, personale. Quindi,mentre i Gracchi e Mario cer:ano invano la vecchia plebe, da che la nuova, secondo Sal lustio, privatis atque publicis largilionibus excita, urbanum otium ingrato labori praetulerat, Silla cerca invano il vecchio patriziato,corrotto da'nuovi cavalieri,tra'qualisiviene a reclutare la mala genia de'publicani. Mentre si fa la romanizzazione del (Alcuni,per trovare qualche cosa di liberale intorno a questo tempo di Roma,hanno avuto ricorso persino alla congiura di Catilina,celebrando quest'uomo con inni assai postumi ed assai brevi, e allogandolo quasi tra il s o c i a l i s t a e il n i c h i l i s t a d e ' n o s t r i t e m p i . M a l a s t o r i a n o n p a t i s c e q u e s t e violenze e sfata questi travestimenti insignificanti. Catilina è rientrato s u bito nel posto destinatogli dalla storia, a documentare due cose : la degra dazione del patriziato e la reazione dei grandi misfatti contro le tradi zioni dell'eroismo civile. Ciò ch'egli non poteva trarre dal valore militare, splendido in Mario e Silla, voleva dalla congiura.E la degradazione morale fu chiarita dalla guerra combattuta in quel di Pistoia, dove l'esercito m a n dato contro Catilina era condotto da un complice nella congiura !  156   157 mondo, il genio di Roma si sposta:l'agricoltura ch'era romana, diventa servile; ed il commercio che non era romano , diventa cavalleresco . Costituiti ilatifondi, l'agricoltura, per necessità, diventa ser vile e produce meno, giusta la ragione di Plinio: Coli rura ab ergassulis pessimum est, ut quidquid agitur a desperantibus. Il commercio diventa deʼricchi, e però assume le forme peggiori, quelle della soperchianza senza lavoro :le societates publicanorum corrompono leggi, megistrature, popolo. E da qui, secondo Ta cito, anche le provincie presentivano Augusto : Suspecto senatus populique imperio,ob certamina potentium et avaritiam magi stratum : invalido legum auxilio, quae vi, ambitu, postremo pe cunia turbabantur. Spariti i piccoli possidenti agricoltori, dopo tante lotte per le leggi agrarie i discendenti della plebe si trovavano più poveri di prima , m a tristamente paghi di questa povertà, alimentata prima dalle frumentationes, e poi da'congiaria. Alla plebe plebiscitaria era succeduta la plebs frumentaria. È certamente una costituzione politica che si sfascia, quella caduta tra due classi estreme (ric chissimi e proletarii), non equilibrate da quell'ordine intermedio che è diffusivo di sua natura, e per creare il quale R o m a aveva combattuto tante lotte agrarie. Basti, per ispiegarsi molto,voler sapere la popolazione d'Italia verso il tempo delle guerre servili. Eccola : quattordici milioni quasi i servi; quasi sette milioni i liberi, e di questi almeno sei milioni i proletarii. Era naturale:una ricchezza di cinque milioni di denari era povertà; e per esse ricco bisognava con Crasso, co'liberti Lentulo e Narcisso, ed anche con lo stoico Seneca,sa lire a più centinaja di milioni ! Conchiudiamo :dove c'è questa ricchezza di centinaja di milioni, ci dev'essere a fianco un vasto proletariato ; e dov'è finita la plebe romana, è finito il patriziato. Non c'è più plebe,da che è frumentaria,non più patriziato da che è pubblicano,non c'è senatus popolusque nè populus plebs    que romana : c'è un volgo immenso o mobile o profano, volgo sempre, diviso tra ricchi e poveri. E contro questo volgo si av ventano implacabili i classici, tante volte volgo anch'essi, da che furono corrotti gliscente adulatione. Gli Augusti ed i loro m i n i stri -- Mecenati o Sejani che sieno sono divi non solo per i bramosi di pane e giuochi, non solo per i liberti imperanti e per gli stoici traricchiti, ma per gli scrittori che più simulano sdegno contro l'adulazione pubblica, quanto meno la possono su perare ne'loro versi e prose. Nė in tanto scadimento dell'anima civitatis resta la religione come supplementum civitatis defectui. Il mondo romano ha avuto più o meno di superstizione, e forse molta,ma religione sempre poca. Assai prima che Lucrezio derivasse nella cosmologia latina l'atomismo epicureo e creasse un poema ateo senza riscontro il poema dei dotti romani assai prima Lucio Azzio,il primo tragico nato in R o m a , faceva rappresentare pubblicamente sue tragedie poco riverenti agl’Iddii patrii. Nè di questa irriverenza gli faceva rimprovero il vecchio Pacuvio, ma della durezza de' versi, onde per contrario Azzio lodavasi, perchè quella durezza faceva riscontro alla fierezza delle sentenze.E iversi atei e duri del poeta tragico, attraversando i secoli più molli, erano letti e recitati al tempo di Lucrezio, di Silla e di Cicerone. A questi piaceva udire una voce antica, quasi divinatrice, di poeta : Neque profecto Deùm summus rex omnibus curat. Cosi trovasi da secoli apparecchiato l'ambiente ad Epicuro, ad Amafinio che lo esporrà in prosa, ed a Lucrezio, in versi. E , quando lo stoicismo con simulato sopracciglio verrà a velare la dottrina epicurea, Seneca ripeterà con gonfiezza stoica sen tenze lucreziane: Mors est non esse. Hoc eritpost me quod ante fuit. Ed altrove : Cogita illa quae nobis inferos faciunt terribi les, fabulam esse : nullas imminere mortuis tenebras, nec flu mina flagrantiaigne,necoblivionisamnem,nectribunalia.Lu serunt ista poetae, et vanis nos agitavere terroribus.  158 Jam jam neque Dii regunt,   159 Questo spiega come, mentre agli auguri è possibile sorridere guardandosi l'un l'altro, a Catilina è lecito patteggiare co' con giurati sino gli ufficii ed i gradi sacerdotali, dopo avere, impu nito, stuprato una vestale ! Spiega perchè, in questa decadenza, ai vincitori di Annibale sia fatto difficile vincere un Giugurta che sin da Numanzia aveva imparato a chiamare vendereccia R o m a, ed era incatenato da un peggiore di lui, Mario ; come a narrare un Catilina occorreva un più tristo, Sallustio.— Spiega anche più : dove la religione dechinava senza esservi stata mai gran fede, e però nessuna lotta religiosa, era imminente, non che possibile, una religione nuova : i primi cristiani sarebbero stati perseguitati come rei di Stato,non come religiosi.Sarebbero stati mai, come religiosi, puniti dai ricordatori di Lucio Azzio, dagli uditori di Amafinio, dagli ammiratori di Lucrezio e dai ripeti tori di Quinto Sestio ? Dov'erano stati condannati e sbandeggiati gli Dei pel solo sacrifizio d'Ifigenia,sarebbero stati glorificati nel sangue di migliaia di cristiani ? (1) Questo è scadimento, perchè, mentre da una parte si fa la romanizzazione, come la dicono, del mondo, dall'altra si fa la degradazione di Roma.Dovrebbe parere che, mentre l'umanità siromanizzava,per contraccolposiumanizzasseRoma:ma non si può dire cosi, perchè Roma portava al mondo il diritto, e il Deducta est,non ut,solemni more sacrorum Perfecto,posset claro comitari Hymenaeo : Sed casta inceste nubendi tempore in ipso Hostia concideret mactatu moesta parentis, Eritus ut classi felix, faustusque daretur. Tantum relligio potuit suadere malorum . Empio è detto da Vico questo epifonema,piaciuto ai vecchi romani che in forma induttiva trovavano raccolto in esso un sentimento comune,e giudicavano, secondo equità, più empio il rito che l'epifonema. E pel m e desimo sentimento dell'equità,più intenso del sentimento religioso,riscon trata la sepoltura di Pompeo e di Catone con quella di un mimo,poterono domandare : Et creditis esse Deos ?  (1) N a m sublata virum manibus tremebundaque ad aras   mondo portava a Roma le spoglie che facerano il lusso, come il lusso faceva la barbarie raffinata che è la decadenza. Quale umanesimo potevan portare a Roma la Grecia disfatta e le pro vincie barbare ? La romanizzazione si fa più rapidamente nelle provincie bar bare, che non dov'è la civiltà disfatta : prima si romanizzano la Spagna, le Gallie, le provincie britanniche e le danubiane, e dopo le greche e le fenicie che a R o m a contrappongono quale le tradizioni e quale la prosunzione. La Grecia riesce a insinuare la lingua di Omero e di Platone sin nelle ordinanze e ne'giudizii de'magistrati romani : ma la lingua del diritto finisce col vincere quella della poesia e della metafisica ed a portare tra il portico ed il liceo, contro le pe tulanti proteste de'retori, la scuola del giureconsulto.Allora è che il romano, mentre deplora la decadenza interna, glorifica in ogni forma la sua vittoria giuridica sopra il mondo . Allora Virgilio dice al greco superbo : T u parla e scolpisci meglio ; noi domineremo te e il mondo con le leggi, perdonando ai vinti e vincendo i superbi (1). Allora è che Plinio dice che l'Italia, romanizzando il mondo,ha dato l'umanità all'uomo ed una pa tria sola a tutte le genti : Colloquia et umanitatem homini daret, breviter una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret. E sotto questo rispetto fu possibile un cosmopolitismo più pratico di quello degli stoici, in quanto non negava le nazioni,ma dava loro unità e colloquio da Roma :concetto raccolto da un impe ratore in questa sentenza : Patria mei, Antonini, R o m a : h o m i nis, mundus. Ciò è vero ed è grande : ma che portavano a Roma que're (1) Excudent alii (e sono i Greci) spirantia mollius aera. Credo equidem , vivos ducent de marmore vultus. Orabunt causas melius, coelique meatus Describent radio, et surgentia sidera dicent. Tu regere imperio populos, Romane, memento : Hae tibi erunt artes...incatenati, que'servi, que’gladiatori, que'retori e mercanti ? Come uomini gonfiavano la superbia del vincitore, come vinti lo corrompevano. Ma non bastava ad umanizzare vincitori e vinti il Diritto che era nella missione di Roma e da Roma dettato al mondo ? Certo, bastava, se il diritto romano fosse stato tutto il diritto umano,tutto,come oggi lo intendiamo,come oggi la scienza e la storia ce lo han fatto. M a non dobbiamo preoccuparle questa scienza e questa storia:dobbiamo vedere come in mezzo a que sta decadenza che abbiamo descritto, sorge e grandeggia il giu reconsulto . Il giureconsulto è l'espressione più elevata e più certa di questa romanizzazione del mondo. Più si dilarga la forza uni taria di R o m a, e più il responso del giureconsulto universaleg gia. Il responso vero, quello che diverrà fondamento d'istitu zione e di legislazione nel medesimo tempo,spazia tradue leggi de civitate, cioè dalla cittadinanza italica sino alla cittadinanza universale.Che importa che Roma corrompa sė,romanizzando il mondo ? Certo è che Roma non poteva fare l'unità delle genti senza disfarsi, e che questa unità doveva avere la sua espres sione giuridica. Ecco il giureconsulto. Dove la legge de civitate assume l'espressione più ampia e tocca il fastigio, ivi sorge il giureconsulto massimo che dà il più universale responso, il più umano,e rifiuta la vita per la santità del medesimo. Fa gene rosamente per il responso ciò che Catone uticense ostinatamente per la repubblica. Né le dodici tavole vecchio diritto aristocratico,nè le ro gazioni tribunizie vindici della ragione plebea , nè l'editto pretorio espressione limitata dell’equità , potevano esprimere Ja missione giuridica di Roma nell'unità del mondo. Tribuno e Pretore erano romani ; il Giureconsulto romanizza . Romanizza in tre periodi e modi : 1° elevando l'equità partico lare ad equità civile; 2° l’equità romana ad equità italica; 3o l'e quità italicaad equità umana.Ilresponsouniversaleggial'editto. Disegno di una Storia del Diritto,ecc.,ecc.  L'editto ha sempre qualcosa di particolare rispetto all'obbietto, alle persone, al tempo, alla forma. Di repentino farsi perpetuo non significa farsi universale : solo comprenderà quanti casi con simili entreranno nel giro di un anno. Certo, chi legge che l'e ditto pretorio è fatto jurisdictionis perpetuae causa, non prout res incidit, può credere che quella perpetuità sia universalità ; è invece la perpetuità della giurisdizione pretoria, la durata di un anno.Perciò non ismette la forma individuale, non assegue mai nè l'universalità teoretica delle formole razionali, nė l'im perativo impersonale delle dodici tavole. Tutti gli editti pretorii che oggi leggiamo,come de jurisdic tione, de pactis, de in jus vocando, de edendo, de postulando, de iis qui notantur infamia , de procuratoribus, de negotiis gestis, de in integrum restitutionibus, de nautis, cauponibus et stabu lariis recepta ut restituant,dejurejurando voluntario, de publi ciana in rem actione, de servo corrupto, de aleatoribus, de his qui effuderint vel dejecerint, tutti hanno la forma individuale, espressa in ultimo dalle parole jubebo, servabo, dabo, cogam, animdvertam e simili, o anche dall'espressione più individuale permissu meo, come in questa de in jus vocando :– Parentum , patronum,patronam , liberos,parentes patroni,patronae, in jus sine permissu meo ne quis vocel. E non solo l'edittodel pretore,ma anche l'aedilitium edictum, ma col dabimus, tenuto conto che due erano gli edili curuli o maggiori, come già due gli aediles plebeii (1). Ex his enim cau sis,judicium DABIMUS.Hoc amplius, si quis adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur, judicium dabimus. Non è già che qualche volta non s'incontri la formola più generale, ma o come dichiarazioni o come illazioni della for mola singolare che distingue propriamente l'espressione giuri sdizionale dalla legislativa. (1) Per l'utilità di queste notizie ho riportato in nota il frammento di Pomponio.    Ora veniamo alla sostanza. Come fa il pretore ad insinuare l'equità nell'editto senza aperta violazione del s u m m u m jus ? Che sarà questa gratia corrigendi juris civilis, per non essere negazione del diritto civile e sostituzione dell'arbitrio indivi duale ? Sarà, più che di frequente, una finzione pretoria che verrà ad alterare il fatto per serbare inalterato il diritto, e a p punto questa finzione di fatto correggerà la iniquità di diritto. Cosi il pretore fingerà pazzo il savio, vivo il morto , morto il vivo , e per processo di finzioni insinuerà da presso ai c o n tratti ed ai delitti i quasi-contratti ed i quasi-delitti. Que'quasi che degradano all'indefinito, sono indici dell'alterazione di fatto. La necessità che sia corretta questa contraddizione che con trappone la fictio facti all'iniquitas juris, indica la necesstà di un istituto che superi l'editto pretorio. Nell'editto l'equità pre domina,ma particolare,intrusa sotto la finzione di fatto con trapposta all'iniquità di diritto. Che è la finzione di fatto ? È il prodotto di un mutato criterio di diritto, è la protesta del fatto contro il vecchio diritto, è l'impotenza del vecchio diritto a c o n tenere il nuovo fatto e la nuova vita. Quindi, la necessità che il diritto si alzi a quel criterio presupposto dalla finzione di fatto.Questo criterio liberato dalla condizione di semplice pre supposto, questo criterio espresso e messo in grado non di torcere il fatto, ma di contenerlo tutto, di contenerlo come è nella storia e nel costume, costituisce il responso del Giurecon sulto. L'editto è costretto a torcere il fatto ; il responso univer saleggia il criterio inventivo che simula e dissimula il fatto. E con questo l'iniquità di diritto cade non per finzione, m a per natural ragione. Il responso corregge la correzione del diritto, erchè il diritto dev'essere il supremo correttore della vita so ciale . Per via di questa finzione di fatto il mondo non si sarebbe mai romanizzato,non l'avrebbe intesa nè imitata; ma per via del responso il mondo non si sente debellato, ma vinto vinto, perche issimilato. A questa universalità non si può giungere se non per la via delle definizioni, natefatte per universaleggiare, e per la via del metodo scientifico che mena alle definizioni reali e razionali. E del metodo vien dato merito a Servio Sulpizio ; delle definizioni a Quinto Scevola. I quali due sono giuristi e letterati per asse guire quel romano nihil tam proprim legis quam claritas:lode data da Cicerone sopra ogni altro allo Scevola, perchè adjunxit eliam el literarum scientiam. Con che si dice che la letteratura, la quale per altri è ornamento e pura erudizione, pel giurecon sulto è scienza. E , giacchè questa scienza e come metodo e come arte qui comincia , ho potuto affermare che il Giureconsulto grandeggia tra le due leggi de civitate, cioè dalla cittadinanza italica sino alla cittadinanza universale, dal 664 al 964 — tre secoli — dalla lex Julia sino ai libri quaestionum , responsorum et definitionum di Emilio Papiniano. E cosi sorge e cosi vien su e sale ampio il responso. Come Aulo Cascellio non volle mai deviare il responso da'fini dell'editto ed adattarlo sopra įli ordini emessi da’triumviri, affermando alto che la vittoria non giustificata non è titolo di comando ; cosi P a piniano volle piuttosto perdere la vita, che giustificare il fratrici dio commesso dall'imperatore, e adattare ilresponso a difesa del l'assassinio (1) Tale il tipo del giureconsulto. Entriamo a considerare il responso prima nella forma e poi nella sostanza. Venendo il giureconsulto con definizioni e metodo a liberare dalla condizione di presupposto il criterio che regola le finzioni di fatto contro le iniquità di diritto, egli universaleggia, innanzi tutto, l'equità, derivandola da una legge universale, superiore (1) So che gli storici contemporanei contestano la verità di questo fatto; m a ricordo che scrivevano sotto gli sguardi imperiali, e non sanno addurre altra ragione veruna della morte di Papiniano per ordine di Caracalla,se condo Dione Cassio ed Aurelio Victor.  104   alle dodici tavole, superiore all'editto del pretore ed a tutti i s e coli della letteratura e delle tradizioni giuridiche, e la chiama, con Cicerone, lex nata ante saecula, comunis hominibus et Diis, quibus universus hic mundus quasi una civitas existimanda. È , dunque, una regola di ragione, alla quale uomini e Dei non possono sottrarsi e per la quale il mondo è come una città sola.Il concetto pare stoico, m a risale i tempi sino alle tradizioni itali che,nelle quali è detto:Idem est ralioni parere ac Deo.La ra gione comincia a prendere il luogo del vecchio Fato che dalle spalle passa di fronte a Giove. E da codesta universalità della regola razionale derivasi la definizione della giurisprudenza: Notitia rerum divinarum atque humanarum , justi atque injusti scientia, ars boni et aequi. E di qui le tre regole comuni,secondo le quali le leggi hanno a farsi, ad interpretarsi, ad applicarsi : honeste vivere, neminem laelere,suum unicuique tribuere. Quanto alla forma, il giureconsulto non fa opera scolastica, non largheggia nelle definizioni: postane una in principio, piut tosto genetica che nominale, tira giù rapido alle applicazioni più pratiche, più vicine all'uso. - Movendosi rapido, usa termini tecnici ed evidenti, non moltiplica definizioni. Questo fine pratico ed immediato gli sta sempre innanzi,e fa il suo valore filosofico e letterario. Perciò, in mezzo alle antitesi ed alle gonfiezze della decadenza, il giureconsulto rimane artefice di stile e di lingua, epigrafico come ilgenio romano, e come abbiamo veduto Galileo e la sua scuola scientifica sottrarre il genio italiano agli artificii letterari del seicento. Quando il giureconsulto divaga dalla definizione fondamen tale e dal rapido processo dialettico, per qualcuna di quelle logofobie che sono imposte dal tempo, egli non cade nella reli gione, m a in qualche superstizione raccolta dalle tradizioni ita liche piuttosto che da altra parte. Paolo nelle senlenze stima p e r fetto il feto venuto fuori di sette mesi, secondo la ragione de'n u meri di Pitagora, dimenticando che perfettissimo a Pitagora era  il nove, quadrato di tre. E, mentre il giureconsulto ragionava con proprietà e rapidità matematica,cercando un contenuto quasi matematico all'equità, pure secondo il costume latino sapeva cosi poco di geometria da supporre la superficie del trian golo equilatero'eguale alla metà del quadrato eretto sopra uno de'suoi lati. E ciò che appunto di più notevole trovasi nella forma del giureconsulto, non è l'imperativo inflessibile delle dodici tavole, nè il futuro personale dell'editto,ma l'espressione universale de rivata dall'equo buono, inteso come equità civile piuttosto che penale,e più umana che romana. E questa universalità sciolta dalle finzioni e definizioni,rapida, evidente, immediatamente applicabile, sa epigrafico il responso più che l'editto,più che le formole delle rogazioni tribunizie, e quanto le dodici tavole che restano sempre tipo formale delle leggi romane.Porciò l'epigrafe monumentale al Rubicone - già confine di R o m a fu, sebbene oggi se ne contesti l'autenticità, detta una volta - ore digna jurisconsulti. Rispetto alla sostanza, il responso è da considerare nell'ori gine, nelle scuole e nella conchiusione. Il primo periodo del responso è un semplice astiarre e ge neralizzare lo spirito degli editti pretorii, ordinandoli e colle gandoli. Anche questa opera si giova del metodo scientifico e della definizione, e però nasce con Aulo Ofilio che si assimila, (1)JUSSU MANDATUVE POPULI ROMANI Cos.IMP.TRIB.MILES TIRO COM MILITO ARMATE QUISQUIS ES MANIPULARIE CENTURIO TURMARIE LEGIONARIE HIC SISTITO VEXILLUM SINITO ARMA DEPONITO NEC CITRA HUNC AMNEM RUBI CONEM SIGNA DUCTUM EXERCITUM COMMEATUMVE TRADUCITO SI QUIS HUJUSVE JUSSIONIS ERGA ADVERSUS. PRÆCEPTA JERIT FECERITQUE ADJUDICATUS ESTO HOSTIS POPULI ROMANI AC SI CONTRA PATRIAM ARMA TULERIT PENATESQUE SACRIS PENETRALIBUS ASPORTAVERIT. S. P. Q. R. ULTRA HOS FINES ARMA AC SIGNA PROFERRE LICEAT NEMINI.  Epigrafe legislativa, documento della missione latina.   167 per ordinare gli editti, l'opera di Servio Sulpizio e di Quinto Scevola : nasce ai tempi di Cicerone, nella generazione istessa della Lex Plautia de Civitate, con Aulo Ofilio Caesari familia rissimus, qui edictum praetoris primus diligentur composuit), e si chiude con Salvio Giuliano, legum et edicti perpetui subtilis simus conditor, il quale per disegno di Adriano stabilisce nel vero senso l'editto perpetuo, al quale i magistrati conforme ranno le loro disposizioni. Il responso assorbe il diritto onorario e lo supera. Il secondo periodo determina il metodo nel processo d'astra zione,lascia l'editto, e costituisce la scienza,creando due scuole nel vero senso della parola, e cosi chiamate dagli antichi :la scuola deSabiniani,che ebbe duce Attejo Capitone,ela scuola de'Pro culejani, derivata da Antistio Labeone. È vano dissimulare la dif ferenza : c'è nella qualità dell'ingegno e del carattere de'due m a e stri, nel contenuto de'responsi e nel conato posteriore di c o m perre le lue dottrine e le due scuole. In Labeone è più evidente l'indirizzo filosofico, in Capitone il metodo storico : non già che l'uno non tenga conto della storia e l'altro della filosofia, e che l'uno e l'altro non abbiano innanzi un fine immediatamente pratico: ma nell'uno prevalgono la de finizione e il discorso, nell'altro la tradizione. Sesto Pomponio nel frammento, da noi recato in nota,della sua storia del Diritto (De originejurisetomnium magistratuumetsuccessionepruden tium ) dice de'due : Antistius Labeo, ingenii qualitate et fiducia doctrinae, qui et in caeteris sapientiae partibus operam dederat, plurima innovare studuit: Atejus Capito in his quae et tradita erant, perseverabat. Il terzo periodo raccoglie le due scuole non in un eclettismo di Miscelliones, sognato da Cujacio, ma nella sintesi di Papi (1)Va intesochelecontroversiestorichesarannodamediscusse,quando potro liberare la storia del diritto dalla strettezza presente e confidarla a tutta l'espansione del pensiero. È chiaro qui che la perpetuità in senso di universalità viene dal giureconsulto,non dal pretore.    niano che nel responso raccoglie con mirabile armonia il dop pio indirizzo, e ispira nella legge ciò ch'è sacro nella ragione e nella storia. Oltre quest'altezza il diritto romano non poteva salire. L'impero aiuta l'ufficio del giureconsulto per queste ragioni: gl'imperatori odiavano il vecchio diritto aristocratico che aveva armato la mano di Bruto e di Cassio e non dimenticava privilegi impossibili innanzi all'imperatore:astiavano il diritto onorario,di origine aristocratica, e gareggiante con la potestà del principe nell'emissione dell'editto : e, scaduta la tribuna, vedevano volen tieri all'eloquenza giuridica succedere l'investigazione giuridica, all'oratore il giureconsulto. Potei,dunque,scrivere che,come iltribuno impiccioliva innanzi al pretore, così il pretore innanzi al giureconsulto. La promul gazione avvia all'editto, l'editto al responso . Il principio della reciprocita conversazionale.  lavoro o, come dicono, la specifi cazione; nė deve , sino a quando è semplice uso, alterare la forma in che si presenta la cosa. L'uso prepara la proprietà, il frutto la determina.- Ciò torna a significare che il prodotto è del produttore, solo proprietario dell'o pera sua.- In queste poche parole è tutta la dimostrazione.- Ma non vediamo, si dice,assai volte che la proprietà è di uno,ilfrutto di un altro ? — Vediamo anche peggio : vediaino la successione , la donazione, la prodigalità, l'avarizia, l'usura; m a quello che fu ed è   la proprietà non è quello che può e deve rimanere. L'usufrutto si presenta come risultamento d'illimitato dominio e nega nel mondo economico il principio di causalità.Il prodotto essere del produttore vuol dire che il frutto determina la proprietà. Il frutto la determina, il contratto l'esplica. Anche l'animale è produttore, può sopra le cose avere uso e frutto, m a il contratto è dell'uomo, perchè ei solo è onnimodo ed ha biso gno di tutti imezzi.— Perciò Dante partecipa all'agricoltore la gen tilezza di Francesca,la fierezza di Farinata,l'austerità di Catone, la salvazione di Manfredi , la misura della giustizia nell'universo ; l'agricoltore partecipa a Dante la misura del frumento. Senza quella partecipazione superiore, l'agricoltore è animale ; senza la parteci pazione frumentaria Dante è cadavere o inetto. Dirà che sa di sale ilpane altrui,ma lo mangerà,equel cibo glisitramuterà incanto. Questa è la circolazione della vita.- In somma ilprodotto è del pro duttore; il contratto lo fa sociale: il prodotto è individuale ; il con tratto lo fa umano . L'umanità è socialità, e questa è contrattualità. È il solo punto di vista da cui il filosofo deve considerare il con tratto . L'umanità è socialità,perchè l'assoluto monos non sarà mai l'uomo non salirà mai all'universalità della ragione, m a rimarrà chiuso nel l'egoismo,che più trasmoda e più imbestialisce.La ragione,essendo dialettica, non può attuarsi nell'io e nel tu, m a nel noi. È dunque intrinsecamente sociale.La società dunque non è convenzione, ma natura. Non si nega già che l'uomo sia passato dallo stato troglo ditico al sociale; ci passo di certo, e al passaggio fu aiutato da ter ribili esplosioni della natura esteriore:ma ilprimo e poi non toglie naturalezza alle cose. Il volgo crede che le cose più naturali sono le primitive e sino ad un punto a questo pregiudizio si accomoda l'istesso linguaggio hegeliano:ma da un punto più sicuro si deve dire che le cose asseguono la loro sincera natura nel fastigio non inprincipio.Dico che l'uomo è naturalmente uomo,è tale secondo la natura sua,quando ragiona,non quando vagisce;ma la ragione  - 287 ? Abbiamo varietà di vocazione , di lavoro , di produttori , di pro dotti, dunque di proprietà. Quindi proprietà agronomica, industriale, artistica, letteraria : non di ciascuno,m a necessarie tutte a ciascuno, perchè tuttefanno ilcumulo dei mezzi necessarii al fine umano. Come dunque passano da produttore a produttore e fanno la comu nità della vita , la totalità dell'uomo ? - Mediante il contratto , che però è definito l'esplicatore della proprietà.   è il fastigio dell'individuo umano e della storia , è la sui-aequatio, non il saluto di chi arriva.La naturalezza vera di una cosa è dun que l'equazione della cosa con sè medesima,cioè del soggetto con la propria essenza. Però l'uomo non è il troglodita, m a il cittadino e non l'esclusivo cittadino ma l'io-civile,il noi. -La società dun que non è da convenzione m a da natura : l'umanità è socialità. Ogni istante della vostra esistenza civile implica un concorso di volontà,un consensus,in somma un contratto espresso o tacito. L o s t a r e q u i a d u d i r m i , il r i e n t r a r e n e l l e v o s t r e c a s e , il c i b o , il r i poso sono atti della vita che implicano un consenso,un concorso di volontà , un esplicito o implicito contratto. E considerando che la socialità è contrattualità hanno distinto il contratto in pubblico e privato, e patto pubblico fondamentale hanno chiamato quello che då forma allo Stato.Forse non sarà veramente pubblico questo patto fondamentale, m a hanno avuto bisogno di crederlo e chiamarlo tale. Che cosa manca alla sincera pubblicità del patto fondamentale ?— Manca la natura della società presente , la quale, non uscita dallo individualismo, rende unilaterale e pero artifiziale la più parte dei contratti che oggi si fanno.La soperchianza dell'individuo sulla col. lettività si traduce nella soperchianza del più forte dei contraenti. Quando ilbisognoso corre all'abbiente sa di subire tutte le condizioni imposte dal capitale, il dieci, il trenta, il cento per cento, la tarda mercede e macra,i fastidii, il oa e torna che è furto di tempo,ed altro.Nondimeno corre,torna,incalzato dal carpe diem ,avvenga pure che il di appresso debba essere sospeso all'albero infelice.La prudenza gli dice che domani il capitalista lo spellera ; il bisogno lo persuade a risolvere l'oscurissimo problema dell'oggi.Il bisogno immediato vince dove affatto precaria è la condizione della vita e il domani si porge ignoto.Quindi quella forma di contratti che vogliono avere tutta la sembianza di bilaterali, dialettici , umani , m a in s o stanza sono unilaterali e soverchiatori in maniera blanda e insi diosa. Questi contratti hanno un consenso apparente , un dissenso  In che consiste questa socialità?- In uno scambio perenne, con tinuo di mezzi con libera necessità cioè in una volontaria permuta zione continua.Questa volontaria permutazione è il contratto. Dunque l'umanità è socialità ; questa è contrattualità. Il corollario è questo : qual'è in un tempo la forma della società tal'è del con tratto. Oggi la società è malthusiana , nel senso detto sopra ; m a l thusiano è il contratto.- Valgano i fatti a dichiarare questa dot trina.   289 Nessun Codice scritto può far riparo a questi contratti simulati, unilaterali, e di mala fede, a questi bugiardi consensi di uomini che profondamente dissentono anche quando mostrano di consentire , a queste soperchierie distillate dalle procedure e da quel s u m m u m ius che fu sempre summa malitia.Infatti che riparo metterebbero i C o dici?-Multe,carceri,sanzione di nullità,questi sarebbero isommi ripari; e varrebbero ad addoppiare la simulazione del contratti,o ad ammortire il capitale, a fermare la circolazione economica cioè alla stasi sociale. Altri ripari occorrono , e di questa forma unilaterale saranno i contratti sino a quando la forma sociale non sia mutata e il lavoratore, mediante il lavoro associato, non entri nella possi bilità di far la concorrenza al capitalista.Malthusiana è la società, tale dev'essere il contratto ; il capitale costituisce la plutocrazia, il contratto la subisce;l'individualismo nummulario si oppone alla ve nuta dell'uomo,ilcontratto dev'essere unilaterale,una contraddizione n e ' t e r m i n i .-- N o n i C o d i c i d e b b o n o i n t e g r a r e il c o n t r a t t o , m a l a s o cietà dev'essere rimutata dal fondo. Non co'Codici direttamente lo Stato presente può integrare il con tratto:ogni suo intervento sarebbe malefico;ma dovrebbe,pare,per mettere al lavoro di associarsi. Mostra di farlo, m a la sua natura nol consente: dall'una parte permette le associazioni,dall'altra crea tanti intoppi di leggi e balzelli e contatori e pesatori e pretesti di ordine pubblico che il lavoro rimane estenuato e impotente di q u a l u n q u e r i s p a r m i o . P a r f a c i l e il dire: ri s p a r m i a t e l ' o b o l o ; m a è d i f ficile risparmiarlo dalla fame. Cosi il lavoro non potendosi capita lizzare,non può creare la concorrenza al capitale.Quindi la rivolu zione economica non è possibile senza la rivoluzione politica,e que sta, alla sua volta , non asseguirà il suo fine, che è la libertà , se non compita la rivoluzione economica che equilibra la proprietà. Il capitalista e l'operaio sono nemici;ilcontratto tra loro non può essere che una simulazione ; la sola guerra è possibile.— Lo Stato presente ad evitare la guerra permette l'associazione e ne soffoca l'effetto;impotentealleriformeciviliprometteleriformepenali,scherno a bastanza scoperto e deriso.– Se manderanno via il boia, diceva Langassieres , ho ancora il mio rasoio,ho la mano ben ferma, e la volontàèlapadronanzadime.Ho ildisprezzodituttoquelloche mi circonda.Ho capito il significato delle parole Dio,ordine,stato,  reale , e per questo appunto sono unilaterali , e sono nondimeno la massima parte dei contratti odierni,perché questa è la forma della società,è malthusiana,pontefice e re ilcapitale. 37   e Codice: parole belle per chi se ne ha da servire. A te!- Or che ti han fatto grazia della vita,tagliati tranquillamente le canne e di mostra anco una volta che l'uomo è il solo animale che ha piena si gnoria di sé. O suicida o rivoluzionario, questo è il solo dilemma che lo Stato presente mette innanzi all'operaio. Il suicidio,per esteso che sia,non può assumere che forma ec cezionale;e però la sola rivoluzione oggi si porge come norma.- E sarà politica e sociale insieme , perché sono momenti inseparabili. Pervenuto a queste necessità , mi fermo un istante e odo le p a role che mi si dicono attorno:-Scrioi un corso di Scienza del Dritto o fai dellapolitica?—Rispondo che obbedisco allanecessità,laquale non può separare la scienza del Dritto dalla Filosofia della storia, che additando il cammino , dice che i popoli perverranno dove gli Stati non vogliono. Il tempo verrà testimone non lontano delle mie conclusioni. Questa è la sola conseguenza possibile a cui poteva condurmi la teorica della proprietà.- Ora entriamo a ragionare dell'individuo umano considerato come autonomo. Giovanni Bovio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bovio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718362960/in/photolist-2mTzWxT-2mTdg92-2mRhWZi-2mNb8t7-2mPpskp-2mKwtP7-nUN2id

 

Grice e Bozzelli – filosofia italiana – Luigi  Speranza (Manfredonia). Filosofo. Grice: cf. tragic dialogue – Oreste a Pilade – and Enea’s Niso e Eurialo’ – Grice: “Not to mention the rape of Lucrezia, and Romolo killing Remo, and the rest of it.” -- Grice: “You’ve got to love Bozzelli; at Oxford, it would be difficult to find an English philosopher interested in English tragedy, but Bozzelli’s expertise is ‘tragedia romana’ – Ercole and the rest! Philosophically, Bozzelli speaks indeed alla Aristotle of the tragic – alla Nietzsche, too – since ‘lo tragico’ is possibly a philosophical category – On top,  if I have been called a mimetist, so is Bozzelli – ‘lo tragico’ becomes an adjective, and qualifying ‘imitation’ – Aristotle’s principle for mimesis and tragedy as meant for catharsis – with Bozzelli, it is ‘imitazione tragica.’ He wisely skips (almost) the Middle Ages and reviews ‘tragedia romana’ and how it becomes ‘tragedia italiana’!” Noto per essere stato l'estensore della Costituzione del Regno delle Due Sicilie. Dopo le scuole secondarie dagli Scolopi, Studia a Napoli. Laureatosi, entra nell'amministrazione statale: uditore giudiziario presso il Consiglio di Stato. Entra nella sopraintendenza della Salute, dapprima come ispettore generale e poi come segretario. Nello stesso tempo si dedica all'attività metafisica. Pubblica "Poesie varie" una antologia di versi scritti secondo il gusto del XVIII secolo. Di sentimenti liberali, prese parte ai moti costituzionali che gli costarono dapprima la prigione e successivamente un esilio che trascorse in Francia. Durante l'esilio espose in numerosi saggi le sue concezioni politiche di liberale moderato, fautore di una monarchia costituzionale e avverso al programma democratico-radicale. Scrisse inoltre saggi filosofici di etica e di estetica. Rientra in patria. La fama di grande cultura e di integrità morale acquistata durante l'esilio, lo garante un grande prestigio all'interno del partito liberale delle Due Sicilie. La sua popolarità divenne ancora più grande dopo un nuovo periodo di prigionia assieme a Carlo Poerio e a Mariano d'Ayala. Pertanto, dopo l'inizio dell'insurrezione siciliana e incaricato dal presidente Serracapriola di preparare il decreto reale che fissa i principi costituzionali. Nominato ministro degli Interni, in sostituzione di Cianciulli, con l'incarico di stendere il testo della Costituzione.  Dapprima  fautore, con Poerio ed Ayala, dell'idea di ripristinare la Costituzione napoletana. Tuttavia, poco dopo si convinse della necessità di stendere carta costituzionale completamente nuova, un compito che porta a termine da solo e in soli dieci giorni. La costituzione delle Due Sicilie approntata da lui e composta di 89 articoli. Rcalca di fatto sia la Costituzione francese (eccetto nei punti in cui si trattavano le autonomie locali) che la Costituzione belga. La sua Costituzione venne tuttavia criticata immediatamente dai democratici perché non offer sufficienti garanzie di libertà ai cittadini, limita i diritti elettorali su base censuale e lascia al Re ampi poteri discrezionali. Venne escluso dal governo costituzionale di Troya per divergenze sulla politica estera (e contrario alla guerra contro l'Austria). Partecipa invece, come ministro degli Interni e dell'Istruzione Pubblica, al governo Spinelli costituito dopo il colpo di mano di Ferdinando II. Sebbene il suo'intento e quello di mitigare la reazione regia e affrettare il ritorno alla legalità, venne accomunato dall'opinione pubblica nel discredito del governo delle Due Sicilie, nonostante fosse sostituito agli Interni con Vignali per ordine dello stesso Ferdinando II. Si ritira a vita privata avendo come unica fonte di reddito la pensione maturata per essere stato consigliere di stato. Con la conquista del Regno delle Due Sicilie il nuovo Regno d'Italia gli revoca anche questa. Supremo Magistrato e Soprintendenza Generale di Salute delle Due Sicilie, Giornale di tutti gli atti, discussioni e determinazioni della Sopraintendenza Generale e Supremo Magistrato di Sanità del Regno di Napoli. In occasione del morbo contagioso sviluppato nella città di Nola. Napoli: nella Stamperia Reale. Poesie varie. Napoli: da' torchi di Giovanni de Bonis. La strega di Manfredonia. Napoli : Guida. Della imitazione tragica presso gli antichi e presso i moderni: ricerche del cavalier Bozzelli. Lugano: Ruggia. Dizionario biografico degli italiani. Per quanto voglia rifrugarsi attentamente negli annali della letteratura latina, risalendo fino all'epoca in cui la con quista della Macedonia menò con altri Greci a Roma Polibio e Panezio , e per mezzo di essi fe’scintillare i primi raggi di una positiva coltura intellettuale tra quei feroci repubblicani, è difficil cosa il concepire quali fossero ivi le origini , quali segnatamente i progressi dell'arte tragica. Non possiamo di rettamente giudicarne da ciò che tentarono in questo genere Andronico e Gnevio , Ennio e Pacuvio , i quali precedettero il principato di Augusto ; perchè le loro opere non sono giunte insino a noi . Lo stesso è a dirsi relativamente a quelle che furono scritte alquanto più tardi , quali , a cagion d'esem pio , furono la Medea di Ovidio e il Tieste di Vario, con altre molte che le ingiurie de' tempi ci hanno ugualmente involate . Questo fatto notabile ci vien però attestato da Orazio , che alla sua età la moltitudine interrompea spesso ne' teatri la rappresentazione di una favola tragica , per chiedere che se le desse invece a spettacolo un combattimento di fiere o una pugna di accoltellanti : ond' egli stimava che ciò scoraggiasse o distraesse i poeti dall'intraprendere quella carriera. Ecco i suoi versi all'uopo : Saepe etiam audacem fugat hoc terretque poetam , Quod numero plures , virtute et honore minores, Indocti , stolidique , et depugnare parali , Si discordet eques , medio inter carmina poscunt Aut ursum , aut pugiles: his nam plebecula gaudet. Il fatto dee tenersi per innegabile . Orazio lo afferma sto ricamente ; nè può supporsi ch' ei si piacesse di mentire in faccia a ' suoi proprii contemporanei , ed allo stesso Augusto , a cui quei versi erano indirizzati. Ci vorrà intanto esser per messo di non consentir di leggieri nella induzione ch'egli ne cava , dando quel disordine , vergognoso invero a un popolo incivilito , a motivo di scoraggiamento ne' poeti. È certo che una simile plebecula esisteva pur essa in Atene , quando la tragedia vi nacque ; e , gridando d 'impazienza che tal novità non avea niente a fare con Bacco , ella ben avrebbe gradito di veder piuttosto satiri, col volto intriso di feccia di vino , avanzarsi giocondi sopra ornate carrette per divertirla con racconti osceni e con ditirambi da ebbri . Non però Eschilo ne fu smagato. Forte del sentimento ardito che lo ispirava , e della profonda conoscenza che acquistato avea del cuore umano , ei seppe con la occulta seduzione operata da' suoi prodigiosi dipinti , innalzare il popolo insino a lui ; e riem piendolo di maraviglia e di stupore , obbligarlo ad accoglier le sue opere co ' più straordinarii applausi , per cosi produrre una rivoluzione istantanea nella maniera di sentire, non già guasta , ma non ancora educata , del pubblico , in fatto di tragedia. E un simil fenomeno fu osservato poco tempo dopo, rela tivamente alla commedia greca. Il basso popolo , avvezzo a udir sulla scena il licenzioso linguaggio Aristofane , e a vedervi rappresentate sconce o grossolane situazioni , benchè sempre condite di un lepore comico ammirabile , mal sofferse che Cratino , cangiando sistema per la ingiunzione delle nuove leggi che miravano a reprimere quello scandalo , gli offrisse a spettacolo più decenti orditi ; e un giorno andò fino a scacciarlo dal teatro con tutta la comitiva de' suoi attori. Chi non lancerebbe a piena mano i motteggi e il disprezzo su tanta corruzione di gusto e di costumi ? E questo esempio frattanto non valse a scoraggiar Menandro , il quale, creando la nuova commedia , la depurò delle antiche sozzure , e ne fu coperto di lodi . Il popolo adunque s'increbbe non del decoro dell'azione , perchè lo applaudiva in Menandro , bensi del poco senno e della insipidezza onde Cratino , che era un me diocrissimo poeta , si avvisò di adombrargliela : ed era natu rale , se non lodevole , ch' ei preferisse le lascivie che gli te neano sveglio ed ilare il sentimento , ad una decenza freddis sima che lo facea sbadigliar di noia . Or fu il citato disordine che impedi ad un Eschilo di apparire, o non piuttosto la man canza di un Eschilo che suscitò un tal disordine in Roma ? Questo problema non è sfuggito' a' critici moderni : e , benchè tutti lo abbiano riguardato da un solo aspetto , e non forse il più sicuro , ciascuno ha pur tentato di scioglierlo a suo modo. Interpretando a capriccio , ed oltre misura esten dendo il frizzo di Orazio , alcuni hanno attribuito quella penu ria di tragici presso i Latini alla grande ignoranza del popolo , il quale , avviluppato nelle sole abitudini di una vita pratica e materiale , non offria stabil presa a' poeti da esaltarlo ad alti concepimenti con lo spettacolo di azioni drammatiche . Altri ha soggiunto che ciò inoltre derivasse dall'affluenza de' tanti stranieri ammessi a cittadinanza , i quali aveano tras formata la città di Roma in un miscuglio informe di nazioni senza omogeneità nelle maniere di credere , di vivere e di sentire . I più arditi alfine , risalendo a cagioni ancor più uni versali, han pensato spiegar l'enigma con la mancanza presso che ivi assoluta di tradizioni eroiche, di abbaglianti remini scenze , di antichità remote , le quali , ricongiungendo l'ori gine delle umane razze a quella delle razze celesti , furono si feconde di nazionale orgoglio e di spontanee ispirazioni presso i popoli della Grecia. Esaminiamo in breve ciò che può es servi di falso e di vero in queste diverse ipotesi. Innanzi tutto , allor che gli eruditi con si franco animo attribuiscono il difetto di tragici ne' Latini alla grande igno ranza del popolo , par ch' essi non abbiano presente di quella storia se non lo splendido periodo in cui le vacche di Evan dro ivano mugghiando non custodite per le strade ancor de serte di Roma. Se non che la curiosità dell'osservatore non è suscitata che dal vedere quel difetto continuarsi nel cosi detto secolo di Augusto , il quale vantò storici ed oratori e naturalisti e filosofi e giureconsulti di tanta eccellenza ; e pro dusse in breve spazio di anni nobili poesie di ogni genere , se non di conio eccelsamente originale, ritemprate almeno con felicità portentosa e con mirabile forza d'immaginazione. Quando dunque con la parola popolo non voglia significarsi una frazione infinitesima della società , quella pretesa igno ranza in tanto apogeo di coltura intellettuale rimane incom prensibile , come l'idea di un vasto incendio che si súpponga scoppiato senza materie combustibili atte a servirgli di ali mento . Ed a chi volesse limitar l'accusa ad un solo oggetto , domanderei , onde tanta cecità in quel popolo per la ' sola poesia tragica , in mezzo a tanto e si dilicato senso di ammi razione per tutte le altre arti gentili ? Noi ignoriamo alle opere drammatiche di qual poetonzolo il popolo impaziente facesse l ' oltraggio di cui parla Orazio . Quel si discordet eques, che questi non obblia d'indicarne a motivo , può interpretarsi in tante maniere ! .... È certo non esservi memoria che ivi fosse interrotta del pari la rappresen tazione delle commedie di Plauto e di Terenzio : ed è sopra tutto nota la lusinghiera accoglienza che il primo eccitava sempre da parte degli spettatori. Taluno ha preteso che ciò dipendesse dalle troppo libere immagini onde talvolta questo comico solea rifiorire il suo dialogo : ma , non essendo questa libertà da imputarsi al nodo de ' suoi orditi , è poco presumi bile ch'ei fosse unicamente applaudito per l'espressione licen ziosa degli ornati . Senza che il divulgato aneddoto , che un fre mito di assenso e di approvazione universale si levò un giorno nel pubblico , udendo dire a un personaggio teatrale , Homo sum , nihil humani a me alienum puto , prova interamente il contrario : anzi ci dà a divedere di qual gusto squisito e di qual diritto senso morale fossero allora dotate le genti latine ; poiché quel motto , riunendo in sė poetica bellezza a filosofica verità , par dettato alle muse latine nella santa scuola di Ari stide e di Focione. In quanto al concorso degli stranieri ammessi a cittadi nanza , per effetto del quale si è voluto far di Roma una Ba bele , in cui per la diversità de' linguaggi l'uno per poco non intendea più l'altro, mi sia permesso di riguardarlo come una esagerazione di dati e di conseguenze ugualmente privi di rea lità . Allor che il dritto di cittadini romani concedevasi a in tere popolazioni , come avvenne a molte del Lazio e prima e dopo lo stabilimento della repubblica , queste non trasmi gravano subito , a guisa di mulacchie, per andarsi ad attendare nel recinto de'sette colli : e allor che si conferiva quel dritto a semplici individui , eran questi ordinariamente principi e magnati che il senato volea rendere a sè benevoli , soffre gando loro quel titolo reputato , come avvenne a tanti celebri Germani, Celti ed Iberi , i quali essi stessi non sempre lascia vano le loro patrie per dimorare stabilmente in Roma. Nella sola classe de servi , il numero degli stranieri era immenso per l'abuso delle conquiste : ma nè il teatro era instituito pe’servi o frequentato da servi, nè la potenza de liberti usciti del loro seno , che infestarono Roma delle loro turpitudini, appartiene al secolo di cui qui si tratta . Una massa di veraci e purissime antiche razze romane esisteva dunque in quel centro di universal dominio , a cui i tragici poteano indiriz zarsi con buon successo : e l'osservazione che siegue ne dará evidentemente la prova. I latini scrittori non ebbero tutti la culla alle falde del Tarpeo ; ne vennero dalle diverse regioni d'Italia , e sin dal l'Asia, dall'Africa dalla Spagna : ' e non dettavano al certo le loro opere ne' dialetti municipali o nelle straniere favelle 1 Cicerone , Vitruvio , Orazio , Ovidio nacquero in quel che oggi chiamasi regno di Napoli : Catullo , Livio , CornelioGallo , Virgilio , in quel che oggi chia masi regno Lombardo - Veneto : Plauto e Properzio nacquero nell'Umbria , Sal Justio ne' Sabini, Tacito in Terni , l'ersio in Volterra , Plinio il giovinc in Como : Fedro fu trace , Terenzio cartaginese ; e più tardi Columella , Seneca , Marziale , Lucano , furono spagnuoli , ec., ch'essi erano stati avvezzi a balbettar nell'infanzia , ma in quella lingua nobile , purgata , numerosa , che , parlata gene ralmente in Roma , ogni di s’illeggiadriva e si magnificava nelle strepitose discussioni del fòro e della tribuna . Or come spiegar questo fenomeno allor che si niega ivi l'esistenza di un fondo, e di un fondo estesissimo di ingenua romana gente , la quale avesse quella rigorosa omogeneità nelle maniere di credere , di vivere e di sentire , senza cui una lingua nè sì forma, nè s'ingrandisce , nè si conserva ? Era dunque per incantar le orecchie de' non Latini , che quegli scrittori avean cura di esprimersi nel più gentile latino idioma ? era con la grammatica scarmigliata e con la mozza fraseologia de' Ger mani , de' Celti , degl'Iberi e de' Britanni di quella età , che si giudicavano meritevoli di elogio le tante sublimi opere di poesia , di storia e di eloquenza che videro ivi la luce ? E può mai supporsi composta d'ignoranti o barbari quella folla di popolo che , siccome Tacito narra , uditi un giorno in teatro alcuni versi di Virgilio , tutta si levò in piedi con entusiasmo spontaneo , e fecegli riverenza come se fosse stato Augusto ? Ne’ teatri di Roma erano stabiliti seggi distinti pe'con soli , pe’ senatori, pe' pontefici , pe' tribuni , pe' magistrati d'ogni ordine e d'ogni specie , e fin anche per le vestali ; chè sotto il principato di Tiberio troviamo un decreto del senato , con cui si conferisce a Livia il privilegio di seder tra le vestali negli spettacoli . E dee dirsi che i vecchi sopra tutto li fre quentassero ; essendo ivi legge antica , la quale obbligava i giovani , ovunque nelle sale degli spettacoli un vecchio si pre sentasse , a levarsi immediatamente in piedi , e cedergli il luogu per venerazione . Di questa massa principalmente for mavasi colà dunque il pubblico de' teatri : ed a questa massa dovea senza fallo aver Terenzio la mente , allor che asseriva non esser altro lo scopo di un poeta drammatico , se non quello di far gradire al popolo spettatore le favole ch'egli or diva ; onde esclamò nel prologo dell’Andriana : Poeta cum primum animum ad scribendum appulit , Id sibi negoti credidit solum dari Populo ut placerent quas fecisset fabulas. Or io ripeto : era per lusingare un popolo di barbari e d'igno ranti che quel Cartaginese mettea tanto studio nel portar la favella de’ Latini al sommo della grazia e dell'eleganza , era per lusingar barbari ed ignoranti che Lelio e Scipione , rino mati a quei giorni per saviezza , per virtù e per credito , con fortavano questo poeta de' loro benevoli aiuti e de’ loro illu minati consigli ? È fuor di dubbio finalmente che ad attingere svariate ma terie di rappresentazioni tragiche i Romani ebbero anch'essi dovizia di memorie nazionali ed eroiche ; ove guerre di pas sioni , assedi di città, imprese di vendetta , mutamenti di sta ti , ratti di donne , e fratricidi e commozioni e rovesci e ma raviglie di ogni specie si succedono e si confondono ad im prontar di poetica grandezza le più lontane origini di quel popolo . Nè al mio soggetto fa ostacolo che quelle famose tra dizioni siensi trovate spoglie di storica certezza dalla nuova scuola in questo genere , che , aperta dal Vico in Italia , ė stata poi continuata dagli Alemanni. Verità o favole , storie positive o allegorie inventate per vaghezza di portenti , basta per me il sapere che eran generalmente divolgate e facean parte delle credenze pubbliche de' Romani a' tempi della loro intellettuale coltura . Per quanto infatti si tenga oggi per as surda la venuta di Enea in Italia , è pur vero nondimeno , e Tacito non isdegna di attestarlo gravemente , che la famiglia de' Giuli , perché supposta discendere da quel Troiano , si ri guardava di buona fede come del sangue di Venere. Le menti anzi con tal fervore si pascevano di siffatte finzioni, che dopo averle vagheggiate in quei vecchi canti rozzissimi che ne ser barono da prima le oscure reminiscenze , le videro un giorno con applauso universale rinfrescate di si egregi colori ne' qua dri dell’Eneide , la quale può da questo lato considerarsi co me un vasto tesoro delle più remote antichità latine . E se non vi ebbe tra’ Romani quella profusione di celesti discendenze onde i Greci avean abbellite le origini delle loro più insigni razze principesche , pur nondimeno una illusione prestigiosa , capace ivi d'imprimere forte movimento a tutte le facoltà poetiche , preoccupava tenacemente gli spiriti. E fondavasi nell'immagine di Roma , per memorandi oracoli riguardata come potenza eterna , invincibile , dominatrice; in nanzi a cui tutti i popoli della terra doveano tardi o presto piegar la fronte sommessi; che i numi stessi del cielo non aveano forza di abbattere ; che la religion civile avea riposta finalmente a simbolo d'immensità fra le tenebre misteriose onde nell’Olimpo era inviluppato lo stesso Destino . Sicché ad un Romano bastava il tenersi parte integrale di questa città per credersi di discendenza più che celeste , e trovar nell'esaltazione di cosi nobile sentimento l'alito animatore di tutte le grandi imprese nelle arti della pace , come in quelle della guerra. E a far della tragedia una creazione indigena , oltre all'abbondanza delle loro nazionali antichissime vicen de, oltre a quel fermento di orgoglio che l'immagine di Roma suscitava in tutti , i Romani ebbero il medesimo o pri mitivo impulso che per facili associazioni d'idee la fe ’ nascere dalle feste di Bacco ne' Greci; avendo pur essi posseduto in certa guisa i loro Epigeni e i loro Tespi negli autori di quelle rinomate favole Atellane , che veniano rappresentate sopra palchi ambulanti nelle pubbliche solennità . Rimosse adunque come false o mal distinte le spiegazioni addotte sinora intorno all'oggetto che ci occupa , e sino a quando da’ricercatori dell'antichità non ne sieno poste innanzi delle meglio fondate , a me non resta che di attenermi al nudo fatto , quello cioè che grandi e veri tragedi mancarono assolu tamente a Roma per trasportar l' animo anche de' più ritrosi nella sublimità di questo genere di produzioni ; e non conve nir quindi trattar con troppo di asprezza il popolo che osò far sene beffe . Nè poi questo fatto è realmente unico : chè lo veggiamo più volte ripetuto nella storia delle lettere moder ne . Or domando : trovandoci spiacevolmente arrestati dalla penuria di siffatte opere presso i Romani della età di Augusto, scenderemo noi ad attinger ivi contezza di quest'arte dal solo teatro di Seneca , apparso in tempi ne'quali, non che annien tata ogni reliquia dell'antica virtù , libertà ed altezza di so ciali condizioni , la stessa lingua che risonò con si dolce fre mito ne’versi di Catullo e di Orazio , di Lucrezio e di Virgilio , cra caduta quasi che pienamente nel fango ? In verità , se per avventura il popolo romano potesse risorgere alcun poco da quel sepolcro che si erge smisurato al par di lui nella immensità de' secoli , e ricollocarsi gigante qual era nel periodo della sua letteraria grandezza , non so se oserebbe assumer senz' onta titoli di gloria per l'arte tragica , indicando unicamente codesto suo retore famoso , che rubò non saprei donde la maschera di Melpomene per introdursi sconosciuto nella schiera degli eminenti e benemeriti cultori di lei . Eppure , avendo egli acquistata una celebrità che nel suo genere assomigliasi di molto a quella di Erostrato , non è più concesso a' di nostri di tacerne , senza destar maraviglia ne' più timorati . Ognun rammenta che il Corneille , il Racine e l'Alfieri, benchè , grazie alla dirittura delle loro menti , uscissero incontaminati dalla compagnia di questo autore , non però sdegnarono di corteggiarlo : ognun rammenta che fra quei veterani dell'erudizione classica , i quali dal decimoquinto secolo in poi attesero con si lunghe vigilie a impinguar di chiose , di comenti e di elucubrazioni d'ogni specie tutte le opere de' Latini , i più valenti si fecero suoi campioni. Ma vi è alcun lume a trarre dall'autorità di questi ultimi , quando noi li veggiamo per troppa carità di patrocinio avvolgere i loro panegirici in mille ampollose stranezze , e storti giudizi ; e contraddizioni evidentissime ? Eccone in breve alcun passeg giero esempio. Giulio Cesare Scaligero sostiene che le tragedie di Se neca non sono per maestå in nulla inferiori a quelle di tutti i Greci , e che anzi per ornamenti e per grazia superano di molto le tragedie di Euripide . Questa bestemmia , uscita francamente dal labbro autorevole del patriarca de' dotti , non fu combattuta nel suo general dettato : ma i confratelli di lui della medesima scuola non si peritarono d'indebolir la , accapigliandosi bizzarramente fra loro per emendarla ne' particolari . Non si può senza rimanere attoniti percorrere quel che ne scrissero a vicenda Giusto Lipsio , Daniele Einsio, Giuseppe Scaligero , ed altri moltissimi che sarebbe infinito il citare . Uno trova la Tebaide si bella da crederla degna del secolo di Augusto ; l'altro prendendo scandalo di questo giu dizio , la estima indegna della stessa penna di Seneca . Questi antepone la Troade a quanto sul medesimo argomento ci ha uno , di più alto fra i Greci ; quegli la dichiara bruscamente opera di un poeta da bettola . Qui si esalta come magnifica l' Ottavia ; lå si deprime come la più vil cosa della terra . E avvisi di tal sorta , non pur diversi , ma del tutto opposti fra loro , baste rebbero da sè soli a spandere il discredito su quel teatro : pe rocchè il bello è come il vero ; e la natura doto gli uo mini , con più o meno di piezza , ma indistintamente tutti , della facoltà di scernerlo dovunque splende : sì che dissen sioni cosi risaltanti non possono altrimenti spiegarsi , che at tribuendole tutte a un inesplicabile delirio . Noi non vorremo a ogni modo , usando di un metodo che il buon senso condanna , nè accoglier cieche prevenzioni con tra il teatro di Seneca , sol perchè i giudizi che se ne fecero da molti sono fra loro contradittorii ; nè cercar troppo innanzi ne'motivi da cui que' giudizi medesimi derivarono in tempi ne' quali era vastissima l'erudizione , ma non ancor nata la critica . Astretti a parlarne un po' minutamente , non foss' altro per indicarlo a' giovani poeti come uno scoglio fu nesto , a cui senza pericolo di naufragio non è lor permesso di avvicinarsi , il nostro cammino intorno a questo autore sarà più spedito e più breve . Indagheremo da prima di qual tempra fossero le potenze costitutive del suo ingegno , le tendenze morali che il dominavano da presso , le filosofiche dottrine ond’ era inflessibilmente preoccupato , e qual necessaria in fluenza esercitassero le particolari circostanze del secolo in cui visse , a rafforzare ed estendere queste predisposizioni del suo essere . Scendendo in seguito all'esame imparziale de' fatti , ci avverrà forse di scoprire ch ' ei fu il discepolo ingegnoso nelle cui mani ebbero sviluppo ed incremento i germi delle innovazioni di cuiEuripide fu l'inventore ; e ch'egli pervenne ad esagerarle ne' più strani modi , a crearne delle più mo struose ed ardite , ed a svolger cosi l'attenzione pubblica dalle originarie bellezze ond'Eschilo e Sofocle aveano rivestito que sto ramo dell'arte . In assai fresca età Seneca era stato condotto di Cordova sua patria nella capitale del mondo ; e correano forse gli ultimi anni del regno di Augusto. Vi fece i suoi studii sotto la dire zione di quei celebrati retori e filosofi, i quali prendeanvanto d'insegnare a'loro allievi tutte le scienze umane e di vine : concutiebant foecunda pectora, ut inde omnigenas cogitationes exprimerent. Dotato di uno spirito severo , vi goroso , penetrante , abbracciò le dottrine della setta stoica che ancor predominava in Roma ; dedicossi alla carriera del fòro , ove acquistò riputazione di felice oratore , e mancò poco che un tal successo non gli riuscisse funesto , perchè suscitò le gelosie del frenetico Caligola. Fu avido di gloria e di sape re ; ma e altresì di onori e di ricchezze ; e a procacciarsi que st' ultimo intento gli era mestieri di un mecenate . Ne trovo uno efficacissimo in Domizio Enobarbo , rinomato a quei tempi per credito e per potenza , perchè del sangue de' Cesari : ed è fama che Seneca gli pervertisse la moglie , quasi a dargli un pronto attestato di riconoscenza per la protezione ottenutane . Se non che la nerezza di questo attentato pare attenuarsi nel rammentare che quella moglie fu Agrippina , il cui nome non venne mai registrato per avventura nel novero delle vestali : tal che non può determinarsi con sicurezza s'ei fosse il sedut tore o il sedotto . Ne’primi anni dell'impero di Claudio , accusato da Mes salina di aperta complicità nelle turpitudini di Giulia , nipote di quel principe , fu esiliato duramente in Corsica , fosse vera o non vera la sua colpa . Ivi compose il suo libro de Conso latione, in cui adulò bassamente l'imperadore , e lo indirizzò a un costui favorito liberto , perchè quei servili omaggi non si restassero ignorati e senza effetto : il che non impedi che più tardi , non avendo più cagioni da temerne , gli scrivesse contro una velenosissima satira . Non si potrebbe definir net tamente s'ei mentisse innanzi alla sua coscienza quando pro fuse le lusinghe o quando scagliò le ingiurie : è certo che , toccando in cosi brusca guisa i due opposti estremi , non mo strò di avere un culto troppo edificante per gl'interessi della virtù e della verità . Intanto Agrippina avea lanciato l'inco modo marito nella eternità ; e , divenuta sposa di Claudio suo zio , dopo l ' uccisione di Messalina , sua prima cura fu di ri chiamar Seneca dall'esilio . Reduce in Roma , ei fu accolto festosamente in corte , decorato delle insegne pretorie , e dato a precetlor di Nerone , il quale tenne a fortuna il poter apprendere da tanto maestro le scienze morali , le lettere genti li , e l'arte di regnare , a cui Agrippina sua madre occulta mente lo destinava . " Ignoro quai progressi facesse quel giovinetto eroe nella pratica della virtù : so che non ne fece molti nelle lettere , perchè fu pessimo poeta e scrittor da nulla : e si segnalò solo nella perizia del canto e della musica , che non gli furono cer tamente insegnati da Seneca. Quindi è che, proclamato impe radore ad esclusione di Britannico , più prossimo erede del trono , bisognò a Seneca dettargli le orazioni, le lettere , i re scritti da recitarsi o da inviarsi al senato : e divenne questa per lui una nuova sorgente di gloria , essendosi divulgato in Roma che que' lavori eran suoi , e che Nerone parlava imboc cato . La voluttà che egli traea da questo genere di distrazioni intellettuali , si trasformò subito per esso in cosi dolce abitu dine , che, avendo quel pietoso principe ucciso prima il fra tello e poi la madre , ei non seppe resistere al solletico di scri verne le apologie da comunicarsi a’ Padri, in nome di lui : e non già ch'egli approvasse quei misfatti, ciò disdicendosi a filosofo ; ma per non defraudar forse il popolo romano di una elegante perorazione in favor del fratricidio e del matricidio . Si può comprendere quanto ei si rendesse caro al suo augusto allievo per cotai servigietti , a ' quali aggiugnevansi quelli di essergli sempre intimo consigliere nelle alte cure dello stato , e talvolta per indulgenza verso la troppo fragile gioventù , anche mezzano in qualche intrigo d'amore con le sue liberte . Fu quindi colmato di ricchezze , che Tacito porta fino a trenta milioni di sesterzii; si fabbricò magnifiche abita zioni in villa ed in città ; tolse in isposa la bella Paolina ; e cercò di obbliare nell'opulenza i dispiaceri che gli cagiona vano i piccoli traviamenti a cui Nerone lasciava di tanto in tanto trasportarsi per eccesso di zelo in vantaggio del buon 1 Fu alla morte di Claudio , che Seneca , immemore de' mendicati favori , onde questi lo avea ricolmo , gli detto contra , sotto il titolo di Apocolokintosis , la satira di cui è detto pocanzi. Fa meraviglia che Agrippina potesse in questo li bello veder con tanta indifferenza smascherate le brutture di una Corte , di cui essa era l'arbitra . Ma vi si parlava della grand'anima di Nerone , il quale dovea succedere al defunto principe, come il più degno : e ciò spiega tutto l'enigma.ordine ; traviamenti che Seneca vedea col medesimo occhio del suo collega Burro , morens et laudans. Non per ciò i suoi principii stoici cambiarono d'indole ; anzi si tennero sempre incontaminati. Nuotando nelle ricchezze , scrivea su di una tavola d'oro con uno stiletto di diamante massime nobilissime in lode della innocente povertà : e , ritraendosi dalle stanze di Nerone , opere della più pura morale sgorgavano dalla sua intelligenza ad esaltare i preyi- della virtù e dannare il vizio all'obbrobrio de'secoli . Ma era Seneca veramente stoico ? Intendiamoci . La filo sofia stoica fu coltivata in Atene nella sua parte teorica e nella sua parte pratica . Que' savi che la professavano, aspirando a un cotal sommo bene di cui si erano formata un'idea miste riosa , spregiavano gli onori , le ricchezze , le delizie della vi ta , e viveano intemerati e paghi solo di quell'interno con tento che vien luminoso e spontaneo da una coscienza in pace con sè medesima . Da gran tempo era stata introdotta in Ro ma; e , per analogia di abitudini austere , vi fiori pura e splendida fino alla morte dell'ultimo Romano, il quale bestem miando la virtù per impeto d'indignazione , parve segnar quasi direi il cominciamento alla decadenza di quelle famose dottrine. La filosofia pratica di Epicuro , se non pur forse quella di Aristippo , sottentrava destramente a tenere il cam po : e ad assicurarle il trionfo concorreano tutte le volontà , quantunque per diversi motivi : chè quell' efferato Governo aveva interesse di evirar tutti gli animi con la corruzione, per comprimere gradatamente le forze politiche dello stato , e cosi dar base alla concentrazione di un poter unico ed assoluto : ed il popolo avea bisogno di sommergersi in tutta l'ebbrezza de' piaceri sensuali per non sentir l ' acerbo contrasto fra una servitù divenuta inevitabile , e una libertà , che , di fresco spenta , non erasi ancor tutta obbliata . Per quanto però la depravazione de' costumi fosse gene rale e progressiva , le rimembranze della filosofia stoica non erano poi del tutto cancellate : ne restavano ancora le teorie astratte , i pomposi dettati e l’esteriore affettazione de’modi : e quei ne faceva più solenne apparato che più tendeva precipito samente a seppellirsi in tutte le iniquità della vita domestica e sociale . Pur nondimeno , quando sotto i successori di Augu sto le persecuzioni inferocivano , e Roma erasi trasformata in un miserando teatro di stragi e di rapine , lo stoicismo parve risorgere a metter vigore negli animi per un solo oggetto..... il disprezzo della morte. Il suicidio , quest'atto si altamente riprovato dalle più sante leggi della natura e della religione , rivesti la falsa maschera di una virtù , che per nuove malva gità di tempi fu abbracciata da moltissimi. Da prima fu ispi rato da tenerezza paterna . Le condanne per imputazioni poli tiche importavano la confisca de’ beni a vantaggio de’delatori : ma il senato pendeva per la regola che un individuo non per desse il suo patrimonio , quando preveniva la condanna con morte volontaria : si che , appena un Romano sentivasi accu sato , si affrettava subito ad uccidersi , per non gittare i suoi figliuoli nella miseria . E non vi era da nutrire speranze illu sorie ; perché la semplice accusa era in quei tempi una sen tenza di morte . Tiberio contraddisse ; dimostrò al senato esser quella una regola scandalosa ed assurda ; sarebbe mancato co' premii il coraggio a' sostegni dello stato ; e intendea con questo nome indicar le spie e i delatori . Questa prima cagione di strutta , non però i suicidi diminuirono in numero ed in fero cia : restava un altro non men potente motivo a renderli po polari ed onorati : quello cioè di sottrarsi all'infamia di cadere sotto la scure del carnefice . Accesi da questo sentimento che rammentava i bei giorni della romana fierezza, vedeansi uo mini, rotti ad ogni perversità , morir da forti dopo esser vi vuti da vili . Le storie latine son piene di siffatte risoluzioni che imprimono un particolar carattere di sopraumana costanza a quei popoli , e di cui non vi ha che pochissimi esempi presso gli altri popoli dell'antichità , anche de'più famosi e magna nimi. Erano anime maschie , gigantesche nelle virtù come ne' delitti , che riunivano in sè tutti i contrari : nobili pre cetti , azioni scelleratissime , vite degradate , morti eroiche e generose . Seneca fu stoico in questo senso , perchè in que sto solo senso lo furono tutti i suoi contemporanei. Or cer chiamo di ritornare al nostro proposito con un'altra general considerazione , che metterå suggello a tutte le precedenti . ne , La fantasia non può supporsi disgiunta dagli affetti, dalle opinioni , dalle abitudini dell'uomo : chè anzi questa facoltà non sembra attinger vita se non dal concorso di tutti i feno meni sensitivi , i quali agiscono in essa per conferirle tempra e serbianze analoghe , e su i quali essa reagisce dal suo canto ad estenderne e rafforzarne l'indole : si che , immedesimati in un sol tutto indivisibile , rivestono in comune caratteri, at titudini e colori identici . Un essere morale non si forma inol tre da sè solo e indipendentemente dagli altri esseri di simil natura che lo circondano . Rarissimi sono i casi , ove pur ve ne abbia di positivi a citarne , in cui un uomo , ergendosi come gigante isolato sulla terra , ben altro che ricevere la menoma impronta dalle condizioni de' suoi tempi , sembra de stinato a comunicar loro le sue proprie fattezze , e a divenirne a un tratto l'arbitro e il modello. Nelle ordinarie occorrenze della vita , l'uomo , considerato sotto tal rispetto , può dirsi come il lento prodotto dell'azion progressiva che in esso eser cita il secolo in cui si trova ; onde , ritrattane in sé l'immagi ei lo rappresenta al vivo nelle sue moltiplici maniere di vivere e di sentire . Seneca , non ostante il suo fortissimo e riflessivo inge gno , era precisamente di questa tempra ; e non avea in se nulla di straordinario che lo rendesse capace di luttar con le circostanze per imprimer loro una direzione più alta . Mancava sopra tutto di quel carattere d'indipendenza che la storia ci mostra come dote inerente a tutti i grandi poeti. La condotta che ei tenne con Claudio lo prova ; e in quella cheadottò con Nerone , vi è peggio . Non arrossendo in prima di asserire che Nerone col suo regno lietissimo avea fatto obbliar quello di Augusto , andò poi sino a chiamarlo amantissimo della veri tà , modello d'innocenza , benevolo e clemente a'suoi stessi nemici : e non seppe scuotere la polvere de' suoi piedi , e ri trarsi da quella fogna di nequizie , se non quando la morte violenta di Burro gli fe' prevedere la sua , e sentir la neces sità insuperabile di rassegnarvisi . Quindi la sua fantasia , svi luppata e quasi direi nutrita in mezzo a tante nefandigie, non poteva esser troppo abile a sfangarsene per trasportarsi in altri elementi, e vagheggiarvi la creazione dal suo lato pill splendido. Egli stesso par che fosse ingegnoso a spezzarne le ali con quella sua trista inclinazione ad ammassar tesori : per chè lo veggiamo accusato in Tacito di rapace , e in Dione di prestatore ad usura. E se queste imputazioni son false , con vien dire almeno che il suo procedere fosse tale da dar facile presa a simili calunnie. Basterà dunque collocarlo nella sua propria sfera per riassumere in brevi detti quali esser potessero le disposizioni del suo spirito nell ' intraprendere la carriera tragica . Vide i principati di Tiberio , di Caligola , di Claudio e di Nerone : e questo nobile quadrumvirato non era certamente fatto per ispi rargli nozioni troppo rallegranti sulla dignità della natura umana. Ovunque ei volgesse lo sguardo , non iscopriva che orrori; e profondo indagatore qual erasi delle più occulte pas sioni del cuore , non ravvisava intorno a sè che depravazione di sentimenti , sete d'oro e di dominio , tendenze alla ven detta ed alle stragi, tanto da non poter egli rappresentarsi l'uman genere, se non come una congrega di mostri , bale strati sulla terra dal genio del male , perchè vi si divorassero a vicenda. Preoccupato quindi come attore e come spettatore più nella conoscenza degli uomini che in quella dell'uomo, egli dovea per necessità sentirsi tratto a rigettare in un mondo d'illusione ogni specie d'infortunio , che , derivante da for tuiti casi , potesse rannodarsi poeticamente alla segreta in fluenza di una fatalità invisibile : e a non veder quaggiù di positivo e di reale se non delitti e virtù in contrasto , carne fici e vittime in azione , e sempre il più debole schiacciato con perfidia o con violenza dal più forte . Non altrove in fatti che su queste basi egli attese ad innalzare il suo tra gico edifizio . Determinata cosi l'idea fondamentale che dovea servir di unico anello agli orditi , era geometricamente inevitabile che a riempirli con analoga successione di parti , gli fosse pria d'ogni altro mestieri di spingere ancor più oltre il sistema di conferire intensità concentrata alle situazioni , a' caratteri ed agli affetti, onde in tal guisa tutto concorresse ad isolar le im magini per rappresentarle ne' loro nudi e più rilevati contor ni . Quindi nelle sue sceniche figure vi ha sempre , se cosi è permesso di esprimersi, un esagerato lusso di anatomia , ed una secchezza di commessure che colpisce e non incanta : nulla è in esse tracciato sopra linee ondeggianti , ove l'occhio possa riposarsi con equabile digradazione di movimenti ; nulla è la sciato ad arte nelle ombre da esser supplito dalla fantasia dello spettatore. La materia de' suoi componimenti, definita per ciò appunto sin da' suoi primi sviluppi con metriche dimensioni, e le più volte attinta più da' tesori della scienza che da quelli della poesia , non poteva allora che rivestire forme rigide , scarne e prive di calore e di vita ; perché non si riferiva ad alcuna flessibile immagine che dominasse da lunge a spander vaghezza ed armonia di variati colori ne' suoi dipinti. E ciò spiega nettamente il biasimevole abuso che ei fe'de' monologhi , in cui talvolta si avviene a comprender l'esposizione intera di una tragedia. Il monologo è certamente in natura. Quando le passioni fermentano , l'uomo si piace a disvelare a sè stesso i sentimenti da cui la sua anima è coster nata ; e riesce così a comprimerne o a rinfiammarne l'impe to , secondo che la ragione esercita in esso un impero più forte o più debole . Ma questa rivelazione ha pur essa le sue leggi rigorose ed inviolabili . Perché abbia luogo , bisogna che in quel momento gli affetti si trovino in un certo stato di equi librio e di moderato temperamento che loro permetta di rive stir forme possibili di linguaggio . Per l'opposto , le passioni attualmente in tumulto sono mute ; perchè aggorgandosi con veemenza per le vie dell'anima , la rendono incapace di espan dersi di fuori e di manifestarsi con altra eloquenza che con quella di un convulsivo silenzio : sopra tutto quando esse son prossime a risolversi in atti esterni , perchè allora si opera e non si parla ; e l'azione scoppia in tanto più spaventevole , in quanto fu meno preceduta da quella loquacità importuna che l'annunzia più romorosa che devastatrice . È sol quando mo strasi grave di calma passeggiera e bugiarda , che la tempe sta minaccia una più desolante rovina. A ciò si aggiunge che la rivelazione degl ' interni affetti è propria dell'infelice e non del colpevole : poichè il primo , as sorto ne’dolori che gli vengono da vicissitudini accidentali ed estranee , sembra ne' suoi solitari lamenti voler interrogare Dio e l'universo intorno alla cagione de' suoi infortuni; dove il secondo , il quale opera per impulsioni di volontà consapevo le , apprestasi a compiere il meditato delitto, ma rifuggendo sempre dal trovarsi troppo in presenza del suo delitto ; altri menti se gli solleverebbe la coscienza , e le più volte sarebbe distolto dall'iniquo disegno diconsumarlo. Quindi avviene che in questo ultimo caso il personaggio è tratto sovente a discor rere con sè stesso , non di affezioni, ma di avvenimenti : e questo in poesia drammatica è un assurdo ; perchè gli avve nimenti sono di loro essenza inalterabili, e , considerati nu damente in sè medesimi , non ribollono mai nell'anima a segno da indurci a rivelarli partitamente a noi stessi per alleviarne il peso. Or si osservino da presso i monologhi di Seneca : sono spessissimo declamazioni fuori natura , det tati da intemperanza prosuntuosa di far pompa di parole , o di narrar fatti che il poeta non sa rinvenir mezzi migliori da comunicare al pubblico ; e agghiacciano la immagina zione , perchè interamente privi di convenienza e di verità poetica . Si richiedea l'occhio penetrante di Aristotile per disco prire che in Euripide i cori deviavano talvolta dalla loro bel lissima ed originaria istituzione ; ma non vuolsi tanto corredo di sagacità per discernere ne' cori di Seneca un simile difetto ; perchè vi è portato sconciamente all'estremo , e snatura l'in dole di questa preziosa macchina teatrale per cosi ridurla scientemente ad un vano frastuono di cantici estranei all'azione rappresentata . Sono ivi d'ordinario introdotti a tener veci di sinfonie per indicare i trapassi da un atto all'altro ; e quindi senza alcun legittimo scopo in quanto al fondo dell'arte ; se già non fosse per dar pretesti all'autore di sfoggiar la sua abilità nella lirica . Nè vorrò qui ripetere a lungo quanto dissi nel precedente capitolo intorno alle cagioni che spogliarono il coro tragico , si efficace ne' due primi Greci , di ogni specie di drammatico prestigio . Basti aver sempre innanzi agli occhi , che questo era un danno inevitabile per qualunque poeta , il quale , pari al tragico latino , tendesse unicamente verso un genere di immagini esclusivo di ogni conforto di pompa e di espansione . Non potendo io cessar mai d'insistere sopra un oggetto che reputo importantissimo , mi sia dato di riassumerne per un'ultima volta il senso . Lo spettacolo delle sventure , dipendenti da' casi della vi ta , eccita , per l'infelice che ne soffre , una serie di compas sionevoli simpatie , le quali si prolungano di là da' recinti del teatro , e si risvegliano con forza tutte le volte che noi ci fer miamo a riflettere sul nulla della condizione umana : per con seguenza i cori riescono splendidissimi ed utili a preparare , ad accendere ed a protrarre quelle tumultuose affezioni che il poeta seppe far nascere in altri . Per l'opposto , lo spetta colo della distruzione del più debole derivata dalla malvagità del più forte , eccita meno simpatie di pietà per l'oppresso , che sentimenti di abbominio per l'oppressore : e queste non son durevoli , perchè richiamano a non so quale immagine di desolante necessità , la quale concentra l'anima in sè stessa , e non lascia luogo alla fantasia di svagare in alcuna idea di possibilità che la vittima avesse potuto sfuggire al carnefice : quindi allora non vi è alcun partito a trarre dall'intervento de' cori ; perchè le passioni odiose non han nulla di effusivo da esigere imperiosamente che si dispongano personaggi in termedi per farle passar con rapidità e veemenza nell'animo degli spettatori . Non vi ha dubbio esser questi propriamente difetti che appartengono alla sola esecuzione : ma io non mi sono tratte nuto alquanto ad indicarli, se non perchè li veggo suggeriti dalla stessa particolare idea che l'autore si elesse a guida , ed a cui si ricongiungono strettamente come necessari effetti di una cagione aperta ed immutabile. E non da altro fonte derivò pure quello smisurato lusso di motti , di sentenze e di arguzie , di cui Seneca si piacque d'ingemmare con tanta pro fusione le sue tragedie , le quali da questo aspetto rassomi gliano ad una collezione di aforismi spessissimo empi e sto machevoli. L'asprezza delle situazioni si presta difficilmente ad una calda ed espansiva magniloquenza ; e sembra esigere di siffatti modi saltellanti di linguaggio , che dieno scolpiti ri salti ad attitudini si rigorosamente stentate . Nè gli era biso gno di molta tensione di spirito per rinvenirne in abbondan za : bastava frequentar , come lui , le anticamere de'potenti, per ammassarne de' più spaventevoli , si veramente che ne' suoi personaggi vien rappresentata piuttosto la natura de' Latini de' suoi tempi , che la natura umana in generale : e in cotal guisa perdė fin anche il merito della invenzione . Procuriamo di somministrarne in breve una prova. Quel suo celebre si recusares , darem , dato in risposta da un principe malvagio a chi gli chiedea la morte per uscir di tormenti, non è in sostanza che il feroce motto di Tiberio , il quale osò dir freddamente a coloro che gli domandavano in grazia di far perire un Romano ch'ei perseguitava : Adagio ; non l'ho ancor perdonato . Quel detto del suo Atreo : Mise rum videre volo , sed dum fit miser , appartiene di diritto a Caligola , il quale prendea diletto ad assister personalmente alla tortura delle sue vittime , per pascere i suoi sguardi nel veder messe in pezzi le loro membra : e sdegnavasi contra i car nefici che non erano abbastanza lenti nella esecuzione de' loro nefandi incarichi : e Seneca dovè udirlo più volte dallo stesso Nerone , il quale non ordinava l ' assassinio di un infelice , se non dicendo à' suoi satelliti : Fategli sentir la morte ; tal che nella congiura di Pisone un suo sgherro si vantò di aver tronca la testa di un cospiratore con un colpo e mezzo. Quell'ini quo tratto della sua Medea , Perfectum est scelus — vindicta nondum , era l'espressione favorita di tutti mostri che da Silla in poi aveano insanguinato Roma. Se si confrontassero alfine le sentenze di Seneca con quelle qua e là rapportate da Tacito e da Svetonio , si troverebbe ch'esse in gran parte sono di origine storica , più che formate dalla sola riflessione del tragico . Nė la ricca merce che in questo genere gli offrivano i suoi contemporanei, gli era pur sufficiente : spigolava ne' Greci at tentissimo ; e dovunque scorgea una massima atroce , era in gegnoso ad annerirla più oltre per appropriarsela. Euripide , a cagion di esempio , fe’ dire ad Eteocle nelle Fenisse , che se per possedere un trono bisognava violar la giustizia, era pur bello il divenire ingiusto : massima che il buon Cicerone dolevasi di udir sempre ripetere da Cesare , come se Cesare avesse potuto aver massime di diversa specie . Ma Seneca la trovò gretta e leggiera : una semplice violazione della giustizia avea per lui certo che di vago e d'indeterminato che non rilevava troppo l'orrore della immagine : gli bisognò quindi ritoccarla per darle maggior precisione ; e fe' dire più netta mente a Polinice : Pro regno velim patriam , penates, coniu gem flammis dare. Per la patria e i penati s'intende ; rap presentano il capro espiatore di tutte le colpe d'Israele : ma quella povera Argia che gli avea somministrato un esercito floridissimo, avrebbe mai potuto credere che il tenero marito fosse disposto in ricompensa a gittarla tutta vivente nelle fiamme per ottenere un trono ? Non per ciò Seneca mancò sempre di altissimi dettati . Quel Siste ne in matrem incidas, profferito dal cieco Edipo, allor che dopo la morte di Giocasta ei brancolando cercava una via per uscir di quella reggia contaminata , esprime un terror profondo di cui è difficile immaginar l'eguale . Si è tanto ammirato quel Medea superest , imitato in seguito con tanta felicità dal Corneille : ma ne' frammenti che di lui ci ri mangono delle Fenisse , vi è un tratto di simil natura che a me sembra non meno poetico ed eloquente. Antigone , per metter calma nell' esule padre , gli dice affannosa : nell' uni verso intero che più ti rimane a fuggire ? Me stesso , risponde Edipo con fremito disperato . Ed è immagine bellis sima , perchè disvela come lampo tutta la tremenda condizione di quell' infelice famoso. Nella stessa tragedia , Edipo , volendo nell'eccesso del suo delirio uccidersi , sollecita Antigone a porgergli il ferro col quale ei versò il sangue paterno ; ed ac cortosi del silenzio di lei , esclama con impeto : hai tu quel ferro , o i miei figli lo han conservato per essi con la mia corona ? E questa terribile e veramente tragica idea riceve lume dagli amari motteggi , ond' ei riversa le sue imprecazioni sugli empi fratelli, che , dopo averlo bandito del regno , sel contendeano fra loro con le armi : Me nunc sequuntur : laudo et agnosco lubens..... Exbortor aliquid ut patre hoc dignum gerant..... Agite , o propago clara ; generosam indolem Probate factis ..... Frater in fratrem ruat.... Ciò prova senza equivoci che, almeno nel linguaggio , Seneca non mancò al certo di bei momenti di forza . Ma che va le ? È forza d'un ingegno fantastico ed intemperante , che non conosce modi , non ammette leggi , e confonde spesso il su blime con lo strano . Perocchè talora , imbattendosi in un alto concepimento , non gli giova esprimerlo d'un sol tratto ; ei vi ritorna le mille volte , lo stempera in mille diverse guise , ne amplifica le forme con mille ricercati contorni , ed an nientando gli effetti di prima impressione , produce sazietà e disgusto : tal altra , per troppa smania di dire e di ripetere e di girar lungamente intorno ad un medesimo dettato , inciampa senza far colpo , e va sino a render puerili e ridicoli i più tra gici caratteri ; perchè le immagini di spavento ch' ei cerca di eccitare , si risolvono allora prestamente in concetti ed in arguzie di spirito , e da'concetti e dalle arguzie si passa a poco a poco a vere scene di farsa . Nè vi ha uopo d'indagarne al trove la cagione che in quella perenne boria di mostrarsi nuovo ad ogni costo , e di prender dagli aridi campi di una prevenuta intelligenza quel che non sa troppo facilmente rin venire ne' regni fertilissimi di una spontanea immaginazione. Siemi concesso di trarne un solo esempio dalle medesime Fenisse. Edipo annunzia di voler morire; ma non per le ragioni che altri per avventura supporrebbe: ama le tenebre , e desi dera procurarsene di foltissime nella notte del sepolcro , per chè quelle della sua cecità non gli sono abbastanza profonde. Antigone piange in udir questa risoluzione ; non si costerni dunque l'amata figlia ; non più si muoia ; eidecide di piantarsi ritto sul pendio di una rupe a proporre indovinelli a’ viandanti. A questo nuovo disegno le lacrime di Antigone si aumenta no , perchè vede allora nel padre , non più indizi di cordoglio , ma di demenza ; si consoli dunque la infelice , non si rinnovi la storia della sfinge. Si crederà forse ch'egli le promet tesse di sopportar con dignità e rassegnazione la sua sventu ra ? No : per render la calma a quella sconsolata donzella , e darle ampio attestato della sua riconoscenza , ei le offre di volere a un cenno di lei traversare a nuoto l’Egeo , e andare a raccogliere nella sua bocca tutte le fiamme dell'Etna. Hic OEdipus ægæa tranabit freta , Jubente te ; flammasque , quas siculo vomit De monte tellus igneos volvens globos, Excipiet ore. Or non doveva essere per Antigone un gran principio di con forto , udendo il cieco padre che per diminuire le angustie di lei vuol mostrarle di possedere il coraggio di Leandro e i pol moni di Encelado ? Seneca finalmente sentiva in astratto , che non è poesia dove non è pompa d'immagini ; e che la stessa semplicità , piuttosto che nuocere alla pompa , concorre a renderla più splendida e più evidente . Se non che obbliava che questo in dispensabile pregio di esecuzione prende la sua prima radice nell'indole stessa del soggetto , il quale spontaneamente la produce , come fiore ingenerato dal successivo sviluppo del germe che ne contiene in sè le forme vaghissime, benchè in visibili all'occhio nudo : ond'è che dove il soggetto non ne somministri gli elementi , il poeta si studia invano di crearla per sua sola opera dal nulla ; specialmente allor che le dispo sizioni del suo animo lo traggono ad abbandonar le illusioni della fantasia per tutto concentrarlo nella sollecitudine di sfog giar dottrine e di annerir la natura . La sua infatti riesce sem pre pompa di esteriore apparenza , 0 , per dir meglio , pompa sovrapposta e forzata , che, non ricongiungendosi per alcun legame al fondo dell'idea , degenera sovente in apertissima stravaganza , e vien come clamide imperiale, che, gittata sulle spalle di un satiro , contribuisce meno ad abbellirlo , che a farne risaltar più oltre la villana difformità . Ne addurremo più giù gli argomenti di fatto incontrastabili . Ei tolse tutti i soggetti delle sue tragedie dalla mitologia greca ; nè l'Ottavia fa eccezione , perchè ormai gli eruditi convengono non esser sua. A raggiugner però quelle situa zioni richiedeasi il volo dell'aquila ; ed il tragico latino avea per avventura un manto di piombo ancor più grave di quelli che Dante pone addosso a una schiera di dannati . Per valu tarne il merito in complesso , giovi poter distinguere anche in lui tre diverse maniere di concepire e di dipingere i suoi qua dri. Allor che il soggetto era di tal condizione fitta ed invariabile ch'egli non potea da verun canto cangiarne l'idea pri mitiva , s' industriava di farne un'amplificazione da collegio , e di acquistare in una specie di morbosa gonfiezza quel che dovea necessariamente perdere in forza ed in elevazione : e fu questo particolarmente il caso dell'Edipo. Quando alcuna materia se gli offriva da esagerare a suo modo l'immagine del delitto , ei sentivasi nel suo vero elemento a dar libero corso alle sue predilette tendenze : e ne diè prova nel trattar la Me dlea. Piacendosi alfine di spingere all'estremo la dipintura delle atrocità meditate , riprodusse il Tieste , quasi a chiuder la strada che altri confidasse di sorpassarlo in questo mo struoso genere. L'esame analitico di queste tre sole fra le sue tragedie giustificherà quanto finora si è detto intorno alla in trinseca tempra di questo autore . Edipo. Se un contagio sterminatore non si fosse ma nifestato in Tebe , che obbligo di ricorrere agli oracoli per ap prendere i mezzi di porvi un termine , i casi di Edipo non si sarebbero mai scoperti. Quindi Sofocle, nella magnifica espo sizione della sua tragedia su questo soggetto , parla di quel flagello , ma in poche linee : il sacerdote non ne fa menzione al re che a solo fine di spiegargli il motivo per cui tutto il popolo è accorso in atto supplice a implorare i consigli e l'aiuto del savissimo de'principi . Seneca per l'opposto , ob bliando esser quello un incidente su cui non bisognava molto fermarsi , giudicò necessario d'impiegar tutto il primo atto del suo tessuto a una minuta descrizione della peste onde la città è tribolata . Edipo , dopo aver accennata la maledizione che pesa sul suo capo di divenir parricida e incestuoso , senza che alcun ordine d'idee ancor lo esigesse , togliesi di raccon tare a Giocasta , che dovea pur supporsene istruita , i feno meni meteorologici onde quella calamità pubblica era disgra ziatamente accompagnata : calori eccessivi , calme soffocanti , torrenti disseccati , campagne isterilite, tenebre profondissi e in mezzo a questo disordine degli elementi , prodigi straordinari, apparizioni di ombre , spiriti ululanti la notte sull'alto de' tempii , e simiglianti. — Usciti appena di questa prolusione di fisica sperimentale , l'autore ci introduce in una sala di clinica, menando il coro con una descrizione patologica della peste a fare una mala giunta a quella di cui ci gra tificò Edipo. Gli spasimi , le convulsioni , le febbri, l'abbatti mento delle forze , i gavoccioli , e fin la tosse che affligge gl' infermi, somministrano materie al suo canto : nė vi man cano pure i portenti : perchè le fontane versano sangue invece di acqua , forse per alcuna chimica trasformazione operata dagl'influssi del pestifero contagio . Creonte , che era stato inviato a consultar l'oracolo , giu gne al secondo atto per dire al re , che , a cessar que’mali, era volontà de’numi che l' uccisore di Laio fosse punito : nė tras cura di narrare a lungo le difficoltà incontrate dalla Pitia per destar lo spirito profetico nel suo seno e dare i responsi analoghi alle domande. Mentre il re lancia , come in Sofocle , le sue tremende imprecazioni contra il colpevole , il cieco Tire sia , seguito dalla sua figliuola Manto , che gli serve di scorta , vien sulla scena , non si sa da chi chiamato , traendosi dietro altri ministri di tempii con un toro e una giovenca per fare un sacrifizio ..... nella reggia : e richiesto del nome dell'omi cida , protesta di non saperlo ; ma i numi glielo rivelerebbero mediante quell'olocausto . La cerimonia è immediatamente disposta ; e le particolarità che l'accompagnano , benchè visi bili a tutti , pur vi sono minutamente notate per mezzo di lungo dialogo tra l'indovino e la figlia , pieno di mistiche al lusioni a' futuri casi di Edipo e di Giocasta , e fin di Eteocle e Polinice , che son personaggi estranei all'azione . La fiamma del rogo scintilla de' più variati colori , ed è solcata di strisce sanguinose ed insolite , si divide in due da sè stessa , ed oltre ogni espettazione si spegne prima che le manchi l'alimento. Il vino offerto in libazione si cangia in lurido sangue, e globi di fumo si spiccano dall'altare e van rotando intorno al dia dema del re . La giovenca cade al primo colpo della scure ; ma il toro spaventato sembra fuggir la luce del sole ; e men tre stenta a morire , il sangue che gli sgorga dalle ferite , spandesi a coprirgli gli occhi e la fronte. Le viscere sono aperte alle vittime per leggervi il gran segreto : ma nulla vi si scorge al suo luogo , cuore , fegato , polmoni , tutto è in dis ordine : le leggi della natura vi appariscono violate : la gio venca inoltre ha concepito , e il frutto che porta nel ventre , é extrauterino ; fenomeno di cui Manto pare istruita più che a vergine si convenisse. Compiuta però questa dimostrazione anatomica , il re crede invano aver tocca la meta de' suoi desiderii con la sco perta del reo ; quel romoroso apparato di strane investiga zioni fu opera perduta : Tiresia dichiara esser tuttavia al buio della verità , e quindi bisognargli evocar da' regni della morte l'ombra stessa di Laio che gliela riveli. Ei parte infatti per adempiere in luoghi solitari questa specie d'incanto magico: e Creonte , che con altri fu deputato ad assistervi , ritorna ed apre il terzo atto col racconto di tutto ciò che quivi era avve nuto. Poco lungi da Tebe è una selvaggia boscaglia : ei ne descrive la posizione , gli alberi , le acque , e fino i venti che vi dominano. Tiresia ordina che vi si scavi un ampio fosso , che vi s'innalzi sopra un rogo , e vi si gittino molti animali in sacrifizio con le consuete libazioni di vino e di latte , men tr' egli intonando lugubri carmi con voce minacciosa , invoca gli spiriti ad uscir fuori dell'Erebo. Si odono allora urlare i cani di Ecate ; la terra trema; e sprofondandosi apre le vora gini dell'abisso , in fondo al quale si veggono le pallide divi nità infernali passeggiar confuse con le ombre ; e con esse le Furie armate di serpi , i fratelli nati da' denti del dragone di Dirce , la Sfinge che fu flagello di Tebe , e tutti i mostri spa ventevoli che abitano quel nero soggiorno. A cosi tetro spet tacolo gli astanti sono inorriditi : ma Tiresia , intrepido sem pre , invoca con maggior forza gli spettri , che a torme innu merevoli arrivano volando sulla terra , e si spandono con fre mito, lungo la selva. Ne sono indicati i nomi come in una rassegna di eserciti : e lo spettro di Laio , che sfigurato dalle ferite è l'ultimo ad apparire , annunzia infine con voce tre menda , che a rimuovere i disastri di Tebe , doveasi cacciarne Edipo , ad espiazione di aver egli ucciso il padre , e di essersi congiunto in matrimonio con la madre . Udita la narrazione di tanto prodigio , il re costernato esclama esser falsa l'accusa , perchè suo padre Polibo ancor vive , ed egli è lontano dalla sua madre Merope. Quindi sospetta che sia quella una calunnia di Tiresia per torgli lo scettro e darlo a Creonte , cui altresi ca rica di rimproveri e minaccia di morte. Si osservi di passaggio che questo sospetto è ragionato in Sofocle , perchè l'accusa vien dal labbro di un uomo qual è Tiresia : ma in Seneca è stolto , perchè quella rivelazione è fatta dall'ombra stessa di Laio che tutti hanno udita. Intanto Edipo , compreso di cruccio e di terrore , ricomparisce al quarto atto con Giocasta ; e chiesti nuovi schiarimenti sulle circostanze della morte di Laio , sovviengli di aver egli ucciso un uomo pria di condursi a Tebe ; e mentre alle risposte di lei i suoi timori si accrescono , un vecchio pastore corintio sopraggiugne a dirgli che Polibo avea cessato di vivere , e ch'egli era invitato ad occuparne il trono . A questo annunzio ei si piace che l'oracolo da cui fu minacciato di divenir parri cida , siesi pienamente smentito ; ma , temendo egli tuttavia l'incesto , il vecchio lo affida , svelandogli che Merope non era sua madre , e ch'ei , ricevutolo bambino da un pastore di Tebe , lo fe ’ adottare in quella corte . Quest'ultimo è appellato per dichiarar la nascita di Edipo , e tutto alfine si scopre come in Sofocle . Al quinto atto un messo accorre a narrare che il re, dopo aver percorso da furioso la reggia , avea risoluto in prima di uccidersi : ma poi , avendo meglio e più filosoficamente pe sate le cose , erasi contentato di strapparsi gli occhi; e che , fatto cieco , ancor levava in alto la testa per assicurarsi s' ei lo fosse interamente , stracciando una per una le fibre che nelle cavità nude gli rimaneano , per impedir forse che qual che filamento muscolare non si trasformasse in nervo ottico a dar passagio alla luce. Edipo stesso apparisce in questo de plorabile stato ; e Giocasta gli è a fianco per convincerlo che i suoi delitti erano sola opra del fato : se non che alle voci di lui, che inorridito cerca di allontanarla da sè , delibera an ch'essa di morire. In qual parte del corpo le conviene intanto ferirsi ? Quistione essenziale in tanta circostanza ; ond' ella la esamina con logica rigorosa , e si colpisce al ventre , che die ricetto a un figlio divenutole marito . A questo nuovo accidente Edipo riconosce sè stesso doppiamente parricida, avendo la sua disgrazia provocata la morte anche della ma Nell'Ercole all Eta di Seneca , Deianira propone presso a poco a sè stessa le medesime quistioni prima di uccidersi dre : e disperato abbandona la patria , invocando tutti i mali di Tebe a seguirlo nel suo esilio . Se per una di quelle insensate pratiche , usate nelle vec chie scuole di rettorica , un giovine studente fosse stato inca ricato dal suo maestro di fare un'amplificazione a sua guisa della greca tragedia di Edipo , io non credo che il mal senso delle descrizioni estranee all’azion fondamentale avesse po tuto esser spinto più oltre . Era serbato a Seneca il sommini strar compiuti modelli di siffatta specie di mostruosità : nė chiunque ha fior di gusto e di senno esigerà che io m'impacci a provargli un difetto sì aperto con appositi commentari; ba stando la nuda esposizione dell'ordito a convincerne senza più anche i meno veggenti . Un critico francese ha cercato di giu stificarne l'autore , allegando che quelle opere teatrali non erano destinate alla rappresentazione ; e che in conseguenza il lusso delle descrizioni eterogenee avea per iscopo di ren derne meno inefficace la lettura in alcun privato crocchio di conoscitori , ove soleano venir declamate . Se non che la tra gedia è un particolar genere di poesia che ha le sue leggi sta bili e determinate : e non mi consente la ragione che queste leggi nella tragedia letta , possano esser diverse da quelle re putate indispensabili nella tragedia rappresentata. Quando uno e fisso è il genere , non può esso andar soggetto a variazioni pel vario ed accidental modo di darne conoscenza altrui . Se il poeta estimava che le ampollose descrizioni , bene o mal coerenti a un tragico tessuto , fosser le sole che avesser potuto fare impressione in un'adunanza di ascoltanti oziosi , potea comporne a suo bell'agio distaccate con titoli convenienti, senza contaminarne un'arte che non è fatta per accoglierle . Sarebbe cosi divenuto il precursore di Stazio , lasciando una collezione di Sylvæ , più o meno sopportabili, in luogo di scene tragiche meravigliosamente insopportabili. Medea . Sin dalle prime scene , sentendosi tradita e derelitta , Medea non respira che sangue ed eccidii : ma gli eccidii e il sangue non le sembrano ancora se non leggeris simo alimento al suo animo inferocito . Vorrebbe ritrovare un' atrocità nuova , sconosciuta , straordinaria , che facesse parlar di lei nella più lontana posterità. Nel vederla si libera ne' suoi spaventevoli disegni , la nutrice , che l'è da presso , non sa immaginare altre vie a calmarla , se non rammentan dole che per menar tutto a termine sicuro ella dee nasconder la sua collera ; perocchè, ove questa si mostri di fuori troppo apertamente, ricade le più volte sopra colui che ne e animato, e distrugge i mezzi della vendetta. Massima infernale , ma vera ; e posta leggiadramente in pratica da tutti i contempo ranei di Seneca. Il re intanto , che teme le arti e le insidie della irritata maga , vien cruccioso ad ordinarle di sgombrar subito da' suoi stati . Indarno ella fa lungo racconto di tutto il passato per mettere in risalto la iniqua condotta di Giasone e la ricompensa infame onde l'ingrato la rimerita de' tanti be nefizii ricevuti ; indarno cerca di muovere in quel principe tutt' i sentimenti capaci di piegarlo a rivocare quella dura ri soluzione ; questi si rimane inflessibile ; e nel ritrarsi dalla scena consente solo a permettere , com' ella ferventemente chiede , che almeno i due suoi figliuoli continuino a dimorar ivi col padre , e che diesi a lei un giorno di tempo per ab bracciarli , e disporsi ad abbandonar per sempre quelle re gioni : favore di cui ella gode nel suo segreto , giudicando bastarle quello spazio a poter tutta rfversar la sua ira contro i suoi implacabili persecutori . Giasone offresi allora con bizzarro monologo a far com prendere che il re minaccia morte a lui ed a' suoi figli, ov'ei nieghi d'impalmar Creusa : nė vi ha cenno che in parte spie ghi o giustifichi questo mezzo speditissimo di concludere un matrimonio ; se già qualche maligno spirito non voglia sup porre che Creusa fosse incinta , onde, a salvarle la fama, si obbligasse il profugo seduttore a scegliere fra il talamo nu ziale e la scure . Medea, che di lui si accorge , gli va incontro scoppiante rabbia e dolore . A' veementi rimproveri di lei egli dice che il re l'avrebbe fatta perire , s' ei non lo avesse in dotto a contentarsi di scacciarla solamente dal regno : la solle cita quindi a sottrarsi tusto allo sdegno di chi ha il potere di opprimerla. A fin di scoprire il lato debole del cuore di lui , ella finge di cedere, ed implora che non le sia vietato di menar seco que’ medesimi figliuoli che pocanzi pregava il re a lasciare in cura del padre ; e compiacendosi nell'udire esser sulla scena , per lui impossibile di staccarsi da quei fanciulli , si restringe a chiedergli di poter dar loro l'ultimo addio ; grazia che il re le avea di già conceduta. Rimasta sola , medita il disegno di disfarsi della rivale , inviandole in dono una veste avvelenata ; e corre a farne confidenza alla sua nutrice . Questa rivien e narra i prodigi operati da Medea per compiere il suo funesto disegno . Con le sue arti magiche avea nelle sue stanze attirati il dragone della Colchide, l'idra uccisa da Ercole, e i più mostruosi rettili della terra ; e ne' loro veleni , misti a sangue di uccelli impuri ed a fiamme divoratrici , avea confuso i succhi di quante erbe narcotiche allignano sulla faccia del globo. Dopo questa relazione, che è lunga e minuta più che non bisognerebbe a descrivere anche il laboratorio di un farmacista , la maga ella stessa riapparisce ; e invocando Ecate con orribili scongiuramenti a discendere dal cielo per assisterla , si ferisce al braccio per far del suo sangue una libazione alla Dea. Terminato cosi l'incantesimo con un sa lasso , intinge in quel liquore la veste già preparata , e manda i figliuoli a farne presente a Creusa . L'effetto è subito prodotto . Un messo viene a raccontar distintamente che l'incendio si è manifestato nella reggia al solo contatto di quel dono fatale , e che il re e la figliuola vi sono rimasti amendue spenti . Medea , che in udir tale annun zio gioisce di aver colto il primo frutto delle sue trame, si dispone a coronar l'opera , uccidendo i figli , per cosi vendi carsi delle perfidie del marito . Questi era corso con gente d'arme a sorprenderla : ma ella erasi rifuggita co ' due fan ciulli e la nutrice sull'alto della casa . Di là parlando a sè stessa intorno a quel che le conviene di fare , dice che il de litto è compiuto , ma non ancor la vendetta ; trucida furi bonda uno di quei disgraziati , e ne gitta il cadavere sangui noso a Giasone che dal basso la mira imprecando e fre mendo : e mentr' egli la scongiura inorridito a conservare almen l'altro in vita , ella lo trafigge sotto i proprii occhi; e chiamandosi dolente di non averne avuti che due soli ad immolare, vuol cercar nel suo seno se vi sia il germe di qualche altro figliuolo per istrapparselo a brani dal fondo delle viscere . Innalzandosi alline sul suo carro magico , Ricevi, dice al marito insultando , ricevi i tuoi nati ; io mi slancio al di sopra delle nuvole. Si , quei le risponde , assorto nel raccapriccio e nella disperazione ; và per gli alti spazii dell' acre ad attestare all' universo che non esiste al cun Dio : Per alta vade spatia sublimi ætheris Testare nullos esse , qua veheris , deos. Tratto divino ! .... esclamava un critico : veramente , ripigliava un altro scherzando sulle parole , non vi è nulla che sia men divino ! Sull'indole di questa ributtante favola drammatica dissi altrove abbastanza : e qual pessimo governo Seneca ne facesse ad ancor più oltre annerirla ed a gonfiarla di vento , ciascuno può giudicarne da se medesimo. Non è intanto superfluo il notare una circostanza che sembra sfuggita costantemente a' dotti illustratori di questo tragico antico . Orazio inculcava severamente a ' poeti di non mai dare a spettacolo una Medea che trucida i figli al cospetto del popolo ; poichè un simile atto da far fremere sterilmente la natura, dee riuscir più or rendo che tremendo per chiunque non abbia rinunziato ad ogni sentimento di umanità. Che Seneca infrangesse un cosi savio precetto , chi ben conosce la tempra della sua fantasia ne comprenderà facilmente i motivi. Ma donde Orazio lo trasse ? Questo fu per me sempre un enigma. Un precetto che vieta una difformità in poesia , è come una legge che vieta un delitto in politica : suppongono amendue che un dis ordine abbia esistito per lo passato , e mirano ad imporre un freno affinché non si riproduca nell'avvenire : e non vi ha esempio in cui la giurisprudenza civile fulmini un'azione che non ha mai avuto luogo nella condotta degli uomini, come non vi ha esempio in cui la critica letteraria basimi un difetto di gusto del quale non vi è traccia nella storia delle arti . L'in duzione a trarsi da questo principio è semplicissima. Orazio non potea certamente aver letta la sconcezza , ch' ei riprova con si grave dettato intorno a Medea , nè in Euripide il quale avea saputo evitarla , nè in Seneca il quale fioriva quando egli era già spento. In conseguenza è a dirsi , ch ' ei la scor caso , gesse in qualcuno de' poeti latini suoi predecessori o contem poranei, le cui opere sono a noi sconosciute . E in questo che io lascio agli eruditi di verificare , non possiamo nel precettor di Nerone ravvisar nè anche l'esistenza di una facoltà , disgraziatamente assai comune ; quella cioè di saper ritrovare da sè stesso una turpitudine . La predilezione de' Latini per la favola di Medea costi tuisce inoltre un fenomeno che merita ugualmente di esser notato. In Grecia non imprese a trattarla che il solo Euri pide ; e dopo di lui una tragedia sopra il medesimo soggetto , che non è pervenuta alla posterità , fu scritta da un tal Neo frone, di cui non ho mai saputo novella. In Francia non è da citarsi che la Medea del Corneille ; poichè i tentativi di Pe louse , di Longepierre e di Clement sono ormai obbliati . Nella sola polvere degli archivii se ne additano due in Italia , una del Torelli , l ' altra del Gozzi : e parlo fino al 1820 ; perchè , se altre ne sieno apparse dopo , lo ignoro , e non ho mai cu rato d'informarmene. Non ne apparvero , a quanto io creda , fra gli Alemanni e fra gli Spagnuoli ; e può dirsi nè anche fra gl' Inglesi ; poichè quella del Glower non è calcata sulle memorie antiche . Questo poeta , in ciò di squisito senso , benchè non di alta sfera nel resto , osò con fermo proposito guastar piuttosto la tradizione ricevuta , che denigrare con una esagerazione si assurda il prezioso carattere di madre : ei suppose che Medea uccidesse i figli in un eccesso di frene tico delirio che le impediva di riconoscerli. E ritornata in sė stessa , la dipinse preda alla disperazione per l'involontario attentato , anzi che lieta e trionfante di aver dato opera a una vendetta che innanzi ad ogni essere ben costituito dalla na tura dovea necessariamente colpir di preferenza il di lei pro prio cuore . In Roma per l'opposto par che non vi fosse poeta tragico il quale non avesse tentata una Medea . Vi si segnalarono Ennio , Pacuvio, Accio , Ovidio , Seneca , Materno ed altri : e Tertulliano parla di un Osidio Geta , che nel primo secolo dell'era cristiana compose tutta di versi di Virgilio una nuova Medea , di cui lo Scriverio si è dato l'inutile pena di raccogliere alcuni frammenti. Con queste tendenze di ferocia ne' drammatici latini , vi è poi tanto a stupire che ivi la sana tragedia non mai prosperasse con la dignità richiesta ? Tieste . La scena è nella reggia di Micene ; e l'azione si apre con l'Ombra di Tantalo , la quale , tratta sulla terra da una delle Furie infernali , è da essa spinta a metter odio e furore nell'animo de'due fratelli Tieste ed Atreo, suoi discen denti , onde seguano fra loro i più orribili misfatti. Al solo aggirarsi dello spettro in quelle mura fatali , Atreo , che vi tenea scettro , è subitamente invaso da fieri desiderii di ven detta contra Tieste , che gli ebbe un tempo pervertita la sposa ed involate le ricchezze , e che állor viveasi profugo in terre straniere nella più estrema miseria. Memore de' torti rice vuti , ei non più spira che minacce di esterminio : e trattiensi a parlar con uno schiavo suo conſidente intorno al modo più sicuro da immolar l'abborrito fratello all'ira che lo investe . Il ferro per lui è arma di tiranni volgari : ei vuol supplizii e non morte ; poichè nel suo regno la morte debb' esser consi derata come una grazia. Meditando un eccesso che possa spa ventar gli uomini e la natura , ei risolve di richiamar Tieste dall'esilio con finte proteste di pace e di obblio del passato ; ed attiratolo cosi nella reggia, trucidargli a tradimento i figli, e preparargliene pasto neſando in una cena notturna. Ei va gheggia lungamente il suo infernale disegno ; e già ordina i mezzi da eseguirlo. Tieste , sollecitato da iniqui messaggi, cade nella rete insidiosa ; e , costretto dall'indigenza , presen tasi con tre suoi figli in Micene , non senza terribili presenti menti di ciò che possa ivi essergli ordito di atroce. Atreo , che ne è subito avvertito , affrettasi ad incontrarli ebbro di esultanza nella certezza di aver finalmente le vittime fra i suoi artigli; e coprendo il suo empio pensiero , avanzasi con benevolo sembiante ad abbracciar Tieste ed a chiedergli il bacio fraterno . A udirlo , era quello per lui un vero momento di felicità ; onde bisognava deporre gli antichi rancori, e non più ascoltar che la voce della pietà , della concordia e del sangue. Tieste si precipita a' suoi piedi , implora il suo per dono , e tra le lagrime della tenerezza e del pentimento lo prega di accogliere sotto la sua mano protettrice quegl' inno centi giovinetti. Da prima ei ricusa di accettar la metà del regno che il re gli offre con simulati affetti: si terrebbe felice di vivere suo suddito , e di poter espiare i suoi falli co' suoi fedeli servigi : ma cede alfine alle iterate insistenze del per fido Atreo , il quale , invitandolo a cingere sul suo capo vene rando il diadema reale , annunzia con espressioni di doppio senso che, a suggellar la pace tra loro , ei va intanto a disporre un sagrifizio. Questo inviluppo in sè occupa i tre primi atti della tragedia. Al quarto un messo appare sbigottito , e con le più rac capriccianti particolarità narra il già consumato eccidio al coro . Innanzi tutto ei descrive la parte remota del palazzo ove so leano soggiornare i principi di quella contrada , ed a lungo enumera gli straordinari ed incredibili portenti di cui quel sito sembra essere il magico ricettacolo . Ivi Atreo erasi con dotto in segreto con suoi fidati sgherri, trascinandosi dietro i figliuoli del fratello , ch'egli stesso avea già carichi di catene , ed a foggia di vittime inghirlandati di fiori e di bende. Or rendi altari vengono al momento eretti , arde l'incenso , le libazioni versate spumeggiano , la scure tocca il capo di que' mi seri, e tutte le formalità di un ordinario sacrifizio son diligen temente osservate . A tal sacrilego apparato , ed a'cupi urli di Atreo, che pronunciando funebri preghiere intuona l'inno della morte , la vicina selva trema : la reggia sembra crollar dalle fondamenta , il vino effuso cangiasi tosto in sangue , il dia dema cade tre volte dal fronte del re , il quale pari a fame lica tigre avventasi su i tre indifesi nipoti , e l'un dopo l'altro trafiggendoli , spande il terrore ne' circostanti satelliti . Ciò compiuto , egli strappa loro le viscere per leggervi entro i presagi del destino ; mette finalmente in pezzi le loro membra ancor palpitanti , ne prepara col fuoco l'infame cena , e la fa recare a Tieste , che ignaro degli eventi , lo attendea nelle sale dell'ordinario convito : e cosi quel padre infelice, che in abito festivo crede per la prima volta gustar la voluttà della con cordia con lo snaturato fratello , divora le carni de' propri figliuoli . A questa immonda narrazione, che può star leggia dramente a fianco delle additate nelle due precedenti trage die , il coro prorompe in esclamazioni analoghe allo spavento di cui si trova compreso. Il quinto atto ci rappresenta il ritorno di Atreo, il quale, dopo aver pasciuto i suoi sguardi in quella mensa infernale , vien fuori gridando con frenetica ed orribile compiacenza : Æqualis astris gradior , et cunctos super Altum superbo vertice attingens polum, Nunc decora regni teneo , nunc solium patris . Dimitto superos : summa votorum attigi . e Ma il fatto atroce non ancora lo appaga : gli bisogna compiere il lutto di un padre , rivelandogli il tremendo mistero , a fin di saziarsi di vendetta in veder gl' impeti del suo disperato dolore . All'appressarsi quivi di Tieste , ei da prima si cela per udirne il solitario linguaggio : indi si mostra ; ed invi tando il fratello a finir seco di celebrar quel giorno di letizia , gli offre una tazza di vino in cui è misto il sangue de' prin cipi uccisi . Questi , contento in parte della riacquistata pace , e in parte agitato da oscuri perturbamenti di animo , chiede affannoso che gli sia concesso di porre il colmo al suo giubilo abbracciando i figliuoli. Atreo lo tien sospeso con espressioni equivoche, e lo sollecita sempre più a bere in quella tazza : se non che a quel misero , nel riceverla , sembra veder fuggire il sole , scuotersi la terra , sconvolgersi gli elementi ; e rinno vando le istanze di rivedere i figliuoli , il mostro si scopre , glie ne gitta a ' piedi le teste sanguinose , dicendo : gnatos ecquid agnoscis tuos ? Qui Seneca ritrova uno di quei felici motti , per la cui vibrata energia è solamente notabile : peroc chè Tieste ansante a cosi nero attentato , non richiama in se gli accenti smarriti, se non per esclamare , agnosco fra trem ! .... e cade in delirio smanioso . Credendoli solamente uccisi, ei domanda con fremito di poterne almeno seppellire i cadaveri ; allor che l'empio gli svela ch ' ei li avea già divo rati , e gli narra tutto lo scempio che si era studiato di farne . Le furie di Tieste e le insultanti risposte di Atreo , che gode a quello spettacolo di orrore , chiudono la scena. Vi ha certa memoria che una tragedia di Tieste fosse anche stata scritta da Euripide, la quale va fra le tante di quel teatro che si sono sventuratamente perdute : e Seneca forse l'ebbe sott'occhio , ad attingerne per lui , non foss' altro , la stomachevole idea . Quali forme particolari di dramma tica esecuzione il Greco poi avesse adottate con destrezza per temperar l'orribile del soggetto fondamentale , non vi ha sto rico indizio da poterne rettamente decidere. Altrove si è però notato , che non ostanti le tendenze di quel poeta per la di pintura degli eccessi dolosamente criminosi, tendenze che fra le sue mani pervertirono si bruttamente l'arte , il popolo di Atene gli era pur tuttavia di costante freno a non lasciarsi precipitare in troppo aperte mostruosità ; ed ei più volte ne avea fatto a suo danno e scorno il crudele esperimento. Può in conseguenza tenersi ch' ei procurasse di velare in gran parte le incredibili atrocità onde le vecchie tradizioni aveano corredato a' posteri quel famoso avvenimento de' tempi eroici della Grecia ; e che Seneca s ' industriasse al suo solito di anne rirlo oltre misura , frastagliandolo a modo proprio con quella sua fantasia pregna dello spettacolo reale di tutte le più turpi enormezze. Alcuni han creduto infatti, che la descrizione di quella parte della reggia di Micene ove si finge che Atreo spegnesse i nipoti , fosse fedelmente ritratta da quella parte del palazzo de' Cesari in Roma, che Nerone avea destinata alle sue laide passioni e crudeltà segrete. È possibile ancora che Seneca traesse altre ispirazioni alla sua opera dalla tra gedia latina , che, siccome Ovidio narra , Vario e Gracco com posero insieme su i casi di Tieste , e che probabilmente è la stessa in seguito divulgata sotto il solo nome di Vario , di cui la storia di quel secolo ci ha serbata rimembranza. A ogni modo , il fatto vero o non vero su cui si fonda questo tragico lavoro , non meritava esser cosi rilevato in tutta l'asprezza delle sue giunture e l'abbominevole nudità delle sue forme, che in un secolo in cui i più esecrandi at tentati e le più truci e inudite vendette facean parte integra e special delizia della vita pubblica e privata di ogni uomo. Col sicuro presentimento che a' suoi contemporanei non ne sarebbe incresciuta la dipintnra, Seneca lo tratto senza velo : e i suoi sforzi nel dare alcun contrasto di luce a quelle tene bre infernali, restarono inefficaci. I tre giovinetti sacrificati all'ira dello scettrato cannibale di Micene, non muovono che una pietà volgare e ſuggevole , poiché cadono pari a mutoli agnelli che il famelico lupo divora mugolando nelle sue grotte di sangue. Nè alcuna di più eminente ne muove pure lo sten tato ritorno di Tieste sulle vie della virtù e della giustizia , si perchè un tal ritorno può sospettarsi dettato dalla pienezza delle sue miserie , e si perchè il suo violento e consumato in cesto con la sposa del germano , è un fatto di sua essenza ir reparabile , e non si cancella o ripurga per pentimenti per lacrime. L'orror cupo e nefando che spira il carattere di Atreo , è l'unico affetto che domina e inviluppa ferocemente l'azione : se non che, soffocando a un tratto tutte le potenze dell'anima , le addormenta in uno stupor convulsivo , che di strugge ogni vitalità di sentimento negli spettatori , ed abban dona il personaggio alla sola compagnia di sè medesimo. E conviene saper grado all'autore di aver nell'ordito messa giù ogni maschera d'ipocrisia . Conscio che il suo Atreo è un mo stro fuor di natura , ei lo allontana diligentemente da ogni specie di contatto con la natura . In lui , niuno di quei palpiti precursori che si associano al concepimento di un grave e spaventevole delitto ; niuno di quei terrori salutari che arre stano involontariamente la mano armata di un pugnale omi cida ; niuno di quei rimorsi che la rea coscienza genera a un tempo e ritorce contro a sè stessa innanzi allo spettacolo di una già eseguita scelleratezza . A che infatti porre in mostra gli ordinari fenomeni del cuore umano per attaccarli a un essere al cui tipo la tempra dell'umanità rimansi compiuta mente estranea ? .... Ma usciamo alfine di questo pattume : i comentari sono superflui dove i fatti parlano da sè in guisa , che ad ogni uomo di mente sana e di cuor non guasto è facil cosa il valu tarli . Ne mi rimane intorno a questo autore se non a preve nir brevemente qualche obbiezione che molti per avventura saran tentati di oppormi. Alcuni , per esempio, col bel romanzo del Diderot alla mano , diranno che io in questo esame ho troppo annerito il carattere morale di Seneca ; ed a costoro , senza inutili contese , lascio piena libertà di alimentare la loro passione pe' romanzi , e di farsene un idolo : l’umana viltà sovente ha deificato tanti mostri, che aggiugnervi anche quello il quale, giusta la grave testimonianza di un Tacito, diede apertamente opera , se non a concepire , a consumare almeno un matricidio , non dee poter cagionare alcun nuovo scan dalo . Altri , con l'autorità di Marziale e di Sidonio Apolli nare , diranno , dall'altro canto , che vi ebbero tre fratelli conosciuti sotto il nome di Seneca ; e che il teatro venne ascritto sempre , non al primo che fu precettore di Nerone , ma bensì ad Annio Novato , ch'era il secondo. Potrei rispon dere che uomini dottissimi in fatto di latina erudizione , quali sono un Giusto Lipsio , Erasmo, Einsio , i due Scaligeri , ed altri non pochi , attribuirono al filosofo gran parte di quelle trage die, senza lasciarsi punto illudere dalla circostanza ch'esse fos sero state pubblicate col nome del fratello : e ch'egli real mente vi abbia cooperato, lo attesta Quintiliano , il quale net tamente lo addita come autore della Medea . Potrei soggiu gnere che , ove quelle tragedie si paragonino attentamente con le prose del filosofo , basta la più leggera critica per rav visar nelle une e nelle altre le medesime tendenze di spirito , le medesime pretensioni di dottrina , spesso il medesimo fondo di pensieri , più spesso ancora le medesime stentate forme di lingua e di stile . Se non che tutte queste discettazioni erudite sono di niuna importanza per me. Quando anche mi si dimostri con matematica evidenza che le persone eran diverse , niuno potrà luminosamente provarmi che la tempra delle anime non fosse la stessa . Nelle mie investigazioni è stato in me principal di segno di apprendermi, non all'individuo materiale , che in teressa la storia degli uomini più che la.critica de' tempi , ma bensì all' individuo astratto , che vien come lucido specchio in cui fedelmente si riflettono le sembianze di un secolo con tutte le caratteristiche impronte , e tenaci abitudini , e maniere sue proprie di sentire , di pensare e di vivere. Se infatti biz zarria taluno volesse attribuir quel teatro ad altro poeta con temporaneo , a Lucano , per esempio , ch'era figlio del terzo fratello di Seneca il filosofo , cangerebbe egli mai lo stato della quistione ? Il famoso cantore della Farsalia non fe' onta all' egregio zio : prese parte attiva in una congiura celebre , che mise Roma tutta in commozione ; e , scoperto appena , tentò fuggir morte , denunziando vilmente i suoi complici , tra per i quali era sua madre : condannato indi a perire , perchè non era facile il placar Nerone per simil genere di meriti , affetto eroica fermezza ; e ne’momenti supremi declamò versi allu sivi al suo stato ; e del sangue che gli usciva dalle segate vene fe ' generosa libazione a Giove liberatore. A che andar più oltre mendicando prove , fatti e ravvicinamenti ? Eran tutti cosi : ed il mio scopo essenziale si fu di chiarire, che ingegni educati disgraziatamente in mezzo a realità prosaiche e ributtanti, non poteano produrre che opere drammatiche ributtanti e prosaiche. Le ingenue ispirazioni della natura esigono am piezza di spazii congiunta a splendore di analoghe circostan ze ; e le grandi fantasie non si sviluppano al certo nelle piazze de' patiboli. La morale di questa filosofia fu scritta da un altro napole tano esiliato per i moti politici del 1820 21 ; che merita anche lui almeno un breve ricordo in questa storia : Francesco Paolo Bozzelli. La sua vita ha molti punti di contatto con quella dello scrittore del quale abbiamo ora finito di parlare ; e meriterebbe uno studio speciale. Il Bozzelli nacque in Manfredonia il 22 aprile 1786 (1).A venti anni era a Napoli a studiar leggi sotto Michele Terracina e Ni cola Valletta. Si laureò avvocato ; ma presto abbandonò la car riera forense, essendo stato nel 1813 nominato per concorso U d i tore del Consiglio di Stato. Nel 1815 fu ispettore generale della Sopraintendenza generale di salute ; e l'anno seguente per lo zelo e l'operosità dimostrata in occasione della peste di Noia, pro mosso Segretario generale della stessa Sopraintendenza e nominato cavaliere. Nel 1820 presentato dal Parlamento in una terna per Consigliere di Stato ; ed ebbe infatti questo alto ufficio nel di cembre di quell'anno (2).Nel successivo fu nominato Commissa rio civile per l'approvvigionamento delle truppe in Abruzzo. Ma, caduta la libertà, dovette anch'egli cadere ; e fu imprigionato, quindi proscritto. Nel giugno 1822 si rifugiava a Parigi ; donde passò nel '26 a Londra, per tornarvi nel 1828. E a Parigi quindi (1) Traggo le notizie biografiche di lui da un clogio funebre, scritto su informazioni fornitedalnipoteomonimo del Bozzelli:Sulferetrodelcav.F. P.Bozzelli,paroledette il 27 febbraio 1861 nella Congrega dei ss. Anna e Luca dei professori di belle arti, dal l'architetto CAMILLO CASAZZA.Napoli,Cons,1864;opuscolo di 8 pp.in-4.°posseduto dalla Società napoletana di Storia patria. (2)Diluinon sidicenullanell'opuscolo,delrestopertantirispettideficientissimo, diVINCENZOFONTANAROSA,IParlam.nas.napol.perglianni1820e1821,mem.edoc., Roma,Soc.D. Alighieri,837 ; nel qual anno gli fu dato finalmente di ri tornare a Napoli.Dove riprese la carriera forense,e rimase tutto il r e s t o d i s u a v i t a . N e l ' 4 4 , p e r s o s p e t t o d i c o s p i r a z i o n e , f u a r restato e tradotto nel forte di S. Eramo; ma riottenne subito la libertà, anzi acquisto la fiducia di Ferdinando II. Il quale lo n o mino socio ordinario della R. Accademia delle scienze morali e più tardi Presidente perpetuo dell'intera Società Borbonica,ora Reale ; e nel 1848 lo chiamò a far parte del Ministero, come ministro del l'interno . E d egli redasse lo statuto . Si ritirò nell'aprile e fu n o minato un'altra volta Consigliere di Stato.Ma nel maggio tornò al potere e condusse la reazione che seguì all'infausto 15 di quel mese . E ministro resto, da ultimo col portafogli dell'Istruzione, fino all'agosto 1849. Quindi si ritrasse a vita privata,in una villa della collina di Posillipo,dove fini isuoi giorni il2 febbraio 1864. 2. Come scrittore è particolarmente noto per le sue ricerche Della imitazione tragica presso gli antichi e i moderni (1), dove in tese a combattere la tesi difesa dallo Schlegel nel suo Corso di lette ratura drammatica.Ma eglifuanche poeta non mediocre(2),eau tore di parecchie altre soritture di estetica ; fra le quali meritano speciale menzione le seguenti : De l'esprit de la comédie et de l'in suffisance du ridicule pour corriger les travers et les caractères, p u b blicata in francese a Parigi nel 1832 ; Cenni estetici sulle origini e le vicende della poesia ebraica (3), nonchè due memorie lette al l'Accademia di Napoli : Cenni cstetici sulle origini e le doti del teatro indiano; In quale dei cinque sensi a noi conosciuti è da scorgere il proprio ed efficace organo della bellezza. Il solo titolo di questa memoria basta, mi pare,a farci intendere che razza di estetica fosse quella del Bozzelli. Nel 1838 annunziava un trat tato di estetica, pubblicandone l'introduzione in una rivista(1); (1) La 1.a ediz, fu fatta a Lugano nel 1838 in 2 voll. L'edizione corrente è quella delLeMonniernel1861purein2voll.Mafral'anael'altracen'èunasecondacorretta e d a c c r e s c i u t a d i u n c a p i t o l o s u l t e a t r o s p a g n u o l o , i n 3 v o l l ., N a p o l i , s t a m p e r i a d e l V a g l i o 18:50 (sulla copertina 1856) in quella Biblioteca italiana pubblicata per cura di B. Fabbrica tore,che accolso anche la Storia generale della poesia del Rosenkranz, tradotta dal De Sanctis (1853-54). E l'editore annunziava che all'Imitazione avrebbe fatto seguire altri 2 voll.contenenti scritti del tutto inediti del Bozzelli.Sull'Imitazione,v.ULLOA,op.cit., II,330. (2)VedilesuoPoesievarie,Napoli,DeBonis,1815;eintornoadesseULLOA,I,244, e l'articolo di V. IMBRIANI nel Giorn,napol.della domenica,1882,an.I,n.20.  (3) Milano, 1842. (1) Vodi il suo art. Filosofia dell'estetica nel Progresso del 1838.   174 CAPITOLO V ma disgraziatamente il manoscritto gli fu involato, come ci dice un biografo, nella prigione di S. Eramo. Anonimo uscì nel 1826 un suo Esquisse politique sur l'action des forces sociales dans les différentes espèces de gouvernement, che egli aveva mandato m a noscritto da Londra a un suo amico di Brusselle, e fu da questo p u b b l i c a t o a s u a i n s a p u t a . F u l o d a t o d a l T r a c y e il n o m e d e l l ' a u tore scoperto in una recensione che ne fece con lode il Daunou nel Journal des Savans ; onde valse a prolungare l'esilio del Boz zelli, non potendo le idee liberali sostenute in quel libro essere approvate dal governo di Napoli. E molti brevi scritti inseri in riviste straniere, durante l'esilio,e negli Atti dell'Accademia a Napoli, che non giova qui ricordare (1); essendoci qui proposti soltanto di dare una notizia d'una sua più notevole opera : Essais sur les rapports primitifs qui lient ensemble la philosophie et la morale,stampata a Parigi nel 1825,eristampata nel 1830 col ti tolo più breve De l'union de la philosophie avec la morale (2); la quale rappresenta davvero un tentativo storicamente considerevole. 3. Il Bozzelli si prefigge in essa lo scopo di dare alla scienza della morale quell'ordine rigoroso , quell'unità sistematica , che erano stati raggiunti, secondo lui,dalla filosofia speculativa dopo Bacone, ossia da quando essa cominciò a fondarsi sull'esperienza : di fare perciò della morale, che si trattava ancora sotto la forma vaga d'una raccolta di osservazioni staccate, una vera scienza filosofica. Perchè, egli dice,« la philosophie n'est pas seulement (1)Una sessantina di saggi dice il Casazza, che ne dovette avere innanzi l'elenco. Ma noi non no conosciamo cho pochi: e menzioneremo solo il Disegno di una storia delle scienze fllosofiche in Italia dal risorgimento delle lettere sin oggi (ostr. dagli Atti dell'Ac cademia di sc.mor.e pol.di Napoli,del 1847); dove sono alcune considerazioni superfi ciali intorno alle tendenze spiccatamente filosofiche delle menti del mezzogiorno d'Italia e a quel giusto mezzo che,quasi per il loro vivo senso artistico, gli Italiani in generale avrebbero , secondo l'A., mantenuto tra le dottrine estreme del materialismo e dello spi ritualismo astratto. (2) Noi non conosciamo che questa 2." odiz. di Paris, Grimbert et Dorez, 1830 (vol.di pp . 564 in -8. ). Anche in questa ediz.,del resto,il titolo ripetuto dopo un Discours prélimi naire è Essais sur les rapports ecc.E a quest'edizione si riferiscono le nostre citazioni.Il PICAVET (Lesidéologues,Paris,Alcan,1891,p.549),dandouna brevissimanotiziadellibro, che citaEssaisecc.,dà la data del 1828. Ma dev'essere una svista.La data del 1825 è data dal Casazza e dal cenno che sul Bozzelli si trova nella Grande encyclopédie. Sul libro, si cita una recensione del Lanjuinais nella Revue encyclopédique, vol.26.o Il Casazza infine nel 1864 diceva che il nipoto omonimo già ricordato « con rispettosa ossequenza al nomo dello zio,or ora porrà allo stampe la traduzione dell'opera Saggio sui rapporti,ecc.>,    FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 175 la clef de la morale,elle en est l'essence même ».Non disconosco che importanti concezioni rigorose della morale c'erano già state in Germania après les ramifications de la doctrine de Kant (1). M a non erano che concezioni di unitari, com'egli chiama gl'idealisti; di unitari o teisti, o assoluti. E ormai è chiaro di quale filosofia l'autore intendesse parlare, volendo filosofica la morale. Egli insomma voleva per questa qualche cosa che potesse paragonarsi agli scritti concernenti la teorica della conoscenza (philosophie egli dice) di Locke, di Condillac, di Destutt de Tra cy : « ces trois écrivains qui semblent se succéder exprès pour ajouter l'un à l'autre, pour serrer de plus en plus l'analyse et l'enchaînement des faits, pour que l'erreur echappée à la pour suite de l'un soit atteinte par l'autre jusque dans ses derniers retranchemens; ces penseurs enfin qui brillent comme trois points lumineux dans l'histoire de l'esprit humain , et qui éclairent la route de la vérité,pour empêcher que personne ne puisse plus s'égarer dans le vague des hypothèses »(2). 4. Le azioni umane , la cui direzione costituisce l'oggetto della morale, non sono apprezzabili se non a patto che si riferiscano alle affezioni che le determinano. La scienza della morale, per tanto, si fonda sulla conoscenza delle cause per cui tali affezioni si g e n e r a n o , si s u c c e d o n o , si c o o r d i n a n o : si f o n d a , o g g i si d i r e b b e , sulla psicologia. E come il principio d'ogni fatto spirituale è nella sensazione, bisogna cominciare da questa. 5. La sensazione è un fenomeno del nostro essere,che avviene internamente,dentro di noi(3);questa è una verità intuitiva,at testataci dalla coscienza. Il numero delle sensazioni è infinito; ma esse entrano fra di loro in certi rapporti; il che non sarebbe possibile senza un sostegno, un centro, un principio generale e permanente di tutte queste affezioni.È un'induzione questa asso lutamente necessaria, perchè unica. Noi non conosciamo diret tamente questo qualche cosa che è la base delle sensazioni; m a lo scopriamo per i suoi effetti, come la prima condizione di essi, come una potenza particolare,che sipotrà indifferentemente chia mare essere senziente, anima, spirito, intelligenza, sensibilità. (1)Ma non pare conoscesse le opero oticho di Kant o de'suoi epigoni.Di Kant cita solo le Considerazioni sul sentimento del bello e del sublime;e,salvo errore,nella tradu zionefrancesedolKoratry.L'accennochesifaap.464eseg.allamorale disinteressata di Kant non prova una cognizione diretta delle opere kantiane. (2) Pag. 12. (3) Pag. 41.  ..   6. M a la sensazione rappresenta 'sempre qualche cosa di estra neo all'essere che sente : non si potrebbe concepire in noi la pre senza d'una sensazione, spogliata da ogni rapporto con oggetti dif ferenti da noi.Sicchè bisogna convenire,che vi sono realmente causc esteriori che noi conosciamo soltanto dai loro effetti su noi, e che sono la seconda condizione, non meno indispensabile della prima, per lo sviluppo della sensazione : e il loro insieme si dirà natura, mondo , universo, o, più semplicemente, esistenze che ci sono estranee. Per ammettere queste esistenze l'argomento più luminoso, se condo il Bozzelli, è che quando mancano certe date sensazioni, non accade mai d'imbattersi negli oggetti che possono produr le(1).Ognun vede che l'argomento è molto debole, per non dir nullo: ma infine « tous ceux qui se tiennent dans les bornes d'une espèce de doctrine pratique et de simple sens c o m m u n , en sont pleinement d'accord ». E questo è verissimo. 7. Contentiamoci, ad ogni modo, per la scienza dell'anima e dell'universo,diqueste semplici verità d'induzione:erinunziamo alle ricerche metafisiche sull'essenza dell'anima e sul principio generatore dell'universo. L'impossibilità d'una soluzione scienti fica dei problemi metafisici è dimostrata dal fatto che non ci sono due pensatori che abbiano dato una stessa soluzione : quot capita totsententiae.Se oggi,diceilBozzelli,sisaqualchecosadichiaro in questa materia, si deve piuttosto ai lumi della religione po sitiva che ha tagliato i nodi con la sua autorità (2). 8. La sensazione non importa semplicemente la rappresentazione di cause esterne,l'appercezione delle qualità dell'oggetto, ma an che una immancabile alternativa di dolore o di piacere. Una sen sazione che non s'accompagni con un'emozione gradevole o in cresciosa,è un'astrazione senza realtà. La sensazione è tutta la sensazione: ossia fatto rappresentativo oggettivo e fatto emotivo ( 1 ) P a g . 4 3 . D e l r e s t o , il B o z z o l l i a m m e t t e l a o g g e t t i v i t à d e l l a c o s a , m a n o n a m m e t t e quella dello qualità: « Dans la réalité, une sensation ne représonte rien en elle-même, parcequ'ellen'estriendesemblableàl'objetquilaproduit (pag.56).  176 CAPITOLO V chia come fisica ; e i positivisti d'oggi e gli altri agnostici non hanno nessuna la nuova conclusione È la vec de 'critici negativi di ogni m e t a della sottomissione rità religiosa. È la conseguenza ragione di scandalizzarsi forze della ragione. del Bozzelli logica e fatale all'auto della sfiducia nellesoggettivo. Donde la vera classificazione delle facoltà dell'anima inintuitiveeattive;leunestrumento dellaconoscenza,lealtre dell'azione.Le forme rappresentative sono icaratterifilosoficidella s e n s a z i o n e ; i f e n o m e n i d i p i a c e r e e d i d o l o r e , i c a r a t t e r i m o r a l i (1). 9. Il piacere e il dolore ci sono noti immediatamente, perchè li proviamo : m a la ragione del loro accadere è impenetrabile. In compenso,la loro conoscenza è nettae distintaper modo che a nessuno è possibile confondere l'uno con l'altro ; anzi ognuno sente il piacere come un'affezione di natura diametralmente op posta al dolore. 10. Ora, l'idea di sensazione è inseparabile da quella di m o vimento. Già essa, consistendo in fondo in un cangiamento di stato, ossia in un passaggio da uno stato ad un altro, non può avvenire senza movimento ! Ma essa stessa poi genera un m o vimento ; e come essa ha un doppio carattere morale, secondo che è piacevole o dolorosa,è chiaro che determinerà una doppia specie di movimenti. Quei fenomeni esteriori e visibili che si osservano nell'uomo investito dalla gioia o dalla tristezza, non sono che una conseguenza organica d'un primo movimento che si determina per tali sentimenti nell'anima. E per analogia con i movimenti che si vedono nel corpo, noi possiamo dire,che ilm o vimento correlativo dell'anima ora è espansivo,ora è coercitivo: espansivo quando si tratta di piacere, coercitivo quando sitratta di dolore. 11. Il Bozzelli combatte la vecchia dottrina edonistica epicu rea, rinnovata nel sec. XVIII da Pietro Verri nel suo Discorso sull'indole del piacere e del dolore (1773)(2), che il piacere con sista nella cessazione del dolore.Che significa che ildolore cessa? Il dolore,come il piacere,è un carattere della sensazione: sicchè può cessare se cessa la sensazione dolorosa. E se cessa la sen sazione, non può esserci nè anche il piacere ; perchè anche il piacere è carattere della sensazione, e non può esser prodotto da niente. E poi : contro la dottrina del Verri sta l'esperienza comune degli oggetti, parte noti come causa diretta di sensa (1) Ecco perchè e in che senso il Bozzelli distingue la scienza della morale dalla filosofia. (2)Vedi M. LOSACCO, Le dottrine edonistiche italiane del sec.XVIII, Napoli,1902 (e s t r . d a g l i A t t i d e l l a R . A c c . d i S c . m o r . e p o l . d i N a p o l i , v o l . X X X I V ), s p e c i a l m e n t e pp.35 e segg.; dove appunto sarebbe stato opportuno ricordare le osservazioni fatte al Verri dal Bozzelli (Essai premier,chap.VI).    zioni gradevoli, e parte, di sensazioni dolorose : gli uni e gli altri come forniti di caratteri dipendenti dalle loro qualità par ticolari ed intrinseche. Se il piacere fosse generato dalla cessa zione del dolore, delle due l'una : si dovrebbe ammettere cioè, o che in natura non esistono oggetti piacevoli di nessuna specie, e che tutto l'universo non è che una causa unica e continua di dolore; o che, se alcun oggetto piacevole esiste, esso dev'essere considerato come una creazione inutile o come un'aberrazione e una mostruosità fuori dell'ordine normale delle cose. E in verità non si può concepire niente di più strano e di più assurdo.Certo, bisogna riconoscere che il piacere attinge un maggior o minor grado d'intensità secondo che succeda a un dolore più o meno vivo,o più o meno rapidamente cessato. Ma il piacere è uno stato positivo, come il dolore. Nè vale ricorrere come fa il Verri a quei dolori oscuri, equi voci, quasi inconsci, che egli dice dolori innominati, per ren der ragione di quei piaceri che l'esperienza non ci mostra come successivi a un dolore. L'affermazione di siffatti dolori è asserzione vaga,diceilBozzelli,epocodegna dellaseverità dell'analisi: contraddetta dal fatto delle serie di sensazioni associate, tutte piacevoli (1). 12. Ma torniamo ai gradi dello sviluppo dell'anima. Il primo è dunque quello attestatoci dal sentire:ossia l'attitudine dell’a nima a sentire, o sensibilità propriamente detta. Questa facoltà, come ogni altra, è attiva, checchè ne dica il Laromiguière. In fatti, dire facoltà passiva è una contradictio in adiecto : perchè fa coltà viene da facere, sinonimo di agere ; ed è perciò lo stesso che attività. La sensibilità si dice passiva, perchè le sensazioni sono necessarie e come imposte: non essendo in poter nostro di evi tare l'eccitamento degli stimoli esterni, nè, una volta eccitati, di non provarne le impressioni sensibili. M a il senso non è semplice recettività ; ei non ha niente di simile a un corpo fisico in riposo che riceva un urto meccanico da un altro corpo che è in m o v i mento . L'anima nell'atto che riceve quel dato stimolo, risponde all'impressione esterna, facendo nascere la sensazione, cioè « (1) Il Bozzolli ha ragione di notare al Verri che oltre e meglio di Platone, Montai gne , Cardano e Magalotti, avrebbe potuto citare tra coloro che avevano sostenuto la sua dottrina, Epicuro : pel quale il vero piacere era appunto oneExipeous Tavtos toj a d yoovtos (DIOG.L.,X,139).Vediunmio articolonellarivistaLa Criticadir.daB.CROCE,In questa facoltà del senso tutte le altre trovano il prin cipiodellorosvolgimento.Datoilcarattereespansivo delpiacere, bisogna ammettere nell'anima una specie di attività differente da quella del senso. L'essere senziente pel piacere « ne sent pas simplement ; il s'élance dans sa propre modification , et s'efforce à tout prix de s'y attacher ». C'è qui uno sdoppiamento d'atti vità:un'attivitàsente,eun'altrasisforzadiconservareuno stato.. L’una e l'altra sono facoltà elementari;e la seconda dicesi volontà. Di qui si vede che lo sviluppo della volontà comincia dalla prima sensazione piacevole ; poichè il dolore è coercitivo . M a il dolore ha un'altra funzione (2). Il piacere sviluppa la doppia attività dell'anima sensitivo -v o litiva; il dolore la sola attività sensitiva. Sicchè ilsuccedere del dolore al piacere non può riuscire indifferente all'anima; la quale non può non raffrontare i due stati, e sentire la loro diversità . Ora, sentire questa disparità tra isuoi modi di essere,non è sen tire gli stessi modi di essere separatamente, e ciascuno per sè. Questo nuovo sentire è quindi l'effetto d'una terza facoltà, ele mentare anch'essa, dell'anima ;è ciò che dicesi propriamente un giudizio . 14. Queste del senso, del volere e del giudizio sono le tre fa coltàprimitivedellospirito;leleggi,perdirlaconDugald Ste art, della nostra costituzione mentale. Esse non sono distinte per modo che ciascuna di esse sorga a misura che condizioni particolari del suo sviluppo vengano sucessivamente a verificarsi; perchè l'essere sensitivo è uno ; e fin dalla sua prima risposta aglistimoliesterni,eglisielevaintuttalapienezzadellesue po t e n z e , c o m e m e c h e s e n t e , m e c h e v u o l e , e m e c h e g i u d i c a (3 ). P u r e , c o m e l ' e s p e r i e n z a u m a n a n o n si o c c u p a a f f a t t o d e l l e e s i s t e n z e in quanto indipendenti da ogni rapporto con noi (non le afferma, nè nega), cosi per la nostra esperienza non importa che le fa coltà primitive dell'anima siano tutte e tre originarie: essa non  fenomeno sui generis, che si riferisce all'oggetto esterno, senza però rassomigliargli e senz'aver nulla di comune con esso » (1).Il cheèattivitàenonpassività.– Sicchéquest'argomentodelLa romiguière per togliere la sensazione dal seggio in cui il sensi smo , fino a quella che il Picavet chiama la seconda generazione di ideologi, l'aveva collocata, come fonte e base di ogni prodotto dello spirito, non ha alcun valore.) tien conto nel me che sente,del me che vuole,nè del me che giu dica:questi me non ancora sirivelano; sono,ma per noi come non fossero. Per tenerne conto,sì da non ammettere nessuna gra duazione,nessuno sviluppo nella formazione dell'anima, la filoso fia dovrebbe spingere l'analisi al di là di ciò che si è manifestato allanostraanimainun modopositivoereale(1).Insomma,ilBoz zelli afferma,come sa e come può,la necessità razionale di conci- . liare il concetto dell’a-priori dell'anima col concetto dello sviluppo di essa. 15. In questo sviluppo la volontà ha una parte importantis sima,come s’è visto.Senza la volontà l'anima non potrebbe che sentire, e non si eleverebbe mai all'altezza del giudizio. E poichè volontà senza piacere è impossibile, il piacere è il cardine e il centro della vita dello spirito. Esso è l'unico motivo del volere : e il Bozzelli non accetta nulla della dottrina del Locke che il volere sia determinato da un'inquietudine attuale (2). Il dolore non cimuove,macimortifica.Ildolorecimuove quandofuoridi noi ci sia qualche cosa di piacevole il cui acquisto ci prometta u n s o l l i e v o . M a a l l o r a n o n è p r o p r i a m e n t e il d o l o r e il v e r o m o tivo, anzi quella sensazione piacevole che l'oggetto esterno ci fa pregustare.Ildolorecome taleèassolutamentequietivo:nessuno può volervisi sottrarre senza l'esperienza d'uno stato diverso, che sarà quindi il reale motivo del voler suo. Non ci sono desiderii vaghi di liberarsi da dolori attuali senza saper nulla dello stato in cui si cangerebbero. Si ha sempre un'idea dello stato diverso che si desidera. Condillac disse bene (3): « Les besoin ne trouble notre repos, ou ne produit l'inquiétude, que parce qu'il déter mine les facultés du corps et de l'âme sur les objets, dont la privation nous fait souffrir. Nous nous retraçons le plaisir qu'ils nous ont fait : la réflexion nous fait juger de celui qu'ils peuvent nous faire encore ; l'imagination l'esagere; et, pour jouir, nous nous donnons tous les mouvemens dont nous sommes capables. Toutes nos facultés se dirigent donc sur les objets dont nous sentons le besoin ». Or questo,osserva il Bozzelli, non è che un commento di Locke; il quale, indicando il dolore come causa delle nostre determinazioni,esige che v’abbia nello stesso teinpo fuori di noi quel tale oggetto piacevole che ci promette un sol lievo. Ma in questo modo è un aperto tradirsi, è ammettere di fatto ciò che con tanta fatica si combatte in teoria. Si, è « pour jouir, come dice Condillac, que nous nous donnons tous les m o u vemens dont nous sommes capables ». Il vero motivo dunque delle determinazioni volitive è quel l'oggetto volibile posto fuori di noi,di cui parla lo stesso Locke. Ma come s'ha da intendere questo fuori di noi ? Non certo nel senso spaziale: perchè in questo senso l'oggetto resta sempre fuori del soggetto che lo sente. Qui si tratta invece di posizione nel tempo ; vale a dire, l'oggetto è fuori di noi in quanto non è ancora , può in avvenire esser posseduto da noi: in quanto rispetto a noi è un oggetto futuro, laddove l'oggetto goduto può dirsi presente e attuale. Di qui il principio, su cui il Bozzelli insiste a lungo e difende da ogni possibile obbiezione, che il motivo di tutte le azioni umane sia la sensazione piacevole dell'avvenire (1). 16. Or donde, dato un unico motivo possibile, tanta varietà nelle azioni umane ? Egli è che l'anima, a cominciare dalla sensa zione,non è,come fu già osservato,uno strumento passivo.Un'af fezione poi, com'è data dalla sensazione, non resta immobile e inerte nell'anima,che la elabora e la spiritualizza, decomponen done gli elementi costitutivi (un oggetto nelle sue varie qualità di cui non è che l'insieme) per distinguere questi l'uno dall'altro, e d'ognuno farne un centro d'associazione d'altre affezioni o m o genee che concorrono a fissarvisi. Quindi un intreccio di vincoli per cui le rappresentazioni sono fra di loro legate ; e quindi una maggiore o minor forza in ognuna a seconda del più o meno stretto collegamentocon altre;ecorrelativamente,una maggioreominor facilità in ciascuna di esser ricordata e come d'esser proiettata pel futuro.Ora questa forza intrinseca dell'anima,elaboratrice dei materiali dell'esperienza sensibile,non pervenendo a uno stesso grado in tutti gl'individui e in tutte le età, è chiaro che confe rirà un contenuto diverso al motivo del volere,e produrrà quindi la varietà delle azioni. Insomma, essendo identica in tutti la natura dell'anima e identici gli organi esterni che le porgono alimento, si genera ne'diversi individui un diverso contenuto psi cologico, da cui dipendono le determinazioni del motivo in so unico dell'umano volere. « Certo,dice con enfasi ilBozzelli,quell'inflessibile Bruto che condanna a morte i suoi figli, e che con occhio fermo assiste all'ese cuzione della sua terribile sentenza,sarà un essere inconcepibile  ma (1) Essai troisième, chap . I e II.   fuori del primitivo concetto della grandezza romana . Egli si slan cia attraverso la notte dell'avvenire, e vede per quell'esempio di giustizia spiegarsi sotto isuoi occhi,in una successione magnifica, cinque secoli di gloria e di prosperità; vede la nazione più colos sale uscirne tutta intera e coprire della sua potenza la faccia della terra ; e concezioni che spaventano le anime comuni, rien trano per le anime straordinarie nei rapporti immutabili del l'esistenza dell'universo »(1). 17. Il principio delle azioni umane, dunque, è la sensazione piacevole di un oggetto futuro: o con termine più semplice, il piacere. E la storia ce ne fornisce una conferma evidente. L'ori gine della società non è che l'effetto di tale principio. Esso conduce il selvaggio dalla caccia alla pastorizia, quando l'esperienza gl'insegni che le intemperie o le malattie potranno impedirgli un giorno di procacciarsi la preda necessaria al vitto : ed egli provvede all'avvenire impadronendosi, quando può, di g r a n n u m e r o d i a n i m a l i p a c i f i c i , p e r e s e m p i o d i c e r v i , e li c o n s e r v a vivi, per potersene nutrire al bisogno. Esso fa sorgere accanto alla pastorizia l'agricoltura, quando l'uomo conducendo gli a r menti alla pastura, acquistata la conoscenza degli alberi e delle piante, comincia a sperimentarne l'uso, e a poco a poco a calco larne ivantaggi che ne può ricavare con la coltivazione.Esso mena il pastore e l'agricoltore a scambiarsi i prodotti superflui della loro diversa operosità,segnando quindi la data della più potente rivo luzione nell'insieme dei loro bisogni e delle loro facoltà. Quindi, dividendosi sempre più il lavoro e moltiplicandosi gli scambii, sempre quell'identico motivo aduna insieme ad abitare in un sol luogo consumatori e produttori, e crea le città. Poscia perfe ziona le arti, regola le industrie, e fa nascere perfino le scienze. È questa la molla segreta di tutto l'umano progresso. 18. E che è la proprietà se non un sostegno dell'avvenire ? E a che si ricerca e si stabilisce, se non per assicurarsi il piacere futuro? La proprietà è necessaria appunto perchè è necessario cotesto sostegno dell'avvenire. E coloro che declamano contro la proprietà, esaltando la comunanza dei beni, non sanno che si di cono , e si stenta a credere che parlino in buona fede (2). E che ? La comunanza dei beni esclude forse la proprietà?Una massa di mezzi di sussistenza appartenente a una colonia intera senza appartenere agl'individui che la compongono,è inconcepibile.La  proprietà individuale ci sarà sempre, sebbene ridotta al libero uso che ciascuno può fare dei beni comuni; perchè in quest'uso è assicurato appunto a ciascuno il sostegno dell'avvenire; che è la vera sostanza del concetto di proprietà. Ma cogliendo il frutto, non s'è padroni di tagliare l'albero che lo produce. Ma l'albero non è per ciò sempre una proprietà,alla quale ognuno ha diritto di ricorrere, quando vuol soddisfare la fame ? M a questo diritto appartiene egualmente a tutti gl'individui della colonia. Ma da quando in qua la solidarietà del possesso ha distrutto il diritto di proprietà, che ciascun solidale ha sullo stesso fondo ? E tanto è vero questo modo di vedere che,quando questa massa di beni comuni cessi, per dissensi o usurpazioni, di soddisfare ai bisogni di tutti gli individui della comunanza , cessa anche di essere una proprietà, pel solo fatto che nessuno più vi riconosce l'appoggio del suo avvenire;e allora ognuno per sussistere fa assegnamento sul suo lavoro personale, e si crea una proprietà a sè, di cui gli altri non partecipano punto il godi mento. Declamare, dunque, conchiude il nostro scrittore, contro la proprietà è pigliarsela colle affezioni costitutive del n o stro essere. Pretendere la proprietà con la comunanza dei beni, è giuocar di parole, é appigliarsi a una differenza, che rispetto alla nostra natura sensitiva è nulla (1), 19. E che è la legge se non una garenzia dell'avvenire ? Tutte le definizioni diverse date da Cicerone, da Montesquieu , da G r o zio,da Rousseau contengono forse ciascuna una verità,ma par ziale e incompleta. La legge non è una semplice volontà, nè un pensiero generale, nè un'astrazione filosofica: ma « una potenza sempre attuale, sempre formidabile,che nasce dal bisogno di con servare inviolabili le affezioni più generose dell'anima. La pro prietà basterebbe come sostegno dell'avvenire;ma questo soste gno è ad ora ad ora scosso dalla violenza e della mala fede, con tro le quali urge appunto la garanzia delle leggi . Certo la legge provvede a un vizio della convivenza civile; e Tacito ha ragione : corruptissima republica,plurimae leges! 20. E se si riflette, la stessa religione rispecchia quel fonda mentale motivo di tutte le umane produzioni. Non è religione quella del selvaggio, che, atterrito dal rimbombo del tuono nel mezzo della tempesta,si prosterna innanzi al corruccio d'un Dio che ei si rappresenta posto sulla cima delle nubi ; o del selvaggio  che all'apparire del sole vedendo sorridere la natura, adora in ginocchio l'astro luminoso , ond'egli fa la dimora sacra d'un Dio benefattore : perchè il vero sentimento religioso è ben altrimenti profondo. Religioso è l'uomo la cui anima si espande a tutto ciò che v'è di più tenero e di più simpatico nei rapporti della natura vivente , e sdegnando fieramente i limiti d'una tomba fredda e s i l e n z i o s a , i n n a l z a l e s u e p i ù n o b i l i a s p i r a z i o n i o l t r e il c o n f i n e d e l tempo e dello spazio : l'uomo virtuoso che l'ingiustizia dei suoi simili ha gettato nelle tribolazioni dellavita,eche,non vedendo se non nella morte il termine delle proprie miserie,apre l'anima alle illusioni lusinghiere d’un'altra vita imperitura,e sospira la calma che si ripromette di trovarvi.Negli uomini diquesta tem pra conchiude il Bozzelli s'eleva il santuario della reli gione, dond'essa apparisce raggiante delle speranze più consola trici. La religione nasce pertanto come l'infinito dell'avvenire(1). Disse lo Shaftesbury, che il primo ateo dovette essere certamente un uomo triste e malinconico. Il contrario anzi è vero, secondo il nostro romantico scrittore. Le reveries seducenti della tristezza malinconica fecero nascere la religione ; e l'ateo è un 21. Tutta l'umanità dell'uomo,dunque,cidice,che ogni deter minazione dello spirito procede dal bisogno d'un piacevole avve nire. E in questo bisogno perciò occorre cercare il reale fonda mento di quel fatto umano,che è a sua volta la morale. L'etica del Bozzelli è,come ognun vede,schiettamente edo nistica. E come ogni edonista, il Bozzelli concepisce la morale come un fatto naturale,ed è risoluto avversario del concetto normativo di essa. « L'homme, egli dice, ne doit être que ce qu'il est : la règle de sa conduite ne répose que sur les lois de sa constitution fondamentale... Dire que l'homme doit être par choix une cose tout-à-fait différente,de ce qu'il est par essence, c'estprétendrequ'unarbrefaitpour produiredespommes,pro duise des poulets ou des poissons » (3). E direbbe invero benissimo se questa concezione realistica della morale egli non riattaccasse alla veduta metafisica dell'antico edo nista,che honeste vivere est secundum naturam vivere; e se ricer  cui cuore freddo e gretto è incapace di allargarsi deliziose d'un'anima alle espansioni tenera e gentile. La réligion et l'irréligion ne constituent en dernière analyse qu'une simple sibilité (2) question de sen essere il (1) Pag . 283. (2 ) P a g . 2 8 7 . (3 ) P a g . 2 9 2 .   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 185 cando nell'uomo stessoilfondamento effettivo dellamoralità,egli non si mettesse innanzi l'uomo nella sua nudità primitiva (1). L'uomo ancor nudo, il bestione di cui parla G. B. Vico, non ha ancora moralità , è ancora natura : e bisogna aspettare, per dir così, che si vesta, perchè diventi quell'essere nella cui costituzione una concezione realistica della morale possa trovare il fondamento di fatto di questa.Ad ogni modo,vediamo come quest'uomo ancor nudo acquisti col solo motivo del piacere la moralità, secondo il Bozzelli . 22. La morale non è che una continuazione, o, se si vuole, un'applicazione dell'analisi fin qui fatta delle forze operanti nello spirito(2),Si rifletta. Se tutti gli oggetti circostanti fossero uni formemente piacevoli,per obbedire alla propria natura, ed essere quindi completamente felice, l'uomo non dovrebbe che abbando narsi agl'impulsi della sua volontà spontanea . Ma , pur troppo, questa età dell'oro non è che nell'immaginazione di Esiodo e de gli altri poeti antichi che la descrissero. Purtroppo, le cose e gli stati sono ora piacevoli e ora dolorosi; e l'uomo, che non ab bia accumulato una sufficiente esperienza, spesse volte s'inganna : crede di seguire il piacere , e si trova innanzi il dolore : e p r o cede sempre nella vita come naviglio in mezzo all'Oceano,ora favorito dal bel tempo , ora sbattuto dalla tempesta . Ma i disinganni e i dolori lo rendono riflessivo, distruggono in lui quel naturale abbandono agl’impulsi ciechi del volere; lo rendono sempre più prudente, e più difficile nelle determinazioni future. Gli farebbero contrarre l'abito della perplessità e della irresoluzione, se non soccorresse il giudizio,che solo ha il po tere di leggere nell'avvenire fondandosi sul passato,ed è in grado perciò di fornire una garanzia all'anima che vuole, mostrandole il bene verace, incoraggiandola, rassicurandola. Il giudizio, ricercando sempre i rapporti del mondo esterno con l'uomo a fine di garentire il volere per il futuro, accumula via via un gran tesoro di fatti positivi ; che non restano patri monio esclusivo dell'individuo che ne fa esperienza,ma si comu nicano nelle famiglie, e si ereditano di generazione in genera zione ; moltiplicandosi col tempo per l'esperienza degli altri in dividui;permodo cheinfinel'uomositrovariccodituttiimezzi che occorrono ai suoi vasti bisogni (3). (1) « L'analyse de la pensée a dissipé les romans,a désenchanté les osprits,a montré l'homme dans sa nudité primitive >;pag.293. (2)Pag.300. (3)Pag.308.    Se non che questo fardello di esperienza che cresce sempre, non può crescere indefinitamente : perchè finisce con essere in sopportabile alla memoria. E che avviene ? Una parte di esso va lentamente perdendosi nell'oblio.È vero che intanto nuove espe rienze aggiunge di proprio l'individuo ; m a è tutto un versar acqua nella botte delle Danaidi.() almeno sarebbe,se In queste massime, in questi apoftegmi, in tutte queste gene ralizzazioni è la morale, una morale pratica, che diventa scienti fica quando tutti i precetti, tutte le massime sono coordinate e messe d'accordo tra loro,ridotte a sistema e subordinate a un'idea unica e centrale. La morale, insomma, si riduce a una precet tisticadiprudenza;ogni imperativo,potremmo direcon Kant,è ipotetico . 23. Come accade che la morale apparisca qualche cosa di di verso ? 11 Bozzelli spiega anche la psicogenia del concetto corrente della morale, come di un insieme di obblighi superiori, imposti alla nostra natura sensibile e non derivati affatto da questa. Una volta formate le massime generali, è naturale che, invece di fare ai figli delle lezioni pratiche richiamando o narrando tutte le singole esperienze, si preferisca d'imprimere nella loro m e m o ria quelle regole determinate che essi potranno poi applicare nel loro interesse secondo i casi della vita; giacchè in tal modo siri sparmierà tempo e fatica,e sarà tanto di guadagnato per l'inse gnamento che si vuol dare. M a come fare accettare tali regole ai figli? La loro vera giustificazione sta nell'insieme dei casi par ticolari, da cui sono estratte. E rifare la storia di quei casi è impossibile ; tanto varrebbe continuare nel vecchio sistema, e la sciar da banda le regole. Si pensa ad imporle incutendo per esse un rispetto stabile e profondo, col dare ai fanciulli un'idea m i steriosa della loro natura ed origine. Non si presenta la verità tutta nuda : si crede anzi di ren  186 CAPITOLO V tervenisse di genio, che, fatta una cernita non in l'opera degli uomini dotati d'una gran mobilità sieme tutti i catenano e fondono masse di quelle esperienze simili e quindi generalizzando con finezza e profondità carico di fatti individuali , in caratteri coloriti e sfumati casi particolari intere di tali esperienze , e le rendono al pubblico cui originariamente mero di parole partenevano,secondo lafineosservazione in piccol n u ap del La Bruyère , coniate, chiare e precise, in apoftegmi per dir cosi, in massime ed eleganti, in pensieri ingegnosi semplici : con cui si sostituisce e minuziosi. da tutti il pesante e forza , messi in , in   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 187 derla più bella vestendola e abbigliandola in costume da teatro.Si dice che quelle regole hanno un'origine soprannaturale, che sono innate in noi ; che ognuno le porta impresse nel cuore. E vera mente come figure rettoriche queste espressioni, dice il Bozzelli, potrebbero correre. Si può dire, infatti, che Dio ci abbia dato queste regole nel senso che egli ci ha fornito i mezzi di scoprirle e constatarle ; si può dire che siano innate in noi, nel senso che noi siamo dotati delle facoltà adatte a farcele scoprire (1). M a così potrebbe dirsi egualmente,che Dio ci ha comunicate le leggi del moto,e che esse sono impresse nelnostrocuore,per ciò solo che ci ha così fatti da apprenderle mercè l'esperienza e la rifles sione . 24. Non già che le leggi morali sieno convenzionali e arbi trarie. Esse sono fisse e invariabili nell'ordine eterno delle cose ; dipendono dalla nostra natura sensibile; come le leggi fisiche ap partengono intrinsecamente ai corpi.Noi non possiamo cangiarle, nè sottrarci ad esse. Ma l'origine loro nel nostro spirito non è differente in nulla dall'origine dei concetti che pure abbiamo delle leggi fisiche. Certo, nel mondo fisico, sarebbe meglio limitarsi a insegnare a un contadino come, coltivando e curando erbe ed alberi sel vatici,i nostri padri pervennero col lavoro a sostituire alla fine, per la nutrizione , frutti più dolci e più succulenti alle ghiande e alle radici. Ma in pratica,è indifferente che gli si dica al con trario,che tutto si deve al solo dono degli Dei ; e che a Minerva dobbiamo l'ulivo, a Cerere le biade e a Bacco la vite.Il sistema è diventato falso,perchè si è esagerato ; e a forza di voler cavare tutto dai cieli,s'è finito col farne scendere perfino il delitto e la corruzione . M a oggimai , pare al Bozzelli che meglio si farebbe dicendo il vero ai giovani ; mostrando loro come quelle regole di morale che, si additano ad essi, non sono altro che la quintessenza del l'umana esperienza accumulata a prezzo di infiniti dolori; e che seguirle è fare il proprio interesse, perchè esse insegnano i mezzi di sfuggire al dolore. La morale del Bozzelli è per questo essenzialmente intellet tualistica come quella di Socrate (2). Esser virtuoso è sapere : sa (2) Ma la fonte diretta è HELVELTIUS; il quale già aveva detto che bisogna « décou vrir aux nations les vrais principes de la morale ; leur apprendre qu'insensiblement en  (1) Pag . 320.   per veramente. E come Hobbes scrisse un libro De computatione seu logica, bisognerebbe scriverne un altro : De computatione seu ethica : perchè non si tratta anche in morale che di un calcolo (1). 25. Ma a questo punto il Bozzelli prevede un'obbiezione: la vostra morale è impossibile, perchè, incatenando la volontà al piacere, voi avete distrutta la libertà che è la condizione sine qua non della morale. Intendiamoci : bisogna distinguere libertà da libertà. Io ammetto , egli dice accordandosi pienamente col Bor relli,lalibertà,ma comepotenzad'agiresecondoledeterminazioni (lella volontà, senza che alcuna forza estranea Questa libertà d'agire esiste, ed è assoluta ; perchè non vi sono ostacoli estranei di nessuna natura che le si possano opporre.Non ve ne sono fisici; perchè, p.es.,l'impossibilità di saltare un fiume dipende dalla limitazione naturale delle nostre facoltà muscolari, ossia da condizioni del nostro essere. Non ve ne sono morali, a maggior ragione: perchè il non poter derubare, il non poter as sassinare la gente, è un ostacolo alla determinazione del volere, più che a l l ' a z i o n e ; d e l v o l e r e , c h e t r o v a il p r o p r i o i n t e r e s s e n e l n o n determinarsi mai per ciò che può distruggere la sua felicità.Non ve ne sono,infine,sociali;perchè lostato sociale,checchè ne dica Rousseau, non importa la menoma limitazione della libertà natu rale ; perchè chi consideri le leggi civili secondo il fine per cui sono istituite, esse non possono che essere d'accordo coi motivi della volontà di tutti gl'individui per le quali sono dettate. E se in pratica, scrive il liberale del '20, si osserva il contrario, la colpa non è del principio:ora si parla della società, non delle società (2) 26. Qui il Nostro ha un'osservazione preziosa, che avrebbe vivificata tutta la sua etica, se egli se ne fosse ricordato a tempo , e che ci fa desiderare il suo Esquisse politique, che non ci è riu scito di vedere.Il concetto dello stato di natura in cui ogni uomo èlupoall'altrouomo,parealBozzelliun romanaffreur;esime raviglia che sia mai potuto entrare nella testa di un essere ragio traînées vers le bonheur apparent ou réel la douleur et le plaisir sont les seuls moteurs do l'univers moral ; et quo lo sentiment de l'amour de soi est la seule base sur laquelle on puissojeterlesfondementsd'une moraleutile»(Del'esprit,disc.II,chap.XXIV).An che per Helveltius la virtù era un calcolo, e il vizio un effetto dell'ignoranza .  188 CAPITOLO V Senza opponga ostacoli. questa libertà la felicitàsarebbe impossibile ; e sarebbe quindi anche impossibile la morale) nevole. Il vero stato di natura, egli dice, non è che lo stato so ciale : e ciò è così semplice, cosi chiaro, così intuitivo che non è mestieri dimostrarlo(1).Ma l'osservazione è quasi guastata dal commento :che sarebbe stata un'inconseguenza quella della natura di aver fatto l'uomo per la felicità e per la società che ne è la condizione fondamentale, e avergli conferito insieme tali diritti (ipretesi dirittidinatura,abbandonati,secondo Rousseau,perla sicurezza di altri diritti acquistata con lo stato sociale) da esser egli obbligato a disfarsene tosto per compiere il suo vero destino. Tutte le limitazioni, insomma, sono limitazioni del volere, o del corpo stesso dell'agente : non sono mai estranee ad esso ; e . non si può dire mai, quindi, che importino una restrizione della libertà di agire. Quanto questo agente, considerato non solo come volere,ma anche come organismo corporeo,sappia di crudo m a terialismo, non occorre spiegare. Era la tendenza intrinseca di tutto il pensiero bozzelliano, che dalla sola sensibilità si proponeva di cavare anche ciò che ha natura essenzialmente superiore. 27. Dunque, libertà di agire, si: ma se si pretende anche li bertà di volere, il Nostro non dubita di affermare che un tal concetto è parto d'immaginazione indelirio(2).La libertà presup poneilvolere;enonpuòquindi esserpresuppostadaessa,perchè, per esser libero, bisogna prima volere ; laddove la libertà del volere importerebbe che si fosse liberi prima di volere. L'argo mentazione qui è evidentemente viziosa, avvolgendosi in un cir colo : giacchè si vuol dimostrare che l'unica libertà è quella di agire, e contro quella di volere si toglie una ragione dalla li bertà di agire. Giacchè solo rispetto all'agire la volontà precede la libertà. 28. Ma il Bozzelli domanda che significhi la frase libertà di vo lere. Se si crede, egli dice, che si possa volere senza motivi, ciò è assurdo. Si vuole perchè si sente;mancando la sensazione pia cevole, la facoltà di volere resta inattiva, demeure en silence.Non si può volere, senza voler qualche cosa, senza un fine: voler nulla è non volere. E non è possibile nessuna distinzione tra fine e motivo. Se poi s'intendesse per volere libero un volere non impedito da ostacoli, non si direbbe nulla di positivo; perchè gli ostacoli possono opporsi ai movimenti comandati dal volere, non al volere. Il volere è come il pensiero: nessuno e nulla può comprimere la libertà del pensiero in se stesso, che non è suscettibile di nessuna opposizione diretta.Impedire si può la mani festazione del pensiero, con la parola o con gli atti. Il concetto d'una possibile determinazione contraria a quella effettivamente datasi, è assolutamente arbitrario : perchè la v o lontà indipendente dalle sue reali ed effettive determinazioni, qual'è quella cui tale possibilità si riferisce,è un'astrazione senza nessun fondamento di realtà. La volontà è volta per volta determinata in maniera neces saria. « L'uomo non può volere che il piacere: non è padrone di volere il dolore, perchè dolore e volontà s'escludono a vicenda . Questa risposta è perentoria »(1). 29. Questa necessità del volere però, lungi dal contrastare la morale, è la sola che possa salvarla. Data la libertà del volere, ogniideadimoralesarebbeannientata(2).E laragioneèovvia. Questa libertà importa che la volontà sia indifferente al piacere e al dolore ; epperò , che quelli che si dicono oggetti piacevoli , e quelli che si dicono oggetti dolorosi producano di fatto impres sioni analoghe. In verità, non si potrebbe volere il dolore senza ammettere insieme che questo possa produrre sull'anima un'im pressione simile a quella prodotta dal piacere . M a questo sarebbe distruggere ogni differenza, e quindi ogni distinzione di male e di bene, e ogni ragione di merito o di demerito delle nostre azioni, ogni fondamento insomma della morale.Importerebbe inoltre, con la possibilità di scegliere il male , una certa relazione invariabile tra i bisogni umani ed il male, come ve n'ha di certo tra i bi sogni e il bene : onde non sarebbe una colpa l'abbandonarsi al male. Ne inganni il fatto che, malgrado la ripugnanza naturale,il vo lere si determini talvolta pel male ; ciò accade perchè il male si presenta allora sotto l'apparenza di bene, e il dolore riveste non di rado a'nostri occhi le forme seducenti del piacere. La stessa morte al suicida stanco di soffrire apparisce come una liberazione o un sollievo,e perciò appunto un piacere.Rousseau,ostinato libe rista, in un momento di felice ispirazione esce in un'affermazione importantissima e tanto più preziosa, in quanto è fatta da lui: « Non , egli dice,je ne suis pas libre de ne pas vouloir mon propre bien,je ne suis pas libre de vouloir mon mal : mais la liberté con siste en cela même que je ne puis vouloir que ce qui m'est con venable,ou que j'estime tel.S'ensuit-ilque je ne suis pas mon maître,parce que je ne suis pas le maître d'être un autre que moi?» Ora,sipuòmodificareilpuntodivista:maquestoè verissimo : che libertà vuol dire e deve voler dire esser se stesso, non già poter esser altro che sè. 30. Il Bozzelli insiste molto nel combattere tutte le astrazioni, tutte le creazioni,come direbbe Hegel, dell'intelletto astratto nel campo dell'etica. Perciò egli richiama l'attenzione sul parallelo sviluppo dei bisogni e delle conoscenze umane corrispettive, per cui è possibile che i bisogni sieno soddisfatti, attraverso i secoli. I bisogni crescono sempre e si complicano ; crescono e s'affinano insieme le conoscenze relative; anzi il desiderio di nuovi piaceri stimola a nuove conoscenze, e le nuove conoscenze suscitano e creano nuovi desiderii e nuovi bisogni. I bisogni sono oggi infi nitamente di più e maggiori che una volta ; e la loro soddisfazione è certamente più difficile; e quindi più difficile la felicità. La vita d'una volta era un navigare su un lago tranquillo,donde si discopra con uno sguardo la ridente e pittoresca riviera ; la vita d'oggi è un traversare un oceano tempestoso e pieno di scogli,i cui confini si confondano con l'immensità dello spazio. Ma non pertanto quei moralisti che, per assicurare agli uomini la felicità, vorrebbero farli risalire, a ritroso degli anni , verso lo stato di semplicità primitiva in cui li pose la natura, rassomigliano al medico che chiamato a curare un'indisposizione, visto che è s e m plice effetto di vecchiaia , imputasse al malato la decadenza da quella prima età in cui questi mali sono ignoti,e gli consigliasse per tutto rimedio di tornare agli anni fiorenti della giovinezza. V’ha una successione di età come per l'uomo fisico così pel morale ;come per l'individuo, così per l'umanità.L'uomo col suc cedersi dei secoli passa di condizione in condizione, si trasforma naturalmente ; e tornare indietro è impossibile ; concepire il ritorno è sogno seducente dell'uomo dabbene, che crede possibile tutto ciò che l'immaginazione gli presenta come desiderabile (1). 31. Nello stesso errore cadono stoici ed epicurei,dimezzando l'uomo e creando un essere fittizio non corrispondente punto alla realtà. Gli uni credono di poter assicurare la felicità all'uomo, spogliandolo di tutti i bisogni , e facendolo impassibile a tutti i piaceri, intento unicamente a non so quale virtù selvaggia, posta non come d'ordinario in un luogo alto e difficile,ma addirittura in una regione eterea al di là della na ra umana, e appena ac  (1)Pag.354. 1   cessibile agli slanci d'una immaginazione ardita e malinconica (1). Gli altri vorrebbero sottrarre anch'essi l'uomo alla inquietudine dei bisogni suggerendogli il carpe diem , il partito di appigliarsi ai piaceri più prossimi per procurarsi la voluttà del corpo e l'in dolenza dell'anima.I Cinici e i Cirenaici,precorrendo queste dot trine, le avevano di già screditate esagerandole. L'uomo di Z e none è un'astrazione; perchè l'uomo come essere sensibile non esiste che pel mondo esterno, al quale deve lo sviluppo della sua sensibilità; e non può chiudersi in se stesso e rinunciare a tutte lesensazioni,come dovrebbe,persottrarsiatuttiibisogni.L'uomo segregato dall'universo e divenuto come una statua, è l'uomo sna turato, l'uomo distrutto. Così l'uomo di Epicuro, che rinunzia alle più alte soddisfazioni per pascersi dei piaceri più facili, con trasta con ogni idea di progresso , di attività umana : è mezzo uomo ancheesso;èsimileall'aquila,che,dotatadialiper slan ciarsi verso la luce fiammeggiante del sole, preferisse di sbaraz zarsene per somigliare ad un rettile (2). 32. M a già queste opposte dottrine ci dicono che oggetto unico della morale è per tutti il piacere ; principio unico da cui partono e a cui tendono tutte le azioni umane . La virtù selvaggia degli stoici non è che il pegno simulato d'un piacere infinito ; « e il torto di Epicuro non è.di aver fondato la morale sulla voluttà, per chè la voluttà è certo il sinonimo del piacere; ma di averne pro stituito l'idea,e tagliato lepiù splendide ramificazioni »(3).Lo si combatte grossolanamente, laddove si tratta di rifiutare il senso stretto che egli vi lega: perchè infine la pratica della virtù è essa stessa una voluttà (4); e come dice con molto acume M o n taigne: pour être plus gaillarde, nerveuse,virile, robuste,elle n'en est que plus sérieusement voluptueuse. L'uomo,insomma, è tutto l'uomo,e il piacere, motivo delle sue azioni, non esclude nessuna forma di piacere. 33. Di qui è chiaro che tante saranno le forme di piaceri, quante sono le attività o gli stati dell'uomo; perchè altrettanti saranno i suoi bisogni. Il Bozzelli distingue nell'uomo la sua esi stenza animale e la sua esistenza sociale : le due condizioni, egli (2) Non occorre qui notare la inesattezza storica di questa interpretazione del pensiero di Epicuro.E già nell'inesattezza il Bozzelli è in buona compagnia ;perchè anche Kant pensava lo stesso) dice, che lo comprendono e costituiscono tutto intero (1). Quindi i piaceri sono classificabili in piaceri animali e piaceri sociali.La de duzione degli uni risulta dal già detto. Donde gli altri ? Anche il Bozzelli accetta la teoria della simpatia morale :il piacere degli al tri è nostro piacere,per l'identità di natura tra noi e i nostri si mili (2). M a questi piaceri animali e sociali sono in relazione fra loro. Quali naturalmente prevalgono ? E qui il Bozzelli rifà la solita critica dei piaceri egoistici,animali. Questi piaceri si riferi scono ai bisogni fisici, che non hanno nessuna latitudine, nè spa ziale nè temporale. Le condizioni della materia ne fissano i limiti. Portano sempre con sè sazietà e disgusto.Il godimento ne dissipa tutta l'attrattiva.Non hanno successione,nè continuità:si gene rano e svaniscono come fenomeni effimeri e staccati. Nascono col bisogno, e finiscono col bisogno :saziata la fame, la vista sola dei resti del pasto è importuna e sgradevole.Il letto, sollievo all'uomo stanco,diviene tormentoso a chi vi debba restare a lungo senza interruzione. Il fasto viene a noia, e dopo averne lungamente goduto,si cerca la campagna e idisagi.Questi piaceri insomma sono, per dirla con Plutarco (3),come aurette di venti graziosi che spirano le une su una estremità, le altre sull'altra estremità del corpo , e passano e svaniscono incontanente : così breve ne è la durata ; simili alle stelle che si vedono la notte cadere dal cielo, o traversarlo da un punto all'altro, essi si accendono e si spengono sulla nostra carne in un istante. Dipingete un quadro con le tinte contrarie; e avrete la rap presentazione dei piaceri sociali.Di qui ilmaggior pregio (edoni stico, s'intende) e la naturale prevalenza dei piaceri sociali sugli (2) Nell'espressione di piaceri sociali, questa designazione ha però un senso molto largo : altri direbbe sentimenti spirituali. L'autore infatti li contrappone ai piaceri animali , dicendo questi jouissances directes du corps, e quelli jouissances directes de l'ame. Gli o g getti dei primi « consistent dans tout ce qui & rapport à l'entretien matériel de la vie et auxagrémensimmédiatsdessons»;glioggettideglialtriconsistonoinvecein«toutce qui a rapport à cette correspondanco, harmonique des sensibilités, en vertu de laquelle noussympathisonsavec lesjouissancesaussibienqu'aveclessauffrancesdenossemblables; etnousnous tentons poussésàaugmenter lesunes,àsoulagerlesautres,ànousréjouir du bonheur,à nous afsiger du malheur de notre prochain »;pag.433. (3 ) Il q u a l e , c o m e il N o s t r o , n o n s ' a c c o r g e v a c o m b a t t e n d o E p i c u r o , c h e a n c h e E p i c u r o aveva cosi criticato i piaceri sensuali. Vedi l'opuscolo di Plutarco , ( he non si potrebbe ri vere felicemente secondo la dotlrina di Epicuro.)animali. Di qui la superiorità della morale sopra le fisiche incli nazioni ad essa contrarie. 34. Tutti i piaceri sociali si risolvono in quelli della giustizia e della beneficenza. La giustizia è il riconoscimento della invio labilità della proprietà, di cui s'è già parlato. La beneficenza è la sodddisfazione degli altrui bisogni, sentiti come nostri per effetto della simpatia. I due fatti si suppongono e quindi s'in tegrano a vicenda. La beneficenza è una conseguenza della giu stizia; che ha luogo quando uno o più individui dell'aggregato sociale a cui apparteniamo, non abbiano quel sostegno dell'avve nire, che è la proprietà. E del pari la giustizia è una conseguenza della beneficenza, poichè se siamo benèfici per non soffrire con altri, non possiamo violare quella giustizia che è la condizione della proprietà. Questi due fatti sono la base della società,di ogni ocietà, vuoi domestica,vuoi civile,vuoi politica: sono la pratica della virtù. 35. Ma che è propriamente virtù, e che è vizio? Il Bozzelli richiama un principio notissismo di psicologia : che l'abitudine at tenua la coscienza e quindi il grado di piacere e di dolore pro dottoci dalle impressioni; e osserva che non si può perciò fuggire il dolore abbandonandosi al piacere, se non si vuol fare come il medico che per guarire la malattia uccide l'ammalato. Bisogna lottare contro il dolore, per disarmarne la violenza, acquistando l'abito di soffrirlo, e quindi affrontando il dolore, anzi che vol gergli le spalle o accasciarsi sotto il suo peso : m a occorre i n sieme lottare contro i piaceri per impedire che l'abitudine di g o derne non ne distrugga ilbeneficio,usandone quindi con prudente moderazione. Epperò occorre dare all'anima tal forza di carattere che le permetta di padroneggiare la tempesta delle passioni. E quella tempra acquisita, che rende l'anima capace di soggiogare con successo tutti i dolori, e restare ferma contro le seduzioni dei piaceri che tentano di snervarla, è quel che il Bozzelli dice propriamente virtù; e il contrario,vizio(1).Insomma, la virtù è l'arte di godere. Fermezza nei dolori,moderazione nei piaceri, sono i suoi caratteri; come debolezza nei dolori, intemperanza nei piaceri,sono i caratteri del vizio (2). Quindi il grande uffizio della pedagogia : che imprima alla fibra animale, quand'è ancor tenera e flessibile, e all'anima, quand'è ancor nuova e accessibile a tutte) le affezioni, una serie di abitudini che le rendano atte a quella fermezza e moderazione,che crea insomma la virtù(1). 36. La quale, secondo il Bozzelli, è unica e indivisibile, se si distingue dagli atti virtuosi,in cui può manifestarsi.Per la povertà naturale del linguaggio o pel desiderio di nobilitare cose ordinarie e comuni,si decora sovente del nome di virtù ogni qualità ac quisita a forza di fatica e di studi e perfezionata dall'abitudine di un lavoro continuo e ostinato. E in questo senso,per esempio, in Italia si dice che un pittore,un musico,un ricamatore, un fa legname e perfino un muratore ha della virtù ; e qualche volta si aggiunge, ed è un'espressione più felice, che ha questa virtù nelle mani . M a tale virtù non si può confondere con la virtù morale : la quale non è indirizzata*a vincere ostacoli che si oppongano alle mani: ma è solamente quell'energia abituale dell'anima che signoreggia dolori e piaceri, schermendosi dai primi per non re starne vittima, e tenendosi lontana dai secondi per serbarne la freschezza. Ogni altra accezione del termine virtù è falsa, o equi voca,od esagerata(2). 37. Queste le linee principali della concezione etica bozzel liana: alla quale non si possono per certo negare ipregi della coe renza , del rigore e dell'acume filosofico. È vero che l'originalità si riduce a ben poco, quando si pensi alla dottrina di Adamo Smith (Teoria di sentimenti morali, 1759) e a quella di Helvetius ( Trattato dello spirito, 1758): delle quali è come una contaminazione. Dal l'una è tolta di peso la teorica della simpatia ; dall'altra il pretto edonismo e lo spiccato intellettualismo : e questi tre sono i tre ele menti principali e costitutivi dell'etica che abbiamo esposta.Ma è innegabile tuttavia,che il Bozzelli ha saputo fondere insieme que sti elementi e imprimervi uno stampo proprio, formandone un si stema ben organato e compiuto : tale che la letteratura contempo ranea francese e italiana non ha nulla da mettervi accanto.Con ciò, s'intende, non si dice che è tutto vero quello che il Bozzelli crede tale.Ma farne la critica sarebbe inutile ormai che quella po sizione è di lungo tratto oltrepassata. Era stata,anzi,oltrepassata prima che il Bozzelli pensasse a scrivere: ma in una parte della storia delle idee, che non entrò nella sua cultura di ideologo. (1) È noto quale importante parte all'educazione attribuisce l'Helvetius.Cfr.A Piazzi, Helvetius nel Dizionario illustr, di pedagogia dei proff. Martinazzoli e Credaro ; e l'arti colo dello stesso, Le idee filosofiche e pedagogiche di U. Adr. Helvetius, nella Rivista di filosofia scientifica del 1889. (2)Pag.430.    CAPITOLO Francesco Paolo Bozzelli. Keywords: il tragico, il tragico latino, l’implicatura di Lucano, l’edonismo di Bozzelli, capitol su Bozzelli nella storia della filosofia italiana di Gentile – edonismo, morale, etica – costituzione napoletana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bozzelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690066285/in/photolist-2mRReaw-2mKF6Rp

 

Grice e Bozzetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Borgoratto Alessandrino). Filosofo. Grice: “If Strawson is a Griceian, Bozzetti is a Rosminian – he philosophised on substance (‘il concetto di sostanza’ from the point of view of ‘gnoseologia,’ and also on ‘dialogue,’ and ‘piety,’ – he also speaks, like I do, of construction, and reconstruction, and indeed, ‘metaphysical reconstruction,’ one of my routines!” – “My favourite has to be his philosophy of dialogue.” -- Figlio di Romeo (uno dei Mille di Garibaldi, divenne colonnello e poi generale dell’Esercito Italiano) e da Edvige Griziotti De Gianani. I genitori erano originari dalla provincia di Cremona. Tutta la famiglia Bozzetti si sposta a Trapani, poi a Napoli, a Reggio Calabria, ad Ancona, a Genova e infine a Torino, seguendo le destinazioni del capofamiglia. Scrive delicate poesie, indirizzate ai suoi familiari. Si laurea a Torino. Entra nell’ordine dei Rosminiani. Novizio al Convento rosminiano del Sacro Monte Calvario di Domodossola (dove una sala è oggi a lui dedicata) e ordinato sacerdote. Si laurea a Roma. Insegna a Domodossola. Nominato Superiore Provinciale dei Collegi rosminiani e a Roma. Eletto Preposito Generale, cioè VII successore di Antonio Rosmini. Insegna a Roma. Sostenne e spiegò le tesi di Rosmini, in particolare quelle esposte nella Filosofia del diritto.   Sacro Monte Calvario di Domodossola, Via Crucis. La persona è soggetto di diritto, cioè cerca liberamente la verità e aderisce liberamente alla legge morale, su cui forma la propria coscienza e la consapevolezza di avere una destinazione o metier. Gl’Agiati pubblicano questo sintetico profilo di lui. Attratto dalla filosofia rosminiana che fa della “persona” il diritto sussistente ed il fondamento dello stato italiano, ripropose la metafisica del filosofo roveretano quale unica speculazione che sapesse inquadrare il problema dell'essere personale in un'organicità ontologica più comprensiva (il vivente). Filosofo costruttivo, capace di far convergere molteplicità ed unità, frammentarismo e organicità. Lettera di Rosmini, Risposta al prof. Sciacca, Domodossola, C. Antonioli. Centro di studi filosofici di Gallarate. Dizionario biografico degli italiani. Nacque a Borgoratto (Alessandria) il 19 sett. 1878 da Romeo, prima garibaldino poi ufficiale dell'esercito regolare, e da Edvige Gianani. Il B. compì gli studi seguendo il padre nelle diverse residenze di Trapani, Napoli, Reggio Calabria, Ancona, Genova, Torino. In quest'ultima città conseguì la laurea in giurisprudenza, rivolgendo però maggiore interesse alla filosofia, in particolare al pensiero di Rosmini ("Fu una liberazione quando trovai nella Filosofia del diritto di Rosmini che la persona umana è il diritto sussistente. Notiamo bene: la persona non solo ha dei diritti ma essa è il diritto": Il valore della persona, in Opere, III, p. 2924). Apparve dunque fondamentale al B. il concetto di persona come diritto sussistente, che gli rivelò il proprio esistere "come soggetto di tre esigenze fondamentali, inviolabili e inalienabili: la ricerca e il possesso della Verità, la libera adesione alla Legge morale con la conseguente formazione della coscienza, la consapevolezza di una destinazione eterna, oltre questa vita mortale" (ibid., pp. 2924 s.).  Dopo la laurea, entrò all'Istituto della Carità; fu novizio al Calvario di Domodossola nel 1900 e nel 1906 fu ordinato sacerdote. Nel 1908 si laureò in filosofia; nel 1909in lettere all'università di Roma. Incominciò quindi la sua esperienza educativa come insegnante di filosofia, di letteratura italiana, di teologia nelle scuole dell'Istituto della Carità. Fu superiore dei collegi rosminiani; nel 1929 fu superiore provinciale, e infine superiore generale dell'istituto intero dal 1935 fino alla morte.  Nel 1908 il B. pubblicò a Roma Il concetto di sostanza e la sua attuazione nel reale. Saggio di ontologia e metafisica (Opere, I, pp. 5-59). Del 1909 è il volume su Antonio Rosmini nell'aspetto estetico e letterario, Roma (Opere, I, pp. 63-217), che tratta della formazione e delle qualità dello stile di Rosmini e del suo merito come scrittore, e illustra la sua teoria estetica. Al 1917 appartiene il saggio Rosmini nell'"Ultima Critica" di Ausonio Franchi, Firenze (Opere, I, pp. 221-302). Negli anni 1923-26 il B. pubblicò La vita di Antonio Rosmini (Opere, I, pp. 305-373). Dopo una serie di scritti minori (Tra noi e Dio, Domodossola 1935; Nella Chiesa di Cristo, ibid. 1939; Lineamenti di pietà rosminiana, ibid. 1940), pubblicò nel 1940 a Milano gli Sviluppi del pensiero rosminiano nella "Teosofia"(Opere, III, pp. 2795-2843).  In questo saggio il B. affrontava il problema dell'"ente nella sua totalità". Per Rosmini tutto il sistema del sapere umano ha tre principî: l'idea, l'anima, l'ente. La filosofia deve cominciare dal principio ideale, quindi procedere allo studio del principio subiettivo intelligente. Ma per raggiungere il suo compimento la filosofia deve studiare "ciò che è primo nell'ordine assoluto degli oggetti conoscibili, per sé, ossia l'ente … Così si arriva all'Ontologia". Il primo ontologico è chiamato da Rosmini "essenza dell'essere". Questa, una in se stessa, si trova determinata in una pluralità di forme: ideale, reale, morale. La conciliazione razionale dell'unità dell'essere e della molteplicità degli enti si ha "nella natura dell'essenza dell'essere, cioè nella sua virtualità"(ibid., p. 2828). Il reale, secondo il B., come già per Rosmini, è sentimento e ha origine per creazione. Il B. si richiama a questo punto alla dottrina rosminiana del sentimento fondamentale, che non è soltanto il sentimento fondamentale corporeo, ma è "la realtà dell'atto con cui noi ci sentiamo come esseri viventi, di una vita che è al tempo stesso spirituale e sensitivo-corporea" (ibid., p. 2837).  Nel 1943 fu pubblicato a Roma Il problema ontologico nella filosofia rosminiana (Opere, I, pp. 923-1045), che comprende il corso di filosofia teoretica tenuto dal B. nell'università di Roma, dove egli era stato nominato nel 1942 libero docente di filosofia per alti meriti culturali.  Al 1945-46 appartiene La persona umana, corso di lezioni di filosofia morale tenuto all'università di Roma in quell'anno accademico (Opere, I, pp. 1109-1189).  Il problema della persona era stato, come si è visto, il problema che aveva costituito il punto di partenza intellettuale del Bozzetti. Da questo problema iniziale, da cui era partito, il B. percorse la "traiettoria ontologica". Dalla persona all'essere ideale, dall'essere ideale a Dio da una parte e alle tre forme dell'essere dall'altra con tutte le principali implicanze. La "traiettoria sociale", che è l'altra traiettoria secondo cui si sviluppò il pensiero del B. sulle tracce della dottrina rosminiana, tornava a implicare il problema della persona, riconosciuta quale realtà che, per la presenza del divino, deve essere sempre tenuta presente non come ragione di mezzo, ma come avente ragione di fine. Tutti i possibili rapporti tra gli uomini - politico, giuridico, economico, affettivo - debbono fondarsi su questa concezione della persona.  Il B. morì a Roma il 27 maggio 1956.  Gli scritti del B. sono stati raccolti in G. B., Opere complete, a cura di M. F. Sciacca, 3 voll., Milano 1966.  Fonti eBibl.: G. Esposito, Il "gran rifiuto" di Rosmini, I, Rosmini e il 1848, in Riv. rosminiana, XXVII (1933), 3, pp. 211-219 (replica di G. B. ibid., pp. 219-223); Id., Il "gran rifiuto" di Rosmini, III, Replica al B.,ibid., XXVIII (1934), 2, pp. 127-132 (replica di G. B., ibid., pp. 132-135); M. F. Sciacca, Rosmini e noi. Lettera al p. G. B.,ibid., XXXVIII (1944), 1-2, pp. 2-13; Id., Il sec. XX, Milano 1947, II, pp. 549, 844; D. Morando, Ricordando un educatore-filosofo: il p. G. B., in Rivista rosminiana, L (1956), 3, pp. 161-174; C. Riva, P. G. B. Il pensatore e il sacerdote, in Atti della Accademia roveretana degli Agiati, V (1956), pp. 35-48; Id., P. G. B., in Giornale di metafisica, XII (1957), 3, pp. 183-199; Id., La "persona" nel pensiero di padre B., in Iustitia, III (1957), pp. 221-228; Ricordando p. G. B., Domodossola 1957; Enciclopedia filos., I, pp. 788 s. G. Bozzetti. Un giudizio di Siro Contri sulla filosofia neoscolastica”. Ilia ed Alberto” di Angelo Gatti.. Matematismo” in Rosmini? Rosmini-Serbati A.”, voce dell’Enciclopedia Cattolica, vol. X, Città del Vaticano, Ente per l’E.C. e per il libro cattolico. A distanza di un secolo, Una recente critica del “Nuovo Saggio” da parte di G. Zamboni. A proposito di idealismo, La “realtà assoluta”. A. Rosmini e Roma, Roma, Istituto di Studi Romani. Ai margini di un Congresso. Affermazioni e tendenze. Amore e matrimonio. Angelina Lanz. Antonio Rosmini e l’ora presente. Camillo Viglino. Cenni biografici di A. Rosmini nel I volume dell’Edizione Nazionale. Che cos’è l’arte? Che cos’è l’Istituto della Carità. Che cos’è la materia? L’indagine filosofica. Che cos’è la natura? Parla il filosofo. Cino. Croce, Gentile e la filosofia dell’arte. D. Luigi Gentili (rec. R. Bessero Belti). Del rosminianismo di Manzoni. Fantasma e idea nella percezione ci sono. Fantasma e idea sono scoperti dalla riflessione nella percezione. Foscolo. Gesuitismo. Giuseppe Morando. Gregorio XVI e Rosmini, in Gregorio XVI, vol. I, a cura dei Camaldolesi di S. Gregorio al Celio, Roma. Il “caso dell’Oregon” e il Tribunale politico di Rosmini. Il “gran rifiuto” di Rosmini, La vera ragione del rifiuto, Il capitano Giuseppe Pagani. Il fallimento della vita. Il IX Congresso nazionale di Filosofia. Il Papa e d’Annunzio. Il principio unitario della filosofia rosminiana, in “Giornale di Metafisica” Il valore della persona. Il valore delle cose terrene. Intorno a Manzoni, La seconda moglie - Ancora sul rosminianismo di Manzoni - Manzoni e il Giansenismo. L’atteggiamento religioso dell’ottocento. L’economia nel sintetismo e nell’equilibrio di tutte le forze politiche e sociali. L’eredità del liberalismo nella mentalità contemporanea. L’Ermengarda di Manzoni. L’etica del Rosmini e il Prof. Zamboni. L’opera d’arte e le tre forme dell’essere. L’ossessione del sesso. La “costante” nelle variazioni della filosofia. La “ragione”, atto costitutivo dell’uomo. La “religione della libertà”. La “vitalità” della logica di Rosmini. La concezione rosminiana dell’essere. La marchesa di Canossa e A. Rosmini. La moda e il pudore. La nostra realtà e l’altra vita. La pedagogia di A. Rosmini. La persona umana, Domodossola-Milano, Sodalitas. La Vita di Antonio Rosmini, 1. La giovinezza. Nel silenzio. La vocazione. In montibus sanctis. Laicismo. Le “difficoltà” dell’essere ideale, Una tentata difesa. Le tre ascensioni spirituali di Rosmini.  Leggende che si perpetuano. Lo Stato e la religione. Lorenzo Michelangelo Billia. Natura e soprannatura in rapporto alla realtà storica. Opinioni sul sistema di gnoseologia e di morale di G. Zamboni, Astrazione, analisi, trasparenza, 1931, I, 29-34. Papini nel suo “S. Agostino”. Per finire. Perché Rosmini non è filosofo cattolico? Perorazione. Quando si parla di essere, Realtà e trascendenza nel progresso del diritto. Replica a B. C. Replica al Bonafede, Riassumendo le nostre discussioni gnoseologiche. Ricordando Giuseppe Capograssi. Risposta al prof. Sciacca. Risposta alla lettera al Direttore. Rosmini e Hegel. Rosmini e i Gesuiti in un recente articolo della Civiltà Cattolica, La ricerca storica. Rosmini e i Gesuiti in una biografia di P. Roothaan. Rosmini e i Rosminiani nell’Enciclopedia Treccani. Rosmini e Kant, Il “superamento” di Rosmini. Rosmini e l’Università, Rosmini e Michaelstaedter, A proposito di un libro di G. Chiavacci. Rosmini e S. Tommaso non possono andare d’accordo? – Interesse scientifico e interesse pratico - Ortodossia e metodo. Rosmini in un dizionario del Risorgimento italiano. Rosmini monofisita?  Rosmini nel diario di Margherita di Collegno, Rosmini nell’“Ultima critica” di Ausonio Franchi.S. Francesco d’Assisi, 1926, IV, 315-317. Bozzetti G., San Tommaso e il Rosmini, in “Coscienza”. Sempre sulla confusione fra idea dell’essere e idea dell’ente, Per fatto personale. Sopra una cortese discussione Zamboni-Chiarelli. Stato e Chiesa secondo C. A. Jemolo. Sul Filottete di Sofocle. Sul problema del male, la volontà e il male. Sul rosminianismo del Manzoni, L’innatismo nel dialogo “Dell’invenzione”,Sull’astrazione dell’Idea dal Reale. Sull’infinità dello spazio, il punto di vista è uno solo. Sull’ontologismo. Sulla moralità di Machiavelli. Sulla natura della conoscenza, Risposta a G. Rossi. Tolstoi. Umiltà del critico. Un libro significativo: Il Rosmini di B. Brunello. Un recente giudizio sulle “Cinque Piaghe” in Germania. Rosmini: l’asceta, il filosofo, l’uomo, l’amico, Roma, Studium. Giuseppe Bozzetti. Keywords: matematismo, monofisismo, interpersonale, implicatura interpersonale, il dialogo, fine razionale, la ragione come atto costitutivo dell’uomo, persona, uomo. uomini. Morale, il problema del male, ill-will, liberta, legge morale, kant, Rosmini non e cattolico. Refs.: Luigi Speranza, “Bozzetti e Grice” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690258960/in/photolist-2mKEZ5T-2mKG68o-2mGnP2f-G3tvCn

 

Grice e Branciforte – i giocchi olimpici – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Vito dei Normanni). Filosofo. Grice: “You’ve got to love Branciforte: my favourite is his philosophy of what he calls ‘il messaggio,’ – I do use the term when I speak of a transmitter, and an addressee, etc. – the fact that he was born where Ikkos was born help, since one would need to recover Ikkos’s message! Branciforte sees philosophy as a pilgrimage of love – ‘il peregrine dell’amore’ with his ‘canzionere’ and surely the song needs an addressee!”. trabia: Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (n. San Vito dei Normanni), filosofo. Esponente della nobile famiglia siciliana dei Lanza di Trabia. Il suo vero nome è infatti Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di Trabia-Branciforte. La sua personalità eccezionale riunisce caratteristiche disparate: filosofo con una forte vena mistica, ma anche patriarca fondatore di comunità rurali e attivista nonviolento contro la guerra d'Algeria o gli armamenti nucleari.   Trabia nacque in un piccolo paese salentino, San Vito dei Normanni, nella masseria "Specchia di Mare", da famiglia antica ed illustre: il padre, Luigi Giuseppe, nato a Ginevra il 18 novembre 1857, dottore in giurisprudenza e titolare di un'azienda agricola-vitivinicola era figlio illegittimo del principe siciliano Giuseppe III Lanza di Trabia (1833-1868) e la madre, belga, era la marchesa Anna Maria Enrichetta Nauts, nata ad Anversa il I luglio 1874. Giuseppe Giovanni aveva due fratelli: Lorenzo Ercole, e Angelo Carlo, cittadino americano nel 1939 (nel 1943 partecipò allo sbarco in Sicilia). Lanza studiò al liceo Condorcet a Parigi, poi filosofia a Firenze e Pisa, dove fu allievo di Armando Carlini.  «La guerra di Abissinia già iniziava ed il mio rifiuto a parteciparvi era la cosa più evidente. E poi questa guerra non era che l’inizio: in seguito forse sarei stato ad uccidere inglesi, tedeschi e un giorno avrei avuto dinanzi alla mia baionetta Rainer Maria Rilke. No, la mia risposta era no. “Ma che cosa è che rende la guerra inevitabile?”, mi domandavo. Benché giovane avevo capito la puerilità delle risposte ordinarie, quelle che si rifanno alla nostra cattiveria, al nostro odio e al pregiudizio. Sapevo che la guerra non aveva a che fare con tutto ciò. “Certo, una dottrina esiste per opporsi alla guerra e la vedo nel Vangelo”, dicevo, “ma com’è che i cristiani non la vedono? Manca quindi un metodo, un metodo per difendersi senza offendere. Un modo nuovo, diverso, umano di risolvere i conflitti umani”. Solo in Gandhi vedevo colui che avrebbe potuto darmi una risposta ed il metodo.»  (Pagni R., Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, p.50-51) Così Lanza del Vasto ricorda la sua decisione di partire per l'India, autofinanziandosi con la vendita a un'amica facoltosa del manoscritto della sua prima opera, Giuda. Lanza non partiva alla ricerca di spiritualità, tanto più che la conversione al cristianesimo gli impegnava pienamente l'animo:  «Ma mi ero, non senza pena, convertito alla mia propria religione, e avevo il mio da fare per meditare le Scritture ed applicarne i comandamenti. E se mi si chiedeva “siete cristiano?”, rispondevo: “Sarebbe ben prezioso dire di sì. Tento di esserlo".»  (L’Arca aveva una vigna per vela, p.11). In India, Lanza conobbe il Mahatma Gandhi, con il quale stette qualche mese, per poi recarsi in Himalaya. Durante il viaggio «conobbi le inquietudini sociali dell'India ed il suo metodo di liberazione, la non violenza, che era molto contraria al mio carattere (come del resto credo sia contraria al carattere di tutti). Nessuno è non violento per natura: siamo violenti e non proviamo vergogna a dirlo, anzi lo diciamo con un certo orgoglio. Ma ciò che non diciamo è che la vigliaccheria e la violenza fanno la forza delle nazioni e degli eserciti e la non violenza consiste nel superare questi due grandi motivi della storia umana». In India trova «un'umanità simile alla nostra quanto opposta: qualche cosa come un altro sesso.l ritorno in Europa  Lo scrittore e studioso in una delle sue comunità rurali (l'ultimo a destra) Tornato dall'India dopo ulteriori peregrinazioni in Terra Santa, Lanza comprende che la sua vocazione è di fondare una comunità rurale nonviolenta, sul modello del gandhiano ashram, la comunità autarchica ed egualitaria che per il Mahatma doveva essere la cellula della società. Gli ci volle del tempo prima di riuscire a concretizzarla attraverso la fondazione della comunità dell'Arca, che avvenne il 26 gennaio 1944. Tra le poche persone a cui gli riesce di esporre il suo progetto c'è Simone Weil, che incontra a Marsiglia. Nonostante il suo pacifismo, la Weil non nutriva molta fiducia nella nonviolenza gandhiana. Lanza gliene parlò e lei sembrò comprendere meglio. Poi parlarono della visione dell'Arca, che allora non si chiamava ancora così, ed era la prima volta che Lanza ne parlava con qualcuno: «Lei capì subito! “È un diamante bellissimo”, disse. “Sì,” risposi “è vero. Ha solo un minuscolo difetto: che non esiste”. E lei: “Ma esisterà, esisterà, perché Dio lo vuole"."Simone aveva ragione. L'ultima sede della comunità fu la Borie Noble, con circa centocinquanta persone che vivono nel modo più frugale e gioiosamente comunitario. Il nome venne quando si cominciò a parlare di “lanzismo”: «Si cominciava a parlare di Lanzisti e Lanzismo, cosa che mi fece rizzare il pelo. “Amici miei”, annunciai, “noi ci chiameremo l'Arca, quella di Noè beninteso. E noi gli animali dell'Arca.».  Negli anni successivi numerosissime iniziative nonviolente videro protagonista Lanza e i suoi compagni, che seppero attirare l'attenzione dell'opinione pubblica francese e non solo. La prima azione pubblica nonviolenta è del 1957, contro le torture e i massacri compiuti dai francesi in Algeria, e si svolge a Clichy in una casa dove aveva vissuto San Vincenzo de Paoli. L'azione fu guardata con relativo favore dalla stampa, e giunse la solidarietà di personalità come Mauriac o l'Abbé Pierre. Poi vennero le lotte contro il nucleare, la prima delle quali nel 1958: Lanza con i suoi compagni penetrano nel cancello di una centrale elettronucleare e vengono poi trascinati via dai poliziotti. Poi ancora la campagna contro i “campi di assegnazione per residenza”, sorta di campi di concentramento per gli algerini “sospetti”, e quella in favore degli obiettori di coscienza. Durante la Quaresima del 1963, tra due sessioni del Concilio Vaticano II Lanza fece un digiuno di quaranta giorni compiuto nell'attesa di una parola forte sulla pace da parte della Chiesa. Poco dopo il trentesimo giorno, il Segretario di Stato consegnò a Chanterelle, la moglie di Lanza, il testo dell'enciclica Pacem in Terris: «Dentro ci sono cose che non sono mai state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo marito!».  Opere: Le pèlerinage aux sources, Denoël, Parigi, traduzione italiana: Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book, Milano; Approches de la vie intérieure, Denoël, Parigi; traduzione italiana: Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano 1989; Technique de la non-violence, Denoël, Parigi 1965; traduzione italiana: Che cos'è la non violenza, Jaca Book, Milano 1979; Il canzoniere del peregrin d'amore, Jaca Book, Milano 1980; Vinôbâ, ou le nouveau pèlerinage, Denoël, Parigi 1954; traduzione italiana: Vinoba, o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980; L'Arche avait pour voilure une vigne, Denoël, Parigi 1978; traduzione italiana: L'Arca aveva una vigna per vela, Jaca Book, Milano 1980; Pour éviter la fin du monde, Rocher, Parigi; traduzione italiana: Per evitare la fine del mondo, Jaca Book, Milano 1991; Principes et préceptes du retour à l'évidence, Denoël, Parigi 1945; traduzione italiana: Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi, Torino 1988; Préface au Message Retrouvé de Louis Cattiaux, Denoël, Parigi 1956; traduzione italiana: Il Messaggio Ritrovato, Mediterranee, Roma 2002. Note  Pagni, cit.51  Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti82  Gabriella Fiori, Lanza del Vasto e Simone Weil, Prospettiva Persona n° 86/,//prospettivapersona/editoriale/86/lanza_weil.pdf  Pagni, cit., p.58-59  L'Arca aveva una vigna per vela48  ivi99  Jacques Madaule, Chi è Lanza del Vasto Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto (Seghers, 1965) René Doumerc, Dialoghi con Lanza del Vasto (Albin Michel) Claude-Henri Roquet, Les Facettes du cristal (Conversazioni con Lanza del Vasto, Parigi 1981) Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto, sa vie, son oeuvre, son message (Saint-Jean-de-Braye 1998) Anne Fougère, Claude-Henri Rocquet: Lanza del Vasto. Pellegrino della nonviolenza, patriarca, poeta, (Paoline, Milano 2006) Antonino Drago, Paolo Trianni , La filosofia di Lanza del Vasto (Jaka Book, Milano 2008)  Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua francese dedicata a Lanza del Vasto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lanza del Vasto  L'Arche de Lanza del Vasto (sito principale) , su arche-nonviolence.eu. Comunità di St Antoine , su arche-de-st-antoine.com. Comunità dell'Arca in Italia, su xoomer.virgilio. Provincia di Brindisi su Lanza del Vasto. Lanza del Vasto & Ramon Llull (es), su denip.webcindario.com. 2472923 I0000 0001 2275 7061  IT\ICCU\CFIV\001261 50047299  121291928  cb11911016p   XX956618  NLA35291519 NDL (EN, JA) 00446875  Identitieslccn-n50047299 Biografie  Biografie Letteratura  Letteratura Filosofo del XX secoloPoeti italiani del XX secoloScrittori italiani Professore1901 1981 29 settembre 5 gennaio San Vito dei NormanniNonviolenzaLanza. vasto: essential Italian philosopherBranciforte: Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di Trabia-Branciforte -- Vasto: Essential Italian philosopher. Grice: “Note that he is Lanza del Vasto, but if he wants to keep the Vasto, under Vasto he goes! Even though Lanza is the aristocratic bit to it!” Lanza del Vasto   Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (San Vito dei Normanni, 29 settembre 1901Elche de la Sierra, 5 gennaio 1981) filosofo, poeta e scrittore italiano. Esponente della nobile famiglia siciliana dei Lanza di Trabia. Il suo vero nome è infatti Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di Trabia-Branciforte. La sua personalità eccezionale riunisce caratteristiche disparate: poeta, scrittore, filosofo, pensatore religioso con una forte vena mistica, ma anche patriarca fondatore di comunità rurali sul modello di quelle gandhiane e attivista nonviolento contro la guerra d'Algeria o gli armamenti nucleari.  Nacque in un piccolo paese salentino, San Vito dei Normanni, nella masseria "Specchia di Mare", da famiglia antica ed illustre: il padre, Luigi Giuseppe, nato a Ginevra il 18 novembre 1857, dottore in giurisprudenza e titolare di un'azienda agricola-vitivinicola era figlio illegittimo del principe siciliano Giuseppe III Lanza di Trabia (1833-1868) e la madre, belga, era la marchesa Anna Maria Enrichetta Nauts, nata ad Anversa il I luglio 1874. Giuseppe Giovanni aveva due fratelli: Lorenzo Ercole, nato nel 1903, morto a Rapallo nel 1958 e Angelo Carlo, nato nel 1904, cittadino americano nel 1939 (nel 1943 partecipò allo sbarco in Sicilia). Lanza studiò al liceo Condorcet a Parigi, poi filosofia a Firenze e Pisa, dove fu allievo di Armando Carlini.  «La guerra di Abissinia già iniziava ed il mio rifiuto a parteciparvi era la cosa più evidente. E poi questa guerra non era che l’inizio: in seguito forse sarei stato ad uccidere inglesi, tedeschi e un giorno avrei avuto dinanzi alla mia baionetta Rainer Maria Rilke. No, la mia risposta era no. “Ma che cosa è che rende la guerra inevitabile?”, mi domandavo. Benché giovane avevo capito la puerilità delle risposte ordinarie, quelle che si rifanno alla nostra cattiveria, al nostro odio e al pregiudizio. Sapevo che la guerra non aveva a che fare con tutto ciò. “Certo, una dottrina esiste per opporsi alla guerra e la vedo nel Vangelo”, dicevo, “ma com’è che i cristiani non la vedono? Manca quindi un metodo, un metodo per difendersi senza offendere. Un modo nuovo, diverso, umano di risolvere i conflitti umani”. Solo in Gandhi vedevo colui che avrebbe potuto darmi una risposta ed il metodo.»  (Pagni R., Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, p.50-51) Così Lanza del Vasto ricorda la sua decisione di partire per l'India nell'autunno del 1936, autofinanziandosi con la vendita a un'amica facoltosa del manoscritto della sua prima opera, Giuda. Lanza non partiva alla ricerca di spiritualità, tanto più che la conversione al cristianesimo gli impegnava pienamente l'animo:  «Ma mi ero, non senza pena, convertito alla mia propria religione, e avevo il mio da fare per meditare le Scritture ed applicarne i comandamenti. E se mi si chiedeva “siete cristiano?”, rispondevo: “Sarebbe ben prezioso dire di sì. Tento di esserlo".»  (L’Arca aveva una vigna per vela, p.11) L'incontro con Gandhi In India, Lanza conobbe il Mahatma Gandhi, con il quale stette qualche mese, per poi recarsi in Himalaya. Durante il viaggio «conobbi le inquietudini sociali dell'India ed il suo metodo di liberazione, la non violenza, che era molto contraria al mio carattere (come del resto credo sia contraria al carattere di tutti). Nessuno è non violento per natura: siamo violenti e non proviamo vergogna a dirlo, anzi lo diciamo con un certo orgoglio. Ma ciò che non diciamo è che la vigliaccheria e la violenza fanno la forza delle nazioni e degli eserciti e la non violenza consiste nel superare questi due grandi motivi della storia umana». In India trova «un'umanità simile alla nostra quanto opposta: qualche cosa come un altro sesso».  Il ritorno in Europa  Lo scrittore e studioso in una delle sue comunità rurali (l'ultimo a destra) Tornato dall'India dopo ulteriori peregrinazioni in Terra Santa, Lanza comprende che la sua vocazione è di fondare una comunità rurale nonviolenta, sul modello del gandhiano ashram, la comunità autarchica ed egualitaria che per il Mahatma doveva essere la cellula della società. Gli ci volle del tempo prima di riuscire a concretizzarla attraverso la fondazione della comunità dell'Arca, che avvenne il 26 gennaio 1944. Tra le poche persone a cui gli riesce di esporre il suo progetto c'è Simone Weil, che incontra a Marsiglia, nel 1941. Nonostante il suo pacifismo, la Weil non nutriva molta fiducia nella nonviolenza gandhiana. Lanza gliene parlò e lei sembrò comprendere meglio. Poi parlarono della visione dell'Arca, che allora non si chiamava ancora così, ed era la prima volta che Lanza ne parlava con qualcuno: «Lei capì subito! “È un diamante bellissimo”, disse. “Sì,” risposi “è vero. Ha solo un minuscolo difetto: che non esiste”. E lei: “Ma esisterà, esisterà, perché Dio lo vuole”». Simone aveva ragione. L'ultima sede della comunità fu la Borie Noble, con circa centocinquanta persone che vivono nel modo più frugale e gioiosamente comunitario. Il nome venne quando si cominciò a parlare di “lanzismo”: «Si cominciava a parlare di Lanzisti e Lanzismo, cosa che mi fece rizzare il pelo. “Amici miei”, annunciai, “noi ci chiameremo l'Arca, quella di Noè beninteso. E noi gli animali dell'Arca.».  Negli anni successivi numerosissime iniziative nonviolente videro protagonista Lanza e i suoi compagni, che seppero attirare l'attenzione dell'opinione pubblica francese e non solo. La prima azione pubblica nonviolenta è del 1957, contro le torture e i massacri compiuti dai francesi in Algeria, e si svolge a Clichy in una casa dove aveva vissuto San Vincenzo de Paoli. L'azione fu guardata con relativo favore dalla stampa, e giunse la solidarietà di personalità come Mauriac o l'Abbé Pierre. Poi vennero le lotte contro il nucleare, la prima delle quali nel 1958: Lanza con i suoi compagni penetrano nel cancello di una centrale elettronucleare e vengono poi trascinati via dai poliziotti. Poi ancora la campagna contro i “campi di assegnazione per residenza”, sorta di campi di concentramento per gli algerini “sospetti”, e quella in favore degli obiettori di coscienza. Durante la Quaresima del 1963, tra due sessioni del Concilio Vaticano II Lanza fece un digiuno di quaranta giorni compiuto nell'attesa di una parola forte sulla pace da parte della Chiesa. Poco dopo il trentesimo giorno, il Segretario di Stato consegnò a Chanterelle, la moglie di Lanza, il testo dell'enciclica Pacem in Terris: «Dentro ci sono cose che non sono mai state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo marito!».  Opere Le pèlerinage aux sources, Denoël, Parigi 1943, traduzione italiana: Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book, Milano 1991; Approches de la vie intérieure, Denoël, Parigi 1962; traduzione italiana: Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano 1989; Technique de la non-violence, Denoël, Parigi 1965; traduzione italiana: Che cos'è la non violenza, Jaca Book, Milano 1979; Il canzoniere del peregrin d'amore, Jaca Book, Milano 1980; Vinôbâ, ou le nouveau pèlerinage, Denoël, Parigi 1954; traduzione italiana: Vinoba, o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980; L'Arche avait pour voilure une vigne, Denoël, Parigi 1978; traduzione italiana: L'Arca aveva una vigna per vela, Jaca Book, Milano 1980; Pour éviter la fin du monde, Rocher, Parigi 1971; traduzione italiana: Per evitare la fine del mondo, Jaca Book, Milano 1991; Principes et préceptes du retour à l'évidence, Denoël, Parigi 1945; traduzione italiana: Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi, Torino 1988; Préface au Message Retrouvé de Louis Cattiaux, Denoël, Parigi 1956; traduzione italiana: Il Messaggio Ritrovato, Mediterranee, Roma 2002. Note  Pagni, cit.51  Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti82  Gabriella Fiori, Lanza del Vasto e Simone Weil, Prospettiva Persona n° 86/,//prospettivapersona/editoriale/86/lanza_weil.pdf  Pagni, cit., p.58-59  L'Arca aveva una vigna per vela48  ivi99  Jacques Madaule, Chi è Lanza del Vasto Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto (Seghers, 1965) René Doumerc, Dialoghi con Lanza del Vasto (Albin Michel) Claude-Henri Roquet, Les Facettes du cristal (Conversazioni con Lanza del Vasto, Parigi 1981) Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto, sa vie, son oeuvre, son message (Saint-Jean-de-Braye 1998) Anne Fougère, Claude-Henri Rocquet: Lanza del Vasto. Pellegrino della nonviolenza, patriarca, poeta, (Paoline, Milano 2006) Antonino Drago, Paolo Trianni , La filosofia di Lanza del Vasto (Jaka Book, Milano 2008)  Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua francese dedicata a Lanza del Vasto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lanza del Vasto  L'Arche de Lanza del Vasto (sito principale) , su arche-nonviolence.eu. Comunità di St Antoine , su arche-de-st-antoine.com. Comunità dell'Arca in Italia, su xoomer.virgilio. Provincia di Brindisi su Lanza del Vasto. Lanza del Vasto & Ramon Llull (es), su denip.webcindario.com. Biografie  Biografie Letteratura  Letteratura Filosofo del XX secoloPoeti italiani del XX secoloScrittori italiani Professore1901 1981 29 settembre 5 gennaio San Vito dei NormanniNonviolenzaLanza. --  Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di Trabia-Branciforte. Keywords: i giocchi olimpici, Ikko, Crotone, Taranto. Branciforte. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Vasto," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779941241/in/dateposted-public/

 

Grice e Brandalise – immune, comune – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo. Grice: “I would say that Brandalise is a Griceian – his tutees know it! He has philosophised on keywords: communicazione, l’altro, indeed what he calls the Kantian transcendental necessity of ‘l’altro,’ and the idea of a ‘collective’ desiderio – or comunita – What is that if not my philosophy of communication?” Adone Brandalise (Pistoia) è un critico letterario, letterato e accademico italiano. Si è laureato nel 1972 con Vittore Branca con una tesi dal titolo L'opera e la critica. Esperimenti critici su testi narrativi italiani, in cui vengono sperimentati nuovi metodi critici su testi di Alessandro Manzoni e Carlo Emilio Gadda.  Professore di teoria della letteratura presso l'Padova, la sua attività di ricerca si caratterizza per il costante intreccio tra riflessione filosofica e psicoanalitica con l'interpretazione del testo letterario. I luoghi seminali della sua ricerca vanno individuati nello studio di Spinoza e Plotino, cui si dedica sin dalla giovinezza, di Hegel e dell'idealismo tedesco, oltre che nell'approfondimento risalente agli anni Settanta dell'opera di Jacques Lacan.  Promotore di numerose iniziative scientifiche, tra cui alcuni progetti di didattica e ricerca legati agli studi interculturali, ha collaborato a riviste quali "Lettere italiane", "Studi novecenteschi", "Immagine riflessa", "Il centauro" , "Filosofia politica" o "Trickster".  Tra i temi che segnano la sua ricerca vanno senz'altro segnalati alcuni molto ricorrenti: il problema della singolarità, il rapporto tra mistica ed evento soggettivo, quello tra pensiero filosofico e azione politica, quello tra poesia e pensiero. Attentissimo cultore della musica operistica e del cinema, tra gli autori che maggiormente animano la scena della sua riflessione, affidata soprattutto all'oralità, sono Platone, Leopardi, Melville, Nietzsche, Shakespeare, Luis de León, Max Ophüls e Orson Welles.  Operaismo Brandalise opera sin dal 1973 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova, dove anima e partecipa a partire dagli anni settanta alla costituzione di numerosi seminari e momenti di studio, anche in relazione con i dibattiti dell'operaismo. Oltre all'attività sindacale, in comunicazione con Guido Bianchini (Padova, 19261998), segna questa fase di sua riflessione politica il lavoro svolto "off air" nella direzione romana di "Il Centauro. Rivista di Filosofia e teoria politica" (1981-86), nel cui comitato direttivo operavano anche Nicola Auciello, Adriana Cavarero, Remo Bodei, Massimo Cacciari, Umberto Curi, Giuseppe Duso, Roberto Esposito, Giacomo Marramao, Giangiorgio Pasqualotto, Biagio De Giovanni (direttore) e Roberto Racinaro.  Il Centauro, rivista pubblicata dall'editore Guida, nasce in una fase storica segnata dal caso Moro, dal compromesso storico, dal teorema Calogero. L'idea dei redattori era di avviare un laboratorio politico in cui potessero intervenire intellettuali legati al PCI, anche se in modi spesso prossimi al dissenso. Tuttavia non compare nelle rievocazioni più recenti degli anni dell'operaismo il nome di Brandalise, certo per la relativa assenza di suoi interventi scritti, ma anche per il coagularsi del suo percorso politico negli anni Novanta intorno alla "nozione sintomatica" di politica invisibile e poi, nel decennio successivo, di decostituzionalizzazione.  Opere Oltranze. Simboli e concetti in letteratura, Padova, 2002 Categorie e figure. Metafore e scrittura nel pensiero politico, Padova, 2003. con E. Macola, Psicoanálisis y arte de ingenio: de Cervantes a María Zambrano, Malaga, Miguel Gomez, 2004 con E. Macola eSanchez Otin, Bestiario lacaniano, Milano, Bruno Mondadori, 2007. L'immagine del territorio e i processi migratori, in M. BERTONCIN, A. PASE , Territorialità, Milano, Franco Angeli, 2007. In weiter Ferne so nah. In margine al sermone Beati Pauperes, in (G. Panno) Il silenzio degli angeli. Il ritrarsi di Dio nella mistica medievale e nelle riscritture moderne, Padova, Unipress, 2008,  157–163. Oltre la comparazione. Modi e posizioni del pensiero dopo l'intercultura, in (G. Pasqualotto), Per una filosofia interculturale,  59–69, Milano, Mimesis, 2008. Introduzione (con A. Barbieri), in (A. BarbieriMura, G. Panno), Le vie del racconto. Temi antropologici, nuclei mitici e rielaborazione letteraria nella narrazione medievale germanica e romanza, Padova, Unipress, 2008,  I-XXVIII. Il multilinguismo nella mediazione (con A. Celli, K. Rhazzali, E. Sartori), in (G. Mantovani) Intercultura e mediazione, Roma, Carocci, 2008. Postfazione, in C. Tenuta, Dal mio esilio non sarei mai tornato, io. Profili ebraici tra cultura e letteratura nell'Italia del Novecento, Roma, Aracne, 2009,  167–170  978-88-548-2376-1. con N. Fazioni , Cosa cambia con Lacan? Saperi, pratiche, poteri, in International Journal of Žižek Studies, Vol 6, n. 4, ,  1751-8229 (WC ACNP). Dentro il confine, Milano, Mimesis, .  978-88-575-5688-8 Metodi della singolarità, Milano, Mimesis, .  978-88-575-5735-9 La necessità dell'Altro: scritti in onore di Adone Brandalise, Milano, Mimesis, .  978-88-575-6349-7  Dario Gentili , La crisi del politico. Antologia di "Il Centauro", Guida (2007) Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Adone Brandalise  adonebrandalise: Sito dedicato all'opera e al pensiero di Adone Brandalise  Podcast degli interventi del Rpf Adone Brandalise    Biografie Letteratura  Letteratura Università  Università Categorie: Critici letterari italiani del XX secoloCritici letterari italiani del XXI secoloLetterati italianiAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1949 16 giugno Pistoia. Adone Brandalise. Keywords: immune, comune, rodano, paradosso del reciproco, amare, ligarsi, bestiario griceiano, bestiarium griceianum. "To change the image somewhat, what bothers me about what I am being offered is not that it is bare, but that it has been systematically and relentlessly undressed. I am also adversely influenced by a different kind of unattractive feature which some, or perhaps even all of these bêtes noires seem to possess."  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Brandlise” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51778961512/in/dateposted-public/

 

Grice e Breccia – la metafisica del dialogo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo. Grice: “I like Breccia; he is, like Vitruvio, obsessed with the male human body – but also about the ‘metafisica del dialogo,’ so we can call him a Griceian!” --  Breccia nel suo studio a Roma.  Pier Augusto Breccia (Trento ), filosofo. La pittura di Breccia esplora l’essere umano con un approccio ermeneutico (nel senso della filosofia ermeneutica moderna di Jaspers, Heidegger, Gadamer) e si apre su un vasto orizzonte di temi filosofici. L’opera di Breccia include oli su tela, matite e pasteli su carta, 7 libri e numerosi saggi critici. Breccia ha esposto in personali in Europa e USA.  La famiglia paterna è originaria di Porano, un piccolo paese dell’Umbria, dove sua madre, Elsa Faini (di Trento), si era trasferita nel dopoguerra. I genitori di Pier Augusto lavoravano entrambi nel settore ospedaliero: infermiera la madre e chirurgo il padre Angelo. Quando Pier Augusto ha cinque anni, la famiglia si trasferisce a Roma, dove Breccia trascorrerà la maggior parte della sua vita. Il giovane Pier Augusto si iscrive al “Liceo classico statale Giulio Cesare” di Roma, dove matura un profondo interesse per gli studi umanistici che lo accompagnerà per il resto della vita. A 14 anni, scopre la Divina Commedia che studia di sua iniziativa affascinato dalle allegorie dantesche. Subito dopo, attratto dalla filosofia e dalla mitologia greca, traduce per l’editore Signorelli l’“Antigone” di Sofocle e il “Prometeo legato” di Eschilo. Ancora nella fase adolescenziale traduce i “Dialoghi” di Platone.  Completati gli studi liceali, nel 1961 si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e nel luglio del 1967 riceve, con il massimo dei voti, la laurea in medicina.  Professione medica Dopo la laurea consegue una specializzandosi in urologia, in chirurgia generale e successivamente in chirurgia cardiovascolare mentre comincia a far pratica al Policlinico Agostino Gemelli di Roma. Nel 1969, sposa Maria Antonietta Vinciguerra, nel ’70 nasce il primo figlio, Claudio e nel '71 la figlia Adriana. Nei primi anni 1970, si trasferisce a Stoccolma, dove lavora al centro di chirurgia toracica e cardiovascolarere dell'Istituto Karolinska sotto la supervisione di Viking Björk (inventore della valvola cardiaca Bjork–Shiley). Tornato all’università Cattolica di Roma e al connesso ospedale Gemelli, nel 1979 diviene professore associato. Nel corso degli anni 1970, pratica più di mille interventi a cuore aperto e pubblica circa cinquanta articoli in riviste mediche.  Il punto di svolta: dal bisturi alla matita È l’estate del 1977 quando Breccia scopre un inaspettato talento per il disegno, che nei due anni successivi diverrà il suo hobby. Soltanto nel 1979, dopo la morte di suo padre e a seguito di una profonda crisi esistenziale, il talento disegnativo trova la sua espressione creativa. La produzione artistica dei primi due anni e il pensiero filosofico da questa ispirato confluiscno nel libro "Oltreomega".  Nell’agosto del 1983, durante un periodo di produzione artistica e di mostre in Italia e all’estero (‘'Monologo corale’', ‘'Le forme concrete dell in-esistente’', ‘'La semantica del silenzio’') prende un'aspettativa dalla professione medica. Nel biennio seguente, lo stile artistico, da lui definito "ideomorfico", si delinea con maggior chiarezza, così come il pensiero filosofico, che nell’84 presenta nel libro “L’Eterno Mortale”. Nel 1985 dà le dimissioni dalla professione di chirurgo e nello stesso anno porta le sue opere a New York, presentandole in due mostre consecutive, alla Gucci Gallery e all’Arras Gallery. La strada dell’arte, si delinea rapidamente e, appena date le dimissioni, si trasferisce a New York dove trascorre la maggior parte del tempo tra il 1985 e il 1996. Durante questo periodo, espone in diverse città degli Stati Uniti (New York, Columbus, Santa Fe, Miami e Houston).  Sin dall’inizio è estremamente prolifico e l'opera dei primi dieci anni viene raccolta nel libro “Animus-Anima”, che comprende 500 immagini di sue opere. Nel 1996, torna stabilmente a Roma ed espone in diverse città italiane ed europee. Nel ‘96, pubblica "L’altro Libro", contenente opera del periodo 1991-1999 e nel 1999, scrive “Il linguaggio sospeso dell’auto-coscienza”. Nel 2002 Breccia presenta novanta opera in un’imponente personale al museo Vittoriano e nel 2004 pubblica “Introduzione alla pittura ermeneutica”, il suo manifesto artistico, al quale collabora il filosofo Elio Matassi. Negli anni seguenti, malgrado le condizioni di salute, è impegnato in numerose mostre in musei italiani ed europei.  Il 17 Novembre , due settimane dopo la chiusura della sua mostra di Trento, ha un infarto nel suo studio di Roma, viene portato al Policlinico Gemelli, e lunedì 20 novembre  muore all’età di settantaquattro anni.  Ragione e immaginazione: “lo spazio pensante” Lo spazio è l’elemento più distintivo delle opere di Breccia, che egli stesso definisce “denominatore comune della pittura ermeneutica[...] principio stesso delle nostre facoltà intellettive”.  Tuttavia, se nello spazio paradossale di Breccia la ragione si sospende e precipita di continuo, il senso di armonia ed equilibrio, che caratterizza tutta la sua opera permette all’immaginazione di entrare nello spazio senza alcun tormento.  Forme, colori e luce: dis-oggettivazione Un'altra caratteristica delle tele di Breccia è la presenza di “oggetti”, in un equilibrio generato tuttavia da forme e colori piuttosto che da una oggettiva metrica di spazio. Allo stesso tempo, tali “oggetti”, ridotti a forme/colori essenziali o addirittura trasformati in spazio stesso o “altro da sé”, sono privi di una vera oggettività e di conseguenza sono aperti ad essere letti come linguaggi, segni o, più propriamente nel senso della filosofia ermeneutica di Karl Jaspers, come “cifre”, cioè “segni” non ancora interpretati.  L’uso della luce e del chiaroscuro è parallelo a quello dello spazio e della prospettiva nella molteplicità di paradossi.  L’assenza di una fonte di luce all’interno dello spazio pittorico contribuisce a rimuovere contenuti emozionali.  In ultimo, il rapporto luce-spazio-forma crea l'ennesimo paradosso di Breccia. Se la luce è spesso associata a ciò che è comprensibile razionalmente (e.g. “luce della ragione”), nelle opere di Breccia tutto appare al contempo luminoso e misterioso.  Pittura ermeneutica Breccia ha usato il termine “pittura ermeneutica” per descrivere la sua posizione come artista nel suo Manifesto “Introduzione alla pittura ermeneutica” (2004).  Il presupposto di significabilità della cifra pittorica ermeneutica è la libertà da canoni, convenzioni, dogmi di spazio e tempo, del qui e dell’ora, che permette una verifica della significabilità dal di dentro. In tal senso, l’arte può essere un’esperienza di conoscenza, in quanto “apertura” da “un lato sull’infinita alterità dell’essere o di Dio, e dall’altro sulla personale coscienza dell’ ‘Io’ .”(Introduzione alla pittura ermeneutica, 2004).  Note  Moschini e Zitko , p.37.  Zitko , p.11.  Zitko , p.15.  Comunicare, n. 82, Università Cattolica del Sacro Cuore, .  Unomattina, RAI, Gennaio 2000.  Unomattina, Gennaio 2004.  Zitko 12.  Moschini e Zitko , p.38.  Steiner 1997.  Steiner 1991.  Moschini e Zitko , p.39.  Moschini e Zitko , p.40.  P.A. BRECCIA, Introduzione alla Pittura Ermeneutica, 2004, p.45-46  Vivaldi 1988.  Moschini Zitko, 40.  Steiner 1988.  Moschini e Zitko , 38-43.  Moschini e Zitko , 40-42.  Moschini, M. e Zitko(), "The educational path of Ideomorphism. From theory of knowledge to philosophy", Journal of Philosophy and Culture supplement, XVI-1, laNOTTOLAdiMINERVA Zitko(), "Il linguaggio della pittura ermeneutica e la Chiffer di Karl Jaspers", Dipartimento di Letteratura e Filosofia, Universita' di Pisa Steiner, R. (1988) "Profile: Pier Augusto Breccia", ART TIMES Steiner, R. (1991) "Critique: Pier Augusto Breccia at Arras Gallery, NYC", ART TIMES Steiner, R. (1997) "Pier Augusto Breccia: Another Look, NYC", ART TIMES Matassi, E. (2008) "Sur la peinture Hernéutique: Pier Augusto Breccia, “le messager d’alterité”.In: Du Nihilism à l’hermenéutique Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pier Augusto Breccia  Sito ufficiale, su pieraugustobreccia.com.  libri gratis su itunes The educational path of Ideomorphism La pittura ermeneutica, su didatticaermeneutica. 1º maggio  26 dicembre ). Pier Augusto Breccia: biografia, su direnzo. Biografie  Biografie:  di   biografie Categorie: Pittori italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloSaggisti italiani Professore1943  12 aprile 20 novembre Trento Roma. Pier Augusto Breccia. Keywords: la metafisica del dialogo, noi, ovvero, la metafisica della conversazione, implicatura ermeneutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Breccia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779906638/in/dateposted-public/

 

Grice e Brescia – rarità vichiane – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trani). Filosofo. Si laurea con lode presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia. Inizia la sua docenza come professore di Storia dell'Arte presso il Liceo Classico Carlo Troya di Andria. Consegue la cattedra di Latino presso il Liceo Classico Oriani di Corato. Consegue la cattedra di Lettere e Storia presso l'Istituto Magistrale di Terlizzi. Insegna  Latino nel Liceo Nuzzi di Andria. Oottiene il suo primo incarico da preside a seguito del concorso superato. La prima presidenza è dunque a Trani presso il Liceo Scientifico Valdemaro Vecchi, intitolato al Vecchi dietro sua proposta. Presiede il Liceo Monticelli di Brindisi. Presiede il Liceo Nuzzi di Andria. Presiede il Liceo Classico Carlo Troya di Andria, esteso anche a Liceo Linguistico e Liceo delle Scienze Sociali durante la sua direzione in seguito alla partecipazione alla Commissione Brocca. Membro della Società di Storia Patria per la Puglia. Consegue il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Viene insignito della Medaglia d'Oro del Ministero della Pubblica Istruzione per i benemeriti della cultura, dell'arte e della ricerca scientifica. Ottiene l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana. Ottiene il Premio Pannunzio per la saggistica conferito dal Centro Pannunzio di Torino.  Dopo una lunga e serena vita di studi muore improvvisamente ad Andria. Appresa la notizia anche il sindaco di Andria Bruno ha espresso il cordoglio personale e della città alla famiglia. Citando Loris Maria Marchetti su Pannunzio Magazine:  Ispirandosi alla lezione, originalmente aggiornata, di Croce e di Popper (ai quali ha dedicato importanti studi), elabora un sistema filosofico in quattro parti (Antropologia, Epistemologia, Cosmologia, Teoria della Tetrade) dove trovano un punto di incontro storicismo, epistemologia ed ermeneutica.  La sua filosofia investe anche il pensiero politico e l’àmbito dell’estetica, donde il suo fittissimo esercizio di saggista di letteratura e arti figurative, interpretate sostanzialmente nel loro risvolto filosofico-cognitivo. Altre opere: “Il tempo e la libertà”; “Pascal e l’ermeneutica”; “Croce e il mondo”; “L’oro di Croce, Joyce dopo Joyce, Ipotesi su Pico, Massa non massa, Radici di libertà, Il vivente originario, Tempo e idea, I conti con il male, Radici dell’Occidente, Forme della vita e modi della complessità; saggi su Bassani,  Calvino , ecc.  Fedele collaboratore delle iniziative del Centro “Pannunzio”, negli Annali comparvero suoi saggi su C. L. Ragghianti e su Cervantes in rapporto all’Ariosto e alla tradizione italiana. Nel pannunziano Magazine pubblica, tra gli altri, saggi su Torquato Accetto, Max Ascoli, Croce, L. de Bosis, F. De Sanctis, Freud, Aldous Huxley, Jung, Leonardo da Vinci, Vittorio Mathieu, Moravia, Pasolini, Solgenitsyn,Vico. Alfredo Parente - L'“opera bella” come impegno morale, “Rivista di studi crociani”, Giovanni Spadolini - Mazziniani asceti, “La Stampa”, Francesco Compagna - Editoriale, “Nord e Sud”, Raffaello Franchini - L'idea di progresso. Teoria e storia, Giannini, Raffaello Franchini, Trittico crociano, “Il Tempo”, A. Rosario Assunto, Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria e storia dell'estetica, Bulzoni, Roma, Rosario Assunto - recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce, Salentina, Galatina, in “Rassegna di cultura e vita scolastica”, Vittorio Stella - recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce, Salentina, Galatina, in “Rivista di studi crociani”, Vittorio Stella - Il giudizio dell'arte. La critica storico-estetica in Croce e nei crociani, Quodlibet Studio, Macerata, Charles Boulay - Benedetto Croce jusqu' en 1911. Trente ans de vie intellectuelle, Librairie Droz, Ginevra, Nicola Fiorelli - “La Follia di New York”, Sviluppi filosofici nella più recente “scuola” crociana, Schena, Fasano. Vincenzo Terenzio, Natura e spirito nel pensiero di Giuseppe Brescia, Mario Adda, Bari, Pietro Addante - La “fucina del mondo”. Storicismo Epistemologia Ermeneutica, Schena, Fasano, Franco Bosio -recensioni di I conti con il male, Laterza, Bari, ICalvino e Andria, Andria; Tempo e Idee, Libertates, Milano, Il vivente originario, Libertates, Milano, in “Rivista Rosminiana”, Franco Bosio - recensione di Le “Guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi (Laterza, Bari), “Rivista Rosminiana”, Dario Antiseri; Croce e l'Anticristo, “Avvenire”, Dario Antiseri, Popper protagonista del secolo XX, “Biblioteca Austriaca”, Rubbettino, Dario Antiseri - Popper, Rubbettino,  Dario Antiseri, Le ragioni della libertà, Rubbettino, Antonio Jannazzo - Il liberalismo italiano del Novecento. Da Giolitti a Malagodi, “Fondazione Luigi Einaudi”, Rubbettino, Beniamino Vizzini - Per una discussione intorno al problema della libertà. Cenni per un colloquio di ermeneutica morale con Giuseppe Brescia, Postfazione a Tempo e Idee.'Sapienza dei secoli' e reinterpretazioni, Libertates, Milano, Beniamino Vizzini - Vita e dialettica nel pensiero di Giuseppe Brescia e Pavel Florenskj, “Rivista Rosminiana”, Fulvio Janovitz - Gli studi su Croce, “Nuova Antologia”, Fulvio Janovitz - Quando Croce dialogava con Dio. Religiosità e cristianesimo di Croce prima e dopo la lettura dell'epistolario con Maria Curtopassi, “Nuova Antologia”, Fulvio Janovitz, Il mio Croce. Scritti,  Quaderni della “Nuova Antologia”, Firenze, Paolo Bonetti - Introduzione a Croce, Laterza, Bari 1984. Paolo Bonetti - recensione di I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male, Giuseppe Laterza, Bari, in “Nuova Antologia”, Samuele Govoni - Brescia celebra il Bassani amante dell'arte, “La Nuova Ferrara” - Cultura, Cosimo Ceccuti - La Religione della Libertà, “Il Resto del Carlino”, Cultura e Società, Il caffè. Nico Aurora - De Sanctis e l'attualità del 'Discorso di Trani'. La lezione di Brescia a 134 anni di distanza, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Stefano Vaccara - Presentazione di Max Ascoli, il filosofo mondiale della libertà, “La Voce di New York”, Giuseppe Poli - recensione di Le “Guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi, Laterza, Bari, in “Risorgimento e Mezzogiorno”, Domenico Cofano - recensione di Brescia, Giovanni Bovio. La vita e l'opera, Società di Storia Patria per la Puglia, Andria, etetedizioni, in “Nuova Antologia”, Giovanni Bovio, maestro del pensiero, “La Gazzetta del Mezzogiorno”. È scomparso improvvisamente il preside Brescia "andriaviva.it", Quirinale.it  Quirinale.it – Onorificenze, Loris Maria Marchetti, Brescia, di Loris Maria Marchetti, su Pannunzio Magazine. Giuseppe Brescia. Keywords: rarità vichiane, Croce, implicatura, Croce inedito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Brescia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779591401/in/dateposted-public/

 

Grice e Bressani – intorno alla lingua toscana – filosofia toscana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo. Grice: “Strawson, being boring, likes Bressani’s arguments – alla Plato and Aristotle, but mainly Aristotle – againsts what Galileo has the cheek to call ‘filosofare’! – But I prefer Bressani’s poems, the buccoliche, and especially his lovely treaise ‘discorso in torno alla lingua,’ his little ethical treatise is charming especially if you are into what some (not I, certainly) call ‘developmental conversational pragmatics’!” -- regorio Bressani (Treviso), filosofo. Discorsi sopra le obbiezioni fatte dal Galileo alla dottrina di Aristotile, Gregorio Bressani (Treviso) filosofo italiano.  Biografia Si laureò all'Padova nel 1726 interessandosi a letteratura e filosofia. Fu aiutato da Francesco Algarotti, cui aveva inviato delle proprie opere.  Sostenne uno scolasticismo classico in opposizione alla scienza moderna di Galileo e Newton.  Opere Gregorio Bressani, Modo del filosofare introdotto dal Galilei, ragguagliato al saggio di Platone e di Aristotile, In Padova, nella Stamperia del Seminario, 1753. 2 luglio .a Gregorio Bressani, Discorsi sopra le obbiezioni fatte dal Galileo alla dottrina di Aristotile, In Padova, Angelo Comino, 1760. 2 luglio .  Gregorio Bressani, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filosofia Filosofo Professore1703 1771 3 febbraio 12 gennaio Treviso. DISCORSO INTORNO ALLA LINGUA ITALIANA . Del Sig. Dottore GREGORIO BRESSANI TRI VIGI AN Oec. R E CI TATO NELLA SAL A VERDE DI PADO V A IN UN ACCADEMICO ESERCIZIO L' ANNO MDCCXL. X 3  487 i Ompariſce per la prima volta a luſtrare la noſtra Miſcellanea il Signar Dottore Gregorio Brefsani, fogo getto di chiaro nome , e di ornamento e fplendere alla fra Patria , col preſente Ragionamento ſopra la Lingua Italiana ; recitato da lui ultimamentepiù a cagion di eſercizio, che per altro fine in una Radunanza di Letterati nella Città di Padova : da i quali avendoſi per noi ſa puto l'approvazione che ebbe , ſperiamo far coſa grata all'Autore , e inſieme d'al. cun noftro merito , col pubblicarlo ; tan to più , che potrà egli ſervir d'ajuto e di lume a quelli ( che molti fono ) 'i quali banno biſogno di faggia ſcorta nello ſteam dio , che affettano dell Italiana favella . -- X 4 DI 488 DISCORSO INTORNO ALLA LINGUA ITALIANA DI GREGORIO BRESSANI TRIVIGIAN O Dottor , e Accademico Ricovrato ; Da efo recitato in un'Accademia di eſer. cizio nella Sala Verde di Padova , nel meſe di Maggio , 1740. A Chiemque fa,Eruditi edotti Ac cademici , quanto malagevol ſia il rintracciare le cauſe effettrici delle umane cognizioni , non parrà coſa ſtrana il ſentimento di Platone , ch' el le fieno provenienti tutte dalla Remi nifcenza . Nè io credo , che attribuis re ſi poſsa ad altro , fuorchè alla re. miniſcenza il fentire , e l' accorgerſi del Del Sig. Gregorio Breſſani. 489 9 e 3 dello fpirito , e del vero pregio delle belle Arti . Imperocchè tale vi ha che nè per tutta l'attenzion ſua , ne per opera degli altri non arriva giam mai ad intenderlo . E laſciando di far parola di quegli , che niun dilet ro pigliano , o nella Archittetura , o nella Muſica , che ſono moltiſſimi rivolgo la conſiderazion mia a colo ro , che pur amano d'eſser tenuti di ottimo guſto nella noſtra Lingua nulla fi accorgono , nè ſono per ven tura atti ad accorgerſi, in che ne con fiſta principalmente la venuſtà e la grazia . Avvegnacchè adunque ciaſcu na Lingua ſenta molto più dell'ideas le , che non ſente l'Architettura la Muſica , e fia a lato di quelle in termini incomparabilmente più ange fti riſtretta ; non è per tanto che ella non abbia le ſue verità in riſpetto a que' pochi , a cui è dato d'intendere non ſolamente il ſignificato delle vo ci ; ma la relazione tra loro meglio convenevole . Ora come io , ſenza più , approvo iVocabolarj, gli avver timenti di Gramatica e le Oſsers vazioni , che intorno a queſta Lingua XS o § fo 490 Diſcorſo della Lingua Italiana fonofi facte dalla diligenza d'Uomini valenci ; poco avrò che accennare de' fuoi materiali, ed il mio ragionamen . to ſarà fpezialmente della forma quanto a me, la migliore , che rice ver ella debba dalla fantaſía , e dal giudizio degli Scrittori. Ogni Archi tetto adopra i materiale medeſimi , ed oſserva gli ordini medeſimi della Architettura ; e le loro opere ſono tra di sè varie nella proporzione , e nella leggiadria . Ogni Compofitore di Muſica adopra le medefime note : 0. gni Scrittore di qualſifia Lingua ado pra le medeſime parole , e ſegue le regole , che riſpettivamente ſonogli preſcritte dalla ſua arte . Tuttavia i bei riſultati, che di eſse procedono , fono , ed eſser debbono tra di sè di. verſi. Ma quanto agevol penſo che mi farebbe il ridire le regole máte riali , che vi ha , per favellar bene ; tanto io temo di non faper altro che ofcuramente ragionare della varietà , e perfezione di detti riſultati ; ficco me quelli , che appartengono anzi al giudicio de' noftri fenfi , che della no ftra ragione . Pur nondimeno per le í PO Del Sig. Gregorio Breſami. 491 poche coſe in genere , che io ſono per accennare , ſpero che il mio ra gionamento fia di qualche utilità a coloro che non fono eſtremamente otcufi nel capire la vaghezza della noftra favella ; ed a Voi , Signori Accademici forſe non diſcaro ad udire . ! A noſtra Lingua , ſecondo l'opi nion mia , da altri chiamaſi Ita liana perchè di tutta Italia' fi fon preſi i vocaboli , donde è compoſta : da alcuni chiamaGi Volgare , forſe per chè uſata , ed inteſa volgarmente :E da cercuni chiamaſi Toſcana, o perchè il più de' vocaboli fi fon preſi appun to di Toſcana , o perchè agli Toſca ni, come a Padri di detta lingua , e come a Tutori d'orecchio , e di giu, dicio finiffimo , meritamente è conce. duto il diritto di giudicar della puri tà , e della barbarie di ciaſcun voca bolo . E nel vero ad evitare la con fufione , che ne addiverrebbe , ſe cia. ſcuno a ſuo talento uſaſse di nuove voci ; egli è del pari laudevole che neceſsario , che v'abbia il ſuo Tribu. X 6 nale 9 492 Diſcorſo della Lingua Itatiana nale inappellabile , che altri vocaboli diſapprova come anticaglie , altri non ammette come barbari , ed altri ritie. ne , o adotta come neceſsarj , o leg giadri. Il che dà a divedere , che la noſtra Lingua è un corpo vivo ſog. getto ad alterazione, in quella guila che ſono gli altri tutti , o naturali o politici . E perchè qualſivoglia cor ро dalla ſteſsa ſua naturale alterazio ne è minacciato di rovina ; faggiamen te fanno i Signori Accademici della Cruſca , che non adottano per Mae ftro di Lingua ogni triſtanzuol di Gra matico , che non tiene veruno ſtile e che in luogo di vocaboli ufitati , e di proprj , ne adopra ſpeſso di affet tati, e di rancidi , di groſsolani , o di ſtranieri. Benst a gran ragione a dottarono , e quando che ſia , ſon cere to che adotteranno i vocaboli di que? grand’ Uomini , che per la loro viva , ed ordinata fantafia , o inventarono , o crebbero alcune belle arti , o alcu« ne- ſcienze ; e fu di neceſſità il trovar nuove voci ad eſprimere i loro nuovi concetti . Per altro qual biſogno , o qual capriccio egli è mai di ufar vo ca Del Sig.Gregorio Brejani. 493. mano un diſcorſo (Nè io giày caboli zotici , e duri d'altre provin cie d'Italia , o di accattarne degli ſtra nieri ; quando ne abbiamo in tanta copia di cosi proprj, e di così gentili ? Ma come egli ſta nel volere di Chiun que l'apparare i materiali della noſtra Lingua ; non così puote ciaſcuno , o ſa farne quell'accozzamento , onde ri fulti un diſcorſo naturale , ed inſie me leggiadro : Nelle ricerche più aftrufe di qualche verità di Filica non v'ha paragone tra 'l faper indo vinare quale non fia la cauſa d'un Fea nomeno e l'indovinare quale ella fia . All'iſteſso modo confiderando io ciò , che ſi voglia per iſcriver bene ed elegantemente , ben potrei io an noverare millantà difetti, che disfora lafcero indietro di moſtrare alimeno le fonti principali , donde derivano ): ma non così di leggieri potrei additare qual fia la grazia , e l'armonia , che lo ren de vago , e lodevole . Pare io conſi dero , che benehe :la noſtra Lingua ; come io difli innanzi , quaſi altro non fia , che un Mondo ideale ; non oſtan te i caratteri del fuo bello , poſsono ef 494 Diſcorſo della Lingua Italian eſsere in qualche parte paragonabili con quegli , che riſpettivamente fi rav . vifano nel noſtro Mondo materiale . E certamente in quella guiſa , che a ciaſcuna parte del noſtro Cielo riſpon. de la produzione di coſe differentiffie me ; forſe per ragioni ſomiglianti-, à ciaſcun paeſe riſponde un linguaggio tutto proprio , e differente dagli altri. E non fa forza , che nella noſtra me. defima Italia chiamaſseſi un tempo panis ciò , che noi al preſente chia miamo pane ; poichè non è ſolamente la varia deſinenza di ſuono , che die ftingua l'una Lingua dall'altra ; ben il modo , con che ſeguendo non ſo quale neceſſità , fi.concepiſcono le coſe, e fi eſprimono. Onde non è maravi glia , che non ogni Clima produca in gegni atti ad ogni genere di compo, nimenti . In fatti ſiccome non è il metro , che diſtingua la poeſia dalla prola ; ma il modo diconcepire diver. ſo ; cosi io porto opinione , che alme no in gran parte l'indole , e'l genio della lingua Latina tuttavia fuffifta nel la noſtra Volgaré. La qual coſa ſem . bra , che abbiale voluto confermare il dis Del Sig. Gregorio Breſani. 495 divino Dante , laddove , fingendo egli di parlare con Virgilio , diſse: Tu fe il mio Maeſtro , e il mio Au tore , Tuſe folo Colui , da cui io tol. Lo bello Stile che mi ha fatto De nore . Vero è che l' Armonia dello Stile , la qual naſce ſpezialmente dallo traſpo nimento delle voci , e chiamaſi coſtru zione , a chi paragona lo ſcriver ret torico di Cicerone , o 'l robufto di Li vio col noſtro parlar familiare non può a meno di non parere di gran tratto diverfa : ma ella non parrà già tanto , paragonando un componimen. to de' Latini con un noftro ſopra un fimile ſoggetto , e d'una ſpezie mede fima . In fine molto meno ne parreb be diverſa , ove à noi foffe dato di faa per pronunziare le parole de Latini come facevan elli , cioè con quegli ac. centi , è con quelle delipenze, che per comune opinione noi abbiamo -fiera mente alterati , o perduti . Ma nos cost 496 Diſcorſo della Lingua Italiana così interviene , ove noi la predetta armonia paragoniamo con quella di qualche Lingua ſtraniera ; o ci diamo a credere di poter rimeſcolarne i vo caboli , e forme di dire ; che effendo d'un genio differentiffimo ; ficcome non ſi appiccano giammai gli inneſti di quelle piante , che ſono tra di sè diverſe; così ciaſcuna Lingua mal com pofta tutto ciò , che fenie d'un Clima diverſo . Io dico adunque , che la no ftra Lingua in ciaſcuna ſua parte dee ſentire , per dir così, della ſua ſpezie, e della ſua Nazione. Il che riſponde a quel carattere di bellezza , che nel le coſe create e corporee chiamaſi u. nità ; unità però tale , che da eſſa pro viene , ő piuttoſto in eſſa ſtà racchiu . ſo un altro carattere , che è la varie ttà ; la quale come rendeſi manifeſta negli animali , e nelle piante d'un'in fteila ſpezie , e d'un iſteffo Clima ; così ella dee apparire nello ſtile di cia Icuno Scrittore d' un'iſteſſa Lingua. Il qual mio ſentimento moſtra in ſem . bianti d'effer il medeſimo , che quello del celebre Baccone di Verulamio lade dove tocca della bellezza dello ftile $ 1 dis Del Sig. Gregorio Breſſani. 497 dicendo dover' egli eſſere , rivis didu um fuis , imitans neminem , nemini imi tabile". Talchè dovendofi pur togliere d'altrui i vocaboli , ed i modi di di re ; conviene anche in ciò imitar la Natura , che non genera coſa , fe non colla corruzione d'un'altra : Voglio ſignificare , che quanto noi togliamo d'altrui per formare un diſcorſo , dee talmente tritarfi nel noſtro cervello innanzi ché noi lo veſtiamo di nuova forma, che al fuo apparire niuno ha da accorgerſi donde noi l'abbiamo tol to . Ed intorno a ciò comunemente non ſi dà nel ſegno ; perchè altri per travolco giudicio indi ſcoſtaſi, quanto più ſi affatica di raggiugnerlo . Altri per infingardaggine li ripoſa nel limi tare del buon ſentiero , ſenza voler cercare più avanti : E finalmente altri è di ſentimento ottuſo e d'intellis genza aſſai corta a capire la bellezza , e la fecondità , per dir costi , di quel vero , che egli imprende ad imitare , Se ne fcoſtano i primi , a' quali per ciocchè troppo ftà a cuore di render fi ſingolari dagli altri e col penſare e coll' eſprimerſi ; mentre ſtudiano di celu 3 498 Diſcorfo della Lingua Italiana ceffare il vizio della trivialità , offen . dono nel vizio della affettazione , in comparabilmente più rincreſcevole . La qual'affettazione conſiſte in certe parole ſquarciate , e lmanioſe , ed in certi accozzamenti di quelle , che vol garmente ſi chiamano belle fraſi Iono forme di dire , che fanno notabi. le diſugguaglianza col reſtante del di ſcorſo e pe' quali (che che fi creda no gli ſciocchi) riſulta un Tutto of tremodo ftentato , e deforme. Elem pio di ciò noi abbiamo in coloro , che avendo appreſo di molti vocaboli ale la rinfufa e varj modi di favellare da parecchi Dicitori , e tutti pulitif fimi; per la vanità di moſtrarlene do viziofi, in qualunque racconto ne in trudono quanti mai poſsono il più , e mallimamente gli da loro ſtimati me no comuni ; tra quali ne intrudono anche di quegli , che non ſolo male fi convengono colla ſemplicità della Na. tura ; ma talora non ſi convengono colla Verità del loro ſteſso ſentimen to : e meritamente ripiglia coſtoro il noftro Sovrano Poeta , dicendo : E Del Sig. Gregorio Breffani . 499 7 1 E quale che a gradin' oltre fo metu te ? LC Non vede pide dall uno all'altre filo. e 3 Per tanto niun' altra venufta , niun' altra grazia ricever puote un diſcorſo dagli vocaboli o forme di dire , fe non quella , che deriva dal collocare ciaſcuno al luogo fuo ; talmente che appaja eſser i vocaboli piuttoſto , che abbiano cercato d'elser uſati dove fo . no ; che d'eſser eglino ſtati cercari ftu. diofamente dagli Scrittori . E perchè tanto altri allontanafi dal vero coll' aggiungervi ciò , che non gli ſi con viene ; quanto altri coll'ommettere di collocarvi ciò , che gli fi conviene; ne ſeguita che un diſcorſo rieſce diffetiofo sì ad uſare in eſso vocaboli di fover. chio , e fuori di propofito , che a ri petere alcuni vocaboli, in vece d'ale tri varj , che fi vorrebbono , ad eſpri mere propriamente i propri concerti dell'animo , ed a fervare in un ragio namento quella varietà , che richiede fi a formarlo giuſta l'eſemplare ſoprac. cen . 500 Diſcorſo della Lingua Italiana cennato de' corpi Fiſici . Ma che ? Se gli Uomini per una parte fon moſli da certo naturale deſiderio , o da qual ſivoglia altro ſtimolo di giugnere nel la loro arte alla perfezione poſſibile i ſono all'incontro ( laſciando ſtare gli altri impedimenti , che ſpeſso ſi attra verſano al lor diſegno ) comunemente refpinti dalla fatica , che loro convien durare , prima che ad eſli venga fatto di apprendere ad eſercitare qualſifia arte con lode . Ne vi ha alcuna arte per limitata , o facile che ſia ſopra le altre , che pigliandoſi a gabbo non rieſca imperfetta . Per la qual coſa , l'arte dello ſcriver bene si nella no ftra , che in ciafcuna altra Lingua , richiede anch'eſsa di molta fatica , ed induſtria . E vanno fortemente errati la maggior parte de' noftri Scrittori che da che ſentonſi forniti di alquan ei vocaboli , e modi, onde groſsamer te eſprimerſi ; ed effi eſtimano di la per iſcrivere quanto baſta laudevol mente . E come fi ſcontrano in uno ſtile un poco colto , che in un certo modo dovrebbe eſser di rimprovero al loro difetto ; dicono coſto che gli è uno 4 DelSig.Gregorio Breſani. 501 uno ſtile che ſente dell'affettato ', © dell'antico , „ dandogli a torto biaſmo, e mala voce . E così , diſprezzando efli animoſamente ciò che per loro poltroneria non hanno appreſo . Ferman fua opinione Prima che arte , o ragion per lor ſi ſcopra . Che ſe pur vero foſse , che uſar non non ſi poteſsero altri vocaboli , o mo di di dire , ſe non gli uſati da coſto . ro ; il groſso Vocabolario della noſtra Lingua ridurrebbefi ad un libriccivolo di quattro carce ;. e laddove la noſtra Lingua ora vanta di eſsere la ricchilli ma di voci , e di maniere leggiadre diverrebbe la più povera e ſmozzicata di tutte . Oltrechè in proceſso di tem po gli ottimi Scrittori, c Padri di no Itra Lingua ne diverrebbono molto oſcuri, e direi per poco in intelligi gibili ". Vuolli per tanto aver pieria conoſcenza sì de' vocaboli , che delle forme di dire ; acciocchè il noſtro iti le abbia la predetta varietà , e con ef ſo la ſua unità , per cui egli mantien. fi 302 Diſcorſo della Lingua Italiana fi ſempre fomigliante a ſe ſteſſo , e per cui ſembra quaſi uſcito di una fo la trafila . E le parole groſsolane ri meſcolate colle gentili , e le parole adoperate fuor di luogo , o con fazie vole repetizione , o le parole che non ſono più in uſo ; lono come altrettan te ſcabroſità , che gli impediſcono l' uſcirne . Per notabile che ſia la varie . tà , o differenza tra gli Uomini nelle parti, che fuori appajono del corpo , non è mai li grande , quanto ella è nel la capacità , ed aggiuftatezza del loro ſpirito . Per la qual cola io avviſo di non poter paragonare gli umani inge gni , che a coſe dello ſteſso genere bensi, ma di ſpezie diverſa . E fiami lecito il paragonargli a varie piante, alcune delle quali reſtano picciole , perocchè la ſtruttura primordiale de' loro ftami non comporta che fieno più oltre ſviluppate , ed eſteſe ( e Gae lileo Galilci dimoſtra , che così gli Animali , come le piante , ſe foſsero d'altra grandezza , che non ſono vorrebbefi che la ſimmetria delle lor parti foſse del cutto diverſa ) ed al cune altre non ſi eſtendono , come eften Del Sig.Gregorio Breſſani. 503 eſtender ſi potrebbono per difetto dell' opportuno alimento . Varia è la eſten , fione , e'l comprendimento de' noſtri ingegni, e varia è la forte , che gli forniice di ajuti , e di occaſioni fa . vorevoli , onde poſsano coltivarli . Egli è certo perciò , che quale s'im barazza nel voler' ordire un ragiona mento , dirò così , di più fila ſopra la comprenſione , o coltura del fuo in gegno , ovvero contro all'inclinazion lua particolare ; il detto ragionamen to fiaccherà da se medefimo , diffol. vendoli quaſi in brani ; ed anche i vocaboli ftelli, con che vorrà eſpri merlo non avranno nè unità , nè grazia . Nè fi de'credere che l'Archi tetto , il quale fia buono da fabbrica. re una camera , fia fempre buono da faper fabbricare un palagio : Nè che un Compoſitore d'una breve, e fem . plice ſuonata fia fempre buono da con porre una Sinfonia aſſai lunga con tutte le parti, che in eſſa ſi vou gliono a formare un'armonia perfec ta : Ne in fine che un Uomo di leto dere , al quale venga fatto di ſaper unire inſieme una decina di verli > fia 504 Diſcorſo deila Lingua Italiana per sé , ſia per queſto buono da fare un Inne go poema ; come ſe il palagio , la Sinfonia , ed il poema altro non foſ. ſero , che un aggregato di più unità minori : Che nè la Camera , nè la breve Suonata , nè la decina di verfi conſiderate riſpettivamente nel pala gio , nella Sinfonia, nel poema, non lono già unità , ma parti. E però non folo deono effer belle ma deono eſſerlo , anche per riſpetto a tutte le altre parti, che ſono con efle integrali di tutta la fabbrica . Io non niego di molte opericciuole ef ſere altrettante unità nel loro gene re , come ſono le grandi; ma molto maggior forza, ed eſtenſione dinge. gno richiedeſi nel comprendere un Poema ( purchè le colę .; che in eſſo fon contenute ; nonoſtante che d'un racconto ſi trayalichi in altro ; fien tutte come parti integrali d'una azion ſola ) nel comprender , difli , un poe ma , che un Sonetto , una lunga Ora zione , che una picciola riſtoria , ed al fro breve ragionamento : Ed il Boca caccio medesimo fempre' doviziofiffi. mo che egli è di bei modi di dire , pure Del Sig .Gregorio Breſani. sos che egli pure ſecondo la varia facilità, e feli cità , con cui egli concepiva le coſe; vario è il diletto , che egli ne reca ad eſprimerle. Nel breve racconto di qualche Novella non ha pari a dipi gnerla con vivi colori , e con genti li, con mirabile naturalezza ė lega giadria ; mentre e pare a me, lia anzi increlcevole che nò nel lun . go racconto del ſuo Filocopo , e della lua Fiammetta , ed altrove . In ſom . ma colui , che imprende a far coſa ſopra la forza , e diſpoſizion nacura le del ſuo ſpirito , non potrà giam mai ben riuſcirne . Certa coſa è che un'attenzione indefeffa a leggere , e conſiderare parte per parte i gran Maeſtri della noſtra Lingua ; ed un ben lungo uſo di ſcrivere , raffinano aſſai il noſtro giudicio , e perfeziona no il noſtro ſenſo , ma egli è certo ancora , che il viburno con tutto l' artificio , e la ſollecitudine degli Agri coltori, non giugnerà mai all' altezza de i Cipreſli , nè il pioppo farà mai fructo : cioè quale non avrà chiara ap prenſiva , ed eſteſa a veder per sè ſteſ lo ciò , che ſia d'uopo a formarequel Miſcell.Tom .III, Y la 506 Diſcorſo della Lingue Italiana la maniera di componimento , ch'ei fi prefigge nell'animo , dalle coſe più materiali in fuori; nè dalla copia ottimi libri , nè dalla viva voce de'pe ritiMaeſtri , non potrà mai che poco, ed oſcuramente appararlo . E per que fto appunto che gli Autori cladici del. la noſtra lingua non tenean biſogno di badare neli eſprimerſi ad altro , che a' proprj fentimenti dell'animo , a chi guarda ſottilmente, ſono impareggia bili con coloro che eſſendo ordina. riamente poveriſfimi d'ingegno , ſpen . dono tutto il loro tempo nell'imitar , gli . Ma comechè gli Uomini ſpeſſo fi Jamentino quando della lor povertà , quando della poca robuſtezza, o d'al. tro difetto del corpo , quando della loro mala volontà , o educazione ; af ſai di rado , o non mai fi dolgono di non effer forniti d'ingegno , e di giu . dizio atto a qualſifia impreſa , non che a faper iſcrivere , e favellare, come ſi conviene . Anzi non v'ha coſa più na . turale , e comune , ficcome è il vede. re gli inertiſſimi del Mondo a preſu mer molto di sè , e creder di far gran cole DelSig.Gregorio Breſani. 507 coſe; quando col loro poco ſenno non fanno altro , che infucidare , e guaſta re i penſieri, e le maniere di dire che trovano ſparſe qua e là nell'altrui opere. Ecco per tutto ciò che appreſ ſo alla cognizione , che Uom dee ave re de'vocaboli , e d'altro ; è da vede. re qual grandezza, e qualità di com ponimento ſia da eſſo , e qual fia la forza del ſuo ſpirito a concepire chia ramente più coſe , e'l modo , onde più facilmente , e felicemente le concepi. fce ; perchè altri farà eccellente nella poeſia , che non ſarà appena di mez zano valore nella prota: ſenzachè al tri ſarà grazioſo in un genere di poe fia , che in un altro genere non ſarà gran coſa piacevole : Altri farà com. mendabile in un genere di profe ; non così in un altro . Ma qualunque ſia il genere de componimenti , qualunque ne fia la fpezie, qualunque in fine ſia la abilità del noſtro fpirito a formare più queſto componimento , che quel. ; ſi ha ad ogni ora in ciaſcuna coſa, grande, o picciola che ella fiafi , da aſcoltar la Natura ; che forſe ſotto no. Y 2 me 508 Diſcorſo della Lingua Italiana me di Amoreaccennar volle in quei verfi il noſtro non mai baftevolmente lodato Poeta : . Io mi ſon un , che , quan do Amore ſpira , noto ; e a quel mo do Ch'ei detta dentro., vo fignifican do . Ma queſto ſi vuol fare con tal artifi cio ; che meglio pud eſſer inteſo da molti, che eſpreſſo da pochiſſimi. Ed io per certo non ſaprei comemeglio a parole eſprimerlo . Ben ſo eſſere i più minuti , ed eſatti raffinamenti , che fanno quel bello , quel raro in ogni coſa , per cui ella ſale in gran pregio, ed in eſſo dura coſtantemente appo ogni Etade futura. Ma la maggior par te degli Uomini , che pur ſi chiamano di profondo ſapere, non badano a dete ti raffinamenti, perchè amano meglio , come dicon efi, di raccozzare eſprimere rozzamente molte coſe , che poche con leggiadria . Di quegli poi , che ſi conoſcono , e ſi dilettano de'leg gra. 7 e di Del Sig. Gregorio Bretani. 509 giadri componimenti, altri'l fanno per averlo ſolamente udito , ed appreſo da' Maeſtri ; ed altri 'l fanno maſſimamen te per propria meditazione , e quaſi per intimo ſenſo . De'primi molti po. trai udire a giudicare rettamente dell' altrui Opere, ed a ragionare a mara viglia de' precetti dell'arte ; non così però ad eſeguirgli nelle loro . Oltrechè effendo ne'più perfetti Eſemplari di Lingua quella ſteſſa gradazione di ferie, che ravviſaſi in ciaſcuna ſpezie de' corpi Filici; coſicchè l'ultimo Icric tore tra gli ottimi venga ad eſsere il primo tra gli altri inferiori ; rare volte avviene , che altri fuorchè i ſecondi, cioè , gli aventi il ſenſo ac comodato a conoſcere il vero ſpirito d'uno ſtile , che naſce di una bella fantaſia , correcta bensì, ma non pun to alterata dall'umano artificio ; che ſappiano diſtinguere tra i buoni gli ottimi, e co'migliori gareggiar di lo de ne' loro componimenti. Benche il Mondo tutto de' Letterati non ab. bonda, che di ingegni mediocri , o di coltivati mediocremente ; come ſi abbattono a qualche manie. i quali Ý 3 . ra 510 Diſcorſo della Lingua Italiana 1 1 1 ra di file , o ſtrabocchevolmente fan taſtico , od in qualunque altro modo corrotto , e fallo ; fannol conoſcere ed isfuggire ; per altro facendo un fae fcio , come ſi dice , di tutti gli altri ; hanno la ſtima medeſima di Autori di merito differentiſlimi . E non ef fendo forſe uſi di meditare ſopra ver runa coſa , per rinvenire da sè la ve rità ; la credenza dell'uno di coſto ro è ſoſtegno , e ragione baſtante al la credenza dell'altro . In quanto poi a coloro che con qualche nuovo mo do di ſcrivere , tuttochè privo della venuftà , e della finezza da me ac cennata , deſtano in altrui ammira zione , e dilecto ye da i più fonte nuti per valentiffimi Scrittori ; non è gran fatto da ſtupirſene , che il giu dizio della gente groffa , cioè de i più, in ſomiglianti cole è fallaciffimo . E inveſtigando io la ragione , onde in tervenga , che una ſtampita rechi al la moltitudine forſe diletto maggio re , che non reca un'armonia aggiu . ſtata ; che un vafto, e bianco pala gio , che piuttoſto dovrebbe dirſi un gran mucchio di pietre , fia ftimato , ed Del Sig .Gregorio Breſſani. Sil ed ammirato più , che una picciola caſa fabbricata cơn ottima architet tura ; e che finalmente uno ſtile , ed altra coſa fregolarà piaccia per av ventura più , che non piacciono le coſe fatte riſpettivamente ſecondo le buone regole dell'arte ; avviſai , che ella non poſſa eſſer alcra , ſe non ſe queſt'una : che concioſiecchè ricevono gli idioti dentro di sè un'idea di cofa, che non ha nè ordine , nè proporzione, può ſembrar loro aggiuftara , e gen tile ; perciocchè la confiderano in se ſteſſa ſenza paragonarla colle idee che efli hanno delle coſe veramente efiftenti ; e ſenza paragonarla con que' caratteri di bellezza , che badanie do ſottilmente , fi ravviſano nelle co ſe tutte , quali elle ſono create e diſpoſte dall' Artefice fapientiſſimo : i quali caratteri vie più rendonſima nifeſti, e mirabili , quanto maggiore fi è l'attenzione, e l'intelligenza di chi gli conſidera . Quindi noi vedrem mo più maniere di ſtile ampolloſo , o d'altra guiſa falſo aver tenuto per infino a tanto che fonofi dati gli - Uomini a fare il ſopraccennato pa ra 512 Diſcorſo della Lingua Italiana > ragone ; che è quanto dire a diſtin . guere l'ideale , che ha infiniti fimili fuori di se , dal chimerico , che fol tanto dimora nel noſtro ſregolato giudizio : ed all'incontro lo ſtile che è il vero ( vero io intendo di quella verità , che riſulta dalla con venienza tra l'eſpreſſion noſtra , e la eſpreſſione la più acconcia , che ima giniamo effer poflibile in chi favel la , ſecondochè gli detta la Natura ) può eſſere per alcun tempo in poco pregio , appreſſo coloro , che non fanno altro , che correr dietro a ciò, she ha faccia di novità , ſenza cere care più oltre . Ma certifſima coſa è , che opinionum commenta ( come di ce Cicerone ) delet dies ; nature jue dicia confirmat. Ed io da capo fran camente attribuiſcoverità anche al modo di ſcrivere che pazzo è per opinion mia , qual fi crede , che non abbiavi altrove verità nelle belle are ti ; ſalvo che ne' teoremi della Geo mecria , ovvero ne' calcoli dell'Arit metica : quaſichè innumerabili non foſſero i fenomeni in Natura ( e tuca ti ſenza dubbio ſono nel loro gene i re Del Sig.Gregorio Breſſani. 513 VO. re aggiuſtatiſſimi ) a' quali non ſi ponno addattare ne' calcoli , nè figu re geometriche . Ma effendone noi certi altronde dell'armonia e della verità delle coſe farce dall'arte , gliam noi dire perciò , che fien men belle , o men vere di quelle , di cui noi conoſciamo in parte , e geome. tricamente dimoſtriamo l' artificio ? Il perchè io dico eſſerci verità in una Cantica di Dante , eſpreſſa co me ha fatto egli ; che ella non ci farebbe altrimenti , ſe l'argomento ſteſso foſse eſpreſso dall' Uomo più ſcienziato del Mondo , ma ignudo di vocaboli gentili , e di maniere di dire leggiadre : Che altra verità contiene in sè una ſteſsa immagine delineata con perfecta ſimmetria , con atteggia mento naturale , con ombreggiamenti, e colori convenienti ; ed altra , ſe det ta immagine tanto quanto ſi diſcoſta dall'eſemplare di Natura ; benchè noi per quella eſsa la ravvilaflimo egual mente . Ora che altro è il noſtro Icria vere , e'l noſtro favellare , ſe non che un dipignere le noſtre idee ſopra la immaginativa di chi ci ſtanno ad udi • re ; 514 Diſcorſo della Lingua Italiana re ; onde non dobbiam noi eſser con tenti ſol tanto , che una idea da noi groſsamente , non ſo ſe io mi debba die re piuttoſto abbozzata , che eſpreſsa , non venga tolta in iſcambio con un'al tra ; ma dobbiamo innoltre porre ogni ftudio per eccitare in altrui quel vivo ſentimento di quallfia coſa , che ab biam noi medeſimi, allorchè vivamen te , e chiaramente l'abbiamo apprela . Che avvegnachè l'arte dello ſcrivere confifta tutta in un aggregato di ſegni, o di modi , ſcelti, ſe vuoi , ad arbi trio degli Uomini, io tengo non per tanto eſser detti ſegni quaſi una coſa ſteſsa con ciò , che per eſſi ne viene rape preſentato ; o almeno dover eſser tali, Sì che dalfatto il dir non ſia diverſo Lungo ſarebbe il diſcender ora á ra. gionar de' particolari , che recano , o tolgono la leggiadria , e la verità a va rie maniere di componimenti . Ma ancorachè io nol faccia , il poco , che io ne accennai in comune , ſpero che per avventura defterà in chi che fia la reminiſcenza di quanto fa di meſtieri ula . Del Sig .Gregorio Breſſani. 515. uſare a voler iſcrivere con lode ; per chè in fine , ſiccome non da altri , che dal proprio ſentimento ſi può appren dere a modificar variamente l'armonia della Muſica , nè della Architectura ; così non da altri , che da sè veruno non può apprendere il vero modo di addattare la propria fantaſia a cutte le occaſioni particolari di aver da eſpri merſi , che ſono ſenza numero . Poco io diffi eſſere ciò , che mi cadde in animo di accennare verſo il molto che un eſperto dicitore , quello , che io non ſono , avrebbe faputo e medi tare , ed eſprimere di attinente a così raſto argomento . Con tutto ciò ten gol per lufficientiffimo ; purchè ſia da tanto di deſtare in eſso voi , umanil ſimi e ſaggi Accademici , la voſtra cu rioſità ad iſcoprire le mie fallacie ; onde a mio utile proprio , io appren da quanto forſe mi trovi lunge dal fe gno ' prefiſso ; mentre io delidero di guidare altrui pel retro cammino del la Verità . Keywords: intorno alla lingua toscana.  Refs.: l’implicatura di Galilei, discorso intorno a nostra lingua – discorso intorno al volgare – Aligheri – vo significando – “meaning” – I am meaning – Gallileo, forma logica aristotelica – forma logica galileana – forma logica platonica – grammatica e geometria – grammatica profonda di Galilei -- Luigi Speranza, “Grice e Bressani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51780179194/in/dateposted-public/

 

Grice e Bruni – interpretare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo. Grice: “Bruni is a philosopher – and a Griceian one at that; he reminds me when Strawson and I used to give joint seminars on ‘De interpretation;’ our tutees found it boring but we would say, ‘lay the blame on the Stagirite.” Grice: “Boezio was possibly wrong in missing the metaphorical impicature of ‘hermeneutic,’ and give us a rather boring ‘inter-pretatio’ – which is the thing Bruni uses when dealing with Cicero – Bruni is unaware if what he is doing is ‘interpreting’ or ‘volgarizare,’ i. e. render the thing into the volgare that the volgo may appreciate! His impicature seems to be: let the classics stay classic!” –Grice: “But there is a little word that Bruni uses that is crucial, ‘recta’ – interpretation has to be ‘recta,’ as opposed to incorrect – which leads us to impilcature – is over-interpretation mis-interpretation? We think it is!” – “But since an implicaturum is cancellable, we have to be VERY careful here, as Bruni is – especially when he visited I Tatti!” –  Politico, scrittore e umanista italiano di Toscana, attivo soprattutto a Firenze, della cui Repubblica ricopre la più alta carica di governo di Cancelliere. Uomo di grande personalità, arguto e forbito parlatore dotato di grande eloquenza, si insere nella disputa sulla questione della lingua, discussione apertasi con l'avvento della lingua volgare all'interno della lingua in uso specie in chiave letteraria a quell'epoca. Conobbe Filelfo ed ha come maestro Malpaghini. Nei suoi studi riscontra fenomeni di ‘corruzione’ della lingua latina dall'interno, rilevando ad esempio in Plauto le forme di assimilazione fonetica“isse” per “ipse”; oppure “colonna” per “columna”. Teorizza quindi che il latino si fosse evoluto dal proprio interno, sostenendo l'esistenza di una di-glossia. Oltre al latino antico classico, aulico, sarebbe esistito un livello inferiore, meno corretto, usato informalmente nei contesti quotidiani, da cui provengono la lingua romanza o italiana – toscano, fiorentino. Oppositore di questa teoria e Biondo, il quale sostiene invece che la causa della “decadenza” o corruzione del latino fosse stata l'aggressione esterna dei due popoli germanici: gl’ostrogoti e i longobardi. Gli studi storici hanno mostrato che le due teorie di Biondo e Bruni non sono effettivamente incompatibili. Il latino si è evoluto per ragioni, sia “interne” (e. g. le corruzioni di Plauto), sia “esterne” (le invasion dei barbari ostrogoti e longobardi). Nella prima metà Professoresi avevano pareri opposti in merito alla dignità del volgare. Filosofi come Salutati e Valla disprezzano il volgare perché non dotato di norme grammaticali; Alberti, al contrario, si adopera molto per far riconoscere il volgare come lingua ricca di dignità nel panorama filosofico. Bruni conceve il dialogo “Ad Petrum Paulum Histrum”, nel quale dava la parola a due esponenti dell'umanesimo del periodo: Salutati, appunto, e Niccoli. Il primo assere che il volgare sarebbe stato degno solo se regolamentato da assiomi precisi, e si dispiaceva del fatto che Alighieri non avesse scritto la sua Commedia nel ben più nobile latino. Niccoli propone una visione ancora più radicale, arrivando a giudicare tre fra i principali filosofi italiani Alighieri, Petrarca e Boccaccio poco più che degli ignoranti. Niccoli difende questi ultimi, riconoscendo la grandezza delle loro opere, invece di giudicarli in base alla lingua che usarono. È celebre una sua epistola in cui delinea princìpi fondamentali dell'umanesimo. È sepolto nella basilica fiorentina di Santa Croce in un monumento opera di Rossellino. Altre opere: “De primo bello punico” (della prima guerra punica);“Vita Ciceronis o Cicero novus” (vita di Cicerone, ovvero, Cicerone nuovo); “Aristotele, Ethica nicomachaea”; “Oratio in hypocritas”; Pseudo-Aristotele, “Libri oeconomici”; “Commentarius de bello punico, adattamento di Polibio”; “De militia”; “Commentarius rerum graecarum”; “De interpretatione recta” “Aristotele, Politica”; “Commentarius rerum suo tempore gestarum”; “De bello italico adversus Gothos”; “Historiae Florentini populi”, Storie del popolo fiorentino (Storia fiorentina) da Acciaiuoli ed uscì a stampa a Venezia. Vedi alla voce "letteratura umanistica" in umanesimo, riferimenti in Carlo Dionisotti, «Bruni, Leonardo», in Enciclopedia Dantesca. Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cesare Vasoli, BRUNI, Leonardo, detto Leonardo Aretin,  in Dizionario Biografico degli Italiani, Repertorium Brunianum. Lingua volgare. Questione della lingua Monumento funebre di Bruni di Rossellino, basilica di Santa Croce, Firenze. Dizionario biografico degli italiani. Epistole (in latino).  Dialogi ad Petrum Paulum Histrum di Leonardo Bruni - di Carlo Zacco   Cancelliere fiorentino. Leonardo Bruni è originario di Arezzo, ma Arezzo pochi anni dopo la sua  nascita passa sotto il controllo di Firenze, e lo stesso Bruni si può definito a pieno titolo acquisito da Firenze ed ottenne nel 1415 la cittadinanza di Firenze. E’ personaggio molto importante dal punto di vista letterario ma ebbe una funzione importante sotto il profilo amministrativo-civile perché fu uno dei più importanti cancellieri della repubblica fiorentina, successore, non immediatamente, a quello che il più noto dei cancellieri del 300: Coluccio Salutati, una grande figura di intellettuale, che si pose come diretto erede, insieme con il Boccaccio, del Petrarca. Coluccio Salutati. Coluccio è un personaggio di questo dialogo. Svolse in Firenze un ruolo molto importante sia dal punto di vista politico (più politico del Bruni), e dal punto di vista amministrativo-civile è uno dei più noti e importanti cancellieri di firenze: le sue missive sia d’ufficio che private sono moltissime, e lasciò una forte impronta. Un impronta volta a delineare l’ideologia della città di Firenze: la difesa stessa della libertà fiorentina, per fare solo un esempio fra tutti, contro la tirannide viscontea. • Gli studi di Greco. Il salutati ebbe anche un altro importante merito che fu quello di portare a Firenze gli studi di Greco. Fu per impulso del salutati, anche se non solo suo, che venne a Firenze il Crisolora: uno dei più importanti dotti bizantini e proprio tramite lui si instaurò lo studio del greco a Firenze. Intorno al Crisolora si stabilisce un gruppo di figure, non soltanto fiorentine, poiché dato che il greco si poteva studiare a Firenze, vennero anche da altri luoghi giovani per imparare il greco; e tra questi giovani che vennero a Firenze ad imparare il greco ci sta il dedicatario di questa opera: Pietro Paolo Istriano, che è Pier Paolo Vergerio, che operava nel contesto carrarese, a Firenze per studiare il greco, e poi era tornato a Carrara. A sua volta aveva scritto un trattato pedagogico intitolato “sui nobili costumi”. Trattati pedagogici: altro aspetto dell’umanesimo, molti scritti sono di carattere pedagogico perché uno degli aspetti importanti nell’umanesimo è proprio legato alla formazione dei giovani basata sulle Humanae Litterae. • L’umanesimo fiorentino. Questo è il contesto culturale entro cui nasce questa operetta, interessante perché mette in evidenza gli elementi di contrasto tra l’umanesimo inteso come un recupero classicistico di stretta osservanza e la volontà di coniugare ad un rinnovamento degli studi, quello che era la tradizione: in modo particolare quella dei tre fiorentini Dante, Petrarca e Boccaccio.  Ripresa del dialogo classico. Questa operetta non è un trattato: è impostata come una discussione, una disputatio ma è a sua volta, sviluppando alti elementi, è un altro dei caposaldi di rifondazione del dialogo in latino: sulla scorta dei classici, più sistematicamente di quanto non avesse fatto il pur importante esempio petrarchesco. Disputatio in utramque partem. Questo è un dialogo diegetico, non mimetico, dunque un dialogo dove la cornice è costantemente presente. E’ un dialogo costruito in due libri, e la discussione è svoltain utramque partem, da una parte e dall’altra. C’è un personaggio, un letterato e al tempo stesso un personaggio di un certo peso a Firenze che si chiamava Niccolò Niccoli, che sostiene due parti tra loro contrapposte: nel primo libro attacca violentemente le figure di Dante, Petrarca e Boccaccio, inserendo questo suo discorso in un attacco relativo alla condizione della cultura contemporanea: quindi denunciando lo stato di decadenza della cultura contemporanea; nel successivo libro fa unapalinodia e svolge un discorso opposto: gli elogia di questi tre personaggi. Problemi di Datazione  Problemi. Oltre al fatto del far vedere che cosa è diventata a questa altezza cronologica la disputatio, ci sono diversi aspetti in questo che  sono interessanti. a) C’è un primo problema di carattere cronologico, qui ridotta ai minimi termini, in una discussione che è ancora in corso: è un opera su cui si è discusso e scritto molto, e la cui datazione è uno degli elementi di discussione. b) Altro elemento di discussione che è collegato a questo è se questi due libri siano stati concepitiunitariamente o se il secondo sia stato scritto dopo: cioè se l’autore avesse cambiato idea rispetto a quello che aveva fatto sostenere al Niccoli e avesse svolto poi nel secondo libro successivamente una palinodia egli stesso nel celebrare l’elogio dei tre fiorentini.  a) la datazione Termini ante/post quem. L’opinione più persuasiva a tal proposito è questa. Innanzitutto c’è un problema di tempo interno: c’è un indicazione precisa dal punto di vista cronologico, come emerge all’inizio del dialogo; questo dialogo è collocato in due giorni diversi, uno successivo all’altro, nei giorni di Pasqua dell’anno 1401. Il fatto che come tempo interno sia dato il 1401 non significa che quello sia il tempo reale di scrittura naturalmente. Comunque, posto che qui venga messo come data il 1401 è evidente che il Bruni non potè scrivere l’opera prima del 1401. L’altro termine di riferimento non dopo il quale fu scritta l’opera, è il 1408 perché in quella data, in una lettera, Bruni stesso direttamente ci parla di questa sua operetta come già pubblicata (pubblicata ovviamente equivale a «circolante», almeno tra alcuni dotti). • morte di Salutati. Altro aspetto da considerare riguarda le figure dei personaggi presenti. Tra queste figure c’è quella importante, una sorta di Nume tutelare, il personaggio anziano, l’intellettuale in età avanzata rispetto al gruppo dei giovani (c’è questa differenza importante che va considerata) che èColuccio Salutati. Coluccio muore nel 1406. Se noi stiamo a guardare ai dati dell’operetta possiamo pensare che sia stata scritta quando il Salutati era ancora vivo, se consideriamo il Salutati personaggio, che ci viene presentato in vita. In  realtà però c’è tutta una serie di elementi che fanno propendere a ritenere che sia stata scritta, almeno per quello che riguarda il secondo libro, dopo la morte del Salutati. Perché si attribuiscono al salutati posizioni che difficilmente il Salutati avrebbe sottoscritto (lo sappiamo da altri dati, lettere ecc).  b) l’unitarietà Unitarietà dell’opera. Altra questione: è unitaria o no questa operetta? Su questo punto è più difficile rispondere: il primo libro presuppone indubbiamente un secondo libro che certamente modificasse l’assetto del primo con il capovolgimento di posizione. Nei termini della disputatio in utramque partemla tesi più persuasiva è che indubbiamente sotto questo profilo, quello che è svolto come materia nel secondo libro sia già dato nel primo come presupposto. Cioè che come testo dal punto di vistaunitario il bruni avesse pensato all’opera in due libri; certo però è che ci sono alcune piccole diffrazionidall’uno all’altro. Cambia la casa dove si svolgono i dialoghi; viene introdotta un’altra figura, cosa possibile anche per alcuni spunti ciceroniani a dire il vero, ma questo muta alcuni aspetti e alcune parti dell’impostazione: in altre parole non è da escludere che il progetto originario, pur prevedendo un secondo libro come è nella logica con cui è stata scritta l’opera, si sia poi svolto effettivamente in untempo successivo nel secondo libro. Ciò non toglie che, così come è svolta, l’opera abbia un assetto contenutistico unitario, anche nell’impianto della disputa in entrambe le direzioni. Modello ciceroniano  Il modello del De Oratore. Uno degli aspetti più interessanti dal punto di vista letterario riguarda la consapevolezza da parte del bruni di voler imitare anch’egli Cicerone, non però il Laelius come aveva fatto il Petrarca, ma una delle opere più imitate da questo momento in poi in tutto il dialogo umanistico, e cioè il De Oratore. Il De Oratore è importante in quanto modello per eccellenza del Cortegiano.  Le analogie • impianto realistico. Ci sono delle modificazioni nell’impianto da parte del bruni rispetto al modello del de oratore: l’aspetto che lega maggiormente questo testo al De Oratore è l’impianto con una cornice di carattere realistico: qui abbiamo la Firenze reale di quel tempo, abbiamo personaggi storicamente individuati, abbiamo una autorità come il Salutati. • la palinodia. Altro aspetto interessante sul piano dell’impianto: la palinodia, l’affermare una cosa e il fare il discorso in opposto rispetto a quello che si è detto nel primo libro è una modalità attuata nel de oratore mediante il personaggio di Antonio: Antonio sostiene una tesi nel primo libro (nel De Oratore sono tre) e capovolge la tesi nel secondo: viene  mostrato da Cicerone il modo retorico e le ragioni di questo. E’ stato anche osservato che si tratta di una palinodia che non nega gli asserti precedenti, però sicuramente modifica quello che era stato detto nel libro precedente. • l’ambientazione. Anche la casa come luogo di raccolta, di discussione dei dialoghi è un elemento ciceroniano; e lo è anche  il tempo di festa: qui siamo a Pasqua.  Le differenze • Autore presente / assente. La differenza che balza più all’occhio è che mentre per Cicerone non c’è la presenza diretta dell’autore, perché cicerone dice di aver riportato dialoghi e discussioni che si erano svolti diversi anni prima, e c’è quindi una diffrazione di carattere temporale, per cui Cicerone afferma di aver riportato la testimonianza di chi gli aveva raccontato quei dialoghi, qui invece c’è la presenza diretta dell’auctor e c’è una attualizzazione totale, nel senso che a prescindere dalla data specifica, siamo all’inizio del 400, e i temi trattati sono altrettanto attuali e attualizzati.  Vediamo solo la prima parte, ma senza leggere la seconda non si capisce l’effettivo svolgimento del discorso. Alcuni moduli che vediamo riguardano solo questo dialogo, altri riguardano una modalità che nel tempo viene ad essere ripresa e si evolve, come vedremo nel Cortegiano, dove siamo però in un ambiente diverso: questo cittadino, quello di Castiglione, della corte. Questo è  ambiente privato: un gruppo di amici che discutono tra di loro.    Il testo Il dibattito sulle tre glorie fiorentine Queste discussioni non sono invenzione del Bruni: abbiamo altre tracce e testimonianze in ambito fiorentino in relazione alle critiche che gruppi di giovani classicisti di stretta osservanza avevano avanzato criticando aspramente le cosiddette glorie fiorentine: Dante Petrarca e Boccaccio. Quello che sta al fondo di questo dialogo è un problema e un tema di discussione quanto mai attuale nella Firenze del tempo. Se a noi può sembrare strano, visto che pensando a Dante pensiamo ad un grandissimo poeta e autore, trovare Dante trattato come un autore di popolo, di farsettai, di pescivendoli eccetera, può dare adito a qualche stupore. Le stesse accuse sono riferite da altri, non li introduce solo il bruni: i problemi di cui si discute sono problemi su cui le discussioni c’erano nella Firenze del tempo. Abbiamo dunque da un lato si afferma prima questo aspetto destruens  e dall’altro lo stesso che dice di aver parlato di quelle cose per ragioni di carattere retorico e per fare in modo che fosse proprio Coluccio salutati a fare l’elogio. Quindi li giustifica come una sorta di esercizio di simulazione retorica.  La dedicatoria  L’antico detto. Vediamo i caposaldi di questo discorso. Anche qui abbiamo un proemio che è una lettera dedicatoria molto breve rivolta al Vergerio. La lettera si apre con un antico detto di un saggio, e sia apre così a mo’ di omaggio verso il Vergerio, che con questo detto, attribuito a Francesco il vecchio da carrara, suo signore, aveva aperto il suo trattato. Questo detto è relativo alla patria: antico detto di un saggio che l’uomo per essere felice deve innanzitutto avere una patria illustre e nobile.  Elogio di Firenze. La patria di origine del Bruni non è più Arezzo nelle condizioni in cui era precedentemente, rovinata e distrutta ormai dai colpi della fortuna. Ha però il bruni a sua volta l’opportunità di vivere in una città eccellente, quest’opera è anche una celebrazione della grandezza di Firenze. Il fatto che Firenze sia una città eccellente è dimostrato facilmente perché lo stesso dedicatario era stato con lui a Firenze compagno di studi presso il Crisolora: c’è stata dunque una comunanza di studi, di vita e di affetti.  Il dono all’amico lontano. Una comune abitudine alla conversazione e alla discussione, a dato che l’amico è lontano, desiderato e rimpianto, così come l’amico lontano desidera e rimpiange gli amici fiorentini gli manda proprio come memoria ed omaggio (il Bruni al Vergerio) la testimonianza di una delle discussioni da poco avvenute tra loro giovani amici e il Salutati, come testimonianza che  può trasmettere le discussioni di una volta allo stesso Vergerio. Anticipa, sui contenuti, ciò che riguarda la dignità degli argomenti e la dignità degli uomini. Cita i due protagonisti-antagonisti: Coluccio Salutati e il Niccoli. L’altra dichiarazione che costantemente viene fatta in trattati di questo genere è la testimonianza –dedica: dice alla fine di questo proemio: «così io rimando la disputa trascritta in questo libro in modo che tu, benchè assente, in qualche modo possa godere di quanto godiamo noi, e nel far questo ho cercato soprattutto di rendere con la massima fedeltà le due posizioni contrastanti (originale: morem utriusuqe, il costume di entrambi)» e affida allo stesso Vergerio il compito di giudicare se ci sia riuscito oppure no.  La psicologia del personaggio. Questo è un altro tratto importante: quello della delineazione del personaggio: non sono solo voci, con personaggi con una loro individualità. Essendo un dialogo diegetico questa loro personalità può essere messa in evidenza per alcuni tratti dalla cornice diegetica, ma soprattutto dal modo in cui ciascuno si esprime, e quindi da quella sorta di delineazione psicologica che deriva dal discorso. L’abilità è anche quella di rendere da parte del bruni l’atteggiamento nel dire dei due, e ne è giudice lo stesso Vergerio che li conosceva entrambi. La rappresentazione dei personaggi rappresentano anche dunque una prova distile e di bravura da  parte dell’autore. Noi non abbiamo modo di vederlo nel testo latino, ma quest’opera è letterariamente significativa anche nel movimento stesso delle voci.  Il primo libro  Cornice introduttiva Come viene fatta l’introduzione nel dialogo diegetico? Innanzitutto c’è la cornice introduttiva, che ci dà delle indicazioni relative alle circostanze del dialogo, al luogo e ai personaggi.  Bruni e Niccoli vanno a casa di Coluccio. In questa nostra cornice noi abbiamo che nel tempo delle feste, questi giovani personaggi stanno andando a casa di Coluccio Salutati, che viene definito «senza dubbio l’uomo più eminente del tempo nostro per sapere, eloquenza e dirittura morale»: triplice occorrenza che definisce il carattere del nume tutelare. Viene poi introdotto un novo personaggio: mentre stanno per andare da Coluccio Salutati incontrano Roberto De Rossi, il quale a sua volta è definito per ciò che è proprio del personaggio stesso in relazione agli studi: «uomo dedito agli studi liberali». Tutti insieme vanno da Coluccio, e De Rossi si unisce a loro.  La critica di Coluccio. Arrivati a Casa di Coluccio c’è un momento di Silenzio: Coluccio pensa che quei ragazzi gli vogliono dire qualcosa, loro non iniziano per far cominciare il maestro e quindi viene rappresentata questa pausa: un elemento di carattere anche realistico. Alla fine Coluccio, dato che nessuno parla si decide ed interviene nel discorso. Quindi la persona più autorevole inizia il suo discorso: che inizia nei termini di una conversazione, quello che può avvenire quando un gruppo di persone si trova in casa di uno che è più autorevole di loro, e questo comincia a parlare, e di fatto esprime il piacere di vederli e poi comincia, li loda per la loro passione per gli studi, ma esprime poi una critica. • importanza della disputatio. Critica relativa al fatto che hanno trascurato quello che per Coluccio invece è importante: la disputatio, l’abitudine alla discussione che secondo il Salutati è fondamentale proprio per affrontare in pieno sottili verità, per poterle sceverare compiutamente, per mantenere la mente in occupazione, e scambiando discorsi in comune per fare una gara esercitando il proprio intelletto, al fine di ottenere la gloria quando si sia superiori nella disputa rispetto agli altri, oppure la vergogna quando si è battuti; da qui verrebbe uno stimolo allo studio per imparare di più. Pag. 75, in fondo: «Che cosa può … lo sguardo di tutti». Attenzione: qui la traduzione dice questione,che potrebbe far pensare alla quaestio, nel testo latino si dice invece rem, l’oggetto della discussione, è diverso il senso da dare alla cosa. E’ importante l’esercizio perché se non si compie, chi è studioso rimane a parlare con sé stesso e con i propri libri, ma non si mette a gara e non interviene nel colloquio con gli altri uomini, e non viene ad essere di giovamento, non ottiene i frutti che possono essere dati dallo scambio argomentato delle discussioni.  Rievocazione degli studi a Bologna. Evoca gli esordi della sua stessa educazione quando era aBologna: dove aveva avuto un insigne maestro ed aveva appreso l’arte del discutere; poi aveva avuto modo di cimentarsi ulteriormente in relazione ad un dotto teologo e sapiente a Firenze, e al tempo stesso dotto in teologia, agostiniano, e insieme amante dei classici: è Luigi Marsili, che animava un cenacolo presso la chiesa di Santo Spirito, ed è una figura eminente della Firenze trecentesca, che viene anche nominato dal Petrarca. • l’elemento cronologico. Ci viene dato attraverso il Marsili l’elemento cronologico che si diceva all’inizio poiché il Marsili è indicato come morto sette anni prima: dato che era morto nel 1394, allora 7 anni prima ci porta al 1401. • L’insegnamento del Marsili. Il Marsili aveva dimostrato a Coluccio, nei tempi posteriori alla giovinezza, quando valesse la discussione: era un sapiente conoscitore degli studi di teologia, ma anche un conoscitore degli antichi; tanto profondamente legato alla scrittura degli antichi da averle assimilate, anche stilisticamente tanto da riprodurne le movenze. L’esempio che porta il Salutati di Sé e di quanto aveva guadagnato da queste discussioni è dato per mostrare attraverso la propria persona, quanto efficacemente egli ritenga sia proprio della discussione, cioè: il frutto delle sue opere era stato dato secondo il salutati proprio attraverso questa via. Dunque l’esercizio è fondamentale. Su questo punto si intavola tutta la discussione che segue.  Sintesi • Coluccio Salutati, pur sostenendo di ammirare gli amici per la loro apssione per gli studi, criticava il fatto che non si dedicassero, come esercizio non solo opportuno e utile, ma necessario, la disputazione. • Coluccio aveva portato il proprio esempio sia dalle indicazioni che aveva ricevuto dalla scuola di grammatica quando era un giovane studente a bologna, e sia per quello che aveva  ricavato dal rapporto continuo assiduo e importante con il dotto teologo studioso dei classici Luigi Marsili. • Una indicazione del Marsili ci dà l’indicazione del tempo interno del dialogo nel 1401. • Il discorso del Salutati si concludeva con una esortazione ai giovani perché si dedicassero alla disputa e cercassero di dare maggior frutto ai loro studi.  La risposta di Niccolò. Come personaggio antagonista risponde Niccolò Niccoli: fin dalla presentazione che nella dedicatoria aveva fatto al Vergerio il Bruni aveva presentato le due figure di Coluccio e Niccoli proprio in questo senso. In più di un momento pare che Niccoli dia ragione al Salutati riconoscendo l’importanza della disputa che potrebbe giovare molto agli studi, e lodando il Salutati per l’efficacia sul piano dell’eloquenza con cui aveva dimostrato questa tesi; e ricorda a sua volta la figura del Crisolora, chiamato dallo stesso Salutati nel 1396 e da cui questi giovani avevano imparato il greco. Il salutati invece aveva preso i primi rudimenti ma non tanto da essere in grado di fare una traduzione dal greco al latino.  Le colpe della generazione precedente. Pare che Niccoli dia ragione al salutati, ma  non è così: egli giustifica se stesso e i suoi amici dicendo che se non svolgono quella esercitazione non possono essere accusati i ragazzi stessi ma devono essere accusati i tempi: c’è qui una rappresentazione estremamente negativa, che riprende alcuni tratti del Bruni scrittore già ben presenti nelle opere polemiche di Petrarca, e che per alcuni elementi emergono anche nel De Vita Solitaria, un attacco da parte del Niccoli molto duro nei confronti della condizione in cui è ridotta la cultura per colpa delle generazioni precedenti e che dispersero il grande patrimonio della cultura antica. Di fatto come sappiamo la concezione stessa del medioevo nasce polemicamente proprio in contrapposizione con quello che riguarda la volontà da parte degli uomini umanisti in primo luogo di ritornare alle fonti della vera sapienza degli antichi superando la decadenza; è una notazione polemica questa che noi non facciamo nostra, ma che riguarda la cultura del tempo. • Penuria di libri. Il Niccoli spiega che per poter svolgere una disputatio è indispensabile padroneggiare bene  un argomento, e per fare questo bisogna avere una grande mole di conoscenze; Niccoli si domanda come si possa acquisire una tale mole di conoscenze in questi tempi oscuri, con tanta penuria di libri; invita a considerare poi come erano le discipline umanistiche in passato e come sono oggi: parte qui una sorta di rassegna che mostra le radici greche della filosofia, mostra che cosa comportò il passaggio a Roma della filosofia dei greci e mostra come ai tempi moderni è ridotta la filosofia.  Polemica contro gli aristotelici. Qui il Niccoli si lancia, sulla scorta di considerazioni già petrarchesche (non qui enunciate come tali, perché non si fa qui il  nome di Petrarca) contro i filosofi e soprattutto contro gli aristotelici: non contro Aristotele, ma contro gli aristotelici che tutto basano sull’autorità di un solo filosofo, e tutto basano sul cosiddetto ipse dixit, essi d’altra parte fanno questo sulla base di un'unica autorità, e non soltanto mostrano con ciò di non conoscere bene ciò di cui parlano, ma mostrano una grande arroganza: la dimostrazione della loro arroganza e della difficoltà nel padroneggiare gli scritti di Aristotele, trova una base polemicamente anche con riferimento a una polemica che a sua volta contro i retori del suo tempo aveva fatto cicerone. • la corruzione del latino e dei testi. Poi ritorna all’oggi e accusa i filosofi aristotelici di parlare di cose che in realtà non sanno, e come possono saperle? Se questi non solo ignorano il greco , ma ignorano in gran parte anche il latino? E qui è sotto accusa anche il latino «pervertito» del medioevo, che non era quello degli umanisti. Addirittura il Niccoli dice che se tornasse lo stesso Aristotele, non riconoscerebbe neppure più i suoi testi; sottolinea un aspetto importante da un punto di vista filologico, cioè il problema della restituzione critica dei testi aristotelici, il problema cioè di andare a cercare il maggior numero di esemplari dei testi di Aristotele e il tentativo di restituirli alla loro rispettiva lezione, e questo poteva essere fatto a partire dal testo greco. La conoscenza del greco che questo circolo di umanisti possedeva, era in quei tempi appannaggio di quei pochi che avevano beneficiato, sulla scorta del Crisolora.  Altro affondo: gli occamisti. Dopo questo attacco agli aristotelici passa ad attaccare i dialettici: anche questa è una polemica già petrarchesca, con i cosiddetti barbari Britanni, soprattutto dialettici e logici occamisti, seguaci di Occam: secondo le accuse che venivano fatte essi si occupavano di cose da poco, di frivolezze, invece che di occuparsi di cose importanti ed eccellenti. Ciò non vale solo per le due discipline evocate ma dice che potrebbe dirsi lo stesso di tutte le altre arti: Grammatica, retorica e tutte le altre arti. Non mancano gli ingegni, ma mancano i mezzi per imparare in questa condizione del sapere. Non abbiamo né mezzi ne maestri.  L’eccezione del Salutati. A questo punto è chiaro che occorre fare un eccezione, perché sennò nel contesto del discorso ciò avrebbe significato attaccare lo stesso Salutati; allora il Salutati è salvato dal Niccoli ed elogiato e rappresenta l’eccezione che conferma la regola. Perché il Salutati ha  potuto far frutto con i suoi studi? In virtù del suo grande ingegno, quasi divino, che gli ha consentito di fare quel salto di qualità e quindi di essere l’eccezione alla regola.  Ubi sunt. L’ultima parte del Discorso di Niccoli si imposta su quel modello di elegiaco tema dell’Ubi Sunt, dove sono mai?, tanto presente in ambito medievale, ma qui piegato a lamentare la mancanza dei grandi libri dei classici; e fa un elenco di libri di grandi autori che mancano. Il precetto di Pitagora. Aggiunge poi un aspetto legato alla necessità del silenzio cui sono costretti, e fa un riferimento ad un precetto dell’antico filosofi Pitagora: Pitagora aveva invitato i discepoli, prima di parlare, a meditare e restare in silenzio per cinque anni, e se i discepoli di Pitagora, che pure avevano tale maestro e tale possibilità stante la cultura del tempo antico, come potranno questi giovani parlare e mettersi a disputare? Dice il Niccoli:  «noi che non abbiamo  né maestri ne insegnamenti né libri: come possiamo fare questo? Dunque non ti devi arrabbiare con noi se stiamo zitti e non discutiamo, non è colpa nostra ma dei tempi».  Torna la cornice. A questo punto (pag 91) ritorna la cornice. Al discorso diretto viene reintrodotta la cornice con una sorta di segno teatrale: una pausa di silenzio che fa si che ci sia anche uno stacco in relazione alla voce che ora segue; uno degli aspetti efficaci del dialogo è la messa in scienza dei personaggi e quindi la rappresentazione delle loro voci. La cornice interviene diegeticamente introdotta dal narratore-autore, che interrompe il flusso del discorso, segnando appunto una pausa di silenzio.    Disputa intorno a disputare. Interviene Coluccio rilevando la contraddizione, perché il Niccoli che aveva sostenuto di non poter parlare e discutere a causa dei tempi, aveva a sua volta dato unabrillante dimostrazione di essere capace di discutere con le sue stesse parole. Allora Coluccio cerca dichiudere questo discorso dicendo: «lasciamo dunque se credete questa disputa che è intorno al disputare».  Gli altri chiedono il confronto. Ma il discorso non può finire qui e c’è l’intervento di un dialogo a più voci, quindi c’è una variazione nel modo in cui sono introdotte le voci di dialogo ed efficacemente dal punto di vista letterario il dialogo viene ad essere animato. • Rossi. Interviene Roberto De Rossi, che non vuole che la discussione rimanga a metà; • Coluccio. interviene di nuovo Coluccio che dice per teme di aver destato il leone dormiente e chiede il parere degli altri: chiede innanzitutto a Roberto De Rossi se sia d’accordo con lui o con il Niccoli dichiarando che in relazione a Leonardo, cioè colui che è al tempo stesso personaggio e autore del dialogo, non ha dubbi perché ritiene che Leonardo sia d’accordo con Niccolò. • Bruni. Interviene allora con la voce che dice io  lo stesso Bruni che chiede di essere considerato ungiudice: non vuole prendere posizione; fermo restando che c’è una aggiunta, non priva di una certa ambiguità, perché riconosce che la causa è in gioco non meno di quella di Niccolò. • Rossi. Interviene infine Roberto De Rossi che a sua volta dichiara di sospendere il giudizio, e di sospendere il suo parere finché entrambi non espongono la loro opinione. Dunque Coluccio adesso deve fare una confutazione di quello che Niccoli ha detto.  La confutazione di Coluccio. Si apre una ulteriore fase del dialogo nell’ottica di una confutazione fatta da Coluccio in relazione a quello che Niccoli ha detto. In primo luogo fa notare che è facile confutare che dice che a causa dei tempi non si può disputare quando egli stesso lo ha dimostrato egli stesso disputando. C’è anche una schermaglia un poco scherzosa in relazione al Niccoli. Un altro degli aspetti del dialogo è anche l’introdurre battute per alleggerire il senso delle discussioni, così come si introduce all’interno del discorso riferendosi  ad un personaggio che inizia a parlare «sorridendo» ecc, così anche da battute. Viene ad essere interrotto a sua volta il Salutati da Roberto De Rossi con un'altra obiezione: allora se tu elogi il Niccoli che ha mostrato di poter disputare, perché dici che ci si debba esercitare? Se senza esercitarsi il Niccoli c’è riuscito così efficacemente, vuol dire che l’esercizio non è necessario. Risponde con una contro obiezione il Salutati dicendo che l’esercizio è fondamentale per poter ottenere un ulteriore eccellenza: se già ci sono delle buone disposizioni soltanto esercitandosi si può migliorare.  Elogio dell’esercizio. Coluccio si lancia in un elogio dell’esercizio. Questo esercizio e la disputa sono di nuovo ri-definiti, e questa definizione è importante: pag. 95, riga 5:«perciò … io chiamo disputa»:  - insisto su questo poiché il modo in cui è definita la disputa e la discussione delimita i caratteri della discussione stessa, e la distingue rispetto alla quaestio degli scolastici.  Non poi così bui. Il Salutati ammette che la situazione in cui versano le arti liberali non è la migliore possibile. Però in relazione all’atteggiamento assolutamente negativo nel Niccoli tende a minimizzare: sì, un po’ sono decadute, ma non al punto tale che siano nella condizione che diceva il Niccoli. E se è vero che molti libri mancano, è ben vero che altri ce ne sono, e comunque le cose che abbiamo le dobbiamo usare e non le dobbiamo disprezzare. E dunque ribadisce che il Niccoli sbaglia ad attribuire la colpa ai tempi, perché così non riconosce quello che deve imputare a sé stesso; cioè si sottrae di fatto quello che sono le sue responsabilità. Chiarisce anche che il suo intento è quello di porsi in opposizione a lui, e non di attaccarlo violentemente, cioè non è il suo un atteggiamento volutamente polemico in termini distruttivi. La illustre tradizione fiorentina. D’altra parte introduce, ritenendo che questa parte del discorso possa essere compiuta, un ulteriore passo, che poi scatenerà il resto della discussione e la reazione del Niccoli: E dice: pag. 97: «come è possibile che  tu venga a dire che in tempi moderni non ci siano possibilità da parte degli ingegni di fiorire se tu tralasci tre uomini fioriti da questa nostra città e nei nostri tempi. Dante, Petrarca e Boccaccio, che sono levati al cielo da così grande universale consenso.  -  C’è un motivo anche di carattere patriottico. -c’è una specificazione data in relazione a Dante che è significativa per come volgerà poi il seguito del dialogo, poiché sembra essere posta una riserva sul fatto che Dante prescelse il volgare, infatti dice «se Dante avesse usato altro stile (alio genere scribendi) io non mi contenterei di porlo insieme a quei nostri padri, ma a loro e ai greci stessi io lo anteporrei»: cioè da un lato c’è una lode del ruolo di Dante, dall’altro una riserva del modo di scrivere. E dice che quei tre non vanno dimenticati ma ricordati perché sono il vanto e la gloria della città.  Dante. E qui la voce di Niccoli esplode. In realtà il verbo non è messo, c’è un ellissi, ma il traduttore lo sottolinea permettere in evidenza l’esplosione polemica del Niccoli. C’è un vero e proprio grido del Niccoli. (pag. 97) «allora Niccoli insorse … ignorante d’ogni cosa?» - e qui comincia un atto d’accusa. Che parte da Dante, che viene accusato di non capire il latini di Virgilio, citando un passo del XXII del Purgatorio; viene accusato di non aver capito l’età di catone e di averlo invecchiato rispetto a quello che dice Lucano; viene accusato di aver preso Cesare che era un tiranno, averlo lodato, ed aver messo l’uccisore di cesare nella bocca di Lucifero; è accusato anche per la sua cultura basata sulla scolastica, e per il latino di Dante stesso. E dunque che cosa deve essere Dante? A chi deve essere lasciato Dante? A quale pubblico? Pagina 99, in fondo: «per cio … familiare solo a gente simile».  Fiorentini contro Dante. Che a gruppi di classicisti di stretta osservanza fosse rimproverato un atteggiamento simile lo sappiamo da altre fonti: che possono anche essere collegate a questo, ma ci sono anche altre fonti fiorentine che ci trasmettono questo atto d’accusa, mossa a giovani che invece di guardare alle glorie della patria. Le attaccano. L’accusa è ancora più dura perché non riguardava solo un giudizio di carattere letterario che attaccava i numi tutelari della cultura fiorentina e il vanto della cultura fiorentina, ma perché questi stessi giovani erano accusati di disinteresse nei confronti delle sorti della patria. Un po’ di tempo prima della scrittura di questi dialoghi, c’era stato uno scontro violento tra Firenze contro Gian Galeazzo Visconti, e c’era stato un momento in cui pareva che Firenze dovesse soccombere, solo la morte di Gian Galeazzo nel 1402 salva Firenze definitivamente, perché gli ultimi atti di guerra versavano molto negativamente. E si diceva che c’erano questi gruppi di giovani classicisti che si disinteressavano totalmente, che non si occupavano delle sorti della patria; e qui viene fatto un collegamento tra lo spirito civile e le glorie cittadine. Qui il discorso è riportato in termini letterari, ma c’è sotteso dell’altro. Un riverbero di questo si vede alla fine del secondo dialogo.  Petrarca e Boccaccio. Da dante si passa Petrarca, e si attacca ciò che Petrarca aveva propagandato a quattro venti in relazione alla grandezza del suo poema L’Africa in latino, poema non compiuto, e quindi da questa grande aspettativa, dice Niccoli, (noi diremmo “dalla montagna”) è saltato fuori «un topolino». Di fronte alle accuse fatte a Dante e Petrarca, è inutile continuare con Boccaccio, che viene liquidato, poiché se è inferiore ai primi due, è inutile continuare. D’altra parte non soltanto questi sono da giudicare nei termini dati, ma ancor più è da giudicare negativamente la loro singolare arroganza per come si sono dichiarati: letterati, dotti e poeti. La conclusione liquidatoria del Niccoli, a pag 103, è la seguente : «perciò Coluccio mio … non hanno sapere alcuno» : una dichiarazione radicale. A questo punto vediamo come finisce questo primo libro, perché siamo quasi alla fine. Riprende a parlare Coluccio: c’è un distacco nella cornice nell’atteggiamento «sorridendo come sua abitudine»: ora teniamo presente che i personaggi ciceroniani, dei dialoghi ciceroniani, in particolare il De Oratore, quando prendono la parola, nella cornice diegetica sono mostrati mentre a prendono «sorridendo» . Allora realismo nei confronti del Niccoli: «quanto vorrei .. non abbia trovato un avversario», e qui cita gliavversari di Virgilio e Terenzio. Però gli avversari di questi grandi latini del passato erano comunque più sopportabili. Teniamo presente che questa sembra una nota caratteriale del Niccoli, questa figura del Niccoli la troviamo al centro di diversi dialoghi di polemiche e lettere. Ma perché gli avversari erano più sopportabili, perché loro si opponevano ad una sola persona, e invece il Niccoli si oppone a tutti i suoi concittadini. Ma il giorno ormai muore, ed occorre differire la risposta, che necessita molto tempo, data la grandezza dei tre personaggi di cui occorre fare la lode, per compensare il vituperio di Niccolo. Coluccio rimanderà questa difesa. E qui Coluccio chiude circolarmente tornando al tema della discussione. Fine.  La conclusione del primo libro  Necessità di una lode. Il primo libro ci dice che l’attacco del Niccoli viene rifiutato in Toto dal nume tutelare, con le parole del quale si era aperto il dialogo del primo libro, e a causa del quale si erano svolti questi colloqui. [30:57] Viene rimandato, senza un’indicazione che dica a quando, viene detto che sarebbe necessario un discorso non breve e che il tempo lo impedisce. Allora a questo punto, così come è impostato questo libro, ci fa presupporre che ce ne debba esse un altro che comporti l’elogio di questi tre, perché rimane in un tempo di attesa.  Qui però c’è un problema relativo al modo di trasmissione dei manoscritti dei nostri dialoghi in relazione alla fortuna del testo: devo dire che i Dialogi ebbero una notevolissima fortuna, abbiamo un numero rilevante di manoscritti però c’è anche un dato che non possiamo eludere: una parte di manoscritti ci trasmette il primo libro soltanto, quindi sembra di capire che una circolazione di questo primo libro sia stata precedente o autonoma rispetto alla diffusione dell’opera completa, cioè dei due libri. Questo non vuol dire che tra il primo e il secondo  ci sia uno iato di composizione, anche se è una delle testi che sono state avanzate; e non significa soprattutto che il secondo libro sia una aggiunta esterna, successiva o pensata dopo, perché in realtà la conclusione stessa del libro anche se non è determinata, è la conclusione che compare spesso nei dialoghi, anche ciceroniani, quando viene rimandato ad un successivo giorno. Ma qui non è specificato il quando, questo è vero, quindi c’è qualche interrogativo che pone la conclusione di questo primo libro.    Il secondo libro  Il secondo libro si imposta certamente in un rapporto che possiamo definire, considerando l’opera nel suo insieme un rapporto unitario, un rapporto non senza qualche diffrazione: cioè noi ci aspetteremmo qualcosa d’altro, e cioè che fosse Coluccio a riprendere la lode dei tre grandi fiorentini, e soprattutto che si riagganciasse a quello che è stato detto nel primo libro. Invece il modo in cui si riaggancia ha qualche diffrazione.  La cornice  Verso casa De Rossi. Il secondo libro del dialogo dunque si apre il giorno dopo; si ritrovano quelli che si erano uniti il giorno precedente, ma si aggiunge un altro personaggio. Altro interrogativo: questo personaggio è Piero di Ser Mini, definito «giovane sveglio e sommamente facondo». Come ricorda la nota che questo Piero di Ser Mini fu successore del Salutati nella cancelleria di Firenze. Era rappresentato come personaggio familiare e vicino a Coluccio, e insieme alla sua comparsa cambia anche la sede dei personaggi: si ritrovano i personaggi del primo dialogo, tranne Roberto de Rossi, che vanno appunto a casa di Roberto de Rossi; nel primo il De Rossi si era aggiunto, ora i tre si aggiungono a lui. • Oltr’Arno. C’è un passaggio nella dislocazione che non è privo di significato: vanno oltr’Arno, perché Roberto De Rossi abitava al di là dell’Arno, oltre Palazzo Pitti; interessante nella dislocazione perché quando finisce il dialogo ritorneranno dall’altra parte: è come se uscissero dalla città e tornassero in città una volta concluso l’elogio e restituita per certi versi la pienezza della compartecipazione di quella che è l’opinione dominante. Ci sono anche connotazioni che rimandano a luoghi per eccellenza propri di quelli che sono dibattiti di natura filosofica, anche se questo non è propriamente filosofico: si parla del giardino, del portico.  Lode di Firenze. A questo punto non comincia una discussione come avevamo visto essere terminata nel secondo libro, ma il nostro discorso comincia in un altro modo: comincia con una laudatio di Firenze. Bisogna ricordare brevemente due cose che devono essere tenute presenti per capire meglio:  a) L’encomio di Bruni.  il Bruni aveva scritto presumibilmente tra il 1403 e il 1404, una laudatio, unencomio, uno scritto il lode di Firenze; particolarmente interessante in relazione alla tradizione delle lodi alla città perché cambia l’impostazione: si basa sul Panatenaico di Elio Aristide, cioè viene magnificata Firenze sul modello dell’elogio di Atene, e l’elogio viene fatto per tutti gli elementi di Firenze, dall’aspetto fisico e monumentale della città, alle sue istituzioni, alla città come rappresentativa al massimo grado come figlia e erede di Roma, perché i Romani erano stati fondatori di Firenze ai tempi della repubblica romana (secondo l’ipotesi avanzata in quegli ultimi anni), ed era la depositaria e l’erede della libertà repubblicana; quest’operetta era stata importante, e qui l’elogio in alto stile viene fatto proprio da Salutati, che fa l’elogio della città dicendo per esempio quali magnifici palazzi ci sono (e mostra i palazzi appena oltrepassati per andare da Roberto de Rossi) e dice quanto bene ha fatto Leonardo Bruni a lodare Firenze e loda a sua volta, lodando Firenze, quella che il Bruni la fatto della città (esalta la laudatio di Bruni). • l’encomio dell’«encomio». Quindi che cosa ottiene il bruni come autore in questo modo?  Mette lapropria opera come lodata dallo stesso Salutati. Ci sono anche dei nessi con alcune altre opere del Salutati stesso. Questo elogio viene completato dall’intervento di Pietro di Ser Mini e poi di altri e viene a toccare in questo modo, come se fosse un discorso che si svolge naturalmente, viene a toccare proprio il tema in oggetto, e cioè l’elogio delle glorie della città, le glorie letterarie. b) Per capire altri punti facciamo presente che a pagina 107 viene citata un operetta del Salutati, dal Salutati stesso: è un trattato scritto nel 1400 si intitolava De Tyranno; qui il Salutati aveva difeso la legittimità del potere di Cesare, e soprattutto aveva difeso Dante per la posizione assunta nella sua opera. Non è che qui adesso il Salutati faccia una palinodia di quello che aveva scritto, però qui ne dà una interpretazione un tantino diversa; e questa è una ragione che ci fa pensare che il Salutati fosse morto a quell’epoca, perché non avrebbe ma accettato, conoscendo quanto fosse molto fortemente difensore delle proprie idee e posizioni.  Una diffrazione: il parere di De Rossi. Lasciando stare questo aspetto del problema, passiamo a parlare dei vanti di Firenze, e Roberto (al quale erano state ricordate le glorie politiche della propria famiglia in difesa del partito guelfo) diceva che bisognerebbe svolgere le lodi di questi personaggi, perché questi tre poeti non sono davvero «la minor parte della nostra gloria» (pag. 109). Noi però ci dobbiamo domandare quale fosse la posizione di Roberto nel libro precedente: aveva detto di non voler dare giudizi, di aspettare a dare un parere, mentre qui si dichiara finalmente d’accordo. Allora Coluccio risponde, ed anche questo ci stupisce in quanto non dice che tale elogio effettivamente vada fatto, infatti Coluccio dice: «sei nel giusto Roberto, essi sono non solo la minima parte, ma anzi di gran lunga la fonte maggiore della nostra gloria; ma che debbo fare ancora, non aprii ieri a sufficienza il mio sentire su quei tre sommi?» ma in realtà non aveva risposto: aveva solo detto che era contrario al parere del Niccoli, e che per svolgere l’elogio ci voleva molto tempo: quindi c’è una vera e propria diffrazione, seppure lieve in questo. Integrazione della laudatio del Bruni. Teniamo presente che nella laudatio di Firenze il bruni aveva glissato sulle glorie fiorentine sotto questo aspetto: cioè nella laudatio non sono citati Dante, Petrarca e Boccaccio; la laudatio si conclude con il vanto degli egregi fiorentini, ma non ci sono i nomi, è un vanto generale. Questa parte ora, in un certo senso si riaggancia alla laudatio del bruni e la completa: in un certo senso questo secondo libro ha indubbiamente anche questo scopo. Tanto più che il Bruni, quando nelle sue lettere parla di questo testo, lo definisce «i libri dei nuovi poeti», quindi l’aggancio con la laudatio indubbiamente amplifica e porta in una direzione questo discorso.  Niccoli Smascherato. Come si può risolvere il problema a questo punto? Niccoli rimane sulla posizione di prima? No. Vien operata una definizione in chiave retorica della posizione del Niccoli: di fatto Coluccio afferma di aver ben capito il giorno prima che il Niccoli aveva fatto questo in modo artificioso: l’aveva fatto non dicendo quello che pensava lui, ma lo aveva fatto per provocarlo,perché quello che Niccoli voleva era che lui facesse l’elogio, ma Salutati non ci era caduto, ed aveva capito bene quali erano idee di Niccoli, il quale, insieme a Bruni, continua ad insistere che sia lui a fare l’elogio dei tre Grandi: Salutati dice che farà ben questo, ma solo quando lo vorrà lui!  A questo punto c’è una schermaglia, uno scambio di battute con effetto teatrale, fino a quando c’è una sorta di rilancio tra le parti: il Salutati vuole che sia il Bruni a fare l’elogio, mentre Bruni vuole che sia Coluccio, o quanto meno vuole decidere lui chi debba farlo (e questo è un passo di tipo meta letterario, in quanto Bruni è anche scrittore!); alla fine Bruni viene fatto arbitro e decide che sia Niccoli a fare l’elogio: il Niccoli li ha attaccati, il Niccoli ora li difenda. Allora il Niccoli prende la parola e ribalta l’accusa che aveva fatto il giorno prima. Il modello di questo è stato rilevato dagli studiosi nel personaggio di Antonio tra il 1° e il 2° libro del De Oratore. Come Antonio, anche il Niccoli, pur facendo una confutazione di quelle accuse, non si adegua totalmente a quello che pensa il Salutati, così come Antonio, nel 2° libro del De Oratore non diviene totalmente dell’idea dell’altro nume tutelare: c’è una dialettica interna che rimane.  Excusatio. Innanzitutto il Niccoli si lancia in una ampia excusatio, fin troppo ampia: e questo potrebbe fare pensare che il Niccoli storico, una qualche responsabilità in queste accuse ai tre grandi potesse pure averla. Insiste dicendo che gli altri non poteva assolutamente credere che egli attaccasse veramente i tre grandi: è noto a tutti l’amore che ha avuto per l’opera di Dante, per la memoria di Petrarca, per il quale è andato fino a Padova per leggere l’Africa, l’amore per Boccaccio ecc. afferma di essere consapevole di aver fatto quello che diceva Coluccio: ha fatto un vituperio dei tre fiorentini solo per sollecitare Coluccio a fare l’elogio. Dato che a questo punto tocca a lui, è costretto a farlo, con grande soddisfazione di Coluccio che lo obbliga.  Palinodia, ma  non totale. Da pag 113 inizia la palinodia: ciò che rende grandi Dante, Petrarca e Boccaccio, e risponde alle accuse che egli stesso aveva fatto prima. Ma c’è una differenza: il Salutati si pone su questa posizione: il salutati è un innovatore che non rompe con la tradizione, è l’erede del Petrarca a Firenze, e di Boccaccio. Però il Salutati non vuole rompere e contrapporsi nello stesso modo in cui altri avevano fatto con la tradizione precedente; il Niccoli recupera le lodi dei tre, ma alla fine del suo discorso ritorna a quello che aveva detto prima: come il Salutati è un eccezione al tempo contemporaneo, così questi tre grandi fiorentini sono delle eccezioni, perché il loro grandissimo ingegno permise loro di eccellere nonostante la decadenza degli studi e nonostante la situazione del mondo loro contemporaneo. Non è quindi propriamente la posizione del salutati, ne una ritrattazione vera e propria, o una confutazione delle accuse espresse prima.  Petrarca precursore degli umanisti. Ci sono nelle cose dette diverse cose interessanti, una in particolare riguarda il Petrarca e il riconoscimento della sua funzione per l’avvio del rinnovamento negli studi umanistici: riconosce l’importanza di Petrarca come fondatore del movimento umanistico.  Il discorso improvvisato. L’altro aspetto importante per la struttura del dialogo riguarda la dichiarazione del parlare all’improvviso (119) e senza preparazione: questo dopo aver fatto la lode di Dante; la caratteristica peculiare del dialogo è che venga fatto come una conversazione reale: gli argomenti posti in campo, come in una conversazione e senza un ordine sistematico, senza una preparazione preordinata: ciò mette in evidenza il carattere di naturalezza e libertà del discorso, rispetto a quello che sarebbe in termini sistematici e stringenti di una trattazione filosofica. Questo è un discorso, non un dialogo informa di trattato.  Petrarca e Boccaccio latini. Altro aspetto interessante, per la posizione dal punto di vista culturale è che, mentre di  Dante viene esaltata la Commedia, per vari motivi, di Petrarca e Boccaccio viene rilevata soprattutto l’opera latina: di Petrarca in larghissima misura poi, solo poco si dice della produzione in volgare; di Boccaccio il Decàmeron in quanto tale non è citato! Sono citate le opere latine: un solo accenno può far pensare al Decàmeron, ma la centralità è data alla Genealogie. A questo punto, Dopo che Niccoli ha finito il suo discorso, allora viene pronunciata l’assoluzione del Niccoli che viene scagionato da quello che aveva fatto il giorno prima:  gli viene data l’assoluzioneperché nella perorazione della causa aveva difeso le sue ragioni e quindi non è responsabile di nulla. D’altra parte però anche nel modo in cui viene data questa sorta di assoluzione, la formulazione non è priva di tratti di ambiguità: perché quello che si dice riguarda non tanto il discorso del Niccoli, quanto ciò che Niccoli aveva riportato a sé per l’amore che aveva avuto per questi autori; un margine diambiguità dunque rimane.  In definitiva. Delle Eccezioni. La parte finale del dialogo risolve e conclude dicendo che da parte del Niccoli si ritiene abbastanza largamente premiato per tutte le lodi ricevute, e ritorna però ai principi precedenti affermando che è lontano dal credere di sapere qualcosa, e proprio ritorna circolarmente la sua tesi fondamentale (125): «tanto più ciò mi par difficile, tanto più ammiro i fiorentini in quanto nonostante l’avversità dei tempi, per una loro sovrabbondanza di ingegno riuscirono ad essere pari o superiori agli antichi»: delle eccezioni duqnue, illuminanti ma niente altro che delle eccezioni. Il dialogo si conclude con l’intervento di Roberto e il ritorno al di là di ponte vecchio.  Modelli e fonti  La cornice. La cornice di carattere conviviale è la cornice classicamente ben autorizzata, il Simposioed altro, è un’altra delle cornici riusate, non frequentemente, nel dialogo umanistico-rinascimentale. Il fatto che qui sia stato accennato in questa forma è indizio di una attenzione da parte del Bruni verso questa nuova forma di dialogo. Abbiamo visto quali fossero i modelli, e in particolare come modello di dialogo diegetico, cioè narrativo in quanto  introdotto da cornice che continua a ritornare, il De Oratore. D’altra parte anche quando di fatto ci siano anche altri modi e altre forme come quelle miste date da cornice introduttiva e poi l’elemento di carattere mimetico, sulla scorta del Laelius de amicitia o come aveva fatto Petrarca nel Secretum, in relazione al dialogo umanistico, non per il Bruni, rimane un punto nodale di riferimento; specie in alcuni tratti che si riprendono e ricompaiono nei dialoghi quattro-cinquecenteschi: in particolare per il fatto che ci sia una cornice di carattere realistico (cosa che non c’è nel Secretum); una cornice di carattere realistico; coordinate spazio temporali che corrispondono ad aspetti di carattere realistico; e personaggi che appartengono a figure storiche ben individuate. Altro dato che rimane costante e comune è la rappresentazione scenica: c’è una dimensione teatrale largamente riconosciuta, rappresentazione scenica sia in relazione ai personaggi, sia ai personaggi che si alternano nel dialogo: personaggi che vengono a recitare un ruolo, come vedremo ancora di più nel Cortegiano. Abbiamo poi visto la dichiarazione di veridicità: l’autore dice di aver riportato un reale dialogo, e abbiamo visto come si vuole cercare di rendere evidente al lettore, di mimare l’andamento di una libera conversazione: una conversazione non preordinata.  Il dialogo  Diversi usi del dialogo. Il nostro non è un trattato, ma la forma del dialogo è una di quelle privilegiate per il trattato quattro-cinquecentesco. Naturalmente le possibilità insite possono essere diverse: in quanto noi ci possiamo trovare di fronte ad un trattato in forma di dialogo in cui si voglia veicolare unatesi, e si individua una strategia comunicativa dialogica che fa capire quale sia la sua tesi. Ma ci possono essere altre possibilità: ci può essere quella propria del confronto di opinioni, con un dialogo che si compone via via in una ricerca che si completa a vicenda, e d’altra parte ci sono anche dialoghi che rimangono aperti: sono confronti di opinioni che  non sono riconducibili in unità, e quindi la discordia rimane. Il dialogo per sua stessa natura presenta problemi di carattere interpretativo in quanto ha un margine interno di ambiguità, nel senso che ci troviamo di fronte ad enunciazioni di posizioni diverse da parte dei personaggi: dipende molto dalla strategia compositiva, che può indirizzare il lettore, ma ci possono essere delle voci, delle posizioni dei tratti che possono sembrare ambivalenti o volutamente lasciate con prospettive diverse da parte dell’autore, e questo comporta evidentemente dei problemi e difficoltà di interpretazione. Naturalmente ci sono anche dialoghi dove da questo punto di vista viene fatto intendere in maniera chiara ed evidente e viene orientata in maniera che non ci siano dubbi quella che è la prospettiva dell’autore. In questo è un notissimo l’esempio di Galileo, dove le posizioni sono definite in modo chiaro, e la posizione di Simplicio è quella di chi enuncia testi che devono essere confutate. Leonardo Bruno. Leonardo Bruni. Bruni. Keywords: interpretare, implicatura geometrica, Ethica nicomachaea, Grice, Hardie.  “Ad Petrum Paulum Histrum”. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Bruni: implicatura geometrica” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779503526/in/dateposted-public/

 

Grice e Bruno – Atteone – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Filosofo. Grice: “Italians should concentrate on the few Italian philosophical dialogues by Bruno in the vernacular, and leave those in ‘the learned’ for those who cannot deal with the ‘volgare’!” “My favourite has to be the one on Atteone – which Bruno describes as the ‘furor’ of a ‘heroe’ – Atteone il cacciatore – but the one on the Fiume at the Campidoglio is also very good!” --  Giordano Bruno – Grice: “A genius”. La sua filosofia, inquadrabile nel naturalismo rinascimentale d’amare infinitiamente, fonde le più diverse tradizioni filosofiche — materialismo antico, galileismo, neoplatonismo, ermetismo, mnemotecnica -- ma ruota intorno a un'unica idea: l'infinito – “l’immenso” -- inteso come l'universo infinito, effetto di un Dio infinito, in-figurabile, fatto di infiniti mondi, da amare infinitamente. Non esistono molti documenti sulla sua gioventù. È lo stesso filosofo, negli interrogatori cui fu sottoposto durante il processo che segna  gli ultimi anni della sua vita, a dare le informazioni sui suoi primi anni. Io ho nome Giordano Filippo della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato ed allevato in quella città, e più precisamente nella contrada di san Giovanni del Cesco, ai piedi del monte Cicala. Figlio dell'alfiere Giovanni e di Fraulissa Savolina per quanto ho inteso dalli miei. Il Mezzogiorno era allora parte del Regno di Napoli. Fu battezzato col nome di Filippo in onore dell'erede al trono. La sua casa - che non esiste più - era modesta, ma nel suo “De immense” ricorda con commossa simpatia l'ambiente che la circondava, l'amenissimo monte Cicala, le rovine del castello del XII secolo, gli ulivi, in parte gli stessi di oggi, e di fronte, il Vesuvio, che, pensando che oltre quella montagna non vi fosse più nulla nel mondo, esplora ragazzetto. Ne trae l'insegnamento di non basarsi esclusivamente sul giudizio dei sensi, come fa, a suo dire, il grande Aristotele, imparando soprattutto che, al di là di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa d'altro. Impara a leggere e a scrivere da un prete nolano, Giandomenico de Iannello e compì gli studi di grammatica nella scuola di Aloia. Prosegue gli studi superiori a Napoli, che era allora nel cortile del convento di san Domenico, per apprendere lettere, logica e dialettica da Colle e lezioni private di logica da un agostiniano, Vairano.  Il Sarnese, ossia Colle e un aristotelico. Per Colle, solo il concetto conta, nessuna importanza avendo la forma nella quale il concetto e espresso. Scarse le notizie su Vairano, del quale Bruno ebbe sempre ammirazione, tanto da farlo protagonista dei suoi dialoghi cosmologici e da confidare al bibliotecario Cotin che eglio fu «il principale tutore che abbia avuto in filosofia. Per delineare la sua prima formazione, basta aggiungere che, introducendo la spiegazione del nono sigillo nella sua “Explicatio triginta sigillorum”, scrive di essersi dedicato fin da giovanissimo allo studio dell'arte della memoria, influenzato probabilmente dalla lettura del trattato Phoenix seu artificiosa memoria di Tommai. In convento  Interno della chiesa di san Domenico Maggiore a Napoli, dove Bruno seguì il suo noviziato e fu promosso agli ordini sacri A 14 anni, o 15 incirca rinuncia al nome di Filippo, come imposto dalla regola domenicana, assume il nome di Giordano, in onore a Giordano di Sassonia, successore di Domenico, o forse di Giordano Crispo, suo tutore di metafisica, e prende quindi l'abito di frate domenicano dal priore del convento di san Domenico Maggiore a Napoli, Pasca. Fnito l'anno della probatione, e admesso da lui medesimo alla professione», in realtà fu novizio il 15 giugno 1565 e professo il 16 giugno 1566, a diciotto anni. Valutando retrospettivamente, la scelta d'indossare l'abito domenicano può spiegarsi non già per un interesse alla vita religiosa o agli studi teologici – che mai ebbe, come affermò anche al processo - ma per potersi dedicare ai suoi studi prediletti di filosofia con il vantaggio di godere della condizione di privilegiata sicurezza che l'appartenenza a quell'ordine potente certamente gli garanta.  Che egli non fosse entrato fra i domenicani per tutelare l'ortodossia della fede cattolica lo rivelò subito l'episodio – narrato da lui stesso al processo – nel quale nel convento di san Domenico, butta via le immagini dei santi in suo possesso, conservando solo il crocefisso e invitando un novizio che legga la Historia delle sette allegrezze della Madonna a gettar via quel libro, una modesta operetta devozionale, pubblicata a Firenze, perifrasi di versi in latino di Chiaravalle, sostituendolo magari con lo studio della Vita de' santi Padri di Cavalca. Episodio che, pur conosciuto dai superiori, non provoca sanzioni nei suoi confronti, ma che dimostra come fosse del tutto estraneo alle tematiche devozionali contro-riformistiche. Chiesa di San Bartolomeo a Campagna, dove celebra la sua prima messa. E andato a Roma e sia stato presentato a Pio V e al cardinale Rebiba, al quale avrebbe insegnato qualche elemento di quell'arte mnemonica che tanta parte avrà nella sua speculazione filosofica. Fu ordinato suddiacono, diacono, e presbitero, celebrando la sua prima messa nel convento di san Bartolomeo a Campagna, presso Salerno, a quell'epoca appartenente ai Grimaldi, principi di Monaco, e si laurea con una tesi su Aquino e Lombardo. Non bisogna pensare che un convento fosse esclusivamente un'oasi di pace e di meditazione di spiriti eletti. Nei confronti dei frati di san Domenico Maggiore furono emesse diciotto sentenze di condanna per scandali sessuali, furti e perfino omicidi. Non deve pertanto stupire il disprezzo che ostenta sempre nei confronti dei frati, ai quali rimprovera in particolare la mancanza di cultura; e non solo, ma, secondo un'ipotesi di Spampanato comunemente accettata in sede critica, nel protagonista del suo “Candelaio”, Bonifacio, egli assai probabilmente alluse proprio a un suo con-fratello, Bonifacio da Napoli, definito nella lettera dedicatoria alla Signora Morgana B. “candelaio” “in carne ed ossa”, ossia “sodomita”. Tuttavia, la possibilità di formarsi un'ampia cultura non manca certo nel convento di san Domenico Maggiore, famoso per la ricchezza della sua biblioteca, anche se, come negli altri conventi, sono vietati i saggi di Erasmo da Rotterdam che però  si procura in parte, leggendoli di nascosto. La sua esperienza conventuale e in ogni caso decisiva. Vi puo compiere i suoi studi e formare la sua cultura leggendo di tutto, da Aristotele ad Aquino, da Gerolamo a Crisostomo, oltre alle opere di Ficino. La sua indipendenza di pensiero e la sua insofferenza verso l'osservanza dei dogmi si manifestarono inequivocabilmente. Discutendo di arianesimo con Montalcino, ospite nel convento napoletano, sostenne che le opinioni di Ario e meno perniciose di quel che si riteneva, dichiarando che Ario dice che il verbo non era creatore né creatura, ma medio intra il creatore e la creatura, come il verbo è mezzo intra il dicente (DICENS, DICTOR, utterer, mittente) ed il detto (il detto, DICTUM, utteratum, missum) e però essere detto primogenito avanti ogni creatura, non dal quale ma per il quale è stato creato ogni cosa, non al quale ma per il quale si refferisce e ritorna ogni cosa all'ultimo fine, che è il Padre, essagerandomi sopra questo. Per il che fui tolto in suspetto e processato, tra le altre cose, forsi de questo ancora. E all'inquisitore veneziano espresse il proprio scetticismo sulla trinità, ammettendo di aver dubitato circa il nome di “persona” del Figliolo e del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte dal Padre, ma considerando il Figlio, neo-platonicamente, l'intelletto e lo spirito, pitagoricamente, l'amore del padre o l'anima del mondo, non dunque “persone” o sostanze distinte, ma manifestazioni divine. Denunciato da Agostino al padre provincial Vita, costui istituì contro di lui un processo per eresia e, come racconta lui stesso agli inquisitori veneti, dubitando di non esser messo in preggione, me partto da Napoli ed ando a Roma. Raggiunse Roma, ospite del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, il cui procuratore, Lucca, divenne pochi anni dopo generale dell'Ordine e  censura i saggi di Montaigne.  Sono anni di gravi disordini: a Roma sembra non farsi altro, scrive il cronista Gualtieri, che rubare e ammazzare: molti gittati in Tevere, né di popolo solamente, ma i monsignori, i figli di magnati, messi al tormento del fuoco, e nipoti di cardinali sono levati dal mondo e ne incolpa il debole Gregorio XIII. è accusato di aver ammazzato e gettato nel fiume un frate: scrive Cotin, fugge da Roma per un omicidio commesso da un suo frère, per il quale egli è incolpato e in pericolo di vita, sia per le calunnie dei suoi inquisitori che, ignoranti come sono, non concepiscono la sua filosofia e lo accusano di eresia. Oltre all'accusa di omicidio, ha infatti notizia che nel convento napoletano erano stati trovati, tra i suoi saggi, saggi di Crisostomo e di Gerolamo annotate da Erasmo e che si sta istruendo contro di lui un processo per eresia.  Così abbandona l'abito domenicano, riassume il nome di Filippo, lascia Roma e fugge in Liguria. Portico del Palazzo comunale di Noli, dove soggiorna per un breve periodo. Sotto il portico una lapide ricorda il soggiorno del filosofo: "Giordano Bruno Prima d'insegnare all'Europa Le leggi dell'ordine universale fu maestro in Noli di grammatica e cosmografia. è a Genova e scrive che allora, nella chiesa di Santa Maria di Castello, si adora come reliquia e si fac baciare ai fedeli la coda dell'asina che portò Gesù a Gerusalemme. Da qui, va poi a Noli, dove insegna grammatica ai bambini e cosmografia agli adulti.  è a Savona, poi a Torino, che giudica deliciosa città ma, non trovandovi impiego, per via fluviale s'indirizza a Venezia, dove alloggia in una locanda nella contrada di Frezzeria, facendovi stampare il suo primo saggio, “De' segni de' tempi”, per metter insieme un pocco de danari per potermi sustentar; la qual opera feci veder prima al reverendo padre maestro Fiorenza, domenicano del convento dei Santi Giovanni e Paolo.  Ma a Venezia e in corso un'epidemia di peste che ha fatto decine di migliaia di vittime, anche illustri, come Tiziano, così va a Padova dove, dietro consiglio di alcuni domenicani, riprende il saio, quindi se ne va a Brescia, dove si ferma nel convento domenicano. Qui un monaco, profeta, gran teologo e poliglotta, sospettato di stregoneria per essersi messo a profetizzare, viene da lui guarito, ritornando a essere - scrive ironicamente - il solito asino. IDa Bergamo decide di andare in Francia: passa per Milano e Torino, ed entra in Savoia passando l'inverno nel convento domenicano di Chambéry. Successivamente,  è a Ginevra, città dov'è presente una numerosa colonia di italiani riformati. Bruno depone nuovamente il saio e si veste di cappa, cappello e spada, aderisce al calvinismo e trova lavoro come correttore di bozze, grazie all'interessamento del marchese Caracciolo il quale, transfuga dall'Italia  vi aveva fondato la comunità evangelica italiana. S'iscrive allo studio di Ginevra come Filippo Bruno nolano, professore di teologia sacra. Accusa il professore di filosofia Faye di essere un cattivo insegnante e definisce pedagoghi i pastori calvinisti. È probabile che volesse farsi notare, dimostrare l'eccellenza della sua preparazione filosofica e delle sue capacità didattiche per ottenere un incarico d'insegnante, costante ambizione di tutta la sua vita. Anche la sua adesione al calvinismo e mirata a questo scopo. E in realtà indifferente a tutte le confessioni religiose. Nella misura in cui l'adesione a una religione storica non pregiudicasse le sue convinzioni filosofiche e la libertà di professarle, sarebbe stato cattolico in Italia, calvinista in Svizzera, anglicano in Inghilterra e luterano in Germania. Arrestato per diffamazione, viene processato e scomunicato. Costretto a ritrattare. Lscia allora Ginevra e si trasferisce brevemente a Lione per passare a Tolosa, città cattolica, sede di un'importante studio, dove occupa il posto di lettore, insegnandovi, come Grice, il “De anima”, di Aristotele e componendo un trattato di arte della memoria: la Clavis magna, che si rifarebbe all'Ars magna. A Tolosa conosce il filosofo scettico Sanches, che volle dedicargli il suo libro “Quod nihil scitur”, chiamandolo filosofo acutissimo. Ma  non ricambia la stima, se scrisse di lui di considerare stupefacente che questo asino si dia il titolo di dottore. A causa della guerra di religione fra cattolici e ugonotti, lascia Tolosa per Parigi, dove tiene un corso di lezioni sugli attributi di Dio secondo Aquino. E in seguito al successo di queste lezioni, come egli stesso racconta agli inquisitori, acquistai nome tale che il re Enrico terzo mi fece chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria che ho e che professo, e naturale o pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e feci provare a lui medesmo, conosce che non era per arte magica ma per scienzia. E doppo questo fa stampar un libro de memoria, sotto titolo “De umbris idearum”, il qual dedica a Sua Maestà; e con questa occasione si fa lettor straordinario e provvisionato. Appoggiando fattivamente l'operato politico di Enrico III di Valois, a Parigi sarebbe rimasto poco meno di due anni, occupato nella prestigiosa posizione di lecteur royal. È a Parigi che dà alle stampe le sue prime opere pervenuteci. Oltre al “De compendiosa architectura et complemento artis Lullii” vedono la luce il “De umbris idearum” (“Le ombre delle idee”) e l'Ars memoriae ("L'arte della memoria"), seguiti dal “Cantus Circaeus”, “Il canto di Circe”,  e dalla commedia in volgare intitolata “Candelaio” (Il sodomita).  Nella suai intenzioni, il saggio di argomento mnemotecnico, è distinto così in una parte di carattere teorico e in una di carattere pratico. Per lui  l'universo è un corpo unico, organicamente formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette con tutte le altre. Fondamento di quest'ordine sono le idee, principi eterni e immutabili presenti totalmente e simultaneamente nella mente divina, ma queste idee vengono "ombrate" e si separano nell'atto di volerle intendere. Nel cosmo ogni singolo ente è dunque imitazione, immagine -- "ombra" -- della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in sé stessa la struttura dell'universo, la mente umana, che ha in sé non le idee ma le ombre delle idee (Shakespeare, l’ombra dell’ombra), può raggiungere la vera conoscenza, ossia la idea e il nesso che connetta ogni cosa con ogni altre, al di là della molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Si tratta allora di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga la complessità del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il tutto.  Tale mezzo si fonda sull'arte della memoria, il cui compito è di evitare la confusione generata dalla molteplicità delle immagini e di connettere la immagine della cosa con il concetto, rappresentando simbolicamente tutto il reale. Nel pensiero del filosofo, l'arte della memoria opera nel medesimo mondo dell’ombre delle idea, presentandosi come emulatrice della natura. Se dall’idea prende forma la cosa del mondo in quanto la idea contiene l’immagine di ogni cosa, e ai nostri sensi la cosa si manifestano come ombra di quella, allora tramite l'immaginazione stessa e possibile ripercorrere il cammino inverso, risalire cioè dall’ombra alle idea, dall'uomo a Dio: l'arte della memoria non è più un ausilio della retorica, ma un mezzo per ri-creare il mondo (cf. Grice metaphysical routine: creation of concept, recreation of concept, creation of thing). È dunque un processo visionario e non un metodo razionale quello che propone. A similitudine di ogni altra arte, quella della memoria ha bisogno di un sostrato (i subiecta), cioè "spazi" dell'immaginazione atti ad accogliere il simbolo adatti (gl’ “adiecta”) tramite uno strumento opportuno. Con questi presupposti, lcostruisce un “sistema” (cf. Grice, Gentzen), che associa a ogni segno una immagine proprie della mitologia, in modo da rendere possibile la codifica di segno e concetto secondo una particolare successione di immagini. Il segno puo essere visualizzato su un diagramma circolare, o "ruote mnemoniche", che girando e innestandosi l'una dentro l'altra, fornisce un strumento via via più potenti. “Il canto di Circe” è composta da due dialoghi. Protagonista del primo è la maga Circe che risentita dal constatare che l’uomo si comporta come un animale inferiore, opera un incantesimo trasformando l’uomo in bestia, mettendo così in luce la loro autentica natura. Nel secondo dialogo, dando voce a uno dei due protagonisti, Borista, riprende l'arte della memoria mostrando come memorizzare il dialogo precedente. Al testo si fa corrispondere uno scenario che viene via via suddiviso in un maggior numero di spazi e i vari oggetti lì contenuti sono ogni immagine relativa a ogni concetto espresso nello scritto. Il Cantus resta dunque un trattato di mnemotecnica nel quale però il filosofo già lascia intravedere una tematica morale che e ampiamente riprese in opere successive, soprattutto nello “Spaccio de la bestia trionfante” e ne “De gli eroici furori”. Ancora pubblica infine il Candelaio, una commedia in cinque atti in cui alla complessità del linguaggio, un italiano popolaresco che inserisce termini in latino, toscano e napoletano, corrisponde l'eccentricità della trama, fondata su tre storie parallele.  Esterno della chiesa di Santa Maria Assunta dei Pignatelli, in Largo Corpo di Napoli, presso il Seggio del Nilo, dove Bruno ambienta il suo Candelaio. Il nome “Candelaio” deriva dalla statua del dio Nilo. La commedia è ambientata nella Napoli-metropoli del secondo Cinquecento, in posti che il filosofo ben conosce per avervi soggiornato durante il suo noviziato. Il candelaio (sodomita) Bonifacio, pur sposato con la bella Carubina, corteggia la signora Vittoria ricorrendo a pratiche magiche. L’avido alchimista Bartolomeo si ostina a voler trasformare i metalli in oro. Il grammatico Manfurio si esprime in un linguaggio incomprensibile (deutero-Esperanto). In queste tre storie si inserisce quella del pittore Gioan Bernardo, voce di lui stesso che con una corte di servi e malfattori si fa beffe di tutti e conquista Carubina.  In questo classico della letteratura italiana, appare un mondo assurdo, violento e corrotto, rappresentato con amara comicità, dove gli eventi si succedono in una trasformazione continua e vivace. La commedia è una feroce condanna della stupidità, dell'avarizia e della pedanteria.  Interessante nell'opera la descrizione che lui fa di sé stesso. L'autore, si voi lo conoscete, direste ch'ave una fisionomia smarrita: par che sii in contemplazione delle pene dell'inferno, par sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per far come fan gli altri: per il più lo vedrete fastidito e bizzarro, non si contenta di nulla, ritroso come un uomo d'ottant'anni, fantastico com'un cane ch'ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla. Intende venire in Inghilterra il dottor Giordano Bruno, Nolano, professore di filosofia, la cui religione non posso approvare. Dalla lettera dell'ambasciatore inglese a Parigi Cobham a Walsingham. Lascia Parigi e parte per l'Inghilterra dove, a Londra, è ospitato dall'ambasciatore di Francia Castelnau, che gli affianca il letterato Florio in quanto lui non conosce l'inglese, accompagnandolo fino al termine del suo soggiorno inglese. Nelle deposizioni lasciate agli inquisitori veneti egli sorvola sulle motivazioni di questa partenza, riferendosi genericamente ai disordini là in corso per questioni religiose. Sulla partenza da Parigi restano però aperte altre ipotesi: che Bruno fosse partito in missione segreta per conto di Enrico III; che il clima a Parigi si fosse fatto pericoloso a causa dei suoi insegnamenti. Bisogna aggiungere anche il fatto che davanti agli inquisitori veneziani, qualche anno più avanti, esprimer parole di apprezzamento per la regina d'Inghilterra Elisabetta che egli aveva conosciuto andando spesso a corte con l'ambasciatore. -- è a Oxford, e alla St. Mary sostenne con uno di quei professori una disputa pubblica. Tornato a Londra, vi pubblica l'”Ars reminiscendi”, l' “Explicatio triginta sigillorum” e il “Sigillus sigillorum” nel quale insere una lettera indirizzata al vice cancelliere di Oxford, scrivendo che là trovea dispostissimo e prontissimo un uomo col quale saggiare la misura della propria forza. È una richiesta di poter insegnare nella prestigiosa università. La proposta viene accolta. Parte per Oxford. Il “Sigillus sigillorum” e considerato di argomento mnemotecnico. Il sigillus e è una concisa trattazione teorica nella quale il filosofo introduce tematiche decisive nel suo pensiero, quali l'unità dei processi cognitivi; l'amore come legame universale; l'unicità e infinità di una forma universale che si esplica nelle infinite figure della materia, e il furore nel senso di slancio verso il divino, argomenti che saranno di lì a poco sviluppati a fondo nei successivi dialoghi italiani. È presentato inoltre in quest'opera fondamentale un altro dei temi nucleari di sua filosofia: la magia come guida e strumento di conoscenza e azione, argomento che egli amplierà nelle cosiddette opere magiche.  A Oxford tiene alcune lezioni sulle teorie copernicane, ma il suo soggiorno presso quella città dura ben poco. A Oxford non gradirono quelle novità, come testimonia Abbot, che fu presente alle lezioni di Bruno. Quell'omiciattolo italiano intraprese il tentativo, tra moltissime altre cose, di far stare in piedi l'opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in realtà era la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo. Le lezioni furono quindi interrotte, ufficialmente per un'accusa di plagio al “De vita coelitus comparanda” di Ficino. Sono anni questi difficili e amari per il filosofo, come traspare dal tono delle introduzioni alle opere immediatamente successive, i dialoghi londinesi: le polemiche accese e i rifiuti sono vissuti lui come una persecuzione, ingiusti oltraggi, e certo la fama che già lo aveva preceduto da Parigi non lo aiuta. Ritornato a Londra, nonostante il clima avverso, pubblica presso John Charlewood sei saggi fra le più importanti della sua produzione: sei opere filosofiche in forma dialogica, i cosiddetti "dialoghi londinesi", o anche "dialoghi italiani", perché tutti in lingua italiana: “La cena de le ceneri”; “De la causa, principio et uno”; “De l'infinito, universo e mondi”; “Spaccio de la bestia trionfante”; “Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico”; “De gli eroici furori”. “La cena de le ceneri” dedicata a Castelnau, presso il quale era ospite, è divisa in cinque dialoghi, i protagonisti sono quattro e fra questi Teofilo può considerarsi il portavoce dell'autore. Immagina che il nobile sir Fulke Greville, il giorno delle ceneri, inviti a cena Teofilo, lui stesso, Florio, precettore della figlia dell'ambasciatore, un cavaliere e due accademici luterani di Oxford: i dottori Torquato e Nundinio. Rispondendo alle domande degli altri protagonisti, Teofilo racconta gli eventi che hanno portato all'incontro e lo svolgersi della conversazione avvenuta durante la cena, esponendo così le teorie del nolano. Bruno elogia e difende la teoria di Copernico contro gli attacchi dei conservatori e contro chi, come Osiander, che aveva scritto una prefazione denigratoria al De revolutionibus orbium coelestium, considera solo un'ipotesi ingegnosa quella dell'astronomo. Il mondo di Copernico, però, era ancora finito e delimitato dalla sfera delle stelle fisse. Nella Cena, non si limita a sostenere il moto della Terra di seguito alla confutazione della cosmologia tolemaica; egli presenta altresì un universo infinito: senza centro né confini. Afferma Teofilo (portavoce dell'autore) riguardo all'universo che sappiamo certo che essendo effetto e principiato da una causa infinita e principio infinito, deve secondo la capacità sua corporale e modo suo essere infinitamente infinito. Non è possibile giamai di trovar raggione semiprobabile per la quale sia margine di questo universo corporale; e per conseguenza ancora li astri che nel suo spacio si contengono, siino di numero finito; et oltre essere naturalmente determinato cento e mezzo di quello». L'universo, che procede da Dio quale Causa infinita, è infinito a sua volta e contiene mondi innumerabili.  Per Bruno sono principi vani sostenere l'esistenza del firmamento con le sue stelle fisse, la finitezza dell'universo e che in questo esista un centro dove ora dovrebbe trovarsi immobile il Sole come prima vi si immaginava ferma la Terra. Formula esempi che appaiono ad alcuni autori come antesignani del principio di relatività galileiana. Seguendo la Docta ignorantia del cardinale e umanista Cusano, sostiene l'infinità dell'universo in quanto effetto di una causa infinita. -- e ovviamente consapevole che le Scritture sostengono tutt'altro – finitezza dell'universo e centralità della Terra – ma, risponde:  «Se gli dei si fossero degnati di insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e proprii sentimenti. Come occorre distinguere tra dottrine morali e filosofia naturale, così occorre distinguere tra teologi e filosofi: ai primi spettano le questioni morali, ai secondi la ricerca della verità. Dunque Bruno traccia qui un confine abbastanza netto fra opere di filosofia naturale e Sacre scritture. I cinque dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i principi della realtà naturale. Lascia da parte l'aspetto teologico della conoscenza di Dio, del quale, come causa della natura, non possiamo conoscere nulla attraverso il «lume naturale», perché esso «ascende sopra la natura» e si può pertanto aspirare a conoscere Dio solo per fede. Ciò che interessa a Bruno è invece la filosofia e la contemplazione della natura, la conoscenza della realtà naturale nella quale, come già aveva scritto nel De umbris, possiamo soltanto cogliere le «ombre», il divino «per modo di vestigio. La costellazione di Orione Riallacciandosi ad antiche tradizioni di pensiero, Bruno elabora una concezione animistica della materia, nella quale l'anima del mondo viene a identificarsi con la sua forma universale, e la cui prima e principale facoltà è l'intelletto universale. L'intelletto è il «principio formale costitutivo de l'universo e di ciò che in quello si contiene» e la forma non è altro che il principio vitale, l'anima delle cose le quali, proprio perché tutte dotate di anima, non hanno imperfezione.  La materia, d'altro canto, non è in sé stessa indifferenziata, un "nulla", come hanno sostenuto molti filosofi, una bruta potenza, senza atto e senza perfezione, come direbbe Aristotele.  La materia è allora il secondo principio della natura, della quale ogni cosa è formata. Essa è «potenza d'esser fatto, prodotto e creato», aspetto equivalente al principio formale che è potenza attiva, «potenza di fare, di produrre, di creare» e non può esserci l'un principio senza l'altro. Ponendosi quindi in contrasto col dualismo aristotelico, Bruno conclude che principio formale e principio materiale benché distinti non possono essere ritenuti separati, perché «il tutto secondo la sostanza è uno».  Discendono da queste considerazioni due elementi fondamentali della filosofia bruniana: uno, tutta la materia è vita e la vita è nella materia, materia infinita; due, Dio non può essere al di fuori della materia semplicemente perché non esiste un "esterno" della materia: Dio è dentro la materia, dentro di noi. Nel “De l'infinito, universo e mondi” riprende e arricchisce temi già affrontati nei dialoghi precedenti: la necessità di un accordo tra filosofi e teologi, perché «la fede si richiede per l'istituzione di rozzi popoli che denno esser governati»; l'infinità dell'universo e l'esistenza di mondi infiniti; la mancanza di un centro in un universo infinito, che comporta un'ulteriore conseguenza: la scomparsa dell'antico, ipotizzato ordine gerarchico, la «vanissima fantasia» che riteneva che al centro vi fosse il «corpo più denso e crasso» e si ascendesse ai corpi più fini e divini. La concezione aristotelica è difesa ancora da quei dottori (i pedanti) che hanno fede nella «fama de gli autori che gli son stati messi nelle mani», ma i filosofi moderni, che non hanno interesse a dipendere da quello che dicono gli altri e pensano con la loro testa, si sbarazzano di queste anticaglie e con passo più sicuro procedono verso la verità.  Chiaramente un universo eterno, infinitamente esteso, composto di un numero infinito di sistemi solari simili al nostro e sprovvisto di centro sottrae alla Terra, e di conseguenza all'uomo, quel ruolo privilegiato che Terra e uomo hanno nelle religioni giudaico-cristiane all'interno del modello della creazione, creazione che agli occhi del filosofo non ha più senso, perché come già aveva concluso nei due dialoghi precedenti, l'universo è assimilabile a un organismo vivente, dove la vita è insita in una materia infinita che perennemente muta.  Il copernicanesimo, per Bruno, rappresenta la "vera" concezione dell'universo, meglio, l'effettiva descrizione dei moti celesti. Nel Dialogo primo del De l'infinito, universo e mondi, il nolano spiega che l'universo è infinito perché tale è la sua Causa che coincide con Dio. Filoteo, portavoce dell'autore, afferma: «Qual raggione vuole che vogliamo credere che l'agente che può fare un buono infinito lo fa finito? e se lo fa finito, perché doviamo noi credere che possa farlo infinito, essendo in lui il possere et il fare tutto uno? Perché è inmutabile, non ha contingenzia nell'operazione, né nella efficacia, ma da determinata e certa efficacia depende determinato e certo effetto inmutabilmente: onde non può essere altro che quello che è; non può essere tale quale non è; non può posser altro che quel che può; non può voler altro che quel che vuole; e necessariamente non può far altro che quel che fa: atteso che l'aver potenza distinta da l'atto conviene solamente a cose mutabili». Essendo Dio infinitamente potente, dunque, il suo atto esplicativo deve esserlo altrettanto. In Dio coincidono libertà e necessità, volontà e potenza (o capacità); di conseguenza, non è credibile che all'atto della creazione Egli abbia posto un limite a sé stesso.  Bisogna tener presente che Bruno opera una netta distinzione tra l'universo e i mondi. Parlare di un sistema del mondo non vuol dire, nella sua visione del cosmo, parlare di un sistema dell'universo. L'astronomia è legittima e possibile come scienza del mondo che cade nell'ambito della nostra percezione sensibile. Ma, al di là di esso, si estende un universo infinito che contiene quei "grandi animali" che chiamiamo astri, che racchiude una pluralità infinita di mondi. Quell'universo non ha dimensioni né misura, non ha forma né figura. Di esso, che è insieme uniforme e senza forma, che non è né armonico né ordinato, non può in alcun modo darsi un sistema». «Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar della forfantesca poltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante.»  (Spaccio de la bestia trionfante, Fortuna (Sofia): dialogo II, parte II) Opera allegorica, lo Spaccio, costituito da tre dialoghi di argomento morale, si presta a essere interpretato su diversi livelli, tra i quali resta fondamentale quello dell'intento polemico di Bruno contro la Riforma protestante, che agli occhi del nolano rappresenta il punto più basso di un ciclo di decadenza iniziato col cristianesimo. Decadenza non soltanto religiosa, ma anche civile e filosofica: se Bruno aveva concluso nei precedenti dialoghi che la fede è necessaria per il governo dei «rozzi popoli» cercando di delimitare così i rispettivi campi d'azione di filosofia e religione, qui egli riapre quel confine.  Nella visione di Bruno, il legame fra l'uomo e il mondo, mondo naturale e mondo civile, è quello fra l'uomo e un Dio che non sta "nell'alto dei cieli", ma nel mondo, perché la «natura non è altro che dio nelle cose». Il filosofo, colui che cerca la Verità, deve pertanto necessariamente operare là dove sono situate le «ombre» del divino. L'uomo non può fare a meno di interagire con Dio, secondo il linguaggio di una comunicazione che nel mondo naturale vede l'uomo perseguire la Conoscenza, e nel mondo civile l'uomo seguire la Legge. Questo legame è proprio quello che nella storia è stato interrotto, e il mondo tutto è decaduto perché è decaduta la religione trascinando con sé e la legge e la filosofia, «di sorte che non siamo più dèi, non siamo più noi. Nello Spaccio, dunque, etica, ontologia e religione sono strettamente interconnessi. Religione, e questo va evidenziato, che Bruno intende come religione civile e naturale, e il modello cui egli si ispira è quello degli antichi Egizi e Romani, che «non adoravano Giove, come lui fusse la divinità, ma adoravano la divinità come fusse in Giove. Per ristabilire il legame col divino occorre però che «prima togliamo dalle nostre spalli la grieve somma d'errori che ne trattiene.» È lo "spaccio", cioè l'espulsione di ciò che ha deteriorato quel legame: le "bestie trionfanti".  Le bestie trionfanti sono immaginate nelle costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre "spacciarle", cioè cacciarle dal cielo in quanto rappresentanti vizi che è tempo di sostituire con altre virtù: via dunque la Falsità, l'Ipocrisia, la Malizia, la «stolta fede», la Stupidità, la Fierezza, la Fiacchezza, la Viltà, l'Ozio, l'Avarizia, l'Invidia, l'Impostura, l'Adulazione e via elencando. Occorre tornare alla semplicità, alla verità e all'operosità, ribaltando le concezioni morali che si sono ormai imposte nel mondo, secondo le quali le opere e gli affetti eroici sono privi di valore, dove credere senza riflettere è sapienza, dove le imposture umane sono fatte passare per consigli divini, la perversione della legge naturale è considerata pietà religiosa, studiare è follia, l'onore è posto nelle ricchezze, la dignità nell'eleganza, la prudenza nella malizia, l'accortezza nel tradimento, il saper vivere nella finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.  Responsabile di questa crisi è il cristianesimo: già Paolo aveva operato il rovesciamento dei valori naturali e ora Lutero, «macchia del mondo», ha chiuso il ciclo: la ruota della storia, della vicissitudine del mondo, essendo giunta al suo punto più basso, può operare un nuovo e positivo rovesciamento dei valori.  Nella nuova gerarchia di valori il primo posto spetta alla Verità, necessaria guida per non errare. A questa segue la Prudenza, la caratteristica del saggio che, conosciuta la verità, ne trae le conseguenze con un comportamento adeguato. Al terzo posto Bruno inserisce la Sofia, la ricerca della verità; quindi segue la Legge, che disciplina il comportamento civile dell'uomo; infine il Giudizio, inteso come aspetto attuatorio della legge. Bruno fa quindi discendere la Legge dalla Sapienza, in una visione razionalista nel cui centro c'è l'uomo che opera cercando la Verità, in netto contrasto col cristianesimo di Paolo, che vede la legge subordinata alla liberazione dal peccato, e con la Riforma di Lutero, che vede nella "sola fede" il faro dell'uomo. Per Bruno la "gloria di Dio" si rovescia così in «vana gloria» e il patto fra Dio e gli uomini stabilito nel Nuovo Testamento si rivela «madre di tutte le forfanterie». La religione deve tornare a essere "religione civile": legame che favorisca la «communione de gli uomini», la civile conversazione. Altri valori seguono i primi cinque: la Fortezza (la forza dell'animo), la Diligenza, la Filantropia, la Magnanimità, la Semplicità, l'Entusiasmo, lo Studio, l'Operosità, eccetera. E allora vedremo, conclude beffardo Bruno, «quanto siano atti a guadagnarsi un palmo di terra questi che sono cossí effuse e prodighi a donar regni de' cieli».  È questa evidentemente un'etica che richiama i valori tradizionali dell'Umanesimo, cui Bruno non ha mai dato molta importanza; ma questo schema rigido è in realtà la premessa per le indicazioni di comportamento che Bruno prospetta nell'opera di poco successiva, De gli eroici furori.  Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico. «Li nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei, o dei vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di que' medesimi. (Cabala del Cavallo Pegaseo, Saulino: dialogo I) La Cabala del cavallo pegaseo viene pubblicata insieme a l'Asino cillenico in unico testo. Il titolo allude a Pegaso, il cavallo alato della mitologia greca nato dal sangue di Medusa decapitata da Perseo. Al termine delle sue imprese, Pegaso volò nel cielo trasformandosi in costellazione, una delle 48 elencate da Tolomeo nel suo Almagesto: la costellazione di Pegaso. "Cabala" si riferisce a una tradizione mistica originatasi in seno all'ebraismo.   Calcografia raffigurante le stelle della costellazione di Pegaso che delineano la figura del cavallo mitologico Pegaso L'opera, percorsa da una chiara vena comica, può essere letta come un divertissement, opera d'intrattenimento senza pretese; oppure interpretata in chiave allegorica, opera satirica, atto di accusa. Il cavallo nel cielo sarebbe allora un asino idealizzato, figura celeste che rimanda all'asinità umana: all'ignoranza, quella dei cabalisti, ma anche quella dei religiosi in generale. I continui riferimenti ai testi sacri si rivelano ambigui, perché da un lato suggeriscono interpretazioni, dall'altro confondono il lettore. Uno dei filoni interpretativi, legato al lavoro critico svolto da Vincenzo Spampanato, ha individuato nel cristianesimo delle origini e in Paolo di Tarso il bersaglio polemico di Bruno. De gli eroici furori. De gli eroici furori. Nei dieci dialoghi che compongono “De gli eroici furori” a Londra, individua tre specie di passioni umane: quella per la vita speculativa, volta alla conoscenza; quella per la vita pratica e attiva, e quella per la vita oziosa. Le due ultime tendenze rivelano una passione di poco valore, un furore bass. Il desiderio di una vita volta alla contemplazione, cioè alla ricerca della verità, è invece espressione di un furore eroico, con il quale l'anima, rapita sopra l'orizzonte de gli affetti naturali vinta da gli alti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto. Non si giunge a tale effetto con la preghiera, con atteggiamenti devozionali, con aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, ma, al contrario, con il venir al più intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con sé e dentro di sé più ch'egli medesmo esser non si possa, come quello che è anima delle anime, vita delle vite, essenza de le essenze». Una ricerca che assimila a una caccia, non la comune caccia ove il cacciatore ricerca e cattura le prede, ma quella in cui il cacciatore diviene egli stesso preda, come Atteone che nel mito ripreso da lui, avendo visto la bellezza di Diana, si trasforma in cervo ed è fatto preda dei cani, i pensieri de cose divine, che lo divorano facendolo morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de li perturbati sensi, di sorte che tutto vede come uno, non vede più distinzioni e numeri. La conoscenza della natura è lo scopo della scienza e quello più alto della nostra vita stessa, che da questa scelta viene trasformata in un furore eroico assimiliandoci alla perenne e tormentata vicissitudine in cui si esprime il principio che anima tutto l'universo. Il filosofo ci dice che per conoscere veramente l'oggetto della nostra ricerca, Diana ignuda, non dobbiamo essere virtuosi (virtù come medietà tra gli estremi) ma dobbiamo essere pazzi, furiosi, solo così potremmo arrivare a capire l'oggetto del nostro studio (Atteone trasformato in cervo). La ricerca e l'essere fuoriosi, non sono una virtù ma un vizio. Il dialogo è inoltre un prosimetro, come La vita nuova di Dante, un insieme di prosa e di poesia (distici, sonetti e una canzone finale).  Il precedente periodo oxoniense inglese è da considerarsi il più creativo di Bruno, periodo nel quale ha prodotto il maggior numero di opere fino a quando l'ambasciatore Castelnau essendo richiamato in Francia lo induce a imbarcarsi con lui; ma la nave verrà assalita dai pirati, che derubano i passeggeri d'ogni avere.  A Parigi Bruno abita vicino al Collège de Cambrai, e ogni tanto va a prendere in prestito qualche libro nella biblioteca di Saint-Victor, nella collina di Sainte-Geneviève, il cui bibliotecario, il monaco Cotin, ha l'abitudine di annotare giornalmente quanto avveniva nella biblioteca. Entrato in qualche confidenza col filosofo, da lui sappiamo che Bruno stava per pubblicare un'opera, l'Arbor philosophorum, che non ci è pervenuta, e che aveva lasciato l'Italia per «evitare le calunnie degli inquisitori, che sono ignoranti e che, non concependo la sua filosofia, lo accuserebbero di eresia». Il monaco annota tra l'altro che era ammiratore d’Aquino, che disprezzava le sottigliezze degli scolastici, dei sacramenti e anche dell'eucaristia, ignote a Pietro e a  Paolo, i quali non seppero altro che hoc est corpus meum. Dice che i torbidi religiosi sarebbero facilmente tolti di mezzo, se fossero spazzate tali questioni e confida che questa sarà presto la fine della contesa. L'anno successive pubblica, dedicata a Piero Del Bene, abate di Belleville e membro della corte francese, la Figuratio Aristotelici physici auditus, un'esposizione della fisica aristotelica. Conosce il salernitano  Mordente, che due anni prima aveva pubblicato Il Compasso, illustrazione dell'invenzione di un compasso di nuova concezione e, poiché egli non sa il latino, che ha apprezzato la sua invenzione, pubblica i “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione ad perfectam cosmimetriae praxim”, dove elogia l'inventore ma gli rimprovera di non aver compreso tutta la portata della sua invenzione, che dimostrava l'impossibilità di una divisione infinita delle lunghezze. Offeso da questi rilievi, il Mordente protestò violentemente, sicché Bruno finì col replicare con le feroci satire dell'“Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras Deo dialogus” e del “Dialogus qui de somnii interpretatione seu geometrica sylva inscribitur. Fa stampare col nome di Hennequin l'opuscolo antiaristotelico “Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos”, partecipando alla successiva pubblica disputa nel Collège de Cambrai, ribadendo le sue critiche alla filosofia aristotelica. Contro tali critiche si levò un giovane avvocato parigino, Raoul Callier, che replicò con violenza chiamando il filosofo Giordano "Bruto". Sembra che l'intervento del Callier abbia ricevuto l'appoggio di quasi tutti gli intervenuti e che si sia scatenato un putiferio di fronte al quale il filosofo preferì, una volta tanto, allontanarsi, ma le reazioni negative provocate dal suo intervento contro la filosofia aristotelica, allora ancora in grande auge alla Sorbona, unitamente alla crisi politica e religiosa in corso in Francia e alla mancanza di appoggi a corte, lo indussero a lasciare nuovamente il suolo francese.  In Germania  La Piazza del Mercato di Wittenberg Raggiunta in giugno la Germania, Bruno soggiorna brevemente a Magonza e a Wiesbaden, passando poi a Marburg, nella cui Università risulta immatricolato come Theologiae doctor romanensis. Ma non trovando possibilità di insegnamento, probabilmente per le sue posizioni antiaristoteliche, s'immatricola a Wittenberg come Doctor italicus, insegnandovi per due anni, due anni che il filosofo trascorre in tranquilla operosità. “uomo di nessun nome e autorità fra voi, sfuggito ai tumulti di Francia, non appoggiato da alcuna raccomandazione principesca, mi avete ritenuto meritevole di cordialissima accoglienza, mi avete incluso nell'albo della vostra accademia, mi avete accolto in un consesso di uomini tanto nobili e dotti, da sembrare ai miei occhi non una scuola privata o una conventicola esoterica, bensì, come si conviene all'Atene tedesca, una vera università.»  (Dedica del De lampade combinatoria). Pubblica il De lampade combinatoria lulliana, un commento dell'Ars magna e il “De progressu et lampade venatoria logicorum”, commento ai Topica di Aristotele. Altri commenti a opere aristoteliche sono i suoi “Libri physicorum Aristotelis explanati”. Pubblica ancora, a Wittenberg, il “Camoeracensis Acrotismus”, una riedizione di “Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos”.  Un suo corso privato sulla Retorica sarà invece pubblicato col titolo di “Artificium perorandi” (l’arte della conversazione). Anche le “Animadversiones circa lampadem” e la “Lampas triginta statuarum” verranno pubblicate. Nel saggio della Yates si fa cenno al fatto che il Mocenigo aveva riferito all'Inquisizione veneziana l'intenzione di Bruno, durante il suo periodo tedesco, di creare una nuova setta. Mentre altri accusatori (il Mocenigo negherà questa affermazione) sostenevano che egli avrebbe voluto chiamare la nuova setta dei Giordaniti e che essa avrebbe attirato molto i luterani tedeschi. L'autrice inoltre si pone la domanda se in questa setta vi fossero stati dei rapporti con i Rosacroce dato che in Germania emersero all'inizio del XVII secolo presso i circoli luterani. Il nuovo duca Cristiano I, succeduto al padre morto l'11 febbraio 1586, decide di rovesciare l'indirizzo degli insegnamenti universitari che privilegiavano le dottrine del filosofo calvinista Pietro Ramo a svantaggio delle classiche teorie aristoteliche. Dovette essere questa svolta a spingere Bruno a lasciare Wittenberg, non senza la lettura di una “Oratio valedictoria”, un saluto che è un ringraziamento per l'ottima accoglienza della quale era stato gratificato:  «Sebbene fossi di nazione forestiero, esule, fuggiasco, zimbello della fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore, premuto dall'odio della folla, quindi sprezzabile agli stolti e a quegli ignobilissimi che non riconoscono nobiltà se non dove splende l'oro, tinnisce l'argento, e il favore di persone loro simili tripudia e applaude, tuttavia voi, dottissimi, gravissimi e morigeratissimi senatori, non mi disprezzaste, e lo studio mio, non del tutto alieno dallo studio di tutti i dotti della vostra nazione, non lo riprovaste permettendo che fosse violata la libertà filosofica e macchiato il concetto della vostra insigne umanità.»  (citato in Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella). Ne fu ricambiato dall'affetto degli allievi, come Hieronymus Besler e Valtin Havenkenthal, il quale, nel suo saluto, lo chiama «Essere sublime, oggetto di meraviglia per tutti, dinanzi a cui stupisce la natura stessa, superata dall'opera sua, fiore d'Ausonia, Titano della splendida Nola, decoro e delizia dell'uno e l'altro cielo».  A Praga e a Helmstedt I sigilli di Giordano Bruno  Amoris   I sigilli di Giordano Bruno sono delle incisioni realizzate dallo stesso e pubblicate all'interno delle sue opere a partire dal periodo praghese. Esse rappresentano figure geometriche sovrapposte ma anche veri e propri disegni con presunte decorazioni e lettere. A parte il titolo dei sigilli non abbiamo alcuna spiegazione in merito al loro significato o al loro reale utilizzo. Fino a oggi sono state fatte molto congetture dai vari studiosi senza giungere a nessuna conclusione definitiva. Giunge a Praga, in quegli anni sede del Sacro Romano Impero, città dove rimane sei mesi. Qui pubblica, in unico testo, il De lulliano specierum scrutinio e il De lampade combinatoria Raymundi Lullii, dedicato all'ambasciatore spagnolo presso la corte imperiale, don Guillem de Santcliment (il quale vantava Raimondo Lullo fra i suoi antenati), mentre all'imperatore Rodolfo II, mecenate e appassionato di alchimia e astrologia, dedica gli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, che trattano di geometria, e nella dedica rileva come per guarire i mali del mondo sia necessaria la tolleranza, sia in campo strettamente religioso – «È questa la religione che io osservo, sia per una convinzione intima sia per la consuetudine vigente nella mia patria e tra la mia gente: una religione che esclude ogni disputa e non fomenta alcuna controversia» – sia in quello filosofico, campo che deve rimanere libero da autorità precostituite e da tradizioni elevate a prescrizioni normative. Quanto a lui, «alle libere are della filosofia cercai riparo dai flutti fortunosi, desiderando la sola compagnia di coloro che comandano non di chiudere gli occhi, ma di aprirli. A me non piace dissimulare la verità che vedo, né ho timore di professarla apertamente»  Ricompensato con trecento talleri dall'imperatore, in autunno Bruno, che sperava di essere accolto a corte, decide di lasciare Praga e, dopo una breve tappa a Tubinga, giunge a Helmstedt, nella cui Università, chiamata Academia Julia, si registra .  Una targa presso il Planetario di Praga ricorda il passaggio del filosofo in quella città. per la morte del fondatore dell'Accademia, il duca Julius von Braunschweig, vi legge l'Oratio consolatoria, ove presenta sé stesso come forestiero ed esule: «spregiai, abbandonai, perdetti la patria, la casa, la facoltà, gli onori, e ogni altra cosa amabile, appetibile, desiderabile». In Italia «esposto alla gola e alla voracità del lupo romano, qui libero. Lì costretto a culto superstizioso e insanissimo, qui esortato a riti riformati. Lì morto per violenza di tiranni, qui vivo per l'amabilità e la giustizia di un ottimo principe». Le Muse dovrebbero essere libere per diritto naturale eppure «sono invece, in Italia e in Spagna, conculcate dai piedi di vili preti, in Francia patiscono per la guerra civile rischi gravissimi, in Belgio sono sballottate da frequenti marosi, e in alcune regioni tedesche languono infelicemente».  Poche settimane dopo viene scomunicato dal sovrintendente della Chiesa luterana della città, il teologo luterano Heinrich Boethius per motivi non noti: Bruno riesce così a collezionare le scomuniche delle maggiori confessioni europee, cattolica, calvinista e luterana. Presenta ricorso al prorettore dell'Accademia, Daniel Hoffmann, contro quello che egli definisce un abuso – perché «chi ha deciso qualcosa senza ascoltare l'altra parte, anche se lo ha fatto giustamente, non è stato giusto» – e una vendetta privata. Non ricevette però risposta, perché sembra che fosse stato lo stesso Hoffmann a istigare Boethius. Benché scomunicato, poté tuttavia rimanere ancora a Helmstedt, dove aveva ritrovato Valtin Acidalius Havenkenthal e Hieronymus Besler, già suo allievo a Wittenberg, che gli fa da copista e vedrà ancora brevemente in Italia, a Padova. Bruno compone diverse opere sulla magia, tutte pubblicate postume: il “De magia”; le “Theses de magia”, un compendio del trattato precedente, il “De magia mathematica”, che presenta come fonti la Steganographia di Tritemio, il De occulta philosophia di Agrippa e lo pseudo-Alberto Magno; il “De rerum principiis et elementis et causis” e la “Medicina”, nella quale presume di aver trovato forme di applicazione della magia nella natura. "Mago" è un termine che si presta a equivoche interpretazioni, ma che per l'autore, come egli stesso chiarisce sin dall'ìncipit dell'opera, significa innanzitutto sapiente: sapienti come per esempio erano i magi dello zoroastrismo o simili depositari della conoscenza presso altre culture del passato. La magia di cui Bruno si occupa non è pertanto quella associata alla superstizione o alla stregoneria, bensì quella che vuole incrementare il sapere e agire conseguentemente.  L'assunto fondamentale da cui il filosofo parte è l'onnipresenza di un'entità unica, che egli chiama indifferentemente "spirito divino, cosmico" o "anima del mondo" o anche "senso interiore", identificabile come quel principio universale che dà vita, movimento e vicissitudine a ogni cosa o aggregato nell'universo. Il mago deve tenere presente che come da Dio, attraverso gradi intermedi, tale spirito si comunica a ogni cosa "animandola", così è altrettanto possibile tendere a Dio dall'essere animato: questa ascensione dal particolare a Dio, dal multiforme all'Uno è una possibile definizione della "magia". Lo spirito divino, che per la sua unicità e infinità connette ogni cosa a ogni altra, consente parimenti l'azione di un corpo su un altro. Bruno chiama «vincula» i singoli nessi fra le cose: "vincolo", "legatura". La magia altro non è che lo studio di questi legami, di questa infinita trama "multidimensionale" che esiste nell'universo. Nel corso dell'opera Bruno distingue e spiega differenti tipi di legami – legami che possono essere utilizzati positivamente o negativamente, distinguendo così il mago dallo stregone. Esempi di legami sono la fede; i riti; i caratteri; i sigilli; le legature che vengono dai sensi, come la vista o l'udito; quelle che vengono dalla fantasia, eccetera.Alla fine di aprile del 1590 Giordano Bruno lascia Helmstedt e in giugno raggiunge Francoforte in compagnia di Besler, che prosegue verso l'Italia per studiare a Padova. Avrebbe voluto alloggiare dallo stampatore Wechel, come richiese al Senato di Francoforte ma la richiesta è respinta e allora Bruno andò ad abitare nel locale convento dei Carmelitani i quali, per privilegio concesso da Carlo V, non erano soggetti alla giurisdizione secolare.  Vedono la luce tre opere, i cosiddetti poemi francofortesi, culmine della ricerca filosofica di Bruno:  il “De triplici minimo et mensura ad trium speculativarum scientiarum et multarum activarum artium principia libri V”, in cui vi sono delle immagini simili alla tabula recta di Tritemio; “De monade, numero et figura liber consequens quinque”; il “De innumerabilibus, immenso et infigurabili, seu De universo et mundis libri octo”. De minimo. Chi potrà ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il fluire delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene mai alla stessa distanza dall'altro? Da De minimo, in Opere latine, a cura di Carlo Monti, UTET). Nei cinque libri del “De minimo” si distinguono tre tipi di minimo: il minimo fisico, l'atomo, che è alla base della scienza della fisica; il minimo geometrico, il punto, che è alla base della geometria, e il minimo metafisico, o monade, che è alla base della metafisica. Essere minimo significa essere in-divisibile – e dunque Aristotele erra sostenendo la divisibilità all'infinito della materia – perché, se così fosse, non raggiungendo mai la minima quantità di una sostanza, il principio e fondamento di ogni sostanza, non spiegheremmo più la costituzione, mediante aggregazioni di infiniti atomi, di mondi infiniti, in un processo di formazione altrettanto infinito. I composti, infatti, «non rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di essi, per lo scambio vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta continuamente e ovunque in tutte le parti».  La materia, come il filosofo aveva già espresso nei dialoghi italiani, è in perenne mutazione, e ciò che dà vita a questo divenire è uno «spirito ordinatore», l'anima del mondo, una nell'universo infinito. Dunque nel divenire eracliteo dell'universo è situato l'essere parmenideo, uno ed eterno: materia e anima sono inscindibili, l'anima non agisce dall'esterno, poiché non c'è un esterno della materia. Ne viene che nell'atomo, la parte più piccola della materia, anch'esso animato dal medesimo spirito, il minimo e il massimo coincidono: è la coesistenza dei contrari: minimo-massimo; atomo-Dio; finito-infinito. Contrariamente agli atomisti, quali ad esempio Democrito e Leucippo, non ammette l'esistenza del vuoto. Il cosiddetto vuoto non è che un vocabolo col quale si designa il mezzo che circonda i corpi naturali. Gli atomi hanno un termine in questo mezzo, nel senso che essi né si toccano né sono separati. Inoltre distingue fra minimi assoluti e minimi relativi, e così il minimo di un cerchio è un cerchio; il minimo di un quadrato è un quadrato, eccetera. I matematici dunque errano nella loro astrazione, considerando la divisibilità all'infinito degli enti geometrici. Quella che Bruno espone è, usando con terminologia moderna, una discretizzazione non solo della materia, ma anche della geometria, una geometria discreta. Ciò è necessario onde rispettare l'aderenza alla realtà fisica della descrizione geometrica, indagine in ultima analsi non separabile da quella metafisica. Nel De monade Bruno si richiama alle tradizioni pitagoriche attaccando la teoria aristotelica del motore immobile, principio di ogni movimento: le cose si trasformano per la presenza di principi interni, numerici e geometrici.  De immenso Negli otto libri del De immenso il filosofo riprende la propria teoria cosmologica, appoggiando la teoria eliocentrica copernicana ma rifiutando l'esistenza delle sfere cristalline e degli epicicli, ribadendo la concezione dell'infinità e molteplicità dei mondi. Critica l'aristotelismo, negando qualunque differenza tra la materia terrestre e celeste, la circolarità del moto planetario e l'esistenza dell'etere.  Il castello, situato presso Elgg e allora di proprietà di Heinzel von Tägernstein, l’ospita nel suo breve soggiorno nel cantone di Zurigo. Parte per la Svizzera, accogliendo l'invito del nobile Heinzel von Tägernstein e del teologo Egli, entrambi appassionati di alchimia. Così Bruno, per quattro o cinque mesi, ospite di Heinzel, insegna filosofia presso Zurigo: le sue lezioni, raccolte da Raphael Egli con il titolo di Summa terminorum metaphysicorum, saranno pubblicate da costui a Zurigo, e poi, postume, a Marburgo, insieme con la “Praxis descensus seu applicatio entis”, rimasta incompiuta.  La “Summa terminorum metaphysicorum,” Somma dei termini metafisici, rappresenta un'importante testimonianza dell'attività di Bruno insegnante. Si tratta di un compendio di 52 termini fra i più frequenti nell'opera di Aristotele che Bruno spiega riassumendo. Nella “Praxis descensus”, “Prassi del descenso”, il nolano riprende gli stessi termini (con qualche differenza) questa volta esposti secondo la propria visione. Il testo consente così di confrontare puntualmente le differenze fra Aristotele e Bruno. La Praxis è divisa in tre parti, con gli stessi termini esposti secondo la divisione triadica Dio, intelletto, anima del mondo. Purtroppo l'ultima parte manca del tutto e anche la rimanente non è completamente curata. Infatti ritorna a Francoforte per pubblicarvi ancora il De imaginum, signorum et idearum compositione, dedicato a Hans Heinzel. Ed è questa l'ultima opera la cui pubblicazione fu curata da Bruno stesso. È probabile che il filosofo avesse intenzione di tornare a Zurigo, e ciò spiegherebbe anche perché Egli abbia atteso prima di pubblicare quella parte della Praxis che aveva trascritto, ma in ogni caso nella città tedesca gli eventi evolveranno ben diversamente. Francoforte e sede di un'importante fiera del libro, alla quale partecipavano i librai di tutta Europa. Era stato così che due editori, il senese Ciotti e il fiammingo Giacomo Brittano, entrambi attivi a Venezia, avevano conosciuto Bruno almeno stando alla successive dichiarazioni di Ciotti stesso al Tribunale dell'Inquisizione di Venezia. Il patrizio veneto Mocenigo, che conosce Ciotti e ha comprato nella sua libreria il “De minimo” del filosofo nolano, affida al libraio una sua lettera nella quale invitava Bruno a Venezia affinché gli insegnasse li secreti della memoria e li altri che egli professa, come si vede in questo suo libro. Appare quantomeno strano il fatto che, dopo anni di peregrinazioni in Europa decidesse di tornare in Italia sapendo quanto il rischio di finire sotto le mani dell'inquisizione fosse concreto. Probabilmente non si considera “anti-cattolico” ma semmai una sorta di riformatore che spera di avere concrete possibilità di incidere sulla Chiesa. Oppure il senso di pienezza di sé o della sua "missione" da compiere altera la reale percezione del pericolo a cui poteva andare incontro. Inoltre, il clima politico, ossia l'ascesa vittoriosa di Enrico di Navarra sulla Lega cattolica sembra costituire una valida speranza per l'attuazione delle sue idee in ambito cattolico. Bruno e a Venezia. Che egli sia tornato in Italia spinto dall'offerta di Mocenigo non è affatto sicuro, tant'è che passeranno diversi mesi prima che accetta l'ospitalità del patrizio. Non era certo un uomo a cui mancavano i mezzi, anzi, egli era considerato omo universale, pieno di ingegno e ancora nel pieno del suo momento creativo. A Venezia si trattenne solo pochi giorni per poi recarsi a Padova e incontrare Besler, il suo copista di Helmstedt. Qui tenne per qualche mese lezioni agli studenti che frequentano quello studio e spera invano di ottenervi la cattedra di matematica, uno dei possibili motivi per cui Bruno torna in Italia. Compone le “Praelectiones geometricae”, l'”Ars deformationum”, il “De vinculis in genere”, e il “De sigillis Hermetis et Ptolomaei et aliorum”. Con il ritorno di Besler in Germania per motivi familiari, torna a Venezia e si stabilì in casa del patrizio veneziano, che era interessato alle arti della memoria e alle discipline magiche. Informa il Mocenigo di voler tornare a Francoforte per stampare delle sue opere. Questi pensa che cercas un pretesto per abbandonare le lezioni. Il giorno dopo lo fece sequestrare in casa dai suoi servitori. Il giorno successivo Mocenigo presenta all'Inquisizione una denuncia scritta, accusandolo di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere nell'eternità del mondo e nell'esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quel giorno stesso, e arrestato e tratto nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in san Domenico a Castello. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (“Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla. Giordano Bruno rivolto ai giudici dell'Inquisizione. Il processo di Giordano Bruno, basso-rilievo del basamento della statua in Campo de' Fiori da Ferrari. Naturalmente sa che la sua vita è in gioco e si difende abilmente dalle accuse dell'inquisizione veneziana. Nega quanto può, tace, e mente anche, su alcuni punti delicati della sua dottrina, confidando che gli inquisitori non possano essere a conoscenza di tutto quanto egli abbia fatto e scritto, e giustifica le differenze fra le concezioni da lui espresse e i dogmi cattolici con il fatto che un filosofo, ragionando secondo il lume naturale, può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere considerato un eretico. A ogni buon conto, dopo aver chiesto perdono per gli errori commessi, si dichiara disposto a ritrattare quanto si trovi in contrasto con la dottrina della Chiesa.  L'Inquisizione romana chiede però la sua estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano. E rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa Inquisizione, confermano le accuse e ne aggiungono di nuove. E forse torturato, secondo la decisione della Congregazione, stando all'ipotesi avanzata da Luigi Firpo e Michele Ciliberto, una circostanza negata invece dallo storico Andrea Del Col. Non rinnega i fondamenti della sua filosofia. Ribada l'infinità dell'universo, la molteplicità dei mondi, il moto della terra e la non generazione delle sostanze. Queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s'aggionge mai, o mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione, e congiuntione, o compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell'altro. A questo proposito spiega che il modo e la causa del moto della terra e della immobilità del firmamento sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità e non pregiudicano all'autorità della divina scrittura. All'obiezione dell'inquisitore, che gli contesta che nella Bibbia è scritto -- terra stat in aeternum -- e il sole nasce e tramonta, risponde che vediamo il sole nascere e tramontare perché la terra se gira circa il proprio centro. Alla contestazione che la sua posizione contrasta con l'autorità dei Santi Padri, risponde che quelli sono meno de' filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura. Il filosofo sostiene che la terra è dotata di un'anima, che le stelle hanno natura angelica, che l'anima non è forma del corpo, e come unica concessione, è disposto ad ammettere l'immortalità dell'anima umana.  Roma, Piazza di Campo de' Fiori. E invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla congregazione dei cardinali inquisitori, tra i quali Bellarmino. Una successiva applicazione della tortura, proposta dai consultori della congregazione fu invece respinta da Clemente VIII. Nell'interrogatorio si dice ancora pronto all'abiura, ma icambia idea e infine, dopo che il tribunale ha ricevuto una denuncia che accusa Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo “Spaccio della bestia trionfante” direttamente contro il papa, rifiuta recisamente ogni abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire. Al cospetto dei cardinali inquisitori e dei consultori Mandina, Pietrasanta e Millini, è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare. Terminata la lettura della sentenza, secondo la testimonianza di choppe, si alza e ai giudici indirizza la storica frase. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam. Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, con la lingua in giova – serrata da una mordacchia perché non possa parlare, viene condotto in campo de’ fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri sono gettate nel Tevere. Volse il viso pieno di disprezzo quando ormai morente, venne posta innanzi l'immagine di Cristo crocefisso. Così muore bruciato miseramente, credo per annunciare negli altri mondi che si è immaginato in che modo i romani sono soliti trattare gli empi e i blasfemi. Ecco qui, caro Rittershausen, il modo in cui procediamo contro gli uomini, o meglio contro i mostri di tal specie. Il suo dio è da un lato trascendente, in quanto supera ineffabilmente la natura, ma nello stesso tempo è immanente, in quanto anima del mondo: in questo senso, Dio e Natura sono un'unica realtà da amare alla follia, in un'inscindibile unità panenteistica di pensiero e materia, in cui dall'infinità di Dio si evince l'infinità del cosmo, e quindi la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'etica degli "eroici furori". Questi ipostatizza un Dio-Natura sotto le spoglie dell'Infinito, essendo l'infinitezza la caratteristica fondamentale del divino. Egli fa dire nel dialogo De l'infinito, universo e mondi a Filoteo. Io dico Dio tutto Infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno e infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esse chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello»  (Giordano Bruno, De infinito, universo e mondi) Per queste argomentazioni e per le sue convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e sul Cristianesimo, già scomunicato, fu incarcerato, giudicato eretico e quindi condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa cattolica. Fu arso vivo a piazza Campo de' Fiori il 17 febbraio 1600, durante il pontificato di Clemente VIII.  Ma la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all'abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero Bruno è quindi ritenuto un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverse. Per la sua morte, è considerato un martire del libero pensiero. A distanza di 400 anni,Giovanni Paolo II, tramite una lettera del segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano inviata a un convegno che si svolse a Napoli, espresse profondo rammarico per la morte atroce di Giordano Bruno, pur non riabilitandone la dottrina: anche se la morte di Giordano Bruno "costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico", tuttavia "questo triste episodio della storia cristiana moderna" non consente la riabilitazione dell'opera del filosofo nolano arso vivo come eretico, perché "il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana". D'altronde anche nel saggio della Yates viene ribadito più volte la completa adesione di Bruno alla "religione degli egizi" scaturita dal suo sapere ermetico nonché afferma che "la religione egiziana ermetica è l'unica religione vera". La ricezione della filosofia di Bruno  Il Dizionario di Pierre Bayle  Ritratto di Caspar Schoppe, opera di Peter Paul Rubens Malgrado la messa all'Indice dei libri di Bruno decretata, questi continuarono a essere presenti nelle biblioteche europee, anche se rimasero equivoci e incomprensioni sulle posizioni del filosofo nolano, così come volute mistificazioni sulla sua figura. Già il cattolico Kaspar Schoppe, ex luterano che assistette alla pronuncia della sentenza e al rogo di Bruno, pur non condividendo «l'opinione volgare secondo la quale codesto Bruno fu bruciato perché luterano» finisce con l'affermare che «Lutero ha insegnato non solo le stesse cose di Bruno, ma altre ancora più assurde e terribili», mentre il frate minimo Marin Mersenne individuò nella cosmologia bruniana la negazione della libertà di Dio, oltre che del libero arbitrio umano.  Mentre gli astronomi Brahe e Keplero criticarono l'ipotesi dell'infinità dell'universo, non presa in considerazione nemmeno da Galileo, il libertino Gabriel Naudé, nella sua Apologie pour tous les grands personnages qui ont testé faussement soupçonnez de magie esalta in Bruno il libero ricercatore delle leggi della natura. Bayle, nel suo Dizionario, arrivò a dubitare della morte per rogo di Bruno e vide in lui il precursore di Spinoza e di tutti i moderni panteisti, un monista ateo per il quale unica realtà è la natura. Gli rispose il teologo deista John Toland, che conosceva lo Spaccio della bestia trionfante e lodava in Bruno la serietà scientifica e il coraggio dimostrato nell'aver eliminato dalla speculazione filosofica ogni riferimento alle religioni positive; segnala lo Spaccio a Leibniz - che tuttavia considera Bruno un mediocre filosofo - e al de La Croze, convinto dell'ateismo di Bruno. Con quest'ultimo concorda il Budde, mentre Christoph August Heumann ritorna erroneamente a ipotizzare un protestantesimo di Bruno.  Con l'Illuminismo, l'interesse e la notorietà di Bruno aumenta. Weidler conosce il De immenso e lo Spaccio, mentre Jean Sylvain Bailly lo definisce «ardito e inquieto, amante delle novità e schernitore delle tradizioni», ma gli rimprovera la sua irreligiosità. In Italiaè molto apprezzato da Barbieri, autore di una Storia dei matematici e filosofi del Regno di Napoli, dove afferma che scrisse molte cose sublimi nella Metafisica, e molte vere nella Fisica e nell'Astronomia e ne fa un precursore della teoria dell'armonia prestabilita di Leibniz e di tanta parte delle teorie di Cartesio. Il sistema dei vortici di Cartesio, o quei globuli giranti intorno i loro centri nell'aere, e tutto il sistema fisico è suo. Il principio di dubitazione saviamente da Cartesio introdotto nella filosofia a Bruno si deve, e molte altre cose nella filosofia di Cartesio sono di lui.  Questa tesi è negata da Niceron, per il quale il razionalista Cartesio nulla può aver preso da lui, irreligioso e ateo come Spinoza, che ha identificato Dio con la natura, è rimasto legato alla filosofia del Rinascimento credendo ancora nella magia e, per quanto ingegnoso, è spesso contorto e oscuro. Brucker concorda con l'incompatibilità di Cartesio con lui, che considera un filosofo molto complesso, posto tra il monismo spinoziano e il neo-pitagorismo, la cui concezione dell'universo consisterebbe nella sua creazione per emanazione da un'unica fonte infinita, dalla quale la natura creata non cesserebbe di dipendere.  Fu Diderot a scrivere per l'Enciclopedia la voce su Bruno, da lui considerato precursore di Leibniz - nell'armonia prestabilita, nella teoria della monade, nella ragione sufficiente - e di Spinoza, il quale, come lui, concepisce Dio come essenza infinita nella quale libertà e necessità coincidono: rispetto a lui pochi sarebbero i filosofi paragonabili, se l'impeto della sua immaginazione gli avesse permesso di ordinare le proprie idee, unendole in un ordine sistematico, ma era nato poeta. Per Diderot, Bruno, che si è sbarazzato della vecchia filosofia aristotelica, è con Leibniz e Spinoza il fondatore della filosofia moderna. Jacobi pubblica per la prima volta ampi estratti del “De la causa, principio et uno” di «questo oscuro filosofo», che sa però dare un disegno netto e bello del panteismo. Lo spiritualista non condivide certo il panteismo ateo di lui e Spinoza, di cui ritiene inevitabili le contraddizioni, ma non manca di riconoscerne la grande importanza nella storia della filosofia. Da Jacobi Schelling trae spunto per il suo dialogo su lui, al quale riconosce di aver colto quello che per lui è il fondamento della filosofia: l'unità del Tutto, l'assoluto hegeliano, nel quale successivamente si conoscono le singole cose finite. Hegel lo conosce e nelle sue “Lezioni” presenta la sua filosofia come l'attività dello spirito che assume dis-ordinatamente» tutte le forme, realizzandosi nella natura infinita. È un gran punto, per cominciare, quello di pensare l'unità. L’altro punto fu cercare di comprendere l'universo nel suo svolgimento, nel sistema delle sue determinazioni, mostrando come l'esteriorità sia segno delle idee. In Italia, è l'hegeliano Spaventa a vedere in lui il precursore di Spinoza, anche se il filosofo nolano oscilla nello stabilire un chiaro rapporto fra la natura e Dio, che appare ora identificarsi con la natura e ora mantenersi come principio sovra-mondano, osservazioni riprese da Fiorentino, mentre Tocco mostra come egli, pur dissolvendo dio nella natura, non rinuncia a una valutazione positiva della religione, concepita come utile educatrice dei popoli. Nel primo decennio del Novecento si completa l'edizione di tutte le opere e si accelerano gli studi biografici su lui, con particolare riguardo al processo. Per Gentile, altre a essere un martire della libertà di pensiero, ha il grande merito di dare un'impronta strettamente razionale alla sua filosofia, trascurando misticismi medievaleggianti e suggestioni magiche. Opinione, quest'ultima, discutibile, come recentemente ha inteso mettere in luce la studiosa inglese Frances Yates, presentando Bruno nelle vesti di un autentico ermetico.  Mentre Badaloni ha rilevato come l'ostracismo decretato contro lui abbia contribuito a emarginare l'Italia dalle innovative correnti della grande filosofia del Seicento europeo, fra i maggiori e più assidui contributi nella definizione della filosofia bruniana si contano attualmente quelli portati da Aquilecchia e Ciliberto. Monumento a Giordano Bruno.  Medaglia con monumento a Giordano Bruno in Campo de' Fiori a Roma, incisione di Broggi. La medaglia, di 60 mm, fu donata a personaggi illustri e comitati vari. Insieme a questa fu coniata un'altra medaglia di 64 mm in bronzo, abbastanza simile, a scopo commerciale Gli sono stati dedicati il cratere lunare Bruno e due asteroidi della fascia principale: Giordano e Cenaceneri. IRapisardi gli dedicò un'epigrafe. All'ipocrisia volpeggiante fra la scuola e la sagrestia, ai conciliatori della scienza col sillabo, all'imbestiato borghesume, che tutto falsando e trafficando, d'ogni sacrificio eroico beatamente sogghigna, le coscienze, cui sorride ancora la fede nel trionfo di tutte le umane libertà, lanciano oggi ad una voce dalle università italiane una sfida solenne a gloria della tua virtù, a vendetta del tuo martirio o Giordano Bruno. Numerose scuole sono state intitolate a Bruno in tutta Italia, in particolare licei classici: ad esempio ad Arzano, Albenga, Roma, Torino, Mestre, Budrio e Melzo, mentre a Maddaloni gli sono stati intitolati il Convitto nazionale e il liceo classico cittadino. In Italia sono numerosi i monumenti intitolati a Bruno, sono presenti: un monumento in una piazza a Nola, un busto a Montella, un bassorilievo a Monsampolo del Tronto e un'epigrafe a Teora. Nel Campo de' Fiori di Roma è presente il più importante monumento a Bruno, eretto esattamente nel luogo in cui il filosofo fu condannato al rogo. La figura e il ruolo del mago che Shakespeare presenta con Prospero, ne La tempesta, fosse influenzata dalla formulazione del ruolo del mago attuata da Bruno. Sempre in Shakespeare, è ormai dai più accettata l'identificazione del personaggio di “Berowne” (Browne, Bruno), in “Pene d'amor perdute” con il filosofo italiano, considerando il parzialmente documentato e più che plausibile incontro tra i due durante il suo soggiorno inglese.Un riferimento molto più esplicito si trova in The Tragical History of Doctor Faustus, Marlowe. Il personaggio “Bruno”, l'antipapa, riassume molte caratteristiche della vicenda del filosofo:  «I cardinali dormienti si affannano / a punire Bruno, che invece è lontano. Vola. / Il suo superbo corsiero, vivo come il pensiero, / Già passa le Alpi.»  (Christopher Marlowe, La triste storia del dottor Faust; citato in Jean Rocchi, Giordano Bruno davanti all'inquisizione, Stampa Alternativa) La stessa vicenda del Faust marlowiano richiama alla mente la figura del "furioso" bruniano in De gli eroici furori. Cinema  Interpretato da Volonté. Protagonista nel film di Montaldo Giordano Bruno nel quale è stato interpretato da Volonté. Compare anche nel film Galileo di Cavani. Negli anni novanta Rai Uno produce un film documentario curato da Porta su Giordano Bruno. Interpretato da Vita. Nel film Caravaggio con Alessio Boni c'è una scena in cui è mostrato il rogo di Bruno. Contrariamente alle fonti che parlano di Bruno con la lingua in giova, il filosofo appare legato al palo mentre poco prima delle fiamme incita la gente a non lasciarsi irretire dai falsi maestri. “Candelaio” è al centro della fiction Il tredicesimo apostolo - Il prescelto trasmessa su Canale 5. Il rapper Caparezza ha dedicato a lui una mini-storia nel brano "Sono il tuo sogno eretico", presente in Il sogno eretico: «Infine mi chiamo come il fiume che battezzò colui nel cui nome fui posto in posti bui,/ mica arredati col feng shui. Nella cella reietto perché tra fede e intelletto ho scelto il suddetto, Dio mi ha dato un cervello, se non lo usassi gli mancherei di rispetto. E tutto crolla come in borsa, la favella nella morsa, la mia pelle è bella arsa. Il processo? Bella farsa! Adesso mi tocca tappare la bocca nel disincanto lì fuori, lasciatemi in vita invece di farmi una statua in Campo de' Fiori/Mi bruci per ciò che predico è una fine che non mi merito, mandi in cenere la verità perché sono il tuo sogno eretico.»  (Caparezza, Sono il tuo sogno eretico). La metal band californiana Avenged Sevenfold lui ha dedicato il brano intitolato Roman Sky presente nel nuovo album The Stage. L'album tratta infatti temi quali l'intelligenza artificiale e l'universo. Sono dedicati al filosofo anche il brano Anima Mundi di Massimiliano Larocca e l'album Numen Lumen del gruppo neofolk Hautville, che ha nelle liriche brani diBruno. Altre opere: “De compendiosa architectura et complemento artis Lullii”; “De umbris idearum”; “Ars memoriae”; “Cantus Circaeus”; “Candelaio”; “Ars reminiscendi, Triginta sigilli, Triginta sigillorum explicatio, Sigillus sigillorum”; “Cena de le Ceneri”; “De la causa, principio et uno”; “De l'infinito, universo e mondi” “Spaccio della bestia trionfante”; “Il cavallo pegaseo”; “De gli eroici furori”; “Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos” – “contro i peripatetici” --  “Figuratio Aristotelici physici auditus”; “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione”; “Idiota triumphans”; “De somnii interpretation”; “Mordentius”; “De Mordentii circino”; “Animadversiones circa lampadem” “animadversions in lampadem”; “Lampas triginta statuarum” – trenta statue --  (Napoli); “Artificium perorandi”; “De lampade combinatoria”; “De progressu”; “De lampade venatoria logicorum”; “Libri physicorum Aristotelis explanati, Napoli); “Camoeracensis Acrotismus seu rationes articulorum physicorum adversus peripateticos”; “Oratio valedictoria”; “De specierum scrutinio” De lampade combinatoria”; “Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis philosophos”; “Oratio consolatoria”; “De magia (Firenze); “De magia mathematica (Firenze); “De rerum principiis et elementis et causis” (Firenze); “Medicina” (Firenze); “Theses de magia” (Firenze); “De innumerabilibus, immenso et in-figurabili”; “De triplici minimo et mensura”; “De monade, numero et figura”; “De imaginum, signorum et idearum compositione” (sintassi); “De vinculis in genere” (Firenze); “Summa terminorum metaphysicorum”; “Accessit eiusdem Praxis descensus seu applicatio entis”. Bruno nota che quantunque Averroè fosse arabo e perciò «ignorante di lingua greca, nella dottrina peripatetica però intese più che qualsivoglia greco che abbiamo letto; e arebbe più inteso, se non fusse stato così additto al suo nume Aristotele. Sia dai due volti. Io ho lodato molti eretici ed anco principi eretici; ma non li ho lodati come eretici, ma solamente per le virtù morali che loro avevano; né li ho mai lodati come religiosi e pii, né usato simil sorte di voce di religione. Ed in particulare nel mio libro Della causa, principio ed uno io lodo la Regina de Inghilterra e la nomino diva, non per attributo di religione, ma per un certo epiteto che li antichi ancora solevano dare a principi, ed in Inghilterra, dove allora io mi ritrovava e composi quel libro, se suole dar questo titolo de diva alla Regina; e tanto più me indussi a nominarla cusì, perché ella me conosceva, andando io continuamente con l'Ambasciator in corte. E conosco di aver errato in lodare questa donna, essendo eretica, e massime attribuendoli la voce de diva. Degno di nota è che Bruno pubblica tutti e sei questi saggi indicando luoghi di stampa non corrispondenti: Venezia. Che Dio sia nella materia non implica che possa essere conosciuto. Dio è immanente da un punto di vista ontologico, mentre è trascendente sul piano gnoseologico. In questo universo metto una providenzia universal, in virtù della quale ogni cosa vive, vegeta e si move e sta nella sua perfezione; e la intendo in due maniere, l'una nel modo con cui è presente l'anima nel corpo, tutta in tutto e tutta in qual si voglia parte, e questo chiamo natura, ombra e vestigio della divinità; l'altra nel modo ineffabile col quale Iddio per essenzia, presenzia e potenzia è in tutto e sopra tutto, non come parte, non come anima, ma in modo inesplicabile. Spaventa fu convinto assertore del ruolo fondamentale della filosofia italiana nel panorama della filosofia moderna, e in particolare di Bruno e Campanella.  L'asinità. La fortuna di Bruno. Bruno in Shakespeare e nella cultura inglese. “Il Bruno di Gentile”. L'Asino Cillenico. Clavis Magna.  “Clavis Magna, ovvero, Il Sigillo dei Sigilli. De signorum compositione.  Explicatio. Sigillorum. Sigilli, Sigillus Sigillorum. Clavis Magna, ovvero, L'arte di inventare. De Compendiosa Architectura et Complemento Artis. “L'Arte di Comunicare” Artificium Perorandi”.  “Clavis Magna, ovvero, La logica per immagini”. Il Bruno degli italiani. ‘Bruno’ regia di di Montaldo. Dizionario biografico degli italiani. CESAR calendaire romaine. Centro di Studi Bruniani. Refs.: Luigi Speranza, Bruniana. Filippo Bruno. Giordano Bruno. Keywords: paganesimo ario, anti-catolecismo, anti-papismo, filosofia come anti-religione, ragione, non fede, contra la fede, fede irrazionale – irrazionalismo della religione, irrazionalismo, ario, ariano, tradizione aria, religione pagana, filosofia e religione nella Roma antica – irrazionalismo della religione antica romana – carattere metaforico della religione pagana della Roma antica, ermetismo, composizione dei signi, de signorum compositione, compositio signorum, asino,asinita, Spaventa, Giudice, Cacciatore, Gentile, implicatura e ligatura, relativita, infigurabile, indeterminabile, Grice, indeterminacy, open, implicature, il Bruno di Marlowe; il Bruni di Shakespeare (Pene d’amore perdute), Grice e Bruno a Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bruno” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Bruzi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Squillace). Filosofo. Grice: “Cassiodoro was possibly a genius; I mean, I wrote a logic, and so did he – but he was ‘consul’ on top! My favourite – and indeed, the ONLY tract by him I recommend my tutees is his “Dialettica” – Strawson prefers his “De anima,” but ‘anima’ is a confused notion, for Wittgenstein and neo-Wittgensteinians alike – no souly ascription without behaviour that manifests it! – whereas with ‘dialettica’ you are safe enough!” –Grice: “I should be pointed out that of the three of the trivial arts – ‘dialettica’ is the only one that deals with my topic, conversation or dia-logue – grammatical is almost autistic, and rhetoric is for lawyers, i. e. sharks! Only ‘dialettica’ represents why those in the Lit. Hum. programme chose ‘philosophy’!” Grice: “Dialettica INCORPORATES all that grammatical and rettorica can teach!” --  Cassiodoro  Flavio Cassiodoro Gesta TheodoriciFlaviusMagnus Aurelius Cassiodorus. Cassiodoro, da un manoscritto su vellum del XII secolo. Magister officiorum del Regno Ostrogoto Durata mandato523533 MonarcaTeodorico il Grande (fino al 30 agosto 526) Atalarico (fino al 533) PredecessoreSeverino Boezio Prefetto del pretorio d'Italia Durata mandato533533 MonarcaAtalarico SuccessoreVenanzio Opilione Durata mandato535537 MonarcaTeodato (fino all'autunno 536) Vitige (fino al maggio 540) PredecessoreVenanzio Opilione Successore Fidelio Dati generali Professionefilosofo Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (latino: Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator.  Visse sotto il regno degli ostrogoti. Percorse un'importante carriera politica sotto il governo di Teodorico ricoprendo ruoli tanto vicini al sovrano, da far pensare in passato ad un effettivo contributo diretto al progetto del re ostrogoto. Successore di Boezio, oltre che consigliere, fu cancelliere de Teodorico e il compilatore delle sue lettere ufficiali e dei provvedimenti di legge. Collabora anche con i successori di Teodorico.  Al termine della guerra si stabilì in via definitiva presso Squillace, dove fondò la biblioteca di Vivario. La fonte principale che ci permette di conoscere la famiglia di Cassiodoro è data dalla sua più vasta e importante opera, le “Variae”. Nacque in una delle più stimate famiglie dei Bruzi, facente parte del patriziato. L'origine del nome è da ricercarsi in un luogo di culto dedicato a Giove. Da una lettera scritta da Cassiodoro per Teodorico abbiamo notizie sui suoi genitori, così come su un parente di nome Eliodoro. Dall'antica origine della famiglia si può comprendere la scelta dei Bruzi come nuova patria, essendo questa una zona della Magna Grecia. Si hanno notizie inoltre del suo bonno, definito “vir illustris” e del nonno Senatore. Quest'ultimo fu tribuno sotto Valentiniano III, e in qualità di ambasciatore conobbe il re degli Unni Attila.  Odoacre e Teodorico ritratti nelle Cronache di Norimberga. Al padre furono indirizzate alcune lettere delle “Variae”, il che ci offre più dati su di lui. Ricoprì il ruolo di comes rerum privatarum e successivamente di comes sacrarum largitionum nel governo di Odoacre. Mantenne la propria posizione di funzionario d'amministrazione anche sotto Teodorico, tanto da diventare governatore provinciale. Lo si ritrova governatore della Sicilia, e dopo essere entrato nelle grazie di Teodorico, governatore della Calabria, quando si ritirerà alla sua villa.  Così come per i suoi familiari, ricaviamo notizie sulla vita di Cassiodoro solo dalle sue opere. La nascita e quella indicata dal Tritemio nel suo “De scriptoribus” (Basilea 1494). Il menologio lo ricorda il 25 settembre. Per quelli che, come Theodor Mommsen, non ritengono attendibili i dati del Tritemio, le date di nascita e morte di Cassiodoro rimangono ipotizzate, principalmente grazie a quelle note dei suoi incarichi amministrativi; nonostante ciò molte cronache tendono a confondere alcuni dati della vita di Cassiodoro con eventi vissuti dal padre, attribuendo una grande longevità al letterato di Squillace. Proprio per quanto riguarda Squillace, non è certo che vi nacque. Molto più probabilmente vi passò l'infanzia, ricevendo dalla propria famiglia una prima educazione e seguendo degli studi. Ancora giovane fu avviato dal padre alla carriera pubblica, per la quale ricopre anzitutto il ruolo di “consiliarius”, per poi diventare quaestor sacri palatii, forse perché Teodorico apprezza particolarmente un panegirico che egli aveva composto.  Poco tempo dopo ricevette il governatorato di Lucania e Bruttii, notizia che si può apprendere da una lettera inviata al cancellarius Vitaliano. Seguendo differenti interpretazioni storiche, questa congettura è stata però di recente messa in dubbio. Risale la designazione a console. Nonostante si trattasse ormai di una carica onorifica manteneva una certa importanza, permettendolo di ricoprire il ruolo di eponimo. Dei anni successivi non si conosce salvo la pubblicazione della Chronica. Successivamente, fu nominato magister officiorum del re, succedendo nella carica a Boezio. Il ruolo e di grande prestigio, e rappresenta con esso il capo dell'amministrazione pubblica, degli official  e delle scholae palatinae. Alla morte di Teodorico,  si apre una complessa fase di successione. Divenne ministro della la figlia di Teodorico, succedutagli sul trono come reggente per il figlio Atalarico. Presumibilmente perdette parte della sua influenza nei primi anni di tali mutamenti politici, ma seppe poi riproporsi e, con un lettera di Atalarico, guadagna il titolo di Prefetto del pretorio per l'Italia. Non ricopre questo ruolo politico per molto tempo. Atalarico morì e ai consueti problemi di successione si aggiunse la malvolenza di Giustiniano verso gli ostrogoti, insofferenza che culminò poi con la guerra gotica. Resse nuovamente la prefettura, sotto i re Teodato e Vitige, per poi abbandonare definitivamente la carriera pubblica. Nelle Variae si possono trovare le ultime lettere scritte per conto di Vitige, anche se non viene detto nulla sul concludersi della sua funzione politica né si sa alcunché dei suoi successori. Di fronte all'avanzata bizantina rimase dapprima in ritiro a Ravenna, luogo che offriva ancora una certa sicurezza. Ravenna e conquistata dalle truppe imperiali, e da quel momento si perdono le sue tracce. Le alternative vagliate sono una permanenza a Squillace, dove però avrebbe avuto scarse possibilità di movimento, o una permanenza più lunga a Ravenna. Lo si ritrova nel seguito di papa Vigilio a Costantinopoli, città nella quale potrebbe anche aver soggiornato, secondo una terza ipotesi, in un periodo precedente alla data conosciuta. Rientrò nei Bruttii solo dopo la fine della guerra, ritiratosi definitivamente dalla scena politica, fondò il monastero di Vivario presso Squillace. Si hanno anche per questa parte della sua vita pochissime informazioni, non si conoscono quindi le motivazioni che lo portarono alla creazione di questa comunità monastica né particolari sulla contemporanea situazione politica della penisola italica; per quanto riguarda la sua situazione personale, si può ipotizzare che non ebbe eredi diretti. Al Vivarium trascorse il resto dei suoi anni, dedicandosi allo studio e alla scrittura di opere filosofiche. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e la copiatura di manoscritti, che fu il modello a cui successivamente si ispirarono i studii. Opera, il De ortographia. IL'obiettivo principale del progetto politico-culturale di Cassiodoro fu quello di accreditare il regno teodericiano come una restaurazione del Principato, ossia quella forma di governo che aveva garantito la collaborazione, formalmente quasi paritaria, tra l'imperatore e la classe senatoria. Questa autorappresentazione del governo goto serviva in primo luogo come legittimazione del regno nei confronti dell'Impero costantinopolitano. Sostanzialmente, essendosi conformato il regime ostrogoto al modello imperiale, il primato dell'imperatore e fondato esclusivamente su un piano carismatico (pulcherrimum decus). Al tempo stesso, tale imitazione da parte di Teoderico poneva l'Amalo in una posizione di superiorità nei confronti degli altri regni barbarici attraverso un principio politico-carismatico, basato su una gerarchia di due livelli (l'impero e il regno di Teoderico, gli altri regni), con un vertice binario e leggermente asimmetrico. Tra tutti gli altri dominantes, Teoderico era il solo che, per volontà divina, aveva saputo dare al suo regno gli stessi fondamenti etici e legali dell’imperium: il suo regno era una replica perfetta del modello imitato e a sua volta un modello.»  (Andrea Giardina[43]) La prospettiva di Cassiodoro, infatti, non è più l'impero universale, bensì quella nazionale dell'Italia romano-ostrogota, autonoma ed egemone rispetto agli altri regni occidentali, sebbene siano state avanzate riserve circa la reale ambizione di Teoderico di assumere l'eredità del decaduto Impero romano d'Occidente. In particolare, il fondamento dell'ideologia cassiodoriana ruota intorno al concetto di “civilitas”, che indica tanto il rispetto delle leggi e dei princìpi della romanità, quanto la convivenza sociale, giuridica ed economica di romani e stranieri fondata sulle leggi. Secondo Cassiodoro, il regno goto si sarebbe fatto custode della civilitas, garantendo così la giustizia e la pace sociale (l’otiosa tranquillitas, cioè l'obiettivo di ogni buon governo), in accordo con la legge divina e la migliore tradizione imperiale romana. Il richiamo all'ideologia del Principato da parte di Teoderico e Atalarico si basa, nella fattispecie, sull'emulazione della figura di Traiano, così come tratteggiata nel Panegirico di Plinio il Giovane. Con il regno di Teodato, invece, il principale modello di riferimento fu quello dell'”imperatore-filosofo” -- un ideale etico-politico ampiamente imbevuto di caratteri neoplatonici. In seguito, nell'impellenza della guerra greco-gotica, Vitige si distinse per il recupero di un'ideologia più specificamente germanica, in cui e messi in risalto le virtù bellica e l'ardore guerriero.  San Benedetto da Norcia.  Inoltre esiste la possibilità che un primo abbozzo di ciò che sarebbe diventato il monastero esistesse già da tempo, presente nei territori di Squillace da una data sconosciuta e utilizzato come residenza da Cassiodoro solo al ritorno in patria dopo la guerra gotica. Ad ogni modo non aiuta nelle varie ipotesi il silenzio delle fonti, poiché le Variae erano state già pubblicate e nessuna delle opere dell'ormai ex politico trattò di questa fondazione; nulla si conosce sul parto di questo progetto, né quando quest'idea fosse stata concepita.[59] Nonostante si intuisca dalle ultime opere di Cassiodoro un avvicinamento potente alla fede cristiana (si pensi al De anima e all'Expositio Psalmorum[60]), il monastero di Vivario nacque con uno scopo differente dal celebre Ora et labora: l'obiettivo principale del nucleo monastico fu infatti la copiatura, la conservazione, scrittura e studio dei volumi contenenti testi dei classici e della patristica occidentale. La caratteristica di Vivarium era quindi la sua forma di scriptorium, con le annesse problematiche di rifornimento materiali, studio delle tecniche di scrittura e fatiche economiche. I codici e manoscritti prodotti nel monastero raggiunsero una certa popolarità e furono molto richiesti. Le forme entro cui si espresse invece l'organizzazione monastica dal punto di vista religioso sono ben poco chiare, né aiuta l'assenza di riferimenti alla vicina esperienza di Benedetto da Norcia; forse Cassiodoro non ne conobbe neppure l'esistenza, o potrebbe averne parlato in opere non giunteci. Alcuni storici avanzano l'ipotesi che la Regula magistri, su cui si basa la Regola benedettina, sia addirittura opera dello stesso Cassiodoro. Questo presunto rapporto tra i due è però generalmente rigettato dagli studiosi, anche alla luce di alcune citazioni provenienti dalle Institutiones che chiariscono le norme monastiche adottate da Vivarium:[64]  «Voi tutti che vivete rinchiusi entro le mura del monastero osservate, pertanto, sia le regole dei Padri sia gli ordini del vostro superiore e portate a compimento volentieri i comandi che vi vengono dati per la vostra salvezza... Prima di tutto accogliete i pellegrini, fate l'elemosina, vestite gli ignudi, spezzate il pane agli affamati, poiché si può dire veramente consolato colui che consola i miseri.»  (Cassiodoro, Institutiones.[65])  Ritratto del profeta Esdra nel quale per molto tempo si riconobbe la figura di Cassiodoro, contenuto nel Codex Amiatinus. Questa citazione mostra come Vivarium seguisse quindi le più comuni regole monastiche contemporanee, mentre altri passaggi delle Institutiones ci suggeriscono un ruolo laico per Cassiodoro, forse esterno alla vita monastica e puramente patronale Il vero centro vitale di Vivarium era, particolare che segna la differenza con ogni altro centro monastico, la biblioteca. Cassiodoro distingue inoltre i libri del monastero da quelli personali, differenza poi scomparsa in un periodo successivo. E la biblioteca, infatti, come centro di cultura di tutto il monastero, la novità del suo programma, una biblioteca nata ed accresciuta secondo le intenzioni del fondatore che dei suoi libri conosceva non solo la sistemazione, perché l'aveva curata personalmente, ma anche i testi, perché li aveva studiati, annotati, arricchiti di segni critici, riuniti insieme secondo la materia in essi trattata e persino abbelliti esteriormente. Il monastero prende nome da una serie di vivai di pesci fatti preparare dallo stesso Cassiodoro. La loro presenza rappresentava un forte valore simbolico, legato al concetto di Cristo come Ichthys. Non lontano dal centro si trovava una zona per anacoreti, riservata a monaci con pregresse esperienze di vita cenobitica. Vivarium sorgeva, secondo gli studi ad oggi compiuti, nella contrada San Martino di Copanello, nei pressi del fiume Alessi. In quella zona fu ritrovato un sarcofago datato VI secolo, associato a graffiti devozionali e subito considerato la sepoltura originale di Cassiodoro. Per ciò che riguarda la ripartizione del lavoro, i monaci inadatti a seguire la biblioteca con annessi oneri intellettuali sono destilla coltivazioni di orti e campi, mentre i letterati si occupavano dello studio delle sette arti liberali (dialettica, retorica, grammatica, musica, geometria, aritmetica, astrologia) questi ultimi erano divisi in notarii, rilegatori e traduttori. Le opere di carità erano espressamente raccomandate dal fondatore, e legati a queste fiorivano gli studi di medicina. Cassiodoro fece preparare tre edizioni differenti della Bibbia e si occupò di copiature e riscritture di molti altri testi della cristianità, considerando tutto ciò una vera e propria opera di predicazione. Non mancano però nella biblioteca di Vivarium i testi profani: tra gli altri furono salvati grazie all'opera di Cassiodoro le Antiquitates di Flavio Giuseppe e l'Historia tripartita. Le opere di Cassiodoro del periodo di Teodorico, quelle da noi conosciute, sono tre: le Laudes, la Chronica e l'Historia Gothorum. Della prima si sono conservati solo due frammenti, mentre della Gothorum Historia rimane solo un'epitome a opera dello storico Giordane. La Chronica racconta la saga dei poteri temporali di tutta la storia, dai sovrani assiri sino ai consoli del tardo Impero, passando ovviamente per tutta la storia romana. Possediamo un frammento di un'ulteriore opera, l'Ordo generis Cassiodororum, che ci offre notizie sulla famiglia dell'autore. Tra la produzione di Cassiodoro occupano un posto speciale le Variae, raccolta di documenti ufficiali scritti i quali ci offrono quindi informazioni su differenti periodi della vita dell'autore e sulla storia dei Goti. A queste si può aggiungere il “De Anima”, opera per la prima volta lontana da interessi politici e invece basata su temi della filosofia psicologica. Il terreno religioso è battuto anche dalla successiva Expositio Psalmorum, commento ai salmi di particolare importanza poiché unico esempio pervenutoci dal mondo tardo antico. Al periodo di Vivarium appartengono tra le opere a noi giunte, le Institutiones, le Complexiones in epistolas Beati Pauli e le Complexiones in epistolas catholicas, le Complexiones actuum apostolorum et in Apocalypsi e il De ortographia. La prima, senza dubbio l'opera più importante di Cassiodoro, è datata in un periodo in cui il centro monastico era sicuramente avviato; rappresenta sostanzialmente una "guida" per gli studi nel monastero, è ricca di informazioni sulla vita dei monaci e sulle opere intellettuali da loro compiute. Il De ortographia sarà la sua ultima opera, scritta attorno ai novant'anni. Uno scritto di chiari intenti politici è la Chronica, una sorta di storia universale scritta nel 519 su richiesta per celebrare il consolato di Eutarico Cillica (diviso con l'Imperatore Giustino), genero di Teodorico e designato al trono. Il sovrano d'Italia non aveva eredi maschi mentre Eutarico, sposandone la figlia Amalasunta, era riuscito a donargli un nipote, Atalarico. Alla luce di questa nuova dinastia, la scelta di offrire il ruolo di console a Eutarico rappresentava quindi un importante evento politico: si trattava della celebrata unione tra i romani ed i goti, progetto che poi fallirà tragicamente. L'opera, che come comprensibile dal titolo ha chiari fini storici, propone una successione dei grandi poteri politici succedutisi nella storia, passando da Adamo sino ad approdare al 519 con Eutarico. È basata su numerose fonti che Cassiodoro spesso cita quali Eusebio, Gerolamo, Livio, Aufidio Basso, Vittorio Aquitano e Prospero d'Aquitania. Per la trattazione successiva al 496 invece l'autore è autonomo. L'elemento dell'opera che maggiormente colpisce è il suo carattere spiccatamente filo-gotico. Cassiodoro arriva a manipolare alcuni eventi storici o a farne addirittura scomparire altri, al fine di non far apparire i Goti sotto un'oscura luce. Historia Gothorum  Re Davide vincitore in una miniatura dall'Expositio Psalmorum, presente nell'edizione del Cassiodoro di Durham. Una delle sue opere più importanti fu il De origine actibusque Getarum (più noto come Historia Gothorum) in 12 libri, nel quale la sua ideologia filogotica era tracciata e sviluppata in maniera più organica.[83] Si considera l'opera contemporanea o poco successiva alla Chronica, anche se più studiosi tendono a ritenerla più recente, forse composta tra il 526 e il 533. Certamente la stesura fu caldeggiata da Teoderico, per essere infine pubblicata sotto Atalarico. Nonostante ciò essa ci è pervenuta solo nella versione ridotta dello storico Giordane, i Getica. Prima storia nazionale di un popolo barbarico, la Historia Gothorum era tesa a glorificare la dinastia degli Amali, la stirpe regnante, attraverso una ricostruzione della storia dei Goti dalle origini ai tempi presenti. Il tentativo più ardito dell'opera fucome emerge dal titolo stessol'identificazione dei Goti con i “geti” -- popolazione già nota a Erodoto e maggiormente conosciuta dal mondo romano. Il racconto narra eventi storici e come scopo ha inoltre quello di celebrare l'unione tra goti e romani, qui comprovata dal matrimonio tra il romano Germano Giustino e l'amala Matasunta. Il fine ultimo dell'opera lo svelaper bocca di Atalarico Cassiodoro stesso. Questi Cassiodoro ha sottratto i re dei Goti al lungo oblio in cui li aveva nascosti l'antichità. Questi ha ridato agli Amali la gloria della loro stirpe, dimostrando chiaramente che noi siamo stirpe regale da diciassette generazioni. L'origine dei goti egli ha reso storia romana, quasi raccogliendo in una corona fiori prima sparsi qua e là nel campo dei libri. Dell’Ordo generis Cassiodororum rimane un solo frammento in più copie. Il l testo, dalla difficile interpretazione, fu composto negli anni della carriera pubblica di Cassiodoro ed è dedicato a Rufio Petronio Nicomaco Cetego. L'opera offre rare notizie sulla famiglia di Cassiodoro, in particolare sul padre; nelle poche righe centrali vengono nominche Boezio e Simmaco, il che farebbe pensare ad un qualche grado di parentela tra l'autore e queste due figure, impossibile attualmente da stabilire. La sua attività di funzionario al servizio del regno goto è testimoniata dalle Variae, una raccolta di lettere e documenti, redatti in nome dei sovrani o trasmessi a firma dell'autore stesso in un arco di tempo che va dall’assunzione della questura al termine della carica di prefetto al pretorio. Il titolo come l'autore spiega nella prefazione all'opera è dovuto alla “varietà” degli stili letterari impiegati nei documenti del corpus, il quale divenne successivamente un riferimento per lo stile cancelleresco e curiale. Espone nella praefatio dell'opera il fine di questa raccolta di testi, ovvero la necessità di fornire nozioni utili a chiunque si dovesse in futuro accostare alla carriera pubblica. Ulteriore obiettivo dichiarato è quello di far conoscere i propri trascorsi come membro del ceto dirigente.[85] Le Variae sono assai utili per conoscere le istituzioni, le condizioni politiche, morali e sociali sia dei Goti sia dei Romani dell'Italia del tempo.[85]  De anima Cominciato poco prima della conclusione delle Variae, il “De anima” è considerato da Cassiodoro come una sorta di tredicesimo volume per quest'opera, quasi ne rappresentasse l'appendice. Affronta temi esterni al mondo della politica, avvicinandosi agli stessi interessi spirituali che poi toccherà con la Expositio Psalmorum. Il “De anima” si dipana su dodici questioni, tra le quali l'incorporeità e il destino dell'anima, legata alla tradizione di Tertulliano, Agostino e Claudiano Mamerto. Anche per l’Expositio Psalmorum non è possibile dare una datazione certa, anche perché la sua composizione sembra essere stata portata avanti per un periodo abbastanza prolungato. Si tratta di un commento completo ai salmi, unico esemplare rimastoci da tutta la tarda antichità. Per mole è certamente l'opera maggiore di Cassiodoro, anche se non viene considerata la più matura tra le sue produzioni. Una più ampia influenza nel Medioevo ebbero le sue Istituzioni, “Institutiones divinarum et saecularium litterarum”, erudita introduzione alle sette arti liberali – dialettica, retorica, grammatical – musica, geomtrica, aritmetica. Progettata dopo che la richiesta di Cassiodoro per la fondazione di un'studi ricevette una risposta negativa da papa Agapito I, l'opera visse un lungo periodo di incubazione: basti pensare che al suo interno cita il De orthographia, ultima opera attestata di Cassiodoro. Il lavoro su questa enciclopedia si suddivide in varie sezioni: la prima presenta i vari libri della Bibbia, la storia della Chiesa e degli studi teologici; la seconda si occupa di quelle arti incluse successivamente nel trivio e quadrivio, con un occhio rivolto alla cultura pagana e alle norme atte per trascrivere correttamente gli antichi. Altre opere sono citate direttamente da Cassiodoro nel De orthographia. Complexiones in Epistolas et Acta apostolorum et Apocalypsin; si tratta di un commento ad alcuni passi degli Atti degli Apostoli e dell'Apocalisse di Giovanni Expositio epistolae ad Romanos (Commento alla lettera dei Romani). Liber memorialis; breve riassunto del contenuto della Sacra Scrittura. Historia ecclesiastica tripartita, di cui fu autore della sola prefazione. De orthographia; trattato destinato a fissare norme e regole per la trascrizione di scritti antichi e moderni. Senator è parte integrante del nome e non già designazione della carica pubblica (Momigliano, 1978,  494-504; Momigliano, 1980487).  Le ipotesi che vogliono Cassiodoro organizzatore e stratega nascosto dietro Teodorico sono ad oggi considerate generalmente infondate, superate dalla tradizione che vede Cassiodoro estraneo alla politica del regno; Cardini, 2009109.  Cardini, 200911; Abbate, Cardini, Momigliano, 1980487.  In Siria si trovano attestati i nomi Κασιόδωρος e Κασσιόδωρος.  Cassiodoro, Variae, I, 3.  Noto come Mons Cassius, da questo deriva Kassiodoros, ovvero "Dono del Monte Cassio".  Cardini, 200972.  Cassiodoro, Variae, I, 4.  Cassiodoro, Variae18.  Onore guadagnato forse per la difesa della Calabria dai Vandali di Genserico nel 404.  Michel Rouche, IV- Il grande scontro (375-435), in Attila, I protagonisti della storia, traduzione di Marianna Matullo,  14, Pioltello (MI), Salerno Editrice, ,  87,  2531-5609 (WC ACNP).  Cardini, 200974.  Tuttavia non si conosce né la data in cui ricoprì la carica né il nome della provincia.  Cardini, 200975.  Il nome stesso di Cassiodoro viene riportato solo nelle lettere dei papi Gelasio, Giovanni II e Vigilio.  In Cardini, 2009,  75-76 ci si sofferma su dizionari e prontuari la cui affidabilità è considerata generalmente affidabile; in particolare si cita l'opera Lessico classico di Federico Lübker.  Cardini, 2009,  75-76; a novant'anni scriverà ad esempio nel Vivarium un trattato di ortografia. Franceschini, 200830.  Cardini, 200976.  Cassiodoro, Ordo generis,  27-32; si tratta di una carica pubblica con funzioni di consigliere.  Cassiodoro, Variae, IX, 24.  Cassiodoro, Variae, IX, 39.  Cardini. La congettura si basa su un passo delle Variae, in cui però Cassiodoro non afferma esplicitamente di essere stato governatore dei Bruzi. Questa ipotesi è stata rimessa in discussione da Andrea Giardina e Franco Cardini (Giardina, 2006,  23-24;Cardini, Aveva cioè la possibilità di dare il proprio nome all'anno, unitamente a quello del collega.  Cardini, 200978.  Cassiodoro, Variae, IX, 24-25.  Ghisalberti, 200238.  Ovvero le segreterie imperiali (officia memoriae, epistularum, libellorum e admissionum).  Si tratta del corpo militare speciale incaricato di sorvegliare la corte imperiale.  Non si è certi se fosse stato nominato prefetto del pretorio per la prima o seconda volta.  Cardini, Cassiodoro, Variae, X, 33-34.  Cassiodoro, Variae, XII, 16-24.  Momigliano, 1978495; Cardini, 2009,  79-80.  Cardini, 2009,  81.  Cardini, 2009,  Cardini, 2009,  84.  Reydellet, Giardina, 2006,  116-141.  Cassiodoro, Variae, I 1,2-3, su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de 1º luglio )..  Giardina, 2006122.  Teillet, ,  281-303.  Dietrich Claude, Universale und partikulare Züge in der Politik Theoderichs, in «Francia»,Reydellet, 1995292.  Wolfram, 1990295.  Cassiodoro, Variae, IX 14,8: Gothorum laus est civilitas custodita., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de (archiviato dall'url originale l'8 luglio )..  Cassiodoro, Variae, II 29,1: regnantis est gloria subiectorum otiosa tranquillitas., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de 13 luglio )..  Cassiodoro, Variae, IV 33, su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de (archiviato dall'url originale l'11 luglio )..  Reydellet, Anonimo Valesiano, II 60: a Romanis Traianus vel Valentinianus, quorum tempora sectatus est, appellaretur..  Cassiodoro, Variae, VIII 3,5: Ecce Traiani vestri clarum saeculis reparamus exemplum., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de 7 luglio )..  Cassiodoro, Variae, VIII 13,3-5: Non sunt imparia tempora nostra transactis: habemus sequaces aemulosque priscorum. (...) Redde nunc Plinium et sume Traianum. (...) Bonus princeps ille est, cui licet pro iustitia loqui, et contra tyrannicae feritatis indicium audire nolle constituta veterum sanctionum. Renovamus certe dictum illud celeberrimum Traiani: sume dictationem, si bonus fuero, pro re publica et me, si malus, pro re publica in me.., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de (archiviato dall'url originale l'8 luglio )..  Reydellet, 1981,  248-250.  Vitiello, 2006,  111-222.  Reydellet, 1981,  250-253.  Vitiello, Cardini, Cassiodoro, Expositio Psalmorum, praef 1-5.  Cardini, 2009140.  Cardini, Pellegrini, 200523.  Cardini, 2009,  141-142.  Cassiodoro, Istituzioni, I, XXXII, 1.  Cardini, 20092.  Cassiodoro, Istituzioni, I, XXIX.  Cardini, 2009142.  Cassiodoro, Istituzioni, I, IV, 4.  Cassiodoro, Istituzioni, I, VIII, 14.  Cassiodoro, Istituzioni, I, XXXII, 2.  Cassiodoro, Istituzioni, II, II, 10.  Questo porta gli studiosi a ipotizzare una maggior partecipazione di Cassiodoro al progetto.  Cassiodoro, Istituzioni34.  Cardini, 2009143.  Cardini, Cardini, 2009145.  Coloro che preparavano i testi per la trascrizione.  Cassiodoro, Istituzioni, I, XXX, 3. Cassiodoro, Istituzioni, I, VIII, 3.  Cardini, 2009146.  Cardini, 2009148.  Cardini, 200986.  Cardini, Cardini, Cardini, 200992.  Cardini, 200993.  Altaner, 1944341.  Ceserani, 197976.  Cardini, Cardini, 200985.  Eutarico morirà infatti nel 522.  La cronaca è un genere letterario caratterizzato dall'esposizione di fatti storici in ordine cronologico.  Simonetti, 2006101.  Moorhead, Cassiodoro, Variae, IX, 25.  De origine actibusque Getarum, in sessanta capitoli.  «La Historia Gothorum occupa un posto di rilievo nella storia della cultura occidentale perché fu la prima storia nazionale di un popolo barbarico: in tal senso essa introduce veramente il medioevo». Simonetti, 2006102.  Simonetti, 2006,  101-102.  Germano Giustino faceva parte della Gens Anicia, mentre Matasunta era nipote di Teodorico.  Cardini, 200987.  ...originem Gothicam historiam fecit esse Romanam...  Cassiodoro, Variae, IX, 25, 5.  Cardini, 200988.  Il frammento è noto anche come Anecdoton Holderi; edizione critica e traduzione francese in Alain Galonnier, "Anecdoton Holderi ou Ordo generis Cassiodororum: introduction, édition, traduction et commentaire", Antiquité tardive, Cardini,  Cassiodoro, Variae27.  Cassiodoro, Variae, XI, 7.  Cardini, Momigliano, Istituzioni delle lettere sacre e profane.  Cardini, 200994.  Cardini, 200995.  Muse, 1964,  III137.  Cassiodoro, Istituzioni15.  Opere di Cassiodoro Expositio Psalmorum, M.A. Adriaen, 1958. Le Cronache, Mirko Rizzotto, Gerenzano, Runde Taarn, 2007. Le Istituzioni, Antonio Caruso, Roma, Vivere in, 2003. Le Istituzioni, Mauro Donnini, Città Nuova, Ordo generis Cassiodororum, Lorenzo Viscido, M. 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Le dignità de' Consoli e de gl'Imperadori, e i fatti de' Romani, e dell'accrescimento dell'Imperio, ridotti a compendio da Sesto Ruffo, e similmente da Cassiodoro, e da M. L. Dolce tradotti & ampliati, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, Venezia). Storici romani Antica Roma  Antica Roma Biografie  Biografie Cristianesimo  Cristianesimo Letteratura  Letteratura Lingua latina  Lingua latina Medioevo  Medioevo Categorie: Politici romani del VI secoloLetterati romaniStorici romaniComites rerum privatarumComites sacrarum largitionumConsoli medievali romaniCorrectores Lucaniae et BruttiorumMagistri officiorumPrefetti del pretorio d'ItaliaScrittori. Grice: “The English had taught Italians that it’s not fair to call Cicero an Italian, or Pythagoras, for that matter, since this all happened before Garibalid! I’m glad the Italians never learned the lesson!” --   MAGNI AURELII CASSIODORI SENATORIS De Artibus ac Diſciplinis Liberalium Litterarum, PR Æ FATI O. vism lectioni 33. titulis Prov. 8.28. Erionum 7 . tartiem titke nec men wa/ > nec 716m2To Liberdivina UPERIOR liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum ? Item IſaiasPropheta dicit: 16.40.1:. , S | licet divinarum continet lectionum manu. Rurſus creatura Dei probatur facta ſub comprebējus. hic triginta tribu's titulis noſcitur pondere ;ſicut ait in Proverbiis Salomon : Ei li . coinprehenſus. Qui numerus ætati Dominice brabat fontesaquarum ; & paulo poft: Quando probatur accommodus, quando mundo peccatis appendebar fundamenta terra , cum eo eram . mortuo æternam vitam præſtitit, & præmia cre- Quapropter opere Dei fingularizato , magnifi Hic liber ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus eſt, cæ res neceſſariâ definitioneconcluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis ſeptein titulis ſæcularium lectionum præ- cut eum omnia condidiffe credimus: ita & quem ſentis libritextuin percurrere debeamus ; qui ta- admodun facta ſunt, aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur, & cur in ſe continue revolutus , uſque ad totius orbis pondere , nec menfura, nec numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid agit iniquitas , juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane , quoniam frequenter quic- per adverſum eſt; ſicut & tertius deciinus Pſalmus continentur. numero , quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit , dicens : Contritio , ú infelicitas in viis Pfal. 13.30 quid feript.o. ita vultintelligi, fub iſto numero comprehendit; corum , á viam pacis non cognoverunt : non eſt ia Super cum ficut dicit David : Septies in dielaudem dixitibi; timor Dei anteoculos eorum . Ifaias quoque dicit : intel'iyat. Plal. 118. cùm tamen alibi profiteatur : Benedicam Domi- Dereliquerunt Deuin Sabaoth , & ambulaverunt 164 . numin omni tempore : femper lausejus in ore meo. per vias diſtortas. Revera mirabilis , & fummè Et Salomon : Sapientia edificavit fibi domum , ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit columnas feptem . In Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit : ne aliquid eorumfæda fingulari Doininus ad Moyſen : Facies lucernas ſeptem , & confuſio pollideret . Unde Pater Auguſtinus in deratione dio Exod.05.37. pones easſuper candelabrum , ut luceant ex adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè difpu- ftinxerit? Apocal. 1.4 . fo. Quem numerum Apocalypfis in diverfis re tavit. bus omnino commeinorat ; qui tamen calculus Modd jamſecundi voluminis intremus initia, adillud nos æternum tempus trahit,quod non po- quæ paulò diligentiùs audiamus ; * Intentus no- *Hicincipiño teſt habere defectú. Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica , tive Rhetorica , vel MSS. codd. memoratur , ubi perpetuum tempus oftenditur. de diſciplinis aliqua breviter velle confcribere ; Arithmetita Sic Arithmetica diſciplina dotata eſt , quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa dotata ,quan rerum Opifex Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re ; dicenduinque prius eft de arte Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis , & menfuræ quantitate conſtituits quæ eft videlicet origo & fundamentuin Libera mern, ponle- ſicut ait Salomon ; Omnia in numero , menfura, lium litterarum. re our menu- c pondere feciſti. Creatura ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro , id eſt , arboris Liber unde ra ft24 . micro facta cognoſcitur, quando ipfe in Evange- cortice dempto atque liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. 11. 21. lio ait :Veftri autem & cepilli capitis omnes nume- chartarum Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo ratifunt. Sic creatura Dei conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro dicit , utilitatis ali ſura ; ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus caufà omnium artium extitiſie principia. Matth.6.27. tem veftrum cogitans poteft adjicere ad ftaturam Ars verò dicta eft , quòd nos fuis regulisarctet Unie ars Plal . 33. 2. Prov . 9. 1 , Ca Deus on - nes creatsT45 11. 12. n . do creat1471 dieta. Liberalium Litterarum. 559 rints compoſuit . malis voce. our atque conſtringat. Alii dicunt à Græcis hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel ſcripturæ , in ctum eſſe vocabuluin , amo tús agerős , id eſt , à culpabili placere peritia . virtute doctrinæ , quam diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis Auctores ſuperioruin temporum QuideGram que bonæ rei ſcienriam vocant. de arte Grammatica ordine diverſo tractaverint, matica orne tiùs ſcriple Secundò de arte Rhetorica , quæ propter nito- fuiſque ſæculis honoris decushabuerint,ut Palæ rem ac copiain eloquentiæ ſuæ , maxiniè in civi- mon, Phocas , Probus; & Cenſorinus: nobis ta Libus quæſtionibus, neceſſaria niinis, & hono- men placet in medium Donatum deducere , qui rabilis æſtiinatur. & pueris ſpecialiter aprus , & tironibus probatur Tertiò de Logica, quæ Dialectica nuncupa- accomınodus, Cujus gemina coinmenta reliqui-- Gemina com tur. Hæc , quantùm Magiſtri ſæ . ulares dicunt, mus, ut ſupra quòd ipfe * planus eſt , fiat clarior menta in ar diſputatdivina UPERIOR liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum ? Item IſaiasPropheta dicit: 16.40.1:. , S | licet divinarum continet lectionum manu. Rurſus creatura Dei probatur facta ſub comprebējus. hic triginta tribu's titulis noſcitur pondere ;ſicut ait in Proverbiis Salomon : Ei li . coinprehenſus. Qui numerus ætati Dominice brabat fontesaquarum ; & paulo poft: Quando probatur accommodus, quando mundo peccatis appendebar fundamenta terra , cum eo eram . mortuo æternam vitam præſtitit, & præmia cre- Quapropter opere Dei fingularizato , magnifi Hic liber ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus eſt, cæ res neceſſariâ definitioneconcluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis ſeptein titulis ſæcularium lectionum præ- cut eum omnia condidiffe credimus: ita & quem ſentis libritextuin percurrere debeamus ; qui ta- admodun facta ſunt, aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur, & cur in ſe continue revolutus , uſque ad totius orbis pondere , nec menfura, nec numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid agit iniquitas , juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane , quoniam frequenter quic- per adverſum eſt; ſicut & tertius deciinus Pſalmus continentur. numero , quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit , dicens : Contritio , ú infelicitas in viis Pfal. 13.30 quid feript.o. ita vultintelligi, fub iſto numero comprehendit; corum , á viam pacis non cognoverunt : non eſt ia Super cum ficut dicit David : Septies in dielaudem dixitibi; timor Dei anteoculos eorum . Ifaias quoque dicit : intel'iyat. Plal. 118. cùm tamen alibi profiteatur : Benedicam Domi- Dereliquerunt Deuin Sabaoth , & ambulaverunt 164 . numin omni tempore : femper lausejus in ore meo. per vias diſtortas. Revera mirabilis , & fummè Et Salomon : Sapientia edificavit fibi domum , ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit columnas feptem . In Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit : ne aliquid eorumfæda fingulari Doininus ad Moyſen : Facies lucernas ſeptem , & confuſio pollideret . Unde Pater Auguſtinus in deratione dio Exod.05.37. pones easſuper candelabrum , ut luceant ex adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè difpu- ftinxerit? Apocal. 1.4 . fo. Quem numerum Apocalypfis in diverfis re tavit. bus omnino commeinorat ; qui tamen calculus Modd jamſecundi voluminis intremus initia, adillud nos æternum tempus trahit,quod non po- quæ paulò diligentiùs audiamus ; * Intentus no- *Hicincipiño teſt habere defectú. Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica , tive Rhetorica , vel MSS. codd. memoratur , ubi perpetuum tempus oftenditur. de diſciplinis aliqua breviter velle confcribere ; Arithmetita Sic Arithmetica diſciplina dotata eſt , quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa dotata ,quan rerum Opifex Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re ; dicenduinque prius eft de arte Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis , & menfuræ quantitate conſtituits quæ eft videlicet origo & fundamentuin Libera mern, ponle- ſicut ait Salomon ; Omnia in numero , menfura, lium litterarum. re our menu- c pondere feciſti. Creatura ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro , id eſt , arboris Liber unde ra ft24 . micro facta cognoſcitur, quando ipfe in Evange- cortice dempto atque liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. 11. 21. lio ait :Veftri autem & cepilli capitis omnes nume- chartarum Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo ratifunt. Sic creatura Dei conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro dicit , utilitatis ali ſura ; ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus caufà omnium artium extitiſie principia. Matth.6.27. tem veftrum cogitans poteft adjicere ad ftaturam Ars verò dicta eft , quòd nos fuis regulisarctet Unie ars Plal . 33. 2. Prov . 9. 1 , Ca Deus on - nes creatsT45 11. 12. n . do creat1471 dieta. Liberalium Litterarum. 559 rints compoſuit . malis voce. our atque conſtringat. Alii dicunt à Græcis hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel ſcripturæ , in ctum eſſe vocabuluin , amo tús agerős , id eſt , à culpabili placere peritia . virtute doctrinæ , quam diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis Auctores ſuperioruin temporum QuideGram que bonæ rei ſcienriam vocant. de arte Grammatica ordine diverſo tractaverint, matica orne tiùs ſcriple Secundò de arte Rhetorica , quæ propter nito- fuiſque ſæculis honoris decushabuerint,ut Palæ rem ac copiain eloquentiæ ſuæ , maxiniè in civi- mon, Phocas , Probus; & Cenſorinus: nobis ta Libus quæſtionibus, neceſſaria niinis, & hono- men placet in medium Donatum deducere , qui rabilis æſtiinatur. & pueris ſpecialiter aprus , & tironibus probatur Tertiò de Logica, quæ Dialectica nuncupa- accomınodus, Cujus gemina coinmenta reliqui-- Gemina com tur. Hæc , quantùm Magiſtri ſæ . ulares dicunt, mus, u t ſupra quòd ipfe * planus eſt , fiat clarior menta in ar diſputationibus ſubtiliffimis ac brevibus vera ſe- dupliciter explanatus. Sed & ſanctum Augufti- tes Donati queſtrat à fallis. num propterfimplicitatem fratrum breviter in- Caffiodorus Quarto de Mathematica, quæ quatuor com- ftruendain , aliqua de codem titulo ſcripſiſſe re- *MS.Sanger. plectitur diſciplinas, id eſt, Arithmeticam ,Geo- perimus, qux vobis le titanda reliquimus : ne Lasinus. metricam , Muſicain , & Aſtronomnicain. Quain quid rudibus deeſſe videatur , qui ad tantæ ſcien Che Mathe. Mathematicam Latino ferinone doctrinalem diæ culmina præparantur. maticado tri poffumus appellare ; quo nomine licet omnia doctrinalia dicere valeamus,quæcumque docent: Donatus igitur in fecundit purte ita diſceptat. hæc libi tamen commune vocabulum propter ſuam excellentiam propriè vindicavit ; ut Poeta De Voce Articulata. dictus , intclligitur Virgilius : Orator enuntia De Littera. tus , advertiturCicero ; quamvis multi & Poëtæ, De Syllaba. &Oratores in Latina lingua eſſe doceantur;quod De Pedibus. etiam de Homero, atque Demoſthene Græcia fa De Accentibus. cunda concelebratı Dc Pofituris , ſeu Diſtinctionibus. Quid fit Ma Mathematica verò eſt ſcientia , quæ abſtra Et iterum de Partibus Orationis octo thematica ? ctam conſiderat quantitatem . Abſtracta eniin De Scheinatibus. quantitas dicitur , quam intellectu â materia fe De Etymologiis. parantes , vel ab aliis accidentibus, folâ ratio De Orthographia. cinatione tractamus. Sic totius voluminis ordo * Ed . * ado. quaſi quodam * vade promiffus eſt. Vox articulata , eft aër percuſſus, fenfibilis au- Quid fit vox Nunc quemadmodum pollicitafunt, per divi- ditu , quantum in ipſo eſt. articulati . Duplex dif- fiones definitioneſque ſuas, Domino juvante, Littera, eſt pars ininima vocis articulatæ. Quid Littera . cendi genius. reddamus : quia duplex quodammodo diſcendi Syllaba , eft comprehenſio litterarum , vel unius Qwid Syd genus eſt , quando & lincalis deſcriptio imbuit vocalis enuntiatio , temporum capax. * Ed. pol. diligenter aſpectum , & * per aurium præparatum Pes ; eſt ſyllabarúm & temporum certa dinu- Quid pes. intrat auditum . Nec illud quoque tacebimus, meratio. quibus auctoribus tain Græcis , quam Latinis, Accentus, eſt vicio carens vocis artificioſa pro- Quid Accen quæ dicimus , expoſita claruerunt ut; qui ſtudio- nuntiatio . MSS.Reg . le legere voluerit, quibuſdam * compendiis in Pofitura , ſive diſtinctio , eſt moderatæ pronun- Quid pofitu Sang. competentiis. tiationis apta repauſatio. troductus , lacidiùs Majorum di& ta percipiat, Partes autem orationis ſunt acto , Nomen, EXPLICIT PRÆFATIO. Pronomen , Verbuin , Adverbium , Participium, tionis funs Conjunctio , Præpofitio , Interjectio . Capitula Libris Nomen , eſt pars orationis cum caſu , corpus Quid fis non aut rem propriècommuniterve fignificans ; pro- men. Caput. I. De Grammatica: priè , ut Roma, Tiberis : cominuniter, ut urbs, 2. De Rhetorica. Huvius, 3. De Dialectica; Pronomen , eſt pars orationis, quæ pro nomi- Quid Pronta 4. De Arithmetica: ne pofita , tantuindem pene ſignificat , perſo S. De Muſica, namque interdum recipit. 6. De Geometria. Verbum , eſt pars orationis cum tempore & Quid verbi . 7. De Aſtronomia: perſona fine caſu . Adverbium , eft pars orationis , quæ adjecta Quid Advcr CAPUT PRIMUM verbo , ſignificationem ejus explanat atque iin- bium . pler ; ut , jam faciam , vel non fáciam . Inſtitutio de Arte Grammatica . Participium , eſt pars orationis, dicta qudd par- Quid Parti tem capiat nominis , partemque verbi ; recipit cipium. Unde Grama maticanomen GKRammatica à litteris nomen accepit , ficuè enim ànomine genera & cafus , à verbo tempo vocabuli ipfius derivatus fonus oſtendit; ra & fignificationes , ab utroque numeros & fi acceperit ? quas primus omnium Cadınus ſexdecim tantum guras. legitur inveniſſe , eaſque Græcis ſtudioſiſſimis Conjunctio, eſt pars orationis annectens, ordi. Qyid com tradens, reliquas ipſi vivacitate animi ſuppleve- nanfque ſententiam. junctio. De quarum formulis atque virtutibus, Præpoſitio , eſt pars orationis , quæ præpofira Quid Præpo Helenus, atque Priſcianus ſubtiliter Attico ſer- aliis partibus orationis, fignificationem earum Juio. Quidfit Gra mone locuti ſunt. Grammatica verò , eſt peritia aut inutat, aut complet, autminuit. * MSS. Au- pulchrè loquendi ex Poëtis illuſtribus, * Orato Interjectio, eſt pars orationis ſignificans mentis Quid inter Etoribus, ribuſque collecta. Officium ejus eſt fine vitio affectuin voce incondità. ječtio. dictionem proſalem metricamque componere: Scheinata , ſunt transformationes fermonum Quid Sche ba. ra . Partes ora octo. 5 $ 1 men. runt. marica ? mata . 560 Caffiodorus de Inſtitutione Quid Ortha les, vel fententiaruin , ornatus cauſâ policæ ; quæ à dis :interdami , ut folers ,iners. quodam Artigrapho nomine Sacerdote collecta, In plurali quoque , excepto genitivo & accuſa fiunt numero nonaginta octo : ita tamen , ut qux rivo, omnibuscalibus ſimiliter declinantur.Nam à Donado inter vitia polita ſunt , in ipfo numero quædam in uin genitivo , accuſativo in es exeunt, collecta claudantur. Quod & mihi quoque du- ut Mars, ars : quædam in ium, ut fapiens, patiens, ruin videtur vitia dicere,quæ auctorum exemplis, & ob hoc accuſativi eorum in eis excunt. Plera & maxiinè legis divinæ auctoritate firmantur. que aurein ex his nomina tribus generibus com Hæc Grammaticis Oratoribufque cominunia munia funt, & in licreram quam habent, neutra funt: quæ tamen in utraque parte probabiliter in nominativo plurali dant etiam genitivis reli reperiuntur aptata. quoruin generuin ,cum quibus coinmunia funt. Addenduin eſt etiam de Eryinologiis, & Ortho In T littera , neutra tantùm nomina quædam , graphia , de quibus alius fcripfiffe certiflimum eſt. pauca finiuntur ; ut git, quod non declinatur ; Quid 'Etymo. Etymologia eſt aut vera aut veriſimilis deinon- ut caput, ſinciput. Quidam cùm lac dicunt, loysa. ftratio , declarans ex qua origine verba defcen- adjiciunti, propter quod facit lactis : ſed Vir dant. gilius. Orthographia eſt rectitudo fcribendi nullo er Lac mihi non æſtate novum , non frigore defit. graphics. rore vitiata , quæ manum componit & linguam . quippe cùm nulla apud nos nomina in duas mu Hæc breviter dicta fufficiant. tas exeant , & ideo veteres lacte in nominativo Cæterùm qui ea voluerit lariùs pleniùſque co dixerant, gnoſceye , cum præfarione ſua codicem legat, X littera terminat quædam , in quibus omnia quem noſtra curiolitate formavimus, id eſt, Ar- communia in iuin cxeunt in genitivo plurali; ob tem Donati , cui de Orthographia librum , & hoc. accuſativo in i & s . Plurima verò genitivo alium de Etymologiis inferuimus, quartum quo- in u & in , non præcurrente i , & ob hoc in e & s que de Schematibus Sacerdotis adjunximus;qua- accuſativo exeunt ; nam in reliquis conſentiunt. tenus diligens lector in uno codice reperire pof- Ut pote cùın ſingulariter omnia nominativa & ſit , quodarti Gramınaticæ deputatum effe co vocativa habeant genitivum ini & s , agant da gnoſcit. tivum in i littera : ablativum in e vel i definiant, Nomen da Sed quia continentia magis artis Grammaticæ adjectáque m accuſativum definiant impleánt verbum tant dicta eft , curaviinus aliqua denominis verbique que : pluraliter verò dativum ablativúmque in partes adje regulis pro parte ſubjicere , quas rectè tantùm bus fyllaba finiunt. muis Ariſtote. Ariſtoteles orationis partes adferuit. Nam de cæteris , quibus diſident Veteres , qui dam atrocum & ferocum , qua ratione omnium x DE NOMINIBUS. littera finitorun una ſpecies videbitur. Huic x litreræ omnes vocales præferuntur ; ut capax , fru Nominis partes ſunt. tex , pernix , atrox , redux. Ex iis nominibus quædam in nominativo producuntur , quædain Qualitas , mocomm . corripiuntur: quædam conſentiunt in noininati Comparatio , ouynpisisa vo , in obliquis diſſentiunr. Pax enim , & rapax, Genus , 2005. item rex & pumex , item nux & lux , etiam pri Numerus, água uo'so mam poſitionem variant ad nix & nutrix. Item Figura , oxaudio nox & atrox ſic in prima politioneconſentiunt, Caſus, T @ SIS. urdiſcrepentper obliquos. Et illud animadvertendum eſt, quædam ex iis x Pronominis partes: litteram in g , quædam in c per declinationes compellere. Lex enimlegis , grex gregis facit, Qualitas ut pix picis, nux nucis. Nain in his quæ non ſunt Genus. monoſyllaba, nunquam non x littera genitivo i Numerus. c convertitur ; ut frutex fruticis , ferox ferocis. Figura. Supellex autem , & ſenex, & nix , privilegio quo Perſona. dam contra rationem declinantur : quoniam ſu Caſus. pellex duabus ſyllabis creſcit, quod vetat ratio; & fenex ut in nominativo itein genitivo diffyllabus G Ræca nomina , quæ apud nos in us ; ut, manet , cùm omnia x litterâ terminata creſcant. vulgus , pelagus, virus,Lucretiusviri dicit; Et nix nec in cconvertitur, ut pix : nec in gut quamquam rectiùs inflexum maneat. Secundæ rex: ſed in u conſonans, in vocalem tranſire non ſpecies funt, quæ per obliquos caſus creſcunt, & poſſit. genitivo ſingulari in is litteras exeunt ; ut , genus, In plurali autem genitivo , ablativus ſingularis nemus: ex quibus quædam uine mutant ; ut olus formas vertit. Nam in a auto terminatus , in rum oleris, ulcus ulceris : quædam in o , ut nemus exit; e correpta in um :producta , in rum : iter neinoris , pecus pecoris. In dubitationem ve- minatus in uin. Dativus & ablativus pluralis a. niunt fænus & ftercus in e , an in o inutent : in is exeunt & in bus. Quæ præcepra in ſcholis quoniam quæ in nusſyllabam finiunt, u in e mu- ſunt tritiora : ſed quotiens in is exeunt , longa tant; ut , vulnus , ſcelus , funus , & funeratos fyllaba terminantur : quotiesin bus, brevi. De dicimus. Fænusenim exemplo non debet noce- curlis nominum regulis, æquuin eſt confequenter re, cùin inter dubia genera ponatur. Item vete- adjicere canones verborum primæ conjugatio res ſtercoratos agros dicebant, non ſterceratos. nis. In S littera finita nomina , præcurrentibus n vel r , omnia ſunt uniusgeneris: nili quæ ante ſe t habent, interdun d recipiunt, ut ſocors ſocor DE De Grammatica. 561 : Tempus zeovc . DE V ER BIS. ſyllaba , manente productione terminantur ; ut Commeo , commea , commeavi: Lanio , lania , Partes verbi funt. laniavi : Satio , fatia , fatiavi. Eodem modo, codem tempore, fpecie inchoativa,adjectâ ad im Qualitas, perativum modum in bam fyllaba terininantur; Conjugatio. ut cominea commeabain , lania laniabam , æſtua Genus. æſtuabain. Prima conjugatione , codem modo, Numerus. eodem tempore , ſpecie recordativa , adjectis ad Figura. imperativum modum veram ſyllabis , terminan Tempus. tur partes : ut Commea commeaveram , lania , la Perfona. 'niaveram , æſtua æſtuaveram . Priina conjuga tione, codem modo , tempore futuro , adjecta Qualitas Verbi. ad imperatiuum modun bo fyllaba , terminan rur ; ut Cominea commeabo, lania laniabo , æſtua Modi, # ſtuabo. Indicativi, ogesich. Quæveròindicativo modò , tempore præſen Imperativi , προσακτική . tì, ad primam perfonam in o littera , nulla alia Opeativi , ευκτική. præcedente vocali terminantur , ea indicativo Conjunctivi, útotaxix . modo , tempore præterito , ſpecie abſoluta 80 Infinitivi, atrapéu pet exacta , quatuor modis proferuntur. Et eſt primus, qui lunilem regulam his babet . Genus Verbre Qui indicativo modo, tempore præſenti, prima perſona penultiinam vocalem habet : ut Amo, Adiva, švępyutix .. ama , amavi, amabam , amaveram , amabo, Pafliva, mee.Jotus amare , Communia, rond. Secundus eft , qui o ini convertit ultimam in præterito perfecto,penultimam in pluſquàm per fecto e corripit ; ut Adjuvo , adjuvi, adjuveram . Tertius , qui fimilem quidem regulaın habet Præſens, évesa's. primi modi, ſed detracta a littera deliungit ; ut Præteritum ; ta zenauges Seco , ſecavi , ſecaveram , ſecabo , ſecare. Facit Futurun , uitwr. enim ſpecie abſoluta ſecui, & exacta ſecueram . Imperfcerum , megatinad's. Quartus eſt , qui per geininationein fyllabae Perfectum , Tee XÉCU . profertur; ut Sto , ſtá , kteci , fteterain , itabo Pluſquain perfectam , impon TEARO'S. ftare. Huic ſimile Do , da , dedi , dabáin , dede Infinitum ; mogises. ram , dabo , dare , correpta littera a contra re-, gulain , in eo quod eſt , dabam , dabo , dare. Proferuntur fecunda conjugationis verba, dente vocali terminantur, vel præcante quæ indicativo modo, teinpore præſenti, perſo vocali qualibet , formas habet quatuor. na prima , in eo litteris terminantur ; ut Video , Secundæ conjugationis correpræ verba verba,, for- vides vides ; monco monc mones. Secundæ conjugatio mas habent viginti. Sic quæcumque verba indi- nis verba, indicativomodo, teinpore præſenti, cativo modo , tempore præfenti, perſona primà, ad ſecundanı perſonam iu e littera producta,ter in o littera terminantur, forinas habentſex ,quæ ininantur ; ut Video , vide ; moneo, mone. Se voces forınas habent duas. Quæ nulla præceden- cundæ conjugationis verba, infinito inodo , ad te vocali in o littera terminantur, formas habent je & ta ad imperativum modum re fyllaba, manen duodecim . te productione terminantur ; ut Vide , videre; Tertiæ conjugationis productæ verba , qua mone, monere. Secundæ conjugationis verba, indicativo modo , tempore præſenti , perſona indicativo modo, tempore præterito , {pecie ab prima in o littera terminantur , formas habent ſoluta & exacta , ſeptem modis declinantur ; & quinque. Quæcumque autem verba cujuſcum- eft primus, qui forinain regulæ oſtendit.Nam for que conjugationis indicativo modo , temporė mahæc eſt;cùm fecundæ conjugationis verbum , præſenti, perfona prima, vel nulla præc dente indicativomodo,temporepræterito quidem per vocali, vel qualibet alia præcedente , in o littera fecto , adjecta ad iinpecalivun modum vi fyllaba, *terminantur, corum declinatio hoc numero for- manente produđione. marum continetur. De quibus fingulis dicam . Primæ conjugationis verba indicativo modo, CAPUT SECUNDUM. tempore præſenti, perſona prima, aut in o litte : ra nulla alia præcedente vocali terminantur , ut De Arte Rhetorica . , Canto io ut lanio , , . Rrium aliæ ſuntpofitæ in Artes in tres Primæ conjugationis verba iinperativo modo, temporepræſenti ad ſecundam perſonain in a lit- lis eſt Aſtrologia : nullum exigens actum , ſed ipſo duntur. tera producta terminantur ;ut amo, ama : canto, rei, cujus ſtudium habet, intellectu contenta, canta : infinito modo ad imperatiuum modum, quæ Geargintzün vocatur. Alia in agendo, cujus in in re fyllaba,manente productione terminantur ; hoc finis eſt , ut ipſo actu perficiatur, nihilque ut aina, amare: canta , cantare. Item prima con- poſt actum operisrelinquat, quæ peakmix dici jugatio, quæindicativo modo , tempore præte- tur, qualis ſaltatio eſt.Alia in effectu,quæ operis, rito, ſpecie abſoluta , adjectâ ad imperatiuun yi quod oculis fubiicitur confummatione, finein Bbbb V . ib, uclanio,fatio:autuo ,uræſtuo ,continuo A evognizione peltimatione rerum ,quas partes divina 562 Caffiodorus ea 1 tor. Etanda , accipiunt, quam nontoxù appellamus, qualis eſt cauſam , locum , tempus, inftramentum , occa pictura. fionemnarratione delibabiinus. Multæ ſæpe in Orationis duo Duo funt Genera orationis : altera pespetua, una cauſa ſunt narrationes. Non femper co ordi fuigenera. quæ Rhetorica dicitur : alteraconciſa , quæ Dia- ne narrandum , quo res geſta eſt. Enthumous fit tectica ; quas quidem Zeno adeo conjunxit , ut ad augmentum vel invidiæ , vel miſerationis, vel hanc compreſlæ in pugnum manus, illam expli- in adverfis. Initium narrationis à perſona fier, & catæ fimilean dixerit. ſi noſtra elt , ornetur : fi aliena , infametur. Et Initiam di Initia dicendidedit natura : initium artis ob- hæc cum ſuis accidentibus ponitur. Finis narra cendi dedit fervatio. Homines enim ficur in Medicina , cum tionis fit , cùın eò perducitur expofitio , unde natura,ini- viderent alia falubrià, alia inſalubria ex obſerva- quæſtio oriatur. sium artis ob. tione eoruin effccerunt arrein . feruatio. Facultas orandi confunmatur naturâ , arte , De Egreſionibus Pacultas orandi tribus exercitatione; cui partein quartam adjiciunt qui cofummatur. dam imitationem , quam nosarti ſubjicimus. Egreſſus eſt , vel egrelfio , hoc eſt , méx6a95, Tria debet Tria funt quæ præltare debet Orator ; ut do- cum intermiffà parum re propofitâ , quiddain in præftare Ora- ceat, moveat, delecter. Hæc enim clarior divi- terſeritur delectationis utilitatiſve gratiâ. Sed fio eft , quàm eorum qui totum opus:in res , & ir hæ ſunt plures, quiæ pertotam cauſam varios ex affectus partiuntur, curſus habent ; ut laus hoininum locorumque; Invadendo In fuadendo ac diſſuadendo rrja primùm fpe- ut defcriptio regionum , expoſitio quarundam fodiſficaden- ctanda ſunt; quid ſit de quo deliberetur : qui lint rerum geſtarum , vel etiam fabulofarum . do triape- qui deliberent: quis ſit quifuadeat rem , dequa Sed indignatio , miſeratio , invidia , convi elintpar. deliberatur.Omnisdeliberatio de dubiis fit. Par- tium , excuſario , conciliatio, maledictorum re "tes fuadendi. tes ſuadendi ſunt honeftum , utile , neceſſarium . futatio , & fimilia :omnis amplificatio, minutio, Quidam , ut Quintilianus, furetor ; hoc eſt,pofli- omnis affectus, genusdeluxuria, de avaritia, re bile , approbat. ligione, officiis cuin ſuis argumentis ſubjecta ſi milium rerum , quia cohærent, egredi non viden Ware Procemiam à Græcis dicitur. tur. Areopagitæ damnaverunt puerum , corni cum oculos eruentem ; qui putantur nihil aliud Clarè partem hanc ante ingreffum rei , de qua judicaffe , quàm id lignum effe pernicioſiflima diccndum fit ,oftendunt.Nain livepropterea quod mentis , multiſque malo futuræ li adoleviſſet. brun cantus elt , & Citharædi pauca illa , quæ an tequam legitimum certamen inchoent, emerendi De Credibilibus favoris gratia canunt, Proæmium cognomina runt. Oratores quoque ea , quæ priuſquam cau Credibilium tria funt genera: ünum Grmiſti- Tria ſunt ore. fain exordiantur, ad conciliandos libi judicun muni, quia ferè ſemper accidit ; ut , liberos à pa aninospræloquuntur, Procinii appellationc fi- rentibus amari. gnarunt. Sive quod 40 Græci viam appellant Alterum velut propenſius, eum qui rectè va id, quod ante ingrekun reiponitur , fic vocari leat , in craſtinum perventurum . Dikfit Proa- eft inſtituruin . Caufa Proæmii hæc eſt , ut audiro Tertium tantum non repugnans; ab eo in dong mii carla. rem , quò fit nobis in cæteris partibusaccommo- furtum factum , qui domui fuit. datior, præparemus. Id fit tribus modis , li be nevolum , atrencum , docilemque feceris ; & in Argumenta unde ducantur. reliquis partibus haud minus, præcipuè tamen in initiis neceſſe eſt animos judicum præparare. Ducuntur argumenta à perſonis, cauſis , tem pore ; cujus tres partes ſunt, præcedens, conjun Quid differt Proæmium ab Epilogo. ctum , inſequens. Si agimus, noſtra confirmana da ſunt priùs ; tum ea , quæ noftris opponuntur, Quidam putarunt quòd inPræmio præterita, refutanda. Si reſpondemus; ſæpiùs incipiendum in Epilogo fucura dicantur. Quintilianus autem à refutatione. Locuples & fpeciofa &imperio co quod in ingreffu parciùs & modeſtiùs præten- ſa vult eſſe Eloquentia. tanda ſit judicis miſericordia : in Epilogo verò licear toros effundere affectus , & ficam oratio De Concluſione nem induere perſonis , & defunctos excitare, & pignora reorum perducere , quæ minus in Concluſio,quæ peroratio dicitur, duplicem has concluſodomen proæmiis ſunt uſitata. bet rationem ; ponitur enim autin rebus, aut in plicem habet affectibus rerum , repetitio & congregatio , que rationem . De Narratione. Græcè ávax!IO HAURIS dicitur , à quibufdam La tinorum renumeratio dicitur , & memoriam au Narratio aut torà pro nobis eſt , aut cora pro ditoris reficit, & totam ſimul cauſam ponit an adverſariis , aut mixta ex utriſque. Si erit tota te oculos ; ut etiam ſi per ſingulos minus vale pro nobis , contenti ſimus his tribus partibus, bant , turbâ moveantur : ita tamen ut breviret uc judex intelligat, meminerit , credat, nec quic eorum capita curlimque tangantur . Sed tunc fita quan reprehenſione dignum putet. ubi inultæ caufæ , vel quæſtionesinferuntur; nam Notandum , ut quoties exitus rei ſatis oſtendit fi brevis & fimplex eſt, noneft neceffaria. priora , debemus hoc eſſe contenti , quò reliqua intelliguntur; fatius eſt narrationi aliquot fuper De Affectibus: eſſe , quàm deeffe ; nain ſupervacua cum rædio dicuntur: neceſſaria cum periculo ſubtrahuntur. Affectuum duæ funt ſpecies , quas Græci '90s affectuur Quæ probacione tractaturi ſumus , perſonain, aj mrásos vocant , hoc eit , quafimores & affe- dua ſung species, dibilium gito nera . 1 1 De Rhetoricà. 563 Te . ventio . tio . tio . 114 . us concitatos } & Teses quidem affectus con- & quæſtionem .Cauſa eft res,quæ habet in ſe con citatos : " Jos veròmites atque compofiros ; in il- troverſiam in dicendo politam , perſonarum cer lis vehementesmotus, in his lenes: & resos qui- tarum interpoſitione : quæſtio autem ,eft res, quæ demimperat, its perſuadet ; hi ad perturbatio- habet in ſe controverſiam in dicendo polítam , nem , illi ad benevolentiam prævalent. Et eſt line certarum perfonarum interpofitione. Frágos temporale , ndos verò perpetuum ; utra que ex eadem natura : fed illud majus , hoc mi DE PARTIBUS RHETORICA nus , ut amor esos, charitas » Sus ; tados con citat , isos fedat. Partes Rhetoricæ funt quinque. In adverſos plus valet invidia ,quàm convitium: quia invidia adverſarios, convitiuin nos inviſos Inventio . facit. Nam ſunt quædam , quæfi ab imprudenti Diſpoſitio. bus excidant, ſtulta ſant; cum ſimulamus, venuſta Elocurio Orator vitio creduntur. Bonus altercator vitio iracundiæ ca Meinoria, iracundiæ ca- reat ; nullus enim rationi magis obftat affectus, & Pronuntiatio . reat; & qua- fertextra cauſamplerumque, & defornia convi tia facere ac mereri cogit, & nonnunquam in ipſos Inventio eft ex cogitatio rerum verarum aut ve . Quid fitta judices incitatur ; quoniam ſententiæ, verba, fi- riſinilium ,quæ cauſam probabilem reddunt. guræ , coloreſque funt occultiores quæſtiones in Difpofitio eft rerum inventarun in ordinem Quid Diſposa genio , cura , exercitatione. pulchra diftributio . Conjectura omnis , aut de re eſt , autde animo. Elocutio eft idoneoruin verborum ad inventio Onid Eloc14 Utriuſque tria teinpora ſunt , præteritum , pre- nein accommodata perceptio . ſens, &futuruin . De re & generales quæſtiones Memoria eſt firma aniini rerum ac verborum funt, & definitæ ; id eft, & quæ non continentur, ad inventionem perceptio. Quid Memo perſonis , & quæ continentúr. De animo quæri Pronuntiatio eſt ex rerun & verborum dignita non poteſt, niſi ubi perſona eſt; & de facto , cùm te, vocis &corporis decora moderatio . Quid Proing nuntiatio . de re agitur , aut quid factum ſit in dubium venit, aut quid fiat , aut quid futurum ſit , & reliqua fi De Generibus caufarum . unilia , De Amphibologia. Genera cauſarum Rhetoricæ ſunt tria princi- General Cares palia. Demonſtrativum , Deliberativum , Judi- Jarum Rheto Innsetabia Amphibologiæ ſpecies ſunt innumerabiles, ciale: Ticefunttrica les lient Am. adeò ut Philofophi quidam putent nullum effé Demonſtrativum & In laude phibologia verbum , quod non plura ſignificet genera , aut oftentativum species admodum pauca ; aut enim vocibus fingulis ac- Eyxaurasino's In vituperatione cidiper ópw rupaar aut conjunctis per ainbiguani Emdeuxtixò , conſtructionem , Quando fiat Vitiofa oratio fit, cùm inter duo nominamè- Deliberativum & ſua In ſuaſione. vitioſa oratio dium verbum ponitur. forium dicitur De oppofitio Oppoſitiones & fi contrariæ non ſint , ſed dif- EupBBAEUTIKON In diſſualione niben . fimiles : verumtamen li fuain figuram ſeryant, ſuntnihilomimus antitheta.. r In accuſatione, & de Naturalis quæitio eſt, quæ eſt temporalis ;fic Judiciale fenſione cut cúm que ſunt per ordines temporum acta, acercón marrantur. Nunc ad artis Rhetoricæ diviſiones În præmii penſione, & definitionofque veniamus ; quæ ficut extenſa at negatione que copiofa cft ; ita à multis &claris ſcriptoribus tractata dilatatur, Demonſtrativum genus eſt, cùm aliquid de- Quid fit De monſtramus, in quo eſt laus & vituperatio ,hoc monftrativi Onidfit Rhetorica eſt, quando per hujuſinodidefcriptionem oſten- genus. dituraliquis, atque cognoſcirur ; ut pſalınús 28. Rhetorica Rhetorica dicitur à copia deductæ locutio- . & alia vel loca vel pſalmi plurimi ,ut:Domine unde dicta. 'nis influere. Ars autein Rhetorica elt , fi- in calo miſericordia tua, &uſque adnubesveria cur magiſtri tradunt fæculariuin Litterarum, tas tua. Iuſtitia tua ficutmontesDei , & reliqua. bene dicendi ſcientia in civilibus quæſtionibus. Deliberativum genus elt , in quo eſt ſualio de . Quid Delią Quid fit Ora Orator igitur eſt vir bonus , dicendi peritus, ut diſſualio , hoc eft quid appetere , quid fugere, berativos . zor, ju offi- dictum eſt in civilibus quæſtionibus. Oratoris quiddocere, quid prohibere debeamus, citum ,erfinis. autem officium eſt, appolitè dicere ad perſuaden Judiciale genus elt, in quo eſtaccuſatio & de Quid Fudia ciale. dum. Finis , perſuadere dictione, quatenus rex fenſio , vel præmii penſio & negatio. ruin & perſonarum conditio videtur admittere in civilibus quæſtionibus : unde nunc aliqua bre De Statibus. viter aſſumemus, ut nonnullis partibus indicatis, penè totiusartis ipſius ſumınam virtutemque in Status Græcè ça'os. Status cauſarum ſunt año Status caufae telligere debeamus. rationales , aut legales. Status verò dicitur ea bacionales, rum åut ſuns Civiles quæſtiones ſunt ſecundum Fortuna viles quaftio- tianum Artigraphum novelluin , quæ in com ; a Hæ funt quæſtiones an huic, an cumhoc , an học Quid fit firas ant legales, nes , & quo modo divi munem animi conceptionem poffunt cadere ; id seinpore , an hac lege,an apud ipſum . Quidquidpræter van duntur. iſtas quinque partes in oratione dicitur; egreſſio eſt. eſt, quâ unuſquiſque poteftintelligere, cùm de Hæc nagex aois, quoniam à reco dicendi itinere defc. æquo quæritur & bono. Dividuntur in cauſam , : &itur quælibet inſerendo. Bbbb ij Quid fine ci 564 Caffiodorus Quidfit con Um. res, in qua cauſa conſiſtit. Fit autem ex intentio ne & depulfione , vel conftitutione. ab alio objicitur, ab adverſario pernegatur, Statum alii vocant conftitutionem , alii qua 2. Finitivus ſtatus cſt, cùm id quod objicitur, jocuralis fia. {tionen , alii quod ex quæſtione appareat. non hoc efle contendimus : fed quid illud lit, ad hibitis definitionibus approbamus. Quid fam.si Status rationales ſecun Conje & ura. 3. Qualitas eft , cùm qualis res lit, quæritur ; dum generales quæſtio Finis. & quia de vi & genere negotii controverſia elt, nes ſunt quatuor. Qualitas. conſtitutio generalis vocatur. Tranſlatio . 1. Conjecturalis ſtatus eft , cùın factum , quod Imprudentia ( Purgatio Caſus. Concellio Juridicialis Abſoluta Aut caufæ , Nixologian Remotio Aur facti. 3 criminis Negotialis aitam Cui juftè in aliocom generalis Relatio mittitur, quia & ifle in GegyueTiku priva criminis te fæpius commifin Αντίγκλημα.. Deprecatio Neceflitas. Qualitas Comparatio Squando melius id Αντίστασης . factum peragitur. 1 ſunt quinque ! с 12. 1 1 in Pſal. paz . ratio, Juridicialis eft , in qua æqui &re &ti natura , Questas Ju. ſ Scriptum& voluntas. riuscialis præmii & pænæ ratio quæritur. Porov ij dienoido Quid Nego Negotialis eſt , in qua, quid juris ex civili mo Sätus Legales Leges contrariæ , tizivs. re & æquitate lit , confideratur. Ambiguitas. Αμφιβολία . Quid Abfo luta . Abſoluta eft , quæ ipfo in ſe continet juris & Collectio , live Raciocinatio . injuriæ quæſtionem . Συλλογισμός purua Raid Allium . 'Affumptiva eſt, quæ ipfa exſe nihil dat firmi, Definitio Legalisa . aut recuſationem foris , aut aliquid defenfionis aſſumit. Scriptum & voluntas eſt, quando verba ipſa quid.fcripti Quid con Conceſſio eſt, cum reus non id quod factum eſt, videntur cum ſententia ſcriptoris dillidere. & voluniss. defendit: fed , ut ignofcatur , poftulat; quod nos Legis contrariæ ſtatus eſt, quando inter fe duz Quid legis Comment. ad pænitentes* probavimus pertinere. leges, aut pluresdiſcrepare videntur. contrarieta Remotio criminis eft , cùm id crimen quod in Ambiguitas eſt , cùm id quod fcriptum eſt, tus, 169.1.09103. ferrur ab fe &ab ſua culpa , vi & poteftate in duas auc plures res ſignificare videtur. Quid Ambi aligin reus dimovere conatur. guitas. Collectio Quid Remo , quæ & Ratiocinatio nuncupatur, Quid Colle tio criminis. Relatio criminis eſt , cùm ideo jure factum di- eſt quando ex eo quod fcriptum eſt, invenitur, ft :0. Quid Relatio citur , quod aliquis ante injuriam laceſſierit. , Definitio legalis eſt , cum vis verbi quaſi de criminis. erid Defini Comparatio eft , cùm aliud aliquod alterius finitivâ conſtitutione , in qua pofita fit , quz- tio legalis. Quil Compa. factum honeſtum aut utile contenditur , quod, ricur. ut fieret illud quod arguitur , dicitur eſſe com Status ergo tam rationales quam legales à Statusà qui iniffum . quibuſdam decein & octo connumerati ſunt. bullam 18. 2 Quid Purga Purgatio cft , cùm factum quidem conceditur, Cæterum ſecundum Rhetoricos Tullii decem & Tullio verò bes partenha- fedculparemovetur. Hæc partes habertres,Im- novem inveniuntur , propterea qudd Tranſlatio- 19.numeran prudentiam , caſum , neceſſitatem . Impruden- nem interRationales principaliter adfixit ftatus. tia eft, cùin fciſfe fe aliquid is qui arguitur,negat. Unde feipfum eciam Cicero ( ſicut ſuperiùs di Caſus eſt , cum demonſtratur aliquam fortune &tum eſt ) reprehendens, Tranſlationem Legalia vim obſtitiffe voluntati. Neceſſitas eſt , cùm vi bus ftatibus applicavit. quadam reus id quod fecerit , feciſſe ſe dixerit. Quid ft De precatio . Deprecatio eſt , cùm & peccaffe , & conſultò De Controverfia. peccaſſe reus conficetur ; & tamen , ut ignoſca Quid Trans- tur,poftulat.Quodgenus perraro poteft accidere. Omnis controverſia , ſicut ait Cicero , aut fim- Controverfis ex Cicerone lario. 4. Tranſlatio dicitur , cùm caufa ex eo pendet, plex eſt, aut juncta , aut ex comparatione. triplex eft. cùm non aut is agere videtur , quem oportet: aut Simplex eſt, quæabſolutam continet unam Quid fit com non cum eo, quioportet : aut non apud quos, quo quæſtionem , hoc modo: Corinthiis bellum indi- jeftura fim tempore , qua lege , quo crimine , qua pæna cenus, án non. plex . oporteat. Tranſlationi adjicitur Conſtitutio, Juncta, eſt ex pluribus quæſtionibus , in quòd actio tranſlationis &commutationis indi- plura quæruntur hocpacto:Carthagodiruatur: Quid juncts . an Carthaginienſibus reddatur , an eocolonia de Ubi adverſariis omnia conceduntur , & per colas ducatur. lacrymas lupplices defenditur reus. Ex comparatione, utrum potius, an quod po- Quid ex com paratione, a Et ſi juncta erit conſiderandum erit , utrum ex plu ribus quæftionibus juncta fit, an ex aliqua cóparatione. tur. H : gere videtur. 1 De Rhethorica. 565 > Exorarum . rario , t11.0 . tiſſimum quæritur ad hunc modum : utrum exer Exordium , eft oratio animum auditoris ido Quit fis cituscontra Philippum in Macedoniam mittatur, neè comparans ad reliquam dictionem . qui ſociis fit auxilio : an teneatur in Italia ; ut Narratio , eft reruin geftarum , aut at geſta- Quid Nar quàmmaximæ contra Annibalem copiæ fint. rum expoſitio. Partitio eft, quæ fi re &tè habita fuerit , illu- Quid Per , DE GENERIBUS CAUSARUM . ftrem &perfpicaam roram efficit orationem . Confirmatio eft, per quam argumentando no- Qrid Confir Genera cauſarumfunt quinque. ftræ caufæ fidem , & authoritatem , & firinamen- mario . tum adjungit oratio. Honeſtum . Reprehenfio eft per quam argumentando ad- Quid Repre Admirabile . verſariorum confirmatio diluitur, aut elevarur. henfio. Humile . Concluſio eſt exitus & determinatio totius exid con Anceps. orationis , ubi interdum & Epilogorum allegatio cnfio. Obſcurum . flebilis adhibetur. Hæc licer Cicero Latinæ eloquentiæ Lumen Duos libros Quid honefti Honeſtum caufæ genus eft , cui ſtatim fine ora- eximium , per varia volumina copiosè ninis & de Rethorica cauſæ genus. tione noftra favet auditoris aniinus. Admirabile diligenter effuderit, & in arte Rhetorica duobus compoſuit ci Admirabile, à quo quod eft pre eft alienatus animus eorum , libris videatur amplexus ; quorumCoinmenta à cero, quosM. Victorinus ter opinio- qui audituri ſunt. Mario Victorino compoſita, in Bibliotheca mea commentatus num hominü Humile eft, quod negligitur ab auditore ', & vobis reliquiffecognoſcor. eft. conftitutum . nonmagnopere attendendum videtur. Quintilianus etiain Doctor egregius , qui poſt Quintiliansis Quid Admi. rabile. Anceps in quo aut judicatio dubia eft , aut Auvios Tullianos fingulariter valuit implere quæ Doctor egre Quid Humile cauſa &honeſtatis & turpitudinis particeps , ut docuit , virum bonum dicendi peritum à priinâ gius in Rhe. Qivid Anceps benevolentiam pariật , &offenfionem . ætate fuſcipiens, per cunctas artes, ac diſcipli- sorica doceka Puid'obfcs Obſcurum , in quo aut tardi auditores funt,aut nas nobiliuin litterarum erudiendum eſſe mon difficilioribus ad cognoſcendum negotiis cauſam ftravit. Libros autein duos Ciceronis, de arte implicata eft. Rhetorica , & Quintiliani duodeciin inſtitutio num ! judicavimus eſſe jungendos ; ut nec codi DE PARTIBUS RHETORICÆ cis'excrefceret magnitudo , & utrique duin ne ceffarii fuerint , parati feinper occurrant. Partes orationis Rhetoricæ funt fex . Fortunatianum verò Doctorem novellum , Fortunatik . qui tribusvoluninibus de hac re ſubtiliter minu- nustria ro Exordium . tèque tractavit ; in pugillari codice Rhetorica Narratio . congruenterquc redegimus; ut &faſtidiuin lecto confecis. Partitio . ri tollat , &quæ ſuntneceffaria competenter in Confirmatio. ' finuet. Hunc legat qui brevitatis amator eft, Reprehenfio . nam cum opus ſuum in multos libros non teten Concluſio , five derit : plurima tamen acutiffimâ ratiocinatione Peroratio . diſſeruit.Quos codices cum præfatione ſua in uno corpore reperietis eſſe collectos. DE RHETORICA ARGUMENTATION E. da. tim lumina de aptè lorfitan , Rhetorica Argumentatio fit. Illatio quæ r Propoſitio | Aut per Inductio- ! nem cujusmembra &Affumptio funt hæc. dicitur. | Concluſio ina tayo Rhetorica Argu mentatio tracta tur. rEvdúcemus.Talo PEYSúumps, eſt commentum , Convincibili. vel commentio ' , hoc eſt | Oſtentabili. mentis conceptio. 3 Sententiabili. Exemplabili. Txer Suunne, qui eft imper- iCollectitio. fectus fyllogylinus , atque Rethoricus , ficut Fortuna tianus dicit , in generibus i explicatur. azódseçu eſt cer ta quædam argu menti concluſio vel ex confe quentibus , vel repugnantibus. Aut perRatiocina tionem de Argu mentis , in quo no mine complectun Atodict. tur , quæ Græci di cunt. Emxelamud too s Emreignus , eft fententia cum fatione , Latinè dicitur Exe čutio , vel Approbatio , vel Argumentum 11.apemrbiem uc verò , qui eſt Aut Tripertitus. Rhetoricus & latior fyllogyf: 3 AutQuadripercitus. Aut quinquepertitus. | mus eft. 566 Caffiodorus Unde Argu titus. ductio . Mem2. cit . mêtatiodista. Argumentatio dicta eſt quaſi argutæ mentis rici ſyllogiſmi, latitudinediſtanz& productione oratio . fermonis à dialecticis fyllogiſmis , propter quod Quidfit Ar Argumentatio eſt enim oratio ipſa, qua inven- Rhetoribus datur. gumentatio. tum probabiliter exequimur argumentum . Tripertitus , epichirematicus fyllogiſmus eſt; Quid Triper Quid fit In Inductio eft oratio,qua rebusnon dubiis capra- qui conſtat inembris tribus : id eft, propoſitione, mus aſſenſionein ejus, cum quo inſtituta eſt ,live aſſumptione, concluſione. inter Philofophos , ſive interRhetores , five inter Quadripertitus eſt , qui conſtatmembris qua- Quid Quz Seriocinantes. tuor: propoſitione , affumptione, & una propo- dripernicus. Quid Probo Propoſitio inductionis eſt ,quæ fimilitudines fitionis live afſuinptionis conjuncta probatione, fitio. concedendæ rei unius inducit , aut plurimaruin . & conclufione. Quid illatio. Illatioinductioniseft, quæ & affumptio dicitur, Quinquepertitus eſt,qui conſtat membris quin- Que de Marine quæ rem dequa contenditur, & cujus cauſa ſimi- que:id eft ,propoſitione ,& probatione , aſſum- quepertiim , litudines adhibitæ ſunt introducit. ptione, & ejus probatione , & concluſione. Quid con Concluſio inductionis eſt, quæ aut conceſſio . Hunc Cicero ita facit in arte Rhetorica: Si de clulo. nem illationis confirmat , aut quid ex ea confi- liberatio & deinonſtratio genera ſunt cauſarum , ciatur , oftendit. non poffunt rectè partes alicujus generis cauſa Qwid Ratio Ratiocinatio eft oratio , quâid de quo eft quæ- putari. Eadem enim res , alii genus, alii pars effc cinatio. ítio comprobamus. poteft: idem genus , & pars effe non poteſt, vel Quid Enthy Enthymema igitur eſt, quod Latinè interpreta- cætera ; quoufque fyllogiſini hujus meinbra clau cur mentis conceptio , quam imperfectum fyllo- dantur. Sed videro quantum in aliis partibus giſmum ſolent Artigraphi nuncupare. Nam in lecter ſuum exercere poſſit ingenium . duabus partibus hæc argumentiforma conſiſtit: Memoratus aurein Fortunatianus in tertio libro quando id quod ad fidein pertinet faciendam , meminit de oratoris memoria , de pronuntiatio utitur fyllogiſmorum lege præterita ; ut eſt illud: ne, & voce , unde tainen Monachus cum aliqua Si tempeſtas vitanda eſt , non eft igitur navigan- utilitate diſcedit: quando ad ſuas partes non im dum. Exſola enim propoſitione & conclufione probè videtur attrahere , quod illi ad exercendas conítat effe perfectum : unde magis oratoribus, controverſias utiliter aptaverunt. Memoriam { i quàm dialecticis convenire judicatum eſt. De quidem lectionis divinæ re cognita cautela ſerva dialecticis autem ſyllogiſinisſuo loco dicemus. bit, cùm in ſupradicto libro ejus vim qualitatém Quid con Convincibile eft ,quod evidenti ratione * con- que cognoverit: artem verò pronuntiationis in *AIS.convin .vincitur ;ſicut fecit Cicero pro Milone. Ejusigi- divinæ legis effatione concipiet. Vocis autem di tur mortis ſedetis ultores, cujus vitain , li * putetis ligentiam in pſalmodiæ decantatione cuſtodiet. * Ed . poſetis. per vosreſtitui poſſe, noletis. Sic inſtructus in opere ſancto redditur, quamvis Quid Ofien Oſtentabile eft , quod certa reidemonſtratione libris ſæcularibus occupetur. rabile. conſtringit ; ſic Cicero in Catilinam : Hic ramen Nunc ad Logicam , quæ & Dialectica dicitur, vivit , imò etiam in Senatuin venit. ſequenti ordine veniamus, quam quidam diſci Quid Senten tiabile. Sententiale eft , quod ſententia generalis addi- plinain , quidam artem appellare maluerunt , di cit ; ut apud Terentiun: Obſequium amicos,ve centes : quando apodicticis ,id eſt , probabili ritas odium parit. bus diſputationibus aliquid diſſerit , diſciplina Quid Exem plabile . Exemplabile elt , quod alicujus exempli com- debeat nuncupari: quando verò aliquid verilimi M. G. ini. paratione eventum fimilem comminatur ; ſicut le tractat , ut ſunt ſyllogiſini ſophiſtici, nomen Cicero in Philippicisdicit:Temiror,Antoni,quo- artis accipiat. Ita utrumque vocabulum pro ar *M.G. per- rum facta * imitere , eoruin exitus , non * per- gumentionis ſuæ qualitate promeretur. timefcere, horrefcere. Quid Colle Collectivum eſt, cùm in unum , quæ argumen CAPUT TERTIUM. tata funt , colliguntur ; ſicut ait Cicero pro Milo ne : Quem igitur cum gratia noluit, hunc voluit De Dialectica cuin aliquorum querela, quemjure , quem loco, quem temporemoneftaulus: hunc injuria ,alie- DJalecticam primiPhiloſophi indi&ionum no cum periculo non dubitavit occidere. runt : non tamch ad artis redegereperitiam. Poſt Ed. deftris Præterea ſecundum Victorinum Enthymematis quos Ariſtoteles, ut fuit * diſciplinarum omniun altera eft definitio. Ex fola propoſitione,ſicutjam diligens inquiſitor , ad regulas quaſdam hujus Ariffoseler dictum eſt , ita conſtat Enthymema ; ut eft illud : doctrinæ argumenta perduxit, quæ priùs ſub cer- Dialectice Si tempeſtas vitanda eſt , non eſt navigatio requi- tis præceptionibus non fuerunt. Hic libros fa- argumenta ad regulas renda. Ex fola aſſumptione s ut eſt illud : Sunt ciens exquiſitos, Græcorum ſcholam multiplici quafdamper autem qui munduin dicantfine divina adminiſtra- laude decoravit ; quem noftri non perferentes duris. tione diſcurrere. Ex folaconcluſione ; ut eft il- diutiùs alienum , tranſlatum expofitúmque Ro Dialecticam lud : Vera eſt igitur divina * fententia. Ex pro- manæ eloquentiæ contulerunt. Dialecticam verò , *MS. fcick poſitione& affumptione; ut eft illud: Si inimicus &Rhetoricam Varro in nove;n diſciplinarú libris canin move eſt, occidit. Inimicus autem eſt : & quia illi deelt tali funilitudine definivit. Dialectica & Rhetori- libris Vaira .conclufio, Enthymnema vocatur. Sequitur Epi- ca eſt, quod in manu hominis pugnus adſtrictus, definivit. chirema. & palma diſtenſa : illa brevi oratione argumenta Quid Epic Epichirema eft , quod fuperiùs diximus, dels concludens, iſta facundiæ campos copioſo fer chirema. cendens de ratiocinatione latior excurfio Rheto- mone diſcurrens : illa verba contrahens , ifta di Itendens. & Argumentum eſt argutæ mentis indicia quod per indagationes probabiles ,rei dubiæ perficitfidem,per Rhetoricaad illa ,quæ nititurdocenda, facun- pomaleticom Dialectica fiquidem ad differendas res acutior: Que fic diffe excmpla confirmans; ut eft : Noliæinulari in malignan tibus : quoniam tanquain fænum , &c. dior. Illa ad ſcholas nonnumquam venit , iſta ju. & Rhetori saris. Zivim. n.19167 . & Rhetoria 64m. De Dialectica.. son quenter. girer procedit in forum : illa requirit rariſſimos & noftræ diſpoſitionis curràtintentio. Conſue * MSS.fre- ftudiofos , hæc * frequentes populos. Sed priul- tudo iraque eft doctoribus philoſophiæ , ante quam de fyllogiſmisdicamus , ubi totius Diale- quam ad Iſagogen veniant exponendam , divis dicæ utilitas & virtusoſtenditur, oporter de ejus lionem philoſophiše paucis attingere :quam nos initiis , quaſi quibuſdam elementis , pauca diffe- quoque ſervantes; præſenti tempore non immer cere; ut ficut eſt à Majoribus diſtinctus ordo , ita ritò credimus intiinandain , Philofophiæ divifio. In Inſpectivam , TIXMT, hæc dividitur in In Naturalem . | Doctrinalem , hæc ( In Arithmeticam dividitur Muficam . Geometricain. Divinain . Aftronomicain Diviſt thing Lofophiæ. Philoſophia divi ditur fecundum Ariftotelem . Moralem . | Sirir. Er Actualeta Ciſpenſativa , Φρακτικών PorxorowyXXV. hæc dividitur in Civilem . ίπολιτική » ACETA! oixorouexin . weg.Xti xh. νομοθεπκό ., thesxor. Sewertexn . . φυσική . Definitiò Philos fophiæ. megatoxin. resnio intoxin . 23 Quid 1 3. Dirogoera oroimene Occs Kated to duratór ávöçóórw. plina quæ curſus cæleftium , fiderumque figuras homophine en Philoſophia eft divinaruin , humanarùmque re contemplatur omnes , &habitudines ftellaruni quotuplex. rum , inquantum homini poſſibile eſt , probabilis circa ſe; & circa terram , indagabili ratione per Ycientia: Aliter,Philoſophia eſt ars artiuni, & dif- currit. Actualis dicitur, quæ res propoſitas ope ciplina diſciplinarum.Rucſus, Philoſophia eſtme, rationibus ſuis explicare contendit. Moralis di ditatio mortis,quod magis convenit Chriſtianis, citur , per quam mos vivendihoneſtus appetitur; 2.Corint. 16. qui ſæculi ambitione calcata , converſatione dif- & inſtitura ad virtutem tendentia præparantur. ciplinabili , fimilitudine futuræ patriæ vivunt; Diſpenſativa dicitur , domeſticaruin reruin fa Philip. 3. 20. Sícut dicitApoftolus : In carne enim ambulantes, pienter ordo diſpoſitus. Civilis dicitur, per quàm non ſecundum carnem militamus ; & alibi: Con- totius civitatis adminiſtrarur utilitas. Philoſo verſatio noftra in calis eft. Philofophia eſt affimi- phiæ diviſionibus definitionibúſque tractatis, in lari Deo ſecundum quod poflibile eft homini. quibus generaliter omnia continentur , nunc ad Inſpectiva dicitur,qua ſupergreſſi vilbilia de di- Porphyrii librum , qui Iſagoge inſcribitur, acce vinis aliquid & cæleſtibus contemplamur, eáque damus. mente foluinmodo contuernur , quantum corpo De Iſagoge Porphyrii. reum ſupergrediuntur aſpectum . Naturalis dici tur,ubiuniuſenjufque rei natura diſcutitur: quia de Genere. Dávc . nihilcontra'naturain generaturin vita: ſed unun | de Specie. tidos. quodque hisufibus deputatur , in quibus à Crea- llagoģe Por de Differentia. Depoeg tore productú eit: nifi fortè cum voluntate divina phyrii tractat de Proprio. ibor aliquod miraculuin proveniremonſtrerur.Doctii i de Accidente, συμβεβηκός. *MSS. figni- nalis dicitur ſcientia , quæ abſtractam * conſiderat ficar. quantitatem . Abſtracta eniin quantitas dicitur, Genus eft ad fpecies pertinens, quod de diffe- Quid fit Ge quam intellectu àmateria ſeparantes ,vel ab aliis rentibus fpecie , in co quod quid ſit, prædicatur; nun accidentibus ; ut eſt , par, impar: vel alia hujuſce ut animal. Per ſingulas enim fpecies , id eft, modi in ſola ratiocinatione rractainus. Divinalis hominis , equi, bovis , & cæterorun,genus anis dicitur, quando aụt ineffabilem naturam divi- mal prædicarur atque ſignificatur, nam , aut ſpirituales creaturas ex aliqua parte, Species eſt , quod de pluribus & differentibii's Quid fit Spo profundifſimâ qualitate differimus. Arithinerican numero, in eo quod quid fit, prædicatur ; nam cies, eſt diſciplina quantitatis numerabilis ſecundum de Socrate , Platóne , & Cicerone homo prædi ſe. Muſica, eſt diſciplina quæ de numeris loqui- catur. tur , quiad aliquid ſunt his , qui inveniuntur in Differentia eſt , quod de plaribus & differen » Quid fit Dif". ſonis. Geometrica, elt diſciplina magnitudinis tibus ſpecie ,in eo quod quale ſit,prædicatur; ſicuc erensia, immobilis,&formarum . Aftronoinia,eſt diſci- rationale & inortale,in eoquodquale ſit, dc ho- f mine prædicatur, 568 Caffiodorus € lcens . men . atque bos. Tulum , Quid fit Pro Proprium eſt , quod unaquæque ſpecies , vel Hoc opus Ariſtotelis intentè legendum eſt, cur Carego prium. perſona certo additamento infignitur, &ab om- quando ficut dictum eſt ; quicquid hoino loqui- rie Ariftotelis ni communione feparatur. tur, inter decem ifta Prædicamenta inevitabili, intentè les erid fut Ac. gende. Accidens eſt , quod accidit & recedit præter ter invenitur : proficit etiam ad libros intelligen ſubjecti corruptionem : vel ea quæ fic accidunt, dos , qui live Rhetoribus, fivc Dialecticis appli ut penitus non recedant. Hæc qui pleniùs noſſe cantur. deliderant , Introductionem legant Porphyrii ; * £ d.alicujus quilicetad utilitatein * alieni operis ſedicatſcri Incipitperi hermenias , id eft , de inter bere, non tamen ſine propria laude viſus eſt talia pretatione. dicta futinafle. Sequitur liber peri hermenias ſubtiliſimus rii Categorie Ariſtotelis. mis , & per varias formas , iterationéfque cautif ſimus, de quo dictuin eſt : Ariſtoteles, quando Sequuntur Categorix Ariſtotelis, ſive Prædi- librum peri herinenias ſcriptitabat , calamum in camenta : quibus mirum in modum per varias fi- mente tingebat. gnificantiasomnis fermo concluſuseſt : quorum De nomine. organa ſive inftruinenta ſunt tria. De verbo . Inftrumenta Organa vel inſtrumenta Categoriaruin five In libro peri hermenias; De oratione , drogoriarum ( rent tria , /ci Prædicamentorum funtæquivoca , univoca, de- id eft, de interpretatio De enunciatione. licet. nominativa. ne, prædictus philofo De affirmatione. Æquivoca. Æquivoca dicuntur, quorú noinen folùm com- phusdehis tractat. De negatiore. mune eft , fecundùm nomen verò ſubſtantiæ ratio Decontradictione, diverſa ; ut animal, homo, & quod pingitur. Vniyoca , Univoca dicuntur , quorum & noinen com Nomen, elt vox fignificativa ſecundùm placi- quid fitmoi mune eſt, & ſecunduin nomen diſcrepare eadem tum, ſinė tempore: cujus nulla pars eſt ſignificati ſubſtantiæ ratio non probatur: ut animal , homo, va ſeparata: utSocrates. Verbum , eſt quod conſignificat tempus : cujus Quid forver Deuominati Dena ninativa , id eſt , derivativa , dicuntur pars nihil extra ſignificat , & eſt ſemper eorum bum, quæcuinque ab aliquo ſola differentia caſus ſe- quæ de altero dïcuntur nota ; ut ille cogitat, dil cundum noinen habent appellationem : ut å putat. grammatica gramınaticus,& à fortitudine fortis. ' Oratio , eſt vox fignificativa , cujus partium Quid ſit örä aliquid * feparatim ſignificativum eſt ; ut Socrates to Subſtantiaa sola, diſpucat. * MSS.lepa | Quantitas, mosotas. Enuntiativa otàtio, eſt vox ſignificativadeeo Quid fit Ad aliquid . ney's Fan quod eft aliquid , vel non eſt ; ut Socrates eſt , So- Enuntiatid. Ariſtotelis Ariſtotelis Catego Qualitas. TÓTUS. crates non eſt . Categorie riæ, vel Prædicamen- į Facere. FOREV. Affirinatio , eft enuntiatio alicujas de aliquo: quid fit Af son decem. ra decem ſunt Pati. PeoMHT. ur Socrates eſt. formatio. Situs. ευρώς . Negatio , eft alicujus de aliquo negatio : ut So- luid fitNe. Quando. done. crates non eſt. gatio. Ubi. Contradictio , eſt afficmationis & negationis euid fitcom | Habere. ( xar. oppoſitio: ut , Socrates diſputat , Socrates non diſputát. Subſtantia elt , quæ propriè , &t principaliter Hæc omnia per librum ſuprà memoratum mi. Liber Pero Hermenias & maxiinè dicitur ; quæ neque de ſubjectopræ- nutiſſimè diviſa ; & ſubdiviſa tractantur, quæ Boetio feprem dicatur, neque in ſubjecto eſt ; ut aliquis homo, breviter intimnaſſe ſuffciat, quando in ipfo com- libris expoſé vel aliquis equus. Secundæ autem ſubftantiæ di- petens explanatio reperitur : maximè cùin eum tu . cuntur, in quibus ſpeciebus , illæ quæ principa- Tex libris àBoëtio viro magnifico conſtet expoſi liter ſubſtantia primò dicta ſunt, inſunt atque tum , qui vobis inter alios codiceseſtrelictus. clauduntur ; ut in homine , Cicero . Nunc ad fyllogiſticas ſpecies formulaſque vea Quantitas Quantitas aur diſcreta eſt, & habet partes ab nianus, in quibus nobilium Philofophorum ju aplex, aiſ alterutrodiſcretas ,nec eominunicantes , ſecun- giter exercetur ingenium , dum aliquem communem terminum , velut nu merus, & ſerino quiprofertur; aut continua eſt, De Formulis ſyllogifmorum. & habet partes quæ ſecundum aliquem coinmu* nein terininuin adinvicem convertuntur ; velut (in priina forinula modi no linca, ſuperficies, corpus,locus, motus,tempus. Forinulæ Categori Ad aliquid verò funt , quæcumque hoc ipſo coruin , id eſt, Præ-, In ſecunda formula modi Formale ca quod ſunt, aliorum eſſe dicuntur ; velur majus, dicativorum ſyllo quatuor. duplum ,habitus , difpofitio ,ſcientia, ſeriſus, gilmorú ſunttres. | In tertia formula modi politio. i ſex. Qualitas , eſt , fecundum quam aliqui quales dicimur ; ut bonus, malus. Modiformule prime ſunt novem . Facere eſt , ut ſecare , vel urere , id eft , ali quid operari. Pati eſt , ut ſecari , vel uri. Primus modus eſt , quiconcludit , id eft, qui Situs , eft , ut ftat , ſeder , jacet. Quando colligit ex univerſalibus dedicativis , dedicati eft , ut hefterno, vel crás. vum univerſale directum ; ut, omne juſtum ho Ubi eſt : ut in Aſia , in Europa , in Lybia. neſtum , omne honeftum bonum , omne igitur Habere eft : ut calccatum , velarmatum effe. juſtum bonum . Secundus ött . tradictio, nos creta , con sinna , vem . tegoricum Syllogiſmorum funt tres. DeDialectica. 569 * Ed, concler dit. per quæ ſubti Secundus moduscft, qui * conducit ex univer- rivis particulari & univerfali dedicatvium parti ſalibus dedicativâ & abdicativâ abdicativum uni- culare directum : ut quoddam juſtam honeſtum , verſale directum : ut oinnejuſtum honeſtum , nul- omne juſtum bonum , quoddam igitur honeſtuin lum honeſtum turpe , nullum igitur juſtum bonum . turpe. Tertius modus eſt , quiconducit ex dedicativis Tertius modus eſt , qui conducir ex dedicativis univerſali & particulari dedicativum particulare particulari & univerſali,dedicativum particulare directum : ut , omne juſtum honeftuin , quod directum : ut quoddam juftum eft honeſtum ,om- dam juſtuin bonum, quoddam igitur honeſtum ne honeftuin utile, quoddam igirur juftumn utile. bonum . Quartusinodus eſt , qui conducitex particulari Quartus modus eſt , quiconducit ex univerſa dedicativa, &univerſali abdicativa, abdicativum libusdedicativa & abdicativa abdicativum parti particulare directum : ut quoddam juſtum hone- culare directum : utomne juſtuin honeſtuin , nul Itum , nullum honeftunı turpe , quoddam igitur lum juſtum malum , quoddam igitur honeſtum juſtum non eft turpe. non eſt malum . Quintus modus eſt, qui conducit ex univerſa Quintus modus eſt, qui conducit ex dedicativa libus dedicativisparticulare dedicativum per re- particulari & abdicativa univerſali abdicativum Mexionem : ut omne juftum honeſtum , omne ho- particulare directum : ut , quoddam juſtum , ho neftum bonum , quoddam igitur bonum juſtum . neſtum , omne honeſtum bonum ,igitur quoddan Sextus modus eft , qui conducit ex univerſali honeftum non eft malum. dedicativa, & univerſali abdicativa , abdicativum Sextus modus eſt , qui conducit ex dedicativa univerſale per reflexionem : ut omne juſtum ho- univerſali & abdicativa particulari abdicativum neltuin , nulluin honeſtum turpe, nullum igitur particulare directum : ut,omnejuſtum honeſtum , turpe juftum . quoddam juſtum non eſt malum , quoddam igi Septimusmodus eſt ,quiconducit ex particulari tur honeſtuin non eſt malum. & univerſali dedicativis dedicativum particulare Has formulas Categoricorum ſyllogiſmorum reflexionem : ut quoddamn juftum honeſtum , qui plenè nofſe deſiderat , librum legat, quiin Liber Apa!e omne honeſtum utile,quoddam igitur utile juſtú. fcribirur -Peri hermenias Apuleii, & qui inſcribi : Odavus modus eft , qui conducirex univerfa- lias ſunt tractata , cognoſcet. Nec faſtidium no- tur Peri her libus abdicativa & dedicativa particulare abdica- bis verba repetita congeminent ; diftin &ta enin, menias , le tivum per reflexionein : ut nullum turpe hone- atque conſiderata , ad magnasintelligentiæ vias, gendus. ftum , omnehoneſtum juſtum , quoddamn igitur præftante Domino,nosutiliter introducent.Nunc juſtum non eft turpe. ad hypotheticos fyllogiſinos , ordine currente, Nonas modus eit , qui conducit ex univerſali veniainus abdicativa, &particulari dedicativa abdicativum particulareper reflexionem:velut nullumturpe Modi Gyllogiſmorim hypotheticorum ,qui fiunt Modifyllogif morum hyposs honeſtun , quoddam honeſtum juſtum , quoda cum aliqua conjunctione, Jeptem funt. dam igitur juſtum non eſt turpe. funt feptem . Primus modus eſt , velut : Si dies elt, lucer ; eſt Modi formuleſecunda funt quatuor. autein dies ; lucet igitur. Secundusmodus eft ita : ſi dies eſt, lucet , non Primus modus eſt , qui conducit ex univerſali- lucet ; non eft igitur dies. bus dedicativa & abdicativa abdicativum univer- Tertius modus eſt ita : non & dies eſt & nonlu fale directum : velutomne juſtum honeſtum ,nul- cet , atqui dies eft, lucèt igitur. lum turpe honeftum ,nullum igitur juſtum turpe. Quartus modus eft ita : aut nox, aut dies eft, at Secundus modus eſt , quiconducit ex univerſa- qui dieseſt , non igitur nox eſt. libus abdicativa & dedicativa abdicativum uni Quintus moduseſt ita : aut dies eſt, aut nox, at-. verſale directuin : velut nullum turpe honeftum , qui nox non eſt , dies igitur eſt. omne juſtum honeſtum , nullumigitur turpe Sextus inodus eſt ica : non & dies eſt, & nonlu juftum cet , dies autem eſt , nox igitur non eſt. Tertius modus eſt , quiconducit ex particulari . Septimus modus eſt ita :non & djes eft & nox , dedicativa & univerfali abdicativa ab licativum atqui nox non eſt , dies igitur eſt. particulare directum : veluc quoddam juftum ho Modos autem hypotheticorum ſyllogiſinorum neſtum , nulluin turpehoneftum , quoddam igi- fi quis pleniùs noſſe deſiderat, legat librum Marii Marius Vi tur juſtum non eſt turpe. Victorini , qui inſcribitur de fyllogiſmis hypo- &torinus librá Quartus r.odus eſt, quiconducit ex particu- thericis. Sciendum quoque , quoniam Tullius de hypotheti: lari abdicativa & univerfali dedicativa abdicati- Marcellus Carthaginenſisde categoricis & hy- edidit. vum particulare directum : velut quoddamn juftum potheticis fyllogiſmis , quodà diverfis philoſo: TulliusMar non eſt turpe , omne malum turpe , quoddam phislatiſſimè dictum eft, feptem libris breviter cellus igitur juſtuin non eft malum , ſubtilitérque tractavit ; ita ut priino libro de re: thag. de Syl gula, ut ipſe dicit, colligentiarum artis Dialecticæ logiſmis Modi formula tertiæfunt fex. diſputaret ; &quod ab Ariſtotele de categoricis compofuit. ſyllogiſmis multis libris editum eſt , ab ifto fecun Primus modus eſt , qui conducit 'ex dedicativis do & tertio libro breviter expleretur ; quod aut univerfàlibus dedicativum particulare , tam dire- tem de hypotheticis ſyllogiſmis à Stoicis innume Etuin , quàm reflexum : ut omne juſtum hone- ris voluminibus tractatum eſt , ab iſto quarto & ftum , omne juſtum bonum , quoddam igitur ho- quinto libro colligeretur. In fexto verò de inix neftum bonum vel quoddamn bonum ho- tis fyllogiſinis , in ſeptimo autem de compoſitis neftuin . diſpucavit ; quem codicem vobis legendum re-, Secundus modus eſt , qui conducit ex dedica- liqui. cccc theticorum Car Jeprem libros > $ 70 Caffiodorus Quid las Depnilio. 1 .1 1 longum viaticum : modò ut laudet , ut adolers De Definitionibus. centia eſt Aos ætatis . Octava ſpecies definitionis eft , quain Græci Hinc ad pulcherrimas definitionum ſpecies ac- x7 a paistoin rõ Evertix vocant , Latini per pri cedamus , quæ tantà dignitate præcellunt , ut pof- vantiam contrarii ejus quod definitur, dicunt; up ſont dici orationun maxiinuin decus , & quædam bonum eſt, quod malum noneft: juftuin eſt, quod lumina dictionuin . injuſtum non eft. Et his fimilia : quod fe ita na Definitio verò , eſt oratio uniuſcujuſque rei turaliter ligat , ut neceſſariam cognitionem fibi naturam à communione diviſam , propria ſignifi- unius comprehenſione connectat. Hoc autem catione concludens : hæc multis modis , præce- genere definitionis uti debemus, cùm contrarium priſque conficitur. notun eſt ; nam certa ex incertis nemo probat. Definitionum prima eſt óvoradcas , Latinè ſub- Sub qua ſpecie ſunt hæ definitiones . Subſtantia ftantialis , quæ propriè & verè dicitur definitio ; eft , quod neque qualitas eſt, neque quantitas, ne or eſt, homoanimalrationale mortale , ſenſus dif- que aliqua accidentia : quo genere definitionis ciplinæque capax ;llæc enim definitio per fpecies Deus definiri poteſt ; etenim cùm quid fit Deus, & differentiasdeſcendens, venit ad proprium , & nullo modo comprehendere valeamus : ſublatio deſignat plenillimè quid ſit homo . omniuin exiſtentium , quæ Græci örta appellant, Sccunda eſt ſpecies definitionis , quæ Græcè cognitionem Dei nobis circumciſa & ablata no ŽVYOMMA TIx ) dicitur , Latinè notio nuncupatur : tarum rerum cognitione ſupponit ; ut li dicamus , quam notionem communi,non proprio nomine Deus eſt , quod neque corpus eſt , neque ullum poffumus dicere. Hæc iſto modo ſemper effici- elementum , neque animal , neque mens , neque cur : Homo eſt, quod rationali conceptione & ſenſus , neque intellectus , neque aliquid , quod exercitio præeſt animalibus cunctis. Non eniin ex his capipoteſt ; his enim ac talibus ſublatis , dixit, quid eſt homo , ſed quid agat , quaſi quodam quid fit Deus , non poterit definiri . figno in notitiam denotato . In iſta enim &in re Nona ſpecies definitionis eſt , quain Græci liquis notio rei profertur : non ſubſtantialis , ut Kåtalnooi , Latini per quamdam imaginatio in illa primariaexplanatione declaratur ; & quia nem dicunt : ut, Æneas eſt Veneris & Ănchiſæ illa fubftantialis eſt , definitionum omnium obti- filius. Hæc ſemper in individuis verſatur , qux ner principatum . Græci aqua appellant. Idem accidie in eo gene Tertia fpecies definitionis eſt , quæ Græcè redictionis, ubialiquis pudor aut metus elt no Trolótus dicitur, Latinè qualitativa. Hæc dicendo minare : ut Cicero , cùm me videlicet ficarii illi quid quale lit , id quod fit , evidenter oſtendit. deſcribant. Cujus exemplum tale eſt : homo eft , qui ingenio Decima fpecies definitionis eft , quam Græci valet , artibus poller , & cognitione rerum : aut as Tót , Latini , veluti , appellant ; ut fi quæ quæ agere debeat eligit :aut animadverſione quod ratur quid ſit aniinal , refpondearur , homo : inutile fit contemnit ; his enim qualitatibus ex non enim manifeftè dicitur animal folum effe preſſus ac definitus homo eſt . hominem , cum fint alia innumerabilia : ſed cuin Quarta ſpecies definitionis eſt , quæ Græcè dicitur homo , veluti ipfum hominem animal de soggapixn , Latinè deſcriptionalis nuncupatur: fignat : cùm tamen huic nomini multa ſubja quæ adhibitâ circuitione dictorum factorúmque, ceant. Rem enim quæfitam prædictum declata rem , quid fit deſcriptione declarat ;ut ſi lu- vit exemplum . Hoc eſt autem proprium defini xuriofum volumus definire , dicimus : Luxurio- tionis , quid fit illud , quod quæritur , declarare . fus, eſt victus non neceffarii & fumptuoli & one Undeciina ſpeciesdefinitionis eft , quam Græ rofi appetens,in deliciis affluens,in libidine pron- ci rece tead the matter , Latini per iudigentiain ptus ; hæc & talia definiunt luxuriofum . Que pleni ex eodem genere vocant : ut ſi quæratur ſpecies definitionis , oratoribus magis apta eſt, quid fit triens, refpondeatur , cui dodrans deeft, quàm dialecticis , quia latitudines habet ; hæc ut lit aſlis. fimili modo in bonis rebus ponitur , & in Duodecima ſpecies definitionis eſt, quam Græ malis. ci , Kata imesvov , Latini per laudem dicunt ; ut Quinta ſpecies definitionis eft , quam Græcè Tullius pro Cluentio: Lex eſt mens, & animus, AT nikov : Latinè ad verbum dicimus : hæc vo- & confilium , & fententia civitatis. Et aliter pax cem illam , de qua requiritur , alio ſermonedeſi- eſt tranquilla libertas. Fit & pervituperationem , gnat uno ac ſingulari, & quodammodo quid il- quam Græci tózer vocant : ſervitus eſt poſtre lud ſit in uno verbo pofitum , uno verbo alio de- mum malorum omnium , non modò bello , ſed clarat ; ut conticefcere eſt tacere : item cùm ter- morte quoque repellenda. minum dicimus finem , aut terras populatas inter Tertiadecima eſt ſpecies definitionis , quam pretemur effe vaſtatas. Greci κατ'αναλογίαν,Latini juxta rationem dicunt: Sexta ſpecies definitionis eſt , quam Græci x fed hoc contingit , cum majoris ire nomine , res Thu nepoege , per differentiam dicimus ; id eft , definitur inferior : ur eſt illud , homo ininor mun cùm quæritur , quid interſit inter regem & ty- dus . Cicero hac definitione ſiculus eſt :Edictum , rannum , adjecta differentia quid uterque fit, de- legem annuam dicunt eſſe . finitur : id eſt , rex eſt modeftus & temperans, ty Quartadecima eſt ſpecies definitionis , quam rannus verò impius & immitis . Græci sess , Latini ad aliquid vocant : ur eſt Septima eft fpecies definitionis , quam Græci illud, pater eft , cui eſt filius :dominus eſt, cui eft el ustápoegr . Latini per tranſlationein dicunt : fervus: & Cicero in Rhetoricis , genus eſt , quod ut Cicero in Topicis, Lictus eſt, quà Auctus elu- plures partes amplectitur: item pars eſt , quod lu dit . Hoc variè tractari poreſt : modò enim ut beſt generi . moveat , ficut illud , caput eſt arx corporis : modò Quintadecima eſt ſpecies definitionis , quam ut vituperet , ut illud , divitiæ ſunt brevis vitæ Græci koste BiTiongear , Latini fecundum rei fa ! De Dialectica. 571 tionuom . 5 rationem vocant : ut dies eſtrol fuprà terras:nox, dicativus atque ſubjectus. Terminos autem voco elſolſubterris. Scire autem debemus prædictas verba &nonina,quibuspropoſitio nectitur;ut niquifuntper propoſe ſpecies definitionum , Topicis meritò eſſe ſocia- in ea propoſitione qua dicimus:Homojuſtus eſt : tas , quoniaminter quædam argumenta funtpoſi- hæc duo nomina, id eſt, homo & juftus, propo tæ , & nonnullis locis commemoranturin Topi- fitionis partes vocantur. Eoſdem etiam terminos cis. Nunc ad Topica veniamus, quæ ſunt argu- dicimus : quorum quidem alter ſubjectuseſt , al mentorum fedes, fontes ſenſuu, origines di- ter verò prædicativus, Subjectus eſt terminus, &tionum : de quibus breviter aliqua dicenda ſunt, qui minor eſt: prædicativus verò , qui major: ut ut &dialecticos locos, & rhetoricos , ſive corum in ea propolitione , qua dicitur , Homo juſtus, differentias agnofcere debeamus: ac prius dedia- homo quidem minus eſt , quàm juſtus. Non Iceticis dicendum eft . enim in folo homine juſtitia eſſe poteft , verùm etiam in corporeis diviníſque ſubſtantiis : atque De Dialecticis locis. ideo major eſt terminus, juſtus : homo verò , mi nor; quò fit, ut homo quidem ſubjectus fit ter Quid die Propoſitio, eft oratio verum - falfúmveſignifi- minus, juſtus verò prædicativus. Propofitio. cans , utſiquis dicat , cælum eſſe volubile : hæc Quoniam verò hujuſmodi (implices propolis enuntiatio & proloquiun nuncupatur : quæſtio tiones alterum habentprædicativum terminum , verò eft, in dubitationem ambiguitatémque ad- alterum verò ſubje& um, à majoris privilegio par ducta propofitio ; utſiqui quærant, an fit cælum tis propoſitio prædicativa vocata eft.Sæpe autem Quid Concli- volubile. Concluſio , eft argumentis approbara evenit, ut hi termini ſibimet inveniantur æqua 330. propoſitio; ut fi quis exaliis rebus probetcælum les , hocinodo , homoriſibilis eſt; homo namque effe volubile.Enuntiatio quippe live ſui tantum & riſibilis uterque ſibi æquus eſt terminus. Nam caufa dicitur,five ad alios ad ferturad probandum , ncque riſibile ultra hominem , nec ultra riſibile propofitio eft : cùm de ipſa quæritur, quæſtio: homo porrigitur : ſed in luis hoc evenire neceſſe lipſa eſt approbáta, conclufio. Idem igitur pro- eſt, utſi quidam inæquales termini ſunt , major politio ,quæſtio , & conclufio, fed differuntinodo, ſemper de ſubjectoprædicetur: fi verò æquales Quid fit Ar Argumentum eſt oratio rei dubiæ faciens fi= utrique, converſa de fe prædicatione dicantur. gumentum . dem. Non verò idem eſt argumentum , quod & Ut verò minor demajore prædicetur, in nulla arguinentatio. Nam vis ſententiæ ratióque ea, propoſitione contingit. Fieri autein poteft, ut quæ clauditur oratione , cùm aliquid probatur propoſitionum partes, quas terminos dicimus, ambiguum , argumentum vocatur: ipfa verò ar- non ſolum in nominibus, verum etiain in oratio gumenti elocutio, argulhentatio dicitur ; quò fit, nibus inveniamus. Nam ſæpe oratio deoratione ut argumentum quidem mens argumentationis prædicatur hoc modo : Socrates cum Placone so Git atque ſententia : argumentatio verò argument diſcipulis de philoſophiæ ratione pertractat; hæc per orationem explicatio. quippe oratio , quæ eft , Socratesçum Platone & Quid fit Locus verò eſt argumenti fedes, vel unde ad diſcipulis , ſubjecta eſt: illa verò , quæ eft , de propoſitain quæſtionein conveniens trahitur ar- philofophiæ ratione petractat , prædicatur. Rur gumentum . Quæ cùm ita fint, ſingulorum dili- ſus aliquando nomenſubjectum eſt, oratio præ =' gentiùs nătura tractanda eſt, eorumque per fpe- dicaruin , hocmodo: Socrates de philoſophiæ ra-. cies ac membra figuraſque facienda diviſio. cione pertractat ; hic eniin Socrates ſolus ſubje Acpriùsde propoſitione eſt diſſerendum : hanc ctus eſt:oratio verò, quàm dicimus, de philoſo eſſe diximus orationein , veritatem , vel menda- phiæratione pertractat,prædicatur.Evenir etiam , Duæſuntpro- cium continentem . Hujus duæ ſunt ſpecies : una ut fupponatur oratio , & fimplex vocabulum pofitionum affirmatio , altera verò negatio . Affirmatio eſt, prædicetur hoc inodo : Similicudo cum ſupernis fpecies ſub , , fi qui ſic efferat, Caluin volubile eſt :negatio , li diviníſque ſubſtantiis, juſtitia eſt ; hic enim ora quis ita pronuntiet , cælum volubile non eſt. rio per quam profertur fimilitudo , cum ſupernis alie. Harumverò aliæ ſunt univerſales, aliæ ſunt par- diviníſque ſubſtantiis fubjicitur:juſtitia verò pre ticulares, aliæ indefinicæ , aliæ ſingulares. Uni- dicatur. Sed de hujuſmodipropoſitionibusin his verſales quidem , ut ſi quis ita proponat : Oin- commentariis, quos in Peri hermenias Ariſtotelis nis homo juftuseft, nullus homo juſtus eft. Par- libros ſcripſimus , diligentiùs differuimus. ticulares verò , fi quis hoc modo :Quidamn homo Arguinentum , eft oratio rei dubiæ faciens fi- Quid fit an juftus eft , quidam homo juſtus non eſt. Inde- dem :hanc femper notiorem quæſtione elſe nez gumentum, finitæ fic:Homojuſtus eſt , homo juſtusnon eſt. ceſſe eſt. Nain liignora nobis probantur , argu Singulares verò funt, quæ de individuo aliquid mentum verò rem dubiam probat: neceffe eft, ut fingularique proponunt:utCato juſtuseſt , Cato quod ad fidem quæſtionis affertur, fit ipfa notius juſtus non eft ; etenim Cato individuus eſt , ac quæſtione. Argumentorum verò oinnium alia Multiplicito fingularis. ſuntprobabilia & neceſſaria :alia veròprobabilia Juris Argan Harum verò alias prædicativas, alias conditio. quidem , ſed non neceſſaria : alia neceffaria; ſed nales vocainus. Prædicativæ funt, quæ fimpli- non probabilia :alia nec probabilia, nec neceffaria. Quid forProm citer proponuntur, id eſt, quibus nulla vis con- Probabile verò eſt, quod videturvelomnibus, vel bavile Argu ditionis adjungitur: ut fi quis fimpliciter dicat, pluribus, velfapientibus, & his vel omnibus, vel mensun . Cælum eſſe volubile. At , li huic conditio copu- pluribus , vel maximè notis , atque præcipuis, letur, fit ex duabus propoſitionibus una condi- vel unicuique artifici fecundum propriam facul tionalis, hocmodo: Cælum (irotundum ſit , efle càtem ; ut de medecinamedico , gubernatori de volubile ; hîc enim conditio id efficit, ut ita de- navibus gubernandis: & præterea quod ei vides mum cælum volubile eſſe intelligatur, ſit ro- tur cuin quo fermo conſeritur, vel ipſi qui judi tundum . Quoniam igitur aliæ propofitiones præ- cat . In quo nihil artiner verum falfùmvelit árgưr dicativæ ſunt , aliæ conditionales : prædicativa- mentum , fi tantùm veriſimilitudinem tenet. rum partes , terminos appellamus. Hi ſunt præ Neceffariun vero eft, quod ut dicitar, ita eſt, Quidfor Ne cearium . Сccc ij Locis. quibus multe mentorum genera . 572 Caffiodorus rium. atque aliter eſſe non poteft: & probabile quidein, fpeciebusutiturargumentis, quæfunt probabi ac neceflarium eſt ; ut hoc ſi quid cuilibet rei ſic le ac neceſſarium , neceſſariuin ac non probabile. additum , totum majus efficitur. Neque enim Patet igitur , in quo philoſophus ab oratore, ac quifquam ab hąc propoſitione diffentiet, & ita ſe dialectico in propria confideratione diſſideat ; in Quid fit le habere neceſſe eſt. Probabilia verò acnon ne- co ſcilicet, quod illis probabilitatem , huic veri provabile ac ceffaria, quibus facilè quidem animus acquief- tatem conſtat elle propofitam . Quarta yerò fpe non neceffa- cit , fed veritatis non tenet firmitatem ; ut cies argumenti, quain ne arguinentun quiden học , ſi mater eſt , diligit. Neceſſaria verò funt, rectè dici ſupràmonſtravimus, fophiftis Tola eſt Quid fit ne cilarium ,ac ac non probabilia, quæ ita quidein eſſe, ut dicun- attributa. Topicorum verò intentio eft, verili non probabile tur ſe habere , necefle eft, ſed his facilè non con- milium argumentorum copiam demonſtrares de ſentit auditor :ut ob objectum Lunaris corporis, fignatis enim locis,è quibus probabilia arguinen bredamſunt Solis evenire defectunt. Neque neceſſaria verd ta ducuntur , abundans.& copiofa neceſſe fiat nec neceffa- peque probabilia funt, quæ neque in opinione materia differendi. ria ,necpro- hominum , neque in veritate confiftunt, ut hoc, Sed quoniam , ut fuprà dictum eſt , proba babilia habere quæ non perdiderit cornua Diogenem , bilium argumentorum alia funt neceffaria , quoniam habcatid quiſque quod non perdiderit; alia non neceſſaria : cùm loci probabilium ar quæ quidem nec argumenta dici poſſunt : argu- guntentorum dicuntur , evenit , ut neceſſario mentaenim rei dubiæ faciunt fidem. Ex his au- ruin quoque doceantur , quo fit, ut oratoribus tem nulla fides eſt, quæ neque in opinione , ne- quidem ac dialecticis hæc principaliter facultas que in veritate ſunt conſtitutą. Dici tamen poo parecur , ſecundo verò loco philofophis. Nam teſt, ne illa quidem eſſe argumenta , quæ cùm fint in quo probabilia quidem omnia conquiruntur, neceffaria , minimè tamen audientibus appro- dialectici atque oratores javanțur: in quibus verò bantur. Nam ſi rei dubiæ fit fides , cogendus eft probabilia ac neceffaria docentur, philoſophic.e animus auditoris, per ea quibus ipſe adquieſcit, demonſtrationi miniſtratar ubertas. Non modò u concluſioni quoque, quam nondum probar, igitur dialecticus atqueorator , verùm etiam de poſlit accedere. Quod fi quæ tantùm neceffaria monſtrator , ac veræ argumentationis effector, (unt, ac non probabilia , non probat ille qui ju- babetquod ex propoſitislocis libi poſſit adſuine dicat,eltneceſſe, utneillud quidein probet,quod re . Cùm inter argumentorum probabilium focos, ex hujuſcemodi ratione conficitur. Itaque evenit neceſſariorum quoque principia traditio mixta ex hujufmodi ratiocinatione , ea , quæ tantùm contineat. Illa verò argumenta, quæ neceſſaria neceffaria ſunt, ac non probabilia, non efle ar- quidein ſunt , ſed non probabilia ; atque illud gumenta. Sed non ita eſt , atque hæc interpreta- ultimum genus ; fcilicet ilec probabile,nec ne tio non rectæ probabilitatis intelligentiam tenet. ceſſarium ,à propofiti operisconſideratione fem Ea funt enimprobabilia , quibusſponte, atque jundum eſt. Nili quod interdum quidam ſophi ultrò conſenſus adjungitur; ſcilicet ut moxaudi- ſtici loci exercendi gratia lectoris abhibentura ta fint, approbentur. Quocirca Topicorum pariterutilitas intencióque de fint ar Quæ veròneceffariafunt,ac nonprobabilia,aliis patefacta eft ; his enim & dicendi facultas, &in gamenta pro babilia . probabilibus ac neceſſariis argumentisantea de veſtigatio veritatis augetur. monſtrátur,cognitáque &credita, ad alterius rei, Nam quid dialecticos atque Oratores locorum locorum ** de qua dubitatur, fidem trahuntur;ut ſuntfpecu- juvát agnitio ? Orationi per inventionem co micos arque lationes,id cft,cheoremata, quæ in Geometriacon- piampræftant. Quid verò neceffariorum doctri- Oratoresmus fiderantut. Nam quæ illic proponuntur, non funt nam locorum philoſophis tradit? viam quodam- sum juvas. talia, ut in his fponte animusdiſçentis accedar: modo veritatis illuftrat. Quò magis perveſtis ſed quoniam demonſtrantur aliis argumentis, illa ganda eft rimandâque ulterius diſciplina ea, quæ quoque ſçita & cognita ad aliarum fpeculatio- cùm cognitione percepra uſu atque exer pumargumenta ducuntur.Itaque probabilia non citatione firmanda. Magnum enim aliquid lo Cunt, ſed ſunt neceſſaria his quidem auditoribus, corum conſideratio pollicetur, fcilicetinvenien quibus nondum demonſtrata funt: ad aliud ali- di vias ; quod quidem hi, qui ſunt hujus rationis quid probandum , argumenta effe non poffunt; expertes,ſoliprorſus ingenio deputantur : neque hi autem qui peioribus rationibus eorum , qui- intelligunt, quantun hac conſiderationequærat bus non adquieſcebant, fidem cceperunt, poffunt, cur , quæ in artem redigit vim poteſtatemque na cas quæ non ambigunt, ad argumentuin vocare. turæ . Sed de his hactenus : nunc de reliquis ex Sed quia quatuor facultatibus differendi omne plicemus. artificium continetur, dicendum eſt qux quibus uti noverit argumentis; ut, cui potiſſimum diſci De Syllogiſmise plinæ locorum atque argjinentorum paritur u Diale &tice, bertas , evidenterappareat. Quatuorigitur fa Syllogiſmorum verò aliiſuntprædicativi, qut" Syllogiſmialii Oratori, Phi- cultatibus,earúmque velutopificibus,differendi categorici vocantur,aliiconditionales,quos hy- predication Dolopho, so omnis ratio ſubjecta eft, id eſt, dialectico , ora , potheticos dicimus. Et prædicativiquidem funt, males, com phifte dife rendiomnis tori, philofopho , ſophiſtæ . Quorum quidem qui ex omnibus prædicativis propoſitionibus quid fins. ratio fobjekta dialecticus atque orator in communi argumen- connectuntur sur is , quem exempli gratiafupes, torummateria verſautur; uterque enim ,five ne- riùs adnotavi , omnibus enim propoſitionibus cellaria , kve minimè, probabilia tamen ſequitur prædicativis texitur.Hypothetici verò funt,quo Quefit diffe ventia inter argumenta . His igitur illæ duæ fpecies argu- ium propofitiones conditione nituntur , ut hics Dialecticum, menti famulantur ,quæ funt probabile ac non si dies eft , lux eſt zett autem dies , lux igitur eſte Oratorent & neceffarium : philoſophus vero ac demonftrator Propofitia enim prima conditionem tenet hanc, Philoſuphum . de ſela tantum veritate pertractant: Asque ideo quoniam ita demum lux eft , fi dies eft. Atque ſive liņt probabilia , five non fint , nihil referi,' idea fyllagiſmus hic, hypochericus , id eſt condi modo duin ſine peceſlaria : bic quoque his duabus tiopalis vocatur. Inductio verò eft oratio , per i i Onid fais duftio. De Dialectica: 573 Tuniwy . $ niio . 0 10 OS 2712 quam fitàparticularibus ad univerfale progreflio, plumvocamus :quoniam vero non pluresquibus hoc modo: Siin regendis navibusnan forte, ſed id efficiat colligit partes , ab inductione diſcedit. arte legitur gubernator : fi regendis equis auriga Ita igitur duæ quidem ſunt argumentandiſpecies non fortis eventu , ſed commendatione artis ad- principales: una , quæ dicitur fyllogiſmus, alte ſumitur : fi in adminiftranda republica non ſorsra que vocaturinductio ; ſub his aurem , &veluc principem facit ,ſed peritía moderandi ; & fimi- ex his manantia , enthymema atque exemplum , * Ed. infe- lia, quæ in pluribus conquiruntur , quibus * im- Quæquidem omnia ex ſyllogiſmo ducuntur , & pertitur : & in omni quoque re , quam quiſque ex fyllogifino vires accipiunt: live enim ſit enthy regi atque adminiſtrari gnaviter volet , qui non 'mena, liveinductio , live etiam exemplum , ex forte accommodat, ſed arte, rectorem , fyllogiſmo quàm maximè fidem capit ; quod in Vides igitur quemadmodum per fingulas res prioribus reſolutoriis, quæ ab Ariſtotele tranftu currat oratio,ur ad univerſale perveniat.Nam cùm linus, denonſtratumeft. Quocirca fatis eſt de non forte regi, ſed arte navim , currum , rempubli- fyllogilino differere , quaſi principali, & cæte cam collegiffet, quali in cæteris ſeſe quoque ita ras argumentandiſpecies continente. habeat , quod erat univerſale concluſit : in omni Reſtat nunc quid fit locus, aperiçe. Locus nam- Quid forlocais bus quoque rebus, non ſorte ductum , fed arte, que eſt , ut* Marco Tullio placet, argumentifea Dialectico . * MSS.Man præcipuum debere præponi. Sæpe autem multo, des ; cujus definitionis quæ fitvis, paucis abſol rum collecta particularitas aliud quiddam parti- vam , Argunventi enim fedes partin maxinia culare demonſtrat ; ut fi quis fic dicat: Si neque propoſitio intelligi poteft, partim propofitionis navibus , ncque curribus, neque agris ſorte præ- inaximè differentia. Nam cùm fint alize propoli ponuntur ; nec rebus quidein publicis rectores tiones , quæ cùin per ſe notæ lint, cùm nihil ul eſſe ſorte ducendi funt. Quod argumentationis teriùs habeant, quo demonftrentur , atque hæ genus maxiinè folet eſſe probabile , etſi non maxinæ & principales vocentur, funtque aliæ æquam ſyllogyſmi habeat firinitatem . Syllogif- quarum fidem primæ ac maximæ , fuppleant mus namqueabuniverfalibus ad particularia de- propofitiones : neceffe eft , ut omnium quæ curret. Eftque in eo , fi veris propoſitionibus dubitantur , illæ antiquiſſimam teneant pro+ contexatur , firma atque immutabilis veritas. bationein ; quæ ira aliis fidem facere poffunt, Ut inductio habet quidem maximam probabi- ut ipſis nihil queat notius inveniri. Nam li litatem , ſed interdum veritate deficitur; ut in argumentum eſt , quod rei dubiæ faciat fidem , hac : Qui fcir canere , cantor eſt : & qui luctari ídque notius ac probabilius eſſe oportet , quàm luctaror: quique ædificare , ædificator ; quibus illud quodprobatur : neceſſe eſt, utargumentis multis fimili jatione collectis , inferri poteſt: omnibus illa maximam fidem tribuant, quæ ita Qui fcit igitur malum ,malus eſt, quod non pro- per ſe nota ſunt, at alienâ probationenon egeant: cedit;mali quippe notitia deeſſe non poteſt bonoš Sed hujulinodi propoſitio aliquotiens quidem virtusenim ſeſe diligit, aſpernatúrque contraria, intra argumenti ambitum continetur: aliquotiens nec vitare vitium niſi cognitum queat. yerò extra polita, argumenti vires ſupplet ac per His igitur duobus velut principiis, &generibus fices, Duo funt alii argumentandi, duo quidem alii deprehenduntur Cinnes igitur loci , id eft ; maximarum diffe , Omnes loci à argumentori argumentationis modi: unusquidem fyllogiſmo, rentiæ propoſitionum , aut ab his ducantur ne quibus ternii modi, Enthy alter verò inductioni ſuppoſitus. In quibus qui- ceſſe eſt terminis , qui in quæſtione ſunt propo memaſciet exemplum , ea dempromptumſit conſiderarequod , ille quidem fiti, prædicato ſcilicețarquefubjeéto : aut extrin qaid (ma à fyllogiſmo, ille verò ab indu & ione ducat exor- ſecus adfumantur :auc horum medii acque inter dium : non tamen ,aut hicfyllogiſmum , aut ille utrofque verſentur. Eorun verò locoruin , qui impleat inductionem ; hæc autem ſunt enthyine ab hisducuntur terininis , de quibus in quæſtione ma , atque exemplum , Euthymema quippe eft dubitatur , duplex modus eſt : unus quidem ab imperfectus fyllogiſmus, id eſt oratio, in qua non corum fubftantia , aker verò ab his, quæ eoruin omnibus antea propoſitionibus conftitutis,inter ſubſtantiam conſequuntur shi verò quià ſubftária tur feſtinata conclufiosut fi quis ſic dicat : homo funt, inſola definitione conliſtunt.Definitio enim animal eſt, ſubſtantiaigicur eſt ; præterınjſic eniin ſubſtantiammónftrát ; & fubſtaạtiæ integra det alteram propofitionem , quâ proponitur omne monſtratio , definitio eſt. Sed , id quod dicimus, aniinal elle fubftantiam . Ergo cùm enthymema patefaciamus exemplis;ut omnis vel quæftionum , ab univerſalibus ad particularia probanda con- vel arguinentationum , vel locoruin ratio con tendit , quali ſimile Jyllogiſmo eft. Quod vero quieſcat. Age enim quæratur ; an arkores ani non omnibus, qu:e conveniunt fyllogiſmo,propor malialint , řátque hujuſmodifyllogiſmus: ani+ ſitionibus utitur , à fyllogiſmi ratione difcet mal eftfubftantia animata ſenſibilis:non eft arbor dit , atque ideò imperfectus vocatuseft fyllogif- fubftantia animata fenfibilis; igitur arbor animal mus, non eft. Hic quæſtio de genere eft ; utrùm enim Exemplum quoque inductioni fimili ràtionę arboresfub aniinaliumgenere panendæ fint,qux & copulatur, & ab ea diſcedit. Eft enim exem- ritur: locus qui in univerſali propofitione con, plum , quod perparticulare propoſitum ,particu- filtit , huic generis definitio non convenit , id lare quoddam contendit oſtendere , hoc modo ; ejus , cujus ea definitio eft , fpecies non eſt loci Oportet à Tullio conſule necari Catilinan, cùm fuperioris differentia : qui locus nihilominus à Scipione Gracchus fueritinteremptus ; appro , nuncupatur à definitione. batum eſt enim Catilinam à Cicerone debere pe Vides igitur ut çora dubitatio quæftionis fyllo rimi , quod â Scipione Gracehus fuerit occiſus : giſmi argumentatione* tracta (it per convenien: * Ed.sracht quæ utraque particularia effe , ac non univerſalià tes & congruas propoſitiones ,quæ vim ſuam ex "4. lingularum deſignat interpoſitio perſonarum prima &maxima propofitionecuftodiunt ; ex ea Quoniamigiturex parte pars approbatur , quafi {cilicet , quænegat effe fpeciem , cui ñnon conve: inductionis fimilitudinem tenet id , quodexem- niat generis definitio, Acque ipſa univerſalis pro nis ducantur : 374 Caſſiodorus ftantia du tem . poſitio à ſubſtantia tracta eſt unius eorum termi- eſt , hoc modo fæpe quæſtionibus argumenta ni, qui in quæſtione locati ſunt ; ut animalis ,id fuppeditat ; ut fi fit quæſtio, an juſtitia utilis fit, eſt, ab ejusdefinitione,quæ eſt ſubſtantia anima- fit fyllogiſmus: Omnis virtus utilis elt , juſtitia ra ſenſibilis . Igitur in cæteris quæftionibus ſtri- autem virtus eſt, ergo juſtitia utilis eſt. Quæſtio ctim ac breviter locorum differentiis coinmemo- de accidenti , id eſt , an accidat juftitiæ utilitas. fatis, oportet uniuſcujuſque proprietatem vigi- Locus is , qui in maxima propoſitione conſiſtir. lantis animi alacritate percipere. Quæ generi adfunt, & fpeciei. Hujus ſuperior Locus ex ſub Hujus aureinloci , qui ex fuſtſtantia ducitur, locus à toto , id eſt, à genere, virtute ſcilicet, quæ ftus, duplex duplex modus eſt; partim namquc à definitione, juſtitiæ genus eſt. Rurſus fit quæſtio , an huma eft. partim à deſcriptione argumenta ducuntur. næ res providentiâ,regantur. Cùm dicimus, li Differt autem definitio à deſcriptione , quòd mundus, providentiâ regitur : homines autem Que fit dif- definitio genus ac differentias affumic : def- pars mundi funt: humanæ igitur res providen ferentia inter criptio verò ſubjectain intelligentiam - claudit, tia reguntur. Quæſtio de accidenti, Locus quod defcriptiq quibuſdam vel accidentibus unam efficientibus toti evenit, id congruit etiam parti. Supremus proprietatein , vel ſubſtantialibus præter genus locus à toro , id eſt, ab integro. Quod partibus conveniens aggregatis. Sed definitiones, quæ ab conftat, id verò eft mundus, qui hominum to accidentibus fiunt, tamen videntur nullo modo tum eſt . ſubſtantiam demonftrare : tamen quoniam fæpe A partibus etiain duobus modis argumenta naf- A partibus veræ definitionesita ponuntur, quæ ſubſtantiam cuntur: aut enim à generis partibus , quæ ſunt, duobus modis monſtrant: illæ etiam propofitiones,quæ à deſcri- fpecies :aut ab integri, id eſt, torius ; quæ par- azamente ptione fumuntur,à fubftantiæ loco videntur affu- tes tantum proprio vocabulo nuncupantur. Et Mojcanine. mi. Hujus verò tale fit exemplum ; quæratur de his quidem partibus , quæ ſpecies funt , hoc enim , an albedo ſubſtantia fit: hic quæritur, an modo fit quæſtio , an virtus mentis benè conſti albedo ſubftantiæ , velut generi ſupponatur. Di- tutæ fic habitus : quæſtio de definitione, id eft, cimus igitur : ſubſtantia elt , quod omnibusacci- an habitus benè conſtitutæmentis,virtutis lit de dentibus poſſit eſſe ſubjectum : albedo verò nul- finitio. Facieinus itaque ab ſpeciebus argumen dis accidentibus fubjacet, albedo igitur fubſtan- tationem lic : Si juftitia , fortitudo , inoderatio, tia non eſt. Locus, id eſt , maxima propoſitio, atque prudentia , habitus benè conftituræ mentis eadem quæ fuperiùs. Cujus enimdefinitio vel funt: hæc autem quatuorunivirtuti velut generi deſcriptio ei,quod dicitur,ſpecies effe non conve- ſubjiciuntur: virtus igitur benè conſtitutæ men nit, id ejus quod eſſe ſpecies perhibetur, genus tis eſt habitus. Maxima propoſitio ; quod enin noneſt. Deſcriptio verò fubftantiæ albedini non ſingulis partibus ineſt, id toti inefTe neceffe eft. convenitalbedo : igitur ſubſtantia non eſt. Argumentum verò à partibus , id eſt, à generis Locus differentia ſuperior à deſcriptione ; quam partibus, quæ ſpecies nuncupantur ; juſtitia enim, duduin locavimus in ratione ſubſtantiæ . Sunt fortitudo, modeſtia & prudentia , virtutis fpe etiam definitiones , quæ non à rei ſubſtantia, ſed cies ſunt. à nominis ſignificatione ducuntur , atque itą rei, Item ab his partibus, quæ integri partes eſſe di de qua quæritur , applicantur; ut ſi ſît quæicio, cuncur, fit quæſtio , an fit utilismedicina. Hæc utrumnephiloſophiæ ſtudendum fit , erit argu: in accidentis dubitatione conftituta eſt. Dicimus mentatio talis : Philofophia ſapientiæ amor eſt, igitur , ſi depelli morbos , ſalurémque fervari, huic ſtudendum nemo dubitat : Itudendum igitut mederique vulneribus utile eft : igitur medicina eſt philofophiæ. Hic enim non definitio rei, ſed eſt utilis. Sæpe autem & una quælibet pars valer, nominis interpretatio argumentum dedit. Quod ut argumentationis firmitas conſtet , hoc inodo; etiam Tullius in oſtenſione ejuſdem philofophiæ ut fi de aliquo dubitetur , an fit liber : ficum vel uſus eſt defenfione , & vocatur Græcè quidem cenſu , velteſtamento , vel vindictâ manumiſ ovouzOtong , Latinè autem nominis definitio. fum eſſe monſtremus , liber oſtenſus eſt : atque Hæc de his quidem argumentis, quæ ex ſubſtan- aliæ partes erantdandæ libertatis. Vel rurſus , fi cia terminorum in quæſtione politorun fumun- dubitetur , an ſir domus quod eminus conſpici tur, claris ,ut arbitror,patefecimus exemplis: nunc tur : dicimus quoniam non eſt ; nam vel rečtun de his dicendum eſt , qui terminorum ſubſtana ei, vel parietes, vel fundamenta defunt , ab una tiam conſequuntur. rurſus parte factum eſt arguinentum . Divifio loco Horum verò multifaria diviſio eſt ; plura enim Oportet autem non folùm in ſubſtantiis , ve Tum qui(ubu funt , quæ ſingulis ſubſtantiis adhæreſcunt : ab růın etiam in modo, temporibus , quantitatibus, franciam com his igitur, quæcujuſlibet ſubſtantiam comitan- torum , partéfque reſpicere. Id enim quod dici fequantur. tur , argumenta duci folent, aut ex toto , aut ex mus aliquando in teinpore , pars': rurſus li fim partibus, aut ex caufis, vel efficientibus,vel ma- pliciter aliquid proponamus,in modo totum eſt: teria , vel fine. Er eſt efficiens quidem cauſa, li cum adječtione aliqua , pars fit in modo. Item quæ inover atque operatur , ut aliquid explice- fi omnia dicamusin quantitate, tòrum dicimus : tur: materia verò, ex qua fit aliquid,vel in quafit: fialiquid quantitatisexcerpimus, quantitatis po , propter quod fit. Sunt etiam inter eos lo- nimus partem . Eodem modo &in loco : quod cos , qui ex his ſumuntur, quæ ſubſtantiain con- ubique eſt , totum eſt : quod alicubi, pars. How ſequuntur, aut ab effectibus , aut à corruptioni- ruin autem omnium communiter dentur exem bus' , aut ab uſibus , aut præter hos omnes ex pla. A toto ad partem fecundum tempus : fi communiter accidentibus. Quæ cùm ita fint, Deus ſemper eſt , &nunc eſt. A parte ad totum cum priùs locum, qui à toto fumitur, inſpicia- ſecundum modum:ſi *anima aliquo modo niové» * MSS. amie tur, & fimpliciter movetur ; movetur autem cum mal. Totum duobus modis dici folet : aut ut genus, irafcitur ;univerſaliter igitur & fimpliciter mo bus modisdi- aut ut idquod ex pluribus integrum partibus vetur. Rurfus à toro ad partes in quantitate: fi conſtat. Er illud quidem quod ut genus , totum finis mus. Totum duo citur. 1 1 De Dialectica. 3 teria , fi jori. TA A. > verus in omnibus Apollo vatės eſt; verum erit oppoſitis, vel ex tranffuinptione. Et ille quidem Pyrrhum Romanos ſuperare. Rurſus in loco , fi locus , qui rei judiciuin tenet , hujuſmodi eft ; ut Locus à rei Deus ubique eft, & hîc igitur eſt. id dicamus effe , vel quod omnes judicant , vel judicio. Locusà came "Sequitur locus, quinuncupaturà cauſis. Sunt plures , & hivel ſapientes , vel ſecundam unam fis multiplex. verò plures cauſa , id eft , quæ vel principium quanque artem penitus eruditi.Hujus exempluin præſtantmotusatque efficiunt: vel ſpecierum for- eft, cælum eſſe volubile: quòd ita fapientes, atque mas ſubjectæ ſuſcipiunt: vel propter eas aliquid, in Aſtronoinia do & illimi diſudicaverint. Quæ vel quæ cujuſlibet forma eſt. ſtio de accidente. Propofitio, quod omnibus,vel Zocus ab effi- Argumentum igitur ab eficiente cauſa ; ut fi pluribus, veldoctis videtur hominibus,ei contra ciense cauſa. quis juſtitiam naturalemn velit oſtendere, dicat : dici non poſſe. Locus à rei judicio . congregatio hominum naturalis eſt : juſtitiam A fimilibus verò hoc modo , fi dubitetur , an verò congregatio hominum fecit : juſtitia igitur hominis proprium fit eſſe bipedem , dicimus fi naturalis eſt. Quæſtio de accidente. Maximapro- militer: ineſt equo quadrupes , & homini bipes; poſitio: quorum effacientescauſæ naturales ſunt, non eft autem equi quadrupes proprium ; non eft apſa quoque ſunt naturalia. Locus ab efficienti igitur hominis propriuin bipes. Quæſtio de pro bus; quodenim uniuſcujuſque cauſa eſt,id efficit prio. Maxiina propoſitio. Si quod limiliterineſt, can rem , cujus caufa eft, non eſt proprium, ne id quidem de quo quæritur, Locus à ma Rurſus, ſi quis Mauros arima non habere con- eſſe propriuin poteſt. tendat, dicit idcirco eos minimè armis uti , quia Locus à fimilibus : hic verò in gemina dividitur. Locus àfomi libus duplex. his ferrum deſit. Maximapropoſitio , ubi materia Hæc enim fimilitudo , aut in qualitate , aut in deeſt , & quod ex materia efficitur , defit locus à quantitate conſiſtit : ſed in quantitate paritas mareria : utrumque verò , ideft , ex efficientibus nuncupatur , id eſtæqualitas. atque materia,uno nomine à cauſa dicitur. Æquè Rurfus ab eo quod eſt majus , fi an fit animalis Locais à Ma. enim id quod efficit , atque id quod operantis definitio , quod ex ſe moveri poffit, dicimus , actum ſuſcipit , ejus rei , quæ efficitur , cauſæ magis oportet eſſe animalis definitionem , quòd funt. naturaliter vivat , quàm quòd ex ſemoveri poffit Locais à fine. Rurſus à fine fit propofitum , an juftitia bona Non eft autem hæc definitio animalis, quòd natu fit , fiet argumenratio talis. Si beatum eſſe , bo- raliter vivat : ne hæc quidem , quæ minùs vide num eſt , & juſtitia bona eſt; hic eſt enim juſtitiæ tur effe definitio , quod ex ſe inoveripoſſit, ani finis, ut qui ſecundum juſtitiam vivit , ad beati- malis definitio eſſe paranda eſt. Quæſtio de defi rudinem perducatur. Maxima propoſitio , cujus nitione. Propoſitio maxima. Si id quod magis finis bonus eft , ipſum quoque bonum eft. Locus videbitur ineſſe non ineſt , ne illud quidem à fine. quod minus ineffe videtur , inerit. Locus ab eo Loctus a for Ab eo verò, quæcujuſque forma eſt,ità non po- quod eſt inajus. tuiſſe volare Dædalum , quoniam nullasnaturalis A minoribus verò converſo modo . Nam fi eft locus à formæ pennas habuiſſet.Maxima propoſitio , tan- hominis definitio , animal grellibile bipes : cúm- mori. tìm quemque poffe , quantùın formapermiſerit. que id bipes videatur effe definitio hominis mi Locus à forma, nus. quàm animal rationale mortalc ; fitque defi Loc tus ab effe , Ab'effectibus verò , & corruptionibus, &uſibus nitio ea hominis, quæ dicit animal grellibile bi Etibus, corrm- hoc modo : namn ti bonum eſt ,domus, conſtru- pes , erit definitio hominis , animal rationale - ptionibus, &io bonum eſt , bonum eſt domus. Rurfus fi mortale. Quæſtio de definitione. Maxima propo ufibus. , maluin eſt , deſtructio domus : bona eſt domus,& ficio : Si id quod minus videtur ineffe , ineſt : & fi bona eſt domus , mala eſt deſtructio domus. id quod magis videtur inefle , inerit. Multæ au Item ſi bonum eſt equitare , bonum eſt equus : & tem diverfitates locorum ſunt , ab eo quod eſſe fi bonum eſt equus , bonum eſt equitare. Eſt au- magis acminùs , argumenta miniſtrantium : quos tein primum quidem exemplum à generationi- in expoſitione Topicorum Ariſtotelis diligentius bus , quodidem ab effectibus vocari poteft. Sea perſequuti fumus. cunduin à corruptionibus , tertium ab ufibus. Item ex proportione: ut fi quæràtur , an ſorte Lucus ex pro Omnium autem maximæ propofitiones : cujus fint legendi in civitatibus magiſtratus , dicamus portione. effectio bonaeſt, ipfum quoque bonum eſt, & è minimè: quia ne in navibus quidem gubernator converfo: & cujus corruptio mala eſt, ipſum bo- forte præficitur: eſt eniin proportio , nain ut fele nuin eſt , & è converſo : &cujus uſus bonuseſt, habet gubernatorad navem , itamagiſtratus adci ipfum bonum eft , & è converſo. vitatem. Hic autem locus diftat ab eo, quod ex ſi Locus à com A coinmuniter autem accidentibus argumenta milibus ducitur. Ibi enim una res quæ cuilibet muniteracci- funt , quotiens ea ſumuntur accidentia , quæ re- & alii comparatur : in proporcione verò non eſt linquere ſubjectum ,vel non poffunt, vel non ſo . limilitudo rerum , fed quædam habitudinis coin lent ; utſi quis hoc inodo dicat: ſapiens non pa paratio. Quæſtio de accidenti proportione.Quod nitebit ; pænitentia enim malum factum comita- in quaquereevenit, id in ejus proportionali eve tur: quod quia in ſapiente non convenit , ne poe- nire neceſſe eſt. Locus à proportione. nitentia quidein.Quæſtio de accidentibus.Propo Ex oppoſitis verò multiplexlocus eft. Quatuor Locus ex op fitio maxima: cui non ineft aliquid,ei neillud qui- enim libimet opponuntur modis ; aut enim ut pofo ismulti dein , quod ejus eſt conſequens , ineffe poteſt. contraria adverfo ſeſe loco conſtituta refpiciunt: plex. Locus à coinmuniter accidentibus. aut ut privatio , & habitus : aut relatio : aut affir De lo cis ex Expeditisigitur locis his, qui ab ipſis terminis inatio &négatio. Quorum diſcretiones in co li srinfecus. in propofitfone poſitis, affumuntur: nunc de his bro qui de decem prædicamentis fcripruscſt,com dicendum eft , qui licet extrinfecuspoſiti, argu- meinoratæ ſunt; ab his hocmodoargumentanaſ menta tamen quæſtionibusfubminiftrant : hi ve ro ſunt vel ex rei judicio , vel ex ſimilibus , vel à A contrariis fi quæratur , an lit virtutis pro- Locus à con majore, vel à minore , velà proportione , velex prium laudari , dicam minimè: quoniam ne vitii trariis . ; D cuntur. 570 Caſſiodorus Jocentu . habits . sione. Locus ex . ne. quidem vituperari. Quæſtio de proprio. Maxi- ſecundum proprii nominis fimilitudinem corr ma propoſitio : quoniam contrariis contraria fequuntur. conveniunt. Locus ab oppoſitis, id eft, ex con Mixti verò loci appellantur : quoniam ſi de ju- Qui mirtilo. ' trario. ſtitia quæritur, & à caſu , vel à conjugatis argu Locuus à pri Rurſus ſit in quæſtione pofitum : An ſit pro- menta ducuntui ; neque ab ipſa propriè atque vatione prium oculos habentium videre , dicam miniinè: conjunctè, neque ab his quæ ſunt extrinſecus eos namque qui vident, aliàs etiam cæcos eſſe polica videntur trahi, fed ex ipſoruin calibus, id contingit. Nain in quibus eſt habitus ,in eiſdem eſt, quadam ab iplis levi immutatione deductis : poteriteſſe privatio ; & quod eſt proprium , non Jure igitur hi loci medii inter eos , qui ab iplis, poreſt àſubjecto diſcedere. Etquoniam venien- & eosquiſunt extrinfecus, collocantur. te cæcitate viſus abfcedit:non effe proprium ocu Reſtat locus à diviſione, qui tractatur hoc mo- Locus è divi. los habentium videre convincitur. Quæſtio de de. Omnis diviſio vel negatione fit, vel parti- fione fisvel proprio. Propofitio , ubi privatio adetle poteft tione ; ut ſi quis ita pronuntiet : omne animal negatione,vel Partitione & habitus, proprium nonelt. Locus ab oppofi- aut habet pedes, autnon haber. Partitione verò , tis, ſecunduin habitum ac privationein . velut ſi quis dividat : omnis hoino aut ſanus , aut Zocus à rela. Rurſus ſit in quxſtione pofitum , an patris fit æger eft. Fit autem univerfa divifio , vel , ut ge proprium procreatorem eſſe, dicain rectè videri : neris in ſpecies, vel.totius in partes, vel vocis in quia filii eſt propriuin procrcatum efle ; ut enim proprias ſignificationes, vel accidentis in ſubje ſeſe habet pater ad filium , ita procreatus ad pro- cta , velſubjecti in accidentia , vel accidentis in Creatorem . Quæſtio de proprio. Propofitiomaxi- accidentia. Quorum omnium rationemin meo ma : ad ſe relatorum propria, & ipſa ad ſe refe- libro diligentius explicavi , quem de diviſione Libram dedi runtur. Locus à relativis oppofitis. Locus ab af compoſui:atque idcircoad horuin cognitionem vifione com pour celſis formatione e Item fit in quæſtione politum , an lit ani- congrua petantur exempla. Fiunt verò argumen - dow negatione. malis proprium moveri , negem : quia nec tationes per diviſionem , tun ea ſegregatione, * Ed. in ani- * inaniinati quidein eſt proprium non moveri. qux per negationem fit, cum ea quæ per parti mali. Quæſtio de proprio. Propofitio inaxiina : op- tionem . Sed qui his diviſionibus utuntur , aut di politorum oppoſitaeſſe propria oportere. Ló- re& tâ ratiocinatione contendunt : aut in aliquid cus ab ppolitis, ſecundum affirmationem ac impoſibile atque inconveniens ducunt , atque negationem ; moveri enim & non moveri, ſe- ita id quod reliquerant, rurſus adſumunt. cundum affirmationem negationémque fibimmer Quæ faciliùs quiſque cognoſcer, li prioribus opponuntur. Analiticis operam dederit : horum tamen in præ Ex tranſſumptione verò hoc modo fit : cùm ex fentitalia præftabunt exempla notitiain . Sit in transJumptio. histerminis in quibus quæſtio conſtituta eft,ad quæſtionepropoſituin, an ulaorigo fit temporis: aliud quidem notius dubitatio transfertur; atque quod qui negare volet, id nimirum ratiocinatio ex ejus probationeea, quse in quæſtione ſunt po- ne firmabit mallo , modo effe ortum :ídque dire ſita , confirmantur; ut Socrates, cùin quid pof- &tâ ratiocinatione monftrabit, hocmodo: quo ſet in unoquoque juſtitia , quæreret ; omnein niain mundusærernus eſt ( id enim pauliſper ar tractatum ad reipublicæ tranſtulit inagnitudi- guinenti gratiâ concedatur ) mundus verò fine nem ; atque ex co quodilla efficeret infingulis, tempore effe non potuit, teinpus quoque eſt æter etiani valere fitinavit. Qui locus à roro forſican num : ſed quod æternum eſt , carerorigine : tem eſſe videretur : ſed quoniam non inhæret in his, pus igitur orignem non habet. Atſi per impolli de quibus proponitur terminis, fed extra poſita bilitatein idem deſideretur oſtendi, dicetur hoc res, hoc tantum quianotior videtur, affumitur; modo. Sitempus habet origineni,non fuit ſemper idcirco ex tranſfumptionelocus id convenienti teinpus: fuit igitur , quando non fuit rempus, ſed vocabulo nuncupatus eft. Fit verò hæc tranſlum- fuiffe ſignificatio eſt temporis ; fuit igitur tein prio &in nomine, quoties ab obfcuro vocabulo pus , quando non fuittempus : quod fieri non ad notius transfertur argumentatio, hoc modo ; poteft ; non igitur eſt ulluin temporisprincipiuin ut ſi quæratur, an philoſophus invideat , fitque pofitum . Namque, ut ab ullo principio cæpe ignotum quid philoſophi ſignificet nomen , dice- rit , inconveniens quiddam atque impoffibile mus ad vocabulum notius transferentes, non in- contingit fuiſſe teinpus , quando non fuerit videre qui ſapiens ſit ; notius enim eſt fapientis tempus. Reditur igitur ad alterain partein , vocabuluin , quàm philofophi. Ac de his qui- quod origine careat: fed hæc quæ ex negatio dem locis qui extrinfecus aſſumuntur, idoncè di- ne diviſio eſt , cùm per eam quælibet argu ctuin eſt : nunc de mediis diſputabitur. menta ſumuntur , nequit fieri , ut utrumque fit ,, quod affirinatione & negatione dividi De Mediis. tur : itaque ſublato uno , alterum manet ; pofi tóque altero reliquum tollitur: vocaturque hic à Ex quibus Medii enim loci ſumuntur vel ex calu , vel ex diviſione locus , medius inter eos qui ab ipfis conjugatis , vel ex diviſione naſcentes. Caſus duci folent , atque eos qui extrinſecus adſumun Sumantur. Quid fit eſt alicujus nominis principalis inflexio in adver- tur. Cùm enim quæritur, an ulla temporis lit bium : uràjuſtitia inflectitur juſtè , cafus igitur origo , ſumit quidem eſſe originem ; & ex eo pet Quid Conju- eſt juſtitia,id quod dicimus juftè , adverbium . propriamconſequentiam à re ipſa,quæ quæritur, Conjugata verò dicuntur , qux abeodein diver- htimpoſſibilitatis & mendacii fyllogiſmus ;quo fo modo ducta Auxerunt :ut à juſtitia , juftum ; concluſo reditur ad prius , quod verum eſſe ne hæc igitur inter ſe & cum ipſa juſtitia conjugara ceſſe eſt ; fiquidem ad quod eioppofitum eſt, ad dicuntur, ex quibus omnibus in promptu lunt impoſſibile aliquid inconvenienſque perducit. argumenta. Namfi id quod juftum eft , bonum Itaque quoniam ex ipfa re, de qua quæritur, fieri eſt; & id quod juſtè eſt , benè eſt ; & qui juftus fyllogiſmus folet , & quali ab iplis locus eft du eft, bonus cft, & juftitia bona eſt ; hæc igitur cus : quoniam verò non in eo permanet, fed ad locis Medii Calus. gaid. politum De Dialectica. 577 BA tis li 1 . nd 20 je 18 19 100 . TOR: OK parti 17 10.3. pofitam redit, quafi extrinſecus fumitur: idcirco Quibus ita popofitis inſpiciatRus nunc cos lo: igitur hic à diviſione locus inter utrumque me cos', quos duduin extrinfecuspronuntiabamus Delocis eta dius collocatur. affuini ; ea enim , quæ extrinſecus affumuntur, frempris, , of Loci ex par Ac verò hi qui ex partitione funiuntur, multi- non ſunt ita ſeparata atquedisjuncta , ut non ali nitione fum- plici funt modo. Aliquotiens enim quæ divi quandoquali è regione quadam , ca quæ quærun qua dintre pri,maisiplici duntur , fimul effe poffunt ; ut fi vocem in figni- tar , afpiciant. Nam & funilitudines & oppofita frunt modo. ficationes dividamus, oinnes fimul eſſe poſſunt: ad ea lme dubio referuntur, quibus ſimilia vel op veluti cum dicimus amplector, aut actionein li polica funt , licet jure atqueordine videantur ex gnificat , aut paffionem ; utrumque finul lignifi trinſecus collocata. Sunt autem hæc, ſimilitudo, care poteft. Aliquotiens velut in negationis mo- oppoſitio, magis,ac minus, rei judicium . In ſimi do , quæ dividuntur fimul eſſe non poffunt ; ut litudine enimcum rei fimilitudo , tum propor fanus eſt , aut æger. Fitautein raciocinatio in tionis ratio continetur. Omnia enim fimilitudi priore quidem mododivilionis, tum quia omni- nem tenent. bus adeſt quodquæritur, vel non eft : tum verò Oppolica verò in concrariis , in privationibus; idcirco alicui adeſſe, vel non adeffe quod aliis ad in relationibus, in negationibus conſtant. Com ſit , vel minimè. paratio verò majoris ad minus quædam quali ſi Nec in his explicandis diutiùs laboramus, fi miliuin diffimilitudo eft ; rerum enim per fe finni prioresReſolutorii, vel Topica diligentiùs inge- lium in quantitate diſcretio majus fecit ac minus, nium le& oris inftruxerint. Nam fi quæratur, Quod enim omni qualitate , omnique ratione utrum canis fubftantia fit , atque hæc divifio fiar: disjunctum eſt , id nullo modo poterit compara canis vel latrabilis animalis eſt velmasinx belluæ, ri. Exrei verò judicio quæ ſunt argumenta, quaſi vel cæleftis lideris nomen e demonftraretque per teſtinionium præbent , & ſunt inartificiales loci ſingula & canem latrabilem fubftantiam eflc,ma- atque omnino disjuncti ; nec rem potius , quàm rinam quoquebelluam , & cælefte fidus ſubſtantiæ opinionem judiciúmque fectantes. Tranſſum poffe fupponi,nonftravit canem eſſe fubftantiam . ptionis verò locus nunc quidem in'æqualitate, Acque hic quidem ex ipfis in quæſtione propoſi- nunc verò in majoris minoriſve.comparatione tis ; videbitur argumenta traxiſſe. At in talibus conſiſtit ; aut enim adid quod eſt finile , aut ad id fyllogiſmis, aut fanus eſt aut æger : ſed fanus eft, quod eſt majus aut minus, fit arguinentorum raa non eft igitur ager : ſed fanus non eft, rgerigi- fionumque tranſſumptio. cur eſt ; velica : liæger eft, fanus igitur non eſt; Hi verò loci quos mixtos eſſe prædiximus, aut De locismist velita : fi æger noneft , fanus igitureſt. Ab his ex caſibus, autex conjugatis, aut ex diviſionenaſ- sis. * M5$. in- quæ funt* extrinſecusſumptus eſt ſyllogiſmus,id cuntur: in quibus omnibus conſequentia, & re trinfecu . elt,ab oppoſitis . Idcirco ergo totus hic àdiviſio- pugnantia cuſtoditur. Sed ea quidem ,quæ ex defi ne locus inter utrofque medius eſſe perhibetur: nitione , vel genere , vel differentia , vel caufis quia ſi negatione fit conftitutus , aliquo inodo arguinenta ducuntur , demonftratione maxiinè quidem ex ipfis fumitur, aliquo modo ab exte- fyllogiſinis vires atque ordinem ſubminiſtrant: tioribus venit. Si verò à particioneargumenta reliqua verò verifimilibus ex dialecticis. Atque ducuntur; nunc quidem ab ipfis , nunc verò ab hi loci maximè, qui in corum fubftantia ſunt, de exterioribus copiam præſtant: quibus in quæſtione dubitatur , ad prædicativos Etca Græci quidem Themiſtii diligentiſſimi ac fimplices:reliqui verò ad hypotheticos & con ſcriptoris ac lucidi , & omnia ad facultatem intel- ditionalesreſpiciuntfyllogiſmos. Partitio locou ligentiæ revocantis , talis locorum videtur effe Expeditis igitur locis ,& diligenter tam defini partitio. Quæcùm ita fint, breviter mihi loca- tione, quàm exemplorum etiam luce parefactis, rum divifio coinmemoranda eſt , ut nihil præte- dicendum videtur, quomodohiloci maximarum rea relictum eſſe monftretur, quod non intra cam ſint differentiæ propoſitionum , idque brevi; ne probetur effe inclufum . De quo enim in quali- que enim longå diſputatione res eget. Omnes bet quæſtione dubitatur , id ita firınabitur argu- enimmaxiinæ propoſaiones,vel definitiones, in mentis ; ut ea vel ex his ipfis fumantur , quæ in eo quòd ſunt maximæ , non differunt : ſed in ed quæſtione ſunt conſtirura, vel extrinfecus ducan- quòd hæ quidein à definitione, illæ verò à genere, tur vel quaſi in confinio horum pofita veſtigen- vel aliæ veniant ab aliis locis , & his jure differre; tur. Ac præter hanc quidem diviſionein nihil ex- hæque earum differentiæ eſſe dicuntur. tra inveniri poteſt : ſed ſi ab ipſis fumitur argu mentum , aut ab ipſoruin neceffe eſt ſubſtantia De Topicis. fumatur, aut ab his quæ ea conſequuntur , aut abhis quæinſeparabiliter accidunt,veleis adhæ- Topica ſunt argumentorum ſedes, fontes fen- Quid fire ſubſtantia ſeparari ſejungique fuum , origines dictionum . Itaque licet definire Topica. vel non poffunt , vel non folent. Quæ verò ab locum eſſe argumentiſedem : argumentum aucem corum fubftantiaducuntur , ca aut in deſcriptio- rationem, quæ reidubiæ faciat ħdem. Et funt ar- Quibus ex aut in definitione ſunt ; & præter hæc, à no- gumenta aut in ipfo negotio , dequo agitur: aut rebus argi minis interpretatione. Quæ verò eavelur ſub- ducuntur exhis rebus , quæquodanmodoaffectæ menta ernano ftantias continentia conſequuntur, alia ſunt, vel ſunt ad id ,de quo quæritur ; & ex rebus aliis tra ut generis, vel differentiæ , vel integræ formæ, &tæ nofcuntur : aut certè affumuntur extrinſecus. vel fpecierum , velpartiumloco circaca, quæ in- Ergo hærentia loca argumentorum in eo ipfone- Ex locis han quirantur , alliſtunt. Item , vel caufæ , vel fines, gotio funttria,id eſt , à toto , à partibus, à nota. rentibus & vel effectus, vel corruptiones, vel uſus,vel quan A toto eft argumentum etiam ,cùm definitio ad- ſunt tria. ticas, vel tempus , vel fubliſtendimodus. Quod hibetur adid , quod quæritur; ſicut ait Cicero, * Ed. exfc. verò propriè inſeparabile , vel adhærens , acci- Gloria eſt laus rectè fa &torum , magnorúmque in dens nuncupatur, id in communiter accidentibus rempublicam fama meritorum : * ecce quia gloria numerabitur. Et præter hæc quid aliud cuiquam totum eſt , per definitionem oſtendis, quid lis inelle pollit, non poteft invenici. gloria. Dddd firs 218 - am Timr . 578 Caffiodorus tredecim . Argumentum à partibus ſic ; utputa , ſi oculus A repugnantibus arguinentum eſt , quando videt, non ideo totuin corpus videt. illud quod objicitur,aliqua contrarietate deftrui A nota autem fic ducitur argumentuin , quod tur ; ut Cicero dicit:Is igitur non inodò à te per Græcè Etymologia dicitur : Siconſul eſt,qui con- riculo liberatus , ſed etiam honore ampliſſimodi ſulit reipublicæ , quid aliud Tullius fecit,cùm ad- tatus , arguitur domi ſuæ te interficere voluiffe. fecit fupplicio conjuratos ? A cauſis argumentum eſt , quando ex conſuetu Exipfis rebus Gex rebus Nuncducunturargumenta & ex his rebus, quae dine communi res quæ tractatur , fieri potuiſſe aliis, e junt quodammodo affectæ ſunr adid , de quo quæri- convincitur ; ut in Terentio : Ego nonnihil veri & ex rebus aliis tra &tæ nofcuntur: & funt tus ſuin dudum abs te Dave , ne faceres , quod loca tredecim , id eſt , alia à conjugatis, alia à ge- vulgus fervorum folet, dolis ut ine deluderes. nere , alia à forma generis, id eft, fpecie , alia à Ab effectibus ducitur argumentum , cùm ex his Limilitudine , alia à differentia, alia ex contrario, quæ facta ſunt, aliquid adprobatur ; utin Virgi alia à conjunctis , alia ab antecedentibus , alia à lio : Degeneres animos timor arguit; nam timor conſequentibus, alia à repugnantibus, alia à cau- eſt caula, ut degener ( ic animus, quod ciinoris fis , alia ab effectibus, alia à comparatione inino- effectum eſt. rumi, majorum , aut parium . A comparatione argumentuin ducitur, quando Primò ergo à conjugatis argumentum ducatur. per collationem perfonarum live caufarum , fen Conjugata dicuntur , cùm declinatur à nomine, tentiæ ratio confirmatur, & à majori ratione hoe & fit verbun ; ut Cicero Verrem dicit everriſſe modo , ut in Virgilio : Tu potes unanimes arna provinciam : vel nomen à verbo, cùmlatrocinari rein prælia fratres. Ergo qui hoc in fratribus po dicitur latro : aut nomen à nomine; ut Terentius: teft, quanto magis in aliis ?'A minorum compa Inceptio eſt amentium , haud amantium , ratione ; ſicut Publius Scipio Pontificem maxi A genere argumentum eſt, quando à re gene- mum Tiberium Gracchum non mediocriter labe rali ad ſpeciem aliquam deſcendit: ut illud Virgi- factantem ſtatum reipublicæ privatus interfecit. lii , Varium & mutabile ſemper fumina : potuit A pariuin comparatione;lic Cicero, in Piſone &Dido , quod eſt ſpecies , varia & mutabilis nihil intereſſe, utrum ipſe conſul improbis con eſſe. Velillud Ciceronis , quod fecit argumen- cionibus, perniciofis legibus rempublicam vexer, tum , deſcendens à genere ad ſpeciem :Nam cùm an alios vexare pațiatur. omnium provinciarum ſociorúmque rationem Extrinſecus verò affumentur argumenta hæc, De Argu diligenter habere debeatis , tuin præcipuè Siciliæ , quæ Græci år give vocant , id eſt , inartificialia, meniis ex judices. quod teitimonium ab aliqua externa re fumitur frin'ecus afa fumptis. Aſpecie argumentumducitur , cùmgenerali ad faciendam fidem ; & prius. quæſtioni fidem fpecies facit; ut illud Virgilii : A perſona, utnon qualifcuinque lit , ſed illa An non fic Phrygius penetrat Lacedæmonapa- quæ teitimonii pondus habet adfaciendam fi ftor ? quia Phrygius paſtorſpecies eſt ; & fi iftud dem , fed & morum probitate debet effe lauda ille unusfecis , & alii hoc Trojani generaliter fa- bilis. tere poffunt. A natura auctoritas eſt , quæ maxima virtute A ſimili argumentum eft , quando de rebus conſiſtit ; & à tempore funt, quæ afferant aucto aliquibus fimilia proferuntur ; ut Virgilius. ritatem ; ut ſunt ingenium , opes, ætas , fortu Suggere tela inihi, nam nullum dextera fruftra na, ars , uſus, necellitas, concurſio rerum for Torſerit in Rutulos, fteterintque in corporc tuicaruin. Grajum A dictis fačtíſque majorum petitur fides: cùm Iliacis campis. priſcorum dicta factáque memorantur. A differentia argumentum ducitur , quando Et à tormentis fides probatur, poft quæ neme per differentiam aliquæ res feparantur; Virgilius: creditur velle mentiri. Non Diomedis equos, nec curruin cernis Achil lis . De Syllogiſmis. A contrariis argumentum ſumitur , quando res diſcrepantes fibimet opponuntur ; ut Teren Prima figura modos haber quatuor, qui uni tius: Nam fi illum objurges, vitæ qui auxilium verfaliter vel particulariter affirmativam vel ne tulit , quid facies illi qui dederit damnum aut gativam concludent. malum ? Secunda item quatuor modos , qui ab negativa A conjunctis autem fides petitur argumenti; concludent , five univerſaliter live particulariter. cùm quæ lingula infirma ſunt, fi conjungantur Tertia figura haber ſex modos , qui affirmative vim veritatis affumunt ; ut , quid accedit ur tenuis vel negativè , ſed particulares facient copclufio ante fuerit, quid fi ut avarus, quid fi ut audax , nes. quid fi ut ejus, quiocciſus eſt, inimicus ? Singula Ergo primæ figuræ modus primuseſt , qui con hæc quia non ſufficiunt , idcirco congregata po- ficitur ex duabus univerſalibus affirmativis, ha nuntur , ut ex multis junctis res aliqua confir- bens concluſionem univerfaliter affirmativain , hoc modo . Ab antecedentibus argumentum eft, quando Omne bonumeft amabile . aliqua ex his quæ priùs gefta funt, comproban Omne juftum eft bonum . tur; ut Cicero pro Milone :Cùm non dubitaverit Omne igitur juftum eft amabile. aperire quid cogitaverit , vos poteſtis dubitare Secundus modus figuræ primæ conficitur ex quid fecerit ? præceſſit enim prædictio ,ubi eft ar- univerſali abnegativa , & univerfali affirmativa, gumentum , & fecutuin eſt factum . habens concluſionem univerſaliter, hoc modo . A confequentibus verò arguinentum eſt, quan Nullus rifibilis eft irrationalis. do pofitam rem aliquid inevitabiliter conſequi Omnis homo eft riGbilis. tur ; ut fi mulier peperit, cum viro concubuit. Nullus igitur homo eſt irrationalise. metur. De Dialectica. 579 Tertiusmodusprimæ figuræ eſt, qui conficitur gationem particularem concludit, hoc modo. ex univerſali affirinativa , & particulari affirma Quidam homo non eſt albus. tiva , particularem affirmativam concludens, hoc Omnis homo eft animal. modo. Quoddam igitur animal non eſt albumi Omne animal movetur. Sextus modus tertiæ figuræ eſt , qui ex univer Quidam homo eſt animal. ſali negativa , & particulari affirmativa particula Quidam igitur homo movetur. rem negativam concludir , hoc modo. Quartusmodusprimæ figuræ eſt , qui confi Nallus homo eft lapis. citur ex univerſali abnegativa, & particulari affir Quidain homo eſt albus. mativa , particularem abnegativam concludens, Quoddam igitur album non eſt lapis. hoc modo . Demonftrati ſunt omnes modi trium figuraru :n Nullum inſenſibile eſt animatumi categorici fyllogiſmi , licet quidam primæ figuræ Quidam lapis eft inſenſibilis. aliosquinque modos addiderint. Quidam igitur lapis non eſt animatus. Secundæ verò figuræprimus inodus eſt, qui ex De Paralogiſmis. univerſali abnegativa , & univerſali affirmativa Paralogiſmi verò primäe figuræ ita fiunt,ex prio concludit hoc modo univerſale abnegativum . ri affirmativa univerſáli, &fecunda negativa uni Nullum maluin eſt bonum . verfali. Omnis homo eft animal : nullú animal eſt Omne juſtum eſt bonum. lapis : nullus igitur homo lapis eſt. Et quiamuta Nullum igitur juftum eſt malum . to termino &univerfale & particulare concludet Secundæ verò figuræ ſecundus modus eſt , in & negativaļn & affirmativam : ob hoc eſt inutilis quo ex univerſalipriore affirmativa, & pofteriore approbatus idem paralogiſmus,quiex duabus ne univerſali abnegativa conficitur univerfalis abne- gativiş univerſalibus fit hoc , modo. Nullus lapis gativa concluſio , hoc modo. , animal eft : nullum animal immobile eft : nullus Omne juftum eft æquum . igitur immobilis eft lapis. Nullum malum eſt æquum , Idem paralogiſmus , qui ex duabus particulari Nullum igitur malum eſt juſtum . bus affirmativis fit hocmodo : Quidam equus Tertius ſecundæ figuræ modus , qui ex priore animal eſt: quoddam animal bipes eſt : quidam univerſali negativa,& pofteriore particulari affir- igiturequusbipes eſt. Rurſum ex duabus parti inativa , negationem colligit particularem , hoc cularibus negativis họcmodo : Quidam homo al modo. bus non eft : quoddam album non movetur : qui Nullus lapis eſt animal. dam igitur homo non movetur. Quædam ſubſtantia eſt animal. Dein, fi prior affirmativa particularis, & ſecun Quædá igitur ſubſtantia non eſt lapis. da negativa particularis fuerit, hoc modo : Qui Quartus moduseſt ſecundæ figuræ , qui ex affir- dam equus animal eſt : quoddam animal quadru mativa priore univerſali, & pofteriore particu- pesnon eſt : quidam igitur equus quadrupes non lari negativa , particularem negationem conclu- elt. dit , hoc modo . Idem ,li prior negativa particularis , ſecunda Omne juſtum eſt rectum . affirmativa fuerit particularis,hoc modo: Quidam Quidam homo non eft rectus. homo equus non eſt , quidam equus immobilis Quidam igitur homo non eſt juſtus. eſt ; quidam igitur homo immobilis eſt. Primus modus tertiæ figuræ eſt , qui ex duabus Idem , fi major propofitio affirmativa fuerit uni univerſalibusaffirmativis, particularem affirmati- verſalis, & minor propoſitio negativa fuerit par vam concludit : quia univerſalem affirmativam ticularis , paralogiſmus erit , hoc modo: Omnis licet in particularem affirmativam converti , hoc homo animal elt , quoddam animal rationabile modo. non eít, quidam igitur homo rationabilis non eft: Omnis homo eſt animal. At verò ſi major fuerit propoſitio univerſalis Omnis homo eſt ſubſtantia. negativa, & minor particularis fuerit negativa; Quædain igitur ſubſtantia eſt animal. nullus poterit eſſe fyllogiſmus, hocmodo :Nuli Item ſecundus modus tertiæ figuræ eft, in quo lus lapis animal eſt , quoddam animal pinnatum ex univerſalinegatione & univerfali affirmacione eft , nullus igitur lapis pinnatuseſt. fit particularis negativa concluſio. Rurſus, li primafuerit particularis , ſecunda Nullus hoino eſt equus. verò univerſalis, & utræque affirmativæ propofi Omnis homo eſt ſubſtantia. tiones , non erit ſyllogiſmus , hoc modo : Qui Quædá igitur fubftantia non eft equus. dam lapis corpus eſt , omne corpus menfurabile Tertius modus člttertiæ figuræ , qui ex particu- eſt, quidam igitur lapis inenfurabilis eſt. lari & univerſali aftırmativis parcicularem affir Idem ,liprima fuerit particularis propoſitione mativam concludit , hoc modo. gativa , & fecundauniverſalis negativa, non erit Quidam hoino eſt albus. fyllogiſmus, hoc modo : Quoddam animal bipes Omnis homo eſt animal. non eft, nullum bipes hinnibile eſt, quoddam -Quoddam igitur animal eſt album . igitur animal hinnibile non eſt; Quartus verò modus tertiæ figuræ eft , qui ex Idem , ſi prior affirmativa particularis, ſecunda univerſali &particulari affirmativis , particulare negativa univerſalis propolițio fuerit ; ſyllogif , affirmativum concludit, hoc modo. mum non facit ; hocmodo: Quidamn lapis inſen Omnis homo eſt animal. farus eſt , nullum inſenſatuin vivit , quidam igi Quidam homo eſt albus. tur lapis non vivit. Quoddam igitur album eſt animal. Idem , li prior negativa particularis propoſitio Quintus verò modus tertiæ figuræ eſt, qui ex faerit, & fecunda attirnativa univerſalis , para „particulari negativa, & univerſali affirınativa ne- logiſinus erit , hoc modo : Quoddam nigrunani. Dddd ij M cha 1 ܬ 580 Caffiodorus non cſt. lis eft. anarum non eſt, omne animatum movetur, quod- Confirmationem , Reprehenſionem , Peroratio dam igitur nigrum non movetur. Et de finitis nem . Quæ partes inſtrumenta ſunt Rhetoricæ fa propolitionibus fyllogiſmus non fit, quia parti- cultatis: quoniam Rhetorica in omnibusſuisſpe culares fimiles ſunt. ciebus ineft, & ſpecies eidem inerunt. Nec po tiùs inerunt , quàm eiſdem ea , quæ peragunt, ad Omnes propofitiones his modis conftant. miniſtrabunt. Itaque & inJudiciali genere cau faruin neceffarius eft ordo Proemii , & Narra Id eſt, Simplices, ita. Contraria . tionis , atque cæteroru: n ; & in Demonſtrativo, Omnis homo juſtuseſt. Nullus homojuſtus eſt. Deliberativóque neceſſaria ſunt. Opus auté Rhe- o "uis Rhero Quidam homo juſtus Quidam homo juſtus toricæ facultatis,docere & movere : quod nihilo- rice of move. eſt . minus iiſdem ferè rex inftrumentis, id eft oratio- re docere, Contradictoria . nis partibus , adıniniftratur. Partes autem Rho Omnis homo rationalis Nullus homo rationa- toricæ , quoniam partes ſunt facultatis , ipfæ quo eſt. que ſunt facultates ; quocirca ipfæ quoque ora Quidam homorationa- Quidam hoino ratio- tionis partibus, quali inſtrumentis utentur. lis eft . halis non eft. Atque ut his operentur, eiſdem inerunt. Nam Ex utriſque terminis infinitis. Omnis non in exordiis niſi quinque ſint ſupradictæ Rhetori homo non rationalis eſt. Nullus non homo non cæ partes ; utinveniat , eloquatur, diſponat, me rationalis eſt. Quidam non hoino non rationa- minerit , pronuntiet, nihil agit orator. Eoden lis eſt. Quidam non hoino non rationalis non eſt. quoque modo & reliquæ ferè partes inſtrumenti, Item ex infinito ſubjecto :Omnis non homo nili habeant omnes Rhetoricæ partes , fruſtra. Tationalis eft. Nullus non homo rationalis eſt. funt. Hujus autem facultatis effector, orator eſt : Quidam non homo rationalis eſt. Quidaın non cujus eft officium dicere appoſitè ad perſuaſio hoino rationalis non cft . nein : finis tum in ipſo quidem bene dixiſſe, id Item ex infinito prædicato : Omnis homo non eſt , dixiſſe appolitè ad perſuaſionem : altera rationalis eſt. Nullus hoino non rationalis eft. verò perſualifie. Neque enim fi qua impediant Quidam homo non rationalis eſt. Quidam homo oratorem , quominus perfuadear, facto officio, non rationalis non eſt. finem non elt confequutus :ſed is quidem , qui Item quæ conveniunt : Omnis homo rationalis officio fuit contiguus & cognatus, conſequitur, eſt. Nullus hoino non rationaliseſt. Onnis ho- facto officio. Is verò , qui extrà eſt, ſæpe non mo non rationalis eſt. Nullus homo non ratio- confequitur: neque tamen Rhetoricam ſuo fine nalis eit. Quidam homorationalis eſt. Quidam contentam ,honore vacuavit.Hæc quidem ita ſunt homo non rationalisnon eſt. Quidam homo non mixta , ut Rhetorica infit fpeciebus, ſpecies verò rationalis eft. Quidam homo non rationalis non infint cauſis. eſt. Cauſarum verò partes ſtatus effe dicuntur: quos Canlari Item. Omne non animal non homo eſt. Nul- 'etia : aliis nominibus cum conſtitutiones, tum partes flares dicuntár, lum non animal non homo eſt. Quiddam non quæftiones nominare licet :qui quidem dividun animal non homo eſt. Quiddam non animalnon tur ita , ut rerum quoque natura diviſa eſt. Sedà fiones. homo non eſt. principio quæſtionum differentias ordiamur: Item converfæ ex prædicato infinito . Omne quoniain Rhetoricæ quæſtiones circunſtanciis non animal homo eſt. Nullum non animal homo involutæ ſunt omnes , aut in fcripti alicujus con eit. Quoddain non aniinal homo eſt. Quoddamn troverſia verfantur, aut præter fcriprum ex re ipſa... non animal hoino non eſt. fumunt contentionis exordium , Item converfæ ex infinitoſubjecto. Omne ani Et illæ quidem quæſtiones,quæ in ſcripro ſunt, Queflionesia pro quin mal non homo eſt. Nullum animal non homo quinque inodis fieri poffunt. Unoquidem , cùng eft. Quiddam animal non homo eſt. Quoddam hic ſcriptoris verba defendit , & ille ſententiains i polliams. aniinalnonhomo non eft. atque hic appellatur ſcriptum, & voluntas, Item propoſitiones indefinitæ. Homo juſtus Alio verò , fi inter fe leges quadain contrarieta eſt. Hoino juſtus non eſt. te diffentiunt, quarum ex adverſa parte aliæ de Indefinitarum propoſitiones cum ſubje& o in- fendunt , aliæ faciunt controverſiam ; atque hic finito . Non hono juſtus eſt : Non homo juſtus vocatur ftatus legis contrariæ . non eſt. Tertio , cùin fcriptum , de quo contenditur, Ex prædicato infinito. Homo juſtus non eſt. fententiam claudit ambiguam : ambiguitas ex ſuo Homonon juſtus non eft. nomine nuncupatur. Ex utriſque terminis infinitis. Non homo Quarto verò, cùm in eo quod ſcriptum eſt,aliud non juſtus eſt. Non homo non juſtus non eſt. non fcriptum intelligirur ; quodquia per ratioci Propoſiriones ſingulares vel individuæ. Plato nationein & quamdam ſyllogiſmiconſequentiam juſtus eſt. Plato juſtus non eſt. veſtigatur , ratiocinativus vel fyllogiſmnus di Ex infinito ſubjecto. Non Plato juſtus eſt. citur. Non Plaro juſtus non eſt. Quinto , cùm ſermo ſcriptuseſt, cujus non fa Ex infinito prædicato. Plato non juſtus eſt. cilè vis ac natura clareſcat,niſidefinitione detecta Platonon juſtus non eſt. lit ; hic vocatur finis in ſcripro ; quos omnes à ſe Ex utriſque terminis infinitis. Non Plato non differre, non eſt noſtri, operiſve rhetorici demon juftus eſt. Non Plato non juſtus non eſt. ftrare. Hæcautem ſpeculanda doctis, non rudi bus diſcenda proponiinus : quamvis de eorum De locis Rhetoricis. differentia in Topicorum commentis per tranſi- Quationes Rhetorice tum differuerimus. Rhetorica oratio habet partes ſex , Procinium , Earum autem conſtitutionum , quæ præter fcri- prin masina plices , fex . quod Exordiumcft, Nacrationein , Partitionem , ptum in ipfaruin rerum contentione lunt politæ , corum dinzi modis fica præter fcri habet partes De Dialectica. 581 1 ses . riaicialis ita differentiæ ſegregantur,ut rerum quoque ip- lem partem vergant, defenfionis copiam non mi farum natura divila lit. In oinni enim Rhetorica niftrant; ex eiſdem enim locis accalatio defenſió . quæſtione dubitatur , an ſit, quid ſit, quale fit ; & que confiftit . propterhæc,an jure, vel more poſſit exerceri judi Si igitur perſona in judiciam vocatur , neque ciuin . Sed li factum ; velres quæ intenditur ab facta:n, dictúmve ulluin reprehenditur, cauſa eſte adverſario,negatur, quæſtio eſt utrùm fit ea ; quæ non poteſt. Nec verò factum , dictúinve aliquod conjecturalis conſtirutio nominatur. Quod fi in judicium proferri poteſt, li perſona non exi factum quidem eſſe conſtiterit,ſed quidnain ſit id ftet. Itaque in his duobus omnis judiciorum ra quod factum eſt , ignoretur: quoniam vis ejus tioverſatur, in perfona ſcilicet, atque negotia definitione monftranda eſt , finitiva dicitur con- Sed , ut dictum eft, perſona eſt , quæ in judicium ftitutio . Ac fi &effe conftiterit, & de rei defini- vocatur : negotium , factum , dictúmveperſone, tione conveniat, fed quale fit inquiratur : tunc propter quod reus ftatuitur. Perſona igitur & ne quia cui generi ſubjici debet ambigitur , genera- gotiamſuggerere arguinenta non poſſunt;de ipſis lis qualitas nuncupatur. In hac verò quæſtione enim quæſtio eſt: de quibus autem dubitatur, ea & qualitatis , & quantitatis , & compatationis dubitationi fidem facere nequeunt Argumen ratio verſatur. Sed quoniam de gènere quæſtio tum verò erit ratio rei dubiæfaciens fidem . Fa , eſt , ſecundum generis formam in plura neceffe ciunt autem negotio fidem ea , quæ ſunt perſo eſt hujusconſtitutionis membra diſtribui. nis ac negotiis attributa. Ac fi quando perſona Omniis quito Omnis eniin quæftio generalis, id eſt, cùm de 'negotio faciat fidem ,velutſi credatur contra rem ftio generalis in duas difiri genere, & qualitate,vel quantitatequæritut facti, publicam fenfifle Catilinam,quoniam perſona bnisur par in duas tribuitur partes. Nam aut in præcerito eſt vitiorum turpitudine denotata : tunc non iiz quæritur de qualitate propoſiti, aut in præſenti, eo quod perſona eſt , & in judicium vocatur , fia aut in futuro . Si in præterito , juridicialis con dem negorio facit , ſed in eo quod ex attributis Ititutio nuncupatur : fi præſentis vel futuri tem- perſonæ quandam ſuſcipit qualitatem . Sed ut re poris teneat quæſtionem ,negotialis dicitur. rúin ordo clariùs colliquefcat , de circumſtantiis Quæftio Fun Juridicialis verò , cujus inquiſitio præteritum arbitror eſſe dicendum. refpicit , duabuspartibus fegregatur. Aut enim De Circumftantiis. duabus parti. in ipfo facto vis defenfionis ineft , & abſolurà Circunſtantiæ ſunt, quæ convenientis fubftan . Detircnm . buslegrégie qualitas nuncupatur : Aut extrinfecus affumitur, tiam quæſtionisefficiunt. Nifienim fit qui fece Gancias para & affumptiva dicitur conſtitutio. rit , & quod fecerit, cauſáque cur fecerit, locus, situr Cicero. Sedhæc in partesquatuor derivatur: aut enim tempúſque quo fecerit,modus, etiain facultas; conceditur criinen, aur removetur , aut refertur, que li delint,cauſa non ſtabit. Has igitur circum aur , quod eſtultimum , comparatur. Conceditur ftantias in geinina Cicero partitur, ut eam quæ crinen , cùm nulla inducitur facti defenſio , ſed eſt , quis, circumſtantiam in attributis perſone venia poſtulatur. Id fieri duobus modis poreſt, ponat : reliquas verò circumſtantias in attributis circumftan fi depreceris, aut purges. Deprecaris,cùm nihil negotio conititaat. Et primùın quidem ex cir excufationis attuleris. Purgas , cùım facti culpa cumftantiis , eam quæ eft , quis , quam perfonæ tia titur , Quispada cicina his adſcribitur'; quibus obliſti obviarique non attribuit , ſecar in undecim partes. Nomen, ut in undecim poffit , neque tamen perſona ſint ; id enim in Verres , natura ut barbarus , victus utamicusno- partes. aliam conſtitutionem cadit. Sunt autem hæc, im- biliuin , perſona ut dives , ſtudium ut Geometra, prudentia , caſus, atque necellitas. cafus ut exul , affectio ut amans , habitus ut ſa Removeturverd criinen , cùm ab eo , qui in- piens, conſilium , facta , & orationes. Eáque cellitur, transfertur in alium . Sed remotio cri- extra illud factum dictúmque ſunt, quæ nunc minis duobus fieri modis poteft : fi aur cauſa re- in judicium devocantur. Reliquas verò cir fertur, aut factum . Caufa refertur , cùm aliena cumſtantias , quæ funt, quid , cur, quando,ubi, poteftare aliquid factum eſſe contenditur: faćtum quomodo , quibus auxiliis, in attributis negocio verò , cumalius aut potuiffe, aut debuiffe facere ponit. Quid, &cur, dicenscontinentia cum ipfo demonſtratur. Atque hæc in his maximè valent, negotio : cur, in cauſa conſtituens ; ea enim cauſa fi ejus nominis in nos intendatur actio, quòd non eſt uniuſcujuſque fa &ti , propter quam factaeſt * MSS.pottat fecerimus id , quod * oportuit fieri. Refertur cri Quid verò , ſecat in quatuor partes. În ſum- Quidfeceria men , cuin jultè in aliquem facinus commiſlum iam tacti , ut parentis occifio. Exhac maximè quatuorpars * MSS.com- effe * conceditur :quoniam is , in quem commif- locus fumitur amplificationis ante factum ; ut senditat. fum ſit , injuriofusfæpe fucrit, atque id quod in- concitus rapuit gladium : duon fit ; vehementer tenditur , meruit pati. percuſſit. Poſt factum ; in abdita fepelivit. Quæ Comparatio eft , cùin propter meliorem utilio- omnia cùın lint facta , tamen quoniain ad geſtum réinve rem factum , quod adverſarius arguit, negotiuin , de quo quæritur, pertinent, non ſunt commiffum effe defenditur. Atque hæchactenus: eafacta , quæ in attributis perſonæ numerara nunc de inventione tractandum eft. ſunt. Illa enim extra negorium , quòd extra poſi ta perſonam informantia fidem ei negotio præ De Inventione ſtant, de quo verſatur intentio : hæc verò facta, quæ continentia ſunt cum ipfo negotio,ad ipſuni Etenim priùs quidem Diale & icos dedimus, negotium ; de quo queritur, pertinent. nunc Rhetoricos promimus locos, quos ex attri Poftreinas verò quatuor circamftantias Cicero In perſona, butis perſonæ ac negotio venire neceſſeeſt. Per- ponit in geſtione negotii, quæ eſt ſecunda pars & negotio fona , quæ in judicium vocatur, cujus dictum ali- attributorum negotiis. Et eam quidem circuin quod factúmve reprehenditur. Negotium ; fa- ſtantiam , quæ eſt quando, dividit in tempus, ut putCie to Cuando , dia conftitute of. cum dictumveperfonæ , propter quod in judi- modò fecit; & in occaſionem ,ut cunctis dormien- in tempus, so cium vocatur. Itaque in his duobus omnis lo- tibus. Eam verò circunftantiam quæ eſt ubi , lo- in occafionč.. * MSS.excu- corum ratio conſtituta eſt ; quæ enim habent* re. cum dicit ; ut in cubiculo fecir : quomodo verò, ſarionis. prehenſionis occaſionem , eadem nili ad excuſabi ex circuinftantiis inoduin ur clain fecit : omnis loco . tum ratio > 1 582 Caffiodorus 1 mus. fed de vo 1 quibus auxiliis circumftantiam , facultatem ap- ita adhærebant , ut ſeparari non poſſint;ut locus, pellat, ut cuin multo exercitu. Quorum qui- tempus , & cætera , quæ geſtum negotium non dem locorum & fiex circumſtantia rerum , natu- relinquunt. tulis diſcretio clara eft :nos tarnen benevolentiùs Hæc verò , quæ ſunt adjuncta negotio , non in faciemus, ſi uberiores ad ſe ditferentias oſtenda- kærent ipſi negotio , ſed accedunt circuinitantiis, & tunc demum argumenta præſtant, cùm ad com Nam cùm ex circumſtantiis alia M. Tullius parationem venerint : ſunant verò argumenta propofuerit effe continentia cum ipfo negotio: non ex contrarietate , fed ex contrario ;& non alia verò in geſtione negorii , atque in continen- ex ſimilitudine, ſed ex ſimili, ut appareat ex re tibus cuin ipſo negotiv : illum adnurneraverit lo- latione ſumi arguinenta in adjunctis negotio ; & cum quem appellavit, duin fit sex ipſa prolatio- ea eſſe adjunéta negotio , quæ funt ad ipſum , de nis fignificatione idem videtur elle locushic,dum quo agitur ,negotium affccta. fit, cum eo , qui eſt in geſtionenegotii; ſed non Conſecutio verò , quæ pars quarta eft eorum , ita sft : quia dum fit , illud eft , quod eo tempore quæ negotiis attributa ſunt, neque in ,iplis ſunt açimiſum eſt , dum facinus perpetratur, ut per- rebus, neque rerum ſubſtantiam relinquunt,ne ouſſit. Ingetione verò negotii, ca ſunt, quæ & que ex comparatione reperiuntur: ſed rem geftam ante factum , & dum fit, & poft factum , quod vel antecedunt , vel etiam conſequuntur. Atque eſtum eſt continent;in omnibus enim tempus, hic locus extrinſecus eſt. Primum eniin in eo . locus, occafio ,modus, facultas inquiritur, Rur- quæritur id , quod factum eſt, quo nomine ap ſus dum fit, factuin eft, quod adininiftratur, eft pellari conveniat : in quo non de re , negotium :qux verò funt in geſtione negotii, non cabulo laboratur. Qui deinde auctores ejus facti ſunt facta, fed facto adhærent ; in illis enim, teni- &inventores , comprobatores, atque æinuli, id pus, occaſionem , locum , modum , facultatein, totum ex judicio , & quodam teſtimonio extrin facta eſſe conſenſerit : fed , ur dictum eſt , qux ſecus políto , ad ſublidium confluit argumenti. cuilibet facto adhærentia fint , atque in nullo Deinde &quæ ejus rei ſit ex conſueto pactio , ju modo derelinquant: quia quadam ratione ſubje- dicium , ſcientia , artificium . Deinde natura cta funt ipſi, quod geſtum eſt , negotio. ejus, quid evenire vulgò ſoleat: an inſolenter & Item ea quæ funt in geſtione negotii, finchis, rardhomines id ſuâ auctoritate comprobare, an quæ funtcontinentia cum ipfoncgotio , eſſe poſ- offendere in his conſueverint; &cætera quæ fas funt. Poteft eniin & locus , & tempus, &oc- ctum aliquod fimiliter confeftim , aut intervallo cafio , & modus, & facultas facti cujuſlibet intel- folent conſequi : quæ neceſſe eſt extrinſecus po ligi , etiamſi nemo faciat , quod illo loco ; vel fita ad opinionein inagis tendere , quam ad ipfam , temporc, veloccaſione, vel modo, vel facultate rerum naturam. fieri poſſet. Itaque ea quæfunt in geſtione nego Itaque in hæcquatuor licet negotiis attributa, tii, line his quæ ſuntcontinentia cum ipfo nego- dividere ; ut fint partim continentia cum ipſo ne tio, effe poffunt. Illa verò line his eſſe non pof- gotio , quæ facta eſſe ſuperiùs dictum eſt : partim ſunt; facèum enim præter locum , tempus, occa- in geſtionenegotii, quæ non effe facta , fed factis fionem , modum , facultatémque efle non pote- adhærentia dudum monſtravimus: partim adjun rir. Atque hæcfunt , quæ in attribucis perſona eta negotio ; hæc , ut dictum eſt , in relatione ac negotio confiftunt, velut in Dialecticis locis ponuntur: partim geſtum negotium conſequun ea , quæ in ipfis cohærent , de quibus quæritur: tur ; horum fides extrinſecus fuinitur. Ac de reliqua verò quæ vel funt adjuncta negotio , vel Rheroricis quidem locis ſatis dictum . negotium geſtuin conſequuntur, talia ſunt, qua Nunc illud eſt explicandum , quæ ſit his ſimi-. Quid fat diain Dialecticis locis ca, quæ ſecundum Themi- litudocum Dialecticis, quæ veròdiverſitas ;quod hobertura corean ſtium quidem partim rei ſubſtantiam conſequun- cùm idoneè, convenientérque monſtravero ,pro- Dialecticisfa tur, partim funt extrinfecus , partim verſantur poſiti operis explicetur intentio. Primò adeo ut militudo ,que in mediis ; ſecundum Ciceronem verò inter affe- in Dialecticis locis , ficut Themiſtio placet , alii verè diverfi &a numerara ſunt, vel extrinſecus polita ." funt, qui in ipſis hærent, de quibus quæritur: tab. Sunt enim adjuncta negotio ipfa etiam quæ fi- alii verò affumuntur extrinſecus , alii verò inedii quajiilem fa dem faciunt quæſtioni , affecta quodammodo ad inter utroſque locati ſunt; ſic in Rhetoricis quo cinn gafiio. id , de quo quæritur, reſpicientia negotium , de que locis , alii in perſona atque negotio conſi quo agitur , hoc modo. Nam circumſtantix ſtunt, de quibus ex adverſa parte certatur: alii feprem quæ in attributis perſonæ , vel negotio, verò extrinfecus , ut hi qui geſtum negotium con numeratæ funt, hæc cum cæperintcomparari,& fequuntur : alii verò medii. quafi in relationem venire , fi quid ad ſe conti Quoruin proximi quidem negotio funt hi , qui nens referatur, vel ad id quod continet , fit aut ex circumſtantiis : reliqui in geſtione negotii ſpecies, aut genus: fi id referatur,quod ab eo lon- conſiderantur. Illi veròqui in adjunctis negotio gillime diſtet, contrariun : at ſi ad finem ſuum collocantur, ipſi quoque intermedios locos pos atque exitum referatur , tum eventuscft. liti ſunt: quoniam negotium , de quo agitur, qua Eodem quoque modo ad majora , & minora, dam affectione refpiciunt. Vel fi quis ea quidem & paria comparantur. Atque omnino tales loci quæ perſonis attributa ſunt, vel quæ continentia in his quæ funt ad aliquid conſiderantur. Namn ſunt cum ipfo negotio , vel in geſtione negotii majus,autminus, alit lunile , aut æquèmagnum , conſiderantur; his lumilia locis dicat, qui ab ipfis aut diſparatum , accedunt circumſtantüs, quæ in in Dialectica trahuntur, de quibus in quæſtionc attributis negotio atque perſonæ numeratæ ſunt ; dubitatur. Conſequentia verò negotio ponat ex ut dum ipfæ circumftantiæ aliis comparantur, fiat trinſecus. Adjuncta verò inter utrumque conſti ex iis argumentum facti dictive, quod in judi- tuat. cium trahitur. Diſtat autem à ſuperioribus, quòd Ciceronis verò diviſioni hoc modo fic fimilis, ſuperiores loci , vel facta continebant , vel factis Nam ea quæ continentia ſunt cum ipſo negocio , Sunt adjun Eta ucgorio, ni, 1 De Dialectica. 583 1 1 ! 1 0 1 1 Dialecticus verò non ita velea quæ in geſtione negotii conſidecantur, in do aliquid ſpecialiter probant, ad Rhetores,Poë ipſis hærent, de quibus quæritur. Ea verò , quæ tas, Juriſperitóſque pertinent. Quando verò ge adjuncta ſunt , inter affecta ponuntur. Sed ea quæ neraliter diſputant,ad Dialecticosattinere manis geitum negotiuin conſequuntur , extrinfecus feſtum eit. collocata ſunt. Vel Gi quis ea quidem , quæ con Mirabile planè genusoperis, in unum potuiſſe tinentia ſunt cum ipfonegotio , in ipſis hærere colligi , quicquid mobilitas ac varietas humanæ arbitretur :affecta verò effe ea,quæ funt in geſtio- mentis in fenlîbus exquirendis per diverſas cauſas ne negotii , vel adjuncta negotio : extrinfecus porerat invenire ; concludi liberuin ac volunta verò ea , quæ geftum negotium conſequuntur. riun intellectum . Nam quocumque ſe verterit, Nam jam illæ perfpicuæ communitates", quod quaſcumque cogitationes intraverir, in aliquid quidem ipſi penè in utriſque facultatibus verſan- corum quæ prædicta ſunt , neceſſe eſt ut huma tur loci, ut genus, ut pars, ut ſimilitudo, ut con- num cadat ingenium. trarium , ut majus, ac minus. Decommunicati Illud autem competens judicavimus recapitu bus quidem ſatis dictum . lare breviter , quorum labore in Latinum elo Differentiæ verò illæ funt , quòd Dialectici quium res iftæ pervenerint ; ut nec auctoribus etiam thelibus apti funt : Rhetorici tantùm ad gloria ſua pereat, & nobis pleniffimè reiveritas hypotheſes, id eft, quæftiones informatas circum- innoteſcat. Iſagogen tranſtulitPatriciusBoëtius, ftantiis affumuntur. Nain ſicut ipfæ facultates à commenta ejus gernina derelinquens. Cate femetipfis univerſalitate , & particularitate di- gorias idem tranſtulit Patricius Boëtius , cujus ſtinctæ ſunt : ita earum loci ambitu , & contra commenta tribus libris ipfe quoque formavit. ctione diſcreti ſunt. Nam Dialecticorum loco- . Peri herinenias fuprà inemoratus Patricius tran rum major eſt ainbitus ; & quoniam præter cir- ftulit in Latinum : cujus commenta ipſe duplicia cumſtantias funt quæ fingulares faciunt cauſas, minutillimâ diſputatione tractavit.Apuleius verò non modò ad theſes utilesſunt, verumetiam ad Madaurenſis ſyllogiſmos categoricos breviter argumenta, quæ in hypothefibus polita ſunt, eof- enodavit. Suprà memoratus verò Patricius de que locos qui ex circumftantiis conſtanc,claudunt fyllogiſmis hypotheticis lucidiflimè pertractavit. atque ambiunt. Itaque fit; ut ſeinper egeat Rhe- * Topica Ariftotelis,uno libro Cicero tranſtulit in Hæcdefuitin tor Dialecticis locis? Dialecticus verò fuis poflit Latinum , cujus commentaprofpe & oratque ama- MSS. effe contentus. tor Latinorum Patricius Boëtius octo libris expo Semper eget Rherorenim quoniam cauſas ex circumſtantiis fuit. Nam & prædictus Boëtius Patricius eadem* Rhetor D4- tractat, ex iifdem circumftantiis argumenta præ- "Topica Ariſtotelis octo libris in Latinum vertic lecticislocis , fumit, quæ neceſſe eſt ab univerſalibus, & ſupli- eloquiun. cioribus confirmari, qui ſunt Dialectici. Diale &ti Confiderandum eft autem , quòd jam ,quia lo cus verò, qui prior eft, polteriore non eget , nifi cus ſe attulit in Rhetorica parte , libavimus quid aliquando incideritquæftio perfonæ ; ut cuin fit interſit inter artein & diſciplinain , ne ſe diver incidensDialectico ad probandam fuam theſim, fitasnominun permixta confundat. Interartem Que fa diften Cáufam circumſtantiis inclufam , tunc demum & diſciplinai Plato , & Ariſtoteles , opinabiles artem dif Rhetoricis utatur locis . Itaque in Dialecticis lo- magiftri fæcularium litterarum , hanc differen- ciplinam ſee ' cis ( fi ita contingit) à genere argumenta fumun- tiam eſſe voluerunt , dicentes : Arrem cflc habitu- cundem Plaa tur ,id eft , ab ipſa generis natura : fedin Rheto- dinem operatricem contingentium , quæ fe & Sonem ricis ab eo generequod illi genus eſt, de quo agi- aliter habere poffunt: Diſciplina verò elt , quæ Vide prefer tur; nec ànatura generis, ſed à re fcilicet ipſa ,quæ de his agit , quæ aliter evenire non poffunt tionem Nunc ergo ad Mathematicæ veniamus initium . Sed ut progrediatur ratio , ex eo pendet, quòd natura generis antè præcognita eſt; ut fi dubite De Mathematica. tur , an fuerit aliquis ebrius, dicitur , fi tefellere velimus, non fuifle : quoniam in eo nulla luxu- ' Mathematica , quam Latinè poſſumus dicere luid fitMara ries antecefferit. Idcirco nimirum , quia cum ku- doctrinalem , ſcientia eſt , qux abſtractam con- in quas para xuries ebrietaſis quaſi quoddam genus fit , cui fiderat quantirarem . Abſtracta enim quantitas tes dividalun luxuries nulla fuerit , ne ebrietas quidem fuit : dicitur, quâ intellectus à materia ſeparátur, vel ſed hoc pender ex altero. Cur enim fi luxuries ab aliis accidentibus ; ut eſt par, impar , vel alia non fuit , ebrietas eſſe non potuit , ex natura ge- hujuſcemodi, quæ in ſola ratiocinatione tracta neris demonftratur , quod Dialectica ratio ſub- mus, hæc ita dividitur ” miniſtrat. Unde enim genus abeft , inde etiain fpecies abelle necefle eft:quoniam genus fpecics r Arithmeticain, non relinquit. Ec de fimilibus quidem , & de contràriis , eo Muſicam . Diviſio Matheina dem modo , in quibus maxima ſimilitudo eft in ticæ in ter Rhetoricos ac Dialecticos locos : Dialectica Geometriam . . eniin ex ipſis qualitatibus , Rhetorica ex quali 1 tatem ſuſcipentibus rebus argumentaveſtigat; ut Aſtronomian . Dialecticus ex genere , id eft , ex ipfa generis na tura : Rhetor ex ea re , quæ genuseft. Dialecti Arithmetica; eſt diſciplina quantitatis numera Quid fit cus ex ſimilitudine, Rhetor ex funili, id eft , ex bilis fecuuduin ſe . Aruthinetica. ta re , quæ fimilitudinem cepit. Eodem modo Mufia eſt diſciplina , quæ de numeris loqui- QuidMufica. ille ex contrarietate , hic ex contrario. tur , qui ad aliquid ſunt his , qui inveniuntur in Memoriæ quoque condendum eft, Topica Ora- ſonis. toribus , Dialecticis, Poëtis, & Juriſperitiscom Gcometria , eſt diſciplina magnitudinis immo- Quid Geomes muniter quidem argumentapræftare: fed quan- bilis & fornarum . rentia inter genus eſt, trii 384 Caffiodorus 1 didit. Inns. Quid fis A. Aſtronomia, eft diſciplina curſus cæleſtiain (i- tergunt, &ad illam inſpectivain contemplatio fronomia. derum , quæ figuras conteinplatur omnes , & ha- nem , fi tamen ſanitas mentis arrideat, Domino bitudines ftellaruin circaſe , & circa terram inda- largiente , perducunt .' gabili ratione percurrit. Quas ſuo loco paulò la Scire autem debemus Joſephum Hebræorum Abraham ciùs exponemus , ut commemoratarum rerum doctiſſimum , in libro primo Antiquitatum , ritu- primim Aris virtus competenter poffit oftendi. Modò de dif- lo nono dicere ,Arichinericain , & Aſtronomiam ihmeticamen ciplinarumnominedifferainus. Abrahain primùm Ægyptiis tradidiffe ; unde ſe Aftronomien Diſciplina Diſciplinæ ſunt, qux , licut jam di & um eft, mina ſuſcipientes ( utfunt hoinines acerrimi in Ægypainte nunquam nunquam opinionibus deceptæ fallunt ; & ideo genii) cxcoluiffe ſibi reliquas latiùs diſciplinas. opinionibus cali nomine nuncupantur,quia neceffariò ſuas re- Quasmeritò fan &i Patres noftei legendas ſtudio deceptæ fal gulas ſervant. Hænec intentione creſcunt,nec fillinis perſuadent: quoniam ex magna parte per Iubductione minuuntur , nec aliis varieratibus eas à carnalibus rebus appetitus noſter abſtrahi permutantur : ſed in vi propria permanentes, re- tur, & faciunt deſiderare , quæ, præftante Do gulas ſuas inconvertibili firmitate cuſtodiunt. mino , ſolo poſſumus corde reſpicere. Quocirca Has dum frcquenti meditatione revoluimus, fen- tempus eſt , ut deeis ſingillatin ac breviter diſſe Cum noftruin acuunt , limúmque ignorantix de- rere debeamus. CAPUT QUARTUM De Arithmetica C49 Arith metica inter Scriptores fæculacium litterarum interdiccipli- faru efleformata ;attamennulla corum ,prætet Mathemati cas diſcipli metiiam eſſe volucrunt:propterea quòd Mufica, Credo trahens hoc initium , ut multi philoſo mis prima ju . & Geometria, &Aſtronomia , quæ fequuntur, photum fecerunt , ab illa ſententia prophetali, Sam 11. 21 . indigent Arithmetica , ut virtutes ſuas valeant ex- quæ dicit : Omnia Deum menſura, numero , & plicare. Verbi gratia ,ſimplum ad duplum , quod pondere difpofuiſſe habet Muſica , indiget Arithmetica : Geometria Hæc itaque confiftit ex quantitate diſcreta, čHY Arish verò , quod habet trigonuin , quadrangulum ,vel quæ parit genera numerorum , nullo fibi com- metice conf his funilia, item indiget Arithmeticas Aſtrono- munitermino ſociata. V. enim ad x. vi. ad iiii . vii. lidt ex quar mia etiam , quòd habet in moru liderum nuineros ad iii. per nullam coinmunein terminuin alteru- titate difcre punctorum , indiget Arithinetica. Arithmetica trâ fibi focietate nectuntur. Arithmetica vecò di sa. Pithagora verò , urlit, neque Muſica , neque Geometria, citur, co quòd numeris præeſt Numerus verò, merica dica Arithmetia neque Aſtronomia egere cognoſcitur. Propterca cft ex inonadibus multitudo compofita; ut iii. V. tur,& que camlan.c. hisfons, & måter Arithmetica reperitur ; quam X. xx . & cætera. Intentio Arithmeticæ elt doce- fit ejusinsects diſciplinam Pythagoras fic laudalle * probatur; re nos naturam abſtracti numeri, & que ei acci- tio. uromnia ſub numero , & menfura à Deo creata dunt ; ut verbi gratia, parilitas , impacilitas , & firatur. fuiſſe incinoret, dicens : Alia in motu , alia in cætera. Cur Arith vit . * Ed. mon s Paritei pat. Pariter impat. Impariter par Prima diviſio numera Tvel par , qui eſt Numerus, qui congre gatio monaduneſt, ľ Primus& ſimplex. vel iinper, qui eſt. Secundus & compoſitus. Tertius mediocris , quiquodam modo primus, & incompoſitus, alio verò modo ſecundus , & ( compofitus. Quid fit Par Par numerus eft , qui in duas partes æquales verbi gratia, xxiiii , in bis xii : xii, in bisyi:ſexo dividi poteft; ut ii. iii. vi.viii . x. & reliqui. in bis tres , & ampliùs non procedit. Quid impar. Impar numerus eſt, qui in duas partes æquales Primus & fimplex numerus eft, qui monadi- Quid primit dividi nullatenus poteft, ut iii. v. vii. viiii. xi.& c cammenſuram ſolam recipere poteſt ; ut verbi & implex reliqui. gratia iii . v. vii . xis xiii. xvii. & his finilias Quidpariter Pariter par numerus eſt, cujus diviſio in dua Secundus & compoſitus numerus eft , qui non Quid fecur par bus æqualibus partibus fieri poteſtuſque ad mo- folùm monadicam menſuram , ſed &arithmeti doto come nada ; ut verbi gratia lxiüi. dividitur in xxxii ; cam recipere poteſt; ut verbi gratia, viiii. xv. xxi. poftmo xxxii , in xvi : & xvi, in viji : viii in iii :üii, & his ſimilia . in duo : ïi , verò in i. Mediocris numerus eſt, quiquodam modo fim Quid pariter Pariter impar numerus eſt , qui fimiliter fo- plex & incompoſitus efle videtur, alio verò ino- cris impar. lummodo in duas partes dividi poteft æquales; do fecundus & compoſitus , ut verbi gratia , viiii. utx , in v : xiiii , in vii : xviii , in viiii.& his fi- ad xxv . dum comparatus fuerit , primus eft & milia. incompoſitus: quia non habet communem nu Quid impari. Impariter par nuinerus eſt, qui plures diviſio- merum , niſi ſolum monadicum : ad xv . verò li nes , ſecundùm æqualitatem partium dividere comparatus fuerit , ſecundus eft & compofitus: poteft, non tamen uſque ad allem perveniat; ut quoniam ineſt illi communis numerus præter monadi. Quid Media ter par De Arithmetica. 383 mõnadicum , id eſt , ternarius'numerus, qui no- fexta pars, duo :quarta pars ,tria : tertia pars,iii: vein menſurat terterni , & xv . ter quini. & duodecima pars unum ; qui oinnes aſſumpti fiunt xvi. Altera divifio , de paribios, do imparibues Indigens nunerus eſt , qui & ipſe de paribus QuidIndigãs. numeris . deſcendit , quantitatis fuæ ſummain partiuin in feriorem habet ; ut viii. cujus medietas , iiii : [ aut ſuperfluus. quarta pars , ii : octava pars , i ; quæ fimul con gregatæ partes fiunt vii. aut par eſt. < aut indigens. Perfectus numerus eft , qui taten & ipfe de QuidPerfe Numerus. paribus deſcendit : is dum par ſit, omnes partes aut impar. į aut perfectus. Taas ſimul aſſumptas , æquales habet ; ut vj. cu jus medietas , tria : tertia pars, ij : vj. pars únum . Quid Sriper. Superfluus numerus eſt, qui deſcendit de pari- Qux aſſumptæ partesfaciunt ipſum ſenariumnus fluis. bus, is dum par ſit , ſuperfluas partes quantitatis merum fuæ habere videtur ; ut xii , habetmedietatem vie. Cassiodoro. Cassiodoro Bruzi. Bruzi. Keywords: dialettica, Squillace, i geti e i goti – teodorico, eteodorico, virtu bellica, ardore guerriero, pagenesimo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bruzi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51711096263/in/photolist-2mTaJAS-2mMwTke-2mKiLGD-2mKfeSA/

 

Grice e Buonafede – filosofia italiana – Luigi Speranza (Comacchio). Filosofo. Grice: “You’ve got to love Buonafede; he is all into the longitudinal unity of philosophy, literally from Remo – he has chapters on the Ancient Romans, on philosophy from the first monarchy to the second, a chapter on Cicerone, and one of a lovely phrase, the Roman equivalent to the century of Pericles, ‘filosofia nel regno di Augusto,’ but also on later developments of Italian philosophy, even a chapter on Cartesianism in Italy, and how philosophy on the whole was ‘resurrected’ or ‘revitalised’ in Italy --. I once joked that philosophers should never give much credit to Wollaston – but Buonafede totally proves me wrong!” --  Essential Italian philosopher. Di familia nobile, studia a Bologna e Roma. Insegna a Napoli. Saggio, “Ritratti poetici, storici e critici di varj uomini di lettere – Appio Anneo de Faba Cromaziano” (Simone, Napoli)  -- opera accolta favorevolmente negli ambienti culturali napoletani frequentati da Buonafede, nella quale convivono giudizi critici su alcuni importanti esponenti della filosofia moderna (quali Machiavelli e Spinoza), con parziali accoglimenti di altri (Cartesio e Locke), in uno stile composito tra il barocco e l'arcadico. Insegna a Bergamo e Rimini. Membro nell'Accademia dell'Arcadia, assumendo il nome di Agatopisto Cromaziano con il quale diede alle stampe numerosi saggi. Insegna a Sulmona. Saggio “Della restaurazione di ogni filosofia ne’ secoli XVI, XVII e XVIII di Agatopisto Cromaziano” (Graziosi, Venezia – Societa Tipografica de classici italiani, Milano) -- particolarmente critica verso la filosofia sensista di Cartesio e Locke. Baretti: ebbe una violenta polemica con lui. Il “Saggio di commedie filosofiche”, contenente un testo in endecasillabi, “Il filosofo fanciullo” che, in uno stile comico, critica celebri filosofi dell'antichità riportando citazioni fuori dal contesto.Venivano beffeggiati, tra gli altri, Socrate, Democrito e Anassagora. Il saggio trova qualche apprezzamento. Baretti, scrittore e critico letterario torinese, in un numero del suo periodico la Frusta letteraria nel quale era solito firmarsi con lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, espresse giudizi negativi sul Saggio del Buonafede trovandolo irrilevante e privo di comicità. Punto sul vivo, replica immediatamente con il libello, dai toni assai aspri, “Il bue pedagogo: novella menippee di Luciano da Fiorenzuola contro una certa Frusta pseudo-epigrafia di Aristarco Cannabue” (Luca).”. Gli rispose ancora Baretti con una nutrita serie di articoli, Discorsi fatti dall'autore della Frusta letteraria al reverendissimo padre don Luciano Firenzuola da Comacchio autore del Bue pedagogo, pubblicati su diversi numeri della Frusta.  La polemica, una delle più aspre e celebri delle cronache filosofiche italiane prosigue ancora.Fa pressioni verso i responsabili della Repubblica di Venezia affinché eliminassero gli articoli apparsi sulla Frusta e perché Baretti fosse poi espulso dallo Stato Pontificio quando si trasferì ad Ancona.  Il critico non fu lasciato tranquillo neppure quando fuggì in Inghilterra: l'irriducibile Buonafede lo accua allora di simpatie verso il protestantesimo. Il giudizio di Croce e piuttosto negativo, scrisse che la sua filosofia e il risultato di «un ingegno da predicatore e da predicatore mestierante, che ha un impegno da assolvere, un sentimento da inculcare, un nemico da abbattere» senza che possano distrarlo dal suo fine «né la ricerca della verità delle cose né l'ammirazione di quel che è bello».  Più positivo il giudizio di Natali nella voce redatta per l'Enciclopedia Italiana, lo giudica “uomo d'ingegno acutissimo, filosofo non volgare, spesso arguto e vivace e dotato di dottrina assai superiore a quella del Baretti. Altre opere: “Delle conquiste celebri esaminate col naturale diritto delle genti libri due di Agatopisto Cromaziano” (Riccomini, Lucca, Milano, Fondazione Mansutti); “Saggio di commedie filosofiche con ampie annotazioni di A. Agatopisto Cromaziano” (Faenza, pel Benedetti impressor vescovile, e delle insigni Accademie degl'illustrissimi sigg. Remoti e Filoponi); “Sermone apologetico di Tito Benvenuto Buonafede per la gioventù italiana contro le accuse contenute in un libro intitolato Della necessità e verità della religione naturale, e rivelata” (Benedini, Lucca); “Della malignità istorica: discorsi tre contro Pier Francesco Le Courayer nuovo interprete della Istoria del Concilio di Trento di Pietro Soave” (Bologna, per Lelio dalla Volpe impr. dell'Instituto delle Scienze); “Dell'apparizione di alcune ombre novella letteraria di Tito Benvenuto Buonafede” (Lucca, appresso Jacopo Giusti nuovo stampatore alla Colonna del Palio); “Istoria critica e filosofica del suicidio ragionato di Agatopisto Cromaziano” (Lucca, Stamperia di Vincenzo Giuntini, a spese di Giovanni Riccomini); “Versi liberi di Agatopisto Cromaziano messi in luce da Timoleonte Corintio con una epistola della libertà poetica ..., Cesena , Società di Pallade per Gregorio Biasini al Palazzo Dandini); “Della istoria e della indole di ogni filosofia di Agatopisto Cromaziano” (Lucca, per Giovanni Riccomini); “Il genio borbonico, versi epici di Agatopisto Cromaziano nelle nozze auguste delle altezze reali di Ferdinando di Borbone, infante di Spagna e di Maria Amalia, arciduchessa infanta” (Parma, per Filippo Carmignani, stampatore per privilegio di sua altezza reale); “Della letteratura comacchiese lezione parenetica in difesa della patria di Agatopisto Cromaziano giuniore” (Parma, Bodoni). Opere di Agatopisto Cromaziano” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli). “Epistole tusculane di un solitario ad un uomo di città, Gerapoli); “Storia critica del moderno diritto di natura e delle genti di Agatopisto Cromaziano, fa parte della Biblioteca cristiano-filosofica decennio primo, consacrato alla divinità” (Firenze, nella Stamperia della Carità). Dizionario Biografico degli Italiani. Soffre di gotta e una caduta in piazza Navona aggrava le sue condizioni. La storiografia filosofica, Vestigia philosophorum”. Il medioevo e la storiografia filosofica, Rimini, Maggioli Editore. Fondazione Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M. Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa. Memorie istoriche di letterati ferraresi,  III, Ferrara. Ritratto di Appiano Buonafede. Assicurazione. Luigi Speranza, "Grice e Buonafede," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.  I Romani, fin d'allora che ebbero le canne per tetti e un solco in luogo di fosse e di muraglie, esercitarono la divinazione, con la cui guida ordi ( 1 ) Seneca I. c. (2) Plinio Hist. Nat. lib. II, cap . 53. V. Lucrezio lib. V. ( 3) Macrobio Saturnal. lib . VII, cap. 13. V. Scipione Maffei ap pressoG. Lampredi l. c. (4 ) Cassiodoro. lib. III Var. Ep. Museo Etrusco 1. II, tab. 15 . UNDECIMO 1499 narono e nobilitaronoi rudimenti della loro pira teria ; e Romolo fu insiemeil fondatore e il primo augure di Roma ( 1 ) . Uomini armati e rubatori co nobbero che questa larva di religione e questa pre tesa scienza del futuro potea aver influssi propiz; nelle loro spedizioni , siccome l'esito comprovo : é fu veramente cosa ammirabile che una tanta pue rilità , di cui gli auguri istessi rideano, producesse vantaggi sì grandi alla fortuna romana. Presero adun que quei primi uomini la disciplina augurale dagli Etruschi , e non curarono altro (2 ). Furon dette as sai novelle della filosofia degli Aborigeni, de' Sabi ni, degli Ausonj e di altre genti di quelle contrade; ma i critici le numerarono tra le favole (3). Numa Pompilio, secondo regolo di quella feroce masna da , pensò di ammansarla con la religione e con la pace. Finse colloquj con le Muse, e divulgò notturni congressi con la dea Egeria. Istituì sacerdoti agl’Id dii , e fu egli stesso sacerdote. Scelse le vergini a Vesta, le quali serbasser perpetuo il fuoco nel cen tro d'un tempio rotondo. Vietò le immagini delle sostanze divine e i sacrifizj cruenti. Ordinò gli au gurj, gli oracoli, le interpretazioni de' fulmini e di altri prodigj, e le funebri ceremonie e le placazioni de' Mani. Corresse i mesi e l'anno secondo il corso del sole e della lupa. Scrisse libri sacri, che furon seppelliti con lui , e niun potè leggerli. Consacrò l'arcano e il silenzio con la istituzione della dea Ta cita. Chiuse il tempio di Giano ; e Roma guerriera divenne pacifica e religiosa (4). In questi regola menti di Numa furono cercati, e dicono anche ri trovati gl'indizj di molta filosofia. La finzione de' . ( 1) Cicer . De Divinatione lib. I. 2 . Cicer. I. c. ( 3) G. Hornio Hist. Phil . lib. IV, сар. 3. T. Livio lib. I , cap. 8 ; lib. XL, cap. 29. Plutarco in Numa. 200 CAPITOLO prodigj e de' secreti colloqui col cielo, e il silenzio è l'arcano e i sacrifici senza sangue, e le proibi zioni di effigiare la Divinità, sono sembrate dottrine pitagoriche; e sopra tutto il fuoco del tempio di Vesta è stato creduto un simbolo del sistema di Pitagora , il quale insegnava la stabilità del sole nel centro del nostro mondo ( 1 ). Il perchè corse già opinione che Numa fosse stato discepolo di Pita gora ; ma è stato poi osservato che questo filosofo vivea in Italia quando L. Bruto salvò Roma dai ti ranni ( 2). Onde piuttosto Numa avrebbe dovuto am maestrare Pitagora; sebbene io non credo che un filosofo chiuso tra i monti di Calabria abbia mai udito parlare d'un capo di ladroncelli ristretti (ra i monti latini. Isacco Newton pensò che Numa pren desse il suo sistema celeste dagli Egiziani , osserva tori antichissimi delle stelle ( 3). Ma io non so per suadermi che unpover uomo sabino estendesse il saper suo fino alla penetrazione degli ardui misteri di Egitto ; e reputo più verisimile che lo studio de gli Etruschi nelle meraviglie de' fuochi celesti, e la molto diffusa e popolarevenerazione del fuoco gui dassero Nụma alla istituzione di questo rito. Mime raviglio io bene come coloro che cercano il Pan teismo dappertutto, non abbiano trovato nel fuoco centrale di Vesta il simbolo dell'anima del mondo, e di quelle altre stoiche e Spinoziane dottrine che pure si sforzano di trovare altrove con maggiore difficoltà. Forse si saranno contenuti da questa im putazione, perchè negli oracoli e nelle altre divina zioni di Numa, e nelle mortuali placazioni e ceri monie si conoscono alcuni vestigj non dispregevoli ( 1 Plutarco . (2) Livio I. c. Cicer. Tuscul. Disput. lib. I, 16; IV, 1. V. P. Bayle Dict. art, Pythagoras, e J. Brucker de Phil. Roman. yet. 3 ) De MundiSystemate. UNDECIMO. 201 d'una libera provvidenza e d'una vera immortalità degli animi separati dai corpi. Io ebbi quasi voglia di aggiunger qui, che per sentenza di Varrone (1) gl'Iddii de' Romani e de' Latini prima ancora di Numa e di Romolo erano gl' Iddiidi Frigia portati da Enea, quei di Frigia erano i medesimi di Samo tracia tanto famosa per li suoi misterj che erano gli stessi d'Egitto ; e siccome di questi mostreremo con qualche verisimilitudine che nascondeano la unità di Dio e la immortalità degli animi, così po trebbe dirsi il medesimo della segreta dottrina del l'antico Lazio e de' primi Romani. Ma oltre le gravi difficoltà contro la venuta d'Enea in Italia , i.se veri critici potrebbono opprimermi con altre dub biezze assai; onde ho deposto il desiderio dipro porre le mie conghielture. Non è però male alcuno averle accennate.Questa è l'immagine della piccola filosofia dei primi tempi di Roma, la quale appena apparita per lo pacifico genio di Numa, fu dissipata dagl'ingegni guerrieri de' suoisuccessori, e per più secoli fu esclusa ed anche abborrita , come nimica dell'austerità e della fortezza , da quei valorosi uo mini che , intenti alla conquista del mondo , o non ebbero ozio di volgersi alla filosofia , o pensarono di non averne bisogno , o dubitarono che potesse opporsi a quell'immenso latrocinio. Ritorneremo su questo argomento, e avremo copiosa materia di ra gionare ovę riguarderemoquei tempi di Roma che dagli storici e dai politici furon detti molli e corrot ti, e dagli amici della filosofia furono onorati come . mansueti e sapienti. (1) V. Macrobio Saturnal. lib . III , cap. 4; P. Giurieu Hist. Cri tica Dogmat, Par. I Il genio bellicoso di Romolo ammansato un poco dalla pacifica Egeria , che era il Genio di Numa, nella signoria dei seguenti Regoli di Roma tornd alla primiera ferocità. Nè altramenle potea inter venire in una città e in un popolo composto di uo mini violenti e perturbatori , e per delitti e per ti mor delle pene fuggitivi dalle lor terre, e riparati nella nascente ciltà come nell'asilo delle scellerag gini ; i quali assuefatti al sangue e alla rapina , se fosser mancate guerre esteriori, avrebbero infero cito contro le viscere della lor medesima società. Perchè fu mestieri esercitarli senza riposo in im prese e rubamenti perpetui; e questa che parve prima necessità , divenne appresso costume, e fu l'origine primaria della grandezza romana. Un po polo cosi funestamente educato non potea esser amico di alcuna filosofia : e ' veramente, come alcuna volta si offersero le opportunità d'introdurla, con molta ruvidezza la impedirono per timore che non ammollisse l'austerità militare , e non traviasse la gioventù romana dalla usurpazione del mondo. Nel ( 1 ) J. Brucker 1. c. QUARANTESIMOTTAVO 289 campo d'an uom consolare furon trovati sotterra alcuni manoscritti di filosofia attribuiti a Numa, e il pretore comando risolutamente che fossero ab bruciati ( 1 ) . Un altro pretore per consultazione del senato, e poco dopo anche i censori dichiararono, non piacere che soggiornassero nella città certi fi losofi e retori maestri d'un nuovo genere di disci pline diverse dalla consuetudine e dal costume de maggiori; per la qual novità i romani giovani in torpidivano ( 2) . Questo avvenne intorno al fine del sesto secolo dalla fondazione di Roma nel conso Jato di C. Fannio Strabone e di M. Valerio Mes sala ; ed è ben degno di considerazione che quei grand' uomini avean già messa ad effetto gran parte del lor latrocinio, e la filosofia era ancora un nuovo genere di disciplina contrario alle loro consuetu dini. In quel torno medesimo , e non so bene se poco prima o poco dopo , accadde quella famosa ambasceria ateniese de tre filosofi Carneade, Dio gene e Critolao (3) . Gli Ateniesi avendo saccheg giata Oropo città della Beozia , furono dai Sicionj con l'autorità de' Romani condannati in cinquecento talenti. Ma questa multa sembrando soperchia, spe dirono a Roma i prefati filosofi per ottener condi zioni più sopportabili. Nella dimora e nella espet tazione di essere ascoltati dal senato, tennero dotte assemblee nei cospicui luoghi di Roma, e ostenta rono dottrina incognita ed eloquenza inaudita alle orecchie romane; e Critolao la usò erudita e roton da , Diogene modesta e sobria , Carneade violenta e rapida: ma comechè ognuno ottenesse gran lode, l'Accademico sopra tutti risvegliò le meraviglie inu ( 1 ) Plinio lib . III , cap. 12 . (2) A Gellio Noc. Att. lib. XV, cap. 2. ( 3) Vedi presso P, Bayle (artic. Carneade, not . N ) i litigj in-. torno a quest'epoca. BUONAFEDE. Ist. Filos. Vol. II. 19 290 CAPITOLO sitate e fino i furori pubblici, massimamente della gioventù, che dimentica de' piacerifu rapita quasi fanatica dalla nuova filosofia ( 1 ) . E convien certo che molto singolar cosa fosse questa eloquenza di Carneade , mentre fu detto che ora a guisa d'un fiume incitato e rapace sforzava e svelleva ogni cosa e seco rapiva l'uditore con grande strepito , e ora dilettando lo imprigionava, e per una parte manifestamente predando, e per un'altra rubanilo nascostamente, o con laforza o con la frode vin cea gli animi più prepurati a resistere ( 2). Ma ciò che maggiormente rileva, da Cicerone medesimo maestro tanto eccellente di queste cose , fu delto che avrebbe pure desiderato di possedere la divina celerità d'ingegno e l'incredibil forza di dire e la copia e la varietà di Carneade , il quale in quelle sue disputazioni niuna sentenza difese che non pro vasse, niuna oppugnò che non mettesse a compiuta ruina (3) . Consapevole di queste sue viltoriose vee menze, ardì, stabilita la giustizia in un giorno con molto copiosa orazione, distruggerla in un altro alla presenza di Galba e di Catonemaggiore,in quella età oratori grandi alla maniera romana. Lattanzio ci serbd in poche parole la sostanza di questa con futazione della giustizia. Carneade la divise in ci vile e naturale, e l'una e l'altra mise a niente; per chè la civile è prudenza, non è giustizia; la natu rale è giustizia , non è prudenza . Quella si varia secondo i tempi e i luoghi, e ogni popolo l'attem pera a suo comodo: questa è una inclinazione verso l'utilità che la natura infuse in ogni animale , alla quale chi volesse ubbidire incorrerebbe in mille fro ( 1 ) Pausania lıb. VII. Plutarco in Catone Majore.A. Gellio lib .VII, cap. 14. Macrobio Saturnal. lib . I , cap . 5. (2) Numenio presso Eusebio Praep. Ev. lib. IV, cap. 8. (3) Cicerone De Oratore lib. II, 38 ; III, 18. QUARANTESIMOTTAVO 291 di. Moltissimi esempj dimostrano cosiffalta essere la condizione degli uomini, che volendo essere giu sti, sono imprudenti e stolti; e volendo essere pru denti e avveduti, sono ingiusti: laonde non può concedersi una giustizia che è inseparabile dalla stoltezza. Nel quale proposito trascorse in queste parole abborrite dai conquistatori: Se i popoli fio renti per signoria e i Romani oggimai possessori del mondo volessero esser giusti restituendo l'al trui, dovrebbono ritornare alle capanne e giacere nella miseria ( 1 ) . Cicerone , che molto avea medi tate queste e più altre difficoltà di Carneade , le trascorse senza risposta ( 2) ; e altrove avendo sta tuito un diritto naturale indipendente dalle istitu zioni degli uomini , prega l'Accademia e Arcesila e Carneade a volersi tacere, perchè assalendo queste ragioni, indurrebbono grandi ruine ; e desidera ben molto di placar tali uomini , non ardisce rispinger li (3). Ma M. Porzio Catone censore uom di ri gida innocenza e di antichi costumi e di senatoria e militare austerità (per le quali virtù era già nata e crescea la grandezza di Roma), udite queste am bigue e scandalose orazioni , e veduti i furori della gioventù romana, e considerate le conseguenze fu neste alla fortuna della repubblica, le quali poteano sorgere da quella molle e licenziosa filosofia, pre stamente e fortemente dimostrò nel senato che non era bene sopportare più a lungo nella città quegli ambasciatori filosofi che persuadevano quanto loro piacea, e confondeano il vero col falso , e aliena vano dalla robusta e antica istituzione la gioventù ; 2 ( 1 ) Lattanzio lib . V, cap. 14 , 16. V. P. Bay le I. c. G , H, et art Porcius, H. (2) Cicerone De Repub. presso S. Agostino De Civ. Dei lib . II, cap . 21 , e Lallanzio I. c . ( 3 ) Ciceronc De Legib. lib . I. 292 CAPITOLO e quindi era mestieri conoscere e risolvere di quella legazione , e tosto rimandando gli ambasciatori ad istruire i fanciulli di Grecia, ricondurre i giovani romani ad ascoltar come dianzi i maestrati e le leg gi (1). Di questo modo Catone parlo , e gli amba sciatori furono congedati. Non è però che questo Catone fosse nimico del sapere , mentre è noto per la istoria ch'egli in gioventù militando a Taranto ascoltò volentieri da certo suo ospite pitagorico dottrine contrarie alla voluttà , e crebbe nell'amore della frugalità e della continenza : indi in età più matura fu interprete delle leggi , e difensore e ac cusatore instancabile del Foro , e scrittore di ora zioni e di cose rustiche e delle origini romane; nelle quali opere mostrò copia e gravità di dottrina; e, in breve, tutta la sua lunghissima vita distribuì tra la milizia e tra le leggi e le lettere , e tra la più austera pratica della virtù e la persecuzione più vio lenta de vizj ( 2). Onde fu detto che le sue guerre perpetue contro i malvagi costumi non erano alla repubblica meno utili delle vittorie di Scipione con tro i nimici ( 3) . Il perchè non credo io già ch'egli per odio di Carneade o per altra malevolenza ab . borrisse la filosofia greca; ma piuttosto perchè la militare e severa indole di Roma ne' suoi dì così domandava, e perchè l'esempio di Grecia ammol lita e scaduta in mezzo a tanto lusso di filosofia forse lo spaventava. E siccome egli era per natura inclinato all'eccesso de' rigori, parlava forse più for leinente che non sentiva; e nella guisa che esage rando dicea che le adultere erano avvelenatrici ile' loro mariti (4) , e che tutti i medici greci erano da 5. ( 1 ) Plinio lib. VII, cap. 30. Plutarco in Catone. (2) Cicerone de Ci. Or. 17. Tito Livio lib. XXXIX, 41. C. Nie pote Frag. Vitae Catonis. Plutarco I. c . (3) Seneca Ep. 87: (4 ) Quintiliano lib . V , 11 . QUA RANTESIMOTTAVO 293 fuggirsi, dacchè aveano giurato di uccidere tutti i Barbari e quindi anche i Romani (1); così per av. ventura ingrandiva gli abborrimenti di tutta la fi losofia de Greci, e dicea a suo figliuolo : Pensa che io parli da vate : indocile ed iniquissima è la ge nerazione de' Greci. Quando avverrà che quella gente a noi dia le sue lettere, saremo tutti corrotti e perduti ( 2 ). Di queste sue amplificazioni, oltre il suo amore per la disciplina pitagorica, può essere argomento lo studio ch ' egli mise negli scrittori e nelle lettere greche non solamente nella sua grave età , quando le meditò avidamente , come chi vuole estinguere una lunga sete, ma nella sua pretura di Sardegna, e ancor prima ; poichè, per testimonianza di Plutarco, egli in età di quarantacinqueanni parlò agli Ateniesi per un interprete , ma potea parlar greco, se avesse voluto, e i suoi libri erano ornati e ricchi di opinioni, di esempi e di istorie fonti, e di sentenze morali tradotte fedelmente dal greco ( 3) . Da questi riscontri jo deduco che Catone disprezzando i Greci in pubblico e leggendoli in privato, non era veramente tanto nimico loro quanto ostentava; e che meditando egli e usando ne' suoi componimenti le opinioni greche, è chiaro che vi erano dunque in Roma i libri greci, e che non erano incognite le greche opinioni a quella età , e quindi prima della ambasciata de tre filosofi vi era tra i Romani qualche tintura di greca filosofia. Frattanto Furio, Lelio, Scipione e altri di genti patrizie furon del numero di que' giovani accesi nell'amore delle dottrine greche, i quali venuti a matura età e assunti al comando degli eserciti che soggiogavan la Grecia, prese da' greci ( 1 ) Plinio lib. XXIX , cap. 1 . (2 ) Plinio I. c. Plutarco l . c. (3) Cicerone De Senectute 1, 8. Val. Massimo lib. VIII, cap. 10. Plutarco I , c. Aurelio Vittore De Viris Illustr, 294 CAPITOLO e al governo delle provincie conquistate, ebbero agio di veder da vicino e di ascoltare i valenti uomini e i filosofi greci , coi quali strinsero dimestichezza, e vollero finanche averli compagni nelle lor case, nei viaggi enelle medesime spedizioni militari. Cosi leg. giamo che Scipione Africano volle aver seco assidua mente in casa e nella milizia insiem con Polibio, isto rico singolare egrande uomo di Stato e di guerra, anche Panezio filosofo stoico. Era questi un Rodiano ingenuo e grave, il quale salito ai primiluoghi del Portico , oltre alcun altro componimento, scrisse i libri lodatissimni degli Uffizj secondo quella disci plina; ma non gli piacque la stoica divinazione e l'apatia , e le spine della disputa e l'asprezza delle parole e l'orror de costum ; e più gentilmente e umanamente fiolsofo , non così legandosi a Zenone e quegli altri , che non amasse anche Aristotele Senocrate e Teofrasto e Dicearco, e non ammirasse Platone come divino e sapientissimo e santissimo e come l'Omero de' filosofi , sebben quella sua or poetica, or ambigua immortalità degli animi non gli tornasse a grado. Fu dunque Panezio uno Stoico modesto e libero e degno della famigliarità di Sci pione , il quale erudito in questa temperata stoica dottrina fu mansuetissimo ed umanissimo; e ripar lendo la sua vita tra la milizia e la filosofia , sali per fama di valore e di lettere fra i massimi am plificatori della gloria di Roma ( 1). Ad illustre ed esimia indole aggiungendo la ragione e la dottrina, e assiduamente conversando col medesimo Panezio e con Diogene stoico e con altri eruditissimi uo mini greci, furono in compagnia di Scipione pre ( 1 ) Cicerone Acad. Quaest. lib. II, 33 ; De Fin. lib . 1 , 2 , et IV , 9,28; De Off. lib. II, 14 ; III , 2 ; Tusc. Disp. lib . I , 32 ; De Div. lib . I , 3 , 7; JI , 42 ; Or. pro Murena 33 ; De Or. lib. III; De Nat. : Deor. lib . I, II. A. Gellio Noc. At . lib. XII, 5. Suida v.Panaetius. QUARANTESI MOTTAVO 295 clari e singolari per modestia e per continenza L. Furio e C. Lelio cognominato Sapiente ( 1 ) . Si acco starono a Panezioea questi medesimi studj L. Fi lippo e C. Gallo e P. Rutilio e M. Scauro e Q. Tube rone e Q. Muzio Scevola , e altri soinmiuomini nella repubblica, e massimamente i giureconsulti ( 2 ); i quali invitati da lanta luce di esempi e dalla ma gnificenza e dal metodo della stoica morale , pen sarono che niun'altra potesse congiungersi più co modamente alla giureprudenza romana. In queste narrazioni è facile a vedersi che la stoica filosofia entrò la prima in Roma con molto nobil fortuna ; e quantunque Carneade esultasse sopra i compagni suoi, quando non però si ebbe a prender partito , quei medesimi che lo aveano ascoltato con tanto furore, si rivolsero alla stoica disciplina; la quale benchè non possa mostrar tra i Romani una suc cessione continua di maestri e grande strepito di scuole e di libri, mostra iudizj cospicui della rive renza in cui era tenuta e; tra gli altri il grande Porn peo, che approdato a Rodi volle ascoltar Possido nio da Apamea stoico di primo nome, che avea cat tedra in quella Isola , e recatosi alla sua casa, vietà prima che il littore percotesse la porta, e per som ma testificazione d'onore comando che si abbas sassero i fasci; indi entrato , vide Possidonio gia cere gravemente per dolori in tutta la persona , e salutatolo con onorifiche parole gli disse,molto mo lesto .essergli per quella sua malattia non potere ascoltarlo. Ma tu veramente puoi , rispose Possi donio, nè io concederò mai che il dolore fuccia che ( 1 ) Cicerone De Or. II ; De Fin . II ; Or. pro Archia. ( 2) Cicerone Or. pro Murena ; De Or. Il ; in Bruto 30 , 31. V. Vincenzo Gravina De Or. Juris cap. 57, 59; Giovanni Schiltero Manud. Phil. Moralis ad Jurispr. cap. 1, 3; D. Westphal De Stoa Juriscon. Rom. ; Everardo Ottone De Stoica Juriscons.Philosophia. d 296 CAPITOLO un tanto uomo sia venuto indarno a vedermi. E cosi giacendo disputò gravemente e copiosamente, che niente era buono, salvo l'onesto. E intanto ardendo pure come per fiaccole il dolore, spesso dicea: Niente fai, o dolore: sebbene tu sia molesto, io non confes serò mai che tu sia male. Pompeo si congedò richie dendo il filosofo se niente volesse ordinargli, ed egli rispose: Rem gere praeclare, atque aliis prestare me mento ( 1 ) . Cicerone poi lo ascoltà come scolare ( 2); e M. Marcello si tenne in grande onore di condurlo a Roma( 3 ), ove fu in altissima estimazione per li suoi libri della Natura degl'Iddii, degli Uffizj, della Di vinazione, e per altrenobili scritture che andarono a male (4 ); e poichè era cultor non vulgare dell'astro nomia, ebbe gran lode nella composizione di quella sua sfera , la quale in ognuna delle sue conversioni rappresentava nel sole, nella luna e ne' pianeti quello che si fa in cielo nel giorno e nella notte (5) . Pos sidonio adunque dopo Panezio fu ornamento grande e propagator sommo della fortuna stoica tra i Ro mani. Altri Greci di minor nome sostennero la me desima fatica, e accompagnarono e amınaestrarono altri Romani, che molto si dilettarono di quella di sciplina; e tra questi non è giusto tacere di Q. Lucilio Balbo , divenuto stoico eguale ai Greci medesimi, cosicchè Cicerone nei Dialoghi della Natura degļId dii gli diede a sostenere le parti della stoica teologia. Ma niuno tra i Romani, nè forse pure tra i Greci agguagliò la persuasione , la pratica e la costanza stoica di Catone Uticense, onde ottenne da Cice ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib. II,25.Plinio Juniore Ep.lib. VI, 30. ( 2) De Nat. Deor. lib . I , 3. ( 3) Suida v. Possidonius.Aieveo ( lib. XIV) lo dice famigliare di Scipione domator di Cartagine ; ma è anacronismo. ( 4) Cicerone De Div.lib .1, 3;De Nat.Deor. lib .1,44;ad Att . XVI, ep. 11 ; De Off. lib. I, 45. (5) Cicerone De Nat. Deor. lib . II , 34. QUARANTESIMOTTAVO 297 rone il nome di Stoico perfetto, che in tanti uo mini di quel genere ricordati e variamente lodati nelle sue opere non avea saputo ancora concedere a veruno ( 1 ) . E di vero parve che la natura mede sima si dilettasse ad organizzare in quest'uomouno Stoico singolare ; perciocchè è fama che fino dalla puerizia con la voce e col volto mostrò ingegno se rio , rigido, intrepido, inflessibile alle lusinghe e alle minacce, e fin d'allora spirante immobilità nell'amor della patria. Ma fatto adulto ebbe famigliari e mae stri Antipatro Tirio e Atenodoro Cordilione , uom solitario e alieno dai rumori e dalle corti ; e dap poi tende sempre dimestichezza con altri filosofi stoici , e con la forza della istituzione confermò ed accrebbe la natura già molto propensa , e non per la disputa , ma per la vita fu Stoico. Éntrato nei maestrati della repubblica e negli strepiti del Foro e della milizia , usò tal forma di parlare e di vive re , che le meraviglie furon grandissime di tutti i Romani , massimamente che di quei di oramai era mutata e corrotta ogni cosa. Con una voce la cui intensione e forza era inesausta , parlava al popolo e al senato non eleganze e novità , ma ragioni giu ste , piane, brevi, severe e degne della stoica di sciplina e di Catone. Le usanze sue non eran dis simili dalle parole , e con forti esercitazioni si ad destrava a sostenere il calore e la neve col capo ignudo, e a viaggiare a piedi in ogni stagione. Nella guerra civile in mezzo alla militare licenza fu tem perante , e combatte con fortezza congiunta a pru denza , e ottenne lodi e onori , che rifiutò. Eletto tribuno de' soldati per la Macedonia , fu simile ai soldati nelle fatiche; ma nella grandezza dell'animo e nella forza dell'eloquenza fu maggiore di tutti i ( 1 ) Cicerone Praef. ad Parad. Strabone lib . VII , XI , XIV. 298 CAPITOLO capitani. Visild l’Asia per conoscer l'indole di quelle terre e i costumi degli uomini, e per conquistare il solitario stoico Atenodoro Cordilione, che riputò la più ricca di tutte le prede. Ritornato a Roma, di vise il suo tempo tra Atenodoro e la repubblica. Non curò di esser questore prima di aver cono sciute a fondo tutte le leggi questorie ; e in quel maestrato corrotto pessimamente tante cose mutò per la giustizia e per la salute della repubblica, che nell'amore della giustizia e della temperanza fu te nuto maggiore di tutti i Romani. Nel senato fu sem pre il primo a venire e l'ultimo a ritirarsi. Dalla sua solitudine di Lucania, ove si era raccolto per viver tranquillamente tra i libri e i suoi filosofi, de siderò il tribunato della plebe unicamente per re sistere ai magnati prepotenti, e in questa ardua con tenzione dimostrò giustizia , fede, candore, magna nimità ; a segno che Cicerone con molta licenza di giuochi agitando lo stoicisino di Catone nella causa di Murena , incorse il biasimo di rettorica dissolu tezza ; di che però l'uomo apato non si commosse per niente , e solamente ammonì un poco il licen zioso giuocatore con quelle brevi ma significanti parole : Buoni Iddii ! Noi abbiam pure il ridicolo Console ; e poi nella congiurazione Catilinaria vi gilanteinente lo soccorse, come amico di lai e delle repubblica. Ma si accrebbero fuor d'ogni termine le invidie , le emulazioni e le violenze de' cittadini potenti, e i consigli di perder la patria e la libertà preponderarono ad ogni virtù. Catone resistè for temente; e mentre altri erano Pompejani e altri Cesariani, egli perseverò ad esser repubblicano. Si attenne poi a Pompeo come a male minore, e guer reggid e parlò da grande soldato e da filosofo. Dopo la battaglia farsalica, nella successione continua delle disgrazie e nella ruina di tutte le cose si riparò ad QUARANTESIMOTTAVO 299 Utica , disse ai suoi che provvedessero a sè mede simi con la fuga o con altri consigli , entrò nel ba gno , e poi cend e bevve lietamente e disputò co' suoi filosofi, e sostenne , il solo sapiente esser li bero. Coricatosi lesse due volte il Fedone , dormi ancora, e svegliato si uccise (1). Con molta prolis sità si è voluto disputare delle cagioni del suicidio di Catone ; il che secondo il pensier mio si è fatto assai vanamente (2) ; perocchè dalle cose fin qui rac contate si conosce , senza bisogno di tante dispu tazioni, che il nimico alle porte, la dignità e la li bertà perduta , la speranza del fine de' mali pre senti e del riposo futuro, e il sistema e il costume stoico e romano furono le cagioni palesi di quel suicidio. A queste cagioni fu aggiunta la trasfusione degli animi nell'anima del mondo, ossia Iddio im merso necessariamente e indivisibilmente nella ma teria ; il che fu raccolto non solamente dalla indole del sistema stoico, ma da quelle parole che Luca nio prestò a Catone : Iupiter est quodcumque vi des , quocumque moveris (3) , per cui il prode Col lin allogó Catone tra i Panteisti (4 ). Maperchè quel verso può essere più del poeta che di Catone, e perchè posto ancora che sia di questi , può aver senso che Iddio è presente per tutto, e in fine per chè la teologia stoica non è così empia come al cuni immaginarono, secondochè dianzi abbiam det to , perciò non possiamo acconsentire al Panteismo di Catone. Sebben fosse propizia e luminosa , così come si ( 1 ) CiceroneOrat. pro Murena; Paradox. I. Plularco in M. Ca tone Uticensi. Seneca Ep. 14 , 24,95; et De Provid . ( 2 ) Lattanzio lib . III, c. 18. Siollio Hist. Ph. mor. Gentil . S 177. J. Brucker De Phil . Romanor. S XXIII. (3) Phars. lib. IX, 580. ( 4 ) De la liberté de penser. G. F. Buddeo De l’Ath. et de la superst. cap. J , S 22. J. Brucker l . c. 300 CAPITOLO è divisato , la fortuna della scuola stoica tra i Ro mani; tulta volta non è da pensarsi che ad altre sette mancassero affatto gli amici ; che anzi alcuni furono che indifferentemente estimaron tutte le scuo le, e quelle parti preser da esse , che più sembra ron concordi a certe forme di verità , a cui avean l'animo assuefatto . Così L. Licinio Lucullo nella Grecia e nell'Asia , mentre sostenea il peso del go verno de' popoli e mentre vincea Tigrane e Mitri date , coltivava le buone lettere e conversava coi filosofi greci ; e dappoichè ebbe trionfato , mise a guadagno le ricchezze predate , e dai militari pec cati raccolse piaceri e felicità. Si congedd dai tur bamenti della guerra e della repubblica, e tutto ri volto a pensieri di riposo edificò ville e palagi di meraviglioso lavoro e d'incredibil magnificenza , e intese a pranzi e a cene e ad ogni guisa di ame nità , di eleganza e di delizia ; nelle quali mollezze se tra le acclamazioni degli uomini dilicati incorse ne' biasimi degli animi austeri, certamente ottenne l'applauso di tutti, allorchè di tanto amò la filo sofia , che raccolta a gran costo insigne copia di li bri compose una biblioteca di pubblico uso, e edi , ficò stanze e portici e scuole , e le dedicò in do micilio delle Muse e della pace e in ospizio dei greci maestri , che fuggendo i tumulti di guerra si riparavano a Roma. Per questo egregio uso gli fu rono quasi perdonate e quasi rivolte a lode le ru berie della guerra. Egli dissimile da que' signori che prendono per sè il pensiere di comperare le biblio teche, e lasciano alirui il pensiere di leggerle, pose gran parte delle sue delizie ne' libri e nelle consue tudini coi dotti e filosofi uomini, e ascolto ed esa minò ogni genere di filosofia , e molto ebbe in pre gio e in continua familiarità Antioco Ascalonita, uom di robusto parlare e principe in quei giorni QUARANTESIMOTTAVO 301 della vecchia Accademia , il quale si argomentava a mettere in amicizia con lei gli Stoici e i Peripa tetici; e a Lucullo piaceano questi pensieri: onde Cicerone , amico e lodatore magnifico di lui, nel Dialogo intitolato al suo nome gl'impose la difesa della vecchia Accademia ( 1 ) . Con questa magnifi cenza e splendore di esempj non solo la casa di Lucullo , ma Roma istessa fu quasi ripiena di filo sofi e d'imitatori, tra i quali altri si attennero al genio riconciliatore di Antioco , altri spaziarono nella liberlà di Carneade, altri si accostarono ad altri greci maestri, e niuno in tanta copia d'ingegni elevati , di cui Roma egregiamente fioriva in quella età , seppe aspirare a nuovi principati nella filoso fia , mentre affettavano pure il principato istesso del mondo. Molti han fatto le meraviglie come i Ro mani, così nimici di servitù e così avidi di signo ria, fossero poi tanto propensi a servire nella filo sofia, in cui agli eccelsi animi dee parer tanto bello il regnare. Ma non è meraviglia niuna che uomini intenti perpetuamente ad infinito dominio non aves ser ozio di componer nuovi sistemi , e volendo pure esser filosofi seguisser gli antichi per brevità. M. Giunio Bruto, nato verisimilmente dagli amori furtivi di Servilia e di Giulio Cesare, che percid molto lo amava e lo dicea figliuol suo , venne a massimo nome nella istoria di Roma non solamente perchè fu tra i sommi repubblicani e tra quei fer rei uomini che nè per lusinghe di beni nè per ter rore di mali si piegano, e all' onesto , al giusto e al vero sacrificano la gratitudine, i benefattori, i consanguinei e sestessi; ma perchè grandemente amò la filosofia , e quasi tutti i filosofi greci nella (1 ) Cicerone nel lib . II o IV Acad. Quaest. Lucullus. Plutarco in Lucullo. Svelopio in Julio 83. 302 CAPITOLO sua età rinomati ascoltò, e tutte le sette conobbe , e si attenne poi alla vecchia Accademia , la mez zana e la nuova non molto approvando, e fu an miratore di Antioco, e Aristone di lui fratello ebbe compagno e domestico ( 1 ) . Per questi studj con in signe amore coltivati nella gravità immensa , quasi nella oppressione continua de' civili e dei militari negozi e delle turbazioni e degli estreini pericoli, egli adornd la filosofia col sermone latino, talche non rimase a desiderarsi altro dai Greci ( 2) ; e ol tre i componimenti di eloquenza e d'istoria, scrisse i libri della Virtù e degli Uffizj; ed è memoria che desse opera a cose letterarie fino in mezzo al inag. gior émpito di guerra e in quella gran notte che andd innanzi alla battaglia farsalica. In questa con giunzione de' gravissimi affari e della filosofia e nel lo studio di tutti i filosofi greci Bruto imitò Lucil lo ; ma non volle già initarlo nell'abbandonamento della repubblica e nel termine della dignità e della gloria tra i molli ozj e i senili piaceri ; che anzi amd meglio imitare Catone fratello di sua madre , e a somiglianza di lui filosofò per la vita , ed ebbe animo grande e libero dalle cupidigie e dalle vo luttà , e tanto costante ed immobile nella fede e nell'amor della patria e nella sentenza dell'onesto e del giusto , che per difesa di questi principj non sentà ribrezzo di mettere il pugnale nelle viscere di Cesare suo benefattore e suo padre, e poi nella per dizione della libertà e di tutte le cose romane met. terlo nelle sue viscere istesse ( 3) . Alcune belle qui stioni furono agitate in questi propositi . E prima ( 1) Cicerone De Cl. Oraloribus 97 ; Acad. Quaesi. lib. I , 3. Plutarco in Bruto. (2) Cicerone Acad. Quaest. I. c. (3) Cicerone Tusc. Disp . V , 1 ; De Fin . lib . III. Seneca Consol. ad Helviam 9 , e Ep. 95. Plutarco I. c . V. gli Storici Romani. QUARANTESIMOTTAVO 303 se Brulo malvagiamente facesse cospirando alla morte di Cesare; la quale investigazione richie dendo un diligente esame dei diritti e delle abbli gazioni di Cesare e di Roma ; e una esatta idea del usurpatore e del tiranno, e dei doveri e de' limiti del patrizio e del cittadino non può esser nè breve nè affaccevole al nostro istituto. In secondo luo go , se Bruto possa essere escusato allorchè nella ruina della buona causa giunto al mal passo di uc cidersi con le sue mani , vituperò la virtù escla mando con gli ultimi fiati: Infélice virtù ! io ti cre dea una realità e sei un nome. Tu vai schiava della fortuna, che è più forte di te ( 1 ) . Pietro Bayle presto a Bruto alcune difese che secondo me non posson molto piacere (2); e la difesa migliore è che quelle parole non pajon di Bruto ; sì perchè Plutar co , diligente narratore di tutte le avventure della sua vita , niente racconto di quella esclamazione , sì perchè non è verisimile che un tanto uomo in così corte parole dicesse assurdità e contraddizio ni; chè tale certamente è negare la realità alla vir tù , e poi affermare che ella è meno forte e che è schiava della fortuna , il che senza stoltezza non può dirsi di cose che non esistono. In terzo luo go , fu quistione se Bruto avesse a numerarsi tra gli Stoici. È stato detto che lo Stoicismo di Bruto è un sogno ( 3) . E veramente risguardando l'auto rità delle parole citate di Cicerone e di Plutarco egli abbracciò la prima Accademia ; ma siccome dai medesimi scrittori è detto che si dilettò in tutte le dottrine de' greci filosofi e ammirò Antioco famoso conciliatore del Portico coll'Accademia e col Peri ( 1 ) Dione lib. XLVII. Floro lib. IV, cap . 7. (2) Art . Brutus, C, D. ( 3 ) Paganido Gaudenzio De Phil. Rom . . 25. J. Brucker l. c. S XIII. 304 CAPITOLO pato , e perchè d'altronde è noto che parlò e scrisse gli Ufficj in istile stoico , e fu iinitatore e lodatore di Catone, e lo imitò finanche nel suicidio , che è la più ardua di tutte le imitazioni ( 1 ) ; io credo bene che abbracciasse or l'una, or l'altra senten za , come gli venne a grado , e la stoica forse più spesso e più fortemente di tutte . Onoriam breve mente Porcia , figliuola di Catone e moglie di Bru to , la quale avversa alle sfrenatezze delle zie e della madre, ed erudita nella filosofia del padre e del ma rito, non la insegnò già vanamente da qualche cat tedra per farsi o adulare o deridere , ma la praticò valorosamente nella educazione de'figliuoli, e nel governo della famiglia, e nella robustezza virile , e nella custodia de' segreti domestici , e nella fede e nell' amor maritale, a cui da intrepida stoica sacri ficò volontariamente la vita in guisa molto crude le ; e questa ultima parte vorremmo poter toglier dalla sua istoria per non offuscare la chiarezza di tanta lode ( 2) . M. Terenzio Varrone , a similitudine di Lucullo e di Bruto , gli studi delle lettere e della filosofia coltivò insieme coi pensieri e con le opere militari e cittadine. Ma veduto il naufragio della repub blica, e campato per maraviglia dall'ira di Cesare e dalla proscrizione de' Triumviri , si riparò di buo n'ora, come in un porto , nell'ozio delle lettere e della filosofia, e tutto intero s'immerse in questa beata tranquillità; cosicchè avvennero gli estremi cangiamenti di Roma e la compiuta ruina della li bertà della dominazione assoluta di Ottaviano , ed egli nascosto nella sua biblioteca , e intento a com (1) Cicerone ad Att. lib. XII , ep. 46. Seneca ep. 95. Plutarco e i citati dinanzi. (2) Plutarco in Bruto et in Catone Minore. Val. Massiino l . IV, cap. 6. QUARANTESIMOTTAVO 305 za , porre sempre nuovi libri, che si numerarono fino a qualtrocentonovanta , appena si avvide di tanti movimenti, e passando la sua lunghissima vita in ogni maniera di lettere fino all' ultima decrepitez divenne il più dotto ed universale uomo, che non i Latini solamente, ma i Greci ancora avesser mai conosciuto ; e fu detto di lui che innumerabili cose avendo lette, era meraviglia come gli fosse ri masto ozio di scrivere, e che pure lante cose avea scritte, quante appena può credersi che alcuno ab bia mai lette. Altre lodi si leggon di lui; e noi ine desimi in questa gran lontananza di età come vo gliamo esaltare la vastità della sapienza di alcuno , usiam dirlo un Varrone ( 1 ). Ma niuna commenda zione agguagliò quella di Cicerone, il quale amico ed ammiratore essendo del valentuomo , conobbe e adunò le opere di lui in quel magnifico elogio. I tuoi libri, o Varrone, noiperegrinie vagabondi nella nostra città , quasi come forestieri , ridussero a casa , perchè alfine potessimo chi e dove siamo conoscere. Tu la età della patria, tu le descrizioni de tempi, tu i diritti delle cose sagre e de' sacer doti , tu la domestica e la bellica disciplina , tu la sede delle regioni e de' luoghi, tu delle cose umane e delle divine i nomi, i generi, gli ufficj, le cagioni ci palesasti, e la luce grandissima spargesti ne' no stri poeti e nelle latine lettere e nelle parole; e tu istesso un vario poema ed elegante per ogni ma niera componesti, e la filosofia in molti luoghi in cominciasti assai veramente per iscuoterci, mapoco per ammaestrarci (2) . Nel medesimo dialogo , in cui ( 1 ) Cicerone Acad. Quaest. I ; Tusc. Disp . I , e altrove. Se neca Cons. ad Helviam . Arnobio adv. Gentes lib. V. S. Agostino De Civ. Dei lib. IV et VI , e altri. V. Popeblount Cens. cel. Aut .; G. A. Fabrizio Bibl. Lat. tom. I. ( 2) Cicerone Acad. Quaest. lib. III. BUONAFede. Isi. Fil. Vol. JI. 20 306 CAPITOLO Cicerone loda Lanto nobilmente il suo amico, gli assegna ancora la difesa della prima Accademia , e lo colloca nelle parti di Antioco e di Bruto (1). Ove si vede la falsità o almeno la inesattezza di coloro che lo misero tra gli Stoici ( 2) ; perchè sebbene se condo il sistema di conciliazione egli potesse amare inolte dottrine sloiche , ne potea amare ancora di altre scuole, e non dovea dirsi Stoico assolutamen le. Molto meno era poi da numerarsi tra i dubita tori della mezzana Accademia sul tenue fondamento d'una sua satira intitolata le Eumenidi, in cui gli uomini erano accusali d'insensatezza ; e su quel l'altra dottrina sua , che niuna stranezza venne mai nell'animo agl'infermi deliranti, la quale non fosse affermata da qualche filosofo, il che molte volte suol dirsi anche da uomini che certo non sieguon Carneade e Pirrone ( 3). Ma non era giusto per al cun modo condurlo stoltamente ad accrescere l'ar mento degli Atei, perchè insegnò molte favole es servi nella religione de' suoi di, che offendeano la dignità e la natura degl'Iddii imınortali (4) . Impe rocchè egli queste cose insegnando , distinse gl'Id dii in favolosi, civili e filosofici; e parve bene che contro tutti avesse a ridire, e non senza ragione; ma pure affermò che i primi erano del teatro, secondi della città , e i terzi del mondo ; e mostrò che disputava contro le favole poetiche, cittadine e filosofiche, non contro gl'Iddii, e parve che avesse gran voglia di onorare i filosofici, quando fosser purgati dalle fiuzioni, mentre li disse, i Numi del mondo (5). Di que' tanti libri di M. Varrone non ri ( 1 ) Cicerone l . c. ( ) L. Cozzando De Mag. Ant. Phil. I. III. G. A. Fabrizio Bibl. Graec. vol. II . (3) Uezio De la Forblesse de l'Esprit humain liv. I , ch. 14. (4) S. Agostino De Civ. Dei lib. VI , cap. 5. ( 5 ) S. Agostino I. c . QUARANTESIMOTTAVO 307 mangono altro che i nomi o alcuni frammenti delle intichità divine ed umane, e della Forma della Fi losofia , e della Lingua Latina, della vita del Po polo Romano, delle Ebdomade, de' Poeti, e delle Origini sceniche, e delle Menippee, per le quali fu cognominato Menippeo e Cinico Romano, e delle Cose rustiche, che sole vennero a noi salve dall' in giuria del tempo ( 1 ) . Questi furono i più cospicui Sincretisti roniani, ai quali si potrebbe aggiungere ancor Cicerone, il quale vagò per varie filosofie, e lentò riconciliazioni di sistemi ; ma perchè amò con molta parzialità i metodi della seconda Accademia, lo allogheremo tra que' filosofi romani che si atten nero a certe scuole, e ora amarono i placiti pita gorici, ora gli aristotelici, ora gli epicurei, ora gli stoici, siccome si è detto , ora altre guise di greca filosofia . Molta fu veramente la fama della filosofia pitago rica ; ma fosse colpa sua o d'altrui, sofferse dissipa zioni e disgrazie che la misero ad oscurità. Tutta volta i Romani udirono qualche novella di Pitagora , al lorchè nella guerra sannitica persuasi dall'oracolo di Apollo Pitio a dedicare in celebre luogo della città una statua al più forte e l'altra al più sapiente deGre ci , l'una innalzarono ad Alcibiade e l'altra a Pitagora: il che facendo, mostrarono, secondo l'avviso di Pli nio , di non sapere nè la civile nè la filosofica istoria di Grecia ( 2) . Dopo quella dedicazione non è meno ria che i Roinani tenessero alcun conto di Pitagora, se non quando il maggior Catone ascoltò il Pitago rico Tarantino , e nella medesima età il Calabrese Ennio appard alcune dottrine pitagoriche in quella terra ove Pitagora avea insegnato , e le sparse nel (1 ) Cicerone Tusc. Disp. l. I. S. Agostino De Civ. Dei lib. XII, cap . 4 , cap (2 ) Plinio lib . XXXIV, cap. 6. 308 CAPITOLO suo poema, nel quale ardì sognare che l'anima di Omero era passata in lui. Ma non persuase di que ste idee nè Catone a cui insegnò le lettere greche, nè P. Scipione Africano di cui godè la famigliari tà , nè altri Romani che udirono volentieri i suoi versi eroici e lo tennero sommo Epico senza voler essere pitagorici ( 1 ) . Io però vorrei che meglio si esaminasse se un poeta per alquanti versi che sen ton di Pitagorismo possa trasformarsi in filosofo pi tagorico. Potrebbe parere che questa metempsicosi somigliasse quella di Omero in Ennio. P. Nigidio Figulo tuttochè fosse riputato vicino alla univer sale dottrina di Varrone, e fosse senatore e pretore e amico intimo e consigliere e compagno nei grand affari di Cicerone , che molto lo riverì, come acre investigatore de' segreti della patura e uomo dot tissimoe santissimo, e come quello che dopo i no bili Pitagorei polea rinnovare la lor disciplina quasi estinta, non si sa che persuadesse niuno, e fu stretto a ridurre la sua grande sapienza fisica e matema tica e astrologica alle indovinazioni de' ladri che talvolta rubavan le borse de' suoi amici , e a com poner gli oroscopj di Augusto e del Triumvirato, e a disegnare la rapidità del cielo con gli avvolgi. menti della ruota del vasajo , donde ottenne il so prannome di Figulo ( 2 ) ; le quali avventure non so no veramente degne d'un senatore e d'un pretore pitagorico , ma posson forse mostrare che si pochi ( 1 ) Cicerone pro Murena 14 ; Acad. Quaest. I ; De Fin . I , e altrove. Persio Sat. VI. V. Vossio De Hist. Latinis , e A. Baillet Jugem . ( 2) Cicerone Fragm . de Universitate. S. Agostino De Civ. Dei lib. V , cap: 3; Ep. fam. lib. IV , ep. 13. Plutarco in Cicero ne. A. Gellio lib . X , cap. 2 ; lib. XI, cap . 2. Macrobio Saturn. lib. II, cap. 12; VI, cap, 8. Apulejo in Apolog. Dione lib. XLV. Svetonio in Augusto 94: Lucano Phars. I , 639. V. P. Bayle art. Nigidius. ICO QUARANTESIMOTTAVO 309 LER affari di scuola esercitaron questo Nigidio , ed ebbe tanto vuoto nella vita, che gli storici ainici della sua gloria pensarono bene a riempierlo di favole. Non è questa la prima nè l'ultima panegirica istoria colpevole di supplementi favolosi. A confermazione della tenue fortuna di questo Pitagorico fu scritto, che avendo egli composti i libri degli Animali, de gli Uomini , delle Viscere, delle Vittime, degli Au gurj, de' Venti , della Slera grecanica , e di altri moltiplici argomenti, per la cui abbondanza fu quasi eguale a Varrone, ove però le scritture di questo si divulgarono e si lessero assai, le Nigidiane per la sottigliezza e per la oscurità giacquero abbando nate; e l'autore poi avendo seguite le parti di Pom peo , per timore di Cesare morì in esilio volonta rio. Poco appresso Anassilao Larisseo professò il Pitagorismo, ed esplorando i segreti della natura per la medicina e per uso di certe sue magiche me raviglie, e con le sue scoperte armirabili venendo in sospetto di magia e forse uccidendo i malati più che gli altri medici con meno segreti, fu da Augu sto condannato all'esilio ( 1 ) . La filosofia pitagorica ebbe adunque assai avversa fortuna tra i Romani in questa età. La peripatetica ottenne qualche mi gliore , ma non molto illustre accoglienza; perchè sebbene Catone e Crasso e Pisone e Cicerone istes so non abborissero i peripatetici uomini , e nelle memorie di questi tempi sieno ricordati con onore Andronico Rodiano e Demetrio e Alessandro An tiocheno e Stasea Napoletano e Cratippo Mitileneo maestro del figliuolo di Cicerone e di altri nobili giovani Romani; tuttavolta per le narrate disgrazie e depravazioni degli aristotelici libri , o per quali In : TIK ita pi V Ci I Jedi ( 1 ) Eusebio in Chr . Plinio lib . XIX ,cap . 1 ; XXVIII , cap. 2 ; XXXV , cap . 15. Irenco lib . I , cap: 7. Epifanio Haer. 34. V. Vos . sio De Idol . lib . I , 6 ; Fabrizio Bibl. Graec. vol. I. 310 CAPITOLO che fossero altre cagioni, il nome di Aristotele fuori di molto pochi era , per testimonianza di Cicerone, ignoto ai filosofi de' suoi giorni ( 1 ) . Ma gli Epicurei quantunque spesso ripresi e più spesso calunniati e singolarmente flagellati da quella sottile eloquenza di Cicerone, che sapea persuadere finanche il ' falso quando volea, pure in onta di tanto travaglio videro assai Romani di nome e di opere illustri non arrossirsi di essere Epicurei. Lucio della tanto antica e nobile famiglia Torquata , e G.Vel lejo sostenitore delle ragioni di Epicuro nel dialo go della Natura degli Iddii di Cicerone, e principe degli Epicurei che allora erano in Roma, eC. Tre bazio , como di somma scienza nel Diritto civile , a cui Cicerone intitold la Topica , e L. Papirio Pe to , egregio oratore e soldalo, e L. Saufeio e T. Al buzio e C. Amafanio , e più altri numerati da Pie tro Gassendo , furono nobilissimi Epicurei ( 2) . Ma C. Cassio e T. Pomponio Attico per singolarità di fama e d'ingegno emersero splendidamente dalla folla degli altri. Il primo fu quel prode assassino di Cesare, che nell'ardor dell' assalto ad uno de' con giurati che dietro a lui si aslenza dal ferire, disse: Feriscilo anche per mezzo alle mie viscere ( 3). Egli vincitore de' Parti e soldalo di primo valore e som mo Epicureo, parld secondochè l'émpito militare e le disperazioni della sua scuola lo animavano, e per gli stessi principj nella perdita della battaglia e della libertà si fece uccidere, e si uccise egli mede simo con quello stesso pugnale con cui avea ferito Cesare , e fu acclamato e pianto come l'ultimo de' Romani (4) . Alcune avventure filosofiche di que ( i ) Cicerone Topic.Praef. V. P. Bayle art. Cratippus; J. Bru cker De Phil. Rom. & XXIV, XXV. (2) De Vila et mor. Epicuri lib. II , cap. 6 . (3) Aurelio Vittore De Vir . III. (4 ) Plutarco in Caesare, in M. Antonio , in Bruto . QUARANTESIMOTTAVO 311 st'uomo domandano qualche riflessione. Bruto vide uno spettro d'inusitata grandezza,einterrogato chi fosse , rispose : Io sono il tuo mal Genio, o Bruto : tu mi rivedrai a Filippi; ove lo rivide e fu vinto. Di questa apparizione ebbe discorso con Cassio, il qual disse, non esser credibile che vi fossero Genj , ed esser nostre immaginazioni; e quando pure vi fossero, nè aver figure di uomini, nè forza che giun ga a noi. Ma sarebbe pur bene che fossero, aggiun se, acciocchè noi condottieri di bellissimi e santis simi fatti andassimo forti non solamente per fanti e cavalli e navi, ma per la protezion degl' Iddii ( 1 ). Bruto si consolo per questo discorso. Ma Cassio medesimo ebbe la sua visione , e parve che conso latore degli altri non sapesse consolare sè stesso. Nella giornata di Filippi vide G. Cesare in sem biante sovrumano e minaccioso che a tutta bri glia veniva a combattere contro lui , ed egli spa ventato disse: Che ci rimane più oltre, se è stato poco averlo ucciso ? ( 2) Di lui è anche raccontato che nel giorno della uccisione di Cesare invocò l'a nima e l'ajuto del grande Pompeo ( 3) , e che rive dendo insieme con Bruto le truppe romane , disse loro : GlIddii, che prendon cura delle guerre giu ste, vi rendan premio di tanta fede. Noi abbiam prese tutte le giuste misure : il rimanente si aspetta dalla vostra virtù e dagl Iddii favorevoli. Se essi vorranno, noi vi ricompenseremo della grand'opera di questa vitloria (4). Le siffatte visioni e preghiere divote non parvero proprie d’un Epicureo, il quale se non affatto rifiutava i fantasiuni, certo non.co noscea gli animi immortali e la provvidenza de ( 1 ) Plutarco in Brulo. ( 2) Val. Massimo lib. I , сар. ult .' ( 3 ) Plutarco in Caesare et in Bruto . (4) Appiano Aless. Bell. Civ. lib. IV. 312 CAPITOLO gl'Iddii ; onde quelle apparizioni e invocazioni o vo glion tenersi per favole del popolo e degli storici, o per fanatismi di Cassio, il quale agitato dalla gran dezza de' casi lasciò trasportarsi nelle idee e nelle parole comuni, e si scordò di essere Epicureo (1). Io non dissento da questi pensieri; maquanto agl'Id dii e alla provvidenza io desidero ehe i miei leg gitori si ricordino di quanto abbiam disputato in questo argomento esaminando la teologia epicurea con quella diligenza che abbiam saputo maggiore; e non diffido che le preghiere di Cassio possano porgere alcun nuovo indizio della provvidenza non affatto distrutta nel sistema Epicureo. Tito Pomponio Attico fu il più sincero e ilpiù costante ornamento della scuola epicurea ; e se Cas sio ed altri con lui troppo s'immersero nel comore e nel fumo di Roma, e deviarono dal piacere e dalla felicità che erano i fini dell' Epicureismo, egli fer mamente rivolto a queste mire, già prima nelle tur bazioni di Silla si riparò ad Atene, e ascoltando Fe dro e Zenone Sidonio visse tranquillamente negli ozj e negli orti d'Epicuro, e con la gravità ed uma nità dell'ingegno ottenne tanta benevolenza, che dai Greci ebbe statue e dai Romani il hel scprannome di Attico; indi ritornato alla patria , si allontand dagli onori offerti e da tutti gli affari civili, e niuna parte prendendo nelle contese de' potenti, e ser bandosi amico de litiganti, e usando fede con tutti e liberalità e cortesia , non si sa ben dire se più fosse amato o riverito ; e vivendo a sè medesimo e non per ostentazione d'ingegno , ma per governo della vita filosofando , campo dalla proscrizione di tanti cittadini , e caro ai vincitori menò vita riposata e luminosa ; alla quale però nè il suo genero Agrip ( 1 ) P. Bayle art. Cassius Longinus ( Cajus) Primo. QUARANTESIMOTTAVO 313 pa , nè il progenero Tiberio , nè il pronipote Druso dieder tanto splendore quanto la intima amicizia di Cicerone, le cuiLettere e i libri della Vecchiezza e delle Leggi lo consecrarono alla immortalità ( 1 ) . In questa beatitudine di vita giunto a grave età fu preso dalla dissenteria e dalla febbre. Ubbidì prima ai medici inutilmente, e poisperimentata l'ostina zione del male , alla presenza di alcuni amici suoi, Voi siete buoni testimonj, disse, della cura e dili genza mia nel difendere in questo tempo la mia sa nità . Io ho dunque soddisfatto al debito mio . Ri mane ora che io provveda a me stesso. Voglio che voi il sappiate. Imperocchè ho statuito di non vo lere più oltre alimentare il mio male; perchè in questi giorni truendo innanzi la vita col cibo, ho accresciuto i dolori miei senza speranza di sanità. Per la qual cosa io prima vi domando che il mio consiglio approviate ; indi che non vogliate sfor zarvi a dissuadermi. Dette queste cose con tale co stanza di voce e di vollo che parea non uscisse dalla vita , ma da una casa per passare ad un'al tra , gli amici piansero e pregarono, ed egli le la grime e le preghiere compresse con un ferino silen zio. Così avendo digiunato due di , la febbre cessd ; inè mutò proposito per questo , ed essendo a mezza via , non volle tornare indietro e andò oltre digiu nando, e morì ragionatamente secondo i principi di Epicuro, e non già come Cassio impetuosamen te e a mal tempo. Questo inumano errore di moda e di scuola fu in Attico error di ragione ee di gran d'uomo (2 ) Tito Lucrezio Caro , inferiore certo ad Attico e a quegli altri nella dignità della vita , ma nella poe ( 1 ) . Cicerone De Fin . e nelle Epistole ad Attico e altrove. C. Ni pote in Artico. Seneca Ep. 21 . ( 2 ) C. Nipote I. c. 314 CAPITOLO lica gloria de componimenti epicurei maggiore di quanti fiorirono in quella scuola. Nella elà di Cice rone e di Attico vide anch'egli Atene, e ascoltò Fe dro e Zenone e visse negli Orti di Epicuro, e per mostrare a Roma i suoi progressi nella guisa più dilettevole , scrisse in esametri latini sei libri della Natura delle Cose , ne' quali fu delto non essere meraviglia che profondesse tutte le empietà e le pazzie di Epicuro , perciocchè gli avea composti ne' corti intervalli di ragione che gli rimaneano al quanto liberi dalla frenesia contratta per certa be vanda amorosa ( 1 ) . Ma noi invitiamo ancora qui i leggitori nostri a volersi ridurre a memoria le ra gioni altrove disputate contro i malevoli di Epicu ro , le quali secondo la nostra estimazione posson molto valere contro gli oppressori di Lucrezio. Non sarebbe difficile una dissertazione, giacchè le dis sertazioni sembrano facilissimi affari, ove si pro vasse che Lucrezio non fu il più pazzo de' poeti, e non sarebbe difficile un'altra in cui si mostrasse che molti filosofi furon più pazzi di questo poeta. Ma non so se queste dissertazioni con tutta la biz zarria de'loro titoli, che sogliono pur essere di qual che raccomandazione, potrebbono riuscir dileltose a chi le componesse e a chi le ascoltasse. Imperoc chè sarebbe necessità recitar molti di que' versi epicurei che secondo il ruvido carattere della scuola non sono i più molli e i più eleganti, e non sono poi tanto chiari da mettervi fondamento sicuro. Noi adunque, senza pretendere in dissertazioni, direm così per passaggio,come gli fu dato a colpa di vio lata religione ch'egli attribuisse alla natura degl'Id dii il godimento di somma pace e la divisione dai ( 1 ) Eusebio in Chr. V. G. A. Fabrizio Bibl. Lat. vol. I; P. Bayle art. Lucrece. QUARANTESIMO STAVO 315 dolori e dai pericoli nostri, e che insegnasse non aver essi bisogno di noi, nè esser presi da benevo lenza o da ira ; e che giacendo la vita degli uo mini sotto grave religione, la quale dal cielo mo strava il capo con orribil risguardo soprastante ai mortali, un uom greco fu il primo che ardì levar gli occhi contro di lei e resistere. Lui nè la fama degl'Iddii, nè i fulmini nè i minacciosi romori del cielo raffrenarono ; che anzi l'acre virtù del suo anino s'irritò , e ruppe le strette porte della natu ra , e con la vivida forza della mente vinse e tras corse oltre i confini del mondo, e misurò tutto l'Im menso; e c'insegnò quello che può nascere e quello che non può, e quali sieno le potestà e i termini fermi delle cose. Onde la religione a sua vicenda è calpestata dai nostri piedi, e la vittoria ci aggua glia al cielo ( 1 ). Ma si è già detto abbastanza al irove che le divine tranquillità possono avere nel sistema di Epicuro sensi non affatto distrutlori di ogni provvidenza ; e veranente lasciando pure stare il Deslandes, che fa una pielosa predica a Lucrezio per questo disprezzo suo della religione (2), è ben molto che Pietro Bayle (3) non abbia saputo ve dere che la religione, contro cui Lucrezio usa qui tanto disprezzo, non è altro che quella superstizio ne che insieme con altre scellerate opere insegnò ai Greci le vittime umane; onde egli dopo la descri zione d'Ifigenia all' altare conchiude : che tanto di mali potè la religione persuadere. Io certo non ar direi affermare che Lucrezio insegnasse la Provvi denza ove scrisse , una certa forza nascosta strito lare le cose umane , e sembrare che conculchi e 1 ( 1 ) T. Lucrezio De Rer Nat. lib. I. ( 2) Deslandes Hist. De la Phil. tom. III. ( 3) P. Bayle I. c . E. 316 CAPITOLO prenda in ludibrio i fasci e le scuri ( 1 ) ; o dove in vocò V'enere origine e regolatrice di tutta la na tura , o dove implorò l'ajuto della governante For tuna nei disordini e nelle ruine del mondo ( 2 ) . Ma non ardirei pure accusarlo di Ateismo (3 ), e im porgli più errori di quelli che secondo la sentenza nostra abbiamo veduti nel suo maestro Epicuro, di cui fu seguace tanto rigido , che permettendosi il suicidio in quella filosofia, egli neusò a suo agio, e nel settecentesimoterzo anno di Roma, quaranta quattresimo di sua età, si uccise di propria mano. È stata opinione che C.Giulio Cesare, uomo di estraordinaria forza d'ingegno e di cuore, sebbene potendo ottener' somma gloria dalle lettere e dalla filosofia, volesse averla piuttosto dalla politica e dalle arme, tuttavia non isdegnasse alcuna volta di starsi tra i filosofi, e gli piacesse di essere Epicureo. Im perocchè dicono che parlando al senato non dubitò di affermare ardimentosamente , di là dalla morte non esservi tormento nè gaudio (4) ; e non ebbe poi timore per voglia e comodo suo di tagliar boschi sacri e di seguir le sue imprese contro gli avvisi de sacerdoti e della religione (5) . Ma a dir vero , que sti non sono i caratteri propri dell'Epicureismo : e poi si potrebbe dubitare se Cesare così parlasse al senato, come Sallustio lo fece parlare ; e se così ta gliasse gli alberi sacri , come Lucano con la poetica licenza racconto; e date eziandio per vere queste leggende, è molto ben noto che anche Cicerone, usando della rettorica volubilità , predicò talvolta pubblicamente la mortalità degli animi senza essere ( 1 ) De Rerum Nat. lib . V, 1225. V. Rondel Vila Epicuri. ( 2) De Rer. Nat. lib I ; V, 105. (3) V.G.F. Reimanno Hist. Ath . cap. XXXVII , $ 5. ( 4 ) Sallustio De Bello Catilivario 51. ( 5) Lucano Phars. lib . III. Svetonio in Cesare 59, 81 . QUARANTESIMOTTAVO 317 Epicureo, anzi senza recarsi ascrupolo di predicarne la immortalità in altre pubbliche orazioni , ove il bi sogno della causa lo domandasse ( 1 ) . Così gli ora tori romani costumavano , e agli stessi metodi Ce sare ubbidi ; e così pur fece nell'affare de'presagi e della religione, mentre se è scritto che talora tras scurò le romane superstizioni, è scritto ancora che spesse volte le uso , e parve che le avesse per ve re ( 2) . Molto meno io poi ardirei imporre a Cesare l'Epicureismo, perchè fu accusato di osceni amori con Nicomede re di Bitinia , e perchè molte nobili donne romane e alcune reine corruppe, e perchè fu detto la moglie di tutti i mariti e il marito di tutte le mogli ( 3 ), e perchè sostenne assai altre infauna zioni di lascivo costume ; le quali oltrechè possono essere alterate dalla malevolenza e dalla effrenatezza popolare di Roma , che le lodi e i trionfi de gran d'uomini solea contaminare con le satiriche licenze, non posson poi essere argomenti di doltrine epicu ree, giacchè nè gli Epicurei professavano questa dis solutezza, nè la corruzion de costumi è buon argo mento per la corruzione delle massime; e siccome non sarebbe buon discorso dai regolati costumi di Cassio e di Attico didurre che non erano Epicurei, così non sarebbe pure conchiuder che Cesare era per la sregolatezza de'suoi. Piuttosto si potrebbe rac cogliere alcun indizio di Epicureismo dalla replicata avversione che Cesare mostrò verso i costumi di Ca tone , contro cui scrisse due libri intitolati gli An ticaloni (4). Gli Epicurei erano i giurati nimici de ( 1 ) Cicerone Orat. pro Cluentio et pro Rabirio. ( 2) Plutarco e Svetonio in Caesare. Floro lib. IV, cap. 2. Dione lib . XLII. V. P. Bayle art. César. ( 3 ) Svetonio in Caesare 49 e segg. ( 4 ) Svetonio I. c. Plutarco in Cicerone V. Adriano Baillet Des Satires personelles , .ou des Anti, Entr. I , S 1 . 7 318 CAPITOLO gli Stoici , e Catone era Stoico grande. Pare adun que che Cesare non potesse prorompere a tanta av versità contro tutti i costumi di Catone senza es sere Epicureo. Vaglia questo come pnò il meglio. Ma qualunque fosse la setta di Cesare, certamente il solo pensiere di correggere il Calendario Romano disordinato dalla negligenza de' sacerdoti, e l'Anno Giuliano, ch'egli diede a tanta parte di mondo, mo strano in loi genio filosofico e gasto di astronomnia. Quella versatile eloquenza di cui gli avvocati e i pubblici parlatori di Roma usavano nella varietà e lalora nella contraddizione delle cause, fu la ori gine primaria dell' applauso in cui venne tra i Ro mani la filosofia della nuova Accademia ; la quale insegnando a disputare per tutte le parti, e colo rendo di probabilità il pro e il contro, e somınini strando argomenti per tutti i casi, era molto oppor tuna a quella eloquenza forense che potea dirsi la grande e forse la prima via delle soinme fortune. Sembra adunque ben detto che la stoica filosofia per la gravità degli uffizj e de' principj sociali fu tra i Romani la disciplina de' giudici, de' legislatori e de' giureprudenti; la epicurea fu lo studio quasi domestico e privato di uomini desiderosi di vivere Jictamente; la pitagorica e l'aristotelica fu la cura di pochi; la platonica confusa alla stoica si riputò degna de' sacerdoti, e l'accademica fu la delizia de causidici e degli oratori; siccome, a dir vero, pare che fusse pure in altre terre e in altre età , e che sia ancor nella nostra . È però mestieri avvertire che parlando di accademica filosofia , non vuole inten dersi un pirronismo effrenato , che forse non ebbe esistenza salvo ne' capricci di uomini esageratori ; ma un temperato genere di filosofare per cui si esa minano i placiti di tutte le scuole , e si sceglie il buono , e si cerca il vero , e si crede di trovar solo QUARANTESIMOTTAVO 319 il probabile ,e secondo questo si governa la vita . Cicerone fu il ipaggior lume di questa filosofia tra i Romani ; il quale con la forza d'una singolare elo quenza e con l'abbondanza della dottrina e con la varietà de' libri così la nobilitò egli solo , che gli altri furon dimenticati. Ma egli sarà ben tale da po ter valere per tutti. Mentre io ora mi accosto a que sto sommo maestro del nobil parlare , e vedo che la eccellenza della sua lode e la grandezza degli ob bligbi nostri domanderebbono eloquenza pari alla sua , sento vergogna della mia lontananza da quel sublime esemplare, e volentieri sfuggirei per ros sore il difficile incontro, se la vergogna non fosse vinta dalla necessità. CAPITOLO XLIX. re , 0 Della Filosofia di M. Tullio Cicerone. M. Tullio Cicerone Arpinate , o che suo padre fosse purgatore di panni e i suoi avi cultori di ceci , o che la sua gente avesse origine dai che nascesse onorato dagli oracoli e dai prodigj, o all' uso comune nel silenzio degl' Iddii e nell'ordine della natura , siccome variamente si raccontò ( 1 ) ; niente più e niente meno fu il medesimo uomo non molto cospicuo tra i soldati , non affatto pic ciolo tra i filosofi, grande tra i maestrati e tra i consoli, massimo tra gli oratori. Nell'adolescenza e appresso nella età anche matura amò i poeti e scrisse versi, de' quali rimangon frammenti biasi mati più del dovere , e coltivò le lettere greche e ( 1 ) Plutarco in Ciceroue. Dione lib. XLVI. V. G. A. Fabrizio Bibl. Lat. vol. II. 320 CAPITOLO la eloquenza ( 1 ) . Cresciuto. si accostó ai filosofi. Ascoltỏ gli Epicurei per disprezzarli allora e dap poi , senza averli forse intesi. Conversò con gli Stoici e coi Peripatetici , e apprese i luoghi e i fonti del disputare , e altre loro dottrine non ab borri: ma singolarmente coltivo gli Accademici per amore di quella versatile e forense eloquenza di cui abbiam detto ( 2) . Su questi fondamenti, con quel buon metodo non inteso dai nostri pedanti, appog. giò e poi confermò viemaggiormente la sua arle oratoria. Presa la toga virile si attenne ai giore consulti ( 3) . Militò un poco nella guerra Marsi cana , e venuta la pace ritornò molto volentieri alle lettere . Visse dimesticamente con Diodoro stoi co eruditissimo , frequentò Molone oratore Rodia no , e Ortensio , che era il primo parlatore di Ro ma : non trascurò fino di apprender le più gen tili eleganze del dire da Cornelia , da Lelia e da altre dame romane, colà imparando eloquenza ove altri ora sogliono disimpararla: non fu giorno che non usasse nuove diligenze erudite , e non decla masse e disputasse ora con parole latine , ora con greche. Trasse nel vulgare di Roma alcune scrit lure di Protagora e di Senofonte e altre di Platone, e singolarmente il Timeo , di cui ci rimane una parte , per la quale conosciamo che Platone po trebbe sopportarsi tradotto da Cicerone, laddove non si può nelle versioni di altri. Ci rimangono ( 1 ) Cicero pro Archia I. Plutarco l . c. Svetonio de Cl. Ret . 2 . Vossio De Poel. Lal. V. Andrea Scollo Cicero a calumniis vin . dicatus . ( 2) Cicerone De Off.lib . I , 1 ; II , 1 ; Ep. fam . lib . XIII, ep . I et 16 ; Paradox. I ; De Or. lib. III , 28 ; Tusc. Disp. lib . II , 2 ; in Bruto 90 ; De Nat. Deor. e altrove. Plutarco I. c. (3 ) Cicerone in alcuni luoghi citati, e De Fio. lib . V , el De Div. II; e vedi i Frammenti, Plutarco 1. c. Quintiliano l. 1 , 2; III, 1 ; X, 5. S. Agostino De Civ. Dei lib . V, cap. 8. QUARANTESI MONONO 321 pure alcuni frammenti di sue traduzioni diOmero, le quali non ci nojano come quelle degl' interpreti nostri ( 1 ). Istruito da tante esercitazioni e animato da questi presidj , nel suo venticinquesimo anno , che era il seicento settantaunesimo di Roma ( 2) non dubitò di mostrarsi nella luce del Foro, e agitd la sua prima causa, che alcuni dicono esser quella in difesa di Sesto Roscio Amerino , contro la vo lontà di Silla , e ne uscì vincitore con tanta ammi razione , che niuna altra causa parve poi superiore al suo patrocinio (3). Ma poichè Silla raffrenatore di Mitridate e domatore di Mario era in quei giorni dittatore e quasi signore assoluto delle vite e delle cose romane , fu voce che Cicerone temendo la ira di quel fiero autore delle proscrizioni, rifuggisse in Grecia (4 ). Altri pensarono che si desse a viaggiare per ricuperare la sanità afflitta per troppa veemen za nella declamazione (5) . Comunque fosse , visitò Atene e molto usd col famoso Sincretista Antioco, e visse congiunto a Pomponio Attico con quella amicizia che durò tra loro fino alla morte. In que sto viaggio verisimilmente fece iniziarsi nei misteri Eleusini, de' quali così parld come se la loro so stanza fosse l'unità d'Iddio e la immortalità degli animi (6) . Tale fu l'avviso nostro nella esposizione del sistema arcano d'Egitto , e tale è del dotto Warburton e del Middleton, il che molto consola ( 1 ) Cicerone in alcuni luoghi citati, e De Fin. I. V, e De Div. II; e vedii Frammenti. Plutarco I. c. Quintiliano I. I, 2 ; III, 1; X, 5. S. Agostino De Civ. Dei lib. V, cap. 8. (2) V. Middleton Vita Cicer. lib . I. ( 3) Cicerone in Bruto 91. Middleton I. c . (4) Plutarco l . c. (5) Cicerone in Bruto. Cicerone De Nat. Deor. lib. I, 42 ; De Leg. lib. II, 14 ; Tusc. Disp. lib. I , 15. BUONAFEDE. Ist. Filos. Vol. II . 21 322 CAPITOLO le nostre conghietture ( 1 ) . Da Atene navigò nell'A sia , e conversò cogli oratori e coi filosofi di quelle terre, e sopra tutti con Possidonio; e declamo in greco nel mezzo a nobil frequenza con tale fecondità, che i greci oratori piansero il loro destino, per cui non solamente le fortune, ma le arti e le scienze dalla Grecia trapassavano a Roma ( 2). Silla morì, e Ci cerone restaurato nella sanità ritornò alla patria , ove fu prima negletto come un grecolo scolastico; ma poi eguagliando e spesso vincendo la gloria di Cotta e di Ortensio oratori lodatissimi di quella età , rimosse Roma dalla sua negligenza , e ottenne prestamente la questura ed ebbe in sorte la Sicilia, ove avendo ricevuto lodi e onori inusitati , s'im maginò che tutta Roma fosse piena della sua glo ria. Masbarcato a Pozzuolo in tempo che grande era il concorso di molti uomini romani , ebbe il dispetto di vedersi ignoto, e conchiuse adirato che iRomani aveano le orecchie sorde e gli occhi acuti. Dopo questa mortificazione, grave di vero in uomo perduto nella fantasia della gloria , egli deliberò di battere assiduamente il Foro e i pubblici luoghi, e starsi tuttodì presente a quegli occhi acuti che dif finivano le sorti de' cittadini ambiziosi ( 3) . Agitò cause nobilissime, e fu edile, pretore e console non meno per favore degli ottimati , che per giudizio del popolo ( 4) . Egli ricevè la repubblica piena di sollecitudini,e non vi erano mali che i buoni non temessero e i ribaldi non aspettassero. I tribuni e Catilina e i suoi compagni teneano consigli di ruina. Ma Cicerone li compresse e salvò la repubblica (5). ( 1) Warburton Della divina Legazione di Mosè vol. I. Middle ton I. c. (2) Plutarco I. c. ( 3) Div. in Verr. I , et lib . II , 2 ; pro Planco 26. Plutarco i . c. ( 4) Cicerone in più luogbi, e Plutarco l. c. (5) Sallustio De Bello Calilinario e gli altri Storici Romaui. QUARANTESIMONONO 323 ze Tire! Per la grandezza dell'opera venne a somma grazia de' patrizi e del popolo, e fu acclamato padre della patria ; e poco appresso vinto dalla invidia e dalla frode di P. Clodio, fu spinto in esilio, e le sue ville incendiate e le sue case con ogni sostanza arse e saccheggiate. Andò errando con animo assai abbat tulo per l'Italia e per la Grecia , nel che mostrd di essere più oratore che filosofo; finanche richia mato per pubblico consenso , e restaurati i suoi danni per sentenza del senato , ritornò a Roma , incontrato da tutte le città , e portato, siccom'e gli raccontò, sulle spalle di tutta l'Italia ( 1 ) . Ebbe in provincia la Cilicia , e parve che volesse eser citar nella guerra le arti della pace. Ma come si accese la discordia civile, egli seguendo le parti di Pompeo , e pretendendo in valor militare, dopo la sconfitta farsalica si pentì d'esser soldato e ricuso di guerreggiare più oltre; cosicchè il giovin Pom peo sdegnato di quella codardia , lo avrebbe uc ciso se Čatone non lo campava (2) . Venne poi a riconciliazione con Cesare, e nella mutazione della repubblica , che assai gli gravava nell'animo, si ri volse alle lettere e alla filosofia , e istruì nobili gio vani romani , e leggendo e scrivendo libri passò la maggior parte de' suoi giorni nella dolcezza degli studj e nei silenzi della sua villa Tusculana.Ritorno anche ad Atene per alleggerimento di noja e per la memoria delle passate esercitazioni. In questo spazio ripudid Terenzia, e mend in moglie una ricca donzella, e pianse puerilmente la morte di Tullio la , e ripudid la nuova moglie perchè non volle 702 ber che V. i luoghi di Cicerone presso Francesco Fabrizio nella Vita di Cicerone. ( 1 ) Plutarco I. c. et in Caesare. Dione lib . XXXVIII. Vellejo lib . 11. Cicerone Or. pro Domo sua ct post Rcd. ad Quir, et post Red . ad Sen. e altrove. (2) Plutarco lic. 1 334 CAPITOLO pianger con lui ; nelle quali avventure fu accusato di amori sozzi é ridicoli, e di animo debole per temperamento o per anni ( 1 ) . Con tutti questi do mestici fastidj avrebbe potuto esser felice, se avesse perseverato nell' amore del letterato ozio e dellafilosofia. Ma dopo l ' assassinamento di Cesare gli piacque di rientrare nella tempesta civile , e seb · bene non fosse tra i congiurati , si attenne al loro portito, e M. Antonio già suo pernico irritò mag giormente con le Filippiche. Dopo varie vicende si compose il Triumvirato, e Cicerone ne fa la vit tima più sacra e più pianta da Roma , già ridotta a pochi, e da tutta la posterità. Egli poichè ebbe udita la fama della proscrizione, fuggì prima al mare e s'imbarcò con venti contrarj , onde presa terra a Circejo, tra molti pensieri niuno piacendogli quanto la morte , disegno di recarsi a Roma e uccidersi nella casa istessa di Cesare per versare sopra l'in grato la vendetta del suo sangue. Indi persuaso da nuovi pensieri navigò ancora e prese pur terra,e nojato del mare e della vita , lo morrò , disse , in quella patria che spesse volte'ho conservata ; e non morendo pur questa volta, si adagi ) e dormà nella sua villa Formiana. Mentre i suoi domestici spa ventati dal romor de' soldati lo guidavano a forza verso il mare, apparvero i carnefici, contro cui i servi si prepararono a combattere. Cicerone co mandd che stessero: guardò con fermo occhio gli assassini e singolarmente il lor condottiere Popilio Lena, che reo di parricidio era stato difeso e salvato da lui : sporse dalla letlica il capo, e, Fale, ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib. I, 1; De Off. lib . II, 1, 2 ; e in più Lettere ad Allico e ai suoi amici. Plutarco I. c. V. l'Orazione al tribuita a Sallustio. — Donato ( in VI Eneid. ) accomoda a Cice rone quel verso diVirgilio: Hic thalamos invasit Natac velitos que hymeneos. V. P. Bayle art . Tullie , 0 . QUARANTESIMONONO 325 disse , l'opera' vostra , e quello prendelo , di che avete bisogno : l'ingralo " Popilio con parricidio maggiore del primo gli recise il capo e le mani , e recò l'iniquo fardello ad Antonio, il quale con gran festa affisse su i rostri quel capo sublime e onorato e quelle mani benefiche, spettacolo miserabile e argomento di pianto ai buoni Romani e di trastullo agli schiavi, ai traditori e ai tiranni ( 1 ) . Nell'anno di Roma settecendecimo e di Cicerone sessanta qualtresimo avvenne questa tragedia , in cui si vide la morte di Cicerone e della repubblica. Daquesto tenore distudj e di vita non solamente si può conoscere che Cicerone era pieno d'un de siderio smoderato di gloria , che lo rendea forte e magnanimo nella buona sorte e timoroso e pian gente nella disgrazia (onde Cristina di Svezia, con una regia libertà che sarebbe licenza in uomini pri vati , usava dire, Cicerone essere il solo poltrone che fosse capace di grandi cose ); ma si pud an cora scorgere facilmente che il sommo fine poli tico di Cicerone fu l'acquisto delle maggiori for tune nella repubblica : che due essendo i mezzi per giungervi, la scienza militare e la oratoria , e co noscendo egli di valer poco nella prima , comechè molto si tormentasse per giungervi , si attenne vi gorosamente alla seconda ; e che egli avendo sen tenza, niuno essere oratore perfetto il quale non abbiascienza di tutte le grandi cose, vago per qua Junque facoltà, e sopra tutto per le opinioni di ogni filosofia, e tutto questo adunamento di dottrine in dirizzo al suo desiderio di essere oratore perfet to ( 2). Questo studio è palese nelle sue opere, le ( 1 ) T. Livio Epit. 121. Plutarco in Cicerone et in Antonio. Sve. tonio in Augusto. Vellejo II ,8 , 65 , 66.Dione lib. XLVII. Ap piano lib. IV . Seneca Súas. I et VI. V. Massiino lib. V, 3. Floro PADOV ,6. (2) Cicerone De Or. lib. I , 6; II , 2 . 326 CAPITCLO quali a ragionatori severi appariscono più eloquenti che filosofiche, e mostrano maggior cura del bel dire che del corretto pensare. Cicerone adunque sempre intento alla eloquenza e sempre caldo d'una immaginazione vivace e feconda e d'una voglia ine sausta di meraviglie rettoriche, e sempre frettoloso per la moltitudine dei gra rissimi affari, trascorse e quasi sfiorò le nozioni filosofiche, e divenne gran dissimo nel dipingere , nell'adornare e nel persua dere; ma nel vigore del discorso e del giudizio e nelle sottili distinzioni del vero e del falso parve che le più volte l'oratore fosse smisuratamente più grande del filosofo. Gli è però vero che nel silen zio delle lettere forensi e senatorie, e nell'ingenuo ozio in cui la usurpazione di pochi lasciava i grandi uomini di Roma, Cicerone ottenne dalla disgrazia questa utilità, che riposatamente e liberamente me dità e scrisse argomenti filosofici ( i ) , e massima mente si esercitò nella parte teologica e morale cui appartengono i libri notissimi della Natura degl'Id dii, della Divinazione, del Fato, del Sogno di Sci pione , dei Fini, della Vecchiezza, dell'Amicizia , delle Leggi, degli Uffizj, le Disputazioni Tuscula ne, i Paradossi Stoici e le Quistioni Accademiche; nelle quali si argomentd particolarmente a distrug gere i greci sistemi alla maniera di Carneade, e pa lesò il suo. Coopose ancora l'Ortensio ossia l'Am monizione alla Filosofia, e i libri della Repubbli ca , che sono perduti ( 2). Ma per quanto ozio egli avesse e per quanto meditasse, non seppe mai di vezzarsi dall'esagerato linguaggio oratorio, e di lui usd pomposamente nella esposizione de sistemi e delle ragioni filosofiche; e poi vi aggiunse i suoi ( 1 ) Cicerone De Off. lib. II, 1 , 2 . ( 2) Cicerone ne fa memoria, De Fin. I. I ; De Div. I. II ; Tusc. Disp. lib. III. S. Agostino De Civ. Dei e Lattanzio in più luoghi. QUARANTESIMONONO 327 amori e i suoi odj per certe scuole , e questi an cora rettoricamente amplifico ; e per giunta di am biguità gli piacquero le platoniche forme de' dialo ghi e le accademiche dispute e le confutazioni per ogni parte e gl'inclinamenti ora ad un lato, ora ad un altro; donde risultarono equivoci e dubbj e opi nioni diverse intorno alla filosofia . Ma noi pensia mo di poter mettere alcun ordine in tanto invi luppo ragionando di questa guisa. - Non fram mezzo alle pompe eloquenti delle orazioni e alle asluzie forensi, e non tra le epistole di complimen lig di raccomandazioni, di condoglienze, di affari, nè tra i parlamenti e i dialoghi di uomini ora epi curei , ora stoici, ora peripatetici passionati, è da cercarsi la filosofia di Cicerone, siccome alcuni fe cero e fanno incautamente, ma è giusto rintrac ciarla in que' luoghi delle sue opere filosofiche ove egli parla in persona e sentenza sua propria. —Cid statuito , ascoltiamo Cicerone medesimo , il quale senza equivocazione e mistero alcuno ci racconta ch'egli professa la filosofia della nuova Accademia ; perciocchè a coloro che si meravigliavano come egli principalmente approvasse quellafilosofia che toglie la luce e quasi sparge una nottesopra le co se , e protegesse impensatamente una disciplina de serta , egli risponde: « Non imprendiamo già noi « il patrocinio di cose deserte. Questo metodo, per « cui si disputa di tutto e non si giudica aperta « mente di niente, nato da Socrate, ripetuto da « Arcesilao, confermato da Carneade, invigorì fino u alla nostra età ; il qual metodo ascolto essere u ora abbandonato in Grecia , il che io credo av « venuto non per vizio dell'Accademia , ma per pi u grizia degli uomini : mentre se gran cosa è ap prendere alcuna disciplina, quanto è maggiore u apprenderle tutte ! la qual cosa è necessario che 328 CAPITOLO quelli facciano , i quali hanno proposto per la investigazione del vero disputare contro tutti i « filosofi e a favore di tutti ; e questa difficile fa « coltà non penso io di avere acquistata, solamente u penso di averla seguita. Nè già noi a questa gui u sa filosofando , riputiamo , niente esser vero , ma piuttosto al vero essere congiunto il falso con « tanta rassomiglianza, che manchi il certo criterio « di giudicare e di assentire ; dalle quali dottrine siegue questo precetto , nolto essere il probabi le, il quale benchè non sia bene compreso, non « pertanto avendo certo uso insigne ed illustre, « dee governare la vita del savio ( 1 ) . » - E altro ve : « Io vorrei ( egli dice ) non a nome di Attico , di Balbo o di Vellejo, ma a suo , che fosse ben u conosciuta la nostra sentenza ; imperocchè non « siamo noi vagabondi nell'errore, nè manchiamo « di quello che è da seguirsi; poichè quale sarebbe « la mente e quale la vita , tolta la regola del di sputare e del vivere? Ma noi , ove gli altri dicono u alcune cose certe , alcune incerte, dissentendo da essi , altre diciamo probabili, altre improbabili. « Perchè adunque non potrò attenermi al proba « bile e riprovare il contrario , e dechinando dalle « arroganti affermazioni, fuggire la temerità , che « è tanto lontana dalla sapienza ? Ma i nostri Ac « cademici disputano contro ogni sentenza, peroc « chè questo lor probabile non può risplendere se « non si fa contesa per l' una parte e per l'al « tra ( 2) . » Oltreacciò egli c’invita a leggere le sue Quistioni Accademiche, ove questi propositi erano esaminati più diligentemente (3) ; cosicchè può dirsi che quando egli ne'suoi Dialoghi disputa ( 1 ) Cicerone DeNat. Deor. lib. I , (3) De Off. lib. II , 2; Tusc. Disp. I. I,9; Ii, 3 ; De Div. I. II, 3. (3) Cicerone II. cc. Acad. Quaest . lib . II , 3 . 5. QUARANTESIMONONO 329 per le parti accademiche , parla in propria perso na , e quindi par fuori di ogni dubitazione che egli è nel metodo di quegli Accademici che ogni cri terio poneano nella probabilità. Di qui s'intende com ' egli ora si attemperava agli Stoici, ora ai Pla tonici , ora ai Peripatetici, senza abbandonar l'Ac cademia ; perché ove cercava i doveri dell'uomo e le leggi sociali, trovava maggiore probabilità nelle dottrine del Portico; e dove investigava i principi delle cose e trattava la psicologia e la teologia, credea forse trovarla maggiore nel Platonismo e nel Peripato ( 1 ) ; e dove di queste e di altre filo sofie disputava e ne bilanciava le vantate eviden ze , sospendea il giudizio ed era Accademico; e così pure quando persuadeva il popolo e il senato, pas sava a grande suo comodo nelle sentenze contra rie , e non avea ribrezzo alcuno di contraddirsi ac cademicamente. La moda del Foro era di potere essere Accademico Probabilista, ed egli serviva alla scena, e lo era con gli altri. Cicerone adunque così disposto tratto di tutte le parti della filosofia ove più diligentemente, ove meno. E certamente egli coltivò la logica e la in segnò con gran cura ne' suoi Libri Rettorici, ma a sua maniera, vuol dire per servigio della eloquen za e del Foro. Parve chepensasse con Socrate non essere molta la utilità della fisica per la probità e beatitudine della vita ( 2). Conobbe tuttavia i mag giori sistemi antichi , e vide nella rimota vecchiaja della filosofia certe nozioni che si vantano scopri menti di questi ultimi tempi, come il moto della terra , gli antipodi, la gravitazione o attrazione uni versale , che tiene il mondo nell'ordine ( 3). Ma nella ( 1 ) De Off. lib. I , 2 , 3 ; Tusc. Disp. lib. 21 . ( 2) De Nat. Deor. lib . 1, 21 ; Acad.' Quaest. lib. II , 39. ( 3 ) De Nat. Deor. II , 45; Acad. Quaest. II , 38. 330 CAPITOLO naturale teologia e nella morale pose ogni sua cu ra . « È fermissimo argomento della esistenza d'Id « dio ( egli dice ) che niuna gente sia tanto fiera e « niun uomo tanto crudele, che non serbi nell' a. w nimo la opinion degl'Iddii;e questo consenso di a tutte le genti dee riputarsi una legge di patu « ra ( 1 ) . La bellezza del mondo e l'ordine delle cose « celesti stringe a confessare una prestante ed eter a na natura , e un fabbricatore e moderatore della « grand' opera ( 2) , il quale è da immaginarsi come « una mente sciolta e libera e segregata da ogni « componimento mortale, che tutto sente e muo « ve , ed è fornita di moto sempiterno (3) , e come a un maestro e signore che le celesti e le terrene « ed umane cose e tutto l'Universo amministra, sen « za la cui provvidenza quale tra gli uomini sarebbe « pietà , quale santità , qual religione? le quali virtù tolte, sorgerebbe il disordine e la confusion della u vita , e non rimarrebbe società alcuna nel genere « umano ( 4) . Io così mi persuado e così sento, che « tanta essendo la celerità degli animi e tanta la « memoria delle cose passate e la prudenza delle future, e tante le arti e le scienze e le scoperte, quella natura che le contiene non può esser mor « tale ( 5) ; e semplici essendo gli animi e senza mi « stura, é movendosi per sè medesimi, nè possono « dividersi e dissiparsi, nè cessare di moversi; ed « essendo celesti e divini e sempre desiderosi della - immortalità, non possono essere ingannati dachi « li produsse, e debbono essere eterni (6). E quindi ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib. I , 13 ; De Nat. Deor. III , 3 . ( 2) De Div. II ,72 ; Tusc. I , 29. ( 3) Tusc. Disp. I, 27. (4 ) De Fin .IV, 5 ; Acad. Quaest. I , 8 ; De Nat. Deor. I, 2 , 44 ; I1, 66 ; III , 36 ; Fragm. De Repub. III. (5) De Senectute . (6 ) De Senect. et Tusc. I , 27, 29. QUARANTESIMONONO 331 gmni su stenza 1: anto fra serbi mi Consen ne deres ante de erator& ginarsi az ata dan ente en (3), es e le to pinista i miniars le quali pfusica ja nelset si senta je tapis denta 1 comechè Cerbero tricipite e il fremito di Cocito u e il tragitto di Acheronte sieno favole senili, deb « bon perd rimanere dopo la morte i premj e le pe. ne, e quelle due socratiche vie per cui gli empj si « dividono e i buoni si congiungono agl' Iddii (1). ” - Su questi grandi principj egli collocò l'edifizio del naturale diritto e di tutta la morale ; e primie ramente dalla eterna ragione e volontà' di Dio, e dalla comune ragione degli uomini, e dalla natura e relazion delle cose dedusse la origine e la realità e l'autorità e la obbligazion d'un naturale e pub blico diritto . - « La legge ( egli dice ) è un eterno impero che governa l'Universo con la sapienza del comandare e del proibire , ed è la mente di « Dio che costringe e divieta; e non solamente è più antica della età de' popoli e delle città, ma eguale a quell' Iddio che difende e regge i cieli e « le terre. La mente divina non può esser senza ra gione , nè la ragione divina può esser senza la « forza di fermare le cose giuste e le ingiuste. Una legge sempiterna fu sempre e una ragione appog u giata alla natura delle cose ; la quale non allora che fu scritta , cominciò ad esser legge , ma al « lora che nacque , e nacque insieme con la mente divina ; il perchè la legge vera e primaria , idonea á a comandare e a proibire, è la diritta ragione del « sommo Giove ( 2) ; la quale non è legge scritta , « ma nata , e la quale non abbiamo imparata, non ricevuta, non letta, ma l'abbiamo attinta dalla « medesima natura e dalla comune intelligenza, per u cui giudichiamo il diritto e il torto , è l'onesto « e il turpe; imperocchè estimar queste cose dalla BST PEN ne par 2017 depositse . Em opinione, non dalla natura, è stoltezza (3) . ( 1 ) Tusc. 1,5,6 , 21 , 30 ; De Ainic. 4 ; De Nat. Deor. II , 2. ( 2) De Leg. II , 4, 5 . ( 3) Pro Milone; De Leg. I , 10 , 15. zar. 1,1 332 CAPITOLO Io non posso astenermi dalla ricordanza di quelle parole memorabili di Cicerone nel terzo libro della Repubblica, le quali da Lattanzio ci furono conser vate ( 1 ) . — La retta ragione è certamente la vera legge consentanea alla natura diffusa in tutti, co « stante , sempiterna, la quale comandando chiama « al dovere, e ci spaventa dalla frode vielando. « Niente è lecito toglier da lei , niente cangiare, e « molto meno abborrirla. Nè dal senato , nè dal popolo possiamo essere sciolti da questa legge, w nè altro dichiaratore o interprete è da cercarsi; « nè altra legge è ad Atene, altra a Roma , ma ella « sola ed una , sempiterna ed immutabile governa « in ogni tempo tutte le genti, e uno è il comune « quasi maestro e comandante di tutti , Iddio. Egli è di questa legge l'inventore, il disputatore, il pro mulgatore, al quale chi non obbedisce fugge sè « stesso e disprezza la natura dell'uomo, e per que « sto istesso paga massime pene, quantunque sfugga « tutti quegli altri eventi che si riputano supplizj." - Oltre questi nobili conoscimenti della origine, del fondamento , della realità , della forza, della im mutabilità delle leggi naturali, Cicerone conobbe la utilità della religione nella società; di che niuno vorrà dubitare ( egli dice ) che intenda come sien molte le cose che si ferman col giuramento, e quan ta salute apportino le religioni de' patti, e quanti sieno distolti dalla scelleraggine per timore del di vino supplizio, e quanto sia santa la società di que' citladini che fra loro interpongon gl'Iddii come giu dici e testimonj ( 2). Egli conobbe ancora la sanzio ne ossia la intimazion della pena contro i violatori, senza cui le leggi non avrebbon forza di obbligare, ( 1 ) Lallanzio Div. Inst. lib. VII , cap. 8. De Leg. lib . II , 7. QUARANTESI MONONO 333 ma diverrebbono avvisi e consigli ; e non ebbe so lamente quella sanzione come una conseguenza aa turale della colpa , ma come una vera imposizion di castigo, se non in questa , certo nella vita av venire, siccome già sopra abbiam divisato ( 1 ) . Co nobbe egli non meno quella così semplice e cosi vera divisione del codice della umanità in doveri verso Dio, verso noi medesimi e verso la società; e insegnò che la filosofia dono e ritrovamento di vino ci erudisce nel culto degl'Iddii, e poi nel diritto degli uomini posto nella società del genere umano : che l'uouo non è nato a sè solo ; che anche parte di lui ne domanda la patria e parte gli amici: che gli uomini sono prodotti per gli uomini acciocchè si giovino a vicenda; e che debbono ricevendo e dando permutare gli uffizj , e con le arti , con le le facoltà stringere la compagnia degli uomini con gli uomini (2). — Questa succinta immagine della giure prudenza e della morale di Cicerone offre nella sua medesima brevità una idea molto elevata e molto magnifica e superiore a quante opere di antichi uo mini giunsero a noi in questo argomento, e forse a quante mai furono composte prima di lui. Tutta volta non è già vero che la morale Ciceroniana con tenga una disciplina compiuta, e discenda con per fetto ordine e verità in tutti i particolari; percioc chè anzi con buon accorgimento fu avvertito essere diffettuosa in assai parti necessarie, e gli argomenti nella maggior parte esser trattati leggiermente, e per decisioni assai rigide palesarsi che il severo giu reprudente non conoscea i verj principj donde po teano di dursi gli scioglimenti di certi casi ( 3 ). Ma con tutto ciò neppure è vero che Cicerone ne' suoi opere, con ( 1 ) V. Ubner Essai sur l'Hist. du Droit Nat. Par. I , S 12 . ( 2) Tusc. Dis . 1, 26 : De Oll. I , 7. ( 3) G. Barbeyrac Pret, à Pufendorf. 334 CAPITOLO 0 trattati di morale fosse un Pirronista , e nelle sue dispute di naturale teologia un distruttore di tutte le religioni. La primaimputazione assume per fon damento che Cicerone avendo statuiti i principi della morale, prega l'Accademia di Arcesila e di Carneade perturbatrice di tutte queste cose a ta cersi, perchè volendo assalire i principj che sem bran così bene composti, fara troppe ruine, e desi dera placarla, e non ardisce rimoverla ( 1 ). La se conda accusazione è dedotta da quello spirito di dubitazione che domina in tutte le sue opere e sin golarmente nei libri della Natura degl Iddii, ove mostra gran voglia di confutare e deridere tutte le antiche dottrine della Divinità , e concede alla fine tutti i trionfi all'Accademico Cotta . Al che si ag. giunge unagrande incostanza e può dirsi contrad dizione nell'affare gravissimo della immortalità de gli animi ; perciocchè in molte epistole sue , nelle quali scopertamente parlava co' suoi amici , o du bita di quella immortalità , o rappresenta la morte come l'ultimo de' mali e il fine delle sensazioni e di tutte le cose (2). Noi , per quello che dinanzi si è avvertito , dobbiam consentire che Cicerone fu Accademico, e non altro conobbe che sole proba bilità; nel che certo errò gravemente, e grande fra gilità iufuse in tutto il suo sistema teologico e mo rale: tuttavolta perchè al suo probabile diede la forza e l'autorità che noi diamo al vero e all' evi dente , riparò un poco il dauno che fin d'allora il Probabilismo minacciava. Fuori di questo errore, egli molte affermò di quelle medesime verità che ( 1 ) Ciecrone De Legibus l . 13. V. G. Barbeyrac l. c . ( 2) Ep. Fam . lib. V, 16 , 21 ; lib. VI, 3 , 4 , 21; Ad Attic. IV, 10; e altrove. V. P. Bayle art. Spinoza , M., e Cont. des Pens.div . 105; A. Collin De la liberté de penser; G. F. Buddeo De l'Athéisme ch . I , 22. QUARANTESIMONONO 335 . noi stessi affermiamo, e nel naturale Diritto molte ne vide di quelle ancora che furon vantate come scoprimenti del nostro fortunato secolo , di che po tremmo tenere amplissimi discorsi se qui fosse luo go. Egli veramente sparse assai dubbi e molte risa sulle teologie antiche , e non era nel torto. Tenne ancora ragionamenti ipotetici intorno alla immor talità degli animi ; e alcuna volta scrivendo a tali che la negavano, si attemperò alle loro opinioni per consolarli e persuaderli più speditainente. Per altro, quando fu sciolto da siffatti riguardi, parlò di que sti argomenti con quella dignità che abbiam rac contata.Adunque nè Cicerone fu di quegli Ateinè di quei Pirronisti esagerati che non conoscono Di vinità e moralità nè vera nè probabile. Non si vuol qui tralasciare che la scuola pirronica o scettica, sia che fosse oscurata dalla modestia e serietà del l'Accademia, sia che la fama di negligenza , di stra nezza e di stolidità la mettesse a pubblico disprez zo , non ebbe accoglienza niuna tra i Romani; di forma che uncerto Enesidemo da Gnosso intorno all'età di Cicerone avendo tentato in Alessandria di sollevare dalla dimenticanza lo Scetticismo , e con questo intendimento avendo scritti più libri pirronici, che intitold a L. Tuberone uoino prima rio tra i Romani, nè gli sforzi dello scrittore nè l'autorità del Mecenate valsero a far leggere que libri e a persuadere amore per quella filosofia ( 1 ) . Donde si prende un nuovo argomento che Cicero ne, il quale raccolse tutti gli applausi di Roma, non potè essere Pirronista. Per questa descrizione della romana filosofia si conosce che tutto lo splendore di lei si restrinse alla età di Cicerone , e si rinnova . (1) E. Menagio in Laertium lib. IX , 62 e 116. J. Brucker De Phil. Rom . cap. I , S XXVIII. 336 CAPITOLO quella meraviglia come i grandi uomini appariseo no insieme ad un tratto , e poi sopravviene la bar barie che li prevenne. Prima di quei dotti uomini che vissero in compagnia di Ciceroneo poco prima, i Romani eran tutt'altro che filosofi. Dappoi dechino la filosofia , come la eloquenza e la latinità. Noi an cora siccome abbiam ricevuto , così possiamo tras mettere alla posterità gli esempi vicini e forse pre senti di queste subite mutazioni. CAPITOLO L. Digressione intorno alla Filosofia di Archimede. Prima che Cicerone, compiuta la sua questura partisse dalla Sicilia , aind di conoscere le rarità di quella isola , e visitò singolarmente Siracusa , città per gloria di armi e dilettere nobilissima. Quivi presso la porta Agrigentina tra i vepri e gli spineti vide una colonnetta , nella quale era la figura di una sfera e d'un cilindro , e per tai segni scoperse quello essere il sepolcro diArchimede , e mostran dolo ai Siracusani che l'ignoravano, molto si ral legrò che se un uomo Arpinate non avesse disco perto il monumento di quell' acutissimo cittadino , essi per avventura sarebbon rimasti al bujo ( 1 ) . Da questa narrazione prendiamo opportunità di ono rare Archimede Siracusano, il quale tuttochè av volto in un silenzio ingrato degli antichi e dei mo derni scrittori e in una negligenza che move lo sde gno , anche tra i pochi e dispersi frammenti appa . risce il maggiore di quanti matematici e meccanici avanzino nelle memorie di tutta l'antichità . Forse ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib . V, 23. CINQUANTESIMO 337 alcuni si meraviglieranno che noi disordinatamente prendiamo a scrivere di Archimede dopo Cicerone, che fiorì quasi due secoli dopo di lui . Ma sappiano cotesti autori cronologisti che non abbiamo finora trovato parte più opportuna ove allogare un uomo che non ebbe vaghezza di setta alcuna nè greca ne romana, e la ebbe piuttosto di essere filosofo da sè ; e poi sappiano che senza bisogno non vogliamo essere rigoristi in cronologia , e sappiano in fine che se è pur un errore trasportare la memoria di Ar chimede a dugento anni dappoi , io credo certo che sia errore molto più grande trasportarla nel vuoto, siccome gli Stoici della filosofia usaron finora. Nac que adunque questo divino ingegno, siccome Cice rone ( 1 ) lo nomina, intorno all'anno ccccLvII di Roma; e o ch'egli fosse della regia stirpe di Gerone re di Siracusa (2), o che fosse un umile omuncolo fatto chiaro dalla verga e dalla polvere , vuol dire dalla geometria (3) , o che fosse nudo di ricchezza e solamente pago di ben intendere i cieli e le ter re (4 ), non superbo e non depresso per niente di quelle varie fortune, cercò nella sapienza la nobiltà e la grandezza della sua sorte. Le matematiche pure e le applicate all'utile della patria e alla felicità della vita furono la sua cura perpetua. Nella mi sura delle grandezze curvilinee , argomento allora nuovo o poco famigliare agli anteriori matematici , aperse incognite strade e immaginò metodi fecon di, che appresso germogliarono ampiamente e fu rono i semi e , per testimonianza di Giovanni Wal lis, i fondamenti di tutte le invenzioni onde si vanta la nostra età. Sono già note le sue scoperte nelle ( 1 ) Tusc . Disp. I. (2) Plutarco in Marcello. (3) CiceroneTusc. Disp. V, 23. ( 4 ) Silio Italico de Bello Pun. lib. XIV, 343. BUONAPEDE. Ist. Filos. Vol . II . 22 338 CAPITOLO misure e nelle proporzioni della sfera e del cilin dro, di cui tanto si compiacque , che volle scolpite nel suo sepolcro quelle due figure come caratteri di singolar distinzione. Sono ancor note le sue spe culazioni intorno alla conoide e alla sferoide, e la quadratura della parabola , e le proprietà delle spi rali; e queste cose, onde si crede che molto si di latassero i confini dell'antica geoinetria, Archimede Irattò in libri che tuttavia esistono , quali sono , della Sfera e del Cilindro, della dimensionedel Cir colo, della Conoide e della Sferoide, del Tetra : 0 nismo, della Parabola, delle Linee spirali, a cui come opera teoretica si può aggiungere l'Arenario Ossia del Numero delle arene ; nel quale trattato , supponendo ancora che l'Universo ne fosse pieno, calcolo quel numero contro l'opinione di tali che lo riputavano infinito ( 1 ). Lode eguale e forse mag giore ottenne Archimede allorchè le astrazioni geo metriche condusse alla pubblica utilità ; e sebbene io non sappia indurmi a credere ch'egli fosse il creatore della meccanica ( 2 ) , mentre studiò pure in Egitto , ove ognun sa che la meccanica non potea esser negletta ; tuttavolta egli fu certamente assai benemerito di questa facoltà. Nei due celebri suoi libri che tuttavia esistono , l'uno intitolato degli Equiponderanti, e l'altro dei Galleggianti, ovvero delle cose che nuotano o che si traggono per li fluidi, egli stabilì i principj statici ed idrostatici, ai quali dicono che siamo debitori della presenteesten sione de' nostri scoprimenti; e aggiungono che Ar chimede istesso dando assai contrassegni di altis sima penetrazione in questo genere di studj , mo ( 1 ) V. Claudio Francesco de Chales in Cursu Math. tom. I , de Progressu Maibes.; Giammaria Mazzucchelli Notizie intorno ad Archimed ”, e Moniucla Ist. delle Malem. lib. IV. ( 2) Montucla l . c. CINQUANTESIMO 339 strò che avrebbe potuto pervenire a questa nostra estensione medesima, se non si fosse rivolto ad al tri pensieri ( 1 ) . Il re Gerone avendo affidata ad un artefice una massa di oro perchè lavorasse una co rona dedicata agl' Iddii, venne a sospetto che il buon artefice gli avesse fatto furto ; onde impose ad Archimede che studiasse di conoscere la verità . È fama che il matematico entrato nel bagno si avvide che quanto del corpo suo entrava nell'acqua, tanto ne usciva ; donde preso lo svoglimento della qui stione, uscì fuori tutto ignudo e correndo gridava per via expriua evprzo, ho trovato ho trovato ; e se condo questo esperimento immerse la corona in un vaso pieno di acqua; indi successivamente v'immerse due masse di egual peso, l'una di oro , l'altra di ar gento , ed esaminò quant'acqua spandessero i tre corpi, e quindi conobbe quello che investigava( 3). Ma questo metodo , quando pur fosse possibile , non è sembrato , e non è veramente degno della elevazione di Archimede ; nè egli per così poco sa rebbe fuggito via ignudo, nè Gerone avrebbe det to che dopo così gran prova tutto era da credersi ad Archimede. È dunque più verisimile e più de gno di lui, che avendo già egli nel suo Trattato de' Galleggianti stabilito questo principio : i corpi immersi in un fluido vi perdono tanto del proprio peso, quanto è un volume loro eguale del'fluido; di qui raccogliesse che l'oro siccome più compatto vi perda meno del suo peso e l'argento più , e un misto dell'uno e dell'altro in ragione del suo com ponimento. Bastava dunque pesare nell' aria e nel l'acqua la corona e le due masse di oro e di ar gento per ferinare quanto ciascuna perdeva del ( 1 ) Montucla l. c. (2 ) Vitruvio lib. IX , cap. 3. 340 CAPITOLO proprio peso , e dopo questi passi il problema non avea più difficoltà per un uomo come Archimede. Questo fecondo principio valse al valentuomo per la scoperta di molte verità idrostatiche, le quali po trebbono leggersi nel lodato suo libro, se a questi dì non fossero molto divulgate ( 1 ). Ben quaranta invenzioni meccaniche si onorano col nome di Ar chimede ( 2) ; ma solamente alcune vanno errando disperse negli scritti di antichi autori , e non fuor di ragione può credersi che secondo lo stile usitato molte si abbian volute render mirabili col prestito di un gran nome. Dicono di Archimede la chioc ciola , strumento ingegnosissimo e utilissimo, per cui usando la propensione medesima del grave alla caduta si produce la sua elevazione , e con tale or degno s'innalzano le acque ove bisogna, e si asciu gano le navi e le terre ( 3). Sono però alcuni che lo credon più antico di Archimede (4) . L'organo idraulico portò già il nome di Archimede (5) ; ma questo grato arnese benchè dia segno di musica perizia , è piuttosto un gioco dilettevole che un ri trovamento sublime. Laforza infinita e la moltipli cazione delle girelle furono poste fra le invenzioni di Archimede ; ma altri affermano, altri negano, ? niuno ha migliori argomenti. Dammi fuori di qui ove io fermi i piedi, e moverò dal suo luogo la terra , disse Archimede a Gerone. E veramente ap presso ai suoi principj si posson in teoria immagi nar macchine le quali rendano idonea una potenza minima a sollevare un peso inassimo ( 6 ). Nella pra ( 1 ) Vedi Mazzucchelli e Montucla II. cc . ( 2) Parpo lib. VIII. Pr. VI, prop. 10. (3 ) Diodoro lib. I et V. Ateneo lib . V. ( 4) V. Catrou e Roville Hist. Rom. tom . VIII. ( 5) Tertulliano De Animo. ( 6) Plutarco in Marcello : Dic ubi consistam ; caclum terramque movebo. CINQUANTESIMO 341 tica Archimedle volle dar segno a Gerone che avreb be saputo mettere ad effetto le sue promesse, e pri mieramente una grandissima nave tutta carica, la quale non potea moversi senza molta fatica e as sai numero di uomini, egli solo qutto e sedente, senza sforzo alcuno e coll' ordinario impulso della mano aggirando l'ordegno suo , mosse e guidd co me gli piacque; indi per comandamento del me desimo principe avendo disegnata e messa a per fezione una molto maggiore e inolto meravigliosa nave , nella quale oltre le parti usitate in siffatti la. vori, e tutte di estraordinaria sontuosità e grandez za , vi erano giardini e peschiere e cisterne e acque correnti e sale e bagni e fino una biblioteca, e poi vi sorgeano olto gran torri armate , e ai loro luo ghi erano baliste e mani ferrate e altri strumenti da guerra per gli assalti e per le difese , e di smo derato carico e di molto popolo era grave, Archi mede non ostante la enormità di tanta mole, che tutti i Siracusani insieme non valsero a smovere , fece per certo ingegno suo che il solo Gerone la traesse in mare ( 1). È stato detto che questi rac conti ridondino di gran favola, il che pud benesser vero; ma non penso che vi sia fondamento alcuno di affermarlo. Vedute queste meravigliose opere il Re Siracusano sapientemente avvisò di esercitare la stupenda fecondità di questo Genio tutelare di Si racusa, e lo pregò a comporre ogni genere di mi litari strumenti per riparo del regno e per offesa dell' inimico. Archimede, buon amico del suo Re e della sua patria, siccome i sapienti sono o debbono essere , ubbidì volentieri. Questi ritrovamenti bel lici furono inutili, mentre Gerone visse nella pace e nell'amicizia de' Romani. Ma lui morto , arse una ( 1 ) Plutarco in Marcello. Ateneo lib. V. 342 CAPITOLO guerra molto crudele, e Siracusa fu assediata dal console Marco Claudio Marcello, nobile capitano e rinomato per Viridomaro re de' Galli ucciso, e più per Annibale da lui sconfitto più volte. Egli con oste gravissima e con gran forza di navi e con macchine e con militari stratagemmi e con la fama di prode e felice soldato strinse e assalì Siracusa per terra e per mare. In tanta fierezza di arma mento i Siracusani furono presi da tacita paura e da terrore. Archimede solo non ismarrì, e vepne con le sue macchine a ricomporre i cuori dissipati de cittadini, e a sostenere la patria, e a mostrare a Marcello che un filosofo potea esser maggiore del Re de' Galli e di Annibale, e bilanciarsi con la forza e con la fortuna istessa di Roma. Per scienza e per avvedutezza di questo uomo le muraglie di Si racusa erano guernite di copia incredibile di bale stre, di catapulte e di altri macchinamenti per lan ciar dardi e palle e sassi di ogni grandezza, e da vi cino e da lontano, secondo tutti i bisogni. Vi erano ordegni che facendo cadere grossissime travi cari che di pesi immensi sopra le galee e le navi nimi che, le abissava subitamente nelle acque. Vi erano ancora certe mani di ferro con le quali si abbran cavano quelle navi e quelle galee e si levavano per aria, e poi si lasciavancadere tutte subito con som mersione e ruina , e altre volte si traevano a terra e si aggiravano e si stritolavano nelle rupi , su cui stavanle mura della città. Dietro queste mura, che in più luoghi erano pertugiate, stavano scorpioni tesi a cogliere i nemici, che per isfuggire dai lan ciamenti lontani si avvicinavano, onde non rima nea luogo sicuro dalle offese; e Marcello colpito da tutti i lati senza saper d'onde e come, usa va dire: Questo geometra Briareo sorpassa ben molto i Giganti centimani; tante sono le vibrazioni sue CINQUANTESIMO 343 contro di noi ( 1 ) . I Romani in terra e in mare erano anch'essi molto ben provveduti di macchine mi litari , e singolarmente sopra otto galee levavano certo congegno nominato per similitudine sambu ca , con cui agguagliavano le mura e poteano in trudersi nella citlà . Ma il Briareo Siracusano lanciò alcuni sassi gravi oltre a seicento libbre, e battute quelle sambuche, le rovesciò con grande strepito e danno ( 2) . In somma un solo vecchio geometra rendè Siracusa invincibile, e confuse il valore di Roma e il miglior capitano che ella avesse in que' giorni (3 ). Gli assalitori furono stretti a rimetter molto della loro baldanza e ridurre ad un lungo blocco quella tanta vivacità di assalti. Appresso non si parld più di Archimede, e Siracusa fu pre sa , e il suo invito difensore , quasi dimentico della patria e di sè stesso e ozioso nella pubblica ruina, si fece ammazzare per fatua ostinazione nel dise gno d' una figura di geometria. Io non so bene se sia troppa offesa di gravi narratori gettare tra le fa vole queste sconnessioni attribuite al più connesso uomodel mondo. Forse per liberare Archimede da cosiffatte inezie e quasi deserzioni nel maggiore bi sogno della patria , alcuni pensarono di riempiere questo vuoto col meraviglioso racconto dell'incen dio delle navi di Marcello con gli specchi ustorj. Un medico riputato grande (4) , un istorico medio cre (5) e un picciol poeta (6) furono i divulgatori di quel famoso incendio. Ma la tenue autorità di cosiffatti uomini non vale per niente a fronte del (1 ) T. Livio lib . XXIV. Polibio Excerp. lib. VIII, 5. Plutarco ) . c. V. il cav. Folard nel suo Commento sopra Polibio. ( 2) Polibio e Plutarco II . cc. (3) Cicerone De Fin. V. Livio lib. XXV, 31 ; e altri . ( 4 ) Galeno De Teinp lib . III , cap. 2. ( 5) Zonara tom . I , lib. IX . ( 6 ) Tzetze Hist. XXXV, chil. II. 344 CAPITOLO sana , silenzio di Livio , di Polibio e di Plutarco, i quali diligentemente avendo scritto della guerra siracu non avrebbono mai taciuto unavvenimento tanto stupendo, e insieme di tanto ammaestramento nell'arte della guerra, così nel guardarsi da quegli specchi incendiari, come per usarne contro i nimi ci; e certo io credo che se quel terribil metodo fosse stato veramente messo ad effetto, non sareb bono mancati imitatori , e l'armata navale di Mar cello non sarebbe stata la sola incendiata . Noi me. desimi , studiosissimi quanto altri di spopolare il mondo con le militari invenzioni , non avremmo, io credo, all'economico e facile artifizio di Archimede anteposti altri dispendiosi e incomodi metodi. Molti veramente hanno studiato assai nella catottrica per trovar modo di suscitare quel funesto esperimento, e alcuni son giunti a provare che certo con un solo specchio di convessità continua o sferica o parabo lica non era possibile quell' incendio in tanta di stanza, ma era ben possibile con molti specchi pia ni ; e tra altri in questi ultimi giorni il Buffon com pose uno specchio formato diquattrocento specchi così disposti, che tutti riflettevano i raggi ad un punto comune; e questo adunamento nella distanza di centoquaranta piedi liquefaceva il piombo e lo stagno in corto tempo, e in distanza maggiore in ceneriva il legno , il che parve che mostrasse pos sibile il metodo di Archimede ( 1 ) : ciò non ostante queste pratiche per ostacoli non superabili giaccion neglette, e le nostre armate navali si distruggono a vicenda con altro, che con raggi di sole. Non è le cito partire dalla istoria di Archimede senza dire alcuna cosa de' suoi studj astronomici, e di quella (1) A.Kircker Ars magna lucis et umbrae lib. X , P. III. Buf fon Mém. de l'Acad . 1948. V. Montucla I. c. CINQUANTESIMO 345 t 1 tanto celebre sfera e tanto lodata dai poeti, dagli oratori, dagli stoici e , ciò che più vale, dai filo sofi ( 1 ). Era questa una macchina o di rame o di bronzo o di vetro , la quale o a forza di aria o di acqua , o di ruote e di molle e di pesi o di forza magnetica, o di altri ingegni movendosi, esprimeva tutti i rivolgimenti e i fenomeni celesti, senza eccet tuarne finanche i tuoni e i fulmini (2); e secondo alcuni rappresentava questi movimenti secondo il sistema Copernicano ( 3). Le quali cose , se sono vere , come possono essere , attese le altre grandi opere di quest'uomo, e massiinamente perchè egli si compiacque assai di questo lavoro e di lui solo volle lasciar memoria alla posterità con un libro intitolato Spheropeia, che si è poi smarrito, pos siamo raccogliere con nuovo argomento, se altri pur ne mancassero, che nelle scienze più utili l'an tichità davvero ne sapea almen quanto noi( 4 ). Mol. te edizioni furono promulgate delle opere di Archi mede, e illustri uomini o in tutto o in parte le ador narono con somma diligenza , fra i quali si distin sero assai Gianalfonso Borelli, Giovanni Wallis, Isacco Barow , Andrea Tacquet e Evangelista Tor ricelli (5 ). Oltre le pubblicate vi è memoria di al tre scritture di Archimede, che si dicono ascose in qualche biblioteca , come della Frazione del cir colo, della Prospettiva e degli Elementi di Mate matica ; o perdute affatto, come de' Numeri, della Meccanica, degli Specchi comburenti, della Nave ( 1 ) Ovidio Fast. II e VI. Claudiano Epigr. Cicerone De Nat. Deor. II ; Tusc . I. Sesto Empirico con. Math. VIII. Lattanzio lib. II, 5. Franc. Giunio Cath .'Archit. mechan. ec. Cardano, Vos. sio , Kircker, e altri molti. (2) V. G. Mazzucchelli I. c. ( 3) Girolamo Cardano De Subtilitate lib. XVII. Pappo in Prooemi. lib. VIII. ( 5) v . G.A. Fabrizio Bibl. Graec. vol. II. G. Mazzucchelli 1. c . 346 CAPITOLO di Gerone , della Archiettura, degli Elementi Co nici, delle Osservazioni celesti ( 1 ). E nel proposito di questa ultima opera è bene ricordarci che Ma crobio accenna certo metodo con cui Archimede pensò di avere misurate le distanze della terra dai pianeti e dalle stelle, e di queste di quelli fra loro. Ma qual fosse quel metodo non è scritto, che sa rebbe molto grato a sapersi. — In questa breve, ma non iscorretta nè vana immagine degli studj di Ar chimede noi vediam un uom serio , che non dise gna sistemi sul vuoto e non fa calcoli inutili , e non va sempre oltre senza saper dove vada ; ma che studia le forze e gli effetti della natura, e trascura l'ignoto e si ferma sul certo , e di questo usa per utilità de' suoi cittadini e per accrescimento della pubblica felicità. Invitiamo a rallegrarsi quei filo sofi e quei matematici che somiglian questo grande esemplare. E preghiamo a correggersi quegli altri che pensano sempre e non operan mai , e mentre divagano per sentieri che non riescono a fine al cuno, e mentre ostentano linguaggi che il più de gli uomini e talvolta essi medesimi non intendono, non sanno poi levare un peso di alquante libbre,o tenere un po' d'acqua disordinata senza impoverir le famiglie e le città, e senza amplificare i mali con la perversità de' rimedj. CAPITOLO LI. Della Filosofia del regno di Augusto. Dopo la battaglia di Azzio C. Cesare Ottaviano Augusto divenuto re senza prenderne il nome, chiuse ( 1) Fu stamprlo un libro da Giovanni Gogava degli Specchi Ustorj, da lui tradotto dall'arabo , e un altro intitolato Lemma ta ; ma non sono estimati degni di Archimede. - Montucla e Mazzucchelli II. cc. CINQUANTESIMOPRIMO 347 il tempio di Giano e arò la pace e le lettere. La sua età ebbe ed ha tuttavia la lode del più collo e più letterato tempo di Roma; al qual vanto io so certo che Lucullo e Attico e Cicerone repugnerebbono , e non so come non repugniamo noi stessi. Impe rocchè gli è ben vero chenon solamente Roma era già assuefatta alla filosofia e non potea divezzarsi così d'improvviso, e che Augusto anch'egli secondo la consuetudine romana fu amico de filosofi ed en trò vincitore in Alessandria tenendo per la mano il filosofo Areo, per cui amore non distrusse quella città, e poi ebbe assai caro Atenodoro di Tarso e lo ascolid attentamente ( 1 ) , e quindi avvenne che la filosofia seguì a coltivarsi nella nuova' domina zione, e per costume e per desiderio di applauso e per cortigianeria fiorirono a quei di molti uomini sapienti: tutta volta io non so vedere in quella età i gran simulacri che si videro nel fine della repub blica, e vedo anzi che come tutti i costumi ro mani , così anche la filosofia piegò a mollezza , e quindii poeti assunser la toga filosofica e otten nero gli applausi maggiori , a tal che la istoria let teraria della età di Augusto sarebbe assai tenue senza questi poeti, de' quali adunque sarà mestieri scrivere in primo e quasiin unico luogo. Publio Virgilio Marone, nato nel contado man tovano, con estraordinario ingegno poetico studiò di piacere ad Augusto e a Roma; e conoscendo che a riuscire nel suo desiderio era mestieri condire le sue poesie con dottrine filosofiche , così fece, e salì alla gloria di Bucolico e di Georgico eguale ai Greci, e di Epico secondo alcuni riguardi mag giore di Omero ( 2) , e quello che è ora nel nostro ( 1 ) Svetonio in Augusto et Claudio. Plutarco in Antonio. Se neca Cons. ad Helviam . Luciano in Macrob. Zosimo lib. I, cap. 6. (2) A. Baillet Jug. des Scayans t . IV, des Poét. Lat. 348 CAPITOLO proposito ,di poeta filosofo. Mainvestigandosi poi di quale filosofia si dilettasse , insorser varie sen tenze. Alcuni lodissero Epicureo, perchè ascolto Si rone maestro di quella scuola, e perchè un tratto racconto che l'orto Cecropio spirante aure soavi di fiorente sapienza lo cingea con la verde ombra (1); e altrove condusse Sileno briaco a cantare come nel gran vuoto si adunassero i semi delle terre, dell'aria, del mare e del fuoco (2) ; e in altri versi nomninò felice colui che potè conoscere le cagioni delle cose , e calpestò tutti i timori e il Fato ine sorabile e lo strepito dellavaro Acheronte (3) : nelle quali parole l'Epicureismo parve evidente ad al cuni; mentre ad altri l'orto Cecropio e il peda gogo di Bacco e i semi nel vuoto parvero equivoci e scherzi di poesia , e il Fato e l'Acheronte calpe stati e comuni ad altre filosofie non sembrarono argomenti di Epicureismo; massimamente perchè nello stesso tenore di canto il poeta disse anche felice colui che conosce gl’iddii agresti Pane e il vecchio Silvano e le Ninfe sorelle (4) , che di vero non erano cose epicuree. Per queste difficoltà fu soggiunto che Virgilio potea esser Platonico là dove insegnò il compimentodella età vaticinata dalla Si billa Cumana, e il grande ordine de' secoli , e i mesi dell'anno grande di Platone , e il ritorno di Astrea e di Saturno e degli aurei giorni (5) ; il quale mescolainento io non credo certo che Platone po tesse mai riconoscer per suo. Si abbandonò adun ( 1 ) Virgilio Ceiris. Servio in Ecl. VI. P. Gassendo De vila Epi. curi lib . I , cap. 6. G. A. Fabrizio Bibl. Graec. vol. II , et Bibl. Lat. lib. I , cap . 4 , S 4 . ( 2) Virgilio Ecl.VÍ, 31 . ( 3 ) Georgic. II , 490. ( 4) Georg. ivi , 493. (5) Ecl. IV, 5. V. Servio in h . I.; Paganino Gaudenzio De Phil. Rom . cap. 174 ; J. Brucker De Phil. sub Imp. $ II. CINQUANTESIMOPRIMO 349 que questo pensiere, e fu estimato che Virgilio era stoico, perchè narrò che vedute le ingegnose opere delle api, alcuni aveano detto esservi parte della mente divina in esse , e Dio scorrere per tutte le terre e per li tratti del mare è per lo cielo pro fondo , e dar vita a tutti i nascenti, e tutti a lui ritornare e risolversi in lui , e non esser luogo d morte, e tutti vivere nel numero delle stelle e nel l'alto cielo ( 1 ) . Ma se Virgilio ci narra che altri di ceano queste sentenze , non le dicea dunque egli stesso. Anche nel sesto libro della Eneide, che è il più magnifico e più profondo di tutto il poema, Virgilio conduce Anchise a filosofare della origine e natura del mondo e degli uomini ; e questa tro jana filosofia senzamolti discernimenti fu messa a conto del poeta. Uno spirito dice il Trojano, in ternamente alimenta il cielo, le terre , i mari e la luna e le stelle, e una mente infusa per le mem bra agita tutta la mole, e al gran corpo si mesce. Quindi scaturiscon tutti i viventi , in cui è ignea forza e origine celeste, per quanto i nocenti corpi non li ritardano , e le terrene e mortali membra non gli affievoliscono; onde avviene che desiderano e temono e godono e si dolgono, e non mirano al l'alto, chiusi datenebre e in carcere oscuro. Dopo la morte soffrono i supplicj degli antichi peccati: indi son ricevuti nell'ampio Eliso,finchè per lungo tempo si tolgan le macchie, e ritorni puro l'etereo senso e il fuoco del semplice spirito. Compiuto il giro di mille anni, un İddio convocava gli animi in grandeschiera al fiume Leteo , perchè dimen tiche rivedano il cielo, e comincino a desiderare i ritornamenti ne' corpi ( 2) . Così parld Anchise, e ( 1 ) Georg. IV, 220. ( 2) Æneid. lib. VI, 719. 350 CAPITOLO Virgilio fu accusato di Ateismo stoico da uomini cheinsegnando sempre a non precipitare i giudi zj , li precipitarono essi medesimimolto più spesso che non può credersi (1). Ma primieramente l'A teismo stoico è una falsa supposizione, siccome ab biarno veduto in suo luogo ; e poi le parole spirito e mente she è infusa e che alimenta le cose, e il foco e l'etereo senso sebben possano avere sentenza stoica , la possono anche avere di altre scuole che fecero uso di simili formule. Inoltre quelle parole sono miste agli Elisi e al fiume della Oblivione, e al millesimo Anno, e all'Iddio evocatore degli animi smemorati, ma immortali a rigore; le quali giunte non sono stoiche per niente. E in fine siccome Vir gilio apertamente ammonì , le antecedenti parole della Georgica, che parvero stoiche, essere dial tri; così dovrà dirsi in queste della Eneide, quando egli ancora non lo dicesse. Ma disse pure che eran di Anchise, il quale qualunque uomo si fosse, e fosse ancora una favola, certamente non era Virgilio. Dopo queste considerazioni, io molto mi sdegno che uo mini non vulgari citino tutto giorno questidue passi come una tessera dell'Ateismo stoico e dello Spi nozismo , e mi sdegno ancor più che si producano come un argomento della empietà di Virgilio. Non essendo adunque plausibile questa attribuzione, fu immaginato da altri che Virgilio amasse il Pitago rismo, e da altri , che molto sanamente sentisse delle cose divine; il che io non saprei come potesse pro varsi ( 2 ). Ma un autor celebre prese a mostrare che lo scopo di quell' incomparabile sesto libro della ( 1 ) R. Simon Bibl . crit. P. Bayle Cont. des Pensécs sur les Co mètes. G.G. Leibnitz Théodicée disc. prél. G. Gundling. Gun dliogiao. P. XLIV, S 8. J. Brucker L. c . (2) Lattanzio lib. 1.5.R. Cudwort System . intell. cap . IV , S 19 ; Cap. V , sect. IV, S 29. CINQUANTESIMOPRIMO 351 Eneide era la dipintura simbolica del sistema de misterj Eleusini e della unità di Dio, e de' premj e delle pene nella vita avvenire(1).A persuaderci di questo nuovo pensamento il valente autore con molto studiati riscontri d'antichità e con bell'appa rato di dottrine incomincia ad insegnarci che la Eneide non è già una favola inutile da raccontarsi ai fanciulli o da rappresentarsi agli oziosi nelle lun ghe sere d'inverno, ma è un sistema di politica e di morale e di legislazione, per cui si vuol dilet tarc e istruire Augusto che è l'Enea e l'eroe del poema, e insieme tutto il mondo romano , e anche il genere umano intero. Per la qual cosa il poeta assumendo il carattere di maestro in Etica e di le gislatore, usa i vaticini e i prodigi per contestazione della Provvidenza , e introduce ilsuo eroe intento ai sacrifici e agli altari e portatore degl' Iddii nel Lazio , e pieno di tanta religione , che a taluno , cui piaceva di averne meno, sembrò che Enea fosse più idoneo a fondareunmonastero,che un regno ( 2) . L'amicizia, l'umanità e le altre virtù sociali entrano nel sistema di legislazione , e la Eneide n'è piena. Vi entrano ancora i premj e le pene dopo la morte, e il poeta ne fa amplissime narrazioni. Orfeo , Er cole,Teseo celebri legislatori furono iniziati nei mi steri , e le loro iniziazioni si espressero simbolica mente con le discese loro all'inferno. Cosi Enea le gislatore del Lazio si fa discendere all' inferno per significare la sua iniziazione negli arcani Eleusini, ne' quali è noto che Augusto ancora era iniziato. E veramente è grande la similitudine Ira le ceri monie eleusine ei riti della discesa di Enea all in ferno. Il Mistagogo o Gerofanta , ora maschio , ora ( 1 ) Warburlou Diss. de l'Initiation aux mystères. (2) S. Euremond presso il Warburton. 352 CAPITOLO femmina, era il condottiere de proseliti, e la Si billa è la guida di Enea. Proserpina era la Deità de' misterj, ed è la reina dell' inferno Virgiliano ; negl'iniziati si volea l'entusiasmo , e in Enea lo vuol la Sibilla. Nel ramo d'oro sono figurati i rami di mirto dorati, che gl'iniziati portavano e di cui si tessevan corone. L antro , l'oscurità , le visioni, i mostri , gli ululati, le formole Procul esto, profa ni, si trovan comuni ai misterj e alla Eneide, come sono ancora comuni il Purgatorio , il Tartaro e gli Elisi e le esecrazioni contro gli uccisori di sè me desimi , contro gli Atei e contro altri malvagi . Di cendo queste ineffabili cose, Virgilio domandaprima la permission degl' Iddii : E voi, egli dice , Numi dominatori degli animi, e voi tacite Ombre,e tu Caos, e tu Flegetonte, luoghi ampiamente taciturni per tenebre, concedete ch'io parli le cose ascoltate, e col favor vostro divulghigli arcani sommersi sotto la profonda terra e la caliginc ( 1 ) . Questa preghiera dovea ben farsi da chi sapea gli spaventosi divieti che gl'iniziati sofferivano di non divulgar mai la tremenda religion dell'arcano. Da quesli, che erano i piccioli misterj, passa Virgilio ai grandi significati nella beatitudine degli Elisi. Enea si lava con pura acqua , che era il rito degl' iniziati , allorché dai piccioli erano elevati ai grandi misterj. Fatta la lu strazione, il pio Trojano e l'antica sacerdotessa pas sano ai luoghi dell'allegrezza , e alle amene ver dure dei boschi fortunati e alle sedi beate , ove i campi dal largoaere sono vestiti di purpureo lilme, e conoscono il loro sole e le loro stelle. I legisla tori, i buoni cittadini, i sacerdoti casti , gl’inven tori delle arti, e tutti que' prodi che ricordevoli di sè stessi fecero con le opere egregie che altri si ri ( 1 ) Æncid . VI, 264. CINQUANTESIMOPRIMO 353 cordasser di loro, quivi coronati di candida benda soggiornano ( 1 ). Queste immagini erano mostrate ne' grandi misteri, come qui negli Elisi. Adunque le pene e i premj della vita futura erano ! argo inento della istituzione Eleusinia e del sesto canto di Virgilio. Finalmente la confutazione del Poli teismo e la unità di Dio era figurata nello spirito interno alimentatore, e nella mente infusa alle mem bra di tutta la mole, di che i nostri pii metafisici agguzzaron tanti commenti. Così disse il dotto Inglese, a cui rendiamo onor grande per la erudi zione e per l'ingegno , e mediocre per la rigorosa verità . Ma comechè non consentiam seco in tutta la serie de' confronti, non sappiam discordare che in quel libro diVirgilio e in tutto il suo poema non sieno palesi gl'insegnamenti delle sociali virtù , de' premj e delle pene future, e talvolta non apparisca alcun indizio di sublime dottrina nel sommo argo mento dell' unica Divinità. Ora per la varietà di queste sentenze intorno alla filosofia di Virgilio , e perchè già sappiamo che i begli spiriti e gli ora tori di Roma nel torno di questa età trovavano as sai comoda quella filosofia, nella quale era usanza prendere da tutte le scuole il verisimile e l'accon cio alle opportunità, e non si metteano a colpa oggi essere Stoici e domane Epicurei , e talvolta l'uno e l'altro insieme nel medesimo giorno ; perciò noi portiamo sentenza che ancora i poeti ( lasciando stare quegli che strettamente cantarono alcuna par ticolare filosofia , come Lucrezio e forse Manilio ) usarono le mode istesse de' begli spiriti e degli ora tori ; e servendo alla scena e al gusto dominante e al comodo, e volendo piacere al genio superficiale di Augusto e della sua corte , filosofarono alla gior ( 1 ) Encid. VI, 630. BUONAFEDE. Ist . Filos, Vol. ll . 23 354 CAPITOLO nata e misero nei loro poémi quella filosofia che l'argomento e il diletto chiedeano , pronti a met terne: un'altra in bisogno diverso. Se noi vorremo domandare ai nostri poeti , come trattino la filoso fia nei loro componimenti, risponderanno che gli aspergono di Stoicismo quando parlano ai nostri Catoni, di Epicureismo quando lusingano i dame rini e le fanciulle, di Platonismo quando adulano le pinzochere , senza però giurare nelle parole di quelle scuole , anzi senza aver mai conosciuto a fondo i loro sistemi. A tale guisa io ho per fermo che poetasse Virgilio, e gli altri poeti della età di Angusto. Questo genere d' uomini fu sempre uso a fingere molto e a dir quello che accomoda e piace, piuttosto che quello che sentono. Quanto alla mo rale di Virgilio, tuttochè sia stata da alcuni solle vata a grandi altezze ( 1 ), e sia veramente superiore assai alle dissolutezze degli altri poeti di quella età, si vede in essa talvolta questo genio di scena e di comodo poetico e di pubblico diletto. Non dispia ceano a Roma le vittime umane ; piaceano assai gli amori , e sommamente le conquiste e il sangue de' nemici. Quindi egli conduce il suo eroe, chedicono essere il maestro della morale virgiliana , ad inmo lare i prigionieri , a sedurre e tradire Didone , ad uccider Turno supplichevole, a turbare e conqui star le altrui terre; e allorchè prese a lodare M. Clau dio Marcello figlio di Ottavia sorella di Augusto, tutta quella amplissima laudazione che fece pian gere il zio e svenire la madre e che arricchì il poe ta, si rivolse finalmente nella cavalleresca e guer riera virtù ( 2) a cui non so se la filosofia non af ( 1 ) Lodovico Tommasini Méthode d'étudier chrétiennem. les Poéles. R. le Bossu Du Poéme Épique ch. IX. ( 2 ) Du Hainel Diss. sur les Poésies de Brebeuf.Jacopo Peletier Ari Puélique V. A. Baillet Jug. des Savans. Des Poétes Lalios. CINQUANTESIMOPRIMO 355 fatto cortigiana vorrà senza molte restrizioni con cedere questo bel nome.Si potrebbono amplificar molto le querele filosofiche; ma in tanta copia di ornamenti e di lodi è giusto usar moderazione ue? biasimi (1 ) Q. Orazio Flacco Venosino, amico intimo e am miratore di Virgilio , fu non meno di lui ornamento sommo della età di Augusto. Parve che questi due incomparabili ingegni dividesser fra loro il regno poetico, e fedelmente si contenessero nei limiti sta biliti , e l'uno non entrasse mai nella provincia del l'altro. Orazio adunque ceduta la poesia bucolica , georgica ed epica a Virgilio , assunse la satirica, la epistolare e la lirica ; e cosi' i due amici potendo essere sommi in tutti questi generi, amarono me glio esserlo in generi diversi senza emulazione e senza invidia. Questi, che posson dirsi i Duumviri della poesia latina , ebbero , siccome in parte si è veduto , campi amplissimni ove seminare le filosofi che doltrine. Ma Orazio , per lo genio spezialmente della satira e della epistola , gli ebbe anche mag giori, ed egli usò di questo comodo assai diligen temente per piacere ad Augusto , a Mecenate e a sè stesso , e alla età sua e alla seguente posterità. Dappriina educato nelle lettere romane, visitare Atene. Mi avvenne , egli dice , di essere nu drito a Roma, e quiviimparare quanto nocesse ai Greci l'ira –Achille. La buona Atene mi condusse ad arte migliore, e a discernere il diritto dal torto, e a cercare il vero nelle selve di Accademo. Ma i duri tempi mi rimosser dal dolce luogo , e il ca lore della guerra civile mi spinse a quelle arme che non furono eguali alle forze di Augusto. Umile par tü da Filippi con le penne recise e privo della casa volle poi ( 1 ) Encicl. VI. 356 CAPITOLO furono ag e del fondo paterno : l'audace povertà mi strinse a far versi ( 1 ). E altrove non ha ribrezzo di raccon tare che nella sconfitta Filippica militando nelle parti diBruto , fuggi e gettò lo scudo ( a). Così mal concio venne a Roma, e nato ad altro che a spar gere il sangue degli uomini e il suo, divenne poeta, ed ebbe parte non infima nell' amicizia di Mecenate e di Augusto, dai quali ottenne soccorsi alla sua povertà. Da queste avventure fu raccolto che Ora zio erudito nelle selve di Accademo era dunque Ac cademico. Ma questo sembrando poco, giunte quelle altre parole di Orazio : La sapienza è il principio e il fonte dello scrivere rettamente, e le carte socratiche possono dimostrarlo (3) . Ove si vede l'amor suo grande alle dubitazioni di So crate, che forse somigliavano quelle di Arcesila e di Carneade. In una bellissima epistola a Mecenate, la quale è certo scritta nella vecchia età di Orazió o nella prossima alla vecchiaja, lo sciolgo per ten po , egli dice , il cavallo che invecchia , acciò non faccia rider le genti ansando e cadendo nella fine del corso . Depongo i versi e gli altri sollazzi. Le mie cure e le mie preghiere si rivolgono al vero e all onesto.Adunoe compongo dottrine per usarle in buon tempo. E perchè niun mi domandi a quale guida e a quale albergo miattenga, io, non istretto a giurare nelle parole di alcun maestro, vado ove mi menano i venti. Ora sono agile e m'immerso negli affari civili,ora custode e seguace rigido della vera virtù , ora furtivamente scorro ne' precetti di Aristippo, e le cose a me sottopongo , e non voglio io essere sottoposto alle cose (4). Ove non oscura ( 1 ) Orazio Epist. I. II , 2 . (2 ) Carm . lib. II , Ode VII. ( 3) De Arte Poet. ( 4 ) Ep. lib. I , ! . CINQUANTESIMOPRIMO 357 diente si vedono i pensamenti d' un uomo che pren de secondo le occasioni quello che più gli torna a piacere dalle sette diverse. Fu aggiunto ch'egli acre mente derise gli Stoici in più luoghi ( 1 ) , il che era secondo il costume accademico ; e che secondo il medesimo uso affermò e negò le istesse dottrine sen za eccezione delle più solenni, come la esistenza degl' Iddii , i prodigj, le cose del mondo avvenire, la provvidenza, il fine dell' uomo; donde non sola mente dedussero le idee accademiche di Orazio, ma ancora il suo pirronismo. A queste osservazioni se vorremo sopraggiungere il genio del secolo e il co. modo dell'Accadernia, e quel di più che abbiam detto della filosofia di Virgilio , non sembrerà in giusto consentire alle accademiche propensioni di Orazio ; non mai perd ad un pirronismo esagerato, di cui non possiamo avere alcun fondamento ; anzi lo avremo in opposito guardando a tante risolute sentenze sue , e all'abborrimento di tutti i più dotti Romani contro quella estremità ; e non ha similitu dine di vero che un uom tanto destro ed elegante volesse esporsi al disprezzo di tutta Roma senza proposito alcuno. Ma comechè le cose ragionate fin qui sembrino bene congiunte a verità, alcuni pur sono che vorrebbono Orazio epicureo ( 2). Raccolse le altrui ragioni e aggiunse le sue per convincerlo di Epicureismo teoretico e pratico Francesco Al garotti in un suo Saggio della vita di quel poeta. Insegna egli adunque che molti sono i luoghi epi curei ne' versi di Orazio, perciocchè scrisse in una sua satira di certo strano prodigio che potea ben crederlo un Giudeo circonciso, non egli, perchè avea ( 1 ) Satyr. lib. I , 3 ; 11 , 3. (2) P. Gassendo De Vita Epicuri lib .II, cap. 6.G.A. Fabrizio Bibl. Lat. lib. I, cap. 4. Reimanuo Hist . Alh. cap. 37. Stollio Hist . Pbil. mor. Geni . J. Brucker I. e. S III . 358 CAPITOLO porco del apparato che gl' Iddii menan giorni sicuri e non mandan gid essi dall'alto tetto del cielo le meravi. glie della natura ( 1 ) . E in una epistola a Tibullo : Come tu vorrai ridere , guarila me pingue e nitido gregge epicurco (2) . Ma se queste ed al tre parole epicuree vagliono a fare Orazio epicu reo , varranno adunque le stoiche, le peripatetiche, le socratiche, le platoniche, lequali sono pur molte ne' suoi versi, a renderlo scolare di quegli uomini ; e queste varietà non potendo comporsi in uno senza che egli fosse Accademico , o se vogliamo Eclettico a buona maniera , adunque io non so altro dedurre salvochè quello che dianzi abbiamo riputato simile al vero. Oltre a questo abbiam poi una molto so lenne abiurazione dell'Epicureismo in una sua ode, che è di questa sentenza: Già scarso e rado ado rator degl' Iddii, erudito in sapienza insana errai; ora mi è forza ritornare indietro. Vedo Iddio che gli umili cangia coi sommi, e attenua il grande, e mette a luce l'oscuro , e gode toglier l'altezza di colà e qui collocarla (3 ). E abbiano ancora un an tiepicureismo in quelle sue magnifiche parole: lo non morrò intero , e la massima parte di me evi terà la morte (4). La maggior forza però è , siegue a dire il valente Algarotti, che si vede la conformità grande tra i precetti di Épicuro e le massime e le pratiche di Orazio. L'uno e l'altro predicarono che de' pubblici affari non dee inframmettersi il sapien te, che ha da abborrire le laidezze dei Cinici, efug. gire la povertà e lasciare con qualche opera din gegno memoria dopo sè, e non farmostra delle cose suc , e dover essere amatore della campagna, e non ( 1 ) Satyr. lib . 1,5. ( 2) Epist. lib. I , 4 . ( 3) Od. lib. I , 34. ( 4) Od. lib. III, 30. CINQUANTESIMOPRIMO 359 1 tenere uguali le peccata , e amare la filosofia, e non temere la morte e non darsi pensiere della sepol tura ( 1 ) . Ma , secondochè io estimo, questa forma di argomentazione è cosi burlevole, come sarebbe quell altra , che Orazio fosse epicureo perchè avea il naso e gli occhi come avea Epicuro ; senza dir poi che questo discorso medesimo potrebbe abu sarsi per intrudere Orazio in qualunque scuola; per chè nel vero molti altri maestri erano in Grecia e fuori, che insegnavano doversi fuggire i pubblici affari e le lordure ciniche e la povertà , e amare la campagna e il piacere e la utilità, e non brigarsi della morte e del sepolcro. Adunque non pud es ser provato che Orazio fosse epicureo, perchè disse molte parole o usate dagli Epicurei insieme con al tri, o anche rigorosamente epicuree, nella guisa che non può provarsi che fosse stoico o peripatetico , perchè disse molte sentenze prese dal Peripato é dal Portico ; e ritorna quello che di sopra fu detto, questa indifferenza per tutte le scuole e quest'uso appunto di ogni placito che torni a comodo, pro vare solamente la filosofia accademica di Orazio. Trar poi le frasi oscene ei costumi dissoluti di Ora zio a prova di Epicureismo , con pace di chiunque io dico che questa diduzione non è consentanea al vero sistema epicureo , nè all'umano. Abbiam già veduto altrove che il legittimo orto epicureo non era quella terra immonda che alcuni si finsero , e possiamo veder facilmente che , riunpetto a molte oscenità sentenziose di Orazio , moltissime parole sue sono gravi, austere e diritte per narrazione dei contraddittori medesimi (2). E vediamo tutto dì che (1) Laerzio in Epicuro. Orazio Epist. lib. I , 1 , 10 , 17; lib. II, 2. Salyr. lib. II , 4. Od. lib. III , 20 , 30 , e altrove. ( 2) F. Algarolii Saggio sopra Orazio. V. Francesco Blondel Comp.dePindare et d'Horace. L. Tominasini Mélode d'étudier ec. A. Baillet I. c. 360 CAPITOLO se la depravazione delle parole e de' costumi fosse argomento di Epicureismo, oggimai sarebbe epicu. rea tutta la terra. Stabiliamo per compimento di questo esame, che se vorremo da tutti gli scherzi canori de' poeti raccogliere inconsideratamente i si stemi e le vite loro, comporremo piuttosto poemi che istorie. Spargiamo dunque fiori, non spine, so pra il sepolcro del più filosofo di tutti i poeti. P. Ovidio Nasone Sulmonese fiori alquanti anni dopo Orazio , nella età anch' egli di Augusto ; al quale comunquepotesse piacere per la fecondità e per la vivezza , dispiacque per la lascivia de' versi, o piuttosto, siccome alcuni pensarono e come Ovi dio medesimo disse , per aver veduto imprudente mente una certa colpa che volle tacere , e si para gond ad Atteone che fu preda a' suoi cani , percioc chè vide senza pensarvi Diana ignuda ( 1 ) ; e questa Diana parve a taluno Giulia sorpresa nelle brac cia di Augusto suo padre ( 2) , e altri indovinarono altri arcani di oscenità. Ma è molto più giusto ta cere ove tacque Ovidio medesimo, tuttochè punito ed esigliato alle rive dell'Eusino fosse pienissimo d'i ra, che fa parlare pur tanto la generazione irrita bile de' poeti. Questo ingegno, nato per la poesia , amoreggio, e pianse in versi, e fu antiquario , e se gretario degli eroi e delle eroine anche in versi , e disse le mutazioni delleforme in nuovi corpi dalla origine del mondo fino a' suoi tempi ; e sempre in versi, perchè s'egli prendea a scriver prose, usci vano versi spontanei suo malgrado. Nel molto nu mero de' suoi poemi il più reputato per serietà e per certo condimento filosofico è quello che ha per titolo le Metamorfosi ; delle quali benchè sia stato ( 1 ) Ovidio De Ponto lib. II , el . IX; lib . III el. III. Tristium II et lll , e altrove. (2) V. P. Bayle art. Ovide, B , K. CINQUANTESIMOPRIMO 361 detto che sentono la decadenza della buona Lati nità e preparano il mal gusto che poi sopravven ne , e mostrano il fasto giovanile ( 1 ) , noi pensiamo di poter dire che sono certamente menogiovenili delle altre poesie di Ovidio , e ch' egli medesimo, il qualepotea giudicarne quanto i nostri critici dili cati, le tenne in gran conto, e poichè l' ebbe com piute , Io, disse , ho tratta a fine un'opera che nè l'ira di Giove, nè il fuoco , nè il ferro , nè la vo race vecchiaja potrà abolire. Quel giorno che sul corpo solamente ha diritto, metta amorte quando vorrà lo spazio diquesta vita incerta. Con la parte migliore di me volerò sopra le stelle, e il nome no stro sarà indelebile. Dovunque la romanapotenza nelle terre vinte si estende , sarò letto dalla bocca del popolo ; e se niente hanno di vero i presagi de' vati, viverò per fama nella eternità de' secoli ( 2). Senza involgerci ora nell' esame delle virtù poeti che diquesto componimento, o epico o ciclico ch'ei voglia dirsi, o di una azione o di mille , o contra rio ad Omero e ad Aristotele , o favorevole ai poe tici libertinaggi, di che gli scrittori dell'arte sapran no disputare;noi diremo piuttosto della meraviglia grande che questo poema eccitò con le narrazioni di tanti mutamenti di forme, i quali non si seppe mai bene che cosa significassero. Chi dicesse che questi sono delirj d'un poeta infermo per febbre, direbbe forse lo scioglimento più facile della qui stione , ma non il più verisimile, nè il più cortese alla fama e all'ingegno di Ovidio. Onde vi ebbe chi disse, sotto quelle metamorfosi ascondersi la serie Jelle mutazioni della nostra terra, e un certo siste ma di storia naturale ( 3) ; il che parendo poco ido ( 1 ) V. A. Baillel l . c. (2) Metamorph. lib. XV. ( 3) Roberto Stooekio Act . Erud . 1907. G. A. Fabrizio Bibl . Lat. vol. II. 362 CAPITOLO neo a spiegare tutte quelle favole, fu soggiunto che le idee di Pitagora, di Empedocle e di Eraclito e la mitologia e la opinione corrente a quel tempo sono le chiavi di quello enimma. Il perspicace War burton immagindche le metamorfosi sorgono dalla metempsicosi; e che siccome questa è la condotta della Provvidenza dopo la morte, così quelle lo sono per lo corso della vita: e in fatti Ovidio dapprima espone le metamorfosi come castighi della scelle raggine, e poi introduce nell'ultimo libro Pitagora ad insegnare ampiamente la metempsicosi ( 1 ). Que sto è il più ragionevole aspetto che possa prestarsi a quel poema; e se per molte gravi difficoltà non è forse affatto vero , meriterebbe di essere per la bellezza del pensiere e per onore del nostro poe ta . Già altrove abbiamo parlato con qualche dili genza della famosa cosmogonia e teogonia di Ovi dio, e della diversità sua dagli altri sistemi de' poeti greci, e del Dio anteriore al Caos e agl'Iddii sub alterni, il quale è Uno e Anonimo nella descri zione Ovidiana ( 2) . Diciamo ora alcuna cosa del l'accennato luogo delle Metamorfosi ove Pitagora è introdotto ad insegnare il suo sistema della me tempsicosi, accompagnato coi pensieri di Eraclito e di Empedocle; imperocchè ivi è scritto che gli uomini attoniti per la paura della morte temono Stige e le tenebre, ei nomi vani e gli argomenti de' poeti, e i falsi pericoli del mondo : che le anime non muojono, ma lasciando la prima sede vivono e alloggiano in nuove case : che tutto si muta , niente finisce: che lo spirito erra , e di colà viene qui, e di qui altrove, e occupa tutte le membra , e dalle fiere trascorre ne' corpi umani, e da questi in quel 6) Warburton Diss. IX . ( 2) Metamorp. lib. I. V. il cap. XVII e XVIII di questa Istoria. CINQUANTESIMOPRIMO 363 le , e non si estingue in tempo veruno : che niente è fermo in tutto il giro , e ogni cosa scorre a so miglianza di fiume, e ogni vagabonda immagine si forma ( 1 ) . Chiunque vorrà legger tutta intera que sta prolissa narrazione, potrà conoscere che qui ve ramente parla Pitagora; ma poi tanto vi parla an cora Empedocle ed Eraclito , e tanto Ovidio me desimo , che finalmente non s'intende chi parli. A dunque il nostro poeta non puddirsi professore di niuna di queste sette, e pare molto più giusto pen sare ch'egli o era Accademico, o niente. La serie di questi poeti e il genio di Augusto e del secolo appresentano un sistema quasi generale di filosofia accademica , e perciò non si può ameno di ripren dere la franchezza del Deslandes e di altri, che senza pensare più oltre affasciano insieme Augusto , Me cenate, Agrippa, Virgilio , Orazio, Ovidio, Tibul lo , Properzio , Livio , e tutti gli altri grandi uomini di quella età , e li dicono Epicurei ( 2 ). Si vorrebbe separare da questa general regola M. Manilio, il quale intitold ad Augusto un poema delle Cose Astronomiche, e si mostro contrario agli Epi. curei e favorevole agli Stoici ; e, Chi vorrà credere, disse , che il mondo e tante moli di opere sieno pro dotte da corpuscoli minimi e da cieco concorso ? Una natura potente per tacito animo e un Iddio è infuso nel cielo , nella terra e nel muré , e go verna la gran mole, e il mondo vive per movimento d'una ragione, e lo Spirito Uno abita tutte le par ti , e inaffia l’orbita intera , la quale si volge per Nume divino , ed è Iddio, e non siadunò per ma gisterio di forluna ( 3). Per queste e per altre parole ( 6 ) Metarnorp. XV. ( 2) Deslandes Hist. cril. de la Philos. lib . VII , cap. 30. V, P. Gassendo l. c . (3) Manilio Astronom . I , II et IV . .364 CAPITOLO di Manilio fu immaginato ch'egli non era Accade mico , ma Stoico e Panteista e precursore dello Spi noza ( 1 ) . Noirichiamiamo a memoria le cose dette qui degli altri poeti del tempo di Augusto , e più innanzi degli Stoici, e affermiamo che un verso o due che involti in dubbj e in equivoci possono sen tir forse un poco di Stoicismo, non fanno uno Stoi co perfetto , e quando pur lo facessero, uno Stoico non è un Panteista nè uno Spinoziano. Se le ingiurie de' secoli, che dispersero tanta parte della Istoria di T. Livio Padovano, non avessero affatto distrutti i suoi dialoghi istorici insieme e fi losofici, e i suoi libri in cui scrivea espressamente della filosofia (2) , io credo che noi potremmo co noscere la filosofia della età di Augusto molto più chiaramente che per tutte le immagini poetiche delle quali finora abbiam detto, e inoltre potremmo ve dere a quale sistema si atteñesse egli stesso. Ma non rimanendo altro di lui che parte della sua Istoria , i curiosi ingegni hanno voluto raccoglier da essa un qualche assaggio della sua filosofia ; e alcuni lo hanno dileggiato come un superstizioso narrator di miracoli assurdi e un uom credulo e popolare. Ma per le clausole filosofiche apposte a molte narra zioni di prodigj ( 3) , e per la fede istorica onde ri putò necessario raccontare le pubbliche opinioni e i casi scritti negli annali e nelle memorie antiche , fu molto bene difeso. Giovanni Toland, vaneggian. do di volerlo difendere assai meglio , lo gravò della maggior villania ; perocchè lo fece tanto poco su perstizioso, che lo trasformò in Ateo , e poi lo com ( 1 ) A. Collin De la liberté de penser. Gio. Toland Orig. Ju daic G. L. Mosemio ad Cudwort System. int. cap. 4 , S 20. J. Brucker 1. c. S V. ( 2) SenecaEp.100. G.A.Fabrizio Bibl. Lat. vol. I. )(3) Lipiec 20.Gxva CINQUANTESI MOPRIMO 365 mendo come uomo di buon senno e di esquisito giudizio, e come un saggio filosofo e un ingegno elevato ( 1 ). Queste arditezze furono confutate am piamente ( 2) ; e noi lasciando pure da parte molte altre sentenze di Livio , lo confuteremo con una sola , ove di certi tempi romani disse : Non ancora era venuta la negligenza degl'Iddii, che ora tiene il nostro secolo , nè ognuno a forza ďinterpreta zioni si formava comodigiuramenti e leggi, ma piut tosto ai giuramenti e alle leggi si accomodavano i costumi ( 3). Queste parole non sono del Catechi. smo degli Atei. Agatopisto Cromaziano, di Buonafede. Appiano Buonafede. Tito Benvenuto Buonafede. Keywords: storiografia filosofica, filosofia antica, filosofia romana antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Buonafede” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685215466/in/photolist-2mSMKfP-2mKfeSA/

 

Grice e Buonamici – corpi in movimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: There are many Buonamici, so you have to be careful – this one is a genius – he taught at Pisa, in the M. A. programme, both Aristotle’s Poetics – imitazione, il tragico, -- and his ‘motus’ – Galileo happened to be his tutee, and the rest is the leaning tower!” Frequenta lo Studio di Firenze, dove segue il corso del l'umanista Vettori (si conservano alcune lettere scambiate tra i due). Filosofo naturale e latinista, si ispira molto agli antichi testi che commenta (Aristotele, Nicomaco…). Tutore di Galilei a Pisa. Altre opere: “De Motu libri X, quibus generalia naturalis philosophiae principia summo studio collecta continentur, necnon universae quaestiones ad libros de physico auditu, de caelo, de ortu et interitu pertinentes explicantur, multa item Aristotelis loca explanantur et Graecorum, Averrois, aliorumque doctorum sententiae ad theses peripateticas diriguntur, apud Sermartellium (Firenze); Discorsi poetici nella accademia fiorentina in difesa d'Aristotile. Appresso Giorgio Marescotti (Firenze); “De Alimento libri V, B. Sermartellium juniorem” (Firenze). Galilei, De motu antiquiora” “Quaestiones de motu elementorum”. BUONAMICI (Francesco)GentiluomoFiorentino,eMedico,eraLet tore di Filosofia con gran concorso di Scolari (1) nell'Università di Pifa-nel 1569 (2), e nel 1575 (3) . In detta Università avendo Giulio de' Libri altro Profesfore tacciato il Buonamici, come quello che citaffe testi falfi, questi una mentita gli diede ; ed effendo state gettate da alcuno in fua scuola certe cor na , il Buonamici così diffe : Si vede che costui debbe avere in tafa grande a b éondanza di questa mercanzia, poichè ne porta qua . Egli v insegnò quaranta tre anni » e letto aveva due volte tutto San T o m m a f o , e in ultimo gli erano pagate quattrocento feffanta piastre di provvifione . Il buon gusto nelle belle Lettere congiunse allo studio delle facoltà più gravi ; fu Accademico Fiorenti no (4); e godette della stima de Granduchi di Toscana (5), da quali, ficco me eglisteffoafferma(6), findagiovinettofunodritoeornatodigradiono revoli. Morì ad Orticaja vicino a Dicomano , ove , ficcome anche alle P a n cole , aveva un Podere ; nel 16o4 (7), e lasciò tutto il fuo ad uno Speziale. Fu recitatadaAttilioCorfiinquellaPievefulCadavereun’Orazionfunera V. II. P. IV. - В b b le, (1) Poccianti, Catal. Script. Florentin. pag. 73. (4) Salvini , Fasti cit. pagg. 248. e 282. (6) Buonamici, Dife.orf.Poetici,DiscorsoVIII.pag іЯў. annoverò fra i principali Peripatetici di quello Studio . (7) Salvini , Fasti cit. pag. 355. (3) Poccianti , loc. cit. di Firenze nel Tom. VI. Par. IV. a car. 55. e fegg. ove (5) Bianchini , Ragionamenti intorno a' Granduchi ,    2318 B U O N A M I C I. le , e a’ 27. di Maggio nell' Accademia Fiorentina altra Orazione funerale venne recitata da Tommafo Palmerini (8). Di lui hanno parlato con lode diverfi Scrittori citati dall'Autore delle N o tizie Letter. ed Istoriche dell'Accademia Fiorentina (9), e dal P. Negri (1o) , il qual ultimo noi fiam di parere che sbaglj , ove fra gli autori che hanno parlato del Buonamici registra anche il Crescimbeni , il quale non di questo, m a di Gio. Francesco Buonamici di Prato ha parlato , ficcome nell' articolo diquest'ultimodiremo:.IlnostroFrancescofcriffediverfeOpere, lequali, febbene da alcuni fieno d'ofcurità tacciate (11), fanno conofcere il fuo fape re, la fua fingolare dottrina, e la sua cognizione anche della Lingua Greca . Eccone il Catalogo : - I. Francifci Bonamici Florentini e primo loco Philosophiam ordinariam in almo Gymnasio Pifano profitentis De Motu Libri X. quibus generalia naturalis Philoso phie principia fummo studio collećfa continentur - Nec non universe Questiones ad Libros de Physico Auditu , de Cælo , de Ortu és Interitu pertinentes, explican tur. Multa item Aristotelis loca explanantur , či Græcorum Averrois , aliorumque Dostorum Fententie ad Thefes peripateticas diriguntur ec. Florentiæ apud Bartho lomeum sermartellium1591.infogl.Fu affailodatoilmetododiquest'Opera, di cui il Piccolomini era uno de' principali ammiratori . II. Discorsi Poetici detti nell'Accademia Fiorentina in difesa d'Aristotile . In Firenze per Giorgio Marescotti 1597. in 4. con Dedicatoria a Baccio Valori fegnata dalle Pancole a XIX. di Fettembre del 1587 (12). In questi Difcorfi , che fono VIII. risponde alle oppofizioni fatte dal Castelvetro ad Aristotile . III. De alimentis Libri V. ubi multe Medicorum Tententie delibantur , ở cum Aristotele conferuntur. Complura etiam Problemata in eodem argumento notantur, ở quibusdamexGræcaLeếtionepriftinusnitorrestituitur.Venetiis16o1.in4(13); e Florentie apud Bartholomeum Fermartellium Juniorem 16o3. in 4. IV. Una sua Lezione fatta sopra ilSonetto del Petrarca, che incomincia : Quando 'l Pianeta che diffingue l'ore , - nell’A c c a d e m i a F i o r e n t i n a s o t t o il C o n f o l a t o d i T o m m a f o d e l N e r o a 3 o . d i Ottobre del 1569, fi conserva a penna in Firenze nel Cod. 1259. della Libre ria Strozziana (14). V. Lećiiones super I. és 11. Meteororum . Queste Lezioni fopra l’argomento delle meteore (cui affermava il medefimo Buonamici , per testimonianza di Monfig. S o m m a i , d' aver per difficilistimo , rispetto alla difesa d' Aristotile che giudicava effere stato mirabile nelle cofe che appariscono al fenfo »,ma nell’altre affai ambiguo) efiftevano a penna in Firenze nella Libreria de Si gnori Gaddi fra Codici mís, paffati , per compera fattane da Francesco I.I m eradore felicemente regnante, e Granduca di Toscana , l'anno 1755. nella Laurenziana al Cod. 8o5. num. 2. - VI. Filippo Valori (15) fcrive che lasciò delle fue fatiche fopra la Metafifi ca , ed altro, la quale Metafifica poffeduta da diverfi , ebbe in R o m a qualche difficoltà a stamparsi per alcune cofe Filosofiche stampate anche ne Libri De motu, ficcomeaffermailsuddettoMonfig.Sommai.IlPoccianti(16)famen Z1OI) C (8)CosìaffermailSalvinine Fasticit.acar.355. stentiapennanelTom.III.dellenostreMemorieMSS. NonfoppiamoPertantoconqualfondamentoilP.Negri acar.835.fiaffermachealBuonamicomancavadistin nell’ degliscrittoriFiorent.acar.188.aflerifcache zione,echiarezza,echediventassefemprepiùoscuro, indettaAccademiafuAttilioCorficheinfuamortere- perchèpigliavalefueLezioni,eleandavaritoccando,e citòl’OrazionefuneralequandoilCorfilarecitòsulca ripulendo,ecomeegliintendeva,epresupponevailmede davere nella Pieve, ove fu depositato . fimo degli altri , a poco a poco le ridase inintelligibili , (9)A car.214. febbenefettenelfondamentofemprefaldoelefueLezio (1o) for.degliScrittoriFiorentini,pag;187.Ol niantichefonolemigliori. tre gli Scrittori citati dal Negri parla con lode di lui anche Filippo Valori ne’ Termini di mezzo rilievo ec, a Caľ, 7• (11) Si vegga Filippo Valori ne” Termini cit. a car. 7. In alcune Memorie scritte da mano di Monfig. Girola mo Sommaī, ed inferite nelle Schede Magliabechiane efi (12) Catalog. della Libreria Capponi , pag. 89. (13) Lipenio , Bibl. real. Medica , pag. i1. (14)Salvini,Fafficit.pag zoz. (15) Loc. cit. (16) Loc. cit. - -    I697. in foglio volante . (17) Loc. cit (18) oservaz, fopra i Sigilli antichi , T o m . I: pag. 19. (19) Efistono presso di noi nel Tom. III. delle nostre - Memorie mfs. a car. 835. (zo) Descrizione della Provincia del Mugello, pag. 265. 5 B U O N A M I C I. 2319 zionedecommentar.inLogicamở EthicamlasciatidalnostroAutore;ilNe gri (17) accenna un fuo Traćiatus Logice efiftente ms. nella Libreria del P a lazzo Ducale de' Medici , il quale è indirizzato a Lelio Torello Giureconful to, e incomincia : Multa profećio, variaque_ec; e ilchiariffimo Sig. Domeni co Maria Manni (18) fa ricordanza d'una Cronica fcritta a mano da France fco Buonamici efiftente nella Libreria Gaddi pure in“Firenze . Dalle schede Magliabechiane comunicateci dal chiariffimo Sig. Canonico Angiolo Maria Bandini (19) apprendiamo ch'era opinione che il Cavaliere Aquilani aveffe molti Scritti e Opere da stamparfi del nostro Autore . D a ciò che abbiamo fin qui detto ci fembra di poter afferire che il nostro Autore fia diverso da quel Dottor Francesco Buonamici morto a 23. di Set tembre del 16o3. il quale ha il suo deposito nella Chiefa del Piviere di S. B a bila detto anche S. Bavello e S. Bambello nella Provincia del Mugello in T o fcana , ilquale di tutta la sua eredità lafciò che foffe fatto un fondo per m a n tenimento a Pisa di tre giovani parte di S. Gaudenzio, e parte di Dicomano con obbligo di addottorarfi , del quale fa menzione il Dott. Giuseppe Maria Brocchi(2o), ma senzaaccennarefefiaScrittored'Operaalcuna. V” è stato anche un Francesco Giuseppe Buonamici , di cui fi ha alle stam pe un Elegia, ed un Epigramma in Lingua Latina per la nafcita di Giacomo Augusto Lorenzo Ferdinando Maria figlio d'Amedeo del Pozzo ec. In Milano. Francesco Buonamici. Keywords: corpi in movimento, Aristotele, filosofia naturale, Galilei, razionalismo, aristotelismo pisano, de imitazione – aristotele – poetica – mimica – de motu – muggerbrydge --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Buonamici” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779319951/in/dateposted-public/

 

Buonarroti. Grice: “Some call him Michelangelo, but that’s rude!” --  See the study of Buonarroti’s Moses by Freud, “filosofia”

 

Grice e Buonsanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrandina). Filosofo. Grice: “I like Buonsanti; Strawson calls him a veterinarian, but I call him a philosopher,, for surely he is a philosophical zoologist – he philosoophised, like Aristotle did, on the comparative physiology and anatomy of ‘human’ and pre-human.!” Esponente di spicco della storia della medicina veterinaria italiana ed europea è stato una delle figure più rappresentative della Scuola veterinaria milanese.  Diresse l'Enciclopedia medica italiana edita da Vallardi e La Clinica veterinaria (di cui fu anche fondatore).  Altre opere: Dizionario dei termini antichi e moderni delle scienze mediche e veterinarie Manuale delle malattie delle articolazioni Trattato di tecnica e terapeutica chirurgica generale e speciale La medicina Veterinaria all'Estero, organizzazione dell'insegnamento e del servizio sanitario. Dizionario Biografico degli Italiani. Nicola Lanzillotti Buonsanti. Keywords: etimologia di ‘veterinario’ -- animale; filosofia e medicina nella Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Buonsanti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688339127/in/photolist-2mMZAaw-2mKwfqP/

 

Grice e Buonsanto – prammatica del discorso – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Vito dei Normanni). Filosofo. Grice: “Buonsanto is a good one – I call him the Italian Wittgenstein; he talks of a reasoned grammar (grammatical ragionata) and not of rules but regoletta – and he like Austin speaks of the genius (il genio) del linguaggio – he speaks of a ‘philosophical approach’ to grammar – of ‘proposizioni’ and the rest – of etimologia, and sintassi, so he is into implicature!”  Filosofo pontaniano italiano. Nato nella cittadina salentina nell'allora via Vento (oggi via Cesare Battisti), qui compie i suoi primi studi classici. Fattosi domenicano, non ancora ventenne, entra nel convento dei Padri predicatori di San Vito dei Normanni, ove si dedica allo studio della filosofia scolastica.  Diventando educatore, si distingue per le sue idee innovatrici nei metodi didattici, diventando ben presto un vero luminare del pensiero pedagogico della cittadina. Diventa anche un attivo sostenitore del movimento repubblicano, e insieme al notaio Carella, porta dalla vicina Brindisi un albero di naviglio per piantarlo, in segno di libertà, nella piazza antistante il Castello. Le sue convinzioni, però, lo costringono a fuggire da San Vito ed egli ripiega prima a Ostuni e poi a Martina Franca, da cui raggiunge, da ultimo, il convento di San Domenico a Napoli, dove muore.  La città natale ha dedicato al suo nome una scuola media cittadina.  Dizionario Biografico degli Italiani. Altre opere: “Etica iconologica”; “Il sistema metrico”; “Geografia” “Storia del Regno di Napoli”; “Antologia Latina”; “Sistema d'istruire i giovanetti”. By planting the tree, Buonsanti meant that he wanted peace. Etica iconological: children learn by imitating: ‘sistema per educare i giovinetti” -- Vito Buonsanti. Vito Buonsanto. Keywords: prammatica del discorso, Peirce, icon, Grice, iconic, iconologia, eicon, icon: Peirce, icon, Grice, iconic, iconologia, eicon, icon. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Buonsanto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716306536/in/photolist-2mMZAaw-2mPrdWj-2mKF12n/

 

Grice e Burgio – dialettica ostrogota – filosofia ostrogota – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo.. Grice: “You gotta love Burgio: my favourite of his philosophical pieces are his study on the tradition, development and problems of ‘dialettica’ – from Athenian onwards – and his explorations of contractualism, since I’ve been called one – a contractualist I mean, as so was Grice [G. R. Grice].” --  Alberto Burgio Deputato della Repubblica Italiana LegislatureXV Legislatura Gruppo parlamentareRifondazione Comunista CoalizioneL'Unione CircoscrizioneLombardia 3 Incarichi parlamentari giunta per il regolamento; XI Commissione (Lavoro pubblico e privato); Commissione esaminatrice del premio Lucio Colletti dal 28 luglio 2006 Dati generali Partito politicoPRC Titolo di studioLaurea in lettere e filosofia Professionedocente universitario Alberto Burgio (Palermo), filosofo..  Nato a Palermo il 13 maggio 1955, dal 1993 insegna Storia della filosofia presso l'Bologna. È stato eletto deputato al Parlamento della Repubblica alle elezioni politiche del 2006 (XV legislatura).   Si è occupato prevalentemente di storia della filosofia politica e di filosofia della storia con studi su Rousseau e l'idealismo classico, la teoria della storia tra Kant e Marx e il marxismo italiano (Labriola e Gramsci), il razzismo e il nazismo.  Altre opere: “Filosofia politica: eguaglianza, interesse comune, unanimità” (Napoli, Bibliopolis). Rousseau, la politica e la storia. Tra Montesquieu e Robespierre, Milano, Guerini); “Robespierre” (Napoli, La Città del Sole); “Italia pre-aria” (Bologna, Clueb); “L'invenzione dell’ario” Studi su razzismo e revisionismo storico, Roma, manifestolibri); “Nel nome dell’ario. Il razzismo nella storia d'Italia” (Bologna, Il Mulino); “Modernità del conflitto. Saggio sulla critica marxiana del socialismo, Roma, DeriveApprodi); “Struttura e catastrophe” Kant Hegel Marx, Roma, Editori Riuniti); La guerra dell’ario, Roma, manifestolibri); Gramsci storico. Una lettura dei "Quaderni del carcere", Roma–Bari, Laterza); “La forza e il diritto. Sul conflitto tra politica e giustizia” (Roma, DeriveApprodi); Guerra. Scenari della nuova "grande trasformazione", Roma, DeriveApprodi); “Labriola nella storia e nella cultura della nuova Italia, a cura di, Macerata, Quodlibet); Escalation. Anatomia della guerra infinita, (Roma, DeriveApprodi); “Il contrattualismo” (Napoli, La Scuola di Pitagora); “Dia-lettica, co-loquenza:Tradizioni, problemi, sviluppi” (Macerata, Quodlibet); “Per Gramsci. Crisi e potenza del moderno, Roma, DeriveApprodi); “Manifesto per l'università pubblica” (Roma, DeriveApprodi); “Senza democrazia. Un'analisi della crisi, Roma, DeriveApprodi); “Nonostante Auschwitz. Il ritorno del razzismo in Europa, Roma, DeriveApprodi); “Rousseau e gli altri. Teoria e critica della democrazia tra Sette e Novecento, Roma, DeriveApprodi); “Il razzismo, con Gianluca Gabrielli, Roma, Ediesse); “Identità del male. La costruzione della violenza perfetta” (Milano, FrancoAngeli); “Gramsci. Il sistema in movimento, Roma, DeriveApprodi); “Questioni tedesche, a cura di, Mucchi, Modena,  («dianoia»). “Orgoglio e genocidio. L'etica dello sterminio nella Germania nazista” (Roma, DeriveApprodi); “Il sogno di una cosa. Per Marx, Roma, DeriveApprodi); “Critica della ragione razzista, Roma, DeriveApprodi. Any Oxford philosophy tutor who is accustomed to setting essay topics for his pupils, for which he prescribes reading which includes both passages from Plato or Aristotle and articles from current philosophical journals, is only too well aware that there are many topics which span the centuries; and it is only a little less obvious that often substantially  66  Paul Grice  similar positions are propounded at vastly differing dates. Those who are in a position to know assure me that similar correspondences are to some degree detectable across the barriers which separate one philosophical culture from another, for example between Western European and Indian philosophy. Alberto Burgio. Keywords: dialettica ostrogota, filosofia ostrogota, filosofia aria, filosofia occidentale – Grice: the east and west --. “Those in a position to know” ostrogoto, longobardo, ario, ariano, mistica, scuola di mistica, lingua, religione, l’italia longobarda, l’italia ostrogota --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Burgio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779505063/in/dateposted-public/

 

Burtiglione.  

 

Grice e Cabeo – filosofia mannetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo. Grice: “You’ve got to love Cabeo; unless, if you are sailor like me – he almost invented the North Pole – he philosophised on magnetism – a phenomenon which the Graeco-Romans found ‘magic’ (vide Carini, “L’etimologia del megnete”) – Grice: “The homerotic associations are soon discovered by the super-hero, “Magneto.”” -- Essential Italian philosopher. Con il suo nome è stato chiamato il cratere lunare Cabeus. Novizio della Compagnia di Gesù, ebbe Giuseppe Biancani come insegnante di matematica nel collegio gesuitico di Parma dove compiuti i suoi studi fu docente di filosofia per molti anni e ricevette gli ordini sacerdotali. Abbandonato l'insegnamento fu predicatore in varie città italiane mantenendo sempre stretti rapporti di familiarità con Ferdinando Gonzaga e Francesco d'Este.   Cabeo prese parte alla contesa tra Bologna e Ferrara sull'introduzione del Reno nel Po Grande avvenuta negli anni 20 del seicento, prendendo le parti dei ferraresi e opponendosi alle teorie di Benedetto Castelli  Si stabilì a Genova dove conobbe Giovanni Battista Baliani divenendone amico. Nel suo commento alle Meteore di Aristotele Cabeo sostenne e testimoniò la priorità della scoperta della legge di caduta dei gravi dello scienziato genovese rispetto a quella di Galilei.  Cabeo collaborò con vari fisici del suo tempo su argomenti che mettevano in discussione le ricerche di Galilei: con lo stesso Baliani a Genova, con il Renieri a Pisa, con il Riccioli, suo amico e allievo anche lui del Biancani, con il quale conduce a Ferrara esperimenti sulla caduta dei gravi. Soggiorna a Roma nello stesso periodo in cui era presente nMarin Mersenne, il segretario dell' Europa dotta, che vi si trovava in occasione dell'elezione di Carafa a generale dei gesuiti.  Torna a Genova per dedicarsi all'insegnamento nel collegio gesuitico. Cabeo compone “Philosophia magnetica” (Ferrara) criticata gli studiosi galileiani. Sostene l'imprescindibile necessità che ogni asserzione scientifica fosse sostenuta dall'esperienza e, sulla base degli studi di Maricourt, Porta, Gilbert, e Garzoni, assere, dopo aver condotto accurati esperimenti, che la terra possede una qualità magnetica che assieme alla gravità faceva sì che la terra e stabile e immobile. Define il fenomeno della repulsione elettrica. “In quatuor libros Meteorologicorum Aristotelis commentaria,et quaestiones quatuor tomis compraehensa”, o “Philosophia experimentalis” si schiera a difesa della priorità di Baliani e, nel criticare in nome dell'osservazione e dell'esperimento la concezione metafisica aristotelica, introduce la presentazione di questioni scientifiche attuali. Il saggio e condotto in duri toni anti-galileiani con un'aspra contestazione del fenomeno della marea così com'e descritto da Galilei. Sostene invece che la marea e dovuta all'ebollizione operata dalla Luna di un spirito sulfureo e salnitrosio presente sul fondo del mare. Sostenne la validità scientifica dell'alchimia, una "philosophia chimica" degna di studio e osservazione.  Idraulici italiani , Fondazione, Dizionario Biografico degli Italiani. A. Ingegno, Op. cit.  Claudii Berigardi Circulus Pisanus De veteri et peripatetica philosophia in Aristotelis libros de Coelo, Utini. Galilei, Opere (ediz. naz.), Le opere dei discepoli di Galileo Galilei, I, L'Accademia del Cimento, Firenze, Fulvio Testi, Lettere, Maria Luisa Doglio, Bari, Evangelista Torricelli, Faenza, Lorenzo Barotti, Memorie istoriche di letterati ferraresi, Ferrara, Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VFirenze, Timoteo Bertelli, Sopra Pietro Peregrino di Maricourt e la sua epistola "De Magnete", in Bull. di bibliogr. e di storia delle scienze mat. e fisiche pubbl. da B. Boncompagni, Pietro Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena; Raffaello Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia, II, Firenze, Silvio Magrini, Il "De Magnete" del Gilbert e i primordi della magnotologia in Italia in rapporto alla lotta intorno ai massimi sistemi, in Archivio di storia della scienza, Jean Daujat, Origines et formation de la théorie des phénomènes électriques et magnétiques, Paris, Lynn Thorndike, A History of magic and experimental Science, New York, Alexandre Koyré, Etudes d'histoire de la pensée scientifique, Paris, Serge Moscovici, L'expérience du mouvement. Jean Baptiste Baliani disciple et critique de Galilée, Paris, Claudio Costantini, Baliani e i gesuiti. Annotazioni in margine alla corrispondenza del Baliani con Gio. Luigi Confalonieri e Orazio Grassi, Firenze, Maria Bellucci, La filosofia naturale di Claudio Berigardo, in Rivista Critica di Storia della Filosofia, Charles Coulston Gillispie, Dictionary of Scientific Biography, New York, Scribners, John Lewis Heilbron, Electricity in the 17th and 18th Centuries. Los Angeles: University of California Press, Cesare Maffioli, Out of Galileo, The Science of Waters, Rotterdam: Erasmus Publishing, Peter Dear, Discipline and Experience: The Mathematical Way in the Scientific Revolution. Chicago: University of Chicago Press, 1995. Maria Teresa Borgato, Niccolò Cabeo tra teoria ed esperimenti: le leggi del moto, in G.P. Brizzi and R. Greci (ed), Gesuiti e Università in Europa, Bologna: Clueb, Craig Martin, With Aristotelians Like These, Who Needs Anti-Aristotelians? Chymical Corpuscular Matter Theory in Niccolò Cabeo's "Meteorology", in Early Science and Medicine, Carlos Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus. Niccolò Cabeo, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Niccolò Cabeo, su sapere, De Agostini.  Alfonso Ingegno, Niccolò Cabeo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Opere di Niccolò Cabeo / Niccolò Cabeo (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Niccolò Cabeo, in Galileo Project, Rice University. Ferrara Genova. Noto anche come Nicolaus Cabeo , italiano gesuita filosofo , teologo , ingegnere e matematico. I struito nel collegio dei Gesuiti a Parma. Passa i prossimi due anni a Padova e ha trascorso studia in Piacenza prima di completare tre anni di studio in filosofia a Parma. Ha trascorso altri quattro anni a studiare teologia a Parma e l'apprendistato di un altro anno di a Mantova . Ha poi insegnato teologia e la matematica a Parma , poi  è diventato un predicatore. Per un certo periodo ha ricevuto il patrocinio dei Duchi di Mantova e del Este a Ferrara. Durante questo periodo è stato coinvolto in idraulica progetti. Egli avrebbe poi tornare a insegnare la matematica ancora una volta in Genova , la città dove sarebbe morto. Egli è noto per i suoi contributi alla fisica esperimenti e osservazioni. Egli ha osservato gli esperimenti di Baliani per quanto riguarda la caduta di oggetti, e ha scritto su questi esperimenti osservando che due oggetti diversi cadono nello stesso lasso di tempo, indipendentemente dal mezzo. Inoltre ha effettuato esperimenti con pendoli e osservato che una carica elettricamente corpo può ottenere oggetti non elettrificato. Egli ha anche notato che due oggetti carichi respinti a vicenda.  Le sue osservazioni sono state pubblicate nelle opere, Philosophia Magnetica e in quatuor libros Aristotelis meteorologicorum Commentaria. La prima di queste opere esaminato la causa della Terra magnetismo ed è stata dedicata ad uno studio del lavoro di Gilbert . Pensato alla Terra immobile, e quindi non ha accettato il suo movimento come la causa del campo magnetico. Describe attrazione elettrica in termini di effluvi elettrici, rilasciato sfregando alcuni materiali insieme. Questi effluvi spinto nell'aria circostante spostarlo. Quando l'aria riportato nella sua posizione originale, portava corpi leggeri con essa facendole muovere verso il materiale attraente. Entrambi Accademia del Cimento e Boyle eseguiti esperimenti con vuoti a tentativi di confermare o smentire le idee di Cabeo. La sua seconda pubblicazione Cabeo era un commento di Aristotele Meteorologia. In questo lavoro, ha esaminato attentamente una serie di idee proposte da Galilei , tra cui il movimento della terra e la legge di caduta dei gravi. Si è opposto alle teorie di Galileo. Anche discusso la teoria del flusso d'acqua proposta da allievo di Galileo, Castelli . Lui e Castelli sono stati coinvolti per una disputa nel nord Italia circa il reinstradamento del fiume Reno. La gente di Ferrara erano su un lato della controversia e Cabeo era il loro avvocato. Castelli e il favorite dell’altro lato della controversia e agiva come agente di Urbano VIII. Anche discusso alcune idee su alchimia in questo saggio. Il cratere Cabeus sulla Luna porta il suo nome. Il LCROSS progetto ha scoperto la prova di acqua nel cratere Cabeus. Guarda anche Storia di Geo-magnetismo Elenco dei cattolici-scienziati chierici Riferimenti Heilbron, JL, energia elettrica nei secoli 17 e 18. Los Angeles: University of California Press, Maffioli, Cesare, Out of Galileo, The Science of Waters. Rotterdam: Erasmus Publishing, Sommervogel , Bibliothèque de la Compagnie de Jesus . Bruxelles: Gillispie, Charles Coulston , Dizionario della biografia scientifica  3. New York: Scribners, Borgato, Maria Teresa, Niccolò Cabeo Tra Teoria ed Esperimenti: le leggi del moto , in GP Brizzi e R. Greci , Gesuiti e Università in Europa, Bologna: Clueb, Caro Peter. Disciplina e Esperienza: Il modo matematico nella rivoluzione scientifica . Chicago: University of Chicago Press. Nicolaus Cabeus. Niccolò Cabeo. Keywords: filosofia mannetica, la terra e immobile per la sua qualita magnetica, la marea e prodotto della ebullizione di uno spirito sulfureo e salnitroso nel fondo del mare. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cabeo," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691928304/in/photolist-2mKQDnb-2mKbdmo/

 

Grice e Cacciari – umanesimo italiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Grice: “If I were today to chose a philosophical piece by Cacciari that would be his ‘angelo’ – quite a concept! If Whitehead is right, as I claim he is, when he says all philosophy is footnotes to Cratylo, Plato does deal with ‘aggelos’ as ‘metaxu’ which he then develops in Symposium – Cacciari, like Reale, are fascinated by this!” – Grice: “Solomon, who read it, illustrated Alcebiades as Eros between Dionisos and Apollo!” -- ssential Italian philosopher. Massimo Cacciari (n. Venezia) è un filosofo, politico, accademico e opinionista italiano, ex sindaco di Venezia.  Di ascendenze emiliane per via paterna (il nonno Gino Cacciari, di Medicina, si era trasferito a Venezia per dirigere i cantieri navali della città), è figlio di Pietro, pediatra, e di una casalinga proveniente da una famiglia di artisti.  Dopo aver frequentato il Ginnasio Liceo Marco Polo di Venezia, si è laureato in Filosofia nel 1967 all'Università degli Studi di Padova, con una tesi sulla Critica del Giudizio di Immanuel Kant, con relatore Dino Formaggio. Ancora studente, fu collaboratore dei professori Carlo Diano, Sergio Bettini e Giuseppe Mazzariol.  Carriera accademica Nel 1980 diviene professore associato di Estetica presso l'Istituto di Architettura di Venezia, dove nel 1985 diventa Professore. Nel 2002 fonda la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele a Cesano Maderno, di cui è preside fino al 2005. È tra i fondatori di alcune riviste di filosofia politica, che hanno segnato il dibattito dagli anni sessanta agli anni ottanta, tra cui Angelus Novus, Contropiano, il Centauro, Laboratorio politico.  Al centro della sua riflessione filosofica si colloca la crisi della razionalità moderna, che si è rivelata incapace di cogliere il senso ultimo del reale, abbandonando la ricerca dei fondamenti del conoscere. La sua visione muove dal concetto di "pensiero negativo", ravvisato nelle filosofie di Friedrich Nietzsche, di Martin Heidegger e di Ludwig Wittgenstein, per risalire ai suoi presupposti in alcuni aspetti della tradizione religiosa e del pensiero filosofico occidentali.  Ha pubblicato numerose opere e saggi, tra i quali meritano una particolare attenzione: Krisis (del 1976); Pensiero negativo e razionalizzazione; (1977), Dallo Steinhof (1980), Icone della legge (1985), L'angelo necessario (1986), Dell'inizio (1990), Della cosa ultima (2004) vincitore del Premio Cimitile. Hamletica, Adelphi, Milano, 2009 è il suo lavoro più recente. I volumi Icone della legge e L'angelo necessario presentano, inoltre, alcune pagine dedicate alla filosofia dell'icona e agli esiti del pensiero del mistico russo Pavel Aleksandrovič Florenskij.  Tra i numerosi riconoscimenti sono da ricordare la laurea honoris causa in Architettura conferita dall'Università degli Studi di Genova nel 2003, la laurea honoris causa in Scienze politiche conferita dall'Bucarest nel 2007 e la laurea honoris causa in "filologia, letteratura e tradizione classica" conferita dall'Bologna nel .  Attualmente è Presidente della fondazione Gianni Pellicani  e insegna Pensare filosofico e metafisica presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, di cui è stato anche prorettore vicario.  Suo fratello Paolo è stato deputato di Rifondazione Comunista tra il 2006 e il 2008.  Carriera politica In Potere Operaio e nel PCI Da giovane fu un politico militante e occupò con gli operai della Montedison la stazione di Mestre. Collaborò negli anni sessanta alla rivista mensile Classe operaia e, dopo contrasti interni tra Mario Tronti, Alberto Asor Rosa e Toni Negri (il quale fu un incontro essenziale per la sua formazione), diresse insieme ad Asor Rosa la rivista, definita di "materiali marxisti", Contropiano con la quale si tentò la riunificazione del gruppo. Ma il tentativo fallì e il gruppo veneto trasformò la rivista nel giornale Potere Operaio "Giornale politico dagli operai di Porto Marghera" a cui Cacciari, deluso, non aderì. In seguito entrò nel Partito Comunista Italiano, ricoprendo cariche apparentemente lontane dai suoi interessi filosofici: responsabile della Commissione Industria del PCI Veneto negli anni settanta, fu poi eletto alla Camera dei deputati dal 1976 al 1983, e fu membro della Commissione Industria della Camera.  Sindaco di Venezia (1993-2000) Fu sindaco di Venezia dal 1993 al 2000 schierato tra i principali sostenitori de I Democratici di Romano Prodi tanto che si parlò di lui come un probabile leader dell'Ulivo. Fin dall'inizio della sua attività politica vide nel federalismo una tradizione da recuperare per i progressisti italiani laddove buona parte dei dirigenti della sinistra vedevano in questa attenzione agli ideali federalisti un freno al consenso elettorale del centro-sud. In preparazione delle elezioni regionali del 2000, era convinto che per vincere in una regione tradizionalmente moderata, la sinistra avrebbe dovuto agganciare una parte dell'elettorato in fuga dalla ex DC e per questo scopo tentò di "aprire" ad un'alleanza con la Lega Nord (poi disapprovata dal centro-sinistra italiano), e mosse in questa direzione politica alcuni significativi passi, ma non riuscì a convincere fino in fondo l'elettorato autonomista.  Nel 1997 fu sua la volontà di realizzare il progetto per edificare il ponte di Calatrava, il quale ha portato continue polemiche con la Corte dei conti nel corso degli anni.  Europarlamentare e consigliere regionale veneto Alle europee del 1999 si candida con la lista de I Democratici risultando eletto in due circoscrizioni: lui ha optato per quella nord-occidentale.  La sua sconfitta alle Regionali del 2000, quando fu candidato per la presidenza della regione Veneto, fece tramontare l'ipotesi che potesse diventare il futuro leader dell'Ulivo. Cacciari ottenne in quella tornata il 38,2% dei voti, uscendo sconfitto dal rappresentante della Casa delle Libertà Giancarlo Galan, che ricevette il 54,9% dei consensi. In quella tornata elettorale Cacciari ottenne un seggio da consigliere regionale: per questo si dimise, per incompatibilità, da europarlamentare.  Sindaco di Venezia (2005-) Nel 2005 annunciò l'intenzione di ricandidarsi per la seconda volta a sindaco di Venezia. I partiti di sinistra dell'Ulivo, avevano però, già raggiunto l'accordo per la candidatura unitaria del magistrato Felice Casson, ma Cacciari dichiarò di non voler rinunciare alla propria candidatura, anche a costo di spaccare l'unità della coalizione, come effettivamente avvenne, con Cacciari sostenuto da UDEUR Popolari e La Margherita e Casson appoggiato da tutti gli altri partiti del centrosinistra.  Al primo turno delle votazioni Casson ebbe il 37,7% dei voti, mentre Cacciari si fermò al 23,2%; sfruttando le divisioni presenti in maniera ancora più acuta nel centrodestra a Venezia, furono proprio i due rappresentanti del centro-sinistra ad andare al ballottaggio. A sorpresa Cacciari, seppur sostenuto da liste più deboli, riuscì a far leva sull'elettorato moderato e vinse la sfida con 1 341 voti di vantaggio sul suo competitore (50,5% contro 49,5%).  L'inattesa vittoria del politico-filosofo causò malumori all'interno della coalizione (Casson commentò il risultato esclamando: "Ha vinto Cacciari? Allora ha vinto la destra!") e una particolare situazione nel consiglio comunale veneziano: la Margherita, con il 13,4% di voti, ebbe diritto a ben 26 seggi, (mentre i DS, che ottennero il 21,2%, si dovettero accontentare di 6 seggi) e l'UDEUR, nonostante un modesto 1,4%, si accaparrò 2 seggi (a differenza di Rifondazione Comunista che con il 6,8% si aggiudicò un solo seggio).  Nel complesso, quindi, la coalizione Cacciari, con il 14,8% dei suffragi, ebbe diritto a 28 seggi, mentre il raggruppamento di Casson, con il 41%, risultò possessore di 9 seggi. Ciò consentì a Cacciari, iscritto alla Margherita, di cui era esponente di punta in Veneto, di poter governare la città con una solida maggioranza consiliare.  In occasione delle successive elezioni regionali del 2005, delle elezioni politiche del 2006 e delle amministrative del 2007 Cacciari mise in evidenza quella che egli chiamava la questione settentrionale.  Il 2 novembre 2009, anche deluso dall'evoluzione del Partito Democratico, annunciò l'abbandono della politica attiva dopo la conclusione del mandato di sindaco, avvenuta nell'aprile .  Abbastanza accesa la politica condotta dalla sua giunta contro gli ambulanti abusivi e molto contestate furono anche le ordinanze che, ai fini del decoro urbano, imponevano il divieto di vendere dei cibi da asporto presso la piazza San Marco, di girare a torso nudo, di sdraiarsi in terra ecc. Nel 2007 inoltre, con la creazione del festival di Roma da parte dell'allora sindaco Walter Veltroni, espresse disappunto nel caso in cui quello di Venezia ne fosse stato oscurato. Non pochi gli attriti con la Lega Nord in vista della sua intenzione di realizzare un campo Sinti, nella zona di Mestre. Celebre poi la campagna che favoriva l'uso dell'acqua pubblica in contrapposizione all'acquisto di quella in bottiglia. A lui si deve il restauro di Palazzo Grassi e di Punta della Dogana.  Il 23 luglio , a Mogliano Veneto, presentò il manifesto politico Verso Nord, un'Italia più vicina, diretto a chi non si riconosceva né nel PD, né nel PdL e voleva una politica per il Nord diversa da quella attuata dalla Lega. Il manifesto si è poi trasfuso in un partito politico chiamato appunto Verso Nord, nato ufficialmente il 12 ottobre .  Pensiero  Massimo Cacciari nel 1976 Nelle sue prime opere (Krisis, 1976, Pensiero negativo e razionalizzazione, 1977) Massimo Cacciari sviluppa la sua riflessione che, prendendo spunto da Friedrich Nietzsche, Ludwig Wittgenstein e Martin Heidegger, conferma «... la fine della razionalità classica e dialettica e l'emergere pieno, costruttivo, rifondativo e non distruttivo [...] del "pensiero negativo".»  Dall'analisi della cultura viennese e mitteleuropea, che si forma sullo sfondo dei grandi mutamenti del sistema capitalistico tra l'800 e il '900, Cacciari identifica una società reazionaria incapace di aprirsi alla modernità e improntata al nihilismo, punto d'arrivo del fallimento del pensiero dialettico della scuola hegeliano-marxista. In quest'ambito si origina il pensiero negativo (Negatives Denken) che ad iniziare da Schopenhauer sembra collegarsi all'irrazionalismo ma che in realtà è la conseguenza ultima della tradizione metafisica occidentale che pretendeva di superare ogni contraddizione e la negatività dell'esistenza stessa tramite quella libera volontà, coerentemente negata da Nietzsche e ancora presente invece nell'ascesi schopenhaueriana, come strumento per la liberazione dal dolore di vivere[25].  La crisi della metafisica occidentale è anche dimostrata dalla fiducia nella tecnica, presuntuosa esaltazione di quella ragione che invece rivela il sostanziale fallimento dei valori ultimi che dovrebbero guidare il progresso umano: « ...la tecnica realizza la direzione implicita della metafisica modernama nel realizzarla ne critica e liquida anche l'idea centrale [il fondamento originario]» che era la certezza dei valori. Da qui un'epoca caratterizzata dal nulla dei valori e dalla fine della filosofia ormai rivolta «tutta al passato, a prima della ratio»[26]  Con l'avvento del pensiero negativo finalmente ci si libera «da un ideale totalitario del sapere, per cui non si dipende più da un ordine naturale, fisso ed immutabile, di cui la ragione scopre le leggi, ma si interviene creativamente, dando ordine alle cose, in una molteplicità di saperi».[27]  Nelle sue ultime opere Cacciari intreccia la riflessione filosofica con quella teologica quasi risalendo ad una tradizione interpretativa platonica. Se ormai la filosofia si è specializzata e frantumata in una serie di campi specifici che cosa vorrà dire "pensare" al suo stesso inizio? Cacciari cerca la risposta in quella tradizione filosofico-teologica che pone il principio, l'"inizio" nella nozione di "Deus-Esse".[28]  Fin dal libro primo della sua opera filosofica, Dell’Inizio, Cacciari si colloca su un terreno complementare e diametralmente opposto a quello di Emanuele Severino: se il primo evidenzia la contingenza dell'originato, il secondo enfatizza l'unicità eterna dell'origine. Mentre per Cacciari l’originario è inizio a-logico, che conserva sempre inalterata la possibilità di non essere inizio di qualcosa che altro-da-sé, di negarsi come inizio e che quindi non esista originato alcuno, secondo Severino, invece, l’originario è la struttura logico-necessaria di significati il cui contenuto è tutto ciò che è, tale per cui non è mai potuto esistere, non è mai esistito e non potrà mai esistere alcun ente non originato da quell'unica totalità iniziale. Secondo Severino, la veracità di Dio e del Destino prevale sulla Sua onnipotenza, nel senso che è inevitabile e scontata in partenza la vittoria sul nemico, mentre è impossibile che Egli fugga davanti ad esso, finendo con il cadere nel nulla, il proprio contrario.[29]  Citazioni «Caro C., non possiamo proseguire la nostra via che attraverso lo straniero che ospitiamoe che chiamiamo 'nostro' Io. Questo è il vero volto dell'altro, del prossimo ineludibile, appiccicato a noi come un incubo! Hospes / hostis, necessariamente. 'Assicurarcelo' è impossibile.»  (Massimo Cacciari, Della cosa ultima, Adelphi, Mi, 2004, pag. 135) «Pietà afferra il poeta — pericolosissima pietà, sul limite estremo della misericordia inordinata.»  (Massimo Cacciari, "Della cosa ultima", Adelphi, Mi, 2004, pag. 251) Opere Introduzione di Massimo Cacciari a Georg Simmel, Saggi di estetica, Padova, 1970 Qualificazione e composizione di classe, in Contropiano n. 2, 1970 Ciclo chimico e lotte operaie, con S. Potenza, in Contropiano, n. 2, 1971 Dopo l'autunno caldo: ristrutturazione e analisi di classe, Marsilio, Padova, 1973 Pensiero negativo e razionalizzazione. Problemi e funzione della critica del sistema dialettico, 1973 Metropolis, Roma, Officina, 1973 Piano economico e composizione di classe, Feltrinelli, 1975 Lavoro, valorizzazione, cervello sociale, in Aut Aut, n. 145-146, Milano, 1975 Note intorno a «sull'uso capitalistico delle macchine» di Raniero Panzieri, in Aut Aut, n. 149-150, Milano, settembredicembre 1975 Oikos. Da Loos a Wittgenstein, con Francesco Amendolagine, Roma, 1975 Krisis, Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Feltrinelli, 1976 (ottava edizione nel 1983) Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, Venezia, 1977 Il dispositivo Foucault, Venezia, Cluva, 1977 Dialettica e critica del politico. Saggio su Hegel, Feltrinelli, 1978 Walter Rathenau e il suo a mbiente, De Donato, 1979 Crucialità del tempo: saggi sulla concezione nietzscheana del tempo, et al, Liguori, 1980 Dallo Steinhof, Adelphi, 1980 (nuova edizione 2005) Adolf Loos e il suo angelo, Electa, 1981 Feuerbach contro Agostino d'Ippona, Adelphi, 1982 Il potere: saggi di filosofia sociale e politica, con G. Penzo, Roma, Città Nuova, 1985 Icone della legge, Adelphi, Milano, 1985 (nuova edizione 2002) Zeit ohne Kronos, Ritter Verlag, Klagenfurt, 1986 L'Angelo necessario, Adelphi, Milano, 1986 (nuova edizione 1992) Drama y duelo, Tecnos, Madrid, 1989 Le forme del fare, con Massimo Donà e Romano Gasparotti, Liguori, 1989 Dell'Inizio, Adelphi, 1990 (nuova edizione nel 2001) Dran, Méridiens de la décision dans la pensée contemporaine, Ediotions de L'Eclat, 1992 Architecture and Nihilism, Yale University Press, 1993 Desde Nietzsche: Tiempo, Arte, Politica, Biblios, Buenos Aires, 1994 Geofilosofia dell'Europa, Adelphi, Milano, 1994 (nuova edizione 2003) Großstadt, Baukunst, Nihilismus, Ritter, Klagenfurt, 1995 Migranten, Merve, Berlino, 1995 Introduzione a F. Bacone, Nuova Atlantide, Silvio Berlusconi Editore, Milano, 1995 L'Arcipelago, Adelphi, Milano, 1997 Emilio Vedova. Arbitrii luce, Catalogo della mostra, Skira, 1998 Arte, tragedia, tecnica, con Massimo Donà, Raffaello Cortina, 2000 El Dios que baila, Paidos, Buenos Aires, 2000 Duemilauno. Politica e futuro, Feltrinelli, Milano, 2001 Wohnen. Denken. Essays über Baukunst im Zeitalter der völligen Mobilmachung, Ritter Verlag, Klagenfurt und Wien, 2002 Della cosa ultima, Adelphi, Milano, 2004 La città, Pazzini, 2004 Il dolore dell'altro. Una lettura dell'Ecuba di Euripide e del libro di Giobbe, Saletta dell'Uva, 2004 Soledad acogedora. De Leopardi a Celan, Abada Editores, Madrid, 2004 Paraíso y naufragio. Musil y El hombre sin atributos, Abada Editores, Madrid, 2005 Magis Amicus Leopardi, Saletta dell'Uva, 2005 Maschere della tolleranza, Rizzoli, Milano, 2006 Introduzione a Max Weber, La politica come professione, La scienza come professione, Mondadori, Milano, 2006 Europa o Filosofia, Machado, Madrid, 2007 Tre icone, Adelphi, Milano, 2007 Anni decisivi, Saletta dell'Uva, Caserta, 2007 M. Cacciari-Mario Tronti, Teologia e politica al crocevia della storia, Milano, AlboVersorio, 2007,  978-88-975-5337-3. The Unpolitical. Essays on the Radical Critique of the Political Thought, Yale University Press, 2009 Hamletica, Milano, Adelphi, 2009,  978-88-459-2388-3. La città, Pazzini, 2009 Il dolore dell'altro. Una lettura dell'Ecuba di Euripide e del libro di Giobbe, Caserta, Saletta dell'Uva, ,  978-88-613-3035-1. M. Cacciari-Piero Coda, I comandamenti. Io sono il Signore Dio tuo, Bologna, Il Mulino, ,  978-88-151-3776-0. Enzo Bianchi-M. Cacciari, I comandamenti. Ama il prossimo tuo, Bologna, Il Mulino, ,  978-88-152-3377-6. Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto, Milano, Adelphi, ,  978-88-459-2672-3. Il potere che frena, Milano, Adelphi, ,  978-88-459-2765-2. Labirinto filosofico, Milano, Adelphi, ,  978-88-459-2876-5. Filologia e filosofia, Bologna, Bononia University Press, ,  978-88-692-3023-3. Re Lear. Padri, figli, eredi, Caserta, Saletta dell'Uva, ,  978-88-613-3082-5. M. Cacciari-Paolo Prodi, Occidente senza utopie, Bologna, Il Mulino, ,  978-88-152-6513-5. M. Cacciari-Bruno Forte, Dio nei doppi pensieri. Attualità di Italo Mancini, Brescia, Morcelliana, . Generare Dio, Bologna, Il Mulino, ,  978-88-152-7368-0. La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo, Torino, Einaudi, ,  978-88-062-4085-1. Ha preparato anche i testi per l'opera Prometeo. Tragedia dell'ascolto di Luigi Nono (1984-1985).  Elogio del diritto (insieme a Natalino Irti, con un saggio di Werner Wilhelm Jaeger, Milano ) Onorificenze Grand'Ufficiale dell'Ordine pro Merito Melitensi (SMOM)nastrino per uniforme ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine pro Merito Melitensi (SMOM) — Venezia, 2 febbraio 2008[30] Laurea Honoris Causa in Architettura, conferita dall'Università degli Studi di Genova nel 2003[31]nastrino per uniforme ordinariaLaurea Honoris Causa in Architettura, conferita dall'Università degli Studi di Genova nel 2003[31] Laurea Honoris Causa in Scienze politiche, conferita dall'Università degli Studi di Bucarest nel 2007nastrino per uniforme ordinariaLaurea Honoris Causa in Scienze politiche, conferita dall'Università degli Studi di Bucarest nel 2007 Laurea Honoris Causa in Filologia, Letteratura e Tradizione Classica, conferita dall'Alma Mater StudiorumBologna nel nastrino per uniforme ordinariaLaurea Honoris Causa in Filologia, Letteratura e Tradizione Classica, conferita dall'Alma Mater StudiorumBologna nel  Premi e riconoscimenti 2005Medaglia d'oro del Círculo de Bellas Artes di Madrid 2007Uomo per la pace International Chair Jacques Derrida (Torino) Note  Enciclopedia Treccani alla voce coripsondente  Barbara Romano, i panni sporchi si lavano in casa MA IL CAV., sul piano del gusto, è UNA catastrofeCONTRO VERONICA: "Se io ho qualcosa da dire a mio marito gli scrivo privatamente""Evelina MANNA è un'amica""vengo SEMPRE paparazzato dA qualche testa di cazzo", in Dagospia, Libero, 5 maggio 2009. 21 giugno .  Camillo Langone, Cari italiani vi invidio, Roma, Fazi, ,  978-88-7625-253-2.  Giorgio Dell'Arti, Biografia di Massimo Cacciari, cinquantamila. 6 giugno  (archiviato il 19 luglio ).  Città di VeneziaSindaco, su comune.venezia.  l'8 marzo  10 febbraio ).  Cacciari Massimo, Università Vita-Salute San Raffaele. 21 giugno  1º agosto ).  vedi l'intervista "La predestinazione del male"  F. Dal Bo, L'utopia dell'angelo. Note a L'angelo necessario di M. Cacciari, in G. Bertagni (a cura), Architetture utopiche, «arcipelago», n. 5, 2000,  114-121.  sito istituzionale della Fondazione Gianni Pellicani, su fondazionegiannipellicani (archiviato il 10 giugno ).  Corriere, 23.7.Lettera firmata da Massimo Cacciari, su corriere. 1º aprile  (archiviato il 17 luglio ).  Dolores Negrello, A pugno chiuso. Il Partito comunista padovano dal biennio rosso alla stagione dei movimenti, Milano, FrancoAngeli, 2000, 160 e 166-167,  88-464-2146-9. 1º maggio .  Adnkronos, su www1.adnkronos.com. 25 agosto  (archiviato il 25 agosto ).  Progetto Italia Federale, su progettoitaliafederale. 25 agosto  (archiviato l'8 maggio 2006).  Copia archiviata, su ilpost, 11-02-13. 16 aprile  (archiviato il 17 aprile ).  Cacciari: "Addio alla politica. Sconfitti i miei progetti", in Corriere della Sera, 2 novembre 2009. 21 gennaio .  Copia archiviata, su codacons, 22 maggio 99. 16 aprile  (archiviato il 16 aprile ).  Copia archiviata, su pressreader.com, 4 maggio 2007. 16 aprile  (archiviato il 17 aprile ).  Copia archiviata, su Repubblica, 29 agosto 2006. 16 aprile  (archiviato il 17 aprile ).  Copia archiviata, su lagazzettadelmezzogiorno, 27 dicembre 2009. 16 aprile  (archiviato il 17 aprile ).  Copia archiviata, su nuova Venezia.gelocal, 11 giugno 2008. 16 aprile  (archiviato il 17 aprile ).  Copia archiviata, su corriere, 14 maggio 2009. 16 aprile  (archiviato l'8 luglio 2009).  Il manifesto politico  Archiviato l'11 maggio  in . di Verso Nord  Cacciari lancia Verso nord Ma non siamo il terzo polo, in la Repubblica, 24 luglio 13. 5 dicembre .  F. Restaino, Il dibattito filosofico in Italia (1925-1990), in N. Abbagnano, Storia della filosofia,  IV, t. II, Torino 1994 p.739  F. Restaino, Op.cit. ibidem In Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani, Atlante della filosofia, Hoepli editore, 2006 p.153  Giovanni Catapano, Coincidentia Oppositorum: Appunti sul pensiero di Massimo Cacciari a cura del Dipartimento di Filosofia, Padova  Cfr. Massimo Cacciari in EMSF, su emsf.rai. 18 aprile  24 luglio ).  Davide Grossi, La differenza tra il discorso filosofico di Severino e quello di Cacciari , in Lo SguardoRivista di Filosofia, II, n. 15, ,  166, 177,  2036-6558 (WC ACNP),  7179281251 (archiviato il 25 aprile ). Ospitato su archive.is.  Dal sito web del Sovrano Militare Ordine di Malta. Archiviato l'8 dicembre  in .  architettura.unige/inf/documenti03/cacciari/cacciari.htm "facoltà di architettura di genovaLaurea Honoris Causa a Massimo Cacciariaggiornato il 17 ottobre 2003" "La Facoltà di Architettura di Genova, il 15 ottobre u.s., ha conferito la laurea Honoris Causa a Massimo Cacciari. La motivazione della Facoltà sottolinea il contributo dato da Cacciari alla cultura architettonica internazionale nel corso di oltre un trentennio."  F. Dal Bo, L'utopia dell'angelo. Note a L'angelo necessario di M. Cacciari, in G. Bertagni (a cura), Architetture utopiche, «arcipelago», n. 5, 2000,  114–121. L. Tussi, La confusione dialogica Intervista con Massimo Cacciari Recensione di Geofilosofia dell'Europa, su ItaliaLibri Recensione di Hamletica, Andrea Fiamma Recensione di Il potere che frena, Andrea Fiamma Traduzione francese in versione integrale e gratuita di un libro inedito in italiano: Drân. Méridiens de la décision dans la pensée contemporaine (Drân. Meridiani della decisione nel pensiero contemporaneo) I. Bertoletti, Massimo Cacciari. Filosofia come a-teismo, Edizioni ETS, Pisa, 2008. D. Borso, Il giovane Cacciari, Mille lire stampa alternativa, Milano 1995. G. Cantarano, Immagini del nulla. La filosofia italiana contemporanea, Edizioni Bruno Mondadori, Milano, 1998. G. Catapano, Coincidentia oppositorum. Appunti sul pensiero di Massimo Cacciari, «Etica & Politica», III/2 (2001) G. Catapano, "Coincidentia oppositorum". Appunti sul pensiero di Massimo Cacciari, in Libertà, giustizia e bene in una società plurale, C. Vigna, Vita e Pensiero, Milano 2003,  475–495. J. León, “Ontología de crisis: Aion y dialéctica negativa en la crítica marxista italiana[collegamento interrotto]”, VI Congreso de la Sociedad Académica de Filosofía: Experiencia de la crisis, crisis de la experiencia. Universidad Carlos III de Madrid, 22-24 Mayo . N. Magliulo, Cacciari e Severino. Quaestiones disputatae, Mimesis, Milano-Udine, . N. Magliulo, La luce oscura. Invito al pensiero di Massimo Cacciari, Saletta Dell’Uva, Caserta, 2005. N. Magliulo, Un pensiero tragico. L’itinerario filosofico di Massimo Cacciari, Città Del Sole, Napoli, 2000. L. Mauceri, La hybris originaria. Massimo Cacciari ed Emanuele Severino, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno, . Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Massimo Cacciari Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Massimo Cacciari  Massimo Cacciari, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Massimo Cacciari / Massimo Cacciari (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Massimo Cacciari, .  Massimo Cacciari, su europarl.europa.eu, Parlamento europeo.  Massimo Cacciari, su storia.camera, Camera dei deputati.  Massimo Cacciari, su Openpolis, Associazione Openpolis.  Registrazioni di Massimo Cacciari, su RadioRadicale, Radio Radicale.  Cacciari: la necessità della libertà, su RAI Filosofia, su filosofia.rai.  PredecessoreSindaco di VeneziaSuccessoreVenezia-Stemma.svg Ugo Bergamo5 dicembre 199328 febbraio 2000Paolo CostaI Paolo Costa17 aprile 20058 aprile Giorgio OrsoniII V D M Vincitori del Premio Cesare Pavese Filosofia Politica  Politica Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloPolitici italiani del XX secoloPolitici italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1944 5 giugno VeneziaSindaci di VeneziaConsiglieri regionali del VenetoDeputati della VII legislatura della Repubblica ItalianaDeputati dell'VIII legislatura della Repubblica ItalianaDirettori di periodici italianiEuroparlamentari dell'Italia della V legislaturaFederalistiFondatori di riviste italianeMilitanti di Potere OperaioOpinionisti italianiPolitici de I DemocraticiPolitici della MargheritaPolitici del Partito Comunista ItalianoPolitici del Partito Democratico (Italia)Professori dell'Università IUAV di VeneziaStudenti dell'Università degli Studi di Padova. Mercurio messegero di Giove e l’umo – angelus – mercurial – Giambologna – Villa Medici -- Massimo Cacciari. Keywords: umanesimo italiano, ‘l’angelo necessary’ – the angel and the paysan – ‘Who art thou?’ ‘I am the necessary angel of the earth’, illuministi italiani – implicatura laberintica, Alighieri, umanesimo, implicatura dell’angelo e il contadino. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cacciari," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51687742577/in/photolist-2mTcXro-2mSyCEz-2mSrk4f-2mSg7gF-2mQ8kJS-2mN8ym7-2mMQbzj-2mLQdrQ-2mLPa8B-2mLQxu7-2mPpVqK-2mKGXJq-2mKAuZM-2mKtc6t-2mKjS3C-2mKbkhx

 

Grice e Cacciatore – gl’eroi di Vico – filosofia italica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Salerno). Grice: “Cacciatore is a good one; my favourite are three: his ‘dallo storicismo allo storicismo,’ and his ‘metafisica dell’espressione’ – I never knew it had one! – and ‘la lancia di Odino,’ a Wagnerian study of Dilthey, his specialty! Speranza, on the other hand, and naturally, prefers Cacciatore’s ‘dialogo con Vico’.” Grice: “Cacciatore co-philosophised, like I with Strawson, and called the thing, genially, ‘a four-hand piece’! Giuseppe Cacciatore (Salerno), filosofo. Laureatosi in Filosofia presso l'Università degli studi di Roma"La Sapienza" nel 1968, ha collaborato nei primi anni settanta in qualità di assistente con Fulvio Tessitore nell'Salerno, dove ha anche avviato la sua carriera accademica. Dal 1981 è Ordinario di Storia della Filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, di cui tra il 1990 e il 1995 è stato anche Presidente del Corso di Laurea. Nel 1995, inoltre, diventa direttore del Centro di Studi Vichiani del CNR di Napoli. Dal 2001 al 2007 è stato direttore del dipartimento di filosofia "Antonio Aliotta" dell'Università federiciana. Ha tenuto numerose conferenze presso le Barcellona, Berlino, (Freie Universität Berlin e Humboldt Universität), Bochum, Brema, Brno, Bruxelles, Düsseldorf, Essen, Graz, Halle, Lipsia, Maracaibo, Monaco di iera, Parigi, Potsdam, Valencia, Varsavia, Città del Messico (UNAM e UIC). È vicepresidente del CdA e membro del comitato scientifico dell'Istituto di Studi Latinoamericani (ISLA) di Pagani, del quale è diventato direttore a partire dal 2007. Nel 2007 è stato nominato socio corrispondente dell'Accademia nazionale dei Lincei. Dal  è presidente della Società Salernitana di Storia Patria Nel  è stato insignito del premio nazionale “Frascati Filosofia”. È stato Presidente della Società Italiana degli storici della filosofia dal  al . È dal  coordinatore del dottorato di ricerca in Scienze filosofiche dell'Napoli “Federico II”. A partire dal  è stato nominato rappresentante dell'Napoli “Federico II” nel comitato tecnico-scientifico del Consorzio universitario Civiltà del Mediterraneo.   Altre opere: “Splicare, comprendere” (Istituto di Filosofia, Salerno); “Splicare/comprendere” (Napoli, Guida);  “Ragione e speranza” (Bari, Dedalo); “La sinistra socialista nel dopoguerra, pref. di F. De Martino, Bari, Dedalo); “Vita e forme della scienza storica. Saggi sulla storiografia – splicare, comprendere” (Napoli, Morano); “Storicismo problematico e metodo critico, Napoli, Guida); “La lancia di Odino: splicare/comprendere” (Milano, Guerini e associate); “La Quercia di Goethe. Note di viaggio dalla Germania, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino); “Goethe in Italia” –“La quercia di Goethe”, L'etica dello storicismo, Lecce, Milella); “Vico: metafisica, poesia e storia -- Akademie Verlag, Berlino);  “Bruno” (Edizioni Marte, Salerno); “Cassirer interprete di Kant e altri saggi, Siciliano Editore, Messina); “Il pratico e il civile civile in Croce” Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ); Labriola in un altro secolo. Saggi, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ); “Saperi umani e consulenza filosofica, Meltemi Editore, Roma); “Vico: L'infinito nella storia” (Edizioni scientifiche italiane, Napoli); “Interculturalità, Tra etica e politica (in coll. con G. D'ANNA), Carocci, Roma, . Interculturalità. Religione e teologia politica (in coll. con R. DIANA), Guida, Napoli,  A quattro mani. Saggi di filosofia e storia della filosofia (in coll. con G. CANTILLO), M. Martirano Edizioni Marte, Salerno); Problemi di filosofia della storia nell'età di Kant e di Hegel. Filologia, critica, storia civile” (Aracne, Roma); “Mente, Corpo, Filosofia pratica, Interculturalità, Mimesis, Milano-Udine); “Dimensioni filosofiche e storiche dell'interculturalità, Mimesis, Milano); “Dallo storicismo allo storicismo, Introduzione di F. Tessitore, G. Ciriello, G. D'Anna, A. Giugliano, ETS, Pisa); In dialogo con Vico. Ricerche, note, discussioni, M. Sanna, R. Diana e A. Mascolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma. GIUSEPPE CACCIATORE BIBLIOGRAFIA DEGLI SCRITTI (1969-2020) A CURA DI ARMANDO MASCOLO @2020 Francesco D’Amato editore è un marchio editoriale della società Infolio srls con sede in Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno) alla via Alfonso Albanese, 26 www.damatoeditore.it info@damatoeditore.it ISBN 978-88-5525-011-5 Prima edizione: 2 dicembre 2020 Tutti i diritti sono riservati Immagine di copertina Giuseppe Cuccurullo Progetto grafico e impaginazione Francesco D’Amato Stampa Infolio srls | www.infolioprint.it A mio marito, per i suoi settantacinque anni 7 Scorrere i titoli di una bibliografia significa ripercorrere quella che Umberto Eco ha efficacemente definito come la «memoria vegetale»1 , ovvero il lento e graduale dispiegarsi delle idee e delle riflessioni consegnate per sempre alla scrittura e che hanno scandito le diverse tappe del cammino intellettuale del suo autore. Quando ci poniamo di fronte ad uno scritto, in effetti, cerchiamo di scorgere la persona che si cela dietro di esso, il suo modo individuale di vedere le cose. «Non cerchiamo solo di decifrare, ma cerchiamo anche di interpretare un pensiero, un’intenzione»2 . La lettura diviene in tal senso un dialogo silente con l’autore che ci consente di riannodare i fili che intessono la trama della sua personale visione del mondo. Accade così che nello sfogliare la corposa Bibliografia degli scritti di Giuseppe Cacciatore emergano, pagina dopo pagina, i tratti salienti che ne delineano il profilo di uomo e, soprattutto, di intellettuale, e che ci si renda conto di come una bibliografia non sia altro che la narrazione fedele di una biografia, ovvero di una vita consacrata alla scrittura. Prefazione Armando Mascolo I libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio. Stefan Zweig, Mendel dei libri 1 Cfr. U. Eco, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, Milano, Bompiani, 2011, pp. 7-26. 2 Ivi, p. 13. 8 È un’impresa quanto mai ardua poter restituire la complessità e la ricchezza che caratterizzano l’intero corpus dell’opera di Cacciatore, vale a dire di uno studioso che nell’arco di più di cinquant’anni di attività (il suo primo articolo risale infatti al 1969) ha saputo spaziare tra gli autori e le correnti filosofiche più diverse, tenendo sempre fermo, quale asse teoretico portante delle sue ricerche, lo studio storiografico e storico-filosofico dello storicismo. Tale linea d’indagine si è andata via via articolando, nel corso del tempo, attraverso differenti plessi tematici, autori e aree geografiche. In ambito tedesco, ad esempio, Cacciatore ha saputo confrontarsi, tra gli altri, con il pensiero di Kant, Marx, Dilthey, Bloch, Humboldt, Droysen, Troeltsch, Rickert e Cassirer, mentre nel panorama della storia del pensiero filosofico italiano ha offerto importanti studi su Vico, Labriola, Gramsci, Gentile, Croce, Capograssi e Piovani, per citarne solo alcuni. I suoi principali interessi di ricerca abbracciano una considerevole messe di questioni legate ai temi della storia, dell’immaginazione, del rapporto tra poesia e filosofia, dell’azione individuale e della sua dimensione etico-politica. In questa vasta ed eterogenea costellazione di studi e di interessi, un posto di tutto rispetto occupa ormai da tempo la filosofia di lingua spagnola quale ulteriore fonte che ha alimentato il peculiare storicismo “critico-problematico” espresso da Cacciatore3 . Questi ha il merito di aver dato, a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, un decisivo impulso allo studio, all’approfondimento e alla diffusione della filosofia spagnola e ispanoamericana in Italia. Il suo primo lavoro su una delle figure simbolo del pensiero ispanico, Ortega y Gasset, risale infatti al 1983, anno in cui si celebrò il centenario della nascita del filosofo madrileno. Da allora, Cacciatore ha fornito alla comunità scientifica importanti contributi su alcune delle mas3 Per una puntuale ricognizione dell’itinerario filosofico di Cacciatore, si veda il recente contributo di L. Anzalone, Lo storicismo etico-politico e la comunità democratico-interculturale di Giuseppe Cacciatore, in «Logos. Rivista di Filosofia», n.s., n. 14, 2019, pp. 173-192. 9 sime espressioni del pensiero iberico e iberoamericano quali Alonso Briceño, Andrés Bello, María Zambrano, José Gaos, Xavier Zubiri, Eduardo Nicol, Leopoldo Zea, Octavio Paz. Da alcuni anni, infine, Cacciatore dedica buona parte del suo impegno scientifico allo studio dei problemi filosofici inerenti all’interculturalità e alle categorie filosofiche in essi implicati come quelle di identità, riconoscimento, universalismo, cittadinanza, laicità, democrazia, diritti umani, intersoggettività e senso comune. Dagli scritti di Cacciatore emergono con forza alcune idee portanti che da sempre hanno sorretto e indirizzato la sua attività di studioso. Voglio soffermarmi su due di esse in particolare, in quanto espressione, a mio avviso, di un’opzione teorica e metodologica ben precisa. La prima riguarda il modo di concepire la storia della filosofia, intesa quale diramazione di una più vasta e articolata storia della cultura, prospettiva che lascia trasparire una profonda sintonia di Cacciatore con il pensiero orteghiano. Nel denso saggio introduttivo all’edizione argentina della Storia della filosofia di Émile Bréhier4 , Ortega y Gasset delinea i tratti più significativi di quella che definisce una «nuova filologia», il cui principio fondamentale si radica su una concezione “vitalista” e “funzionalista” dell’idea secondo la quale quest’ultima risulta essere sempre una «reazione di un uomo ad una determinata situazione della sua vita», vale a dire, «un’azione che l’uomo realizza in vista di una determinata circostanza e con una precisa finalità»5 . Secondo il filosofo spagnolo, 4 Cfr. É. Bréhier, Historia de la filosofía, 2 tt., ed. a cargo de D. Náñez, prólogo de J. Ortega y Gasset, Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1942. L’originaria edizione francese della monumentale opera di Bréhier era stata pubblicata – in due tomi divisi in sette volumi – tra il 1926 e il 1932 per conto dell’editore Félix Alcan di Parigi. 5 J. Ortega y Gasset, Prólogo a “Historia de la filosofía”, de Émile Bréhier (Ideas para una historia de la filosofía), in Id., Obras completas, 10 voll., Madrid, Taurus, 2004-2010, vol. VI, p. 147; trad. it. La “Storia della filosofia” di Émile Bréhier (Idee per una storia della filosofia), in J. Ortega y Gasset, Idee per una storia della filosofia, a cura di A. Savignano, Firenze, Sansoni, 1983, p. 84. 10 dunque, non esistono “idee eterne”, in quanto «ogni idea è ascritta irrimediabilmente alla situazione o circostanza di fronte alla quale rappresenta un compito attivo ed esercita una funzione»6 . In questa prospettiva, la filosofia è da intendersi, pertanto, come «un sistema di azioni viventi»7 – un sistema di “idee” appunto – di cui non è possibile fare storia prescindendo dal luogo e dal tempo particolari che lo hanno generato. Un’effettiva storia della filosofia – conclude Ortega – non può, di conseguenza, ridursi a mera e astratta esposizione cronologica delle “dottrine filosofiche”, ma dovrebbe esser capace di «eliminare la presunta esistenza disumanizzata attraverso cui ci presenta le dottrine e tornare ad immergerle nel dinamismo della vita umana, mostrandocene in essa il funzionamento teleologico»8 . Da questo punto di vista, il personale “saggismo filosofico” di cui Cacciatore ha dato prova durante l’intero dispiegarsi della sua parabola intellettuale sembra informarsi perfettamente al principio ispiratore della «nuova filologia» enunciato da Ortega, principio che presiede alla sua peculiare concezione della filosofia intesa come un’attività assolutamente universale, ma al contempo segnata da forti particolarismi nazionali e culturali, da quelli che Alain Badiou ha definito come «momenti della filosofia»9 , nello spazio e nel tempo. La filosofia, insomma, non è altro che «un’ambizione universale della ragione che si manifesta […] in momenti del tutto singolari»10. Il secondo aspetto che emerge dalla maggioranza degli scritti di Cacciatore consiste nella rilevanza che questi ha 6 Ivi, pp. 147-148; trad. it. cit., p. 84. 7 Ivi, p. 148; trad. it. cit., p. 85. 8 Ivi, p. 149; trad. it. cit., p. 86. 9 A. Badiou, Panorama de la filosofía francesa contemporánea, in M. Abensour (a cura di), Voces de la filosofía francesa contemporánea, Buenos Aires, Colihue, 2005, p. 73. Si veda ora la mia traduzione italiana, preceduta da un’introduzione intitolata Alain Badiou e l’avventura filosofica francese, apparsa in «Archivio di storia della cultura», XXI, 2008, pp. 421-442. 10 Ibidem. 11 da sempre assegnato alla dimensione etico-pratica della filosofia, vale a dire alla sua intrinseca vocazione civile. Come ha osservato Giuseppe Antonio Di Marco, «la ricerca complessiva di Cacciatore […] presuppone una concezione e una pratica della filosofia a partire da un suo orizzonte storico. Ciò implica mettere in rapporto reciproco la filosofia e la vita concreta degli uomini, intesa come “vita civile”»11. In una recente intervista rilasciata ad un noto quotidiano nazionale12, Cacciatore chiarisce la sua peculiare visione della filosofia e del ruolo che ad essa attribuisce nella società di oggi in questi termini: «La filosofia alla quale da sempre mi sono ispirato – dichiara Cacciatore – ha un profilo fondamentalmente storico (lo storicismo critico-problematico) ed etico-politico. […] Sono convinto che il destino stesso della filosofia, quella filosofia che aiuta l’uomo da sempre a meravigliarsi e interrogarsi senza affidarsi a disegni metafisici e a fondazionalismi ontologici, è nella sua declinazione etica». Una filosofia, insomma, «che si presenta non come fede o dogma (razionalistico o materialistico che sia, poco importa) ma come “credenza”, come complesso articolato e plurale di forme di pensiero e di modi di vivere il mondo». E conclude: «La scelta di vita che impone la filosofia è molto semplice e non comporta sacrifici o difficoltà, ma solo l’educazione quotidiana alla critica, al giudizio mai assoluto e sempre rivedibile sulle cose e sugli uomini, sulla storia passata, presente e futura, sulla vita e sulle scelte della comunità e della società». Sulla scorta di queste considerazioni, non sorpende constatare come gli autori con i quali Cacciatore ha saputo misurarsi nel corso della sua attività di studioso siano tutti indistintamente animati da una stessa passione filosofica e civile, rivelando così la precisa «intenzionalità etica» che 11 Cfr. G.A. Di Marco, Introduzione, in G. Cacciatore, Sulla filosofia spagnola, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 11. 12 Cfr. Meraviglia, arma del pensiero, intervista a cura di F. Palazzi, in «Il Roma», 2 agosto 2013, p. 11. 12 attraversa la sua intera produzione scritta. La bibliografia di Cacciatore, in definitiva, è la chiara testimonianza, come ha ben messo in luce Fulvio Tessitore, di una costante «operosità scientifica», nonché di un solido «impegno civile» capace di coniugare fruttuosamente scienza e vita13, nel pieno convincimento di voler consacrare la propria professione intellettuale all’esercizio «etico» del pensiero, facendo dell’«educazione quotidiana alla critica» il proprio inconfondibile stile di vita. * * * La presente Bibliografia vuole essere un omaggio al Prof. Giuseppe Cacciatore e al suo magistero in occasione del suo settantacinquesimo compleanno. Desidero rivolgere un sentito ringraziamento al Prof. Fabrizio Lomonaco per i preziosi consigli che mi ha fornito nella fase di allestimento del volume. Un ringraziamento particolare, infine, va alla Dott.ssa Lorena Grigoletto per il suo fondamentale aiuto nel lavoro di sistemazione e di uniformazione del materiale bibliografico qui raccolto. Portici, 21 novembre 2020 13 Cfr. F. Tessitore, Presentazione, in G. Cacciatore, Sulla filosofia spagnola, cit., p. 9. 13 Giuseppe Cacciatore si laurea nel 1968 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma con una Tesi sul pensiero di Dilthey sotto la direzione dei Proff. Gabriele Giannantoni e Gaetano Calabrò. Viene nominato, nello stesso anno, addetto alle esercitazioni presso la cattedra di Storia delle dottrine politiche della Facoltà di Magistero dell’Università di Salerno, tenuta allora da Fulvio Tessitore. Nel 1969 ottiene una borsa di studio presso l’Istituto italiano per gli studi storici “Benedetto Croce” di Napoli. Segue, nel frattempo, il magistero di Pietro Piovani, frequentando e collaborando ai seminari di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli Federico II. Nel 1970 viene nominato, a seguito di concorso, assistente ordinario di Storia della filosofia presso l’Università di Salerno. Dal 1972 al 1976 è stato professore incaricato, prima di Filosofia della politica e, poi, di Storia delle dottrine politiche presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Salerno. Dal 1977 al 1980 ha insegnato Storia della filosofia, in qualità di docente incaricato stabilizzato, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della medesima università. Nel 1979 vince il concorso a cattedra e a decorrere dal 1981 è chiamato a ricoprire, come professore straordinario, l’insegnamento di Storia della filosofia presso la Facoltà di Profilo Accademico 14 Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, conseguendo successivamente, nel 1984, la nomina a professore ordinario. Ha al suo attivo numerosi volumi e pubblicazioni che si possono raggruppare intorno ad alcune specifiche aree tematiche: a) ricerche sullo storicismo tedesco contemporaneo e sulla filosofia tedesca otto-novecentesca, con libri e saggi su Dilthey, Humboldt, Droysen, Troeltsch, Cassirer, Rickert, Groethuysen; b) ricerche sulla filosofia italiana moderna e contemporanea, con libri e saggi su Vico, Cuoco, Ferrari, Colecchi, De Meis, Imbriani, Croce, sul neoidealismo, sull’esistenzialismo italiano, su Giuseppe Capograssi e Pietro Piovani; c) ricerche sul marxismo contemporaneo, con volumi e saggi su Bloch, Lukacs, Labriola, Gramsci, sulla sinistra socialista e meridionalista del secondo dopoguerra; d) ricerche di teoria e storia della storiografia, con saggi sulla storiografia tedesca dell’Ottocento, su Droysen, Lamprecht, sulla Neue Sozialgeschichte, su Villari e la storiografia positivistica, sulla storiografia italiana del dopoguerra; e) ricerche sui nessi, storici e sistematici, tra alcuni motivi dell’etica e della filosofia pratica contemporanee e la tradizione dello storicismo, con saggi su Vico, Croce, e sulla generale relazione tra Historismus e filosofa della storia; f) ricerche e studi sulla filosofia e sulla cultura spagnola e latinoamericana contemporanea con saggi su Ortega, Nicol, Gaos, Zambrano, Zea, Zubiri, sulla filosofia dei diritti umani, sugli sviluppi della democrazia nel continente latinoamericano; g) ricerche e studi sulla filosofia dell’interculturalità nei suoi aspetti etici, ermeneutici, politico-filosofici ed epistemologici. Ha edito e tradotto testi di Dilthey, di Riedel, di Otto e si è distinto per aver organizzato diversi convegni internazionali su alcune figure fondamentali della storia del pensiero filosofico quali Dilthey, Marx, Vico, Abbagnano, Cassirer, Spengler, Ortega y Gasset, Labriola e Croce. 15 Ha collaborato e collabora con numerose riviste scientifiche tra cui «Il Pensiero politico», «Critica marxista», «Criterio», «Rinascita», «Giornale critico della Filosofia italiana», «Studi storici», «Paradigmi», «Prospettive Settanta», «Iride», «L’Acropoli», «Rivista di Storia della filosofia», nonché, in qualità di giornalista pubblicista, con diverse testate giornalistiche tra cui «Il Mattino», «Il Giornale di Napoli», «La Città», «Corriere del Mezzogiorno», «Roma». È membro del Comitato direttivo del «Bollettino del Centro di studi vichiani» e fa parte del comitato scientifico di svariate riviste specializzate come «Discorsi», «Prospettive Settanta», «Studi critici», «Archivio di storia della cultura», «Geschichte und Gegenwart», «Diritto e Cultura», «Revista de Hispanismo filosófico». Ha diretto con Fulvio Tessitore la collana “Cultura e Storia” dell’editore Morano di Napoli. Dirige, sempre con Tessitore, la nuova serie della collana “Studi Vichiani” presso l’editore Guida di Napoli, la collana “La cultura storica” dell’editore Liguori di Napoli e la collana “Istorica” dell’editore Rubbettino di Soveria Mannelli. Presso il medesimo editore dirige, in collaborazione con Edoardo Massimilla, la collana “Riscontri”. Con Giuseppe Cantillo e con il compianto collega Antonello Giugliano ha diretto la collana “Parole chiave della filosofia” dell’editore Guida di Napoli. Dirige, con Armando Mascolo, la collana di testi della cultura spagnola e ispanoamericana “Parva Hispanica” dell’editore Rubbettino. È condirettore, con Antonio Scocozza, di «Cultura Latinoamericana», rivista della Maestría in Scienza politica dell’Università Cattolica della Colombia e dell’Università di Salerno. Ha fondato e dirige, con Armando Savignano, Luis de Llera e Antonio Scocozza, la rivista di studi di filosofia iberica e iberoamericana «Rocinante». Ha inoltre fondato, con Fabrizio Lomonaco e Antonello Giugliano, «Logos. Rivista di Filosofia», di cui è attualmente codirettore. Dal 1986 è socio nazionale dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società nazionale di Scienze Let- 16 tere e Arti in Napoli. È altresì socio ordinario residente dell’Accademia Pontaniana di Napoli. È stato membro del Consiglio di amministrazione della “Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani” e del Consiglio di amministrazione della “Fondazione Filiberto e Bianca Menna”. Dal 1990 al 1995 è stato presidente del corso di Laurea in Filosofia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Federico II di Napoli. Nel 1994 ha assunto la direzione del “Centro di studi vichiani” del CNR di Napoli, che ha mantenuto sino al 2002. È stato Visiting Professor presso numerose Università straniere tra cui l’Universidad Central de Venezuela (1982), l’Università di Monaco di Baviera (1984) e l’Università di Halle-Wittenberg (1998). Oltre a partecipare a numerosi convegni, ha tenuto corsi, conferenze e seminari presso l’Università di Barcellona, Berlino (FU e “Humboldt”), Düsseldorf, Halle, L’Avana, Maracaibo, UNERMB (Cabimas, Venezuela), Carabobo (Valencia, Venezuela), München, Münster, Neuquén (Argentina), Potsdam, Valencia, Universidad Nacional Autónoma de México, Universidad Católica de Bogotá. È stato dal 1993 al 1997 delegato del Rettore dell’Università Federico II di Napoli per i rapporti internazionali. Fa parte, dal novembre del 2001, della Commissione scientifica del “Centro Interuniversitario di Ricerca bioetica”. Dal 2001 al 2007 è stato Direttore del Dipartimento di Filosofia “A. Aliotta” dell’Università Federico II di Napoli. Dal 1993 al 2010 è stato Presidente della giuria del Premio internazionale di saggistica “Salvatore Valitutti” e, nel 1999, è stato insignito del Premio internazionale “Guido Dorso”. È stato membro della Giunta esecutiva del Comitato nazionale per le celebrazioni di Giordano Bruno nel IV centenario della morte. Dal maggio 2002 è ricercatore associato presso l’Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico (ISPF) del CNR di Napoli. È stato membro del collegio del Dottorato di ricerca in “Culture dei paesi di lingue iberiche e iberoamericane” dell’Università “L’Orienta- 17 le” di Napoli, nonché coordinatore del Dottorato di ricerca in “Geopolitica e culture del Mediterraneo” presso l’Istituto italiano di Scienze umane (SUM) e del Dottorato di ricerca in “Cultura, Storia e Architettura del Mediterraneo” della Scuola di alta formazione dell’Università Federico II di Napoli. Nel 2012 ha ricevuto la nomina a Profesor Titular presso la Universidad Católica de Bogotá (Colombia). A partire dal 2007 è diventato socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Nello stesso anno è diventato Direttore dell’Istituto di Studi Latinoamericani, carica che ha mantenuto sino al 2009. È stato coordinatore di due progetti di ricerca di interesse nazionale (2007 e 2009). Nel corso del 2011 gli è stato assegnato il Premio Perrotta per il Giornalismo a Salerno e il Premio Internazionale di Filosofia Karl Otto Apel a Cosenza, e nel 2013 è stato insignito del Premio nazionale “Frascati Filosofia”. Nello stesso anno è stato nominato Presidente della “Società Salernitana di Storia Patria”, incarico che, dal 2010 al 2014, ha ricoperto anche per la “Società Italiana degli Storici della Filosofia”. Dal 2014 al pensionamento ha coordinato il Dottorato di ricerca in “Scienze filosofiche” dell’Università di Napoli Federico II e, nell’anno successivo, è stato nominato rappresentante della medesima università nel Comitato tecnico-scientifico del Consorzio universitario “Civiltà del Mediterraneo”. Nel 2015 gli è stata conferita la laurea magistrale honoris causa in Scienze Pedagogiche presso l’Università di Salerno. È stato membro del Consiglio di Indirizzo della “Fondazione Ravello” e altresì componente del Consiglio di Indirizzo della “Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani”. Nel 2017 è stato nominato Professore Emerito di Storia della Filosofia presso l’Università di Napoli Federico II e, per il biennio 2017-2019, Presidente della Classe di Scienze Morali dell’Accademia Pontaniana di Napoli. Nel 2019, infine, è stato eletto Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. 19 Legenda: A = Volumi, Opuscoli, Curatele B = Saggi e articoli C = Recensioni D = Schede E = Edizioni F = Introduzioni, Prefazioni, Premesse G = Articoli giornalistici 1969 B) 1 – Il momento della “prassi” nello storicismo di Dilthey, in «Rivista di studi salernitani», 1969, n. 4, pp. 423-461. * * * 1970 B) 2 – Il tricentenario vichiano del 1968, in «Atti della Accademia Pontaniana» di Napoli, n.s., vol. XIX, 1970 [pp. 20 dell’estratto]. 3 – Hegel in Italia e in italiano, in F. Tessitore (a cura di), Incidenza di Hegel: studi raccolti in occasione del secondo centenario della nascita del filosofo, Napoli, Morano, 1970, pp. 1057-1129. Bibliografia degli scritti (1969-2020) 20 C) 4 – Recensione di D. Ulle, N. Motroshilova, È rivoluzionaria la dottrina di Marcuse?, in «Rivista di studi salernitani», n.s, III, 1970, 5, pp. 471-481. 5 – Recensione di K. Korsch, Karl Marx, in «Il Pensiero politico», III, 1970, n. l, pp. 146-148. 6 – Recensione di L. Althusser, Lenin e la filosofia, in «Il Pensiero politico», III, 1970, n. l, pp. 156-157. * * * 1971 B) 7 – Scuola storica e diritto naturale in Dilthey, in «Il Pensiero», XVI, 1971, nn. 2-3, pp. 220-239. 8 – Un discorso raro di Angelo Camillo De Meis, in «Il Pensiero politico», IV, 1971, n. 3, pp. 393-419. * * * 1972 A) 9 – Wilhelm Dilthey e il metodo delle scienze storico-sociali, Salerno, Istituto di Filosofia e Storia della filosofia dell’Università di Salerno, 1972. C) 10 – Recensione di H. Portelli, Gramsci et le bloc historique, in «Paese Sera Libri», 28 settembre 1972. 21 * * * 1973 B) 11 – Ancora sul giovane De Meis, in «Il Pensiero politico», VI, 1973, n. 2, pp. 262-266. C) 12 – Recensione di M. Weber, Scritti Politici, in «Il Pensiero politico», VI, 1973, n. 2, pp. 332-333. * * * 1974 A) 13 – Cultura filosofica e pensiero Politico dal previchismo al 1860 (Lezione introduttiva al Seminario su “Il Mezzogiorno dalle riforme all’Unità”), a.a. 1973-1974, Facoltà di Giurisprudenza, Universita di Salerno, pp. 12. B) 14 – Storia, filosofia e politica nell’attività Pubblicistica di Dilthey, in «Filosofia», 1974, n. l, pp. 64-78. C) 15 – Recensione di H. Medick, Naturzustand und Naturgeschichte der Bürgerlichen Gesellschaft, in «Il Pensiero politico», VII, 1974, n. 3, pp. 434-436. 22 G) 16 – Salerno: un confronto da continuare, in «La Voce della Campania», 1974, n. 14. * * * 1975 B) 17 – Politicità dello storicismo, in «Il Pensiero politico», VIII, 1975, n. 3, pp. 355-366. D) 18 – Scheda su I. Cervelli, Droysen dopo il 1848 e il cesarismo, in «Il Pensiero politico», VIII, 1975, n. 3, pp. 430-431. E) 19 – W. Dilthey, Lo studio delle scienze umane sociali e politiche, trad. it. e cura di G. Cacciatore, Napoli, Morano, 1975. F) 20 – Introduzione a W. Dilthey, Lo studio delle scienze umane sociali e politiche, Napoli, Morano, 1975, pp. 9-43. * * * 23 1976 A) 21 – Scienza e filosofia in Dilthey, 2 voll., Napoli, Guida, 1976. D) 22 – Scheda su G. Armani, Gli scritti su Carlo Cattaneo, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», VI, 1976, pp. 236-237. 23 – Scheda su G. Mastroianni, Studi sovietici di filosofia italiana, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», VI, 1976, pp. 248-249. 24 – Scheda su M. Prisco, Gli ermellini neri, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», VI, 1976, p. 253. 25 – Scheda su F. Tessitore, Storicismo e Pensiero politico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», VI, 1976, p. 254. * * * 1977 B) 26 – Scientificità del marxismo e pensiero utopico, in «Atti della Accademia di Scienze morali e politiche» di Napoli, vol. LXXVII, 1977, pp. 63-83. 27 – Discutendo di Croce e il partito politico, in «Il Pensiero politico», X, 1977, pp. 127-135. 28 – Una lettera per guadagnare il paradiso (a proposito della lettera di Berlinguer a Mons. Bettazzi), in «Lineazeta», I, 1977, n. 6, p. 9. 24 D) 29 – Scheda su N. Badaloni, Il marxismo di Gramsci, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», VII, 1977, pp. 231-232. 30 – Scheda su J. Freund, Les théories des sciences humaines, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», VII, 1977, p. 242. * * * 1978 B) 31 – Etica, storia e futuro in Ernst Troeltsch, in «Storia e politica», XVII, 1978, n. 3, pp. 497-532. 32 – Su una lettura storica della questione sindacale, in «Il Pensiero politico», XI, 1978, n. 3, pp. 406-410. 33 – Luigi Cacciatore e la sinistra socialista. Politica unitaria e meridionalismo, in Aa.Vv., Mezzogiorno e fascismo, Napoli, ESI, 1978, pp. 587-730. C) 34 – Recensione di G. Acocella, Questione meridionale e sindacalismo cattolico, in «Il Tetto», XV, 1978, n. 85, pp. 125-128. * * * 25 1979 A) 35 – Ragione e speranza nel marxismo. L’eredità di Ernst Bloch, Bari, Dedalo, 1979. 36 – La sinistra socialista nel dopoguerra. Meridionalismo e politica unitaria in Luigi Cacciatore, prefazione di F. De Martino, Bari, Dedalo, 1979. B) 37 – Economia e base materiale nell’utopia concreta di Ernst Bloch, in R. Crippa (a cura di), La dimensione dell’economico, Padova, Liviana, 1979, pp. 439-466. 38 – Vico e Dilthey. La storia dell’esperienza umana come relazione fondante di conoscere e fare, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, pp. 35-68. C) 39 – Recensione di E. De Mas, D. Faucci, F. Nicolini, A. Verri, Vico e l’instaurazione delle scienze, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, pp. 159-162. D) 40 – Scheda su H. Albert, Storia e legge: per la critica dello storicismo metodologico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, p. 189. 41 – Scheda su M. Alicata, Lettere e Taccuini di Regina Coeli, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, pp. 189-190. 42 – Scheda su N. Bobbio, Voce Democrazia / Dittatura (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, pp. 193-194. 26 43 – Scheda su D. Bohler, Philosophische Hermeneutik und hermeneutische Methode, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, p. 194. 44 – Scheda su G. P. Caprettini, Voce Allegoria (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, p. 195. 45 – Scheda su E. Leach, Voce Anthropos (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, pp. 206-207. 46 – Scheda su S. Otto, Die Geschichtsphilosophie Giambattista Vicos, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, pp. 211-212. 47 – Scheda su K. Pomian, Voce Ciclo (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, p. 213. 48 – Scheda su C. Prandi, Voce Credenze (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, p. 214. 49 – Scheda su M. Riedel, Verstehen oder Erklären? Zur Theorie und Geschichte der hermeneutischen Wissenschaften, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, p. 216. 50 – Scheda su A. Salsano, Voce Enciclopedia (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IX, 1979, pp. 216-217. F) 51 – Nota del curatore, in Federazione salernitana del PCI (a cura di), Per i Settantacinque anni di Francesco Cacciatore, prefazione di A. Alinovi, Salerno, Boccia, s.d., 1979, p. 9. * * * 27 1980 B) 52 – Ernst Bloch: l’utopia della realizzazione dell’“humanum”, in «Critica marxista», 1980, n. 5, pp. 109-128. C) 53 – Recensione di G. Vico, Liber metaphysicus Risposte, ed. tedesca, S. Otto, H. Viechtbauer (hrsg.), Transzendentale Einsicht und Theorie der Geschichte. Überlegungen zu G. Vicos “Liber metaphysicus”, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», X, 1980, pp. 196-203. D) 54 – Scheda su M. Jay, L’immaginazione dialettica. Storia della Scuola di Francoforte e dell’Istituto per le ricerche sociali, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», X, 1980, p. 247. 55 – Scheda su S. Otto, Die transzendentalphilosophische Relevanz des Axioms “verum et factum convertuntur”. Überlegungen zu G. Vicos “Liber metaphysicus”, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», X, 1980, pp. 250-251. 56 – Scheda su S. Otto, Faktizität und Transzendentalität der Geschichte. Die Aktualität der Geschichtsphilosophie G. Vicos im Blick auf Kant und Hegel, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», X, 1980, pp. 251-252. 57 – Scheda su S. Otto, Geistesgeschichte zwischen Philosophie und Feuilleton, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», X, 1980, pp. 252-253. * * * 28 1981 B) 58 – Sentimento metafisico e infelicità della ragione (a proposito di Metafisica di A. Masullo), in «Critica marxista», 1981, n. 6, pp. 185-192. 59 – Materiali su “Vico in Germania” (in collab. con G. Cantillo), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XI, 1981, pp. 13-32. D) 60 – Scheda su G. Conte (a cura di), Metafora, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XI, 1981, pp. 279-280. 61 – Scheda su M. Ciliberto, Come lavorava Gramsci, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XI, 1981, pp. 282-284. 62 – Scheda su A. Di Nola, Voce Origini (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XI, 1981, p. 287. 63 – Scheda su U. Eco, Voce Metafora (Enciclopedia Einaudi), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XI, 1981, pp. 287-288. 64 – Scheda su S. Natoli, Soggetto e Fondamento. Studi su Aristotele e Cartesio, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XI, 1981, p. 295. 65 – Scheda su S. Otto, Materialen zur Theorie der Geistesgeschichte, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XI, 1981, pp. 296-297. * * * 29 1982 B) 66 – Difettività e fondamento: un convegno in memoria di Pietro Piovani, in «Discorsi», II, 1982, fasc. 2, pp. 373- 375. 67 – Los Orígenes del fascismo en Italia. Revolución y reacción (1918-1922), Universidad Central de Venezuela, Caracas, Publicaciones de la Escuela de Historia, 1982, pp. 17. C) 68 – Recensione di S. Merli, Il “Partito nuovo” di Lelio Basso, in «Il Pensiero politico», 1982, n. 3, pp. 615-617. E) 69 – M. Riedel, L’Universalità della scienza europea e il primato della filosofia, trad. it. e cura di G. Cacciatore, Napoli, ESI, 1982. F) 70 – Introduzione a M. Riedel, L’Universalità della scienza europea e il primato della filosofia, Napoli, ESI, 1982, pp. 11-32. * * * 30 1983 B) 71 – Vico e Kant nella filosofia di Ottavio Colecchi, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XII-XIII, 1982- 1983, pp. 63-99. 72 – Dilthey e il Rinascimento, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli», n.s., vol. XXV, XIII, 1982-1983, pp. 181-230. 73 – L’“utopia liberale” di B. Croce, in A. Bruno (a cura di), Benedetto Croce. Trent‘anni dopo, Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. 159-177. 74 – L’“utopia liberale” di B. Croce: un contributo alla discussione su etica e politica nella crisi del mondo contemporaneo [ed. ampliata del numero precedente], in «Discorsi», III, 1983, fasc. I, pp. 68-93. 75 – Dilthey e la storiografia tedesca dell’Ottocento, in «Studi Storici», 1983, n. 1-2, pp. 55-89. C) 76 – Le Speranze tradite di Karola ed Ernst (a proposito di K. Bloch, Memorie dalla mia vita), in «Rinascita», XL, 1983, n. 21, pp. 29-30. D) 77 – Scheda su B. De Giovanni, La “Teologia civile” di Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XIIXIII, 1982-1983, pp. 417-419. * * * 31 1984 B) 78 – La norma come “misura”: gnoseologia, etica e storia nella filosofia di Pietro Piovani, in A. Masullo (a cura di), Difettività e fondamento, Napoli, Guida, 1984, pp. 87-99. 79 – Marxismo e utopia neqli anni venti: Bloch e Lukács, in Aa.Vv., L’Utopia, Messina, ed. G.B.M., 1984, pp. 31-68. 80 – La “speranza” della storia. Note in margine a un libro sullo storicismo Politico in “Paradigmi”, II, 1984, n. 5, pp. 293-315. 81 – Ortega y Gasset e Dilthey, in L. Infantino, L. Pellicani (a cura di), Attualità di Ortega y Gasset, Firenze, Le Monnier, 1984, pp. 89-113. 82 – Riflessioni “inattuali” su Francesco De Sanctis, in «Rassegna storica salernitana», 1984, n. 1-2, pp. 109-115. 83 – Note sulla recezione di G. Bruno nella filosofia italiana della seconda metà dell’Ottocento, in «Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche» di Napoli, vol. XCV, 1984, pp. 295-313. 84 – Nichilismo attivo, storicità, futuro nella filosofia di Pietro Piovani, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXIII (LXV), fasc. II, 1984, pp. 217-259. 85 – “Neue Sozialgeschichte” e teoria della storia, in «Studi storici», n. 1, 1984, pp. 119-130. 86 – La recezione italiana della Existenzphilosophie nel dopoquerra: problemi interpretativi e significati etico-politici, in «Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche» di Napoli, vol. XCV, 1984, pp. 45-67. C) 87 – Recensione di L. Rossi, Terra e genti del Cilento borbonico, in «Rassegna storica salernitana», 1984, n. 1-2, pp. 200-201. 32 88 – Recensione di G. Acocella, L. Mascilli Migliorini, C. Franco, A. Aurigemma, De Sanctis e l’Irpinia, introduzione di F. Tessitore, Di Mauro, 1983, in «Rassegna storica salernitana», 1984, n. 1-2, pp. 201-203. G) 89 – Un protagonista dell’opposizione socialista. Per l’unità delle forze democratiche, in «Dossier Sud», 1984, n. 16, p. 9. * * * 1985 A) 90 – Vita e forme della storia. Saggi sulla storiografia di Dilthey, Napoli, Morano, 1985. 91 – G. Cacciatore, G. Cantillo (a cura di), Wilhelm Dilthey. Critica della metafisica e ragione storica, Bologna, Il Mulino, 1985. B) 92 – Per una storia del pensiero democratico, in «Nuova Antologia», vol. 554, 1985, fasc. 2153, pp. 425-440. 93 – Politica, diritto e Stato in Dilthey, in F. Bianco (a cura di), Dilthey e il pensiero del Novecento, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 136-154. 94 – Dilthey e la storiografia tedesca dell’Ottocento, in G. Cacciatore, G. Cantillo (a cura di), Wilhelm Dilthey. Critica della metafisica e ragione storica, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 207-244. 33 C) 95 – Recensione di G. Vico, Neue Wissenschaft, hrsg. von F. Fellmann, Frankfurt am Main, Klostermann, 1981, in «Bollettino del Centro di Studi vichiani», XIV-XV, 1985, pp. 349-355. 96 – Recensione di R.W. Schmidt, Die Geschichtsphilosophie G.B. Vicos, Würzburg, Königshausen und Neumann, 1982, in «Bollettino del Centro di Studi vichiani», XIVXV, 1985, pp. 361-366. D) 97 – Scheda su F. Tessitore, La storiografia come scienza, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XIV-XV, 1985, p. 413. F) 98 – Introduzione (in collab. con G. Cantillo) a Wilhelm Dilthey. Critica della metafisica e ragione storica, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 5-8. 99 – Introduzione (in collab. con G. Amarante) a F. Cacciatore, Per l’unità dei lavoratori. Raccolta di scritti e discorsi, Salerno, Boccia (ed. f.c.), 1985, pp. 13-45. * * * 1986 A) 100 – G. Cacciatore, F. Lomonaco (a cura di), Karl Marx 1883-1983, Napoli, Guida, 1986. 34 B) 101 – Il Marx di Gramsci. Per una rilettura del nesso etica-teoria-politica nel marxismo, in G. Cacciatore, F. Lomonaco (a cura di), Karl Marx 1883-1983, Napoli, Guida, 1986, pp. 259-301. 102 – Vichismo e illuminismo tra Cuoco e Ferrari, in P. Di Giovanni (a cura di), La tradizione illuministica in Italia, Palermo, Palumbo, 1986, pp. 43-91. 103 – Crisi e attualità del marxismo nel pensiero di Labriola, in «Bollettino della Società filosofica italiana», n.s., 1986, n. 129, pp. 13-36. D) 104 – Scheda su G. Cotroneo, Vico in Sicilia: Benedetto Castiglia e le “Scienze dell’umanità”, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XVI, 1986, pp. 451-452. 105 – Scheda su S. Otto, Rekonstruktion der Geschichte. Zur Kritik der historischen Vernunft, Erster Teil, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XVI, 1986, pp. 470-471. F) 106 – Presentazione (in collab. con G. Cantillo) di W. Dilthey, Storia della giovinezza di Hegel e Frammenti Postumi, Napoli, Guida, 1986, pp. 7-10. 107 – Nota introduttiva (in collab. con F. Lomonaco) a G. Cacciatore e F. Lomonaco (a cura di), Karl Marx 1883- 1983, Napoli, Guida, 1986, pp. 4-6. G) 108 – Centro storico: ritrovarsi per riparlarne, in «La Gazzetta di Salerno», 13 febbraio 1986. 35 * * * 1987 B) 109 – Lezioni e battaglie di Pasquale Villari, in Aa.Vv., Napoli tra idealismo e positivismo, suppl. a «Itinerario», 1987, n. 2, pp. 27-31. 110 – Un convegno su Labriola in Germania, in «Studi storici», 1987, n. 1, pp. 261-268. 111 – La recezione italiana della Existenzphilosophie, in K.-E. Lösse (hrsg.), Wissenschaftstradition und Nachkriegsgeschichte in Italien und Deutschland, Düsseldorf, Schwann, 1987, pp. 112-129. * * * 1988 B) 112 – Crisi della storiografia storicistica e “bisogno” di Kulturgeschichte: il caso Lamprecht, in Aa.Vv., Le storie e la storia della cultura, Napoli, Morano, 1988, pp. 223-237. 113 – Crisi dello storicismo e bisogno di Kulturgeschichte: il caso Lamprecht, in «Archivio di storia della cultura», I, 1988, pp. 257-281. 114 – Vittorio Imbriani filosofo (in collab. con A. Giugliano), in «Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche», vol. XCIX, 1988, pp. 55-68. 36 115 – Il problema della storia alle origini del neoidealismo italiano, in P. Di Giovanni (a cura di), Il neoidealismo italiano, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 111-138. 116 – Labriola et le débat sur la crise du marxisme, in G. Labica, J. Texier (a cura di), Labriola d’un siècle à l’autre, Paris, Meridiens Klincksieck, 1988, pp. 237-251. 117 – Un maestro e la sua città, in C. Coppola (a cura di), Esegesi e grammatica. Raccolta di scritti e testimonianze, Salerno, Laveglia, 1988, pp. 139-143. 118 – L’autocritica della storia, in «Rinascita», 1988, n. 21, p. 19. C) 119 – Recensione a N. Badaloni, Introduzione a Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XVII-XVIII, 1988, pp. 322-329. F) 120 – Presentazione di C. Manzi, Giacomo Leopardi e i canti napoletani, Salerno (ed. f.c.), 1988, pp. 4-6. G) 121 – Con Vico, oltre Vico, in «Il Mattino», 13 aprile 1988. 122 – Per l’impoliticità della cultura, in «Il Domani», 11 ottobre 1988. 123 – La rivoluzione dell’individuo etico, in «Il Mattino», 18 ottobre 1988. * * * 37 1989 A) 124 – G. Cacciatore (a cura di), Figure dell’Utopia. Saggi su Ernst Bloch, Avellino, F. Redi, 1989. B) 125 – I modelli teorici della storiografia italiana dal 1945 al 1980, in «Archivio di storia della cultura», II, 1989, pp. 113-181. 126 – Vico e il vichismo negli “Scandagli critici” di Pietro Piovani, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XIX, 1989, pp. 241-249. 127 – Scienze dello spirito e mondo storico nel confronto Dilthey-Rickert, in M. Signore (a cura di), Rickert tra storicismo e ontologia, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 223-249. 128 – Marxismo etica utopia negli anni Venti: Bloch e Lukacs, in G. Cacciatore (a cura di), Figure dell’Utopia. Saggi su Ernst Bloch, Avellino, F. Redi, 1989, pp. 35-151. C) 129 – Recensione dell’“Annuario” 1988-1989 del Liceo “Tasso” di Salerno, in «Rassegna storica salernitana», 1989, n. 12, pp. 401-404. F) 130 – Presentazione di A. Matano, Il pensiero Politico di A. Labriola, Marsala, La Medusa, 1989, pp. I-V. 131 – Premessa a G. Cacciatore (a cura di), Figure dell’Utopia. Saggi su Ernst Bloch, Avellino, F. Redi, 1989, pp. 5-6. 38 G) 132 – Il futuro del Passato. In ricordo di A. Omodeo, in «Il Mattino», 19 settembre 1989. 133 – L’idealismo realistico di Lotze (a proposito di H. Lotze, Microcosmo, Torino, UTET,1989), in «Il Mattino», 3 dicembre 1989. * * * 1990 B) 134 – Labriola, l’imperialismo e la storia italiana, in F. Lomonaco (a cura di), Cultura, società, potere. Studi in onore di Giuseppe Giarrizzo, Napoli, Morano, 1990, pp. 399-436. 135 – Labriola e l’imperialismo, in E. Serra, C. SetonWatson (a cura di), Italia e Inghilterra nell’età dell’imperialismo, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 15-46. 136 – Imbriani filosofo, in R. Franzese, E. Giammattei (a cura di), Studi su Vittorio Imbriani, Napoli, Guida, 1990, pp. 147-164. 137 – Nuove ricerche sul “Liber Metaphysicus” di Giambattista Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XX, 1990, pp. 211-221. 138 – Dahrendorf, storia e lotta di classi, in «Rinascita», n.s., I, 1990, n. 23, pp. 54-61. 139 – Dahrendorf e la “rivoluzione incompiuta del mondo moderno”, in «Prospettive Settanta», 1990, n. 1-2, pp. 176-190. 140 – Salerno: la vita culturale di una città attraverso la storia del suo liceo, in P. Macry, P. Villani (a cura di), La Campania (“Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi”), Torino, Einaudi, 1990, pp. 868-883. 39 141 – Il dibattito sul metodo della ricerca storica, in G. Di Costanzo (a cura di), La cultura storica italiana tra Otto e Novecento, Quaderni dell’«Archivio di storia della cultura», vol. l, Napoli, Morano, 1990, pp. 161-244. 142 – Utopia della pace e senso della storia, in «Enne», II, 1990, n. 10-17, p. 10. 143 – Nove tesi provvisorie per la discussione sulla formapartito, in «Enne», II, 1990, n. 25, p. 12. C) 144 – Recensione di Sachkommentar zu G. Vicos “liber metaphysicus”, hrsg. von S. Otto, in «Archiv für Geschichte der Philosophie», band 72, 1990, heft 1, pp. 94-102. 145 – La storia del Pensiero: istruzioni per l’uso (a proposito del vol. III, 1990, dell’«Archivio di storia della cultura»), in «Il Mattino», 2 dicembre 1990. G) 146 – Filiberto Menna, in «Gazzetta di Salerno», n. 8-9, 15 marzo 1990. 147 – Oltre Hegel, in «Il Mattino», 27 febbraio 1990. 148 – Un progetto incompiuto, in «Il Giornale di Napoli», 27 giugno 1990. 149 – La civiltà del potere, in «Il Mattino», 3 agosto 1990. * * * 1991 B) 150 – Storicità e Historismus, in F. Tessitore (a cura di), L’opera di Pietro Piovani, Napoli, Morano, 1991, pp. 345-398. 40 151 – Il concetto di “empiria” nell’Historismus: Droysen e Dilthey, in V.E. Russo (a cura di), La questione dell’esperienza, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, pp. 85-102. 152 – Il fondamento dell’intersoggettività tra Dilthey e Husserl, in A. Masullo, C. Senofonte (a cura di), Razionalità fenomenologica e destino della filosofia, Genova, Marietti, 1991, pp. 143-173. 153 – La sinistra socialista. Meridionalismo e politica unitaria nel PSI attraverso l’opera e l’azione di Luigi Cacciatore, in G. Muzzi (a cura di), La Sinistra meridionale nel secondo dopoguerra (1943-1954). Giornate di studio in onore di Francesco De Martino, Firenze, “Istituto Socialista di Studi Storici”, 1991, pp. 59-88. 154 – Socialismo, meridionalismo e unità della sinistra nell’azione di Luigi Cacciatore, in «Rassegna storica salernitana», n.s., VIII, 1991, n. 16, pp. 123-158. 155 – Il concetto di “Empiria” tra Droysen e Dilthey, in «Atti della Accademia Pontaniana», n.s., vol. XL, 1991, pp. 55-73. 156 – Il concetto politico-filosofico di interesse in Marx, in Aa.Vv., Ethos e Cultura, Studi in onore di Ezio Riondato, Padova, Antenore, 1991, vol. I, pp. 393-422. 157 – Crisi delle ideologie e nuove forme politiche nel mondo contemporaneo: principio di democrazia e socialismo possibile, in «Prospettive Settanta», n.s., XIII, 1991, n. 4, pp. 616-633. 158 – Laicismo, modernità e “Centesimus Annus”, in «Prospettive Settanta», n.s., XIII, 1991, n. 4, pp. 584-589. 159 – Il concetto di vita in Croce, in «Criterio», n.s., IX, 1991, nn. 3-4, pp. 165-201. 160 – Per aprire il discorso. Note sulla recente traduzione tedesca della “Scienza nuova”, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXI, 1991, pp. 129-135. 161 – Il rifiuto “politico” di questa guerra, in «Enne», III, 1991, n. 49, p. 2. 162 – Le opzioni dell’area riformista salernitana, in «La Piazza», V, 1991, n. 5, pp. 9-11. 41 C) 163 – Recensione di B. De Giovanni, Dopo il Comunismo, Napoli, 1990, in «Enne», III, 1991, n. 57, p. 15. 164 – Recensione di A. Musi (a cura di), Dimenticare Croce? Studi e orientamenti di Storia del Mezzogiorno, Napoli, 1991, in «Rassegna storica salernitana”, n.s., VIII, 1991, n. 16, pp. 374-377. 165 – Recensione di A. Menna, Il banco e la cattedra, Salerno, De Luca, 1991, in «Rassegna Storica salernitana», n.s., VIII, 1991, n. 16, pp. 377-379. 166 – Recensione di J.M. Sevilla Fernández, G. Vico: metafísica de la mente y historicismo antropológico, Sevilla, Servicio de Publicaciones de la Universidad, 1988, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXI, 1991, pp. 166-171. 167 – Lo Statuto del Comune di Salerno, in «Zona Orientale», ottobre 1991, n. 5, p. 4. G) 168 – In conflitto con la storia (a proposito dei Quaderni per una morale di Sartre), in «Il Giornale di Napoli», 28 giugno 1991. 169 – Quale stile di vita?, in «Il Giornale di Napoli», 12 luglio 1991. 170 – Oltre la fine del leninismo, in «Il Giornale di Napoli», 1 settembre 1991. 171 – La filosofia dell’individualità (a proposito di W.V. Humboldt), in «Il Giornale di Napoli», 12 settembre 1991. 172 – Alle origini della vita, tra miti e simboli, in «Il Giornale di Napoli», 18 ottobre 1991. 173 – Il tempo della vitalità, in «Il Giornale di Napoli», 6 novembre 1991. 174 – Quei valori da non smarrire. A proposito del bene comune in ogni momento della storia, in «Il Giornale di Napoli», 13 novembre 1991. 42 175 – La legge del Principe (recensione di F. Lomonaco, Lex regia, Napoli, Guida, 1991), in «Il Mattino», 18 giugno 1991. * * * 1992 B) 176 – I “principi” della Kulturgeschichte, in «Archivio di storia della cultura», V, 1992, pp. 315-324. 177 – Tra Fenomenologia ed Esistenzialismo. Considerazioni su Banfi e Paci (in collab. con G. Cantillo), in Aa.Vv., I progressi della filosofia nell’Italia del Novecento, Napoli, Morano, 1992, pp. 315-345. 178 – Karl Lamprecht und die “Kulturgeschichte”. Nachdenken über die überlieferten Paradigmen der Theorie der Geschichte, in Aa.Vv., Universalgeschichte - gestern und heute, “Comparativ” (Leipziger Beiträge zur Universalgeschichte und vergleichenden Gesellschaftsforschung), Heft 1, 1992, pp. 79-91. 179 – Karl Lamprecht und die “Kulturgeschichte”, in «Geschichte und Gegenwart», XI, giugno 1992, n. 2, pp. 120-133. 180 – “Historismus” e mondo moderno: Dilthey e Troeltsch, in «Giornale critico della Filosofia italiana», VI serie, LXXI, 1992, fasc. I, pp. 14-48. 181 – Tocqueville nell’interpretazione dello storicismo tedesco, in V. Dini, D. Taranto (a cura di), Individualismo, assolutismo, democrazia (atti del convegno in memoria di Anna Maria Battista), Napoli, ESI, 1992, pp. 489-499. 182 – Croce e il suo tempo nel carteggio con Prezzolini, in «Nord e Sud», n.s., XXXIX, 1992, n. 3, pp. 43-59. 183 – Alcuni spunti su Gramsci teorico della politica, in «Studi Critici», II, 1992, nn. 1-2, pp. 25-32. [apparso, con 43 il titolo Annotazioni su Gramsci teorico etico-politico, anche in «Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico», Socialismo e democrazia, Atti del convegno di studi nel centenario della nascita di Gramsci, 1992, n. 38-40, pp. 209-221]. 184 – Storia e teoria dello storicismo, in «Prospettive Settanta», 1992, n. 2-3, pp. 305-321. F) 185 – Introduzione a E. Todaro, Sottovoce, Salerno, Boccia, 1992, pp. 7-8. G) 186 – Una nuova razionalità, in «Il Giornale di Napoli», 24 gennaio 1992. 187 – Carteggi d’autore, in «Il Giornale di Napoli», 31 gennaio 1992. 188 – Un esempio di coraggio (a proposito di Nicola Fiore), in «Il Giornale di Napoli», 25 febbraio 1992. 189 – A confronto con i valori del passato, in «Il Giornale di Napoli», 1 marzo 1992. 190 – Quale ideale di emancipazione, in «Il Giornale di Napoli», 10 marzo 1992. 191 – In viaggio da settant’anni (Festa di compleanno per Mario Carotenuto), in «Il Giornale di Napoli», 30 aprile 1992. 192 – Le strade per l’unità della sinistra, in «Il Giornale di Napoli», 13 maggio 1992, p. 7. 193 – Il paesaggio come risorsa, in «Il Giornale di Napoli», 3 giugno 1992. 194 – Il comportamento dei singoli (lettera aperta a Norberto Bobbio), in «Il Giornale di Napoli», 17 giugno 1992. 195 – Quella parabola della neutralità (a proposito del libro di G. Nuzzo, A Napoli nel tardo Settecento), in «Il Giornale di Napoli», 18 giugno 1992. 44 196 – Se si superano i separatismi, in «Il Giornale di Napoli», 24 giugno 1992. 197 – Sul mare del tempo, in «Il Giornale di Napoli», 2 luglio 1992. 198 – Questione morale, in «La Repubblica» (ed. di Napoli), 26 agosto 1992, pp. I e IV. 199 – La cultura e l’economia meridionale nella integrazione europea, in «Nadir», II, agosto 1992, nn. 7-8, p. 6. 200 – La libera filosofia di Abbagnano, in «La Repubblica» (ed. di Napoli), 13 novembre 1992, p. XVIII. * * * 1993 A) 201 – Storicismo problematico e metodo critico, Napoli, Guida, 1993. B) 202 – La cultura e l’economia meridionale nell’integrazione europea, in «Diritto allo studio», III, 1993, n. 4, pp. 20-21. 203 – Profilo di Michelangelo Schipa, in Aa.Vv., Cultura e Università in Campania, Salerno, «Quaderni» della Società Dante Alighieri di Salerno, 1993, pp. 19-52. 204 – Studi vichiani in Germania 1980-1990 (in collab. con G. Cantillo), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXII-XXIII, 1992-1993, pp. 7-39. 205 – La cultura e l’economia meridionale nella integrazione europea, in «Nadir», II, agosto 1992, nn. 7-8, p. 6. 206 – Historismus e mondo moderno: Dilthey e Troeltsch, in T. Albertini, Lang Verlag (hrsg.), Verum et Factum. Bei- 45 träge zur Geistesgeschichte und Philosophie der Renaissance zum 60, München, Geburtstag von Stephan Otto, 1993, pp. 247-272. 207 – Karl Lamprecht und die “Kulturgeschichte” im Rahmen des Nachdenkens über die überlieferten Paradigmen der Theorie der Geschichte, in Gerald Diesener (hrsg.), Karl Lamprecht weiterdenken. Universal und Kulturgeschichte heute, Leipzig, Leipziger Universitätsverlag 1993, pp. 335-351. 208 – Il concetto di vita in Croce, in M. Ciliberto (a cura di), Croce e Gentile fra tradizione nazionale e filosofia europea, Roma, Editori Riuniti, 1993, pp. 145-180. 209 – Terra. Il Punto di vista filosofico, in «Fridericiana», I, 1992-1993, n. 4, pp. 201-215. 210 – Karl Lamprecht an den Ursprüngen der Sozialgeschichte, in «Geschichte und Gegenwart», XII, 1993, n. 3, pp. 131-140. 211 – Pensare l’Europa nell’epoca dell’universalismo dei diritti umani, in «Prospettive Settanta», n.s., XV, I, 1993, pp. 712-724. 212 – Der Begriff der “Empirie” von Droysen zu Dilthey, in «Dilthey-Jahrbuch für Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften», Band 8, 1992-1993, pp. 265-288. 213 – Wilhelm von Humboldt, Dilthey e la tradizione del “Historismus”, in A. Carrano (a cura di), W. von Humboldt e il dissolvimento della filosofia nei “saperi Positivi”, Napoli, Morano, 1993, pp. 337-387. 214 – Per una rivalutazione storica di Nicola Fiore, in G. Scarsi, M. Autuori (a cura di), Nicola Fiore un sindacalista rivoluzionario?, Salerno, Pietro Laveglia Editore, 1993, pp. 13-19. 215 – Su alcuni modelli teorici e metodologici nella scienza storica del Novecento, in «Bollettino della Società Filosofica Italiana», n.s., 1993, n. 150, pp. 19-30. 216 – Etica tempo soggetto. Una ricerca in comune sull’etica contemporanea, in «Criterio», XI, 1993, n. 2-3, pp. 75-81. 46 217 – Storia etico-politica e storia della cultura in Benedetto Croce, in Aa.Vv., Croce quarant’anni dopo, (Istituto Nazionale di Studi Crociani - Pescara/Sulmona), Pescara, Ediars, 1993, pp. 221-238. 218 – Conflitto prassi totalizzazione. Il tema della storia, in G. Invitto, A. Montano (a cura di), Gli scritti postumi di Sartre, Genova, Marietti, 1993, pp. 209-226. F) 219 – Introduzione (in collab. con G. Cantillo) a Aa.Vv., Vico in Italia e in Germania. Letture e prospettive (Atti del Convegno Internazionale. Napoli, 1-3 marzo 1990), Napoli, Bibliopolis, 1993, pp. 5-6. G) 220 – Emozioni e reazioni, in «Il Giornale di Napoli», 13 febbraio 1993. 221 – Libertà e sapere, in «Il Giornale di Napoli», 2 marzo 1993. 222 – Una politica diversa invecchiata presto, in «Roma», 2 aprile 1993. 223 – Ma dov’è la Patria?, in «Il Giornale di Napoli», 8 aprile 1993. 224 – La libertà possibile, in «Il Giornale di Napoli», 15 maggio 1993. 225 – Ma la teoria non è eterna, in «Il Giornale di Napoli», 6 ottobre 1993. 226 – Emozioni della cultura, in «Il Giornale di Napoli», 29 dicembre 1993. * * * 47 1994 A) 227 – La lancia di Odino. Teorie e metodi della scienza storica tra Ottocento e Novecento, Milano, Guerini, 1994. B) 228 – Storia etico-politica e storia della cultura in Benedetto Croce, in «Rassegna di Studi Crociani», IV, 1993-1994, n. 6-7, pp. 23-30 [pubblicato anche in «Oggi e Domani», XXI, 1994, n. 1, pp. 23-30]. 229 – Scienza dell’uomo e condotta di vita. Alle origini dell’etica moderna: l’analisi di Dilthey, in «Paradigmi», XII, n. 34, 1994, pp. 23-38. 230 – 1744-1994, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXIV-XXV, 1994-1995, pp. 7-9. 231 – Ortega e Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXIV-XXV, 1994-1995, pp. 236-246. 232 – Observaciones al margen a la investigación viquiana en la España contemporánea, in «Cuadernos sobre Vico», 1994, n. 4, pp. 75-81. 233 – L’etica fra storicismo e fenomenologia, in G. Cantillo, R. Viti Cavaliere (a cura di), La tradizione critica della filosofia. Studi in memoria di Raffaello Franchini, Napoli, Loffredo, 1994, pp. 501-517. 234 – Il problema della religione in Dilthey, in G. Gembillo (a cura di), Storicismo come tradizione. Studi in onore di Girolamo Cotroneo, Messina, Perna, 1994, pp. 41-91. 235 – Profilo di Michelangelo Schipa, in P. Macry, A. Massafra (a cura di), Fra storia e storiografia. Scritti in onore di Pasquale Villani, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 187-203. 48 C) 236 – Recensione di S. Otto, Giambattista Vico. Lineamenti della sua filosofia, Napoli, Alfredo Guida Editori, 1992, in «Bolletino del Centro di studi vichiani», XXIVXXV, 1994-1995, pp. 269-275. 237 – Recensione di «Cuadernos sobre Vico» II (1992), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXIV-XXV, 1994-1995, pp. 320-324. D) 238 – Scheda di U. Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, 1994, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXIV-XXV, 1994- 1995, pp. 376-377. G) 239 – Motivo immortale (a proposito dello Spinoza di Rensi), in «Il Giornale di Napoli», 13 marzo 1994. 240 – Incontri della mente, in «Il Giornale di Napoli», 1 aprile 1994. 241 – La città capitale della Scienza nuova, in «Il Mattino», 9 ottobre 1994. 242 – Napoli e il “futuro” di Vico, in «l’Unità», 17 ottobre 1994. 243 – Spengler e Troeltsch, tramonto a due voci, in «Il Mattino», 5 dicembre 1994. 244 – I contrasti di una città che cresce, in «La Voce» (ed. Campania), 31 dicembre 1994. * * * 49 1995 A) 245 – Democrazia e informazione, Acerra, Metis, 1995, pp. 15. 246 – G. Cacciatore, G. Cantillo (a cura di), Una filosofia dell’uomo, atti del convegno in memoria di N. Abbagnano, Salerno, Edizioni Comune di Salerno, 1995. 247 – G. Cacciatore, C. Senofonte, A. Costabile (a cura di), Francesco De Sarlo, Potenza, Edizioni Ermes, 1995. B) 248 – Simbolo e storia tra Vico e Cassirer, in J. Trabant (hrsg.), Vico und die Zeichen. Vico e i segni, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1995, pp. 257-269. 249 – L’edizione critica delle opere di Giambattista Vico, in «Lettera dall’Italia», X, 1995, n. 37, pp. 48-49. 250 – Filosofia e Weltanschauung in Bernhard Groethuysen, in «Archivio di storia della cultura», VIII, 1995, pp. 111-123. 251 – Vita e storia. Biografia e autobiografia in Wilhelm Dilthey e Georg Misch, in I. Gallo, L. Nicastri (a cura di), Biografia e autobiografia degli antichi e dei moderni, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp. 243-296. 252 – Die kritische ausgabe der Werke Giambattista Vicos und die Aufgaben des Vico-Forschungszentrums in Neapel, in «Deutsche Zeitschrift für Philosophie», 1995, n. 5, pp. 885-887. 253 – “Scienze dello spirito” e conoscenza storica. Croce, Dilthey, Rickert, in M. Losito (a cura di), Croce e la sociologia, Napoli, Morano, 1995, pp. 35-57. 254 – La qualità della vita: il punto di vista filosofico, in Aa.Vv., Prospettive della “Total Quality”, Napoli, Editoriale Scientifica, 1995, pp. 23-33. 50 255 – Dilthey: Die Typologie der Weltanschauungen zwischen historischer Vernunftkritik und Wesen der Philosophie, in K.-E. Lönne (hrsg.), Kulturwandel im Spiegel des Sprachwandels, Tübingen und Basel, Francke Verlag, 1995, pp. 137-151. 256 – “Politicka” dimenzija talijanskog kriticko-problematskog historicizma, in «Filozofska Istrazivanja», 15, 1995, n. 4, pp. 875-885. 257 – Da Le sorgenti irrazionali del pensiero all’esistenzialismo positivo (in collab. con G. Cantillo), in G. Cacciatore, G. Cantillo (a cura di), Una filosofia dell’uomo, atti del convegno in memoria di N. Abbagnano, Salerno, Edizioni Comune di Salerno, 1995, pp. 23-37. 258 – Tra illuminismo e massoneria, in «Criterio», XIII, 1995, n. 1-2, pp. 107-112. 259 – Psicologia e filosofia in Francesco De Sarlo, in G. Cacciatore, C. Senofonte, A. Costabile (a cura di), Francesco De Sarlo, Potenza, Edizioni Ermes, 1995, pp. 13-30. 260 – Halle-Napoli: un incontro tra grandi tradizioni storico-culturali, in «Notiziario», Università degli studi di Napoli Federico II, I, 1995, n. 6, pp. 35-38. 261 – I rapporti tra l’Università di Napoli Federico II e la Freie Universität di Berlino (siglato G.C.), in «Notiziario», Università degli studi di Napoli Federico II, I, 1995, n. 6, pp. 41-42. 262 – Per un nuovo meridionalismo, in «Mezzogiorno Italia», III, 1995, n. 1, pp. 3-4. 263 – Arte, scienza, cultura, storia: risorse per lo sviluppo e il lavoro, in «Mezzogiorno Italia», III, 1995, n. 3, pp. 4-5. 264 – L’Italia dimenticata, in «Mezzogiorno Italia», III, 1995, n. 4, pp. 6-8. F) 265 – Prefazione a E. Iarrusso, Quale sindaco per la seconda repubblica, Benevento, Kat edizioni, 1995, pp. 13-18. 51 266 – Avvertenza (in collab. con G. Cantillo) a Una filosofia dell’uomo, atti del convegno in memoria di N. Abbagnano, Salerno, Edizioni Comune di Salerno, 1995, pp. 11-13. G) 267 – Islam. Schegge di storicismo nell’indagine di Tessitore, in “Il Mattino”, 21 marzo 1995. 268 – All’“Internazionale” il magico mondo dell’Islam, in «Il Mezzogiorno», 26 maggio 1995. 269 – Povero Socialismo, in «Cronache del Mezzogiorno», 8 agosto 1995. * * * 1996 B) 270 – Cassirer interprete di Kant, in «Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche» di Napoli, vol. CVI, 1996, pp. 5-40. 271 – Labriola: da un secolo all’altro, in L. Punzo (a cura di), Antonio Labriola filosofo e politico, Milano, Guerini, 1996, pp. 209-228. 272 – Meridione/Modernità/Tradizione, in A. Iovino (a cura di), Meridiani. Segmenti eterogenei di arte nuova. Rassegna internazionale di arte contemporanea, Salerno, Kreis, 1996, pp. 45-51. 273 – Die Tradition des kritisch-problematischen Historismus im Rahmen der italienischen philosophischen Kultur der zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts, in O.G. Oexle, J. Rüsen (hrsg.), Historismus in den Kulturwissenschaften, Köln-Weimar-Wien, Böhlau, 1996, pp. 331-339. 52 274 – Labriola: da un secolo all’altro, in «Archivio di storia della cultura», IX, 1996, pp. 217-231. 275 – Gildo Ciafone: dirigente e militante della sinistra socialista, in Aa.Vv., Gildo Ciafone. Scritti e testimonianze, Salerno, Arti Grafiche Boccia, 1996, pp. 175-181. 276 – Temporalità e storicità nello Historismus di Wilhelm Dilthey, in P. Venditti (a cura di) Filosofia e storia. Studi in onore di P. Salvucci, Urbino, Quattroventi, 1996, pp. 429-441. 277 – Kant, Dilthey e il problema della religione, in N. Pirillo (a cura di), Kant e la filosofia della religione, 2 voll., Brescia, Morcelliana, 1996, vol. II, pp. 563-571. F) 278 – Presentazione di A. Montano, Storia e convenzione. Vico contra Hobbes, Napoli, La città del sole, 1996, pp. 9-16. 279 – Introduzione [in collab. con G. Cantillo] a E. Troeltsch, Spengler e la cultura di Weimar, numero monografico di «Diritto e Cultura», VI, 1996, n. 1, pp. 5-13. G) 280 – Quando Croce incontrò Hegel. Alle origini della dialettica, in «Il Giornale di Napoli», 30 gennaio 1996. 281 – Le ceneri di Gramsci, in «Il Giornale di Napoli», 25 febbraio 1996. 282 – Solo l’etica potrà salvarci, in «Il Mattino», 29 marzo 1996. 283 – Il Punto. Speciale elezioni, in «La Città», Quotidiano di Napoli, 23 aprile 1996. 284 – L’errore delle candidature, in «La Città», Quotidiano di Salerno, 23 aprile 1996. 285 – «Lo Sciacallo». Al telefono con uno sconosciuto, in «La Città», 24 maggio 1996. 286 – Renzo De Felice. La fatica dietro ogni pagina, in «La Città», 26 maggio 1996. 53 287 – Nicolini o della poliedricità, in «La Città», 10 ottobre 1996 288 – Amendola contro la babele dei liberalismi, in «La Città», 13 ottobre 1996. 289 – Vico e i codici della ragione, in «La Città», 30 ottobre 1996. 290 – A rischio l’equilibrio tra i poteri, in «La Città», 2 novembre 1996. 291 – La sinistra illiberale vinta dalla Coca Cola, in «La Città», 3 novembre 1996. 292 – Il mercato e la “ragionevolezza” della fame, in «La Città», 10 novembre 1996. 293 – La democrazia dei decimali, in «La Città», 17 novembre 1996. 294 – La solida incertezza della ragione contro le “prigioni” della memoria, in «La Città», 21 novembre 1996. 295 – Le gabbie etiche dello sviluppo, in «La Città», 24 novembre 1996. 296 – Smitizziamo la memoria storica, in «La Città», 1 dicembre 1996. 297 – Come è miope il tatticismo dell’Ulivo, in «La Città», 4 dicembre 1996. 298 – Un caso di colpa oggettiva, in «La Città», 8 dicembre 1996. 299 – Bassolino e un’esperienza da esportare, in «La Città», 8 dicembre 1996. 300 – La speranza “sopportabile”, in «La Città», 15 dicembre 1996. 301 – Chi paga il conto dello sviluppo, in «La Città», 22 dicembre 1996. 302 – Enrico e la buona ideologia, in «La Città», 29 dicembre 1996. 303 – Il pianto e le scelte di sviluppo, in «La Città», 31 dicembre 1996. 54 * * * 1997 A) 304 – G. Cacciatore, G. Cantillo, G. Lissa (a cura di), Lo storicismo e la sua storia. Temi, problemi, prospettive, Milano, Guerini e Associati, 1997. 305 – G. Cacciatore, A. Stile (a cura di), L’edizione critica di Vico: bilanci e prospettive, Napoli, Guida, 1997. 306 – G. Cacciatore, M. Martirano, E. Massimilla (a cura di), Filosofia e storia della cultura. Studi in onore di Fulvio Tessitore, 3 voll., Napoli, Morano, 1997. B) 307 – Die “politische” Dimension des problematischenkritischen Historismus in Italien, in G. Scholtz (hrsg.), Historismus am Ende des 20. Jahrhunderts. Eine internationale Diskussion, Berlin, Akademie Verlag, 1997, pp. 84-101. 308 – Storia e tempo storico in Marx, in G. Cacciatore, G. Cantillo, G. Lissa (a cura di), Lo storicismo e la sua storia. Temi, problemi, prospettive, Milano, Guerini e Associati, 1997, pp. 246-259. 309 – Lo storicismo critico-problematico e la tradizione della “filosofia civile” italiana, in G. Cacciatore, G. Cantillo, G. Lissa, Lo storicismo e la sua storia. Temi, problemi, prospettive, Milano, Guerini e Associati, 1997, pp. 582-597. 310 – La concezione del tempo storico nello Historismus (in collab. con G. Cantillo), in G. Casertano (a cura di), Il concetto di tempo, Atti del XXXII congresso della SFI, Napoli, Loffredo, 1997, pp. 91-104. 311 – Profilo di Michelangelo Schipa, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», CXIII, 1995, pp. 527-556 [edito nel 1997]. 55 312 – Il marxismo come Weltanschauung: tra ideologia e storicità critica, in F. Tadeo (a cura di), Ragione e storia. Studi in memoria di Giuseppe Semerari, Fasano, Schena editore, 1997, pp. 43-65. 313 – Il positivismo e la storia, in L. Malusa (a cura di), I filosofi e la genesi della coscienza culturale della “nuova Italia” (1799-1900), Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici, 1997, pp. 275-286. 314 – Ricordo di Giorgio Tagliacozzo, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVI-XXVII, 1996-1997, pp. 9-10. 315 – Vico e la filosofia pratica, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVI-XXVII, 1996-1997, pp.77-84. 316 – Vico antimoderno? (in collab. con S. Caianiello), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVI-XXVII, 1996-1997, pp. 205-218. 317 – Alcuni “storicisti” tra “devoti” e “iconoclasti” vichiani (in collab. con F. Tessitore), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVI-XXVII, 1996-1997, pp. 219-225. 318 – La storia della Chiesa tra persuasione e coercizione, in «Nuova Antologia», luglio-settembre 1997, n. 2203, pp. 236-243. 319 – Europa Denken im Zeitalter des Universalismus der Menschenrechte, in U. Baumann, R. Klesczewskj (hrsg.), Penser l’Europe/Europa denken, Tübingen und Basel, Francke Verlag, 1997, pp. 91-97. 320 – Ethik und geschichtsphilosophie im Kritischen Historismus, fascicolo di «Bremer Philosophica», Universität Bremen, 1997, pp. 21. C) 321 – Recensione di U. Galeazzi, Ermeneutica e storia in Vico. Morale, diritto e società nella “Scienza Nuova”, L’Aquila-Roma, Japadre, 1993, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVI-XXVII, 1996-1997, pp. 254-257. 56 322 – Recensione di P. Cristofolini, Scienza Nuova. Introduzione alla lettura, Firenze, La Nuova Italia Scientifica, 1995; P. Cristofolini, Vico et l’histoire, Paris, P.U.F., 1995, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIXXVII, 1996-1997, pp. 269-273. 323 – Recensione di C. Castellani, Dalla cronologia alla metafisica della mente. Saggio su Vico, Bologna, Il Mulino, 1995, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIXXVII, 1996-1997, pp. 276-280. 324 – Recensione di «Cuadernos sobre Vico», nn. III (1993) e IV (1994), in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVI-XXVII, 1996-1997, pp. 304-310. F) 325 – Introduzione a G. Cacciatore, A. Stile (a cura di), L’edizione critica di Vico: bilanci e prospettive, Napoli, Guida, 1997, pp. 9-17. 326 – Introduzione (in collab. con G. Cantillo e G. Lissa) a G. Cacciatore, G. Cantillo, G. Lissa (a cura di), Lo storicismo e la sua storia. Temi, problemi, prospettive, Milano, Guerini e Associati, 1997, pp. 11-14. 327 – Presentazione di F. Cacciatore, Floriano Del Zio. Patriota, filosofo, deputato e senatore del Regno, Melfi, Mediacom, 1997, pp. 3-6. 328 – Premessa (in collab. con M. Martirano ed E. Massimilla) a G. Cacciatore, M. Martirano, E. Massimilla (a cura di), Filosofia e storia della cultura. Studi in onore di Fulvio Tessitore, 3 voll., Napoli, Morano, 1997, pp. 11-13. G) 329 – Tanti auguri a Bossi da Jerome Cristian, in «La Città», 5 gennaio 1997. 330 – Luzi: poeta, storico e filosofo, in «La Città», 12 gennaio 1997. 57 331 – Scuola senza falsi egualitarismi, in «La Città», 19 gennaio 1997. 332 – Filosofi tra la vita e la morte, in «La Città», 26 gennaio 1997. 333 – Perdono, condanna e vacui moralisti, in «La Città», 2 febbraio 1997. 334 – La calma inquieta del sapere. La vita e la storia: Giuseppe Cantillo interprete di Hegel, in «La Città», 4 febbraio 1997. 335 – Confronto tra pochi intimi. Cultura assente, in «La Città», 9 febbraio 1997. 336 – Il doppiofondo del secolo breve, in «La Città», 16 febbraio 1997. 337 – Politici smemorati dal “core ‘ngrato”, in «La Città», 23 febbraio 1997. 338 – Dall’intellettuale organico al “filosofo democratico”, in «La Città», 26 febbraio 1997. 339 – Wojtyla imbavaglia la cultura, in «La Città», 1 marzo 1997. 340 – L’embrione e l’etica condivisibile, in «La Città», 2 marzo 1997. 341 – Salerno e l’etica contemporanea, in «Cronache del Mezzogiorno», 4 marzo 1997. 342 – La traccia storica della città borghese, in «La Città», 6 marzo 1997. 343 – Chiedi al “chierico” lealtà civile, in «La Città», 9 marzo 1997. 344 – Nel nome del Papa-re, in «La Città», 12 marzo 1997. 345 – Va’ dove ti porta il senso comune, in «La Città», 16 marzo 1997. 346 – Incenso di regime sul dialogo ecumenico, in «La Città», 23 marzo 1997. 347 – De Luca liberale? Macché..., in «La Città», 28 marzo 1997. 348 – Quell’Europa senza volto che batte moneta, in «La Città», 30 marzo 1997. 58 349 – Quelle domande cruciali sui principi dell’agire, in «La Città», 1 aprile 1997. 350 – La prospettiva dell’utopia. Gramsci tra etica e politica, in «La Città», 15 aprile 1997. 351 – Il conte Yorck nella Salerno senza memoria, in «La Città», 20 aprile 1997. 352 – Senza retorica né rimozioni. Una mostra sull’antifascismo nel segno di Giovanni Amendola, in «La Città», 23 aprile 1997. 353 – Ma l’abito “dalemiano” non si addice a Gramsci, in «La Città», 27 aprile 1997. 354 – Mediterraneo, rotta della tolleranza, in «La Città», 1 maggio 1997. 355 – Un fiume carsico bagna la politica, in «La Città», 7 giugno 1997. 356 – Liberalizzare contro il marcio (a proposito di aborti clandestini), in «La Città», 22 giugno 1997. 357 – Se la ricchezza non fa la felicità, in «La Città», 25 giugno 1997. 358 – Ricordando Giacumbi, in «La Città», 2 luglio 1997. 359 – De Luca ha fatto bene ad aprire il palazzo, in «La Città», 3 luglio 1997. 360 – L’eroe il prete e poi?, in «La Città», 9 luglio 1997. 361 – Vico? Meglio una suite di lusso, in «La Città», 13 luglio 1997. 362 – Le contraddizioni di un “liberatore”, in «La Città», 24 luglio 1997. 363 – Non c’è più rispetto per il popolo tifoso, in «La Città», 12 agosto 1997. 364 – Stupidità formato europeo, in «La Città», 14 agosto 1997. 365 – I camerati e il boia Hess, in «La Città», 17 agosto 1997. 366 – Solo silenzi e improvvisazione, in «La Città», 19 agosto 1997. 367 – Wojtyla un grande pontefice, in «La Città», 22 agosto 1997. 59 368 – Napoli, l’hegelismo e la filosofia civile, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 agosto, 1997. 369 – Intellettuali, liberatevi della società spettacolo, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 settembre 1997. 370 – Berlino la “rossa”, in «La Città», 27 settembre 1997. 371 – La Berlino delle piazze, in «La Città», 28 settembre 1997. 372 – Filosofi a confronto nel nome di Valitutti, in «La Città», 1 ottobre 1997. 373 – La “Cosa 2” non sia il comitato di De Luca, in «La Città», 5 ottobre 1997. 374 – Berlino, oltre il muro, in «La Città», 5 ottobre 1997. 375 – Berlino, storia senza “lezioni”, in «La Città», 12 ottobre 1997. 376 – La civiltà delle “illusioni”, in «La Città», 15 ottobre 1997 377 – Staatsbibliothek, miracolo tedesco, in «La Città», 18 ottobre 1997. 378 – Immagini della Germania. Arte da un paese diviso, in «La Città», 26 ottobre 1997. 379 – Bohème e dittatura DDR. Ribelli nel segno dell’arte, in «La Città», 2 novembre 1997. 380 – I politici? Ultimi in classifica, in «La Città», 5 novembre 1997. 381 – La filosofia del lavoro e le riflessioni di Vico, in «Corriere del Mezzogiorno», 7 novembre 1997. 382 – Amarcord Brandeburgo. Pennellate sulla memoria, in «La Città», 9 novembre 1997. 383 – Fantasmi comunisti nella “metafisica” Halle, in «La Città», 16 novembre 1997. 384 – Con la collaborazione di tutti si può stroncare il fenomeno, in «La Città», 16 novembre 1997. 385 – Bravo, ma dopo di lui?, in «Corriere del Mezzogiorno», 19 novembre 1997. 386 – Che saggio quel clown! Fo, profeta fuori patria, in «La Città», 23 novembre 1997. 60 387 – Mezzogiorno e politica. La lezione di Machiavelli, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 novembre 1997. 388 – Lipsia, gli ultimi venti e la rivoluzione, in «La Città», 29 novembre 1997. 389 – Salerno raccontata via etere, in «La Città», 7 dicembre 1997. 390 – Così lontani così vicini. Miopi verso l’Europa, in «La Città», 14 dicembre 1997. 391 – Il nipote di Heidegger, in «La Città», 21 dicembre 1997. 392 – Le ragioni del compromesso, in «La Città», 24 dicembre 1997. 393 – Dresda, l’arte è servita, in «La Città», 28 dicembre 1997. 394 – Siamo più poveri. Gravi le colpe, in «La Città», 30 dicembre 1997. 395 – Lettere di viaggiatori tedeschi da Salerno e dintorni, in «La Provincia di Salerno», n. 2, dicembre 1997, pp. 15-18. * * * 1998 A) 396 – La quercia di Goethe. Note di viaggio dalla Germania, introduzione di P. Chiarini, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. B) 397 – Voce Storicismo, in N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione, Torino, Utet, 1998, pp. 1051-1053. 398 – Voce Storiografia, in N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione, Torino, Utet, 1998, pp. 1056-1057. 61 399 – Die Tradition des problematisch-kritischen Historismus im Rahmen der italienischen philosophischen Kultur der zweiten Hälfte des 20 Jahrhunderts, in «Geschichte und Gegenwart», 17, 1998, n. 2, pp. 121-125. 400 – Bio-Bibliographie von Fulvio Tessitore, in F. Tessitore, Wilhelm von Humboldt und der Historismus, Nürnberg, Seubert Verlag, 1998, pp. 43-47. 401 – Dilthey e Cassirer interpreti del Rinascimento, in «Rinascimento», vol. XXXVII, 1997 [edito nel 1998], pp. 45-63. 402 – Gli studi su Vico fuori d’Italia nelle ricerche del “Centro di Studi vichiani”, in F. Fanizza, M. Signore (a cura di), Filosofia in dialogo. Scritti in onore di Antimo Negri, Roma, Pellicani Editore, 1998, pp. 111-135. 403 – Bloch su Feuerbach, in W. Jaeschke, F. Tomasoni (a cura di), Ludwig Feuerbach und die Geschichte der Philosophie, Berlin, Akademie Verlag, 1998, pp. 363-385. 404 – Düsseldorf: la partecipazione dell’Ateneo fridericiano alle giornate di cultura italiane, in «Notiziario», Università degli Studi di Napoli Federico II, III, 1998, nn. 18-19, pp. 47-51. 405 – Filosofia e storia a Napoli nel ’900, in «Notiziario», Università degli Studi di Napoli Federico II, III, 1998, nn. 18-19, pp. 51-68. 406 – Ethik und Geschichtsphilosophie im kritischen Historismus, in D. Losurdo (hrsg.), Geschichtsphilosophie und Ethik, Frankfurt a. M., Peter Lang Verlag, 1998, pp. 57-86. 407 – La hermenéutica de Vico entre filosofía y filología, in «Intersticios. Filosofía, Arte, Religión», Universidad Intercontinental de México, 3, 1997-1998, n. 6, pp. 93-98. 408 – Hegel e la religione nell’interpretazione di Dilthey, in R. Bonito Oliva, G. Cantillo (a cura di), Fede e Sapere. La genesi del pensiero del giovane Hegel, Milano, Guerini e Associati, 1998, pp. 402-417. 409 – Antonio Genovesi economista e riformatore, in «Rassegna storica salernitana», XV, 1998, n. 30, pp. 103-116. 62 410 – Le fait e la fiction. Storicità e vita nel pensiero di Bernhard Groethuysen, in «Rivista di storia della filosofia», 1998, n. 2, pp. 267-287. 411 – Filosofia della pratica e filosofia pratica in Croce, in P. Bonetti (a cura di), Per conoscere Croce, Napoli, ESI, 1998, pp. 213-230. F) 412 – Nuovi itinerari per la storia della cultura, presentazione di A. Giugliano, La storia della cultura fra Gothein e Lamprecht, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998, pp. 5-11. 413 – Un “intermezzo” vichiano sul concetto di cittadinanza, introduzione a G. Cordini, Studi giuridici in tema di cittadinanza, Napoli, Metis, 1998, pp. 5-10. 414 – Vita, coscienza storica e visioni del mondo, prefazione a W. Dilthey, La dottrina delle visioni del mondo, Napoli, Guida, 1998, pp. I-IX. G) 415 – Senza tetto al di là del muro, in «La Città», 4 gennaio 1998. 416 – L’onda d’urto del revisionismo lato “inedito” della Resistenza, in «La Città», 6 gennaio 1998. 417 – Gli occhi dei bambini e la topografia del terrore, in «La Città», 11 gennaio 1998. 418 – Scongiuro granata in salsa partenopea, in «La Città», 17 gennaio 1998. 419 – La scuola napoletana rilegge Hegel, in «Corriere del Mezzogiorno», 18 gennaio 1998. 420 – Una birra al tavolo della filosofia, in «La Città», 18 gennaio 1998. 421 – L’altra faccia di Spencer Tracy, in «Corriere del Mezzogiorno», 24 gennaio 1998. 63 422 – La quercia di Goethe sulle ceneri di Buchenwald, in «La Città», 25 Gennaio 1998. 423 – Così il modello americano ha stregato Amburgo e Brema, in «La Città», 1 febbraio 1998. 424 – Noi cittadini in ospedale, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 febbraio 1998. 425 – Millennium. Chimere e paure, in «La Città», 8 febbraio 1998. 426 – Vico e la cultura francese. Modernità di un rapporto, in «Corriere del Mezzogiorno», 13 febbraio 1998. 427 – Vico, la storia nel castello, in «La Città», 15 febbraio 1998. 428 – Editoria, la fabbrica dei casi, in «La Città», 22 febbraio 1998. 429 – La filosofia e i “nipotini” di Kant, in «La Città», 1 marzo 1998. 430 – La Berlino di Brecht e di Mann, in «La Città», 10 marzo 1998. 431 – I grovigli positivistici. Errico De Marinis tra politica e sociologia, in «La Città», 15 marzo 1998. 432 – Bene il decisionismo. Ma la progettualità?, in «La Città», 18 marzo 1998. 433 – Berlino espressionista, in «La Città», 24 marzo 1998. 434 – Le tentazioni del leaderismo, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 marzo 1998. 435 – Il decalogo neo-liberale di De Luca, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 marzo 1998. 436 – Intellettuali dove siete finiti?, in «La Città», 1 aprile 1998. 437 – Gli artigli dell’editoria minore, in «La Città», 3 aprile 1998. 438 – È morto Menna, il patriarca della “grande Salerno”, in «Corriere del Mezzogiorno”, 11 aprile 1998. 439 – Il sol levante riscoperto. Altri studi di storia orientale, in «La Città», 12 aprile 1998. 440 – Razzismo off limits, in «La Città», 21 aprile 1998. 64 441 – L’aberrazione della sproporzione tra il reato e la condanna, in «La Città», 22 aprile 1998. 442 – Tributo “di piazza” per Valitutti, in «La Città», 24 aprile 1998. 443 – L’urlo impegnato della politica, in «La Città», 5 maggio 1998. 444 – Bruno dalle censure al futuro, in «La Città», 8 maggio 1998. 445 – Giordano Bruno sopravvalutato?, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 maggio 1998. 446 – La risorsa che ignoravamo, in «Corriere del Mezzogiorno», 12 maggio 1998. 447 – La forza? A Partenope. La Napoli degli intellettuali liberi, in «La Città», 23 maggio 1998. 448 – Il Novecento a Napoli. Modernità e arcaismo, in «Il Corriere del Mezzogiorno», 26 maggio 1998. 449 – Nella città senza memoria, in «La Città», 10 giugno 1998. 450 – Cassandra abitava a Sarno, in «La Città», 13 giugno 1998. 451 – La linea di ‘frontiera’ della scienza politica, in «La Città», 23 giugno 1998. 452 – Centocinquanta saggi per festeggiare Tessitore, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 giugno 1998. 453 – Le ali blu e gli squarci rossi della storia, in «La Città», 30 luglio 1998. 454 – Sarno protesta. La politica frana, in «Corriere del Mezzogiorno», 1 agosto 1998. 455 – Il contenitore amorfo dell’estate, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 agosto 1998. 456 – La politica dei re nudi, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 agosto 1998. 457 – Ma il Novecento non è solo scontro tra totalitarismi, in «Il Mattino», 1 settembre 1998. 458 – Il viaggio di Bodei nell’identità nazionale, in «La Città», 20 settembre 1998. 65 459 – Autodafé oltre il luogo comune, in «La Città», 1 ottobre 1998. 460 – Il barone assediato. Meridione e latifondo nell’era dei Borbone, in «La Città», 11 ottobre 1998. 461 – Un’etica per la bioetica, in «Corriere del Mezzogiorno», 14 ottobre 1998. 462 – Il PCI secondo Galasso. Viaggio fino alla Quercia, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 ottobre 1998. 463 – Quel “Manifesto” vecchio di 150 anni è ancora vivo nel dibattito attuale, in «Corriere del Mezzogiorno», 9 dicembre 1998. 464 – 1799: ecco il boom degli ideali, in «La Città», 18 dicembre 1998. 465 – L’Occidente che non ama il dissenso, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 dicembre 1998. 466 – Condannati dai numeri al ruolo di fanalino di coda, in «La Città», 29 dicembre 1998. * * * 1999 A) 467 – Metafisica. Appunti dalle lezioni a.a. 1998-1999, Napoli, E.DI.SU., 1999. 468 – Giordano Bruno, Napoli, Metis, 1999. 469 – G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, H. Poser, M. Sanna (a cura di), La filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell’età di Wolff e Vico, Napoli, Guida, 1999. B) 470 – Etica esistenziale e filosofia pratica in Nicola Abbagnano, in M. Delpino, P. Riceputi (a cura di), Nicola Abba- 66 gnano. L’uomo e il filosofo, S. Margherita Ligure, Edizioni Tigullio, 1999, pp. 18-48. 471 – La dimensione civile, in M. Delpino, P. Riceputi (a cura di), Nicola Abbagnano. L’uomo e il filosofo, S. Margherita Ligure, Edizioni Tigullio, 1999, pp. 15-17. 472 – Il Positivismo e la storia, in A. Coco (a cura di), Le passioni dello storico. Studi in onore di Giuseppe Giarrizzo, Catania-Roma, Edizioni del Prisma, 1999, pp. 115-130. 473 – Bloch, il male, l’utopia, in P. Amodio, R. De Maio, G. Lissa (a cura di), La Sho’ah tra interpretazione e memoria, Napoli, Vivarium, 1999, pp. 337-359. 474 – Bloch, das Böse und die Utopie, in «Dialektik», 1999, n. 2, pp. 131-150. 475 – Giambattista Vico: l’ordine della “comunità” e il senso comune della “differenza”, in F. Ratto (a cura di), All’ombra di Vico. Testimonianze e saggi vichiani in ricordo di Giorgio Tagliacozzo, Ripatransone, Edizioni Sestante, s.i.d., pp. 191-199. 476 – Etica filosofica ed etica politica in Giovanni Amendola, in M.R. De Divitiis (a cura di), Giovanni Amendola. Una vita per la democrazia, Napoli, Arte Tipografica, 1999, pp. 237-250. 477 – Osservazioni in margine alla ricerca vichiana nella Spagna contemporanea, in A. Quarta, P. Pellegrino (a cura di), Humanitas. Studi in memoria di Antonio Verri, 2 voll., Galatina, Congedo Editore, 1999, vol. I, pp. 63-70. 478 – Storia, memoria e vita nella Napoli di Fulvio Tessitore, in «Ora Locale», III, n. 2, 1999, p. 3. 479 – Nuove soggettività per il Mezzogiorno europeo, in «Ora Locale», III, 1999, n. 2, p. 13. 480 – Il Novecento non è solo scontro tra totalitarismi, in E. Nolte, Le ragioni della storia, a cura di C. Marco, Cosenza, Marco Editore, 1999, pp. 124-126. 481 – Intellettuale a tutto campo, in E. Todaro (a cura di), Una vita per l’arte. Gli ottant’anni di Carmine Manzi, Salerno, Boccia Edizioni, 1999, pp. 32-36. 482 – Note sull’attualità del pensiero etico di Giuseppe 67 Capograssi, in «Bollettino Filosofico», (Filosofia e storia delle idee. Studi in onore di Francesco Crispini), 1999, n. 15, pp. 53-64. 483 – Hegel e la religione nell’interpretazione di Wilhelm Dilthey, in G. Luongo (a cura di), Munera Parva. Studi in onore di Boris Ulianich, 2 voll., Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, 1999, vol. II, pp. 435-451. 484 – Gramsci: problemi di etica nei Quaderni, in G. Vacca (a cura di), Gramsci e il Novecento, 2 voll., Roma, Carocci Editore, 1999, vol. II, pp. 123-139. 485 – Voce Erlebnis, in H.G. Sandkühler (a cura di), Enzyklopädie Philosophie, Hamburg, Meiner Verlag, vol. I, pp. 356-358. 486 – Voce Historismus, in H.G. Sandkühler (hrsg.), Enzyklopädie Philosophie, Hamburg, Meiner Verlag, vol. I, pp. 551-556. 487 – Voce Geschichtsphilosophie, in H.G. Sandkühler (hrsg.), Enzyklopädie Philosophie, Hamburg, Meiner Verlag, vol. II, pp. 1073-1081; 1087-1090. 488 – Il Premio Salvatore Valitutti, in «L’Agenda», n.s., III, novembre 1999, n. 30, pp. 10-11. 489 – Gli studi su Vico fuori d’Italia nelle ricerche del “Centro di Studi Vichiani”, in M. Agrimi (a cura di), Giambattista Vico nel suo tempo e nel nostro, Napoli, CUEN, 1999, pp. 549-577. 490 – Il pensiero e l’opera di Salvatore Valitutti, in «Rassegna storica salernitana», XVI, 1999, n. 32, pp. 255-264. 491 – Dilthey und Cassirer über die Renaissance, in E. Rudolph (hrsg.), Cassirers Weg zur Philosophie der Politik, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1999, pp. 113-131. 492 – In ricordo di Fausto Nicolini, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998-1999, pp. 221-226. 493 – Intervento al Seminario di presentazione dell’edizione critica di Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998-1999, pp. 254-257. 494 – L’edizione degli scritti postumi di Cassirer, in «Archivio di storia della cultura», XII, 1999, pp. 167-170. 68 495 – Omaggio a Giuseppe Giarrizzo, in «Archivio di storia della cultura», XII, 1999, pp. 203-209. 496 – Filosofia “civile” e filosofia “pratica” in Vico, in G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, H. Poser, M. Sanna (a cura di), La filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell’età di Wolff e Vico, Napoli, Guida, 1999, pp. 25-44. C) 497 – Recensione di L. Amoroso, Nastri vichiani, Pisa, ETS, 1997, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998-1999, pp. 280-283. 498 – Recensione di «Cuadernos sobre Vico», V-VI, 1995-1996; VII-VIII, 1997, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998-1999, pp. 343-353. D) 499 – Scheda di S. Martelli, La floridezza di un reame. Circolazione e persistenza della cultura illuministica meridionale, Salerno, Pietro La Veglia editore, 1996, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998- 1999, pp. 398-401. 500 – Scheda di G. Paganini, Vico et Gassendi: de la prudence à la politique, «Nouvelles de la republique des lettres», 1995, II, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998-1999, pp. 409-410. 501 – Scheda di J.M. Sevilla Fernández, Ciencia Nueva, «Ajoblanco», LXXVII, 1995, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998-1999, p. 418. 502 – Scheda di J.M. Sevilla Fernández, El enigma de un clásico, «Lateral. Revista del Cultura», 1996, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXVIII-XIX, 1998-1999, pp. 418-419. 69 F) 503 – Andrea Torre, filosofo ed educatore, introduzione a A. Torre, Saggi filosofici e pedagogici, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore, 1999, pp. 9-70. 504 – Introduzione a P. Villari, Teoria e filosofia della storia, a cura di M. Martirano, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 7-23. 505 – Presentazione (in collab. con R. Cangiano) di La Provincia di Salerno per Salvatore Valitutti, Salerno, Provincia di Salerno, 1999, pp. 4-6. 506 – Introduzione (in collab. con V. Gessa Kurotschka) a G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, H. Poser, M. Sanna (a cura di), La filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell’età di Wolff e Vico, Napoli, Guida, 1999, pp. V-XVII. G) 507 – Episodio criminale, in «La Città», 14 gennaio 1999. 508 – Il “controcanto” salernitano, in «Cronache del Mezzogiorno», 14 gennaio 1999. 509 – A lezione di diritti umani, in «La Città», 23 gennaio 1999. 510 – Il Referendum non ci salverà, in «Corriere del Mezzogiorno», 9 febbraio 1999. 511 – Camorrista. Un insulto senza limiti, in «Corriere del Mezzogiorno», 16 febbraio 1999. 512 – Un impegno collettivo, in «La Città», 28 febbraio 1999. 513 – “Napoli capitale” secondo Galasso, una lezione sulla contemporaneità della storia, in «Corriere del Mezzogiorno», 24 marzo 1999. 514 – La rivoluzione attiva del Sud, in «La Città», 28 marzo 1999. 515 – Quegli oscuri conflitti della fede, in «La Città», 10 aprile 1999. 70 516 – “La mia Napoli”, autobiografia intellettuale tra ricordi e pensieri, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 aprile 1999. 517 – Salernitani per la Liberazione, in «La Città», 23 aprile 1999. 518 – Troppe analisi “nordiste”, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 aprile 1999. 519 – Colpevole tolleranza, in «Corriere del Mezzogiorno», 25 maggio 1999. 520 – L’impolitico della democrazia, in «La Città», 1 giugno 1999. 521 – La plebe inesistente di Salerno, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 giugno 1999. 522 – Salerno saluta Kristeller, in «La Città», 12 giugno 1999. 523 – Incontri ravvicinati con cultura, letteratura e politica del Sud America, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 giugno 1999. 524 – Cari esangui cultori nichilisti, lo storicismo napoletano è vivo e invidiato, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 luglio 1999. 525 – Quel popolo in bilico tra ragione e sentimento, in «La Città», 3 agosto 1999. 526 – Lo storicismo messo alla gogna, in «Corriere del Mezzogiorno», 15 agosto 1999. 527 – Dopo l’urbanistica un sintomo di svolta, in «La Città», 7 novembre 1999. 528 – Non siamo un’isola felice, in «La Città», 21 novembre 1999. 529 – Tattiche e passioni del burocrate illuminato, in «La Città», 24 novembre 1999. 530 – Salerno e il destino dei numeri, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 dicembre 1999. 531 – Una terza via tra ottimismo e pessimismo, in «La Città», 27 dicembre 1999. * * * 71 2000 A) 532 – L’etica dello storicismo, Lecce, Milella edizione, 2000. 533 – G. Cacciatore, I. Gallo, A. Placanica (a cura di), Opera (Storia di Salerno), Pratola Serra, Sellino Editore, 2000. 534 – M. Beetz, G. Cacciatore (hrsg.), Hermeneutik im Zeitalter der Aufklärung, Köln Weimar Wien, Böhlau Verlag, 2000. B) 535 – Le fait et la fiction. Historicité et vie dans la pensée de Bernhard Groethuysen, in «L’art du comprendre», janvier 2000, n. 9, pp. 14-32. 536 – Esiste una filosofia italiana?, in «Palomar», marzoaprile 2000, n. 1, pp. 80-86. 537 – Die Hermeneutik Vicos zwischen Philosophie und Philologie, in M. Beetz, G. Cacciatore (hrsg.), Hermeneutik im Zeitalter der Aufklärung, Köln Weimar Wien, Böhlau Verlag, 2000, pp. 311-330. 538 – America latina e pensiero europeo nella “filosofia del viaggio” di Ernesto Grassi, in «Cultura latinoamericana», annali 1999-2000, nn. 1-2, pp. 367-381. 539 – Marxismo e storia nel carteggio Labriola-Croce, in G. Giordano (a cura di), Gli epistolari dei filosofi italiani (1850- 1950), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000, pp. 89-112. 540 – Etica e filosofia della storia nello storicismo critico, in G. Cantillo, F.C. Papparo (a cura di), Genealogia dell’umano. Saggi in onore di Aldo Masullo, Napoli, Guida Editori, 2000, t. II, pp. 473-499. 541 – Individualità ed etica: Vico e Dilthey, in A. Ferrara, V. Gessa Kurotschka, S. Maffettone (a cura di), Etica individuale e giustizia, Napoli, Liguori, 2000, pp. 241-267. 542 – Di una nuova traduzione e commento della Repub- 72 blica platonica, «Rivista di storia della filosofia», 2000, n. 2, pp. 229-234. 543 – Mediterraneo tra geopolitica e filosofia, in «L’Acropoli», I, 2000, n. 2, pp. 164-172. 544 – La sinistra tra omologazione culturale e frammentazione partitica, in «Ora Locale», IV, 2000, n. 1, pp. 3-4. 545 – Alfonso Menna. Un secolo di storia salernitana, in «L’Agenda di Salerno e Provincia», gennaio 2000, n. 32, pp. 9-11. 546 – Salerno fra anni Ottanta e Novanta. Ascesa e crollo di un sistema di potere, in «L’Agenda di Salerno e Provincia», aprile 2000, n. 35, pp. 22-24. 547 – Brigantaggio. Vecchi e nuovi itinerari interpretativi, in «Rassegna Storica Irpina», 1998 [stampato nel settembre 2000], nn. 15-16, pp. 221-226. 548 – Storie di vita e storie reali ne L’ombra della sera di Mario Postiglione, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., XVII/2, 2000, n. 34, pp. 271-275. 549 – Sull’opera di Ruggero Moscati, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., XVII/2, 2000, n. 34, pp. 281-286. 550 – Poesia e storia in Vico, in F. Ratto (a cura di), Il mondo di Vico / Vico nel mondo. In ricordo di Giorgio Tagliacozzo, Perugia, Guerra, 2000, pp. 143-156. 551 – Politica, nazione e Stato in Karl Lamprecht, in «Società e Storia», 2000, n. 88, pp. 309-322. 552 – Appunti per un dibattito su Fides et Ratio, in «Archivio di storia della cultura», XIII, 2000, pp. 193-201. C) 553 – Recensione di V. Vitiello, Vico e la topologia, Napoli, Cronopio, 2000, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXX, 2000, pp. 262-268. 554 – Recensione di «Cuadernos sobre Vico» IX-X, 1998, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXX, 2000, pp. 283-291. 73 F) 555 – All’ombra di Vico. Testimonianze e studi vichiani in ricordo di G. Tagliacozzo, presentazione di F. Ratto (a cura di), Il mondo di Vico / Vico nel mondo. In ricordo di Giorgio Tagliacozzo, Perugia, Guerra, 2000, pp. 447-449. 556 – Introduzione a G. Cacciatore, I. Gallo, A. Placanica (a cura di), Opera (Storia di Salerno), Pratola Serra (AV), Sellino Editore, 2000, pp. 13-17. 557 – Prefazione a G. Di Costanzo, Lo storicismo realistico di Otto Hintze, Bari, Palomar, 2000, pp. 5-10. 558 – Introduzione a M. Sanna, A. Stile (a cura di), Vico tra l’Italia e la Francia, Napoli, Guida, 2000, pp. 9-12. 559 – Prefazione a G. Magnano San Lio, Filosofia e storiografia. Fondamenti teorici e ricostruzione storica in Dilthey, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000, pp. 7-10. G) 560 – De Luca, ammuffita è la politica, in «Corriere del Mezzogiorno», 5 gennaio 2000. 561 – Referendum sul lavoro. È vero, il Far West già c’è, ma non si batte con un sì, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 gennaio 2000. 562 – Referendum e Mezzogiorno. Pagano i sindacati, in «Salerno 2000», I, 2 febbraio 2000, n. 3, p. 1. 563 – Una grande testa poggiata su un gracile corpo, in «Salerno 2000», I, 9 febbraio 2000, n. 4, p. 1. 564 – Bassolino e De Luca senza ricambio di classe dirigente, in «Salerno 2000», I, 1 marzo 2000, n. 7, p. 1. 565 – Maffettone, la filosofia del nuovo millennio punta sul “valore della vita”, in «Corriere del Mezzogiorno», 9 marzo 2000. 566 – Ma Vyšinskij era un inquisitore senza controlli, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 21 marzo 2000. 567 – La sinistra e l’unità smarrita, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 aprile 2000. 74 568 – Le ragioni del cuore e quelle dei diessini (in collab. con A. Piscopo), in «La Città», 29 aprile 2000. 569 – Il patrimonio del cinema muto, in «La Città», 30 aprile 2000. 570 – Fatima, “bagliore” che brucia secoli di laicismo, in «Corriere del Mezzogiorno», 16 maggio 2000. 571 – In ricordo di Achille Mango, in «Cronache del Mezzogiorno», 23 maggio 2000. 572 – Sfida di un giornale, in «La Città», 23 maggio 2000. 573 – Moscati intellettuale vero, in «La Città», 23 maggio 2000. 574 – Gerratana, un rosso sotto il sole di Vietri, in «La Città», 21 giugno 2000. 575 – Galasso. Storicismo e dintorni, in «Corriere del Mezzogiorno», 25 giugno 2000. 576 – Insigne riformista al servizio del paese, in «La Città», 4 luglio 2000. 577 – Cosa resta della festa, in «La Città», 21 agosto 2000. 578 – I salernitani alla riscossa, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 settembre 2000. 579 – Gabelli e l’identità italiana: biografia di un originale positivista, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 settembre 2000. 580 – Racinaro “rilegge” il diritto penale: una denuncia della crisi della giustizia, in «Corriere del Mezzogiorno», 24 ottobre 2000. 581 – Quando si spia dalla serratura, in «La Città», 25 ottobre 2000. 582 – I ceti nobiliari dell’antica Salerno in un volume, in «La Città», 25 novembre 2000. 583 – Franchini, un crociano che trovò la sua autonomia, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 dicembre 2000. * * * 75 2001 A) 584 – G. Cacciatore, P. Colonnello, D. Jervolino (a cura di), Ermeneutica, Fenomenologia, Storia, Napoli, Liguori, 2001. B) 585 – Costituzione europea e identità nazionali, in «Mezzogiorno Europa», II, n. 1, pp. 1-4. 586 – Filosofia e storia a Napoli nel Novecento, in «Horizonte. Italianistische Zeitschrift für Kulturwissenschaft und Gegenwartsliteratur», V, 2000 [pubblicato nel 2001], pp. 169-184. 587 – Tradizione meridionalistica e “nuovi pensieri” sul Sud, in «Ora locale», IV, marzo-aprile 2001, n. 3, pp.1 e 13. 588 – Storia e natura nella tipologia diltheyana delle Weltanschauungen, in D. Conte, E. Mazzarella (a cura di), Il concetto di tipo tra Ottocento e Novecento, Napoli, Liguori, 2001, pp. 235-246. 589 – Individualidad y ética: Vico y Dilthey, in «Cuadernos sobre Vico», 1999-2000 [pubblicato nel 2001], nn. 11- 12, pp. 81-96. 590 – La storiografia filosofica italiana tra storia delle idee e storia della cultura, in «Rivista di Storia della filosofia», n.s., LVI, 2001, n. 2, pp. 205-224. 591 – Libertà e storia delle idee in Isaiah Berlin, in «L’Acropoli», II, 2001, n. 3, pp. 363-365. 592 – Sul voto meridionale guardarsi dalle semplificazioni, in «Mezzogiorno Europa», II, 2001, n. 3, pp. 16-17. 593 – La tradizione storicistica nell’Italia del Novecento, in «Palomar”, I, 2001, n. 6, pp. 15-27. 594 – Storicismo ed ermeneutica, in G. Cacciatore, P. Colonnello, D. Jervolino (a cura di), Ermeneutica, Fenomenologia, Storia, Napoli, Liguori, 2001, pp. 55-74. 76 595 – Il concetto di “cittadinanza” in Giambattista Vico, in E. Hidalgo-Serna, M. Marassi, J.M. Sevilla Fernández, J. Villalobos (a cura di), Pensar para el nuevo Siglo. Giambattista Vico y la cultura europea, 3 voll., Napoli, La Città del Sole, 2001, vol. II, Vico y la cultura europea, pp. 389-407. 596 – Machiavelli e l’Italia moderna nelle analisi di Francesco De Sanctis e Pasquale Villari, in G. Borrelli (a cura di), Machiavelli e la cultura politica del meridione d’Italia, Napoli, Archivio della Ragion di Stato (Quaderno n. 2), 2001, pp. 206-225. 597 – Etica dello storicismo e filosofia pratica nel pensiero di Piovani, in «Archivio di storia della cultura», XV, 2001, pp. 27-43. 598 – La democracia de los derechos: una visión comparada de la Carta Europea de Niza y la Constitución Venezolana de 1999, in «Telos. Revista de Estudios Interdisciplinarios», Maracaibo, Universidad URBE, III, 2001, n. 3, pp. 287-295. 599 – Amore, solitudine, metafisica del vissuto. Su alcuni motivi poetici di Vicente Gerbasi, in V. Galeota, A. Scocozza (a cura di), Orillas. Studi in onore di Giovanni Battista De Cesare. Il mondo iberoamericano, 2 voll., Salerno, Edizioni del Paguro, 2001, vol. II, pp. 27-35. C) 600 – Recensione di G. Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il Mulino, 2000, in «Intersezioni», XXI, 2001, n. 1, pp. 203-208. F) 601 – Introduzione a E. Todaro, Penalisti in toga, Salerno, Boccia Edizioni, s.d., 2001, pp. 7-14. 602 – Presentazione di G. Amarante, Memoria storica. Scritti vari 1997-2000, Salerno, Edizioni Marte, 2001, pp. 9-13. 603 – Presentazione (in collab. con P. Colonnello, D. 77 Jervolino) di G. Cacciatore, P. Colonnello, D. Jervolino (a cura di), Ermeneutica, Fenomenologia, Storia, Napoli, Liguori, 2001, pp. 1-4. G) 604 – Preferii Calogero a Carbonara, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 gennaio 2001. 605 – Tutto previsto, molti hanno taciuto, in «Corriere del Mezzogiorno», 9 gennaio 2001. 606 – Ruggero Moscati e la tradizione liberale italiana, in «L’Agenda di Salerno e provincia», V, gennaio 2001, n. 43, pp. 15-16. 607 – La fine del comunismo nella “filosofia” di Occhetto, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 gennaio 2001. 608 – E ora basta esagerazioni, in «La Città», 3 febbraio 2001. 609 – Vecchi principi del foro e nuovi rampolli a confronto, in «La Città», 27 febbraio 2001. 610 – Tra Cassandre e novelli manager della cultura, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 febbraio 2001. 611 – Sinergie positive per sfruttare le risorse, in «La Città», 28 febbraio 2001. 612 – Caro Masullo, torna in campo, in «Corriere del Mezzogiorno», 18 marzo 2001. 613 – Gerratana, lo storico del marxismo che ancora adesso può far riflettere la sinistra, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 aprile 2001. 614 – Salzano, non citarmi. Esigo più rispetto per la mia coerenza, in «Corriere del Mezzogiorno», 13 aprile 2001. 615 – Omaggio a Valentino Gerratana, in «L’agenda di Salerno e provincia», maggio 2001, n. 47, p. 8. 616 – La sinistra e De Luca, in «La Città», 16 maggio 2001. 617 – Uno storico con le stellette racconta il dramma dell’emigrazione, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 giugno 2001. 78 618 – La “Isla” felice della cultura ispanica, in «La Città», 23 giugno 2001. 619 – Quel busto trafugato e l’indifferenza della città per la sua memoria, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 luglio 2001. 620 – DS oltre il risentimento, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 luglio 2001. 621 – Caro Musi…, in «Corriere del Mezzogiorno», 2 agosto 2001. 622 – Ho aderito a quell’appello e non intendo pentirmi, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 agosto 2001. 623 – I granata e il grande sogno del filosofo, in «Guida al campionato di calcio 2001-2002», supplemento a «La Città», 26 agosto 2001, p. 26. 624 – L’Agenda festeggia 50 numeri, in «La Città», 15 settembre 2001. 625 – Globalizzazione, un processo ambiguo da “addomesticare”, in «Corriere del Mezzogiorno», 12 ottobre 2001. 626 – DS a congresso, troppe pratiche da basso impero, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 ottobre 2001. 627 – Si scrive divisione, si legge estinzione, in «Il Mattino», 17 novembre 2001. 628 – Sylos Labini dà giudizi filosofici discutibili, in «Corriere del Mezzogiorno», 7 dicembre 2001. * * * 2002 A) 629 – Metaphysik, Poesie und Geschichte. Über die Philosophie von Giambattista Vico, Berlin, Akademie Verlag, 2002, pp. 235. 630 – G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Il Manifesto del partito comunista a 150 anni dalla sua pubblicazio- 79 ne, numero monografico di «Diritto e Cultura», X, 2000 [stampato nel 2002], n. 1-2. 631 – G. Cacciatore, R. Cangiano (a cura di), Per Salvatore Valitutti, Salerno, Provincia di Salerno, 2002. B) 632 – Il Manifesto tra “criticità” delle idee e immagini “funerarie”, in G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Il Manifesto del partito comunista a 150 anni dalla sua pubblicazione, numero monografico di «Diritto e Cultura», X, 2000 [stampato nel 2002], n. 1-2, pp. 7-14. 633 – Le filosofie dello storicismo italiano, in P. Di Giovanni (a cura di), Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 343-365. 634 – Etica, utopia, rivoluzione, in E. Granito, M. Schiavino (a cura di), Utopia e rivoluzione, Napoli, La Città del Sole, 2002, pp. 83-105. 635 – Etica e principio speranza, in G. Cantillo, G. Mangrella (a cura di), Politica, arte, religione nel pensiero utopico di Ernst Bloch, «Quaderni del Centro studi di filosofia e teoria delle scienze umane Maurizio Mangrella», Salerno, Boccia, 2002, pp. 61-76. 636 – Storicismo e Historismus a confronto nella seconda metà del Novecento, in M. Martirano, E. Massimilla (a cura di), I percorsi dello storicismo italiano nel secondo Novecento, Quaderni dell’«Archivio di storia della cultura», n.s., vol. 3, Napoli, Liguori editore, 2002, pp. 157-181. 637 – Quale Europa vogliamo costruire. Non bastano entusiasmo e fedeltà, in «Mezzogiorno Europa», III, 2002, n. 1, pp. 1 e 5-7. 638 – Un deficit di risposte alle insicurezze, in «Mezzogiorno Europa», III, 2002, n. 4, pp. 1 e 8-10. 639 – Un pesante deficit di ricerca storica e sociologica, in «Mezzogiorno Europa», III, 2002, n. 5, pp. 29-30. 640 – Relativo e sapere del relativo, in «L’Acropoli», III, 2002, n. 3, pp. 322-328. 80 641 – Liberalismo filosofico e liberalismo politico in Valitutti, in G. Cacciatore, R. Cangiano (a cura di), Per Salvatore Valitutti, Salerno, Provincia di Salerno, 2002, pp. 19-29. 642 – Etica e diritti umani nella democrazia. Una prospettiva comparata, in «Cultura latinoamericana», 2002, n. 4, pp. 217-241. 643 – La filosofia italiana tra storia europea e tradizione nazionale, in N. Pirillo (a cura di), I filosofi e la città, Dipartimento di Scienze filologiche e storiche, Trento, Editrice Università degli Studi di Trento, 2002, pp. 293-310. 644 – Simbolo e segno in Vico. La storia tra fantasia e razionalità, in «Il Pensiero», n.s., XLI, 2002, n. 1, pp. 77-89. 645 – Machiavelli e l’Italia moderna nelle analisi di Francesco De Sanctis e Pasquale Villari, in G. Bentivegna, S. Burgio, G. Magnano San Lio (a cura di), Filosofia Scienza Cultura. Studi in onore di Corrado Dollo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, pp. 95-120. 646 – Il giorno della memoria. Monito per i giovani, in «L’Agenda di Salerno e provincia», VI, 2002, n. 55, pp. 23-24. 647 – La transumanza, in «L’Agenda di Salerno e provincia», VI, 2002, n. 61, pp. 23-24. 648 – Il Mediterraneo tra idea filosofico-culturale e progetto politico, in «Critica Marxista», n. 5-6, 2002, pp. 56-64. 649 – Le “nonne coraggio” argentine, in «Critica Marxista», n. 5-6, 2002, pp. 117-120. 650 – Lo storicismo “prospettico” di Raffaello Franchini, in G. Cotroneo, R. Viti Cavaliere (a cura di), Il diritto alla filosofia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, pp. 41-48. 651 – Storicismo e antistoricismo tra Croce e Gentile, in P. Colonnello, G. Spadafora (a cura di), Croce e Dewey cinquanta anni dopo, Napoli, Bibliopolis, 2002, pp. 89-106. 652 – Congedo, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXI-XXXII, 2001-2002, pp. 5-9. 653 – Passioni e ragione nella filosofia civile di Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXI-XXXII, 2001-2002, pp. 97-114. 81 654 – Musica e Utopia, in «Rivista di storia della filosofia», 2002, n. 4, pp. 627-630. F) 655 – Presentación de las Actas de Sevilla (a proposito del volume Pensar para el nuevo siglo. Vico y la cultura europea), in «Cuadernos sobre Vico», 2001-2002, nn. 13-14, pp. 283-286. 656 – Premessa (in collab. con M. Martirano) a G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Il Manifesto del partito comunista a 150 anni dalla sua pubblicazione, numero monografico di «Diritto e Cultura», X, 2000 [stampato nel 2002], n. 1-2, pp. 5-6. 657 – Premessa a F. Tessitore, Bibliografia degli scritti (1961-2001), Salerno-Milano, Oèdipus, 2002, pp. 7-10. 658 – Introduzione a J.M. Sevilla Fernández, Ragione narrativa e ragione storica. Una prospettiva vichiana su Ortega y Gasset, Perugia, Guerra, 2002, pp. 9-14. 659 – Prefazione a W. Dilthey, Federico il Grande e l’illuminismo tedesco, a cura di G. Magnano San Lio, Soneria Mannelli, Rubbettino, 2002, pp. I-VI. G) 660 – Io, filosofo, tra giudici giacobini e teste tagliate per sbaglio, in «Corriere del Mezzogiorno», 16 gennaio 2002. 661 – Vico, un punto di riferimento anche per la cultura ispanica, in «Corriere del Mezzogiorno», 24 gennaio 2002. 662 – Una vigile e calma memoria, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 gennaio 2002. 663 – Ma l’argentino doveva entrare in campo prima (sul derby Napoli-Salernitana), in «La Città», 28 gennaio 2002. 664 – Con il patto scompare la sinistra, in «Corriere del Mezzogiorno», 31 gennaio 2002. 82 665 – L’effetto Moretti e un partito che continua a farsi del male, in «Corriere del Mezzogiorno», 14 febbraio 2002. 666 – Storia e politica nel volume di Amarante, in «La Città», 19 febbraio 2002. 667 – L’etica secondo Croce: una riflessione ancora aperta nel suo sistema filosofico, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 marzo 2002. 668 – L’uscita dalla minorità, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 marzo 2002. 669 – Quella storia della costiera raccontata attraverso i suoi limoni, in «Corriere del Mezzogiorno», 13 aprile 2002. 670 – Le opere magiche di Giordano Bruno, riscoperta di un “eroico furore”, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 aprile 2002. 671 – La transumanza e le ritualità della pastorizia, in «La Città», 30 aprile 2002. 672 – Attualità di Vico, profeta del mito e della fantasia accanto alla ragione, in «Il Mattino», 26 maggio 2002. 673 – Centrosinistra senza progetto, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 maggio 2002. 674 – Fondazione Menna, un “Quaderno” su Bloch e la musica, in «Corriere del Mezzogiorno», 5 giugno 2002. 675 – Il coraggio di ricostruire la Quercia, in «La Repubblica», ed. di Napoli, 3 luglio 2002. 676 – Ds e spoil system clientelare, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 settembre 2002. 677 – La protesta è generosa, ma non basta, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 settembre 2002. 678 – L’intellettuale che sapeva indignarsi, in «Il Mattino», 4 novembre 2002. 679 – Addio a De Martino, in «Il Salernitano», 19 novembre 2002. 680 – Croce, la libertà che si rinnova, in «La Repubblica», ed. Napoli, 26 novembre 2002. 681 – È ora di accorgersi che troppi giovani si stanno perdendo, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 novembre 2002. 83 682 – Salerno-Regione. La sinergia assente, in «Corriere del Mezzgiorno», 13 dicembre 2002 * * * 2003 A) 683 – Giordano Bruno e noi. Momenti della sua fortuna tra ’700 e ’900, Salerno, edizioni Marte, 2003. B) 684 – Passioni e ragione nella filosofia civile di Vico, in P. Venditti (a cura di), La filosofia e le emozioni, Atti del XXXIV Congresso nazionale della Società Filosofia Italiana (Urbino, 26-29 aprile 2001), Firenze, Le Monnier, 2003, pp. 213-230. 685 – Luigi Cacciatore: una vita per il socialismo e l’unità della classe operaia, in L. Rossi (a cura di), Luigi Cacciatore. La vita politica di un socialista a cento anni dalla nascita, Salerno, Plectica, 2003, pp. 87-97. 686 – Il concetto di imputazione in alcuni momenti della filosofia giuridica italiana: Vico, Filangieri, Pagano, in «Diritto e Cultura», XI, 2001 [pubblicato nel 2003], n. 1, pp. 41-57. 687 – Die Idee der Moderne bei Dilthey und Cassirer, in Th. Leinkauf (hrsg.), Dilthey und Cassirer. Die Deutung der Neuzeit als Muster von Geistes – und Kulturgeschichte, Hamburg, Meiner Verlag, 2003, pp. 69-82. 688 – Vico e Bruno, in N. Pirillo (a cura di), Autobiografia e filosofia. L’esperienza di Giordano Bruno, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 147-161. 84 689 – Historicisme, philologie, herméneutique chez August Boeckh, in «Le Cercle Herméneutique», 2003, n. 1, pp. 94-107. 690 – Vico, héritier de Bruno?, in «L’art du Comprendre», 2003, n. 11-12, pp. 212-225. 691 – Salvatore Valitutti a dieci anni dalla morte, in «L’Agenda di Salerno e Provincia», n.s., VII, 2003, n. 68, p. 19. 692 – Una prefazione mai pubblicata a un libro su Luigi Angrisani, in «L’Agenda di Salerno e Provincia», n.s., VII, 2003, n. 68, pp. 22-23. 693 – La storia della cultura salernitana nella ricerca di Italo Gallo, in «L’Agenda di Salerno e Provincia», n.s., VII, 2003, n. 69, pp. 22-24. 694 – Arte e letteratura in altri viaggi al Sud, in «L’Agenda di Salerno e Provincia», n.s., VII, 2003, n. 70, pp. 16-19. 695 – Intellettuali italiani del secondo dopoguerra, in «L’Agenda di Salerno e Provincia», n.s., VII, 2003, n. 73, pp. 26-27. 696 – Il Mediterraneo tra idea filosofico-culturale e progetto politico, in «Civiltà del Mediterraneo», 2003, n. 3, pp. 63-77. 697 – Destini personali per l’individualità post-metafisica, in «Iride», XVI, 2003, n. 39, pp. 385-389. 698 – Lo storicismo come scienza etica e come ermeneutica dell’individualità, in «Magazzino di filosofia», 2002 [stampato nel 2003], n. 8, pp. 120-133. 699 – Dal “logo astratto” al “logo concreto”, dal tempo all’eternità. Gentile e la storia, in P. Di Giovanni (a cura di), Giovanni Gentile. La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 97-122. 700 – Le Opere magiche di Giordano Bruno, in «Archivio di storia della cultura», XVI, 2003, pp. 165-168. 701 – Il Mediterraneo tra idea filosofico-culturale e progetto politico, in Aa.Vv., Mediterraneo e cultura europea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 7-19. 702 – Vico: narrazione storica e narrazione fantastica, in G. Marchetti, O. Rignani, V. Sorge (eds.), Ratio et Su- 85 perstitio. Essays in Honor of Graziella Federici Vescovili, Fédération Internationale des Institus d’Études Médiévales, Louvain-La-Neuve, 2003, pp. 483-505. 703 – Croce e l’idea di Europa, in Seduta inaugurale dell’anno accademico 2003, Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti in Napoli, Napoli, Giannini, 2003, pp. 33-45. 704 – La filosofia dello storicismo di Vincenzo Cuoco, in «Rassegna storica salernitana», n.s., XX, 2003, n. 40, pp. 107-120. 705 – Per la critica del riformismo “apatico”, in «Ora Locale», VI, 2003, n. 3, pp. 5-6. 706 – Una nuova morfologia del potere, in «Mezzogiorno Europa», IV, 2003, n. 5, pp. 27-29. 707 – La “Quercia di Goethe”. Note di viaggio dalla Germania (conversazione registrata non corretta) in «Rotary Club Salerno. Il Bollettino», LIV, 2003, n. 3, pp. 4-5 e 8. 708 – Bellum justum, bellum sanctum, in «Iride», XVI, 2003, n. 40, pp. 425-432. 709 – Die “politische” Dimension des kritisch-problematische Historismus in Italien, in K.E. Lönne (hrsg.), Historismus in den Kulturwissenschaften, Düsseldorf, Francke Verlag, 2003, pp. 39-65. 710 – Dilthey: connessione psichica e connessione storica, in M.G. Lombardo (a cura di), Una logica per la psicologia: Dilthey e la sua scuola, Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 211-223. 711 – Sul concetto di progresso. L’interpretazione di Hegel in Croce e Bloch, in P. Cipolletta (a cura di), Ereditare e sperare. Un confronto con il pensiero di Ernst Bloch, Milano, Mimesis, 2003 [pubblicato nel 2004], pp. 113-130. 712 – Storia, memoria, immagini tra Vico e Hegel, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXIII, 2003 [pubblicato nel 2004], pp. 199-208. 713 – Intervento nella Tavola rotonda, Salerno: città della rimozione?, in M. Schiavino (a cura di), Un secolo di libri. La libreria Carrano a Salerno (1920-1986), Salerno, Marte Editore, 2003, pp. 22-26. 86 714 – Note in margine al problema del modello francese nella filosofia e nella politica della rivoluzione napoletana, in E. Di Rienzo, A. Musi (a cura di), Storia e vita civile. Studi in memoria di Giuseppe Nuzzo, Napoli, ESI, 2003, pp. 189-202. D) 715 – Scheda di M. Perniola, Del Sentire, Torino, 2002, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXIII, 2003 [pubblicato nel 2004], pp. 396-397. F) 716 – Prólogo a H. Calello, Gramsci del “americanismo” al talibán. Globalización, imperialismo y reconstrucción en America Latina, Buenos Aires, ed. Altamira, 2003, pp. 5-11. 717 – Introduzione a A. Di Maio, M. Malatesta, La filosofia di Cleto Carbonara, Napoli, Luciano Editore, 2003, pp. 5-8. G) 718 – Com’è politica la filosofia di Nietzsche. Parola di Losurdo, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 gennaio 2003. 719 – “Colloqui” su Croce: cinque modi per rileggerne il pensiero, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 febbraio 2003. 720 – Non toccate Matteotti, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 26 febbraio 2003. 721 – Lanocita storico tra contadini e latifondisti, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 7 marzo 2003. 722 – L’esempio di Ninì Di Marino, in «Il Salernitano», 10 marzo 2003. 723 – Le opinioni di Ietto e le intuizioni di Borges, in «Il Salernitano», 17 marzo 2003. 724 – Quel “sole nero” non scalda il Sud, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 marzo 2003. 87 725 – Oscurantismo culturale o miopia amministrativa?, in «Corriere del Mezzogiorno», 1 aprile 2002. 726 – Altri viaggi nel Sud: quando la storia si fa paesaggio e avventura mentale, in «Corriere del Mezzogiorno», 2 aprile 2003. 727 – Il vescovo s’invischia in politica, in «Corriere del Mezzogiorno», 15 aprile 2003. 728 – Cuba, è svanito il sogno, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 maggio 2003. 729 – Comunisti e cultura, il caso italiano, in «Il Mattino», 26 maggio 2003. 730 – La Spagna degli anni ’30 e la “guerra civile europea”, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 giugno 2003. 731 – Lo Stato di Giffoni oltre le microstorie, in «Il Salernitano», 21 giugno 2003. 732 – La fortuna non fa miracoli due volte, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 20 agosto 2003. 733 – Un forum per scegliere il candidato alla Provincia, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 5 settembre 2003. 734 – Diametro? Ecco perché non potrò mai aderire, in «Corriere del Mezzogiorno», 18 ottobre 2003. 735 – Cuoco e la filosofia politico-civile del nuovo secolo, in «Corriere del Mezzogiorno», 9 novembre 2003. 736 – Se l’unica variante è la fedeltà al leader, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 20 novembre 2003. * * * 2004 A) 737 – G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Vico nelle culture iberiche e lusitane, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2004. 88 738 – G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna (a cura di), Il sapere poetico e gli universali fantastici. La presenza di Vico nella riflessione filosofica contemporanea, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2004. B) 739 – Su alcune interpretazioni tedesche del Rinascimento nel Novecento, in F. Meroi, E. Scapparone (a cura di), Humanistica. Per Cesare Vasoli, Firenze, Olschki, 2004, pp. 345- 368. 740 – Commento a Rudolf Makkreel, in R. Bodei, G. Cantillo, A. Ferrara, V. Gessa Kurotschka, S. Maffettone, (a cura di), Ricostruzione della soggettività, Napoli, Liguori, 2004, pp. 55-61. 741 – Una filosofia per l’America Latina: Leopoldo Zea, in «Cultura Latinoamericana», 2003 [edito nel 2004], n. 5, pp. 431-453. 742 – Bruno tra Spaventa e Labriola, in F. Meroi (a cura di), La mente di Giordano Bruno, Firenze, Olschki, 2004, pp. 463-483. 743 – Qualche riflessione filosofica sulla giustizia, in «La Giustizia», XXVI, 2004, n. 1-2, pp. 8-11. 744 – Socialismo meridionale. Mancini e De Martino, in «Ora locale», VII, 2004, n. 1, pp. 5-6 e p. 20. 745 – Il meridionalismo socialista di Francesco De Martino e Giacomo Mancini, in «Rassegna storica salernitana», 2004, n. 41, pp. 283-298. 746 – Marxismo e storia tra Labriola e Croce, in M. Griffo (a cura di), Croce e il marxismo un secolo dopo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2004, pp. 315-339. 747 – Vico: narrazione storica e narrazione fantastica, in G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna (a cura di), Il sapere poetico e gli universali fantastici. La presenza di Vico nella riflessione filosofica contemporanea, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2004, pp. 117-139. 89 748 – Der Begriff der Zurechnung in einer Phase der italienischen Rechtsphilosophie: Vico, Filangieri, Pagano, in M. Kaufmann, J. Renzikowski (hrsg.), Zurechnung als Operationalisierung von Verantwortung, Frankfurt a. M., Peter Lang, 2004, pp. 29-45. 749 – Cassirer interprete di Kant, in A. Anselmo (a cura di), La presenza di Kant nella filosofia del Novecento, Messina, Siciliano Editore, 2004, pp. 13-67. 750 – Croce: il concetto di progresso e la critica della filosofia della storia, in M. Meletti Bertolini (a cura di), Etica e politica. Saggi in memoria di Ferruccio Focher, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 21-32. 751 – Manfred Riedel, der Freund und Lehrer, in H. Seubert ((hrsg.), Verstehen in Wort und Schrift. Europäische Denkgespräche. Für Manfred Riedel, Köln Weimar Wien, Böhlau Verlag, 2004, pp. 66-77. 752 – Storicismo, filologia, ermeneutica in August Boeckh, in G. Indelli, G. Leone, F. Longo Auricchio (a cura di), Mathesis e Mneme. Studi in memoria di Marcello Gigante, Napoli, Pubblicazioni Dipartimento di Filologia Classica “F. Arnaldi”, 2004, vol. II, pp. 381-397. 753 – Leggere Vico, in M. Filoni (a cura di), Leggere e rileggere i classici. Per Livio Sichirollo, Macerata, Quodlibet, 2004, pp. 39-63. 754 – Un’idea moderna di certezza: la filologia di Vico tra ermeneutica e filosofia, in S. Caianiello, A. Viana (a cura di), Vico nella storia della filologia, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2004, pp. 177-197. 755 – Croce und Bloch über den Begriff des Fortschritts, in «Jahrbuch für Recht und Ethik», Band 12, 2004, pp. 383-399. 756 – “Eranos” nella storia della cultura europea del ’900, in «Archivio di storia della cultura», XVII, 2004, pp. 241-248. 757 – Gramsci: problemas de ética en Los Cuadernos, in «Telos. Revista de estudios interdisciplinarios en ciencias sociales», Maracaibo, VI, 2004, n. 3, pp. 351-362. 90 F) 758 – Presentazione (in collab. con A. Scocozza) di G. Bellini, Dal Mediterraneo al mare oceano. Saggi tra storia e letteratura, Salerno-Milano, Oèdipus, 2004, pp. 7-23. 759 – Il contributo delle culture ispaniche e lusitane alla conoscenza di Vico, introduzione a G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Vico nelle culture iberiche e lusitane, Napoli, Guida, 2004, pp. 5-18. G) 760 – Il futuro di Salerno, in «Il Quartiere», II, 2004, n. 6, p. 3. 761 – L’avvocato militante. Ricordo di mio padre, in «Cronache del Mezzogiorno», 19 gennaio 2004. 762 – Dall’etologia all’etica. Il cammino di Lorenz passa anche da Napoli, in «Corriere del Mezzogiorno», 24 gennaio 2004. 763 – Il giorno della memoria senza riti, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 27 gennaio 2004. 764 – L’indipendenza e le mosche, in «Il Salernitano», 20 febbraio 2004. 765 – Martino e le varianti della smemoratezza, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 18 marzo 2004. 766 – De Luca, l’autocritica di un Ulivo in affanno, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 marzo 2004. 767 – Sinistra riformista e socialista, è ora di ritrovare vera unità (in collab. con E. Ajello e A. Trione), in «Corriere del Mezzogiorno», 4 aprile 2004. 768 – Diritti umani, questione non solo filosofica ma politica, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 aprile 2004. 769 – Quelle lettere a Croce e a Engels (a proposito del Carteggio Labriola), in «Corriere del Mezzogiorno», 12 maggio 2004. 770 – Amendola: in volume quattro anni di lettere, in «Corriere del Mezzogiorno», 5 giugno 2004. 91 771 – Se l’Ulivo scopre le sue lobby di potere, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 24 giugno 2004. 772 – Rinascita a S. Lucia, in «L’Articolo Domenica», 5 settembre 2004, n. 16. 773 – Io, contribuente prigioniero di una voce, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 2 ottobre 2004. 774 – Il programma della coalizione priorità assoluta, in «L’Articolo Domenica», 3 ottobre 2004, n. 20. 775 – Il buonsenso dei cittadini. Quando gli elettori sono più convinti degli eletti, in «L’Articolo Domenica», 31 ottobre 2004, n. 24. 776 – Vico e il corpo: se la genetica attinge alla filosofia, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 novembre 2004. 777 – Programmi condivisi, «L’Articolo Domenica», 5 dicembre 2004, n. 29. * * * 2005 A) 778 – Cassirer interprete di Kant e altri saggi, Messina, Siciliano Editore, 2005. 779 – Filosofia pratica e filosofia civile nel pensiero di Benedetto Croce, presentazione di F. Tessitore, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005. 780 – G. Cacciatore, G. Cotroneo, R. Viti Cavaliere, Croce filosofo, 2 voll., Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003 [pubblicato nel 2005]. 781 – G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna, A. Scognamiglio (a cura di), Il corpo e le sue facoltà. Giambattista Vico, «Laboratorio dell’ISPF», II, 2005, 1. 92 B) 782 – Leben und Struktur. Dilthey und die Zweideutigkeit von Sprache der Geschichte, in J. Trabant (hrsg.), Sprache der Geschichte, Schriften des Historischen Kollegs Kolloquien 62, München, Oldenbourg, 2005, pp. 55-64. 783 – Identità, pluralismo, universalismo dei diritti, in A. De Simone (a cura di), Identità, spazio e vita quotidiana, Urbino, Edizioni QuattroVenti, 2005, pp. 397-407. 784 – Capograssi e l’idealismo, in P. Di Giovanni (a cura di), Idealismo e anti-idealismo nella filosofia italiana del Novecento, Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 73-91. 785 – La cultura storica a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento, in G. Vitolo (a cura di), Storia, filologia, erudizione nella Napoli dell’Ottocento, Napoli, Guida, 2005, pp. 133-146. 786 – Croce: l’idea di Europa tra crisi e trasformazione, in G. Cacciatore, G. Cotroneo, R. Viti Cavaliere (a cura di), Croce filosofo, 2 voll., Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003 [pubblicato nel 2005], vol. I, pp. 117-144. 787 – Il concetto di imputazione in alcuni momenti della filosofia giuridica italiana, in C. Giarratana, I. Randazzo (a cura di), Seminari di Filosofia Corrado Dollo, I, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004 [pubblicato nel 2005], pp. 21-39. 788 – Il Marx “democratico”, in M. Musto (a cura di), Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, Roma, Manifestolibri, 2005, pp. 145-160. 789 – Le facoltà della mente “rintuzzata dentro il corpo”, in G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna, A. Scognamiglio (a cura di), Il corpo e le sue facoltà. Giambattista Vico, «Laboratorio dell’ISPF», II, 2005, 1, pp. 91-105. 790 – Modernità e filosofia. Per una discussione del rapporto fede ragione, in E. Granito (a cura di), La fede nella ragione e le ragioni della fede, Napoli, La Città del Sole, 2005, pp. 93-106 [cfr. in questo stesso volume gli interventi nella tavola rotonda, pp. 204-210 e 228-229]. 93 791 – Una filosofia per l’America latina: Leopoldo Zea, in P. Colonnello (a cura di), Filosofia e politica in America latina, Roma, Armando Editore, 2005, pp. 51-67. 792 – Vico e Kant sulla storia, in «Studi Italo-Tedeschi / Deutsch-Italienische Studie», XXIV, 2004, Collana di Monografie dell’Accademia di Studi italo-tedeschi, Merano, 2005, pp. 271- 293. 793 – María Zambrano: la storia come “delirio” e “destino”, in L. Silvestri (a cura di), Il pensiero di María Zambrano, Udine, Forum, 2005, pp. 29-62. 794 – Identità e filosofia dell’interculturalità, in «Iride», XVII, 2005, n. 45, pp. 235-244. 795 – Riflessioni sui diritti umani nel pensiero di Giuseppe Capograssi, in «Civiltà del Mediterraneo», 2005, nn. 6-7, pp. 167-187. 796 – Interprétations historicistes de la “Scienza Nuova”, in «Noesis», 2005, n. 8, pp. 45-63. 797 – Significato e prospettive della “cittadinanza attiva”, in «Ora Locale», VII, 2005, n. 4, pp. 5-6. 798 – Intervento del moderatore in L. Rossi (a cura di), Elea. Il divenire di una cultura, l’essere di un pensiero, Atti del Convegno, Ascea 23-28 maggio 2000, Agropoli, Tipografia Iannuzzi, 2005, pp. 77-80. 799 – Ricordo di Nicola Badaloni, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXV, 2005, pp. 9-12. 800 – Sull’edizione critica della Scienza Nuova 1730, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXV, 2005, pp. 160-165. 801 – Interpretazioni storicistiche della Scienza Nuova, in F. Rizzo (a cura di), Filosofia e storiografia. Studi in onore di Girolamo Cotroneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, pp. 53-70. 802 – Leer a Vico hoy, in «Cuadernos sobre Vico», 2004- 2005, nn. 17/18, pp. 21-36. 803 – La ingeniosa ratio de Vico entre sabiduria y prudencia, in «Cuadernos sobre Vico», 2004-2005, nn. 17/18, pp. 37-45. 94 804 – Croce: l’idea di Europa tra crisi e trasformazione, in «Rassegna di Studi crociani», XV, 2005, n. 29-30, pp. VII-XVIII. 805 – María Zambrano: ragione poetica e storia, in «Rocinante. Rivista di filosofia iberica e iberoamericana», n. 1/2005, pp. 107-126. 806 – Un libro sulle parole chiave di Gramsci, in «Archivio di storia della cultura», XVIII, 2005, pp. 299-306. C) 807 – Recensione di E. Nuzzo, Tra ordine della storia e storicità. Saggi sui saperi della storia in Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXV, 2005, pp. 185-191. 808 – Recensione di F. Crispini, Idee e forme di pensiero. Brevi saggi di storiografia filosofica, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXV, 2005, pp. 225-228. D) 809 – Scheda di F. Marone, Narrare la differenza, Milano, Unicopli, 2003, in «L’Articolo», 7 gennaio 2005. F) 810 – Introduzione e Presentazione (in collab. con L. Rossi) di Ricordo di Francesco Cacciatore, Salerno, Plectica, 2005, pp. 7-17. 811 – Prefazione (in collab. con G. Cotroneo e R. Viti Cavaliere) a G. Cacciatore, G. Cotroneo, R. Viti Cavaliere (a cura di), Croce filosofo, 2 voll., Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003 [pubblicato nel 2005], pp. VII-VIII. 812 – Prefazione a E. Todaro, Vorrei, Salerno, Arti Grafiche Boccia, 2005. 813 – Prefazione a G. Magnano San Lio, Forme del sapere e struttura della vita. Per una storia del concetto di Wel- 95 tanschauung. Tra Kant e Dilthey, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, pp. III-VII. 814 – Presentazione di F. Lomonaco, Tracce di Vico nella polemica sulle origini delle pandette e delle XII Tavole nel Settecento italiano, Napoli, Liguori, 2005, pp. VII-IX. G) 815 – Quando un filosofo-tifoso non la prende con filosofia, in «Corriere del Mezzogiorno», 7 gennaio 2005. 816 – Andiamo oltre i tatticismi e le convenienze di parte, in «L’Articolo della Domenica», 16 gennaio 2005, n. 3. 817 – Brutta Salernitana. Un grazie a Rubino, in «Corriere del Mezzogiorno», 18 gennaio 2005. 818 – Com’è destabilizzante il mercato di gennaio, in «Corriere del Mezzogiorno», 25 gennaio 2005. 819 – Anche il computer contro la Salernitana, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 gennaio 2005. 820 – Alle regionali una lista unica delle sinistre, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 1 febbraio 2005. 821 – Ma non è solo sfortuna, sbaglia anche il tecnico, in «Corriere del Mezzogiorno», 5 febbraio 2005. 822 – Quelle quattro “polpette” da stropicciarsi gli occhi, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 febbraio 2005. 823 – Se manca del tutto il blocco sociale di riferimento, in «L’Articolo della Domenica», 13 febbraio 2005, n. 7. 824 – Tra dottor Jekill e Mister Hyde, in «Corriere del Mezzogiorno», 15 febbraio 2005. 825 – Difese le ragioni dei deboli, in «Agire», XXXIII, 20 febbraio 2005, n. 6. 826 – La forza dell’umiltà, ma secondi a nessuno, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 febbraio 2005. 827 – Gregucci fa le raccomandazioni agli altri e dimentica se stesso, in «Corriere del Mezzogiorno», 1 marzo 2005. 828 – Storia di umano dolore, in «Agire», XXXIII, 6 marzo 2005, n. 8. 96 829 – Si conferma la storia di Davide. E Golia-Torino è stato fermato, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 marzo 2005. 830 – Confesso: al fischio finale sono saltato in piedi come un ossesso, in «Corriere del Mezzogiorno», 15 marzo 2005. 831 – Più cittadinanza attiva nella Regione del futuro, in «L’Articolo della Domenica», 20 marzo 2005, n. 12. 832 – Attenzione, bisognerà lottare fino alla fine, in «Corriere del Mezzogiorno», 29 marzo 2005. 833 – Dal Sud una leadership al servizio del paese, in «L’Articolo», 5 aprile 2005. 834 – Attore del Novecento, in «Agire», XXXIII, 10 aprile 2005, n. 13. 835 – La Salernitana in stato di grazia. Ma ora non parliamo del futuro, in «Corriere del Mezzogiorno», 12 aprile 2005. 836 – Dopo il passo falso col Modena ora si spera nell’effetto trasferta, in «Corriere del Mezzogiorno», 19 aprile 2005. 837 – Sale all’Arechi contro il malocchio, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 aprile 2005. 838 – Ora sono seriamente preoccupato dall’involuzione della Salernitana, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 aprile 2005. 839 – Un grande impegno in difesa della Costituzione, in «Il Quartiere», III, 11 aprile 2005. 840 – L’auriga Gregucci tenga in equilibrio il “carro alato” della Salernitana, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 maggio 2005. 841 – Occorre un ultimo sforzo per uscire dal labirinto, in «Corriere del Mezzogiorno», 11 maggio 2005. 842 – Che fatica essere più di Trenta, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 13 maggio 2005. 843 – Sono preoccupato, in panchina c’è troppa confusione mentale, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 maggio 2005. 844 – Adesso le armi migliori sono il cuore e il carattere, in «Corriere del Mezzogiorno», 24 maggio 2005. 845 – Democrazia progressiva. La lezione di Amendola, in «L’Articolo della Domenica», 29 maggio 2005, n. 21. 97 846 – Non c’è tempo per diatribe e recriminazioni. Bisogna solo vincere per rimanere in B, in «Corriere del Mezzogiorno», 31 maggio 2005. 847 – È tempo di pensare al nuovo progetto, in «Corriere del Mezzogiorno», 7 giugno 2005. 848 – La solita telenovela, in «Corriere del Mezzogiorno», 14 giugno 2005. 849 – Isla: Italia e Venezuela incontro tra due culture, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 giugno 2005. 850 – Con i DS divisi l’unità è impossibile, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 luglio 2005. 851 – Levi della Vida, l’islamista del ’900 che sfidò Gentile, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 luglio 2005. 852 – Non si può costruire fuori l’unità che manca nei DS, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 agosto 2005. 853 – Le colpe di Aliberti e del Napoli, in «Corriere del Mezzogiorno», 11 agosto 2005. 854 – Pronti per il campionato, evitiamo dannose illusioni, in «Corriere del Mezzogiorno», 6 settembre 2005. 855 – Ora dobbiamo limitare i danni, in «Corriere del Mezzogiorno», 13 settembre 2005. 856 – Depressione addio, finalmente l’orgoglio, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 settembre 2005. 857 – Carissima Salernitana, resto ancora ottimista, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 ottobre 2005. 858 – Un master per consulenti di filosofia, in «Il Mattino», ed. di Napoli, 5 ottobre 2005. 859 – Salernitana grigia con sprazzi di colore, in «Corriere del Mezzogiorno», 11 ottobre 2005. 860 – Occorre una frustata psicologica, in «Corriere del Mezzogiorno», 18 ottobre 2005. 861 – Vent’anni dopo, siamo tornati alle beghe paesane, in «Corriere del Mezzogiorno», 25 ottobre 2005. 862 – Cinque squilli di tromba: ora Salerno è più serena, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 novembre 2005. 863 – Vico studiava l’Oriente. Oggi cinesi e giapponesi 98 rileggono il filosofo, in «Corriere del Mezzogiorno», 11 novembre 2005. 864 – Salernitana mi avevi illuso. Ora si giochi come si fa in serie C, in «Corriere del Mezzogiorno», 15 novembre 2005. 865 – Squallore e desolazione: domenica da dimenticare, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 novembre 2005. 866 – Orgogliosi del “nostro” Zoro e della Salernitana di Cuoghi, in «Corriere del Mezzogiorno», 29 novembre 2005. 867 – Parola di filosofo. L’imponderabile fa bello il calcio, in «Corriere del Mezzogiorno», 1 dicembre 2005. 868 – Per la Salernitana di Cuoghi una vittoria utile per il rilancio, in «Corriere del Mezzogiorno», 6 dicembre 2005. 869 – Se la bravata di Ambrosio non sarà punita allo stadio non andrò più, in «Corriere del Mezzogiorno», 13 dicembre 2005. 870 – Un’altra gara grigia e mediocre in attesa di un regalo a gennaio, in «Corriere del Mezzogiorno», 20 dicembre 2005. 871 – Una questione di sistema, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 dicembre 2005. 872 – Ha ragione Cuoghi: gioco brutto ma la classifica adesso ci sorride, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 dicembre 2005. 873 – Il rischio è che la politica sia nuovamente sconfitta, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 dicembre 2005. * * * 2006 A) 874 – Antonio Labriola in un altro secolo. Saggi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006. 99 B) 875 – L’interculturalità e le nuove dimensioni del sapere filosofico e delle sue pratiche, in V. Gessa Kurotschka (a cura di), I saperi dell’umano, il sapere umano, la consulenza filosofica, in www.unica.it/rfiscuman/. 876 – L’etica e la sacralità del corpo umano, in F. Salvatore (a cura di), Le cellule staminali miniere di salute, «Come alla corte di Federico II», 2006, n. 7, pp. 21-22. 877 – Relazione tenuta al convegno su Le forme del dissenso tra riformismo e globalizzazione (10-11 maggio 2002), in Aa.Vv., Le forme del dissenso tra riformismo e globalizzazione, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici, 2006, pp. 133-150. 878 – Si sta imponendo un laboratorio politico al negativo, in «Mezzogiorno Europa», VII, 2006, n. 2, pp. 24-25. 879 – Il concetto di progresso e la critica della filosofia della storia in Benedetto Croce, in M. Agrimi, R. Ciafardone, B. Razzotti (a cura di), Croce all’aprirsi del XXI secolo, Lanciano, Rocco Barabba Editore, 2006, pp. 307-322. 880 – Per Leopoldo Zea, in «Cultura Latinoamericana», 2004 [stampato 2006], n. 6, pp. 111-18. 881 – Capire il racconto degli altri, in «Reset», 2006, n. 97, pp. 16-19. 882 – Vita e struttura: Dilthey e l’“ambiguità” della lingua della storia, in M. Failla (a cura di), «Bene navigavi». Studi in onore di Franco Bianco, Macerata, Quodlibet, 2006, pp. 5-14. 883 – Croce e l’autobiografia, in A. Marini (a cura di), Temi crociani della “nuova Italia”, numero monografico di «Magazzino di filosofia», 2004 [stampato nel 2006], pp. 49-61. 884 – Cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria di Salerno a Fulvio Tessitore, Laudatio, Comune di Salerno, 18 gennaio 2005, Napoli, Arte Tipografica, 2006, pp. 13-26. 885 – Croce nell’interpretazione di Alberto Caracciolo, in «Archivio di storia della cultura», XIX, 2006, pp. 375-384. 100 886 – L’unità di storia filologica e logica speculativa. Gentile e la storia della filosofia, in G. Gentile, Il concetto della storia della filosofia, a cura di P. Di Giovanni, Firenze, Le Lettere, 2006, pp. 233-248. 887 – Riflessioni sui diritti umani nel pensiero di Giuseppe Capograssi, in «Civiltà del Mediterraneo», n. 7-8, 2005/2006, pp. 245-265 [numero monografico a cura di S. Langella, che raccoglie gli Atti del Convegno su “Genesi, sviluppi e prospettive dei diritti umani in Europa e nel Mediterraneo”, Genova 26-28 ottobre 2004]. 888 – La sinistra tra omologazione culturale e frammentazione partitica, in M. Cimino, M. Alcaro (a cura di), Politica e cultura in Calabria. Ora Locale (1996-2005), Cosenza, Klipper, 2006, vol. II, pp. 166-172. 889 – Ancora sulla storia in Sartre, in «Bollettino Studi sartriani», II, 2006, 1, pp. 25-34. 890 – La Escolástica española y la génesis de la filosofía latinoamericana. Alonso Briceño: metafísica e individualidad, in «Límite. Revista de filosofía y Psicología», Universidad de Tarapacá, Arica (Chile), vol. I, 2006, n. 14, pp. 5-24. 891 – María Zambrano. Ragione poetica e storia, in «Il Pensiero», XLV, 2006/2, pp. 93-107. 892 – Di alcuni pensieri filosofici sul Chisciotte, in «Rocinante. Rivista di filosofia iberica e iberoamericana», n. 2/2006, pp. 19-27. 893 – Voce Sviluppo (in collab. con G. D’Anna), in Enciclopedia filosofica Bompiani, vol. XI, Milano, Bompiani, 2006, pp. 11247-11249. F) 894 – Editoriale in «Logos. Rivista annuale del Dipartimento di Filosofia “A. Aliotta”», n.s., 2006, n. 1, pp. 7-9. 895 – Nota introduttiva (in collab. con P. Di Giovanni) a P. Di Giovanni (a cura di), La cultura filosofica italiana attraverso le riviste 1945-2000, Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 9-10. 101 896 – Introduzione a Poesia e filosofia, raccolta di testi del Seminario tenutosi a Cagliari, 20-22 maggio 2004, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXVI, 2006, pp. 49-53. G) 897 – Tifo venezuelano per la Salernitana, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 gennaio 2006. 898 – I granata ancora a bagnomaria. Ma il gioco incoraggia a sperare, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 gennaio 2006. 899 – Ma senza vittorie non si cantano messe, in «Corriere del Mezzogiorno», 24 gennaio 2006. 900 – Una vittoria macchiata, in «Corriere del Mezzogiorno», 31 gennaio 2006. 901 – Una giornata negativa proprio contro la migliore, in «Corriere del Mezzogiorno», 7 febbraio 2006. 902 – Gli arbitri difendano il “povero” Di Vicino. Ma prima che finisca in ospedale come Totti, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 febbraio 2006. 903 – Altro che Pinturicchio. L’artista ora è Di Vicino, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 febbraio 2006. 904 – Diversità è ricchezza, in «Agire», XXXIV, 5 marzo 2006, n. 8. 905 – Playoff, io lascio aperto uno spiraglio alla speranza, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 marzo 2006. 906 – La sacralità del corpo umano e l’etica della ricerca, in «Corriere del Mezzogiorno», 9 marzo 2006. 907 – Ora è inutile recriminare. Bisogna stringere i denti, in «Corriere del Mezzogiorno», 14 marzo 2006. 908 – Cresce il rammarico per i punti perduti, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 marzo 2006. 909 – Quel nervosismo è di buon auspicio, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 marzo 2006. 910 – “De Profundis” da veri caimani, in «Corriere del Mezzogiorno», 31 marzo 2006. 102 911 – Finale emozionante. Tifosi in prima linea, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 aprile 2006. 912 – Amendola, democrazia come dono, in «Corriere del Mezzogiorno», 7 aprile 2006. 913 – Manteniamo i nervi saldi e l’impresa si concretizzerà, in «Corriere del Mezzogiorno», 11 aprile 2006. 914 – Non cediamo all’isterismo. Bisogna lottare e sperare, in «Corriere del Mezzogiorno», 15 aprile 2006. 915 – Il Teramo è l’unica squadra che possiamo acciuffare, in «Corriere del Mezzogiorno», 25 aprile 2006. 916 – Non è stata solo sfortuna, il tecnico ha qualche colpa, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 maggio 2006. 917 – In attesa della giustizia sportiva non posso che promuovere tutti, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 maggio 2006. 918 – Da filosofo granata a Tifoso Accademico: Rettore non smettere, in «Corriere del Mezzogiorno», 13 maggio 2006. 919 – Sono più che convinto, il Genoa sarà eliminato, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 maggio 2006. 920 – Cari D’Alema e Fassino, sul caso Salerno schieratevi, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 giugno 2006. 921 – Il sogno non è finito e la rinascita è sicura, in «Corriere del Mezzogiorno», 6 giugno 2006. 922 – Un’altra politica: qualcuno ci aveva creduto, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 settembre 2006. 923 – Salernitana d’alta quota, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 ottobre 2006. 924 – Rimettiamo i piedi a terra. E regoliamo bene la difesa, in «Corriere del Mezzogiorno», 10 ottobre 2006. 925 – Giuseppe Cantillo: indagine sull’uomo tra storia e natura, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 ottobre 2006. 926 – Rispetto le scelte di Novelli. Ma non rimproveri Mattioli, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 ottobre 2006. 927 – Né cappa né spada, solo politica, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 30 ottobre 2006. 928 – Una vittoria ottenuta senza spettacolo, in «Corriere del Mezzogiorno», 31 ottobre 2006. 103 929 – Quei minuti di pura follia con tanti, troppi colpevoli, in «Corriere del Mezzogiorno», 14 novembre 2006. 930 – Così non va: per aspirare ai playoff il club dovrà intervenire sul mercato, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 novembre 2006. 931 – Una squadra troppo mediocre contro un combattivo Lanciano, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 novembre 2006. 932 – Come nacque e come morì il gruppo dei Trenta, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 1 dicembre 2006. 933 – Olio nelle giunture e pedalare. E che non si parli di sfortuna, in «Corriere del Mezzogiorno», 5 dicembre 2006. 934 – Ma senza (il criticato) Mancini sarebbero tornati a mani vuote, in «Corriere del Mezzogiorno», 19 dicembre 2006. 935 – La crisi non si cura con l’aspirina, in «Corriere del Mezzogiorno», 19 dicembre 2006. * * * 2007 A) 936 – G. Cacciatore, A. Giugliano (a cura di), Storicismo e storicismi, Milano, Paravia Bruno Mondadori, 2007. 937 – G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka (a cura di), Saperi umani e consulenza filosofica, Roma, Meltemi, 2007. 938 – G. Cacciatore, D. Conte, F. Lomonaco, E. Massimilla (a cura di), Filosofia, storia, letteratura. Scritti in onore di Fulvio Tessitore, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007. B) 939 – Finito e infinito nella filosofia vichiana della storia, in D. Venturelli, R. Celada Ballanti, G. Cunico (a cura di), 104 Etica, religione e storia. Studi in memoria di Giovanni Moretto, Genova, Il Melangolo, 2007, pp. 37-48. 940 – Immaginazione, identità e interculturalità, in «Postfilosofie», II, 2006, n. 3 [stampato nel 2007], pp. 119-133. 941 – La filosofia dello storicismo come narrazione della storia pensata e della storia vissuta, in G. Cacciatore, A. Giugliano (a cura di), Storicismo e storicismi, Milano, Paravia Bruno Mondadori, 2007, pp. 109-168. 942 – Dall’ermeneutica allo storicismo, e ritorno, in F. Coniglione, R. Longo (a cura di), La filosofia generosa. Studi in onore di Anna Escher Di Stefano, Catania, Bonanno Editore, 2007, pp. 11-18. 943 – Genesi crisi e trasformazioni della filosofia civile italiana, in F. Coniglione, R. Longo (a cura di), La filosofia generosa. Studi in onore di Anna Escher Di Stefano, Catania, Bonanno Editore, 2007, pp. 143-154. 944 – La Escolástica española y la génesis de la filosofía latinoamericana. Alonso Briceño: metafísica e individualidad, in M. Kaufmann, R. Schnepf (hrsg.), Politische Metaphysik. Die Entstehung moderner Rechtskonzeptionen in der Spanischen Scholastik, Bern, Peter Lang, 2007, pp. 107-121. 945 – Riflessioni sui diritti umani nel pensiero di Giuseppe Capograssi, in A. De Simone (a cura di), Diritto, giustizia e logiche del dominio, Perugia, Morlacchi, 2007, pp. 439-461. 946 – El historicismo como ciencia ética y como hermenéutica de la individualidad, in M.E. Borsani, C.E. Gende, Filosofía-Crítica-Cultura, Neuquén, EDUCO, 2006 [stampato nel 2007], pp. 81-93. 947 – Vico: i saperi poetici, in A. Battistini, P. Guaragnella (a cura di), Giambattista Vico e l’enciclopedia dei saperi, Lecce, Pensa, 2007, pp. 257-267. 948 – L’ingeniosa ratio di Vico tra sapienza e prudenza, in C. Cantillo (a cura di), Forme e figure del pensiero, Napoli, La Città del Sole, 2007, pp. 225-240. 949 – Mediterraneo e filosofia dell’interculturalità, in F.M. Cacciatore, A. Niger (a cura di), Il Mediterraneo. Incontro 105 di culture, Roma, Aracne, 2007, pp. 29-42. 950 – I saperi umani e la consulenza filosofica (in collab. con V. Gessa Kurotschka), in G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka (a cura di), Saperi umani e consulenza filosofica, Roma, Meltemi, 2007, pp. 13-34. 951 – L’interculturalità e le nuove dimensioni del sapere filosofico e delle sue pratiche, in G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka (a cura di), Saper umani e consulenza filosofica, Roma, Meltemi, 2007, pp. 319-327. 952 – Para Leopoldo Zea, in «Cuadernos Americanos», vol. 4, 2007, n. 122, pp. 177-183. 953 – Formas y figuras del ingenio en Cervantes y Vico, in «Quaderns de Filosofia i Ciència», n. 37, 2007, pp. 57-70. 954 – Praxis e storia in Sartre, in G. Stoica, R.V. Pantelimon, E. Tusa (coord.), Gramsci si Sartre mari gânditori ai secolului XX, Bucuresti, Editura ISPRI, 2007, pp. 114-123. 955 – Per una redifinizione del concetto di identità, in M. Mafrici, M. R. Pellizzari (a cura di), Tra res e imago. In memoria di Augusto Placanica, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2007, t. II, pp. 717-728. C) 956 – Recensione di A. Tortora, Presenze valdesi nel Mezzogiorno d’Italia (secoli XV-XVII), Salerno, Laveglia, 2004, in «Bollettino della Società di Studi Valdesi», CXXIV, dicembre 2007, pp. 134-137. F) 957 – Storicismo in nuove dimensioni (in collab. con A. Giugliano), in G. Cacciatore, A. Giugliano (a cura di), Storicismo e storicismi, Milano, Paravia Bruno Mondadori, 2007, pp. VII-XI. 958 – Presentazione (con D. Conte, F. Lomonaco, E. Massimilla) di G. Cacciatore, D. Conte, F. Lomonaco, E. 106 Massimilla (a cura di), Filosofia, storia, letteratura. Scritti in onore di Fulvio Tessitore, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, pp. 5-7. 959 – Anarchia illuminata. Una nuova sintesi tra universalismo e contestualismo nell’età contemporanea, prefazione a M. Kaufmann, Anarchia illuminata. Una introduzione alla filosofia politica, Napoli, Liguori, 2007, pp. XI-XXI. 960 – Verità e storicità nella metafisica dell’espressione di Nicol, prefazione a E. Nicol, Metafisica dell’espressione, traduzione, introduzione e cura di M.L. Mollo, Napoli, La Città del Sole, 2007, pp. 9-26. 961 – La Pedagogia come etica civile, premessa a S. Valitutti, La rivoluzione giovanile, Roma, Armando, 2007, pp. V-X. 962 – Presentación di J.M. Sevilla, El Espejo de la época. Capítulos sobre G. Vico en la cultura hispánica, Napoli, La città del Sole, 2007, pp. 13-16. 963 – Prefazione (in collab. con V. Gessa Kurotschka) a G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka (a cura di), Saper umani e consulenza filosofica, Roma, Meltemi, 2007, pp. 9-11. 964 – Presentazione di G. Magnano San Lio, Forme del sapere e struttura della vita. Per una storia del concetto di Weltanschauung. Dopo Dilthey, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2007, pp. 7-9. 965 – Fulvio Tessitore. Lo storicismo come filosofia dell’evento. Dialogo filosofico a cura di G. Cacciatore, in «Iride», XX, 2007, n. 52, pp. 483-529. G) 966 – Vacca, il riformismo italiano in odore di controriformismo, in «Corriere del Mezzogiorno», 14 gennaio 2007. 967 – Una svolta necessaria, in «Corriere del Mezzogiorno», 16 gennaio 2007. 968 – Nuove professioni. Il filosofo diventa consulente etico, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 gennaio 2007. 969 – Zero centrocampisti. È l’ultimo schema, in «Corrie- 107 re del Mezzogiorno», 30 gennaio 2007. 970 – Tutte soluzioni tampone, ma per tre anni nessuno ha pensato ai lavori, in «Corriere del Mezzogiorno», 14 febbraio 2007. 971 – La presunzione a volte gioca brutti scherzi, in «Corriere del Mezzogiorno», 20 marzo 2007. 972 – Dovremo sorbirci un altro anno di C, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 marzo 2007. 973 – Squadra senza muscoli e senza dignità, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 aprile 2007. 974 – È bene riflettere solo sul futuro, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 aprile 2007. 975 – Relativismo e relatività nel dibattito filosofico contemporaneo, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 maggio 2007 [anche in Come alla corte di Federico II, 8, Università di Napoli Federico II, 2007, pp. 17-18]. 976 – Diversità e tolleranza, una lunga storia europea, in «Corriere del Mezzogiorno», 16 giugno 2007. 977 – Due volumi in onore dei settant’anni di Fulvio Tessitore, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 giugno 2007. 978 – Venezuela: a proposito di un articolo di Pierluigi Battista, in «Liberazione», 19 agosto 2007. 979 – Carlo Pisacane, il volto democratico e socialista del Risorgimento, in «Liberazione», 22 agosto, 2007. 980 – Vi spiego perché di calcio non scrivo più, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 agosto 2007. 981 – Chavez e la visione apocalittica della stampa italiana, in «Liberazione», 26 agosto 2007. 982 – De Luca va oltre i poli, ma per rafforzare se stesso, in «Corriere del Mezzogiorno», 28 settembre 2007. 983 – Valitutti, l’etica che diventa azione politica, in «Il Mattino» (cronaca di Napoli), 30 settembre 2007 [anche su «Il Mattino», cronaca di Salerno, 1 ottobre 2007]. 984 – Apriamo un dibattito serio ed informato sulla riforma della Costituzione di Chavez, in «Liberazione», 21 novembre 2007. 108 985 – Valitutti e la scuola nel libro di Ietto, in «Corriere del Mezzogiorno» (ed. di Salerno), 30 novembre 2007. 986 – La lezione democratica e il caudillo inesistente, in «Liberazione», 4 dicembre 2007. * * * 2008 A) 987 – G. Cacciatore, P. Colonnello, S. Santasilia (a cura di), Ermeneutica tra Europa e America Latina, Roma, Armando Editore, 2008. 988 – G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Momenti della filosofia civile italiana, Napoli, La Città del Sole, 2008. 989 – G. Cacciatore, I. Gallo, A. Placanica (a cura di), Storia di Salerno, 3 voll., Avellino, Sellino Editore, 2008. 990 – G. Cacciatore, L. Rossi (a cura di), Salerno in età contemporanea, vol. III di Storia di Salerno, a cura di G. Cacciatore, I. Gallo, A. Placanica, Avellino, Sellino Editore, 2008. B) 991 – Ermeneutica e interculturalità, in G. Cacciatore, P. Colonnello, S. Santasilia (a cura di), Ermeneutica tra Europa e America Latina, Roma, Armando Editore, 2008, pp. 49-60. 992 – Ermeneutica e interculturalità, in G. Coccolini (a cura di), Interculturalità come sfida. Filosofi e teologi a confronto, Bologna, Dehoniana Libri/Pardes Edizioni, 2008, pp. 227-244. 993 – Geschichte zwischen Leben und Struktur. Die Zweideutigkeit der Sprache der Geschichte bei Dilthey, in G. 109 Kühne-Bertram, F. Rodi (hrsg.), Dilthey und die hermeneutische Wende in der Philosophie. Wirkungsgeschichtliche Aspekte seines Werkes, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 2008, pp. 119-136. 994 – Una filosofía para América Latina, in S. Sevilla (ed.), Visiones sobre un transterrado. Afán de saber acerca de José Gaos, Madrid-Frankfurt a. M., IberoamericanaVervuert, 2008, pp. 181-201. 995 – Età della storia ed età dell’uomo in Vico: fanciullezza, decadenza e rinascita delle nazioni, in S. Ciurlia, E. De Bellis, G. Iaccarino, A. Novembre, A. Paladini (a cura di), Filosofia e storiografia. Studi in onore di Giovanni Papuli, vol. II, L’età moderna, Lecce, Congedo Editore, 2008, pp. 17-25. 996 – Editoriale, in «Logos», n.s., n. 2-3, 2007-2008, pp. 7-8. 997 – Universalismo senza arroganza, in «Reset», n. 108, 2008, pp. 54-58. 998 – Praxis si istorie la Sartre, in A. Neacsu (coord.), Sartre în gândirea contemporanea, Craiova, Editura Universitaria, 2008, pp. 32-44. 999 – Note su Cenni e voci. Saggi di sematologia vichiana di J. Trabant, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXVIII, 2008, n. 1, pp. 171-183. 1000 – L’immutato amore per gli apostoli del socialismo, in C. Raia (a cura di), Per Gaetano Arfé. Testimonianze, Napoli, Libreria Dante & Descartes, 2008, pp. 48-53. 1001 – Cultura e strutture del sapere tra Ottocento e Novecento (in collab. con L. Rossi) in G. Cacciatore, L. Rossi (a cura di), Storia di Salerno, vol. III, Salerno in età contemporanea, Avellino, Sellino Editore, 2008, pp. 235-243. 1002 – Forme e figure dell’ingegno in Cervantes e Vico, in «Rocinante. Rivista di filosofia iberica e iberoamericana», III, 2007-2008, n. 3, pp. 13-24. 1003 – Percorsi della filosofia italiana nell’opera di Santucci, in W. Tega, L. Turco (a cura di), Un illuminismo scettico. La ricerca filosofica di Antonio Santucci, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 19-41. 110 1004 – Giambattista Vico e Vincenzo Cuoco nella tradizione della filosofia civile italiana (in collab. con M. Martirano), in G. Minichiello, C. Gily (a cura di), Il pensiero politico meridionale, “Centro di Ricerca Guido Dorso”, Annali 2007, Avellino, Edizioni del Centro Dorso, 2008, pp. 219-235, 1005 – Una nuova edizione di Teoria e storia della storiografia di Benedetto Croce, in «Archivio di storia della cultura», XXI, 2008, pp. 267-272. 1006 – Per il settantesimo compleanno di Fulvio Tessitore, in «Archivio di storia della cultura», XXI, 2008, pp. 373-376. 1007 – Elias Canetti: la vita delle parole, in E. De Conciliis (a cura di), La provincia filosofica. Saggi su Elias Canetti, Milano, Mimesis, 2008, pp. 157-176. 1008 – Carlo Pisacane. Socialismo e Risorgimento, in «Rassegna Storica Salernitana», n. 49, 2008, pp. 163-173. 1009 – Genesi, crisi e trasformazione della filosofia civile italiana, in G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Momenti della filosofia civile italiana, Napoli, La Città del Sole, 2008, pp. 9-18. 1010 – Filosofia “civile” e filosofia “pratica” in Giambattista Vico, in G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Momenti della filosofia civile italiana, Napoli, La Città del Sole, 2008, pp. 21-43. 1011 – La filosofia civile nello storicismo di Antonio Labriola, in G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Momenti della filosofia civile italiana, Napoli, La Città del Sole, 2008, pp. 233-252. 1012 – Carlo Pisacane: Socialismo e Risorgimento, in R. Diana (a cura di), Il pensiero civile a Napoli fra Ottocento e Novecento, Napoli, Il Denaro Libri, 2008, pp. 59-77. 1013 – Croce: l’idea di Europa tra crisi e trasformazione, in R. Diana (a cura di), Il pensiero civile a Napoli fra Ottocento e Novecento, Napoli, Il Denaro Libri, 2008, pp. 189-215. 1014 – Etica filosofica ed etica politica in Giovanni Amendola, in R. Diana (a cura di), Il pensiero civile a Napoli fra 111 Ottocento e Novecento, Napoli, Il Denaro Libri, 2008, pp. 217-229. 1015 – L’unità di storia filologica e logica speculativa. Gentile e la storia della filosofia, in R. Lazzari, M. Mezzanzanica, S. Storace (a cura di) Vita, concettualizzazione, libertà. Studi in onore di Alfredo Marini, Mimesis, Milano, 2008, pp. 51-60. 1016 – Ancora sul positivismo e la storia, in G. Bentivegna, F. Coniglione, G. Magnano San Lio (a cura di), Il positivismo italiano: una questione chiusa?, Acireale-Roma, Bonanno, 2008, pp. 14-26. 1017 – Giovanni Cuomo. Le istituzioni culturali e la nascita del Magistero, in V. Bonani (a cura di), Giovanni Cuomo. Una vita per Salerno e il Mezzogiorno, Salerno, Editrice Gaia, 2008, pp. 101-108. 1018 – Il posto dell’Oriente nel pensiero di Vico, in D. Armando, F. Masini, M. Sanna (a cura di), Vico e l’Oriente: Cina, Giappone, Corea, Roma, Tiellemedia Editore, 2008, pp. 25-35. 1019 – Filosofia e crisi in Ortega e Nicol, in G. M. Pizzuti (a cura di), Studi in onore di Ciro Senofonte, Napoli, ESI, 2008, pp. 13-28. 1020 – Universalismo etico e differenza: a partire da Vico, in «Bollettino del Centro di Studi vichiani», XXXVIII, 2/2008, pp. 7-26. 1021 – L’oggetto della scienza in Vico, in G. Federici Vescovini, O. Rignani (a cura di), Oggetto e spazio: fenomenologia dell’oggetto, forma e cosa dai secoli XIII-XIV ai postcartesiani, Firenze, Sismel Edizioni, 2008, pp. 227-240. 1022 – La logica poetica e l’identità meticcia. Note sul nesso tra immaginazione, identità e interculturalità, in V. Gessa Kurotschka, C. De Luzenberger (a cura di), Immaginazione etica interculturalità, Milano, Mimesis, 2008, pp. 213-229. 1023 – Storia e marxismo in Sartre, in G. Farina (a cura di), Sartre après Sartre, Torino, Aragno, 2008, pp. 215-226. 1024 – Universalismo etico y diferencia: a partir de Vico, in «Cuadernos sobre Vico», nn. 21-22, 2008, pp. 57-72. 112 F) 1025 – Introduzione (in collab. con L. Rossi) a Storia di Salerno, vol. III, Salerno in età contemporanea, Avellino, Sellino Editore, 2008, pp. 15-19. 1026 – Introduzione a G. Buono (a cura di), Contigo aprendí. Studi iberici e iberoamericani in onore di Antonio Scocozza, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2008, pp. 9-13. 1027 – Fulvio Tessitore. Lo storicismo come filosofia dell’evento. Dialogo filosofico a cura di G. Cacciatore, in F. Tessitore, Per una critica di me stesso. I vent’anni dell’Archivio di storia della cultura, Acireale-Roma, Bonanno Editore, 2008, pp. 9-66. 1028 – Prefazione a P. Di Vona, L’ontologia dimenticata. Dall’ontologia spagnola alla Critica della ragion pura, Napoli, La Città del Sole, 2008, pp. 7-11. 1029 – Premessa (in collab. con M. Martirano) a G. Cacciatore, M. Martirano (a cura di), Momenti della filosofia civile italiana, Napoli, La Città del Sole, 2008, pp. 7-8. 1030 – Presentazione (in collab. con P. Di Giovanni) a P. Di Giovanni (a cura di), La cultura filosofica italiana attraverso le riviste (1945-2000), vol. II, Milano, Franco Angeli, 2008, pp. 7-8. G) 1031 – Giunte nuove, sono d’accordo, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 gennaio 2008. 1032 – “Guernica 1937”, un pezzo di storia che spiega il Novecento, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 gennaio 2008. 1033 – Il socialismo affronta la globalizzazione, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 febbraio 2008. 1034 – D’Agostino e la Salerno yiddish, in «Corriere del Mezzogiorno», 16 febbraio 2008. 1035 – Il mercato cancellò la politica, in «Roma», 9 marzo 2008. 113 1036 – Promessa mantenuta. E adesso arrivederci in serie A, in «Corriere del Mezzogiorno», 29 aprile 2008. 1037 – Teologia politica. Il nuovo pericolo per l’Occidente, in «Il Mattino» (Cultura Napoli), 1 giugno 2008. 1038 – L’emergenza della fame, in «Roma», 8 giugno 2008. 1039 – PD campano, afasia totale, in «Roma», 15 giugno 2008. 1040 – Le due virtù della politica, in «Roma», 22 giugno 2008. 1041 – Sopportare, c’è un limite, in «Roma», 29 giugno 2008. 1042 – Università nel mirino, in «Roma», 6 luglio 2008. 1043 – Eutanasia, ieri e oggi, in «Roma», 13 luglio 2008. 1044 – Una chance per rinascere, in «Roma», 20 luglio 2008. 1045 – Mezzogiorno, ora si svolti, in «Roma», 27 luglio 2008. 1046 – Dai militari alla fiducia, in «Roma», 3 agosto 2008. 1047 – Olimpiadi tra sport e politica, in «Roma», 10 agosto 2008. 1048 – La brutta fine della sinistra senza più idee, in «Roma», 17 agosto 2008. 1049 – Torniamo alla realtà, in «Roma», 24 agosto 2008. 1050 – Il meridione e la scuola, in «Roma», 31 agosto 2008. 1051 – Caso Englaro, non cambia nulla, in «Roma», 7 settembre 2008. 1052 – Ora si teme un effetto boomerang, in «Roma», 10 settembre 2008. 1053 – Via gli slogan dalla scuola, in «Roma», 14 settembre 2008. 1054 – Kalashnikov e zone franche, in «Roma», 21 settembre 2008. 1055 – Un’analisi spietata senza risentimento, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 settembre 2008. 1056 – L’economia? La sinistra parli, in «Roma», 28 settembre, 2008. 1057 – Psicosi razzista: limiti culturali, più che politici, in «Roma», 12 ottobre 2008. 1058 – Vitiello interpreta Vico tra storia sacra e profana, in «Corriere del Mezzogiorno», 26 ottobre 2008. 114 1059 – Cara sinistra, non solo cortei, in «Roma», 26 ottobre 2008. 1060 – Sì a Obama per l’economia, in «Roma», 2 novembre 2008. 1061 – Atenei, mai più risse e steccati, in «Roma», 9 novembre 2008. 1062 – Eluana, norme e poco clamore, in «Roma», 16 novembre 2008. 1063 – Lévi-Strauss: cent’anni di vita, in «Roma», 23 novembre 2008. 1064 – Inquietudini dall’Oriente, in «Roma», 3 dicembre 2008. 1065 – Commissariare il Comune e la Regione, in «Roma», 7 dicembre 2008. 1066 – Umanità, ferite e diritti violati, in «Roma», 14 dicembre 2008. 1067 – PD, a chi serve tenerlo in vita?, in «Roma», 21 dicembre 2008. 1068 – 2009: povertà in agenda, in «Roma», 28 dicembre 2008. * * * 2009 A) 1069 – L’infinito nella storia. Saggi su Vico, con una postfazione di V. Vitiello, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2009. 1070 – G. Cacciatore, A. Di Miele (a cura di), In ricordo di un maestro. Enzo Paci a trent’anni dalla morte, Napoli, Scripta Web, 2009. 115 B) 1071 – Tango: tra filosofia di vita e intercultura, in «Cultura Latinoamericana», n. 8-9, 2006-2007 [editi nel 2009], pp. 493-502. 1072 – Universalismo e particolarismo, oggi. Un punto di vista filosofico, in A. Pirni (a cura di), Logiche dell’alterità, Pisa, ETS, 2009, pp. 157-169. 1073 – Intercultura e diritti di cittadinanza, in «Pedagogia più Didattica», 2, aprile 2009, pp. 19-25. 1074 – Fenomenologia esistenzialismo storicismo (in collab. con G. Cantillo), in G. Cacciatore, A. Di Miele (a cura di), In ricordo di un maestro. Enzo Paci a trent’anni dalla morte, Napoli, Scripta Web, 2009, pp. 9-39. 1075 – Vico tra Storicismo e Historismus, in «Philosophia. Bollettino della Società Italiana degli storici della filosofia», I, 2009, 1, pp. 113-131. 1076 – Momenti della filosofia napoletana attraverso le riviste, in A. Garzya (a cura di), Le riviste a Napoli dal XVIII secolo al primo Novecento, “Quaderni dell’Accademia Pontaniana”, 53, 2008 [uscito nel 2009], pp. 63-73. 1077 – “Rivoluzione passiva” e critica del presente, in «Logos», n.s., n. 4-5, 2009-2010, pp. 351-356. 1078 – La “duplice fiamma della vita”. Divagazioni filosofiche su amore e desiderio, in A. Amendola, E. D’Agostino, S. Santonicola (a cura di), Il desiderio preso per la coda, Salerno, Plectica, 2009, pp. 11-33. 1079 – La philosophie de l’historisme de Vincenzo Cuoco, in M. Boussy (éd.), Vincenzo Cuoco. Des Origines politiaques du XIXe siècle, Paris, Publications de la Sorbonne, 2009, pp. 183-194. 1080 – Universalismo e particolarismo, oggi. Un punto di vista filosofico, in «Archivio di storia della cultura», XXII, 2009, pp. 321-331. 1081 – Vico, in F. Coniglione, M. Lenoci, G. Mari, G. Polizzi (a cura di), Manuale di base di storia della filosofia, Firenze, University Press, 2009, pp. 101-110. 116 1082 – Pratiche filosofiche (in collab. con V. Gessa Kurotscka), in F. Coniglione, M. Lenoci, G. Mari, G. Polizzi (a cura di), Manuale di base di storia della filosofia, Firenze, University Press, 2009, pp. 259-261. 1083 – Kant e la “comunità degli uomini”. Note in margine alle pagine kantiane di Pasquale Salvucci, in N. De Sanctis, N. Panichi (a cura di), Politicità della filosofia. Atti delle giornate di sudio in memoria di Pasquale Salvucci, Urbino, Quattroventi, 2009, pp. 25-43. 1084 – “Storia falsa” e libera critica storica, in «Historia Magistra», I, 2009, n. 2, pp. 173-178. 1085 – Eduardo Nicol. Una filosofía del hombre entre metafísica de la expresión e histoicidad crítica, in R. Horneffer (ed.), Eduardo Nicol (1907-2007). Homenaje, México, UNAM, 2009, pp. 59-74. 1086 – Voce Benedetto Croce, in G. Liguori, P. Voza (a cura di), Dizionario Gramsciano, Roma, Carocci, 2009, pp. 186-190. 1087 – Voce Soggettivo, soggettivismo, soggettività, in G. Liguori, P. Voza (a cura di), Dizionario Gramsciano, Roma, Carocci, 2009, pp. 778-780. 1088 – Voce Storicismo, in G. Liguori, P. Voza (a cura di), Dizionario Gramsciano, Roma, Carocci, 2009, pp. 814-818. 1089 – Voce Universale, in G. Liguori, P. Voza (a cura di), Dizionario Gramsciano, Roma, Carocci, 2009, p. 874. 1090 – Europa e Mediterrandeo tra identità e interculturalità, in «Civiltà del Mediterraneo», n. 15, giugno 2009, pp. 117-132. 1091 – Contributo in Note su Vico Storia natura linguaggio, di V. Vitiello, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXIX, 2/2009, pp. 110-113. C) 1092 – Recensione di S. Woidich, Vico und die Hermeneutik. Eine rezeptionsgeschichtliche Annäherung, Würzburg, Koenigshausen und Neumann, 2007, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XXXIX, 2/2009, pp. 173-178. 117 D) 1093 – Scheda di C. Pinto, Il riformismo possibile. La grande stagione delle riforme: utopie, speranze realtà (1945- 1964), Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2008, in «Historia Magistra», n. 1, 2009, p. 169. F) 1094 – Presentazione (in collab. con A. Di Miele) di G. Cacciatore, A. Di Miele (a cura di), In ricordo di un maestro. Enzo Paci a trent’anni dalla morte, Napoli, Scripta Web, 2009, pp. 7-8. 1095 – Prefazione a A. Manzi, Un sacco brutto. Trentuno tesi sulla Napoli del degrado, Sarno (Sa), Edizioni dell’Ippogrifo, 2009, pp. 7-12. 1096 – Premessa a F. Perricelli (a cura di), Miti, antimiti e storie al femminile nelle letterature e nelle culture ispaniche, Salerno, Edizioni Arcoiris, 2009, pp. 9-10. G) 1097 – Napoli, la crisi e la via d’uscita di Napolitano, in «Roma», 4 gennaio 2009. 1098 – Solo lo tsunami li spazzerà via, in 1«Roma», 1 gennaio 2009. 1099 – Guerre vere e baruffe TV, in «Roma», 18 gennaio 2009. 1100 – Lo storico umbro Salvatorelli e la ricca eredità dell’antifascismo, in «Corriere del Mezzogiorno», 23 gennaio 2009. 1101 – Con Obama, oltre il buio, in «Roma», 25 gennaio 2009. 1102 – I cattolici napoletani dal moderatismo al partito popolare, in «Corriere del Mezzogiorno», 27 gennaio 2009. 118 1103 – Lo “sfasciume” del nostro Sud, in «Roma», 1 febbraio 2009. 1104 – È una sinistra ormai immobile, in «Roma», 22 febbraio 2009. 1105 – I migliori anni del PCI nel libro di Colasante, «Corriere del Mezzogiorno», 25 febbraio 2009. 1106 – Città discariche e incubo ronde, in «Roma», 1 marzo 2009. 1107 – Contraddizioni globali e soluzioni locali: l’integrazione possibile, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 marzo 2009. 1108 – Città in crisi, antiche colpe, in «Roma», 15 marzo 2009. 1109 – Piazza fatua e politica out, in «Roma», 22 marzo 2009. 1110 – Il PD sempre nel tunnel, in «Roma», 29 marzo 2009. 1111 – Nuove identità per i moderati, in «Roma», 5 aprile 2009. 1112 – Non si ripetano vecchi scenari, in «Roma», 19 aprile 2009. 1113 – Sinistra a picco perché rimuove i bisogni veri, in «Roma», 10 maggio 2009. 1114 – Stato, partiti e tanti conflitti, in «Roma», 17 maggio 2009. 1115 – Parlate un pò dell’Europa, in «Roma», 31 maggio 2009. 1116 – Obama: mai negare la storia, in «Roma», 7 giugno 2009. 1117 – Un’occasione per riflettere, in «Roma», 9 giugno 2009. 1118 – Calcio-spettacolo e mezze verità, in «Roma», 14 giugno 2009. 1119 – La questione cattolica e il caso Napoli, in «Il Mattino» (cronaca di Napoli), 23 giugno 2009. 1120 – La Napoli del degrado in 31 voci, in «Roma», 2 luglio 2009. 119 1121 – Sicurezza sì, emotività no, in «Roma», 5 luglio 2009. 1122 – Il Papa, l’etica e il mercato, in «Roma», 12 luglio 2009. 1123 – Se il Sud perde anche i cervelli, in «Roma», 19 luglio 2009 1124 – Lo scandalo del “Crescent”, in «Roma», 26 luglio 2009. 1125 – Crescent: siamo alla bega strapaesana, in «Cronache del Mezzogiorno», 31 luglio 2009. 1126 – Il mare, un limite e un confine, «Roma», 5 settembre 2009. 1127 – Salerno, dal locale al globale (in collab. con L. Rossi), in «Roma», 26 settembre 2008. 1128 – Il nuovo tempo della politica, in «Roma», 27 settembre 2009. 1129 – Nuovi riflettori sul povero sud, in «Roma», 4 ottobre 2009. 1130 – Democrazia senza eccessi, in «Roma», 11 ottobre 2009. 1131 – Nella riflessione morale il riscatto del paese, in «Roma», 27 ottobre 2009. 1132 – L’ateneo non è un’azienda, in «Roma», 1 novembre 2009. 1133 – Il muro cadde, ripartiamo da lì, in «Roma», 8 novembre 2009. 1134 – Avanza la fame, non c’è giustizia, in «Roma», 22 novembre 2009. 1135 – Disoccupazione oltre il dramma, in «Roma», 6 dicembre 2009. 1136 – L’individuo e la comunità: l’etica secondo Cantillo, in «Roma», 20 dicembre 2009. 1137 – Il consulente filosofico? Ecco a che cosa serve (in collab. con R. Viti Cavaliere), in «Corriere del Mezzogiorno», 20 dicembre 2009. 1138 – Niente sinistra senza cultura, in «Roma», 20 dicembre 2009. 120 1139 – Quando i partiti perdono grinta, in «Roma», 27 dicembre 2009. * * * 2010 A) 1140 – G. Cacciatore, G. D’Anna (a cura di), Interculturalità. Tra etica e politica, Roma, Carocci, 2010. 1141 – G. Cacciatore, G. Cantillo, A quattro mani. Saggi di filosofia e storia della filosofia, a cura di M. Martirano, Salerno, Edizioni Marte, 2010. 1142 – G. Cacciatore, R. Diana (a cura di), Interculturalità. Religione e teologia politica, Napoli, Guida, 2010. 1143 – Fatti Analisi Opinioni. Scritti giornalistici (1989- 2009), a cura di M. Martirano e R. Diana, introduzione di F. Tessitore, premessa di F. Lomonaco, Salerno, Editrice Gaia, 2010. B) 1144 – Etica interculturale e universalismo “critico”, in G. Cacciatore, G. D’Anna (a cura di), Interculturalità. Tra etica e politica, Roma, Carocci, 2010, pp. 29-42. 1145 – Hegel e la metafora, in «Rivista di storia della filosofia», LXV1, 2010, pp. 123-129. 1146 – Ricordo di Umberto, in Aa.Vv., Ad Umberto, la sua CGIL, Salerno, Tipografia Fusco, 2010, pp. 3-5. 1147 – Filosofia come istituzione?, in G. Macrì, A. Scocozza (a cura di), Rendiconti Dottorati di ricerca in Teoria e storia delle istituzioni, Napoli, La Città del Sole, 2010, pp. 15-25. 1148 – Storicismo speculativo e storicismo critico, in G. Po- 121 lizzi (a cura di), Tornare a Gramsci. Una cultura per l’Italia, Grottaferrata (RM), Avverbi Edizioni, 2010, pp. 197-212. 1149 – Filosofia e crisi in Ortega e Nicol, in E. Schafroth, C. Schwarzer, D. Conte (hrsg), Krise als Chance aus historischer und aktueller Perspektive, Oberhausen, Athena, 2010, pp. 349-363. 1150 – L’immaginario viaggio di Platone in Italia. Vincenzo Cuoco e il suo romanzo filosofico, in M. Bettetini, S. Poggi (a cura di), I viaggi dei filosofi, Milano, Raffaello Cortina, 2010, pp. 177-193. 1151 – Lo storicismo nell’“Archivio”, in G. Bentivegna (a cura di), «Archivio di storia della cultura». 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Pérez Herranz (eds.), La filosofía y la identidad europea, Valencia, Colleción Filosofías, 2010, pp. 23-36. 1156 – Croce e Gentile: la funzione degli intellettuali e l’uso della storia italiana, in A. D’Orsi, F. Chiarotto (a cura di), Intellettuali. Preistoria, storia e destino di una categoria, Torino, Aragno, 2010, pp. 477-492. 1157 – Identità ibride e memoria, in «Iride», XXIII, 2010, n. 60, pp. 365-376. 122 1158 – Verso una nuova politica della memoria, in «Historia Magistra», n. 4, 2010, pp. 158-161. 1159 – Filosofia come istituzione?, in A. Borsari, M. Ciavolella (a cura di), Navigatio vitae. Saggi per i settant’anni di Remo Bodei, New York, Agincourt Press, 2010, pp. 257-267. 1160 – Eduardo Nicol. Una filosofia dell’uomo tra metafisica dell’espressione e storicità critica, in G. Limone (a cura di), Filosofia italiana e spagnola. Dialogo interculturale. Saggi in onore di Armando Savignano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2010, pp. 27-39. 1161 – Altri autori del Vico (in collab. con M. Sanna), in F.M. Crasta (a cura di), Biblioteche filosofiche private in età moderna e contemporanea, Firenze, Le Lettere, 2010, pp. 143-163. 1162 – Carlo Pisacane. Socialismo e Risorgimento, in C. Pinto, L. Rossi (a cura di), Tra pensiero e azione: una biografia politica di Carlo Pisacane, Salerno, Plectica, 2010, pp. 441-463. 1163 – In ricordo di Stephan Otto, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XL, 2010, 2, pp. 7-12. 1164 – Nota su E. Nuzzo, Tra religione e prudenza. La filosofia pratica di Giambattista Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XL, 2010, 2, pp. 75-80. 1165 – L’etica filosofica di Abbagnano: dalle sorgenti irrazionali del pensiero al neoilluminismo, in W. Tega (a cura di), Impegno per la ragione. 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De La Fuente Lora (eds.), Barroco y Cultura Novohispana, Universidad de Puebla, México, Ediciones EON, 2010, pp. 21-46. 1170 – Vita e storia tra Zubiri e Dilthey, in «Rocinante. Rivista di filosofia iberica e iberoamericana», n. 5/2010, pp. 101-108. 1171 – Democrazia, liberalismo, socialismo nel pensero di Giovanni Amendola, in «Lyceum», n. 40, 2010, pp. 57-61. E) 1172 – El gran majadero de América. Simón Bolívar: pensamiento político y constitucional, edición a cargo de G. Cacciatore y A. Scocozza, Bogotá, Editorial Planeta, 2010. F) 1173 – Dentro le differenze: riflessioni sull’etica interculturale (in collab. con G. D’Anna), introduzione a G. Cacciatore, G. D’Anna (a cura di), Interculturalità, Tra etica e politica, Roma, Carocci, 2010, pp. 9-26. 1174 – Presentazione (in collab. con R. Diana) di G. Cacciatore, R. Diana (a cura di), Interculturalità. Religione e teologia politica, Napoli, Guida, 2010, pp. 7-10. 1175 – Introduzione a G. Cacciatore, R. Diana (a cura di), Interculturalità. Religione e teologia politica, Napoli, Guida, 2010, pp. 11-40. 1176 – Prefazione di A. Mascolo, La vertigine del nulla. Nichilismo e pensiero tragico in Ángel Ganivet, AcirealeRoma, Bonanno Editore, 2010, pp. 9-11. 1177 – Prefazione a U. Baldi, Prima che altro silenzio entri negli occhi. Storie di salernitani dall’antifascismo alla Resistenza, Quaderni dell’Istituto Oliva, n. 1, 2010, pp. 7-11. 124 1178 – Introduzione a P. Piovani, Normatività e società, in Id., Per una filosofia della morale, a cura di F. Tessitore, Milano, Bompiani, 2010, pp. 49-82. 1179 – Premessa a E. Bloch, La filosofia di Kant. Dalle Leipziger Vorlesungen, trad. it. di V. Scaloni, Milano-Udine, Mimesis, 2010, pp. 7-10. 1180 – Premessa a A. Pezzé, L.Tassi (a cura di), Cinema e letteratura in ambito iberico e iberoamericano. Giornata di studi in omaggio al prof. Vito Galeota, Salerno, Edizioni Arcoiris, 2010, pp. VII-IX. G) 1181 – Extracomunitari e cittadinanza, in «Roma», 10 gennaio 2010. 1182 – Questa sinistra dei due cowboy, in «Roma», 24 gennaio 2010. 1183 – Mai ideologia tra etica e diritti, in «Roma», 7 febbraio 2010. 1184 – Se la cultura salverà l’Italia, in «Roma», 14 febbraio 2010. 1185 – In primo luogo sia la cultura, in «Roma», 21 febbraio 2010. 1186 – Sulla pedofilia solo la verità, in «Roma», 21 marzo 2010. 1187 – La sanità di Obama e i “primati” italiani, in «Roma», 8 aprile 2010 1188 – Riforme, l’ora della svolta, in «Roma», 11 aprile 2010. 1189 – PDL, chiarezza. Mai più “inciuci”. in «Roma», 18 aprile 2010. 1190 – Salerno 1925. Il primo maggio che sfidò il fascismo, in «Il Mattino» (cronaca di Salerno), 27 aprile 2010. 1191 – Dramma lavoro, riaccendere subito i riflettori, in «Roma», 3 maggio 2010. 1192 – Vitiello, quando l’io riesce a incontare la seconda persona, in «Corriere del Mezzogiorno», 8 maggio 2010. 125 1193 – Il Trombetti assessore censurato da una sinistra sguaiata, in «Roma», 19 maggio 2010 1194 – Troppi tagli alla cultura, in «Roma», 30 maggio 2010. 1195 – Culture, intrecci nel pallone, in «Roma», 20 giugno 2010. 1196 – Modelli politici in grave crisi, in «Roma», 4 luglio 2010 1197 – I guasti dei tagli all’Università, in «Roma», 18 luglio 2010. 1198 – Una cara amicizia. Un rapporto al di là della fede e della politica, in «Agire», XXXVIII, n. 31, 5 settembre 2010, pp. 1 e 9. 1199 – Disoccupati, una tragedia, in «Roma», 26 settembre 2010. 1200 – L’Italia diventi un paese normale, in «Roma», 3 ottobre 2010. 1201 – Le picconate contro Edwards, in «Roma», 10 ottobre 2010. 1202 – Non c’è futuro senza ricerca, in «Roma», 17 ottobre 2010. 1203 – Antonio Gramsci, il Risorgimento e la storia d’Italia, in «Corriere» (quotidiano di Avellino), 17 ottobre 2010, pp. 14-15. 1204 – L’unità, valore che cementa, in «Roma», 24 ottobre 2010. 1205 – Triste tramonto del Cavaliere, in «Roma», 31 ottobre 2010 1206 – Il mea culpa di Obama, in «Roma», 7 novembre 2010. 1207 – Troppe tattiche e il paese teme, in «Roma», 14 novembre 2010. 1208 – Nel cratere ancora sommersi dignità e bene comune, in «Roma», 24 novembre 2010. 1209 – Benedetto XVI e la modernità, in «Roma», 27 novembre 2010. 126 1210 – La volgarità di Verdini, in «Roma», 5 dicembre 2010. 1211 – Wikileaks, una sfida per la politica, in «Roma»,12 dicembre 2010. 1212 – Sepe, chance per la politica, in «Roma», 19 dicembre 2010. * * * 2011 A) 1213 – El búho y el cóndor. Ensayos en torno a la filosofía hispanoamericana, prólogo de A. Scocozza, epílogo, edición y traducción de M.L. Mollo, Bogotá, Editorial Planeta, 2011. B) 1214 – Neapel und Vico (in collab. con M. Martirano e M. Sanna), in J. Rohbeck, W. Rother (hrsg.), Die Philosophie de 18. Jahrhunderts, vol. 3, Italien, (Nuova edizione dello Ueberweg, “Grundriss der Geschichte der Philosophie”), Schwabe, Basel, 2011, pp. 89-128. 1215 – Su alcuni aspetti della lettura gramsciana di Marx, in M. Cingoli, V. Morfino (a cura di), Aspetti del pensiero di Marx e delle interpretazioni successive, Milano, Edizioni Unicopli, 2011, pp. 353-366. 1216 – Per un profilo di Andrea Sorrentino, in A. Sorrentino, La cultura mediterranea nei Principi di Scienza Nuova, a cura di A. Scognamiglio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011, pp. 7-13. 1217 – Die Krise des Historismus und die Unvollständigkeit der Moderne, in S. Wilke (hrsg.), Moderne und Historizität, Klassik Stiftung Weimar, Weimar, Verlag der Bauhaus-Universität, 2011, pp. 121-133. 127 1218 – La ética de la libertad entre relativismo y pluralismo, in P. Badillo O’ Farrel (ed.), Filosofía de la razón plural, Madrid, Editorial Biblioteca nueva, 2011, pp. 71-89. 1219 – Cittadinanza interculturale, in «Cirpit Review», n. 2, 2011, pp. 16-26. 1220 – Nuove “frontiere” e nuovi concetti per la storia della filosofia, in «Philosophia», III, 2/2010 - 1/2011, pp. 13-22. 1221 – Hybrid Identities and Memory, in «Iris. European Journal of Philosophy and Public Debate», III, 5, 2011, pp. 113-124. 1222 – Il pensiero “insulare” di María Zambrano: mito, metafora, immaginazione dell’umanità originaria, in P. Volpe (a cura di), Sulla rotta di Odisseo… e oltre, Napoli, D’Auria Editore, 2011, pp. 37-52. 1223 – In ricordo di Vanna Gessa Kurotschka, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XLI, 1/2011, pp. 7-14. 1224 – Gramsci, il Risorgimento e la storia d’Italia, in F. Rizzo (a cura di), Risorgimento per lumi sparsi, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 283-294. 1225 – Religione, teologia politica, democrazia, in G. Cunico, D. Venturelli (a cura di), Culture e religioni: la pluralità e i suoi problemi, Genova, Il Melangolo, 2011, pp. 161-178. 1226 – Sull’immaginazione, in «Bollettino della società filosofica italiana», n.s., maggio-agosto 2011, n. 203, pp. 3-14. 1227 – Vico, Croce und der deutsche Historismus, in G. Furnari Luvarà, S. Di Bella (hrsg.), Benedetto Croce und die Deutschen, Sankt Augustin, Academia Verlag, 2011, pp. 69-81. 1228 – Ortega e Zambrano su Croce, in G. Galasso (a cura di), Croce e la Spagna, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, pp. 299-330. 1229 – La formazione politica e culturale di Giorgio Amendola, in G. Cerchia (a cura di), La famiglia Amendola. Una scelta di vita per l’Italia, Torino, Cerabona Editore, 2011, pp. 251-259. 128 1230 - Gramsci, il Risorgimento e la storia d’Italia, in S. Azzarà, P. Ercolani, E. Susca (a cura di), Dialettica, storia e conflitto. Il proprio tempo appreso nel pensiero. Festschrift in onore di Domenico Losurdo, Napoli, La scuola di Pitagora, 2011, pp. 225-234. 1231 – Verità e filologia. Prolegomeni ad una teoria critico-storicistica del neoumanesimo, in «Nóema», n. 2, 2011, pp. 1-15 [http://riviste.unimi.it/index.php/noema]. 1232 – Garin e Dilthey, in O. Catanorchi, V. Lepri (a cura di), Eugenio Garin. Dal Rinascimento all’Illuminismo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011, pp. 295-319. 1233 – Alfieri “europeo”. Su una nuova edizione tedesca della Vita, in «Fronesis», n. 13, 2011, pp. 17-24. 1234 – Interculturalità e cittadinanza, in R. Diana, S. Achella (a cura di), Filosofia interculturale. Identità, riconoscimento, diritti umani, Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 255-262. 1235 – Le “borie” di Vico tra etica e filosofia della storia, in «Rivista di Filosofia», CII, 2011, n. 3, pp. 363-380. 1236 – Intercultural Ethics and “Critical” Universalism, in «Cultura. International Journal of Culture and Axiology», 8 (2), 2011, pp. 23-38. 1237 – Le filosofie del Risorgimento, in «Rassegna Storica Salernitana», n. 55, 2011, pp. 169-186. 1238 – El objeto de la ciencia en Vico, in J. Velázquez Delgado, S. Florencia De la Campa (eds.), Giambattista Vico y Baltasar Gracián. Dos visiones del Barroco, México D.F., Universidad Autónoma Metropolitana, Biblioteca de Signos, 2011, pp. 21-39. 1239 – Amarante e Biamonte nella sinistra e nel mondo del lavoro, in «L’Agenda», nn. 114-115, 2011, pp. 16-17. C) 1240 – Recensione di R. Loretelli, L’invenzione del romanzo. Dall’oralità alla lettura silenziosa, Roma-Bari, Laterza, 2010, in «Philosophia», V, 2011, 2, pp. 138-142. 129 G) 1241 – Bene comune e diritti sacri, in «Roma», 9 gennaio 2011. 1242 – Basta Gossip. Italia a pezzi, in «Roma», 16 gennaio 2011 [con il titolo Italia a pezzi. Basta Gossip, anche in «Roma», cronache di Salerno]. 1243 – PCI, una storia contraddittoria, in «Roma», 25 gennaio 2011. 1244 – Se l’Italia non ha memoria, in «Roma», 30 gennaio 2011 [con il titolo Il giorno della memoria, anche in «Roma», cronache di Salerno]. 1245 – Il mondo brucia e l’Italia tace, in «Roma», 20 febbraio 2011. 1246 – Unità d’Italia, in «Corriere del Mezzogiorno», 25 febbraio 2011. 1247 – Atenei si spera in Trombetti, in «Roma», 27 febbraio 2011. 1248 – Toccato il fondo vadano a casa, in «Roma», 6 marzo 2011. 1249 – Scuola pubblica perno dell’Italia, in «Roma», 13 marzo 2011. 1250 – Basta pacchianate su Salerno capitale, in «Corriere del Mezzogiorno», 18 marzo 2011. 1251 – Dopo le catastrofi ripensare il mondo, in «Roma», 20 marzo 2011. 1252 – Non votiamo chi imbratta Salerno, «Corriere del Mezzogiorno», 31 marzo 2011. 1253 – Lampedusa come l’Aquila, in «Roma», 3 aprile 2011. 1254 – Abbagnano, figlio esistenzialista di un’altra Salerno, in «Corriere del Mezzogiorno» [edizione di Salerno], 16 aprile 2011. 1255 – Chi controlla i libri di scuola, in «Roma», 17 aprile 2011. 1256 – 25 aprile, Cirielli non perde il vizio, in «Corriere del Mezzogiorno» [edizione di Salerno], 24 aprile 2011. 130 1257 – Il viaggio di Tessitore nello storicismo “religiosamente laico”, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 maggio 2011. 1258 – Sud, l’opposizione faccia la sua parte, in «Roma», 8 maggio 2011. 1259 – Correttezza esemplare [titolo redazionale incongruo rispetto al contenuto], in «Roma» [edizione di Salerno], 15 maggio 2011. 1260 – Paese sfiduciato e politici distratti, in «Roma», 29 maggio 2011. 1261 – Battisti e l’Italia incompresa, in «Roma», 12 giugno 2011. 1262 – Il caos è colpa anche della Lega, in «Roma», 26 giugno 2011. 1263 – Una manovra scellerata, in «Roma», 3 luglio 2011 1264 – Senza lobby di umanisti ma comunque uniti nella ricerca del futuro (in collab. con F. Lomonaco), in «Corriere del Mezzogiorno», 6 luglio 2011. 1265 – Una carcassa che va a fondo, in «Roma», 10 luglio 2011. 1266 – Mostri in casa nell’Occidente, in «Roma», 31 luglio 2011. 1267 – Giorni infernali, la scure dei tagli, in «Roma», 7 agosto 2011. 1268 – Rivolte giovanili, le cause del male, in «Roma», 14 agosto 2011. 1269 – Giuseppe Amarante, il ricordo negli scritti del grande sindacalista, in «Corriere del Mezzogiorno», 21 agosto 2011. 1270 – Una manovra spericolata, in «Roma», 4 settembre 2011. 1271 – Restituiteci il vero Avanti, in «Roma», 18 settembre 2011. 1272 – “Forza gnocca” e le morti bianche, in «Roma», 9 ottobre 2011. 1273 – Indignados e buona politica, in «Roma», 16 ottobre 2011. 131 1274 – E ora la Libia va ricostruita, in «Roma», 23 ottobre 2011. 1275 – Masullo indaga “la libertà e le occasioni”, in «Roma», 6 novembre 2011. 1276 – Ora il tempo è scaduto, in «Roma», 13 novembre 2011. 1277 – Nessun “golpe”. Svolta urgente, in «Roma», 20 novembre 2011. 1278 – Napolitano “risorgimentale”, in «Roma», 27 novembre 2011. 1279 – Il logo è semplice, perciò a me piace, in «Corriere del Mezzogiorno», 30 novembre 2011. 1280 – Ma Monti cosa chiede ai ricchi?, in «Roma», 4 dicembre 2011. 1281 – Attacchi razzisti brutto segnale, in «Roma», 18 dicembre 2011. * * * 2012 A) 1282 – G. Cacciatore, G. D’Anna, R. Diana, F. Santoianni (a cura di), Per una relazionalità interculturale. Prospettive interdisciplinari, Milano-Udine, Mimesis, 2012. 1283 – G. Cacciatore, A. Mascolo (a cura di), La vocazione dell’arciere. Prospettive critiche sul pensiero di José Ortega y Gasset, Bergamo, Moretti&Vitali, 2012. B) 1284 – Alcune riflessioni su storia e bios, in «Logos», n.s., 7, 2012, pp. 193-198. 132 1285 – Universalismus und Partikularismus, heute. Ein philosophischer Gesichtspunkt, in B. Henry, A. Pirni (hrsg.), Der Asymmetrische Westen. Zur Pragmatik der Koesistenz pluralistischer Gesellschaften, Bielefeld, Transcript Verlag, 2012, pp. 25-29. 1286 – Verità e filologia. Prolegomeni ad una teoria critica del neoumanesimo, in P. Amodio, E. D’Antuono, G. Giannini (a cura di), L’etica come fondamento. Studi in onore di Giuseppe Lissa, Napoli, Giannini Editore, 2012, pp. 71-86. 1287 – Problematizar la razón, a proposito di José M. Sevilla, Prolegómenos para una crítica de la razón problemática. Motivos en Vico y en Ortega, in «Revista de Estudios Orteguianos», 24, 2012, pp. 207-211. 1288 – Socialismo e questione sociale in Carlo Pisacane, in E. Montali (a cura di), Cattaneo e Pisacane. Gli eroi dimenticati, Roma, Ediesse Fondazione Giuseppe Di Vittorio, 2012, pp. 29-36. 1289 – «Pensiero vivente» e pensiero storico. Un paradigma possibile per ripensare la tradizione filosofica italiana, in «Iride», XXV, aprile 2012, n. 65, pp. 135-142. 1290 – Universalismo e cura per la differenza. Dimensioni interculturali nel pensiero di Vanna Gessa Kurotschka, in R. Bonito Oliva (a cura di), Identità in dialogo. La liberté des mers, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 21-30. 1291 – Formas e figura do engenho em Cervantes e Vico, in H. Guido, J.M. Sevilla, S. de Amorim e Silva Neto (org.), Embates da razão: mito e filosofia na obra de Giambattista Vico, Uberlândia, Edufu, 2012, pp. 297-321. 1292 – La “crisi” dello storicismo e l’incompiutezza del moderno, in «Topologik. Rivista internazionale di Scienze Filosofiche, Pedagogiche e Sociali», n. 11, 2012, pp. 7-18. 1293 – Fonti dell’indipendenza latinoamericana e dell’ideologia americanista: la Filosofía del Entendimiento di Andrés Bello, in V. Giannattasio, R. Nocera (a cura di) 1810-1910-2010: l’America Latina tra indipendenza, eman- 133 cipazione e rivoluzione, «Rivista Italiana di Studi Napoleonici», n.s., XLI, 1-2/2008, Napoli, ESI, 2012, pp. 61-77. 1294 – Per un’idea interculturale di cittadinanza, in P. Colonnello, Stefano Santasilia (a cura di), Intercultura Democrazia Società. Per una società educante, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 51-64. 1295 – Un profilo di Leopoldo Zea, in «Pagine inattuali. Rivista di filosofia e letteratura», 1, 2012, pp. 39-49. 1296 – Le filosofie del Risorgimento, in M. Martirano (a cura di), Le filosofie del Risorgimento, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 23-36. 1297 – Per una critica della ragione poetica: l’“altra” razionalità di Vico, in M. Vanzulli (a cura di), Razionalità e modernità in Vico, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 109-128. 1298 – Giambattista Vico, in U. Eco (a cura di), L’età moderna e contemporanea, vol. 9, Il Settecento. L’età dell’Illuminismo. Filosofia, Musica, Roma, La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, 2012, pp. 276-290. 1299 – Wilhelm Dilthey, in U. Eco (a cura di), L’età moderna e contemporanea, vol. 11, L’Ottocento. L’età del Romanticismo. Filosofia, scienze e tecniche, Roma, La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, 2012, pp. 462-470. 1300 – Per un’idea interculturale di cittadinanza, in G. Cacciatore, G. D’Anna, R. Diana, F. Santoianni (a cura di), Per una relazionalità interculturale. Prospettive interdisciplinari, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 11-23. 1301 – Dilthey tra universalismo e relativismo, in «Giornale critico della Filosofia italiana», VII Serie, vol. VIII, Anno XCI (XCIII), Fasc. II, 2012, pp. 427-444. 1302 – Il caleidoscopio della mente. Attività simbolica e mondo storico in Vico e Cassirer, in F. Lomonaco (a cura di), Simbolo e cultura. Ottant’anni dopo la Filosofia delle forme simboliche, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 128-140. 1303 – La Religione dello storicismo. Per avviare il dibattito, in «Archivio di storia della cultura», XXV, 2012, pp. 299-306. 134 1304 – La “zattera della cultura”. Filosofia e crisi in Ortega y Gasset, in G. Cacciatore, A. Mascolo (a cura di), La vocazione dell’arciere. Prospettive critiche sul pensiero di José Ortega y Gasset, Bergamo, Moretti&Vitali, 2012, pp. 37-67. 1305 – Das Wesen der Philosophie. La determinazione del sapere filosofico tra strutture della storia e connessioni vitali, in D. Bosco, F.P. Ciglia, L. Gentile, L. Risio (a cura di), Testis fidelis. Studi di filosofia e scienze umane in onore di Umberto Galeazzi, Napoli, Orthotes, 2012, pp. 85-103. 1306 – Presentazione dei volumi Interculturalità. Tra etica e politica (a cura di G. Cacciatore e G. D’Anna) e Interculturalità. Religione e teologia politica (a cura di G. Cacciatore e R. Diana), in «Rendiconti Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche», anno CDVIII, serie IX, vol. XXII, 2011, fasc. 3-4, Roma, Scienze e Lettere, 2012, pp. 549-551. 1307 – Alcuni momenti e figure delle accademie napoletane nel processo di unificazione politica e culturale dell’Italia, in Aa.Vv., Le accademie nazionali e la storia d’Italia, Atti dei Convegni Lincei n. 268, Roma, Scienze e Lettere, 2012, pp. 121-132. F) 1308 – Presentazione di M. Martirano, Filosofia Storia Rivoluzione. Saggio su Giuseppe Ferrari, Napoli, Liguori Editore, 2012, pp. IX-XII. 1309 – Introduzione di P.G. Turco, Le strade dell’amore nel mondo. Pensieri e ricordi d’Africa, Salerno, Edizioni Marte, 2012, pp. 9-14. 1310 – Prefazione a G. D’Angelo, La forma dell’acqua. I. La lenta transizione dal fascismo a Salerno capitale, Salerno, Edizioni del Paguro, 2012, pp. 9-12. 1311 – Presentazione di A. Di Miele, Antonio Banfi Enzo Paci: Crisi, Eros, Prassi, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 9-11. 135 1312 – Introduzione di C. Scudieri, Il balilla va alla guerra, i libri della leda, s.l., 2012, pp. 3-5. 1313 – Ortega o la coscienza del naufragio, introduzione (in collab. con A. Mascolo) a G. Cacciatore, A. Mascolo (a cura di), La vocazione dell’arciere. Prospettive critiche sul pensiero di José Ortega y Gasset, Bergamo, Moretti&Vitali, 2012, pp. 11-14. 1314 – Lettera di saluto del presidente eletto, in «Rassegna storica salernitana», n. 58, 2012, pp. 265-266. G) 1315 – Vincenzo Giordano, sindaco socialista della grande Salerno, in «L’Agenda di Salerno e provincia», lugliodicembre 2012, pp. 24-26. 1316 – È sul lavoro la vera sfida, in «Roma», 8 gennaio 2012. 1317 – Il “porcellum” e la Consulta, in «Roma», 15 gennaio 2012. 1318 – Profitto ingordo e insaziabile, in «Roma», 22 gennaio 2012. 1319 – Politica e cultura per salvare l’euro, in «Roma», 29 gennaio 2012. 1320 – Stragi naziste, vittime beffate, in «Roma», 5 febbraio 2012. 1321 – Licenziamenti e giusti motivi, in «Roma», 12 febbraio 2012. 1322 – Il salvataggio della Grecia, in «Roma», 19 febbraio 2012. 1323 – Ma in futuro torni la politica, in «Roma», 26 febbraio 2012. 1324 - La cultura sola contro la crisi, in «Roma», 4 marzo 2012. 1325 – Questi partiti da rinnovare, in «Roma», 11 marzo 2012. 1326 – L’art.18 e i rischi per la democrazia, in «Roma», 25 marzo 2012. 136 1327 – Ecco i numeri che preoccupano, in «Roma», 29 aprile 2012. 1328 – I pericoli dell’antipolitica, in «Roma», 6 maggio 2012. 1329 – Ora si pensi alla crescita, in «Roma», 13 maggio 2012. 1330 – Lo spettro del terrorismo, in «Roma», 20 maggio 2012. 1331 – Il Premio Valitutti, in «La Città», 2 giugno 2012. 1332 – Calcio, vietiamo le scommesse, in «Roma», 3 giugno 2012. 1333 – Rai, meritato schiaffo ai partiti, in «Roma», 10 giugno 2012.4 1334 – La corruzione politica dilaga, democrazia verso il naufragio, in «I Confronti», 17 giugno 2012 [http://www. iconfronti.it]. 1335 – Medicina, patrimonio da tutelare, in «La Città», 20 giugno 2012. 1336 – Perché il colle è sotto attacco, in «Il Roma», 24 giugno 2012. 1337 – A D’Agostino dico: politica imprescindibile per regolare i conflitti, in «I Confronti», 24 giugno 2012 [http:// www.iconfronti.it]. 1338 – I due Mario e gli italiani, in «Il Roma», 1 luglio 2012. 1339 – Basta Moody’s, facciamo da soli, in «Il Roma», 15 luglio 2012. 1340 – Quella lotta agli sprechi di Berlinguer, in «La Città», 20 luglio 2012. 1341 – La riconquista della politica, in «Il Roma», 29 luglio 2012. 1342 – I programmi e le primarie, in «Il Roma», 5 agosto 2012. 1343 – Crisi, egemonia della “finanza ombra” e nuove sfide della politica, in «I Confronti», 6 agosto 2012 [http:// www.iconfronti.it]. 137 1344 – Se prevalgono le urla, in «l’Unità», 17 agosto 2012. 1345 – Germania e Europa si intenderanno, in «Il Roma», 19 agosto 2012. 1346 – Tra Nord e Sud rapporto virtuoso, in «Il Roma», 26 agosto 2012. 1347 – La deriva islamica, in «Il Roma», 16 settembre 2012. 1348 – Sud, dati Svimez e ricette note, in «Il Roma», 30 settembre 2012. 1349 – Montismo meglio del berlusconismo, in «Il Roma», 7 ottobre 2012. 1350 – Recuperare l’etica in politica, in «Il Roma», 14 ottobre 2012. 1351 – Le strade del mondo. L’Africa di Giorgio Turco luogo dell’anima, in «La Città», 17 ottobre 2012. 1352 – Primarie PD tra programmi e giacobinismi, in «La Città», 24 ottobre 2012. 1353 – Berlusconismo, quale futuro, in «Il Roma», 28 ottobre 2012. 1354 – Il giusto peso della politica, in «Il Roma», 4 novembre 2012. 1355 – L’idea di De Martino. Unificazione socialista dell’intera sinistra, in «La Città», 18 novembre 2012. 1356 – Democrazia da risanare, in «Il Roma», 18 novembre 2012. 1357 – I buoni motivi per votare Bersani, in «La Città», 23 novembre 2012. 1358 – Limiti e ombre delle primarie, in «Il Roma», 2 dicembre, 2012. 1359 – Dove ci porta Berlusconi, in «il Roma», 9 dicembre 2012. 1360 – Centrodestra senza agenda, in «Il Roma», 30 dicembre 2012. * * * 138 2013 A) 1361 – Sulla filosofia spagnola. Saggi e ricerche, presentazione di F. Tessitore, introduzione di G.A. Di Marco, Bologna, Il Mulino, 2013. 1362 – Problemi di filosofia della storia nell’età di Kant e di Hegel. Filologia, critica, storia civile, presentazione di F. Lomonaco, Roma, Aracne, 2013. 1363 – G. Cacciatore, G. D’Anna, R. Diana (a cura di), Mente, corpo, filosofia pratica, interculturalità. Scritti in memoria di Vanna Gessa Kurotschka, Milano-Udine, Mimesis, 2013. B) 1364 – Un’etica per la contemporaneità. Sull’itinerario filosofico di Vanna Gessa Kurotschka, in G. Cacciatore, G. D’Anna, R. Diana (a cura di), Mente, corpo, filosofia pratica, interculturalità. Scritti in memoria di Vanna Gessa Kurotschka, Milano-Udine, Mimesis, 2013, pp. 9-19. 1365 – Das Wesen der Philosophie. Die Bestimmung des philosophischen Wissens zwischen Geschichtsstrukturen und Lebenszusammenhängen, in G. D’Anna, H. Johach, E.S. Nelson (hrsg.), Anthropologie und Geschichte. Studien zu Wilhelm Dilthey aus Anlass seines 100. Todestages, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2013, pp. 53-71. 1366 – Mai più pigrizia da pensiero unico, in «Il Paradosso», I, aprile 2013, n. 0, p. 5. 1367 – El pensamiento de Gaos entre historia de las ideas y filosofía de la filosofía, in S. Sevilla, E. Vázquez (eds.), Filosofía y vida. Debate sobre José Gaos, Madrid, Biblioteca Nueva/Grupo Editorial siglo XXI, 2013, pp. 219-234. 1368 – Vico und der Historismus, in P. König (hrsg.), Vico in Europa zwischen 1800 und 1950, Heidelberg, Universitätsverlag Winter, 2013, pp. 139-153. 139 1369 – Il ruolo delle Humanities nella costruzione di una società interculturale, in «Philosophia», VII, 2/2012 [stampato nel 2013], pp. 165-176. 1370 – Interculturalità e riconfigurazione concettuale dell’ermeneutica, in «Bollettino Filosofico», XXVII, 2011- 2012 [stampato nel 2013], pp. 33-41. 1371 – Interkulturelle Philosophie zwischen Universalismus und Partikularismus, in E. Schafroth, M. Nicklaus, C. Schwarzer, D. Conte (hrsg.), Italien, Deutschland, Europa: kulturelle Identitäten und Interdipendenzen, Oberhausen, Athena Verlag, 2013, pp. 19-34. 1372 – Oltre l’idealismo. Lo storicismo in forma negativa, in «Giornale critico della filosofia italiana», XCII, 2013, fasc. II, pp. 447-455 [anche in «Bollettino Filosofico», 28, 2013, pp. 48-58]. 1373 – Die Rolle der Humanenities im Aufbau einer interkulturellen Gesellschaft, in G. Morrone (hrsg.), Universalität versus Relativität in einer interkulturellen Perspektive, Nordhausen, Traugott Bautz, 2013, pp. 59-72. 1374 – Transmediterraneo. Un approccio filosofico, in A. Scarabelli, R. Catania Marrone, D. Balzano (a cura di), Sconfinamenti. Omaggio a Davide Bigalli, Milano, Bietti, 2013, pp. 59-63. 1375 – La filosofia critica della storia di Ricoeur: narrazioine, tempo, memoria, in «Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei», serie IX, vol. XXIII, Roma, Ed. Scienze e Lettere, 2013, pp. 51-81. 1376 – Vico, Croce e l’Historismus, in G. Furnari Luvarà, S. Di Bella (a cura di), Benedetto Croce e la cultura tedesca, Firenze, Le Lettere, 2013, pp. 79-92. C) 1377 – Recensione di D. Losurdo, La Lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Roma-Bari, Editori Laterza, 2013, in «Historia Magistra», n. 12, 2013, p. 156. 140 F) 1378 – Introduzione a P. Signorino, Per Europa, Catalogo della mostra, Napoli, Arte’m, 2013, pp. 8-10. 1379 – Prefazione di R. Diana, Configurazioni filosofiche di Sé. Studi sull’autobiografia intellettuale di Vico e Croce, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, pp. 5-9. 1380 – Prefazione di E. Todaro, Vorrei ancora, Salerno, Arti Grafiche Boccia, 2013, pp. 5-7. G) 1381 – Se ritornano destra e sinistra, in «Il Roma», 6 gennaio 2013. 1382 – Se si ripete ancora il copione del 2006, in «Il Roma», 13 gennaio 2013. 1383 – Se la filosofia aiuta la politica, in «Il Roma», 20 gennaio 2013. 1384 – L’idea della storia congeniale al centrosinistra, in «l’Unità», 23 gennaio 2013. 1385 – La libertà e le occasioni. Ecco il pensiero di Masullo, in «La Città», 24 gennaio, 2013. 1386 – L’olocausto e l’indifferenza, in «Il Roma», 27 gennaio 2013. 1387 – Fuga dallo studio, segno del declino, in «Il Roma», 11 febbraio 2013. 1388 – “La scienza nuova”, un volume per capire. Vitiello e il pre-testo per dialogare con le filosofie, in «Corriere del Mezzogiorno», 15 febbraio 2013. 1389 – La Chiesa a un bivio, in «Il Roma», 17 febbraio 2013. 1390 – Attenti al rischio ingovernabilità, in «Il Roma», 3 marzo 2013. 1391 – I rischi del dopo Chavez. Venezuela al bivio, in «l’Unità», 10 marzo 2013. 1392 – I meriti di Chavez, in «Il Roma», 10 marzo 2013. 141 1393 – Il Papa e la cura per il prossimo, in «Il Roma», 24 marzo 2013. 1394 – Verso un governo del Presidente, in «Il Roma», 7 aprile 2013. 1395 – Quando la speranza si prosciuga, in «Il Roma», 13 aprile 2013. 1396 – Usciamo dall’impasse e diamo un governo all’Italia, in «l’Unità», 24 aprile 2013. 1397 – Democrazia del web e i rischi di internet, in «Il Roma», 5 maggio 2013. 1398 – La nuova dottrina di Papa Francesco, in «Il Roma», 19 maggio 2013. 1399 – Presidenzialismo scelta oligarchica, in «Il Roma», 9 giugno 2013. 1400 – Astensionismo e antipolitica, in «Il Roma», 16 giugno 2013. 1401 – Fenomenologia del berlusconismo, in «Il Roma», 30 giugno 2013. 1402 – Enciclica, più marcata la mano di Ratzinger, in «Il Roma», 7 luglio 2013. 1403 – Terra di veleni, è un genocidio, in «Il Roma», 14 luglio 2013. 1404 – Ma il vero allarme è per i nuovi poveri, in «Il Roma», 21 luglio 2013. 1405 – Il PD, il congresso e i falsi rinnovatori, in «Il Roma», 28 luglio 2013 1406 – Basta cannoneggiare il PD. È il sistema che è in crisi, in «La Città», 2 agosto 2013. 1407 – Ma il berlusconismo non è mai tramontato, in «Il Roma», 4 agosto 2013. 1408 – I casi di Silvio e il ruolo dei giudici, in «La Città», 5 agosto 2013. 1409 – Spunti di riflessione dagli affreschi ritrovati, in «La Città», 12 agosto 2013. 1410 – Berlusconi e le richieste impossibili, in «La Città», 17 agosto 2013. 142 1411 – La sorte di Berlusconi e la destra che verrà, in «Roma», 18 agosto 2013. 1412 – L’olocausto e il gesto della Merkel, in «La Città», 23 agosto 2013. 1413 – I limiti dell’intervento militare in Siria, in «Roma», 25 agosto 2013. 1414 – Lo spettro di una guerra totale, in «La Città», 28 agosto 2013. 1415 – Il paradosso dell’America, in «Roma», 1 settembre 2013. 1416 – Il peso politico di Allende 40 anni dopo, in «La Città», 11 settembre 2013. 1417 – Il linguaggio nuovo del Papa, in «Roma», 15 settembre 2013. 1418 – Memorie sulfuree di un testimone, in «Roma», 27 settembre 2013. 1419 – Il PDL e il bluff delle dimissioni, in «Roma», 29 settembre 2013. 1420 – Tessitore alla ricerca dello storicismo di Croce, in «Corriere del Mezzogiorno», 9 ottobre 2013. 1421 – Grillo, populismo e diritti umani, in «Roma», 13 ottobre 2013. 1422 – Quello che (mi) spaventa dell’astro splendente Renzi, in «La Città», 15 ottobre 2013. 1423 – Il negazionismo, idiozia o reato?, in «Roma», 20 ottobre 2013. 1424 – Se il PDL piange, il PD non ride, in «Roma», 3 novembre 2013. 1425 – Il ruolo della sinistra nel mondo che cambia, in «La Città», 12 novembre 2013. 1426 – Congressi e tessere, l’anima perduta del partito democratico, in «Roma», 24 novembre 2013. 1427 – Revisionismo e l’egemonia culturale, in «La Città», 28 novembre 2013. 1428 – La lezione storica di Mannucci, in «La Città», 4 dicembre 2013. 143 1429 – Ma il “miracolo” di Nelson Mandela non è ancora stato completato, in «Roma», 8 novembre 2013. 1430 – Rabbia e antipolitica, un mix esplosivo, in «Roma», 15 dicembre 2013. 1431 – Passate le primarie, il PD ritrovi i contenuti, in «Roma», 29 dicembre 2013. * * * 2014 A) 1432 – G. Cacciatore, A. Giugliano (a cura di), Dimensioni filosofiche e storiche dell’interculturalità, Milano-Udine, Mimesis, 2014. B) 1433 – Storicismo critico-problematico e interculturalità, in «Research Trends in Humanities. Education & Philosophy», I (2014), 1, pp. 11-12. 1434 – Antonio Banfi dall’umanesimo critico all’umanesimo storicistico integrale, in «Critica Marxista», n.s., n. 1, 2014, pp. 28-37. 1435 – Machiavelli e l’Italia moderna nelle analisi di Francesco De Sanctis, in G. Lencan Stoica, S. Dragulin (coord.), New Studies on Machiavelli and Machiavellism. Approaches and Historiography, Universitatea Din Bucarest, Ars Docendi, 2014, pp. 299-312. 1436 – Contributo su la Scienza Nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XLIV, 2014, pp. 65-73. 1437 – Presentación del libro de J.M. Sevilla, Prolegómenos para una crítica de la razón problemática. Motivos en 144 Vico y Ortega, in «Cuadernos sobre Vico», 27, 2013, pp. 71-77 [edito nel 2014]. 1438 – Geschichte/Geschichtsphilosophie, in H.D. Brandt (hrsg.), Disziplinen der Philosophie. Ein Kompendium, Hamburg, Meiner Verlag, 2014, pp. 202-219, 233-239, 243-248. 1439 – Teorie e metodi dell’interculturalità nella prospettiva di un nuovo umanesimo, in G. Cacciatore, A. Giugliano (a cura di), Dimensioni filosofiche e storiche dell’interculturalità, Milano-Udine, Mimesis, 2014, pp. 11-18. 1440 – Contro le “Borie ritornanti”: per un sano uso della critica, in «Trans/Form/Ação. Revista de Filosofia», Universidad Estadual Paulista, vol. 37, 2014, n. 3, pp. 45-56. 1441 – Paolo Rossi storico del presente, in D. Balzano, D. Bigalli (a cura di), La ragione curiosa. Atti del convegno in memoria di Paolo Rossi, Roma, Aracne, 2014, pp. 239-262. 1442 – Nuovi percorsi dello storicismo critico: la filosofia interculturale, in M. Castagna, R. Pititto, S. Venezia (a cura di), I dialoghi dell’interpretazione. Studi in onore di Domenico Jervolino, Pomigliano D’Arco (Na), Diogene Edizioni, 2014, pp. 161-165. 1443 – Nuovo umanesimo e filosofia interculturale, in «Humanitas», n.s., LXIX, 2014, n. 4-5, pp. 584-595. 1444 – Bloch e il futuro della dignità umana, in R. Viti Cavaliere, R. Peluso (a cura di), La coscienza del futuro, Napoli, La Scuola di Pitagora Editrice, 2014, pp. 43-68. 1445 – Tra ragione storica e ragione narrativa. Sulla critica della ragione problematica di José Manuel Sevilla, in «Rocinante. Rivista di filosofia iberica e iberoamericana», n. 8/2014, pp. 11-19. 1446 – Storia e rivoluzione. Per Giuseppe Prestipino, in T. Serra (a cura di), Giuseppe Prestipino. Un Maestro, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2014, pp. 13-17. C) 1447 – Recensione di F. Gallo, Dalla patria allo Stato. 145 Bertrando Spaventa, una biografia intellettuale, Roma-Bari, Laterza, 2013, in «Logos», n.s., n. 9, 2014, pp. 241-245. 1448 – Recensione di A. Agosti, Il partito provvisorio. Storia del Psiup nel lungo Sessantotto italiano, Roma-Bari, Laterza, 2013, in «Historia Magistra», n. 14, 2014, p.147. 1449 – Passione politica e passioni morali per salvare la dignità dell’intellettuale (a proposito del carteggio Levi Della Vida-Salvatorelli), in «Historia Magistra», n. 16, 2014, pp. 145-149. F) 1450 – Introduzione a Evolving Philosophy, in «Research Trends in Humanities. Education & Philosophy», I, 2014, 1, p. 10. 1451 – Introduzione (in collab. con A. Giugliano) a G. Cacciatore, A. Giugliano (a cura di), Dimensioni filosofiche e storiche dell’interculturalità, Milano-Udine, Mimesis, 2014, pp. 7-10. 1452 – Presentazione (in collab. con C. Cantillo) del fascicolo di «Rocinante. Rivista di filosofia iberica e iberoamericana», n. 8/2014, pp. 8-9. G) 1453 – Il futuro di Renzi e la legge elettorale, in «Roma», 5 gennaio 2014. 1454 – Attenti al razzismo strisciante della Lega, in «Roma», 19 gennaio 2014. 1455 – Legge elettorale, quante perplessità, in «Roma», 27 gennaio 2014. 1456 – Lo sfascismo intollerabile del M5S, in «Roma», 2 febbraio 2014. 1457 – L’Europa sappia ripartire dai suoi valori fondamentali, in «Roma», 9 febbraio 2014. 1458 – Renzi, la fretta e il filo del rasoio, in «Roma», 17 febbraio 2014. 146 1459 – Quell’indifferenza nei confronti del Sud, in «Roma», 24 febbraio 2014. 1460 – Psiup, il partito provvisorio, in «l’Unità», 3 marzo 2014. 1461 – Nazionalismi e populismi, in «Roma», 3 marzo 2014. 1462 – Aprile ’44: la svolta di Salerno. I partiti antifascisti al governo, in « La Città», 11 marzo, 2014. 1463 – Europa delle élites o Europa dei cittadini?, in «Roma», 23 marzo 2014. 1464 – Renzi, oppositori deboli e divisi, in «Roma», 31 marzo 2014. 1465 – Le ragioni del successo di Papa Francesco, in «Roma», 6 aprile 2014. 1466 – Embrioni scambiati e questioni morali, in “«Roma», 20 aprile 2014. 1467 – 25 Aprile: non stanca retorica ma omaggio ai combattenti, in «La Città», 25 aprile 2014. 1468 – I quattro Papi e la forza della Chiesa, in «Roma», 5 maggio 2014. 1469 – Ma l’Europa non merita la morte, in «Roma», 19 maggio 2014. 1470 – Uno scatto d’orgoglio partendo dall’Unità d’Italia, in «l’Unità», 26 maggio 2014. 1471 – Occorre cambiare politica e uomini, in «Roma», 26 maggio 2014. 1472 – Disoccupazione giovanile, i dati sono catastrofici, in «Roma», 8 giugno 2014. 1473 – Un uomo diventato eroe negli anni bui della dittatura, in «La Città», 11 giugno 2014. 1474 – Vero leader. Basta revival nostalgici (a proposito di Berlinguer), in «La Città», 12 giugno 2014. 1475 – Corruzione politica e sete di potere, in «Roma», 16 giugno 2014. 1476 – La doppia sfida di Renzi a Bruxelles, in «Roma», 25 giugno 2014. 147 1477 – Immigrati, 4 capitoli per un’agenda Ue, in «Roma», 7 luglio 2014. 1478 – Autodifesa e rappresaglia, in «Roma», 13 luglio 2014. 1479 – Il patto del Nazareno? È solo fantapolitica, in «Roma», 21 luglio 2014. 1480 – Gli opposti estremismi dell’ostruzionismo, in «Roma», 28 luglio 2014. 1481 – Riforme istituzionali teatrino della politica, in «Roma», 4 agosto 2014. 1482 – Gemelli “contesi”, dibattito aperto, in «Roma», 11 agosto 2014. 1483 – Togliatti, il leader politico che realizzò un capolavoro, in «La Città», 21 agosto 2014. 1484 – Contro i terroristi un corpo dell’ONU, in «Roma», 25 agosto 2014. 1485 – Amarante negli scritti d’agosto, in «Il Mattino», 29 agosto, 2014. 1486 – La violazione della dignità umana, in «Roma», 15 settembre 2014. 1487 – La questione italiana nell’ottica del Mezzogiorno. A proposito del libro di Barbagallo, in «La Città», 16 settembre 2014. 1488 – Sindacati e politica, basta con gli slogan, in «Roma», 22 settembre 2014. 1489 – Contro l’Isis scenda in campo l’ONU, in «Roma», 6 ottobre 2014. 1490 – Solo oggi il virus Ebola è un problema globale, in «Roma», 13 ottobre 2014. 1491 – L’ergastolo cancellato da Papa Francesco, in «Roma», 27 ottobre 2014. 1492 – Non resta che dire: povera Italia!, in «Roma», 3 novembre 2014. 1493 – Enrico Berlinguer e la questione morale, in «La Città», 7 novembre 2014. 1494 – Venticinque anni dopo, la Germania e l’Europa, in «Roma», 10 novembre 2014. 148 1495 – L’intangibilità del diritto d’asilo, in «Roma», 17 novembre 2014. 1496 – Se l’Università fa più (e meglio) del Comune, in «Roma», 1 dicembre 2014. 1497 – Berlinguer e Togliatti. Un errore storico cercare le analogie, in «La Città», 2 dicembre 2014. 1498 – I partiti macchine di potere e clientele, in «Roma», 8 dicembre 2014. 1499 – Napolitano e i rischi dell’antipolitica, in «Roma», 15 dicembre 2014. 1500 – Quel duetto comico tra anima e corpo, in «Roma», 22 dicembre 2014. 1501 – Il Papa e le quindici piaghe della Chiesa, in «Roma», 29 dicembre 2014 * * * 2015 A) 1502 – Dallo storicismo allo storicismo, introduzione di F. Tessitore, a cura di G. Ciriello, G. D’Anna, A. Giugliano, Pisa, ETS, 2015. 1503 – In dialogo con Vico. Ricerche, note, discussioni, introduzione di M. Sanna, a cura di M. Sanna, R. Diana, A. Mascolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2015. 1504 – Vita, opuscolo dal Lessico Crociano, a cura di R. Peluso, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2015. 1505 – G. Cacciatore, S. Cicenia (a cura di), Antonio Genovesi a trecento anni dalla nascita, Battipaglia (SA), Laveglia&Carlone, 2015. 149 B) 1506 – Del “pensare in proprio” nell’epoca delle filosofie mediatiche, in «Research Trends in Humanities. Education & Philosophy», vol. 2, 2015, n. 2, pp. 33-39. 1507 – Il potere che frena. Una riflessione sulla teologia politica di Massimo Cacciari, in «Jura Gentium», vol. XII, 2015, pp. 76-95. 1508 – La critica in soccorso dell’umano. Filologia e Umanesimo, in F. Mora (a cura di), Metamorfosi dell’umano, Milano-Udine, Mimesis, 2015, pp. 17-32. 1509 – Intervento su Labirinto filosofico di Massimo Cacciari, in «Logos», n.s., n. 10, 2015, pp. 193-199. 1510 – Religione e violenza. Qualche riflessione a partire da Charlie Hebdo, in «Historia Magistra. Rivista di storia critica», VII, 2015, n. 17, pp. 7-10. 1511 – Contro le borie “ritornanti”. Per un sano uso della critica, in R. Diana (a cura di) Le “borie” vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi tra moderno e contemporaneo, Napoli, ISPF Lab - Consiglio Nazionale delle Ricerche, (I Quaderni del Lab, 3), 2015, pp. 31-42. 1512 – Ancora sul Vico di Pietro Siciliani, in F. Luceri (a cura di), Pietro Siciliani e Cesira Pozzolini, Filosofia e Letteratura, introduzione di F. Tessitore, Lecce, Edizioni Grifo, 2015, pp. 35-44. 1513 – Filosofare dopo Ortega: su alcuni modelli di storia della filosofia e storia delle idee nella Spagna della seconda metà del Novecento, in «Philosophia», X-XI, 2014, 1-2 [stampato nel 2015], pp. 275-289. 1514 – Filosofi e intellettuali spagnoli nell’opera di Sciascia, in «Todomodo. Rivista Internazionale di Studi Sciasciani», V, 2015, pp. 71-79. 1515 – L’idea genovesiana di libertà, in G. Cacciatore, S. Cicenia (a cura di), Antonio Genovesi a trecento anni dalla nascita, Battipaglia (SA), Laveglia&Carlone, 2015, pp. 33-48. 1516 – Il Croce di Girolamo Cotroneo, in G. Gembillo 150 (a cura di), Lo storicismo di Girolamo Cotroneo, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2015, pp. 9-26. 1517 – Il mio Gramsci, in «Gramsciana», 1, 2015, pp. 13-15. F) 1518 – Presentazione di C. Scudieri, Ascesa e fine della classe operaia angrese, Angri (SA), Centro Iniziative Culturali, 2015, pp. 5-8. 1519 – Introduzione (in collab. con S. Cicenia) a G. Cacciatore, S. Cicenia (a cura di), Antonio Genovesi a trecento anni dalla nascita, Battipaglia (SA), Laveglia&Carlone, 2015, pp. 7-10. G) 1520 – Biondi, esempio di storiografia etico-politica, in «Il Quotidiano del Sud» (edizione irpina), 11 gennaio 2015. 1521 – Ma le colpe sono anche dell’Occidente, in «Roma», 12 gennaio 2015. 1522 – Grazie Napolitano, presidente dei cittadini, in «Roma», 19 gennaio 2015. 1523 – Il PD di Renzi non è di sinistra, in «Roma», 26 gennaio 2015. 1524 – Il messaggio di Pierro nelle poesie, in «Il Mattino», 28 gennaio 2015. 1525 – Dalla balena bianca al Partito della Nazione, in «Roma», 9 febbraio 2015. 1526 – Il gravissimo errore delle sedute notturne, in «Roma», 16 febbraio 2015. 1527 – Lo scontro armato tra culture e religioni, in «Roma», 23 febbraio 2015. 1528 – L’idea pericolosa del Partito della Nazione, in «Roma», 2 marzo 2015. 1529 – Quello spirito che serve alla Campania e al Sud, in «Roma», 9 marzo 2015. 151 1530 – La misericordia e il messaggio evangelico, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 16 marzo 2015 1531 – Aiutare Tunisia e Libia contro la minaccia Isis, in «Roma», 23 marzo 2015. 1532 – La strage di immigrati e l’inerzia della politica, in «Roma», 20 aprile 2015. 1533 – Il 25 aprile e la resistenza dei profughi, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 25 aprile 2015. 1534 – Italicum, un colpo letale per la nostra democrazia, in «Roma», 27 aprile 2015. 1535 – Il protagonismo tedesco e la sua colpa storica, in «Roma», 11 maggio 2015. 1536 – Amarante. Il dovere storico della memoria e il futuro da salvare, in «La Città», 12 maggio 2015. 1537 – La globalizzazione della cieca violenza, in «Roma», 18 maggio 2015. 1538 – La Resistenza di Salerno e il dovere della memoria, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 22 maggio 2015. 1539 – L’Occidente miope e l’avanzata dell’Is, in «Roma», 25 maggio 2015. 1540 – Partito della Nazione: il progetto è fallito, in «Roma», 8 giugno 2015. 1541 – Relazione virtuosa tra scienza e vangelo, in «Roma», 22 giugno 2015. 1542 – La conversione ecologica di Papa Francesco, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 2 luglio 2015. 1543 – Che fine ha fatto la sinistra moderata?, in «Roma», 6 luglio 2015. 1544 – Reddito di cittadinanza nelle riforme di Renzi, in «Roma», 20 luglio 2015. 1545 – Il pianeta “gemello” e il futuro della terra, in «Roma», 27 luglio 2015. 1546 – Serve un piano Marshall per il Mezzogiorno, in «Roma», 3 agosto 2015. 1547 – Barbarie post-atomica e dominio della ragione, in «Roma», 10 agosto 2015. 152 1548 – Isis, serve un’alleanza come contro il nazismo, in «Roma», 24 agosto 2015. 1549 – Come si uccidono le università del Sud, in «Roma», 31 agosto 2015. 1550 – La “nuova” S. Teresa e la politica del territorio, in «La Città», 14 settembre 2015. 1551 – Germania più europea grazie ai profughi, in «Roma», 14 settembre 2015. 1552 – Tragedia immigrati e diritto d’asilo, in «Roma», 21 settembre 2015. 1553 – Quando il rapporto dolore-paziente diventa consapevole, in «La Città», 22 settembre 2015. 1554 – L’apocalisse delle migrazioni, in «Roma», 28 settembre 2015. 1555 – La forza del papa che parla ai Sud del mondo, in «Il Mattino», 29 settembre 2015. 1556 – La lobby delle armi e le stragi in Usa, in «Roma», 5 ottobre 2015. 1557 – Il Sud dimenticato da questo governo, in «Roma», 19 ottobre 2015. 1558 – Non illudiamoci sul Sud. Il governo lo ha abbandonato, in «Roma», 2 novembre 2015. 1559 – La risposta forte del papa ai corvi e ai faraoni, in «Roma», 9 novembre 2015. 1560 – Bisogna evitare reazioni emotive, in «Roma», 16 novembre 2015. 1561 – Il reciproco rispetto di tutte le religioni, in «Roma», 23 novenbre 2015. 1562 – La misericordia non è un atto autoreferenziale, in «Roma», 7 dicembre 2015. 1563 – L’università verso un’irreversibile agonia, in «Roma, 21 dicembre 2015. 1564 – Lo spettacolo gender e il paradigma dell’identità sessuale, in «Il Mattino», 27 dicembre 2015. * * * 153 2016 A) 1565 – G. Cacciatore, C. Cantillo (a cura di), Omaggio a Ortega. A cento anni dalle Meditazioni del Chisciotte (1914-2014), Napoli, Guida Editori, 2016. B) 1566 – Time, Narration, Memory: Paul Ricoeur’s Theory of History, in F. Santoianni (ed.), The Concept of Time in Early Twentieth-Century Philosophy. A Philosophical Thematic Atlas, Switzerland, Springer, 2016, pp. 167-173. 1567 – Le nuove edizioni delle Scienze Nuove nel contesto del progetto per l’edizione critica dell’opera vichiana, in «Rendiconti. Atti della Accademia Nazionale dei Lincei», serie IX, vol. XXVI, Roma, Bardi Edizioni, 2016, pp. 265-271. 1568 – La polemica sulla «Voce» tra filosofi ‘amici’, in Aa.Vv., Croce e Gentile. La cultura italiana e l’Europa, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2016, pp. 281-287. 1569 – Da Gramsci a Said. Filologia vivente e critica democratica, in Aa.Vv., Attualità del pensiero di Antonio Gramsci, «Atti dei Convegni Lincei - 292. Accademia Nazionale dei Lincei», Roma, Bardi Edizioni, 2016, pp. 41-57. 1570 – Bruno Trentin: la critica del finalismo storicistico e del comunismo “schematico” e “ossificato”, in A. Gramolato, G. Mari (a cura di), Il lavoro dopo il Novecento: da produttori sociali ad attori sociali, Firenze, Firenze University Press, 2016, pp. 221-232. 1571 – El pensamiento mediterráneo y la filosofía intercultural, in P. Badillo O’Farrel, J.M. Sevilla Fernández (eds.), La Brújula hacia el sur. Estudios sobre filosofía meridional, Madrid, Biblioteca Nueva, 2016, pp. 73-85. 1572 – Il posto della parola: lo stile filosofico di Ortega tra meditazione e saggio, in G. Cacciatore, C. Cantillo (a cura di), 154 Omaggio a Ortega. A cento anni dalle Meditazioni del Chisciotte (1914-2014), Napoli, Guida Editori, 2016, pp. 31-47. 1573 – In ricordo di Franco Crispini, in «Logos», n.s., n. 11, 2016, pp. 95-99. 1574 – Die Freiheitsidee bei Genovesi, in M. Kaufmann, J. Renzikowski (hrsg.), Freiheit als Rechtsbegriff, Berlin, Duncker und Humblot, 2016, pp. 201-211. 1575 – Per Roberto Volpe. A quarant’anni dalla morte, in «Rassegna Storica Salernitana», n. 65, 2016, pp. 181-184. 1576 – Ordine e disciplina: usura di parole e di idee, in «Archivio di storia della cultura», XXIX, 2016, pp. 31-33. 1577 – Ricostruzione, interpretazione, storicità. Ancora sul rapporto tra psicoanalisi e storia, in «Bollettino Filosofico», 31, 2016, pp. 17-28. 1578 – Filosofia pratica e filosofia civile, in A. Musci, R. Russo (a cura di), Filosofia civile e crisi della ragione. Croce filosofo europeo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016, pp. 47-67. 1579 – Etica, progresso, marxismo, in «Materialismo storico», n. 1-2, 2016, pp. 12-17. 1580 – Il concetto di cittadinanza in Vico come manifestazione del nesso tra universalità della legge e storicità empirica della civitas, in «Laboratorio dell’ISPF», XIII, 2016, n.16, pp. 1-10. 1581 – Diversioni e riflessioni in un recente libro sul Chisciotte, in «Rocinante. Rivista di filosofia iberica, iberoamericana e interculturale», n. 9/2015-2016, pp. 97-101. C) 1582 – Recensione di A. Labriola, Tra Hegel e Spinoza. Scritti 1863-1869, a cura di A. Savorelli e A. Zanardo, Napoli, Biblipolis, 2015, in «Historia Magistra», n. 22, 2016, p. 146. 155 E) 1583 – J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte e altri saggi, a cura di G. Cacciatore e M.L. Mollo, Napoli, Guida Editori, 2016. F) 1584 – Introduzione (in collab. con C. Cantillo) a G. Cacciatore, C. Cantillo (a cura di), Omaggio a Ortega. A cento anni dalle Meditazioni del Chisciotte (1914-2014), Napoli, Guida Editori, 2016, pp. 5-10. 1585 – Premessa a J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte e altri saggi, a cura di G. Cacciatore e M.L. Mollo, Napoli, Guida Editori, 2016, pp. V-XIII. 1586 – Introduzione a D. Di Iasio, Dark Age. Per una rinascita dell’umano, Manfredonia, Pacilli Editore, 2016, pp. 7-13. 1587 – Introduzione a M Scalercio, Umanesimo e storia da Said a Vico. Una prospettiva vichiana sugli studi postcolionali, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016, pp. VII-XII. 1588 – Introduzione a L. Anzalone, Eroi nel paese della mafia. Storie italiane: Impastato, Ambrosoli, Falcone e Borsellino, Don Puglisi, S. Cesario di Lecce, Pensa Editore, 2016, pp. 7-18. G) 1589 – Vecchi e nuovi conflitti: scenari inquietanti, in «Roma», 4 gennaio 2016. 1590 – Zanone, studioso e politico legatissimo a Salerno (in collab. con R. Cangiano), in «La Città», 9 gennaio 2016. 1591 – Immigrazione, politici sull’onda dell’emozione, in «Roma», 11 gennaio 2016. 1592 – Esprit de finesse et de géométrie. Il connubio felice di Cicenia, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 16 gennaio 2016. 156 1593 – L’America di Obama profondamente divisa, in «Roma», 18 gennaio 2016. 1594 – Le unioni civili e i dubbi del Papa, in «Roma», 25 gennaio 2016. 1595 – La sconfitta del socialismo democratico e riformista, in «Roma», 1 febbraio 20169 1596 – L’adozione del figliastro, quanta confusione, in «Roma», 15 febbraio 2016. 1597 – Umberto Eco, l’Europa e l’uscita degli inglesi, in «Roma», 22 febbraio 2016. 1598 – Volpe e la città ricostruita dalle macerie, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 7 marzo 2016. 1599 – Facciamo attenzione alla polveriera Libia, in «Roma», 7 marzo 2016. 1600 – La crisi della sinistra con la nascita del PD, in «Roma», 14 marzo 2016. 1601 – La nazione napoletana tra mito e realtà, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 aprile 2016. 1602 – Francesco De Martino, un uomo che ci manca, in «Roma», 11 aprile 2016. 1603 – La misericordia del Papa e i fallimenti dei politici, in «Roma», 18 aprile 2016. 1604 – Questa spaccatura non serve a nessuno, in «Roma», 25 aprile 2016. 1605 – La realtà di una metropoli tra immagini e parole, in «La Città», 3 maggio 2016. 1606 – Papa Bergoglio e il sogno di un’Europa nuova, in «Roma», 9 maggio 2016. 1607 – Il populismo dell’antipolitica, in «Roma», 16 maggio 2016. 1608 – I politici studino il rapporto Istat per capire cosa fare, in «Roma», 23 maggio 2016. 1609 – Un appuntamento importante campo di prova per Renzi, in “Roma», 6 giugno 2016. 1610 – L’obiettivo deve essere la serie A, in «La Città», 8 giugno 2016. 157 1611 – Un libro che diffonde l’odio contro l’uomo, in «Roma», 13 giugno 2016. 1612 – Anche con la Brexit l’Europa non muore, in «Roma», 20 giugno 2016. 1613 – Si è concesso troppo ai conservatori inglesi, in «Roma», 27 giugno 2016. 1614 – Gli errori che uccidono le nostre democrazie, in «Roma», 11 luglio 2016. 1615 – È una g uerra figlia della globalizzazione, in «Roma», 18 luglio 2016. 1616 – La religione strumento di pace per Francesco, in «Roma», 1 agosto 2016. 1617 – Sicurezza e democrazia per battere la paura, in «Roma», 8 agosto 2016. 1618 – Burkini vietati, non è vera laicità, in «Roma», 22 agosto 2016. 1619 – Subito un piano nazionale di sicurezza degli edifici, in «Roma», 29 agosto 2016. 1620 – Lo storicismo secondo Tessitore, in «Corriere del Mezzogiorno», 4 settembre 2016. 1621 – Il mondo di “Bella ciao”, la canzone della libertà, il «Il Mattino» (ed. di Salerno), 16 settembre 2016. 1622 – Ma Ciampi non fu solo un grande europeista, in «Roma», 19 settembre 2016. 1623 – Quell’inchino davanti al PCI, in «La Città», 21 settembre 2016. 1624 – Obama e l’agenda delle sfide globali, in «Roma», 26 settembre 2016. 1625 – Amendola contro i populismi, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 3 Ottobre 2016. 1626 – Il pericolo del populsimo demagogico-qualunquista. A proposito della crisi del socialismo europeo, in «Roma», 3 ottobre 2016. 1627 – Dialoghi sull’anima. Insondabile mistero, il «Il Mattino» (ed. di Salerno), 8 ottobre 2016. 1628 – Scuola dimenticata, tornano le proteste, in «Roma», 158 10 ottobre 2016. 1629 – Penalizzati le donne e i lavoratori meridionali, in «Roma», 17 ottobre 2016. 1630 – Crisi e mutamento nel senso dell’umano, in «Roma», 31 ottobre 2016. 1631 – Quegli eroi di una scelta contrastata, in «Il Quotidiano del Sud», 6 novembre 2016. 1632 – Presidenziali in Usa, scontro tra due mondi, in «Roma», 7 novembre 2016. 1633 – Apocalittici o rassegnati, ma c’è una terza via, in «Roma», 13 novembre 2016. 1634 – Fine del l’esperimento del socialismo cubano?, in «Roma», 28 novembre 2016. 1635 – Personalizzazione politica nelle logiche di partito, in «Roma», 12 dicembre 2016. 1636 – Le voci del secolo breve, in «Corriere del Mezzogiorno”, 13 dicembre 2016. 1637 – Responsabilità degli storici nella vita civile, in «La Città», 15 dicembre 2016. 1638 – La politica torni giudice di se stessa, in «Roma», 19 dicembre 2016. 1639 – Il corpo a corpo di Galasso con la storia, in «Corriere del Mezzogiorno», 22 dicembre 2016. * * * 2017 A) 1640 – Laurea Honoris Causa in Scienze Pedagogiche. Lectio Magistralis. Il futuro della filosofia sta nel suo passato, presentazione di A.Tommasetti, Laudatio: Sullo storicismo di G. Cacciatore di F. Tessitore, Salerno, Università degli Studi di Salerno, 2017. 159 1641 – L’esperienza filosofica di Fulvio Tessitore in forma di dialogo. Intervista di Giuseppe Cacciatore, a cura di S. Tarantino, in appendice la bibliografia degli scritti a cura di F. Lomonaco, presentazione di M. De Dominicis, Napoli, Editoriale Scientifica, 2017. 1642 – Giuseppe Giarrizzo, Napoli, Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti, “Profili e Ricordi” XLI, 2017. B) 1643 – Ricostruzione, interpretazione, storicità. Ancora sul rapporto tra psicoanalisi e storia, in «Research Trend in Humanties», IV, 2017, pp. 66-73. 1644 – Croce e Dilthey. Le due vie dello storicismo europeo, in C. Tuozzolo (a cura di), Benedetto Croce. Riflessioni a 150 anni dalla nascita, Canterano (RM), Aracne Editrice, 2017, pp. 25-33 [anche in S. Di Bella, F. Rizzo Celona (a cura di), Croce e la modernità tedesca, Roma, Aracne, 2017, pp. 99-108]. 1645 – In memoria di Italo Gallo, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., XXXIII/2, dicembre 2016, n. 66, pp. 3-5. 1646 – Il sapere filosofico e la sua storia tra universalismo e relativismo, in «Storiografia. Rivista annuale di storia», n. 20, 2016, Roma, Fabrizio Serra Editore, 2017, pp. 159-167. 1647 – Dilthey e Humboldt. La fondazione filosofica dell’individualità e la nascita della coscienza storica, in A. Carrano, E. Massimilla, F. Tessitore (a cura di), Wilhelm von Humboldt, duecentocinquant’anni dopo. Incontri e confronti, Quaderni dell’«Archivio di storia della cultura», n.s., vol. 7, Napoli, Liguori, 2017, pp. 395-422. 1648 – Tra etica dei principi ed etica pratica. I Frammenti di etica di Benedetto Croce, in «Il Pensiero italiano», I, 2017, n. 1, pp. 21-36. 1649 – Divagazioni filosofiche (e non) sulla felicità, in V. Caputo (a cura di), L’Io felice tra filosofia e letteratura, Milano, Franco Angeli, 2017, pp. 15-24. 1650 – Tacito e il tacitismo in Spagna, in «Rocinante. Ri- 160 vista di filosofia iberica, iberoamericana e interculturale», n. 10/2017, pp. 139-144. 1651 – Meticciato, ibridazione, etica interculturale, in G. Magnano San Lio, L. Ingaliso (a cura di), Alterità e cosmopolitismo nel pensiero moderno e contemporaneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2017, pp. 41-52 [anche in M. Longo, G. Miceli (a cura di), La filosofia e la sua storia. Studi in onore di G. Piaia, Padova, Cleup, 2017, t. 2, pp. 405-417]. 1652 – Gramsci oggi. Tra marxismo critico ed etica della realizzazione dell’umano, in «Infiniti Mondi», I, 2017, n. 1, pp. 99-106. F) 1653 – Note introduttive, in «Rassegna storica salernitana», n. 67, giugno 2017, pp. 5-7. 1654 – Prefazione a G. Magnano San Lio, Per una filosofia dello storicismo. Studi su Dilthey, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2017, pp. 7-11. G) 1655 – Non basta l’accoglienza senza vera integrazione, in «Roma», 9 gennaio 2017. 1656 – Il futuro dell’America nell’addio di Obama, in «Roma», 16 gennaio 2017. 1657 – Come cambiano gli Usa nell’era del populismo, in «Roma», 23 gennaio 2017. 1658 – Olocausto, una eredità da trasmettere ai giovani, in «Roma», 30 gennaio 2017. 1659 – Post, il prefisso che avvelena la democrazia, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 2 febbraio 2017. 1660 – Le ambizioni di Renzi e il bene del paese, in «Roma», 6 febbraio 2017. 1661 – Tradizione socialista: è in crisi profonda, in «Roma», 13 febbraio 2017. 161 1662 – Diritto all’obiezione e all’autodeterminazione, in «Roma», 27 febbraio 2017. 1663 – La sinistra ora recuperi i valori espressi dal voto del 4 dicembre, in «La Città», 28 febbraio 2017. 1664 – Edizione nazionale di Labriola, spunta il testo su Spinoza, in «Corriere del Mezzogiorno», 3 marzo 2017. 1665 – I nuovi schiavi del nostro secolo, in «Roma», 6 marzo 2017. 1666 – Magistrati e politica, un rapporto irrisolto, in «Roma», 20 marzo, 2017. 1667– Cambio d’epoca. 1917 l’anno della rivoluzione, in «La Città», 25 marzo 2017. 1668 – Rappresentante e rappresentato, in «Roma», 27 marzo, 2017. 1669 – Ecco la nuova casa a sinistra del PD, in «Roma», 3 aprile 2017. 1670 – Si va verso la terza catastrofe mondiale, «Roma», 10 aprile 2017. 1671 – Francia, una risposta per il futuro europeo, in «Roma», 24 aprile 2017. 1672 – Legittima difesa, tante incongruenze, in «Roma», 8 maggio 2017. 1673 – Di che cosa sarà fatto il futuro? Emmanuel guardi alle ingiustizie, un «La Città», 8 maggio 2017. 1674 – Tragedia e sofferenze di un popolo, in «La Città», 21 maggio 2017. 1675 – De Sanctis, zoom su un maestro, in «Roma», 23 maggio 2017. 1676 – I sette “grandi” e l’inutile incontro di Taormina, in «Roma», 29 maggio 2017. 1677 – Ma la vera sinistra rischia di scomparire, in «Roma», 5 giugno 2017. 1678 – La reintroduzione del sistema voucher, in «Roma», 12 giugno 2017. 1679 – PD, è un dualismo di difficile soluzione, in «Roma», 3 luglio 2017 162 1680 – Le tante responsabilità dell’emergenza incendi, in «Roma», 17 luglio 2017. 1681 – Migranti, sta fallendo lo spirito comunitario, in «Roma», 24 luglio 2017. 1682 – Rapporto da chiarire tra obbligo e libertà, in «Roma», 31 luglio 2017. 1683 – Migranti, l’Europa tradisce se stessa, in «Roma», 7 agosto 2017. 1684 – Multinazionali estere libere di avvelenare, in «Roma», 14 agosto 2017. 1685 – S. Matteo? Basta amenità, è culto storico, in «La Città», 18 agosto 2017. 1686 – Raggi come Pilato. Serve buon senso, in «Roma», 28 agosto, 2017. 1687 – Il mondo dei robot, è l’era post-umana?, in «Roma», 4 settembre 2017. 1688 – Gli abusi di potere di qualche magistrato, in «Roma», 18 settembre 2017. 1689 – I mitici anni 60 dei primi “nettuniani”, in «La Città», 24 settembre 2017. 1690 – Spagna e Catalogna sull’orlo del baratro, in «Roma», 25 settembre 2017. 1691 – L’Università italiana non va criminalizzata, in «Roma», 2 ottobre 2017. 1692 – Così il “giornalista” Gramsci rilegge gli eventi della rivoluzione d’ottobre, in «La Città», 6 ottobre 2017. 1693 – Cosa si nasconde dietro la crisi catalana, in «Roma», 9 ottobre 2017. 1694 – Democrazia italiana: è sempre più stanca, in «Roma», 16 ottobre 2017. 1695 – I quattro populismi sula scena politica, in «Roma», 23 ottobre 2017. 1696 – Spagna, è a rischio il futuro democratico, in «Roma», 30 ottobre 2017. 1697 – Che fine ha fatto la sinistra italiana?, in «Roma», 6 novembre 2017. 163 1698 – Ma dov’è finita la dignità umana?, in «Roma», 13 novembre 2017. 1699 – Emergenza migranti, la sciagurata decisione di affidarsi alla Libia, «La Città», 20 novembre 2017 [anche in «Roma» col titolo Le ventisei migranti sepolte a Salerno]. 1700 – Quando ci dimentichiamo delle nostre origini, in «Roma», 27 novembre 2017. 1701 – Passioni e debolezze di Gramsci nell’originale biografia di D’Orsi, in «La Città», 27 novembre 2017. 1702 – Se patria e matria diventano contaminazione virtuosa, in «La Città», 4 dicembre 2017 [anche in «Roma» col titolo Il duro confronto tra Patria e Matria]. 1703 – Rinnovare la cultura politica per debellare i neo fascismi, in «La Città», 11 dicembre 2017. 1704 – La svolta umanistica del biotestamento, in «La Città», 18 dicembre 2017 [anche in «Roma» col titolo Biotestamento e dignità, una rivoluzione culturale]. 1705 – La Catalogna vittoriosa non rilanci lo scontro, in «La Città», 27 dicembre 2017 [anche in «Roma», 28 dicembre 2017, col titolo La questione catalana e i rischi per l’Europa]. 1706 – Umanesimo. La linea analitica di Cacciari. Interrogativi sulla crisi tra filologia e filosofia, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 27 dicembre, 2017. * * * 2018 B) 1707 – Acerca de la génesis de los conceptos viquianos de ingenio y fantasía, in «Cuadernos sobre Vico», 30/31, 2016-2017 [pubblicato nel 2018], pp. 87-94. 164 1708 – In difesa della Carta Costituzionale, oggi come ieri, in «Infiniti Mondi», II, 2018, n. 4, pp. 35-45. 1709 – Divagazioni sulla felicità, in P. Rumore (a cura di), Momenti di felicità. Per Massimo Mori, Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 115-126. 1710 – Humboldt und Dilthey. Die philosophische Begründung der Individualität und das Entstehen des geschichtlichen Bewusstseins, in J. Trabant (hrsg.), Wilhelm von Humboldt: Sprache, Dichtung, Geschichte, Paderborn, Wilhelm Fink Verlag, 2018, pp. 83-100. 1711 – Etica e storia in Ernst Troeltsch, in G. Cantillo, D. Conte, A. Donise, E. Massimilla (a cura di), Ernst Troeltsch. Religione, etica, filosofia della storia, Quaderni dell’«Archivio di storia della cultura», n.s., vol. 8, Napoli, Liguori, 2018, pp. 101-111. 1712 – Humanismus e Umanesimo, in «Archivio di storia della cultura», XXXI, 2018, pp. 339-344. 1713 – Sulla genesi dei concetti vichiani di ingegno e fantasia, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», XLVIII, 2018, pp. 21-28. 1714 – Pena di morte e letteratura. Una prospettiva storico-filosofica, in «Logos», n.s., 13, 2018, pp. 249-253. E) 1715 – A. Labriola, I problemi della filosofia della storia (1887). Recensioni (1870-1896), a cura di G. Cacciatore e M. Martirano, Napoli, Bibliopolis, 2018. F) 1716 – Premessa a G. Cirillo (a cura di) L’italia a cento anni dalla grande guerra. Miti, interpretazioni, politiche industrali, Fisciano (SA), Gutenberg Edizioni, 2017 [ma distribuito nel 2018], pp. 10-13. 1717 – Prefazione a S. Tarantino, Chiaroscuri della ragio- 165 ne. Kant e le filosofe del Novecento. Napoli, Guida Editori, 2018, pp. 7-11. 1718 – Introduzione a L. Cicalese, A Nocera Superiore dal 1943 al 1946, Nocera Superiore, PrintArt Editore, 2018, pp. 5-7. G) 1719 – La “vecchia” Costituzione che rianima la democrazia stanca, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 5 gennaio 2018. 1720 – La Costituzione merita una riflessione storica, in «Roma», 8 gennaio 2018. 1721 – “Rubentus”, sperando nel gesto dell’ombrello, in «Roma», 15 gennaio 2018. 1722 – La Segre e gli orrori di ieri, oggi e domani, in «Roma», 22 gennaio 2018. 1723 – Si alla clonazione ma solo a fin di bene, in «Roma», 29 gennaio 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo La clonazione tra ragionevoli e catastrofisti, 1 febbraio 2018]. 1724 – Attenti al pericolo dei nuovi nazifascisti, in «Roma», 5 febbraio 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo L’Olocausto e la legge polacca. L’aggettivo che nasconde i carnefici della porta accanto, 6 febbraio 2018]. 1725 – La storia e le rivoluzioni culturali e sociali, in «Roma», 12 febbraio 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo Il Sessantotto delle libertà sospeso tra il silenzio e l’idillio della retorica, 13 febbraio 2018]. 1726 – Sacralità della vita e libertà di suicidio, in «Roma», 19 febbraio 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo La dignità della vita e i sentieri interrotti della ragion politica, 20 febbraio 2018]. 1727 – Intanto cresce l’odio verso gli immigrati, in «Roma», 26 febbraio 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di 166 Salerno, col titolo Fascismo e antifascismo: le parole “vecchie” che nominano il nuovo, 27 febbraio 2018]. 1728 – Restare ottimisti nonostante tutto, in «Roma», 5 marzo 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo Stare al mondo con ottimismo nel grigio weekend, 6 marzo 2018]. 1729 – Quella scintilla viva nell’idea di socialismo, in «Roma», 12 marzo 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, La coperta del socialismo che contamina lo scandalo della modernità, 13 marzo 2018]. 1730 – I populismi, malattia senile della democrazia, in «Roma», 19 marzo 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo Il “possibile” dei partiti senza demonizzare i congiuntivi sbagliati, 20 marzo 2018]. 1731 – La preoccupazione per i due populismi, in «Roma», 26 marzo 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo L’aventinismo nullista travolto dall’onda populista, 27 marzo 2018]. 1732 – Giornalismo d’inchiesta tra politica e informazione, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 3 aprile 2018. 1733 – La razza non esiste, lo dice la scienza, in «Roma», 9 aprile 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, 10 aprile 2018]. 1734 – Informazione digitale: uso improprio e illegale, in «Roma», 16 aprile 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, 17 aprile 2018]. 1735 – Perché i diritti sono radice immutabile della sinistra, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 24 aprile 2018 [anche in «Roma», 23 aprile 2018]. 1736 – Le istituzioni possono fermare un altro declino. A proposito della chiusura della Libreria Internazionale, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 1 maggio 2018. 1737 – Internazionale, patrimonio culturale della città, in «YouCamp», 3 maggio 2018. 1738 – Recuperare Marx senza totalitarismi, in «Roma», 7 maggio 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col 167 titolo A che condizione non possiamo non dirci marxisti, 8 maggio 2018]. 1739 – La strada stretta tra populisti e sovranisti, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 15 maggio 2018 [anche in «Roma» col titolo L’ultima spiaggia: potere a Mattarella, 14 maggio 2018]. 1740 – Fionda e cecchini. Il nuovo apartheid dei palestinesi, in «Il Mattino», ed. di Salerno, 22 maggio 2018 [anche in «Roma» col titolo Non resta che diventare cittadini israeliani, 21 maggio 2018]. 1741 – Uno scontro istituzionale che non ha precedenti, in «Roma», 28 maggio 2018. 1742 – Apprendisti stregoni contro la costituzione, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 29 maggio 2018. 1743 – La mutazione genetica del populismo tradizionale, in «Roma», 4 giugno 2018. 1744 – La piazza multiclassista e la sinistra incerta, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 5 giugno 2018. 1745 – Governo muto su diritti e lavoro, in «Roma», 11 giugno 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo La testa dura dei fatti e le visioni innegabili, 12 giugno 2018]. 1746 – La sinistra sconfitta ma non ancora sepolta, in «Roma», 18 giugno 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo Un nuovo socialismo per la nuova sinistra, 19 giugno 2018]. 1747 – Ambiente e cervello: un dialogo continuo, in “«Roma», 25 giugno 2018 [anche in «Il Mattino», ed. di Salerno, col titolo Tra anoressia dei valori e bulimia dei consumi, 26 giugno 2018]. 1748 – Se la nostra Europa rinnega la vocazione umanitaria, in «Il Mattino» (ed. di Salerno), 3 luglio 2018. 1749 – La perdita d’influenza della classe operaia, in «Roma», 9 luglio 2018. 1750 – Guardiamo la storia come “Magistra Vitae”, in «Roma», 16 luglio 2018. 1751 – Immigrati, il razzista della porta accanto, in «Roma», 23 luglio 2018. 168 1752 – L’indifferenza convive con l’odio, dal giudice xenofobo a Federica, in «La Città», 24 luglio 2018. 1753 – Il mondo cattolico argine al razzismo, in «Roma», 30 luglio 2018. 1754 – Sud nel baratro. Governo assente, in «Roma», 6 agosto 2018. 1755 – Renato Cangiano, l’anima del premio Salvatore Valitutti, in «La Città», 11 agosto 2018. 1756 – Basta proclami, ora servono i fatti, in «Roma», 20 agosto 2018. 1757 – La democrazia “sostituita” dai social, in «Roma», 27 agosto 2018. 1758 – Dalla Chiesa l’appello in difesa dell’ambiente, in «Roma», 3 settembre 2018. 1759 – L’ignoranza “democratica” che genera i populismi, in «Il Mattino», 11 settembre 2018 [anche in «Roma» col titolo La storia è il sapere più vicino alla politica, 10 settembre 2018]. 1760 – Amendola, le lettere della libertà, in «La Città», 14 settembre 2018. 1761 – Bergoglio e la dura critica al populismo dilagante, in «Roma», 24 settembre 2018. 1762 – Verso la “dittatura della maggioranza” [titolo originale del giornale: Verso una dittatura delle fake-news], in «Roma», 1 ottobre 2018. 1763 – Perché i populisti odiano la storia, in «Roma», 15 ottobre 2018. 1764 – Scivoliamo verso il baratro con gli apprendisti stregoni, in «Roma», 22 ottobre 2018. 1765 – Il nemico non è alle porte, ma il pre-fascismo sì, in «Roma», 5 novembre 2018. 1766 – Salerno e la sua storia, in «Cronache della sera», 9 novembre 2018. 1767 – Ecco come nascono i governi autoritari, in «Roma», 12 novembre 2018. 1768 – Dalle veline fasciste ai messaggi grillini, in «Roma», 19 novembre 2018. 169 1769 – Dalle donne parta una rivolta civile, in «Roma», 26 novembre 2018. 1770 – I preoccupanti dati del rapporto Censis, in «Roma», 10 dicembre 2018. 1771 – Diritti umani ancora calpestati nel mondo, in «Roma», 17 dicembre, 2018 * * * 2019 B) 1772 – Dilthey zwischen Universalismus und Relativismus, in «Aoristo. Journal of Phenomenology, Hermeneutics and Metaphysics», n. 3, 2019, pp. 84-102. 1773 – Etica e storia in Troeltsch, in «Aoristo. Journal of Phenomenology, Hermeneutics and Metaphysics», n. 3, 2019, pp. 227-237. 1774 – “Mis” Vico, in «Cuadernos sobre Vico», 32, 2018 [pubblicato nel 2019], pp. 53-59. 1775 – La lingua della Scienza Nuova di Vico. In dialogo con una inedita interpretazione della lingua vichiana, in F. Cacciapuoti (a cura di), Il corpo dell’idea. Immaginazione e linguaggio in Vico e Leopardi, Roma, Donzelli, 2019, pp. 103-106. 1776 – Un appuntamento mancato? Il carteggio AndersLukács 1964-1971, in A. Meccariello, A. Infranca (a cura di), Vie traverse. Lukács e Anders a confronto, Trieste, Asterios, 2019, pp. 19-30. 1777 – Bloch e l’alleanza tra diritto naturale e diritti umani, in «Infiniti Mondi», III, 2019, n. 11, pp. 25-39. 1778 – L’Europa nelle riflessioni di Benedetto Croce e Thomas Mann, in Aa.Vv., Adotta un filosofo, pogetto di formazione rivolto alle scuole superiori, Fondazione Campania dei Festival, pp. 29-31. 170 1779 – Il marxismo di Antonio Banfi, in «Critica Marxista», n. 4-5, 2019, pp. 71-80. 1780 – Bloch e l’utopia della Menschenwürde, in «B@belonline», n. 5, 2019, pp. 107-118. 1781 – Storia filosofica o storia storica della filosofia?, in «Iride», n. 86, 2019, pp. 75-80. 1782 – Weimar 100 anni dopo. Lezioni da meditare, in «Historia Magistra», XI, 2019, n. 30, pp. 5-8. C) 1783 – Recensione di F. Esposito, R. Guerriero, Il capitano. La storia di Donato Vestuti, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., n. 72, dicembre 2019, pp. 190-193. G) 1784 – Rivolta anti-Salvini, disobbedire è giusto, in «Roma», 7 gennaio 2019. 1785 – Sconfessare le promesse dei nostri governanti, in «Roma», 14 gennaio 2019. 1786 – Così vogliono demolire la democrazia parlamentare, in «Roma», 21 gennaio 2019. 1787 – Lelio Basso e quell’incontro mancato tra Marx e Kant, in «Salerno Sera», 26 gennaio 2019. 1788 – Il giorno della memoria e la nuova barbarie, in «Roma», 28 gennaio 2019. 1789 – Italiani abbindolati grazie alla paura, in «Roma», 4 febbraio 2019 [anche in «Salerno Sera», 4 febbraio 2019, col titolo Prigionieri dell’istrionismo salviniano]. 1790 – La pietà verso i morti e i diritti dei migranti, in «Roma», 11 febbraio 2019 [anche in «Salerno Sera», 11 febbraio 2019, col titolo Il volto salato dei naufraghi]. 1791 – L’eutanasia del Sud, morte lenta indotta, in «Roma», 18 febbraio 2019 [anche in «Salerno Sera», 18 febbraio 2019, col titolo Giù le mani dalla Costituzione]. 171 1792 – L’attacco alla storia: rischia di scomparire, in «Roma», 25 febbraio 2019 [anche in «Salerno Sera», 25 febbraio 2019, col titolo Giù le mani dalla storia]. 1793 – La “Città” e quei pirati sulla nave di Teseo, in «Salerno Sera», 3 marzo 2019 [anche in «Roma» col titolo La truffa delle tre tavolette de “La Città” di Salerno, 4 marzo 2019]. 1794 – Diseguaglianze e violenze, una svolta per le donne, in «Roma», 11 marzo 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Non una di meno, 11 marzo 2019]. 1795 – Nuova Zelanda, l’orrore si rinnova, in «Salerno Sera», 18 marzo 2019 [anche in «Roma», col titolo Abbassiamo a 14 anni il diritto al voto, 18 marzo 2019]. 1796 – Ius soli, è solo un dovere, in «Salerno Sera», 25 marzo 2019 [anche in «Roma», col titolo Populismo e sovranismo, una miscela pericolosa, 25 marzo 2018]. 1797 – No al suprematismo neofascista, in «Salerno Sera», 1 aprile 2019 [anche in «Roma» col titolo Il populismo italiano e la tragedia umanitartia, 1 aprile 2019]. 1798 – La letteratura e il senso del viaggio, in «Salerno Sera», 8 aprile 2019 [anche in «Roma» col titolo “Giornalisti all’inferno”, romanzo sorprendente, 8 aprile 2019]. 1799 – Difendiamo la storia o si vendicherà, in “«Roma», 29 aprile 2019 [anche in «Salerno Sera», 1 maggio 2019, col titolo La storia un bene comune, se ignorata si vendica]. 1800 – La necessità storica dell’Europa, in «Salerno Sera», 6 maggio 2019 [anche in «Roma», 6 maggio 2019, col titolo Un’Europa unita contro il nazionalismo]. 1801 – Per Roberto Visconti, in «Le Cronache», 6 maggio 2019. 1802 – Decreto sicurezza? È incostituzionale, in «Roma», 13 maggio 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo La Costituzione non resti sulla carta, 14 maggio 2019]. 1803 – La dittatura della Rete, in «Salerno Sera», 20 maggio 2019 [anche in «Roma» col titolo La dittatura informatica dei social network, 20 maggio 2019]. 172 1804 – Il Presidente Mattarella è l’ombrello protettivo, in «Roma», 3 giugno 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Meno male che Mattarella c’è, 2 giugno 2019]. 1805 – L’ambiente, occasione persa per la sinistra, in «Roma», 10 giugno 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo La sinistra si allei con i movimenti ecologisti, 11 giugno 2019]. 1806 – L’eredità perduta della classe operaia, in «Roma», 17 giugno 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo La sinistra riscopra la “fatica del lavoro”, 18 giugno 2019]. 1807 – La vergognosa politica antimeridionalista, in «Roma», 24 giugno 2019. 1808 – Attenti al populismo penale, in «Salerno Sera», 8 luglio 2019 [anche in «Roma» col titolo Populismo penale e sequestro di persone, 8 luglio 2019]. 1809 – I testi Invalsi e la crisi del linguaggio pubblico, in «Salerno Sera», 14 luglio 2019 [anche in «Roma» col titolo La scuola scivola sui testi Invalsi, 15 luglio 2019]. 1810 – È un pianeta dominato dall’egoismo del potere, in «Roma», 29 luglio 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Fermiamo la catastrofe ecologica, 29 luglio 2019]. 1811 – Il Sud è all’ultima spiaggia, in «Salerno Sera», 5 agosto 2019 [anche in «Roma» col titolo Sud, serve un piano di emergenza, 5 agosto 2019]. 1812 – Tutti uniti contro il pericolo sovranista, in «Salerno Sera», 11 agosto 2019 [anche in «Roma» col titolo Il sussulto di orgoglio del premier Conte, 12 agosto 2019]. 1813 – Amazzonia-Italia, così va in fumo il futuro, in «Salerno Sera», 26 agosto 2019 [anche in «Roma» col titolo Il balletto PD-5Stelle mentre il mondo brucia, 26 agosto 2019]. 1814 – Il “nuovo umanesimo” e l’insidia dei fondamentalismi, in «Salerno Sera», 2 settembre 2019 [anche in «Roma» col titolo L’umanesimo di Conte e i rifugiati in alto mare, 2 settembre 2019]. 1815 – Non basta aver messo Salvini fuori gioco, in «Roma», 9 settembre 2019 [anche in «Salerno Sera» col 173 titolo Il governo giallorosso tiri fuori il coraggio, 9 settembre 2019]. 1816 – Diritti umani universali e libera circolazione, in «Roma», 16 settembre 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Ma i diritti dell’uomo sono ancora universali?, 20 settembra 2019]. 1817 – L’urlo di Greta e il silenzio assordante delle istituzioni, in «Salerno Sera», 29 settembre 2019 [anche in «Roma» col titolo E il decreto sull’ambiente ancora una volta rinviato, 30 settembre 2019]. 1818 – Se l’essere umano batte l’algoritmo, in «Roma», 14 ottobre 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Se l’algoritmo diventa rischio per la democrazia, 15 ottobre 2019]. 1819 – Il dramma dei curdi, un popolo senza, in «Roma», 21 ottobre 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo La tragedia dei curdi e l’ipocrisia dell’Europa, 22 ottobre 2019]. 1820 – Finalmente un disegno per la difesa della storia, in «Roma», 28 ottobre 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Il ritorno della storia contro la civiltà delle fake news, 29 ottobre 2019]. 1821 – Ricordando la caduta del muro di Berlino, in «Roma», 4 novembre 2019 [anche in «Salerno Sera», col titolo 30 anni fa la caduta del muro, ma l’Europa dov’è?, 3 novembre 2019]. 1822 – Ora la classe operaia si scuota dal letargo, in «Salerno Sera», 17 novembre 2019 [anche in «Roma» col titolo La lenta “dismissione” della lotta operaia, 18 novembre 2019]. 1823 – Quello delle sardine è un mare promettente, in «Salerno Sera», 2 dicembre 2019 [anche in «Roma» col titolo Le sardine e la polemica contro i populismi, 2 dicembre 2019]. 1824 – Dai movimenti di piazza un’inversione di tendenza, in «Roma», 9 dicembre 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Se le classi più deboli invocano l’uomo forte, 9 dicembre 2019]. 1825 – La brexit e i doveri della sinistra europea, in «Salerno Sera», 16 dicembre 2019 [anche in «Roma» col tito- 174 lo La classe operaia cambiata, lo sfruttamento invece no, 16 dicembre 2019]. 1826 – Altri tagli alla ricerca, ci vuole uno sciopero,in «Roma», 23 dicembre 2019 [anche in «Salerno Sera» col titolo Tagli alla ricerca, l’Italia sempre più povera, 23 dicembre 2019]. * * * 2020 A) 1827 – Sulla Pandemia. Appunti di un filosofo in quarantena, Sant’Egidio del Monte Albino, Francesco D’Amato Editore, 2020. 1828 – G. Cacciatore, M. Kaufmann, F. Lomonaco (hrsg.), Zwischen Sprache und Geschichte. Vicos Methode beim Umgang mit Recht und Naturrecht, Berlin, Peter Lang, 2020. 1829 – G. Cacciatore, M. Sanna, A. Mascolo (a cura di), Le trame dell’ingegno. Vico nell’orizzonte della cultura iberica e iberoamericana, «Rocinante. Rivista di filosofia iberica, iberoamericana e interculturale», ISPF-CNR, n. 11/2018-2019, Napoli, Diogene Edizioni, 2020. 1830 – Giuseppe Capograssi e Pietro Piovani. Riflessioni sull’opera di due maestri, Lettera ad un amico a guisa di introduzione di F. Tessitore, Napoli, Liguori Editore, 2020. B) 1831 – Der Zusammenhang zwischen der Universalität des Gesetzes und der empirischen Geschichtlichkeit der Civitas in Vicos Begriff der Bürgerschaft, in G. Cacciatore, M. Kaufmann, F. Lomonaco (hrsg.), Zwischen Sprache und Geschichte. Vicos Methode beim Umgang mit Recht und Naturrecht, Berlin, Peter Lang, 2020, pp. 61-69. 175 1832 – Una “svolta” negli studi su Vico in Spagna. Note in margine all’opera di José M. Sevilla Fernández, in G. Cacciatore, M. Sanna, A. Mascolo (a cura di), Le trame dell’ingegno. Vico nell’orizzonte della cultura iberica e iberoamericana, «Rocinante. Rivista di filosofia iberica, iberoamericana e interculturale», ISPF-CNR, n. 11/2018-2019, Napoli, Diogene Edizioni, 2020, pp. 41-51. 1833 – Carlo Pisacane. Risorgimento e questione sociale, in L. Melillo (a cura di), La lezione di Carlo Pisacane, «Il Pozzo», 1, 2020, pp. 7-12. 1834 – Mito e storia in Vico, in P. De Lucia, S. Langella, M. Longo, F.L. Marcolungo, L. Mauro, S. Zanardi (a cura di), Storiografia filosofica e storiografia religiosa. Due punti di vista a confronto. Scritti in onore di Luciano Malusa, Milano, Franco Angeli, 2020, pp. 176-181. 1835 – Una nuova edizione de La Giovinezza di De Sanctis, in M. Trotta (a cura di), Francesco De Sanctis tra storia e memoria. Sulla Giovinezza, edizione critica di Giovanni Brancaccio, Milano, Biblion Edizioni, 2020, pp. 9-18. 1836 – “Meine” Vico, in A. Krause, D. Simmermacher (hrsg.), Denken und Handeln. Festschrift für Matthias Kaufmann zum 65. Geburtstag, Berlin, Duncker & Humblot, 2020, pp. 217-222. 1837 – L’identità ritrovata, in L. Libero (a cura di), Cosa ci resta? Ambiente, Risorse, Cultura, prefazione di T. Montanari, Salerno, Oèdipus edizioni, 2020, pp. 22-24. 1838 – Banfi e il marxismo tra razionalismo critico e materialismo storico, in C. Tuozzolo (a cura di), Marx in Italia. Ricerche nel bicentenario della morte di Karl Marx, Roma, Aracne Editrice, 2020, t. I, pp. 163-196. 1839 – Aldo Masullo. Tra fenomenologia della soggettività e geneaologia dell’umano, in «Infiniti Mondi», n. 14, 2020, pp. 203-205. 1840 – Per la critica della “storia debole”, in G. Cirillo, M.A. Noto (a cura di), Stagioni e ragioni della storia. Le 176 “vie” della ricerca di Aurelio Musi, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2020, pp. 29-37. 1841 – Il centenario della Società Salernitana di Storia Patria, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., n. 73, giugno 2020, pp. 3-6. 1842 – Per Aldo Masullo, maestro di vita e di pensiero, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., n. 73, giugno 2020, pp. 199-201. 1843 – Fausto Andria. Una vita esemplare, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., n. 73, giugno 2020, pp. 203-207. 1844 – Croce und Dilthey: die zwei Wege des europäischen Historismus, in R. Faraone, M. Kaufmann (hrsg.), Benedetto Croce, Deutschland und die Moderne, Berlin, Peter Lang, 2020, pp. 93-102. 1845 – Per Antonello Giugliano, in «Archivio di Storia della Cultura», XXXIII, 2020, pp. 1-4. 1846 – Per la critica della “storia debole”, in G. Cirillo, M.A. Noto (a cura di), Ragioni e stagioni della storia. Le “vie” della ricerca di Aurelio Musi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2020, pp. 29-37. 1847 – La ricerca della giustizia tra diritto religione e società, in C. De Angelis, A. Scalone (a cura di), Πολιτεία. Liber amicorum Agostino Carrino, Milano-Udine, Mimesis, 2020, pp. 95-106. 1848 – Dilthey. La ragione tra storia e vita, in M. Cambi, R. Carbone, A. Carrano, E. Massimilla (a cura di), Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea, Napoli, Federico II University Press, 2020, pp. 307-314. 1849 – Ricordo di Antonello Giugliano (in collab. con F. Lomonaco), in «Logos», n. 15 (2020), pp. 5-6. C) 1850 – Recensione di U. Baldi, A un semplice cenno del capo. La lotta alla Gambardella nel 1974, un episodio di “Resistenza Operaia”, Nocera Superiore (SA), Polis SA 177 Edizioni, 2020, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s., n. 3, giugno 2020, pp. 211-214. F) 1851 – Presentazione di A. Franco, F. De Martino, A. Odierna (a cura di), “Studi storici sarnesi”. L’affermazione dei “civili”: il caso degli Hodierna, Torre del Greco, ESA Edizioni scientifiche ed artistiche, 2020, pp. V-IX. 1852 – Introduzione a La filosofia del Tressette, Sant’Egidio del Monte Albino, Francesco D’Amato editore, 2020, pp. 7-12. 1853 – Introduzione (in collab. con M. Martirano) a G. Cantillo, La filosofia del soggetto. Saggi su etica, comunità e storicità, Sant’Egidio del Monte Albino, Francesco D’Amato editore, 2020, pp. 5-7. 1854 – Prefazione a A. Mondillo, L. Barricelli, G. Ianniello, M. Dalmotto (a cura di), Fratelli di libertà, fumetto sulla rivolta cilentana del 1828, Castelnuovo Cilento, B.M.P. Group, 2020. G) 1855 – Il ruolo dell’Italia nella guerra Usa/Iran, in «Roma», 6 gennaio 2020 [anche in «Salerno Sera» col titolo Venti di guerra, Italia e Europa senza voce, 6 gennaio 2020]. 1856 – Habermas, la forza del pensiero, in «Il Quotidiano», ed. di Salerno, 20 gennaio 2020. 1857 – Il proporzionale è più democratico, in «Roma», 20 gennaio 2020 [anche in «Quotidiano del Sud», ed. di Salerno, col titolo Proporzionale prima di tutto, 22 gennaio 2020]. 1858 – Nell’anno centenario una sinergia virtuosa tra stampa e Storia Patria, in «Quotidiano del Sud», ed. di Salerno, 26 gennaio 2020. 1859 – Il 27 gennaio resti per sempre nella coscienza collettiva, in «Salerno Sera», 27 gennaio 2020 [anche in 178 «Roma» col titolo Comprendere è impossibile, conoscere è necessario, 27 gennaio 2020]. 1860 – Il diritto per la comprensione dei processi storici e sociali, in «Salerno Sera», 4 febbraio 2020. 1861 – L’olocausto dimenticato e l’alleanza in Turingia, in «Roma», 10 febbraio 2020 [anche in «Il Quotidiano», ed. di Salerno, col titolo Le democrazie, il lavoro e i rischi della libertà, 12 febbraio 2020]. 1862 – Ambiguità del masaniellismo, in «Il Quotidiano», ed. di Salerno, 21 febbraio 2020 [anche in «Roma» col titolo Il libro: Masaniello e il masaniellismo, 24 febbraio 2020]. 1863 – Serve un vaccino contro la paura, in «Roma», 2 marzo 2020 [anche in «Il Quotidiano», ed. di Salerno, col titolo Il morbo è la paura, 9 marzo 2020]. 1864 – Stare uniti per superare singoli interessi e paure, in «Roma», 9 marzo 2020 [anche in «Il Quotidiano», ed. di Salerno, col titolo Una task force europea per tutelare la salute, 10 marzo 2020]. 1865 – Quando la fratellanza viene prima della libertà, in «Roma», 16 marzo 2020 [anche in «Il Quotidiano», ed. di Salerno, col titolo Sì a barriere protettive pur di bloccare il virus, 18 marzo 2020]. 1866 – Non violiamo la dignità dell’essere umano, in «Roma», 23 marzo 2020. 1867 – Il valore insostituibile delle persone anziane, in «Roma», 30 marzo 2020. 1868 – Qualche filosofo parla di invenzione ma sbaglia, in «Roma», 20 aprile 2020. 1869 – Aldo Masullo, il filosofo che amava confrontarsi, in «Roma», 27 aprile 2020. 1870 – “Prudenza” e “buon senso” negli attacchi al governo, in «Roma», 4 maggio 2020. 1871 – La drammatica ricaduta sulla occupazione, in «Roma», 11 maggio 2020. 1872 – Liberi di circolare ma con prudenza, in «Roma», 18 maggio 2020. 179 1873 – Virus: ancora sui più indifesi: gli ultrasessantenni, in «Roma», 25 maggio 2020. 1874 – La vita di ogni uomo ha la medesima dignità, in «Roma», 1 giugno 2020. 1875 – Una miope politica per l’occupazione, in «Roma», 8 giugno 2020 1876 – Dopo la fratellanza arrivano i nuovi caini, in «Roma», 22 giugno 2020. 1877 – Mondragone, si rischia uno scontro esplosivo, in «Roma», 29 giugno 2020. 1878 – La pandemia e il crollo del tasso di natalità, in «Roma», 6 luglio 2020. 1879 – Il “massacro sociale” è stato quasi compiuto, in «Roma», 13 luglio 2020. 1880 – Unione europea: rinvio? È un colpo mortale, in «Roma», 20 luglio 2020. 1881 – L’Europa sta a guardare la dittatura di Erdogan, in «Roma», 27 luglio, 2020. 1882 – Libertà non significa fare ammalare gli altri, in «Roma», 3 agosto 2020. 1883 – Abbiamo il diritto di difendere la vita, in «Roma», 10 agosto 2020. 1884 – Amarante e la necessità della storia, in «La Città», 21 agosto 2020. 1885 – I pericoli del Sì al Referendum, in «Roma», 24 agosto 2020. 1886 – Confindustria e Sindacati un conflitto che preoccupa, in «Roma», 31 agosto 2020. 1887 – Il Sud, nuovo motore per la ripresa del Paese, in «Roma», 7 settembre 2020. 1888 – L’indignazione di Saviano sull’attuale politica del PD, in «Roma»,14 settembre 2020. 1889 – Costruire un’unione europea della salute, in «Roma», 21 settembre 2020. 1890 – Migranti, è inaccettabile la solidarietà solo per i rimpatri, in «Roma», 28 settembre 2020. 180 1891 – Misure immediate contro gli irresponsabili, in «Roma», 5 ottobre 2020. 1892 – Bergoglio alla fraternità aggiunge l’amicizia sociale, in «Roma», 12 ottobre 2020. 1893 – I giovani e il concetto di responsabilità, in «Roma», 19 ottobre 2020. 1894 – Salute ed economia in conflitto, in «Roma», 26 ottobre 2020. 1895 – Il concetto di libertà non significa arbitrio, in «Roma», 2 novembre 2020. 1896 – Joe Biden, uniti contro pandemia e razzismo, in «Roma», 9 novembre 2020. 1897 – La sconcertante discrasia tra potere centrale e locale, in «Roma», 16 novembre 2020. 1898 – Il difficile compito del Presidente Biden, in «Roma», 23 novembre 2020. Giuseppe Cacciatore. Keywords: gl’eroi di Vico – filosofia italica -- Vico, Croce, Labriola, Bruno, dallo storicismo allo storicismo, linceo, centro di studii vichiani.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cacciatore” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779925910/in/dateposted-public/

 

Grice e Caffarelli – estetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Faenza). Filosofo. Grice: “You’ve gotta love Caffarelli; he philosophised on all that I’m interested in, notably “il bello,” whih he relates to art, communication, love – and the rest of it!” Figlio di Colombo ed Edvige Regoli, e una figura singolare nel panorama culturale faentino della prima metà del Novecento. Frequenta la Scuola di musica di Faenza ed il Liceo musicale di Bologna, dove consegue il diploma di composizione. Direttore della Scuola di musica e autore dei poemi scenici "Galeotus" e "Kisa Gotami".  Gli anni tra la fine del secolo e lo scoppio del primo conflitto mondiale sono un periodo di intensa e tormentata ricerca interiore, caratterizzata dall'allontanamento dalle credenze religiose tradizionali. Gli esiti mistico-esoterici della sua ricerca accentuarono progressivamente il suo isolamento e la sua solitudine. In ambito locale ebbe stretti rapporti con i cattolici "autonomisti" della Lega democratica nazionale murriana e postmurriana, collaborando a diverse iniziative pubblicistiche quali l'Azione di Donati e Cacciaguerra, la «Rivista bibliografica», «La Rivolta ideale».  Partecipa al concorso della Casa Sonzogno di Milano per opere liriche da far rappresentare Teatro alla Scala con un lavoro dal titolo Galeotus, " poema scenico in 4 azioni per la musica", grazie al quale acquisì una discreta fama presso il panorama musicale italiano  Si avvicina agli ideali antroposofici di Steiner, diventando uno dei primi e principali esponenti di questa corrente in Italia. La sua piena adesione alla dottrina steineriana trova espressione ne "L'arte nel mondo spirituale”, vero e proprio manifesto di un'estetica antroposofica. Di analoga ispirazione furono il poema musicale "Adonie"  e il dramma "Ikhunaton". Molto attento alle rinnovazioni culturali della sua epoca, collabora con Pratella, e partecipa alle attività del Cenacolo Baccarini dove conobbe Campana. Organista presso la cattedrale di Faenza. Oltre alla sua attività musicale si segnalano anche traduzioni dal tedesco e saggi filosofici. Volle donare il suo archivio e la sua biblioteca alla Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza che li conserva tuttora. Il Comune di Faenza acquisì il fondo. La loro acquisizione completa avvenne anche grazie alla volontà di Silvestrini, dell'associazione faentina Amici dell'arte. Testimonianze coeve parlano di "una decina fra bauli e casse pieni di manoscritti che si trovano in un disordine impressionante". A tale donazione si aggiunse anche il pianoforte utilizzato da Caffarelli, tuttora conservato presso la biblioteca.  Partendo dalla antroposofia musicale sviluppa un sistema armonico comprendente la tavolozza dei dodici suoni della scala cromatica e che egli chiama sistema dodecamorfo, secondo il quale la musica deve divenire immagine e manifestazione traendo le sue fonti in una sfera spirituale. Così egli afferma nel saggio L'arte nel mondo spirituale. La musica non e una esteriore costruzione di un tema piacevole ma intreccio di suoni-forze, rapporti di suoni-forme, ricami di suoni-movimenti-archetipi. Tende a crear forme espansive, delle quali il nucleo germinale è suono archetipo. Così prosegue nel suo Saggio sull'Armonia sintetica. In questo senso è possibile considerare il ciclo epta-fonico accordale come il generatore del susseguente ciclo ultra-epta-fonico, precisamente come la gamma epta-fonica diatonica genera il ciclo cromatico, e perché l'analogia sia piena, come la gamma dia-tonica di sette suoni ne genera altri cinque cromatici, così il ciclo epta-fonico accordale genera altri cinque accordi ultra-eptafonici e cromatici, che sono la sua completa espansione materiale. L'accostamento che noi facciamo di queste profonde parole al mondo armonico non è arbitrario e fantastico, ma implicito nella natura stessa delle cose. E di nuova purissima luce illumina il mondo armonico, e svela così nuovi rapporti e nuove possibilità, che il mondo dei suoni ci appare essere un sistema, come un universo di suoni, che nella generazione e nella vita ri-specchia fedelmente le leggi cosmiche e le manifesta come vita sonora. Musica Messa in Mib per cori virili a tre voci ed organo, Galeotus. Silfo: commento musicale per orchestra al poemetto in prosa di Arturo Onofri. Le anime orfane: canto per violoncello e pianoforte. Triodia seconda. L' arte nel mondo spirituale: tre saggi come introduzione a una conoscenza spirituale-cosmica dell'arte (Montanari, Faenza). Saggio sull'Armonia Sintetica. Doppia generazione delle armonie. L'armonia come co-espressione  Disegno storico sulla evoluzione della Sonata, Il segreto di Boito. Gli orizzonti esoterici dell'arte. Beethoven e la Gioia (in "I nostri quaderni.  Esoterismo e fascismo. Il movimento antroposofico italiano durante il regime fascista, in Esoterismo e Fascismo. Un enigma esistenziale. Lamberto Pietro Gaetano Caffarelli. Lamberto Caffarelli. Keywords: l’armonia come co-espressione, armonia virile, coro virile. Boito, eptafornia, cromatismo, sistema dodecamorfo, saggi filosofici, teoria dell’armonia, armonia ultra-eptafonica, armonia cromatica, armonia dodecamorfica, coro virile, armonia virile, armonia come co-espressione virile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caffarelli” – The Swimming-Pool Library.

 

 

Grice e Caffo – l’altruismo – filosofia italiaa – Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice: “I love Caffo; he has philosophised on most things *I* did! My favourite has to be his ‘bestiary’: “A is for ‘Animal’” – and that’s all the bestiary we need! He has also explored ‘altruism,’ and is in general concerned with a conceptual analysis of my basic key expressions: ‘communicazione’ (‘l’origine della communicazione umana’), ‘logica e linguaggio’ (one of the five questions of philosophy, for him), etc. – He has dialogued with syntacticians, as I did, when I met Chomsky!” --   Grice: “Caffo is a Griceian in the sense that he considers, like I do, there is a continuum between non-human animal and human animal – indeed, he is so into this, that he calls his ism ‘animalism,’ which I suppose is o-kay; perhaps we would differ on the implicatura of the term: which seems to be that ‘umano’ is JUST ‘animale’ --  Urmson and Hare loved to play witht his: “There is an animal in the backyard.” “I don’t see it.” “You won’t – it’s a bacteria.” “There is an animal in the backyard.” “I don’t see it.” “It’s Aunt Lucy.”” Si è laureato in filosofia alla Università degli Studi di Milano e ha conseguito il dottorato, sempre in Filosofia, presso l’Università degli Studi di Torino dove, sotto la guida di Maurizio Ferraris, ha poi anche lavorato al Laboratorio di Ontologia diretto da Tiziana Andina. È noto soprattutto per le sue teoria sugli Animal Studies, il postumano contemporaneo, e l’antispecismo (“debole” nella sua versione), per cui è stato anche criticato da alcuni media. Ne La vita di ogni giorno (edito da Einaudi nel ) si è invece occupato di filosofia in senso più ampio e divulgativo proponendo una "alternativa filosofia". In Fragile umanità. Il postumano contemporaneo (Einaudi, ), "si interroga su quale possa essere il nuovo paradigma di vita destinato a sostituire l'Homo Sapiens". Dal  insegna Ontologia presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino; insegna anche alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, alla Scuola Holden e al Made Program della Accademia di Belle Arti Rosario Gagliardi a Siracusa. È collaboratore de La Lettura, scrive saltuariamente anche sulle pagine culturali de La Sicilia, L'Espresso, il manifesto e il Corriere della Sera. Ha un blog su The Huffington Post. Dirige la rivista Animot: l’altra filosofia ed è opinionista di varie trasmissioni televisive, come Tagadà o Porta a Porta.  Per le sue posizioni antispeciste, interviene spesso su reti televisive e radiofoniche italiane e straniere, oltre che in festival culturali. La sua teoria dell'antispecismo debole è dibattuta nella stampa specializzata. Ha pubblicato le sue ricerche su riviste filosofiche quali The Monist, Journal of Animal Ethics, Domus, Rivista di Estetica. È stato definito da Maurizio Ferraris «il più promettente, versatile e originale tra i giovani filosofi italiani». A Milano ha co-fondato il caffè letterario Walden. Nel  è entrato a far parte, appoggiandone il progetto, nell'Advisory Panel italiano di Diem25. Nel febbraio , conduce assieme a Margherita D'Amico un programma radiofonico su Rai Radio 3, intitolato "L'umanità e altri animali". Ha partecipato come speaker alla edizione  del FestivalFilosofia di Modena con una lectio sull'antropocentrismo e le "persone non umane". È co-curatore del Public Program  della Triennale di Milano.  Altre opere: “Soltanto per loro, Roma, Aracne); “Azione e natura umana” Rimini, Fara); “La possibilità di cambiare, Milano-Udine, Mimesis); “Flatus Vocis, Novalogos, Aprilia); “Adesso l'animalità, Perugia, Graphe); “Il maiale non fa la rivoluzione, Casale Monferrato, Sonda); “Margini dell’umanità, illustrazioni di Tiziana Pers, Milano-Udine, Mimesis); “Il bosco interiore, Casale Monferrato, Sonda); “Del destino umano. Nietzsche e i quattro errori dell'umanità” Prato, Piano B); “La vita di ogni giorno, Torino, Einaudi); “Fragile Umanità. Il postumano contemporaneo, Torino, Einaudi); "28 anni. O della filosofia giovanile", in H. D. Thoreau, La Disobbedienza Civile, Einaudi, Torino); Vegan. Un manifesto filosofico, Torino, Einaudi); “Il cane e il filosofo. Lezioni di vita dal mondo animale, Milano, Mondadori); Dopo il COVID 19. Punti per una discussione, Milano, Nottetempo); Quattro Capanne. O della semplicità, Milano, Nottetempo); Un'arte per l'altro. L'animale nella filosofia e nell'arte, Firenze, goWare, Edizione cartacea: Graphe, Perugia); “Radicalmente liberi: A partire da Marco Pannella, Milano-Udine, Mimesis); “Così parlò il postumano, a cura di. E. Adorni, Aprilia, Novalogos);“A come Animale, Milano, Bompiani);“Manifesto per gli animali, Roma-Bari, Laterza);“Costruire Futuri. Migrazioni, città, immaginazioni, Milano, Bompiani);“A partire da Tiziano Terzani, con prefazione di Angela Terzani, Pordenone, Safarà);“Intromettersi, Elèuthera, Milano.Antispecismo. Specismo.Leonardo Caffo. Keywords: l’altruismo, disobbedienza, “Homo sapiens sapiens”, homo, uomo, umano, humanus, Anthropos, aner, maschio, vir, virilita. Specismo, anti-specismo, sub-specismo, homo sapiens sapiens. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caffo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779829480/in/dateposted-public/

 

Grice e Calboli – de parabola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Grice: “I like Calboli – he philosophised on much the same subjects I did – colour words (‘that tie seems/is light blue’) – the philosophy of perception, and parabola, i.e. expression. If I use ‘utterance’ broadly so does Calboli with his ‘parabola.’ One big difference is that he is a nobleman, who owned a castle that he ceded to Firenze – I did not!” Altre opere: “Exercitatio philosophica” (Romae, Giovanni Zempel). Marchese. De Calboli. Paulucci. Paolucci. Francesco Giuseppe Paulucci di Calboli. Francesco Paulucci di Calboli. Keywords: de parabola, parabola, parola, parlare, hyperbola, cyclo, ellipsis. exercitatio philosophica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Calboli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51778101802/in/dateposted-public/

 

Grice e Calderoni – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo. Grice:”Calderoni knew everything – he corresponded with Lady Viola, as I didn’t – and he pleased the lady, because the lady knew that Calderoni was using all the right words – none of the heathen ‘mean,’ but all about ‘segno’ and ‘segnare’ and ‘intenso,’ – It is drawing from the Calderoni tradition that I arrive at the meaning-as-intention paradigm I’m identified with! And note that sous-entendue is Millian for implicatura!” -- Grice: “Calderoni is a genius; he is, like me, a verificationist – I mean, read my ‘Negation’: the two examples I give relate to sense data: “I’m not hearing a noise,’ and ‘That is not red.’ Calderoni tries the SAME! He founded a verificationist (or ‘pragmatist’ club at Firenze), and he corresponded with Peirce when I only decades later,  tutored my tutees on him!” --  Grice: “Calderoni is serious about truth-conditivions having to be understaood as ‘assertability’ conditions – and these assertability conditions providing much of the ‘sense;’ admittedly, he uses ‘sense’ more loosely than I do – but on the good side, he uses ‘nonsense’ in a tigher way than I do!” Teorico del diritto italiano (pragmatismo analitico italiano).  Studia a Firenze e si laurea a Pisa, con “I postulati della scienza positiva ed il diritto penale”. Collabora alle riviste Il Regno e Leonardo, su cui scrive una serie di saggi, in autonomia o in collaborazione col maestro Vailati. Presenta comunicazioni in diversi Congressi internazionali: Monaco, Parigi,  e Ginevra. Mantiene contatti e scambi con Halévy, Boutroux, Russell, Couturat, Brentano, Ferrari, Pikler, Mosca, Pareto, Croce, Juvalta, Peirce e molti altri. Il saggio “Disarmonie economiche e disarmonie morali”. Successivamente ottiene una libera docenza a Bologna, dove  tiene un corso sul pragmatismo dal titolo “L’assiologia, ossia, la Teoria Generale dei valori”. Scrive in collaborazione con Vailati “Il Pragmatismo” raccolta di tre articoli introdotti nella Rivista di Psicologia applicata (“Le origini e l'idea fondamentale del Pragmatismo”; “Il Pragmatismo ed i vari modi di non dir niente” – “L'arbitrario nel funzionamento della vita psichica”. Trascorsa l'estate a Rimini a curare i sintomi d'una bruttissima depressione, ritorna a Firenze, dove inizia nuovamente il corso universitario su Teoria Generale dei valori all'Istituto di Studi Superiori, senza riuscire a terminarlo, dal momento che, a causa di un aggravamento repentino dell'esaurimento mentale, abbandona la docenza. Muore in una casa di salute ad Imola. Mette sotto analisi e in correlazione senso comune e scienza attraverso lo strumento meta-discorsivo della filosofia, intendendo costruire conoscenza e scienza coi mattoni della teoria della mente, e usando come riferimenti culturali analisi brentaniana di stati mentali e teoria dinamico-funzionale della mente di James e di Pikler. Saggi di riferimento sono due: è con “La Previsione nella teoria della conoscenza” che  intende analizzare condizioni di verità e condizioni di validità della conoscenza, sia discernendo enunciazioni sensate da non-sensi sia indicando un metodo di verificazione, nell'istanza verificazionista di illustrare a fondo i meccanismi della conoscenza (verificazione e verità), oltre all'obiettivocome accade anche nel Peirce di avvicinare teoria della conoscenza e semantica dei discorsi (verità e senso); ed è col successivo saggio, “L'arbitrario nel funzionamento della vita psichica” che, accettata l'eredità vailatiana, intende mostrare l'esistenza di una stretta connessione tra attività conoscitive dell'uomo comune ed attività conoscitive dello scienziato, accostando tale saggio teoria della mente e teoria della scienza. La lettura sinottica dei due testi conduce a riconoscere la tendenza a costruire una teoria dell’animo caratterizzata da riferimenti costanti alla teoria della conoscenza e alla teoria della scienza.  Precorrendo semiotica moderna e verificazionismo schlickiano, costuisulla scia di una certa tradizione continentale e americana indicata dal maestro Vailati- riconosce nei discorsi umani un trait d'union irresistibile tra senso e verità, e ri-definisce la norma di Peirce come norma di senso e norma di verificazione [articoli di riferimento sono due: col breve Il senso dei non sensi,  intende esaminare cosa sia senso di una enunciazione e se esista un unico criterio idoneo a differenziare enunciazioni sensate da non-sensi o a costruire un concreto metodo di verificazione, unendo all'istanza semantica di attribuire un senso ai vari modelli di mezzo comunicativo inter-individuale (intersoggetivo) il sincero desiderio analitico di rinvenire rimedi sicuri contro l'indeterminatezza naturale di termini, enunciazioni e discorsi e la conversazione umana, ed essendo cassa di risonanza all'obiezione contestualistica vailatiana contro l'atomismo semiotico dominante. Nel successivo saggio Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente totalmente debitore alla prolusione vailatiana al corso di Storia della meccanica “Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura”, mostra di essere abile concretizzatore dell'eredità vailatiana tentando di mettere in stretta combinazione intuizione dell'artificialità della conversazione umana e nozione di analisi semantica come rimedio all'indeterminatezza dei mezzi di comunicazione. La lettura sinottica dei due saggi conduce a riconoscere in Calderoni tendenze a costruire una teoria della conversazione umana caratterizzata da riferimenti a convenzionalismo e contestualismo, a rifiutare derive essenzialistiche nell'uso di termini ed enunciazioni e a sottolineare la valenza farmaceutica o terapeutica dell'analisi semantica.  Nella posizione giusfilosofica, l'etica, nella sua dimensione totale, è tematica centrale nella sua filosofia, introducendo costui una modalità rivoluzionaria di considerare tale materia; In lui e in altri autori d'ambiente simile come Juvalta e Limentanila tradizionale distinzione tra etica normativa o prescrittiva ed etica descrittiva o meta-etica è considerata insufficiente. Si mostra sostenitore di un orientamento innovativo in merito al discorso sullo statuto dell'etica. Se l'etica normativa o materiale domina l'intero corso della storia dell'etica umana, il riconoscimento della valenza descrittiva o metaetica o formale dell'etica è ricorrenza teoretica dell'intero ottocento, avendo effetto sulla cultura ottocentesca la tendenza rinascimentale a considerare l'etica come una scienza o un calcolo more geometrico. L'Ottocento concretizza antecedenti tendenze ad estendere all'ambito dell'etica i metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali. Questa intuizione e il riconoscimento della centralità dell'analisi lo conducono ad introdurre e sostenere un nuovo modello di statuto dell'etica: etica è una scienza costituita dai tre rami della meta-etica, dell'etica descrittiva e dell'etica normativa. Più che al discorso meta-etico, si orienta verso l'etica descrittiva e normative. In merito alla meta-etica non esiste un discorso diretto dei nostri due autori, laddove invece etica descrittiva e etica normativa sono esaminate coàn riferimenti diretti ed attraverso articoli mirati. Saggi a cui si rinviasenza tener conto della tesi di laurea I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale dove è comunicata una visione immatura e non ancora coerente dell'etica- sono: con Du role de l'évidence en morale, del Calderoni introduce una coerente critica dell'etica normativa tradizionale mettendo sotto esame utilitarismo e kantismo etici, e con il saggio successivo “De l'utilité “marginale” dans les questions d'etìque, introduce un tentativo di indicare un'etica descrittiva che si serva dello strumentario dell'economia; tali tentativi si concretizzano nel saggio “Disarmonie economiche e disarmonie morali” contenente estesi accenni a tutti i rami della nuova scienza e mirando ad estendere in maniera definitiva all'etica lo strumentario della recente scienza economica;. In “L'imperativo categorico” c'è la reazione al neokantismo etico e ad un saggio di Croce in cui si recensiva, con molte riserve, Disarmonie; con i brevi La filosofia dei valori ed Il filosofo di fronte alla vita morale, ci si limita a riassumere tematiche e discussioni antecedenti, introducendo chiarimenti ed attuando delucidazioni. La lettura sinottica dei testi di Calderoni e Vailati conduce ad indicare l'esistenza di tre aree tematiche essenziali: un discorso sulle funzioni e sullo statuto dell'etica (meta-teoria etica);  un dibattito sul senso di termini, enunciazioni e discorsi morali e; una discussione su funzionamento effettivo ed ideale di un sistema morale (etica descrittiva e normativa). Ssi chiede cosa sia l'etica, che senso abbiano i suoi discorsi e che modello di normatività essa abbia, e si domanda come descrivere in maniera esauriente i cosiddetti mercati etici o come massimizzare l'incidenza dello scienziato della morale nella modificazione delle scelte sociali.  Più che Vailati, è lui ad estrinsecare l'«atteggiamento» giuridico del Pragmatismo italiano, nella sua riflessione ius-criminalistica sulle nozioni di volizione, libertà e responsabilità. La discussione in merito alle relazioni tra volizione e diritto è fervente all'interno della cultura italiana dell'Ottocento. Secondo Scuola Classica del diritto criminale, volizione umana è base del momento d'attribuzione della sanzione, in connessione al libero arbitrio. Secondo la Scuola Positiva del diritto criminale è necessario sconnettere tale nozione dal concetto di libero arbitrio, non esistendo azioni incausate (scevre da co-azione) e cadendo volizione insieme a libero arbitrio. Affronta il dilemma della volizione (distinzione tra atto volontario e involontario) all'interno del suo cammino di chiarimento e ridiscussione dei termini di discorso ordinario e discorsi tecnici, stimolato da alcune antecedenti intuizioni di Vailati; e analizza tale dilemma in due diversi momenti della vita, in I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, e sia nel saggio leonardiano Credenza e volontà. Intorno alla distinzione fra atti volontari ed involontari, sia in un successivo contributo su altra rivista La volontarietà degli atti e la sua importanza sociale. Il saggio introduce un'analisi culturale ricchissima di riferimenti al diritto e immersa nello scenario storico del conflitto ottocentesco tra determinismi ed indeterminismi. Il dibattito tra scuola classica italiana (classici) e Positivisti sulle condizioni teoretiche del diritto criminale evidenzia il suo tentativo conciliazionista di mediare tra due diversi modi di intendere libertà, sanzione e metodo scientifico, ricorrendo ad un uso attento della ri-definizione tanto caro a Vailati e all'intera analitica novecentesca. Pescando dalla metodica analitica lo strumento della ri-definizionemutuato dal maestro Vailati e riassunto con estrema abilità nella recensione al volume I presupposti filosofici della nazione del diritto di Del Vecchio -, avvia un tentativo di «conciliazione» tra scuola classica e positivisti, in cui, la riflessione sul libero arbitrio e il diritto di punire costituisce la premessa per affrontare con un chiaro apparato concettuale l'ulteriore questione dei metodi di studio del diritto penale, attraverso un'esaustiva ridiscussione dei binomi libertà/ causazione (momento di attribuzione del delitto), tutela/ difesa (momento di esecuzione della sanzione) e metodo astratto/ concreto (momento di determinazione del delitto). Rconosce due sono i punti teorici fondamentali nei quali la scuola positiva si pone come avversaria alla classica. L'uno è rappresentato dalla questione del libero arbitrio, l'esistenza del quale la scuola classica postula come fondamento della imputabilità, mentre è dall'altra scuola negata. L'altro punto è la gius-tificazione del diritto di punire, che l'una pone nella giustizia, l'altra nell'utilità, nella necessità in cui si trova la società di difendersi dai suoi nemici.  Per misurare la nozione di responsabilità introdotta nell'orizzonte culturale italiano d'inizio secolo scorso da lui è necessario muoversi tra i sue due contribute scarsamente esaminati dalla dottrina moderna (I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale e Forme e criteri di responsabilità, senza trascurare come tale concetto mai si distacchi dalla distinzione vailatiana tra atto volontario e atto involontario o dal binomio libertà/causazione, tanto cari al dibattito ottocentesco tra Positivisti e scuola classica italiana del diritto criminale. Gli accenni vailatiani e calderoniani ai temi della volizione, causazione, libertà confluiscono alla luce di suo attento ed autonomo esame  in un'assai moderna definizione del concetto di responsabilità, in cui il negatore del libero arbitrio che non sia vittima di equivoci sul valore di tal negazione, sarà portato invece a vedere nella libertà e responsabilità, qualità esistenti nell'uomo, ma analoghe alle altre, atte cioè ad essere studiate nella loro genesi e nella loro evoluzione, suscettibili di gradazioni infinite, e subordinate alla presenza di certe condizioni e concomitanti, a concepire in altri termini la responsabilità piuttosto dinamicamente ed evoluzionisticamente, che staticamente. Pur se tale concetto sottenda contaminazioni etiche d'inaudita modernità e benché in Forme e criteri di responsabilità sia delineata l'idea dell'esistenza di un confine sottile tra morale e diritto, nascendo come teorico del diritto- si mantiene saldo nel declinare come il termine “responsabilità” si usi all'interno dell'universo di diritto criminale e diritto civile; nella trattazione calderoniana «responsabilità» si immettecome in Hegel/Weber nel contesto della vita statale o sociale e si smarcacome nel «marxismo occidentale» moderno e in Lévinasdai risvolti individualistici dell'etica antica. Calderoninell'incipit di Forme e criteri di responsabilità- scrive:  Pochi termini trovano, in ogni campo della vita sociale, così larga applicazione come il termine responsabilità. L'andar soggetto a responsabilità è la sorte, spiacevole o piacevole, di chiunque vive nella compagnia dei propri simili e si trovi in una data compagnia di dati suoi simili. Nulla potrebbe meglio servire a distinguere l'uomo vivente in società da un ipotetico uomo vivente in stato di natura” che l'essere il primo avvolto in una fitta rete di responsabilità. Responsabilità se ne trovano dovunque gli uomini vengano in urto o in conflitto fra di loro. La riflessione calderoniana incentrata sulla strada della critica sia nei confronti del nazionalismo corradiniano sia nei confronti del socialismo rivoluzionario si innesta su un contesto storico e culturale come l'Italia di Giolitti d'inizio Novecento caratterizzato dalla intensa dialettica civile tra nazionalismi e socialismi, e, all'interno di essa, tra visioni moderate (nazionalismo liberale e socialismo riformista) e concezioni estreme (nazionalismo estremo e socialismo rivoluzionario). Gli auoi interventi di pubblicati sulla rivista di Corradini scrive M. Toraldo di Francia- possono distinguersi dal punto di vista dei contenuti e cronologicamente in due gruppi. Del primo fanno parte gli articoli polemici nei confronti del nazionalismo propagandato dalla rivista, nel secondo invece si collocano gli ultimi due scritti, di impronta nettamente “anti-socialista”. La via dell'analisi sul nazionalismo moderato (liberale e liberista) sondata nelle recensioni vailatiane a Pareto, Dumont, Trivero, Tombesi, Pierson, Einaudi, Rignano e Landryè battuta da lui in maniera minuziosa alla luce dei due saggi “Nazionalismo antiprotezionista? e Nazionalismo borghese e protezionista” nella direzione d'una estesa accusa al nazionalismo di Corradinia. Moderati dall'interesse vailatiano verso il socialismo riformista, internazionalista, e non materialista di darwinismo sociale kiddiano e anti-materialismo effertziano, I suoi moniti critici nei confronti del socialismo rivoluzionario si estrinsecano invece con consueta chiarezza nei due contribute, “La questione degli scioperi ferroviari” “e La necessità del capitale”. Dalle colonne della rivista corradiniana Il Regno, isulla scia del moderatismo del maestro Vailatitenta di maturare una concezione intermedia tra estremismi di destra e di sinistra, idonea a sacrificare valori e ideali della borghesia italiana alla tutela del bene comune dell'intera nazione e stato italiano, in nome della necessaria vitalità di un'industria e di un'economia in inarrestabile ascesa internazionale; a dettacontra Prezzolini- si deve sacrificare il “bene comune” dei ceti sociali abbienti sull'altare del bene nazionale:  Per me personalmente, che mi sento anzitutto italiano e poi borghese, mi auguro che l'Italia sappia sbarazzarsi di tutti gli elementi dannosi ed infecondi che la dissanguano e la opprimono. Dovesse anche, in questo processo di eliminazione, andar sacrificata buona parte della borghesia attuale, per essere sostituita (attraverso il meccanismo democratico) da elementi più vitali e più utili che sono veramente gli interessi della Patria.  Scritti, Firenze, La Voce.  voll. I e II M. Toraldo di Francia, Pragmatismo e disarmonie sociali. Scritti sul Pragmatismo (Roma) Pragmatismo analitico. Dizionario biografico degli italiani. Mario Calderoni. Keywords: fascismo, politica italiana, stato italiano, comunita, bene comune. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Calderoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690047749/in/photolist-2mMYDFF-2mMRLT9-2mKF1kP/

 

Grice e Caloprese – il filosofo delle encantatrice esperienze – filosofia italiana – Luigi Speranza (Scalea). Filosofo. Grice: “Strictly, Caloprese taught Metastasio to be a Cartesian – I know because I relied on him for my ‘Descartes on clear and distinct perception.’” “I love Caloprese; he brings philosophy to Arcadee – The keyword is ARCADIA – or GLI ARCADI, if you must – Caloprese tutored Metastasio – Arcadia is like Oxford – et in Arcadia ego – or Cambridge – the other place – it’s a bit of a utopia – of course, Arcadia as a REAL place is in the Pelopponesus, as any Lit. Hum. Oxon. schoolboy knows! – But Caloprese brings it to civilisation, i.e. to the Roman-Italian tradition! Figlio di Carlo e da Lucrezia Gravina, che si sposarono a Roggiano, cade così la leggenda che fosse nato quando i suoi genitori ancora non si conoscevano. Da onestissimi parenti, di condizione cittadina, nella terra di Scalea, posta nel paese dei Bruzii, trasse i suoi natali. Celebre pel suo ingegno, e per l'universale sua letteratura. Visse molto tempo in Napoli, e in Roma; finalmente tornato alla patria vi morì. I suoi genitori si resero presto conto dell'intelligenza del loro figliolo e lo avviarono a studiare a Napoli sotto la guida di Porcella  Si laurea successivamente nel campo a lui più congeniale della medicina. Rimase sempre in rapporto da Scalea, dove si era ritirato, con i centri intellettuali di Napoli e Roma dove risiedeva suo cugino e dove lo stesso Caloprese soggiorna. A Scalea fondò una scuola  che ebbe una certa rinomanza e partecipò all'attività culturale dei Medinaceli traendone ispirazione per i suoi interessi antiautoritari e antidogmatici scientifici e filosofici che lo fecero schierare dalla parte di coloro che subordinavano l'indagine naturalistica al metodo razionale di tipo cartesiano.  Vico, Metastasio , Giannone lo qualificano come gran renatista  ma la sua reale posizione filosofica è piuttosto da rintracciare in chi era a lui più vicino: il suo discepolo Spinelli che racconta come Caloprese, tornato da Napoli a Scalea visse dei proventi di alcune sue proprietà praticando la medicina solo per i suoi amici e i poveri e che descrive la scuola di Caloprese come fondata sullo studio letterario e scientifico e l'esercizio fisico nella convinzione del rapporto tra corpo ed animo. Alla lettura dei testi di Cartesio si associava quella di Lucrezio e Bacone secondo l'ideale teorico di una sintesi di sperimentalismo e atomismo, razionalismo e mentalismo. Altre opere: “Dell'origine degli imperi. Un'etica per la politica”. Uomini illustri delle Calabrie”. Meravigliosa vivezza d'ingegno ed acume d'intendimento comparvero in lui sin dai più teneri anni, e gran diletto di apprendere; per cui gli avveduti genitori, solleciti di coltivare in lui si belle doti, apparati nella patria i primi rudimenti delle lettere lo inviarono di buon'ora in Napoli per imprendervi l'usato corso degli studii. Ebbe da prima a maestro delle lettere umane Porcella insigne filosofo a quel tempo, e non ignobil poeta. Sotto la costui disciplina molto si approfittò, congiungendo alla fertilità d'ingegno fervente non interrotta applicazione; di modo che egli fece la soddisfazione del Maestro e dei suoi genitori, e l'emulazione dei compagni. Nella sua patria intanto per qualche tempo era egli stato, dove date avea le prime letterarie istituzioni al celebratissimo suo cugino per madre, Gravina, .ed ebbe il vanto d'istruire nelle materie filosofiche, in cui era versatissimo, il gran Metastasio, che seco avea per ciò condotto alla sua patria, come attesta il Metastasio medesimo in una sua lettera scritta da Vienna. Godeva gran fama come uno dei maggiori cartesiani italiani ('gran renatista' lo dissero, fra gli altri, il Vico e il Giannone). Teorico e critico della letteratura. Calopresiane. La civil società e il viver civile: una lettura sociologica delle Lezioni dell'Origine degli Imperij di in «Rivista di Studi Politici», n. 4, Roma, Editrice Apes, .Dizionario biografico degli italiani. Pn di Fabri^o Lomonaco 1 Introduzione Scalea il paese del Caloprese 1; La vita del Caloprese 11; L'estetica e la poetica 15; II pensiero filosofico, politico e "civile" 22; Caloprese educatore 33. 37 Bibliografia Edizioni delle opere di Gregorio Caloprese 37; Studi generali sul periodo e sull'ambiente calopresiani 38; Studi sul Caloprese 45; Articoli brevi sul Caloprese 47; Opere in cui viene trattato il Caloprese 47; Recensioni sulle opere e sugli studi del Caloprese 52. “Questa è tutta l'idea colla quale questi maestri della civil prudenza si sono ingegnati di far altrui concepire la natura del uomo; dopo la quale, non accorgendosi di haver buttato a terra tutti gli fondamenti della pace e della concordia, e che, se i loro insegnamenti fossero veri, i pericoli sarebbon in[e]vitabili, tutto il loro studio non si raggira in altro che in dare precetti di sicurtà, come se gl'accidenti humani stessero tutti sottoposti a i loro consigli.” Chi è Gregorio Caloprese? Un altro Carneade, meritevole di interesse speciale per quegli studiosi, accreditati e no, in cerca del minore, soddisfati o illusi, a seconda dei casi, del nuovo per il nuovo nel vasto campo della ricerca storico-filosofica? Questo lavoro di Alfonso Mirto, vivace studioso della cultura italiana tra Seicento e Settecento, esperto delle relazioni epistolari tra librai-stampatori europei (dai Borde agli Arnaud, dai Blaeu agli Janson, dagli Huguetan agli Anisson e agli Associati lionesi) ed eruditi italiani (da Magliabechi a Cassiano Dal Pozzo, da Carlo Roberto Dati a Leopoldo e Cosimo III de’ Medici) smentisce un fortunato stereotipo, offrendo agli studiosi questa Bibliografia del filosofo calabrese, articolata in sei dense sezioni (scritti di e su Caloprese, opere sul periodo e l’ambiente. Gregorio Calopreso. Gregorio Caropreso. Gregorio Caroprese. Gregorio Caloprese. Keywords: il filosofo delle incantatrice esperienze, naturalismo di Lucrezio, renatismo, cartesianismo, impero romano, vita civile, Vico, Caloprese e Vico, Croce e Caloprese, animo, corpo ed animo, renatismo, Ariosto, Orlando innamorato, Orlando furioso, passione, filosofia, Arisosto tra i filosofi, il nuovo Carneade. Refs.: Speranza, “Grice e Caloprese” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691248001/in/photolist-2mKMa8P-2mKNjCv-2mKN88B/

 

Grice e Caluso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Valperga: essential italain philosopher. Grice: “Noble Italians love a long surname, so this is Valperge-Di-Caluso,” and so Ryle had in under the “C””.  Tommaso Valperga di Caluso. Discendente dai Valperga, nobile famiglia piemontese, nei primi anni della giovinezza si sentì attratto dalla carriera delle armi. A Malta, ospite del governatore dell'isola, si addestra alla vita marinara imparando le dottrine nautiche e fu capitano sulle galee del re di Sardegna. Entrato poi a Napoli nella congregazione dei padri filippini fu professore di teologia.  Tornato a Torino studia fisica e matematica sotto la guida del Beccaria, con Lagrange, Saluzzo e Cigna. Frequentatore delle riunioni culturali sampaoline nelle sale della casa di Gaetano Emanuele a di San Paolo ritrova l'Alfieri, che aveva conosciuto a Lisbona. Scopre in lui il futuro poeta e tra loro nacque una profonda amicizia.  Eccelse negli studi filosofici e apprese l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo e conobbe con sicurezza il latino, il greco, il copto e l'ebraico. Insegna a Torino. Fu direttore dell'osservatorio astronomico di palazzo Madama, incarico che cede al Vassalli Eandi.  Membro della Massoneria. "Le veglie di Torino, Joseph de Maistre", in: Storia d'Italia, Annali 25, Esoterismo, Gian Mario Cazzaniga, Einaudi, Torino. Fratello del viceré di Sardegna. Altre opere: “Literaturae Copticae rudimentum” Parmae, Ex regio typographaeo); “La Cantica ed il Salmo 18. secondo il testo ebreo tradotti in versi” (Parma, tipi bodoniani); “Prime lezioni di gramatica Ebraica” (Torino, Stamperia della corte d'Appello, 1805. 27 giugno .  Tommaso Valperga di Caluso, Thomae Valpergae inter Arcades Euphorbi Melesigenii latina carmina cum specimine graecorum, Augustae Taurinorum, in typographaeo supremae curiae appellationis; Principes de philosophie pour des initiés aux mathématiques, Turin, Bianco. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Renzo Rossotti, Le strade di Torino. L'‘Orlando Innamorato' in «Giornale storico della letteratura italiana», Milena Contini, La felicità del savio. Ricerche su Tommaso Valperga di Caluso, Alessandria, Edizioni dell'Orso. Traduttore in piemontese dell'incipit dell'Iliade, in «Studi Piemontesi», Milena Contini, Le riflessioni di Tommaso Valperga di Caluso sulla lingua italiana, in La letteratura degli italiani. Centri e periferie, Atti del Congresso Adi, Pugnochiuso D. Cofano e S. Valerio, Foggia, Edizione del Rosone. Ugolini mors. Traduzioni latine di Inferno XXXIII, in «Dante. Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri»,  Poetica teatrale: traduzioni ed esperimenti, in La letteratura degli italiani II. Rotte, confini, passaggi, Atti del Congresso Adi, Genova A. Beniscelli, Q. Marini, L. Surdich, DIRAS, Università degli Studi di Genova. Il corpo martoriato. L'interesse di Caluso per quattro atroci fatti di sangue, in Metamorfosi dei lumi 7: il corpo, l'ombra, l'eco, Clara Leri, Torino, aAccademia university press,  Versione latina di Inferno XXXIII, in «Lo Stracciafoglio». Plagio dal Villebrune apposto al Petrarca: un'appassionata confutazione di “meschine, arroganti e scortesi” calunnie sull’Africa, in «Sinestesie», Un maestro da ricordare, in «Rivista di Storia dell'Torino.” Principi di Filosofia per gl' Iniziati nelle matematiche di Tommaso Valperga-Caluso volgarizzati dal Professore Pietro Conte con Annotazioni dell 'Abate Antonio Rosmini-Serbati (Turin, 1840). See also M. Cerruti's La Ragione Felice e altri miti del Settecento (Florence, 1973).Caluso:   motivi   prerosminiani   del   sentimento   fondamentale   corporeo. demiurgo  piemontese.  L’interesse del Caluso per l’omicidio e il “lato oscuro” non è mai stato indagato, perché la critica, nella rappresentazione dell’abate, ha sempre privilegiato l’immagine severa e inflessibile di maestro onnisciente e di saggio imperturbabile, scolpita dai biografi ottocenteschi. Questo ritratto idealizzato e deformato dell’abate ha generato non pochi equivoci interpretativi: se si studia la sua vita attraverso i suoi diari e il suo ricco epistolario e si analizzano con attenzione le sue opere tanto edite quanto inedite, ci si accorge, infatti, che la sua personalità è tutt’altro che granitica. Prima di accingersi a esaminare la sua figura è necessario quindi liberarsi di questi stereotipi: il fatto che l’ottimista abate, come lo definì il Foscolo, avesse dedicato molti scritti allo studio della ragione non esclude affatto che egli fosse incuriosito anche dalla parte irrazionale dei uomini, anzi le sue considerazioni sui “limiti della ragione” si collocano perfettamente all’interno delle sue riflessioni sulle facoltà intellettive. L’inedito Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Naziona. Gli studi calusiani sulla ragione, e in particolar modo sul rapporto tra ragione e virtù, sono inseriti nelle opere dedicate alla felicità, tema particolarmente caro a lui, che si impegnò nell’indagine di questo complesso concetto dalla gioventù fino all’estrema vecchiaia: è possibile, infatti, seguire l’evoluzione della riflessione del Caluso sulla felicità dalle lettere al nipote degli anni Sessanta del Settecento fino al Della felicità de’ governati. Il tema della felicità pervade tutta la produzione dell’autore; esso non è affrontato solo nella saggistica filosofica, nelle lettere intime ad amici e parenti e nelle poesie, ma si ritrova anche nei trattati didattici e in alcune opere erudite, perché e convinto che il fine di ogni studio fosse la felicità, la quale puo essere conquistata solo attraverso una profonda passione per le lettere e per le scienze.  A proposito del concetto calusiano di “rassegnazione” si legga il seguente passo, tratto della lette. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit. Diderot constata che nella pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tu… L’indagine sulla felicità porta inevitabilmente il Caluso a scontrarsi con lo studio della ragione. Secondo Caluso, la ragione ha un duplice ruolo: da un lato ci fornisce gli strumenti adatti a conquistare la felicità, dall’altro ci fa acquisire la coscienza di non avere sempre il dominio su ciò che accade. La consapevolezza porta alla rassegnazione, questa rassegnazione però aiuta sì a sopportare i casi della vita, ma non dona la felicità, come teorizzavano gli stoici. Caluso pensa, quindi, che i poteri della ragione siano limitati. Questa presa di coscienza però non lo porta a meditare sul fatto che la felicità possa essere disgiunta dalla ragione. Infatti, se da un lato ammette che anche il più saggio tra gli uomini è vittima della sofferenza («né sognai che ad uom concesso / Viver fosse ognor lieto, o ne’ tormenti / Sdegnerò dir misero il Saggio stesso»), dall’altro non arriva a constatare, come avevano fatto, per esempio, Diderot e Voltaire, che spesso nella vita reale gli uomini privi di ragione e di virtù sono felici. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero necessarie all’uo (...) 8 Id., Versi italiani cit., p. 33. Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino (ms Varia 176, 4). I manoscritti di L’Amour vaincu (ms Varia 176 1/2, s.1, b. 14) e di Les aventures du Marquis de Bel (...). La ragione ha anche il fondamentale compito di dominare le passioni. Ripropone la celebre esortazione platonica alla misura, ripresa da molti autori, tra i quali Rousseau, che in più luoghi sottolineò come la ragione avesse la funzione di equilibrare i moti violenti dell’animo. E convinto che i sentimenti estremi causassero soltanto sofferenza. Non invita certo ad anestetizzare gli affetti, anzi pensava che non vi fosse nulla di peggio che una vita senza passioni ed emozioni («Che un dolce pianto è più felice molto / Non delle noie sol, ma dell’inerte / Ghiaccio d’un cor, cui ogni affetto è tolto»), ma crede che la morbosità fosse una pericolosa malattia. Nella Ragione felice egli porta l’esempio della follia amorosa di Polifemo per Galatea. Il poeta descrive la corruzione del corpo del ciclope, consumato dal desiderio ed incapace di dominarsi («Odil che fischia, livido qual angue / Le spumeggianti labbra, e l’occhio in foco / Vedil cerchiato di vermiglio sangue»). L’autore crede che solo i casti amori, congiunti a «l’arti e gli studi, possano regalare la felicità. Questo riferimento all’amore platonico è un omaggio alla principessa di Carignano, dedicataria del poemetto, che teorizza come la felicità si fonda sulla rinuncia alla passione sia nel saggio filosofico inedito Sur l’amour platonique sia nei due romanzi, anch’essi inediti, L’Amour vaincu e Les nouveaux malheurs de l’amour. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., pp. 213-247. La follia amorosa non è l’unica passione condannata da Caluso. Infatti deplora ogni sentimento capace di far perdere il controllo delle proprie azioni. Nel poemetto La Tigrina o sia la Gatta di S. E. la madre donna Emilia, composto a Napoli, descrive le funeste conseguenze della gelosia, mentre nei “Varia Philosophica” presenta l’esempio della vendetta:  12 L’inedito Varia Philosophica, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Univers. Onde sono le passioni uno scaldamento di fantasia, una specie di pazzia, che perverte il giudicio, e ne fa credere che in quella tal cosa passionatamente voluta vi sia per noi un bene, un piacere, una soddisfazione che veramente non vi è né la ragione per tanto ve la può trovare. Tale è per esempio la vendetta. T. Valperga di Caluso, Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie d.  La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre nel 1555. 15 Id, Di Livia Colonna cit., p. 251. Si dedicò allo studio dei limiti della ragione in una serie di scritti e appunti su fatti di sangue; nell’articolo Di Livia Colonna, per esempio, ricostruisce la tragica fine della nobildonna romana basandosi sulla raccolta di poesie Rimedi diversi autori, in vita, e in morte dell’ill. s. Livia Colonna14 («Da parecchi versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554, al più tardi, e certamente non prima del 1550, fu Livia trucidata barbaramente» Quest’opera comprende numerosi componimenti dedicati a Livia Colonna, scritti da trentuno poeti, tra i quali anche il Caro e il Della Casa.  In un brano del Della certezza morale ed istorica sottolinea come sia importante esaminar. Cita le seguenti fonti: G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani genti. Ricorda che vari poeti avevano scritto «molte dolenti rime» su questo tema e cita un pass. Sottolinea che la raccolta, non essendo dotata né di prefazione né di note, non permette di contestualizzare i fatti ai quali si allude nelle rime, ma aggiunge che, vista la notorietà del casato di Livia, non gli è stato difficile identificare la donna e reperire informazioni in merito alla sua vita17: Livia nacque prima del 1522 da Marcantonio Colonna e Lucrezia della Rovere; nel 1539 fu rapita da Marzio Colonna duca di Zagarolo, che in questo modo riuscì a sposare la bellissima e ricchissima giovinetta; qualche anno dopo perse, e di lì a poco riacquistò, la vista18, nel 1551 rimase vedova. Dopo aver elargito queste informazioni, il Caluso passa a parlare del tema che lo ha maggiormente interessato:  19 T. Valperga di Caluso, Di Livia Colonna cit., p. 251. Ma qui veniamo al punto, che ha stimolata la mia curiosità, e richiede più diligenti ricerche. Da parecchj versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554 al più tardi, e certamente non prima del 1550, fu Livia trucidata barbaramente19.  20 L’abate fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Dom (...) Egli deduce da alcune evidenti allusioni presenti nelle rime della raccolta che Livia fu uccisa dal proprio genero Pompeo Colonna, che aveva sposato la figlia Orinzia20 poco tempo prima:  21 Ivi, p. 252. Rivolta la carta 87 delle mentovate rime si legge, che l’uccisore l’empio ferro tinse nel proprio sangue, e alla carta 113 si fa dire a Livia già ferita, che fai figliuol crudele? Pompeo suo genero aveva tratto il sangue dallo stesso casato, non che da Camillo suo padre, da Vittoria sua madre, anch’essa Colonna. E qual altro assassino, che un genero, poteva chiamarsi figliuolo da una donna giovine, che non avea prole maschile?21  Identificato l’assassino, passa a esaminare i possibili moventi dell’omicidio: Pompeo fu spinto a uccidere la suocera dall’avidità, dall’ira o dal senso dell’onore.  22 Ibid. 23 Ivi, p. 253. 7L’autore sembra propendere per il primo movente: nelle rime, infatti, si legge che la nobildonna fu uccisa «sol per far ricco un uomo»22; l’abate riflette inoltre sul fatto che, con la morte di Livia, Orinzia avrebbe ereditato numerosi poderi, sui quali avrebbe poi messo le mani Pompeo, dato che «ognun sa quanto facilmente dell’aver della moglie sia più ch’essa padrone un marito fiero e imperioso»23.  24 Ivi, p. 252. 8Per quanto concerne invece il movente dell’ira, suggerito dal fatto che «la mano del parricida vien detta forse di sangue ingorda più che di vero onor»24, il Caluso non si profonde in ipotesi specifiche, ma si limita a osservare che i motivi di astio tra persone «che hanno a fare insieme» sono innumerevoli. Questo movente può essere collegato con quello dell’onore: la collera di Pompeo, infatti, potrebbe essere stata causata dalla scoperta o dal sospetto che la suocera si fosse sposata segretamente con un servo. L’autore trae questa idea da un verso del Dardano, nel quale si fa riferimento alla mano mozzata di Livia («E la recisa man, l’aperto lato»), l’abate immagina che Pompeo avesse mutilato la suocera per punirla d’aver concesso la propria mano a un servitore. Il Caluso riflette inoltre sul fatto che questo terzo movente può essere collegato anche col primo, dato che il matrimonio di Livia avrebbe ridotto l’eredità di Pompeo:  25 Ivi, p. 254. ogni matrimonio della suocera dovea spiacergli per lo pensiero che in conseguenza n’andrebbe ad altri gran parte di quello che aspettava dover dalla suocera, quando che fosse, venir a lui25.  26 G. L. Masetti Zannini, Livia Colonna tra storia e lettere (1522-1554), in Studi offerti a Giovanni (...) 27 Ivi, p. 293. L’interpretazione calusiana del verso del Dardano è criticata da Gian Ludovico Masetti Zannini nel saggio Livia Colonna tra storia e lettere26, nel quale egli fa numerosi riferimenti al “cittadino” Tommaso Valperga di Caluso, che centosettant’anni prima, «imbastì su fragilissime basi la trama di un romanzetto che avrebbe potuto incontrare fortuna, come altri fatti di sangue del secolo xvi, presso fantasiosi lettori»27.  28 Archivio di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, Processi, sec. xvi, 19 (1554, gennaio 25). 29 I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni oculari. 30 La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla (...) 31 Ivi, p. 309. 32 Ivi, p. 310. 33 D. Chiodo, Di alcune curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Gandolfo Porrino custodito nel F (...) 9Il Masetti Zannini ricava dai documenti processuali28, trascritti in appendice al saggio, che Livia fu uccisa da due sicari assoldati da Pompeo, che non partecipò attivamente all’omicidio della suocera, ma si limitò ad assistere. I giudici stabilirono che il movente del crimine fu il denaro; nelle carte del processo e nel documento di condanna contro il mandante Pompeo Colonna e gli esecutori Paciacca di Terni e Filippo di Metelica, emesso il 16 marzo 155429, non vi è alcun accenno né alla mutilazione della mano30 né al matrimonio di Livia con un domestico. Lo studioso riflette inoltre sul fatto che nel xvi secolo difficilmente sarebbero stati scritti e pubblicati «tutti quegli elogi» su Livia, se quest’ultima avesse «abbandonato la castità vedovile per unirsi a un servitore»31. Egli quindi ritiene che il Caluso abbia mal inteso il verso del Dardano, che doveva invece essere interpretato in un altro modo: «dando a “mano” il senso di “fianco”, avremmo una plausibile spiegazione del sogno. Infatti Livia scopertosi il “lacero petto” non poteva in tal guisa mostrare una “mano”, ma un fianco con una profonda lacerazione»32. Contro questa interpretazione polemizza, giustamente, Domenico Chiodo, che difende le ragioni del Caluso: «le sue [dell’abate] capacità di lettura erano infinitamente superiori alle ‘ragionevoli’ supposizioni del nostro contemporaneo»33.  34 L’opera (mm 198x285) è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su 5 carte scritte sia sul recto(...) 35 È bene precisare che il Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il (...) 36 Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-Caluso: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-ago (...) 10Anche ai tempi del Caluso era stata sollevata una critica alla ricostruzione dell’abate; nel manoscritto inedito Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-Caluso: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano34, conservato presso il Castello di Masino (ms 399), il Verani35 dichiarava di non fidarsi delle parole dei poeti della raccolta, perché: «la maggior parte di essi soggiornavano lontano dalla Capitale del Mondo Cattolico e perciò soggetti a ricevere da’ loro corrispondenti varie o false o almen dubbiose relazioni»36.  37 Scrive il Verani: «Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di Livia, non vi è a (...) 11Egli spiegava diversamente il significato dei versi citati dal Caluso e in questo modo metteva in discussione sia la colpevolezza di Pompeo37 sia l’interpretazione del verso del Dardano:  38 Ibid. Altrettanta fede merita il sogno del Dardano, a cui non comparve Livia con la recisa man, l’aperto lato, sembrandomi assai più probabile che al primo colpo ella cercasse di ripararsi colla mano, ed anche al secondo, onde la mano venisse gravemente ferita, ma non recisa38.  39 L’articolo di lettera è conservato presso gli Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (ms (...) La sua spiegazione ha invece persuaso il Vice Bibliotecario di Mantova Ferdinando Negri, che in una lettera inedita dell’aprile del 1815 scrisse al Napione di aver trovato un epigramma latino che confermava le ipotesi del Caluso39; nel componimento però non vi è un riferimento esplicito alla mutilazione della mano.     40 Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che n (...) 41 Il manoscritto (ms 279, III, 3) è vergato su 6 carte (mm 211x305), compilate sia sul recto sia sul (...) 12Il Caluso si occupò anche di un altro fatto di cronaca nera dai risvolti torbidi e brutali: l’assassinio di una contessa da parte di un ufficiale francese40. Presso il Fondo Peyron sono conservati due documenti, scritti da mani diverse41, concernenti la vicenda del delitto della Contessa Aureli della Torricella; le prime due carte contengono una raccolta di cinque testimonianze intorno a Monsù, ovvero Monsieur, Bresse («Memorie intorno Monsù Bresse che li 3 Maggio 1747 uccise la Contessa Aureli della Torricella, nata Colli, famiglia patrizia della Presente Città di Cherasco»), mentre le successive quattro carte contengono un racconto particolareggiato dei fatti.  42 Il narratore formula varie ipotesi sulle origini del Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può (...) 43 Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’al (...) 13La vicenda esposta nel secondo documento è la seguente: l’ufficiale francese Monsieur Bresse42 è follemente innamorato della Contessa Aureli della Torricella che però, pur apprezzando la sua compagnia, non vuole concedersi all’amico. Dopo un anno di incessanti nonché vani corteggiamenti, domenica 3 maggio 1747, Monsieur Bresse sale a casa della donna e, approfittando di un momento di intimità, tenta per l’ennesima volta di sedurla; la Contessa Aureli però si nega in modo risoluto e la fermezza del suo rifiuto umilia a tal punto il Bresse da farlo cadere in preda a un raptus omicida: egli brandisce la spada e sferra sei colpi nel petto della donna. La vittima, nel tentativo di difendersi, si taglia di netto un dito della mano e il suo disperato schermirsi eccita ancor più il furore sadico del Bresse, che la colpisce sul volto con pugni e con l’elsa della spada. Finito il massacro, l’assassino chiude la porta a chiave e torna a casa, dove, colto dal rimorso e dall’orrore delle proprie azioni, si toglie la vita con un colpo di baionetta in mezzo agli occhi. La Contessa intanto, non ancora sopraffatta dalla morte, striscia in un lago di sangue e tenta di alzarsi aggrappandosi alla tappezzeria, che cede per il peso del corpo e fa ricadere a terra la donna ormai agonizzante. L’Aureli viene ritrovata qualche ora dopo col volto tumefatto, il petto squarciato dalle ferite e un orecchio aperto in due. Più tardi viene rinvenuto anche il cadavere del Bresse, che dopo essere stato conservato tre giorni nella sabbia, viene seppellito, secondo un ordine giunto da Torino, come si farebbe con «dei cani o degli asini morti». Il racconto si conclude con una tirata moraleggiante contro la pratica del cicisbeismo, ormai diffusasi anche presso le «petecchie di Cherasco» che fanno carte false per procurarsi un «damerino»43.  44 Il suo comment si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È da segnalare i (...) 14Il Caluso scrisse alcune considerazioni in merito al secondo documento del manoscritto44:  45 Ibid. Questa non è relazione, ma novella, a imitazione di quelle del Boccaccio, benché non molto felicemente lavorata. Le ultime parole sono d’un impostore, che le ha aggiunte a disegno di far credere che fosse questo un ragguaglio fatto a un Cardinale. Ma oltre che vi stanno appiccicate collo sputo, e non sono dello stile del rimanente, non si confanno in modo alcuno col titolo e cominciamento. Senza dubbio l’autore finì ove ha posta la stelletta. È qui del rimanente questa novella molto mal concia del suo copista45.  46 Ibid. L’abate quindi commenta il manoscritto da due diversi punti di vista: da un lato dimostra la falsità delle dichiarazioni che chiudono il racconto e dall’altro critica i contenuti e lo stile della narrazione. Per quanto concerne il primo aspetto, il Caluso fa riferimento all’ultima frase del testo, scritta dopo un asterisco: «E con questa scrizione sonomi ingegnato di contentare l’eminenza vostra, alla quale contarlo profondissime riverenze divotamente mi raccomando»46.  47 Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto infatti è preceduto da un breve r (...) 15Le argomentazioni addotte dall’abate per smascherare la contraffazione sono convincenti: lo stile dell’ultima frase non si sposa con quello del racconto e anche il contenuto di questa presunta aggiunta è svincolato dalle altre parti del testo. La nostra analisi grafologica ha stabilito che l’ultima frase fu scritta dalla stessa mano del resto del testo; questo dimostra che il documento posseduto dal Caluso non è l’originale, ma è una trascrizione realizzata da un copista inesperto, che non si era accorto della falsificazione. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto, l’abate sottolinea che il testo del secondo documento non possiede né lo stile né la struttura di un resoconto rigoroso e oggettivo, ma somiglia a una novella di poco valore47. Questo giudizio è dovuto allo stile lambiccato e ridondante del narratore, che in diversi punti cade nel comico involontario.  16Questo caso di omicidio-suicidio avvenuto nella provincia cuneese del Settecento stimolò la curiosità del Caluso, che, come abbiamo visto, si era già interessato al delitto di Livia Colonna. Molti sono i punti di contatto tra i due fatti di cronaca: in entrambi i casi si ha una bellissima nobildonna massacrata e mutilata (a Livia, secondo la ricostruzione dell’abate, viene tagliata la mano, mentre alla Contessa vengono recisi un dito e parte di un orecchio) da una persona apparentemente fidata e intima (Livia è trucidata dal genero, mentre la Contessa è uccisa dal proprio cavalier servente).     48 T. Valperga di Caluso, Versi italiani cit., p. 83. 49 Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il melodramma ita-liano: un incontro. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine Houdar de La Motte (1723), che ebbe uno straor (...) 17Il Caluso si era interessato anche a un terzo caso riguardante una bella e sfortunata vittima di un efferato omicidio dalle conseguenze raccapriccianti: il sonetto Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta dei Versi italiani, infatti, è dedicato a Inês de Castro, che, come ricorda l’abate nell’intestazione, fu «fatta uccidere nel 1355 da Alfonso VI re di Portogallo, perché sposa di Pietro suo figlio, poi successore, che nel 1361 la fece dissotterrare e coronare»48. Le notizie indicate dall’autore sono corrette: Inês de Castro fu l’amante del principe Pietro di Portogallo dal 1340 al 7 gennaio del 1355, giorno nel quale fu pugnalata barbaramente di fronte ai propri figlioletti da due sicari mandati dal re Alfonso VI, che era stato indotto ad autorizzare questo gesto sanguinoso da tre consiglieri, preoccupati dalla crescente prepotenza dei fratelli della donna, che si erano conquistati la fiducia e l’appoggio del principe. Pedro perdette il senno per lo shock e, raggruppate alcune milizie, mosse guerra contro il proprio padre, con il quale stipulò una tregua solo grazie all’intercessione della madre. Una volta divenuto re, Pedro diede sfogo alle proprie vendette e ai propri deliri: condannò a morte due dei consiglieri del padre, ai quali venne strappato il cuore di fronte ai cortigiani e ai militari d’alto rango, costretti ad assistere a questa atroce punizione, e fece disseppellire e ricomporre il cadavere di Inês, affinché la salma della propria amata fosse incoronata dal vescovo “regina di Portogallo”. Questo fatto sanguinoso ispirò molti autori, primo tra tutti Camões, che cantò le lacrime di Inês nei Lusiadi; nel Settecento e nell’Ottocento la dolorosa vicenda di Inês ebbe ampia fortuna sia nel mondo del teatro musicale49 sia in ambito tragico50.  18Nel sonetto calusiano, Inês ricorda la propria triste vicenda terrena e la propria incoronazione post mortem e sottolinea la crudeltà del re e l’efferatezza dell’omicidio:  Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta Ebbi scettro e corona, in vita affanni; Benché pur di pensar foss’io contenta Fra gli opposti furor di due tiranni.  Amando me, cagion de’ nostri danni L’un, di me privo Re crudel diventa; Sdegnando, credé l’altro i miei verd’anni Ragion di Re troncar con man cruenta.  Ahi suocero spietato! e in che t’offese Beltà modesta, umil, se de’ suoi rai Perdutamente il tuo figliuol s’accese?  51 T. Valperga di Caluso, Versi italiani cit., p. 83. Io vinta, mal mio grado il riamai. E se incolpi Imeneo, che a noi discese, Mio bel fallo sarà che non peccai.51  Il Caluso si dilungò nella descrizione di un macabro fatto di cronaca anche nella lettera al nipote Giovanni Alessandro Valperga marchese di Albery del 24 maggio 1775, nella quale viene narrato l’agghiacciante suicidio del giovane professore torinese Don Casasopra, che, caduto in un profondissima depressione, si era tolto la vita nella notte tra il 20 e il 21 maggio del 1775:  52 M. Cipriani, Le lettere inedite dell’abate Tommaso Valperga di Caluso al nipote Giovanni Alessandro (...) si trovò il letto imbrattato copiosamente di sangue ed egli con un laccio al collo, soffocato presso a una scanzia, ed era lacerato di colpi di temperino, che alcuni dicono giungere al numero di vent’otto. Se ne poté conchiudere che egli cominciò per tentar d’uccidersi sul letto con volersi tagliare i polsi alle mani e alle tempia e poi si dié tre colpi di punta verso il cuore, e tardando forse la morte, o che immediatamente egli siasi anche a ciò trasportato, egli passò a impicarsi. La cagione si può credere una frenesia nata di malinconia e d’accension di sangue52.  19Se indaghiamo in modo approfondito i quattro casi che attirarono la curiosità dell’abate, ci accorgiamo subito che l’elemento che li accomuna è la brutalizzazione del corpo. Livia e la Contessa Aureli non sono semplicemente uccise con violenza; i loro corpi sono massacrati in modo gratuito, perché la maggior parte delle ferite inferte non sono funzionali alla morte delle donne, ma sono frutto della rabbia e del sadismo degli assassini (la criminologia contemporanea cataloga questi atti come overkilling, considerandoli una importante aggravante in sede processuale). In questo modo gli omicidi privano le donne non solo della vita, ma anche della bellezza e, quel che è peggio, della dignità: lo spettacolo che si apre a coloro che trovano i cadaveri infatti è indecente. L’insistere sull’avvenenza delle due donne quindi è funzionale per creare il contrasto tra ante e post flagitium; il potere deturpante della follia colpisce la sensibilità del lettore, che inevitabilmente resta più impressionato di fronte al corpo straziato di due belle e giovani donne rispetto a quello, per esempio, di uomini adulti. L’assassino di Livia – anzi, stando alle carte processuali, i due killer assoldati da Pompeo – mutila la donna per lanciare un messaggio, mentre il Bresse stacca un dito e parte di un orecchio alla Contessa perché non sa dominare la propria furia. Tanto i primi quanto il secondo non portano con loro le parti mozzate per farne un trofeo o una macabra reliquia, perché non sono mitomani o psicopatici, i primi, infatti, lavorano “su commissione”, mentre il secondo agisce in preda a un raptus.  53 A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari, Laterza, 2008, p. 37. 20Nel terzo caso, quello di Inês, si assiste a un ribaltamento di prospettiva: all’amputazione si sostituisce la ricomposizione del cadavere; opposto è anche il tipo di follia che provoca il “gesto”, si passa dal furore omicida al furore amoroso, che sembra essere ancora più sconcertante. Anche in questo caso il contrasto tra la «beltà onesta, umil» di Inês e la sua salma ricomposta – o meglio quello che resta della sua salma dopo oltre due anni di decomposizione – è molto forte; l’incapacità di dominare il desiderio di vedere riconosciuto il ruolo di regina all’amatissima defunta porta Pedro a spalancarne la bara (la cui chiusura, ci insegnano gli antropologi, segna «la fine di ogni possibilità di intervento sociale, culturale e affettivo sul corpo»)53 e a plasmare una creatura mostruosa.  21Nel quarto caso è l’accumulo verticale di violenze autoinflitte a creare ribrezzo: la mente allo stesso tempo si serve del corpo e lotta contro esso, che da un lato si fa strumento di tortura e dall’altro si ribella, resistendo alla morte il più possibile. Ciò che sconvolge è la frenetica impazienza del Casasopra, che desidera a tal punto annullare la propria esistenza da suicidarsi, potremmo dire, tre volte contemporaneamente. L’abate quindi osserva una terza tipologia di follia, quella suicida.  22Il Caluso si concentra tanto sul corpo mutilato delle vittime quanto sul corpo mutilante dei carnefici, che possono trasformarsi a loro volta in vittime di se stessi; in Don Casasopra carnefice e vittima coesistono, mentre il Bresse, spinto dal rimorso, decide di togliersi la vita in modo razionale, per quanto è possibile, contrariamente al professore torinese che cede invece alla «frenesia».  23Negli occhi del Caluso è assente la pietà cristiana, non perché egli fosse insensibile alle sciagure, ma perché l’interesse che lo spinge a osservare questi fatti di sangue è di tipo scientifico; egli, in generale nei suoi scritti filosofici, evita di introdurre considerazioni di carattere teologico o semplicemente religioso, perché non sente l’esigenza, provata da molti suoi contemporanei, di conciliare il cristianesimo con la filosofia dei lumi o con le correnti filosofiche antiche, i concetti di virtù o di colpa vanno intesi sempre in senso laico. Lo sguardo scientifico è evidente, per esempio, nella descrizione del terrificante suicidio del professore torinese. L’abate non spende parole di pietà per il Casasopra, ma presenta subito le proprie ipotesi in merito alle cause di un gesto così estremo: egli suppone che la follia suicida sia stata scatenata dalla combinazione di una causa psicologica («malinconia») e una organica («accension di sangue»). Senza la sentenza scientifica finale, la descrizione del suicidio del Casasopra potrebbe avere anche un che di farsesco (un farsesco funereo, ma pur sempre farsesco): l’immagine di un uomo che con ventotto coltellate e i polsi tagliati tenta di impiccarsi però non fa sorridere cinicamente, perché il Caluso descrive il tutto come un caso clinico e non come una scena, mi si passi il termine, splatter, anzi comic splatter.  54 Il Caluso visse a Lisbona dal febbraio 1770 al settembre 1773, ospite del fratello Carlo Francesco, (...) 24L’abate non sovrappone la fiction agli oggetti della propria riflessione filosofica. La componente orrorifica, per esempio, è molto presente nel Masino, poemetto popolato da mostri, diavoli, folletti malvagi e morti resuscitati; questo testimonia che egli non fu immune all’influenza dell’Arcadia lugubre, ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con i quattro casi dei quali ci stiamo occupando, che non sono trattati come storie, come racconti, ma come fatti di cronaca, recente o lontana, da esaminare. La terrificante incoronazione di Inês è sviluppata sì in un sonetto, ma la prefazione in prosa che illustra la vicenda storica testimonia che l’autore aveva compiuto studi approfonditi sull’episodio, forse durante il suo soggiorno lusitano54.  25Il corpo smembrato viene “osservato” non con compiacimento morboso, ma con l’occhio attento del filosofo, che, studiando il potere della ragione, è costretto a indagarne anche i limiti e le ombre. Il Caluso in verità non censura in alcun modo i particolari più macabri delle vicende, come l’arto mozzato di Livia, la pozza di sangue nella quale striscia la Contessa, il foro in mezzo alle ciglia del Bresse (poi sotterrato come la carogna di un animale), lo scettro ricevuto da Inês «in freddo marmo», le ventotto ferite del Casasopra; questo sguardo fisso sui dettagli più agghiaccianti però non è fine a se stesso, ma serve a “toccare con mano” quanto orrore generi la follia. Così nella vicenda di Inês, ciò che disgusta maggiormente il lettore non è il ripugnante cadavere ricomposto, ma la pazzia di Pedro: insomma il mostro non è lo scheletro di Inês, ma Pedro stesso.  26L’interesse per i fatti di sangue dimostra come sia fuorviante e falsa la rappresentazione del Caluso come saggio rintanato nel proprio rassicurante romitorio, dal quale contempla con indifferenza il mondo e le sue passioni; egli, al contrario, era attaccato alla “vita reale” (ne è una riprova il fatto che nelle sue opere preferisce sempre offrire esempi tangibili, senza abbandonarsi a teorie fumose o ad astratte elucubrazioni) ed era desideroso di studiare l’uomo “vero” – quello che, a volte, cede alla brutalità e alla follia più nera – e non l’uomo ideale. Il Caluso crede che ogni progresso sia possibile solo partendo dall’analisi di «ciò che esiste», egli non vuole proporre un modello utopistico di uomo perfetto, ma desidera ragionare concretamente sulla natura umana, sulle sue luci e sui suoi spettri.  NOTES 1 Sulla figura dell’abate di Caluso (1737-1815) si vedano gli studi del Calcaterra e, soprattutto, del Cerruti (M. Cerruti, La ragione felice e altri miti del Settecento, Firenze, Olschki, 1973; Id., Le buie tracce: intelligenza subalpina al tramonto dei lumi; con tre lettere inedite di Tommaso Valperga di Caluso a Giambattista Bodoni, Torino, Centro studi piemontesi, 1988; Id., Un inedito di Masino all’origine dell’opuscolo dibremiano ‘Degli studi e delle virtù dell’Abate Valperga di Caluso’, «Studi piemontesi», XXIX, 2000, pp. 7-21. Inoltre mi permetto di rinviare anche alla mia monografia: M. Contini, La felicità del savio. Ricerche su Tommaso Valperga di Caluso, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2011.  2 Si legga il seguente passo, tratto da una lettera del Foscolo alla Contessa d’Albany del 1813: «e io lasciai l’ordine ch’ella, e il pittore egregio, e l’ottimista abate di Caluso avessero l’edizione in carta velina» (U. Foscolo, Epistolario, a cura di P. Carli, Firenze, Le Monnier, 1956, IV, p. 317). Questo appellativo si riferisce, ovviamente, alla più famosa composizione dell’abate, il poemetto in terza rima La Ragione felice, composto a Firenze nel 1779, come precisa l’abate stesso nell’introduzione alla raccolta Versi italiani (Euforbo Melesigenio, Versi italiani di Tommaso Valperga Caluso fra gli Arcadi Euforbo Melesigenio, Torino, Barberis, 1807).  3 L’inedito Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino (ms segnato 287, II), è ora pubblicato in M. Contini, La felicità cit., pp. 157-194.  4 A proposito del concetto calusiano di rassegnazione, si legga il seguente passo, tratto della lettera alla Contessa d’Albany del 14 aprile 1808: «De’ cardinali Doria lodo la rassegnazione, virtù troppo necessaria alla felicità, o per parlare più esattamente a scemare l’infelicità nostra, onde io ne fo uno de’ punti precipui della mia filosofia, d’acquetarsi alla necessità» (L.G. Pélissier, Le portefeuille de la comtesse d’Albany, Paris, Fontemoing, 1902, pp. 14-15).  5 Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 38.  6 Diderot aveva constatato che nella pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tutt’altro che virtuosi, e lo stesso ragionamento era stato presentato da Voltaire a proposito della razionalità.  7 Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero necessarie all’uomo per sfuggire la noia era stato sottolineato con forza dall’abate Du Bos nel primo capitolo delle Réflexions critiques sur la poésie et la peinture (1718), opera che eserciterà una grande influenza sull’estetica settecentesca. In questi versi il Caluso non fa riferimento alla noia, ma descrive uno stato d’animo ancora peggiore: l’apatia.  8 Id., Versi italiani cit., p. 33.  9 Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino (ms Varia 176, 4).  10 I manoscritti di L’Amour vaincu (ms Varia 176 1/2, s.1, b. 14) e di Les aventures du Marquis de Belmont écrites par lui même ou les nouveaux malheurs de l’amour (ms Varia 176 1/2, s.2, b. 16) sono conservati presso la Biblioteca Reale di Torino.  11 Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., pp. 213-247.  12 L’inedito Varia Philosophica, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino (ms segnato 286, 4), è riprodotto in M. Contini, Nuove ricerche sull’attività letteraria di Tommaso Valperga di Caluso, tesi di dottorato, tutor Enrico Mattioda, Torino, Università degli Studi, a. a. 2010-11, II, pp. 218-229.  13 T. Valperga di Caluso, Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie des sciences littérature et beaux-arts de Turin, X-XI, Torino, Imprimerie des sciences et des arts, 1803-1804, pp. 247-257.  14 La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre nel 1555.  15 Id, Di Livia Colonna cit., p. 251.  16 Il Caluso in un brano del Della certezza morale ed istorica sottolinea come sia importante esaminare le notizie riferite dai poeti: «Diciamone adunque partitamente, vediamo prima qual sia l’esame del fatto per trarne i precetti per questa prima parte anche per la critica degli avvenimenti che ci siano tramandati dagli scrittori di qualche genere, e partitamente da’ Poeti» (Della certezza morale ed istorica; Fondo Peyron; ms 286, 2). L’abate cita le seguenti fonti: G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani gentilhuomo fiorentino. Diuisa in libri ventidue, Firenze, Giunti, 1583 e D. De Santis, Columnensium procerum imagines, et memorias nonnullas hactenus in vnum redactas, Roma, Bernabo. Il Caluso ricorda che vari poeti avevano scritto «molte dolenti rime» su questo tema e cita un passo di un madrigale del Caro. Presso la Biblioteca Apostolica Vaticana è conservato il manoscritto Composizioni latine et volgari di diversi eccellenti authori sovra gli occhi della Ill. Signora Livia Colonna (ms Capponi 152).  19 T. Valperga di Caluso, Di Livia Colonna. L’abate fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Domenico Santi chiamata Orintia, Oritia, trovisi altrove chiamata Ortenzia” (ivi, p. 257).  21 Ivi, p. 252.  22 Ibid.  23 Ivi, p. 253.  24 Ivi, p. 252.  25 Ivi, p. 254.  26 G. L. Masetti Zannini, Livia Colonna tra storia e lettere in Studi offerti a Giovanni Incisa della Rocchetta, Roma, Società romana di storia patria, Archivio di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, Processi, sec. xvi, 19 (1554, gennaio 25).  29 I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni oculari.  30 La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla gola e molteplici volte ai fianchi, ma non fece alcun riferimento alla mutilazione di arti.  31 Ivi, p. 309.  32 Ivi, p. 310.  33 D. Chiodo, Di alcune curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Gandolfo Porrino custodito nel Fondo Cian, «Giornale storico della letteratura italiana», L’opera (mm 198x285) è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su 5 carte scritte sia sul recto sia sul verso, a parte l’ultima, scritta solo sul recto.  35 È bene precisare che il Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il saggio del Caluso. Probabilmente questo anonimo amico aveva poi consegnato all’abate lo scritto del Verani.  36 Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-Caluso: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano (Fondo Masino; ms 399).  37 Scrive il Verani: «Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di Livia, non vi è altro documento, ch’io sappia, se non la semplice osservazione del Sansovino, di cui non possiamo fidarci, poiché non Livia, ma Lucia donna di Marzio Colonna, la quale fu morta da Pompeo suo genero. Quindi è che non so indurmi a credere Pompeo capace di sì orrido fatto, e molto meno per un vile interesse o di eredità o di dote o di qualunque altro motivo o di odio e vendetta a noi ignoto». Egli in un passo successivo sottolinea anche che Livia chiamò “figliuolo” il proprio uccisore non perché era suo genero, ma per intenerirlo e indurlo a desistere dal gesto delittuoso (ibid.).  38 Ibid.  39 L’articolo di lettera è conservato presso gli Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (ms St. Patria 689). Non si tratta della lettera originale del Negri al Napione, ma di una copia dello stesso Napione, che, su richiesta del Balbo, trascrisse la parte della lettera che riguardava il Caluso.  40 Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che nell’adunanza della Patria Società letteraria del 20 maggio 1790 propose la composizione di una novella su questo argomento (C. Calcaterra, Le adunanze della ‘Patria Società Letteraria’, Torino, SEI, 1943, p. 250). INon era presente a questa adunanza, in quanto entrerà nella Filopatria solo il 20 dicembre 1792; sappiamo però che egli intervenne a qualche assemblea anche prima di questa data e che intrattenne stretti rapporti coi Filopatridi. Probabilmente quindi l’abate si interessò alla vicenda di Monsù Bresse grazie a qualche conversazione con gli amici e colleghi torinesi.  41 Il manoscritto (ms 279, III, 3) è vergato su 6 carte (mm 211x305), compilate sia sul recto sia sul verso: le prime due sono scritte da una mano, mentre le altre 4 da un’altra. Entrambe le grafie non sono riconducibili a quella del Caluso. Il narratore formula varie ipotesi sulle origini del Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può essere identificato con un ugonotto, un massone o un ex chierico.  43 Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’allora profess. di Retorica D. Castellani, ed è questa in data dei 12 Maggio 1747, 9 giorni dopo l’avvenimento». Annotazione scritta dalla stessa mano che aveva compilato il primo dei due documenti (Memoria intorno a Monsù Bresse; Fondo Peyron 279, III, 3).  44 Il commento del Caluso si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È da segnalare inoltre che nel verso dell’ultima carta si leggono alcune prove di firma del Caluso.  45 Ibid.  46 Ibid.  47 Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto infatti è preceduto da un breve riassunto: «Un’ufficiale di Francia ama una Donna Piemontese per lo spazio di più di un anno, e perché da lei gli è vietato il venir ad ottenere qualche suo fine poco onesto, la uccide, e ultimamente pentito di tanta atrocità usata, da se medesimo si dà la morte» (ibid.).  48 T. Valperga di Caluso, Versi italiani cit., p. 83.  49 Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il melodramma ita-liano: un incontro obbligato, in Inês de Castro: studi, a cura di P. Botta, Ravenna, Longo. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine Houdar de La Motte (1723), che ebbe uno straordinario successo di pubblico e venne tradotta dall’Albergati nel 1768 (F. Albergati Capacelli - A. Paradisi, Scelta di alcune eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto italiano, vol. III, Liegi ma Modena, 1768).  51 T. Valperga di Caluso, Versi italiani cit., p. 83.  52 M. Cipriani, Le lettere inedite dell’abate Tommaso Valperga di Caluso al nipote Giovanni Alessandro Valperga marchese di Albery conservate nei fondi del castello di Masino, tesi di laurea, relatore Marco Cerruti, Torino, Università degli Studi, a.a. 2001-2002, pp. 101-102.  53 A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari, Laterza, 2008, p. 37.  54 Il Caluso visse a Lisbona dal febbraio 1770 al settembre 1773, ospite del fratello Carlo Francesco, ambasciatore in Portogallo e futuro viceré di Sardegna. In questo periodo venne a contatto con la cultura portoghese, spagnola e inglese e, come tutti sanno, conobbe e “iniziò alla poesia” l’amico Alfieri. Euforbo Melesigenio. Dydimus Taurinensis. Tommaso Valperga di Caluso. Caluso. Keywords: principi di filosofia per gli initiate nelle matematiche, implicature corporali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caluso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689747974/in/photolist-2mMZQZW-2mKDteh/

 

Grice e Camilla – dell’huomo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “You gotta love Camilla; I mean, if his name were not Camilla, I would call him Grice: he philosophised on all that I’m into: mainly ‘uomo’ (since he was an ancient Italian, he used the mute ‘h’ (dell’huomo’): his anima, the concetti dell’animma that he ‘dichara’ in il suo palare – la bellezza is without equal --.” De' misterii e maravigliose cause della compositione del mondo, 1564 Giovanni Camilla (scritto anche Camilli o Camillo) (Genova), filosofo.  Opere Giovanni Camilla, De' misterii e maravigliose cause della compositione del mondo, In Vinegia, Gabriele Giolito de Ferrari, 1564. Note  Camilla, Giovanni CERL cnp Filosofia Matematica  Matematica Categorie: Medici italianiFilosofi italiani ProfessoreXVI secolo XVI secolo Genova. Ma che diraßi parlar del dela lingua e diuerſo parlare coſi pronunciato diſtin- l'huc'mo tamente , beneficio de i denti e delle labra, il quale coſi benedichiara iconcetti dell'anima ? CAM . penſate , che ſe piu l'huomo andaſſe conſiderando le coſe marda uiglioſe di D10 , tanto piu ſe gli infiammerebbe l'ar nimo di riconoſcerne altre , e contemplarne , e quanto piu stå inuolto e priuo delle ſcienze e cognitione di tai cole , tanto manco ne prende marauiglia , e ſe ne in fiamma. .Liv . Auanza , l'huomo tutti gli altri ania mali di ſottigliezza di ſangue, di memoria , bellezza di corpo , e larghezza di ſpalle . creſce ſino a uentidue anni , la donna ſino a uenti . Hora che ueggiamo al triſino da piccioli atti e quaſi inſtrutti beniſsiino in diuerſeſcienze oarti , è coſa manifeſta. Onde quel Mercurio gran filoſofo Mercurio Trimegiſto chiamò l'huomo Tremigi - un grande miracolo . Oltre poi , che con l'intelletto fto . intende,capiſce e diſcorre fopra ogni coſa , e chiamato un picciol mondo ; e tantage, coſi bella dignità di eſo ON Elle 80 E. = .. 0 . cica . laconoſceuano benißimo quegli ans 74 ENTHOSIA SMO DI huomo uiene tutta dall'anima . E queſto ui bafti qudra to alla dichiaratione di quelle coſe , che ſono chiamate naturali , ueniamo hora alle Mathematiche . CAM ; Se io debbia hauere queſto a caro , laſciolo confiderda re a uoi : eſſendo , che tai ragionamenti ſopra tante ecoſi belle coſe , miſaranno aſſai facile uia ad intendea re poi eſſe ſcienze . -- diverso parlare cosi pronunciato distintamente beneficio de i denti e della labra, il quale cosi benedichiara i concetti dell'anima? AVO PRIMO , OVERO Proemio . a carte . I Cap.2. Dellauirtù . 3 Cap : 3 : Dell'anoicitia . Cap. 4 Dell'amore IO Cap. s . Del Cielo e delle Stelle . 13 Cap. 6. De gli elementi . 18 Cap.7. Di quelle cole, che fi generano nell'aere. 22 Cap. 8. Dell'anima.. 34 Cap . 9. Dell'anima dell'huomo . 45 Cap.io. Delle Piante . 47 Cap. 11. De gli animaliſenſitiui, e prima di quelli, che non hanno ſangue. 53 Cap. 12. Di quelli Animali, che hanno ſapgue primie. ramente de peſci . 15. 59 Cap.13. De gli uccelli . 63 Cap 14. De gliAnimali quadrupedi . 66 Cap.is. Delſhuomo. 71 Cap.16. Della Arithmetica , e fue parti. 74 Cap.17. Della Muſica . 77 Cap.18. Della Geometria, e ſue parti. Cap.19. Della Coſmografia . Gap.20. Dell'arte del nauigare, e de' precetti , chi fi debbono ofleruare a intender quella . 86 Cap.21. Della fPerſpectiua, & inſiemedella Symetria dell'uomo , 91 Cap.22. Dell'Aſtronomia . 95 Cap.23. Della Metafiſica . 107DELLA PERSPESTTIVA , ET IN = fiemedella Simetria dell'huomo . Cap. XXI. Sole pche Holl Utre, Duit 3 bel A PERSPETTIVA dunque , Perſpetti - stando nel mezo della Geometria 4a, . Aſtronomia , proua neceſſaridal incnte molte coſe , che in eſſe ſi ri = * trouano . Onde che'l Sole illumini pru dela metà della terra , e che lucendo non ſi poſſa illumini no ueder le stelle , lo proua il Perſpettivo : dicendo ,'piu della che ogni corpo luminoſosferico illumina una piu pica metà della ciola sfera piu dela metà . Nella Geometria etiandio queſto è manifefto , come nell'arte di rileuo , ſecondo* ; ſi vedono in Romaalcủne statue , con tanto artificio store fatte , che quantunque una ſia piu grande dell'altra , @unapoſta in alto , l'altra a baſſo , paiono nondia 1 : meno tutte diunamedeſima groſſezza e grandezza . Effetti del la perſpect e cio come ſi faccid', diſſe il Perſpettiuo', la comprena tiua, en fione della quantità della coſa urſibile proceder dalla din comprenſione della piramideralioſa , e dalla compaa ratione dellabafi alla quantità dell'angulo ,o alla lun= ghezza della diſtanza. Perla medeſima hanno detto gli Aſtrologile stelle effer corpi sferici'e tondi : pera cioche daejja uien- lor"detto i corpi sferici da lunge ofind pri 14 . ܙܐ ܕ 2 WA ENTHOSIASMO DI parere piani ; l'eſempio ſia di uno ouo : oltre di ciò Le ſtelle le stelle nell'Orizonte apparere piu grandi, etiano, a ell'Ori dio l'iſteſſo Orizonte alla terra contingente , e piu: zones apo lontano di qual ſi uoglia altro punto aßegnato nel ciez iori, per lo . L'iſteſſo fàil naturale , il quale afferma, che l'oca chio non baſterebbe a comprender la grandezza delle coſe ,s'eglinon fuſſe tondo . & etiandio ſenza luce 1. non uederſi niente. Per queſta ſi ſono ritrouati gli fpecchi: imperoche il raggio dell'occhio cadente pera pendicularmenteſopra delloſpecchio, ritorna adietro , e coſi fa , che l'imagine èueduta . Si danno ancora le cagioni, perche nella piu parte de gli ſpecchiſi ueda stig als t'imagine dalla banda dilà di ello ſpecchio, &in alcue ni dinanzi: o oltre di ciò coſi diſcoſta e lontana dallo specchio , quanto é l'occhio lontano da eſo, e di molte altre. si sà ancora la diuerſa compofitioneloro , coa me de' tondi , concaui , colonnari, piramidalize triana Pianeri og ifcintilla . gulari. Laſcioper hora , chela reuerberatione de nocome raggi faccia le stelle fille ſcintillare: imperoche i pia = le ftefle fiłnetinon ſcintillano . Proua ultimamente , perche nela l'acqua le coſe paiano piu grandi , e fuori dal ſuo luos Perche le coſepaia. 80 ;imperochenon ſipuò diſcernere e giudicare la no mag. grandezza di una coſa per raggio rotto : e per ciò le giori nel ſtelle nell'orizonte appaiono piu uicine a noi , che nel l'acqua. Meridiano . Si danno inſieme congnitioni di Iride , e molte altre ; la enumeratione delle quali troppo longa ſarebbe a dirle . CAM. Veramente tutte le ſcienze ſono di talforte tra loro ordinate , che’n loro a punto ſi uede fe . GIO. CAMILLA : 93 COM Iron chat lan ED fi uede una ciclopedia . Liv . Tal dunque è la pera ſpettiua , la cui conſideratione e di raggio retto, rea feffo , erotto. nella quale non ui marauigliate che ſi ueggiano coſi eccellenti e buoni Scultori: eſſendo che scultura ciò ſiuedafacilmente nella Chimica ,Ectypoſi, Celaa parci d tura , Plaſtica , Proplaſtica , Paradigmatica , Tomia fa . ca., Colaptica , le quali ſonotutte parti della Scultuz ra , o hanno della ſua cognitione biſogno. Hora di queſte nonuoglio io parlare , eccetto ſe a voi pareſſe della simetria dell'huomo ; dcció da eſſa comprendiate ogn’hora piu le marauiglioſe opere di Dio . Cam . Queſto miſarebbe di grandißimo contento , è maßime che per la intelligenza loro ſi potrebbono etiandio conſiderar le parti de gli animali ſenza ragione.Liv. Queſta miſura dunque, la quale Simetria chiamiamo, Simetria duenga che'n tutte le coſe create da Dio ſia maraui: dell'huog glioſa , è però di marauiglia e stupore grandißimo mo. nell'huomo . imperoche miſurate tutte le parti effatta = mente , dalle quali è compoſto , iui non ſi uede altro , che ogni coſa piena di harmonia e perfettißima in tuta ti i numeri. E perciò hanno diuiſo il corpo dell'huomo in noue parti , le quali tutte ſi prendonodalla faccid ;. hauendola coſi poſta diſopra Iddio grandißimo,aca ciò tutte le altre pigliaſſero la miſura da eſſa , come contenuta da tutto il corpo noue uolte : s'intende però queſto degli huominifatti , e non de' fanciulli , i quaa li non ſono eccetto quattro . La proportion poi de membri tra loroquanta fia , è coſa di grande contenta CA ľ 94 ENTHOSIASMODI tan è platione. Quanto é dalle ciglia ſino alla fine del nära ſo , tanto dal mento fino alla gola quanto dal labro di fopra ſino alla punta del naſo , tanto é la larghezza del naſo di ſotto , è la concauità de gl'occhi, quanto dalla cima del fronte fino alle ciglia , tanto ſino alla punta del naſo , o etiandio fino al mento . Hora che tanto ſia la faccia , quant'è la mano , e dalle congiunz ture di eſa fi ueggiano le proportioninella faccia ,¿ coſa aſſai ben chiara . Della larghezza, che ne dires di eſſo al naſo , tanto la larghezza della bocca, quanto la longhezza del naſo , tanto é la larghezza delle an= che, quanto ſono due faccie inſieme. L'altezza poi, cioè quello , che uolge e circonda all'intorno , e mard uigliosa . uolge la teſta , e in quella parte del fronte tre faccie , il petto cinque , il uentre , paſſato però l'ombilico , quattro . Laſcio ultimamente , che con tenga l'huomo la figura circolare , e quadrata , e che da eſſo ſia cauata la proportione e miſura di far caſei, Fabriche Rocche , Caſtelli , e Chieſe . Hauete hora viſto la dir moſtrate uifione del corpo del'huomo , quanto ſia artificioſa , e dalla fime. tria del di quanta armonia e contemplatione . E di qui conſie l'huomo. deriate qual Geometria ,qual Muſico debbia eſſer l'aua tore e fattore di tutto queſto, CA M. Veramente da tutte le coſe da D1o create ſiamobenißimoinſegnati uiuer bene : imperoche hauendo ogni noſtra parte del corpo con tal proportione diſpoſta, e fatta , ci mom che 3 stra , 1 GIO. CAMILLA. stra, che ordiniamo i coſtuminoſtri ; acciò in ſi bel corpo poſſa eſſere una bella anima . Liv. E queſto ulbaſti in queſti ragionamenti, & andiamo alla Aſtro . nomia . Cam. Come a uoi pare. His “Enthusiasm” has a brief section on ‘parlare humano’, parabolize – wondering how men can ‘express’ the ‘conceptions’ of their ‘souls’ – via this ‘parlare’ – also philosophised on symmetry, which is like K. O. Apel’s reciprocity. Giovanni Camillo. Giovanni Camilli. Giovanni Camilla. Keywords: dell’huomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Camilla” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718353910/in/photolist-2mPpwbZ-2mNb5M5-2mPqEYR-Bq5Mgn/

 

Grice e Cammarata – la giustizia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice: “You gotta love Cammarata; for one, like Austin, he goes by initials, and indeed like me, A. E. – he is the Italian Hart – he thinks legality comes first, justice second – and he is possibly right – his example is Oreste’s murder and the institution of justice in Athens – However, that’s because of his Magna Grecia background – Speranza tells me that at Rome, things are different, since it’s all Brutus and the beginning of the republic – ‘il ratto di Lucrezia,’ as he puts it.” -- Fu uno dei più conosciuti rettori dell'Trieste dal 1946 al 1952, per la difesa della quale ricevette la medaglia d'oro della Cultura e dell'Arte, mentre all'Ateneo fu conferita nel 1962 la medaglia d'oro al valor civile.  Biografia Nel corso della sua carriera insegnò filosofia del diritto e altre materie giuridiche nelle Messina, Macerata, Trieste, Napoli e Roma. Allievo di Giovanni Gentile, aderì all'idealismo immanentista. Gli scritti principali di filosofia del diritto sono inseriti, in massima parte, in Formalismo e sapere giuridico, Giuffrè 1963. Buona parte degli scritti riguardanti invece la "questione di Trieste" sono pubblicati in Fra la teoria del diritto e la questione di TriesteScritti inediti e rari, Eut, Trieste 2007.  Fu anche un notevole fotografo, come documentano le due mostre (Trieste 2004 e Gorizia ) a lui dedicate.   Cammarata, Angelo Ermanno, in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. 9 luglio . Opere di Angelo Ermanno Cammarata, . Filosofia Università  Università Filosofo del XX secoloAvvocati italiani del XX secoloInsegnanti italiani Professore1899 1971 Catania RomaFilosofi del diritto. Grice: “Excellent philosopher, comparable with Hart – only not Jewish and thus friendly with the Fascists!” A student of Gentile, more of an idealist than a positivist, but still. Angelo Ermanno Cammarata. Keywords: la giustizia, H. L. A. Hart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cammarata” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51778864306/in/dateposted-public/

 

Grice e Campa – la stoltizia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Presicce). Filosofo. Grice: “You gotta love Campa; he has a gift for unusual metaphors: la fantasmagoria della parola, -- my favourite has to be his conjunct, ‘stupidity and unfaithfulness!’ --  Grice: “Philosophy runs out of names: there are British philosophers G. R. Grice and H. P. Grice, and Itallian philosophers R. Campa, and R. Campa.” Riccardo Campa  Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai cercando il sociologo, vedi Riccardo Campa (sociologo).  Riccardo Campa con il premio Nobel Eugenio Montale (1971) Riccardo Campa (Presicce), filosofo. Storico della filosofia italiano, la cui indagine teorica si è incentrata sulla relazione fra la cultura umanistica e la cultura scientifica, delineando il percorso storico della cultura occidentale, in particolare nell'ambito europeo-latinoamericano.   Negli anni sessanta e settanta ha diretto la Biblioteca delle idee, sotto la presidenza scientifica del premio Nobel Eugenio Montale e contemporaneamente è stato condirettore responsabile del periodico Nuova Antologia, nel quale ha pubblicato saggi di letteratura e filosofia sul pensiero del Novecento; vi ha inoltre tradotto e pubblicato testi di Jorge Luis Borges, George Uscătescu, Vittorio Dan Segre, André Chastel, Walter Kaufmann, Ortega y Gasset.   Riccardo Campa con Jorge Luis Borges a Roma (1983)«Riccardo Campa fue nombrado doctor honoris causa en las ciudades de Atenas y Nueva York, alfa y omega del conocimiento de lo que constituye Occidente [...] Asombra en su obra la recopilacion enciclopedica del pensamiento europeo, cimentada en la razon que la describe.» «Riccardo Campa ha ricevuto dottorati honoris causa nelle città di Atene e New York, l'alfa e l'omega della conoscenza di ciò che costituisce l'Occidente [...] Sorprende nella sua opera la raccolta enciclopedica del pensiero europeo, fondata sulla ragione che lo descrive.»  (Domingo Barbolla Camarero, Prologo, in Riccardo Campa La razon instrumental. El mesianismo nostalgico de la contemporaneidad, Madrid, Editorial Biblioteca Nueva, ) Ha partecipato, a seguito di regolare concorso a livello internazionale, al Forum Europeo di Alpbach, al Collège de France, e all'Universidad Internacional Menéndez Pelayo, e, a partire dal 1973, ha insegnato presso diverse università italiane e straniere (Bologna, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università per stranieri di Siena, Universidad de Morón), tenendo corsi di storia delle dottrine politiche, storia della filosofia,,storia delle Americhe e diritto politico.   Riccardo Campa all'Università per Stranieri di Siena () Dal 1987 al 1991 ha diretto l'Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e successivamente, dal 1991 al 1992, ha coordinato in Italia e nell'America Latina le attività celebrative del V Centenario dell'America , per disposizione del Ministero degli Affari Esteri.. Dal 1993 al 1997 ha svolto le funzioni di Vicepresidente della Commissione Nazionale per la promozione della cultura italiana all'estero (Legge 22.12.1990, n.401). Quale ormai consolidata personalità-ponte fra i due mondi, geograficamente separati ma culturalmente legati dalle comuni radici, dal 1994 svolge le funzioni di Direttore del Centro Studi, Documentazione e Biblioteca dell'Istituto Italo-Latino Americano di Roma. Contemporaneamente è stato Vicedirettore della Società Dante Alighieri. Dal 2002 al 2005 ha presieduto il Forum Internazionale sulla Società Contemporanea di Madeira e, alla scadenza di questo mandato, è stato eletto a Roma presidente della Federazione Internazionale di Studi sull'America Latina e i Caraibi per il biennio 2005-2007.  In questo ambito, con il suo operato, ha garantito l'interscambio delle figure intellettuali più significative fra la cultura latinoamericana e quella europea, favorendone la reciproca conoscenza.  Riceve la nomina di Director Emeritus del Giambattista Vico Chair of Italian Studies en Dowling College, Nueva York nel .  Studioso di diverse discipline: dalla linguistica teorica alla filosofia del linguaggio, dalla filologia all'analisi letteraria alla storia della lingua; dalla filosofia teoretica alla filosofia della scienza, nella gestione della complessa realtà istituzionale, dal 2005 al , ha assunto l'incarico di Direttore del Centro di Eccellenza della Ricerca dell'Siena.  Già Ordinario del S.S.D SPS/2 (Storie delle dottrine politiche) presso la Facoltà di Lingua e Cultura Italiana dell'Università per Stranieri di Siena, l'11 febbraio  gli è stato conferito il titolo di "Professore emerito".  Opere: Appartengono, fra gli altri, alla produzione classica:  Il potere politico nell'America Latina, Edizioni di Comunità, Milano, 1968; Il riformismo rivoluzionario cileno, Marsilio, Padova, 1970; Appunti per una storia del pensiero politico latino-americano, Lugano, Pantarei, 1971; L'universo politico omogeneo, Istituto Editoriale Internazionale, Milano, 1974 Las nuevas herejias, Biblioteca de Estudios Criticos, Madrid, Ediciones Istmo, 1978; La visione e la prassi: profilo di Bolìvar (pref. diPignatti, intr. di R. Medina Elorga, postfaz. di L. C. Camacho Leyva), Istituto Italo Latino-Americano, Roma 1983; A reta e a curvaReflexōes sobre nosso tempo (Riflessioni con Oscar Niemeyer), São Paulo, Max Limonad, 1986; El estupor de EpicuroEnsayo sobre Erwin Schrödinger, Buenos Aires-Madrid, Alianza Editorial, 1988; La emocion: la filosofia de la infidelidad (prol. di R. H. Castagnino), Editorial Sudamericana, Buenos Aires, 1988; La escritura y la etimologia del mundo (con un saggio di Roland Barthes), Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1989; La malinconia di EpicuroRiflessioni in penombra con Jorge Luis Borges, Buenos Aires, Editorial SudamericanaFondazione Internazionale Jorge Luis Borges, 1990; La primeva unità: saggio sulla storia, Le Monnier, Firenze, 1990; La practica del dictamen: del ius a la humanitas, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires, 1990; El sondeo de la apariencia: el libro y la imagen, Gedisa, Buenos Aires, 1991; La trama del tiempo: ensayo sobre Italo Calvino, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires, 1991; L'avventura e la nostalgia: Omaggio al Portogallo, Presidenza dei Consiglio dei Ministri, Roma 1994 La metarrealidad, Buenos Aires, Biblios, 1995; Le daimôn de la persuasion, Toulouse Cedex, Éditions Universitaires du Sud, 1996; The Renaissance and the invention of method, New York, Dowling College, 1998; La metafora dell'irrealtà: saggio su "Le avventure di Pinocchio", M. Pacini Fazzi, Lucca, 1999, L'esilio saggi di letteratura Latinoamericana, Il Mulino, Bologna, 2000; Il sortilegio e la vanità: saggio su Louis-Ferdinand Céline, Welland Ontario, Soleil, 2000; Caratterizzano la produzione più recente:  L'immediatezza e l'estemporaneità, New York, Dowling College PressBinghamton University, 2000; L'età delle ombre, New York, Binghamton University, 2001; Dismisura, Bologna, il Mulino, 2003; Le vestigia di Orfeo. Meditazioni in penombra con Jorge Luis Borges, Bologna, Il Mulino, 2003; A modernidade, Lisboa, Fim de século, 2005; Della comprensioneCompendio di mitografia contemporanea, Bologna, il Mulino, 2005; Ontem. L'elegia del Brasile, Bologna, il Mulino, 2007; Vicinanze abissali. L'approssimazione nell'epoca della scienza, Bologna, il Mulino, 2009; Langage et stratégie de communication, Paris, L'Harmattan, 2009; El Inca Garcilaso de la Vega, Madrid, Binghamton University, Ediciones ClasicasEdiciones del Orto, ; I Trattatisti spagnoli del diritto delle genti, Bologna, Il Mulino, ; La place et la pratique plébiscitaire, Paris, L'Harmattan, ; El sortilegio de la palabra, Madrid, Biblioteca Nueva, ; Elegy. Essays on the Word and the Desert, University Press Of The South, ; L'America Latina. Un profilo, Bologna, Il Mulino, ; La filosofia de la crisis. Epicureismo y Estoicismo, Editorial Sindéresis, Madrid, ; El tiempo de la inedia. El invierno de Gunter, AntropiQa 2.0, Badajoz, ; La eventualidad y la inexorabilidad. El invierno de Gunter, Editorial Sindéresis, Madrid, ; La Destreza y el engano. Ensayo sobre Don Quijote de Miguel de Cervantes Saavedra, Ediciones Clasicas, Madrid, ; L'America Latina. Un compendio, Bologna, Il Mulino, ; Octavio Paz. El desconcierto de la modernidad, Ediciones Clasicas, Madrid, ; La parola, Bologna, Il Mulino, ; Cervantes. La linea del horizonte, Valencia, Albatros, , L'elegia del Nuovo Mondo, Bologna, Il Mulino, . La mundializacion, Valencia, Albatros, . Il convivio linguisttico. Riflessioni sul ruolo dell'italiano nel mondo contemporaneo, Roma, Carocci,  Note  Anno di conseguimento del titolo di Professore.  Dal 1974 al 1987 ne ha diretto l'Istituto Storico-politico della Facoltà di Scienze Politiche.  Con decreto dell'11 febbraio  del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, vi è stato nominato Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche.  Dopo averne curato, dal 2003 al 2005, il XII Congresso Internazionale, designato dall'Accademia delle Scienze di Russia ed eletto dall'Osaka.  Luigi Trenti , Il viaggio delle parole: scritti in onore di Riccardo Campa, Perugia, Guerra Editore, 2008.  978-88-557-0155-6 Antonio Requeni, Nueva vision de la literatura argentina, "Les Andes", 16 settembre 1984, 3° Seccion pag.1. Antonio Requeni, Presencia cultural de Italia en la Argentina, "La Prensa", 18 ottobre 1987, pag.3. Antonio Requeni, Los intelectuales del mundo: hoy, Riccardo Campa: la Argentina, en el laberinto de Borges, "La Nacion", 20 settembre 2006, 1-3. Jesus Francisco Sanchez, Crisis del neocapitalismo podria hacer renacer ideas del socialismo y la izquierda: Ricardo Campa, "El Sol de Durango", 22 ottobre 2008, 6/A Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Riccardo Campa Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Riccardo Campa Filosofia Letteratura  Letteratura Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici della filosofia italiani 1934 21 aprile PresicceProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Campa. Keywords. la stoltizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779728810/in/dateposted-public/

 

Grice e Campa – la rivincita del paganesimo romano – filosofia romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo. Grice: “You gotta love Campa – he is right that ‘artificial species’ is an oxymoron – as is ‘transhuman’ – but his philosophising about the heathens, which is how Nero found the Christians, is very relevant!”  Riccardo Campa (Mantova), filosofo. È conosciuto soprattutto per i suoi studi nel campo dell'etica della scienza e del transumanesimo e, precisamente, per la sua difesa dell'idea di evoluzione autodiretta. Svolge ricerche sia nella veste di Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica all'Università Jagellonica di Cracovia, sia nella veste di Presidente dell'Associazione Italiana Transumanisti, della quale è fondatore.  Si laurea a Bologna. Ha conseguito il titolo di Giornalista professionista presso l'Ordine dei giornalisti di Roma nel 1995, il dottorato in Epistemologia all'Università Nicolaus Copernicus di Torun nel 1999 e l'abilitazione in Sociologia all'Università Jagellonica di Cracovia nel 2009. Nell'ambito della sociologia della scienza, è annoverato tra gli allievi di Robert K. Merton, fondatore di questa disciplina. A differenza di alcuni continuatori della scuola costruttivista, Merton ha sempre mostrato un atteggiamento positivo nei confronti delle scienze, e Campa è rimasto fedele a questa impostazione. A tal proposito, il filosofo argentino-canadese Mario Bunge ha rimarcato il fatto che «Campa è uno degli ultimi esemplari rimasti di una specie in estinzione: lo studioso pro-scienza della comunità scientifica».  I suoi studi hanno ricevuto una certa attenzione da parte dei media dopo che Francis Fukuyama, all'epoca consigliere per la bioetica del presidente statunitense George W. Bush, ha definito il transumanesimo «l'idea più pericolosa del mondo». Secondo Fukuyama il transumanesimo è una nuova forma di biopolitica che, pur essendo liberale e non coercitiva, rischia di minare il concetto di uguaglianza tra gli uomini. Simili posizioni critiche hanno assunto, in Italia, Marcello Veneziani, Giuliano Ferrara, Paolo Rossi, e diversi opinionisti del quotidiano cattolico Avvenire, che hanno criticato le idee di Campa e di altri filosofi e scienziati transumanisti (tra i quali, Nick Bostrom, James Hughes, Gregory Stock, e Max More), stimolando un dibattito ad ampio raggio sulle prospettive aperte dalle nuove tecnologie. Campa ha difeso le idee transumaniste in numerose pubblicazioni, interviste e dibattiti pubblici, apparendo talvolta anche in televisione, e sostenendo che le tecnologie emergenti e convergenti GRIN (un acronimo per Genetica, Robotica, Informatica e Nanotecnologia) non rappresentano un rischio inutile, come lasciano intendere i critici, ma un'opportunità di sviluppo in linea con l'atteggiamento prometeico che caratterizza la storia della civiltà occidentale. Le sue valutazioni, sull'opportunità di allungare la vita media e potenziare le facoltà mentali e fisiche dell'uomo, sono soprattutto di ordine etico e sociale. È autore di numerosi articoli e saggi, tra i quali spiccano sette libri monografici. Il filosofo è nudo (Marszalek) Etica della scienza pura (Sestante Edizioni) Mutare o perire. La sfida del transumanesimo (Sestante Edizioni, ) Le armi robotizzate del futuro. Il problema etico (CEMISS, ) Trattato di filosofia futurista (Avanguardia 21 Edizioni, ) La specie artificiale. Saggio di bioetica evolutiva (D Editore, ) La rivincita del paganesimo. Una teoria della modernità (D Editore, ) Creatori e Creature. Anatomia dei movimenti pro e contro gli OGM (D Editore, ) La società degli automi. Studi sulla disoccupazione tecnologica e sul reddito di cittadinanza (D Editore, ) Credere nel futuro: Il lato mistico del transumanesimo (Orbis Idearum Press, ) È inoltre curatore della serie "Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano".  Note  Cerimonia di abilitazione all'Cracovia  C. Cipolla, Manuale di sociologia della salute, Franco Angeli,  R. Campa, Epistemological Dimensions of Robert K. Merton's Sociology, Copernicus University Press, quarta di copertina.  F. Fukuyama, “Transhumanism: The World's Most Dangerous Idea”, Foreign Policy, La versione italiana è apparsa sul Corriere della Sera con il titolo “Biotecnologie: la fine dell'uomo”, .  M. Veneziani, “Attenti l'uomo è fuori moda. La scienza prepara “l'oltreuomo”, Libero,  G. Ferrara, “Mettere in dubbio il dubbio”, Il Foglio,  Rossi, Speranze, Il Mulino, Bologna  A. Galli, “Nietzsche, profeta dell'eugenetica”, Avvenire,  Rassegna stampa degli articoli pro e contro il transumanesimo.  “Nascita del superuomo”, documentario di RAI 3,  Archiviato l'11 aprile  in .; “Futuro in pillole”, puntata de Le Invasioni Barbariche condotta da Daria Bignardi, LA7, 21 gennaio .;“Musica maestro”, servizio biografico di RAI 1, Sito della rivista Divenire  Giorgia Mazzotti, Il Prof che suonava il rock, Gazzetta di Mantova, 8 gennaio 2008. Roberto Guerra, Futurismo per la nuova umanità, Armando Editore, Roma .  Il transumanismo. Cronaca di una rivoluzione annunciata, Lampi di Stampa, Milano 2008.  Riccardo Campa biografia e  nel sito "transumanisti". Riccardo Campa. Keywords: la rivincita del paganesimo romano, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779057858/in/dateposted-public/

 

Grice e Campailla – filosofia italiana – Luigi Speranza (Modica). Filosofo. Grice: “You have to love Campailla; when I philosophised on ‘be orderly,’ I was drawing from Campailla: “Order is the first – ‘ordinato discorso dell’uomo;’ Campailla flouts the maxim: he allows that a man in ecstasi, in mutual contemplation of beauty, say, may lose the order – Oddly, Campailla dedicates more than a section to, then, ‘del disordinato discorso dell’uomo,’ or men, as we’d prefer!”  Grice: “You’ve gotta love Campailla – I would have preferred he chose the Graeco-Roman mythology, but he chose “Adamo,” and he provides, in verse, all I ever philosophised on – human discourse – discorso umano – on top, he considers ‘amore’ as a ‘passione dell’anima,’ and speaks of ‘self-love’ (amore proprio) and even virility and testicles – a Renaissance man!” Nasce sotto la rupe del Castello dei Conti. Tommaso Campailla, incisione dall'Adamo (Roma-Palermo, 1737) Mostrò le sue migliori doti d'ingegno in età matura, giacché, in gioventù, per la sua gracile costituzione, il padre preferì educarlo in campagna affinché si irrobustisse all'aria aperta, piuttosto che indirizzarlo agli studi. Nel 1684, si trasferì a Catania per studiarvi giurisprudenza, ma l'improvvisa morte del padre, che lo lasciava erede di un discreto patrimonio, lo costrinse a ritornare nella città natale, la sua cara Modica, in cui rimase fino alla morte, senza mai muoversi da essa.  Lì, poté dedicarsi interamente agli amati studi, prevalentemente da autodidatta, coltivando con passione ed abnegazione, fra le tante discipline, l'astronomia, le lettere e la filosofia. Sempre da autodidatta, studiò Aristotele e i classici, per poi dedicarsi alla fisica, forse spinto dall'onda emotiva suscitata dal terribile sisma che, nel 1693, distrusse Modica e tutto il Val di Noto.  Morì per un colpo apoplettico, il 7 febbraio del 1740. Il suo corpo fu sepolto sotto l'altare maggiore del duomo di San Giorgio in Modica, del quale una lapide, deposta alla sinistra dell'ingresso principale, lo ricorda.  Campailla, filosofo e poeta Studioso di Cartesio, che vuole conciliare con la filosofia scolastica, ne applicò i principi alle sue indagini conoscitive, fatte di osservazione ed esperimenti, divenendo, insieme col filosofo trapanese Michelangelo Fardella, uno dei principali divulgatori delle teorie cartesiane in Sicilia.  Poeta raffinato, fu accademico degli Assorditi di Urbino, dei Geniali di Palermo, e della più celebre Accademia degli Arcadi di Roma; restaurò quindi l'Accademia degli Infocati nella sua città natale. Nel 1709 diede alle stampe i primi sei canti (ispirati ai moduli letterari lucreziani) del poema filosofico, in due parti, L'Adamo, ovvero il Mondo Creato, successivamente dedicato, nella sua stesura completa (in venti canti) del 1723, a Carlo VI d'Austria, Imperatore e Re di Sicilia. Il poema, che conobbe una discreta fortuna e che è stato recentemente ristampato, rappresenta una summa delle idee teologiche, cosmologiche, fisiche e filosofiche dell'autore, alla luce del cartesianesimo.  All'inizio del Settecento, la fama del Campailla, tra l'altro in corrispondenza epistolare con importanti personalità fra i quali Ludovico Antonio Muratori (bibliotecario del Duca di Modena), si diffuse anche all'estero, toccando Lipsia, Parigi, Londra, tanto che il filosofo George Berkeley volle conoscerlo personalmente e, poiché il Campailla non si muoveva mai dalla sua città natale (come Kant), nel 1718 fu lo stesso Berkeley a recarsi in Sicilia a trovarlo, informandolo fra l'altro delle nuove teorie newtoniane, le quali verranno poi usate dal Campailla nelle sue successive opere.  Il Muratori si fece intermediario persino per una cattedra all'Padova da assegnargli, invito che venne pure da Londra, ma il suo ostinato rifiuto a viaggiare e lasciare la sua Modica (in ciò, ancora simile a Kant) lo portò a declinare tali prestigiose ed onorevoli proposte. Per lo stesso motivo, invitato ad assistere, il 24 dicembre 1713, all'incoronazione a Re di Sicilia, nella Cattedrale di Palermo, del Duca Vittorio Amedeo II di Savoia, disdisse gentilmente la visita.  Nel 1738, pubblicò, rimanendo però incompiuto, il poema sacro L'Apocalisse di San Paolo, in cui, oltre ad affrontare i temi della grazia e della virtù attiva, fornì pure una personale confutazione delle teorie di Miguel Molinos, fondatore del "Quietismo", un'eresia che aspirava all'unificazione con Dio. Infine, nello stesso periodo, iniziò a scrivere il primo volume di un'opera sistematica intitolata Opuscoli filosofici, di cui uscì solo il primo volume (in dialoghi) intitolato Considerazioni sopra la fisica del signor Isacco Newton (1738), contemporaneamente alla stesura di un trattato, in due volumi, di fisica cartesiana, pubblicato postumo, nel 1841, sotto il titolo Filosofia per principi e cavalieri.  La cura della sifilide con le botti del Campailla Pur non essendo medico di professione, Campailla riuscì tuttavia a promuovere, nella Contea di Modica, gli studi di medicina. Infatti, il suo impegno, quasi umanitario, lo portò a sperimentare, dal 1698 in poi, le sue famose "botti" (dette poi botti del Campailla) per la cura non solo della sifilide (considerata, allora, il male del secolo, e ritenuta dalla Chiesa come un castigo di Dio per i peccati degli uomini), ma anche dei reumatismi e, in genere, di qualunque forma di artrosi.  La "botte", in realtà, è una stufa mercuriale con all'interno uno sgabello, sul quale il paziente veniva fatto sedere, in attesa della cura. Questa consisteva nel versare, in un braciere che si trovava pure all'interno della stufa, la relativa dose di cinabro, da cui, per sublimazione, esalavano dei vapori di mercurio, che erano poi assorbiti dal corpo del paziente in piena sudorazione. La novità introdotta dal Campailla consistette nell'aggiunta di incenso all'interno della botte, in una dose che consentiva, ai vapori sprigionati, di essere più "respirabili" per un certo lasso di tempo, variabile dai 10 ai 20 minuti circa, a seconda dalle condizioni soggettive del paziente.  Il contributo del Campailla consentì pure di modificare la forma della botte, rispetto alle altre già esistenti in Italia ed in Europa, le quali avevano un foro in alto da cui fuoriusciva la testa del paziente che, in tal modo, non poteva respirare i vapori di mercurio medicamentosi. Tuttavia, questi vapori, così esalati, erano curativi solamente per i sifilomi che infestavano la cute, i quali regredivano sì ma senza remissione del morbo (che solo con l'avvento della penicillina, nel '900, si debellerà), con i germi patogeni che continuavano ad agire e moltiplicarsi nel sangue dei soggetti infetti.  Invece, grazie all'innovazione del Campailla, i pazienti, completamente all'interno della botte, potevano ora respirare la miscela di mercurio e incenso, la quale, agendo così in modo sottocutaneo, uccideva i germi diminuendone la carica patogena; spesso, si ottenevano delle guarigioni, a volte anche definitive, che, all'epoca, venivano considerate quasi miracolose. Infatti, un rapporto medico dell'epoca riferisce che  " [...] Dopo la cura mercuriale col metodo Campailla, si può assistere a delle rinascite complete di individui ridotti in condizioni impressionanti di cachessia o con lesioni tali da rendersi impossibile qualsiasi intervento curativo per via percutanea o ipodermica".  I risultati furono talmente soddisfacenti che Modica acquisì notorietà in tutta Europa proprio per le botti del Campailla, ancor oggi esistenti all'interno dell'antico Ospedale di S. Maria della Pietà e visitabili all'interno di un percorso museale appositamente dedicato.  Negli anni a venire, le botti del Campailla furono, ma con scarsi risultati, imitate altrove, sia in Italia che all'estero: ad esempio, nel 1891, sorse a Palermo, per volere del prof. Mannino della locale facoltà di Medicina, un Sanatorio Campailla; agli inizi del '900, fu poi costruita, a Roma, una cosiddetta Botte di Modica; a Milano, ancora negli anni '50, furono costruite botti di vetro sul modello di quelle del Campailla; mentre, a Parigi, furono fondati istituti a imitazione del Sifilocomio Campailla palermitano, per la cura delle malattie reumatiche e nevralgiche.  Teatro La rappresentazione Cygnus, atto unico scritto da Nausica Zocco, prende spunto dalla vita e dalle opere di Tommaso Campailla, ed è stato portato in scena l'8 maggio  a Modica, per la regia di Tiziana Spadaro.  Note  L'esatta data di nascita è riscontrabile, come quella di morte, negli appositi registri dell'Archivio Parrocchiale della Chiesa Madre di San Giorgio in Modica.  Taluni, sulla base di nessuna fonte storica attendibile, hanno diffuso l'infondata notizia secondo cui il Campailla stesso sia stato vittima della sifilide, contrariamente al fatto che lo studioso modicano costruì comunque le sue botti, per il trattamento di questa infezione, nel 1698, quando aveva solo 30 anni, ma morì a 72 anni, età veneranda e considerevole, per quei tempi, in cui la vita media di un individuo di sesso maschile era di 55-58 anni, per non tener conto poi del fatto che, nel Settecento (e così, fino all'avvento degli antibiotici nel Novecento), un sifilitico aveva comunque delle bassissime aspettative di vita dopo il manifestarsi della malattia, dell'ordine di pochissimi anni. Ad ogni modo, le botti del Campailla raccolsero, per molti decenni, un gran numero di pareri positivi a favore di un loro benefico influsso contro il morbo.  Tommaso Campailla, "L'Adamo" ovvero "Il mondo creato" poema filosofico , Volume unico, Messina, Michele Chiaramonte e Antonino Provenzano, 1728. //treccani/enciclopedia/tommaso-campailla/  Cfr. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Tipografia Lorenzo Dato, Palermo, 1824,  I, Capo III.  Tratto dalla Rassegna di Clinica, Terapia e Scienze Affini, Anno XXVIII, Fascicolo IV.  Secondio Sinesio, Vita del celebre filosofo, e poeta Signor D. Tommaso Campailla, Patrizio modicano, Siracusa, 1783; ristampa Modica, 2005. Valentino Guccione , Tommaso Campailla ed il suo museo in Modica, Leggio & Diquattro, Ragusa, 1992. Carmelo Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note Domenico D'Orsi, CEDAM, Padova, 1999. Giovanni Criscione, Tommaso Campailla. Un poeta e filosofo modicano, Idealprint, Modica, 2000. Valentino Guccione, Tommaso Campailla, il suo museo, la scuola medica modicana, Comune di Modica, Modica, 2001.  Tommaso Campailla e la Scuola Medica Modicana, Ed. IngegniCulturaModica, Modica, . Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Tommaso Campailla Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tommaso Campailla  Tommaso Campailla, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tommaso Campailla, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Tommaso Campailla, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Sotto il titolo “Disordinato discorso dell’uomo” sono raccolti due saggi pioneristici del filosofo modicano sul ruolo della mente nei sogni, nel delirio, nell’estasi e nella follia. L'estasi (dal greco ἔκστασις, composto di ἐκ o ἐξ + στάσις, ex-stasis,[1] «essere fuori») è uno stato psichico di sospensione ed elevazione mistica della mente, che viene percepita a volte come estraniata dal corpo: da qui la sua etimologia, a indicare un «uscire fuori di sé».  Nonostante la diversità delle religioni, culture e popoli in cui l'estasi è stata sperimentata, le descrizioni circa il modo in cui essa viene raggiunta risultano straordinariamente simili. Si afferma di provare in questi momenti una sorta di annullamento di sé, e di identificazione con Dio o con l'"Anima del mondo".[2]   Indice 1Descrizione ed effetti 2Manifestazioni dell'estasi nell'antichità 2.1Il corteo dionisiaco 2.2L'estasi oracolare 2.2.1Figure oracolari 3L'estasi nelle filosofie orientali 4L'estasi in Plotino 5L'estasi cristiana 6L'estasi paradisiaca in Dante 7Il Rinascimento 8L'Ottocento e il Romanticismo 9Note 10Bibliografia 11Voci correlate 12Altri progetti 13Collegamenti esterni Descrizione ed effetti Psichicamente è caratterizzata dalla cessazione di ogni attività da parte dell'emisfero cerebrale sinistro (noto anche come emisfero dominante o della "razionalità discorsiva"), consentendo così all'emisfero destro (quello recessivo o passivo, detto anche "emotivo") di attivarsi. È uno stato di estrema concentrazione simile per certi versi all'ipnosi, quando ad esempio la mente rimane attonita nel fissare un punto o un oggetto, dimentica di ogni altro pensiero. Generalmente produce uno stato di notevole beatitudine e benessere interiore.[3]  Manifestazioni dell'estasi nell'antichità Una simile condizione mentale era nota sin dall'antichità ed era considerata manifestazione diretta della divinità.[4]  Il corteo dionisiaco Nell'antica Grecia erano famose le menadi (o Baccanti), donne greche che partecipavano a riti non ufficiali. Si trattava di culti misterici e iniziatici che si svolgevano al di fuori delle mura della città ed erano aperti agli emarginati della società, quali appunto le donne, gli schiavi e i meteci. I protagonisti di questi culti (detti anche Misteri, connessi sia ai riti dionisiaci che a quelli orfici sorti intorno al VII secolo a.C.), presi in uno stato di trance o estasi ballavano sfrenatamente e uccidevano a mani nude degli animali.[5] Si trattava di elementi legati all'aspetto esoterico della religione greca, che convivevano sotterraneamente con l'exoterismo della religiosità tradizionale.[6]  L'estasi oracolare L'estasi era ciò che rendeva possibili gli Oracoli, essendo vissuta come momento di tramite fra la dimensione terrena e quella ultramondana. A volte lo stato di estasi veniva raggiunto artificialmente mediante l'uso di sostanze psicotrope; la persona coinvolta era portata così a compiere gesti o azioni insoliti.[7]  Figure oracolari Figure emblematiche e famose per le loro estasi collegate al dono della profezia erano le Sibille, donne laiche che gravitavano presso un tempio di Apollo proprio per la loro capacità di connettersi col divino, che proferivano i loro responsi restando nell'ombra, non mostrandosi facilmente agli umani che le avessero consultate ed interrogate; oppure poi la Pizia vera e propria sacerdotessa di Apollo che dimorava nel famoso santuario apollineo di Delfi, la quale si mostrava ai fedeli e proferiva gli oracoli dopo appositi riti e sacrifici. La Pizia raggiungeva uno stato di estasi indotto dai vapori inebrianti che uscivano da una spaccatura del suolo, durante il quale proferiva gli oracoli.[8] In Magna Grecia era invece famosa la Sibilla di Cuma, antica città greca situata nei Campi Flegrei. I responsi delle Sibille tuttavia erano spesso oscuri e non facilmente interpretabili, venendo compresi ora in un senso, ora in un altro.[9]  L'estasi nelle filosofie orientali Nelle religioni asiatiche, come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo, l'estasi è il momento sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno sviluppo delle potenzialità e delle qualità naturali presenti nell'individuo.[10] Questo stato è anche chiamato onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della persona si fonde con il macrocosmo dell'universo.[11]  Diventa così possibile una condizione di nirvana, alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza della propria energia.[12]  L'estasi in Plotino Secondo Plotino (filosofo ellenistico neoplatonico del III secolo d.C.), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione da Dio: essa è un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale, desiderando ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non possedendolo, ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad ogni pretesa di oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della razionalità, ovvero negando se stesso.[13] Tramite un severo percorso di ascesi, che si serve del metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni, la ragione riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo soggetto/oggetto e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia un semplice panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente un percorso in salita verso la trascendenza.[14]   Il circolo nella filosofia di Plotino: dalla processione all'anima umana, e dalla contemplazione all'estasi.[15] Essendo l'Uno non descrivibile, perché descriverlo significherebbe sdoppiarlo in un soggetto descrivente e un oggetto descritto (e quindi non sarebbe più Uno, ma due), anche l'estasi è di conseguenza uno stato psichico non descrivibile a parole, dato che l'estasi è la condizione stessa dell'Uno che si auto-contempla. Intuirla è possibile solo per via di negazione: tramite il suo contrario, prendendo coscienza di ciò che l'Uno non è, cioè del molteplice. L'Uno stesso, in quanto autocoscienza del pensiero, per intuirsi deve pertanto uscire fuori di sé, diventando molteplice. L'estasi è appunto l'atto con cui l'Uno genera il molteplice: essa è un cogliere tutt'insieme l'uno e i molti, in un circolo che dalla processione ritorna alla contemplazione.[15] Cusano, teologo cristiano del Quattrocento, dirà in maniera simile che l'universo è l'esplicatio dell'Essere, ovvero il fuoriuscire di sé da parte di Dio.  A differenza del Cristianesimo però, secondo Plotino l'estasi non è un dono della divinità, ma una possibilità naturale dell'anima. Essa tuttavia si manifesta non per una propria volontà deliberata, ma da sé, in un momento fuori della portata del tempo. Plotino stesso raggiunse l'estasi solo tre o quattro volte nella sua esistenza. Viverla è infatti dato a pochissimi, in rari momenti della loro vita. L'estasi inoltre non serve ad uno scopo pratico; essendo contemplazione fine a se stessa, in questo mondo non c'è nulla di più inutile.[16] È solo nell'estasi però che l'essere umano ha la rivelazione della sua condizione più vera e autentica. Per il resto la via indicata da Plotino verso la saggezza consisteva in una vita retta, oppure nella ricerca di espressioni artistiche come la musica.  L'estasi cristiana  Santa Teresa d'Avila La filosofia plotiniana diede quindi avvio a una lunga tradizione neoplatonica, che concepiva l'universo animato da un eros o tensione amorosa mirante a ricongiungersi a Dio tramite l'estasi. La teologia di Plotino fu ripresa in particolare da quella cristiana, e rivisitata però alla luce dell'aspetto personale della Trinità. L'estasi venne intesa in un senso più ampio: per il cristianesimo essa non è più soltanto una contemplazione fine a se stessa, ma è funzionale all'azione; deve tendere cioè non solo verso Dio, ma anche verso il mondo.[17] Tale mutamento di prospettiva venne introdotto affiancando all'amore greco di tipo ascensivo, corrispondente al concetto di eros, un amore discensivo corrispondente al concetto evangelico di àgape.[18] L'esperienza estatica cristiana consiste così in una comunione, una sorta di abbraccio col mondo e l'umanità in esso dispersa con lo scopo di alleviarne le sofferenze e ricongiungerla al Padre.  Essa avviene tramite un'illuminazione operata direttamente da Dio. Questi fuoriesce nel mondo non per un atto involontario (com'era nel plotinismo), ma perché ama le sue creature. Identificarsi con la sua estasi divina è, secondo Agostino, la meta naturale della ragione umana, la quale può riuscirci non per una deliberata volontà individuale, ma per una rivelazione da parte di Dio stesso che si rende presente alla nostra mente; l'estasi è dunque essenzialmente un dono, reso possibile per intercessione dello Spirito Santo, grazie a cui l'essere umano trascende i propri limiti e si rende strumento di Dio nel mondo.[19] A differenza di altre religioni la persona coinvolta non perde comunque la propria individualità, pur compenetrandosi in Lui.[20]  Per i mistici medioevali, come San Bernardo,[21] o i neoplatonici tedeschi come Meister Eckhart, l'estasi è una visione beatifica che avviene quando l'anima è rapita in Dio, e l'essere si annulla in un Pensiero senza più limiti né contenuto: Dio infatti non può essere oggettivato, perché non è oggetto, ma Soggetto. Si tratta di una comunione mistica accesa da un fuoco d'amore, un'esperienza di beatitudine suprema simile a quelle che saranno riferite in seguito anche da Santa Teresa d'Avila,[22] figura di riferimento della Controriforma. Un'altra testimonianza sull'estasi in tal senso è quella medioevale del beato Jacopone da Todi nella lauda O iubelo de core.  L'estasi paradisiaca in Dante Nel Trecento Dante Alighieri, nel Paradiso della Divina Commedia, di fronte alla visione beatifica di Dio, negli ultimi versi della cantica prova così a descrivere l'estasi, conscio della sua ineffabilità, dell'impossibilità di riferirla a parole in maniera oggettiva:   Dante contempla l'Empireo, incisione colorata dell'originale di Gustave Doré «Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova;  ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne.  A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa,  l'amor che move il sole e l'altre stelle.[23]»  (Paradiso, canto XXXIII, vv. 133-145) Il Rinascimento Il desiderio di estasiarsi godette quindi di una notevole fortuna durante il Rinascimento.[24] Al di là del significato religioso l'estasi assunse allora principalmente una valenza artistica o estetica. Il bello era visto sia dai filosofi rinascimentali che dagli idealisti romantici come la via privilegiata per ricongiungersi a Dio.[25] Nel Cinquecento Giordano Bruno paragonò l'estasi a un eroico furore: non un'attività pacifica che spegnesse i sensi e la memoria, ma al contrario li acuisse, simile a un impeto razionale.[26]  L'Ottocento e il Romanticismo A una rivalutazione dell'estasi nell'Ottocento contribuirono sia la Critica del giudizio di Kant, sia l'idealismo di Fichte e Schelling.[27] Kant vedeva nel giudizio estetico un sentimento universale di partecipazione con l'Assoluto, nel quale la ragione non è più vincolata da un'attività conoscitiva soggetta alla necessità delle relazioni causa-effetto, ma è libera nel formulare i propri legami associativi. Per Fichte l'estasi è intuizione intellettuale, l'atto immediato con cui l'Io, nel diventare autocosciente, può intuire se stesso solo in rapporto a un non-io; così nel porre se stesso l'Io pone al contempo anche il molteplice al di fuori di sé.[28] Parimenti Schelling vedeva nell'estasi un'attività infinita con cui Dio crea il mondo. L'uomo può riviverla nell'estasi artistica, che è la manifestazione più tangibile dell'Assoluto, nel quale l'aspetto attivo e passivo, il lato conscio e quello inconscio della mente, non sono più in conflitto tra loro, ma si fondono in una sintesi armonica di comunione cosmica con la Natura.[29]  Note ^ Paolo Mantegazza, Le estasi umane (1887), Marzocco, Firenze 1939, pag. 5. ^ La Civiltà Cattolica, p. 321, Legislative Reference Bureau, anno 80°, vol. II, Roma 1929. ^ Enciclopedia Treccani alla voce «estasi», di Marco Margnelli e Enrico Comba, 1999. ^ Paola Giovetti, Dizionario del mistero, p. 161, Mediterranee, 1995. ^ Atlante illustrato della mitologia del mondo, p. 304, Giunti Editore, 2002. ^ U. Bianchi, A. Motte e AA.VV., Trattato di antropologia del sacro, Jaca Book, Milano 1992. ^ Diana Tedoldi, L'Albero della musica: tamburo, stati altri di coscienza, p. 66, Anima Srl, 2014. ^ Walter Burkert, La religione greca di epoca arcaica e classica, p. 245, Jaca Book, 2003. ^ Rocco Messina, Riflessioni e verità, vol. II, p. 2, Edizioni del Faro, 2015. ^ Aa.vv., Dizionario della Sapienza Orientale: Buddhismo, Induismo, Taoismo, Zen, p. 433, Mediterranee, 1991. ^ Jack Kerouac, Il libro del risveglio, p. 33, a cura di T. Pincio, Mondadori, 2010. ^ Julius Evola, Oriente e Occidente, p. 100, Mediterranee, 2001. ^ «La scienza è ragione discorsiva e questa è molteplicità: perciò, una volta caduta nel numero e nella molteplicità, essa perde l'Uno. È necessario dunque trascendere la scienza e non allontanarsi mai dal nostro essere unitario, ma abbandonare la scienza. [...] Perciò si dice che Egli è ineffabile e indescivibile» (Plotino, Enneadi, VI, 9, 4, traduzione di G. Faggin). ^ Giuseppe Faggin, in La presenza divina, pag. 23, D'Anna editrice, Messina-Firenze 1971.  Emanuele Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo, pp. 253-271, Il circolo nella filosofia di Plotino, Milano, Rizzoli, 1996. ^ G. Faggin, op. cit., pag. 25. ^ Giuseppe Mazza, La liminalità come dinamica di passaggio: la rivelazione come struttura osmotico-performativa dell'"inter-esse" trinitario, p. 556, Gregorian Biblical BookShop, 2005. ^ Sulla differenza terminologica tra agape ed eros, cfr. E. Stauffer, Agapao, in G. Kittel-G. 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Autobiografia, XXIX, 13). ^ Nella descrizione di Dante si tratta di quella condizione paradossale di «estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un potenziamento di sé» (T. Di Salvo, Paradiso, Zanichelli, 1988, p. 622). ^ Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura: da Giorgione a Magritte, p. 432, Pearson Italia S.p.a., 2003. ^ «Una delle qualità necessarie al sapiente, cioè a colui che intende spingere l'ascesi conoscitiva fino all'estasi e all'indiamento (farsi Dio), è un livello erocio di amore per la bellezza, un furore divino nella terminologia di Ficino» (Ubaldo Nicola, Atlante illustrato di filosofia, p. 238, Giunti Editore, 1999). ^ Ubaldo Nicola, Atlante illustrato, ivi. ^ Alessio Dal Pozzolo, La fede tra estetica, etica ed estatica, p. 64, Gregorian Biblical BookShop, 2011. ^ S. Mati Novalis, Del poeta regno sia il mondo. Attraversamenti negli appunti filosofici, p. 81, Pendragon, 2005. ^ Antonello Franco, Essere e senso: filosofia, religione, ermeneutica, p. 170, Guida Editori, 2005. Cfr. anche Luigi Pareyson, Lo stupore della ragione in Schelling, in AA.VV., Romanticismo, esistenzialismo, ontologia della libertà, Mursia, Milano 1979. Bibliografia Carlo Landini, Psicologia dell'estasi, Franco Angeli, Milano 1983 Ioan Petru Culianu, Esperienze dell'estasi dall'ellenismo al Medioevo, Laterza, Bari 1986 Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi, ed. Mediterranee, 1995 Luigi Razzano, L'estasi del bello nella sofiologia di S. N. Bulgakov, Città Nuova, 2006 ISBN 8831133594 G. Merlin, F. Vettori, Un'estetica estatica, edizioni Cleup, Padova 2007 ISBN 978-88-6129-079-2 Voci correlate Beatitudine Esperienza extracorporea Illuminazione (Buddhismo) Illuminazione (cristianesimo) Indiamento Misticismo Sofianismo Trance (psicologia) Transverberazione Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sull'estasi Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «estasi» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sull'estasi Collegamenti esterni (EN) Estasi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata V · D · M Stati di coscienza Controllo di autoritàThesaurus BNCF 32810 · LCCN (EN) sh85040886 · BNF (FR) cb11934577d (data) Filosofia Portale Filosofia Psicologia Portale Psicologia Religione Portale Religione Categorie: Concetti e principi filosoficiEmozioni e sentimentiFilosofia della menteMisticaTeologia  SOMMARIO 226 . DEL CANTO DECIMOTTAVO. IL DISCORSO UMANO. A 28. 37. Comie ſi genera. 38. Nima Ragionevole , come di Anima , come sà, che, fuor del ſuo ſcorre nel Corpo Organico. St.1. Corpofieno , altre Coſe Corporee.27. Obbietti Senſibili terminan le Idee Per le Idee degli Obbietti,nel Senſo nel Senſo Comune. St. 2 . Comune rappreſentatele. Corpi Striati , e loro ſtruttura, 3. Cometalora s'inganna. 29. Fornice, e ſua teſtura . 4. Delirio nell'Ubriachezza. 31 . Setto Lucido, e ſua fabrica . 5. Vino or fà dormire ,or vegliare. 32. Corpo Calloſo, e ſua anatomia . 6. Come alle volte porta il ſonno. 33 Senſo Comune ne 'Corpi Striati. 7. Come talora induce vigilia. 34. Da quali paſſano tutti gli Spiriti Ubriaco, perche Delira. 35. Motivi , e i Senſitivi. 8. Mania , eſuo Delirio. Anima,in quanto ſente,riſiede ne’ Corpi Striati. 9. Siſpiega in particolare. 40. Fantaſia ſi eſercita nel Fornice. Io. Morficati dal Can rabbioſo , e lor Memoria riſiede nel CorpoCallofo.1.1 . Delirio. 43 . Imaginativa, come ſérve al Di Come prendon proprietà Canine. 44. ſcorrere. 12. E credono , eller Cani. 45. Facoltà Motiva ,coni'è eccitata. 13. Core procede tal Trasformazione.46. lilee Senſibili,coine ſi formano,e 's' Delirio Febrile , ò Frene fiu . 48. imprimono nel Cerebro. 14. Come faffi. 49. Spiriti Animali, fimilialla Luce.15. Come ſi dà Febre ſenza Delirio , e Paragone fra queſta, e quelli. 16 . Delirio ſenza Febre. Spiriti Animali , comeformano le Cerebro deſtinato agli uficj Anima Idee. 17 . li , e il Cerebello à i Vitali. FI. Idee non ſono, che una pittura, in Anatomia del Cerebello. protata nelle pieghe del Cerebro.19. Nervi, che naſcono dalCerebello. 53 . Sterienza. · 20. La Mente non bà dominio ſul Cea Idee, come laſciano la loro inpronta rebello . 54. nuel Corpo Calloſo. 22. Comunicazioni fra il Cerebro , e il inima, come ſi rigorda. 24. Cerebello ſcambievoli. 55. Guajti gli organi del Diſcorrere , Impreſſioni del Cerebro,come ſi par iguafla il Diſcorſo Umano. 26. tecipano al Cerebello , e quelle 50. 52. del 227 84. del Cerebello al Cerebro. 58. Come ſi genera . 79. Agitazione Febrile, cagionata al Delirio dellº Incubo, come ſi forma.81 . Cerebello, partecipanıloj al Ce Maliæconia Ipocondriaca. rebro, induce il Delirio. 59. SueCagioniantecedenti. 85. Non comunicandoſi , no’l produce.62. Suoi triſti effetti. 86. Delirio de ' Sognanti. 63. Come induce ilDelirj. 89. Sonno, come ſi fa . 64. Per gli efluvj degli Umori, corrotti Cbefia 68. nelle Viſcere, 90 . Sogni, come ſi formano. 69. | Rimedj, che riducono allo ſtato di Sogni, perchè ſi formano,à miſura Sanità gli Organi , guariſcono, degli Appetiti , e delle Paffioni dal Delirio. 91 . attuali , 74. Diſcorſo depravato per erroriLoa Incubo . 77. gici, e ſuoi rimedja IXIETAS2140S147 Μ Α Ν Ω. ARGOMENTO. 27482 A82FATIRAF ETAFARAYAX 2X1% XKAYARANJE D E l'ordinato pria Diſcorſo Umano Dichiara la Meccanica ragione il dotto Serafin , poi de l’ Inſano Le falſe Idee , l Opere prave eſpone : Qual ne i Senni , anche Savj , il ſogno vana Le incongrue fantaſie finge , e compone ; Qual la Ragion prevarica , e travia L ' Ipocondriaca , à l' Uom , Malinconia . STATE 24789273173727WTAYARAN485 27382838485 484 1 sãto, 2 . CANTO DECIMOTTAVO . 4. Su queſte Midollar due fondamenta Del Corpo inilerabile , c mortale La propria mole anteriore appoggia Compreſo lò dal tuo dir, cô doglia,e pianto , Il Fornice , che il Cerebro ſoftenta , Lo ſtato lagrimevole , e fatale , Ed in Corpo Calloſo ad alto poggia. Seguì à parlar , per conſolarmialquanto, Sul Midollo allungato ei , dietro, afſenta De l'Anima si nobile , c Immortale ; Due pic poſterior , di Volta in foggia : Coin'ella , in queſta fua Corporca mole, Del Palagio cosi de l'Alma intero Intende , idea , membra , diſcorre , e vuole. L'uno , e l'altro loftien doppio Emisfero . 5 E il Serafin : Dopo che invia l'Obbietto Mà del Fornice al tetto interiore, Il Carattere fuo nel Sento eſterno , Qual Zona , un Setto lucido li appende ; Per il canal de Nervi , ei và diretto Che , in mezo , da la parte anteriore, Sè ad improntar nel comun Senfo interno . A la poſterior , curvo , diſcende . Queſto è il luogo del Cerebro , ch'eletto A i lati fuoi , con ſempre ugual tcnore E de moti ſenſibili al governo. Di quà , di là ſerie di ſtrie , ſi ſtende , Qual van le linee al centro , in lui convienli, Che tutte in lui riguardano egualmente , Ch’entrin tutte le Idee de gli altri Senſi . Il qual, di Vetro in guiſa , è traſparente . 3 . 6. Pria,che il Cervello i ſuoi due faſci accoppi L'ampio Corpo Calloſo è ſovrapoſto In Midollo allungato , e poi Spinale, Al Fornice, e sù quel li ammaſſa , e annette , Da quai ſpuntano pofcia , ad ordin doppi E con ordin mirabile è compoſto Tutti i Nervi del Senſo univerſale , D'inteſti filamenti à retinette, Di Cannei Midollar compon due groppi , Di cui l'immenſo numero diſpoſto Conici , e curvi , in forma lunga ovale In fuperficie vien piane perfette, Che , perchè ſono à lunghe ſtrie ſolcati , Molli così , che ammettono , à l'azzione ' i detti laran Corpi ftriati. De gli Spirti , ogni minima impreffione. Entso CANTO DECIMOTTAVO , 229 8. 7 . 13 . Entro de i Midollar Corpi Striati , E de gli eſterni Obbietti lor là dove La reſidenza il Comun Senſo ottiene , Hà la Malizia , d la Bontà compreſa , C'hà de le proprie Glandole irrigati I principj de i Nervi apre, e vi piove Le cavità , di Spiriti ripiene, Copia di Spirti, ove ella vuole, inteſa : Atti ad eſſere impreſli , e conformati I Muſcoli ritira, e i membri move In ogni Idea ,che a lor da i Senſi viene, Al'ampleſſo, à la fuga, à la difeſa; Azili , e fnelli , à figlirarſi eſpoſti E quando poi di quei reſta ſicura D'infiniti , in cui fian , modi , diſpoſti. Più Spiriti non manda , e i Nervi ottura 14. I Nervi in lor degli Organi Senſori Spiegami meglio (aggiūge Adam )traslata, Tutti invian de gli Spiriti i refulli : Come i'ldea nel Comun Senſo ha forma: E quei , da lor , de gli Orgeni Motori Come dal Settolucido paſſata , Spontanei tutti han degli Spirti i fluſſi : Entro il Corpo Calloſo imprime l'orma : Cid, che vien dentro ammeſio , ch'eſce fuori E come poi , che in quel reſta improntata, Di Senſitivi , o di Motivi in Auſli , Entro la Fantafia la Copia forma, Del Cerebro , ove l'Alma à regnar ſtarfi, Simile a quella Idea , che pria l'affiſſe: Per queſta regia Via, convien, che palli Cosi ei richiede : E così Quei gli diffe 9. 15. In queſti l'Alma Umana, in quanto ſente , Benchè vario fra loro il naſcimento Corpi Striati aſſiſte , e ognor riſiede : Han la Luce , e gli Spiriti Aninali : Quilegata, à gli Spirti intimamente , Che quella dal ſottil Primo Elemento, La sè, incorporea , à i Corpi aggir concede : Queſti portan dal Terzo i lor natali, Qui l'occhio Spirital ſempr’hàprefente : Ne la velocità , nel movimento , Qui tocca , guſta, odora, afcolta, e vede : Nel Terbar riflettendo angoli eguali Qul le potenze Senſitive hà immote, De l'incidenza à l'angolo, ſembianti Qui non ſentir ciò, che s'idea,non puote . Fra lor ſon inolto , c in eſſere rifranti. 16 . La Fantaſia, del Fornice nel Setto Tra gli ſpazi de GloboliCeleſti Lucido, fuole eſercitarli , cui Ruota in centro la Luce, à vorticetti : Come pervio , e diafano perfetto Girano in centro ancor mobili queſti Per ogni parte han via gli Spirti ſui , Sottilmente formatl in Globoletti : Qui le Idee rappreſentano l'aſpetto , Son de la Luce i Corpi agili, e preſti, Che dal Senſo Comun paſſano in lui : Atti à modificarli in vari aſpetti ; Le mira in queſto Specchio, e le contempla Queſti da Corpi,onde ſon mai rifelli , L'Alma, e in sè Spirital l'Idee n'eſempla . Tornano poi modificati anch'eſſi. 17 . La Idea, dal Setto lucido, leggiera Quale il Lume de i Corpi, onde riflette Entro il Corpo Calloſo alfin trapaſſa , Ovunque dirizzarſi abbia permeſſo, E ne le tele ſue l'Iminago intera, Di quei le colorate Immagginette Imprime , e il ſuo Carattere vi laffa . Modificate al par porta in sè ſteſſo : S'impronta in lor , come Sugello in cera , Ne gli ſpirti de l'Ottiche fibrette Nè per tempo sì facile fi caffa . Quelle dipinge , entro de l'Occhio ammeſlo: Altre Idee in altre fibre impreffe poi Laſciando in quegli Spiriti i modelli Serbano à la Memoria i teſor fuoi. Che ne la fuperficie ebb’ei di quelli . 12 . 18 . Se diſcorrer talor la Mente hà brame Tal gli Spirti Senſor modificati Sù quelle Idee , che il Comun Senſo invia Da gli obbietti, onde füro indietro ſpinti ; Uop'è , che le trafcorſe Idee richiame Nel Comun Senſo portano traslati , Dala Mémoria à la fua Fantaſia . Quegl'Idoletti Mobili diſtinti, Ponle nel Setto lucido ad elame, Che nela Fantafia rapprefentati, Le rigette, o le approva , odia, ò defia , Ne la Memoria alfin reftan dipinti, A miſura, che trae da loro effenze Con quello ſteſſo colorato aſpetto , Utili , a infaufte à sè le conſeguenze . Che in ſuperficie å vea l'efferno Obbietto . L'Adamo del CampaiHas Mmm L'ldos ro . II . 230 IL DISCORSO UMANO : 20. 19 . L'idea, che ne le fibre interiori In queſta forma, Adam , l'Umana Mente ; Del Caitofo Midol poi fi figura , Mêtre informa il ſuo Corpo,e leſuc Membra) Per mezo de'caratteri impreſſori Da i fantaſmi di quello è dipendente: Non è, ch'una verilima pittura , Con queſti ſente , immagina , e rimembra : Per via dipinca in lor , non di colori, Mà in sè diſcorre , e vuol liberardente, Mà per mutazion de la teſtura, E ciò clegge , che buon , che bel le ſembra : Chenegli Spiīti !!! tal rifleſſo induce, Pur , de gli Enti Corporei , uop'e , che penſi, Quale iColor riñettono la Luce. Per via d'Idee material di Senſi. 26 . Non ſono i Color tutti altro in sè ſterfi, Mà perd , che del Corpo i Morbi fono Che ſuperficie , tal.configurata , Per l'intima union, Morbi de l'Alma , Sù cui rifranti i raggi , e infiem rifleſſi, Perdendo il Corpo il natural ſuo tuono , Han si la rifleſſion modificata , Se inferma è mai la fua Corporea Calma , Che imprimono ne l'Occhio i color Ateli . La Mente , che nel Cerebro ha il ſuo trono Con cui la ſuperficie è colorata : Tra gli Spirti animai non reſta in calma ; Cosi Criſtal diafano hà coſtume Perchè di lor difregolato il corſo , Sol culorir per Refrazzione , il Lume. La perturbata Idea turba il Diſcorſo. 21 . 27., Si diffé il Serafino , e tenue Stile Che ſien fuori de l'Anima in Natura Che di piun colore affatto intinſe , Corpi reali , e fisici , eſiſtenti, Sù quella , che il veſtia , tela ſottile La Mente entro il ſuo carcere procura Scolpi la fuperficie , e la dipinfe , Da i canvelli ſcoprir de'Sentimenti, E à colorata Immagine fimile , Sol per mezo de'Senſi ella è ſicura , Immago in lei, fenza color, diſinfc, Che fieno quelli al Corpo ſuo preſenti. Che in quel fcolpito Lin con par tenora Nel Comun Senfo , à l'obbiettiva effenza, Il Lume riticttea , qual fa il Colore. De le coſe attual så l'Efiſtenza . 28. Cosi ( poi fegue à dir ) la ſola azzione. Sc al Comun Senſo fuo fi rappreſenta De lo Spirto animal rr odifica to, Idea , che altronde ella avvenir ti avvcda, Få nel Corpo calloſo impreſione, L'Obbietto, far non può, che allor non ſenta , Con renderlo, in riflettervi', improntato. E ſentirlo non può , che non lo creda. Tanto , ver'fua natia coſtituzione , Così à l'Occhio ſe alcun ti ſi preſenta , E' quel Midollo tenero formato Tu già mai far potrai , che non lo veda : A''Idea Spiritofa in lei rifleffa Così se ne lo Specchio Immigo eſpreſſa , Ccde la superficie , e reſta impreſa. Noncrederla non puoi da Obbietto impreſa. ?? 29. De l'Occhio in modo tal sù la Retina, Or qualvolta à la Mente Idea ſi porta Che ancor 'efla Soſtanza è Midollare , Entro il Senſo Comun per altra via , Se talun filo 1 riguardar ſi oſtina Che per la regia , ed ordinata porta , Illuminofo in Ciel Corpo Solarc, Onde al Senſo Comun l'Idea s'invia , Per molto tempo,ancor, che il guardo inchina, Mà lo Spirto retrograda la porta Del Sol P'linmago lucida gli appare; Da la Memoria , • da la Fantasia, Elabbagliato acume ovunque gira , Per la ſtrada de'Senfi allor la crede Quell'infocato lampo ognor rimira . Da Obbietto eſterno impreſa, e le dà fede. 24. 30. Mà fe di ricordarti unqua defia E Fede tal , che giudica , e diſcorre , La Mente poi di un traſandato Obbietto , Qual ſe agiffe , nel senſo eſterno Obbietto ; Al Calloſo Midot , placido , invia E a miſura ingannata amalo, dabborre , Di Spiriti animali un rivoletto, Cheprova in sè ſvegliar gioja , è diſpetto ; Che in quell'Idea incontrandoſi per via, Agita i membri , e à un operar traſcorre Torna modificato in Idoletto : Corriſpondente à l'eccitato affetto : Dal Tipo Midollar la forina prende , Depravato cosi delira infano E de l'antica Idea ( imil ſi rende. Per morboſa cagion Diſcorſo Umano . A tur CANTO CECIMOTTAVO 238 37 . 32. 312 A turbar giunge un Senno , anche prudente, Per fimile cagion , ſe non la ſteſſa , De l'afforbito Vin le copia enorme : Mania provien , d'onde Ebrietà provenne Che l'eſaltato Spirito la Mente , Perchè la delirante Ebrezza eſpreſſa Or forza à delirar con vane forme, Di breve tempo è una Mania ſolenne, Or gli Spirti gli ottenebra talmente , E la Mania , nel Senno Umano impreffa , Che n'è ſopito ogni fuo Senſo , e dorme . Di lungo tempo è un'Ebrietà perenne, In diverſi Soggetti hà varj eventi , Furiola Mania , cui fon ſoggetti Ch'or furiofi rende , or fonnolenti. Gli acuti più talor favj Intelletti. 38. Il come ad indagar , contrari , vate, Il Sangue de Maniàci è con ecceffo Effetti à partorir ne gli Ebri il Vino , Tal di Sulfurei ſpiriti impregnato Rifletci , che nel latice vitale Che col reſpir per i Polmoni in eſſo Del Sangue è un doppio fpirito falino : Il Nitro aereo ſpirto infinuato, L'un ,che diſciolto entro il fuo Siero è un Sale Spira nel vicendevole congreſſo Urinoſo volatile Alcalino : Indomitaura , ed alito sfrenato , L'altro dentro del Sangue infinuato , Ch'eſalta in movimenti univerfali Con l'Aria , e i Cibi, è un fpirito Nitrato , Pria gli Spirti vitai , poi gli animali, 334 39 . In quei,che la purpurea,in copie,han piena, Che concorrendo ai Cerebro , accreſciuta Mafia Sanguigna , di Alcali urinofo , Di moto, e quantità, rapiſcon tutti Lo ſpirito delVin ſi meſce appena , Gl’Idoletti Ideal, che contenuti Che genera un coagolo vifcolo . Trovan nel Setto lucido, e ridutti, La Linfa ingroffa , e i vitai Spirti affrena, O fien da la Memoria, ivi venuti, E concilia un ſonnifero ripoſo. O ne la ſteſſa Fantaſia coftrutti , Tal Miſto , fi condenfa in gelatina , E invianli al Comun Senſo, e de la Mente Lo ſpirito di Vino à quel di Urina , Ingannano colà l'occhio preſente. 34. 40. Mà in quell'Uomo,in cui trovafi eccedente Qui dice Adam : D'un operar al ſcempio Il Sal Nitroſo entro il Sanguigno Umore , De PUman miſerabile Intelletto Mifta appena del Vino è l'Acquardente, Tal che può farlo e furiofo , ed empio, Che à gli Spirti vitai creſce il fervore , Di prudente, che ſia , ſano Soggetto, Spirando un'aura Elaſtica potente , Deh dona à me , mio Precettor, l'eſempio Che gli Spirti animai move à furore. Per farne più diſtinto alcun concetto , Tai lpiran , mitti , un'alito focolo Cosi lo prega , e il Serafin verace Del Viu la Ipirto. , e l'Acido Nitroſo , Il di lui bel deſio cosi compiace. 35. 414 Quindi de gii Ebri à i Midollar cannelli Il Sangue del Maniaco un tal fervore Lo Spirito con impeto s'invia : Nel ſuo Corpo talor riſveglia , e crea , Seco il caratter trae , che ne ſuggelli, Che il capo punge , o il petto , e di un dolore Trova de la Memoria , e il porta via , Intenſo à lui fà lovvenir l'Idea , L'aſporta feco al Comun Senſo , e quelli , Quando di un ſuo Nemico oftil furore Che trova, anco tener la Fantafia , Ferillo , e tutto il fatto allor s'idea : Ne i Corpi introducendoli Striati , Poi da la Fantaſia per falla porta Per retrograda frada ivi traşlati . Al fuo Senſo Comun l'Idea fi afporta. 42. Quella Idea crede allor l'Umana Mente E da la vaua Idea l’Alma ingannata, Introdotta per via di eſterni Senfi Che rappreſenta il ſuo fucceſſo antico , Da Obbietto , che fia à l'Organo preſente , Stima ver ciò, che vede, e che aſsaltata Che quei moti Sengbili difpenfi . Sia, già preſente à lui . , dal ſuo Nemico . Onde ingannata , avvien , che follemente Si accinge a la difeſa , ed opra irata De la ſtesſa maniera operi , e penſi , Cotr'Uoin , che gli ſi incotra ,ancor che amico , Comc fe quell'Obbietto aveffe avante , Che, preoccupata da l'Idea mentita, Di qui la vana Idea forta il ſembiante, Nemico il crede, e contro lyi s'irrita. Mà 36. 233 IL. DISCORSO LIMANO. 43 51 . 49. Mà mirabil vieppiù , più portentoſo Che da quei Solfi indomiti inveſtiti Loſtravoito penſiero è del Diſcorſo Di periferia al centro in mille forme, Di chi dal dente mai del Can rabbioſo Syolgon de Simulacri, ivi ſcolpiti, Prova in un di fue meinbra il fero morſo , L'Idee de la Memoria , à varie torme; Che infetto già dal ſuo velen bavoſo, E ne la Fantaſia poi male uniti E dopo ancor , che lungo tempo è ſcorſo , Soa gi'iacaagruiFantaſmi in ſtuol deforme : Fra mille altri ſintomi alfin riinane , Alfio nel Comua Senſo entran ſovente , Col creder sè già trasformato in Cane. Adingannare , à ſpaventar la Mente. 44. 50 . Nè ſolo al par del Canc addenta, e morde, Febricitando il Sangue, uopè, che fpici E ſimile anche al Cane ei latrar s'ode Del Cerebro più Spirti à le latebre : Ma con fame Canina , e voglie ingorde Delicando gli Spirti , uop'è, che giri Prono diyora į cibi, e l'olla rode; Il Sangue in pollazion celeri, e crebre : E con oprar col ſuo penſier concorde Or come Febre è mai lenza Deliri ? Le qualità Caninç affettar gode ; Come delirj fon mai fenza Febre ? Lungi chi vien sà preſentir , dotato Adamo al Serafin cosi propoſe : Di acuto, e ſottiliffimo Odorato . E si ad Adamo il Serafin riſpoſę. 45. Premetto , per ſpiegar, d'onde contratto Per dichiarar Fenoineno si bello , Concetto Uom poſſa aver cotanto ſtrano , Che interamente jo ſviluprar prometto , Che allor, che vien de l'unione à l'atto Dopo gli uſi , che detti hò del Cervello , Il corpo fral con l'Animo ſovrano , Deggio gli uſi anche dir del Cervelletto : Gl'imprime de'luoi Spiriti il contatto Cheagli uficj Animali eletto è quello , L'ldea di eſſer congiunto à Corpo Umano, A gli uli Naturali è queſto eletto : La qual conſiſte in ’ n Caratter tale , Må pria di eſaminar la ſua Natura. Ch'ngli Spirit, Umani è fpeciale, Sentine l'anatomica Struttura . 46 . 52, Del rabbioſo Velen taptu inaligna Nel Cranio è, dietro il Cerebro, ripoſto Hà corrottiya attività la Forma , Il picciolo Cervello, e ſegregato, Che gli Spiro animali, ov'egli alligna, In forina quaſi sferica diſpoſto, Ajo: o à poco in sè inuta , e trusforına , E da le due Meningi andò ammantato : In rio Venen l'Aura animal traligna, Di Cannellini hà il ſuo Midol compoko i E di Canin Carattere s'inforina : E il cortice di Glandole am maffato , Cool ne le Materie , oy'i gli ha loco , In cui con Meccaniſmi , al grande eguali , Muta , e trasforma il tutto in foco il Foco . Si prepurun gliSpiriti aniinali . 47. S3 Sentendo aggir quell'Anima infelice Dal Cervelletto fol naſcon produtti Impreſſion di Spiriti Cunini, Quei Nervei tronchi, e quei lor rami varj; La di cui f.colta immaginatrice Che daii gli Spirti à i Muſcoli, coſtrutti Hà depravuti affatto i retti fini , Al miniſter de’moti involontarj. Tradita ancor da quei Fantalmi, elice Da lui movong i Vaſi, e gli Umor tutti , Da ſe Brutali affetti, atti Ferini , Ch'a l'uficio vital ſon neceffari, Adam , nel tuo fullir quanto hai perduto ! Cor, Vene, Arterie, Glandole, Fermenti , Sei ſoggetto ad un Mal,che di Vom fà Bruto. Polmon, Linfa; Inteſtin, Chilo, Alimenti. 48. 54. Dal già detto finor molto evidente Giuridizion ſul Cerebel la Mente Argomentar fi può, come fi dia Punto non tien , nè i ſuoi eſercizi hà noti, Il Diſcorſo de l'Uomo incoerente Non sà , chiuſa entro il Cerebro, nè fente , Nel Delirio Febril , ch'è Freneſia : Come il Chil ſi amminiſtri , e il Sangue ruoti. Che allor, che bolle il Sangue in Febre ardête, Di quel, che dal Cervello è indipendente , S fulfurea falina hà diſcraſia , Fermar non puote, è regolarne i moti . Gi Spiriti nel Cerebro avanzati, Aſſoluti, e diftinti i lor Governi In copia, c mobiltà fon gencrati . Commercio hap fol per ſei Proceſſi alternt. Manda CANTO DECIMOTTAVO . 233 55 . 61.. Manda al Cervello il Cervelletto pria E per la via retrograda, ch'è dietro , Doppia Protuberanza orbicolare , Paffa nel Setto lucido il torrente : Più baſſo due proceſſi indi gl'invia Quelle Idee , che vi trova ei ſpinge addietro Per la Protuberanza altra anulare, Verſo i Corpi Striati obliquamente ; Due altri alfine imprendono la via E al corſo natural turbando il metro, Da ſuoi due Gambi al Calcc midollare L'offre per falfa porta ivi à Ja Mente E di Spiriti alterni han participi. Che venute credendole da i Senli , De’Nervi il pajo ottavov'hà principja. Vopè , che follemente operi, e penſi. 56. 62 . Per l'uno , e l'altro orbicolar Ricetto Se però nel ſol Cerebro è riſtretto Son gli Spirci animai partecipati De'Spirti il moto , e de'fantafmi erranti , Da gli Striati Corpi al Cervelletto , E à trapaſſar non và nel Cervelletto, E daqueſto anco à i Corpi fuoi Striatia Senza febricitar fà deliranti : Per le altre quattro vie con corſo retto Perchè fol ne ſuoi Spiriti è il ſoggetto , Vengono , e ven gli Spiriti mandati, Che fà le Arterie , e il Cor febricitanti ; Pe'l calce midollare , ove inſeriſce E quello Spirto , onde il ſuo moto prende Le ſue due braccia il Fornice , e li uniſcea L'Arteria , e il Cor , dal Cerebel diſcende a 57. 63 . Sol queſte ſon le occulte vie , per cui Maggior ſoggiunſe Adam ) inêtre a dormea Ciò , che ſuccede in lor di ben , di male, Stupore, è il Delirar di fan penſiero , Mandanſi internamente infra lor dui Che di vani fantaſmi, e incongrue forme Il vital Miniſtero , e l'animale , Ad un ſtuol dona fe si menzogniero , La Potenza animal gli affetti ſui I qual , non ſolo al Ver non è conforme I moti fuoi la Facoltà vitale , Mà par , ch'è falſo , e credefi per vero : Secondo , in Pro comune, à lor conviene, In modo tal , che un Senno , anche prudente , Opporſi al Mele , o farfi incontro al Bene. Di creder gl'impoſſibili conſente . 58. 64; E quinci avvien , che al ſol penſier ſovente Come inganni la Mente à dichiararti Nel Cerebro , o di Gioja , d di Timore, De i Sogni l'incredibile Bugia , Moffo è il Polmone , e il Cor placidamente ( Replica Raffael) d'uopo è ſpiegarti, Soſpira il Petto , e batte fpeſſo il Core. Come il Sonno produceſi , e che ſia : Quete , è ſvolte le Viſcere , hà la Mente Mà pienamente , Adam , rammemorarti L'idea de la Salute , ò del Malore : La teſtura del Cerebro dei pria : Intelligenza , e auſiliario impegno Che la foſtanza ſua , teſfuta á velli Paſſa così tra le Provincie , e'l Regno . Di cavi coſta , e sferici Cannelli . 59. 65. Or mentre la febrilc agitazione Che à i lati de'ſuoi concavi Canali Nel Sangue , e ne le.Viſcere ſi avanza , Triangolar fon gl'interſtizj inteſti : Gli efAlvj.al Cervelletto , e la mozione Che in quei ſcorron gli Spiriti animali, Mandar per via de Nervi hà ben poſſariza : E che diſcorre ilSugo nerveo in queſti , Quefto annuncia al Cervel la impreſſione Fatti gli uni di Spiriti vitali, Per doppia orbicolar Protuberanza, L'altro di Umor linfatici digefti : Entro i Corpi Striati , onde la Mente Che ſtan fra lor , quei di elater dotati , Di quel calor febril l'affanno ſente . Queſto di fode fibre , equilibrati. 60. 66. Mà ſe gli effuvi, ei moti ſuoi ſon tali , Mentre gli Spirti à tal ſon rarefatti Che al Cerebel traſceudono le ſponde, Che tengan quei cannelli intumiditi , Nel Cerebro i ſuoi Spiriti animali O'quefti cosi reſtino diſtratti Per l'anular Protuberanza infonde : Da ariditi , ò durezza irrigiditi, Poi da i poſterior recti canali O'il nervco Umor pien di fali acri , ed atti Del calce Midollare alfin trasfonde , Le fibre à ſtimolar , gli Spirti irriti , Del Fornice gli Spirti à le due braccia Sta tempre aperto il Cerebro , e produce E in quel gli eſtranj effuvj infinua, e caccia. Spirti continui , e la Vigilia induce. L'Adamo del Campailla. Nina Por 237 IL DISCORSO UMANO . 1 ( I 1 ( c & } ( ( 1 ( 67. 73 . Per poco influſſo, ò per diſpendj immenfi, Nel tempo del Dormire al Cervelletto Se al minorar fi vien lo Spirto in effi, Copia inaggior di Spirti il Sangue infonde O’i ſuoi interſtiz; il nervco Umor più eféli Che oſtrutto allora il Cerebro , e riſtretco, i ; Tien, con più copia , e i cannellin compreffi, Quei,che nõ manda à queſto, à quel trasfondo Queſti già reli vuoti , e non più tenſi Maggior moto pertanto , e più perfetto Chiudonfi, molli, e calcano in sè ſteſſi. Del Torace han le viſcere profonde , Continuar nel Cerebro non porno E quelle de l'Addome, allor, che appieno Gli ſpiriti l'influſſo : e faffi il Sonno . Immerfo è il Corpo Uman del Sonno in feno. 68 . 74. Il Sonno è un feriar di Senſi , e Moti, Mà perchè (dice Adam ) ſpelo, à miſura Mà Senli eſterni , e Moti volontarj. Di noſtra Paſſion ſi formi il Sogno ? Gli Spirti del Cervel ſtan quafi immoti, Perchè m'idea , dormendo , e mi figura Chiuſe le vie de Senſitivi Affari : Quell'Obbietto ,che temo,ò quel,che agogno ? Solo i ſuoi membri proſſimi, e i remoti Qualor per breve , in queſta notte oſcura Tutti mantiene in eſercizi varj , Michiuſe al Sonno i rai natio biſogno , ( Perchè infuſſo di Spiriti interdetto Vidi nel Sonno il Cherubino armato, Non hà ) la Region del Cervelletto . Che mi avventava in fen brando infocato , 69 . 75. Or così ſtando il Cerebro.in quiete, L'Angiol riſpoſe : Il già commeſſo errore In una , in tutto oſcurità diffuſa, Nel ſonno anche ti affigge , e ti tormentas Si occultan le fue Immagini inquiete , Ti ſtringe il Cor , l'anguſtiato Core Ogni altra Idea de i Senti eſterni eſcluſa , L'imprellione al Cercbel preſenta, In folche folitudini fecrete Che pe'i Procelli orbicolar và fuore , La Mente è tutta in sè raccolta, e chiuſa ; E al tuo Senſo comun i rappreſenta : E del Cervello il diſcoriivo Mondo Poi ne la Fantaſia forma i'alpetto Dorme in ſilenzio altitlimo, e profondo. Del Cherubin , qual ſe ti apriſſe il petto , 76. Ed ecco , che per cieca obliqua via , Altro ruſcel di Spirti al modo fteffo Di Larvette ideali erranti ſquadre Dal Cervelletto al Cerebro diſcorre ; Nel Coinun Senio , o ne la Fantaila E per la via de l'anular Proceſſo Vagan leggicie or fpaventole , ed'adre , Lc radici del Fornice traſcorre . Or veſtite di ainabije bugia , De Cherubin l'idea , che trova in eſſo , Pingon bei Spettri, e Fantafie leggiadre ; Seco rapiíce , e ullin valia : deporre E van col Fallo, in naſchera di Vero, Nel Senſorio Comuo : l’Alma, che'l vede De l'Anima à ingannar l'occhio, e’i penſiero. E lente il duolo al Cor, ferito il crede. Tal ſe in Teatro cinbroſo il Popol liede, Anch'io diſs’Eva) in quel notturo orrore , Niirando chiare aprir comiche Scene, Mentre più gli occhi mici pianger nő ponno , E da Mimi larvati aſculta , e vede Viep; iù per lo ſpavento, e pul timore , Tragiche finzion , menzogne amene : Che per quieto oblio , mentre che a !Tonno , Quali del Ver fcordato , ii Falſo crede Strangolate le fauci , oppreſſo il Core E da’luoi Seun italicdotto viene , Sento da un Moftro , infra vigilia, e ſonno : Chefveglia ii Finto in lui , verace intanto Volea gridar , volea fuggir , volea Odio, ) Amer,Picea, d Sdegno,c Rilo,o Piáto. Scuoţer dal ſen la Belva, e non potea . 28. Chile fopite Immagini alCervello Queſto č l'Incubo, Adamo ( à dir riprende Svegli , i luoi Spisti in renderne eccitati , A lui rivolto , ii Filico Divino ) Facile è di aſſignar, dal Cerebello, Paroliſino terribile, che apprende Che fieno effiuvi, • Spiriti ſcappati, L'Uoin, mentre che talor dorineſupino. Per quei fentier, che ſon , tra queſto,e quello, Il Petto, e il Core ilmoto ſuo ſoſpende, Ne i Proceſi ſcambievoii, incavati E fofpende ancu i Sangue il ſuo camino ; De le Protuberüize orbicolari, Che riſtagnando entro i polmoni in petto E de i terzi Proceſli , ed anulari , Fà un breve si, mà aſſai moleſto effetto . Cò, che 1 ( I ( 1 C 70. 71 . 79 72 . CANTO DECIMOTTAVO . 79. 85. Cio , che il Sonno al Cervel coſtituiſce , Del Morbo Malinconico cagioni Vien l’Incubo à produr nel Cerebello Son , ipaventoſi , e ſubiti tercori Qual, groſſo il nerveoLiquido, impediſce Affetti violenti, e pailioni, Degli Spirti animali il corſo in quello , Ipocondriaci, e Iſterici Malori : Tal di queſto il medemo anche oltruiſce In queſte inordinate ripreſſioni Ogni talor ſuo midollar Canuello , Si guaſtano le Viſcere, e gli Umori : Qualvolta amplia foverchio, in modi vari , Onde mandati al Cerebro, ed eſtratti Di queſto pur le Strie triangolari . Spirti ne fono, à gli uſi lor malatti. 80 . 86 . Come, al Cervel gli Spiriti impediti , Mal fan l’uſo adempir più principale , Fermanſi gli uſi à gli Organi animali, Ch'è : coʻlor moti armonici, adequata Così , gli Spirti al Cercbel fopiti, Tener de l'Uomo à l'Anima immortale Ceffan quei de le Viſcere vitali , Quella , che al ſommo Ben tendēza hà innata, Il Sengue, e gli altri Liquidi irretiti Mentre in queſto ſuo carcere mortale Ne i polmoni , e lor vafi arteriali. Vive ad un Corpo organico ligata : Ciò nel dornir ſupin ſuccede ſpeſſo: Che priva di lor Tolita Armonia, Che il Cercbel dal Cerebro è compreffo, Sente una interior Malinconia , 81 . 87 . Prefa daʼNervi impreffion si rea Scemi di loro elaftica potenza, Al Cerebro s'invia dal Cervelletto Debil tai Spirti à ſpanderſi han vigore, La Mente un Moſtro in fantaſia s'idea , E di contrari Agenti à la prelenza Qual ſe l'affoghi, e le comprima il petto : Producon , contraendoſi, il Tiinore. Poi tratta al Comun Senſo è quell’ldea, Grolli , oltre del dover, ne l'aderenza Con un corſo retrogrado indiretto Portan le loro Idee forina maggiore : La Idea ne vede, e la impreſſion ne ſente ; Onde di quel,ch'è in sè , ſempre più immenfo Or che ſtupor, fe'l crede ver la Mente ? Rapprefentan l'Obbietto al Comun Senfo . 82. 88 . Miquel dal Setto lucido repiſce Anzi, però clie indebite miſture Spirto le klee ne'Corpi ſuoi Striati ? Di eſtrani effluvj in lor glaſtan le forme Del Cerebel non già , che non fluiſce Appajono d'infolite figure Spirito in lui, chii Cannellin turati. I lor Fantaſmi, e di feinbianza informe : Si parla Adaino : E Raffacl fupplilce Tenebroſe le lınmagini, ed oſcure Del Cerebel gli Spiriti privati, Non terbano à gli Obbietti Idea conforme: Per doppia orbicolar Protuberaliza , Quindi de i Malinconici eſſer dee u Cerebro, che n’hà minor inancanza . Piena la Fantalia d'incongrue Idee. 83 . 89 . De le vitali ſu Vilcere à l'uſo Inino il M.lincolico à tal ſegno, Tutti gli Spirti il Cercbel riparte ; Solo in penſier fantaſtici ſi aggira : Il Cercbro non già , che benchè chiuſo, Pregna hila Fantatia , colmo l'ingegno , Ne reſts pieno, e altrui non ne fi partc. D'incoerenti Idee ; ma non deli. a : Reſtande elauſto quel, da queſto infuſo Chc, benchè erranti, in sè ſenza ritegno , Hà lo Spirto animal per quella parte, Le involontarie Immagini riinira, Che dal Corpo Callofo , ove diſcende, Pur ben fi avvede, e noto há ben , che ſia A gli Striati , ivi le Idee diſtende. Sol tutto l'Effer loro in Fantaſia. 84. 90. 11 Sogno paſſaggiera è una Pazizia, Mà ſe da le ſuc viſcere eſalato , Ma la Pazzia poi Sogro è permanente , Per i Nervi , Par vago, e intercoſtale, La Ipocur driaca in cui Malinconia Morbofo effuvio , al Cervelletto alzato , Riduce PUomo à delirar fovente . Per il di dietro al Fornice poi fale, Contraria de Maniaci à la Follia , Ogni incongruo Fantafina, ivi formato, Ch'è cir :Je !, furioia, audace, ardente , Che ne la Fantuſia difpiega l'ale, Quefiriè timida, e imbelle, e'l penſier volto Nel Senforio Comun con feco tira : Hà follecito al Plen, itupido al Molto . L'Alma allor Ver lo giudica, e delira. Del IL DISCORSO UMANO , Del nobile cosi Diſcorſo Umano, De'tanti ancor traccò Logici errori E de'ſuoi varj organici difetti Che al diſcorſo depravauo i Giudici, Filoſofo l'Arcangelo ſovrano, E qual di Verità gli alti ſplendori Con ſottili penfieri, e chiari detti . Oſcurano à la Mente i Pregiudicj: Indi ſpiego i Rimedj, ond'egl’inſano Come la Dialettica riſtori , Reſo , à cagion de gli Organi imperfetti, Con norme, i falli in lei , regolatrici; Poffi à i retti tornar ſuoi Sentimenti, E al fine il giuſto Metodo glieſpone , Con medicarne i gu'aſti ſuoi Stromenti. L'ulo à bene adoptas di fua Ragionc. Tommaso Campailla. Keywords: oposcolo, ecstasi, discorso disordinato, discorso ordinato, discorso umano, uomo, vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campailla” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718141204/in/photolist-2mSZ1dP-2mQjJr5-2mQfWLw-2mN9ZxJ-2mLP3hz/

 

Grice e Campanella – utopia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Stilo). Filosofo. Grice: “One has to take Campanella seriously; admittedly, an Oxonian will focus on More, but Campanella is closer to Plato! I especially like that the walls of the city of “Sol” – it’s a proper name for the prince, not the sun! – have all the semiotic elements of the semiotic systems by which the ‘solari’ communicate – Campanella designs a very Griceian model based on ‘efficiency’ and LOVE! There’s ibenevolence everywhere – indeed, it is Campanella’s Sol’s City that I was thinking when inventing the principle of conversational benevolence to be spoken in the City of Eternal Truth!” -- one of the most important of the Italian philosophers.  H. P. Grice enjoyed his philosophical poems. Tommaso Campanella, al secolo chiamato Giovan Domenico Campanella, noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla (Stilo, 5 settembre 1568Parigi, 21 maggio 1639), filosofo, teologo, poeta e frate domenicano italiano. Giovan Domenico Campanella nacque a Stilo, un piccolo borgo della Calabria Ulteriore, al tempo parte del Regno di Napoli (attualmente in provincia di Reggio Calabria), il 5 settembre del 1568, come egli stesso più volte afferma nei suoi scritti e come dichiarò il 23 novembre del 1599 nel carcere di Castel Nuovo a Napoli, al giudice Antonio Peri: «son di una terra chiamata Stilo in Calabria Ultra, mio padre si domanda Geronimo Campanella e mia madre Caterina Basile». Fino al 1806 si conservava anche l'atto di battesimo nella parrocchia di San Biagio, borgo di Stilo, così redatto: «A dì 12 settembre 1568, battezzato Giovan Domenico Campanella figlio di Geronimo e Catarinella Martello, nato il giorno 5, da me D. Terentio Romano, parroco di S. Biaggio [sic] nel Borgo». Il padre era un ciabattino povero e analfabeta che non poteva permettersi di mandare i figli a scuola e Giovan Domenico ascoltava dalla finestra le lezioni del maestro del paese, segno precoce di quella voglia di conoscenza che non l'abbandonò per tutta la vita.  Nel 1581 la famiglia si trasferì nella vicina Stignano e nella primavera del 1582 il padre pensò di mandare il figlio presso un fratello, a Napoli, perché vi studiasse diritto, ma il giovane Campanella, per il desiderio di seguire corsi regolari di studi e abbandonare un destino di miseria, più che per una reale vocazione religiosa, decise di entrare nell'Ordine domenicano. Novizio nel convento della vicina Placanica, vi fece i primi studi e pronunciò i voti a quindici anni nel convento di San Giorgio Morgeto, assumendo il nome di Tommaso (in onore di san Tommaso d'Aquino), continuando gli studi superiori a Nicastro dal 1585 al 1587 e poi, a vent'anni, a Cosenza, dove affrontò lo studio della teologia.  L'istruzione ricevuta dai domenicani non lo soddisfaceva e non gli era sufficiente: «essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato, esaminai tutti i commentatori d'Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le cose ch'essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano rispondere alle miei obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso l'originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di falso».  Fu in particolare il De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio una rivelazione e una liberazione insieme: scoprì che non esisteva soltanto la filosofia scolastica e che la natura poteva essere osservata per quello che è, e poteva e doveva essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall'uomo, con i sensi e con la ragione, prima osservando e poi ragionando, senza schemi precostituiti e senza mandare a memoria quanto altri credevano di aver già scoperto e di conoscere su di essa. Era il 1588 e Telesio, che da anni era tornato a vivere nella nativa Cosenza, vi moriva ottantenne proprio in quei giorni. Il neofita frate entusiasta non poté sottrarsi a deporre sulla bara, nel duomo, versi latini di ringraziamento devoto. Quelle che dai suoi superiori furono considerate intemperanze gli costarono il trasferimento nel piccolo convento di Altomonte, dove tuttavia il Campanella non rimase inattivo: la segnalazione di alcuni amici, che gli mostrarono il libro di un certo Jacopo Antonio Marta, napoletano, scritto contro l'amato Telesio, lo spinse a replicare e nell'agosto del 1589 concluse quella che è la sua prima opera, la Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli due anni dopo.  In essa Campanella ribadì la sua adesione al naturalismo di Telesio, inquadrato però in una cornice neoplatonica, di derivazione ficiniana, per la quale le leggi della natura non mantengono più la loro autonomia, come in Telesio, ma sono spiegate dall'azione creatrice di Dio, dal quale deriva anche l'ordine provvidenziale che governa l'universo: «chi regola la natura è quel glorioso Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze della natura, nella quale tuttavia agisce con misura».  Campanella non poteva rimanere a lungo ad Altomonte: alla fine del 1589 abbandonò il convento calabrese e se ne andò a Napoli, ospite dei marchesi del Tufo. Nella capitale del viceregno, pur non abbandonando l'abito di frate, fu tutto inteso ad approfondire i suoi interessi neoplatonici e scientifici, che allora erano connessi strettamente con gli studi alchemici e magici: «scrissi due opere, l'una del senso, l'altra della investigazione delle cose. A scrivere il libro De sensu rerum mi spinse una disputa avuta prima in pubblico, poi in privato con Giovanni Battista Della Porta, lo stesso che scrisse la Fisiognomica, il quale sosteneva che della simpatia e dell'antipatia non si può rendere ragione; disputa con lui avuta appunto quando esaminavamo insieme il suo libro già stampato. Scrissi poi il De investigatione rerum, perché mi pareva che i peripatetici ed i platonici portassero i giovani per una via larga ma non diritta alla ricerca della verità». Il De sensu rerum et magia, iniziato a scrivere in latino nel 1590, fu completato e dedicato al granduca di Toscana Ferdinando I de' Medici nel 1592; sequestratogli il manoscritto a Bologna dal Sant'Uffizio, fu riscritto in italiano nel 1604, tradotto in latino nel 1609 e pubblicato finalmente nel 1620 a Francoforte. Campanella vi persegue una sintesi di naturalismo telesiano e di platonismo: a Democrito e ai materialisti rimprovera di voler far derivare l'ordine del mondo all'azione degli atomi, che non hanno sensibilità, e agli aristotelici la mancata iniziativa di Dio nella costituzione della natura. D'altra parte egli non intende nemmeno sacrificare l'autonomia delle forze che agiscono nella natura, pur se la spiegazione ultima delle cose va ricercata nella primitiva azione divina.  Secondo Campanella, i tre principi, materia, caldo e freddo, di cui è composta la natura, sono frutto della creazione divina: «Dio prima fece lo spazio, composto pure di Potenza, Sapienza e Amore [...] e dentro a quello pose la materia, che è la mole corporea [...] Nella materia poi Dio seminò due principi maschi, cioè attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo spazio sono femmine, principi passivi. E questi maschi, da codesta materia divisa, combattendo, formano due elementi, cielo e terra, che combattendo tra loro, dalla loro virtù fatta languida nascono i secondi enti, avendo per guida della generazione le tre influenze, la Necessità, il Fato e l'Armonia, che portano l'Idea».  Le tre primalità (primalitates)che corrispondono alle tre nature divinecostituiscono il triplice carattere di ogni essere: Dio «ha dato a tutte le cose potenza di vivere, sapienza e amore quanto basti alla loro conservazione [...] Dunque il calore può, sente e ama essere, e così ogni cosa, e desidera eternarsi come Dio e attraverso Dio nessuna cosa muore ma si muta soltanto, anche se ogni cosa pare morta all'altra e in verità è morta, così come il fuoco pare cattivo al freddo ed è veramente cattivo per lui, ma per Dio ogni cosa è viva e buona». Se si considera ogni cosa nel tutto ci si rende conto che nulla muore veramente: «muore il pane e si fa chilo, questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e patisce varie morti e vite, dolori e piaceri».  Dalla Potenza le cose sono solo perché possono essere e hanno una determinata natura; Dio attraverso questa potenza dona la Necessità alle cose, la Sapienza permette alle cose di conoscere il Fato, ossia il saper vedere la successione di causa-effetto nei processi naturali e infine l'Amore permette l'Armonia fra gli esseri, perché questi amano essere così e non diversamente: «tutti gli enti si compongono di Potenza, Sapienza e Amore e ognuno è perché può essere, sa essere e ama essere, combatte contro il non essere e, quando gli manca il potere o il sapere o l'amore dell'essere, muore e si trasmuta in chi ne ha di più».  Tutte le cose hanno sensibilità: «Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché non hanno occhi, né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta in campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all'aquila perché non ha occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia certo corpo e occhi e mani».  Inoltre Campanella ci parla anche delle primalità del non-essere, presenti inevitabilmente nel mondo finito, che sono l’Impotenza, l’Insipienza e l’Odio: solo in Dio, che è infinito, le primalità dell'essere non sono contrastate dalle primalità del non-essere. A queste tre primalità si contrappongono le potenze negative, che possono variamente combinarsi alle primalità nell'ambito delle varie forme della magia, che è l'insieme delle regole che vanno osservate per intervenire nella natura. Il mago è il sapiente che scopre le relazioni esistenti tra le cose: «beato chi legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l'arte e il governo divino, facendosi di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio».  La magia si manifesta attraverso le sensazioni, che possono essere negative o positive: sensazioni che l'uomo coglie, e che gli fanno capire di essere parte integrante di un ordine universale; tuttavia, nonostante sia parte di questo ordine, può opporsi a tale ordine, e se si oppone all'ordine universale la magia è negativa, se invece si armonizza, ovvero cerca di seguire l'ordine universale, allora la magia è positiva.  La pubblicazione della Philosophia sensibus demonstrata provocò scandalo nel convento di San Domenico: un domenicano che non frequenta il convento e che rifiuta Aristotele e San Tommaso per Telesio non può essere un buon cattolico. Anche se nessuna affermazione eretica è contenuta nel libro, in un giorno imprecisato del 1591 Campanella fu arrestato dalle guardie del nunzio apostolico con l'accusa di pratiche demoniache. Non si conoscono gli atti del processo ma è conservato il testo della sentenza, emessa in San Domenico il 28 agosto 1592, contro «frater Thomas Campanella de Stilo provinciae Calabriae» dal padre provinciale di Napoli, fra Erasmo Tizzano e da altri giudici domenicani. L'accusa di praticare con il demonio e di aver pronunciato una frase irriverente contro l'uso delle scomuniche vengono a cadere, ma resta quella di essere un telesiano, di non tener conto dell'ortodossia filosofica di Tommaso d'Aquino e di essere stato per mesi «in domibus saecolarium extra religionem»: dopo quasi un anno di carcere già scontato, è allora sufficiente che reciti dei salmi e torni, entro otto giorni, nel suo convento di Altomonte.  Campanella si guardò bene dall'ubbidire all'ordine del tribunale, che lo avrebbe costretto a rinunciare, a soli 24 anni, a un mondo di cultura nel quale egli era convinto di poter offrire un contributo fondamentale. Così, munito di una lusinghiera lettera di presentazione al granduca di Toscana, rilasciatagli dall'amico ed estimatore, il padre provinciale di Calabria fra Giovanni Battista da Polistena, il 5 settembre 1592 fra Tommaso partì da Napoli alla volta di Firenze, con il suo carico di libri e manoscritti, contando su di un posto di insegnante a Pisa o a Siena.  La prudente diffidenza di Ferdinando I, che non mancò di chiedere informazioni sul suo conto al cardinale Del Monte, ottenendo una risposta negativa, spinse il 16 ottobre Campanella a lasciare Firenze per Bologna, dove l'Inquisizione, che lo sorvegliava, per mezzo di due falsi frati gli rubò gli scritti che si portava appresso, per poterli esaminare in cerca di prove a suo danno. Ai primi del 1593 Campanella fu a Padova, ospite del convento di Sant'Agostino. Qui, tre giorni dopo il suo arrivo, il Padre generale del convento venne nottetempo sodomizzato da alcuni frati, senza che egli potesse identificarli, e perciò, fra i tanti sospettati del grave abuso, anche il Campanella fu messo sotto inchiesta. Non si sa se dall'inchiesta si passò a un processo che abbia visto imputato, tra gli altri frati, anche Campanella: in ogni caso egli ne uscì innocente.  Rimase a Padova, probabilmente con la speranza di trovarvi lavoro; vi incontrò Galileo e conobbe il medico e filosofo veneziano Andrea Chiocco. Ma il Sant'Uffizio lo teneva ormai sotto osservazione: alla fine del 1593 o all'inizio del 1594 fu nuovamente arrestato. Fu accusato di:  aver scritto l'opuscolo De tribus impostoribusMosè, Gesù e Maomettodiretto contro le tre religioni monoteiste, un libro della cui esistenza allora si favoleggiava, ma che nessuno aveva mai letto; sostenere le opinioni atee di Democrito, evidentemente un'accusa tratta dall'esame del suo scritto De sensu rerum et magia, rubatogli a Bologna; essere oppositore della dottrina e dell'istituzione della Chiesa; essere eretico; aver disputato su questioni di fede con un giudaizzante, forse condividendone le tesi, e di non averlo comunque denunciato; aver scritto un sonetto contro Cristo, il cui autore sarebbe stato però, secondo Campanella, Pietro Aretino; possedere un libro di geomanzia, che in effetti gli fu sequestrato al momento dell'arresto. A Padova, in un primo tempo gli furono contestate solo le ultime tre accuse: per estorcere le confessioni, Campanella e due imputati presunti «giudaizzanti», Ottavio Longo, originario di Barletta, e Giovanni Battista Clario, di Udine, medico dell'arciduca Carlo d'Asburgo, furono sottoposti a tortura. Nel frattempo, dall'esame del suo De sensu rerum, fatto a Roma, dovettero trarsi nuove imputazioni, che richiesero lo spostamento del processo da Padova a Roma, dove infatti Campanella fu condotto e rinchiuso nel carcere dell'Inquisizione l'11 ottobre 1594.  Per difendersi dalle nuove accuse di essere oppositore della Chiesa, Campanella scrisse già nel carcere padovano un De monarchia Christianorum, perduto, e il De regimine ecclesiae, ai quali fece seguito, nel 1595, per contestare l'accusa di intelligenza con i protestanti, il Dialogum contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi e, a difesa dell'ortodossia di Telesio e dei suoi seguaci, la Defensio Telesianorum ad Sanctum Officium. La tortura cui fu sottoposto nell'aprile del 1595 segnò la pratica conclusione del processo: il 16 maggio Campanella abiurava nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva e veniva confinato nel convento domenicano di Santa Sabina, sul colle Aventino. Le disavventure giudiziarie di Campanella non finirono però qui. Il 31 dicembre 1596 era stato liberato dal confino di Santa Sabina e assegnato al convento di Santa Maria sopra Minerva; intanto, a Napoli, un concittadino di Campanella, condannato a morte per reati comuni, Scipione Prestinace, prima di essere giustiziato il 17 febbraio 1597, forse per ritardare l'esecuzione, denunciava diversi suoi conterranei e il Campanella in particolare, accusandolo di essere eretico: così, il 5 marzo, Campanella fu nuovamente arrestato.[25]  Non si conoscono i precisi contenuti della deposizione del Prestinace né i dettagli del nuovo processo, che si concluse il 17 dicembre 1597: nella sentenza, Campanella fu assolto dalle imputazioni e, diffidato dallo scrivere, liberato «sub cautione iuratoria de se representando toties quoties», finché, consegnato ai suoi superiori, questi lo confinino in qualche convento «senza pericolo e scandalo».  In tutto questo periodo di tempo, il Campanella non era certamente rimasto inoperoso nemmeno sotto l'aspetto della produzione speculativa e letteraria: oltre agli scritti difensivi del De monarchia, del Dialogo contro i Luterani e del De regimine, e ai Discorsi ai prìncipi d'Italia, che è un tentativo di captatio benevolentiae all'indirizzo della Spagna, giustificato dalla difficile situazione giudiziaria, scrisse l'Epilogo magno, destinato a essere integrato nella successiva Philosophia realis, con il Prodromus philosophiae instaurandae, pubblicato nel 1617, l'Arte metrica, dedicata al compagno di sventura Giovan Battista Clario, la Poetica, dedicata al cardinale Cinzio Aldobrandini, e i perduti Consultazione della repubblica Veneta, Syntagma de rei equestris praestantia, De modo sciendi e Physiologia.  Ai primi del 1598 Campanella prese la via di Napoli, dove si fermò diversi mesi, dando lezioni di geografia, scrivendo le perdute Cosmographia e Encyclopaedia facilis e terminando l'Epilogo Magno. In luglio s'imbarcò per la Calabria: sbarcato a Piana di Sant'Eufemia, raggiunse Nicastro e di qui, il 15 agosto, Stilo, ospite del convento domenicano di Santa Maria di Gesù.  Per poco tempo il Campanella rimase tranquillo in convento, dove scrisse il piccolo trattato De predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale affermò la dottrina cattolica del libero arbitrio. In un abbozzo dei suoi Articuli prophetales, appare già l'attesa del nuovo secolo che gli sembra annunciato da fenomeni straordinari: inondazioni del Po e del Tevere, allagamenti e terremoti in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e coincidenze astrologiche. Un nuovo mondo sembra alle porte, a sostituire il vecchio che in Calabria, ma non solo, vedeva «i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze d'ogni specie [...] la Santa Sede [...] sanciva i soprusi e proteggeva i prepotenti. Il clero minore, corrottissimo nei costumi, abusava ogni giorno più delle immunità ecclesiastiche, e profanava in ogni modo il suo ufficio. Fazioni avverse contendevano talvolta aspramente tra loro, e non poche lotte erano coronate da omicidi e delitti d'ogni specie. Gruppi di frati si davano alla campagna, e, forniti di comitive armate, agivano come banditi, senza che il governo riuscisse a colpirli [...] I nobili e le famiglie private, dilaniate da inimicizie ereditarie, tenevano agitato il paese con combattimenti incessanti tra fazioni [...] l'estrema severità delle leggi, che comminavano la pena di morte per moltissimi delitti anche minimi [...] la frequenza delle liti e delle contese, aumentavano in maniera preoccupante il numero dei banditi».[26]  In tale situazione di degrado e nell'illusione di un rivolgimento già scritto nelle stelle, Campanella progettò, senza preoccuparsi di valutare realisticamente le possibilità di realizzazione, la costituzione in Calabria di una repubblica ideale, comunistica e insieme teocratica. Era necessario per questo cacciare gli Spagnoli, ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi: cominciò a predicare dai primi mesi del 1599 l'imminente ed epocale rivolgimento, intessendo nell'estate una fitta trama di contatti con le poche decine di congiurati che aderirono a quella fantastica impresa. Le autorità ebbero ben presto sentore del tentativo di insurrezione e in agosto truppe spagnole intervennero a rafforzare i presidi. Il 17 agosto Campanella fuggì dal convento di Stilo, nascondendosi prima a Stignano, poi nel convento di Santa Maria di Titi; infine, nascosto in casa di un amico, progettò di imbarcarsi da Roccella, ma venne tradito e consegnato il 6 settembre agli spagnoli. Incarcerato a Castelvetere, il 10 settembre firmò una confessione nella quale faceva i nomi dei principali congiurati, negando ogni sua partecipazione all'impresa. Ma le testimonianze dei suoi complici erano concordi nell'indicarlo come capo della cospirazione.  Trasferito a Napoli insieme ai suoi compagni di avventura, Campanella fu rinchiuso in Castel Nuovo. Il 23 novembre 1599 avvenne il riconoscimento formale dell'accusato, descritto come «giovane con barba nera, vestito di abiti civili, con cappello nero, casacca nera, calzoni di cuoio e mantello di lana». Il Santo Uffizio non ottenne dall'autorità spagnola che i religiosi imputatiCampanella e altri sette frati domenicanifossero trasferiti a Roma e papa Clemente VIII, l'11 gennaio 1600, nominò il nunzio a Napoli, Jacopo Aldobrandini e don Pedro de Vera, che fu fatto ecclesiastico per l'occasione, giudici nel processo che si sarebbe tenuto a Napoli. Ad essi venne aggiunto il 19 aprile il domenicano Alberto Tragagliolo, vescovo di Termoli, già consultore nel primo processo, scelto dal papa per trattare in modo favorevole Campanella, poiché Clemente VIII era, anche se prudentemente, antispagnolo.  Campanella era passato sotto la giurisdizione del Sant'Uffizio, che nessun tribunale statale poteva violare, nemmeno nei casi di lesa maestà. Ciò permise di ritardare la prevedibile condanna a morte del frate. Durante il processo presieduto dal vescovo Benedetto Mandina, Campanella, sotto tortura, riconobbe le proprie eresie e, in quanto relapso, diventò passibile della pena capitale. La sua strategia di difesa, disperata e rischiosissima, fu quella di fingersi pazzo, poiché un eretico insano di mente non poteva essere messo a morte dal Sant'Uffizio.  I giudici, dubbiosi, lo sottoposero il 18 luglio, per un'ora, al supplizio della corda per fargli confessare la simulazione, ma egli resistette, rispondendo alle domande cantando o dicendo cose senza senso. L'accettazione da parte dei giudici della pazzia avvenne il 4 e 5 giugno 1601, durante una terribile seduta di tortura denominata "la veglia", che consistette in 40 ore di corda alternata al cavalletto, con tre brevi interruzioni. La resistenza morale e fisica di Campanella gli permise di superare la prova, anche se rimase poi tra la vita e la morte per sei mesi.   Frontespizio della Metaphysica Trascorse 27 anni in prigione a Napoli. Durante la prigionia scrisse le sue opere più importanti: La Monarchia di Spagna (1600), Aforismi Politici (1601), Atheismus triumphatus (1605-1607), Quod reminiscetur (1606?), Metaphysica (1609-1623), Theologia (1613-1624), e la sua opera più famosa, La città del Sole (1602), in cui vagheggiava l'instaurazione di una felice e pacifica repubblica universale retta su principi di giustizia naturale. Egli addirittura intervenne sul cosiddetto “primo processo a Galileo Galilei” con la sua coraggiosa Apologia di Galileo (scritta nele pubblicata nel 1622).  Fu infine scarcerato nel 1626, grazie a Maffeo Barberini, arcivescovo di Nazareth a Barletta, poi papa col nome di Urbano VIII, che personalmente intercedette presso Filippo IV di Spagna. Campanella fu portato a Roma e tenuto per qualche tempo presso il Sant'Uffizio; fu liberato definitivamente nel 1629. Visse per cinque anni a Roma, dove fu il consigliere di Urbano VIII per le questioni astrologiche, avendo con successo, secondo il Papa, impedito il verificarsi di profezie che preannunciavano la sua morte imminente in occasione di due eclissi del 1628 e 1630.  Nel 1634, però, una nuova cospirazione in Calabria, portata avanti da uno dei suoi seguaci, gli procurò nuovi problemi. Con l'aiuto del cardinale Barberini e dell'ambasciatore francese de Noailles, fuggì in Francia, dove fu benevolmente ricevuto alla corte di Luigi XIII. Protetto dal cardinale Richelieu e finanziato dal re, passò il resto dei suoi giorni al convento parigino di Saint-Honoré. Il suo ultimo lavoro fu un poema che celebrava la nascita del futuro Luigi XIV (Ecloga in portentosam Delphini nativitatem).  Gli è stato dedicato un asteroide, 4653 Tommaso.  Il pensiero di Campanella prende le mosse, in età giovanile, dalle conclusioni cui era giunto Bernardino Telesio; egli si riallaccia quindi al naturalismo telesiano, sostenendo che la natura vada conosciuta nei suoi propri principi, che sono tre: caldo, freddo e materia. Essendo tutti gli esseri formati da questi tre elementi, allora gli esseri della natura sono tutti dotati di sensibilità, in quanto la struttura della natura è comune a tutti gli enti; quindi mentre Telesio aveva affermato che anche i sassi possono conoscere, Campanella porta all'esasperazione questo naturalismo, e sostiene che anche i sassi conoscono, perché nei sassi noi ritroviamo questi tre principi, ovvero caldo, freddo e massa corporea (materia).  Il problema della conoscenza (e la rivalutazione dell'uomo) Il naturalismo di Campanella, in conseguenza di ciò, comporta una teoria della conoscenza essenzialmente sensistica: egli sosteneva infatti che tutta la conoscenza è possibile solo grazie all'azione diretta o indiretta dei sensi, e che Cristoforo Colombo aveva potuto scoprire l'America perché si era rifatto alla sensazione, non di certo alla razionalità. La razionalità deriva dalla sensazione: non esiste una conoscenza razionale intellettiva che non derivi da quella sensitiva. Tuttavia Campanella, a differenza di Telesio, cerca di rivalutare l'uomo e pertanto afferma l'esistenza di due tipi di conoscenze: una innata, una sorta di coscienza interiore, e una conoscenza esteriore, che si avvale dei sensi. La prima è definita ‘sensus inditus', che è la conoscenza di sé, la seconda ‘sensus additus' che è la conoscenza del mondo esterno. La conoscenza del mondo esterno appartiene a tutti, anche agli animali; la conoscenza di sé, invece, appartiene solo all'uomo, ed è la coscienza di essere un essere pensante. Campanella si rifà ad Agostino d'Ippona, poiché afferma che noi possiamo dubitare della conoscenza del mondo esterno, mentre non possiamo dubitare della conoscenza di sé. Questo ‘sensus inditus' sarà poi il punto essenziale della filosofia cartesiana, che si basa sul ‘cogito': io penso quindi esisto (cogito ergo sum).  La religione e la politica In base a queste premesse, Campanella si sofferma sulla religione che egli distingue in due tipologie: una religione naturale e religioni positive. La religione naturale è una religione che rispetta l'ordine universale dell'universo stesso; le religioni positive sono invece religioni che vengono imposte dallo stato. Campanella afferma però che il cristianesimo è l'unica religione positiva, poiché è imposto dallo stato, ma al contempo coincide con l'ordine naturale (cui però aggiunge il valore della rivelazione). Tuttavia anche questa teoria della religione razionale contrastava con i dogmi della Chiesa della Controriforma. Egli sostenne, del resto, la superiorità del potere temporale su quello spirituale, individuando poi il potere supremo, di volta in volta, nella Spagna e poi nella Francia, a seconda di convenienze politiche e personali.  La città del Sole Magnifying glass icon mgx2.svg La città del Sole.  Civitas Solis Campanella fu autore anche di un'importante opera di carattere utopico, ovvero La città del Sole. Nella Città del Sole egli descrive una città ideale, utopica, governata dal Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale, di cui Campanella stesso è sostenitore, pur presupponendo razionalmente che coincida con la religione cristiana. Questo re-sacerdote si avvale di tre assistenti, rappresentanti le tre primalità su cui si incentra la metafisica campanelliana: Potenza, Sapienza e Amore. In questa città vige la comunione dei beni e la comunione delle donne. Nel delineare la sua concezione collettivista della società, Campanella si rifà a Platone (V secolo a.C.) e all'Utopia di Tommaso Moro (1517); fra gli antecedenti dell'utopismo campanelliano è da annoverare anche La nuova Atlantide di Francesco Bacone. L'utopismo partiva dal presupposto che, poiché non si poteva realizzare un modello di Stato che rispecchiasse la giustizia e l'uguaglianza, allora questo Stato si ipotizzava, come aveva fatto a suo tempo Platone. È però importante sottolineare che, mentre Campanella tratta una realtà utopistica, Niccolò Machiavelli rappresenta la realtà concretamente, e la sua concezione dello Stato non è affatto utopistica, ma assume una valenza di metodo di governo, finalizzato ad ottenere e mantenere stabilmente il potere.  Interpretazioni storiografiche del pensiero politico L'incertezza è già evidente nell'interpretazione della critica idealistica, che, nei limiti di una conoscenza ancora incompleta dell'opera, coglie nel pensiero campanelliano un deciso orientamento in direzione del moderno immanentismo, contaminato tuttavia da residui del passato e della tradizione cristiana e medioevale.  Per Silvio Spaventa, Campanella è il "filosofo della restaurazione cattolica", in quanto la stessa proposizione che la ragione domina il mondo, è inficiata dalla convinzione che essa risieda unicamente nel papato. Non molto dissimile la lettura di Francesco de Sanctis: "Il quadro è vecchio, ma lo spirito è nuovo. Perché Campanella è un riformatore, vuole il papa sovrano, ma vuole che il sovrano sia ragione non solo di nome ma di fatto, perché la ragione governa il mondo". È la ragione che determina e giustifica i mutamenti politici, e questi ultimi "sono vani se non hanno per base l'istruzione e la felicità delle classi più numerose". Tutto ciò conduce Campanella, secondo il pensiero idealista, alla concezione di un moderno immanentismo. Opere Aforismi politici, A. Cesaro, Guida, Napoli 1997 An monarchia Hispanorum sit in augmento, vel in statu, vel in decremento, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Antiveneti, L. Firpo, Olschki, Firenze 1944 Apologeticum ad Bellarminum, G. Ernst, in «Rivista di storia della filosofia», XLVII, 1992 Apologeticus ad libellum ‘De siderali fato vitando’, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Apologeticus in controversia de concepitone beatae Virginis, A. Langella, L'Epos, Palermo 2004 Apologia pro Galileo, Michel-Pierre Lerner. Pisa, Scuola Normale Superiore, 2006 Apologia pro Scholis Piis, L. Volpicelli, Giuntine-Sansoni, Firenze 1960 Articoli prophetales, G. Ernst, La Nuova Italia, Firenze 1977 Astrologicorum libri VII, Francofurti 1630 L'ateismo trionfato, ovvero riconoscimento filosofico della religione universale contra l'antichristianesimo macchiavellesco, G. Ernst, Edizioni della Normale, Pisa 2004  88-7642-125-4 De aulichorum technis, G. Ernst, in «Bruniana e Campanelliana», II, 1996 Avvertimento al re di Francia, al re di Spagna e al sommo pontefice, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Calculus nativitatis domini Philiberti Vernati, L. Firpo, in Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 74, 1938-1939 Censure sopra il libro del Padre Mostro [Niccolò Riccardi]. Proemio e Tavola delle censure, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Censure sopra il libro del Padre Mostro: «Ragionamenti sopra le litanie di nostra Signora», A. Terminelli, Edizioni Monfortane, Roma 1998 Chiroscopia, G. Ernst, in «Bruniana e Campanelliana», I, 1995 La città del Sole, L. Firpo, Laterza, Roma-Bari 2008  88-420-5330-9 Commentaria super poematibus Urbani VIII, codd. Barb. Lat. 1918, 2037, 2048, Biblioteca Vaticana Compendiolum physiologiae tyronibus recitandum, cod. Barb. Lat. 217, Biblioteca Vaticana Compendium de rerum natura o Prodromus philosophiae instaurandae, FrancofurtiCompendium veritatis catholicae de praedestinatione, L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Consultationes aphoristicae gerendae rei praesentis temporis cum Austriacis ac Italis, L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Defensio libri sui 'De sensu rerum', apud L. Boullanget, Parisiis 1636 Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti e altri eretici, D. Ciampoli, Carabba, Lanciano 1911 Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Discorsi ai principi d'Italia, L. Firpo, Chiantore, Torino 1945 Discorsi della libertà e della felice soggezione allo Stato ecclesiastico, L. Firpo, s.e., Torino 1960 Discorsi universali del governo ecclesiastico, L. Firpo, UTET, Torino 1949 Disputatio contra murmurantes in bullas ss. Pontificum adversus iudiciarios, apud T. Dubray, Parisiis 1636 Disputatio in prologum instauratarum scientiarum, R. Amerio, SEI, Torino 1953 Documenta ad Gallorum nationem, L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Epilogo Magno, C. Ottaviano, R. Accademia d'Italia, Roma 1939 Expositio super cap. IX epistulae sancti Pauli ad Romanos, apud T. Dubray, Parisiis 1636 Index commentariorum Fr. T. Campanellae, L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia», II, 1947 Lettere 1595-1638, G. Ernst, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2000 Lista dell'opere di fra T. Campanella distinte in tomi nove, L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia», II, 1947 Medicinalium libri VII, ex officina I. Phillehotte, sumptibus I. Caffinet F. Plaignard, Lugduni 1635 Metafisica, Giovanni Di Napoli, (brani scelti del testo latino e traduzione italiana, 3 volumi), Bologna, Zanichelli 1967 Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta propria dogmata. Liber 1ºPonzio, Levante, Bari 1994 Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta propria dogmata. Liber 14º, T. Rinaldi, Levante, Bari 2000 Monarchia Messiae, L. Firpo, Bottega d'Erasmo, Torino 1960 Philosophia rationalis, apud I. Dubray, Parisiis 1638 (comprende Logicorum libri tres) Philosophia realis, ex typographia D. Houssaye, Parisiis 1637 Philosophia sensibus demonstrata, L. De Franco, Vivarium, Napoli 1992 Le poesie, F. Giancotti, Einaudi, Torino 1998 Poetica, L. Firpo, Mondatori, Milano 1954 De praecedentia, presertim religiosorum, M. Miele, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», LII, 1982 De praedestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae cento Thomisticus, apud I. Dubray, Parisiis 1636 Quod reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae, R. Amerio, CEDAM, Padova 1939 (L. I-II), Olschki, Firenze 1955-1960 (L. III-IV) Del senso delle cose e della magia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003 De libris propriis et recta ratione. Studendi syntagma, A. Brissoni, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996 Theologia, L. I-XXX, Libro Primo, Edizione Romano Amerio, Vita e Pensiero, Milano, 1936. Scelta di alcune poesie filosoficheChoix de quelques poésies philosophiques, Edizione Marco Albertazzi, Traduzione francese di Franc Ducros, La Finestra editrice, Lavis   978-88-95925-70-7. Campanella nel cinema La città del sole, regia di Gianni Amelio (1973) Note  A. Casadei, M. Santagati, Manuale di letteratura italiana medievale e moderna, Laterza, Roma-Bari 249.  Luigi Firpo, Campanella Tommaso, «Dizionario biografico degli Italiani», Roma 1974: «Non hanno fondamento le asserzioni ricorrenti, attizzate da un patetico campanilismo, che lo vorrebbero nato nel vicino comune di Stignano». Nel Novecento nacque una disputa campanilistica tra il comune di Stilo e quello di Stignano, che rivendica di aver dato i natali al filosofo calabrese e indica nel proprio territorio la presunta casa natale di Campanella  In Luigi Firpo, I processi di Tommaso Campanella, Roma 1998117  In Opere di Tommaso Campanella, Alessandro d'Ancona, Torino 185412. Un decreto del 16 maggio 1968 ad opera del Ministero della Pubblica Istruzione Caleffi fissa la casa natale di Tommaso Campanella nell'attuale Comune di Stignano, al tempo casale del vastissimo territorio di Stilo, adducendo a prova del fatto l'archivio provinciale di Napoli. La differente indicazione del cognome della madre, Basile e Martello, fa ritenere che quest'ultimo sia un soprannome  Massimo Baldini,Nota biobibliografica, in T. Campanella, La Città del Sole, Newton Compton, Roma 1995, p.16  T. Campanella, Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi, I  Germana Ernst, Tommaso Campanella: The Book and the Body of Nature [1 ed.], 9048131251, 9789048131259, Springer Netherlands, .  Gli amici Giovanni Francesco Branca, medico di Castrovillari, e Rogliano da Rogiano, entrambi telesiani, gli segnalarono il libro dell'aristotelico Marta, il Propugnaculum Arìstotelis adversus principia B. Telesii, Roma 1587  Philosophia sensibus demonstrata, impressum Neapoli per Horativm Salvianum 1591  Il libro è andato perduto  T. Campanella, Syntagma de libris propris14  John M. Headley, Tommaso Campanella and the Transformation of the World, 0691026793, 9780691026794, Princeton University Press, 1997.  T. Campanella, De sensu rerum et magia, II, 26  Pubblicata da Vincenzo Spampanato in Vita di Giordano Bruno, Messina 1921572  Il cardinale rispose che l'inquisitore fra Vincenzo da Montesanto gli aveva riferito che del Campanella «si rivedono molti libri pieni [...] di leggerezza e vanitade, e [...] ancora non sono chiari se vi sia cosa che appartenghi alla religione»; cfr: lettera del Del Monte a Ferdinando I del 25 settembre 1592 in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo, f. 3759  La vicenda di questo sequestro, simulato con il furto, è esaminata da Luigi Firpo, Appunti campanelliani, in «Giornale critico della filosofia italiana», XXI, 1940  Non vi sono documenti relativi a quell'episodio, essendone unica fonte lo stesso Campanella in due sue tarde lettere, a papa Paolo V il 12 aprile 1607 e a Kaspar Schoppe il 1º giugno dello stesso anno, nelle quali Campanella sottolinea la sua innocenza senza entrare in dettagli.  Campanella, lettera a Kaspar Schoppe del 1º giugno 1607: «accusarunt me quod composuerim librum de tribus impostoribus, qui tamen invenitur typis excusis annos triginta ante ortum meum ex utero matri».  Due libri di simile contenuto furono scritti soltanto alla fine del Seicento e ai primi del Settecento.  Campanella, ivi: «quod sentirem cum Democrito, quando ego iam contra Democritum libros edideram».  Ibidem: «quod de ecclesiae republica et doctrina male sentirem».  Ibidem: «quod sim haereticus».  Campanella, lettera al papa del 12 aprile 1607: «Primo ex dicto unius judaizantis molestatus». Il giudaizzante dovrebbe essere un certo Ottavio Longo da Barletta, anch'egli arrestato a Padova e processato a Roma.  Ibidem: «secundo ob rythmum impium Aretini non meum».  «Lecta depositione Scipionis Prestinacis de Stylo, Squillacensis Diocesis, facta in Curia archiepiscopali Neapolitana, Illustrissimi et Reverendissimi Domini Cardinales generales Inquisitionis praefatae mandaverunt dictum fratrem Thomam reduci ad carceres dictae Sanctae Inquisitionis», in L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella88  C. Dentice di Accadia, Tommaso Campanella, 1921,  43-44  Opere Tommaso Campanella, Apologia pro Galileo, Frankfurt am Main, Gottfried Tampach, 1622. Tommaso Campanella, Metaphysica,  1, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Metaphysica,  2, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Metaphysica,  3, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Poesie, Bari, Laterza, 1915.  Tommaso Campanella, Medicinalium libri, Lugduni, ex officina Ioannis Pillehotte : sumptibus Ioannis Caffin, & Francisci Plaignard, 1635. Delle virtù e dei vizi in particolare, testo critico e traduzione Romano Amerio, Ed. Centro internazionale di studi umanistici, Roma, 1978 Studi Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, 3 voll., Morano, Napoli 1882 (ristampa anastatica, Franco Pancallo Editore, Locri 2009). ID., L'andata di Fra Tommaso Campanella a Roma dopo la lunga prigionia di Napoli, Memoria letta all'Accademia Reale di Scienze Morali e Politiche, Tipografia della Regia Università, Napoli 1886 (ristampa anastatica, Franco Pancallo Editore, Locri 2009). ID., Fra Tommaso Campanella ne' castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, 2 voll., Morano, Napoli 1887. Giuliano F. Commito, IUXTA PROPRIA PRINCIPIALibertà e giustizia nell'assolutismo moderno. Tra realismo e utopia, Aracne, Roma, 2009,  978-88-548-2831-5. 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Campanelliana. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Campanella," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690446907/in/photolist-2mTm2Vr-2mSN9XK-2mS3srj-2mPF8UJ-2mPBcCB-2mPsU62-2mN5uFu-2mKBUNK-2mKNM4g-2mKHdnD-2mKM4Dx-2mPYoE5-2mKxDSr-2mKHkna-2mKH3ZR-2mKwo7R-2mKC3nj-2mKw3hq-2mKyDgW-2mKiLqb-2mJPC2N-2mJ3q6x

 

Cantoni (Gropello Cairoli). Filosofo. “Kant”. Filosofia fascista.

 

Cantoni – Romolo e Remo; ovvero, il mito e la storia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “You gotta love Cantoni; I call him the Italian Hampshire! Cantoni philosophises on ‘anthropology’ and he has not the least interest in past philosophies, -- only contemporary! – Oddly, he reclaimed the good use of ‘primitive,’ meaning ‘originary,’ and he has philosophised on pleasure and com-placent – also on ‘seduction,’ and eros. It is most interesting that he reclaimed the concept of ‘umano,’ when dealing with anthropology, as he considers the ‘disumano’, and the ‘crisi dell’uomo,’ and also the ‘desagio dell’uomo’ – He has philosophised on the complex concept of the ‘tragic’ alla Nietzsche – and he dared translate my métier and Fichte’s bestimmung as ‘la missione dell’uomo’! – Like other Italian philosophers they joke at trouser words and he has philosophised on ‘what Socrates actually said’! My favourite is his treatise on Remo and Romolo in ‘mito e storia’. In opposizione alla tradizione storicista, idealistica crociana si occupa di cultura e storia usando contaminazioni sociologiche e antropologiche. Per queste aperture venne considerato uno dei maggiori promotori dell'antropologia culturale in Italia. Nel solco del maestro Banfi e uno dei maggiori esponenti della "Scuola di Milano".  Oltre ai numerosi volumi pubblicati fonda le riviste Studi filosofici e Il pensiero critico.  Fu allievo di Banfi, amico di Sereni e Formaggio. Nella cerchia di amicizie di Banfi conobbe Antonia Pozzi che di lui si innamorò di amore non corrisposto. In una lettera a Sereni ella scrisse:  «[…] Non riesco nemmeno a trarre un senso da tutti questi giorni che abbiamo vissuto insieme: sono qui, in questa pausa di solitudine, come un po' d'acqua ferma per un attimo sopra un masso sporgente in mezzo alla cascata, che aspetta di precipitare ancora. Vivo come se un torrente mi attraversasse; tutto ha un senso di così immediata fine, e è sogno che sa d'esser sogno, eppure mi strappa con così violente braccia via dalla realtà. […] Sempre così smisuratamente perduta ai margini della vita reale: difficilmente la vita reale mi avrà e se mi avrà sarà la fine di tutto quello che c'è di meno banale in me. Forse davvero il mio destino sarà di scrivere dei bei libri per i bambini che non avrò avuti. Povero Manzi: senza saper niente, mi chiamava Tonia Kröger. E questi tuoi occhi che sono tutto un mondo, con già scritta la tua data di morte […] Un'ora sola in cui si guardi in silenzio è tanto più vasta di tutte le possibili vite […]»  Cantoni define come "primitivo" quel pensiero sincretico che non distingueva nettamente tra mito e realtà tra affezione e razionalità. In questo senso "primitivo" assume una valenza psicologica più che antropologica. Il pensiero mitico, scrive in "Pensiero dei primitivi, preludio ad un'antropologia", non è "arbitrario e caotico", ma pervaso di una razionalità, una razionalità fusa in un crogiuolo affettivo. Yna delle differenze fondamentali tra il pensiero moderno e quello primitivo consiste nel fatto che il pensiero moderno ha una chiara coscienza della relazione e dell'intreccio delle varie forme culturali tra loro e può sempre transitare da una all'altra quando lo voglia; mentre noi sappiamo, ad esempio, che v'è un conflitto tra la scienza e la religione, l'arte e la morale, il sogno e la realtà, il pensiero logico e la creazione mitica, i primitivi mantengono tutte queste forme su di un piano indistinto per cui fondono e confondono ciò che noi non sempre distinguiamo, ma possiamo pur sempre distinguere. Questa mancanza di distinzioni nette è uno dei caratteri più salienti della mentalità primitive. Quindi sogno e realtà trapassano uno nell'altro e costituiscono nella loro saldatura un continuum omogeneo. Si ocupa  occupò con prefazioni, traduzioni, curatele e altro di Kierkegaard, Dostoevskij, Nietzsche, Kafka, Spinoza, Fichte, Renan, Hartmann, Huxley, Balzac, Jaspers, Banfi, Durkheim, Sofocle e Musil.  Altre opere: “Il pensiero dei primitivi, Milano: Garzanti); Estetica ed etica nel pensiero di Kierkegaard, Milano: Denti); Crisi dell'uomo: il pensiero di Dostoevskij, Milano: Mondadori, 1948, n. ed. Milano: Il Saggiatore); La coscienza inquieta: Soren Kierkegaard, Milano: Mondadori, 1949; n. ed. Milano: Il Saggiatore, 1976 Mito e storia, Milano: Mondadori); La vita quotidiana: ragguagli dell'epoca, Milano: Mondadori, 1955 (articoli apparsi su "Epoca" 1950-54); n. ed. Milano: Il Saggiatore); La coscienza mitica, Milano: Universitarie, 1957 (lezioni dell'anno accademico 1956-57) Umano e disumano, Milano: IEI); Il pensiero dei primitivi, Milano: La goliardica, 1959 Il tragico come problema filosofico, Milano: La goliardica); La crisi dei valori e la filosofia contemporanea: con appendice sullo storicismo, Milano: La goliardica); Filosofia del mito, Milano: La goliardica); Il problema antropologico nella filosofia contemporanea, Milano: La goliardica, 1963 Tragico e senso comune, Cremona: Mangiarotti, 1963 Società e cultura, Milano: La goliardica, 1964 Filosofie della storia e senso della vita, Milano: La goliardica, 1965 Scienze umane e antropologia filosofica, Milano: La goliardica, 1966 Illusione e pregiudizio: l'uomo etnocentrico, Milano: Il Saggiatore, 1967, 1970 Storicismo e scienze dell'uomo, Milano: La goliardica, 1967 Personalità, anomia e sistema sociale, Milano: La goliardica); Che cosa ha veramente detto Kafka, Roma: Ubaldini); Il significato del tragico, Milano: La goliardica, 1970 Introduzione alle scienze umane, Milano: La goliardica); Che cosa ha detto veramente Hartmann, Roma: Ubaldini, 1972 Robert Musil e la crisi dell'uomo europeo, Milano: La goliardica, 1972; n. ed. Milano: Cuem); Persona, cultura e società nelle scienze umane, Milano: Cisalpino-Goliardica); Antropologia quotidiana, Milano: Rizzoli); Il senso del tragico e il piacere, prefazione di Nicola Abbagnano, Milano: Editoriale nuova, 1978 Franz Kafka e il disagio dell'uomo contemporaneo, con una nota di Carlo Montaleone , Milano: Unicopli).  Attiva tra 1950 ed il 1962 e edita dall'Istituto Editoriale Italiano  Lettere d'amore di Antonia Pozzi Archiviato il 12 dicembre 2008 in . il 17 dicembre 2008  Carlo Montaleone, Cultura a Milano nel dopoguerra. Filosofia e engagement in Remo Cantoni, Torino: Bollati Boringhieri, 1996  8833909689 Caterina Genna, «Il pensiero critico» di Remo Cantoni, Firenze: Le Lettere, 2008  8860871603 Massimiliano Cappuccio e Alessandro Sardi , Remo Cantoni, Milano: Cuem, 2007  9788860011381 Clementina Gily Reda, L'antropologia filosofica di Remo Cantoni. Miti come arabeschi, Fondazione Ugo Spirito, 2008  8886225091  Antonia Pozzi Antonio Banfi Scuola di Milano Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Remo Cantoni Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Remo Cantoni  sito di Antonia Pozzi, su antoniapozzi. Filosofia Letteratura  Letteratura Università  Università Filosofo del XX secoloAccademici italiani Professore1914 1978 14 ottobre 3 febbraio Milano MilanoStudenti dell'Università degli Studi di MilanoProfessori dell'Università degli Studi di CagliariProfessori della SapienzaRomaProfessori dell'Università degli Studi di PaviaProfessori dell'Università degli Studi di MilanoFondatori di riviste italianeDirettori di periodici italiani. Remo Cantoni. Keywords: Romolo e Remo; ovvero, il mito e la storia, Carlo Cantoni, filosofo, Remo Cantoni filosofo, mito e storia, implicatura mitica, la morte di Remo, prejudices and predilections, umano, preludio a un’antropologia, il primitivo. Il mito di Remo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cantoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51779004288/in/dateposted-public/

 

Grice e Capitini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo. Grice: “I love Capitini: his idea (or ‘paradigma,’ as he prefers, echoing Plato and Kuhn) of ‘compresenza conversazionale’ is genial and Griceian! Capitini abbreviates all my pragmatics in the ‘tu’ – or ‘noi,’ – “I am born when I say ‘thou’’ – translated alla Buber – what more conversationally implicaturish can THEE be? (I’m using West-Country puritan patois!”). Fu uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere chiamato il Gandhi italiano.   Nato in una famiglia modesta, Capitini si dedica dapprima agli studi tecnici, per necessità economiche e, in seguito, a quelli letterari, come autodidatta. La madre lavora come sarta e il padre era impiegato comunale, custode del campanile municipale di Perugia. Ritenuto inabile al servizio militare per ragioni di salute, non partecipa alla Prima guerra mondiale. Dopo gli studi della scuola tecnica e dell'istituto per ragionieri, dai diciannove ai ventuno anni si dedica alla lettura dei classici latini e greci, studiando da autodidatta anche dodici ore al giorno, dando così inizio al suo ininterrotto lavoro di approfondimento interiore e filosofico.  In questi anni legge autori e libri molto diversi tra loro, su cui forma la propria cultura letteraria e filosofica: D'Annunzio, Marinetti, Boine, Slataper, Jahier, Ibsen, Leopardi, Manzoni, la Bibbia, Gobetti, Michelstaedter, Kant, Kierkegaard (profondamente influenzato dal Vangelo), Francesco d'Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. In questo periodo aderisce quindi al pensiero nonviolento del politico indiano.  Nel 1924 vince una borsa di studio presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nel curriculum universitario di Lettere e Filosofia. Capitini critica aspramente il Concordato con la Chiesa cattolica, da lui giudicato una "merce di scambio" per ottenere da Pio XI e dalle gerarchie ecclesiali un atteggiamento "morbido" nei confronti del fascismo. In uno dei suoi libri arriva ad affermare che «...se c'è una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista è di aver chiarito per sempre che la religione è una cosa diversa dall'istituzione».  Nel 1930 viene nominato segretario della Normale di Pisa. Durante il periodo trascorso a Pisa, Capitini matura la scelta del vegetarianismo come conseguenza della scelta di non uccidere, e ogni suo pasto alla mensa della Normale diventa un comizio efficace e silenzioso, un'affermazione della nonviolenza in opposizione alla violenza del regime fascista.  Insieme a Claudio Baglietto, suo compagno di studi, promuove tra gli studenti della Scuola Normale riunioni serali dove diffonde e discute scritti sulla nonviolenza e la nonmenzogna. Allorché Baglietto, recatosi all'estero con una borsa di studio, rifiuta di tornare in Italia in quanto obiettore di coscienza al servizio militare, scoppia lo scandalo e il direttore della Scuola Normale Giovanni Gentile, per reazione, chiede a Capitini l'iscrizione al partito fascista. Capitini rifiuta e Gentile ne decide il licenziamento. Sergio Romano scriverà:  «Gentile e Capitini si separarono poco tempo dopo nella sala delle adunanze del palazzo dei Cavalieri. Il filosofo disse di sperare che "le future esperienze gli facessero vedere la vita e la realtà delle cose sotto un aspetto diverso"; e Capitini rispose che non poteva fare altro che "contraccambiare l'augurio". Fu certamente una rottura. Ma non appena il giovane pacifista uscì dalla sala, il filosofo si voltò verso Francesco Arnaldi, che aveva assistito a questo scambio di battute, e disse "Abbiamo fatto bene a mandarlo via perché, oltre tutto, è un galantuomo".»   Benedetto Croce; in riferimento a lui Capitini scriverà: «dal Croce può venire il servizio ai valori. Il Croce è greco-europeo, perché la civiltà europea porta al suo sommo l'affermazione dei valori». A questo punto Capitini torna a Perugia nella casa paterna, vivendo di lezioni private. Nel periodo di tempo tra il 1933 e il 1934 compie frequenti viaggi a Roma, Firenze, Bologna, Torino e Milano per incontrare numerosi amici antifascisti e intessere in questo modo una fitta rete di contatti.  Nell'autunno del 1936 a Firenze, a casa di Luigi Russo, ha modo di conoscere Benedetto Croce, a cui consegna un pacco di dattiloscritti che Croce apprezza e fa pubblicare nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventano uno tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista.   Giovanni Gentile negli anni trenta, ai tempi del direttorato alla Normale In seguito alla larga diffusione del suo libro, Capitini promuove assieme a Guido Calogero un movimento culturale che negli anni successivi cercherà di trasformare in un progetto politico atto a realizzare le idee di libertà individuale e di uguaglianza sociale contenute negli "Elementi". Nasce così il Movimento Liberalsocialista, in un anno segnato dall'assassinio dei Fratelli Rosselli, dalla morte di Antonio Gramsci e da una forte ondata di violenza repressiva contro l'opposizione antifascista. Alle attività del movimento collaborano, tra gli altri, Ugo La Malfa, Giorgio Amendola, Norberto Bobbio e Pietro Ingrao.  Nel febbraio 1942 la polizia fascista effettua una retata nel corso di una riunione del gruppo dirigente liberalsocialista, in seguito alla quale Capitini e gli altri partecipanti alla riunione vengono rinchiusi nel carcere fiorentino delle Murate. Dopo quattro mesi Capitini viene rilasciato, grazie alla sua fama di "religioso". «Quale tremenda accusa contro la religione, se il potere ha più paura dei rivoluzionari che dei religiosi», commenterà più tardi.  Nel giugno 1942 nasce il Partito d'Azione, la cui dirigenza proviene direttamente dalle file del liberalsocialismo. Capitini rifiuta di aderire a qualsiasi partito, poiché a suo giudizio «... il rinnovamento è più che politico, e la crisi odierna è anche crisi dell'assolutizzazione della politica e dell'economia». Per il suo rifiuto di collocarsi all'interno delle logiche dei partiti, Capitini rimane escluso sia dal Comitato di Liberazione Nazionale, sia dalla Costituente, pur avendo lui dato un'impronta indelebile alla nascita della Repubblica con il suo lavoro culturale, politico, filosofico e religioso di opposizione morale al fascismo.  Nel maggio 1943 Capitini viene nuovamente arrestato e rinchiuso, questa volta, nel carcere di Perugia; viene definitivamente liberato col 25 luglio.   Capitini tra gli anni '30 e '40 Il Centro di Orientamento Sociale (COS) Nel 1944 Capitini cerca di realizzare un primo esperimento di democrazia diretta e di decentralizzazione del potere, fondando a Perugia il primo Centro di Orientamento Sociale, un ambiente progettuale e uno spazio politico aperto alla libera partecipazione dei cittadini, uno «...spazio nonviolento, ragionante, non menzognero», secondo la definizione data dallo stesso Capitini. Durante le riunioni del COS i problemi di gestione delle risorse pubbliche vengono discussi liberamente assieme agli amministratori locali, invitati a partecipare al dibattito per rendere conto del loro operato e per recepire le proposte dell'assemblea, con l'obiettivo di far diventare "tutti amministratori e tutti controllati". A Partire da Perugia, i COS si moltiplicano in diverse città d'Italia: Ferrara, Firenze, Bologna, Lucca, Arezzo, Ancona, Assisi, Gubbio, Foligno, Teramo, Napoli e in moltissimi altri luoghi.   Aldo Capitini nel 1929 I Centri di Orientamento Sociale si sono diffusi sul territorio nazionale, scontrandosi tuttavia con l'indifferenza della Sinistra e con l'aperta ostilità della Democrazia Cristiana, che impediscono l'affermazione su scala nazionale dell'autogoverno e della decentralizzazione del potere sperimentati con successo nelle riunioni dei COS.  Nel secondo dopoguerra Capitini diventa rettore dell'Università per stranieri di Perugia (come Commissario, dal 1944 al 1946), un incarico che sarà costretto ad abbandonare a causa delle fortissime pressioni della locale Chiesa cattolica. Si trasferisce a Pisa, dove ricopre il ruolo di docente incaricato di Filosofia morale presso l'università degli Studi.  Parallelamente all'attività didattica, politica e pedagogica, Capitini prosegue la sua attività di ricerca spirituale e religiosa, promuovendo nel 1947 il Movimento di religione insieme a Ferdinando Tartaglia, singolare figura di sacerdote scomunicato ed audace teologo, che però se ne allontanerà nel 1949. Negli anni che vanno dal 1946 al 1948 il Movimento di religione organizza una serie di convegni con cadenza trimestrale, che culminano con il "Primo congresso per la riforma religiosa" (Roma 13/15 ottobre 1948).  Nel 1948 il giovane Pietro Pinna, dopo aver ascoltato Capitini in un convegno promosso a Ferrara dal Movimento di religione, matura la sua scelta di obiezione di coscienza: è il primo obiettore del dopoguerra. Pinna è processato dal tribunale militare di Torino il 30 agosto 1949 e a nulla serve la testimonianza a suo favore di Aldo Capitini. Pinna subisce una serie di processi, condanne e carcerazioni, fino al definitivo congedo per una presunta "nevrosi cardiaca". Agli inizi degli anni 60 si dimetterà dal suo impiego in banca per raggiungere Danilo Dolci in Sicilia e dopo un anno si trasferirà a Perugia per diventare il più stretto collaboratore di Capitini.  Dopo l'arresto di Pinna, Capitini promuove una serie di attività per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, convocando a Roma nel 1950 il primo convegno italiano sul tema.  Il Centro di Orientamento Religioso (COR)  Un primo piano di Aldo Capitini (ca. 1960) Nel 1952, in occasione del quarto anniversario dell'uccisione di Gandhi, Capitini promuove un convegno internazionale e fonda il primo Centro per la nonviolenza. Sempre nel 1952 Capitini affianca ai Centri di Orientamento Sociale il Centro di Orientamento Religioso (COR), fondato a Perugia con Emma Thomas (una quacchera inglese di ottant'anni). Il COR è uno spazio aperto, in cui trova espressione la religiosità e la fede di tutte le persone, i movimenti e i gruppi che non trovavano posto nel Cattolicesimo preconciliare. Lo scopo dei COR era quello di favorire la conoscenza delle religioni diverse dalla cattolica, e di stimolare i cattolici stessi ad un approccio più critico e impegnato alle questioni religiose.  La Chiesa locale vieta la frequentazione del Centro di Orientamento Religioso, e quando nel 1955 Capitini pubblica Religione Aperta il libro viene immediatamente inserito nell'Indice dei libri proibiti. Nonostante l'ostracismo delle alte gerarchie ecclesiali, Capitini stabilisce ugualmente degli efficaci rapporti di collaborazione con alcuni cattolici come Don Lorenzo Milani e Don Primo Mazzolari.  Capitini organizza a Perugia un convegno su La nonviolenza riguardo al mondo animale e vegetale e, insieme a Edmondo Marcucciautore di Che cos'è il vegetarismo e, al pari di Capitini, mai iscritto al partito fascistafonda la prima organizzazione nazionale di coordinamento delle tematiche del vegetarianismo, la "Società vegetariana italiana".  La polemica tra Capitini e la Chiesa Cattolica continua anche dopo il Concilio Vaticano II, con la pubblicazione del libro Severità religiosa per il Concilio. A partire dal 1956 Capitini insegna all'Cagliari come docente ordinario di Pedagogia e nel 1965 ottiene un definitivo trasferimento a Perugia. Nel marzo 1959 è tra i fondatori dell'ADESSPI, l'Associazione di Difesa e Sviluppo della Scuola Pubblica in Italia. Capitini arriva a chiedere al proprio vescovo di non essere più annoverato nella Chiesa, lui profondamente religioso, della quale non condivideva più i metodi e le idee.   La prima Bandiera della pace  Bandiera della pace portata da Capitini nella prima marcia Perugia-Assisi, attualmente custodita presso la Biblioteca San Matteo degli Armeni del comune di Perugia. Domenica 24 settembre 1961 Capitini organizza la Marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli, un corteo nonviolento che si snoda per le strade che da Perugia portano verso Assisi, una marcia tuttora proposta in media ogni due/tre anni dalle associazioni e dai movimenti per la pace. In questa occasione viene per la prima volta utilizzata la Bandiera della pace, simbolo dell'opposizione nonviolenta a tutte le guerre. Capitini descrive l'esperienza della marcia nel libro Opposizione e liberazione: «Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia». Aderiscono molte personalità, tra cui lo scrittore Italo Calvino. L'impegno di Capitini per la pace infranazionale e internazionale (con particolare attenzione al pericolo atomico) lo coinvolse sempre più in una collaborazione con Norberto Bobbio, il quale raccoglierà tali riflessioni nell'opera Il problema della guerra e le vie della pace.  Negli ultimi anni della sua vita Capitini fonda e dirige un periodico intitolato Il potere di tutti, sviluppando i principi di quella che lui definì "omnicrazia", la gestione diffusa e delocalizzata del potere da lui contrapposta al centralismo dei partiti. In questi anni Capitini promuove anche il Movimento nonviolento per la Pace e il mensile "Azione nonviolenta", l'organo di stampa del movimento, che attualmente viene pubblicato a Verona.  Dedito completamente al suo lavoro di divulgatore della nonviolenza, Capitini non si sposò mai, per scelta, in modo da poter dedicare tutte le proprie energie alla sua attività.  Il 19 ottobre 1968 Aldo Capitini muore circondato da amici e allievi, dopo aver subìto un intervento chirurgico che consuma le sue ultime energie. Il 21 ottobre il leader socialista Pietro Nenni scrive una nota sul suo diario: «È morto il prof. Aldo Capitini. Era una eccezionale figura di studioso. Fautore della nonviolenza, era disponibile per ogni causa di libertà e di giustizia. (...) Mi dice Pietro Longo che a Perugia era isolato e considerato stravagante. C'è sempre una punta di stravaganza ad andare contro corrente, e Aldo Capitini era andato contro corrente all'epoca del fascismo e nuovamente nell'epoca post-fascista. Forse troppo per una sola vita umana, ma bello». È sepolto a Perugia nella tomba di amici del C.O.R., insieme a Emma Thomas.  Il pensiero Religione e laicità  Il Mahatma Gandhi Aldo Capitini aveva l'abitudine di definirsi un "religioso laico". Egli accomunava la religione alla morale in quanto essa critica la realtà e la spinge al cambiamentoin positivo. Quella di Capitini era un'opposizione religiosa al fascismo. Il sentimento religioso, inoltre, nasce nei momenti di difficoltà e sofferenza, in particolare nel rapporto individuale con la morte. L'idea di laicità nasceva dal distacco di Capitini dalla Chiesa cattolica, complice del regime: egli sosteneva che col Concordato del 1929 la Chiesa avesse legittimato il potere di Mussolini, dimenticando le violenze squadriste e, in tal modo, lo sostenesse garantendo la sua moralità di fronte alla maggior parte della popolazione che riponeva fiducia nell'istituzione religiosa. Capitini è molto distante dalla religione istituzionalizzata. Dio, come Ente, non esiste per Capitini: per evitare ogni equivoco e marcare la distanza della sua concezione religiosa da quella corrente, Capitini preferirà parlare di compresenza piuttosto che di Dio; per la stessa ragione, per indicare la vita religiosa così intesa non parla di fede, ma riprende da Michelstaedter il termine persuasione. Capitini si dichiara post-cristianoevidente anche dal suo "sbattezzo"e non cattolico, ma ama e si ispira alle figure religiose. Ogni figura con una profonda credenza, anche laica, è per lui un "religioso". Egli nega con decisione la divinità di Gesù Cristo: convinzione senza la quale non si può essere cristiani. Contesta, come Tolstoj, tutti gli aspetti leggendari e non dimostrabili dei Vangeli, compresa la Risurrezione. Ciò che apprezza sono le Beatitudini, il modello spirituale di un agire verso gli ultimi. Gesù ha insegnato dove può giungere una coscienza religiosa, è stato più di un uomo: "fu anche lui, come tutti, un essere con certi limiti; ma d'altra parte fu in lui, come in ogni altro essere, la qualità della coscienza che va oltre i limiti, che è in lui come in un mendicante" scrive negli Elementi. L'imitazione di Cristo secondo Capitini non è altro che realizzazione della propria realtà umana. Si potrebbe ugualmente parlare di una imitazione del Buddha, di Francesco d'Assisi, di Gandhi, di Tolstoj e molti altri.  Persuasione, apertura, compresenza, omnicrazia Col termine "persuasione", ripreso da Carlo Michelstaedter e da Gandhi, Capitini indicava la fede, sia in senso laico sia religioso, la profonda credenza in determinati valori ed assunti, e tramite essa, la capacità di persuadere gli altri della bontà del proprio ideale.   Il professor Aldo Capitini negli anni '60 L'apertura è l'opposto della chiusura conservatrice ed autoritaria del fascismo, e l'elevazione dell'anima verso l'alto e verso Dio.  Un concetto chiave nella filosofia capitiniana era la compresenza di tutti gli esseri, dei morti e dei viventi, legati tra loro ad un livello trascendente, uniti e compartecipi nella creazione di valori.  Nella vita sociale e politica la compresenza si traduce in omnicrazia, o governo di tutti, un processo in cui la popolazione tutta prende parte attiva alle decisioni e alla gestione della cosa pubblica.  La nonviolenza e il liberalsocialismo Non può mancare il concetto di nonviolenza, un ideale nobile, sinonimo di amore, coerenza di mezzi e fini, la forza in grado di sconfiggere il fascismo, che non è solo un regime, ma anche un modo di essere violento e autoritario.  Il liberalsocialismo di Capitini e di Guido Calogero si sviluppa in modo autonomo dal socialismo liberale di Carlo Rosselli. Si forma infatti in un periodo posteriore, quando il regime fascista è vicino al collasso, nell'ambiente dei giovani crociani che hanno studiato ed insegnato alla Normale di Pisa, mentre il pensiero di Rosselli, che lo precede temporalmente, essendosi forgiato nel fuoco della lotta antifascista, in Italia e in Europa, già a partire dagli anni Venti, si iscrive in modo diretto nella tradizione socialista. Capitini per liberalismo intende il libero sviluppo personale, la libera ricerca spirituale e la produzione di valori. Il socialismo è invece nei suoi intendimenti la realizzazione nel lavoro, l'assistenza fraterna dell'umanità lavoratrice soggetto corale della storia. Anche se «...il socialismo liberale di Rosselli […] è una delle eresie del socialismo, mentre il liberalsocialismo è un'eresia del liberalismo» (M. Delle Piane), si può affermare tuttavia che entrambi condividessero la critica ai totalitarismi,sia di destra che di sinistra, una visione laica della politica e l'obiettivo di una profonda riforma morale e sociale dell'Italia distrutta dalla guerra.  L'educazione e la civiltà L'educazione "profetica" è quella di colui che, con uno sguardo al futuro, è capace di criticare la realtà sulla base di valori morali, anche a costo di sembrare fuori dal suo tempo. Con l'espressione "civiltà pompeiana-americana" intende biasimare la mentalità materialista che vede nel lusso e nel possesso la realizzazione delle persone. Il "tempo aperto" è il tempo libero che ognuno potrebbe destinare alla discussione, alla socializzazione, al raccoglimento, all'elevazione spirituale. Ad Aldo Capitini sono intitolate strade in molte città di Italia: Perugia, Firenze, Roma, Pisa, Milano, ecc  Riconoscimenti Ad Aldo Capitini sono oggi intitolati un Istituto di istruzione tecnica economica e tecnologica, un centro congressi a Perugia, un'Aula magna all'interno dell'Cagliari, presso la Facoltà di Studi umanistici. Altre opere: “Esperienza religiosa” Laterza, Bari); “Vita religiosa, Cappelli, Bologna); “Atti della presenza aperta, Sansoni, Firenze); “Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, Firenze); “Esistenza e presenza del soggetto in Atti del Congresso internazionale di Filosofia (II ), Castellani, Milano); “La realtà di tutti, Arti Grafiche Tornar, Pisa); “Italia nonviolenta, Libreria Internazionale di Avanguardia, Bologna); “Nuova socialità e riforma religiosa, Einaudi, Torino); “L'atto di educare, La Nuova Italia, Firenze); “Religione aperta, Guanda, Modena); “Colloquio corale, Pacini Mariotti, Pisa); “Discuto la religione di Pio XII, Parenti, Firenze); “Aggiunta religiosa all'opposizione, Parenti, Firenze); "Danilo Dolci", Piero Lacaita Editore, Manduria); “Battezzati non credenti, Parenti, Firenze); “Antifascismo tra i giovani, Celebes editore, Trapani); “La compresenza dei morti e dei viventi, Saggiatore, Premio Viareggio Speciale); “Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, Milano (rist. Linea D'Ombra, Milano 1989; rist. Edizioni dell'asino, Roma); “Educazione aperta” La Nuova Italia, Firenze); “Il potere di tutti, introduzione di N. Bobbio, prefazione diPinna, La Nuova Italia, Firenze); “Scritti sulla nonviolenza, L. Schippa, Protagon, Perugia); “Scritti filosofici e religiosi, M. Martini, Protagon, Perugia); “Il potere di tutti, 2 ed. riveduta e corretta, Guerra Edizioni, Perugia); “Opposizione e liberazione: una vita nella nonviolenza, Piergiorgio Giacché, Napoli, L'ancora del Mediterraneo. Le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti, Mario Martini, ETS, Pisa scheda; Lettere;  "Epistolario di Aldo Capitini, 1"con Walter Binni, L. Binni e L. Giuliani, Carocci, Roma (intr.di M. Martini). Lettere, "Epistolario di Aldo Capitini, 2"con Danilo Dolci, G. Barone e S. Mazzi, Carocci, Roma); La religione dell'educazione: scritti pedagogici, Piergiorgio Giacché, La meridiana, Molfetta); Lettere 1936-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 3"con Guido Calogero, Th. Casadei e G. Moscati, Carocci, Roma.  L'atto di educare, M. Pomi, Armando editore, Roma.  Lettere, "Epistolario di Aldo Capitini, 4"con Edmondo Marcucci, A. Martellini, Carocci, Roma.  Religione Aperta, M.Martini, Laterza, Roma-Bari.  Lettere 1937-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 5"con Norberto BobbioPolito, Carocci, Roma.  Lettere familiari, "Epistolario di Aldo Capitini, 6"M. Soccio, Carocci, Roma.  Un'alta passione, un'alta visione. Scritti politici 1935-1968L. Binni e M. Rossi, Il Ponte Editore, Firenze.  Attraverso due terzi del secolo, Omnicrazia: il potere di tuttiL. Binni e M. Rossi, Il Ponte Editore, Firenze.  La mia nascita è quando dico un tu, quaderno per la ricercaLanfranco Binni e Marcello Rossi, Il Ponte Editore, Firenze.  Antifascismo tra i giovani, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze.  Nuova socialità e riforma religiosa, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze.  La compresenza dei morti e dei viventi, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze.  Educazione aperta collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte ditore, Voll. 1-2, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. Note  Incontro con il "Gandhi" italiano, La Stampa, 22 giugno 1968; Il Gandhi Italiano, Panorama, Tale soprannome è condiviso con altri, come Danilo Dolci e Franco Corbelli  Capitini ricorderà: «Gentile era impaziente che io sistemassi le cose e me ne andassi, perché ero divenuto di colpo vegetariano (per la convinzione che esitando davanti all'uccisione degli animali, gli italianiche Mussolini stava portando alla guerraesitassero ancor di più davanti all'uccisione di esseri umani): e a Gentile infastidiva che io, mangiando a tavola con gli studenti, come continuavo a fare, fossi di scandalo con la mia novità». (citato in Lorenzo Guadagnucci, Restiamo animali, Milano, Terre di mezzo)  Sergio Romano, Aldo Capitini e il pacifismo alla Scuola Normale, Corriere della Sera, 4 luglio 2006.  l'8 febbraio  18 giugno ).  Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, 1966131.  Da Le lettere di religione Archiviato il 26 novembre  in . su aldocapitini  Edmondo Marcucci, Che cos'è il vegetarismo?, Società vegetariana italiana, 1953.  Giulio Angioni, Tutti dicono Sardegna, Cagliari, Edes, 1990, 3049  Dal sito del COS fondato da Capitini[collegamento interrotto]  Testimonianza di Luciano Capitini, figlio del cugino di primo grado Piero, il parente più stretto di Capitini  Antonio Vigilante, Religione e nonviolenza in Aldo Capitini.  Martini Mario, Aldo Capitini e le possibilità religiose della laicità, Nuova antologia : 608, 2262, 2, , Firenze (FI): Le Monnier, .  Nel 1938 aveva reso visita a Piero Martinetti, ritiratosi nella sua villa di Spineto a Castellamonte, con le cui concezioni religiose aveva una grande sintonia.  Per un approfondimento, vedi i seguenti testi: G. Calogero, Difesa del liberalsocialismo, Marzorati, Milano, 1972; M. Bovero, V. Mura, F. Sbarberi , I dilemmi del liberalsocialismo, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994; A. Capitini, Liberalsocialismo, e/o, Roma, 1996 (che raccoglie una serie di scritti apparsi fra il '37 e il '49).  Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci. 9 agosto .  Piero Craveri, CAPITINI, Aldo, in Dizionario biografico degli italiani,  18, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975. 26 maggio .  Norberto Bobbio, La filosofia di Aldo Capitini, Religione e politica in Aldo Capitini, in Id., Maestri e compagni, Firenze, Passigli Editori, Antonio Areddu, La via italiana al gandhismo in “Il Manifesto”, Antonio Areddu, Non violenza e utopia. Aldo Capitini ed Ernst Bloch, in “Behemoth”, trimestrale di cultura politica, a. 1988,  4, fasc.1-2. Giacomo Zanga, Aldo Capitini. La sua vita, il suo pensiero, Torino, Bresci Editore, 1988. 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Polito, Pietro, editor; Impagliazzo, Pina, editor, Norberto Bobbio: testimonianze e ricordi su Aldo Capitini, Nuova antologia: 607, 2260,  (Firenze (FI): Le Monnier). Mario Martini, Aldo Capitini e le possibilità religiose della laicità, Nuova antologia: 608, 2262, 2,  (Firenze (FI): Le Monnier). Aldo Capitini (Lanfranco Binni e Marcelo Rossi), Numero speciale di “Il Ponte” n.4, luglio-agosto .  Danilo Dolci Pietro Pinna Guido Calogero Mahatma Gandhi Nonviolenza Alberto L'Abate Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Aldo Capitini Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Aldo Capitini  Aldo Capitini, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Aldo Capitini, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Aldo Capitini, su sapere, De Agostini. Opere di Aldo Capitini, .  Associazione "Amici di Aldo Capitini", su citinv. Puntata de "La grande storia", su rai. 3 ottobre  7 marzo ). Tesi di laurea: Guido Calogero, Aldo Capitini, Norberto BobbioTre idee di democrazia per tre proposte di pace, su peacelink. PredecessoreRettore dell'Università per Stranieri di PerugiaSuccessore Astorre Lupattelli19441946 commissarioCarlo Sforza Filosofia Politica  Politica Filosofo del XX secoloPolitici italiani del XX secoloAntifascisti italiani 1899 1968 23 dicembre 19 ottobre Perugia PerugiaAccademici italiani del XX secoloAttivisti italianiEducatori italianiNonviolenzaPacifistiPersone legate alla Resistenza italianaPoeti italiani del XX secoloPolitici del Partito d'AzioneSostenitori del vegetarianismoTeorici dei diritti animali. Aldo Capitini. Keywords: il noi, l’io, il tu, un tu, la compresenza conversazionale – il noi conversazionale – il noi duale – la diada conversazionale – diada e compresenza – “io” e “non-io” – io e tu – Hegel. Du, Thou, I and Thou, Buber, The ‘we’, -- the dual ‘us’ – both, entrambi noi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Capitini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718135029/in/photolist-2mRCLwu-2mQtVUe-2mQwYd8-2mN9XHg-2mMT6JV-2mLP3hz-2mJPC2N-hcb6qP/

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