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Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS XVII/XXII

 

Grice e Conti – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Miniato). Filosofo. Grice: “Conti is a good one – a historian of philosophy, or rather a philosophical historian – I never know! – his chapter on the Greek embassy that brought philosophy to Rome is stimulating!” Studia a Siena e Pisa. Si laurea a Lucca. Insegna a Lucca, Pisa, Firenze. Filosofo del bello, che define stare fra il vero e il buono, e li collega come il mezzo tra il principio e fine. Altre opere: “Cose di storia e d'arte; Evidenza, amore e fede, o i criteri della filosofia, discorsi e dialoghi. Famiglia, patria, Dio, o i tre amori”; “I discorsi del tempo in un viaggio in Italia”. In ogni città coglie occasione per un insegnamento civile; a Venezia isulla religione, a Milano sullo stato, ecc.; “Il bello nel vero, o estetica”; “Il buono nel vero, o morale e diritto naturale”. “Illustrazione delle sculture e dei mosaici sulla facciata del Duomo di Firenze”; “Il vero nell'ordine, o ontologia e logica”; “L'armonia delle cose, o antropologia”. Cerca di costruire una metafisica fondata sulla relazione, l'armonia, l'ordine; Studia l’educazione religiosa, civile e private; “Letteratura e patria, collana di ricordi nazionali”; “Nuovi discorsi del tempo, o famiglia, Patria, Dio Religione ed arte, collana di ricordi nazionali”; “Storia della filosofia”, molto accreditata. “Sveglie dell'anima. Il Messia redentore vaticinato, uomo dei dolori, re della gloria. La mia corona del rosario. Ai figli del popolo, consigli. Giovanni Duprè o Dell'arte, 2 dialoghi. Evidenza, amore e fede o i criteri della filosofia” -- lezioni e dialoghi sulla filosofia cristiana; lavoro scientifico e popolare, e discorsi sulla storia della filosofia, accordo della filosofia con la tradizione; discussione sulla filosofia e la fede. La filosofia di Dante. “Il bello qual mezzo”. Dizionario Biografico degli Italiani. Armonie ideali nell'opere belle. L'artista deve tendere al più alto se gno ideale. Ordine dell'idea chiaro che include giudizj e ragionamenti. 4. Dialettica dell'arte , o dialettica rappre sentativa . – 5. L'idea è universale , - 6. talchè i parti colari dell'arte non debbono mai ecclissare o escludere l'uni versalità del concetto ; 7. perché , altrimenti , arte bella non c'è . – 8. L ' ordine ideale porge alle immagini formo sità -- 9. eletta , che manifestasi o per cose straordinarie . 10. o per l'eccellenza de'modi , o per tutto ciò ad un tem po , ma ſuggendo le ampollosità . 11. L'ordine ideale si determina ne sezni . 12. onde s' origina l'armonia de'con trapposti. 13. Armonia dell'ordine ideale con la natura , 14. legge di corrispondenza e di contrapposto anche in ció. – 15. Armonia col divino per natura .Il gusto del Bello ... 19 1. Regola prossima è il gusto . - 2. Sentimento di verità , di bellezza , e di bene . - 3. Che cosa è il gusto ? . 4. Ana logie del gusto intellettivo col gusto sensitivo . Urficj del gusto ; sanità e infermità ; abiti buoni , o vizinsi . 6 . S'esamina gli ufficj del gusto intellettivo della bellezza . 7. Effetto del gusto . 8. Il gusto non può mancare a ' veri artisti , e avvertenze io giudicare il gusto loro dall' opere . 9. Quattro gradi del gusto . - 10. Aiuto che il gusto del bello riceve dal sentimento logico e dalla morale coscienza . 11. Stato di sanità o di malattia , cioè buona o rea edu cazione. 12 E empj. 13. Stato d' abiti buoni o vizio . si . 14. Esempj. - 15. Conclusione. 16. Come si può guarire o correggere il gusto falso . CAP. XXVIII. Le leggi del gusto ... 1. Argomento . 2. Che cosa presuppone l'esame ch'uno faccia del proprio gusto, 3. affinchè possa regolarci un gusto buono e rettificarsi un gusto cattivo , 4. e primiera mente il derivato da falsa educazione. 5. Studio perciò di buoni esemplari . 6. Esame degli abiti viziosi, e quanto alla verità – 7. e quanto a ' fini dell'arte . - 8. Il gusto deve mostrarci il modo e il quando dell'operare . 9. Elevazione del sentimento. 10. Verosimiglianza . Esempj. Equazione di tutti gli elementi dell'arte con l'idea . 13. Gusto de' limiti . 14. Esempj. 15. I limiti massi. mamente ne segni esteriori .  I Pedanti e i Licenziosi .... Pag. 53 1. Argomento . 2. Che sieno i Pedanti e i Licenziosi . 5. Significato più generale di questi vocaboli . 4. Si gnificato più proprio e stretto . 5. Errori contrarj e vizj comuni . - 6. La pedanteria va fuori di natura . 7. Esem pj. 8. Va fuor di natura la licenza . 9. Esempj. 10 . Non comprendono l'universalità i Pedanti . - 11. Esempj. 12. Nė la comprendono Licenziosi . 13. Esempj. 14. Non hanno vera nobiltà i Pedanti , 15. e la licenza è ignobilità . - 16. Talchè gli uni e gli altri non consegui scono fama durevole . Estro . Leggi dell'ordine immaginato .. 1. Argomento . — 2. Immaginazione . Rinnovazione di fan tasmi , 3. e innovazione o invenzione. 4. Queste per tre modi , spontaneo. pensato , meditato . — 5. Legge univer sale della fantasia e sede di quella nell'intelletto . 6. Gradi dell'invenzione immaginativa . Primo ; mutamento di alcune cose percepite . 7. Secondo ; immagini di cose reali non percepite . Terzo ; novità d'imma.ini fra percezioni oscure . 8. Quarto ; un ordine di verosimiglianze relativo a un or dine di cose reali determinato . 9. Quinto ; relativo a no tizie vaghe. 10. Sesto ; relativo ad astratte generalità. 11. Settimo ; fantasmi di cose semplici, spirituali , divine. 12. Ultimo ; armonia universale di fantasmi e loro elevazione . 13. Perché l'estro abbia tal nome. - 14. Origini sue misteriose. 15. Estro fallace o vuoto , e vero o fecondo . 16. Conclusione . CAP. XXXI. Armonia interna delle Immagini....... 87 1. Argomento . — 2. Sceltezza e vita delle immagini , Scel. tezza rispetto all'arti diverse ; 3. e rispetto ai componi menti speciali d'un' arte ; e rispetto agli argomenti. 4 . Sceltezza per la qualità e per la quantità . 5. Vita delle immagini , 6. come le figure d'affetto nell'arte del dire. -7. Unione del sensibile con l'ideale . Allegoria , e 8 . allegorie speciali , e vizj dell'allegoria . 10. L'im magine deve ritrarre l'idea intera ; e quindi bisogna imma ginar l'opera innanzi di farla . - 11. e che rispondano i par ticolari al lutto , 12. e l'e - trinseco venga dall'intrinseco , e gli accessorj dal principale . 13. Spiritualità delle im magini. 14. e vizj opposti . 15. Relazione specificata delle immagini co' segni . Armonie di verosimiglianza in generale . Pag. 106 1. Argomento e legge universale di corrispondenza e di con trapposto , e come si rifletta nelle immagini dell'arte. 2 . Questa legge apparisce nella qualità, quantità , tempo e spa zio . 3. Relazioni. 4. Esempj antichi di letteratura . 5. Esempj dell'éra nostra , - 6. Drammatica e lirica 7 . Figure di confronto ne'linguaggi. – 8. Esempi del disegno e della musica . 9. Analogia del corporeo e dello spiritua le . 10. Loro diversità ; – 11. e contrapposto nella na tura e nell'arte . 12. Verosimile immaginoso , che differi sce dal reale , benchè gli somigli. 13. Quello trascende . Poesia e architettura . 14. Scultura , pittura , musica , e arti ausiliari . - 15. Com'accade ciò . Armonie con la natura corporea . 1. Argomento. -- 2. Legge naturale di simetria . 5. Vi sta e udito porgono immediati all'arte bella i sensibili rap presentati , - 4. Il lalto remotamente, il gusto e l'odorato indirettamente forniscono all'arte cose immaginabili, salvo la poesia ch'è universale. -- 5. Legge naturale di simetria ne ' visibili aspetti , - 6. e ne' suoni. - 7. Legge corrispon dente nell'arte bella . 8. Simetria di quantità nel grado. 9. Simetria di quantità nel numero de' suoni , delle cose visibili . 11. Simetria naturale dello spazio . 12. Simetria nell'arti , quanto a’limiti . 13. Simetria di limiti anche nell'unione di più cose . — 14. Simetria di luo ghi . 15. Simetria di tempo misuratore , e di tempo rap presentato. - Armonie con la natura spirituale .... 1. Gli affetti . 2. Somiglianza loro ; 3. varietà ; 4 . contrapposto . 5. Personificazione immaginosa dell'unmo, 6. e della socievolezza ; - 7. che dall'arti non prò mai scompagnarsi . - 8. Personificazione immaginosa del mondo materiale per tre modi . 9. Idem . · 10. Il Materialismo non può spiegarla . 11. Person i ſicazione immaginosa del soprannaturale ; 12. presa sostanzialmente da simboli e miti di credenze religiose ; 13. ma trasformate dal . l'estro . 14. La personificazione , ritraendo l'uomo , ac cenna lo stato degli artisti e de' tempi loro . Grecia , Roma, 15. Italia ; suo scadimento ; letterature straniere . . 16 . Anche nell' altre arti avviene lo stesso . Immaginazioni tragiche e comiche 158 ....... 1. Argomento . 2. Può l'ottimo essere argomento del l'arte bella ? 3. Può il pessimo ? — 15. Immaginazioni tragiche e comiche . - 5. Quando mai nasce l'immagina zione tragica più specialmente ? 6. Quando la comica ? 7. Condizioni dell'una , - 8. e dell' altra . - 9. La morte immaginata nell'arte , 10. eidolori del senso , tragica mente ; comicamente . 12. Deformità fisiche nel rispetto tragico ; 13. e nel comico . - 14. Le mostruosità nell'un rispetto , · 15. e nell'altro , e come in ciò facilmente si trasmodi. Ordine de' Segni . Stile . Pag. 176 1. Argomento. 2. Nozione generica dello stile . - 3. Nozione meno generica . - 4. Nozione determinata . 5. Ne cessità di meditare lo stile . 6. Idem . 7. Ordine dello stile . Unità . - 8. proprietà , evidenza , 9. vivezza , for . mosità . 10. verosimiglianza. Legge sua universale . - 11 . L'unione di dette qualità forma il decoro . 12. Esempio di essa , - 13. Esempio del contrario . 14. La misura nello stile . 15. Sunto. Armonia intrinseca dello stile e co ' propri segni .. 1. Argomento . - 2.Unità del bello stile . 3. Si riscon tra nell'arte del dire ; ne'proverbj e rispetti , · 4. nelle sentenze , 5. nel periodo , 6. nell'armonia e nell'unione del discorso . 7. Si riscontra nell' arti del disegno ; nel l'architettura , 8. ch'è un discorso anch'essa ; - 9. nella scultura e nella pittura, 10. simili pur esse al discorso ; - 11. e nella inusica ; 12. che ha disegno perfetto , o unione d'armonia e di melodia . - 13. Proprietà de' se gni ; e come segni adoperino l'arte del dire , la musica , 14. l'architettura , e l'arti figurative ; 15. onde viene la proprietà dello stile . 16. Conclusione. CAP. XXXVIII. Armonia dello stile col pensiero .. 1. Argomento . 2. In che consiste l'evidenza. -3. Dee rispondere lo stile a integrità del pensiero ; 4. e a varietà d'argomenti ; - 5. abbracciando l'universalità dell' argo mento , proprio , 6. e distinguendolo , per poi bene com porlo . 7. Mancamento d'arte o di volontà impedisce tal perfezione . 8. Vivezza di stile , o moto , 9. nell'arte del dire , 10. nella pittura e scultura , 11. nell'archi tettor3 , 12. nella musica . 13, Formosità , - 14. anche nello stile grande, e nel sublime. 15. Onde procede la deformità ? 1Armonia dello stile con la natura ..... 228 1. Argomento . 2. Il bello stile corrisponde alla natura dell'artista e a quella degli oggetti . 3. Non si possono separare le due relazioni senz'errore e deformità . – 4. Avvi una parte relativa all'artista ; 5. e una parte relativa agli oggetti , e danno armonia . 6. La legge di corrispondenza e di contrapposto ſa nascere le diverso specie del bello stile in quei gradi che l'ordine ha varj nella natura. 7. Idem . 8. Nello stile tenue an prevalenza i simili, 9. Qua lità principale di esso è la venusià. 10. Nello stile mez. zano han prevalenza i diversi . 11. Qualità principale di INDICE DEL VOLUME SECONDO , 457 esso è la naluralezza , 12. Nello stile grande han preva lenza i contrarj. 13. Qualità principale di esso è la pe regrinità . 14. Nello stile sublime han prevalenza i contrapposli supremi. 15. Qualità principale di esso è l ' ammirabilità. Arti del Bello speciali. Cap. XL. Come si originarono le Arti speciali del Bello. Pag. 249 1. Argomento . — 2. Due generi supremi dell'arte bella , cioè arti di suono e arti di prospettiva. 3. Arte de' suoni parlati , e arte de' suoni armonizzati. 4. Arti prospettive di spazio , e arti prospettive di figura. -- 5. Arti prospettive distinte in arti di spazio imitato e di spazio naturale ; in arti di figure imitate e di figure naturali . 6. Onde l'arti del disegno son distinte dall'arti di naturale amenità e dalla mimica e danza , le quali sono arti secondarie . 7. Arti ansiliari dell'arti principali e delle secondarie. 8. Diver sità di segni sensibili determinò diversità del significato, quanto al mondo esteriore , 9. e quanto al mondo interio . re . 10. Stato implicito dell'arti : poesia ; 11. arti del disegno e musica. 12. Poi si distinsero l'arti del Bello fra loro ; e s'esamina per la poesia , per l'architettura , 13. per l'arti figurative , 14. e per l'arte musicale . Di stinzione di ogni specie in ispecie minori . 15. Conclu sione. 16. L'arte bella fa quasi un mondo novello. 266 Cap. XLI . Ordine fra l’ Arti speciali del Bello ...... 1. argomento . 2. Criterio per giudicare i gradi dell'arti belle . 3. Segni supremamente ideali della poesia . L'ordine loro è una invenzione distinta dall'altra delle im magini . 5. Perfezione suprema de' significati poetici . 6 Ma questa precedenza rende difficile al sommo il poetare buopo. 7. In che la poesia verso l'altre arti sia inferiore. 8. Architettạra , e perfezione ideale del suo disegno . 9. Perfezione del suo significato. -- 10. In che cosa l'archi tettura è vinta dall'altre due arti del disegno . 11. Pit tura e scultura ; disputa di quale fra loro primeggj, antica . - 12. S' esamina quanto a ' segni , 13. e quanto al signi ficato di queste arti . 14. Musica ; in che sta un suo sin golare pregio , 15. da cui procede la potenza musicale ; benche in altro rispetto la musica resti- superata . - Della Poesia .... Pag. 283 1. Argomento ; definizione della poesia . -2. Come la poe sia somigli la filosofia . 3. Consentono tutti nel divario fra considerare direttamente i sensibili esterni e il conside rarne l'altinenza con l'anima . 4. Però l'idea che regola i poeti , si è l'idea dell'uomo interiore , avvivata d'immagibi . Si riscontra ciò ne' sensibili esterni , comuni alla musica e al segno e alla poesia ; – 5 , ne' sensibili esterni , propri solo alle rappresentazioni poetiche ; - 6. ne' sensibili inter ni , che la sola poesia può prendere per oggetto immediato ; - 7. e poi , nelle cose di pura intelligibilità . 8. Tanto è più alta la poesia , quanto più rende viva immagine del . l'uomo interiore ; - 9. e , inoltre , quanto più rende imma gine di ciò che l'uomo dev'essere ; 10. perchè il poeta tende alle più élette forme dell'anima ; 11. e indi cerca immaginativamente di risolvere in armonia le contraddizioni del mondo ; 12. come si riscontra ne' poeti veri del tempo antico e del nuovo , - 13. e anche ne' poeti scettici , ov'essi han vera poesia ; 14. talché , quest' arte rappresenta in immagini l'universalità dell'intelletto . 15. E ogni ge nere perciò di componimenti nell'arte del dire può parteci - pare di poesia . 16. Conclusione . CAP. XLIII . Le specie della Poesia ...... 1. Argomento . 2. Tre modi principali della poesia : espositivo , 3. narrativo , - 4. dialogico . sia par talora non essere imitativa nè inventiva, se cade in soggetto reale . 6. Si scioglie la difficoltà , distinguendo al . lora il soggetto reale dalla rappresentazione immaginosa. 7. Indi è varia l ' attinenza fra la poetica rappresentazione ed il soggetto. — 8. Idem . – 9. Indi anco è vario lo stile figu rato nella poesia espositiva , 10. o nella narrativa , - 11 . o nella dialogica . 12. Anche il numero musicale dello stile diversifica . 13. Idem . 14. Diversifica pure l'ori . gine de' tre modi principali di poesia , l'espositivo prece dendo a tutti, 15. e poi al drammatico il narrativo . • 16. Conclusione. 302 5. La poe 320 CAP. XLIV. Dell'idioma, 1. Argomento. - 2. Lingua , in significato generale , è unità parlata della morale unità d'un popolo ; 3. e che mai non manca di segni per cose antiche, 4. nè ha sino nimi perfetti. 5. Le Parlate . 6. I Dialetti . - 7. Le Lingue. 8. Scelta fra le tarlate. 9. Scelta fra' Dialetti . 10. Distinzione d'una lingua da ogni altra lingua . 11 . Uso di lingua parlata , e uso di lingua scritta ; 12. iden tici nell'essenza , e in che diversi, 13. Come uso di buoni scrittori giova , 14. e come giova uso di ben parlanti. 15. Realismo e Idealismo nell' usare l'idioma . 10. Con clusione . INDICE DEL VOLUME SECONDO . 459 CAP. XLV. Arti del disegno. Pag 338 . 1. Che cosa sono l'arti del disegno - 2. Il disegno è fon damento alle tre arti particolari. . 3. Doppia significazione del vocabolo disegno. -- 4. Ogni qualità sensibile de' corpi ha relazione con la lor forma ; 5. e può risguardarsi per natura , e per l'arti del disegno , quasi accessoria . - 6. La forma ci palesa l'unità ; 7. ch' esterna dipende dall ' in terno delle cose , si per natura e si per arte . 8. Esempj di ciò ; e in che dunque consiste l'ordine ideato comune al l ' arti del disegno. – 9. Per acquistare il disegno, ci oc corre abito astrallivo degli occhi, - 10. fantasia ferma e viva in ritenere la linea pura , 11. e intelletto esercitato a distinguere, paragonare , comprendere i contorni; 12. nè basta vedere , ma bisogna saper vedere o guardare ; 13. e in ciò sta il cosi detto giudizio degli occhi . - 14. Come si faccia l'esercizio nel disegnare. 15. Una regola princi . pale per l'arti secondarie . 16. Conclusione. CAP. XLVI. Architettura .... 1. Che cosa è l'architettura . 2. Si originò dal convi . vere umano. - 3. Si distinse dall'ingegneria per fine di bel lezza , 4. ritraendo l'immagine formosa del consorzio umano, 5. Questa idea perció la rende inventiva ; 6 . e indi l'architettura prende significato a ' suoi disegni , 7 . e anche la loro unità ; 8. ehe si palesa nelle proporzioni della massa , nel congiungimento delle linee , 9. e anche negli ornamenti. – 10. Com'espressione del consorzio uma no , quest' arte abbraccia le altre arti del disegno ; – 11 . s' accorda co' luoghi abitati dall ' uomo, e a sė li conforma; 12. imprime la bellezza sua nelle città intere, - 13. nel l'intera patria d'una nazione , — 14. per ogni luogo di es sa ; 15. e si distende a tutta la terra civile , com' efligie inica dell'incivilimento . 16. Conclusione. 357 CAP. XL I. S ulura ..... 376 1. Che cosa è la scultura . - 2. Principale soggetto al l'arti figurative si è l'aspetto umano. - 3. Più proprio della scultura è la relazione de' lineamenti con la vita interiore , anziché dell'uomo con la natura . -- 4. Indi all'arte sculto . ria il colorito e accidentale , ec . - 5. Nè la scultura di tutto rilievo ha paesaggj, che ristretti son' anche nel bassorilievo : - 6. è limitata nel figurare animali ; --- 7. e anche ne'gruppi di ligure umane. - 8. Soggetto più proprio alla scultura ė la bellezza umana del corpo, e in essa si comprende la fisio. logica e la fisica . 9. E perché si dica ciò della scultura piucchè della pittura , distinguendo tra figura e forma. - 10 . L'unità intera della immagine umana comparisce nella scule tura solamente. 11. Divario i'ra le due arti nel nudo e ne' panneggiamenti . 12. Limiti posti dal pudore. 13 . Qual sia -dunque l'idea esemplare dell'arte scultoria , 14 . E come bisogni evitare ia essa , piucché nella pittura , il freddo 460 INDICE DEL VOLUME SECONDO , ed il generico ; -- 15. ma senza cascare nei vizj opposti , 16. Conclusione . CAP. XLVIII. Pittura .... Pag. 395 1. Che cosa è la pittura. – 2. Idea che serve d' esemplare alle immagini ed a'segni di quest'arte, cioè armonia fra l'uomo e la natura esteriore , come rilevasi dal colorito ; 3. e perciò dalla figura colorata e dal prospetto aereo . - 4 . Magistero essenziale della pittura è il colorito ; – 5. ma non contraſfacendo i rilievi della scultura , 6. nè gareggiando con le cose reali pe' colorie per gli splendori , 7. nė pe' se goi di vitalità ; gareggiamento impossibile, - 8. e dannoso ; 9. bensi eleggendo que' segni che sveglino i sentimenti nell'anima nostra , come le cose di natura sogliono . 10. La pittura è visione di fantasia . 11. che splende in gen tilezze d' ornamenti , e in paesaggj . 12. e ne segni del con • versare umano , 13. e nell'unione verosimile di più tempi e luoghi , 14. e nel simboleggiare affetti sovrammondani . 15. Conclusione. 16. Utilità di tutte l' arti del dia segno . CAP. XLIX. Musica ...... 415 1. Che cosa è la musica . 2. Qual n'è l'idea regolatri ce . Relazione de' suoni col sentimento umano . 3. Ragione anche fisiologica di tale attinenza . 4. E indi attinenza principale di quest'arte con la voce umana . 5. Ma la relazione de' suoni col sentimento é indefinita , 6. e però la musica può indefinitamente significare ogni affetto . 7. Esprime e incita direttamente l' esaltazione degli af. fetti, 8. e viene usata per significare più vivo l'esalta. mento comune alla poesia ed all' arti del disegno . 9. Ciò apparisce altresi dal significato universale d'armonia . 10 . Però idea suprema e reggitrice della musica è , ch' essa renda immagine dell' esaltazione di ogni affetto umano. La quale idea si determina nel concetto de' componimenti varj. 11 . onde nasce la musicale unità , – 12. e l'invenzione di una frase principale, 13. che si svolge. - 14. Errori sulla na. tura della musica . Sensisti e Positivisti assoluti , - 15. Sen timentali , Aritmeticanti, Retoricanti . 16. Conclusione. CAP. L. Unione fra tutte l’ Arti del Bello ... 434 1. Danni del separare l' Arti, e argomento . 2. Unità d' obbietto , di soggetto e di potenza prevalente nell' Arti del Bello . 3. Perfezionamenti loro successivi , e legge di que sta successione. - 4. Si risolve una difficoltà . 5. Prima si perfezionò la poesia ; 6. indi l'architettura ; - 7. poi la scultura , e poi la pittura ; — 8. Apalmente la musica . 9. Aiuto che si porgono l'Arti ; quale la poesia ? – 10. quale l'architettura , 11. l'arti figurative, - 12. la musica ? 13. Si conferma l'unità essenziale dell'Arti fra loro . -- 14. Ri torno del pensiero alle cose ragionate ; 15 e 16. indi con clusione generale. DIALETTICA.  INDICE DEL VOLUME PRIMO.. INTRODUZIONE CUI SI RACCOMANDA DI LEGGERE ...... Pag . 1-881X LIBRO PRIMO . La Filosofia e i Concetti universali. Cap. I. Idea della Filosofia ...... Pag. 3 1. Che cosa è la Filosofia ? – 2. È scienza del pensiero ; 3. ma del pensiero in atto di vita , e non soltanto delle leggi lo giche astratte ; 4. e però è Scienza della coscienza e dello spirito . - 5. Scienza degli oggetti connaturali al pensiero , e però di Dio , dell'universo e dell'uomo ; - 6. Scienza, per tanto , delle somme cause , dell'ultime ragioni e de' primi prin cipj ; -- 7. Scienza , poi , della conoscenza , della scienza e della verità. – 8. Perciò nell'idea di relazione s ' appuntano i quesiti tutti della Filosofia ; - 9. e ivi troviamo la sua più alta verità . 10. Talchè la Filosofia e Scienza di Dio , del mondo e del l'uomo nell'ordine loro uoiversale ; o , più breve, Scienza delle relazioni upiversali; e siccome queste forman l' ordine , dunque altresì Scienza dell'ordine universale . - 11. Come in ogni altra Scienza , cosi nella Filosofia si ha perfezionamento, levandosi a un'idea superiore. - 12. Questa è l'idea di relazione. - 13 . Ciò richiede la tendenza e il bisogoo de' postri tempi . – 14.Im portanza della Filosofia ; danni d'una Filosofia separativa . — 15, Vantaggj d’una Filosofia comprensiva. 16. Sunto. CAP. II . La Verità .... 1. Perché dobbiamo esaminare l'idea universale di verità . 2. La verità è sempre entità conosciuta . – 5. La verità è ordine d'entità conosciuto. - 4. Si procede relazione in relazione. 5. L'unità dell'oggetto conosciuto si comprende , si distingue , 6. si riupisce di nuovo. - 7. Però gli Antichi dissero che la verità è pei giudizj. - 8. L'errore perciò sta nel vedere l'oggetto da una parte sola , e quindi nel travedere, 9. come si rileva degli errori metafisici ; - 10. nello Scet ticismo medesimo , e negli errori morali e delle Scienze fisiche . 11. Sicchè l'errore confonde, separa , nega. 12. Jadi spieghiamo il progresso della scienza e della civiltà, 13. o il regresso ; 14. le invenzioni e le scoperte. – 15 . esame dell'idea di verità ci mostra il costrutto semplice degli Univer sali , presupposto da ogni conoscenza . 16. Conclusione. 22 536 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 42 - - 64 CAP. III . L'Entità . Pag. 1. Si comincia dalla nozione d'entità. — 2. Che cosa sono gli universali , - 3. Tre ordini d'universali: gli analogici , 4. gli attributi metafisici , e le condizioni universali del creato . - 5. L'uoiversale si è in ogni cosa e presentasi all'intelletto . - 6. L'idea d' entità primeggia fra gli universali. La esami Darono gli Antichi , – 7. i Padri, il Medioevo , e la Filosofia moderoa. 8. Non possono farne a meno anche gli Scettici e i Soggettivisti . 9. Questa idea non può pegarsi. 10. Ma esaminandola , bisogna evitare tre difetti. - 11. Si tripartisce : idea dell'essere comunissimo , - 12. idea d'essenza , - 13. idea d'esistenza ; – 14. com' apparisce anche da' linguaggi, 15. e dall'antica dottrina sull'essere e sulla possibilità , ch'è di tre specie . - 16. Conclusione. CAP. IV . L'Ordine dell'entità .... t . L'idea d'ordine si distingue nell'idea di relazione , d'atto della relazione e di correlazione . 2. Che cosa è la relazione ? L'esperienza ce la mostra ovunque. 3. Ogoi en tità è un tutto di relazioni , benchè, quando si tratta di cosa fioita , non essenziali . Ciò si rileva dal concetto d' essere , - 4 . d'essenza e d'esistenza . – 5. La relazione poi è , o intrinseca , - 6. od estrinseca ( cioè ad intra , o ad extra ). – 7. Ogni relazione si è atlo ; anche le attineoze ideali o di ragione. - 8 . Conie si procedè per giungere a questa universalità dell'idea d'allo . Gli Italioti , gl’lonici , Platone; 9. Aristotele ; 10. i Padri, gli Scolastici, e il Cartesio ; 11. il Leiboitz e la Fisica nioderna. 12. Correlazioni . Unità e triplicità in ogoi cosa . -- 13. Dottrine aptiche su ciò . - 14. Il Dogma cristiano della Trinità . - 15. Le correlazioni spiegano la legge universale de' simili e de' contrapposti, 16. Conclusione. CAP . V. Il conoscimento dell'Ordine .. 1. Nel conoscimento dell'ordine si distingue il Vero, il Bello ed il Buono , distinta la triplice relazione della Verità col l'intelletto , benchè io significato generalissimo ogoi relazione col nostro conoscimento sia Verità . 2. L'universalità del Vero corrisponde ai gradi dell' essere ; e come li notarono già i Filosofi . - 3. Cose non animate ; 4. cose animate ; 5 . gl'intelletti , ove la presenza dell'entità è manifesta . 6. La verità è relazione dell'entità con gl’intelletti , cioè intelligibi lità . – 7. Che cosa è la Bellezza , cioè l'ammirabilitd , con trapposta al Vero. Suoi gradi , 8. ne' corpi non animati , Degli animati e negl'intelletti. 9. Che cosa è il Bene , cioè l'amabilità . Suoi gradi , — 10. ne' corpi , negli animali e nella mente , 11. Assioma che deriva dall'esame degli universali , - 12. e loro convertibilità mutua ; – 13. la quale si manifesta nella scieoza, nell'arte e nella vita , perché il Buono conduce al Vero ed al Bello , - 14. e il Bello conduce al Vero e al Buono. -15. Nell'esame degli universali analogici abbiamo riscontrato le distinzioni già fatte dai Filosofi antichi e recenti . - 16 . Conclusione , e come il Bello morale sia l'accordo del Vero , del Bello e del Buono .  537 CAP. VI. Attributi metafisici correlativi e Idea di Dio. Pag. 101 1. Esamedegli attributi metafisici , al quale ci porta l'esame degli universali analogici. — 2. Che cosa s'intende per attri buti correlativi metafisici. 3. Idee di questi attributi, tro vate nell'idea d'entitd ; 4. trovate nell'idea d'ordine dela Ľentità ; - 5. trovate nell'idea di conoscimento dell'ordine. - 6. L'idee degli attributi metafisici correlativi , e l'idea di Dio , non sono correlazioni astratte ; - 7. nè limiti soggettivi; - 8. nè un ideale soggettivo ; 9. nè , d'altra parte , sigoi ficano che Dio sia il grado supremo degli esseri ; – 10. nè la parte o il tutto ; 1. nè Pessenza o la sostanza delle cose contingenti . – 12. La correlazione degli attributi metafisici viene rappreseotata dall'idea del possibile fra l'idea d'Eote e l'idea d'esistente , o dall'idea d ' indefinito fra quelle d'Infinito e di finito. - 13. La correlazione stessa fu pure significata dal Gen tilesimo , 14. da' simboli suoi più notevoli , 15. e dalla simbologia naturale. - 16. Conclusione. Cap. VII . Idea di Creazione .... 121 1. Possibilità razionale della creazione. - 2. Vi ha nel pensiero umano questa idea dell'atto creativo , cioè di Causa prima. — 3. L'idea di causa si distingue dall'idea di sostanza ; 4. e si riferisce ad un che , il quale comincia dal nulla quanto all'esistenza , benchè non quanto alla potenza ; 5. si riferisce , poi , ad un termine distinto essenzialmente dalla cau sa , o ad extra . - 6. Più vera e più potente fra tutte le cagioni è l'intellettiva . 7. La Causa creatrice si distingue dalle cause naturali, perchè alla totalità delle cose preesiste la pos 8. perchè il soggetto , cioè la sostanza , si produce ad estra ; 9. e perchè avvi efficienza intellettuale assoluta : - 10. opde la Causa creatrice fu chiamata Verbo ia tutte le Tradizioni sacre , e il mondo è arte di Dio ; -11. la quale produce una somigliaoza divina nell'universo , mentre Dio non somiglia i finiti e li trascende . - 12. Gli errori e i dubbj sul dogma razionale di creazione nascono dalla fantasia , - 13 . e dallo sdegoare il mistero , comune ad ogni causalita ; 14 . sicchè gli errori provocarono lo svolgimento del Teismo nell'età de' Padri e de' Dottori , 15. e dell'età della Riforma e del Rinnovamento. - 16. L'idea di creazione ba tanta importanza , sibilità pura ; - perchè risguarda la Causa universale. CAP. VIII . Idee relative all'Entità della Natura ....... 143 1. Argomento ; le condizioni dell' entità : Prima condizione della natura , per l'essere suo , il quanto ; 2. che si distia . gue nell'unità , 3. nel numero 4. ( che non può essere infinito), 5. e pella unione delle unità . 6. Condizione seconda per l'essenza , il quale; - 7. che si distingue nella varietà , 8. nella contrarietà , 9. e nella somiglianza ; . 10. più notevoli dove la oatura è più alta . - 11. Terza condizione per l'esistenza , il quando ; 12. che si distingue nel momento , -13. nella successione, - 14. e nella durata ; - 15. non predicabili dell' Eternità . 16. Conclusione. C 538 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 462 C il pine. - CAP. IX. Idee relative all'Ordine della Natura ....... Pag. 1. L'ordine della natura viene dall' attinenza della crea zione , 2. La relazione delle cose create ci dà la dipendenza, o derivazione; 3. ossia la sostanza , - 4. la causa , 5. e l'essenza reale . - 6. L'Atto delle cose ci dà il come (quomodo); – 7. ossia il principio , 8. il mezzo , 9. e 10. Le correlazioni delle cose ci dàono il dove , che può essere correlazione ancointellettiva , 11 , e correle zione materiale ; - 12. ossia il punto , - 13. Y estensione particolare, 14. e lo spazio , 15, che non può essere infinito , ma è nell'infinito ; 16. e il sublime si origina da cið . Cap. X. Condizioni naturali del conoscimento ...... 1. Criterio della conoscenza ; ove si riscontrado : l'oggetto ideale , – 3.6. l'idea, - 4. che ci fa conoscere il si mile per ilsimile , 5. (onde si spiega la formazione dell'idee universali , e la conoscenza delle cose esteriori , 6. di noi stessi , degli altri uomini , - 7. e di Dio) , - 8. c . il senti mento , in relazione del quale ogoi cosa dicesi un fatto , ed esso medesimo ha questo pome . 9. Forma del bellezza ; - 10. e qui si riscontrano : la cosa formata , 11. l'idea esem plare , 12. e il gusto . - 13. Legge del bene , ove si ri scontra il bene oggettivo , - 14. la felicità , - 15. e l'utilitd . - 16. Conclusione. 182 . 2. a. - LIBRO SECONDO. Divisione della Filosofia e Arte dialettica. 207 . CAP. XI. L'Enciclopedia .... 1. Per determinare i quesiti della Filosofia , bisogna ve. dere le sue parti e l'Enciclopedia o l'albero del sapere umano , 2. Ordine di formazione , ordine di logica dipendenza. 3. Criterio armonicamente oggettivo e soggettivo per trovare la distiozione dello scibile e l'ordinamento suo. 4. Quattro classi di conoscenze : - 5. onde vengono la Teologia positiva , la Filosofia , le Matematiche e la Fisica . 6. Parti della Fi losofia universale. - 7. Filosofie particolari e applicate . 8. Matematica. - 9. Fisica . - 10. Storia sacra , umana , na turale. – 11. Arti filosofiche , matematicofisiche e storiche. 12. Tradizione perenne dell' Eociclopedia . – 13. Errori che la guastano. 14. Pericolo dell'Enciclopedie a dizionario , le quali spezzano la continuità del sapere. - 15. Divisione della Filosofia in tre parti : la Dialettica , l' Estetica e la Morale. - 16. Conclusione. CAP. XII . La Dialettica. 1. Che cosa è la Dialettica . — 2. È quasi un dialogo. – 8. Esemplare unico dell'Arte logica è la natura , - 4. se no 539 - 8. e s'op v'è ignoranza . – 5. L'Arte logica è osservazione di natura , - 6. se oo avvi leggerezza , impazienza e preoccupazione appas sionata . – 7. È imitazione di natura , 8. se no avvi artifi cio. – 9. È inveozione ordinativa , pop oggettiva , - 10. se no avvi l'assurdo. - 14 . È per fine di verità , - 12. se no si confondono l ' arti , che per altro s' accordano e s ' aiutano . 13. La Verità , com'oggetto dell'Arte logica , viene deter minata dalle operazioni di questa , - 14. e però è ordine d'en tità ripensato , 15. ragionato , — 16. e significato . CAP. XIII. La Critica interiore vera e la falsa ........ Pag. 251 1. La Critica suppose un Criterio , che paturale cono scenza porge alla riflessa. - 2. Il bisogno di Critica interiore viene dal bisogno di cercar l'origini dell'errore, e dall'altro di sceverare nelle cognizioni la parte oggettiva e la soggettiva ; - 3. e però è antichissima; benchè a questa si contrapponesse Ja Critica eccessiva . 4. Esempj dell'una e dell'altra nel Cartesio e nel Kant. 5. Principiare dal dubbio universale non si può ; e questa è critica smodata , o fuori di natura. 6. La riflessione filosofica deve cominciare dalla ignoranza filosofica, piuttostochè dal dubbio metodico . 7. Però la Critica eccessiva non può condurre alla scienza ; pone , qualunque sia l'intenzione de' Critici , alla virtù ; 9. è causa di desolazione , - 10. o di misera indifferenza . 11. Jovece per la Critica razionale s' afferma il oaturale co noscimento , 12. la forma di questo e la materia ; 15 . cioè la forma naturale in relazione con gli oggetti , - 14. e la realtà degli oggetti stessi , che costituiscono la materia necessa ria o coboaturale del pensiero . · 15. Postulati della Critica - 16. Ogni operosità viene impedita dal Criticismo. Cap. XIV . Verità connaturali al pensiero umano . 272 1. Tre requisiti delle verità connaturali . – 2. Esistenza di noi stessi . - 5. Errore del Kant e de' Positivisti , - 4. e loro confutazione . 5. Si riscontrano i requisiti della conoscenza naturale nella coscienza di noi stessi . – 6. Notizia del mondo esteriore , – 7. e dell'ordine suo. — 8. Opinione del Kant e de Positivisti , 9. e loro confutazione. - 10. I requisiti della conoscenza naturale si trovano nella notizia del mondo. 11. Idea di Dio . - 12. Opinione del Kapt e de' Positivisti . 13. Confutazione , 14. Si riscontrano nell'idea di Dio gli stessi requisiti o spontaneità , - 15.inconvertibililà e insepa rabilità . Da queste notizie di noi , del mondo e di Dio risulta la sostanziale totalità della coscienza . 16. La Filosofia non può disconoscere questa materia del pensiero e della scienza . CAP. XV. Armonia tra le forme della conoscenza e le cose . 294 1. Che cosa è la forma. – 2. L'armonia tra le forme del conoscimento e gli oggetti , onde provenga. 3. Apparenza sensibile , - 4. corrispondente agli oggetti percepiti ; – 5. e quindi si fece da Galileo e poi dagli altri la distinzione fra le qualità primarie de' corpi e le secondarie ; - 6. talchè verifi chiamo che l'apparenze sensibili son segoi reali , realmente vera . - 540 INDICE DEL VOLUME PRIMO. corrispondenti alla realtà delle cose. -7. Aoche le apparenze , che dano'occasione d'inganno , procedono da leggi di natura. - 8. La vista ci dà i segoi apparenti delle distanze. – 9. For me intellettuali , corrispondenti all'entità e verità delle cose , ue' concetti, - 10. ne giudizi , -11. e oei raziocioj. 12 . Armonia tra il conoscimento di ciò ch'è o avviene deotro di noi , e il conoscimento di ciò ch'è fuori di noi: per i segoi del l'anima del corpo ; – 13. per l'analogie fra l'anima l'uoj verso ; - 14. per l'intendimento delle qualità e delle condi zioni d'ogoi cosa esterna ; — 15. e per la conoscenza di Dio. 16. Conclusione. CAP. XVI. I Principj armonici della ragione ... Pag. 318 1. Che sono i principj universali della ragione. — 2. Na scono dalle idee universali, e s'ordipano com'esse. -3. Prima classe , corrispondente agli universali analogici . Per l'entitd si distinguono più principj , riflettendo all ' idee d' essere , 4. e all' idee d'essenza e d'esistenza. 5. Per l'ordine del l'entità , si distinguono , riflettendo all'idee di relazione , 6. di atto della relazione e di correlazione . - 7 . Per il cono. scimento dell'ordine, si distinguono , riflettendo all' idee del Vero, – 8. del Bello e del Buono . – 9. Seconda classe , cor rispondente agli attributi metafisici correlativi . – 10. Terza classe, corrispondente alle universali condizioni della Datora fioita . Si hanno : Per l'entità di questa , i priocipj di quantild, di qualità e di tempo ; 11. per l'ordine della natura , i principj di derivazione o dipendenza , - 12. di modalità e di confinazione o del dove ; – 13. per il conoscimento dell'or dine , com ' esso è negl' intelletti creati , i principj che risguar dano il criterio della verità , la forma della bellezza e la regola del bene. – 14. In che stia l'utilità de' principj uni versali. – 15. Due opinioni estreme ed erronee : l' una che li Dega , l'altra che li reputa generativi di tutto il conoscimento . - 16. Conclusione . CAP. XVII . L'Osservazione ...... 340 1. Materie da trattarsi . — 2. Atteozione. - 3. Osservazio ne. – 4. Riflessione. - 5. Si verifica ciò nelle verità d'espe rienza esteriore, cosi per Arte logica naturale , 6. come scientificamente. 7. Si verifica delle verità di esperieoza interiore , cosi per suggerimento di natura , 8. come per la Scienza . 9. Si verifica delle verità intellettuali pure , 10. cioè negli universali della Metafisica e delle Matematiche. 11. Si verifica nelle conoscenze ricevute dall'autorità , 12. e ipdi vien la Critica , 13. Lo stesso aodamiento si vede nel procedimento storico delle Scienze. -44. Idem ,-15. Anche nel procedimento della Letteratura . 16. E anche nell'Arte pedagogica. CAP . X III . Metodo che imita la Natura ...... 1. Che cosa è l'imitazione dialettica : parte sostanziale del metodo . 2. Sintesi primitiva. – 3. Analisi. - 4. Sintesi 541 - secondaria . 5. Legge dialettica. 6. Il metodo allora è quasi un contrappuoto musicale. -7 . Però non può essere nè solameote analitico , nè solamente sintetico . 8. Difetti del Puno e dell'altro , - 9. Il metodo compreosivo gli uoisce. 10. Contrarie inclioazioni di ogni età verso l'analisi eccessiva o la sintesi eccessiva . 11. Esempio del Gioberti . - 12. Il vero metodo è propriamente dialetlico o dialogico. 13. Sua utilità nelle Scienze ; 14. nell' Arti del Bello , - 15. e nel ” Arti del vivere civile . . 16. Conclusione. CAP. XIX. L'invenzione dialettica ..... Pag. 381 1. Che cosa è l'invenzione scientifica , o che cosa è la Scienza com'ordine meditato di conosceoze, - 2. Si comincia dalla comprensione dell'oggetto per una definizione nominale ; - 3. poi si viene all'analisi con la divisione , – 4. con la tési e con l ' antitesi , con la prova dall'assurdo, e con l'elimina zione; - 5. fochè si giunge alla definizione dialettica , che può essere o intrinseca o per via disole relazioni. - 6. Poscia , passando alla sintesi , abbiamo l'ordine induttivo e il dedatti 7. Tutto questo mirabile ordinamento è una ricerca delle ragioni, e uno spiegare per esse ; oode gli Antichi dis . sero che saper vero è un sapere per le cagioni ; - 8. cioè per principj; - 9. e questo s'avveranella teorica degli universali , - 10. e nella Scienza dell'uomo, dell'universo e di Dio ; 11. s'avvera nelle Scieoze civili e storiche; Delle Matematiche, e nella Fisica . 14. Indi si spiega l'inven zione degli stromenti e delle macchine ; 15. come altresi la ipotesi e l'intuizione dottrinale. 16. Supto. vo . - 403 - CAP . XX . Il fine dell' Arte dialettica .... 1. Argomento. 2. Connessione logica . - 3. Che stato der essere quello di chi cerca la verità , 4. e difetti che bisogna evitare . - 5. Si può errare io ciò per leggerezza , 6. o per una preoccupazione. 7. Chiarezza , - 8. e difetti da evitarsi , -9. Errori che procedopo da leggerezza , - 10. e da preoccupazione , prendendo per chiaro ciò che non è . - 14. Certezza ; 12. e difetti evitabili ; 13. badando anche ip ciò di non errare per leggerezza d' assensi -14. e per qual che preoccupazione, stimando che sia certo l'incerto , e vice 15. Connessione , chiarezza , certezza , non possono realmente trovarsi che pella verità . 16. Si concbiude : che fine d'ogoi Scienza , e perciò anche della Filosofia , non è di dare a noi , quasi mancanti d'ogni ragionevole conoscenza , un primo conoscimento della verità , si l' ordine riflesso della co gosceoza e della verità : e poi, che l'Arte dialettica è altresì un abito morale ; e ancora, che l'abito del parlare meditato giova molto all'ordine del pensare ragionato e retto . versa . -  I Criterj della Verità o Leggi universali della Dialettica. Cap. XXI. L'Evidenza , o il Criterio della Verità ..... Pag. 427 4. Argomento , e qual sia il disegno della Dialettica , e qual ragione v'abbia di trattare qui de Criterj ; e dottrina loro semplicissima. -2. Il Criterio è uoa regola , perch'è un segno della verità in relazione con l'intelletto . - 3. Non può negar si , fuorchè negando la conoscenza ; non può travisarsi , fuorchè da' sistemi sostanzialmente falsi ; e vi ha una dottrina costante sulla natura del Criterio . - 4. Il Criterio è un segno apparte nente all'ordine della verità , 5, ed è universale . - 6. II Criterio , perciò , è l ' evidenza dell' ordine di verild ; – 7 , è quindi uno e moltiplice , ossia è un ordine di Criterj; 8. perch'è l' evidenza dell'ordine di verild in sè stesso , e ne' suoi contrassegni universali ; cioè coutrassegni d'amore e di fede , perchè l'ordine della verità corrisponde all'ordine della nalura umana. 9. Il Criterio vale altresi nelle cogni. zioni anteriori alla Scienza , 10. nè la Scienza può disco noscerlo. 14. Nella Scienza, poi , l'evidenza precede il ragionamento , l'accompagna , e lo compisce. 12. Nella Filosofia, l'evideoza del Criterio naturale si converte in evi deoza scientifica ; non già perchè si comioci dal dubbio ; anzi non può cominciarsi da esso , perch'è un riconoscimento . – 13 . Criterio della Filosofia è l' evidenza dell'ordine universale ; . 14.senza di che quella è fuor di natura . - 15. Criterio delle altre Scienze è l' evideoza d'un ordine particolare ; ma in essa i Criterj sccondarj bao solo un ufficio indiretto e più ristretto . - 16. Conclusione. - 451 Cap. XXII . L'evidenza del Teismo, come di verità ordinatrice o di Criterio supremo .... 1. Perchè la verità di Dio creatore sia Criterio compren sivo alla riflessione. 2. La Scienza de' limiti è scienza ne cessaria ; e il Teismo ci avverte de' nostri limiti . 3. Questi sono la natura stessa dell'intelletto e delle cose. 4. Soprin telligibile , soprannaturale , 5. intelligibile : 6. la verità di creazione fa serbare questi limiti , e spiega il perchè del sovrintelligibile divino, –7. del sovriptelligibile naturale, 8. e ci rende liberi e sicuri nello studio delle cose intelligibili , che sono inesauste a mente umana. - 9. Quindi essa rende soddisfatto qualunque bisogno dell'uomo, e ordina le Scienze che si riferiscono a' bisogoi stessi . Teologia positiva, - 10. Filosofia , Matematica , — 11. Fisica , 12. Filosofia della Sto ria , Filologia e Critica. - 15. Quel Criterio spiega la legge del progresso in Filosofia e il regresso sofistico . – 14. I siste mi, opposti alla verità di creazione, ristringono la conoscenza riflessa , 15. e poi l'apoientano. - 16. Conclusione. - -  543 - Cap. XXIII. Sistemi opposti al Criterio della Verità , e pri mieramente il Panteismo.... Pag . 472 1. Argomento. - 2. Contradizioni del Panteismo , e pro posito di affermare le contradizioni.- 3. Panteismo orientale , 4. pitagorico , - 5. eleatico ed ionico ; - 6. degli Ales sandrini e Gnostici , - 7. che difendevano il Paganesimo ; 8. de' Reali nel medioevo , – 9. e dell'altre Sètte ; - 10. del Bruno e del Campanella 11. ( sterili , se paragonati al Car tesio ed a Galileo ) , · 12. dello Spinosa ( non paragonabile alla fecondità del Leiboitz), - 13. de' Panteisti tedeschi , 14. e de' loro discepoli. 15. Verità grandi , che balenano dal Panteismo ; 16. il quale , bensì , le travisa , e però nega i fatti più sublimi della coscienza. CAP. XXIV. II Dualismo . 493 1. Argomento. - 2. Io che il Dualismo è peggio , e in che meglio del Panteismo ? 5. Dualismo fra gl' Indiani. 4. D'Anassagora , - 5. di Platone , -d'Aristotele, 7 . degli Stoici . - 8. Dualismo tra certi Filosofi maomettani . 9. Dualismo nella Cristianità del medioevo ; 10. e come le tracce del Dualismo antico si trovino anche ne' Dottori scola stici ; - 14. talchè se n'occasionava , ne' tempi della Riforma , up Dualismo nuovo , non antiteistico , macosmologico e antro pologico . – 12. Il Cartesio ; – 15. ed effetti delsuo Dualismo , segnatamente nel Malebranche , - 14. e nel Leibojtz ; 15. o anche nell'Idealismo , nel Sensismo e nello Scetticismo poste riori . 16. Il Dualismo riduce i contrarj a contradittorj , - talchè rompe ogoi armonia . CAP. XXV. L ' Idealismo e il Sensismo.... 515 1. Differenza fra l ' Idealismo e il Sensismo. 2. Cenno storico di questi sistemi . – 3. Io che propriamente consiste l ' Idealismo (e sbaglio d' alcuni moderni), e paragone con gli effetti del Sensismo. - 4. Vizio principale degl ' Idealisti . 5. Nel Sensismo la coscienza umana non riconosce sè stessa ; 6. non l'intelletto , essenzialmente diverso dal senso ; - 7. non - 8. non l'idealità ; 9. non la riflessione sopra di noi ; 10. non la religiosità ; 11. non la certezza nella cogoizione de' corpi ; 12. non la Filosofia ; si solamente la Fisica , - 13. ma falsata e con metodi non suoi . - 14. E sono alterate anco le Matematiche , - 15. com' altresi la Sto ria . - 16. Sunto .  INDICE DEL VOLUME SECONDO. - Cap. XXVI. Lo Scetticismo...... Pag . 1. Argomento. 2. Scetticismo nell'Asia e fra gl ' Italo greci ; - 3. nell'età Socratica e del medioevo ; 4. nell'età moderna . – 5. Eclettici e Mistici , che non riparano allo Scet ticismo , dacchè gli concedono di partire dal dubbio . – 6. Idea Jismo scettico e Sepsismo scettico. 7. Razionalismo , 8 . e Positivismo ; – 9. e quindi Scetticismo metafisico , antimetafisico , - 11. che bensi trova la Metafisica per tutto . – 12. Come la natura repugoi dallo Scetticismo . 13. Con seguenze principali di questo . Desolazionee scherno . - 14. Dif ficoltà pelle controversie , o Dommatismo scettico ; abito di giudicare de' fatti umani da sole circostanze esteriori. 16. Lo scetticismo riduce a nulla il pensiero. 10. e 15. e CAP . XXVII. L'Amore della Verità ... 22 4. Che cosa è nell'ordine suo pieno il Criterio ? Condizioni intrinseche ed estrivseche per la conoscenza della Verità . 2 . Sentimento e amore. 3. L' affetto è conoscenza e la cono scenza è affetto . -- 4. Bisogna secondare con la libera riflessione il naturale affetto . 5. Come l'affetto della Verità dia im pulso al ragionamento , l'accompagni e lo assicuri , e perciò bi sogna guardare a quell'impulso , 6. a quella compagnia e a quel riposo ; - 7. e sbagliarono tanto i Sentimentali , che di visero l'affetto dall'evideoza ; 8. quanto gli Astratteggian ti , che separarono l'evidenza dall'affetto . 9. Ufficio del l'amore di Verità nelle Matematiche ed io Fisica . - 10. Ufficio di quello in Filosofia , il quale altresì ci mostra gli affetti con naturali, che corrispondono agli oggetti della Filosofia stessa ; - 11. cioè l'amore di noi medesimi e degli altri uomioi , 12. l'ammirazione affettuosa per l'ordine della natura 13 . e gli affetti religiosi . – 14. Quello è anche Criterio degli Studj critici , storici e teologici . – 15. Nelle passioni l'affetto patu rale può facilmente riconoscersi . – 16. Per l'affetto la scienza si converte in sapienza. 500 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 42 - - 63 - salità ; CAP. XXVIII. Il Senso Comune... Pag . 1. Quando la parola serve di Criterio ? - 2. Che cosa è il Seoso Comune ? Due sigoificati di esso , - 5. dal separare i quali vennero due opinioni false , · 4. Limiti del Senso Co mune : . 5. i principj , 6. le immediate percezioni , 7 . e le immediate conclusioni . 8. Ufficio diretto e generale del Senso Comune in Filosofia ; non cosi nell'altre Scienze , 9 . fuorchè dov'esse s' uniscono alla Filosofia stessa . - 10. Obie zioni sull'esistenza del Senso Comune , per la contrarietà delle opinioni . – 11. Obiezioni contro la testimonianza de' Lioguagej al Senso Comune , per la supposta indifferenza de' vocaboli al si e al no ; – 12. per il materiale significato primitivo di parole che ricevevano poi un sigoificato spirituale. 13. Obiczioni sulla ragionevolezza d'usare il Senso Comune a Criterio , qua sichè questo sia credenza , non evidenza ; - 14. quasichè vo gliamo reputarlo sapienza o scienza ; 15. quasichè occor resse interrogare tutti gli uomini . . 16. Sunto, e necessità di ricondurre le Scienze alla natura , come le Arti del Bello . CAP . XXIX. Tradizioni e progressi nelle Scienze ... 1. Criterio delle Tradizioni scientifiche . 2. Due siguifi. cati del vocabolo Scienza . – 3. Dobbiamo verificare l'univer 4. distinguendo i principj, i teoremi , i problemi, e gli errori. 5. L'unità del consentimento non toglie la libera varietà . -6. Consentimento e progresso pe' principj e ne' teo remi , -7. e ne' problemi . – 8. Le Sètte son dimezzatrici della Verità ; 99.. eppure confermano i teoremi , 10. e son’oc casione di progresso , mostrando i mancamenti della Filosofia , 11. perfezionandone la forma , 12. e alcune dottrine particolari , - 13. e le loro conseguenze nelle dottrine de'Fi losofi. – 14. Nascono due opinioni false : cioè i sosteoitori della sola evidenza privata ; – 15. e i sostenitori del solo criterio storico . - 16. Conclusione. CAP. XXX. Relazioni fra le Scienze e la Religione ..... 1. L'argomento, che ora si tratta , è Glosofico di sua na tura , – 2. Due significati della parola Religione. - 5. S'esclu de : che la Filosofia debba ricevere l'autorità senz' uo motivo evidente di ragione; – 4. che, per l'esame, debba sospendersi la Fede ; 5. che l'autorità del verbo religioso sia un Crite rio diretto per ogni Scienza ; - 6. che la Filosofia debba en trar pe' Misteri , o la Teologia nel ragionamento filosofico ; – 7 . che sia lo stesso metodo e lo stesso fioe a’ Filosofi e a' Teologi . - 8. Nel fatto , l'efficacia delle Religioni è universale sopra i sistemi filosofici ; 9. e sempre la Religione s’ è reputata upa Fede ; 10. Criterio è poi , se corrisponde alla coscienza ; 11. talchè sia un'evidenza e una credenza , cioè una credenza evidente. · 12. Fa quasi specchio all' uomo interiore , - 15 . che riconosce l'integrità dell'essere suo io quella. 14. Gra vissimo errore del negare validità razionale lenza non filosofica . 15. Il Criterio religioso sublima l'animo e lo ràs. serena, porgendo così le due condizioni necessarie d'ogni me . ditazione più alta . 16. Sunto. 84 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 501 LIBRO QUARTO. Leggi speciali della Dialettica . oi . - - 6. e Cap. XXXI. Dell'Ordine , come suprema Legge razionale . Pag. 107 1. Legge suprema razionale . 2. Leggi concrete o datu rali , 5. Legge soprema è l'ordine . 4. Unione de' termi 5. Cercare questa unione, rispetto agli oggetti , pelle operazioni , cosi dell'Arte bella e dell' Arte buona , 7 . come dell'Arte dialettica . 8. Cercare la somiglianza de' ter mioi, – 9. le loro differenze , - 10. e le loro contrarietà , 11. escludendo i contradittorj. 12. Ksempio tolto dalla teo rica de' Criterj . – 15. Errore, deformità , male , sono disor dini . Ogni errore non altro è , che da una parte soltanto risguar dare la verità , segregandola dal resto che le appartiene , e senza cui non è più verità. - 14. Gli errori e il male cadono d'ec cesso jo eccesso . 15. Meraviglie della ragione umana, che imita l'ordine della natura interiore ed esteriore . 16. Coo clusione. Cap . XXXII. Ordine dell'idee 127 1. Ripensamento dell'idee. - 2. L'idea , del suo valore intimo , è sempre vera ; - 5. quantuoque altresi per idea s’in . tenda lutto ciò che con la riflessione s'afferma e nega ; e allora l'idea può essere falsa . — 4. Bisogna esaminare il positivo del l'idee ; - 5. nè può darsi un'idea negativa per sè medesima. 6. Poi bisogna esaminare l'ordine dell'idee con gli oggetti, e come non possiamo pegar l'idea d’un oggetto , se igooriamo la sua intima essenza , nè possiamo negare l'idea d'un fatto , se ignoriamo il comeavviene il fatto , ec .; -7. e bisogoa esa minare qual sia la natura dell'oggetto , coocepita per mezzo dell' idee . - 8. Idee a priori e a posteriori ? 9. L'idee hanno fra loro uo ordine cbe va riconosciuto ; 10. talcbè , riflettendo a quello , si formano idee distinle , adequale , chia -A1 . e ci leviamo all'idea perfetta . 12. Bisogna , in line, ch' esaminiamo la forma concettuale dell'idee , 13. la loro estensione e comprensione , 14. onde riconosciamo l'unità 15. per la quale l'idea è un esemplare unico di 16. Chi poo badi alla oatura dell' idee non può intendere alcuni fatti maravigliosi della patura umana . Cap. XXXIII. Ordine della Memoria .. 1. Argomento .– 2. La legge della Memoria è l'ordine stesso che regge l'idee . 3. Associazione dell'idee . 4 . Come possono in unità raccogliersi le varie associazioni , notate da' Filosofi. 5. Quella medesima legge si distende al richiamo de' fantasmi e de'segoi . - 6. E anzi , abbraccia tutte le facoltà , concorrenti nella Memoria , 7. e unità naturale del . 8. e l'unità morale del genere umano. — 9. Que st' ordine , ch'è legge della Memoria , diviene regola . È neces saria l'attenzivce sull’idee e il raccoglimento. 10. Bisogoa 32 * re , dell' idee , molte cose . ſaomo , 502 INDICE DEL VOLUME SECONDO, - considerare la coonessione dell'idee e i segni seosibili per facil . mente richiamarle. - 11. Inoltre , acquistar l'abito della ri flessione sull'ordine de' giudizj e de' raciocinj, per il pronto discorso scientifico . 12. Singolarmente quell'abito è neces sario per la Memoria delle parole. 15. Tadi procede la pa dronanza dell'esporre. 14. Per l'uoità coosapevole interna , occorre rammemorare il nostro passato . 15. Per unità morale del genere umano poi , occorre la Tradizione , ch'è me moria. – 16. Conclusione . Cap. XXXIV. Ordine de' giudizj.. Pag. 166 4. Argomento . 2. Co.ne dall'idee si svolgono i giudizj ; - 3. onde i giudizj possibili sono distinti da’ formati o reali. - 4. Categorie , 5. oggettive e soggettive. 6. Perfezio oamento di questa dottrina . - 7. Categorie oggettive , o se condo gli Universali ; 8. Categorie soggettive : 9. I. quanto alla forma concettuale dell'idee , giudizj universali , ge nerali , particolari , singolari ; - 10. II . quanto alle relazioni fra l'idee , categorici , ipotetici, disgiuntivi, 11. problema tici , assertori , apodittici, - 12. diretti e comparativi, astratti e concreti, a priori e a posteriori , - 13. analitici e sintetici ; - 44.III . quanto alla forma de'giudizj , affermativi , negativi , limitativi ; 15. IV . quanto alla relazione di più giudizj, equipollenti , convertibili , contradittorj , contrarj e subcontrarj. 16. Conclusione; e come sia necessario , giudicando , solle varsi all'idea distinta , chiara , adequata , e quindi perfetta , di ciò che meditiamo. Cap. XXXV . Ordine del ragionamento .. 186 1. Argomento. Regole. • 2. Legge dialettica . – 5. Idea media ; e come il raziocinio sia un giudizio complesso che si scioglie in tre giudizj. – 4. Priocipio formale del raziocinio . - 5. Deduzione e induzione. - 6. Deduzione dal simile al diverso . – 7. Induzione dal diverso al simile . - 8. La diffe reoza tra il ragionamento deduttivo e l'induttivo, in che non può consistere ? — 9. Qual'è duoque la differenza del ragiona mento deduttivo , 10. e dell'induttivo ? - 11. Da essa viene la regola . 12. E , per opposto , dal violarla vengono i sofi - 13. e si vedenel dedurre, - 14. e nell'indurre.: 15. Non deve mai separarsi la 'regala formale dalla materia del ragionamento ; - 16. oè la materia di questo dall'ordine suo . C .: P. Utilità del ragionamento . 206 1. Argomento. 2. Come deve intendersi che si procede dal noto all'ignoto ? 5. Che cosa troviamo di nuovo per via del ragionamento ? 4. Deduzione; 5. in Fisica , in Ma. tematica applicata ; – 6. altre scoperte , – 7. per equipollen za , conversione, opposizione, esclusione'; 8. deduzione per via di regole applicate . – 9. Induzione , é sua certezza . --40 . Induzioni fisiche. 11. Analogia . 12. Ipotesi. – 13. In duzione metafisica . – 14. Due erroriopposti : l'uso di coloro che immaginano la deduzione quasi generazione ; 15. l'al tro di coloro che negano il dedurre. 16. Conclusione . smi ;  216 Car. XXXVII. Unione e varietà de'Metodi.......... Pag. 227 1. Argomento . 2. La verità , com ' ordine conosciuto , si trasforma in Metodo : può vedersi dalla Storia della filosolia , 3. e delle Scienze fisiche ; 4. talchè vana è la disputa se preceda l'importanza de'Metodi o de principj; - 5. e quindi ancora si vede che il Metodo risguarda il soggello e l'oggello , e ch'è psicologico ed ontologico insieme , 6. cioè critico . - 7. Faria il Metodo ; ma neile varietà c'è leggi comuoi . 8. Le varietà poi derivano dalla natura dell'argomento , 9 . taotoché riesce assurdo il coofondere tra loro i Metodi; 10 . e vba Scienze deduttive , 11. induttive , . 12 , miste ; 13. più sintetiche , o più analitiche . 14. I Metodi , variando secondo la varietà delle cose , diversificano pure secondo la mente di chi pensa la verità , 15. e secondo la mente di co loro , a cui la verità s ' espone. 16. Sunto. CAP. XXXVIII. Abiti necessarj al ragionamento 1. 11 Metodo è abito , e richiede: abito di virtù , abito in tellettuale che disponga l'intelletto all'Arte ragionativa, e abito dell'Arte. – 2. Abito morale , cioè amore della Verità . 5 . Bisogna essere preoccupati solo da questo amore ; 4. unito alle virtù morali , - 5. e come dagli abiti viziosi opposti s' of feoda il ragionaiento buono. — 6. Abito intellettuale del rac coglimento, – 7. donde nasce il diletto della meditazione , 8. e che porta con sè l'abito di badare all'armonia delle facoltà e delle dottrine , 9. e di ordinare i proprj studj . 10 . Abito intellettuale dell'Arte , cioè il possesso delle regole . 41. e dell'ordine loro ; 12 donde procede la necessità di tre atti razionali abitualmente, cioè l'esame del pensiero del principio de' ragionamenti, a mezzo e io fine ; 13. il quale ultimo è importantissimo ; 14. e indi viene il possesso della ragione ; 15. acquistato piucchè mai dall'esercizio della pewna e della disputa ; 16. purchè questa sia conveniente. Cap . XXXIX. L'Esposizione .... 264 1. Iinportanza dell'argomento , 2. Ufbej della parola : interpo e sociale . 5. La parola s’unisce strettamente al pen siero , ma non lo costituisce ; 4. bensi lo determina . 5 . Non bastano i fantasmi, ma ci vuole il segno dell'idea 6 . tanto più che il discorso esterno aiuta con la successione sua la riflessione discorsiva . – 7. Legge dell'Esposizione si è la legge dialettica ; 8. ossia determinare con la lingua l'ordine del pensiero ; il che apparisce anche da' nomi che si dànoo a'ter mioi della proposizione e del raziocinio , e al congiungimento de' termini ; - 9. e poi , la bellezza dello stile dottrinale ac corda il Vero col Buono . 10. Regola perciò è : determinare cop l'ordioe della parola l'ordine del pensiero ; -11 . in con formità dell'idee e dell'idioma , 12. donde si traggono le regole tutte grammaticali , 13. e dello stile . 14. Quindi è impossibile separare la bellezza dell ' Esposizione dalla pro fondità e dall'ordine del pensiero . – 15. Se non determiniamo con le parole il proprio concetto , - 16. in conformità dell'ig 2 504 4. ma timo legame fra i concetti , e in couformità del linguaggic , ven gono gravi errori . Cap. XL. L'Interpretazione .. Pag . 283 1. Argomento. — 2. In quante maniere debba determinarsi l'ordine del pensiero altrui . 5. Relazioni del discorso con la Jingua ; e perciò la sappia , chi vuolesser critico ; tutti sapere ogni liogua , non si può pè giova ; 5. e allora valersi degl'interpreti migliori. – 6. Relazioni del discorso con la mente altrui; e perciò stare al senso letterale , quanto si puo ; – 7. oon interpretare alla leggiera né cop troppo di sot tigliezza : 8. non alterare né i difetti né i prenj ; – 9. ba dare ai fini che il testimone o lo scrittore si proponeva. 10 . Relazioni del discorso con l' animo altrui; e pero guardare alla capacità e alla veracità con argomenti intrinseci ed estrioseci ; : 11 . nè la capacità negare, preoccupati da un'idea ; 12 . nè , per la veracità , eccedere ne' due vizj opposti d'una Critica adulatrice o caluoniatrice. - 15. Relazioni con la Società uma na ; e però con l'incivilimento , 14. con la Religione , 15, con l ' uniune delle prove . 16. Sunto, Metodi secondo le varie Discipline. 305 0 Cap . XLI. Metodi speciali ..... 1. Perchè i Metodi si distinguono secoudo le Discipline va rie ? - 2. Quanti sono i Metodi speciali , - 3. che procedono dalla relazione varia degli oggetti con la mente ? 4. Ogni errore sostanziale di Metodo procede da un errore su detta rela zione. - 5. Gli errori de' sistemi sul Metodo , esaminati , ren dono testimonianza tutti insieme alla vera dottrina. 6. La distinzione de' Metodi è necessaria pell'Arte del Vero , come si distinguono l'Aiti speciali nell'Arte del Bello ; – 7. e chi oega la differenza de' Metodi, pega implicitamente esplicitamente una qualche verità ; come nell'Arti Belle , 8. cosi nell'Arte dialettica . 9. Connessione de' Metodi ; . 10. e ciò si vede anco nell' Arti del Bello . Hl . Ma la connessione non toglie poi la distinzione , 12. secoudocbė il rispetto delle verità mediane o collegatrici diversifica ; 13. onde bisogna rispet tare la varia competenza nelle Scienze diverse ; 14. beocbe uno Scienziato possa partecipare di più Scieoze. 15. Sunto . - 16. La confusione de' Metodi è coutro il progresso della civiltà . Cap . XLII . Metodo degli Studj religiosi. 1. Argomento. 2. Proprietà del Metodo negli Studj re ligiosi . – 3. Metodo storico circa i fatti ; – 4. e guardare do v apparisca propriamente la loro Storia . 5 Metodo joterpre tativo circa i fatti , -6, e le dottrine, 7. Metodo filosolico circa la possibilità razionale de' fatti dividi , 8 , e come gli 324 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 505 - Avversarj neghino irragionevolmente questa possibilità ; 9 . poi , circa la razionale convenienza in genere de ' fatti divini , ma esclusa sempre la necessità ; - 10. poi ancora , circa la ra zionale convenienza in ispecie, cosi de preliminari della Fe de , 11. come nelle Verità misteriose . 12. Unione del Metodo filosofico , dell'interpretativo e dello storico , per le origini del Culto e per la sua universalità nel tempo, 13 . per le sue relazioni universali con le Scienze e con l'Arti , 14. con la Civiltà intera , - 15. e con tutti gli altri Culti . Metodo teologico si distingue dagli altri Me . todi e vi s'accorda .. Pag . 342 1. Argomento. 2. Il Metodo teologico si distingue dal filosofico , perchè muove dall'autorità , – 3. perchè risguarda il soggetto medesimo in un rispetto differente , 4. perchè , quantunque abbia io sè una parte filosofica , non è meramente filosofico. 5. Si distingue dal Metodo critico e filologico , percbė storicameote e ioterpretativamente riconosciamo cause sovrunane, l' Intelletto sovrumano, tini soprannaturali. 6 . Si distingue dal Metodo matematico , perchè risguarda la libertà divina e l'umana ne' fatti religiosi. – 7. Si distingue dal Mo todo fisico ; e tal distinzione ha importanza eguale pe' Teologi , che non debbono considerare come il mondo è fatio , - 8.6 pe ' Fisici , che non debbono considerare come il moodó fu fatto . 9. Il Metodo teologico s'accorda poi col filosofico ; perchè il Teologo non deve separare mai l'attinenza fra Teologia e Filo sofia che porge a quella le verità prelimioari, l'analogie razio nali e l'ordinamento ; - 10. pè il Filosofo deve mai separare l'attinenza tra Filosofia e Teologia , che rende più autorevoli o efficaci le verità razionali . – 11. II Metodo teologico s'ac corda col critico, perchè il Teologo ha bisogno di guardare alla Storia universale e alla Linguistica ; — 12. il Filologo ba bi sogno diguardare alla Storia religiosa e ai monumenti sacri . 13. S'accorda col matematico , per la severità del ragiona mento , per molti esempj , per molte dottrine fisicomatematiche, per l'evidenza del concetto d'infinità . – 14. S'accorda col fisi co , perchè il Teologo non deve mai tenere la scoperta di cose na - 15. pė il fisico deve spregiare la verificazione delle ipotesi , secondo le narrazioni sacre . 16. Sunto . Cap. XLIV. Metodo della Filosofia.... 361 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo filosofico. – 3 . Raccoglimento nella coscienza . 4. Esame de' fatti interni , delle loro leggi e cause . turali ; - - 5. Delle relazioni con gli oggetti ; 6. e però avvi una parte del Metodo , asceosiva da'fatti agli oggetti stessi , e una parte discensiya dagli oggetti a ' fatti. -7 . Si distingue dal Metodo teologico , e dal critico o filologico : 8. dal matematico , per la natura de' concetti , la natura degli oggetti ; – 10. dal fisico , per la natura de' fat ti , e per le relazioni loro con gli oggetti, 11. e quindi per la ricerca delle classi loro , e leggi e cause , e per i priocipi della ragione. - 12. Si accorda col Metodo teologico per l'esa 9. e per 506 INDICE DEL VOLUME SECONDO . - me della coscienza; 13. col critico o filologico , per lo stu . dio dell'umana natura pe' fatti umani esteriori e nelle lingue ; 14. col malematico , per la speculazione di verità con ma teriali ; – col fisico , per l'altigenze fra le cose intellettuali e le corporee. 16, Sunto . CAP. XLV. Metodo della Filosofia Civile .... Pag. 381 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo nella Filosofia Civile . Questa si fondi sopr'i fatti , – 3. badando alla notizia loro precisa e al collegamento loro . 4. Studio delle cagioni ; ma fuggendo di prendere l'analogie per identità . - 5. Esame delle cagioni esteriori ed interiori, non separabili , ma distinte . - 6. Le cagioni interiori hanno più importanza : 7. ma senza trascurare l' esteriori . - 8. Si ascende alle leggi o ragio ni . Leggi supreme della Scienza storica , della Politica , della Giurisprudenza , dell'Economia. - 9. Le dette leggi non tol gono la libertà , - 10. come la libertà non toglie alle conse guenze proprie la necessità ; 11. tantochè in ciò risplende l'ordine della Provvidenza . – 12. Dopo l'esame induttivo delle cagioni e leggi può farsi la deduzione, o probabile o necessa ria , di ciò ch' è avvenuto e che può avvenire. 13. Questa Filosofia delle ragioni o leggi , che governano le nazioni , non può trascurare il procedimento storico ; ma neppure si può, per questo , trascurare la teorica di quelle . - 14. Talchè la Scienza civile ha due presupposti , la Storia e la batura . –15. Però il Metodo suo si distingue da ogni altro , 16. e a tutti si upisce . Cap . XLVI . Metodo critico nella Storia . 401 t . Argomento. – 2. Esame de' fatti , Discipline che aiutano in ciò la Storia : Cronologia e Geografia , – 4. Archeo logia , Diplomatica , Statistica , Archeologia preistorica , Etno grafia. 5. Come si può andare in eccessi con queste disci pline . - 6. Ipercritica . – 7. Esame delle cagioni ; e iodi lo Storico rifà la Storia entro di sè . 8. Cause finali, 9. particolari, generali , 10. psicologiche , A1 . divine . 12. Oggettività della Storia ; 15. e come ciò la renda bel lissima e ammaestrativa . – 14. Come lo storico si distingua da ogoi altro Metodo ; 15, e vi si accordi . 16 Sunto, CAP. XLVII . Metodo critico nella Linguistica . 420 1. Proprietà del Metodo interpretativo delle Lingue. 2. Raccolta ed esame de' vocaboli . – 5. Come bisogna valersi dell ' uso proprio nelle Lingue parlate , e come giovino i testi moni dell'uso . A chi ricorrere per lo Lingue morte. Grammatica poi determina le classi e le leggi de' vocaboli , 5. Avvisi necessarj a far bene la Grammatica . – 6. Io che con siste la Filologia comparata. – 7. Utilità di essa , e da quali estremi bisogna fuggire. 8. Il fine dell'esame filologico è interpretativo principalmente ; – 9. e ciò ne determina i con fini , i modi , 10. e le relazioni ; che sono massimamente due : con la Letteratura , 11. e con la Storia , - 42. E iodi anche vediamo le indirelle relazioni della Linguistica ; cioè con 4. La ca , la Teologia . 13. con la Filosofia , 14. cop la Matemati 15. e altresi con la Fisica , sempre distinguendosi da tutto ciò . 16. Sunto. CAP. XLVIII. Metodo matematico ... Pag. 440 1. Proprietà del Metodo matematico. – 2. Quantità pore, cioè astratte da ogni altra idea . – 5. Nel che , poi , bisogna di stinguere fra l'insegnamento elementare ed il superiore. 4 . Si cerchino le ragioni , sgombre da ogo' idea straniera . 5 . Idea dell'Infinito , distinto dall'indefinito matematico . - 6. Il Cavalieri . – 7. Distiozione dal Metodo teologico , - 8. e relazioni con esso ; dal Metodo filosofico : e accordo con la Logica , onde l'insegnamento della Matematica è razionale , 12. Distinzione dal Metodo critico , segnatamente dal letterario , 13. e accordo . - 14. Relazione col Metodo fisico . 15. Come le dimostrazioni matematiche abbian virtù di assestare gl'intelletti , e anche possano dissestarli . . 16 . Sunto. Car. XLIX . Metodo nelle Scienze fisiche. Argomento . Proprietà del Metodo nelle Scienze fisiche , - 2. Prinia d'indurre si comincia dall'Analogia ; 3. cbe talora non può giungere all' Induzione, 4. Può essere fonte di errori ; o del troppo generaleggiare , 5. o del poco. – 6 . Essa è di molta difficoltà . 7. Regola da tenersi. – 8. Indu zione. Uffioj del senso e dell'iotelletto . 9. Ci solleviamo alle 10. alle cause , - alle leggi , 12. e però al . l'ordine . Doppio errore de' Sensisti e degl ' Idealisti . 14. Frantendono allri la luduzione , ch'è legittima e necessa ria , 15. e da cui siamo condotti alla Deduziune . Suato . Cap. L. Segue del Metodo fisico ; e Ordine fra le Scienze .. 479 classi , 16. 1. Argomento. – 2. Abiti che prende la meote per gli Studi fisici. – 5. Idem . 4. Necessità di mantenere l'ordine fra le Scienze . - 5. Guai , se la Fisica è usurpativa. Confusione della Fisiologia con la Psicologia : – 6. de' fatti esteriori con fl'interiori. – 7. Confusione di linguaggio , e dogmatismo. 8. Si confondono i bruti con l'uomo ; – 9. la volontà con gli atti meccanicamente determinati. – 10. Si distingue il genere umano in più specie , poi si pongono le trasformazioni di tutte le specie ; -- 11. si confonde l'ordine de' fini col piacere • con la materiale utilità . - Abiti cbe prende l'intelletto per gli Studj religiosi; Filosofia ; - 14. per le Matema. tiche ; - 15.per la Gritica . 16. Conclusione generale. STORIA DELLA FILOSOFIA ROMANA. - Epoca seconda dell' èra pagana. Civiltà degl' Italogreci ; successione dei loro sistemi . . 245 XIV. Scuole italogreche . Epoca quarta dell ' èra pagana. Si stemi grecolatini . - Cicerone . Giureconsulti romani.  EPOCA SECONDA DELL'ÈRA PAGANA. CIVILTÀ DEGL'ITALOGRECI; SUCCESSIONE DE'LORO SISTEMI. Tre tempi dell'incivilimento ilalogreco ; i l'elasghi, la trasfor mazione loro negli Elleni , le colonie . - Il terzo è più nolo ; quali sono i suoi termini . – Cinque cagioni più principali dell'unione fra la civiltà orientale e l'italogreca : colonie , commerci, viaggi , lingue , tradizioni. Tre opinioni sopr ' esse; tutto dall'oriente, nulla e opinione media . – Dj pendenza non generica nė volgare della filosofia italogreca daʼsistemi orien tali . – La civiltà jtalogreca fiori primamente dove più vive le comunica zioni con l’Asia e dove più ricco un anteriore incivilimento . l'ero quest'epoca si chiama orientalitalogreca , o più breve , italogreca . Questa è un'età di passaggio , fra le qualità orientali e il tempo socratico. Si veda le attinenze lia filosofia italogreca , religione e civiltà. Quanto alla religione sacerdotale, se n'ha indizi per le memorie de ' Pelasghi, de ' Mi steri e degli Orfici. Celebre passo di Erodoto sulla religione de ' Pelas ghi, e sul nome degli dèi posteriori ec ., e conseguenze di ciò . Somi ilianze tra la religione pelasgica e quella de' Bragmani. - Misteri : quelli di Samotracia istituiti da 'Pelasghi ; domma che s'insegnava segretamente e molto simile al panteismo dell'India. – Ciò pur anche ne ' Misteri eleu sini ; panteismo naturale, metempsicosi, immortalità, purificazione. - La teologia d’Eleusi non può interpretarsi solamente in senso fisico. Testi monianze di lode que' Misteri pel domma sull'immortalità . Le due anime; anch'in Omero ec . – Gli Orfici: qualcosa di storico v'è circa Orfeo , benché con mistura di simbolo.-- La dottrina che va sotto il nome d'Orfeo si raccoglie da tradizioni antiche e da'versi orlici. Le tradi zioni attribuiscono a Orfeo una religione collegata poi a'Misteri eleusini : cosmogonie orliche, somiglianti all'indiane . Quanto a'versi orlici , que sli non appartengono a Orfeo ; ma parecchi son certamente molto antichi. Da varj ioni (che si riferiscono qui, apparisce il panteismo naturale come ne ' Vedi. Passi che fece la religione tra l'Italogreci: panteismo natu rale con molte tracce del Dio unico ; adorazione degli astri , massime nel volgo ; teogonie , o emanazioni sempre più specificate e che prendono attri boti e nomi distinti ; individuazione ultima e volgare del politeismo, specie per opere degli artisti e de' poeti, abbandonando quasi ogni simbolo. Memorie sul combattimento fra le religiose tradizioni e il politeismo cre scente. - La filosofia , dunque, prima sacerdotale ; poi sacerdotale e laicale ad un tempo ; cedè inline al politeismo, rispettandolo, se non altro , come apparenza o credulità popolare. — Questo resistere al male, e poi cedergli, si vede ancora per l'altre parti della civiltà italogreca. La filosofia venne preparata da molte cagioni, e però dovè fiorirvi assai presto , anzi chè cominciare a' tempi di Talete molto dubbiosi. - La filosolia mosse da un ritorno sulla coscienza morale Questa filosofia morale e religiosa fiori, prima di Taleto, non solo in Italia ma tra gli Ionj pur anco ; e se n'ha prove non dubbie. La cuola pitagorica precedeva Talute ; ma va di . slinto Pitagora dal Pitagoresimo. - Molti argomenti di fatto e molte auto rità per mettere in saldo le antiche origini di tal filosofia . Anche la scuola di Xenofane antecedė Xenofane stesso ; e quindi abbiamo, prima il Pitagoresimo, poi la scuola cleatica e l'ionica , infine i sistemi negativi . L'epoca dell'incivilimento italogreco si può distin guere in tre tempi; de Pelasghi ( o con qual altro nome si voglia chiamare que' popoli primitivi) ; della trasforma zione di essi negli Elleni ; delle colonie. L'età de' Pelasghi o degli antichi abitatori di Grecia e d'Italia si perde nella notte de' secoli , ignoto il principio e la durata . È certo bensì, che quegli abitatori vennero d'Oriente, come se n'ha prova in tutte le memorie e ne’linguaggi e nelle reliquie dell'arti ; e che i Pelasghi, quantunque paruti barbari a Ecateo e ad Erodoto e di barbaro dialetto, furono la più antica sorgente e più copiosa delle genti e lingue e religio ni elleniche. (Balbo, St. d'It.; Cantù, St. univ .; Guignaut, note al Lib. IV del Creuzer, Rel. de l'antiquité.) Sem braron barbari, perchè reliquie di popoli più segregati allora da'popoli nuovi, già molti passati avanti. Fatto è che di là, ove i Pelasghi abitarono, fan derivare i Greci la civiltà loro , dall' Elicona, dall'Olimpo e dal Pindo. Accadde poi e in Grecia e in Italia un cozzo di popoli : qual cozzo, e di che popoli, è molto incerto agli eruditi ; ma questo si sa, ed Erodoto l'afferma più volte, che al lora con trasformazione lunga e tempestosa i Pelasghi si convertirono in Elleni. Viene poi l'età delle colonie ; un rovesciarsi di genti greche le une sull'altre, un in vadere, un esulare, e indi un propagarsi di colonie, prima nell'Asia minore e nell'Isole, poi nella Calcide, nell'Eu bea , in Sicilia e sulle coste d'Italia, e infine (propag gini di colonie da colonie) in Asia , in Tracia, sul Da nubio e nel Mar Nero. Questa terza età è propriamente storica ; dell'altre due il più va ingombro di favole ; e la terza cominciò, secondo l'Hofler assai temperato nelle · cronologie, sul secolo undecimo avanti l'èra nostra. ( St. Univ .) In un'età così lunga e operosa, e ch’ebbe così lun ghe e ricche preparazioni, si formò la civiltà e filosofia degl'Italogreci; la quale, svolgendosi nelle colonie d’Ita lia e dell'Asia minore, cedè poi nel secolo quarto avanti Cristo al primato d' Atene; onde cominciò un'altra età di filosofia . Nell'epoca di che si parla ora, in ogni tempo del l'epoca stessa, cinque cagioni principalmente mantene vano unite la civiltà orientale e l'italogreca ; colonie , commerci, viaggi, lingue, tradizioni : Le colonie, nè dico solo l'egiziane di Lelege, Danao, Cecrope ed altri, ma le prime venute dalla terra degli Arii e de' Persiani, e l'ultime ellene che si spargevano per l'Asia minore ; i commerci, che com’appare in Omero, non cessarono mai tra Grecia e Italia e le coste dell'Asia ; i viaggi per l'Oriente, non possibili a negare in tutto, de filosofi d'allo ra, come il Ritter non nega quelli di Pitagora, il Ritter ne gatore sì voglioso ; le lingue, che certo prendevano gl'inizj degli Orientali, e con le lingue le tradizioni d'ogni maniera. Tra queste, principali le religiose, in torno a cui son tre le opinioni: da Erodoto fino al Creu zer le mitologie italogreche, la greca segnatamente, si reputarono di provenienza orientale e il più egiziana ; ma poi Ottofredo Müller, il Voss e altri riferirono tutto ad ori gine greca ; il Guignaut ( Note al Crcuzer) ed altri con lui tennero finalmente l'opinione media . E questa si è che i germi delle credenze religiose si trapiantassero d' Asia com'anco radici e forme generali delle lingue ; ne può pensarsi altrimenti, dacchè ivi coabitarono un tempo le genti ellene : ciò non impedì, nè mai l'im pedisce uno svolgimento di proprie fattezze così nelle lingue come nelle religioni: all'età poi delle colonie, quand' elle si sparsero sull' Asia minore, per l'Egeo e nel Ponto Eusino, dalle comunicazioni fra loro e i vi cini orientali scaturi la fonte più copiosa d'idee e di simboli asiani, manifesta già in Esiodo ed in Omero . ( N. 1 al Lib. V , Sez. 1. ) Talchè (ponete mente, o si gnori), se lo spargersi di colonie nell'Asia minore av venne dall’undecimo all'ottavo secolo incirca, e nel con tinente poi d'Italia e di Sicilia dall'ottavo al sesto , que st'ultimo fatto s'incontra per appunto col ritornare delle tradizioni orientali fra gli Elleni, e ne sorge in mezzo la filosofia nuova degl'Italogreci. Non istarò dunque a disputare com’essa derivi più o meno da’sistemi orien tali, bastandomi ch'ella dipenda per fermo da molte tradizioni d'Oriente o per le origini delle schiatte o pel 248 PARTE PRIMA. riaccostarsi loro all'Asia. Che tal dipendenza poi de' po poli d'Italia e di Grecia, nazioni antichissimamente ci vili e nella civiltà loro pertinaci, possa credersi affatto generica e volgare, cioè senz'efficacia sull'educazione spe culativa, giudicatene voi , o signori, che pur vedete gli effetti odierni del comunicare le nazioni fra loro. Dove fu egli il primo fiorire della civiltà italogreca ? nelle colonie d'Asia e di Magna Grecia ; non già in Gre cia propriamente detta. Perchè mai, o signori ? La ri sposta non par malagevole ; prima che in Grecia, fiori la civiltà negl'Ionj dell'Asia minore, appunto perchè più vicini all'Asia media, sorgente de' popoli e della civil . tà ; e prima pure che in Grecia fiorì nella Magna Gre cia , cioè in Italia, perchè ivi più forse ch ' altrove ra dicò la civiltà pelasga, e perchè le tradizioni che fanno ionio Pitagora e ionio Xenofane, venuti tra noi, dan se gno come frequenti e vive fossero le comunicazioni tra le coste italiane e l ' Asia minore. Dico poi, ad ogni modo, che le colonie greche trovarono in Italia grandi semenze di civiltà, nè però ebbero impedimento, anzi ebbero aiuto a presto incivilirsi e prosperare. Di fatto recatevi a mente, o signori, due cose molto importanti: prima, che le ta vole d'Eraclea , lette dal Mazzocchi, fan prova come i coloni greci prendessero dagl'Italioti misure e confina zioni agrarie : seconda, che i Lucani, i Bruzj, i Sanni ti , dopo essersi ritirati davanti alle colonie greche, e riparatisi a' monti, ne discesero poi , e le ributtarono ( Hofler ), talchè più non restò in Italia dialetti greci (in Puglia ve n'ha, ma di colonie recenti e fuggite dai Turchi); la qual cosa non poteva accadere, se que'popoli montanari non serbavano istituti civili . Ecco il perchè ho chiamato quest'epoca orientalita logreca (italogreca per più brevità) ; greca, perchè filo sofia di colonie greche; italiana, perchè sorse più splen dida in Italia e con tradizioni italiane ( italica chia marono pure i Greci, come Platone ed Aristotile, la scuola pitagorica e d'Elea) ; orientale, perchè con ori gini e comunicazioni asiatiche. Non si toglie a' Greci la loro eccellenza ' se notiamo quel ch ' essi appresero ; offenderebbe la verità e loro chi loro negasse la mira bile potenza di far proprio l'imparato e di dargli bel lezza e compimento ; essi il ricevuto per dieci lo ridus sero a mille e quel mille lo insegnarono al mondo; ecco la lor gloria vera e non superata. Quant' all'Ita lia nostra, o signori, principalmente sul terreno di lei sorse co' Pitagorici questa filosofia nuova che tanto potè su Platone e sopr’ Aristotile ; l'Italia ricevè dal 1 ° Oriente e da’Greci, l ' Italia poi restituì alla Grecia e alla civiltà de' secoli avvenire ; e potè dirsi allora quel che poi disse Plinio : Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa, una cunctarum gentium in toto orbe patria. Ma le lodi antiche suonano vituperio a’tra lignati: avvaloriamoci , o signori, d'emulazione e di virtù, e non di lode . E quest'epoca, di fatto (come dissi altrove), è un'età di passaggio ; ritiene ancora le qualità orientali, ma che mostrano già di convertirsi nell'altre dell'età socratica . Così tra gl' Italogreci, come tra gli Asiatici, abbiamo un sistema religioso sacerdotale ; ma ora si nasconde ne' Mi steri , e si separa perciò interamente dalle credenze po polari che prevalgono. Tra gli uni e tra gli altri la filo sofia dipende dal sistema religioso ; ma ora si svolge in un modo più laicale e più da sè stesso, perchè così ri chiede la mobilità di quelle repubbliche, e perchè il sistema religioso si rimpiatta, e nè ha sull'invecchiare il vigore speculativo degl'inni e commentarj vedici ; par come un'eco de' tempi passati, più che voce vivente . E siccome la filosofia di quest'epoca pigliò i germi da'Mi steri ( Ritter ), che aveano del panteismo orientale, così ell'ebbe del panteistico a mo' degl'Indiani, ma con ten denze più manifeste alla dialettica che va per distinzioni anzichè per confusioni . Poi , qui come là s' unì la poe sia con la speculazione, ma più altresi se ne distinse ; perchè i poemi omerici non furon mai ravviluppati con una enciclopedia d'episodj; ed i poemi scientifici d'Elea e d'Agrigento s'accostano alla prosa. E qui come là v'è ncertezze storiche, meno per altro ; giacchè il più delle incertezze cadono su' Misteri e sulle origini pitagoriche, non già sulle scuole posteriori . Premesso ciò, si veda, o signori, qual fosse in atti nenza con la filosofia la religione e la civiltà degl' Ita logreci . Della religione, come sistema sacerdotale, me ne passerò più breve che non feci per l'India , giacchè (com ' ho detto) quel sistema era sul morire, e se n'ha meno ragguagli e meno certezza. La religione sacerdotale italogreca si può ricercare in tre modi : per le notizie assai oscure dei Pelasghi, i quali tennero idee religiose più primitive e più vicine alle orientali ; per le notizie scarsissime de' Misteri; per quelle degli Orfici. Essi e l'origine de' Misteri apparten gono, credo, all'età di combattimento e di trasforma zione. Quanto a’ Pelasghi, Erodoto scrive ( II, 51 , 52 , 53) che da loro non si metteva nome agli dèi ; aggiunge che i nomi vennero d'Egitto e che i Pelasghi non li volevano accettare, sì ne rimisero la decisione all'ora colo di Dodona, riuscito favorevole a que' nomi ; e dice infine che le nascite e le forme e gli aspetti degli dèi vennero cantati da Esiodo e da Omero ; tutte cose già ignote. Vuol notarsi com ' Erodoto accenni pure che un simbolo osceno gli Ateniesi lo presero da’ Pelasghi, i quali ne spiegavano il senso ne' Misteri ; e sappiamo di fatto che pure ne' Misteri eleusini e bacchici si mostrava i simboli femminili e maschili secondo i riti d'Oriente . Erodoto, uomo schietto, n'avvisa che il narrato da lui circ' a ' Pelasghi glie l'avevano appreso le sacerdotesse di Dodona, ma che il resto, circa le invenzioni d'Omero e d' Esiodo, lo diceva di suo. Che cosa si raccoglie, o signori, da questo luogo così famoso ? Primo, che la religione de' Pelasghi era più delle succedute lontana dal politeismo ; secondo, che quella si rappresentava co'sim boli orientali della generazione divina e però ne teneva i principali concetti; terzo , che il passaggio dalle divi nità innominate alle nominate, cioè da un che meno pagano ad un più, non accadde senza contrasto, e indi si ricorse agli oracoli ; quarto, che tenuto il simbolo antico ed esteriore, la sua spiegazione si fece nell'in terno de' Misteri ; quinto, che i nomi si suppongono venuti d'Egitto in età più recente, perchè all' Asia media non s'imputavano queste tradizioni ; infine che Erodoto reca l'antropomorfismo ad invenzione di poeti, non perchè già tal errore non fosse cominciato popolar mente, ma perchè que' poeti l'ordinarono ( più o men di proposito) in sistemi di mitologia, ed in modi specificati. Che poi la religione pelasgica somigliasse quella de Brag mani lo attestano Ferecide e Acusilao in Strabone ( Ed. Sturz ) ; dicendo che i Cabiri , divinità pelasgiche, son generati da Efesto e Cabira, e che sono tre Cabiri maschi e tre femmine. ( Creuzer, V , 2. ) Venendo a’ Misteri, abbiamo da Erodoto, non solo che i Misteri di Samotracia venissero istituiti da' Pela sghi ( II, 5) , ma (com’abbiamo sentito ) che altresì nel l'interno di quelli si spiegasse i simboli esterni . Come si spiegavano essi ? Apollonio di Rodi serbò del vecchio storico Mnasea un luogo prezioso circa i dommi primi tivi di Samotracia . ( Schol. Apoll. Rhod. ad 1, 917.) Che dommi, o signori ? Similissimi a quelli dell'India . S'in segnava, di fatto, un principio onnipotente, Azieros ; la materia fecondata , Aziokersa, o principio passivo ; e il principio attivo, fecondatore, Asiokersos. Vuol egli dir ciò che il principio attivo ed il passivo si distinguono dall'essenza universale, Azieros o Brahm ? 0 piuttosto ( giacchè l' interpretazione di que' nomi non è certa ), Aziokersa, Azieros, Aziokersos e Casmilo o Cammillo che da taluno s'aggiungeva secondo Apollonio , rispon dono a Maya, a Brahma, Visnù e Siva, taciuta l'essenza universale, il Dio neutro, come non si nomina il Dio supremo nel Rig Veda ? tanto più che Casmilo rispon derebbe, l'afferma Dionosidoro, ad Ermete cioè al Dio delle trasformazioni. Comunque, nell'incertezza de' docu menti tal cosa è certa, il domma samotracio mostrare analogie non poche col panteismo vedico e con la Trimurti. ( Saint Croix, sur le Mystères du Paganisme ; Creuzer, V , 2. ) E risponde non meno a quel panteismo la dottrina samotracia dell'età varie mondane, o che il mondo si distrugga e rinnovi per forza di fuoco. Anche ne' Misteri eleusini s'esponeva la dottrina d’un principio passivo, d'uno attivo, dell'armonia mon diale che ne nasce, e di ciò che distrugge le forme senza intermissione. Bacco, Cerere, lacco e Mercurio, ossia grecamente Dionisio, Demeter, Iacco ed Ermete, non ritraggono forse, o signori, i sistemi dell'India, del l'Egitto e della Persia ? E forse su quelle divinità è , innominato, il Dio androgeno, o il Cronos e lo Zeus de' tempi remoti, divenuto poi un principio maschile, contrapposto a Giunone principio femminile. Di que' Mi steri non si sa i particolari, vietato rigorosamente il propalarli, come dice Pausania ( art. Beozia) e Apollo doro (Argon. I) , e come dimostra il Meursio ( De Festis Græcorum ). Pure, da'cenni dell'antichità si ritrae che insegnavasi nell' orgie il panteismo naturale ( com’ho detto di sopra) , e la metempsicosi, e l'immortalità del l'anima ( forse col ritorno all'essenza divina) , e la puri ficazione per mezzo della virtù. Il panteismo naturale viene indicato da Cicerone ( De Nat. Deor. I, 42), che diceva : come le dottrine de'Misteri eleusini, ridotte a termini di ragione, si conosce meglio per esse la natura delle cose che quella degli dèi . Che vuol egli dire ? Egli accusa di dottrina neramente fisica gli Eleusini, che la teogonia confondevano, in realtà con la cosmogonia, e ciò accade nel panteismo naturale. Prova, dunque, tale ac cusa , e viene confermato da molt' indizj, che la religione d' Eleusi somiglia il panteismo de' Vedi ; di fatto, che si trattasse d'una fisica soltanto, o senza vedervi dentro la divinità o un che superiore alla natura esterna ce lo vieta lo stesso Cicerone. Egli scrive nel II de Legibus, che i Misteri eleusini s ' hanno da riguardare come il massimo beneficio d'Atene, perch'insegnano a viver lieti e a morire tranquilli nella speranza di vita migliore ; cosa ripetuta da lui nelle Verrine, V. Dice Platone ( Fedone) che l'iniziarsi a' Misteri purifica i cattivi , e dà a'buoni felicità eterna, cioè un'abitazione comune con gli dèi dopo la morte. Isocrate afferma ( Panegirico) che i Mi steri mettono in cuore agl'iniziati le più dolci speranze quant'alla fine di questa vita e quant'all'altra che non finirà mai . Che poi gl'iniziati s'ammaestrassero alla virtù si ha da molti argomenti; e il Meursio (cap. 7 e 17) dimostra che quelli si preparavano a’ Misteri con gli esercizi di castità, e poi si credevano astretti, quasi da sacramento, a rendersi migliori. Così Aristofane ( Rane, v. 467-462) mette in bocca a un coro d'iniziati queste parole : « Il sole e una luce aggradevole sono per noi che onoriamo i Misteri e osserviamo le regole della pietà verso i forestieri e verso i cittadini. » Però que' Misteri si chiamavan teleti ( 7 : ) ett ) , giacchè da loro veniva la perfezione della vita . Va notato che la me tempsicosi s' univa col domma dell'immortalità in que sto modo : credevano gli antichi che il principio animale, principio di vita e di senso, distinguasi sostanzialmente dal principio intellettivo ; e che l'uno, cioè l'animale, passi di corpo in corpo, ma l'altro se ne sciolga dopo alquanti giri di secoli e in premio del vivere onesto, ritornando all'essenza universale o divina. Però si di stingueva in Persia il fervéro o genio dall' animazione, e in China Hoen da Pe, e tra gl’Indiani atma e pran, e in Grecia il démone ( dzepov) o anche logo ( 200795) da psi che, e tra'Romani animus da anima. Quindi l'anima sensitiva s'immaginò non altrimenti che come materia sottilissima, e che, divisa dal corpo, ne teneva le appa renze, erane lo spettro od il fantasma, vagante nelle notti e intorno a' sepolcri. Tal distinzione si vede pertino in Omero, allorchè Ulisse approdando a'Cimmerj inter roga i morti ( Odiss. II, c . 217 ) : « D'Ercole mi s'offerse alfin la possa , Anzi il fantasma ; però ch'ei de' numi Giocondasi alla mensa, e cara sposa Gli siede accanto la dal piè leggiadro Ebe, di Giove figlia e di Giunone. » La terza fonte di notizie, cioè le memorie orfiche, non vanno soggette, o signori, a tanta perplessità, e può trarsene qualche costrutto ; purchè evitiamo così la co moda credulità come l'eccesso de critici. S'è giunti a du bitare d'ogni realtà storica ed antica rispetto ad Orfeo; ma, quantunque la parte storica si frammischi a' por tenti della favola, e un nome ( al solito) rappresenti le dottrine e i canti di più, nondimeno qualcosa di reale e d'antico vi ha ; perchè Ibico ( in Prisc. VI, 18, 92) che fiorì presso al 550 prima di Gesù Cristo, già ram menta Orfeo ; lo rammenta Pindaro ( Pith. IV , 315 ) , anzi lo chiama padre de canti apdov Tr UTEP ( Ott. Mül ler, St. della Lett. Gr. ) ; lo rammentano ancora gli an tichi Ellenico e Ferecide e le tragedie ateniesi. Da molti luoghi di Platone ( Leg. VIII ; Ione, Convito, Rep . 11) apparisce che a tempo di lui eran divulgati già molti carmi col nome di Museo e d’Orfeo ; questi è citato nel Filebo e nel Cratilo ; e si scorge che l ' espiazioni de’de litti appartenevano alle discipline orfiche. La dottrina che va sott' il nome d’Orfeo si racco glie da tradizioni antiche e da versi orfici. Quanto alle tradizioni antiche, elle attribuiscono tutte ad Orfeo una religione , che istituita da lui si collegò quindi a Misteri d'Eleusi ( Ott . Müller) : e ciò conferma il già detto sulla natura di quel sistema religioso. Si rileva poi dagli antichi scrittori un sistema orfico di cosmo gonia , benchè sotto più forme, e talora v'han messo la mano autori dell' èra cristiana. Il Creuzer ne dà cinque di tali cosmogonie ; rilevantissima quella di Ferecide Siro, pel quale son tre i principj Zeus o Giove o Cronos o l'etere, il Caos o massa inerte ch'egli vivifica, il Tempo o la durata senza limiti ( VII, 3) . E qui voi scorgete, o signori, l'indefinito ch'è concepito nell'astra zione del tempo (come tra’ Persiani ) , e dall'indefinito i due principj , l'attivo ed il passivo. Nella cosmogonia che viene riferita da Atanagora e da Damascio, v’ha l'idea indiana dell' uovo nell'acque, da cui esce Eros o Fa nete, amore o manifestazione dell'armonia universale ; e tal idea orfica viene rammentata negli Uccelli d'Ari stofane . Il mondo, poi, si rinnova per bruciamento (co me secondo Eraclito, gli stoici , gl'Indiani e l'orgie eleu sine) , in virtù di Dionisio corrispondente a Siva. (Creu zer, op . cit. , VII, 3. ) Mi pare che il Maury ottimamente riduca le teogonie o cosmonie orfiche a questo : Cronos genera i due principj , l'etere e il caos ; il caos in virtù dell' etere prende la forma d'uovo, avviluppato dal l'erebo o dalla notte, cioè dalle tenebre primitive, a cui segue la luce o l'amore, quando l'uovo si spacca , ossia quando il germe involuto si svolge nelle sue parti (Op. cit . Nota 12 al L. VII) : queste le idee più principali che risultano dal paragone de' più antichi testimoni . Ma i versi che ci restano sott'il nome d’Orfeo, son essi autentici ? Aristotile e Cicerone negarono già che i versi propalati fin d'allora come d'Orfeo gli apparte nessero ; e più n'è dubbio a' dì nostri, perchè nei primi secoli dell' èra volgare molti documenti si rimaneggia rono, e molti se ne invento. Ma dice il Mullachio ( Fragm . Phil. Græc., ed . Didot. Parisiis, 1860) : Plerique ver sus puroque et simplici sermone insignes sunt ; talchè, considerata la purità e il fare antico di molti versi, e il riscontro di varie testimonianze. ond' essi ci sono tramandati, e l'accordo loro con le tradizioni vetuste, possiamo affermare che quelli senz'essere forse d’un poeta che si chiamava Orfeo, sien per altro reliquie vere degli Orfici antichi . Udite l'inno insigne alla Natura, tradotto dal Cantù nella Storia universale (tomo I) e riferito negli Schiarimenti ( Ed. Tauchnitz, 1832) : « Natura , diva madre universale, in tante guise madre, celeste, venerabile, molto creante spirito ( o cuor ), regina che tutto domi indomata, tutto governi , in tutte parti splendi, onnipossente, ve nerata in eterno, divinità a tutte superiore, indistrutti bile, primonata, antichissima, ... comune a tutti , sola, incomunicabile, padre a te stessa senza padre, che per maschia forza tutto sai , tutto dài , nodrice e regina di tutto ; feconda operatrice di quanto cresce, di quanto è maturo dissolvitrice, delle cose tutte vero padre e ma 256 PARTE PRIMA. dre e nodrice e sostegno. » Le quali ultime parole già udimmo per Aditi nell'inno del Rig Veda. Or bene, che dottrina s’asconde, o signori , ne' versi orfici ? La stessa che ne' Vedi: la natura universale è padre e madre, ossia , principio attivo e passivo ; ell’è divina, perchè non è la materia, sì l'essenza universale, spirito divino primo e materia prima in unità ; è senza padre, cioè senza principio ; è primonata, cioè generata da sè stessa con uscire all'atto dall'indefinita potenza ; indi, ella è padre di sè stessa ; infine, si palesa con tre divine opera zioni , genera tutto, sostiene tutto, distrugge tutto. In Clemente Alessandrino ( Stro. V) , in san Giustino (Co hort. ad Græc.), in Eusebio, nell'egloghe di Stobeo , in Proclo, in Porfirio e in altri si ha varj altri frammenti più o meno antichi, ma che rendono lo stesso sistema. Un inno ch'Eusebio prese da Aristobulo peripatetico. insegna qual sia l'unico genitore del mondo, comie lo chiamano i prischi documenti degli uomini,contro l'er rore antico, cioè contro il politeismo ; e che Dio tiene in sè il principio, il mezzo e il fine. ( Pr. Ev. III, 12.) Riferirò un altro inno ch’Eusebio tolse da Porfirio ( Ivi, e Stobeo, Eclog. Phis. 1, 2, 23, e Bibliot. del Didot, Framm . ec. p.6 ) : « Primo e ultimo è Giove che splende col fulmine. Egli capo e mezzo, e a lui son create tutte le cose . Giove è nato maschio, Giove nato intatta ver gine. Egli sostiene la terra e l'aria stellata de 'cieli ; ed è insieme re e padre d'ogni cosa e autore della loro origine . Unica forza e unico demone che governa tutte le cose, quest' unico le chiude tutte nel suo corpo re gale, il fuoco, l'onda, la terra, l'etere, e la notte e il giorno, e il consiglio, e il primo genitore e nume del l'amore : contiene tutto ciò Giove nell'immenso corpo. E il capo esimio di lui e il volto maestoso irradia il cielo, intorno a cui sparge con molto lume la chioma pendente e aurea d'astri ; e gli sta sull'alta fronte, a somiglianza di toro, un doppio corno che l'accende di fulgido oro. Ivi sono l'oriente e l'occidente, giri noti a' supremi dèi . Son occhi di lui il sole e la luna che corre di contro al sole . In lui è mente verace, ed etere regale non sottoposto a morte, il quale col consiglio muove e regge ogni cosa ; e quella mente, perchè prole di Giove, non può essere nascosta da niuna voce o stre pito o suono o fama. Così, egli beato possiede e senso dell'animo e vita immortale, spandendo il corpo illu stre, immenso, immutabile e con valida forza di brac cio . A lui son omeri e petto e terga immani le ampiezze dell'aria ; e con veloci e native penue precipitando, egli vola intorno a tutte le cose. La terra , madre comune, ei monti che levano l' alte cime, formano il sacro ven tre di lui ne fanno la zona media i tumidi flutti del mare sonante. L'ultima base che sostiene il nume, sta nell' intime radici della terra e negli ampj spazi del l'erebo e negli ultimi confini che inaccessa ed immota spande la terra . Tutte le cose egli nasconde primamente nel mezzo del petto, e poi le manda fuori nell'alma luce con opera divina . » Tra le figure poetiche non si può non vedere in quest'inni l'opera della riflessione che affaticasi di scoprire e spiegare l'attinenza fra Dio e l'universo , confondendola, per abuso d'induzione, con l'attinenza tra l'unità delle sostanze e la moltiplicità c mutabilità de'fenomeni. Non fa dunque meraviglia se Pitagorici, Eleati ed Ionj che presero gli esordj dalle dottrine orfiche e de' Misteri e però dall'antiche tradi zioni pelasghe, cadessero nel panteismo. Ecco dunque i passi che sembrano fatti dalla reli gione fra gl’Italogreci . Prima è un tal panteismo natu rale, in cui le divinità sono le forze della naturu ; non le forze per altro simboleggiate, come interpretò poi la scuola de' Fisici (Plutarco la distinse sì bene dall'an tica scuola de' Teologi) , bensì le forze naturali confuse con gli attributi divini. In quel panteismo, come nel Rig Veda, gli dèi son poco determinati : differiscono poco gli uni dagli altri ; escono tutti e rientrano nel Dio unico ( Creuzer, V , 4) . Talche certi Padri pensarono ch'ei fosse un culto dell' unico Dio creatore , e tal culto contrapposero alla corruzione posteriore dell'idolatria ; Storia della F lofint. 17 258 PARTE PRIMA. ill 1 ma, veramente , non può chiamarsi un teismo , bensì un panteismo naturale, dove nondimeno le tracce del l'unità di Dio si conservano così spiccate da causare l'opinione ch'io vi diceva. Però le divinità pelasghe non avevano un nome , dice Erodoto ; e a dar loro un nome s ' opponevano le sacerdotali tradizioni ( Ispot 20091) . E come narra Platone nel Cratilo che prima si chiamò in genere 0 : 9 le divinità, così cabiri le dissero i Pelasghi, ossia ( forse) potenti; e ciò risponde agli dei complices o consentes degli Etruschi. Poi, questo panteismo naturale si ristrinse più par ticolarmente (e specie nel culto popolare) all'adorazione degli astri , dove più che in altro ci apparisce la po tenza di Dio : e che sia così l'attestano Platone ( Fileb. e Crat. ) ed Aristotile (Met. IV , VI, IX ). Allora Zeus o Giove fu proprio il cielo ; e si mantenne questo nel detto volgare : Giove che fa ? per dire : che tempo fa? Ma il panteismo naturale de' sacerdoti più e più si foggiò a sistema d'emanazioni, per ispiegare con modo determinato la dipendenza di tutto dalla causa prima ; e indi le teogonie e cosmogonie orfiche e quella d’Esio do. Le operazioni divine, allora, ebbero nome partico lare, e vennero simboleggiate con immagini esterne; come narrai che la triade pelasga prese il nome dall'onnipo tenza e dalla fecondazione; e si sa del Giove con tre occhi in Argo ( Pausania ), della Venere piramidale di Pafo, e co' due sessi ( statuina nella bibliot. naz. di Pa rigi), dell' Apollo a quattro mani, del Sileno a due te ste , di una dea a quattro teste nel Ceramico d' Atene, del Giano bifronte, della Diana mammellata d'Efeso e della Cibele come informe pietra. Tutti questi nomi e simboli, a poco a poco divennero nomi e attributi pro pri di certe divinità specificate; e la Trimurti, le cui vestigia restano fin anche negli dèi omerici, Giove, Net tuno e Plutone, s'individuò per modo che l'un Dio non più si confuse con gli altri, e questi si moltiplicarono all'infinito . Però, questa individuazione favoriva il politeismo LEZIONE DECIMATERZA. 259 a volgare e si mescolava con esso, e n'era eccitata e lo eccitava ; e ambedue si stabilirono più che mai con l'arti del disegno, che lasciati quasi del tutto i simboli, ri dusse gli dèi a forme umane, con alcune qualità pro prie di ciascuno. Un'ombra di simbolo restò, ma velata, nelle forme tra maschili e femminili di Bacco e d'altri dei , figura sacra dell'androgenia, quando s'abbandono la rozzezza dello scarabeo ( Winkelman , St. dell'arte ec. ) ; e tal simbolo (sia detto di passaggio ) alcuni artisti vo gliono imitare quasi perfezione di membra umane e le sono immaginarie! Fatto sta che la scuola d'Egina, Polignoto, Fidia, Prassitele, imitando i poeti ebbero più ch'altro efficacia nel fermare quel politeismo di dèi spicciolati . Vuolsi por mente adunque, o signori, che da un lato restava la tradizione sacerdotale, benchè più e più cor rotta, e cresceva dall'altro il politeismo. Come restava la tradizione ? Ne' Misteri ; già lo vedemmo. E perchè mai dovè occultarsi ? Dicono le memorie antiche , i primi re di Grecia e d'Italia fossero ad un tempo sa cerdoti , capitani e giudici; patriarcato ch'è origine d'ogni nazione. (Arist. Pol. III, 14. ) Le memorie stesse ci nar l'ano poi d'un contrasto lungo e sanguinoso tra le classi sacerdotali e le guerriere ; il che apparisce anco nell'In die ; ma se ivi le liti si composero stabilmente, fra gl'Ita logreci al contrario scapitò la classe sacerdotale che ( l'accennano i racconti circa Erettéo e gli Eumolpidi) si dovè segregare in alcuni luoghi, come Eleusi, lasciando a' re tutto il resto ; e così , a poco a poco, e tanto più quando sorsero i governi popolari, s'abbandonò l'inse gnamento religioso e restò solamente i riti esteriori del sacrifizio e delle feste. Quell'insegnamento , dunque, escluso da ' popoli, rifuggivasi nel mistero, in que'luoghi appunto che la classe sacerdotale abitò, com’Eleusi e i sacri querceti di Dorona. E che fa intanto la filosofia ? Ella è sacerdotale dap prima, o teologia, perchè tenute le tradizioni asiatiche, cresce nel sacerdozio pelasgo ed orfico ; poi, nell' età che 260 PARTE PRIMA . > il sacerdozio si separa e s’asconde, dalle semenze reli giose de' Misteri germogliano i primi sistemi come i pi tagorici, che han del sacerdotale e del laicale ad un tempo. Questa filosofia , perciò, combattè dapprima il politeismo, per esempio ne' frammenti di Xenofane che derideva il fingere dèi a somiglianza nostra . Poi, dac chè il concetto di Dio sempre più s' annebbiò, i poste riori consentirono a' tempi, e gl' Ionj, gli Eleati, e molto più i sofisti, menaron buona, se non altro come appa renza o come credulità popolare la mitologia. Nè altrimenti andò negli ordini tutti della civiltà . Di fatto ; quando i governi regi si mutarono in popola reschi, molta efficacia e salutare v'ebbe la filosofia mercè i Pitagorici, e segnatamente Zeleuco e Caronda , i cui frammenti di leggi muovono dal dimostrare che Dio è ; ma in progresso la filosofia non potè resistere alla li cenza , fu perseguitata, e però cadde in mano di sofisti che inventarono l'arte della parola per la parola, malvagi adulatori di plebe e mercanti di cavillo. Abbondando le ricchezze, nate da operosità, fiorirono scienza ed arte ; ma successe un abito d'ozio e di godimenti, e la Ma gna Grecia e l'Ionia caddero in mollezze di trista fama . Resisterono i primi sapienti, come dimostra l'istituto pitagorico ; ma cedè a poco a poco la loro austerezza, e già Xenofane canta « ch'è dolce nel verno stare al fuoco bevendo, e domándare all'ospite : quant'anni avevi tu quand' il Medo invase ? » il Medo, o signori, invasore della patria ! lei sofisti, all'ultimo, la filosofia diventò l'arte di godere. Nell'ordine morale s'arrivò a tal segno ch'Ate neo ( L. IX) rimprovera Platone, perch'e' disse nel Sofi sta come Parmenide amava Zenone d'Elea ; quasichè tal parola, detta di giovane, non ricevesse mai buon senso . E la filosofia , resistente dapprima co' Pitagorici, giunse co ' sofisti all'indifferenza tra bene e male ; indifferenza molto diversa e peggiore dell'indiana ; chè questa è non curanza del moltiplice e vario ch'apparisce, in grazia dell'unità sostanziale, ma quella è non curanza senz'al tro ; ivi è un'ombra di moralità, qui nessuna . Mostrate così l ' attinenze tra filosofia, religione e ci viltà degl'Italogreci, resta che vediamo il principio e la successione de' loro sistemi. Cominciamo da dire che in tutta questa età e per confessione di tutti, v'ha incer tezza sul tempo preciso de' varj filosofi ; e bisogna ri correre il più a Diogene Laerzio, autorità poco accet tata . Le congetture dunque son lecite ; e tutti ne fanno. Avvertirò inoltre che sul definire l'età de' tempi remoti variano le tendenze degli Orientali e de' Greci; que sti tirano al meno e quelli al più. Per che ragione ? I Greci amando la certezza de' fatti, li trasportano quanto più si può nel tempo storico, e lontani dal favoloso ; al contrario degli Orientali, che amano l'indefinito de se coli ; effetto del panteismo. Premesso ciò , rammentate , o signori, che prima dell'undecimo secolo avanti Cristo Pelasghi ed Elleni si mescolarono insieme; e allora co minciò l'età delle colonie ; e da esse la più nota civiltà italogreca. Quali preparazioni vi riscontriamo noi per la filosofia ? La civiltà pelasga, le dottrine orfiche, i Mi steri ; inoltre le comunicazioni più che mai frequenti per l'Asia minore ( dove prosperavano tante colonie) coll' Asia media. E che tempi erano quelli per l'Asia media ? Rammentiamocene, o signori ; erano i tempi di splendida civiltà, quando circa il mille avanti Cristo si compilavano i Vedi ed i poemi, e fiorivano le scuole di filosofia. Chi potrà dunque negare, che date tali prepa razioni e la civiltà delle colonie, e dato quell'impeto di vita civile ond' il pensiero s'agita tutto, e poste le sedi nuove in paesi non selvaggi come l' America , ma già inciviliti, sorgessero presto le speculazioni filosofi che ? Non farebb' egli un'ipotesi strana chi le credesse indugiate a tre o quattro secoli dopo, fino a Talete, anzichè colui che le dicesse più meno già in via circa il mille od al novecento prima dell' èra volgare ? A ogni modo, tempi precisi non se n'ha ; e poichè la critica devé supplire, parmi più ragionevole vi supplisca così, che stando ad indizi già riconosciuti per poco probabili . La filosofia mosse anc' allora da un ritorno sulla coscienza morale ; ce ne assicura la moltitudine di sen tenze attribuite dagli antichi a ' Sette sapienti ; a uno de' quali, cioè a Chilone, si reca il detto : conosci te stesso . Abbiamo poi alcuni tra ' poeti gnomici, come le recide, della cui antichità non si dubita punto ; e chi, Foclide per esempio, lo fa contemporaneo, chi anteriore a Pitagora. Le sentenze di Mimnermo, Evano, Metrodo ro, Teognide e va' discorrendo, mostrano chiaramente la riflessione sulle verità morali , benchè nascosta in afori smi . Così queste di Foclide : « Non dire mendacio, ma parla sempre con verità. Primieramente venera Dio e quindi i tuoi genitori . Non disprezzare i poveri , nè voler giudicare alcuno ingiustamente, perchè se tu giudiche rai male, Dio poi ti giudicherà. Fu da Dio a’mortali dato in uso lo spirito ch'è immagine di lui. Il corpo abbiamo dalla terra e si scioglie in essa e siam polve re, ma lo spirito va in cielo . » Or bene, io dico, e mi sembra di poter essere sicuro, che codesta filosofia morale e religiosa sorse e fiori prima del panteismo materiale di Talete e d’Anassi mandro ; perchè n'ho prove storiche ( come dirò) , e per chè dalle tradizioni sacre orientali e orfiche non si poté saltare in un subito alla materialità . Dove fiorì ? Non in Italia soltanto co ' più antichi savj della scuola ita lica, ma nell' Asia minore altresì, fra gl ' Ionj, dovunque insomma germinò la civiltà ellena. Di fatto, che che vo glia credersi delle tradizioni circa Pitagora e del suo venire dall' Ionia, esse, unite alla certezza che Xeno fane pure ne derivasse, mostrano almeno che l'antichi tà non reputò straniere agl' Ionj 1 ' idee pitagoriche ed cleate. Aggiungete che Talete ha molti più segni di spiritualità che non i posteriori ; e tal peggioramento non si può negare . Perchè dunque, dimanderete, vien solo ricordata la scuola italica ? La risposta è facile e il caso è comune ; si ricorda i luoghi dove la scuola più crebbe e durò . y Ma la scuola pitagorica o italica, dimanderassi an cora, ell’è anteriore a Talete, cioè al panteismo materiale degl' Ionj ? Mi sembra certo, purchè si distingua Pitagora dal Pitagoresimo ; questo è la totalità di dot trine comuni a tutta una scuola di filosofi ; quegli è un tal nome, parte storico, parte simbolico, che può essere prima o dopo, senzachè provi l'anteriorità o posteriorità della scuola nel suo nome rappresentata. E nondimeno anche sull'età di Pitagora son diverse l' opinioni. 1 ° Quanto a Pitagora, il Meiners lo crede nato al 584 avanti l'èra nostra ; lo crede nato il Lacher al 608 . Come si determina ciò ? Per autorità non salde, e per vie di congetture. Talete poi , secondo Apollodoro, sa rebbe nato il 640, anteriore perciò a Pitagora ; dáta non senza incertezze. ( Ritter, St. della fil. ant.) Ma ecco il Niebuhr ( St. Rom . I) che contrapponendo a Polibio ed a Cicerone l'autorità d'alcuni scrittori orientali, crede probabile la contemporaneità di Pitagora e di Numa ; talchè andremmo più oltre che la data di Talete ( 717-679 ) . - 2º Avanti alle dáte di Pitagora s'ha in Italia Zeleuco e Caronda, legislatori l'uno di Locri e l'altro di Cata nia ; e ne' frammenti di quelle leggi v'ha il segno delº pitagoresimo. Il Krug fa Caronda del 668 ; il Benteley, l'Heyne, il Saint Croix, il Centofanti, del 730. —3. Quando Pitagora venne in Italia , si dice che subito la scuola crescesse tanto di numero e di potenza, da bisognare feroci persecuzioni a spiantarli : il che umanamente non può accadere. La scuola dunque precedeva. — 4º Il perso naggio di Pitagora, l'istitutore insomma del Pitagore simo, diventò un simbolo in gran parte ; il che dà segno d'antichità molta, e di tradizioni orientali. — 5° Nella scuola pitagorica è mescolanza di culto e di specula zione ; e ciò indica il passaggio dall' età teologiche alle filosofiche o laicali , che in modo distinto vengono più tardi. — 6. Secondo la comune leggenda, tra l'istituzione della scuola italica , il suo prevalere anco negl' istituti civili, e la sua persecuzione, corsero pochi anni; il quale rovesciamento di favori popolari si dà presto a un uomo, tardi a un potente consorzio d'uomini. – 7. La storia di Pitagora, simbolico in gran parte, ha natura di leggenda ; e sogliono le leggende avvicinare tempi lontani ; indi le confusioni dette di sopra. -8° Nella scuola pitagorica son chiare e molte le vestigia orfiche; talchè l'antichità di queste palesa l'antichità di quella che le raccoglie; com'elle poi diminuiscono in progresso, e ap pena si scorgono negl' lonj. – 9. I Pitagorici han forma di consorteria, e tra loro è comune e costante un corpo di dottrine. Ciò rammenta , o signori, gli usi orientali che sempre più si perdono nelle repubblichette popolari; e rammenta l'antichità più remota, dove più vale l'unione e l'autorità. Aristotile dà la filosofia de' Pitagorici come una, e vi scopre solo differenze accidentali. - 10. Le tavole d' Eraclea, lette dal Mazzocchi ( come accennai già) , mo strano un incivilimento anteriore, e quindi un'antica preparazione alla scienza . E delle prove d'antica civiltà nelle genti d'Italia recherò qui cosa che pare non fosse disputata fra' Greci , val a dire ch'essi, come dice Ta ziano (Or. contra Greci, § 1 ) prendessero da’ Toscani la plastica. — 41., Il Cousin dimostra con le autorità non ricusabili di Sozione, d' Apollodoro e di Sesto che Xe nofane nasceva il 620 avanti l'èra volgare, un 60 anni circa prima di Pitagora stando agli anni del Meiners. Ora , se la dottrina di Xenofane tenne del Pitagoresimo, come mai sarebb'egli tanto più vecchio del suo maestro ? 12° Se bisogni stare alle memorie greche talquali, i capi della scuola pitagorica e d'Elea vennero d'Ionia ; men frechè in lonia correva un tutt'altro pensare. Qui, pren dendo la cosa talquale, v'ha due inverisimiglianze, prima che ne luoghi de' capiscuola non ci avesse quell'indirizzo di speculazioni, come sarebbe assurdo che d'Alemagna venissero in Italia fondatori d'eghelismo e là non n'ap parisse il focolare ; seconda, che piuttosto que' filosofi cercasser favore in Italia, sé qui non preparato il ter reno. Ma tutto si concilia, quando il silenzio delle me te , in tanta oscurità di tempi dissero all'incirca il più rino mato, tacquero il meno, senza negarlo bensi, chè non lo conobbero forse. Dissero la scuola ionica, tacendo la scuola religiosa comune là ed a' Magnogreci, perchè più celebre qui ; dissero i più famosi capi delle scuole itali che, tacendo le lontane e recondite preparazioni. – 13° E ch'elle ci fossero, mostra il celebre passo di Platone che fa dire a Zenone d'Elea : queste opinioni sull'uno co minciarono da Xenofane, anzi da più antichi di lui . ( S0 fista .) Il Brandis ed il Ritter crederono s'alludesse ad avere quella dottrina germe innato negl' intelletti. Al che ripugna il Cousin e con ragione. Prima, qui si parla storicamente e non teoreticamente ; poi, se volesse allu ( lere a germi naturali e senz' origine, come mai, anzi , parlerebbe Platone di cominciamento anteriore ? ( te 2.2.1 i te tepisºsv č.pčarevov) - 14. De primi Pitagorici non v'è scritti ; scrissero i più vicini al tempo di Socrate ; e ciò per l'uso degl'insegnamenti orali, per la costanza delle tradizioni e pel segreto delle dottrine religiose. Or tutto ciò è segno d'antichità e risponde agli usi orientali . Nella scuola ionica poi sembra che fino il primo, cioè Talete, scrivesse versi , probabilmente prose ( Diog. Laert. I, 34, Plut. de Pitiæ Orac. 18, Arist. Phys. ) ; il che mostra un fare più nuovo, e desiderio di stabilire la novità. 15. L'uso di non iscrivere, uso lasciato si tardi da ' Pita gorici, spiega ben anco il perchè sembrò più recente « lella scuola ionia il pitagoresimo : più recenti erano le scritture, non la loro filosofia. 16 ° Recherò infine ( lue singolari testimonianze di Padri greci , d'Ermia verso la fine del secondo secolo, e d' Eusebio dottissi mo ne' libri originali della greca filosofia . Ermia , dun que, nell'opera Derisione de' filosofi gentili enumera le contrarie opinioni loro sull'anima, sul bene, sull'im mortalità, sulla divinità e sui principj del mondo ; e poichè ha.rammentato varj filosofi, viene a Pitagora e lo distingue dagli altri così : egli d'antica nazione ( S 8) . Qui, segnalare tra gli altri Pitagora per antichità, è nota bile assai . Eusebio, poi, più espressamente nelle Prepa razioni evangeliche ( lib . X , cap. 4) dice : che Pitagora nacque a Samo o in Toscana o altrove, ma non greco, e ch' egli fu principe de filosofi, talchè alla filosofia italica succedette la ionica e l'eleatica. Anzi anche Giu seppe Flavio ( Lib. VII) rammenta tre filosofi prischi con quest' ordine qui , Ferecide Siro, Pitagora e Talete. Questi argomenti, la cui tesi è convalidata pure dal l'autorità del Niebuhr, del Cousin, del Gioberti (nel Buono), del Poli (Appendice al Manuale del Tennemann, trad .) e del Centofanti ( Pitagora ), e che non hanno in contrario argomenti positivi di tradizione, o concordi autorità di storici antichi, mi fanno sicuro che il pita goresimo, come scuola religiosa e morale, anteceda l'altre scuole ; poi venga l'eleatica, e come più affine alla pri ma, e come precedente a Xenofane stesso per la dottrina dell'unità universale ; succeda loro l’ionica, quant'al suo cominciamento bensì, non quanto alla sua conti nuazione che s'accompagna ( com' accade) con l'altre ; e vengano infine, su che non ha dubbio, le gative. I quali sistemi darann ' argomento ad altra lezione. vole ne 2SCUOLE ITALOGRECHE. Causa interiore del Vilagoresimo è la necessità d'una riforma morale : da ciò l'esame di coscienza posto per principio di filosofia e di vita buona. Cause esteriori. Si volle la riforma religiosa e morale da cui la civile , per mezzo della filosofia . - Parti non dubbie nelle memorie degl'istituti pitagorici . Notizie su Pitagora e sugli altri più famosi . Quali documenti abbiamo certi sulla scuola italica . - Il Carme aureo i antico .- Le notizie che ci danno gli Alessandrini non vanno accettate senza esame, ma nemmeno rigettate con leggerezza. - Oggetto della filo sofia pitagorica , suo fine e metodo . — Quali cagioni dettero impulso a quel metodo che fu applicazione d'idee matematiche. Ma ciò non vuol dire che lal dottrina stia in un ideolismo matematico ; giacchè la monade si pensò come una forza. - Il numero rappresentava l'attinenze o l'armo. nia ; indi il simbolo musicale . Due furono i significati del numero , it simbolico ed il reale . Verità del metodo matematico ; suoi eccessi nel pro cedere dall'astratto al concreto : esempi varj . – Si cercò le leggi mentali della quantità effettuato nella realtà, per salire con esse a Dio, causa , ragione e legge. Dio è principio de'principj; e poichè i principj delle cose si dis ser numeri, Dio è il numero per eccellenza . -Questo è l'unità . – L'unità bensi presa , non come parte d’un tutto , ma in senso generale. - A Dio non si può applicare il concetto d'uniti nemmeno in quel senso ; Dio è sopruni tà ; ma l'errore precedė dalla induzione astrattiva . Si dimostra co ' do cumenti che il significato dell'unità pitagorica ė panteistico, ma ondeg giante tra il vero ed il falso . - L’unità , come per gl'Indiani, parve l'indefinito che si determina . — Grandi verità contenute nell'implicitezza di quelle dottrine. — Dio si pensó come unità suprema di tutti i contrarj; l'universo , come i contrarj in atto , e ridotti all'armonia da Dio . - L'uni tà generale o la monade che si distingue in monadi secondarie, spiega lo teoriche d'allora sugl'intervalli, sul vuoto, sull’intinito, sul finito ec . L'anima è numero , ed è nel corpo come Dio nel mondo ; è l'armonia del corpo . La verità è l'uno e il numero ; l'errore va fuori dell'armonia. -- Intelletto e senso . — Dio , ragione prima del conoscere, perché gl’intelletti si credettero divini. Poi, perchè Dio è il numero per eccellenza , e il nu mero è l'esemplare del mondo. Quanto alla scienza , si sbagliò cercando sempre l'assoluta necessità razionale. Numero e armonia il bene; disar monia il male. - Fine dell'anima intellettiva il ritorno all'essenza pri ma . --- Come si tentó fuggire le contraddizioni del panteismo naturale negando la cognizione diretta dell'essenza. - Xenofane tentó fuggirle col panteismo ideale. - Cinque concetti principali di Xenofane : Dio è uno ; sommo potere ; gli manca ogni contingenza e però non è nè finito nė infi nito né in quiete nè in moto ; Dio non può nascere, perchè il non ente non può dal nulla divenire qualcosa : Dio è il tulto . — Indi segui che il mondo è apparenza . – l'armenide stabilisce chiaro il doppio aforismo degli Eleati e degl ' Ionj, e condanna il secondo . Muove dall'idea generale d'essere ; Dio si fa più indefinito che in Xenofane. – Tutto è idea . Melisso fa Dio più indeterminato ancora, chiamandolo un qualcosa . -- Gli attributi della moralità non più appariscono . – Panteismo materiale de gl'Ionj : nasce in condizioni opportune. - Il moto delle cose vien conside rato nell’ente o nell'assoluto , ch'è la materia eterna divina , dotata di pensiero . – Diversità nel concepire tal moto fra ' dinamici e i meccanici. E la causa prima del moto la posero diversamente in quella cosa che più parve trasmutabile in ogni altra cosa . – Talete ba dello spirituale anco ra ; la grossolanità materiale viene crescendo . Anassayora vide l'assur dità del panteismo , e prese il dualismo ; ma non détte troppo alla mente . — Idealismo ateo di Protagora ; materialismo di Democrito ; le due forme di scetticismo particolare . Scetticismo universale di Gorgia ec . Misticismo d'Empedocle ; e perché il suo sistema paia indeterminato ed ecclettico . — Due schiere d’uomini ; gli atei e i l'itagorici di quel tempo : interpreta zione storica , e interpretazione fisica della mitologia . Qual è mai, o signori, la causa interna del Pitago resimo ? La necessità d'una riforma morale; necessità pro fondamente sentita da uomini ornati, quanto la Gentilità comportava, di grandi virtù. Il conosci te stesso fu esame di coscienza morale negli istituti pitagorici, e fonda mento altresì di speculazione ; chè, nella coscienza e'tro varono il dovere e nel dovere Dio. Cagioni esterne furono il guasto crescente della religione, de costumi e della li bertà, al quale s'oppone il Pitagoresimo, e inoltre ( com’ho avvertito più volte) le tradizioni e i commerci d'Oriente, le dottrine orfiche ed i Misteri. Si volle, pertanto, una riforma religiosa e morale, da cui venisse la civile; e cri. terio a tutto ciò désse la Scienza . Il che spiega gl'isti tuti pitagorici su cui gli Alessandrini mescolaron favole, ma la natura di consorteria e un culto segreto ( Ritter ) e la sostanza dell'arti educative non cadono in dubbio. La riforma religiosa si tentò co’riti e dommi segreti ; la morale con l'opporsi a tre vizi , voluttà, superbia ed ava rizia , ed esercitando anima e corpo nella musica e nella ginnastica ; la civile , domando la licenza con abiti disci plinati ossia con l'autorità ( curos pz) e con la vita co mune. Il discepolato morale preparava così alle specu lazioni , e, preparato, s'elevava l'alunno a gradi più alti e più liberi. ( Centofanti, Pitagora ; Ill . del Giardino Puccini.) Circa Pitagora o di Samo nella lonia o di Samo nella Magna Grecia, poco v'ha di sicuro e con mescolanza di simboli ; pare tuttavia che un fondamento storico v’ab bia e ch'egli fosse uomo di molta dottrina e virtù. Per la dimenticanza in che vennero le colonie di Magna Gre cia e tutte le antichità italiche dopo le conquiste di Roma, e per la guerra feroce contro i Pitagorici, non ne sappiamo quasi nulla ; li sappiamo bensì a lor tempo in molta riverenza. Si rammentano con più certezza Liside, Clinia e Archita cittadini di Taranto in Magna Grecia, Eurite e Filolao o di Taranto o di Crotone. Archita , il più celebre di tutti, capitanò più volte gli eserciti , e non ebbe mai la peggio ; buon padrefamiglia e cittadino, domatore di sè stesso, famoso per invenzioni e scoperte in musica ed in matematica e per libri d'agricoltura . Sul finire del quinto secolo avanti G. Cristo, la scuola pitagorica venne atrocemente perseguitata ; molti fra gli scampati, o si rifuggirono in Grecia o si sbandarono in Italia. Sembra che l'odio movesse da opinioni politiche, parteggiando essi per gli ottimati ; ma chi badi alla se gretezza del culto attestata da Erodoto, e alla tradizione che un capopopolo attizzò le ire, invelenito dal non es sere accolto nell'adunanze, s'accorgerà che trattasi qui , come per Anassagora e per Socrate, del politeismo vol gare geloso e persecutore. Gli scritti col nome di Timeo, d'Archita e d'Ocello Lucano sono apocrifi, e i frammenti di Brontino e d'Euri famo; ma non quelli di Filolao (vedili nel libro d'Aug. Boecckh su Filolao, e nel Ritter) ; i quali col Carme aureo e con ciò che narra Platone ed Aristotile sulla scuola italica, ne dánno contezza . Nel sostanziale di essa gli storici vanno d'accordo. Quanto al Carme aureo , e's'attribuì a Filolao, a Epicarmo, a Liside, a Empedocle ; da Crisippo a'Pitagorici. Sta il Mullachio per Liside; e : mostra, comunque, che ne' versi aurei non v'ha nulla di non antico, e come un alemanno, secondo l'usanza di molti critici odierni , neghi l'autenticità pel dubbio di tre" sole parole, che a lui non paiono antiche ; e antiche le dimostra il Mullachio. ( Fragm . Phil. Græc. Didot, 1860. ) . Le relazioni che ci danno del pensar pitagorico gli Ales sandrini, non vogliono accettarsi senza discrezione ; chè in loro la critica è poca, molta la voglia d'interpretare a lor modo gli antichi; tuttavia dire come si dice) che il Pitagoresimo, quale dagli Alessandrini si descrive, non 270 PARTE PRIMA. i 2 7 > I meriti fede per le grandi somiglianze con Platone, è dir troppo, sapendosi negli Psilli di Timone Fliasio (3° secolo av. G. C. ) che quegli ebbe in gran pregio i Pitagorici : « E tu, o Platone, giacchè ti possedeva l'animo il desiderio di sapere, comprasti con gran pecunia un piccolo libro, da cui imparasti a scrivere tu pure il Timeo. » ( Fragm . Phil. etc. ) La filosofia de' Pitagorici, come tutta la filosofia an tica, come la filosofia d'ogni tempo, meditò i primi prin cipj dell'essere, del conoscere e dell'operare. Il pensiero della causa suprema ch'è ragione e legge, vediamo bene da tutte le loro memorie che occupò quegl'intelletti for temente. Fine della filosofia parve loro ed a tutti gli antichi, la liberazione degli errori e de' mali comuni, ma con tal divario dagl'Indiani , che la speculazione dovesse congiungersi all'operosità civile . Metodo di filosofare fu il matematico ; cioè l'applicazione d'idee matematiche alla natura universale, così esterna come interna, e al suo principio. Onde mai tal metodo ? quali cagioni gli dettero im pulso ? Già negli antichi v'ha inclinazione di filosofare a priori sul mondo (sebbene l'esperienza, anch'esterna, non s ' escludesse dai Pitagorici) , perchè mancavano gli stromenti; poi, premeva più lo speculare teologico, re cato altresì nella fisica ; e le lunghezze d'una fisica os servatrice non si comportavano in tempo, che i varj studj non erano scompartiti tra più dotti . Inoltre l'arimmetica e la geometria vennero d'Asia, nate tra le scienze più antiche, perchè non bisognose d'osservazione. Altresì di tali scienze s’aveva necessità tra popoli commercianti e tra colonie che dissodano terreni, asciugano paduli, e scavano canali . Più, la discordia tra' politeisti e il mono teismo - antico fece spiccare, quant'al concetto di Dio, le nozioni d'uno e di moltiplice, come anche si scorge nel vecchio Testamento . Infine, tempo é spazio ci danno la quantità, e sappiamo che l'induzione falsa indíava, come ne' Vedi, lo spazio e massime il cielo ( onde l'uranismo), e il tempo ( onde l’Aherene de' Persiani, il Crono de Greci , LEZIONE DECIMAQUARTA. 271 il Saturno de' Latini), talchè le tradizioni orientali e or fiche, cadendo in tali concetti, davano impulso a quel modo di filosofare . I Pitagorici, dunque, parlano dell'uno, del due, del tre, del dieci e delle combinazioni loro allorchè discor rono del mondo e di Dio. Ma si vuol credere forse che tal metodo li riducesse a vane astrazioni ? ossia, ch'e'sti massero Dio e il mondo idee matematiche e nulla più ? In altre parole, il Pitagoresimo fu egli un idealismo matematico ? No, sicuramente ; Aristotile lo spiega chiaro dicendo : ch'essi stimarono le cose una imitazione de'nu meri (μίμησιν είναι τα όντα των αριτμών. Μet. I , 6) . Ini tazione, dunque; a leggi di numero, cioè, rispondono le cose ; e la mente ritrova l'une nell'altre ; e in questo è la scienza. Anzi (e va notato accuratamente ), che mai restava pe' Pitagorici, levato il composto ? Restava la monade. E che cos'era la monade ? Forse un'astratta unità , o l'atomo indifferente inattivo di Democrito e di Leucippo ? No ; ma l'essenza ch'è una forza : il concetto di forza o d' attività prevale nel Pitagoresimo, così ri spetto a Dio come rispetto al mondo. Di fatti, e ch'è mai, secondo i Pitagorici, l'ordinamento universale se non la continua limitazione (o determinazione) dell'inde finito ? Ciò resulta da molti riscontri , ma singolarmente dallo specchio de contrarj ( di cui parleremo) . Inoltre, Dio per que’ filosofi è mente e causa o principio ; causa è l'anima ; e causa d'ogni armonia è l'unità. ( Frag. di Filolao ; Siriano, Com . Met. d ' Arist. XIII; Ritter St. Fil. ant. ; Bertini, Idea d'una Fil. della Vita, vol. 2. ) Quindi, pe' Pitagorici, le leggi del numero e della geo metria rappresentavano l'attinenze; cioè , significavano il rispetto d'una cosa all'altra, e d'uno all'altro con cetto, l'armonie particolari e l'universale ; da ciò i lor simboli musicali. Si dica pertanto, o signori , che per la scuola italica eran due i significati del numero ; significato simbolico e reale. È significato reale quando noi diciamo : Dio è uno e le creature sono moltiplici ; e così dicevano essi che Dio è il numero per eccellenza, cioè l'unità e la totalità d'ogni perfezione. È significato simbolico quando s'astrae i numeri a significare gli oggetti ; come dicendo (per esempio) l'unità e il numero, e s'intendesse Dio e le creature ; così parlavano più spesso i Pitagorici . Al lora si fa come l'algebrista un linguaggio figurativo . assai comune agli Orientali ; e ciò toglie l'apparente stranezza delle parole. Il metodo matematico ha egli verità ? Certo non manca di buon fondamento, perchè tutto nel mondo si distingue o d'essenza o d'accidenti o di parti , di gradi o di potenza o di atti ; e tutto, dunque, è capace di numero e di misura . Per altro, le leggi matematiche non hanno da cercarsi a priori nella realtà, bensi con l'osservazione; come Galileo, osservato il cadere de corpi, vi scoperse la quantità del moto crescente. Trovata la legge matematica, s'applica poi a nuove scoperte, come dalla legge matematica delle oscillazioni s'inventò il pen dolo. Chi volesse procedere a priori, sbaglierebbe, perchè dalla idealità non si può concludere la realtà contingente ; per esempio, dall'idea d'un circolo non si può conclu dere ch'e' si dia in natura. Bensì, nella realtà si scopre ognora leggi ideali a cui essa risponde sempre (come le proporzioni tra spazio e velocità nella caduta son sempre le stesse ), ed anche, esemplando il reale all'ideale, quello vi combacia, come, facendo un circolo, i raggi gli ha sempre uguali. Ebbene la scuola italica non ignorò i buoni metodi della osservazione e delle matematiche applicate; già ho notato le dottrine fisiche d'Archita ; del metodo sperimentale di Polo ci ragguaglia Aristo tile (Met. I) ; le dottrine musicali d'allora fan supporre molti esperimenti ; Erodoto scrivche i medici italiani erano i più reputati ; e tutti sappiamo le meraviglie d'Archimede. Tuttavia il metodo astratto ebbe il diso pra . Così , rappresentando il principio, il mezzo ed il fine col numero tre, lo vedevano in ogni cosa ; però Filo lao divideva il mondo in tre parti. Il numero dieci è compiuto in sè stesso , perchè si compone sommando i LEZIONE DECIMAQUARTA. 273 suoi quattro numeri primi ? ebbene, dieci i pianeti . Cin que i corpi regolari nella geometria ? dunque altrettanti gli elementi, e ciascun d'essi n ' ha la figura ; la terra ha il cubo, il fuoco la piramide, l'aria l'ottaedro, l'ac qua l'icosaedro, l'etere il dodecaedro; e dunque, altresì cinque i sensi . Se i quattro numeri primi , sommati tra loro, fanno il dieci ; e se i quattro numeri pari ( 2, 4, 6, 8 ) e i quattro numeri dispari ( 1 , 3, 5 , 7) , sommati, fan tutt'insieme trentasei, la tetrattisi o quadernario dovrà riscontrarsi nelle cose ; e quattro, per esempio, sono i gradi della vita : minerale, pianta, animale e uomo ; e , ne' corpi, il punto è unità, la linea è qualità , la super ficie è triade, il solido è quadernario, si compone, cioè . di quattro punti. Questo metodo, applicato alle cose dell'esperienza, riuscì arbitrario non di rado, e se, inalzato a Dio, ne guastò il concetto per l'astrazione dell' indefinito ; pure, accompagnato come fu da tradizioni buone, da molte virtù morali , da preziose osservazioni interne ed anco esterne, ed eccitando la speculazione, fece sorgere tra gli errori belle e profonde verità . Quel metodo era (com’ac cennai) : trovare le leggi mentali della quantità geome trica e arimmetica effettuate nella realtà e salire con queste alla prima cagione, alla prima ragione ed alla prima legge. Però dice Filolao che l'intendimento mate matico è il criterio di verità. La prima cagione dell'essere, che è ella mai ? Sic come i Pitagorici voller trovare i principj delle cose e il principio de principj, così precede il quesito : che son mai tali principj ? Risponde Aristotile : « I Pitagorici , educati nelle matematiche, dissero i numeri esser prin cipj delle cose. » ( Met. I, 5) cioè tutte le cose si ridu cono a leggi supreme di numero, e queste leggi costi tuiscono la loro essenza . Or bene, che cos' è la prima cagione ? È il primo principio, per Filolao ; è la causa che antecede ogni altra causa, per Archita : « quam Are chytas causam ante causam esse dicebat, Philolaus rero omnium principium esse affirmabat. » ( Siriano, alla Met. Storia della Filosofi . - 1 . 18  l' Arist. XIII. Dunque se i principj delle cose son numeri, il primo principio è tale altresì; o, come diceva Hierocle nel commento al Carme aureo ( Fragm . Phil. Græc.): « Se tutto è numero, Dio è numero. » Che nu mero ? Il numero per eccellenza. Che cos' è il numero per eccellenza ? Vediamolo . Il moltiplice fa supporre l’unità ; e l'unità n'è sem pre il principio ; così abbiamo solido, superficie, linea, punto ; questo è il principio della linea, della superficie e del solido. Dunque Dio, ch' essendo il primo principio, è il numero per eccellenza, è altresì l'uno per eccellenza . ( Aless. Afrod . Comm . alla Met. d ' Arist.) Resta da ve dere che cosa sia l'uno per eccellenza . L'unità , idealmente, si può considerare e qual parte che compone la pluralità, e quale idea generica che abbracci la pluralità stessa. Diciamo: il venti è compo sto d'uno più uno, più uno ec.; ecco le unità che com pongono un tutto. Diciamo ancora : una ventina, un centinaio, un migliaio, un milione ; ecco l'unità gene rica che abbraccia ogni numero, considerato come unità . Nel primo caso, l'unità è l'elemento della pluralità ; nel secondo , è la forma mentale che fa capaci di compren dere in un concetto le moltiplicità sparpagliate. E in tal senso l'unità si può chiamare il numero per eccel lenza, giacchè abbraccia ogni numero. Or bene, o signori, si può egli applicare a Dio l'idea d'unità ne' detti significati ? No ; Dio non è il compo nente della moltiplicità ; nè Dio è un che generico e comune alle moltiplicità particolari. L'unità di Dio è, a dir così, una soprunità, come, secondo i Teologi, le rela zioni personali della Trinità son soprannumero. ( S. Aug. in Joann. Evang. ) Si dice uno per negare il moltiplice, nulla più ; e chi confonde l'analogia di tali concetti col significato proprio, o cade nel panteismo, o accusa erro neamente la filosofia e la teologia. Si domanda, per tanto : la scuola pitagorica usò que' concetti nel signi ficato vero ? Da’tre frammenti di Filolao apparisce che Dio per lui è imperatore sommo e duce, uno, eterno, permanente, immobile, simile a sè stesso, diverso dal l ' altre cose, potentissimo, supremo, e che solo conosce l'essenza eterna. Anzi, Siriano nel luogo già citato dice, che pe' Pitagorici Dio è una e singolare causa, astratta « la tutte le cose, e superiore alla dualità de' principi, la quale vedremo più qua : « Ante duo principia unam et singulam causam , et ab omni abstractam præponebat. Parrebb'egli, dunque, che l'unità de' Pitagorici sia nel senso buono ? Il Bertini ( Op.cit. , vol. II) va interpretando più benignamente che si può certe opinioni pitagoriche. le quali ne farebbero dubitare ; e tuttavia conclude: « Il sentimento religioso e morale gl'induceva a collocare Dio molto al disopra del mondo ; ma il fato della logica li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza e ricacciavali nel panteismo. » Che vuole dir mai fato della logica ? Vuol dire la necessità di certe conse guenze, dati certi principj . Or via, quali son dunque i principj che menavano al panteismo, non ostante l'alte verità frammischiate in abbondanza ? Era, appunto, il concepire Dio quasi unità generica, o numero per eccel lenza ; e questo in grazia della non buona induzione. Di fatto, poichè i numeri son pari ed impari, e l'unità, cioè il numero genericamente preso, s'estende ad en trambi; così la scuola pitagorica chiamò Dio pari ed impari, e diceva che l' uno è l'essenza di tutte le cose ( Arist. Met. I ) ; l'essenza delle cose chiamata eterna ( la Filolao ; che inoltre affermò, le cose diverse e con trarie non istarebbero senz'armonia , e tale armonia è il numero per eccellenza, cioè Dio ; aggiunse, che tal numero è legame all'eterna durata del mondo; anzi ( e questo val più ), esso legame produce sè stesso . (V.framm . i Filolao nel Ritter . St. della Fil. ant.) Finalmente. Dio pe' Pitagorici è limitato ed illimitato ad un tempong 11pTLOTES PITTOy, Arist. Met. 1. ) Par dunque certo ch ' essi concepivano Dio com'unità generica, in cui s 'uniscono potenzialmente i contrarj del mondo, pari e dispari, femmina e maschio, male e bene, e via discorrendo ; contrarj che si distinguono attualmente quando il poten 276 PARTE PRIMA. ziale viene all'atto, e l'illimitato si limita, e l'essenza universale ( conosciuta solo da Dio, cioè da sè stessa) si determina mano a mano ne' fenomeni . Dubitò il dotto Bertini che s'intendesse da' Pitagorici, non dimmedesi mare le cose in un' essenza, ma d'accennare che Dio la in sè i contrari perchè li supera. E non esito punto a dire che ciò e ' tenevano forse, ma in confuso, e la con fusione generava il panteismo . Di fatto, se quel concetto era limpido, essi non avrebber detto che Dio è pari ed impari ; giacchè i contrarj sono il modo finito delle per fezioni mondane, e però non si contengono in Dio. Si risponderà : noi n'abbiamo un'idea più chiara. Va bene ; se i Pitagorici avesser capito chiaro come Dio superi l'universo infinitamente, le parole chiare l'avrebber tro vate anch'essi. Anzi, l'infinito lo pigliavano per l'inde finito o potenziale ; e quindi, il finito sembrò a loro il perfetto, e l'infinito l ' imperfetto. Aristotile serbò lo specchio delle contrarietà in dieci antitesi (dispari e pari , finito e infinito, uno e più, quiete e moto, luce e tenebre, bene e male ec. ) , fatto da qualche Pitagorico ; e Simplicio notò come le contrarietà si comprendano si risolvano in Dio. ( Arist. Met. I, Simpl. Phys.) Inol tre , come il mondo era la decade, cioè la pienezza d'ogni grado d ' entità , e così Dio ; che riceveva nome d'ogni numero, unità , diade, triade, quadernario ( o solido), set tenario, decade. Dimodochè pe Pitagorici, come per tutta la filosofia pagana (avvertite, o signori ) , il quesito della causa pri venne a quest' altro : Come si limiti 1 illimitato ; ossia , pensarono gli antichi che la produzione del mondo consistesse nel determinare in atto la potenzialità prec sistente : talchè Filolao pone tre principj, l’illimitato. il confine, e la causa ( το απειρων, το πέρας, το αίτιον ). Il che parve in due modi : i Pitagorici , com’i pan teisti ionj e indiani, dissero che quel potenziale sta in Dio ; i dualisti, che e' sta fuori di Dio, ed è la mate ria informata da esso. Nella scuola italica , poi, la im plicitezza de' concetti adombrò alte verità ; Dio (per ma LEZIONE DECIMAQUARTA. 277 esempio) , legame del tempo e dello spazio, se non si prende com ' identità d'ogni essenza , vuol dire benissimo che l'unità divina con l'unico atto creatore e conser vatore fa l’unione del moltiplice disgregato : però Dio è l'armonia dell'armonie . Che cos'è dunque Iddio pe' Pitagorici? L'unità su prema di tutti i contrarj. Che cos'è l'universo ? I con trarj in atto, e ridotti da Dio all'armonia . Come l'unità generica non diviene numero se non si distingua in unità determinate o particolari, così la monade suprema non genera il mondo se non si distingua in monadi o so stanze particolari. Che si richiede, o signori, a formare il numero ? L'unità e la distinzione d'un'unità dall'al tra. Ma la distinzione, considerata mentalmente, non è forse un concetto negativo e indeterminato, dacchè si gnifichi che l'una cosa non è l ' altra ? Or bene ; e pen savano essi che a formare l'universo ci voglia le unità o monadi particolari, poi la loro distinzione; ossia, come ( lice Aristotile, elementi positivi da un lato, elementi nega tivi dall'altro. Da queste due maniere d'elementi si fa tempo e spazio ; nel tempoi momenti e la distinzione di un momento dall'altro, cioè gl'intervalli; nello spazio i punti e la distinzione d’un punto dall'altro cioè il vuoto. Tal cosa venne simboleggiata con l'ispirazione del vuoto ; ossia distinguendosi le monadi, il vuoto entra in loro com'aria ne’polmoni . I due elementi , il positivo ed il negativo, uniti tra loro, fanno la diade o il pari; l'ele mento positivo o l' unità, così sola come aggiunta al numero pari (per esempio il tre ), fa il dispari . Ed ecco, o signori, l' unità nell'altro senso ch'io spiegava di sopra , cioè nel senso non generico ma particolare di compo nente il composto. Talchè l'unità nel senso generico è Dio ; le unità nel senso particolare fanno il mondo. Ed ecco altresì perchè si diceva da’ Pitagorici che il pari è illimitato , illimitato perchè il vuoto e l'intervallo ( o la negazione) è in astratto un che potenziale, può ricevere distinzione da' punti e da’ momenti all' indefinito . Si diceva per contrapposto che il dispari è limitato, giac 278 PARTE PRIMA. chè chiude l'intervallo ed il vuoto tra due estremità positive o tra due monadi , riduce in atto la potenza, e si fa la triade, numero perfetto che ha principio, mezzo e fine. Voi capite, o signori, come per la teorica de’toni e degl' intervalli si vedesse analogia tra la musica e l'universo. Il quale, venendo dall'essenzá eterna come necessario svolgimento d'attività, non ha reale comin ciamento, è ab eterno ; comincia sì , ma quant' al nostro pensiero ( -o iniyocav) , ossia il pensiero nol può con cepire altrimenti . Nè s'avvidero essi che se il pensiero nol può concepire senza cominciamento, segno è che l'op posto è irrazionale . Che cos'è l'uomo nell'universo ? Un'anima razionale che sta nel corpo come in u sepolcro , diceva Filolao. L'anima è numero e armonia ( Plut. De plac. phil. IV , 2 ), o monade che riduce ad unione la moltiplicità del corpo e n'è principio di vita e causa motrice. Se Platone confutò nel Fedone la sentenza che l ' ani ma è armonia , combatte i materialisti che ponevano l'anima com'un risultamento dell'unione corporale, an zichè com’un principio di essa, a mo' de ' Pitagorici. Ma Platone invece s'accorda con Filolao dicendo, che l'ani ma è sepolta nel corpo. Se non che in Platone ha senso più dualistico ; ma ne’ Pitagorici significò (badando noi alla totalità delle lor opinioni), che come Dio è l'anima del mondo, e vien da essa immediatamente l'anima uma na ( V. Ritter e Bertini), così vien dalla terra, infima ne'gradi dell' entità e delle emanazioni tutte, il corpo . Derivano da tutto ciò le teoriche sulla ragione som må del conoscere e sulla legge dell'operare. Come l'en tità , così la verità è l'uno e il numero, e l'errore va fuori dell'armonia ; talchè come il numero fa la misura di ciascun ente o la specie loro, e fa l' attinenze del l'uno all'altro, così la verità è nell' attinenza dell'in telletto con le specie degli enti e con le loro attinenze. Ma come si conosce da noi ? Il simile col simile ; però distinse la scuola italica il senso dall' intelletto come in due parti ( Cic. Tusc. IV , 5 ) ; l'intelletto è divino e si conosce per esso (benchè in modo relativo, dice Filolao) la divinità della natura ; il senso è terrestre, e si conosce per esso il fenomeno o l'apparenza sensibile. Ragion prima del conoscimento è dunque Dio ; ma com’es senza prima degl'intelletti. In Dio sta la ragione pri ma, non solo perchè raggiano da lui gl'intelletti , ma perche Dio è numero, e il numero è l' esemplare del mondo; esemplare riconosciuto dall' intelletto. ( V. il Cou sin e lo Stalbaum , ambedue nel commento al Timeo .) Però, avvertite, o signori, la scienza pe' Pitagorici, come per ognuno che n'abbia vero concetto, stette nel ritro vare la necessità razionale di ciò che conosciamo. Essi voller saper non solo ciò che è ed accade, ma perchè ciò dev'essere ed accadere. Tuttavia successe a loro quel che ad ogni panteista ; si credè di trarre a priori le cose dal conoscimento dell'essenza universale, come le pro prietà d'un triangolo. Ma invece, e lo dissi altrove, la necessità razionale ( eccetto la ontologia e la teologia naturale e le loro applicazioni e le matematiche) sta solo in vedere come, supposto un che, ne venga di neces sità un altro per attinenza ; ad esempio, data la per cezione, non può non essere il corpo, o data la volontà negli uomini che son razionali, non può non essere la libertà. L'assoluta necessità vedesi solo dove può trarsi l'illazioni da un'idea, anzichè sperimentare de' fatti; nel resto è necessità ipotetica, e non altro ; o anco è sola contingenza. ( V. Lez. I. ) Come l'entità e la verità sono numero, negazione la potenzialità indefinita e l'erro re, così è numero ed armonia il bene, disarmonia o ne gazione il male. ( Arist. Met. I.) Il bene è misura, il male è dismisura : da ciò quel detto pitagorico : « La misura è ottima, pétpov Žpustov . » E come Dio è l'ar monia universale, il numero per eccellenza, egli è il bene o misura o legge. Però, come l'intendimento va per armonie matematiche e musicali, così la volontà ; e indi nasce la virtù, ch'è numero dentro di noi, componente la discordia degli appetiti ( Carme aureo, 57-60 ); numero fuor di noi nell'educazione della famiglia e della città . . 280 PARTE PRIMA . - am - ( Fragm.di Luc. Ocello. ) Allora l'anima si va conformando a Dio (ov.02.09749. Tapos to delov ) ; la disforme da Dio passa in corpi diversi con la metempsicosi od è punita nel Tartaro ; la conforme a Dio ritorna nell'essenza ond'ella emanò. » Sarai, dice il Carme aureo, un Dio immorta le, incorrotto, non sottoposto a morte ( v. 71 : ETEL 0212. τος θεός, άμοροτος, ούκ έτι θνητος) . Signori, chi non mirerà, in mezzo a quell'ombre, la luce di sì alte dot trine ? Ma, tralignando i tempi, la filosofia traligno. Il sistema pitagorico è, quant'a'principj, un pantei smo naturale ; perchè l'unità per eccellenza vi comprende lo spirito e la materia, distinti poi come tutte l'altre contrarietà. Come voleva egli scappare il Pitagoresimo alla contraddizione suprema d'identificare tutte le contrad dizioni ? Dicendo che non conosciamo l'essenza in modo diretto : quasichè importi tal conoscenza per escludere l'assurdo. La scuola di Elea tentò fuggire la contrad . dizione, escludendo la materialità, il moltiplice ed ogni mutamento , e così creò un panteismo ideale. Xenofane, nato a Colofone d'Ionia il 620 av. G. Cri. sto, venne assai tardi ad Elea città di Magna Grecia . L'idealismo suo nasceva prima di lui; ma egli lo recò a sistema. E l'idealismo nasceva per più cagioni ; pri ma, com'ho detto, ad evitare le contraddizioni del pan teismo naturale ; poi, perchè il sistema idealistico ha dello scetticismo, a cui ora pendevano i Dorj non più austeri, e più gl'Ionj (ionica pure la colonia d'Elea); scetticismo voluttuoso e mesto che apparisce nel poeta Mimnermo, di Colofone anch'esso, e in alcuni versi di Xenofane; inoltre, già il sistema pitagorico, benchè com prensivo, faceva prevalere i concetti spirituali , però Xeno fane, vissuto a lungo in Ionia , venuto poi in Italia, mostra nell'ontologia l'idealismo italico , ma nella cosmologia la fisica degl'Ionj. Egli scrisse in versi , e ne resta frammenti, da cui , com'anche da Platone e da Aristotile, si rileva le sue opinioni . ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Uscì di patria per le invasioni Lidie, viaggiò in Sicilia, si fermò in Elea o Velia ; e visse più che centenne. ( Censorino.) LEZIONE DECIMAQUARTA . 281 Xenofane ha di Dio un'idea sublime. Egli è uno, non simile all'uomo, immoto, è tutto vedere, intendere e udi re . Ma si deve, o signori, notare cinque concetti che formano il sostanziale del sistema. Dio è uno. Xenofane tolse il principio pitagorico che l'uno si converte con l'ente ; però Dio, entità suprema, è uno. L'unicità di Dio , Xenofane la provò benissimo per un secondo concetto ancora, ch'è la potenza. Voi sapete già, o signori, che per la scuola italica l'unità o la monade o l'entità ( vocaboli equivalenti) è forza, è un'energia . Ciò pure affermò Xenofane ; e però Dio, ch'è l'ente , è sommo po tere ( 20 % TELY ) : quindi se più dèi uguali, nessuno è po tentissimo per l'eguaglianza, se più dèi inferiori, nes suno è potentissimo per l'inferiorità. Talchè Xenofane, riprensore d’Esiodo e d'Omero, scherniva com’empie le superstizioni volgari, e, diceva, se i cavalli sapessero di segnare, fingerebbero gli dèi a loro sembianza. Traeva da ciò un terzo concetto ; che a Dio manca ogni contin genza, finità e infinità, moto e riposo. L'infinità ? In che senso la nega egli Xenofane , e contro chi ? Nel senso d'illimitato o indefinito che si determina con atti successivi ; contro i Pitagorici pe' quali Dio è infinito e finito ad un tempo, si distingue nell'universo e vi si muta perennemente, benchè immutato nell'essenza : for s'anche, dove Xenofane accenna il moto e il riposo, con futa le opinioni degl' Ionj già cominciate e già oppo ste all'italiche più antiche, ma pe' Pitagorici ancora Dio comprende in sè le contrarietà fra cui Aristotile notò ( come vedemmo) il moto e la quiete, ugualmente che il finito e l'infinito, il finito ch'è quiete, l'infinito (indefi nito ) ch'è moto. Crederemo noi dunque, o signori, che quest'altra verità , in Dio non essere contingenza, con ducesse gli Eleati al Dio creatore ? No ; e si scorge dal l'esame d'un quarto concetto, per sè vero, ma falso nell'applicazione : Dio non può nascere. Va bene ; ma per chè ? udiamolo, signori; il perchè ce lo dà il trattatello De Xenophane, Melisso et Gorgia, attribuito ad Aristo tile , non di lui forse, antico ad ogni modo. Si dice, adun 282 PARTE PRIMA. que : Dio non può nascere, perchè l'ente non può non essere, e il non ente non può dal nulla divenire qual cosa. L'ente, ch'è per essenza, certo non può non essere ; ma il non ente nel significato di Platone e pitagorico è il contingente ; che può non essere appunto, giacchè non è per essenza sua propria, bensì dall'ente. Xenofane, per altro (notate, vi prego, siguori), prese il non ente in significato di nulla, e il nulla è impossibile sia mai altro che nulla ; ma ciò che diventa, è nulla in sè, nulla non già nella potenza causatrice. Che ne conchiudeva Xenofane ? Non solo che non si dà creazione, ma che non si dà pure causalità nessuna ; non v'ha che l'es senza immobile, infeconda, inaccessibile. ( ch'è dun que il resto ? o quel che ci pare in continua mutazione ? Fenomeno, apparenza, illusione, e nulla più ; talchè la fisica che si fa con l'apparenze è illusoria, non è scien za . Però egli disse in un verso : « Queste cose (del mondo) non hanno altra vita che l'apparenza, e appartengono alla opinione. ( Plut. Symp. IX. ) De' dubbj di Xeno fane sul mondo parlo altresì Timone Fliasio ne' Psilli. ( Fragm . Phil. Græc.) E per provare ciò s'adoperava un quinto concetto : che Dio o l'ente è tutto, o intero . ( Fragm . di Xenoph.) Che vuol egli dire ? Cerchiamolo . Che idea vi dà, o signori, l'infinità ? Certo, pienezza d'es sere, cioè che ivi non ha mancamento . Ma tal pienezza significa forse il tutto ? No, chè tutto è idea relativa : tutto, implica parti ; e quindi ogni tutto può essere più o meno, come numero ch'egli è ; nè numero assoluto si dà ; mentre assoluto è l'infinito. Or bene, l'induzione astrattiva concepisce il mondo com'un tutto e confonde l'infinità ( come pienezza d'essere) con l'universo . Così accadde agli Eleati ; e però Aristotile scriveva di Xeno fane : « Contemplando egli il tutto del mondo, disse che l'unità è Dio. » Indi l'aforismo eleatico, uno è l'ente e il tutto (ey to y uzi có Tiv) . Che si concludeva mai da questo ? Poichè al tutto non manca nulla, e l'ente è il tutto, nulla può cominciare, perchè sarebbe aggiun gimento : quasichè, o signori, ciò che viene dall'efficienza creatrice aggiungasi all'infinità . E però vedete, che dove gli Eleati pareva negassero l ' indefinito pitago rico, van poi al medesimo vizio ; perchè si piglia Dio com'un tutto generico, che viene simboleggiato con lo sfero. Resta da sapere che foss'egli per Xenofane l'ente o Dio . È ragione assoluta, intelletto essenziale. (Fragm. di Xenoph .) Che v'ha dunque più di pitagorico negli Eleati ? Si lasciò la parte corporea ed ogni moto e restò la spirituale, divina ed immutabile ; quindi è un pan teismo ideale. Il qual sistema si continuò in Parmenide, in Zenone ed in Melisso. Parmenide d’Elea nacque probabilmente nella 65a Olimpiade, e fiorì nella 69 ", ossia 504 avanti Gesù Cristo. Dice Plutarco ( Adv. Colot.) ch'egli détte alla patria leggi avute in grande amore. Zenone d'Elea , scolare di Parmenide e nato verso l'Olimpiade 719 , amo di cuore la patria , e poichè un tiranno lo condannò a morire, sostenne da uomo il supplizio : Melisso di Samo fiori verso l'84a Olimpiade, seguì Parmenide, fu uomo di Stato, e capitano gl'Italioti contro Pericle. Questi gli Eleati più famosi. L'opinioni di Parmenide vi son date assai chiare ne' frammenti del suo poema. ( Fragm . Phil . Græc. Didot. ) E che si trova in quelli fin da princi pio ? I due aspetti, già separati da Xenofane : l'ente, che unico è ; e il non ente o l'apparenza, che non è : non è , o signori, in modo assoluto e non già perchè semplice contingenza. Ci ha due vie, scriveva Parmenide, di filo sofare : 0 porre che l'ente è e che il non ente non è (70 ury; vedi anche il Parm . di Plat.), e questa è la via retta, perchè s'afferma l'ente e si nega il non ente o l'apparenza ; o, al contrario, porre che l'ente non è c che sia di necessità il non ente, questa è via non retta. Si descrive così la via degli Eleati da un lato, e la via degl'Ionj dall'altro, i quali si fermavano a considerare il moto delle cose . Ebbene, che concetti ha egli Parmenide allorchè e' mostra che l’ente è e il non ente non è ? Gli stessi di Xenofane : l'ente è conosci 284 PARTE PRIMA . 1 bile con la sola ragione, ingenito, non mobile, tutto ( cudow ) unigeno, eterno ; non fu nè sarà, perchè ora è tutto insieme; non può esser nato , perch'è assurdo che l'ente non sia ; non divisibile, somigliante a sè stesso intera mente, riempie ogni cosa ; la dura necessità ( dir.n ) lo stringe in vincoli (ossia egli è necessario ; necessità di Dio trasferita da' panteisti al mondo ed alla volontà uma na ); egli non è infinito ( atedrventov ) , non bisogna di nulla, ed è lo stesso il pensare e ciò che si pensa. ( Framm . e segnatamente v. 66-94.) In che Parmenide differì da Xenofane ? Quegli ha forma più scientifica di speculare, perchè comincia dall'idea universale dell'essere, e la contrappone al non essere. ( Ritter, Bertini.) Ma crede reste voi che Parmenide s'avvantaggi su Xenofane, come nella severità dialettica, così nella perfezione dell'idea ili Dio ? Anzi, dove il maestro partì dall'idea di Dio, ragione pura, santità essenziale e provvidenza, lo sco lare poi con un vizio più rilevato d'induzione si fermò al concetto dell'essere generale, nè v'apparisce punto la personalità divina : sicchè Parmenide non avversa come Xenofane la mitologia , anzi l'accetta qual credenza po polare. In man di lui, perciò, il sistema eleatico si rese più ideale. E questa idealità condusse Parmenide (sem bra un paradosso ), come anco Xenofane alla confusione lel senso e dell'intelletto . Quanto a Xenofane apparisce da un verso di lui in Sesto Empirico ; e quanto a Parme nide, lo notò espresso Aristotile ( ppovaly usy tér vistn512) . Mentrechè il sensista dice : la sensazione è idea e tutto : l'idealista dice : l'idea è sensazione e tutto. Ma sorge contraddizione nuova : se intelligenza e senso son tut t'uno, come potrà egli il senso darci l'illusione ? Ep pure, Zenone d'Elea non pare ch'altro volesse co’suoi strani sofismi fuorchè mostrare : com’abbandonandoci all'apparenze del moto e del moltiplice, cadiamo sem pre in contraddizioni. E la parte negativa di tal sistema s'accrebbe in Melisso che ( notate, o signori) muove dal l'ente indeterminato come Parmenide, ma lo significa in modo più indeterminato ancora , chiamandolo un qual LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 cosa. ( V. Fragm . Phil. Græc. Didot ; De Xenophau Melisso et Gorgia ; Arist. de Soph. Elenchis, e Plat. Thecet.) Se non che, Melisso torna co’ Pitagorici a dire che Dio è infinito, negando a loro ch'e'sia finito, per chè l'ente non ha principio nè fine . ( Fragm . 2. ) E ciò va bene ; ma pare che qui terminasse l'infinità nel concetto di Melisso ; egli non lo concepì come infinitu dine assoluta d'entità, e pero dotato d'efficienza crea trice e pensiero puro ; anzi l' indeterminatezza di quel l'astrazione fece sì ch'egli non parla dell'intelletto e della bontà di Dio, e l'idea ne vacilla dinnanzi com'om bra informe e vana. ( Ritter, Bertini.) Così da Xenofane in poi vi fu scadimento, come da ' Pitagorici agli Eleati . Questi bensì fecero progredire la dialettica tendendo a conciliare i contrari , e Aristotile fa inventore di quella Zenone, che si sa da Diogene Laerzio aver composto dialoghi. Se la scuola pitagorica seguitò, ma con forme più filosofiche, il panteismo orfico nella sua totalità , gli Eleati ne presero la parte ideale ; gl’Ionj la corporea e sensuale. Ell'è perciò la setta men filosofica . In che ci viltà ? Tra'costumi voluttuosi della Ionia , e in quelle città che presto soggiacquero alla servitù de’Lidj e de Persiani. E se voi mi domandate, o signori: Que' sistemi da che gente vennero professati ? Rispondo, che salvo i più antichi, cioè Talete e Anassimandro nati a Mileto nel l'Asia minore, delle virtù cittadine di tutti gli altri non si sa nulla ; o sappiamo d' Eraclito ch'era superbo, duro e solitario . Di Talete stesso, bench’ Erodoto ricordi un consiglio di lui agl' Ionj , Platone ( Teetete) dice ch' ei s'astenne da' pubblici negozj . Qual diversità dalla storia de Pitagorici ! non ci meravigli, pertanto, la diversità ne sistemi. ( Fragm . Philos. Græc. Didot, 1860.) Il moto delle cose lo crederono gli Ionj nell'asso luto. E che cos'è l'assoluto ? La materia del mondo. unica entità , eterna, divina, dotata di pensiero ch'è di vino attributo. Tutti gli Ionj. fuorchè Anassagora, ebber ciò di comune ; e s'assomigliano alla scuola degli Eghe 286 PARTE PRIMA. liani materiali che succedettero agl' ideali . Ma gl' Ionj diversificarono tra loro nel concepire il moto dell'uni verso ; chi, come Talete e Anassimene, Diogene d'Apol lonia ed Eraclito, ebbe un sistema dinamico ; chi, come Anassimandro e Archelao, un sistema meccanico. Ed ec cone il divario : cercaron tutti la prima cagione delle cose, ma pe' dinamici la produzione si fa con isvolgi mento di forze vive, come gli animali e le piante ; pe’miec canici la produzione non ha se non forme apparenti . mutandosi solo le particelle inerti come ne’minerali. La dottrina vera comprende le due opinioni ; perchè la cau salità modale trae sempre in atto le potenze, l'atto si produce (dinamica ) ; benchè quest'atto poi non ci dia sempre una specie o un individuo, come nella generazione degli animali, bensì talora un aggregamento come ne'mi nerali. A ogni modo, tal dottrina non s'applica punto alla causalità creatrice ; e gl’lonj, negando che dal nulla si faccia nulla, negando qualunque causalità che non operi sopr'un soggetto preesistente, non s'avvidero, che tal cau salità non può dirsi assoluta, ma condizionata . Questo in genere ; venendo poi a specificare la causa prima, gl’lonj la posero chi nell'una e chi nell'altra cosa che più parve trasmutabile in ogni altra o quasi un germe, secondo i dinamici, o quasi elemento univer sale, secondo i meccanici: Talete nell'acqua, Anassi mandro in una natura media ( udtaču puçev ) , e però lo chiama principio (apua) , Anassimene nell'aria, Eraclito nel fuoco, Diogene altresì nell'aria . Ma, badate, o si gnori , nè quell'acqua, nè quell' aria, nè quel fuoco, son proprio ciò che ne vediamo; è un che più intimo e uni versale, simboleggiato in cose visibili secondochè queste parevano più acconce a figurare l'universalità , come l'acqua che tutto abbraccia, l' aria per cui si vive, il fuoco che tutto vivifica e distrugge. E con questo pensare la causa prima, s'andò di male in peggio. Talete serba confuso al materiale un < he di spirituale ; però dice che tutto è pieno degli dèi e che in ogni cosa è la mente, e, secondo Cicerone ( Quest. Tusc. I), professò l'immortalità dell'anima. È un panteismo materiale, ma confuso ed implicato : vi si sente ancora le reliquie della filosofia teologica più antica , già comune (com' io dissi ) agl'Ioni, anzi a ogni gente ellenica ed agl' Italioti ; e però i Padri citano di Talete molti detti sapienti sulla natura di Dio. Anassi mandro svolgeva la parte materiale dicendo che il prin cipio, in cui tutto ritorna è infinito , perchè l'origine o il cominciare non termina mai ( tov © vo ) trn doury ENOL Ó žosipov . Fragm . Phil. Græc.; Didot) ; però gli dèi nascono e moiono, e son astri e mondi; e la specie umana venne da' pesci. Anassimene seguitò quella via ; nè altrimenti Eraclito, benchè questi , che cita Pitagora e Xenofane (Diog. Laert. IX , e Clem . Alex. Strom . I ), désse alla dottrina del fuoco le apparenze d' una misti cità orientale. Non si discostò dalla teorica degl'Ionj circa la causa lità l'altra teorica sulla ragione prima. Qual è la ragione del conoscere ? questa, che il principio conoscitore sia formato della materia universale, di cui si formano le cose conosciute, dacchè il simile si conosca pel simile. Sembra che di morale gl'Ionj ne parlassero poco ; e ciò sta col materialismo loro ; Eraclito bensì pone la legge nella ragione universale o divina, palese con le leggi della patria ; Achelao nega ogni legge necessaria ; e il giusto e l'ingiusto fa nascere dalle convenzioni umane. Tal panteismo ch ' è sempre a priori non détte, benchè materiale e salvo poche verità , una fisica buona. All'assurdità del panteismo volle rimediare Anas sagora da Clazomene, nato verso il 500 avanti l'èra nostra , però distinse la mente dal mondo. Ma non la stimò creatrice ; sicchè s'apprese al dualismo ; anzi, (lacchè spiega poi la formazione del mondo come gli al tri Ionj meccanici, non si sa bene che ufficio e' désse alla mente divina in ordinare, il mondo. ( Plat. Fodone.) Il suo libro cominciava : Tutte le cose erano insieme ; l'intelligenza le divise e le dispose. (Diog. Laert. II, 6.) E così distinse Dio, o la mente ( vojv) , dalla natura ; e questa pose in particelle simili , omeomerie, che son semi delle cose o per la disposizione già ricevuta o che rice von poi di mano in mano ( 2.pay.tov otepusta.). Diogene di Apollonia in parte lo seguì , ma peggiorando ; chè fece l'aria dotata di mente, e quindi ordinatrice. Archelao pure, ultimo fra gl' Ionj, alla confusione primitiva sta bili ordinatrice la mente ; ma questa non va esente di materialità ( Fragm . Phil. Didot); talchè il dualismo di Anassagora isterili. Che tenne dietro, o signori, alla confusione del pan teismo ed alla separazione del dualismo ? La negazione degli scettici , particolare dapprima, universale poi. E di fatto, già svolte l'opinioni de' Pitagorici e d'Elea, ben chè non anco terminate ( come va sempre), e già comin ciato il sistema d' Anassagora, sorsero pressochè ad un tempo le sette degl'idealisti e de' materialisti. L'idea lismo ateo venne da Protagora (di cui nel dialogo con tal nome ed in più luoghi scrive Platone ); colui , non si sa quando nato, fiorì verso il 444 avanti l'èra nostra . Il principio d’un suo libro cominciava : Degli dèi non so nulla ; e Timone Fliasio scrive, che Protagora quantun que dicesse ignorarli , osservò la legge ossia le cerimo nie legali ( Fragm . Phil. Græc.) : nella osservanza della legge i sotisti posero moralità e religione. Diceva Pro tagora con gl' Ionj : tutto si muta ; e con gli Eleati : tutto apparisce. Questa proposizione viene dall'altra ; perchè se nulla r’ha di stabile, tutto è fenomeno od ap parenza . Vedete, o signori, come l'idealismo nascesse dall' opinioni anteriori. E sulle due proposizioni già dette si fonda il sistema di Protagora, che disse perciò : se tutto muta , nulla è in sè stesso ; e se tutto apparisce, l'apparenza solo è vera ; vere l'apparenze contrarie , veri i contradittorj, vero insomma tutto ciò che si pensa, e l'anima è la somma dei diversi pensieri ( Condillac, Kant), e il fine del discorso sta nel produrre l'appa renza : qui è il sostanziale dell'arte sofistica . Che vi pare, o signori, non lo dicono anch ' oggi : tutto è vero quel che si pensa ? Quasi contemporaneo, ma un po'dopo LEZIONE DECIMAQUARTA . 289 è Democrito d'Abdera, nato per Apollonio il 460, e per Trasillo il 470 ; talchè, se fiorito con Protagora il 444. ciò sarebbe avanti a' 16 od a'26 anni ; impossibile il primo caso, non verosimile il secondo, perchè Democrito dettò le cose sue dopo lunghi viaggi . Sa degl'Ionj, perchè materialista, tiene bensì degli Eleati , perchè muove dal concetto dell'ente ; e dice : unico ente il vuoto e lo spazio con gli atomi nel seno ; dalle loro congiunzioni e dalle figure matematiche conseguenti nascono le qualità ; e poiche il simile si conosce col simile ( τα όμοια ομοιών είναι apestira ), v'ha conoscimento nell'anima, essendo ella un atomo a cui vengono le figurette o immaginette dei corpi ; rozza fantasia che male s'attribui ad Aristotile. E Dio che cosa è per Democrito ? Compiacendo alle plebi , egli finse dèi come immagini enormi, ma sotto posti a morte ; vero ateismo. ( Fragm . Phil. Græc. Di dot .) Vuol notarsi che Leucippo fiori con Eraclito il 500 ; ma poichè il materialismo giungeva non opportuno. mancò allora il successo, in tal maniera che di Leucippo non si sa pressochè nulla. Se Protagora s'accostò allo scetticismo universale, non mi pare che vi giungesse : affermò che tutto si muta, e ch' è solo quale apparisce, non si sa per altro ch'e' ne gasse l'entità delle cose in questa loro perpetua muta bilità ed apparenza ; chi giunse a tal punto, risoluta mente, espressamente, ſu Gorgia di Leonzio ( V. Dial. di Platone col nome di lui, e altri dialoghi) ; perchè scrisse un libro sul non ente, cioè sulla natura, e volle provare che o nulla è, o se è non può conoscersi o se si conosce non può significarsi . Con Protagora e Gorgia v ' ha una schiera che la Grecia infamò col nome di So tisti, Prodico, Eutidemo e simiglianti. Chi erano costo ro ? L'antichità gli ebbe per uomini venali. In che ci viltà vennero ? In età di corruzione . Che frutto recarono ? Dicon gli antichi: pessimo nell'arte, nella scienza e nel l'educazione della gioventù ; benchè, come si vedrà, fossero occasione di qualche miglioramento. Ma ecco fiorire verso que' tempi ( V. Tavole del Storia della Filosofia . - I. 19 Krug) un uomo che vuol riparare a tanta dubbietà. Chi ? Empedocle. Con che ? col misticismo a cui s'ac compagna ( come accade sulla fine dei sistemi) un fare d'ecclettico. ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Da'frammenti del suo poema ( népe ouro ) e da' detti d' Aristotile e d'altri si raccoglie che il sistema d'Empedocle non è già fisico solamente ; Dio per lui è mente santa incor porea : e nè un pretto dualismo, perchè il mondo è tutto, e c'è divinità mondane o fisiche : e nè un pretto pan teismo, perchè si distingue la mente divina e gli atomi : che cos'è dunque ? Parmi ch'e' non avesse un concetto nitido, com'accade agli ecclettici; e così di lui pensa rono gli antichi : alcuno lo fa di Parmenide, altri pita gorico, Platone lo mette con Eraclito, e Aristotile con Leucippo, con Democrito e con Anassagora. Ma prevale il misticismo; perchè ne' frammenti del poema, Empe docle si dà com’uomo miracoloso, e si crede un Dio immortale; e veste da sacerdote. In lui sentite lo scet ticismo e l'estasi ; egli pone la mente, umana in parte ed in parte divina; quella c' illude, questa ( come dice il Ritter) dà un santo delirio e sorge alla contemplazione mistica di Dio nella natura. Tal è l'Yoga indiano, tali gli Alessandrini. E questi, di fatto, ebbero in grande stima Empedocle ; ma Platone ed Aristotile, osservato ri, lo pregian poco. Tuttavia egli seppe dimolto, e valse in fisica, e fu ben altr'uomo dei sofisti ; onorato dai suoi cittadini ed in tutta Sicilia . Così terminò quest'epoca, ed ebbe strascico lungo in due schiere d'uomini; atei la cui morale era il piacere, Evemero, Ippone, Nicanore, Pelleo, Teodoro, Egesia e Diagora ; Pitagorici o dati anch'essi al materialismo, così Ecfante, o mistici la maggior parte. Questi atei com ' Evemero interpretarono storicamente la mitologia : gli dèi furono uomini indiati, non altro . La scuola fisica poi degl'Ionj, più tralignati, la interpretò fisicamente : gli dèi son le forze uniche della natura  EPOCA QUARTA DELL' ÈRA PAGANA. SISTEMI GRECOLATINI. CICERONE . 011 SCU pre SOMMARIO . Moltitudine di scuole tra la seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra volgare fin al quarto secolo dell'era stessa , sullo spartimento delle quali non sono chiari gli storici. Criterio per la distinzione del . l'epoche , e quindi per l'assegnazione varia de ' sistemi. Con tal crite rio , le dette scuole si spartiscono in due classi. – La prima classe si sud distingue ; 1º negli eruditi ; 2 ' negli scettici ; 3 ne ' sistemi grecoasiatici : tutti formano la fine dell'epoca terza, cioè sono la conseguenza de ' sistemi anteriori . La seconda classe , o de' sistemi grecolatini, fa un'epoca da sė , cioè l'epoca quarta . È un'epoca nuova , per la tentata riforma, e per l'efficacia grande cosi di Cicerone come de' Giureconsulti. — Cagione del sorgere tardi la letteratura e la filosofia in Roma. Elle sorsero, quando i Romani non furono più con tutta la mente in fatti gravi e giornalieri . Allora può la riflessione volgersi alla coscienza e contemplarvi l'uomo , – Il pensiero de ' Romani si distese all'Italia e al genere umano. — Naziona lità naturale e politica degl' Italiani merce i Romani . Affetti domestici nel buon tempo di Roma. Come si vedano in Virgilio le qualità prin cipali della civiltà italica . I germi antichi di questa erano in Roma; si svolsero per impulso di Grecia. Durò poco in Roma la filosofia pura mente speculativa, perchè già la filosofia greca , declinando, avea lasciato salve ben poche verità , e perché Roma cadde in servitù . Cicerone e i Giureconsulti romani costituiscono la vera filosofia grecolatina . Cice rone si proponeva di sceverare dal falso e dall'incerto le parti vere e certe ile' sistemi greci , di comporle in ordine chiaro , d'applicurle praticamente, e che se n' aiutasse l'eloquenza. - Sue virtù e suoi difetti. Si prova ch'egli non fu copiatore de ' Greci , ma pensò di suo . Non pare da distinguere i suoi libri ( com ' alcuno pensa) in popolari e dottrinali . Libri logici , fisici e morali. Cicerone ripete il conosci te stesso come fondamento della filo sofia : la coscienza con tutte le due relazioni. Indi l'evidenza interio Uso degli altri criterj secondari , tenendo sempre in mente l'universi lità e dov'ella si manifesti. Cosi egli potė cansare gli eccessi de ' sistemi; e si prova quanto a ’ Platonici , a' Peripatetici, agli Stoici , agli Accademici : rigettato assolutamente l'Epicureismo. - Cicerone non elegyeva da ecclettico , ma per un ordine di principj ; vide cioè che la filosofia è da studiarsi entro di noi ; e da tale studio inferi tre verità , che gli furono regolatrici : 1º che l'uomo sta sopr' all ' altre cose ; 20 che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo; 3º che questa ragione con le sue leggi ci fa palese Dio . Talche delini la filosofia : scienza delle cose divine e umane e delle cagioni di queste ( off .) : l'altra definizione de' Tuscolani è come racconto dell'opinioni pitigori che. Va seguito i principj spontanei , naturali , universali della ragione : ecco l'assioma di Tullio. — Ma, per la moltitudine de ' sistemi , ei potè co gliere poche verità ; queste affermò, nel resto sospende il giudizio . Esem pio, il finale de natura Deorum . Le dottrine certe di lui ne ' libri morali, o sulla legge e sulla libertà ; le opinioni verosimili ne'fisici, o sulla natura divina e dell'anima; ne'ljbri logici l'une e l'altre ; ossia , egli è certo su'prin cipj e sull' evidenza interiore, ha solo verosimiglianza sul criterio delle per cezioni esteriori. Dualismo . — Anche per la teorica del conoscimento. Teorica dell'operare bellissima ; legge naturale, eterna ; Dio n'è la fonte ; re . - . chi non ammette Dio , non può ammettere la legge . — Il dovere. Gradi degli officj . Quel ch'è giusto in sè stesso . Utile apparente, e utile vero ; questo è conseguenza della virtù. — Onestå. Le leggi positive nascono dalla naturale ; Dio è il proemio di tutte le leggi. - Buoni eifetti della filosofia di Cicerone . Non anche terminata l' epoca terza cominciò la quarta, de' sistemi grecolatini. Dalla seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra volgare fino al quarto secolo dell' era stessa , troviamo una moltitudine di scuole, lo spartimento delle quali dà qualche impaccio agli storici . Taluno le piglia tutte insieme (e vi com prende gli Alessandrini del terzo e quarto secolo) come una sequela de sistemigreci anteriori ; e così non pone ad esse un'epoca distinta . E per fermo se tutte le dette scuole non fosser altro che discepoli, o raccoglitori eruditi , mancherebbe la ragione del porle da sè , o del farne più classi . La ragione d'un'epoca, quando si parla di scienze, è solamente una grande verità scoperta, da cui dipende l'ordine universale d'una scienza qualunque, o il risorgimento di essa dopo un tempo di scadimento, e quindi l'efficacia su ' tempi avvenire. Insomma, v'ha un principio d'epoca, quando v’ha un principio di moto nuovo e potente : la continuazione di moto, è continua zione d'epoca e nulla più. Applicando tal criterio all' età sovraccennata , par chiaro che i sistemi vi si distinguano in due parti ; una sta nell'epoca terza precedente, ossia nella greca e come termine di essa ; la seconda costituisce un'epoca da se per qualità sue proprie, o un'epoca quarta , benchè i siste mi dell'epoca terza la precedano, l'accompagnino ed an che le sopravvivano : tanto è vero che la sola divisione per tempi non segue la realtà. La prima parte che ter minò l'epoca greca, si suddivide in tre, gli eruditi, gli scettici, i grecoasiatici. Da un lato v'ha le scuole di pretta erudizione ; le quali non iscopersero nulla , nè rinnovarono nulla ; gli Stoici eruditi ; i Platonici eruditi, com ' Areio Didimo, Trasillo, Albino, Alcinoo, Massimo di Tiro ; i Peripatetici eruditi o commentatori d'Aristo tile, come Alessandro d'Afrodisio ; i Medici, eruditi an 365 PARTE PRIMA. ch'essi, platonici e peripatetici, come Galeno. Poi da un altro lato v'ha lo scetticismo d'Enesidemo e di Sesto Empirico, i quali compivano, anzi riducevano a sistema il dubbio di Pirrone e di Timone, volgendosi specialmente contro la causalità, e negandola per la singolare ragione che il modo intimo del causare nol conosciamo; quasichè possa negarsi ciò ch'è ad evidenza, quando non si sa spiegarlo. Da un terzo lato ancora , mescolati i Greci con gli Asiatici per le conquiste d'Alessandro e poi per la vastità dell'impero di Roma, vediamo un congiungimento tra la sapienza orientale e i sistemi greci; onde si svolse la setta degli Alessandrini, che non fecero altro se non ridurre a forme greche il panteismo asiatico , già comin ciato in Filone ebreo, nella Kabbala, in Apollonio Tianeo e in Moderato , Nicomaco, Plutarco, Apuleio, Cronio, Numenio. Questi, benchè distinti dalla scuola d'Alessan dria (e fa male chi li confonde), in sostanza cominciaron l ' avvio di quella, che ne trasse i pensieri a compimento. Gli Alessandrini e i loro antecessori fanno essi dunque un'epoca nuova ? No, perchè i metodi sono affatto del: l'età socratica, e i principj gli stessi ; lo scetticismo poi che li conduce al misticismo, appartiene a quel medesimo tempo. L'unione dell' orientalità con l'atticità pare un che nuovo, ma scientificamente non è ; proviene dalle tendenze mistiche succedenti al dubbio, non già da'me todi scienziali ; piacque la misticità orientale, richiesta già dagli animi. Ebbi l'opinione anch'io che gli Ales sandrini facciano un'età da sè ; ma più attenta consi derazione m'ha condotto ad altro parere. La seconda parte sì che fa un'epoca da sè, l'epoca quarta o Latina . Introdotte le scuole di Grecia in Roma circa il mezzo del secondo secolo avanti l ' èra nostra, cominciò ivi un ordine proprio di concetti per efficacia delle tradizioni italiche e per la civiltà di Roma ; talchè, ripeto, avvi un'epoca quarta, o de sistemi grecolatini ; nuova per le riforme tentate da Cicerone e per la novità dei iureconsulti, ch'ebbero efficacia sì viva e univer sale nella civiltà europea ; e anco perchè Cicerone servi più che i Greci alla filosofia cristiana de' Padri latini e dei Dottori, i quali per via di lui , piucchè in modo im mediato, seppero l'antiche opinioni. Adunque in uno specchio generale di storia si dee lasciare i filosofi eruditi, che non aggiungono nulla ; degli scettici dissi già nella passata Lezione; de'sistemi grecorientali poi si dee trattare nella prim'epoca del l'èra cristiana , perch' essi combatterono la sapienza de Padri e n'eccitarono la opposizione. Resta che noi parliamo qui de' sistemi grecolatini, che soli ci danno un'epoca nuova. Non fa meraviglia che in Roma nascesse tardi la letteratura e la filosofia. Nascono l'una e l'altra, quando la riflessione si volge alla coscienza, e vi contempla l'uomo interiore per elevarsi all'ideale universalità. La filosofia vi s'eleva in modo astratto ; la letteratura rende concreto l'ideale con la fantasia e con gli affetti. Ma quando un popolo, come il romano, è tutto inteso a fatti gravi e giornalieri che lo attirano o a guerre este riori od a contese interne; allora ti daranno bensì canti popolari di guerra e d'illustri memorie ( come gli ac cennò Tito Livio ), ma non ti possono dare nè letteratura nè filosofia ; in que' tempi guardasi al fine politico ed aʼmezzi, non alla natura interiore dell'uomo qualità generali delle operazioni, come fanno il poeta ed il filosofo . Indi la rozzezza de’Romani; talchè narra Tito Livio, che lo storico più antico fu Fabio Pittore a' tempi d'Annibale. Ma quando Roma ebb’esteso la dominazione a tutta Italia e oltre, allora il Romano non vide più solo innanzi a sè le contese de' vicini , e le contese del Foro tra nobili e plebei, sì un'intera e grande nazione e il genere umano. Così l'idea di Roma si appresentò in relazione con tutta l'Italia e l ' Italia in relazione col mondo. Il pensiero de' Romani si dila tava ; si allargò fuori del cerchio de' fatti particolari; il Quirita si sentì più chiaramente e figlio di Roma, e italiano, e uomo ; tanto più che a poco a poco la cit tadinanza romana si estese a tutta Italia . A’tempi di Storia della Filosofia . – 1 . e alle 24 2 as 2 Cicerone non rimaneva quasi più possedimento in Italia non assegnato a'cittadini per via di colonie ; il qual fatto, unito all'altro che già notai) de'primitivi abita tori ricaccianti le colonie greche, spiega com’in Magna Grecia ed in Sicilia i dialetti sieno italici puri (chè i pochi Greci di Puglia non sono gli antichi), non già ellenici come in Grecia moderna e in alcune parti del l'Asia minore. Le colonie romane, aiutate dall'affinità primitiva delle schiatte italiche, formarono così l'unità naturale, o la consanguinità della nostra nazione ; nazio , nalità naturale determinata da'naturali confini del no stro paese, e che si manifesta nell'unità formale de dia letti , o già contemporanei al romano, o nati da esso. Indi allora nacque la politica nazionalità benchè dopo cinque secoli di guerre ; ma lasciando a’municipj un'im magine di Roma, consoli, senato e popolo com'a Firenze ( R. Malespini e G. Villani) , e concedendo a que mu nicipj amministrazione lor propria ; indi vennero i no stri Comuni del medio evo. Roma e l'Italia , considerate in relazione col mondo , formarono nelle menti romane com'un archetipo di per fezione. Il vecchio Plinio ( giova ripeterlo qui) scrive dell' Italia : « Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa ; una cunctarum gentium in toto orbe patria. » E Virgilio , lodando magnificamente l'Italia nel secondo delle Georgiche ( 135-136), non si ristringe a Roma, e dice : « Hæc genus acre virumi, Marsos pubemque Sabellam Adsuetumque malo Ligurem , Volcosque verutos Extulite .......... » M 22 14 e finisce con quell'alte parole : Salve, magna parens, Saturnia tellus Magna virum ..... » Giunto un popolo a questa larghezza di sentimento e di riflessione, possiede l'idealità necessaria per l'arte del bello e per la filosofia ; non lo stringono più le necessità de'fatti speciali, stende il pensiero alle attinenze , considera la natura dell'uomo e delle cose . Questo svol gimento di coscienza per la riflessione venne promosso da una causa tutta particolare a Roma ed all'Italia . Qui, più ch'altrove nell'antichità , fu sacro il connubio ; e gli affetti di famiglia v’ ebbero consistenza per molti secoli : la stessa mitologia nostra, come dice Polibio, rigettava le nefandezze de' simboli elleni . Or bene, gli affetti di famiglia tengono vivo il senso morale, che dipende dal l'idealità suprema della legge e del dovere. Non v'ha dunque da stupire, se Virgilio, benchè imiti Omero, si distingua tanto da lui ne' principali concetti che gover nano il poema ; ossia, nel concetto che ordina il poema stesso e ch'è una disposizione di provvidenza rispetto a ' Romani; poi , nel concetto di patria ch' è Roma ; in quello altresì di nazione (non di schiatta soltanto , come la Grecia ), cioè di tutte le genti italiane, non solo con sanguinee ( schiatta italica) , ma dimoranti pure in unico paese (nazionalità naturale) e poi congiunte da Roma ( nazionalità politica ): nell'altro di famiglia onde ri fulge l’Eneide dal principio alla fine ; per ultimo, nel l'intima e soave descrizione degli affetti, con la quale il poeta mantovano preparò la poesia cristiana. Sicché, quand' io leggo in alcuni libri ch'a Virgilio mancò un'idealità propria, prego da Dio la fine di certe pas sioni che impediscono la equità de' giudizj. Però, mentre allargavasi il dominio romano, cresce vano le ragioni d'intima civiltà ; le quali, per altro , s'acchiudevano già in Roma ab antico. La prisca gente romana che ch'ella fosse e in qualunque modo si ra gunasse da prima, certo è, che s'ella fu rozza per le necessità di continue guerre, sorse tuttavia tra popoli molto civili ; ebbe accanto la Magna Grecia e l'Etruria, e le tante città de' Sabini e del Lazio. Ora chi non sa quanto valgano mai le tradizioni civili anco tra popoli rozzi ? Numa vien detto alunno di Pitagora ; ' e l'ante riorità di quello è spiegata dall'antichità delle scuole pitagoriche, com'altrove narrai, Dice Cicerone : « Romuli 372 PARTE PRIMA . autem ætatem jam inveteratis literis atque doctrinis fuisse cernimus » ( De rep .) : e sant'Agostino scrive nella Città di Dio che Romolo era venuto non « redibus atque indoctis temporibus, sed jam eruditis et expolitis. » Plinio cita le belle pitture d'Ardea più antiche di Roma ; i Romani predarono dalla sola Volsinia 2,000 statue ; Bolsena in Fenicio significa città degli Artisti . ( Cantù, St. Univ . III, 24. ) Se a ciò aggiungo la tradizione, che le leggi de cemvirali si prendessero di Grecia ( tradizione falsa per le leggi che s'attengono a' costumi di Roma, vera pro babilmente quant'al modo d'ordinarle ), e se aggiungo altresì la perfezione che graduatamente il gius positivo ebbe dal gius onorario, mi capacito che nel seno di Roma cresceva un germe di civiltà e però di lettere e di filosofia, da venire a compimento, quando se ne offe risse la occasione. E questa occasione ( testimonio la storia ) è sempre qualcosa d' esterno. L'occasione a Ro mani venne da Greci conquistati; ed ha il proprio segnale nell'ambasceria di Critolao, Carneade e Diogene babilo nese al sesto secolo di Roma, 155 anni avanti Gesù Cri sto . Catone si sforzò di cacciare le sette greche ; invano, il terreno era preparato, e la pianta fiorì. Ben è vero che la speculazione puramente filosofica non durò a lungo, ma proseguì a fecondare il diritto : la qual brevità ebbe due cagioni principali. I sistemi greci, che aveano menato tant' oltre la forma logicale della filosofia , quant'alla materia poi l'aveano lasciata in dubbiezze infinite, come vedemmo ; talchè si richie deva uno sforzo più che umano a rilevarla : poche verità si conservavano intatte da ordirvi la scienza . Quindi, o rimaneva solo a far opera d'eruditi e d'accoz zatori, come gli ecclettici d'allora ; o bisognara trar fuori quel poco di certo, che non dava soggetto a co piose speculazioni. In secondo luogo, allorchè Roma venn'a maturità di pensiero, cadde in servitù che iste rili la letteratura e la scienza. Quindi i sistemi greco latini si riducono il più alla filosofia di Cicerone, e alle LEZIONE DECIMOTTAVA . 373 scuole de' Giureconsulti. I filosofi anteriori a Cicerone seguirono i Greci pressochè interamente ; Lucrezio, per esempio, ripetè quasi le dottrine d'Epicuro ; ma nondi meno egli mostrò la coscienza di romano, allorchè, facendo materiale l'anima, pur contò fra gli elementi co stitutivi di essa un elemento innominato, quasi animo dell'anima : nobilis illa Vis, initum motus ab se que dividit ollis, Sensifer unde oritur primum per viscera motus. » ( De Nat. III, 273.) e quando stabilì negli elementi un moto spontaneo per ispiegare la libertà ; e quando celebrò la divinità della natura con versi stupendi e la santità del matrimonio . Seneca non si partì dagli Stoici , benchè faccia profes sione di non ispregiare nessuna scuola ; Marco Aurelio, com ' Epitetto, ha lasciato aurei precetti, ma senza ordi namento di scienza . Cicerone, al contrario, istituì spe culazioni proprie, che certo ebbero forza nell'universa lità de' Romani culti e nella giurisprudenza. Io dunque parlerò di Cicerone oggi ; de' Giureconsulti in altra Le zione. Fin d'ora io dico , che Cicerone si proponeva di sceverare (con un principio superiore) le parti vere e certe de sistemi greci dalle false od incerte, di comporle in ordine chiaro, d'applicarle alla vita privata e pub blica, e ch'elle conferissero all'eloquenza . Questa filosofia di Cicerone suol chiamarsi ecclettica ; e chi la intenda per metodo compositivo e logicamente ordinato, passi; ma direbbe male chi la pigliasse per una scelta a caso, senz’un principio interiore e ordinatore. Nessuno po trà negare, che ciò distingua le speculazioni di Tullio dall' ecclettismo de' Greci mentovati poco fa, i quali ra gunavano nella memoria, ma non componevano nel pen siero ; e lè distingue pure da’migliori sistemi dell'epoca antecedente, perchè Cicerone li giudica con libertà e li trasceglie. Nè si può mettere in dubbio l'efficacia di lui su'secoli avvenire. I Padri e i Dottori lo studiarono molto ; e sant'Agostino, da uomo grande che riconosce il vero ed il bene onde che venga, scrive nel libro terzo delle Confessioni ( cap . 4) : « Hic liber ( cioè la lettura dell'Or tensio ) mutuvit affectum meum , et ad te ipsum , Domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia . » Pare che Cicerone traesse la schiatta da quel Tullo Azio, che regnò gloriosamente su'Volsci ( Plut. in Cic .); e quegli se lo teneva per certo , sicchè dice ne' libri Tu scolani, che Ferecide era antico, fuit cnim meo regnante gentili ( 1, 12) : indi la smania di comparire tra gli otti mati . Lasciate le scuole de' giovinetti, udì Filone acca demico ; ma insieme praticava Mucio, personaggio assai versato nella politica, e principale tra’senatori, impa rando da lui scienza di leggi ; e militò con Silla tra ' Marsi. ( Plut.) Sentì anche Fedro epicureo e Diodoro stoico. In Atene seguitò Antioco accademico, e non trascurò Ze none l'epicureo. Andò poi in Asia, e si fermò a Rodi , per esser ammaestrato dallo stoico Posidonio. Giovine, favellava con tal passione e con voce si concitata, che gli recava danno alla salute. In Sicilia fu pretore giusto, umano, amatissimo. Dopo la congiura di Catilina, Catone stesso chiamò Cicerone Padre della Patria dinanzi al popolo. Esiliato da Roma per le mene di Clodio, vi rien trò poi come in trionfo ; gli furon trionfo tutte le vie d'Italia , per le quali egli passò. Stette fedele alla re pubblica contro la signoria di Cesare e la tirannia d’An tonio. Questi lo mandò a trucidare, e Cicerone porse il collo alla spada. ( Plut.) Amò la famiglia con tenerezza . Esule, scrive a Terenzia sua e alla figliuola lettere d'amore sconsolato. Com'egl' intendesse la santità dei pubblici ufficj, lo mostra la famosa lettera a Quinto fra tello . Le sue lettere, scritte da lui senz'intenzione di pubblicità , e che formano uno de' più bei libri del mondo, lo mostrano sempre d'animo schietto e buono. Vicino a morire, scrisse a Peto : « Sii persuaso, che giorno e notte non altro cerco, non altro penso , se non che i miei cittadini sien salvi e liberi . Non lascio opportunità d'am monire, di fare, di provvedere. Infine io son fisso qui , che se in tanta cura e amministrazione ho da porre la vita , stimerò di aver finito preclaramente. » ( Ad fam . IX, 24.) Non peccò d'orgoglio, ma di vanità ; si lodava spes so, e questo aizzava gl'invidiosi, e a lui diminuiva ri spetto . Faceto, mordeva non di rado altrui, e, senza vo lere, s'accattava nemici ; ma in lodare i meriti veri abbondava con allegrezza e con liberalità d'uomo sin cero e benevolo. Parve talora incerto ne' propositi, e troppo addolorato nelle sventure. Prese due mogli, ripu diando la prima. Volle dedicare un tempio alla figliuola morta ; lodò e invidiò gli uccisori di Cesare ; lodò prima Cesare troppo, ma non l'opere mai. Dice il Capponi ( Archivio Storico, tomo IX, parte 2) : « Ma chi fosse più di me severo a Tullio, pensi com'egli animosamente cominciasse la sua vita d'oratore e la compiesse glorio samente. Giovane, assalse nella difesa di Roscio d'Ame lia un Crisogono liberto di Silla ch'era affrontare Silla medesimo; vecchio e principe nella città e guida e anima del Senato, combattè Antonio e incontrò la morte. » Oratore, accusò sempre gli scellerati , difese qualche volta i non innocenti . Filosofo, stette per lo più dalla parte del vero ; bensì approvò il suicidio, l'assassinio de' ti ranni, la vendetta, un certo sfogo di carnalità ne' gio vani, e la schiavitù . Scrittore e uomo di stato , cercò troppo la lode, ma insieme la grandezza e il bene della patria . Scrisse d'eloquenza, e fu oratore sommo : scrisse di filosofia morale, e fu uomo dabbene; scrisse di cose civili , e fu gran cittadino . Ecco i fatti principali e virtù e difetti che spiegano la filosofia di Cicerone. È impossibile non vedere in lui tre forti amori, di gloria, di patria e di famiglia ; e' reca in tutto ciò un'ardenza di cuore, la quale ha talvolta del molle , ma la tenerezza è temperata da un senso vivo d'onestà e di decoro . ( V. le Lettere scritte in esilio. ) Udì tutte le scuole, e però raccoglieva il meglio ; ma con iscelta libera e ordinata, perchè uomo libero ed T 11 tro operoso, e ingegno forte. Romano e uomo di stato, se guì , più che non facessero le scuole greche, il precetto so cratico di badare nella scienza al fine del bene; e tal qualità pratica non diminuisce il valore delle dottrine, anzi lo cresce, purchè la scienza si pregi anco per sè, come faceva Cicerone. Badando al bene, odiò la parte ipotetica e vana de sistemi anteriori, e ne prese il poco, ma certo e buono. Però, indulgente ad ogni setta, con gli Epicurei non volle mai pace. Un po' vano, pompeggiò assai nelle parole ; il che gli scema vigore qua e là ; ma nelle lettere e negli scritti filosofici va semplice e spe dito . Uomo universale, senatore e console di Roma, cercò l'universalità negli scritti ; e questi dettero a 'Romani l'idea di tutto il sapere greco. Pieghevole alla opinione altrui per bontà di cuore e per bramosía di favori po polari, combatte nel libro della Divinazione le falsità pa gane, le rispetta in altri luoghi; ammira il suicidio degli Stoici, non se l'attenta per sè, timido, dicon taluni , ri morso da coscienza non confessata, dirò io , e lo credo. Taluno da quelle parole di Cicerone ad Attico : ATÓMp492 sunt ; minore labore fiunt, verba tantum affero, quibus abundo ( Ad Att. , XII, 52) ; ha dedotto ch'esso i libri filosofici traducesse dal greco, non li facesse di suo. Ma quando poi sentiamo che Cicerone stesso , in tempi che gli autori greci erano familiari, e molti a Roma i maestri greci, e in opere dedicate a dotti di greco, quali At tico e Bruto, o a studenti in Grecia, come il figliuolo, dice (De fin . 1, 3) : « Noi non facciamo ufficio d'interpreti, ma sosteniamo le dottrine di coloro che approviamo, e aggiungiamo ad essi il nostro giudizio e un ordine no stro di scrivere ; e che dice altrove ( De off. I, 2) : « Ora seguiremo e in tal soggetto gli Stoici principal mente, non come interpreti (non ut interpretes ); bensì, al solito nostro, berremo a’lor fonti quanto per giudi zio e arbitrio nostro ci parrà : » allora, io affermo, che Cicerone non poteva dire una bugia così sfacciata ed inutile. Narra egregiamente Plutarco : « Eragli studio comporre dialoghi di filosofia e tradurre dal greco » an 10 1 :. bi lice . li 1 tes  377 ( In Cic. ) ; e così un greco antico, più che i moderni non greci, distingueva bene i libri tradotti come il Ti meo) da'propri di Cicerone. L ' opere di lui distingue il Ritter in filosofiche o riposte ed in popolari. A me non sembra ; sì scorgo chiara la distinzione de’dialoghi spe culativi , come i libri accademici , dagli scritti che hanno un fine pratico, ad esempio gli Offici, dell'Amicizia, e simili. Negli Officj chi mai non vede un ordinamento scienziale ? E s'egli rispetta gli dèi più qui che altrove, pensiamo che ciò s'usava da tutti i filosofi, quando essi non ispeculavano direttamente sulla divinità. Mi pare, poi , manifesta la distinzione, e più princi pale : tra i libri fisici ( De natura Deorum , De divina tione ), i logici Academicorum , Topica, De inventione, De oratore etc. ), i morali ( Tusculanorum , De officiis, De finibus, De senectute, De amicitia, De legibus, De republica , De fato); quantunque in ciascuna classe si trovino mescolate più o meno le dottrine, non già di vise assolutamente. L' Ortensio poi è perduto, d'altri libri restano frammenti. Or dunque Cicerone, imitando Socrate, tornò a'prin cipj e al fondamento del sapere. Quegli , come questi, si trovò in mezzo a una confusione di sistemi, e, come So crate, chiamò i suoi al conosci te stesso, affinchè nella coscienza di noi prendiamo il rimedio alle superbie d'ipo tesi vane e il principio della sapienza vera . Quand' io dico che Cicerone imito Socrate, già non lo paragono a lui , nè come filosofo glielo fo uguale, sì discepolo ; dico bensì , che il tornare a'principj è in tutte le cose rinnovamento unico e condizione di nuovo cammino ; e chi rinnova, è istitutore novello e cominciatore d'un'epo ca propria. E se Cicerone non riuscì a tanto come So crate, ne chiarii altrove le cagioni; e a lui non s'ha da imputare. La scienza e la civiltà del Paganesimo ca devano, e sempre più Cicerone le trovò quasi in fondo, nè potè nè sperò ritirarle in cima. Fatto è, che Cicerone, come Socrate, capi la stranezza delle sette pagane. Amò con grand' amore la filosofia, 2  ! la pre 18 MA Tha U. >> TH e ne scriveva lodi magnifiche in ogni suo libro ; anzi l' Ortensio fu composto da lui per esortazione a filoso fare; e nondimeno quand' ei volgevasi attorno, e sentiva le strane opinioni di tante sette, esclamava : « Niente si può dire di tanto assurdo, che non sia stato detto da qualche filosofo. » ( De div . II, 38. ) Ammoniva per ciò a rientrare nella propria coscienza, a ripigliare il conoscimento di noi, a seguire così una filosofia meno sicura de' propri sistemi, non presuntuosa (minime arro gans : De div. II, 1 ) . Ripeteva il precetto che stava sul tempio d'Apollo, nosce te ipsum , e diceva : « Essendo tante e sì grandi cose che si scorgono nell ' uomo inte riore da quelli che voglion conoscere sè stessi , madre loro e educatrice è la sapienza. (De off. I, 23, 24.) Egli invitava a fermar l'occhio in questa evidenza in teriore, dove tante verità si veggono chiare ( quæ inesse in homine perspiciuntur.) In questa coscienza di noi stessi , Cicerone come So crate, più di Socrate forse perchè romano, sentiva l'uni versalità del vero, distinta dalle opinioni particolari, e l'amore che tende al vero, e l'essere nostro sociale e religioso, relazioni universali anch'esse ; e però egli in culcava sempre di fermar l'occhio in ciò ch'è proprio dell'uomo, ossia nella retta ragione (De off. I e II, passim ); e contro gli Epicurei fa valere gli affetti più generosi dell'animo ( ivi, e negli Acc. e ne Tuscul. e quasi per tutto ); e chiama in sostegno il senso comune e le tradizioni umane e divine. Così ne' libri Tuscolani ( I, 12) adopera l'autorità del senso comune a dimostrare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima umana ; e dice ne'Paradossi contro gli Stoici : « Noi più adope riamo quella filosofia che partorisce copia di dire, e dove si dicono cose non molto discordi dal pensar della gente. >> ( Proem .) E nelle seguenti parole del Tuscolani si vede com'ei raccogliesse, di mezzo alle opinioni varie, le tra dizioni universali de filosofi e le divine : « Inoltre, d'ot time autorità intorno a tal sentenza ( cioè l'immortalità dell'anima) possiamo far uso ; il che in tutte le que HIE ale Di D. 4 stioni e dee e suole valere moltissimo (in omnibus cau sis et debet et solet valere plurimum ): e prima, di tutta l'antichità (omni antiquitate ); la quale, quanto più era presso all'origine divina ( ab ortu et divina progenie ), tanto più forse discerneva la verità. » ( Tusc . I, 12. ) E tra filosofi, ch'egli cita, preferisce appunto Ferecide, co me antico, antiquus sane ; e indi ne conferma l'autorità con quella di Pitagora e de' Pitagorici ; il nome de'quali , egli dice, ebbe per tanti secoli tanta virtù che niun al tro paresse dotto (S 16) . E dice più oltre che, secondo Platone, la filosofia fu un dono, ma quanto a sè, una invenzione degli dèi : « Philosophia vero omnium mater artium , quid est aliud, nisi, ut Plato ait, donum , ut ego , inventio deorum ? » ( $ 26. ) Nel che s'accenna il prin cipio divino della sapienza e della tradizione. Condotto da questo filo tra i ravvolgimenti delle sette cansò gli eccessi d'ogni maniera. Gli Stoici , per esempio, la cui morale severità egli approva e segue, dicevano, che nessun uomo è buono fuorchè il sapiente. Ma di questo sapiente ne facevano un'idea sì alta. che confessavano poi, e' non darsi quaggiù ; e però gli Stoici , se consentanei a sè, dovevan dire impossibile umanamente la loro superba virtù e disperarne come Bruto morente. Cicerone al contrario riconosceva una più umile sapienza e virtù , che può essere di tutti, e che ci abbisogna nel vivere comune. ( De amic., 5. ) Lo Stoico credeva , indiando la natura, di poter trarre le superstizioni volgari a senso ragionevole (come tentò Varrone per testimonianza di sant'Agostino, Città di Dio ) ; ma Cicerone le derideva . ( De nat. Deor . III, 15. ) Menava buono a Platone, a' Pe ripatetici e agli Stoici , che la più alta felicità dell'in tellettuale natura sia la contemplazione ( Hort. in S. Agost. De Trinit. XIV, 9) ; ma in questa vita, ei dice, la con templazione senza la pratica delle virtù private e pub bliche è nulla ( De off. I, 43) ; e quindi censura Platone che scrisse : Il savio non essere obbligato a civili negozi . ( De off. I, 9. ) Gli Stoici , per alterezza di ragione, spre giavano il corpo e i beni corporei ; ma Cicerone diceva : 380 PARTE PRIMA . 11 he COL iti be 111 15 :-11 19 Poichè s'ha da seguire la natura e noi siam anima e corpo, non possiamo spregiarlo, nè si dee imitare que'fi losofi , che accorti d'un che superiore a'sensi ne spre giano la testimonianza . Con che l'accoccava pure agli Accademici. ( De fin . IV, 15.) Gli Stoici , negavano l'ef ficacia del dolore sull'uomo sapiente, e svilivano ogni piacere ; Tullio invece mostra che il dolore eccessivo è impedimento agli officj, e che le temperate giocondità son utili e buone. (De sen . 14, De fin . V , 26. ) Gli Stoici, concependo la virtù con altezzosa rigidità , stimavano uguali tutti i malvagi e tutti uguali i peccati, perchè tutti contrarj al bene ; Cicerone confuta in più luoghi tale uguaglianza e mostra, per esempio, ch'altro è man care a posta, altro è nell'impeto di passione. ( De off. I, 8 e altrove.) Se nella morale ei tenne dagli Stoici, rigettate le loro esagerazioni, in logica stette per gli Accademici, giacchè, come dissi altrove, la riforma del filosofare pa gano cominciò sempre da un dubbio temperato. Ma qui è il divario, la temperanza ; perchè, dove gli Accade mici ( a quello che ne sappiamo) negavano ogni verità e certezza nel percepire le cose e ammettevano solo una verosimiglianza, uguale per tutte le opinioni ; M. Tullio invece ne' fondamentali principj e nelle verità più alte non poneva dubbio, e quanto a' casi particolari li sti mava probabili , non ugualmente, sì con varietà di gradi ; e al probabile opponeva quel ch ' è improbabile affatto. Ecco le sue parole : « Vorrei che fosse ben chiaro il no stro pensare ; chè noi non siamo già di quelli il cui animo si crede aggirato sempre in errori , e senz' alcun che da tenere: che sarebbe mai questa mente, o questa vita piuttosto, negata ogni ragione, non solo del dispu tare , ma del vivere altresì ? Noi invece, come dagli altri si dicono certe alcune cose e alcune incerte, così noi, dissenziendo da essi , diciamo probabili alcune e alcune improbabili. ( De off. II, 2. ) Qui si scorge, che il dub bio di Cicerone non cadeva punto sulla ragione umana e sulla vita, o sull' essere proprio, ma sul dommatismo EL LE 11. ki LEZIONE DECIMOTTAVA . 381 fisico e morale degli Stoici . E nel libro delle Leggi dice ( 1, 13) : « Preghiamo poi , che questa Accademia nuova di Arcesilao e di Carneade, perturbatrice di tutto, si cheti; perchè se darà dentro a tali dottrine, che ci sem brano ordinate e composte con assai aggiustatezza, re cherà troppo rovina. Io bensì desidero placarla, ma cacciarla non oso . » La qual conclusione mostra, ch'ei non rigettava in tutto i dubbj accademici, ma dov'essi erano cattivi. E più si discosta dagli Accademici allor chè dice : « Quasi in tutte le cose, ma nelle fisiche più che mai, saprei dire piuttosto quel che non è , che quel che è . » ( De nat. Deor. I, 21.) Nel vivere nostro, e mas sime a quei tempi fra tanto diluvio d'opinioni e senza il lume del Cristianesimo, non monta già poco il sapere quel ch’una cosa non è ; significa sapere che Dio non è come noi, che Dio e l'animo nostro non sono corpi, che il fine dell'uomo non è la voluttà ; negazioni pregne d'af fermazione, implicita si ma certa . E chi vuole stimare quanto merita il ritegno di Cicerone, anc' allora ch ' ei parla di probabilità negli officj particolari (non mai nella legge suprema), pensi l'assurdità del panteismo e del dualismo antichi, le finzioni rozze di quella fisica , l'incertezza della morale, anche in Platone e Aristotile ; e s'accorgerà, che se Socrate meritò lode dicendo, contro Parroganza de' sofisti : io so di non sapere, merita pur lode il nostro Cicerone d'averlo imitato in tanta corru zione di filosofia e di costumi . E quindi ei non ha dubbiezze contro gli Epicurei. Dice a loro : che la voluttà sia il nostro fine, voi non lo direste in Senato ; nè la voluttà va messa tra le virtù com'una meretrice in un'assemblea di matrone. (De fin . II, 4, e passim .) La natura ci ha fatti per qualcosa di meglio che non i piaceri del senso ; il piacere stesso non cato per sè, ma per noi ( De fin . V , 11 ) : il dovere ha da cercarsi per sè stesso ( ivi, II, 22) ; e la dottrina degli Epicurei, se consentanea a sè , non lascia luogo al dorere. ( De off. I, 2. ) Ma questo sceverare il vero dal falso, con che 01 . Jo ( dine interno di principj si faceva ? Già ho detto, che Ci cerone ritornò al conosci te stesso di Socrate, cioè al fondamento della coscienza. E ho accennato , che ivi egli trovava l'uomo non solitario, ma in relazione con Dio, con gli altri uomini e col mondo; però esclama : « In questa magnificenza di cose, in questo cospetto e cono scimento della natura, o dèi immortali, oh quanto co noscerà sè stesso l ' uomo ; il che c'impose Apollo Pizio ! » ( De off. I, 23.) Per via della coscienza, s'accorse Cice rone in modo chiarissimo di tre verità : prima, che l'u0 mo sta sopra l'altre cose ; poi , che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo di lui; infine, che questa ragione ci mostra Dio con le sue leggi . Viene da ciò la definizione della sapienza o della filosofia nel II libro degli Officj (S2) : scienza delle cose divine ed umane e delle cagioni di queste ; definizione più determinata che non l'altra ne' libri Tuscolani ( V. 3) , dov'ei parla storicamente. E s'arguisce però, che Cicerone stringeva la scienza prima, secondo la universalità di essa, nel conoscimento ragionato di Dio e dell'uomo e de’sommi principj. Egli capiva, come nella scienza si désse un ordinamento necessario; e diceva : « È malagevole sapere alcun che in filosofia, chi non ne sappia o il più o il tutto . » ( Tusc. II, 1. ) Cicerone, come Socrate, ebbe una profonda coscienza della ragione. Bisogna riflettere a noi stessi ; in noi tro viamo la ragione, che ci distingue da' bruti e dalle al tre cose ; nella ragione troviamo i giudizj spontanei, na turali, evidenti, universali ; questi fa d'uopo seguire ; ecco il principio ordinatore della scienza e della virtù . « Il tempo, scrive Cicerone, cancella i capricci delle 110 stre opinioni, ma conferma i giudizj della natura. » (Opi nionum enim commenta delet dies, naturæ judicia con firmat ; De nat. Deor .) Ma questi giudizi erano avvi luppati in una moltitudine di sistemi; però, quanto alla teorica dell'essere, Cicerone sta contento a poco . Chi potrebbe mai condannarlo d'insipienza ? Egli non si dà pensiero nella fisica nè de quattro elementi, nè del ch 1 7 quinto d'Aristotile, nè della materia o della forma; le sue indagini hanno per fine la esistenza e natura della divinità, le relazioni di questa col mondo e l'immorta lità dell'anima umana . ( Ritter .) Quanto alla divinità , egli non ne dubitava punto, perchè sentiva nella ragione propria un che divino, la eterna legge della giustizia (De leg. II, 7 ) ; ma intorno alla natura di Dio non af fermò gran cosa. Del metodo di lui , su tali materie, porg' esempio il libro De natura Deorum . Ivi disputano insieme un epicureo, uno stoico e un accademico. L'ac cademico nega il dio animale degli Stoici, e termina di cendo : « Questo io diceva, non perchè voglia negare la natura divina, ma per mostrare quant'ella sia oscura e piena d'intrigate difficoltà . » Lo stoico poi combatte l ' epicureo . Cicerone, che si tiene da parte e non entra nel dialogo, che cosa conclude ? E' dice : la disputazione di Cotta ( Accademico) sembrò a Velleio ( Epicureo) più vera ; a me l'altra di Balbo ( Stoico), più verosimile. Ci cerone, adunque, mostra con singolare finezza quanto i dubbj dell'Accademia piacessero agli Epicurei; e però com’egli, che s'allontana da questi, s'allontani pure da quella ragionando di Dio. Pur tuttavia non sa nulla giu dicare assolutamente sulla natura di Dio stesso e solo ammette verosimiglianze. Insomma, le dottrine certe di lui le abbiamo ne' libri morali, dove si afferma l'esistenza della divinità (fonte ll'ogni giustizia e d'ogni diritto ) , la legge morale e il libero arbitrio, e dove perciò s'approva il detto di Cri sippo, ch'ogni proposizione è vera o falsa necessariamente ( De fato) ; le opinioni verosimili si hanno ne' libri fisici, dove apparisce dubbj sulla natura di Dio e dell'ani ma, e sulle relazioni di Dio con l'universo, e quindi sulla prova fisica della divinità provvidente ; ne' libri logici, finalmente, su ' principj della ragione e sull'evi denza interiore non v'ha dubbio di sorta , beusì v'ha dubbio sul criterio per giudicare la natura delle cose esteriori percepite da ' sensi. Anche il Kant pose superio re la certezza dell'argomento morale ad ogni altra cer 384 PARTE PRIMA. tezza ; ma il Kant celebrò quell'argomento dopo aver negata la validità della ragione; Cicerone, al contrario, non la negò mai, anzi la magnifico, e solo crede ristretta di molto la possibilità de' giudizj accertati. Dunque Ci cerone, quant'alle dottrine supreme, e ch'egli poteva conoscere fra l'ombre del Paganesimo sempre più fitte, ammette la verità e la certezza ; ma nel determinare più specificamente quelle verità pone la verisimiglian za. In ciò solo fu accademico ; e non pienamente nem men qui, come avvertii già innanzi. Pare ch'egli cadesse nel dualismo, opponendo la ne cessità della materia alla libertà divina ; e che cadesse nel semipanteismo, facendo divina la nostra ragione. Il qual ultimo punto si raccoglie da più luoghi; ma più da queste parole : « Le altre parti, onde si compone l'uomo, fragili e caduche, le prese da generazione mor tale ; ma l'animo è generato da Dio » ( De off. I, 8) , e ammonisce di rammentare nel giuramento, che chiamiamo in testimone Dio, « cioè, com'io penso (dice Cicerone) la mente propria, di cui non détte Dio all ' uomo nulla di più divino. » Se non che, si vede la temperanza dell'af fermare in quello ut opinor ; tant'era l' ecclissamento delle principali verità sul finire del Paganesimo ! Quant'alla teorica del conoscimento, egli distingueva l'intelletto dal senso ; lo distingueva tanto, che come Platone e Aristotile, trovando un'immagine di Dio nella mente nostra, la identificava con esso . Anzi nel testimo nio de' sensi non poneva più autorità ch ' una verisimi glianza, il che procedeva dal dualismo, secondo il quale Dio e la mente son divisi dal resto . E per la logica si valse d'Aristotile, come si ha dal libretto de' Topici. È stupenda la teorica dell'operare ; perchè ivi recò Cicerone più che altrove le verità universali raccolte dal testimonio della coscienza ; e vi recò quel suo modo di escludere l'esagerazioni e di comporre le spat se verità con un principio più alto. Qual principio ? Il rispetto della ragione, che, in quanto conosce la ve rità , è retta ed è regola delle nostre operazioni. Bisogna LEZIONE DECIMOTTAVA. 385 seguire, ei dice con gli Stoici , la natura, non l ' arbitrio delle passioni; ma la natura nostra è ragionevole ; dun que ogni atto nostro dee farsi con ragione e sottomet terle l' appetito. ( De off. I, 28, 29. ) E questa ragione ha potestà di comandare, perchè sta in essa una legge naturale ed eterna del bene . « La legge (così Cicerone) è la ragione somma, insita nella natura, e che comanda ciò ch'è da fare, proibisce il contrario . (De leg. I, 6. ) Questa legge è nata da tutti i secoli , primache fosse scritta legge alcuna, o che qualche città fosse istitui ta . » ( 1, 6. ) Questa legge viene da Dio, perch' ell ' è di vina ; e chi non ammette Dio, non può ammettere la legge eterna e naturale. ( 1, 7.) La legge è la ragione divina partecipata a noi ; e poich' è comune la retta ragione, e la comunanza di questa è società, però noi siamo primamente consociati con Dio. E poich' ell' è comune a tutti gli uomini , noi in secondo luogo formiamo la società del genere umano « e tutti obbediamo a que st' ordine celeste, e alla mente divina, e a Dio sovrap potente » ( parent huic celesti descriptioni, mentique divinæ et præpotenti Deo. I, 7) . Avendo questa legge divina nell'anima « tutti gli uomini (soli essi fra gli altri animali) han qualche notizia di Dio, nè v'ha gente sì fiera che, ignorando qual Dio adorare, pur non sappia che ve n'è uno . ( I, 8. ) Noi dunque siam nati alla giu stizia ; e il gius non è costituito per opinione, ma per natura. » Sì, per natura, giacchè siam tutti simili per la ragione, e ciascun di noi si definisce com’uomo, e la mente di ciascuno « è diversa in dottrina, ma nella facoltà del sapere è uguale . » ( I, 10. ) Dalla legge si genera il dovere, che va quindi cer cato per sè stesso, come sudditi alla retta ragione, ne vi può essere alcuna virtù se non si cerchi per sè, ma per la voluttà o per l'utilità. (De off. III, 33. ) Come la ragione guida ogni atto umano, così la retta ragione reca in ogni atto un officio. Talchè, dice il grand’uomo, « nè in cose pubbliche, nè in private, nè in forensi , nè in domestiche, nè se tu operi teco stesso alcun che, nè Storia della Filosofia . 25 se pattuisci con altrui ; non v ' ha momento di vita che possa mancare di qualch 'officio ; e nell'adempirlo è tutta l'onestà, nel trascurarlo la turpitudine. » ( De off. 1, 2.) Nell'adempire gli officj stanno le virtù, cioè la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La virtù , se guendo la retta ragione che ci fa conoscere l'ordinamento naturale delle cose, non è altro che l'osservanza dell'or dine stesso ( De off. I, 4) ; sicchè « nella universale so cietà son varj i gradi degli officj ; onde si può sapere ciò che si conviene a ciascuno ; e quello che si dee prima agli dèi immortali, poi alla patria, poi a' congiunti, infine di grado in grado agli altri. » ( De off. I, 45. ) Ma tant'è vero, che tutto ciò si vuol fare per l'autorità della legge eterna in sè, e per la bellezza del dovere, che certe cose turpi non le giustifica nemmeno l'amore di patria . ( De off. I, 45. ) Egli distingueva poi l'utile apparente dalla virtù : ma l'utile vero, diceva star sempre insieme con l'onestà ; e quand' apparisce che vi sia contrasto, è turpe eziandio di star a pensare sulla scelta . (De off. II, 4 ; 111, 7 e passim .) L'utilità è l'effet to, non il fine della virtù . ( De amicitia, 9.) E dalla virtù nasce l'onestà (che in latino ha senso d'onorabilità ), anche se niuno la conoscesse : « etiam si a nullo lauda retur, natura esset laudabile. » (De off. I, 4.) Giacchè la virtù reca con sè il decoro, ch'è come la bellezza : « l'uno viene dall' animo onesto, l'altra dalla sanità del corpo ( De off. I, 27) ; e come il decoro de' poeti è la convenienza delle parole col significato, così il decoro della onestà è la convenienza con la natura . » ( Ib . 28. ) Però, come i Greci dicevano o" te uovoy (yóv to 2026 , il solo buono è bello, così Cicerone ( come romano) muta il bello nel concetto d'onorabile, e dice : quod honestum sit, id solum bonum esse : onorabile è solamente ciò ch ' è buono. ( Paradox. I, Osservazione del Ritter. ) Dalla legge eterna, che genera il dovere e la virtù . nascono le leggi positive ; talchè l'esistenza di Dio è il proemio di tutte le leggi ( habes legis proemium , De leg. 11, 4-7 ) . « È stoltissima cosa (segue Cicerone contro gli Epicurei) che credasi giusto tutto ciò ch'è negl'istituti e nelle leggi de' popoli. E che ? dunque, anco le leggi de'tiranni ? ... Ma v'ha un unico gius, da cui è unita la società degli uomini, e cui stabilì un'unica legge ch'è la retta ragione di comandare e di proibire : e chi la ignora, è ingiusto, o ch'ella sia scritta o no. Che se la giustizia è solo l'obbedienza a leggi scritte e agl'istituti de' popoli; e se, come dicono coloro, tutto è da misurare con la utilità , trascurerà le leggi e le infrangerà se può chi lo creda fruttuoso. Così non v'ha più giustizia se non v'ha legge naturale, e ciò che per utilità è stabilito , da un'altra utilità vien tolto via. Anzi, se da natura non si conferma il giure, cessano tutte le virtù. » (De leg. I, 15. ) La legge naturale ha da regolare il diritto pub blico , quello delle genti e il privato ; e il filosofo nostro dà precetti santi sulle pene, sulla guerra , sui trattati . sui contratti e va' discorrendo. Così, dovrebb' essergli più mite il giudizio degli stranieri, a legger ciò ch'ei dice della Repubblica romana : dopo averne narrato l'umanità ne’secoli primi , aggiunge che questa diminuì a poco a poco, e dopo le vittorie Sillane cessò ; e quindi esclama : jure igitur plectimur « a ragione dunque siamo puniti. » De off. II, 8. ) E quella pena noi abbiamo scontata per se coli . De' pubblici reggimenti loda il misto, per gli stessi argomenti d'Aristotile e con l'esempio di Roma. (De rep. ) Che fece adunque la filosofia di Cicerone ? Essa gli donò (com’ei ripete più volte) copia e splendore e, col crescere degli anni, efficace brevità d'eloquenza ; gli dettò que' Dialoghi di metafisica, dov'hai il fiore de sistemi greci , eletti e temperati; que' libri rettorici , che sono un codice dell'arte per comune giudizio ; e que' libri morali degli Officj, delle Leggi e della Repubblica, dove al me todo sperimentale dello Stagirita è unita la contempla zione platonica e la severità stoica, senza i loro eccessi . Però, quand' io sento uno storico illustre' scusarsi del l'aver troppo parlato di Cicerone perchè in lui non v'ha troppo di nuovo, prego Dio che la scienza ritorni alla natura, e, più che dell'insolito, sia desiderosa del vero . GIURECONSULTI ROMANI. La giurisprudenza è scienza filosofica , perché riguarda gli alti umani o personali. - La giurisprudenza positiva non altro fa se non appli care il diritto naturale . Si cerca , quindi, lo svolgimento della giurispru denza romana e quanto alle forme logiche , e quanto alla materia. - Quattro età del gius romano . Prima età : consuetudini . È difficile deter minare qual parte avesse la civiltà , e quindi la scienza , in que'primi germi del diritto ; ma vestigi di sapienza ve n'ba . Che cosa abbia di vero e di falso la tradizione sulle dodici tavole . La materia di esse certo è romana ; probabilmente la forma logica loro è di Ermodoro Efesio . Seconda età : si pubblica il segreto delle azioni . – La giurisprudenza , perciò, viene alla gioventù dalla puerizia ; ma crebbe in modo segnalato allorché , sul cadere del sesto secolo di Roma, si propagò ivi la filosofia greca . — Il settimo se colo è quello di Cicerone : si prova con l'autorità di lui, che allora si lero a grande stato la giurisprudenza per lo studio della filosofia . — Allora si concepi l'idea d'un codice ; idea che vuol abito filosofico delle universali tå. Terza età : la signoria de ' Romani , dilatandosi a tutta Italia , fa pos sibili le scienze. - Cittadinanza romana a tutti gl ' Italiani ; gius italico che då il dominio quiritario , e il diritto de ' comizj anche per deputati ec .; co lonie romane per tutta Italia ; si determina bene il concetto del paese ita lico . – Gius equo e buono . Altra cagione della fiorente giurisprudenza ; giureconsulti , per lo più , non sono causidici. - Un'altra ; l'emulazione in filosofia e in lettere con gli oratori . Cenno su'principali giureconsul ti ; loro virtù . - Com'apparisca dagli autori , ch ' essi citado ne' frammenti, lo studio loro ne ' poeti , negli oratori e ne ' filosofi. Si paragona que ' giure consulti a'matematici per tre ragioni ; vigore delle conseguenze , cura nel l'evitare contraddizioni , metodo induttivo e deduttivo. – L'efficacia della filosofia non si ristrinse alla forma logica, passò alla materia . – Tale influs so non apparisce solo da prove particolari, ma più ancora dalla universale conformità di quelle dottrine alle leggi del pensiero e ( salvo qualch'errore di tempi ) alla natura umana. Nozioni della giurisprudenza, e perchè i giureconsulti la definissero come la filosofia morale . – Distinguevano la scienza del diritto dall'arte . – Però s'elevarono al concetto della filosofia vera , rigettando gli eccessi : la speculazione de ' giureconsulti è contenuta nel vero da' dettami di senso comune e dal fine pratico. – Distinzione del diritto in jus naturale , gentium et civile : si mostra ch'a torto i giureconsulti vennero ripresi sul concetto de ' diritti naturali . Non accettabile, quanto alla servitù , la nozione del gius civile ; ma i giureconsulti dissero la servitù non secondo il gius naturale , e riconobbero un fatto. Come la parola Jus non esclude l'idea d'un diritto eterno ; e si distingue da legge ; poi , si ha ne ' giureconsulti l'idea precisa del diritto eterno e del diritto natura le . - L'efficacia della filosofia si mostrò nella giurisprudenza per via del diritto onorario. E per via del diritto ricevuto . – E per l'interpreta zione de ' giureconsulti . — Molte novilà introdotte dal gius ricevuto . La virtù e la vera filosofia de'giureconsulti si fa sentire per fino nel loro stile . – Si reca un saggio della loro sapienza e brevità elegante. — Dalla esposizione delle dottrine di Tullio e de' giureconsulti romani apparisce che l'epoca quarta cercò la comprensione finale . Parlato di Cicerone, è da parlare de' Giureconsulti romani. La giurisprudenza, come dissi già nella prima LEZIONE DECIMANONA. 389 Lezione, è una scienza filosofica : perchè risguarda gli atti umani o personali. Procede dalla morale, che ab braccia la scienza de' doveri e quella de' diritti naturali ; e la giurisprudenza positiva non altro fa che determi nare nella varietà de' casi particolari le immutabili ge neralità del diritto eterno. Però, se la filosofia entra in tutte le scienze com'ordinamento di concetti e di giu dizj, entra poi nella giurisprudenza, non solo com'or dine logicale, ma eziandio come scienza dell'uomo e delle ragioni supreme. Avrò dunque a cercare lo svol gimento della giurisprudenza romana, per l'impulso della filosofia, nel doppio aspetto delle forme logiche e della materia. La storia di quella fu distinta bene dall' Hugo in quattro età ( Hist. du Droit Rom ., Intr .); la prima dall'origine di Roma fino alle dodici tavole, cioè fino al terzo secolo della città ; l'altra fino a Cicerone, o alla metà del settimo secolo ; la terza fino ad Alessandro Se vero, oltre i due secoli dell'èra volgare ; la quarta fino a Giustiniano : età di fanciullezza, di gioventù , di virilità e di vecchiaia. Il giureconsulto Pomponio c'insegna ( Fr. 2. D. De Or. Juris) che Roma ne' primi tempi si reggeva senza leggi nè diritti stabiliti; cioè per consuetudini. La con suetudine formò , dice il Forti ( Ist. Civili, 1, 3, $ 3 ), il diritto privato con l'autorità degli esempi , cioè de' fatti ripetuti , e formò con gli accordi de'potenti il diritto pubblico. Così il potere assoluto de padri , de' mariti e de' padroni è da' giureconsulti risguardato sempre per consuetudinario, ed anche l'uso delle clientele ( ivi, $ 4) . Quanta parte avesse la civiltà , e con la civiltà la scien za, in que'primi rudimenti del diritto romano è difficile a definire in antichità si remota e perduti dalle guerre i documenti etruschi. Della Magna Grecia restano scrit ture, perchè le serbò con la lingua loro la stirpe greca ; ma de ' Latini prischi e dell'Etruria non abbiamo più se non epigrafi tuttora ignote, perchè ogni lingua e schiatta si confusero nell'unità romana. Certo è , tuttavia, che 390 PARTE PRIMA. almeno gli Etruschi erano molto civili ; e sembra non si possa dubitare che il sangue loro si mescolasse nel popolo di Roma; benchè l'Hugo lo neghi. Ma Lucio Floro. parlando della guerra sociale, dice chiaro : « Quantunque la chiamiamo guerra sociale a diminuirne l'odiosità . pure, se stiamo al vero, quella fu guerra civile ; giacche il popolo romano, avendo mescolato insieme gli Etru schi, i Latini e i Sabini, e traendo da tutti un sangue solo (unum ex omnibus sanguinem ducat), è di più mem bri un corpo e di tutti è una unità. » ( Rer. Rom . III, 18. ) Il Lerminier ( Phil. du Droit, III, 1 ) riscontra con molto acume in Virgilio la prima origine de' tre po poli, in Virgilio studiosissimo delle memorie antiche ; dov'egli, lodando l'agricoltura, dice : « Questa vita ten nero i vecchi Sabini, questa Remo e il fratello ; così crebbe la forte Etruria. In tal modo si fece la bellis sima di tutti gl'imperi Roma ; e una, si circondò d'un muro i sette colli . » (Georg. 11, 532.) Fatto è che a taluno par vedere i tre popoli nelle tre tribù del primo popolo romano, rammentate da Livio, i Rannesi o Latini, i Tarsi o Sabini, i Luceri o Etruschi. ( Warnkoenig, Hist. du Droit Rom .) Il Monsen ( St. Romana ), recentemente ha negato tal mescolanza, ma non ha detto le prove. Pro babile, a ogni modo, che quel nuovo Comune di Roma. sorto fra ’Comuni vicini , si mescolasse pure di genti vi cine. O si conceda dunque col Niebuhr la preminenza agli Etruschi, o concedasi a' Latini con l’Hugo, un in dirizzo nelle cose romane lo dettero i primi ; e ciò spie ga, come in tanta rozzezza di popolo guerriero e racco gliticcio si possedesse un gius pontificio, e formule sacerdotali e simboli segreti. Questo io diceva per mo strare che le prime consuetudini ed istituzioni ebbero qualche ragione di civiltà , e riuscirono buon fonda mento alla giurisprudenza perfetta. Però, fin dalla prima età, si scorge in Roma la mirabile distinzione da’magi strati (magistratus populi romani) che stabilivano il di ritto, da' giudici ( judex, arbiter ) che giudicavano del fatto ( Hugo, 1, § 146) ; distinzione che a poco a poco détte occasione al gius onorario, di cui parlerò in breve . È noto che il reggimento di Roma sott'i re e più ne' principj della repubblica era degli ottimati, cioè aristocratico. Indi la opposizione civile della plebe co’pa trizi per avere un gius equo ; opposizione che, divenuta incivile o violenta nel settimo secolo, rovinò la repub blica, come la prima ne formò la grandezza. Il popolo dimandò leggi scritte per contenere l'arbitrio de' patrizi , e si promulgò la legge delle dodici tavole. Narra il giu reconsulto Pomponio, che queste si raccolsero in Grecia, interprete d' esse l'efesio Ermodoro. ( Fr. 4, D. De Orig. Juris.) Certamente Plinio il vecchio (Hist. Nat.) ram mentò come serbata fino a lui la statua fatta per de creto ad Ermodoro ; talchè la tradizione non pare fa volosa in tutto : ma è certo altresì che nelle dodici tavole ( per quanto ne conosciamo) non si ha traccia del diritto greco : l'essenziale, giudizj, patria potestà e connu bio, eredità e tutele, dominio e possesso, diritto pubblico e diritto sacro, son cosa tutta romana, come diceva già il Vico, e ormai ripetono i più dotti stranieri . (Warn koenig, $ 10, 11.) Ma io credo abbisognasse l'opera di quel Greco erudito per meditare le vecchie consuetudini, e ridurle a concetti determinati ed a’lor capi principali, ufficio di riflessione addestrata ; nè ciò avrebber saputo i Romani, dati all'armi , anzichè agli studj. Ecco il per chè quella primitiva sapienza, logicamente specificata e distinta da Ermodoro, traeva in ammirazione Tullio. Egli scriveva ne' libri De Oratore : « Se ne adirino pur tutti , io dirò quel che sento : a me, il solo libricciuolo delle dodici tavole, par superi ( se tu guardi a' fonti e a'capi delle leggi) le biblioteche de' filosofi tutti nel peso del l'autorità e nella copia dell'utilità . Quanto prevalessero in prudenza i nostri maggiori a ogni altra gente, inten derà facile chi le nostre leggi paragoni a quelle di Li curgo, di Dracone e di Solone. È incredibile, di fatto, quant' ogni altro diritto civile, salvo il nostro , sia in colto e quasi ridicolo . » ( De Or. I, 44. ) Le quali parole attestano tre cose ; l'antichissima civiltà di quelle genti che formarono Roma, e che vi recarono le proprie tra dizioni, benchè si dessero poi a vita guerriera ed agre ste ; la falsità che il gius civile romano procedesse ài Grecia ne' suoi particolari; e come la perfezione della giurisprudenza si svolgesse da principj non rozzi ne poco pensati. I Romani dettero la sostanza, i Greci pro babilmente la forma, cioè ordinamento di codice. Dalle dodici tavole nacque la necessità d'interpretarle per di sputare in giudizio, e di avere azioni utili a domandare la loro applicazione. Di qui, come dice Pomponio ( loc. cit. 4, 5, 6) , vennero il diritto civile non scritto o l'au torità dei prudenti, e le azioni delle leggi ( legis actio nes); ma tutto ciò era un segreto de' pontefici. Pubblicato il segreto nella seconda età, la libera giu risprudenza passò dallo stato infantile alla gioventù. Ma quando mai, o signori , accadde tal cosa in modo più segnalato ? Voi sapete che sul cadere del sesto se colo di Roma si propagò là il filosofare greco, e che il secolo posteriore è appunto il secolo di Cicerone. Or bene, la giurisprudenza, cresciuta lentamente nel se colo sesto, crebbe nel settimo rapidamente ; e allora proprio noi riscontriamo i giureconsulti studiosi della filosofia e quant'alle leggi del pensiero e quanto alla natura degli atti umani in sè e nell' esteriori atti nenze . Scriveva Cicerone la Topica, o logica inventrice degli argomenti a preghiera di Trebazio, come si ha dal proemio di quel libro, ov'è scritto : « Non potrei, adunque, con te , che me ne pregavi spesso , benchè timoroso di noiarmi (come scorgevo facile), stare in debito più a lungo, senza parer d'offendere lo stesso interprete del diritto.... Sicchè queste cose, non avendo libri con me, scrissi a memoria nella mia navigazione, e dopo il viag gio ti ho mandate. » Il qual libro è notevole molto, perchè ogni precetto è confortato da esempi di giuri sprudenza. E di Servio Sulpicio ( primo in autorità tra' giureconsulti di que' tempi e solo studiato da' giure consulti posteriori ) , ecco che scrive Cicerone, amico di lui : « Si stima, o Bruto, che grand'uso del gius civile s'avesse da Scevola e da molt' altri , ma l'arte da que st' unico ( cioè da Sulpizio) ; al che non sarebbe giunta in lui la scienza del giure, s'e' non avesse imparato quell'arte che insegna spartire le materie composte, esplicare con le definizioni l'ascose, chiarire con le in terpretazioni l'oscure ; e così a veder prima ben chiaro le cose ambigue, poi a distinguerle, e ad avere in fine la regola per separare il vero dal falso, le conseguenze diritte dalle contrarie. Questi adunque recò tal arte (mas sima di tutte l'arti ) , quasi luce in tutto ciò che dagli altri si rispondeva o si faceva confusamente. ( De CI. Orat. 41. ) Con le quali parole mostrò Cicerone la forma di scienza che si prese dal Diritto in virtù della logica . E la forma scientifica, ch'è abito di riflessione interiore, levò le menti alle generalità, senza cui, come non istà scienza nessuna, così nemmeno la scienza del diritto. E il segnale n'è questo ; che al termine dell'età seconda , cioè sul fiorire della filosofia e delle lettere a Roma, Cesare e Pompeo ebber disegno d'un codice ; disegno, che mostra l ' uso e la stima degli universali astratti da ogni caso particolare, ordinati poi secondo generi e spe cie ; giacchè un codice val quanto in istoria naturale un ordinamento per classi . Pare che Servio Sulpicio ef fettuasse un alcun che di somigliante a impulso di Ci cerone, il quale alla sua volta ne' libri delle leggi ( 111 ) mostrò un saggio di codice pel diritto pubblico, e al trettanto promise pel diritto privato . Nè qui entrerò in disputa fra due scuole alemanne, l'una che col Savigny sostiene il danno de' codici, l'altra che ne difende l'uti lità ; dirò a ogni modo ( nè si contrasta ) che un codice non si fa senz'abito di speculazioni filosofiche ; però l'averlo pensato in Roma e tentato a quel tempo, chia risce la efficacia loro nella giurisprudenza. Essa pervenne a compimento nella terza età, cioè ne' primi due secoli e mezzo dell'impero . Il dilatarsi del dominio romano a tutta Italia preparò il campo alle lettere ed alla filosofia ; perchè i Romani, sentendosi non più solo Romani, ma Italiani e uomini, la loro coscienza si chiarì e s'arricchì, e l'intelletto loro medito le verità universali. Di questo fatto non v' ha dubbio di sorta . Dopo la guerra sociale, per le leggi Plauzia e Giulia de civitate sociorum ( anno 664 e 65 di Ro ma) , fu data , come notò l'Haubold ( Tav . cronol. per servire alla St. del Dir .), a tutte le città italiche citta dinanza romana, eccetto i Lucani e i Sanniti ; e nel l'anno 705 conseguirono la cittadinanza i Galli oltrepò, conseguíta prima da'Galli cispadani ; la ottenne tutta perciò la Gallia cisalpina . ( Framm . L. de Gallia Cisal pina .) In tal modo, come scrive il Savigny, dopo la guerra italica i cittadini d'Italia divennero parte del popolo sovrano. ( St. del Dir. rom : I, 2.) E il gius italico dava dominio quiritario, o dominio solennemente e pie namente assicurato, immunità da tutte l'imposte dirette, libero governo municipale delle città italiane (ivi ), diritto d'intervenire a'comizj o di mandarvi deputati ; talchè l'Italia , a ' tempi romani, con l'unità politica suprema serbò le unità politiche secondarie, che si chiamavano soci o confederati. E questo accadde perchè i Romani aveano già fatto l'unità naturale della nazione col mescolamento de' sangui, spargendo ovunque le colonie (com'osserva il Forti ) , nè per sei secoli ne mandaron mai fuori d'Ita lia . ( Ist. Civ . 1, 3, § 25. ) L'Italia, dice l’Hugo, non si considerò mai una provincia ; chè le provincie furono soggette a magistrati non propri, non compagne ma suddite. ( Hist. du Dr. Rom. , § 164.) I Romani, allora. si levarono con la mente all'unità naturale del territo rio, come vediamo ne' Digesti . Al Fr. 99, $ 1 de Verborum significatione è scritto : « Dobbiam credere provincie continue le unite all'Italia, come la Gallia ( cisalpina ) ; ma e la provincia di Sicilia più si ha da tenere per continua, essendo separata d'Italia da piccolo stretto : Continentes provincias accipere debemus eas, quæ Ita liæ junctæ sunt, ut puta Galliam : sed et provinciam Siciliam magis inter continentes accipere eas oportet, quæ modico freto Italia dividitur » ( Ulpiano). E al Fr. 9 , D. de Judiciis et ubi etc. , si dice : « Le isole d'Italia son parte d'Italia e di ciascuna provincia : Insulæ Italiæ pars Italiæ sunt et cuiusque provincie . » A questo concetto sì pieno vennero i Romani tra gli ultimi tempi della re pubblica e i primi dell'impero, cioè tra la prima e la seconda età. Ecco il perchè la giurisprudenza romana, con l'aiuto della filosofia, potè sorgere a tant'altezza . Si aggiunga poi, che le sevizie de' Cesari cadevano in Roma su'patrizi più sospetti , ma quel reggimento tem peravano istituti repubblicani e ordini civili equi ; se no, come dice il Romagnosi, non si capirebbe il perchè in un governo da turchi uscissero mai tanto insigni se natusconsulti e le belle costituzioni de' principi; e come Alessandro Severo avesse un consiglio di XVI sapienti, tra cui i più chiari giureconsulti, Fabio cioè, Sabino, Ulpiano, Paolo, Pomponio, Modestino e altri . ( Ind. e Fattori dell'incivilimento. P. 2, C. 1 , § 1-5 . ) E tanto è vero , che la notizia del Gius equo e buono splendesse viva nelle menti romane, che lo strapazzo delle provin cie ( finita la guerra civile) non era punto legale, anzi contr' alle leggi ; perchè, secondo le costituzioni come dice il Warnkoenig ), le provincie stavano bene, le impo ste erano lievi , lo Stato pacifico, molto dell'amministra zione in mano di quelle ( il che scusa in parte il popolo romano); ma infierivano i governatori. Popolo e Senato li minacciavano con le leggi repetundarum , tornate vane per corruzione de'giudizj. (Hist. du Dr. Rom. , $ 16.) Tali cagioni principalmente formarono la sapienza de' giureconsulti romani. Inoltre, essi per lo più non eran causidici, ma scioglievano questioni di diritto in generale; e ciò indica sempre più e la natura scientifica del ministero loro, e perchè la scienza, libera da inte ressi particolari, progredisse continuamente. ( Cic . , De CI. Orat.). Poi, l'emulazione degli oratori che piegavano il gius alla varietà de’lor fini, co' giureconsulti che ne volevano serbare la severità, incitò questi a gareggiare in isplendore di lettere e di filosofia, e ad interpretare il diritto co' placiti del senso comune. Così da una disputa tra l'oratore Crasso (contemporaneo al padre di Cicerone) e Muzio Scevola giureconsulto sull'interpre tare i testamenti o a rigore di parola, o secondo la probabile volontà del testatore, nacque la giurisprudenza in quest'ultimo senso , ripresa dal Forti, ma (e forse meglio ) approvata dal Cuiacio. Infine, l'esercitarsi tale ufficio da’giureconsulti senz'ombra di lucro, la illustre loro condizione e l'affetto all'antiche leggi e consuetu dini di Roma, indica il perchè tennero essi per lo più l'austerità della morale stoica, che ci chiarisce alla sua volta il decoro, l’equità e sottilità della loro scienza ; e tutto insieme poi spiega la nobiltà di vita de' più tra loro, e n'è spiegato. Le poche notizie che n’abbiamo ce li fanno apparire la più parte uomini onorandi. Nominerò dapprima Quin to Muzio Scevola assassinato a’tempi di Mario . Dice Pomponio che Muzio costituì primo il decreto civile , disponendolo per capi di materie ( generatim ) in diciotto libri . Servio Sulpizio ridusse il diritto a stato di scienza ; fu prima oratore grande, poi giureconsulto per un rim provero che gli fece Muzio Scevola d'ignorare le leggi del proprio paese, egli oratore e patrizio ; sostenne la repubblica ; avversò i Triumviri ; la repubblica gli alzò una statua. Abbiamo di que' tempi Alfeno Varo e Ofelio disce poli di Servio, e Trebazio (a cui la Logica di Cicerone) e un altro Muzio Scevola e Cascellio . Muzio non accettava da Ottaviano il consolato ; Cascellio non volle mai comporre una formola secondo le leggi de' Triumviri ; e a chi lo consi gliava si temperasse rispondeva : son vecchio e senza figliuoli. Labeone, il cui padre era morto a Filippi, ri fiutò il consolato da Ottaviano anch'egli, e serbò spiriti antichi. Dice Pomponio : « Egli si détte moltissimo agli studj, e divise l'anno in modo che stava sei mesi a Ro ma co' discepoli (cum studiosis), e sei mesi lontano per iscrivere libri. Così lasciò quaranta volumi, che i più s'usano ancora. Ateio Capitone ( segue Pomponio) per severava nell'antico ; ma Labeone, che molto aveva me ditato nell'altre parti della sapienza ( qui et in cæteris sapientiæ operam dederat), per valore d'ingegno e per fidanza di dottrina cominciò a innovare molto. » ( Fr. 39-47, D. De Or. Jur. ) I cinque giureconsulti più cele bri e più recenti ( lasciando gli altri) sono Emilio Papi niano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino . Papiniano, fami liare di Settimio Severo e principale nel governo, stette per Geta contro Caracalla ; e volendo costui una difesa legale del fratricidio , Papiniano la negò e venne ucciso. Scriveva : « i fatti che ledono la pietà, il buon nome e il pudore nostro, e che, a dirlo in genere, son contro al costume, si dee tenere che noi uomini dabbene non possiamo farli. » ( Fr. 15, D. De servis exportandis etc.) Gli altri quattro illustravano, come dissi , il consiglio di Alessandro Severo . I giureconsulti, massime della terza età, levarono (com' avvertii) a stato di scienza le loro discipline ; e ciò nacque dalla molta erudizione loro, non solo in filoso fia, ma eziandio in lettere ; e se n'ha prova ne' lor libri per le citazioni da' Greci ; com'a dire Omero, Ippocrate, Platone, Demostene e Crisippo. E il primo effetto fu , come notai de' tempi di Cicerone, che la giurisprudenza prese forma logica tanto sicura e stringente, ch'è una meraviglia. Si sa da molti e ab antico (dice l' Hugo) la filosofia de' giureconsulti, ma si sa da pochi, che nes suno più di quelli sta in confronto de’matematici per tre ragioni ; cioè per vigore di conseguenze da prin cipj fissi, per diligenza nell'evitare contraddizioni, che Gaio dimandava inelegantia juris, e pel metodo di stintivo e compositivo, induttivo e deduttivo ad un tem po ; distintivo e induttivo salendo alle specie generali del diritto ; compositivo e deduttivo traendone con bre vità ed evidenza le illazioni . Il gran Leibnitz, insigne così giureconsulto come filosofo e matematico, scriveva nell' Epist, 119 : « Io ammiro l'opera de Digesti , o me glio i lavori de' giureconsulti, ond' ell' è presa : ne vidi mai nulla che più s'accosti al pregio de matematici : 0 che tu guardi all'acume degli argomenti, o a'nervi del dire . » Ma questa efficacia della filosofia non potè fermarsi all'ordine de' pensieri, dovè penetrare nell'interno, giac chè, com'avvertii , materia della giurisprudenza son gli atti umani o personali, soggetto filosofico. Tal efficacia non si creda particolare ma generale ; quindi , coloro che cercano ne'giureconsulti le traccie minute o degli Stoici o d'altri sistemi, errano forte se non passano inoltre a considerare l'opera generale della riflessione interna. È certissimo, com'avvertono gli eruditi, che i più de'giureconsulti tolsero dagli Stoici l'argomentare per analogia, l'amore dell' etimologie, la spartizione delle materie, la sottile dialettica che conviene al Foro , e molte dottrine sulla ragione dell'onesto, applicate da essi egregiamente al gius civile : ma l'essenziale sta in quel gran corpo, così disposto bene secondo le leggi del pensiero, e (salvo qualch'errore de' tempi) così con formato alla natura umana nelle regole eterne di lei e nelle relazioni esteriori. Sicchè il gius romano serve di lume al gius de’ popoli più civili , come si ha dal codice Napoleone : e gli Alemanni, dimenticata noi tanta gloria, vi fanno su studj esimj e perseveranti . E perchè si chiarisca il filosofare intimo de' giure consulti, guardiamo la nozione, ch'e'si facevano della giurisprudenza e della filosofia . Ulpiano nel Tit. 1 dei Digesti scrive (pr. e fr. 1 ) : « Dand' opera al gius, oc corre prima sapere onde ne venga il nome. Gius è chia mato da giustizia; perchè ( come Celso lo definì elegan temente) il gius è l'arte del buono e dell'equo. Però siamo chiamati con ragione sacerdoti della giustizia. Di fatto, professiamo la giustizia e manifestiamo la scienza del buono e dell'equo ; separando l'equo dall' iniquo, e discernendo le cose lecite dalle contrarie ; desiderosi di far buoni gli uomini , non solo per timore delle pene, ma eziandio per l'incitamento de'premj; ricercatori (se non m'inganno) di vera e non simulata filosofia. » Se la definizione della giurisprudenza si prenda qui a ri gore, ella non regge, perchè si stende a tutta la filoso fia morale : ma se badiamo al concetto che avevano di questa gli antichi, e al generarsi la scienza del Diritto dall'altra del Dovere, ci formeremo idea chiara del co me intimamente fosse filosofica la giurisprudenza romana. Ho mostrato altrove ( Lez. XVII) che, secondo i sistemi greci, sommità di perfezione umana è lo Stato ; talchè la morale s' ordinò alla politica ; concetto vero per l'attinen ze esteriori, falso e pagano quant' all'ultimo fine. Non faccia dunque meraviglia, o signori, se i giureconsulti romani definivano il gius civile come la morale ; lo de finivano così, perchè, a sentimento di tutti gli antichi, le due scienze si mescolavano in una . Noi con più ra gione le distinguiamo, ma s'erra da chi ne dimentica l'unità superiore, ch'è la scienza de' primi principj e dell' uomo ; dimenticanza ignota agli antichi, che però svolgevano razionalmente il diritto e non lo maneggia vano materialmente. Notate ancora che nel passo citato si distingue la scienza dall'arte. Se nelle Istituzioni poi la giustizia è definita : « Costante e perpetua volontà di rendere a ciascuno il suo diritto : » e se la giurispru denza è definita ; « Notizia delle cose umane e divine e scienza del giusto e dell'ingiusto, pr. e S 1 , Inst. De just. et jure), » si vuol fare la stessa osservazione detta di sopra ; e noterò col Cuiacio, che in tal luogo la giu risprudenza è indicata bene com' abito dell'intelletto o scienza, e com ' abito della volontà, secondo l'antica filo sofia . E la filosofia la pensavano essi , non senz'alta spe culazione, ma contenuta nel vero da' dettami del senso comune e dal fine pratico. Di fatto s' inalzarono all'e ternità del diritto (come osserva il Vico, Sc. Nuova, IV) allorchè dissero : Il tempo non muta nè scioglie i di ritti (tempus non est modus costituendi vel dissolvendi juris ) ; e quando discernevano il diritto naturale dal positivo : ma nello stesso tempo rigettarono gli eccessi dello stoicismo, come l'eguaglianza della imputazione; finalmente derisero le stranezze , l' ipocrisie, l'avarizia di quelle sette in età di scadimento. Così abbiam sen tito Ulpiano, che distingue filosofia schietta dalla ma scherata ; e nel Fr. 6 , § 7 , D. al Tit. De his quæ in testamento delentur, è schernito il suicidio de' filosofi per ostentazione, e nel Fr. 1 , § 4, D. de extraordinariis cognitionibus etc. , dove si stabilisce gli onorarj delle professioni, li nega il giureconsulto a' filosofi che, van tando di spregiare le mercedi, n'andavano a caccia. I giureconsulti poi mostrarono tre specie di diritti : jus naturale, gentium, et civile ; distinzione che non si vuol confondere con l'altra più pratica in jus gentium vel naturale e in jus civile ; e chi non vi badi, tassa i giureconsulti d'errori, ch'e'non hanno. La distinzione pratica mette divario tra leggi proprie di Roma ( jus ci vile) e istituzioni comuni a ogni popolo non selvatico ( jus gentium vel naturale) ; l'altra è distinzione più specula tiva e fondamentale. Ulpiano nel Tit. De just. et jure, D. dal Fr. 2 al 6, distingue diritto pubblico da privato; e distingue il privato in diritto naturale, che natura in segnò a tutti gli animali, come la procreazione de'fi gliuoli ; in diritto delle genti, del quale tra gli animali hann' uso gli uomini soli , come la religione verso Dio, l ' obbedire a' genitori e alla patria : in diritto civile ch'è proprio d'un popolo. Ora, s'è accusato Ulpiano d'aver confuso il diritto naturale con gl' istinti del l'animalità ; ' e sì che il Piccolomini da qualche secolo fa , come il Warnkoenig oggi , notava che qui , se condo le dottrine vere d' Aristotile, son distinti nel l'uomo i diritti che vengono dalla natura animale , quelli che vengono dalla razionale, e gli altri che pone la comunanza civile. Non s'intende già che le bestie ( dette da' giureconsulti cose, non persone) abbian di ritto, ma che le potenze animali dell'uomo, in quanto appartengono all'uomo, generan diritti , come li gene rano le potenze razionali . Talchè in Ulpiano si trova benissimo sceverata l'animalità dalla razionalità . È da confessare invece, che il diritto civile si definisce per quello che toglie o aggiunge al diritto naturale e delle genti ; e s'allude alla servitù ch'è contro alla natura, come si dice nel Tit. De regulis juris. Ma tut tavia meritan lode i giureconsulti, che se non condan · LEZIONE DECIMANONA. 401 narono la servitù, la dissero contraria bensì al diritto naturale, migliori di Platone e di Aristotile . Anzi nelle Istituzioni è detto, che il gius naturale viene istituito dalla divina Provvidenza, come insegnavan gli Stoici ( De Jur. Nat. Gen. et Cir ., fr. 2 , § ult. ); nel qual testo il gius naturale abbraccia pur l'altro delle genti . Poi, essi definiscono il gius civile qual era in fatto allora . Osserverò di passaggio, che il chiarissimo Conforti nel l'annotazioni allo Stahl ( St. della Filosofia del Diritto, Torino 1855) opina con altri , che i Romani non avessero idea del diritto eterno, perchè jus viene da jubeo, co mandare ; dove la parola diritto, e le simili del francese, tedesco e inglese, hanno il concetto di rettitudine, o di rittura alla legge eterna. Ma quel valentuomo non pensò forse al come definisce la parola Jus il Forcellini ( Voc. ad V.) : « Gius è tutto ciò che in generale vien costi tuito da leggi o naturali , o divine, o delle genti o ci vili ( jus est autem universim id, quod legibus constitutum est etc.). Si nomina con altro nome equità comune, equo universale, legittimo, cioè adequato alle leggi, quasi norma e regola degli atti umani. » Sicchè i Romani chiamavano Jus un che costituito da una legge qua lunque ; così distinguevano la legge da ciò che ne pro cede, e ch ' è l'effetto del suo comando : e Cicerone ( Rep. et De Leg. passim ) adopera legge e gius in tal significato. Ma la risposta migliore si è in quell'assioma de Romani già citato : « il tempo non muta nè scioglie i diritti ; conobbero, dunque, i Romani la santità del diritto fuori del tempo, cioè nell'eternità, o nel suo fondamento as soluto. Inoltre vedemmo che il gius civile si distingueva dal naturale. Ma tornando a'giureconsulti, la loro scienza originò il diritto onorario, di cui parla il Forti se non con molta novità, certo con più chiarezza di tutti gli altri da me esaminati . E io ritrarrò in breve la sentenza di lui , e n'uscirà la prova del quanto potè la scienza dell'uomo e la filosofia morale in tanta perfezione di gius. Ma prima dirò; che il gius onorario conteneva gli editti del Storia della Filosofia . – I. 26 4urbano e del peregrino, e quelli degli edili e proconsoli e propretori delle provincie (edictum provin ciale). Pare che il gius predetto, almeno in modo se gnalato, principiasse verso la metà del secolo VII, per chè Cicerone nella seconda Verrina dice : « postea quam jus prætorium constitutum est . » L'Hugo dimostra, con tro l’Heinneccio, che tal diritto ebbe forza di legge ; poichè ( tra gli altri argomenti ) Cicerone non contrasta nelle Verrine che l' Editto di Verre sia legge da te nere, ma lo accusa di averlo infranto egli stesso, o con formato non secondo ragione. ( Hugo, Hist. etc. , $ 178, 179. ) Or dunque, i pretori rendevano giustizia ne'civili ne gozi , gli edili per le convenzioni de' mercati e per la po lizia della città ; e tanto gli uni che gli altri, quando pi gliavano i magistrati, mandavan fuori un editto , ove stabilivano le forme del giudizio e le massime: ottimo istituto in repubblica popolare. Non mutavano il gius, ne determinavano l'applicazione. Eccone gli esempi : In primo luogo, salva la forma legale, si supponga che i contraenti abbiano pattuito o per inganno, o per er rore, o per timore, o per forza. Mancando la moralità dell'atto, la legge non conservavasi uguale per tutti . Quindi i pretori statuiron massime per l'efficacia civile della moralità negli atti , scuse legittime per negare agl'ingiusti la sanzione della legge e i mezzi legali, perchè queste massime d'equità si recassero ad effetto . I codici moderni han composto di tali massime le lor leggi universali . Allora, dice il Forti, gli editti de' magi strati « erano uno de' principali modi, per cui la filosofia venne applicata gradatamente ai bisogni civili . » Sicchè (quant'alla moralità degli atti) trovarono i magistrati l'eccezioni perpetue contro le obbligazioni per dolo, per timore, per errore, per violenza ; la restituzione in intero, i modi legali a sciogliere le dette obbligazioni, od a ri petere ciò che pel tenore loro fosse stato pagato. In se condo luogo, le leggi , definito il diritto e ordinatane la sanzione, lasciavano a'magistrati ilmodo d'effettuarli. Per esempio, le leggi stabilivano i modi d'acquistare la proprietà, ma non i modi della sua difesa ; che più tornò necessaria, quanto più divise le possessioni, e distinta la varietà de'godimenti e diritti che si comprendono nella mozione del dominio ; onde nacquero nuovi contratti e bisogni di nuove difese. Quind'i pretori differenziavano a capello il dominio e il possesso, e gl'interdetti che lo proteggono, e va' discorrendo. ( Ist. Civ., L. I. S. 1 , € . 3, § 31.) Le dottrine de'giureconsulti poi vennero a formare un'altra maniera di gius, cioè il diritto ricevuto ljus receptum ). Essi, introducendo ne'contratti clausule, con cui si stipulava l'osservanza della buona fede, costrin sero i magistrati a giudicare di que'contratti, non se condo le nude parole della legge, sì a lume di naturale onestà ; come le clausale, si lodate da Cicerone, uti ne propter te , fidemre tuam captus, fraudatusne sim ; e ut inter bonos bene agier oportet et sine fraudatione. ( De Off. III, 17. ) I giureconsulti si davano all'interpretazione; e poi chè questa o considera la legge in sè, o gli atti della volontà umana , così la filosofia di que'sapienti gli aiuto all’un five con le spiegazioni delle parole e con la de. finizione de'termini astratti, e col mirare alla ragione della legge stessa : gli aiutò all ' altro fine co giudizi sulla moralità degli atti , e con le regole per interpre tare l'altrui volontà. Il Gravina così accenna le novità del gius ricevuto : * Dalle interpretazioni de' giureconsulti passate in uso, e mitiganti a poco a poco e come di soppiatto l'asprez za delle leggi, son venute le regole di diritto, temperate dalla ragione d'equità. Nacquero da essi , l'uso dei codicilli, l'azione del dolo, le azioni quasi tutte che chiamaron utili , perchè procedono dall’equa e utile in terpretazione, le stipulazioni aquiliane, autore Aquilio giureconsulto, le varie differenze delle successioni. la re gola catoniana , la sostituzione pupillare, il divieto della donazione tra marito e moglie, e l'altro che i pupilli s'obblighino senza l'autorità del tutore. Da essi vernero i giudizi di buona fede, le azioni rei uxorie, la querela dell'inofficioso testamento, e infine tutto ciò che si trova citato sotto nome di costumi, di consuetudini e di gius ricevuto. ( De ortu et progr. I, Civ. , C. 43. ) Tale acume di riflessione disciplinata recò i giurecon sulti per fino ad un computo di probabilità sulla vita umana quant'all' usufrutto ed agli alimenti (come si vede Fr. 68 D. Ad Legem Falcidiam ); cosa notabile molto, perchè fa supporre grand'abito d'osservazione e di giudizi astratti . La virtù e la vera filosofia de' giureconsulti le sen tiamo pur anche nel loro stile, che in mezzo alle ampol losità di Seneca e degli altri si tien semplice e puro .. Nelle Pandette v' ha errori di lingua, per vizio de' com pilatori greci e de' copisti ; ma specie i frammenti di Gaio e d'Ulpiano son gioielli, ammirati da' principali maestri di latinità . Terminerò, o signori, recando un saggio di tal sa pienza ed elegante brevità, in alcune regole di gius. dall' ultimo titolo de' Digesti : « I diritti del sangue non posson finire per niuna legge civile ( Fr. 8) . Sempre nelle cose oscure s' ha da tenere il meno ( 2) . Sta in na tura che le comodità d'una cosa seguan colui che ne sente gl' incomodi. Ciò che dapprima è vizioso non si può col tempo sanare ( 29) . Nulla è più naturale che sciogliersi a quel modo ch' uno s ' è legato : però l ' ob bligazione di parole sciogliesi con parole, e quella di nudo consenso con altro consenso ( 35) . Che si fa o si dice nel caldo dell'ira, non si stima . vi sia consenso d'animo, se non v' ha perseveranza ( 48) . Nessuno può trasferire altrui più diritti che non ha ( 54) . Sempre nel dubbio son da preferire le sentenze più benigne ( 57) . L'erede si stima di quelle facoltà e di que' diritti che il defunto ( 59) . È proprio di quel sofisma che i Greci chiamano sorite, o ammucchiato sillogismo, di trar la disputa, con lievissime mutazioni, da cose evidentemente vere a evidentemente false (65 ). Quante volte un di scorso rende due sensi, prendasi quello ch'è più adatto al da fare ( 69) . Non si dà benefizio per forza ( 69) . Nes suno può mutare il proposito suo in altrui danno ( 75) . In ogni cosa, ma più nel gius, è da guardare all’equi tà (90 ). Ne’discorsi ambigui è il più da guardare all'in tendimento di chi li fa (96) . Nelle cose oscure si badi al più verosimile, e a ciò che accade più spesso ( 114) . Il timore vano non è buona scusa ( 184) . Per l'impossi bile non c'è obbligo che tenga ( 185) . Le cose proibite da natura, non sono convalidate da legge nessuna ( 188, § 1 ) . Per gius di natura nessuno dee farsi più ricco a danno altrui (206) . Per gius civile i servi si sti mano nulla ; non per diritto naturale, secondo cui tutti gli uomini sono uguali » ( 32) . Quando l'impero si foggiò all'orientale, la giurispru denza cadde in vano eccletticismo; come n'è segno « La indigesta mole de' Digesti >> e ciò accadde alla quarta età, o di vecchiezza. Poichè abbiamo con qualche sufficienza esposto la filosofia grecolatina di Cicerone e de' giureconsulti, e abbiam veduto come proposito di questi e di quello apparisca sempre l'armonia tra le speculazioni e la pratica, e, nelle speculazioni, fuggire tutti gli eccessi delle sette, componendone, guidati dalla coscienza e dal senso comune, un'unità, siam chiari (mi sembra) che veramente dopo la dialettica distintiva de' greci, tende vano i Romani alla comprensione finale, e che tal è proprio la qualità prevalente in quest'epoca quarta del tempo pagano e della filosofia . Or noi passeremo al l'èra cristiana . Augusto Conti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688364997/in/photolist-2mKwo7R-2mJTejc-2mJPC2N-2mJLMNt-2mJpFSS-2mJq2uE-2mJd7nN-2mJe9QJ-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mHGgw3-2mGT6p1-2mGnP2f-2mEuJp2-G9arP4-F7umuM-FKTBHc-EWwuBz-FPukH3-2mEd2LM-2c1JZ8H-EYAmFu-DsyMMT-XBz4hS-GXpTrQ-G7oMm2-G55xdb-FJVKRC-G3tvCn-FcebeC-FbXzmb-FVhkL3-FrCxMd-FRG5RT-FrCZu5-FrzFUS-FrztMA-EWhoRW-EWfq4E-EWi5VJ-FHy2uy-FKUfQi-FHzDvu-EWsxCx-FPp1Mh-EWhxeC-EWwAY2-FHzevW-EWrRgF-EWtXSn

 

Grice e Contri – il Napoleone di Hegel – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cazzano di Tramigna). Filosofo. Grice: “I like Contri – he reminds me of my days at Rossall! Of course Contri is interested in Hegel – “a la ricerca del segreto sofisma di Hegel” – and attempts to reveal it as Stirling never could! But Contri is also interested in ‘il bello’ – being an Italian! – The interesting thing is that he goes back to Italy – Aquino! He has a good exploration on ‘verum’ in Aquino, too, which reminds me of Bristol, Revisited!” Allievo di Zamboni, elabora una minuziosa critica alla logica di Hegel di cui mise in rilievo le incongruenze gnoseologiche e metodologiche che portano alla errata concezione hegeliana della realtà come vita dell'idea. Rovesciando l'immanentismo hegeliano, scopre un mondo di realtà sviluppando una concezione di filosofia della storia che denomina “storiosofia”.  Studia a Verona. Si laureò a Padova. Discepolo fervente di Zamboni, di cui accolse e sostenne la dottrina della gnoseologia pura. In alcune occasioni si descrisse come elaboratore in contemporanea al suo maestro Zamboni di alcune teorie, collegate all’estetica ma non solo. Insegna a Bologna. Zamboni fu espulso dall'Università Cattolica con la motivazione di allontanamento dalla ortodossia tomistica e con accusa di non conformità al Magistero della Dottrina Cattolica Romana. Contrì definì la posizione della Cattolica con il termine da lui coniato di “archeo-scolastica”. La posizione “archeo-scolastica” della Cattolica di Milano, di una conoscenza indimostrata, a priori, dell’essere e degl’esseri era bersaglio di critiche da parte di filosofi cristiani e non che la ritenevano inadeguata nell’ambito del pensiero moderno. Contri sostenne che la dimostrazione della conoscenza dell’essere e degl’esseri data dalla Gnoseologia Pura di Zamboni superava definitivamente tali critiche e ridava certezza dimostrata della conoscenza e dell’esistenza di Dio. Accusa di plagio Gemelli per aver pubblicato nella monografia Il mio contributo alla filosofia neoscolastica (Milano) pagine già scritte da Desiré Mercier e da Morice De Wulf, senza indicare le citazioni. Gemelli diede le dimissioni da Rettore della Università Cattolica ma rimase in carica. Insegna Bologna. Il prof. Ferdinando Napoli, Generale dei Barnabiti, cultore di scienze naturali, venne depennato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, allora presieduta dal Gemelli. Venne dato ordine di non pubblicare articoli a firma di Contri. Continuando la difesa della dottrina di Zamboni, fondò la rivista quadrimestrale di polemica e di dottrina neoscolastica “Criterion”. Il confronto con l’Università Cattolica di Milano continuò negli anni successivi con relazioni a numerosi congressi di cui Contri diede resoconto sulla rivista. Insegna a Ivrea. Sulla rivista Criterion apparvero intanto i primi Saggi del Contri sui suoi studi hegeliani che prelusero all'opera definitiva dLa Genesi fenomenologica della Logica hegeliana. Partecipa attivamente agli organi culturali del fascismo. Sscrisse su giornali quali Il Secolo Fascista, Quadrivio, Il Regime Fascista, Il meridiano di Roma e La Crociata Italica. Contri si avvalse della tribuna offerta da queste testate per promuovere i suoi studi filosofici e critica filosoficamente l’ ebraismo di Spinoza, di Durkheim e di Bergson. Insegna a Milano e tenne conferenze su studi hegeliani. Sorse una disputa con Zamboni in seguito all'articolo Il campo della gnoseologia, il campo della storiosofia, in risposta alla pubblicazione del Contri Dallo storicismo alla storiosofia.  Prese parte attiva a congressi tomistici internazionali e a congressi rosminiani.  Partecipa attivamente alla “Missione di Milano”, lanciata dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini.  Come riconoscimenti ai suoi studi conseguì alcuni premi fra i quali uno indetto dall'Angelicum sul tema “Quid est veritas”, e una segnalazione all'Accademia dei Lincei per l'opera: Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, Milano, LSU. Fu discepolo e geniale continuatore di Zamboni. Così potrebbe definire la situazione filosofica di oggi. Il mondo del pensiero, perduta la bussola non teologica d'orientamento, è costituito da una miriade di metafisiche che cozzano le une contro le altre tanto da definirsi che heghelianicamente come il divenire in sè, che è puro fenomenismo. A tale fenomenismo corrispondono molteplici fenomenologie. Per esempio quella di  Heidegger, afferma che il reale è un solo, una totalità onniafferrante (Hegel direbbe begriff), tanto come essere quanto come niente. Anche Hidegger poi tenta la via della salvezza ammettendo la realtà del mondo esterno come di un che, che resiste al soggetto, ponendosi nel solco del pensiero di Zamboni. In questo modo Hidegger tocca il problema che si volle e che si vuole eludere: la realtà del mondo esterno. Esistono queste realtà, come la mia realtà, indipendentemente dal pensarle? Per dare risposta a questo interrogativo cruciale, è necessaria la gnoseologia pura. La gnoseologia secondo Contri, scoprì la risoluzione definitiva del problema della certezza della conoscenza umana. Essa permise di risolvere il problema dell'esistenza di Dio, riavvalorando criticamente le cinque vie della dimostrazione Aquino. Sono meriti del metodo filosofico di Zamboni il poter affermare la sostanzialità del mio “io” personale, la mia realtà individua e dimostrare l'esistenza di Dio, trascendente, personale. Il metodo zamboniano distingue gli elementi della conoscenza umana tra la sensazione, che e sempre oggettiva, e lo stato d'animo e tra questi "quello stato d'animo che è anche atto: l'attenzione". Ogno stato d'animo e sempre soggettivo. La gnoseology riesce a cogliere la realtà del proprio “io”, nei suoi atti e stati. Essi sono reali, per­ché immediatamente presenti all'”io”, e se sono reali gli accidenti dell'io, perché essi sono modo di essere dell'io, reale è l'io, come sostanza, cui essi ineriscono. Perciò dall'immediata certezza della realtà degli accidenti di un ente si giunge alla certezza della realtà sostanziale dell'io." La critica alla posizione della neoscolastica di Gemelli, Olgiati e Masnovo sulla conoscenza indimostrata dell'ente e la soluzione tramite la gnoseologia pura. Rispetto alla dimostrazione della realtà dell'ente, si fonda così nell'esperienza immediata ed integrale il concetto di essere e ‘esseri’ che non è più necessario assumere acriticamente, come qualcosa di razionalmente immediato, pena l'impossibilità di una logica razionale. L'assunzione acritica del concetto di essere ed esseri è propria del neotomismo dell'Università Cattolica, che in un suo autore, Masnovo, perviene alla sua massima teorizzazione nel "mio hic et nunc diveniente atto di pensiero". Ma con questo l'essere e gli esseri è solo pensato e ammesso acriticamente come pensiero, è un presupposto, mentre nella gnoseologia zamboniana è il risultato di un processo di astrazione, che deriva da una realtà immediatamente presente all'autocoscienza dell'io, che non ha la natura del pensiero, non è pensiero essa stessa, ma qualcosa di diverso. Si può pertanto uscire dalla formula logica della ragion sufficiente, che è sempre e comunque razionalista e riduce al razionalismo anche il neotomismo. Nell'ambito dell'esperienza immediata ed integrale si scopre invece non la ragion sufficiente, ma la sufficienza ad esistere o no. E la fondazione ed il ripensamento delle prove dell'esistenza di Dio, e in particolare della terza via tomistica, diventano inoppugnabili. Nessuno più può dubitare dell'esistenza del sufficiente ad esistere, che è Dio."  Secondo Peretti la fondazione gnoseologica della metafisica è il più grande merito di Zamboni.  L'ambiente filosofico dell'Università Cattolica non accetta la gnoseologia zamboniana e fonda la metafisica sul concetto di ente, assunto acriticamente, come un presupposto indimostrabile. Esso finì per identificarsi con l'ente di ragione (ens rationis), non sfuggendo all'insidia hegeliana, che lo aveva dialettizzato sia come essenza che come esistenza. La dialettica negativa di Hegel produsse ben presto nella corrente neotomista di Milano (ma anche in altre università cattoliche) i suoi effetti devastanti. Aveva messo in guardia i neotomisti dalla fraus hegeliana, che si svela nell'antitesi (contra-posizione) come negazione. Seguendo la metodologia gnoseologica, Contri affronta Hegel, il "padre del fenomenismo" compiendo una minuziosa e sistematica analisi della fenomenologia hegeliana. Dopo averle individuate ha messo in rilievo le incongruenze gnoseologiche e perciò metodologiche che sfocia nella concezione della realtà come vita dell'idea, presentandola come uno svolgimento dialettico del ‘begriff’, come qualche cosa che non mai in sé, ma diviene eternamente in sé e per sé. Contri resa evidente questa impostazione, anima del fenomenismo, e scoperta nella deficienza gnoseologica e pertanto metodologica, derivata dall'impostazione razionalista ed empirista che al fondo dello stesso criticismo, rovescia l'immanentismo hegeliano, che si gli scopre non più come mondo di idee, ma di realtà, di cui ognuna è altro del suo altro, in un ordito cosmologico, di cui la storia dell'uomo rappresenta l'essenza. Ed ecco la storiosofia, che reclama, al posto dell'immanentismo gnoseologicamente insostenibile, la trascendenza della trama di questo ordito, che a questo punto in sé e per sé non può più essere spiegato (si ricordi che l'anima della spiegazione hegeliana è la "negazione"!). Tale trascendenza prova l'esistenza di un Dio trascendente, che ha concepito la trama creando le realtà ordito di questa trama, di realtà in reciproca relazione, in cui non c'è membro che sia fermo. In questo ordine si risolvono in modo nuovo i rapporti tra le realtà, che per esempio tra l'anima e il corpo, superando così gli scogli di una spinosa questione di eredità aristotelica, di grande importanza anche oggi, in cui le realtà terrene e spirituali non trovano la sintesi equilibratrice.  La storiosofia rappresenta uno sviluppo del metodo di Zamboni, considerandolo la via per rinnovare tutta la filosofia poiché esso non è storicismo filosofico, non è naturalismo, è avanti positivistico, non è speculazione, ma metodo appunto, (metodo) che da secoli la filosofia europea ha cercato, perdendolo oggi nella disperazione del momento." Opere: “Il concetto aristotelico della verità in Aquino” (Torino, SEI); “Gnoseologia” (Bologna, L.Cappelli); “Il concetto d’armonia” (Bologna); “Il tomismo e il pensiero moderno secondo le recenti parole del Pontefice, Bologna, Coop. tipografica Azzoguidi): “Del bello” (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina); “La filosofia scolastica in Italia nell' era presente” (Bologna, Cuppini); “L’essere e gl’esseri” (Bologna, C. Galleri); Un confronto istruttivo: Mercier, Gemelli, De Wulf ed altri ancora, Bologna, C. Galleri); “Pane al pane: riassunto d'una situazione, Bologna, Costantino Gallera. “Neo-scolastici e archeo-scolastici” (palaeo-scholastici) sulla rivista Italia letteraria; “Il segreto sofisma di Hegel” (Bologna, La Grafolita), “Mussoliniana: il discorso del duce” (Bologna, La Diana scolastica); “Gnoseologia pura di A. Hilckmann; Il segreto di Hegel di S. Contri, Bologna, Stabilimento Tipografico Felsineo); “Hegel, Ivrea, ed. Criterion); “La genesi fenomenologica della logica hegeliana” (Bologna, ed.Criterion; Ambrogino o della neoscolastica, dialogo filosofico,  Bologna); “La soluzione del nodo centrale della filosofia della storia, Bologna, Criterion); “Complementi di storiosofia, Bologna, Criterion); “Punti di storiosofia, Bologna, Criterion; Lettera a S.S. Pio XII sulla filosofia della storia, Bologna, Criterion; Il Reiner Begriff (=concetto puro) hegeliano ed una recensione gesuitica, Bologna, Criterion; Dallo storicismo alla storiosofia. Lettura prima, Verona, Albarelli; I tre chiasmi della storia del pensiero filosofico.  Inquadratura unitotale della controversia sulla storiosofia, Milano, ed. Criterion); “Rosmini” (Domodossola, La cartografica C. Antonioli); Ispirazione da dei” divina della S. Scrittura secondo l'interpretazione storiosofica” (Milano, Criterion); “La sapienza di Salomone, Milano, ed. Criterion; “La riforma della metafisica” (Milano, ed. Criterion); Filosofia medioevale.  Raggiungere la forma nuova, Fiera Letteraria; Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, alla luce della momentalità storiosofica” (Milano, Libreria Editrice Scientifico Universitaria); “Rosmini” (Milano, Centro di cultura religiosa); “Posizioni dello spiritualismo Cristiano: La dottrina della poieticita in un quadro rosminiano” (Domodossola, Tip. La cartografica C. Antonioli); “Assiologia ed estetica”, Theorein; Posizione dello spiritualismo cristiano. La dottrina della poieticità, in un quadro rosminiano, Rivista rosminiana; Heidegger in una luce rosminiana: la favola di Igino e il sentimento fondamentale, Domodossola, La cartografica); Missione di Milano. Chiosa storico-filosofica, Ragguaglio); “Heidegger in una luce rosminiana, Rivista rosminiana); La coscienza infelice nella filosofia hegeliana” (Palermo, Manfredi); “Husserl edito e Husserl inedito” (Palermo, Manfredi); “Kierkegaard: profeta laico dell'interiorità umana”; “Saggio di una poetica vichiana” (Milano, Il ragguaglio librario); La fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Rivista rosminiana; L'unità del pensiero filosofico, Sapienza; Il pluralismo filosofico nell'ambito di una concezione cristiana, Sapienza; In margine al centenario dantesco, Sapienza; La negazione come principio metodologico di unificazione speculativa, Theorein; Vita e pensiero di Hegel, Rivista rosminiana; Possibilità di un accordo tra la dottrina rosminiana del sentimento fondamentale e le concezioni moderne  sull'inconscio, Rivista  rosminiana; Morale e religione nella Fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Palermo); “Parallelo tra Hegel e Rosmini, Palermo, Mori); “Metafisica e storia, Palermo, Mori); “Il sofisma di Hegel” (Milano, Jaca book). “Il caso Contri”; “Gnoseologia”; noseologia, storiosofia; Contri, Note mazziane; La propedeutica metafisica hegeliana al problema del pensare e la lettura rosminiana di S. Contri, Contri tra gnoseologia e storiosofia, Punti di trascendenza in S. Contri, in Sophia, Crociata Italica, Fascismo e religione nella Repubblica di Salò, L'Estetica di Benedetto Croce. Certi gestiscriveva la Vanni Rovighiche gli furono rimproverati come acquiescenza al potere politico fascista (e furono ben pochi in confronto a quelli di molti altri) furono dettati dalla preoccupazione di difendere la sua Università dalla minaccia di chiusura da parte del potere politico, minaccia tutt’altro che immaginaria. E forse fu il timore di fronte alle obiezioni di un’altra autorità, quella ecclesiastica, che gli premeva ben più di quella politica, a indurlo ad allontanare dall’Università un uomo di grande ingegno e di purezza adamantina: Zamboni, un gesto che non può non essergli rimproverato e che lasciò anche a noi allora studenti dell’amaro in bocca. Contri, (Circa il volume di Croce 'La storia come pensiero e come azione. Siro Contri Presidente dell' Istituto di Cultura Fascista...».  Siro Contri, «Il regime fascista» Siro Contri. Contri. Keywords: il Napoleone di Hegel, del bello, il bello, assiologia, poetica vichiana, Mussolini, discorso, duce, logica di Hegel, filosofia dell’essere, l’essere e gli esseri, Hegel contraddetto, il bello, pulchrum, archeo-scolastici, paleo-scolastici, Aquino, aristotele, il vero, l’errore di Croce, l’equivoco di Croce, percezione del bello, l’armonia e il bello, del storicismo alla storiosofia, storiosofia o filosofia della storia, interpretazione dommatica di Aquino, la negazione di hegel, il concetto puro di Hegel, la negazione come metodo in Hegel, nihilismo e negazione in Hegel, l’errore di Hegel, il sofisma di Hegel, Gentile e il bello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51771134010/in/dateposted-public/

 

Grice e Corbellini – darwinismo politizzato – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cadeo, Cardeo). Filosofo. Grice: “I like Corbellini; of course he has to defend science versus what he calls – alla Popper? – ‘pseudoscenza’ in Italy, which he calls ‘il paese della pseudoscenza’ – I thought that was Oxford!” I sui interessi riguardano la grammatical del vivente, la storia della medicina e la bioetica. Insegna Roma. Si laurea con “L’epistemologia evoluzionistica”.I suoi interessi di studio hanno riguardato la storia e la filosofia della biologia evoluzionistica, delle immunoscienze e delle neuroscienze, per includere poi anche lo studio della storia della malaria e della malariologia in Italia, delle ricadute della genetica molecolare, delle implicazioni dell’evoluzione e l'evoluzione. L'approccio storico-epistemologico all'evoluzione trovato una sintesi nella ricostruzione della storia delle idee di “salute” e malattia e delle trasformazioni metodologiche a cui è andata incontro la ricerca delle spiegazione causale della salute. La sua ricerca si è orientata anche verso l'esame delle radici delle controversie bioetiche. Difende un'idea non confessionale della bioetica, che ha radici filosofiche in uno scetticismo morale radicale, naturalistico e non relativista (Bioetica per perplessi. Una guida ragionata, Mondadori).  Coltiva anche un interesse per la percezione sociale e il ruolo della scienza nella costruzione del valore civile. Sostiene che l'invenzione e l'espansione del metodo scientifico hanno consentito e favorito l'evoluzione del libero mercato e della stato di diritto, ovvero che la scienza ha funzionano come catalizzatore nella costruzione e manutenzione dei valori critico-cognitivi e morali che rendono possibile il funzionamento del sistema liberal-democratico.  Altre opere: “Nel Paese della Pseudoscienza. Perché i pregiudizi minacciano la nostra libertà” (Milano, Feltrinelli); “Cavie? Sperimentazione e diritti animali” (Bologna, Il Mulino); “Tutta colpa del cervello: un'introduzione alla neuro-etica” (Milano, Mondadori Università, ; Scienza, Torino, Bollati Boringhieri); “Dalla cura alla scienza” (Milano, Encyclomedia Publishers); “Scienza, quindi democrazia, Torino, Einaudi); “Perché gli scienziati non sono pericolosi” (Milano, Longanesi); “La razionalità negata. Psichiatria e antipsichiatria in Italia (con Giovanni Jervis), Torino, Bollati Boringhieri, EBM); “Medicina basata sull'evoluzione” (Roma-Bari, Laterza); “Bi(blio)etica” (Torino, Einaudi); “Breve storia delle idee di salute e malattia” (Roma, Carocci); “La grammatica del vivente. Storia della biologia e della medicina molecolare” (Roma-Bari, Laterza); “L'evoluzione del pensiero immunologico” (Bollati Boringhieri, Torino). L’errore di Darwin. Introduzione; 1. Dall’etica medica alla bioetica; 2. Il senso morale umano e le controversie bioetiche; 3. Sperimentazione sull’uomo e consenso informato; 4. Scelte di fine vita; 5. Scelte di inizio vita; 6. Medicina genetica; 7. Sperimentazione animale; 8. Medicina dei trapianti e definizione di morte; 9. Etica della ricerca responsabile; 10. Medicina rigenerativa e staminali; 11. Neuroetica; 12. Etica ambientale e OGM; 13. Etica della comunicazione scientifica, della percezione della scienza e del «gender»; Indice dei box; Indice analitico; Indice dei nomi. Come nota Gilberto Corbellini nella prefazione all’edizione italiana del libro di Ru- bin, il tentativo di applicare l’approccio evoluzionistico alla (filosofia) politica spesso rischia di venire frainteso. Il frain- tendimento più comune e pericoloso deriva dalla mancata distinzione tra il “darwinismo politicizzato” e la “politica darwiniana”: il primo è costituito, come è accaduto nel caso del socialdarwinismo di fine Ottocento, dall’«interpretazio- ne strumentale e priva di coerenza logica o di basi scientifi- che delle idee darwiniane per difendere qualche particolare ideologia politica»; la seconda, invece, consiste nell’«uso delle conoscenze evoluzionistiche sulla natura umana per meglio comprendere le origini delle preferenze politiche in- dividuali, la loro distribuzione sociale e le dissonanze tra gli adattamenti ancestrali e l’ambiente attuale».58 Ridley si mostra ben consapevole del rischio di trasformare la politi- ca darwiniana in ideologia. Questo, tuttavia, non gli impe- disce di avanzare alcuni suggerimenti di politica economica 54. Cfr. Skyrms, The Evolution of Social Contract, pp. 108-109 e Festa “Teoria dei giochi, metodo delle scienze sociali e filosofia della politica”, Prefazione a de Jasay, Scelta, contratto, consenso, pp. 8-9). Alcune immani tragedie che hanno segnato la storia degli ultimi due secoli sembrano dovute, almeno in parte, all’ignoranza – e, talvolta, alla ne- gazione – di alcune caratteristiche essenziali della natura umana. Per esempio, Ridley (p. 322) osserva che «Karl Marx vagheggiava un sistema sociale che avrebbe funzionato solo se fossimo stati degli angeli, ed è fallito perché siamo invece degli animali». 55. Peter Singer, Una sinistra dawiniana. Politica, evoluzione e cooperazione, Torino, Edizioni di Comunità, 2000 (1999). 56. Larry Arnhart, Darwinian Conservatism, Exeter (UK), Imprint Academic, 2005. 57. Rubin, La politica secondo Darwin. 58. Gilberto Corbellini, “Politica darwiniana vs darwinismo politicizzato”, prefazione a Rubin, La politica secondo Darwin, p. 9. 31 Ridley.Origini.Virtu.indd Le origini della virtù – si vedano soprattutto gli ultimi tre capitoli del libro – che gli sembrano compatibili con le nostre tendenze evolutive. La prospettiva filosofico-politica che ne emerge è un libe- ralismo con tendenze anarchiche, che non sarebbe inappro- priato chiamare “anarco-liberalismo”.59 Tale prospettiva, ispirata dalla grande fiducia di Ridley negli istinti coopera- tivi e altruistici degli esseri umani, sfocia infatti nella difesa di un ordine politico-economico nel quale il ruolo del gover- no e dell’intervento pubblico è ridotto ai minimi termini: Recuperiamo la visione di Kropotkin, che immaginava un mondo di liberi individui. [...] Non sono così ingenuo da pensare che ciò possa accadere da un giorno all’altro, o che qualche forma di governo non sia necessaria. Ma metto se- riamente in dubbio la necessità di uno Stato che decide ogni minimo dettaglio della nostra vita e si attacca come una gigantesca pulce alla schiena della nazione.60 D’altra parte, Ridley si rende conto che, mentre le solu- zioni politico-economiche da lui favorite si accordano con alcune tendenze evolutive umane, confliggono però con al- tre. Per esempio, egli osserva che certe istituzioni economi- camente adeguate nella società moderna, come la proprietà privata, possono entrare in tensione con le tendenze primi- tive all’egualitarismo, alla redistribuzione e al rifiuto dell’accumulazione di ricchezza.61 L’analisi dei conflitti tra le moderne istituzioni politico-economiche e le nostre ten- denze primitive è uno degli argomenti centrali del già citato libro di Rubin.Le “Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Di Valeria Covato | 06/06/2016 - Mailing Le “Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Fornire un punto di vista innovativo, cioè evoluzionistico, di tutto quello che riguarda la salute e le disfunzioni comportamentali, e suggerire qualche punto di vista originale sul perché nonostante le dissonanze evolutive, la condizione umana è globalmente migliorata. È questo l’obiettivo del libro dal titolo “Imperfezioni umane. Cervello e dissonanze evolutive: malattie e salute tra biologia e cultura” (Rubbettino), scritto da Luca Pani e Gilberto Corbellini, che sarà presentato domani, martedì 7 giugno, alle ore 16.30 a Roma presso il Centro studi americani (Via Caetani, 32).  CHI CI SARÀ  Dopo i saluti di Paolo Messa, direttore Centro studi americani, interverranno alla presentazione moderata da Micaela Palmieri (Tg1) monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, Alberto Mingardi, direttore generale Istituto Bruno Leoni, Benedetto Ippolito, professore di storia della Filosofia presso l’università Roma tre.  IL VOLUME  “Negli ultimi vent’anni una nuova ipotesi di lavoro si è fatta strada in ambito medico sanitario, definita nel mondo anglosassone «evolutionary mismatch» (dissonanza evoluzionistica) – raccontano gli autori -. Questa teoria assume, in pratica, che l’ambiente nel quale la nostra specie ha acquisito i suoi tratti adattativi sia drammaticamente cambiato in un tempo troppo breve perché predisposizioni o tratti genetici e fenotipici dell’organismo fossero in grado di adeguarsi, per selezione naturale, alle novità”. Le conseguenze di queste dissonanze? “Disfunzioni o disturbi o rischi che richiedono un approccio medico”.  “Il libro è diviso in tre parti – spiegano Pani e Corbellini – Si inizia con un’illustrazione dei presupposti di qualunque strategia motivazionale, cioè dei meccanismi che sono alla base del piacere e delle ricompense, e da cui deriva – in ultima istanza – la possibilità di acquisire nuove conoscenze che consentono di affrontare le incertezze psicologiche che si accompagnano a qualunque comportamento esplorativo. La riflessione prosegue con esemplificazioni di risposte comportamentali che in particolari (o mutate) condizioni si manifestano come malattie. Il terzo capitolo è dedicato in modo specifico al comportamento alimentare e discute l’esempio più eclatante di dissonanza evoluzionistica: il mismatch metabolico. Gli ultimi due capitoli affrontano una serie d’imperfezioni e predisposizioni comportamentali umane che scaturiscono da compromessi evolutivi, e che risultavano vantaggiose o meno nel contesto dell’adattamento evolutivo, mentre i cambiamenti ambientali determinati dall’evoluzione culturale hanno generato, a loro volta, ulteriori fenomeni disadattativi”.   QUALI DISSONANZE  Nel dettaglio gli autori descrivono le dissonanze create dai nuovi contesti di vita per quanto riguarda cicli del sonno, accesso al cibo, comunicazione, cooperazione ovvero isolamento sociale, oppure di comportamenti più complessi come la rabbia aggressiva o l’altruismo; ma anche le preferenze politiche o l’intelligenza. Negli ultimi capitoli del volume emergono anche idee e ipotesi relative a scoperte cognitive e innovazioni che hanno migliorato la condizione umana, o reso possibili cambiamenti comportamentali incredibili.Il concetto di libero arbitrio implica che sussista nelle persone, dato un certo grado di sviluppo cognitivo e morale, la capacità di decidere e di agire, scegliendo tra diverse alternative disponibili, senza essere condizionati da fattori fisici o biologici di qualunque genere. Si assume, in altri termini, che le persone maturino una cosiddetta “agenticità”, cioè una capacità di agire e decidere in un quadro di consapevolezza degli effetti prodotti, che non è riducibile o spiegabile sulla base dei processi neurobiologici che hanno luogo nel cervello e/o alle leggi fisiche che li governano. Di libero arbitrio si può parlare, comunque, in molti modi e da diverse prospettive: filosofica, metafisica, giuridica, psicologica, etc.   Nel corso dell’evoluzione della specie, abbiamo sviluppato strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il nostro straordinario successo di animali sociali  Negli ultimi decenni le neuroscienze cognitive e comportamentali hanno profondamente messo in dubbio, con una quantità crescente di prove, la visione classica di “libero arbitrio”, aprendo un dibattito scientifico ancora in corso.  Qual è la sua posizione all’interno del dibattito?  La mia posizione è che il libero arbitrio è una credenza senza senso, come aveva spiegato bene, molto prima delle neuroscienze, il filosofo Spinoza. Se ci fosse qualcosa come il “libero arbitrio”, allora davvero potrebbe esserci qualsiasi cosa ci possiamo immaginare.  Tuttavia, è vero che,nel corso dell’evoluzione della specie,abbiamo sviluppato strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il nostro straordinario successo di animali sociali. Il libero arbitrio è un’illusione, ma un’illusione molto produttiva.  L’intuizione di ritenersi liberi, in un senso vago o indefinito, è una forma di autoinganno, come tante altre che sono prodotte dalla nostra coscienza, che nel tempo è stata socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso individuale di responsabilità, con tutte le conseguenze che ne derivano anche per l’organizzazione di un ordine sociale efficiente sulla base di un sistema di obblighi.  Ovviamente questa strategia è modulata da specifiche condizioni ecologiche e sociali, per cui in alcuni contesti questa illusione si può espandere e diventare la base di sistemi anche molto progrediti per qualità di vita, come quelli occidentali, mentre in altri ambienti di vita sarà più adattativo che tale intuizione e illusione non maturi neppure, o maturi in forme che sono funzionali a all’accettazione di un comportamento consapevolmente eterodiretto.   L’intuizione di ritenersi liberi è una forma di autoinganno che nel tempo è stata socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso individuale di responsabilità  Quali sono i rapporti fra emozioni e pensiero razionale? Con quali modalità le due componenti guidano il comportamento umano?  In che misura siamo (o possiamo essere) consapevoli di queste influenze?   Non è del tutto chiaro nei dettagli come interagiscano le strutture del cervello che controllano le emozioni o le reazioni impulsive, e quelle che controllano la pianificazione di azioni calcolate. Quello che si sa è che alcune condizioni, come trovarsi di fronte un’altra persona preferibilmente con le proprie stesse caratteristiche somatiche o un parente, induca l’inibizione di un comportamento utilitaristico, cioè volto a massimizzare qualche beneficio in generale a prescindere dai danni che si possono arrecare alle persone; ovvero che induca un comportamento di accudimento o altruistico, di carattere parentale o reciproco.  Mentre situazioni contrarie all’ordine morale appreso socialmente e attraverso l’educazione scatenano quasi automaticamente reazioni di disgusto o qualche altra avversione emotiva (ad esempio, rabbia o disprezzo).  Se non ci sono di mezzo contatti fisici, o rapporti parentali con altre persone, o impulsi emotivi avversi, le persone possono applicare un calcolo razionale e quindi scegliere un’azione in base all’utilità percepita o calcolata.  Comunque esistono diverse teorie su come emozioni e ragione entrano in gioco nelle scelte in generale, e in quelle morali in particolare. Quello che si sta sottovalutando, penso, è il ruolo che le emozioni, che mediano i valori morali, possono giocare nell’apprendimento di comportamenti, che a loro volta retroagiscono sui valori, cioè che possono cambiare nel tempo le predisposizioni delle persone nel rispondere a situazioni identiche o diverse. In altre parole, le emozioni servono direttamente alla sopravvivenza ed entrano in azione quando è minacciata l’omeostasi funzionale a qualche livello, e quindi servono a premiare o punire i comportamenti appresi sulla base della funzionalità che manifestano. Ma questi nuovi comportamenti possono far scoprire nuovi valori, cioè trovare premianti strategie diverse da quelle prevalenti nella società, e quindi modulare le emozioni originarie, evitando che gli impulsi emotivi inducano risposte non calcolate e che potrebbero essere deleterie.  In fondo, dato che noi occidentali sul piano genetico siamo praticamente uguali agli altri gruppi umani, qualcosa del genere potrebbe spiegare come ci siamo affrancati moralmente e politicamente da schemi decisionali tribali od oppressivi.   Credits to Unsplash.com Parliamo del legame tra violenza ed evoluzione: qual è il ruolo ricoperto dall’aggressività nell’evoluzione della specie, e quali sono le possibili determinanti genetiche del comportamento aggressivo?   L’aggressività, come la cooperazione, è stata un fattore chiave per la sopravvivenza e l’evoluzione della nostra specie. Come tutti i tratti, l’aggressività è polimorfica e quindi ci sono persone geneticamente più predispostedi altre all’aggressività.  È verosimile che la selezione sociale abbia col tempo reso più vantaggiosi i geni della cooperazione in alcuni contesti ecologici, e quindi favorito il processo socio-culturale che nell’età moderna ha ridotto drammaticamente la violenza sul pianeta, e soprattutto nel mondo che ha inventato la scienza e ha abbracciato lo stato di diritto. I governi occidentali continuano giustamente la lotta contro la criminalità e la violenza, ma nella storia del pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi. Steven Pinker ha dimostrato questo fatto in un dettagliatissimo e acuto libro, “Il declino della violenza”.   Nella storia del pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi  E per quanto riguarda la differenza di genere? Cosa sappiamo dei rapporti tra cervello maschile, cervello femminile e comportamento aggressivo? Le differenze di genere nel comportamento aggressivo esistono. Studiando complessivamente l’aggressività di bambini e bambine si è visto che i due generi sono egualmente aggressivi verbalmente, mentre i bambini lo sono di più fisicamente rispetto alle bambine. Nel complesso i bambini sono più aggressivi delle bambine sul piano dell’aggressione diretta. Mentre le bambine sono indirettamente aggressive anche più dei bambini. Queste differenze, come altre, dipendono verosimilmente da stimoli ormonali nel corso dello sviluppo e rispondono a strategie adattative selettivamente vantaggiose nell’ambiente dell’evoluzione. Il modo in cui maturano il cervello maschile e femminile dipende molto dai contesti e si conoscono diversi fattori ambientali e culturali che influenzano, ad esempio, la violenza a carico delle donne. Ci sono prove concrete del fatto che il patriarcato e la sua istituzione giuridica sono fattori importanti per la persistenza della violenza maschile ai danni delle donne, e del fatto che ridurre il dominio maschile attraverso delle adeguate politiche sociali riduce la violenza maschile e che la cooperazione tra donne riduce la violenza maschile sia contro le donne sia contro altri uomini. Parliamo ora delle differenze individuali nel controllo degli impulsi…     Non ci sono moltissimi dati, ma uno studio di qualche anno fa ha esaminato cosa avviene nel cervello quando si fanno scelte impulsive, che svalutano una ricompensa ritardata, ovvero come viene rappresentata dinamicamente nel cervello la svalutazione del ritardo quando si sta aspettando e anticipando una ricompensapossibile che è stata desiderata e scelta.     La corteccia prefrontale ventromedialemanifesta uno schema caratteristico di attività durante il periodo di ritardo nel ricevere la ricompensa, oltre a esercitare un’attività modulatoria durante la scelta, che è coerente con la codificazione del tempo durante il quale avviene una svalutazione del valore soggettivo. Lostriato ventrale esibisce a sua volta uno schema di attività simile, ma preferenzialmente negli individui impulsivi. Un profilo contrastante di attività collegata al ritardo e alla scelta è stata osservata nella corteccia prefrontale anteriore, ma selettivamente in persone pazienti, cioè non impulsive. Quindi corteccia prefrontale ventromediale e corteccia prefrontale anteriore esercitano – sebbene ciò sia ancora da chiarire come – influenze modulatorie ma opposte rispetto all’attivazione dello striato ventrale. Ovvero quell’esperimento ci dice che il comportamento impulsivo e l’autocontrollo sono collegati a rappresentazioni neurali del valore di future ricompense, non solo durante la scelta, ma anche nelle fasi di ritardo post-scelta.  Cosa può voler dire tutto questo per il nostro discorso? Mi lasci citare ancora Spinoza, per il quale è «libera quella cosa che esiste e agisce unicamente in virtù della necessità della sua natura». La vera libertà, è autonomia e indipendenza, non arbitrio o scelta indeterminata. Quindi si è tanto più liberi e non soggetti a impulsi, quanto più alcune strutture del nostro cervello, altamente connesse e addestrate dall’esperienza, lo rendono autonomo e meno soggetto o costrizioni esterne.   Credits to Unsplash.com Quali sono le possibili influenze delle disfunzioni cognitive e dei fattori ambientali sulla capacità decisionale (anche ai fini dell’imputazione penale)? Può condividere con noi qualche caso di studio?   Casi di studio ce ne sono diversi, ma quelli al momento più esemplari riguardano gli effetti delle varianti alleliche del gene della monoaminossidasi A (MAOA), detto anche “gene del guerriero”, in quanto collegato all’aggressività su basi osservazionali mirate. In sostanza le persone con la variante che produce meno MAOA rispondono in modi più aggressivi e violenti, rispetto a chi esprime livelli più alti.  Il fatto interessante è che se queste persone predisposte all’aggressività sono state allevate in ambienti accoglienti, esprimono un’aggressività minore rispetto a omologhi genetici cresciuti in famiglie disagiate. Anche dati sperimentali in ambito psicologico e di economia comportamentale dimostrano che le aggressioni hanno luogo con maggiore intensità e frequenza, quando provocate in un contesto sperimentale, soprattutto in soggetti con una bassa attività di MAOA (MAOA-L). Gli studi sperimentali mostrano anche che il MAOA è meno associato con la comparsa dell’aggressione in una condizione di bassa provocazione, ma predice più significativamente il comportamento aggressivo in una situazione molto provocatoria.  Esiste ormai una letteratura sterminata anche sui casi di persone con anomalie morfologiche e funzionali dell’amigdala che regolarmente esprimono un profilo sociopatico, ovvero che non provano emozioni negative quando provocano sofferenze in altri individui. Si conoscono inoltre casi di tumori cerebrali o lesioni neurologiche che alterano la personalità individuale, e non poche persone hanno commesso crimini in quanto un tumore cerebrale ha alterato le loro capacità decisionali.     La memoria del testimone: in particolare, come si accerta l’attendibilità della testimonianza e quali sono i principali metodi di verifica?  Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria: interrogatorio/confronto, testimonianze, ricordo dei giurati al momento di discutere il verdetto. Ma la memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie.  Gli stati emotivi influenzano la qualità della memoria. La nostra storia personale influenza il modo in cui ricordiamo. Gli psicologi e gli esperti studiano soprattutto il problema della testimonianza oculare, perché in ben tre casi su cinque le identificazioni si rivelano sbagliate.  Esistono diversi metodi di controllo/verifica e volti a ridurre gli errori nelle testimonianze. Uno di questi analizza per esempio l’accuratezzadella testimonianza oculare e delle modalità di interrogatorio del testimone, per arrivare a una probabilità relativa al caso.   Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria. Ma la memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie.  Esiste anche un diritto alla riservatezza per i nostri ricordi. Nel senso che se io non intendo comunicare a qualcuno un ricordo, ho diritto a tenerlo per me. Un giudice deve avere forti ragioni per forzare l’accesso alla mia memoria, ed è comunque tenuto a rispettare i miei diritti fondamentali se ci prova. Se davvero si riuscirà a costruire affidabili brain lie detector, macchine della verità con accesso alle memorie cerebrali, si configurerà un problema sul fronte di normare i limiti del diritto di un giudice far rilevare impronte mnestiche del nostro cervello, i ai fini di un’indagine processuale. Non tanto per la riservatezza del dato di interesse, cioè se un imputato o un testimone mentono o dico la verità nel caso in specie, ma per il fatto che quell’accesso può rendere noti dei fatti che non hanno rilevanza con l’indagine e che potrebbero danneggiare la persona.  Inoltre, alcuni farmaci e tecnologie possono potenziare la memoria individuale. Ebbene, sarebbe lecito consentire a o incentivare alcuni attori del procedimento giudiziario (giudici e giurati) a potenziare le loro memorie ai fini di un più efficiente funzionamento del sistema?     La morale ha, o potrebbe avere, un fondamento biologico?  La morale ha un fondamento biologico. La morale serve a tenere insieme i gruppi umani sociali, e ha creato le premesse sociobiologiche per l’affermarsi della religiosità quale sistema di controllo incorporato nelle persone e alimentato socialmente per garantire che i valori morali adattativi in società meno complesse delle nostre siano mantenuti e trasmessi.     In prospettiva: quali sono a suo avviso i possibili intrecci tra acquisizioni neuroscientifiche e diritto penale? Quale impatto potrebbero avere sugli attuali meccanismi di attribuzione della responsabilità e di applicazione della pena?  Su questo punto la penso come chi ha detto che con l’arrivo delle neuroscienze, nel diritto, “cambia tutto e non cambia niente”[1].  Vale a dire che il concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi teorico-fattuali. Mentre si potrebbe affermare un concetto consequenzialista(utilitarista) della concezione della pena, più vicino al diritto positivo.   Il concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi teorico-fattuali  In Italia, come vengono accolte dalla magistratura le evidenze neuroscientifiche? E a livello internazionale?      L’Italia è all’avanguardia, se così si può dire, nell’uso di prove neuroscientifiche in tribunale. Due sentenze in particolare, Trieste 2009 e Como 2011, riconobbero il ruolo causale di tratti neurogenetici nel comportamento delittuoso, e di conseguenza attribuirono uno sconto di pena.  Le sentenze italiane sono state accolte con allarme in diversi contesti internazionali. Ma c’è poco da fare: se queste conoscenze e tecnologie acquisiranno una base sperimentalmente solida e consentiranno di prevedere con buona attendibilità le predisposizioni a commettere reati, è inevitabile che entreranno a far parte dello strumentario di lavoro dei giudici.  Tuttavia, esiste un’ambivalenza in Italia, come in altri paesi, verso l’uso delle prove neuroscientifiche. Intanto in Italia non tutti i giudici hanno ancora chiaro cosa sia una perizia neuroscientifica e ignorano criteriepistemologicamente validi e formalmente definiti per scegliere periti che apportino davvero prove scientifiche e controllate nel contesto di un dibattimento processuale. Ciò sebbene la Cassazione abbia in sentenze recenti fatto proprio lo Standard Daubert, che elenca regole di ammissibilità delle prove nei processi statunitensi.  Inoltre, si tratta comunque di definire cosa implica una diminuita imputabilità per colui che commette un reato, in quanto le sue azioni e decisioni dipendevano dal modo di funzionare del cervello e dalla sua dotazione genetica. Questo individuo è meno libero di altri e quindi anche meno responsabile, e quindi le sanzioni dovrebbero essere volte a ridurre al minimo le probabilità di reiterazione del o dei reati.  [1] Il riferimento è al noto scritto di J. Greene, J. Cohen, For the law, neuroscience changes nothing and everything, in Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci, 359, 2004, pp. 1775 ss. Gilberto Corbellini. Keywords: darwinismo politizzato, Dawkins’ selfish gene – read selfish gene – medicina in Roma antica -- evoluzione, emergentismo, biologia filosofica, grammatical del vivente, cooperazione, altruismo, razionalita, utilitarismo, darwinismo sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corbellini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770795219/in/dateposted-public/

 

Grice e Cordeschi – la logica della guerra – filosofia italiana – Luigi Speranza (L’Aquila). Filosofo. Grice: “Cordeschi is fine if you are into how we can model a pirot from an automaton – Descartes’s old idea!” -- Roberto Cordeschi (L'Aquila) filosofo.  Si laurea a Roma sotto Somenzi. Si appassiona subito alla storia della cibernetica, di cui Somenzi fu tra i primi studiosi e contributori in Italia. Con la co-supervisione di Radice discute una tesi sui Teoremi di incompletezza di Gödel. Insegna a Morino, Avezzano, Torino, Roma, e Saerno. Altre opere: “Turing” – homo mechanicus (Alan Mathison); “Turing’s homo mechanicus” (Pisa: Edizioni della Normale); “La cibernetica in Italia” (Roma: Scienze, Istituto della Enciclopedia Italiana); “Un padrino per l’Intelligenza Artificiale. Sapere; “L’intelligenza meccanica”; Alfabeta; “Dalla cibernetica a internet: etica e politica tra mondo reale e mondo virtuale; “Dal corpo bionico al corpo sintetico. Roma: Carocci); “Somenzi. testimonianze. Mantova: Fondazione Banca Agricola Mantovana); “Natura, machina, cervello e conoscenza”; “Autonomia delle macchine: dalla cibernetica alla robotica bellica” (Roma: Armando); “Rap-resentare il concetto: filosofia e modello computazionale”. Sistemi Intelligenti, “Fare a meno delle metafore: il metodo sintetico e la scienza cognitive” (Milano: Franco Angeli). Nuove prospettive nell’Intelligenza Artificiale, XXI SecoloNorme e idee. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani), “Quale coscienza artificiale? Sistemi intelligenti, “Adattamento” e “selezione” nel mondo della natura” (Milano: Franco Angeli); “Computazionalismo sotto attacco” (Padova: CLEUP); Premessa al Documento di Dartmouth, Sistemi Intelligenti, “Psicologia, fisicalismo e Intelligenza Artificiale. Teorie e Modelli; “Forme e strutture della comunicazione linguistica. Intersezioni. Filosofia dell’intelligenza artificiale. In Floridi L., a cura di. Linee di ricerca, SWIF. Una lezione per la scienza cognitiva. Sistemi Intelligenti, Funzionalismo e modelli nella Scienza Cognitiva. Forum SWIF. CVecchi problemi filosofici per la nuova Intelligenza Artificiale. Networks. Rivista di Filosofia dell’Intelligenza Artificiale e Scienze Cognitive, In ricordo di Vittorio Somenzi Quaderno Filosofi e Classici SWIF; Intelligenza artificiale. Manuale per le discipline della comunicazione. Roma: Carocci. L’intelligenza Artificiale: la storia e le idee. Roma: Carocci); “Naturale e artificiale” (Bari: Edizioni Laterza); La scoperta dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine intorno alla cibernetica. Milano-Bologna: Dunod-Zanichelli); “Pensiero meccanico” e giochi dell’imitazione. Sistemi Intelligenti; Prospettive della Logica e della Filosofia della scienza. Atti del Convegno SILFS. Pisa: ETS. I modelli della vita mentale, oggi e domani. Giornale Italiano di Psicologia, Filosofia della mente. Quaderni di Le Scienze, L’intelligenza artificiale. In: Bellone, E., Mangione, C., a cura di. Geymonat L., Storia del pensiero scientifico. Il Novecento,  3, Milano: Garzanti); Somenzi, V., La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati Boringhieri); Indagini meccanicistiche sulla mente: la cibernetica e l’intelligenza artificiale. In: Somenzi, V., Cordeschi, R., a cura di. La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati Boringhieri: Qualche problema per l’IA classica e connessionista. Lettera matematica PRISTEM, Una macchina protoconnessionista. Pisa: ETS: Le radici moderne del recupero scientifico della teologia. Nuova Civiltà Delle Macchine); Scienza e filosofia della scienza; La mente nuova dell’imperatore. La mente, i computer, le leggi della fisica. Milano. Wiener. In: Negri, A., a cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti,  5, Milano: Marzorati, Turing. In: Negri, A., a cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti,  5, Milano: Marzorati: Significato e creatività: un problema per l’intelligenza artificiale. L’Automa spirituale: Menti, Cervelli e Computer, Cervello, mente e calcolatori: précis storico dell’intelligenza artificiale. In: Corsi, P., a cura di. La fabbrica del pensiero. Dall’arte della memoria alle neuroscienze, Milano: Electa: L’intelligenza artificiale tra psicologia e filosofia. Nuova Civiltà delle Macchine, Mente, linguaggio e realtà. Milano: Adelphi. Linguaggio mentalistico e modelli meccanici della mente. Osservazioni sulla relazione di Margaret Boden. L’evoluzione dei calcolatori e l’intelligenza artificiale. Manuscript; La psicologia meccanicistica, Storia e critica della psicologia, La teoria dell’elaborazione umana dell’informazione. Aspetti critici e problemi metodologici. Roma: Editori Riuniti); Dal comportamentismo alla simulazione del comportamento. Storia e Critica della Psicologia, I sillogismi di Lullo. Atti del Convegno Internazionale di Storia della Logica. San Gimignano: Il duro lavoro del concetto: il neoidealismo e la razionalità scientifica. Giornale critico della Filosofia Italiana; La psicologia come scienza autonoma: Croce, De Sarlo e gli “sperimentalisti”. Per un’analisi storica e critica della Psicologia, 2Dietro una recensione crociana di Couturat. Quaderni di Matematica, Metodi per la risoluzione dei problemi nell’intelligenza artificiale, Per un’analisi storica e critica della psicologia, 2. Manuscript. La psicologia tra scienze della natura e scienze dello spirito: Croce e De Sarlo. In: Cimino G., Dazzi N. (1980), a cura di. Gli studi di psicologia in Italia: Aspetti teorici scientifici e ideologici, Quaderni di storia critica della scienza. Nuova serie. 9, Pisa: Domus Galileana); Una critica del naturalismo: note sulla concezione crociana delle scienze. Critica marxista; Introduzione alla logica. Roma: Editori Riuniti. Predicati. In: CIntroduzione alla logica. Roma: Editori Riuniti. Elementi di logica matematica. Roma: Editori Riuniti); Bilancio dell’empirismo contemporaneo. Scientia; La filosofia di Leibniz: esposizione critica con un’appendice antologica. Roma: Newton Compton Italiana); Filosofia e informazione. Padova: La Cultura; Validità e reiezione nella logica aristotelica. Il problema della decisione. Report: Storia della Filosofia Antica. Istituto di Filosofia, Roma. Manuscript. In generale, nella implicatura robotica c’è la tendenza a ricorrere al vocabolario delle rappresentazioni solo quando, per così dire, non se ne può fare a meno, ovvero, più precisamente, quando si lascia il livello puramente reattivo nel quale il lessico delle rappresentazioni sarebbe banale, per passare a quello topologico e, a maggior ragione, a quello metrico o delle mappe cognitive. Due robot puramente reattivi sono capaci di risolvere alcuni compiti per i quali, nella ricerca su animali (la squarrel Toby di Grice), si erano invocate rappresentazioni complesse come le mappe cognitive. Questi stessi robot reattivi, man mano che si riducono le restrizioni sull’ambiente, diventano sempre meno abili nell’affrontare quegli stessi compiti, che possono essere risolti solo da agenti dotati di stati interni (attitudine psicologica) ai quali essi riconoscono lo status di rappresentazioni. La massima sarebbe in questi casi quella di esaminare tutti i modi possibili di spremere l’ultima goccia di informazione dal livello reattivo prima di parlare dell’influenza della rappresentazione, modello del mondo o mappa sul comportamento intelligente. Circa la natura delle rappresentazioni, una volta ammesse, le opinioni sono contrastanti, e riflettono la varietà dei punti di vista ormai usuale in intelligenza artifiziale e intelligenza naturale, classica o nouvelle che sia. Si può parlare di rappresentazione anche per i pattern connessionisti, a patto di distinguere la relativa computazione. La rappresentazione e solo simbolica, quale che sia la loro complessità, e un pattern connessionista, non essendo considerato simbolico, non e una rappresentazione. Si parla di una rappresentazione che possono essere di diversa complessità e accuratezza, esplicita (spliegatura) o implicita (impiegatura), metrica o topologica, centralizzata o distribuita. E in generale si parla di ra-presentazione simbolica quando si è in presenza di un costrutto dotato di proprietà ritenuta analoga a quella del segno. Ricorrenti valutazioni polemiche da parte di alcune tendenze dell’IA nouvelle identificano nell’Ipotesi del Sistema Fisico di Simboli il paradigma linguistico per eccellenza dell’IA classica. Tuttavia, un confronto di qualche anno fa tra sostenitori e critici di questa ipotesi mostra come questa interpretazione sia quanto meno opinabile. Sarebbe opportuno tenerne conto, per evitare di porre in un modo troppo sbrigativo l’identificazione tra simbolo e  il concetto piu generale di segno in IA classica e per affrontare senza pregiudizi i difficili problemi che stanno alla base della costruzione di un modello di conversazione, tra i quali quello della natura della rappresentazione. Mi riferisco all’interpretazione in termini di un sistema di elaborazione simbolica dell’informazione (dunque in termini di un sistema fisico materiale di simboli) di sistemi tradizionalmente non considerati tali, come quelli proposti dai teorici dell’azione situata. L’idea di simbolo che sta alla base di questa ipotesi è che un simbolo è un pattern che denota, e la nozione di denotazione è quella che dà al simbolo la sua capacità rappresentazionale. Il pattern puo denotare altro pattern, sia interni al Si veda per una formulazione particolarmente esplicita (Gallistel 1999). 12 Detto in breve, tali proprietà riguardano, tra l’altro, la produttività, ovvero la capacità di generare e capire un insieme illimitato di frasi, e la sistematicità, ovvero la capacità di capire ad esempio tanto aRb quanto bRa. Fodor ne ha fatto la base per la sua controversa ipotesi del “linguaggio del pensiero” Per una introduzione all’argomento, si veda (Di Francesco 2002). 13 Per pattern si intende, come sarà più chiaro nel seguito, una struttura fisica, biologica o inor- ganica, che può essere oggetto di processi computazionali—codifica, decodifica, registrazione, cancellazione, cambiamento, confronto—i quali occorrono in sistemi diversi, in un calcolatore e nel sistema nervoso, anche se in quest’ultimo caso non sappiamo nei dettagli come. Questa tesi provocò diverse reazioni (si vedano i volumi 17 e 18 di Cognitive Science). Si noti che nelle intenzioni di Simon e Vera la tesi non comporta che ogni pattern sia dotato di meccanismo  sistema che esterni ad esso (nel mondo reale), e anche stimoli sensoriali e azioni motorie. Processi tanto biologici quanto inorganici possono essere simbolici in questo senso e, dal punto di vista sostenuto da Simon e Vera, i relativi sistemi sono sempre sistemi fisici di simboli, ma a diversi livelli di complessità. Per esempio, nel caso più semplice che riguarda gli organismi, anche l’azione riflessa (subcorticale) è un processo simbolico: la codifica di un simbolo provocata da un ingresso sensoriale, poniamo la bruciatura di una mano, dà luogo alla codifica di un simbolo motorio, con la conseguente rapida effettuazione dell’azione, in questo caso il ritirare la mano. Più precisamente, l’idea è che “il sistema nervoso non trasmette certo la bruciatura, ma ne comunica l’occorrenza. Il simbolo che denota l’evento [la brucia- tura] viene trasmesso al midollo spinale, che a sua volta trasmette un simbolo ai mu- scoli, i quali esercitano la contrazione che consente di ritirare la mano.” Nel caso degli artefatti, già il solito termostato è un sistema fisico di sim- boli, sebbene particolarmente semplice: il suo livello di tensione è un simbolo che denota uno stato del mondo esterno. Come ho ricordato, anche Brooks ha finito per riconoscere alle rappresentazioni un loro ruolo nel comportamento dei suoi robot, se non altro alle rappresentazioni “relati- ve al particolare compito per il quale sono usate” (i “modelli parziali del mondo”), quali potrebbero essere, a diversi livelli di complessità, quelle usate da agenti naturali come Cataglyphis o da agenti artificiali come Toto o il solutore di labirinti sopra ri- cordato. Simon e Vera considererebbero senz’altro agenti del genere come sistemi fisici di simboli, dotati di un’attività rappresentazionale molto sofisticata, anche se specializzata a un compito particolare. Ma essi includono tra i sistemi fisici di simboli anche artefatti molto più semplici, come il ricordato termostato, e agenti robotici pu- ramente reattivi o collocabili al livello del taxon system (che, seguendo Prescott, era stato definito come una catena di associazioni consistenti in coppie <stimolo, risponsa>). Secondo i due autori, i primi robot alla Brooks sono (un tipo relativamente sem- plice di) sistemi fisici di simboli: anche l’interazione senso-motoria diretta di un agen- te con l’ambiente nella misura in cui dà luogo a un comportamento coerente alle rego- larità dell’ambiente, non può essere considerata se non come manipolazione simboli- ca. Ho ricordato sopra il semplice comportamento reattivo di Allen, che tramite sonar evita ostacoli presenti in un ambiente reale. In questo caso, i suoi ingressi sensoriali danno luogo a un processo di codifica, e i costrutti in gioco (i simboli, secondo la definizione sopra ricordata) che risultano da tale interazione sensoriale, e poi motoria, dell’agente con l’ambiente sono rappresentazioni interne (degli ostacoli esterni da evitare) in un senso non banale: l’informazione sensoriale captata dal robot è converti- ta in simboli, i quali sono manipolati al fine di determinare gli appropriati simboli motori che evocano o modificano un certo comportamento. L’assenza di memoria in questo tipo di agente comporta che l’azione sia eseguita senza una rappresentazione esplicita del piano e dell’obiettivo che orienta l’azione stessa (senza pianificazione), ma non che non ci sia attività rappresentazionale simbolica. Qual è la natura di questi simboli, di queste rappresentazioni simboliche? denotazionale, cosa che evidentemente renderebbe banale questa definizione di simbolo: ci sono pattern che non denotano, tanto naturali quanto artificiali. Sulla sufficienza della denotazione per caratterizzare la nozione di simbolo (come di rappresen- tazione) si è molto discusso. Nel caso degli artefatti più semplici si tratta di rappresentazioni analogiche che stabiliscono e mantengono la relazione funzionale del sistema con l’ambiente. Questo, si è visto, è già vero per il solito termostato. Nel caso di (come pure di certi sistemi connessionisti, o che includono sistemi connessioni- sti), tali rappresentazioni (analogiche) hanno carattere temporaneo (senza intervento di memoria) e distribuito (non sono sottoposte a controllo centralizzato). In questi casi, una rappresentazione certo imprecisa ma sufficientemente efficace è fornita da un sonar sotto forma di un pattern interno fisico (un pattern di nodi della rete, nel caso di un sistema connessionista): essa denota o rappresenta per il robot un ostacolo o una certa curvatura di una parete o di un percorso. Una volta che tale pattern venga comu- nicato a uno sterzo, esso determina l’angolo della ruota sterzante del carrello del ro- bot. Per quanto diversa a seconda dei casi, è sempre presente un processo di codifica- elaborazione-decodifica non banale, che stabilisce una ben precisa relazione funziona- le tra il sistema e l’ambiente, e spiega il comportamento coerente dell’agente nell’interazione con il mondo. Non parlare di rappresentazioni interne, e limitarsi a dire che un agente “intrattiene certe relazioni causali con il mondo, non spiega come tali relazioni vengano mantenute. E’ del tutto ragionevole sostenere che un agente mantiene l’orientamento verso un oggetto tramite una relazione causale (Grice, “La teoria causale della percezione”) con esso e che tale relazione è un pattern di interazione, ma non ha senso pensare che tale pattern venga prodotto per magia, senza un corrispondente cambiamento di stato rappresenta- zionale dell’agente, ovvero che esso possa aver luogo senza una rappresentazione interna fosse pur minima.” Rappresentazioni più complesse, che sono alla base di un’attività non semplicemente percettiva diretta, sono presenti in altri casi, quando entrano in gioco la me- moria, l’apprendimento, il riconoscimento di oggetti e l’elaborazione di concetti, la formulazione esplicita di una mappa o di piani alternativi, sotto forma di rappresentazioni off-line, e ancora. In molte di queste attività “alte” intervengono rappresentazioni esplicite, linguistiche e metriche, ma se si riconosce che la cognizione richiede questo tipo di rappresentazioni, è difficile mettere in dubbio che tali attività non condividono con attività più “basse” come la percezione, sulle quali esse vengono elaborate, il meccanismo denotazionale, sia pure in una forma minimale. A meno di restringere arbitrariamente la nozione di rappresentazione e di simbolo, non c’è ragione di riservarla esclusivamente a pattern linguistici, o ai costrutti della semantica denotazionale (variabili da vincolare ecc.). Penso si possa sottoscrivere questa conclusione di Bechtel: “la nozione base [di rappresentazione] è effettivamente minimale, tale da rende- re le rappresentazioni più o meno ubique. Esse sono presenti in ogni sistema organiz- zato che si è evoluto o è stato progettato in modo da coordinare il suo comportamento con le caratteristiche dell’ambiente. Ci sono dunque rappresentazioni nel regolatore, nei sistemi biochimici e nei sistemi cognitivi”. Il riferimento di Bechtel al regolatore di Watt è polemico nei confronti di van Gelder, che ne faceva il prototipo della sua concezione non computazionale e non simbolica della co- gnizione. In realtà questo tipo di artefatti analogici (sistemi a feedback negativo e servomecca- nismi) erano stati interpretati come sistemi rappresentazionali già all’epoca della cibernetica, in primo luogo da Craik, che ne aveva fatto la base per una “teoria simbolica del pensie- ro”, come egli la chiamava, per la quale “il sistema nervoso è visto come una macchina calcola- trice capace di costruire un modello o un parallelo della realtà”. Non entriamo in questa sede sui diversi problemi relativi al contenuto delle  Simon e Vera distinguono il livello della modellizzazione simbolica da quello della realizzazione fisica (sia biologica che inorganica) di un agente. Nell’interazione con l’ambiente, un agente ha un’attività rappresentazionale che è data dalle caratteri- stiche specifiche del suo apparato fisico di codifica-elaborazione-decodifica di simboli. Si pensi ancora alla codifica, molto approssimativa ma generalmente efficace, at- traverso sonar degli ostacoli da parte di un robot reattivo, e alla relativa decodifica che si conclude in un ben determinato movimento. La modellizzazione simbolica di questa capacità non appare in linea di principio diversa da quella “alta” sopra ricordata. L’idea è che tutti questi tipi o livelli di rappresentazioni, da quelli legati alla percezio- ne a quelli più alti della “ricognizione”, possono essere opportunamente modellizzati attraverso regole di produzione, come livello di descrizione di un sistema fisico di simboli. Un robot basato sull’architettura della sussunzione non fa eccezione. Ad esempio, il funzionamento di un modulo reattivo al livello più basso dell’architettura, che con- trolla la reazione di evitamento di ostacoli, potrebbe essere reso da un’unica regola di produzione del tipo “se c’è un ostacolo rilevato attraverso sonar e bussola allora fermati”. Questa possibilità sembra essere stata presa in considerazione dallo stesso Brooks, che però la respingeva in questi termini: “Un sistema di produzione standard in realtà è qualcosa di più [di un robot behavior-based], perché ha una base di regole dalla quale se ne seleziona una attraverso il confronto tra la precondizione di ogni regola e una certa base di dati. Le precondizioni possono contenere variabili che de- vono essere confrontate con costanti nella base di dati. I livelli dell’architettura della sussunzione funzionano in parallelo e non ci sono variabili né c’è bisogno di tale confronto. Piuttosto, vengono estratti aspetti del mondo, che evocano o modificano direttamente certi comportamenti a quel livello. Tuttavia, se distinguiamo il livello della realizzazione fisica da quello della sua modellizzazione, quella che Brooks chiama l’estrazione degli “aspetti del mondo” rilevanti per l’azione è descritta in modo adeguato da un opportuno sistema di regole di produzione, e tramite tale sistema un certo comportamento di una sua creatura può essere evocato o modificato nell’interazione con l’ambiente. E questo modello (a regole di produzione) delle regolarità comportamentali di diversi livelli dell’architettura della sussunzione può essere implementata in un dispositivo che, grazie all’elevato grado di parallelismo, presenta doti di adattività, robustezza e rispo- sta in tempo reale paragonabili a quelle di un dispositivo behavior-based. In questo senso, le regole di descrizione danno una modellizza- zione adeguata del comportamento di un agente situato. Oltre alle risposte automatiche, che nel caso dell’azione riflessa o “innata” e di quella reattiva possono essere rese attraverso un’unica regola di produzione (qualcosa che corrisponda a una relazione comportamentista S→R), esistono le azioni automa- rappresentazioni, al ruolo dell’utente degli artefatti e alla natura della spiegazione cognitiva. L’articolo di Bechtel contiene una disanima efficace di questi problemi, rispetto a posizioni diverse come quella sostenuta da Clancey contro la tesi di Vera e Simon. In breve, le regole di produzione hanno la forma “se... allora”, o CONDIZIONE → AZIONE. La memoria a lungo termine di un sistema fisico di simboli è costituita da tali regole: gli antecendenti CONDIZIONE permettono l’accesso ai dati in memoria, codificati dai conseguenti AZIONE. tizzate a seguito dell’apprendimento, quando cioè le regolarità relative a un certo comportamento sono state memorizzate, o quelle che comportano una relazione “di- retta” con il mondo tramite le affordance alla Gibson. Un esempio sono le risposte immediate che fanno seguito a sollecitazioni improvvise o impreviste provenienti dall’ambiente Ora i teorici dell’azione situata (e, come si è visto, i nuovi robotici) insistono sul fatto che questi casi di interazione diretta con l’ambiente si svolgono in tempo reale, senza cioè che sia possibile quella presa di decisione, diciamo così, meditata che ri- chiede la manipolazione di rappresentazioni e la pianificazione dell’azione. Si pensi all’esempio di Winograd e Flores dell’automobilista che, guidando, affronta una curva a sinistra. In primo luogo, secondo i due autori, non è necessario che egli faccia continuamente riferimento a conoscenze codificate sotto forma di regole di produzione—non è necessario riconoscere una strada per accorgersi che è “percorribi- le” (la “percorribilità”, questa è la tesi, è colta nella relazione diretta agente- ambiente). In secondo luogo, la decisione è presa dall’agente, per così dire, senza pensarci (senza pensare di posizionare le mani, di contrarre i muscoli, di girare lo sterzo in modo che le ruote vadano a sinistra ecc.). Tutto ciò avviene automaticamente e immediatamente, dunque senza applicare qualcosa come una successione di regole di produzione “se p, q”. In conclusione, la tesi è che non è possibile modellizzare questo aspetto della presa di decisione istantanea, o in tempo reale, attraverso un dispositivo che comporta codifica-elaborazione-decodifica di simboli, dunque computazioni, regole di produzione e così via. L’obiettivo della critica di Winograd e Flores è la teoria della presa di decisione nello spazio del problema, con il quale ha a che fare l’agente a razionalità limitata di Simon. Ora, se prendiamo sul serio la teoria di Simon, va detto che alla base del carat- tere limitato della razionalità dell’agente sta la complessità dell’ambiente non meno dei limiti interni dell’agente stesso (limiti di memoria, di conoscenza della situazione ecc.). Nel prendere la decisione, quest’ultimo, secondo la teoria di Simon, in generale non è in grado di considerare, come spazio delle alternative pertinenti, lo spazio di tutte le possibilità, ma solo una parte più o meno piccola di esso, e questa selezione avviene sulla base delle sue conoscenze, aspettative ed esperienze precedenti. Ora una presa di decisione istantanea, non meno di una presa di decisione meditata, è condi- zionata da questi elementi, i quali, una volta che abbiano indotto, poniamo attraverso l’apprendimento, la formazione di schemi automatici di comportamento (di risposte motorie, nell’esempio di sopra), finiscono per determinare l’esclusione immediata di certe alternative possibili (come, nell’esempio della guida, innestare la marcia indietro) a vantaggio di altre (come scalare marcia, frenare ecc.), e tra queste altre quelle suggerite dalla conoscenza dell’ambiente stesso (fondo strada bagnato ecc.) e dalle Le affordance, nella terminologia di Gibson (1986) sono invarianti dell’ambiente che vengo- no “colte” (picked up) dall’agente “direttamente” nella sua interazione con l’ambiente stesso, e “direttamente” viene interpretato come: senza la mediazione di rappresentazioni e di computa- zioni su esse. Un esempio sono i movimenti dell’agente in un ambiente nel quale deve evitare oggetti o seguirne la sagomatura e così via: un po’ quello che fanno i robot reattivi di cui ho parlato. L’esempio del termostato è ricorrente in scienza cognitiva e in filosofia della mente dai tempi della cibernetica. E’ evidente che definire sistemi fisici di simboli artefatti di questo tipo (e del tipo dei robot di Brooks, come vedremo) comporta rinunciare al requisito dell’universalità per tali sistemi (sul quale si veda Newell 1980).  aspettative pertinenti.17 Secondo le stesse parole di Simon “il solutore di problemi non percepisce mai Dinge an sich, ma solo stimoli esterni filtrati attraverso i propri pre- concetti” (Simon 1973: 199). Di norma, dunque, l’informazione considerata dall’agente non è collocata in uno spazio bene ordinato di alternative, generato dalla formulazione del problema: tale informazione è generalmente incompleta, ma è pur sempre sostenuta dalla conoscenza della situazione da parte dell’agente. La proposta è, dunque, che la modellizzazione a regole di produzione di un’azione del genere, e in generale di una affordance, è un simbolo che, via il sistema percettivo di codifica, raggiunge la memoria del sistema per soddisfare la CONDIZIONE di una regola di produzione esplicita. In questo modo, soddisfatta la CONDIZIONE, si attiva la regola, e la produzione (la decodifica) del simbolo di AZIONE avvia la risposta motoria. Da questo punto di vista, le affordance sono rappresentazioni di pattern del mondo esterno, ma con una particolarità: quella di essere codificate in un modo particolar- mente semplice. Nell’esempio di sopra, una volta che si sia imparato a guidare, la regola è qualcosa come: “se la curva è a sinistra allora gira a sinistra”. Questa regola rappresenta la situazione al livello funzionale più alto nel quale la rappresentazione che entra in gioco è “minima”. Un termine del genere, a proposito delle rappresentazioni, lo abbiamo visto usato da Gallistel, ma per Simon e Vera il termine rimanda alla forma della regola indicata, che può essere rapidamente applicata: in questo caso, cioè, non c’è bisogno di evocare i livelli “bassi” o soggiacenti, quelli coinvolti con l’analisi dettagliata dello spazio del problema e con l’applicazione delle opportune strategie di soluzione, che comportano computazioni generalmente complesse, sotto forma di successioni di regole di produzione. Questi livelli intervengono nelle fasi dell’apprendimento (quando si impara come affrontare le curve), e possono essere evocati dall’agente quando la situazione si fa complicata (si pensi a una curva a raggio variabile, che rivela la complessità dell’interazione codi- fica percettiva-decodifica motoria). E tanto un apprendimento imperfetto quanto una carenza, per i più svariati motivi, dell’informazione percettiva rilevante possono anche ostacolare l’accesso ai livelli soggiacenti che potrebbero dare luogo alla risposta cor- retta (non tutti coloro che hanno imparato a guidare riescono ad affrontare tutte le curve con pieno successo in ogni situazione possibile). Insomma, in questa interpretazione di Simon e Vera l’interazione in tempo reale dell’agente con l’ambiente è data non dal fatto di essere non simbolica e di non poter essere modellizzata mediante regole di produzione, ma dal fatto di non dover accede- re, per dare la risposta corretta, alla complessità delle procedure di elaborazione sim- bolica dei livelli soggiacenti a quello alto. E’ nell’attività cognitiva ai livelli soggiacenti, allorché si elaborano piani e strategie di soluzione di problemi, che viene evidenziata la consapevolezza dell’agente. Simon e Vera ponevano infine un problema che riguarda i limiti degli approcci reattivi, sul quale mi sono già soffermato, e che mi sembra condivisibile: “E’ tuttora dubbio se questo approccio behavior-based si possa estendere alla soluzione di pro- blemi più complessi. Le rappresentazioni non centralizzate e le azioni non pianificate possono funzionare bene nel caso di creature insettoidi, ma possono risultare insuffi- cienti per la soluzione di problemi più complessi. Certo, la formica di Simon non ha 17 Su questo tipo di comportamento, che può essere visto in termini di “percezione attesa”, si veda bisogno di una rappresentazione centralizzata e stabile del suo ambiente. Per tornare al nido zigzagando essa non usa una rappresentazione della collocazione di ciascun gra- nello di sabbia in relazione alla meta. Ma gli organismi superiori sembrano lavo- rare su una rappresentazione del mondo più robusta, [...] una rappresentazione più complessa di quella di una formica, più stabile e tale da poter essere manipolata per astrarre nuova informazione”. La successiva evoluzione della robotica sembra confermare questa osservazione. Roberto Cordeschi. Cordeschi. Keywords: la logica della guerra, Croce, sperimentalismo italiano, mente, homo mechanicus, Turing, Craik, artificiale e naturale, filosofia, rappresentare il concetto, logica matematica, reiezione in Aristotele, predicate, significato, communicazione, creativita, informazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cordeschi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770728714/in/dateposted-public/

 

Grice e Corleo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Salemi). Filosofo. Grice: “Corleo is a genius --  His keyword is identity, the Hegelian type, and that’s why he attracted Gentile’s attention! But my favourite is his excursus on language! He talks like a veritable Griceian – about ‘intenzione’ and ‘pre-convezione’ – and the spontaneous cry to seek attention, Romolo from Remo, say – He very much elaborates on the subject and the predicate and the copula, and the other parts of speech – But he retains an empiricist, evolutionary viewpoint with which I wholly agree!” Studia nel Seminario vescovile di Mazara del Vallo, laureandose a Palermo. Crea un seminario di psicologia filosofica. Liberale, aderì alla rivoluzione siciliana. Su saggio, “Progetto per una adeguata costituzione siciliana”.  Durante la spedizione dei mille, fu nominato da Garibaldi governatore di Salemi – Saggio: “Garibaldi e i Mille”. Saggio: “Storia dell’enfiteusi dei terreni ecclesiastici in Sicilia”. Diviene conte di Salemi.  Altre opere: “Meditazioni filosofiche”; “Il sistema della filosofia universale; ovvero, la filosofia dell’identità”; “Per la filosofia morale”; “Lezioni di filosofia morale”. Dizionario biografico degli italiani. La regola d'identità, dipendente dall’esperienza e dal concetto appartene a qualunque specie di giudizio, giudizio affermativo (S e P) o giudizio negativo (S non e P), giudizio condizionale (Si p, q), giudizio tetico (S e P), giudizio ipotetico (Si p, q), giudizio disgiuntivo (p o q), e via via ; poichè ,ogni proposizione o giudizio, semplice or complessa, debbe congiungere un predicate ad un soggetto (S e P) o negare un predicato ad un soggetto (S non e P), e ciò non può farsi altrimenti che in forza della identità parziale o totale del predicato stesso col soggetto, ovvero del contrario o contrapposto del predicato in caso di giudizio negativo, sia cotesta identità assoluta, o sperimentale, sotto condizione, problematica, o in forma disgiuntiva. Il raciocinio è un complesso di giudizi che serve a scoprire una verità incognita per mezzo di una verità nota, o a dimostrare il nesso ignoto tra due verità conosciute. Onde il raciocinio deve esser fodato sulla medesima legge d'identità, che costituisce l'essenza dei giudizi di cui è composto. Ogni passaggio da una verità ad un'altra, da un giudizio ad un altro, è giustificato dalla connessione che deve esistere tra loro. Se connessione non vi è, non si può dall'uno inferir l'altro, non vi è passaggio legittimo o accettabile dal noto all'ignoto, e molto meno si può scoprire il nesso incognito tra due veri conosciuti. Or, questa stessa connessione non è che effetto d'identità. Parrà strano che la connessione si debba risolvere anch'essa in identità; ma riflettendo con attenzione, si scorge chiaro che in fondo è così, nè può essere altrimenti. Se S è connesso con P, ciò non importa che S sia identico con P, ma importa invece che ambidue sieno identici con S-P, cioè, che sieno parti integranti del tutto S-P, di guisa che la loro connessione non *significa* o signa altro, che il loro legame necessario per la formazione di quel tutto complesso proposizionale (S e P); onde se essi non fossero con nessi a comporre il tutto S-P, quel tutto non sarebbe mai quello che è, non sarebbe identico alla somma delle parti che lo costituiscono. Due o più giudizi, tra loro connessi, sono parti integranti di un giudizio di maggiore estensione che tutti li abbraccia, ed è identico con essi come il tutto è identico con la somma delle sue parti. Laonde non può esser vero l'uno senza che sia vero l'altro, perocchè in diverso non sarebbe vero quel giudizio maggiore che risulta dalla verità di tutti i giudizi subalterni dai quali è costituito. Se, per cagion d'esempio, prendiamo ad esaminare ogni teorema geometrico intorno alle proprietà del “triangolo” in genere e delle varie sue specie, scorgiamo tosto che vi ha una continua connessione tra cotesti teoremi, nè puo uno esser vero se non sieno veri tutti gli altri di seguito; onde essi si dimo strano a vicenda. La ragione di ciò è semplicissima. Essi non sono che le parti necessarie di un solo tutto, del concetto di “triangolo” e delle sue specie subalterne, e tutti più o meno mediatamente in quel concetto complessivo sono compresi. Pertanto non vi ha che un identico totale (talora nemmeno avvertito ), il quale, per esser quello che è, ha bisogno che ciascuna delle sue parti sia quella che è, e che tutte insieme concorrano con unità di nesso a costituirlo, come le parti si debbon legare fra loro per unirsi nella identità di un sol tutto. Metto una grande importanza in queste osservazioni sul raziocinio e sulla connessione (consequenza logica) de' suoi membri; poichè l'unica che sembrerebbe scappare dalla rigorosa legge della identità sarebbe la connessione tra i giudizi diversi (premessa e conclusion), di cui consta un ragionamento. Eppure, quella connessione non è altro che il frutto dell'identità totale di un giudizio maggiore e più esteso, il quale abbraccia come sue parti necessarie ogni giudizio subalterno; e quelli sono per l'appunto connessi, perchè tutti in sieme formano un solo e identico giudizio di più larga estensione. Nè fa d'uopo che nel ragionare si abbia presente quel giudizio maggiore, nel quale si congiungono con identità totale i giudizi connessi. Esso opera senza che il ragionatore lo sappia, poichè è virtù dell'identico totale riunire per necessità le parti fra di lor , senza di cui egli non potrebbe esser quello che è. Ciò sapendo, chi ragiona può benissimo salire dai veri connessi a quel vero più ampio che tutti li abbraccia e nella sua unità totale li identifica. Sarà questo un sistema più completo di ragionare, perocchè non ci contenteremo di scorgere il nesso tra parecchi giudizi, di procedere per mezzo di tal nesso alla scoperta di un giudizio novella e di dire che uno essendo vero, tutti gli altri debbono pure esser veri; ma cercheremo ancora in qual giudizio plenario e più esteso essi tutti vadano a connettersi per la identità di unico comune risultato. In ciò consiste l'analiticita logica. Il raciocinio analitico ercano la dimostrazione dei teoremi singoli o la risoluzione dei singoli problemi nella proprietà, o nella funzioni e simili, che sono appunto i giudizii più ampli e plenary, nei quali tutti quei singoli s'identificano come parti di un sol tutto. Nella parte logica la connessione non è che l'identità del tutto più ampio con le sue parti subalterne, senza il cui necessario legame egli non risulterebbe quello che è. Il ragionamento è dimostrativo, quando serve a chiarire il nesso tra verità e verità. Dimostrare niente altro è che legare tra loro i giudizi come connessi, e la connessione pertanto vi è, perchè i loro rispettivi subbietti, quand'anco non si sappia, si raggruppano in unico e identico subbietto più esteso che tutti li abbraccia come tante sue parti: onde vi ha passaggio, dalla identità parziale di un predicato P col suo soggetto S, all'identità parziale dell'altro predicato P2 con l'altro suo soggetto S2, e così di seguito; perocchè essi tutti costituiscono un solo subbietto più esteso, che di tutti quei predicati si compone, e che perciò è identico con la loro somma. Un subbietto subalterno non potrebbe concorrere alla costituzione del subbietto totale, se non possedesse quel tale predicato e se gli altri subalterni non possedessero quelli altri predicati; onde la connessione fra tutti, se è vero l'uno, debbono esser veri gli altri, ed *implicitamente* deve esser vero il giudizio totale, con cui tutti s'identificano. È inventivo e non dimostrativo il raziocinio, quando, dalla verità che si conosce, si passa a quella che s'ignora; ed anco in tal caso la ragion del passaggio è fondata sulla connessione, e perciò sulla legge d'identità, in quanto che dalla identità parziale che si conosce, si sospetta prima e poi si scopre la identità totale. Per causa di alcuni punti d'identità o di parziali somiglianze tra un fenomeno ed un altro, si concepisce la *possibile* identità dei loro elementi in un sol tutto, e delle leggi che li governano. In questo caso vi ha l'*ipotesi* o supposizione, che annunzia come *possibile* identico totale quello che tuttora non è che un identico parziale. La conoscenza dei punti, della cui identità bisogna ancora certificarsi, conduce a cercare la medesima identità con quei mezzi, coi quali essa ordinariamente si osserva in altri simili. Ed allora uno dei due, o si giunge all'accertamento della identità di tutti gli elementi essenziali tra un fenomeno e l'altro, tra una legge e l'altra, e si ha perciò l'identità totale, si ha la tesi o posizione; o non si giunge ad accertarla per ostacoli presentemente insuperabili, di cui però dobbiamo renderci conto, e si resta in tal caso nella identità parziale, nella ipotesi o supposizione, pur sapendo quello che manca e perchè manchi, per poterla trasformare in tesi o posizione quando che sia. Tanto il raziocinio dimostrativo, quanto l'inventivo si valgono dell’esperienza concetto; poichè la *testificazione* della identità parziale tra predicato e soggetto di ogni giudizio, che compone un raziocinio, deve esser data dall’esperienza. Se è composto di giudizi sperimentali, risulta pur esso sperimentale; e la connessione dipende dalla loro parziale identità con un giudizio sperimentale di ordine superiore, il quale talvolta nemmeno è conosciuto, ma vi si deve giungere in forza di altre esperienze, come per lo più accade nel raziocinio inventivo. Siccome pero il giudizio sperimentale e tale temporaneamente, cioè fino a tanto che l'identità del predicato P col soggetto S sia solo testificata dall'esperienza, perchè ancora tutti gli elementi di essa non sono conosciuti, nè si ha l'identico concettuale che dovrebbe trasformare in concettuale il giudizio em pirico, così i raziocinî sperimentali, o anco misti, potranno divenire quando che sia raziocinî concettuali, fondati sull'identità assoluta dei concetti, quando cioè l'esperienza, per la perfetta analisi e sintesi delle parti col tutto, si eleva a concetto fisso ed assoluto con la conoscenza degli elementi proporzionali che costituiscono l'identico totale.Vi ha dunque passaggio dalle verità empiriche e dai ragionamenti empirici alle verità assolute ed ai raziocinî concettuali, a misura che la scienza progredisce nel conoscimento delle parti integranti che costituiscono i subbietti dei giudizi sperimentali, ed a misura che essa discopre il nesso tra quei subbietti parziali ed il subbietto più esteso che tutti l'identifica in un complesso solo. È questo il doppio scopo finale dell’uomo: la cognizione concettuale e necessaria dei fatti sperimentali per mezzo degli elementi proporzionali che li costitui scono, e lo svolgimento dei concetti più complessi nei loro con cetti subalterni, che sono del pari i loro elementi costitutivi. Pertanto l'essenza del raziocinio non può essere collocata in una forma piuttosto che in un'altra; essa consiste nel passaggio dalla identità totale alle identità sparziali che la costituiscono, o dalle identità parziali alla totale per mezzo della scoperta di quelle altre identità parziali che sono con loro connesse per compiere l'identità totale. Bisogna dunque assi curarsi, per mezzo dei concetti, della doppia identità delle parti e del tutto per avere ragionamenti rigorosi; e non potendo giungervi per mezzo dei concetti, assicurarsene per mezzo della esperienza. In questi due soli modi è possibile il raziocinio. Chi cura soltanto la forma esteriore del ragionamento e ripone la logica nello studio delle leggi della FORMA LOGICA, non prende di mira lo scopo vero del raziocinio, che è l'accertamento della identità de' giudizi connessi col tutto di cui sono parti; e perciò corre l'aringo di un VUOTO FORMALISMO alla Hilbert, che non è mai garanzia sicura di esatti ragionamenti. Or, perchè mai i subbietti di tali giudizi son dive nuti concettuali e perciò includono necessariamente i loro pre. Tre sono state le più grandi logiche formali. La prima e l’induzione primitiva: quella che argomenta dal particolare al particolare per mezzo di un generale appoggiato ad altri particolari. La seconda, quella che argomenta il generale dai particolari (necessario se i particolari si presentano con caratteri di necessità , empirico se si presentano soltanto come fatti di esperienza) per poter poi discendere dal generale ad altri particolari: il sillogismo di Aristotele preceduto dalla classificazione dei necessari e degli empirici, predicabili e predicamenti, che costituiscono le sue categorie. Terza legge formale: la induzione di Bacone, e quella che ascende dai particolari empirici ai generali pure empirici, adottata da ogni naturalista sensista e positivista. Il sillogismo di Aristotele fu scompagnato dalla sua precedente classificazione categorica per opera dei neoplatonici come Porfirio e Boezio, che vollero così conciliare a forza Aristotele con Platone, e poi per opera degli scolastici e dei moderni idealisti. Essi hanno adottato la sola argomentazione dal generale al particolare ponendo il generale come idea, che si afferma da sè per la sua evidenza e pei caratteri di necessità, di universalità e di assolutezza che la distinguono, senza indurre le categorie dalla classificazione dei fatti, come fa Aristotele. Niuna pero di queste argomentazioni formali costituisce da sè un esatto ragionamento: esse sono o inutili allo scoprimento del vero, o pericolose di errore, o tali almeno che non posson menare al concetto scientifico e necessario, perchè non conducono al vero identico totale. Difatti la induzione primitiva argomenta da un particolare all'altro in forza d'identità parziali; e peggio, da un certo numero di particolari, che si somigliano in taluni punti, argomenta il generale. Perchè questa casa fuma, perciò si brucia! E perchè il legno delle nostre cucine fumando si brucia, perciò: OGNI cosa che fuma si brucia! Da somiglianze o identità parziali si vuole argomentare l'identità totale di un fatto con un altro, o anche più, l'identità totale di tutti i fatti che parzialmente si assomigliano. Il sillogismo dei neoplatonici e degli scolastici , conchiudendo dal generale al particolare e ponendo il generale in virtù della luce dell'idea, non trova mai verità nuove. Poichè, s'io dico, che il tutto é maggiore della parte, e percið ne deduco che il libro dicati, mentre altri rimangono soltanto empirici e perciò la identità tra predicato e subbietto dev'essere soltanto attestata dal l'esperienza? Chi fa che taluni giudizi siano concettuali ed altri non? D'altra parte, è poi sicuro che le idee che noi abbiamo siano tutte esatte, e non può accadere che vi si contengano predicati che loro non appartengano veramente, in modo che apparisca una identità necessaria tra predicato e subbietto, mentre essa non è che l'effetto di una inclusione di predicato che veramente nel concetto non deve entrare? Quanto alla formazione di un concetto si deve notare, che essa avviene per opera di astrazione, la quale procede in due modi, o spontaneamente, per effetto d'identica presentazione dei punti identici delle percezioni e di separazione dei diversi, ovvero riflessivamente e volontariamente, cioè per deve esser maggiore di ciascuna pagina, non affermo in conclusione una verità nuova; ma dico due proposizioni, di cui l'una è tanto vera e tanto evidente, quanto è vera ed evidente l'altra, nè vi è affatto ragionamento. Se però il generale è posto in forza di un cumulo di esperienze o di fatti (sia quanto si voglia lungo ed esteso quel cumulo) si corre pericolo di errare; poichè allora dalla similitudine, o dalla identità par ziale che hanno fra loro alcuni fatti, si vuol provare che tutti gli altri, i quali abbiano identità parziali conformi, debbano somigliarli in tutto il resto. È allora una induzione mascherata sotto le forme assolute di un sillogismo. Poichè, una delle due: o il particolare, di cui si cerca, si ebbe già presente nella formazione del generale, o il generale fu formato per gli altri particolari simili, ma senza di lui. Nel primo caso, lungi che il particolare, di cui si cerca, acquisti luce dal generale, è desso che con corre a formarle. Nel second , si ha il solito vizio di argomentare da alcune identità parziali, tra un fatto particolare e gli altri dello stesso genere , alla loro totale identità. Perchè moltissimi esseri che hanno la figura umana hanno la ragione, percio qua lunque selvaggio che presenta la figura umana, deve avere la ragione? La induzione baconiana ha lo stesso difetto, perocchè non potendo raccogliere che un certo numero di fatti particolari, grande quanto pur si voglia, da’ essi soli suo generale, e poi ne argomenta agli altri casi particolari per ragione di parziali somiglianze. Essa inoltre non perviene mai al necessario ed all'assoluto, perchè non giunge alla identità concettuale del tutto cogli elementi che lo costituiscono. Tutto al più, vi giunge come la categorizzazione di Aristotele (che per lui deve precedere il sillogismo), cioè ritiene l'assoluto ed il necessario nel generale, perchè i particolari si presentano anch’essi con tali caratteri di necessità e di assolutezza. Il tutto è necessariamente maggiore della parte, o è assolutamente identico alla somma delle parti, perchè con tale necessità ed assolutezza nei fatti singoli il tutto si presenta in tali rapporti con le sue parti. Non si perviene mai all'identico, si rimane sempre nell'empirico, in tutte coteste forme di ragionare. Come la necessità ed assolutezza dell'idea si accetta empiricamente, perchè essa con tali caratteri si presenta alla coscienza, cosi nelle varie suddette forme di ragionare si rimane pur sempre nel passaggio empirico da identità parziali ad altre parziali, o peggio, ad altre total , senza assicurarne la totale identità . rea analisi che l'uomo fa di proposito sui complessi ancora inde composti delle percezioni, e sugli stessi primi astratti tuttavia decomponibili. Seguendo sempre la regola dell'identico e del di verso, con la quale si forma idee tipiche e concettuali delle parti più salienti delle percezioni, e di quelle altre che, pur connettendosi con le percezioni stesse, non potranno mai divenire oggetto immediato di percezione. Nasce da ciò un doppio ordine di concetti ben distinti, cioè di quelli che si formano spontaneamente e primitivamente per l'identica presentazione dei punti identici delle percezioni e per la spontanea separazione dei diversi, e di quelli altri che da sè non si offrono, ma è neces sario l'uomo se li procuri colla propria riflessione e col proprio studio, cioè con l'applicazione della legge dell'identità nelle analisi ulteriori, e se li trasmetta tradizionalmente per non per derli. Nel primo caso, l'identico tipico del concetto si costituisce da sè spontaneamente, e perciò il predicato si trova tosto incluso nel soggetto concettuale di cui fa parte. Nel secondo, l'identico tipico del concetto riflesso si costituisce mediante la voro mentale, e per lungo tempo, in mancanza dell'idea, è d'uopo ricorrere all'esperienza, affinchè essa testifichi l'identità del predi cato col soggetto, non potendo nel soggetto trovarsi il predicato a prima fronte, sino a tanto che non sorga netta e chiara l'idea in tutte le sue parti costitutive. Nei concetti spontanei e primitivi, formati dalla identificazione tipica dei punti più chiaramente identici delle percezioni, non può esservi pericolo di errore, logicamente parlando; poichè identicamente si presenta e si presenterà sempre ciò che identicamente si presenta, e diversamente il diverso. Onde i concetti fissi, fondati sulla identità logica, e perciò as loluti e necessarî. All'incontro, le idee (concetti riflessi) ela borate dall'uomo, ben vero con la stessa regola della identità, ma composte di elementi ch'egli astrae da gruppi diversi e che egli poi mette insieme, possono per avventura non es sere logicamente esatte; poichè per un momento si fallisca o per disattenzione, o per precipitanza, o per pregiudizi, alla rigorosa regola della identità nel condurre l'analisi riflessa, o nel mettere insieme gli elementi astratti dai gruppi diversi, potrà uscirne un'idea monca ed imperfetta nel primo caso, erronea nel secondo. E quel ch'è peggio, divenuta tipica tale idea che contiene o non contiene il predicato, l'operazione del giudizio o del raziocinio, che verrà a cercarlo in essa, riuscirà difettiva oppure erronea, come difettosa o erronea era l'idea. Difettiva o erronea l'idea (cioè, mancante di elementi necessari, o intrusi in essa elementi che non le convengono), sarà sempre causa di errore nel giudizio ideale che su di essa si fonderà per legge logica d'identità, e conseguentemente nel raziocinio . Nello stesso modo, un'esperienza mal condotta o per difetto o per syista e confusione di una cosa con un'altra, sarà fonte d'errore nel giudizio empirico, e quindi nel ragionamento che da esso prenderà le mosse. Gli errori di esperimento si correggono con la ripetizione e col controllo di tutti quelli che se ne occupano. Gli errori però dell'idea debbonsi correggere con un buono ed accurato esame ideologico, al quale debbono collaborare tutti gli studiosi delle rispettive materie. Ma qual sarà la regola, con la quale si potrà fare l'esame delle idee, o di quei concetti riflessi che l'uomo si è formati col proprio lavoro, per conoscere se elementi vi man chino, o se vi siano intrusi degli elementi che non possono en trarvi? La regola dell'esame non può essere che quella stessa la quale deve presiedere alla loro formazione, cioè quella del l'identità totale dell'idea con l'identità parziale dei singoli ele menti che la costituiscono. L'idea deve essere decomposta nei suoi elementi, e deve essere osservato se tra essi e l'idea vi sia perfetta e totale identità : così soltanto potranno includersi quelli che difettano e potranno escludersi quelli che non convengono ; poichè nell'uno e nell'altro caso l'identico totale mostra quello che gli manca, o quello che gli conviene, per essere quel che è. In tal modo è possibile l'esame, e la rettificazione delle idee, occorrendo ; ed in ciò consiste un buon trattato d'Ideologia. La scuola empirica , duce il Locke, aveva già compreso la necessità dell'esame delle idee , all'oggetto di non ammetterle soltanto in forza dei loro caratteri este riori di evidenza , necessità , universalità ed assolutezza , con cui s'impongono. La disposizione che si dà al complesso de' giudizi ed ai ragionamenti, sia per esporre, sia per dimostrare, sia per avviare alla ricerca, costituisce il metodo, il quale non può avero altro scopo, che quello di condurre all'identico totale per mezzo di tutti i suoi parziali, o ai parziali per la decomposizione del loro totale. Il metodo sta ai ragionamenti, come il ragionamento sta ai giudizi: egli ha lo scopo di fare un ragionamento com plessivo di tutti i ragionamenti subalterni mediante la regola della doppia identità parziale e totale . Onde il vero metodo scientifico è certamente analitico e sintetico insieme, man è l'ana lisi sola, nè la sola sintesi, nè entrambe unite, potrebbero con durre a risultati scientifici, se non avessero per rigorosa regola l'identità , e se non mirassero al suo conseguimento finale in tutti i giudizi e raziocinî, sperimentali, concettuali, o misti. Parlo del vero metodo scientifico; poichè per comunicare alle masse i risultati della scienza, o per indurre in loro la persua sione necessaria all'adempimento dei proprî doveri, una esatta analisi degli elementi delle idee o dell'esperienze, ed una esatta loro sintesi, all'oggetto di condurle a rigorosa identità totale, Perd essa voleva rimontare , senza alcuna ragione nè possibilità di riuscita, alla ori gine cronologica delle idee . Voleva inoltre, far provenire le idee dai sensi. Onde , in vece della vera origine cronologica, ben difficile a trovarsi per le singole idee , diede spesso supposizioni romanzesche sulla prima nascita delle medesime , e sopra tutto delle idee morali , col preteso stato naturale e col contratto sociale . Tutte quelle idee che non potè giustificare coi sensi , le rigetto, o le ammise alla credenza pubblica come necessità indemostrabili della nostra natura. Onde i posteriori idealisti , visto l'inte lice esito dell'esame , son tornati ad ammettere le idee in virtù della loro evidenza e dei loro caratteri che s'impongono alla nostra ragione , sia ritenendole verità prime indiscutibili ed indispensabili ad ogni ragionare (scuola del senso comune) ; sia supponendole forme assolute del pensiero  quidquid recipitur ad formam recipientis recipitur (scuola kantiana ) ; sia riputandole innate e facienti parte del nostro intel letto , almeno in una prima idea fondamentale , quella dell'essere (*scuola rosminiana*) ; sia ammettendole come frutto d'interne azioni e reazioni dello spirito (scuola di Herbart) ; sia credendole comunicazioni della mente medesima di Dio, intuizioni, tocchi misteriosi (*scuole giobertiane*) , o anche evoluzioni della stessa idea divina, assumente caratteri di progressiva attuazione per la legge dialettica de contrari (scuola hegeliana ), attuazione dell'idea in forza di volontà preordinante e producente (scuola di Schopenauher ), o attuazione inconscia ( scuola di Hartmann ). Tutti supposti, appoggiati a me tafore, a superficiali osservazioni , o a dogmi , per dare una spiegazione dei caratteri delle idee senza volerle esaminare in sè stesse , nei loro attuali elementi costitutivi , adducendo a prova della impossibilità dello esame l'infelice risultato ottenuto dagli empirici , i quali ebbero bensì il buon volere , ed anche la presunzione dell'esame , senza mai averne studiato i mezzi convenienti non sono punto possibili, nè anche utili. Laonde è d'uopo r correre ad esperienze ovvie, a idee evidenti e generalment ammesse, per inferirne le bramate conseguenze . Or se è vero che percepire distintamente, sintetizzare, analizzare, ricordare, astrarre, concettuare, ideare, giudicare, connettere e ragionare, non sono altro che più o men largamente identificare le parti ed il tutto, spontaneamente o riflessivamente, in forma sperimentale o in forma tipica assoluta, se cid è vero, diviene pur troppo evidente che, per potere scorgere l'identità più prontamente e con maggiore chiarezza, sarebbero assai utili due cose. Primo, abbreviare e ravvicinare tra loro con SEGNI le percezioni ed i loro elementi, le idee ed i loro elementi. Secondo indicare con segni le successive operazioni che vengon fatte spontaneamente o riflessivmente sui detti complessi e loro elementi. L'algebra ed il *calcolo* per sè non sono scienza, ma sono potenti mezzi di scienza, in quanto abbracciano e ravvicinano le idee e le operazioni su di esse fatte rendendo più facile e più sicuro il colpo d'occhio su di loro per scorgerne le identità e le differenze. Or, perchè non sarà possibile una logica aritmetica o matematica per agevolare la conoscenza delle identità parziali e totali, dalle quali dipende tutto l'eser cizio della intelligenza? Non vale il dire che nell’aritmetica e la geometria si tratta di rapporti tra sole quantità, e perciò e possibile un segno abbre viativi e le operazioni identiche. Mentre invece nella logica generale si dovrebbero trattare molti altri rapporti di QUALITà, che variano tra loro indefinitamente, e perciò l'aritmetica non si potrebbe applicare alla logica. Non vale il dire questo; poichè tutti i rapporti tra le QUANTITà hanno unico fondamento comune, l'identità costante di ogni unità con sè stessa, in guisa che non possa crescere nè decrescere in alcun modo, e che ogni unità valga quanto un'altra. Onde il fondamento vero dell’aritmetica e dei loro processi è tutto nella identità, come in generale il fondamento di tutte le operazioni dell'intelletto; e la loro unica regola consiste nella IDENTIFICAZIONE. Non vi ha dunque difficoltà vera contro la formazione di un'aritmetica logica; il cui scopo non dev'essere altro che quello di fissare, abbreviare, e con un segno, costante e certo, ravvicinare fra loro le idee ed i loro elementi, e le operazioni che su di esse si fanno. Nella scelta del segno per tale oggetto, non occorre far tutto a nuovo. Come nell'aritmetica, si posson prendere le lettere alfabetiche per indicare i complessi della percezione e dell'idea, non che i loro elementi, cioè le lettere maiuscole (A, B, C…) pei complessi, e le lettere minuscole (a, b, c, …) per gli elementi, se fossero gli uni e gli altri conosciuti e categorizzati. Se ancora non fossero conosciuti distintamente, potrebbero adoperarsi i soli punti. Ogni segno dell’aritmetica, più, meno, eguale, maggiore, minore, hanno posto nella logica o semiotica matematica o aritmetica. Il dubbio ha un segno nella scrittura ordinaria, l’interrogativo – la quesserzione --. Un segno pure abbiamo nella stessa scrittura per indicare un seguito di cose simili, che corrisponde all' &. Soltanto resterebbero a stabilirsi un segno per quell’operazione che nell'aritmetica e nel linguaggio ordinario non esiste. Questo segno si riducono a distinguere lo stato spontaneo dal stato riflesso, che sono i due stati del nostro animo, ed ambidue i detti stati dal di fuori di essa. Per tale scopo descrivo due spazi, uno spazio inferiore e l'altro spazio superiore, chiusi da tre linee parallele orizzontali. Il di fuori è tutto quello ch'è al disotto dello spazio inferiore e lo spazio superior. Lo spazio inferiore indica lo *spontaneo*. Lo spazio superiore indica il *riflesso*. Indico con quadrati di linee, di punti, o di lettere, i complessi e le loro parti, sia percepito, sia non percepito, o sia salito allo stato di riflessione. Un punto e una lettera minuscola indicano i loro elementi. Il punto indica che l’elemento non e conosciuto. La lettere indica che l’elemento e conosciuto. Denoto il simile con due parallele verticali. Rappresento l'identico con la convergenza di due linee in un angolo verticale. Se l’identità non è completa, ma sol tanto parziale, una delle due linee sarà più corta dell'altra, quasi per indicare la mancanza. Due quadrilateri che convergono e si toccano con un lato rispettivo in un angolo vertical rappresentano la sintesi dei punti identici. Se i due lati divergono, le quadrilateri rappresentano l'analisi dei diversi. Indico il connesso con una serie di anelli di una catena. Esprimo il negativo col segno 3 del meno sovrapposto a quello che voglio negare, il non identico, il non simile, il non dubbio, ecc. $ 54. Ecco così la serie dei segni principali: + più, meno, =  uguale, <: maggiore; ‘>’: minore; ‘ll’ simile, 1 identico, ^ identico parziale, ? dubbio, 000 connesso, (II) in contatto, & etcetera, -1-- non simile, ^ non identico, ?- non dubbio cioè riflesso spontaneo, [ ] non percepito, I percepito in comcerto, plesso, percepito distintamente senza categorizzazione di TAI parti, 71 percepito e sintetizzato, !! percepito e analizzato, DU U IV / TAL sintesi ed analisi spontanea e riflessa, |A| astratto com Ul Tala plessivo, Tala astratto con la parte a. | A la S 55. Quando non occorre distinguere lo stato di spontaneità da quello di riflessione, cioè quando si è nei concetti riflessi (idee), nei giudizii e nei raziocinii nei quali non entrino l'esperienze e le percezioni, i due spazî, che segnano lo spontaneo ed il riflesso, si trascurano. L'idea ed i suoi elementi si rappresentano così ovvero al ovvero A :, ovvero secondo chè sieno più o meno distinte e conosciute le sue parti elementari. Il giudizio ha una delle due formole: 10 AA ? Bİ, il concetto o la percezione A è identica a B ? A A ? Bİ, non è identica certamente, oppure la risposta contraria: è iden tica certamente, 1 -?- ; 2º Aja ?, l'elemento a fa parte dell'idea a _ ?. o della percezione A? La risposta si dà col negare il dubbio (A) а h g bAt a b A. cde ? с a hg an. Or, dire che a fa parte di A è lo stesso che dire 1A | {4} +/ biali, с de cioè l'elemento a è identico ad uno degli elementi di A, essendo OOO gli altri elementi b c d e f g h. Il raziocinio in generale ha la formola della connessione logica, cioè della connessione nello stato riflesso, che è l'identità de’ suoi membri in un tutto mag giore, di cui sono parti; onde è necessario che sieno veri i membri con reciproca connessione, affinchè sia vero il loro tutto. Onde la formola del raziocinio in generale sarebbe: ^( )( )( ). Con le parentesi esprimo i membri di versi del raziocinio che fanno da premesse (e possono essere parecchi) e quello che fa da conclusione, indicando la loro connessione e l'identità di essi in un sol tutto più ampio con quel segno intermedio di connessione riflessa e d'identità, che qui equivale al dunque. Il ragionamento erroneo si esprimerebbe con l'identico non identico Â, con la contraddizione. $ 56. Il raciocinio è o dimostrativo, o inventivo; ed in ogni caso esso passa dalla identità parziale di una idea con un'altra, o di un esperimento con un altro, alla identità totale (S 43). Onde la formola generale di ogni raziocinio ne' suoi passaggi è i sempre questa: (a"B') (a000bcdefghh), a h g с de b h g ovvero OOO d e (a), (^Bİ). Quanto a dire: A e B contengono a, sono parzialmente identici. Come si farà per sapere se sieno totalmente identici? Bisogna dalla parziale identità a riconoscere se pur vi sieno le altre parziali identità b c d e f g h. Ciò si può sapere in due modi: o che vi sia connessione tra a e tutti quegli altri, o che a li contenga. Bisogna accertare uno dei due, o decomponendo i rispettivi concetti, o sperimentalmente. Accertato uno dei due, o per connessione 000 che signa l’identità dei membri col loro tutto, o per continenza che signa lo stesso (il tutto che contiene le parti), si ha passaggio logico legittimo 000 al dunque, alla conclusione; e pongo il segno d'identità 1 sul dunque, perchè ogni connessione di membri esprime la loro identità col tutto che li contiene $57. Lo scopo di cotesti segni non deve esser quello di sostituirli al linguaggio ordinario; poichè in tal caso ogni ragionamento prenderebbe l'aspetto della matematica e del convenzionalismo di Poincare e il formalism di Hilbert; onde sarebbero ben pochi coloro che avrebbero la forza di mente e l'abitudine necessaria per condurre così i loro raziocinî. Io mi son limitato nella mia semiotica (significa) universale a servirmene come mezzi di reddiconto e di controllo, a ragionamenti finiti; poichè giova il riassumerli con segni e presentare la forma logica della percezione, dell’idea e del concetto, i loro rispettivi elementi, e le varie serie di operazioni su di loro eseguite, per potere a colpo d'occhio discernere il cammino della identità in tutti i giudizi e ragionamenti. Nella cennata mia opera ne ho fatto largo uso in questo modo, nè domando per ora che sieno adoperati altrimenti. Qui pero, in questo lavoro sintetico e riassuntivo del sistema, non renderebbero più facile la comprensione delle idee, alla quale aspiro; onde io non me ne servirò, lasciando che i leggitori di mente più ferma ne prendano esperimento nelle singole dimostrazioni, alle quali già li ho applicati nella suddetta semiotica universale. Sotto il generico vocabolo “parola” (cf. Grice, ‘to utter’) si può intendere qualunque segno communicativo che serve a rappresentare una percezione o un'idea o concetto. Pur nondimeno questa voce “parola” – cf. Grice “to utter” -- nell'uso ordinario è ristretta a signare un suono articolato, con cui l’uomo esprime e communica la pércezione o la idea o concetto ad altro uomo; e siccome il suono articolato e stato legato ad altro segno, così la parola, oltre di esser pronunziata (pro-nuntiatum), è anche scritta. Orche cosa è mai questa *communicazione* da un'uomo all'altro? Questa communicazione propriamente è un mezzo di suscitare nell’altro uomo, al quale si dirigge, una percezione o una idea o concetto consimile a quelle che ha e che vuol *communicare* (o signare) colui che ‘signa’. Perciò la communicazione consiste nel far sorgere nell’altro quella stessa percezione o quella stessa idea. Ciò in due modi può succedere, cioè: o mediante una convenzione, arbitrio, concordo, patto, sul segno, sia volontariamente fatta, sia abitualmente seguita, cosicchè ogni segno per ragion di associazione convenzionale desti una percezione o un'idea corrispondente; o pure mediante una naturale (iconica, assoziativa) associazione o meglio co-relazione che si stabilisce tra un segno e una percezione o idea o concetto, cosicchè non abbisogni altro che imitare (proffere) appositamente questo segno per suscitare nell’altro la percezione o idea o concetto naturalmente (iconico, assoziativo) annessa o co-relata. È del primo modo – il modo di correlazione convenzionale -- la maggior parte dei segni; poichè una convenzion prima espressamente o tacitamente fatta, e l'uso che ciascun trova del sistema di communicazione del suo popolo, fan sì che appena si manipula un determinato segno, tosto si destino in coloro che ascoltano le percezioni e le idee co-rispondenti. Sono del secondo modo ogni segno che per lo più imitano una proprieta naturale, come la voce del cane (“Daddy wouldn’t buy me a bow-wow”), il romore del vento, lo scorrer del fiume il rimbombo del tuono, della esplosione, ed altri simili. Ancorchè l'uomo non sa per antecedente convenzione il ‘signato’ di tale ‘segno,’ egli tosto si fa l'idea del ‘segnato’ che s'indica, perchè la imitazione – iconicita, assoziativita – della proprieta naturale sveglia la percezione socia. Sentendo “bac-buc” dei tedeschi, quantunque non sa l'alemanno, mi debbo far tosto l'idea del vuotarsi di un vaso a bocca stretta. In questa categoria va pure il vocativo “o”, perchè la pronunzia molto spontanea di questa vocale fa volgere la persona verso il punto donde “o” vien pronunziato: e quindi da per sè stesso il vocativo “o” serve a chiamare, perchè ottiene spontaneamente questo effetto o risponsa nell’recipiente. Intanto il segno, oltre che serve a mettere in communicazione due uomini fra loro ed a far nascere in essi la ri-produzione (o trasferenza psicologica) di una percezione e di una idea secondo la volontà del ‘signante,’ è al tresi utile ad un'uomo solo, allorchè egli si racchiude in se stesso e si va rappresentando le cose per meditarvi. Difatti è un'osservazione ben comune che noi parliamo dentro noi stessi, allorquando pensiamo le diverse cose, e principalmente allor quando ci rappresentiamo una idea astratta. La influenza del segno sull’astrazione comincia ad esser guardata con attenzione quando i filosofi della scuola sensista credettero che l'unica differenza tra l'uomo ed il bruto consistesse nel segno communicativo. In verità è ben facile rilevare che senza gl'innumerevoli segni articolati l’uomo non puo mai formarsi e ritenere l'immensa serie d'idee astratte, e per dirla più esattamente, non puo egli nè sintetizzare ne analizzare in sì gran copia, posciachè l’astrazione è figlia dei grandi incrociamenti delle sintesi e delle analisi. Certamente i punti simili delle percezioni rappresentandosi similmente si sintetizzano, ed i dissimili si analizzano rappresentandosi dissimilmente. Ma se per ciascuno di quei punti simili e dissimili non vi fosse un segno associato, non e mica possibile riprodurre e ritenere la immensità delle similitudini e delle differenze che offrono da un momento all’altro la percezione. Imperciocchè tra moltissimi punti simili, che fra loro si differenziano in picciola cosa, sarebbe più fa eile la confusione, anzichè la distinta rappresentazione di ciascun grado minimo di somiglianza e di differenza per mezzo delle percezioni medesime. Al contrario, il segno articolati e diversissimi d’altro segno articolato; e perciò attaccando un segno a ciascuna di quelle minute sintesi ed analisi, si ha di già quanto basta per poterle esattamente richiamare, senza poterle mai confondere un segno per altro. Per esempio, quante gradazioni diverse non offre un colore solo, il concetto di “bianco” (o “bianca”)? Or si potrebbero mai ritenere senza confonderle tutte queste gradazioni? Ma l’uomo vi adatta un segno diverso per signarle, e la confusione è evitata. Egli dice “bianco chiaro”, “bianco sbiadito”, “bianco lordo”, “bianco latte”, ec . Vi sono poi delle parti di percezioni che si isolano dal complesso mediante l’astrazione, e se non vi fosse un segno per risvegliarne l'idea, non puo esser pensate giammai. Per esempio, l'idea o il concetto astratto o generale o universale di “colore” – il nero non e un colore; il bianco no e un colore --, siccome abbraccia ogni colore, con qual di essi partitamente o complessivamente si puo rappresentare, se non vi fosse un segno distinto (gaelico glas: verde o blu?) da tutti i co fori singoli per richiamarla? Vi e pure un gruppo d'idee astratte che con maggior ragione han bisogno di un segno per essere pensate, come la “gloria”, la “virtù”, l’ “onore”,  il “dovere”, ec . Cosi anche e il concetto meta-fisico dell’essere sopra-sensibile, Iddio, la sostanza, ec . É in forza dell'unità del segno, che sorge l'unica idea astratta; poichè, se vogliam provarci a idear (o mentare) la cosa senza segno alcuno, particolarmente in una nozione astratta che non ra-presentano o signa un essere reale, ma soli rapporti fra gli esseri, non sappiamo veramente come farcene l'idea. Oltre a tutto ciò il segno ha una virtù speciale, che fa vedere il legame di una idea coll’altra; perciocchè, messo un segno radicale o di radice (“amare”), ogni variazione di desinenza e e ogni derivativo indica o signa, come un gruppo che costituisce un'azione risultante venga variandosi in mille modi: il che importa una sintesi mista all'analisi, perchè la radicale ferma indica il punto fondamentale della somiglianza, mentre ogni desinenza e ogni derivato fa vedere ogni categoria: quantita, qualita, relazione, modalita – per citare la funzione kantiana della categoria d’Aristotele -- tempo, luogo. Questo vantaggio non si puo altrimenti ottenere, che coll’articolazione del segno sub-segmentale (prima e seconda articolazione), poichè rimanendo fermo un segno come segno radicale sub-segmentale (articolazione prima e seconda) (“am-”), il segno articolato (mutato della radice) indica la differenza (“amans”, “amatus”, “amiamo” “ambi due amiemo”) fine a formare una proposizione compieta: il mittente con il signans signa al recipient *che* il mittente crede che ama al recipiente. Siegue da tutto ciò che il segno articolato ha un'influenza grandissima nella operazione della sintesi, dell'analisi e dell'astrazione; e siccome senza del segno articolato l'uomo non può nè giudicare (operare con una proposizione) nè ragionare (inferire una proposizione d’altra), cosi il segno articolato ha un'influenza suprema nel giudizio e la volizione e nel raziocinio (di giudizio e di volizione). Infatti il sordo-muto ha un limite strettissimo nella sintesi,  nell’analisi e nell’astrazione; ed a misura che si allarga in loro la sfera dei segni per mezzo della gesticolazione, e più anche per mezzo di un sistema alternativo, il sordo-muto inoltransi nell'astrazione, il suo giudizio, la sua volunta, ed il suo ragionamento – di giudizio o di volonta -- divene più estesi e più esatti. Dopo che si disse che l'uomo non puo mai dare origine al segno articolato o communicativo, la scuola di Bonald si valse di questa stessa dottrina per fondarvi sopra l'edificio della divina rivelazione, che dovette communicarsi al primo uomo coll'insegnamento diretto del segno communicativo, e che dovette tradizionalmente discendere col segno medesimo in tutta l'umana generazione, fino a che colla dispersion babeliana delle lingue venne a guastarsi la forma genuina primitiva del segno soppranaturale, praeternaturale rivelato, e varii innesti di origine umana si attaccarono al primitivo tronco, cosicchè insiem col segno furono anche travisate le idee della rivelazione prima. Questa stessa dottrina è stata abbracciata con molta facilità da Gioberti, quantunque in tutt'altro alla scuola di Bonald egli non appartenesse. Non entro in questa questione dal lato teologico (o genitoriale), molto più che non veggo nella antica religione romana nessuna espressione che alluda all'insegnamento primitivo del segno per mezzo di un dio. Veggo per altro che le anzidette scuole han preso a dimostrare filosoficamente che l'uomo da sè stesso non può dare origine al linguaggio , e con questa dimostrazione negativa credono dare il più saldo appoggio alla necessità della primitiva rivelazione della parola. Guarderò adunque le loro ragioni da questo stesso lato filosofico , e porrò così il quesito: È egli vero che per poter ‘signare’ comunicativamente in qualunque guisa bisogna l’uso preventivo dell’astrazione, e viceversa per potere astrarre bisogna l'uso antecedente del ‘signare communicativo? Se ciò fosse vero, sarebbe questo un circolo vizioso (“a Schifferian loop”), da cui non potrebbe mai uscire l'origine puramente umana del ‘signare communicativamente’; e perciò , essendo un fatto che l'uomo signa communicativamente, ed ammesso che egli sia stato *creato* da un dio (Prometeo), re sterebbe come una ipotesi interamente consona alla divina bontà di Prometeo che egli stesso gli abbia insegnato o signato a signare communicativamente fin dalla origine o dalla genesi alle rivelazioni! Resterebbero cosi giustificati gli argomenti della scuola teologica o genitoriale di Gioberti. Ma a me pare che, posto a quel modo il quesito, la necessità del circolo vizioso venga tutta dal non voler discendere nella minuta analisi di un tutto complessivo – un complesso proposizionale --, e dal volere la spiegazione sintetica di un fatto che costa d'innumerevoli elementi, senza volere esaminare come nascano gli elementi medesimi, e come gradatamente si combinino fra loro per costituire il fatto totale nel modo che oggi si presenta. Uno dei difetti delle scuole dell'età nostra è questo precisamente, che i nodi voglionsi tagliare invece di scioglierli; e cosi mi pare sia accaduto al problema che riguarda l'origine del signare communicativamente. Infatti, se si domaada: l'uomo può esercitare quella vastità di astrazione che attualmente esercita senza fare uso del signare communicativamente? La risposta è facile: nol può: perchè il segno communicativo, siccome testé abbiam veduto, influisce grandemente nell'esercizio dell’astrazione. Parimente se si domanda: l'uomo può signare communicativamente (con “o”) senza l’esercizio dell’astrazione? è anche facile ugualmente la risposta che nol può: perchè la convenzione implica la conoscenza dell'utilità del signare communicativamnte, ed implica nel tempo stesso l'attaccamento di un'idea (“presta attenzione”) ad un segno articolato (“o”), il che è un'effetto di astrazione. Ma il problema non è ben presentato col porre le due anzidette domande; perocchè non si vuol sapere se l'esercizio completo del signare communicativamente, qual'è attualmente, può stare senza l’uso dell'astrazione, nè anche si vuol sapere se lo sviluppo immenso che ha preso l’astrazione nelle molte successive generazioni del popolo italiano possa mai stare senza l'uso del segno articulato. Invece il problema vero è quest'altro. Vi può essere un atto di signare communicativamente primitivo, un primo uso di un segno articolato (“o – o – o”), colla sola influenza di un'astrazione (o articolazione) di primo grado, la quale per compiersi non ha bisogno dell'uso del atto di signare communicativo. Quando due cose s’influiscono a vicenda, in modo che non può crescer l’una senza che cresca l’altra, se si guardano *sinteticamente* dopo un lunghissimo periodo di mutuo accrescimento, non pajono più naturalmente spiegabili, e comparisce quella specie di circolo vizioso, di cui si parla inpanzi, perchè lo sviluppo pieno del l’una suppone lo sviluppo pieno dell’altra, ed amendue si suppongono talmente a vicenda, che non si sa più qual delle due debba esser prima. Per isciogliere un problema di tal fatto bisogna incominciare dal periodo o fase o stadio primo, cioè dal momento men complicato e meno sviluppato. Allora soltanto si può scorgere la influenza mutua, e come mano mano vengano accrescendosi l’una coll’altra. Qui trovo un’obbiezione ben facile. Mi si dirà: avete voi elementi storici ben certi per poter determinare qual sia stato il periodo primo dell’atto di signare communicamente in Romolo e Remo. Anzi taluni credono trovare nell'etnografia una base sufficiente per poter sostenere che il segno communicativo più antico e più elevato e più ricco di forza plastica. Onde da quelli si crede che l’atto del signare comunicativamente e andati mano mano deteriorando. Veramente, se debbo esaminare il mio problema sull’appoggio del solo dato storicio  non mi credo autorizzato a dare una soluzione diffinitiva. Imperciocchè io non son’ uso a sciogliere un problema a posteriori, e viceversa, so che la *ragione* necessaria delle cose governa la storia. Non entro ad esaminare se l’uomo e creato adulto o no; o se, dimenticato il primitivo atto del signare communicativamente, sia stata possibile la nascita di un atto *nuovo* di signare communicativemente. Non entro in un esame storico, dal quale la mia semiotica non puo sempre ricavare un risultato filosoficamente rigoroso. Invece, domando se e possibile, senza precedente arbitrio alcuno, stabilirsi una communicazione di un segnato tra due uomini per mezzo di un segno (“o”) anche *involontariamente* (spontaneamente, naturalemnte) adoperati, e, se trovata l'utilità pratica o prammatica di un arbitrio mutuo di tal fatto. Si puo fare avvertitamente e per mutuo arbitrio ciò che prima si è fatto *spontaneamente*. Posta così la questione, non ha bisogno più della ricerca storica. Si attacca alla natura comune – la ragione -- di due uomini – una diada conversazionale, Romolo e Remo, Niso ed Eurialo --, quantunque anche la storia puo venire in conferma di ciò che la cosa deve essere per natura sua propria – uomo animale razionale. Distingo due specie del genero segno: ma non e necessario moltiplicare i sensi di ‘segno’ sine necessita. Primo e un segno naturale, spontaneo, imitative, mimetico, iconico, assoziativo. Secondo, e a posteriori altro segno – un segno devenuto segno dopo un mutuo arbitrario. Or sebbene il mittente che usa un specimen particolare di segno “o” che imita una proprieta naturale spontanea, il segno “o”, sieno per sè stesso assai ristretto, pure ha questo di particolare. Senza bisogno di arbitrio mutuo alcuno, e senza anchie aver lo scopo di *conimunicare* (transfere il segnato) all’altro un qualunque segnato (sensum, percipito), puo essere adoperati, e producono l’effetto della communicazione (communicato, segnato) che non e primariamente nell' *intenzione* di nessuna delle due parti. Nessuno più di un bambino italiano è da natura inclinato ad imitare (‘bow wow’) i romori che sente o perceve. Non è necessario supporre che questa imitazione (‘bow wow’) ha uno scopo, fine, volizione, o intenzione (volutum). Il bambino italiano imita spontaneamente, e signa che e in relazione con un cane, è come la ri-petizione naturale della cadenza che si esieguono non dall'uomo solo, ma anche dai bruti. Comincio da questo caso semplicissimo, non perchè io creda che l’atto del signare communicativamente sia nato in questo preciso modo, ma quando si cerca la possibilità di una cosa, bisogna ricercarla tra le possibilità più semplici e più comuni. Imperciocchè, pria che si dice che una cosa non può essere, è mestieri osservare in quante maniere ben semplici ella può avvenire. Or vediamo, allorchè un’uomo imita spontaneamente un suono qualunque naturale (“o-o-o”), che cosa accade nell’altr’uomo che lo interpreta (l’interprete). Il segno imitato per ragione di semplice associazione o iconicita richiama naturalmente la percezione della causa che suole ordinariamente emettere cotal segno. Per esempio, se un bạmbino italiano, senza la menoma intenzione communicativa, e solo per il puro piacere imitare, esiegue il belato (‘bah bah’) della sua pecora, chiunque lo sente si rappresenta in quel momento l'animale che fa quel belạto. Senza *voler* o avere l’intenzione di communicare, i. e. d’informare ad altro, vi è di già tutto quello – il principio razionale --  che costituisee la communicazione e la conversazionale. Un segno, a cui è attaccato una percezione, adoperato la prima volta, ‘one-off’, spontaneamente, per caso, per imitazione, per qualunque altra causa, desta la percezione socia, e senza arbitrio mutuo alcuno divien segno della medesima causa (‘bah bah’ = pecora). Infatti, se il bambino italiano che imitava poc' anzi il belato della sua pecora, non conosce punto il segno articolato ‘pecora’, e se io voglio più tardi rinnovare in lui la percezione della pecora, che altro dovrei se non che imitare il belato medesimo? Nè ciò dipende da che io conosco l'utilità del segno. Giacchè potrei supporre all'inverso che il bambino italiano il quale, imitando spontaneamente il belato della pecora (“bah bah”), si accorse o da un segno (“bah bah”), o dallo sguardo ch’io do alla pecora, che già mi feci ricordanza della pecora, più tardi il bambino stesso potrebbe servirsi a ragion veduta di quel belato per riprodurre in me or di proposito la stessa percezione. Immagino un’altro caso. Se alla vista (visum) di un pericolo (leone) l'uomo (Eurialo) gitta un grido – “o-o-o” --, un suono qualunque, quand’anche non sapesse che vi fossero altr’ uomo (Niso), dal che potrebbe essere soccorso, il grido spontaneo che suole uscire per lo più involontariamente, spontaneamente, naturalmente - sotto il dominio della paura o pena, e se a quel grido si ve dessero accorrere altr’uomo, il quale, scorgendo la posizione pericolosa, viene in aiuto, non sarebbe tosto quel grido spontaneo “o-o-o” un segno della “chiamata” in aiuto, segno non devenuto da mutuo arbitrio in principio, nia che per l’effetto ottenuto o la risponsa ottentua divene base di un mutuo arbitrio in avvenire? Immagino anche un’altro caso più semplice. Se un'uomo spontaneamente, e senza *intenzione* communicative alcuna, signa “o-o-o”, il segno più facile ad articolare, e se altr’uomo (Remo, Niso) e presente e sente o perceve che Romo ha profferito un specimen di un segno, che cosa mai dovrà avvenire? Non si voltera verso colui che signa? Non è naturale il rivolgersi verso il punto donde parte il segno? Ebbene, un'effetto si è ottenuto. Questo segno profferito senza intento alcuno o intenzione comunicativa alcuna richiama l’attenzione dell’altra parte della diada conversazionale. Ciò che si è dapprima, one-off, ottenuto senza intento communicativo o intenzione communicativa, può la seconda volta esser voluto *di proposito*, voluntariamente, -- def. di verbum in Aquino -- per la utilità che se n’è ricavata: ripetendosi dunque avvedutamente lo stesso segno, quello è divenuto un vocativo naturale. E noi osservammo che appunto questa vocale “o” è il vocative nella Roma di Remo (o tempora o mores) e nella Roma di oggi. L’arbitrio mutuo o duale dunque non nasce dapprima a ragion veduta, ma nasce per mezzo di un'effetto o risponsa, che un segno, EMESSO per accidente (“o”) o per imitazione, consigue. Volendo di nuovo ottenere avvedutamente lo stesso effetto o la stessa risponsa, non ci vuol’altro che ripetere un altro specimen del stesso genero di segno (“o”). L’arbitrio mutuo dual è bello e fatto. Or quando vi sono tante possibilità d'incominciare l'uso di un segno articolato e di dar luogo spontaneamente a un arbitrio mutuo e duale, come si può dire in tuono assoluto che sia impossibile l'uso del segno senza aver la preventiva conoscenza della utilità del segno medesimo? Non dico che l’atto del signare communicativamente nacque in questo o in quell’altro modo. Dico che vi sono moltissime possibilità tutte *naturali*, nelle quali l'uomo può avvertire l'utilità dell'uso di un segno articolato per l’effetto o la risponsa spontanea, no intenzionata, che ne ottiene , e senza il bisogno di un preventivo arbitrio duale. Basta questo per distruggere a rigor di logica le basi tutte di quell'edificio che si vuol fondare sull’impossibilità assoluta che l’uomo signa senza prima aver conosciuto l'uso e l'utilità dell segno. Ma invero il brutto ebbero forse insegnato da Dio l'uso del atto di signare communicativamente, con che communica (o transferre) il suo bisogni , la sua gioia, il suo pericolo, la domanda del soccorso? Forse non vediamo fin dal loro nascere i varii animali communicarsi per mezzo di un segno, per lo più *istintivo* -- che causa una risponsa istintiva, i diversi loro stati? Non puo il brutto perfezionare il suo atto di signare communicativamente, perchè non ha facoltà di sintetizzare e di analizzare gli elementi della percezioni, e molto meno ha facoltà astrarre, siccome vedremo a suo luogo. Ma la co-rispondenza o co-relazione dell’effetto o stimolo, in esito al suo primo segno istintivo fa si che il brutto lo ripeta volontariamente; e tutti conosciamo come un animale domnanda il cibo o la libertà del movimento per mezzo di segni speciali, nel che dalla sua parte vi ha una specie di “tacito” arbitrio duale (Androcle e il leone), perché l’effetto ottenuto o la risponsa ottenuta una volta, per ragion di associazione o co-relazione iconica istintiva associativa, fa appunto le veci di un arbitrio duale. Se dunque questo segno inferiore è possibile nel bruto, il quale non astragge, perchè lo stesso principio di spontaneo tacito arbitrio duale non è possibile fra due uomini! Un uomo, che ha la piena capacità di astrarre, riconosce più facilmente l'utilità dell’effetti ottenuto o della risponsa ottenuta dall’altra parte della diada conversazionale, e si crea l'idea generica del arbitrio duale del segno, dalla quale discende poi come conseguenza la necessità di *variare*, fare piu ricco, illimitato, creativo, e di fine aperto, in ragione di questo o quello bisogne, in ragion di questa o quella percezione, o in ragione di questo o quello concetto astratta. Concepita una volta l’utilità dell’uso del atto di signare communicativemente, del segno articolato (terza articolazione), non ci vuol’altro che possedere in fatto la capacità di variare e combinare *indefinitamente* in modo aperto e illimitato, l'articolazione e la operazione di questo o quello segno primitivo, e l'uomo possiede già questa capacità meravigliosa. L’uomo adunque può, da un certo numero di fatti spontanei in cui il segno è riuscito a *stabilire* un arbitrio duale, elevarsi all'idea astratta dell’arbitrio duale del segno, poichè da un fatto singole si forma la sintesi, l'astrazione, e l'idea generica; e possedendo in fatto la varietà indefinita, componibile, di questo o quello segno articulato primitivo, è già nel caso di far da sè tutto il resto. Quantunque il segno che compone l’atto del signare communicativo e per arbitrio muto, pure siccome debbono *signare* una percezione (S e P), gli tre elementi delle medesime (S, e, P) ed i concetti astratti , debbono quindi ritrarre le proprietà fondamentali dell’uomo, cioè la relazione costanti che debbono avere fra ogni percezione, e ogni operazione o combinazione. Perciò, sebbene e diverso il segno che si adoperano ne' varii paese dell’Italia per signare il medesimo segnato, pure in ogni dia-letto vi sono parti fisse del discorso o dell’orazione, vi è una sintassi necessaria, vi sono in somma una relazione che e comuni a ogni segno. In primo luogo, siccome ogni percezione rappresenta un risultamento esteriore ed e anch' esso del risultamento organico subbiettivo, perciò vi ha un fondo comune in ogni percezione ed è l'azione risultante, che equivale alla somma di ogni azione sostanziale aggregate insieme. L’azione sostantiva e la aggregazione di questa o quella azione sostantiva, ecco ciò che è comune a ogni reale ed a ogni percezione. Quindi in ogni atto del signare communicativamente debbe esistere un segno addetto ad indicare l’azione risultante in tutta la loro immensa varietà. Questo e il segno del “verbo” – Varrone, verbum, greco rheo --, cioè il segno per eccellenza, per chè in verità, tutto quello che si può rappresentare, ad azione sostanziale si riduce, e perciò il segno del verbo (la copula) è il fondamento di ogni segno. Ogni proposizione si aggira intorno al segno del verbo (il S e P), e se vuol farsene un'analisi, la mossa si dee sempre prendere dal segno del verbo, perchè un segno che non e un verbo non puo indicare, se non che un rapporto dell’azione risultante signata dal segno verbo. Inoltre, per questo stesso che ogni azione *risultante* e non basica, e composte della combinazione di questa o quella azione sostanziali intransitive ed immutabili, è necessario che ogni verbo ha il loro fondamento in un solo segno di verbo, e che quel segno del verbo e *intransitivo* (la copula e intransitiva), siccome e questa o quella azione sostanziale, dalla che nasce ogni azione risultante, la quale e ra-presentata dal resto della classe del segno del verbo. Infatti abbiam notato già da molto tempo che in ogni atto di signare communicavemente vi è un verbo sostantivo intransitivo, il verbo “essere”, al quale si possono facilmente ridurre ogni altro verbo, decomponendoli in “copula e predicato”. Io amo è lo stesso che io sono amante. Ed è notevole che ogni segno di verbo chiamati attivo, o meglio transitivi, perchè denota un’azione che passa dal soggetto all'oggetto, si sciolgono tutti in un segno di verbo fondamentale che è intransitivo, o come i modisti dicono neutro – epiceno, mezza voce --, cioè nè attivo nè passivo. Poichè ciò che è veramente transitivo é la forma del risultato, ma ognuna delle azioni sostanziali componenti è intransitiva. La sintesi e necessaria e l'analisi e necessaria, perchè una percezioni e complessiva e costa di questo o quello elemento, che colla riproduzione, sovrapponendosi gli uni agli altri, si sintetizzano nel punto simile e si analizzano nel punto dissimile. Bisogna dunque che ogni segno indica un composto o complesso proposizionale, e che ogni segno articulato composito e de-compo nibili. Però, siccome gli elementi di ogni risultato e una azioni sostantiva, perciò è necessario che ogni segno si puosciogliere in un segno solo che indica l’azione sostantiva, non come occulta (sub-stantia), ma come realtà, cioè come essere, onde il *nome* (nomen, onoma – nomen substantivum, nomen adjectivum) non meno che il segno del verbo, si sciolgono tutti nell'essere , il quale è verbo e nome allo stesso tempo, ed è appunto verbo sostantivo, perchè indica un’azione che sta per sè stessa, e che non ha bisogno dell'altrui appoggio. Un nomine addiettivo e ogni altro segno sin-categorematico che indica quantita, qualita, relazione, o modalità o relazione, ra-presentano la composizione, il risultato, la combinzione di questa o quella azione sostanziale, e perciò non e mai da sè sole, ma ha bisogno di un segno di verbo o di un segno di nomine (S e P), su cui debbono appoggiarsi. Conciossiachè in verità la consposizione e qualunque suo modo di essere non può stare senza questo o quello componenti, anzi non è altro che la somma medesima di questo o quello componento. Però, siccome la composizione è una forma complessa, e come tale si distingue da cia scun componente , quindi è che tutte le parole indicanti modd lità , quantità e relazi ni, conie gli avverbii , le preposizioni , le congiunzioni, gli aggettivi , ec . non sono riduttibili al solo verbo essere , nè al solo nume essere, a differenza del segno del verbo e del segno del nome che ogni segno si reduce al verbo sostantivo “essere”. Nel tempo stesso non possono sussistere per sè , ed han continuo bisogno di questo o quello essere (il S, il P), perchè la composizione non può stare senza di questo o quello singolo componento. Sotto tai riguardo la differenza che passa tra ogni segno che indicano la quantita, la qualita, la relazione, e la modalità dell’azione sostanziale e quella che indica l'azione medesima, e quella stessa differenza che esiste tra il tutto e la collezione di questa o quella parte che lo compone; imperocchè il segno del verbo, e principalmente il verbo “essere”, nel quale ogni segno di verbo si sciolgono, indica la collezione di questa o quella azione, mentrechè il segno del nome aggettivo, il segno del avverbo (ad-verbium, come la particola “non”), la preposzione (in latino, i casi), il signo di congiunzione (copulativa, e, adversative, ma), ec. indica come questa o quella azione e disposte, e che relazione ha fra loro, in ogni vario gruppo che compone. Siccome ogni gruppo di azioni è un *risultato* che subisce questa o quella modificazione (declinazione, congiuggazione) secondo i cangiamenti parziali del numero (singolare, duale, plurale) e della posizione di questo o quello componento, cosi vi ha una sintesi fondamentale in ogni parte simile che nel risultato e ferma, e vi ha una continua analisi di ogni parte variabile ed accessoria. Per questa ragione e necessario il segno radicale che esprimono la parte *sintetica* fondamentale, cioè, il fondo permanente dell’azione: il radicale poi si va cangiando nella sua desinenza (uomo, uomni, pater e familia, paterfamilias), o in suo articolo definito (il – ille, la -- illa) o indefinito, “segna-caso”, ed ausiliare, per indicare ogni variazione e accessorio che in torno a quel gruppo fondamentale di questa o quella aziona si effettua. Il atto di signare monosillabica dei cinesi supplisce a ciò coll’accozzare diverse sillabe, cioè diverse segni, di cui ognuna esprime una idea, e tutte unite esprimono un complesso. Una idea fissa si esprime con un signo fisso. Una segnato variabile si esprime con un segno variantie. Sorge da ciò la necessità del segno derivativo, del segno della desinenza e del segno del prefisso, infisso, e suffisso, come anche la necessità di trasformare in maniera avverbiale un nome e un verbo, e di operare ogni cangiamento di preposizione in verbo ed in nome, dell’aggettivo in sostantivi e viceversa. Poichè, fissa la forma fondamentale, ogni mutamento di forma debbe esprimersi con cangiarli secondo il bisogno e secondo la relazione che vuolsi esprimere tra un gruppo di azioni ed un'altra. Finalmente vi ha un'altra forma obbligata in ogni costruzioni del discorso, ed è quella del giudizio, poichè ogni proposizione – in ogni modo – indicativo, imperative -- in giudizio o volizione si risolvono, e come si va da un giudizio all'altro per mezzo di una connessione, così la proposizione prende forma concatenata e compone un period (protasi, apodosis), e questo periodo s'incatena con quello periodo e forman un discorso. Però è no ievole che l’operazione dell'analisi e l’operazione della sintesi spontanea non puo altrimenti annunziarsi che sotto forma di “proposizione”, cioè di giudizio o volizione; quantunque agli occhi perspicaci del filosofo anche un segno solo, considerata nella sua radicale o nella sua derivazione, indica benissimo l’operazione analitica che vi è dentro. La ragione, per cui non si può annunziare ad altri, che sotto forma di giudizio, una completa operazione di sintesi e di analisi, si è appunto questa , che quando si annunziano ad altri cotali operazione di sintesi o analisi, vi è di già il concorso della riflessione, e perciò non si annunzia altro che il risultato ultimo della sintesi e dell'analisi riflessa, il qual risultato e il giudizio e la volizione, ambe due con contenuto proposizionale. Onde si ha che nello singolo signo si rappresenta le sintesi e le analisi spontaneamente fatte, e nel complesso si rappresenta il risultato totale, che perciò appunto veste la forma di giudizio o volizione con contenuto proposizionale. Da tutte queste osservazioni emerge che il segno e la sua costruzione (sintassi) in ogni popolo – o paese d’Italia -- debbe avere una forma fissa (semiotica agglutinativa) e una forme variabile (semiotica componenziale), siccome il risultamento organico subbiettivo ed il risultamento esteriori obbiettivo ha una forma fissa e una forme variabile, poiché il segno debbe necessariamente prendere lo stesso aspetto del segnato. In ogni segno possono riguardarsi due parti distinte, cioè il segno e la costruzione del segno. Ogni segno è segno di una percezione, o di una parte di percezione, o di un'idea o concetto (signato). La costruzione del segno ra-presenta ogni relazione che ha questa o quella percezione, questa o quella idea, questo o quello segnato. Onde il signo è lo specchio più sicuro del grado delle conoscenze di un emittente del segno. Poiché la povertà o la ricchezza del repertorio semiotico e di questa o quella forma di costruzione indica quante percezioni, quante idee, esistano presso il medesimo emittente, ed in quante maniere sa  metterle in relazione fra di loro. Però è notevole una cosa, che forse non è stata abbastanza studiata sino al presente. C’e un segno (“colletivo”) che non esprime una percezione sola o una idea sola, ma serve ad esprimerne più di una. Per sapere se mai una di tale segno esprima una idea piuttosto che un'altra, fa d'uopo stare attento alla *forma* del discorso, dall' insieme del medesimo, come anche dalla forma della costruzione, si ricava ciò che precisamente si vuol signare col segno che si adopera. Questo fatto è ben noto ai filosofi sensista; ma forse la causa del fatto non è da loro cercata con rigore semiotico. Acciocchè un segno sia adoperato a signare un segnato diverso d’altro segnato (equivocazione) , è necessario che il segno in origine appartenga ad un segnato solo; poichè non è presumibile che siasi voluta fare un arbitrio dual anfi-bologico (equivocazione – para-bologica – il rasaio di Occam), cioè un arbitrio duale di usare un segno solo per rappresentare un segnato e altro segnato, appunto per far nascere la dubbietà di sapere il segnato che propriamente vuolsi indicare. Allorchè dunque si presenta un segnato nuovo, che perciò non ha ancora segno proprio, il segnato stesso fa sperimentare il bisogno di trovare o inventare o concevire un segno per indicarlo, ed in pari tempo il segnato (es. spirito) fa svegliare l'idea socia di un segnato simile avente un segno proprio (spirare). Allora l'uomo prende quel segno, e se ne serve per indicare il segnabile novello ch' è ancora propriamente IN-segnato. Questo bisogno si sperimenta più di tutto nell'esprimere una idee astratta (‘implicatura’) , a cui mano mano un emittente si eleva; e perciò si serve del segno che indica un segnato, quanto più è possibile, somigliante a quella idea (im-piegare). Nasce cosi l'uso del traslato: un segno, che propriamente è servito ad indicare una segnato (lo spirare), è adoperata a signare un'altra (lo spirito) che solo ha con essa qualche somiglianza. Il traslato di tal fatta e una necessità, perchè la presentazione di un segnabile IN-signato conduce al bisogno di signarlo, e non potendo formarsi sul momento un segno apposito per l'impossibilità di fare un pronto arbitrio duale, si ricorre più prestamente al segno del segnato simile, lasciando pure al resto del discorso l’incarico di mostrare la diversità e la novità del signabile previamente IN-segnato, pel quale si adopera una segno. Ma oltre a ciò vi ha pure una necessità di usare un segno da traslati o metaforicamente, quantunque il signato che vuolsi esprimere ha segno suo proprio. L’esattezza del segno appartiene sopra tutto a quel filosofo oxoniense che e avvezzo alla precisione del segnato e del segnabile non segnato, e che valutano ciò che propriamente esprima ciascuno dei segni , che essi adoperano per indicarle . Ma il numero maggiore degli uomini non può mai aver fatto queste esatte meditazioni , e molto meno può aver l'abitudine del linguaggio preciso . Inoltre gli uomini, spinti dal momentaneo bisogno di communicare il segnato, e molto più quando sono sotto il dominio delle passioni che maggiormente l'incalzano, non han tempo a ricercare il segno che esattamente corrisponde al segnabile IN-segnato. Allora succede un'effetto ch' è tutto proprio dell'associazione delle idee. Si presenta un segnabile che non richiama prontamente alla memoria il suo segno, ed invece richiama per ragion di similitudine un'altra percezione segnata che ha pronto il segno. Allora l’emittente, senza metter tempo ir mezzo, si approfitta di questo segno cognosciuto per indicare, non il segnato proprio, ma un segnabile simile; e cosi si la un'altro genere di traslato, cioè il traslato metaforico. L’interprete o recipiente e pur'essi obbligato da quel segno a passare dal segnato simile non propria al segnato propri; e ciò, quando la similitudine calza bene, riesce a proccurare una maggior persuasione, come pure riesce a rappresentare lo stato di esaltamento dell'animo del emittente, quando lo si vede correre rapidamente di segnato in segnato, senza aspettare la corrispondenza esatta del segno, é con servirsi di un segno che indicano un segnato simile. Quest'altro genere di trasláti è anch'esso una necessità, perchè la maggioranza degli uomini non può sempre misurare il segno, e molto meno lo può, quando è sotto l' ardore delle passioni, o nel momento di una pubblica arringa, in cui il segno naturalmente si eleva colla metafora per l’imperioso bisogno di esprimersi con qualunque segno si presenti più adatta. Con questi criterii è ben facile giudicare, perchè vi sieno emittente di repertorio ricco ed emittente di repertorio povero, perchè vi sieno emittente di repertorio riccho e emittente di repertorio povere di forme, ed in qual rapporto stieno tra loro l'abbondanza e la povertà degli uni e delle altre. Il emittente men civilizzato e meno avvezz alla riflessione filosofica, avendo un minor numero di segnati, debbono esseri poveri di segni; ed a misura che son poveri di sengi, più abbondano di traslati, perocchè ad ogni nuovo sengabile che ai medesimi si presenta debbono adattare per similitudine un segno. Queste emittente però diventa di un repertorio ricchissime di forme, ed inclinano quasi sempre alle circonlocuzioni (perifrasi) ed al figurato (metafora). Ciò è ben naturale, perché la forma stessa del discorso deve dare a comprendere che el sengo non venga adoperata nel uso suo ordinario, ma in un uso di somiglianza, in un uso figurato o allegorico. Questo emittente si presta anche facilmente alla nascita di un segno composto (bi-cicletta), perchè sentono il bisogno di accoppiare due segni indicanti oggetti proprii, per segnare un segnabie che ha una somiglianza con ambidue uniti insieme (portmanteau). Perciò questo emittente contiene un signo radicale che si prestano ad inflessioni molto diverse, e per quanto son povere di radice originaei, tanto son ricche di composti e derivati. Per ciò sogliono chiamarsi il più anticho emittente. Non vuolsi confondere un ricco repertorio delle forma con un ricco repertorio di segni, nè si deve credere che la ricchezza delle forme sia indice della perfezione maggiore dell’emittente, molto più quando non è congiunta a - ricchezza vera di signo. Al contrario, i segni di più avanzati nella riflessione e nella civiltà hanno un più esteso numero di vocaboli proprii, e fanno molto conto della purità e della proprietà del segno: onde esse sono più aliene dalla sinonimia, scansano le figure, e adoperano al bisogno strettissimo i traslati. Queste linyne si prestano meglio all’esattezza scientifica , ma quanto sono rigorose , tanto son più fredde , poichè non si confanno collo stato dell'uomo appassionato, il quale afferra qualunque segno avente somiglianza col segnable che vuole signare. Un emittente i di tal sorta non e nato con quella esattezza fin dalla loro origine; perciò porta l' impronta di molte radicali, di molti decivativi e di traslati che appartennero all'epoca più antica. Tutti questi però coll'andare del tempo hanno acquistato segnati loro proprie; cosicché non si ha più l’idea di un traslato o di una metafora in ciascun segno, ma vi si scorge un segnato tutto proprio (By uttering ‘You’re the cream in my coffee’ I sign that you are my pride and joy). Ciò prova che questo fenomeno e recente, e figli, anzichè padre. L’emittente e ricchissimo nel repertorio di segni, ma molto povero nel repertorio di forme poichè ogni segnato ha segno proprio che esattamente lo segna, e perciò le relazioni delle proposizioni sono meno intralciate, son più semplici, e sempre più si avvicinano alla forma fondamentale di ogni giudizio o proposizione: soggetto copula e predicato. Un'altra osservazione debbesi pur fare intorno a queste due specie di emittente. Quello che e più antico, più abbondante di figure e di traslati, meno ricchi di segni che di forme, segna il segnato per come si presenta in forza del l'associazione, e perciò nella loro costruzione-riescono sempre più intralciati; cosicchè il soggetto dell'azione sostanziale, l'azione sostanziale stessa , ed il suo oggetto, non van sempre in ordine progressivo, ma per come si associano tumultuosamente un signato coll’altro, cosi l'esprime: quindi la necessità di molti incisi e di molte trasposizioni del signo. Al contrario, l’emittente più riflessivo, più abbondanti di segni e men ricche di forme, abitua ad un'associazione d'idee più ordinata, e perciò la proposizione conserva la fisonomia ordinaria del giudizio, senza il tumulto d'idee bruscamente congiunte. Per questo un emittente antico (Catone) non e più intelligibili a noi, se prima non mutiamo la sua costruzione, da noi chiamata “indiretta”, in un’altra costruzione più conforme all'ordine logico delle idee che diciamo “diretta” e che a noi è divenuta più abituale. Se si interpreta an pezzo di Catone colla costruzione stessa che ha nell'originale, non sarebbe mica intelligibile. Intanto si scorye da ciò che al linguaggio appassionato ed oratorio, a quel linguaggio, che ha bisogno di esprimere le idee per come si presentano nel tumulto delle passioni o nel calore della perorazione, l’emittente antico e meglio adatto, e quella stessa costruzione intralciata rileva vie maggiormente l'originalità e la spontaneità dell'associazione delle idee. Al contrario, l’emittente nuovo si presta meglio alle opere scientifiche, e per sostenersi nella poesia e nell'oratoria ha bisogno di pensieri per sé stessi clevati, non potendo sperare il loro effetto dalla varietà della forma e dallo stile figurato. Io non scendo a particolari confronti tra stile e stile, poi che qui m'intrattengo dell'alta semiotica generale. Lascio al non-filosofo lo applicare questo principio che nascono dalla natura stessa del segno, dallo stato più o meno amplo delle idee e dal corso delle loro associazioni. Solamente debbo notare che il migliore emittente debbe esser quello, il quale accoppi i due diversi vantaggi, dello stile figurato e dei traslati quando abbisognano, e della precisione rigorosa quando è necessaria. L’emittente antico non puo riunire questi due vantaggi insieme, se non che in un caso solo, quando cioè il popolo italiano è passato colla medesima lingua dal primo periodo della spontaneità a quello della riflessione, dall'epoca della poesia (mythos) a quello della filosofia (logos). Bisogna però in tal caso che il popolo italiano mantenga i due registry in un solo sistema: l'ordinario o basso ed il sublime o alto, il rigoroso ed il figurato. Questo emittente e ricco di segni e di forme allo stesso tempo, ma pecca di molta sinonimia, ed in generale offre un'esempio rilevante, che coloro , i quali adoperano il rigistro esatto, non sa più riuscire nell'altro registro. Simone Corleo. Keywords: filosofia morale, filosofia dell’identita, filosofia universale, meditazione filosofica, logica, antropologia, sofologia, noologia, linguaggio ordinario, principio dell’identita, Aristotele, la sostanza, l’universale ontologico, la categoria come universale ontologico, segno, signare communicativamente, segnabile, segnato, emettente, repertorio di segni, repertorio di forme, composizionalita, communicazione primitive, pre-arbitrio mutuo, spontaneita, naturalita, associazione, iconicita, bah-bah, peccora, conversazione adulto-bambino, il vocative “o” emesso sense intent communicative – signa naturalmente che e necessaria l’attenzione spontanea, scenario ii. Romolo e Remo, Eurialo e Niso. Le parti dell’orazione, il verbo e le categorie agruppatta in quattro funzione: quantita, qualita, relazione, modalita. Il nome sostantivo, il nome addgietivo, il avverbo, le particelle, la congiunzione, il vocative “o” – la forma del giudizio e la proposizione semplice “S e P” – modelo filosofico dello svilupo del signare communicativamente – dello spontaneo (arbitrio duale tacito) al arbitrio duale.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corleo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688363832/in/photolist-2mPCmeg-2mLEs8a-2mKwnLL

 

Grice e Cornelio – Giove, Ganimede, e Prometeo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rovito). Filosofo. Grice: “I love Cornelio – he has a gift for titling his treatises: gyymnasma!” “My favourite of his gymnasmata is the one on what he calls the ‘generation’ of ‘man’ – in Roman, ‘homo’ is said to come from mud, humus – and this is strange because Prometeo created man out of mud – In Rome, the more Catholic your philosophy is, the more ‘Aquinate’, as it were, the less Hegelian and Platonic – so trust an Italian philosopher to believe in the Graeco-Roman myth of the ‘generation of man’ than the story of Adam’s spare rib, etc.!” Si forma alla scuola cosentina sulle teorie anti-aristoteliche diTelesio, molto studiato nei salotti. Studia a Roma, approfondendo e facendo proprie molte tesi galileiane. Conobbe il naturalismo telesiano e campanelliano, di cui fu erede il suo tutore Severino. Insegna a Napoli, portando la filosofia di Cartesio e di Gassendi. Nel “Pro-gymnasmata physica” sono esposte la sua teoria filosofiche. Altre opere: “Pro-gymnasmata physica”; “Epistola ad illustriss. marchionem Marcellum Crescentium”; “De cognatione aëris et aquae”; “Epistola Ad Marcum Aurelium Severinum”. Dizionario biografico degli italiani. INDEX EORVM, Quæ in hoc volumine continentur animalium conformatio ex inspectione er ex aque, ac terre expira ouorum percipi facile patest  tionibus ætheri permiftis con animalium ex semine conformatio de stituitur scribitur aer ob vsum respirationis recentari de animalium pars primigenia non iecur neque cor, neque fanguis ter præter modum diſtraktus aut com animantes exſectis teftibus quandoque preffus vite animalium & ignis con filios generant. fernationi inutilis antiquorum varix de.rerum initijs opi aer nisi vaporibus aqueis permiſtus re niones spiritioni inutilis apoplecticorum & ftrangulatorum aer infra aquam demerſus à fuperftan mitis est exitus tis aqua pondere comprimitur Aqua frigore concreta rarefcit, & in ma. Aeris in reſpiratione quis vſus. iorem molem ampliatur. aeris per neceſitas tum ad vitam ani aqua quomodo in vapores foluatur malium tum ad ignem conferuan in glaciem concreſcat dum Aqua fenfu iudice neque contrahi,neque Aeris grauitas diftrahi potest Aeris color caeruleus onde aqua triformis Arris , Aquarum pondus fub eifdem Aquis ineſſe non poteſtnotabilis quanti demerſi curnon ſentiamus. tas aeris Akris compreffio ,ea diſtractio nifi æthere Archimedes ingenj doctrinæque prin admiſſo nequit explicari ceps Aeris ex aqua generatio Ariſtoteles animaduertit in generatione Aztheris ſubſtantia omnino admitten diuiparorum fieri .conceptus ouifor da Alibilis fuccusad cor confluit Aristoteles ab attico platonico philo animalia amphibia cur sub aquis distid fopho notatus si le ſine spiritu viuant Aristoteles cur priuationem inter prin Animalia pulmonibus prædita cur niſi cipia numerauerit reſpiraverint citiffimemoriuntur Aristotelis de loco fententia improba animalia , quæ interclufo fpiritu fiiffa 46 cantur dexterum cordis ventriculum , Ariſtotelis principia diffentanea . pulmones babent multo fanguine Ariftotelis quàm galena doctrina de ge refertos. neratione animalium fanior ar mes tur arteriæin vteros prezrintinm perti mentuan mentes frequentiores , “ ampliores Calor omnis animalium eflà Janguine fiunt Aiteris non moventur à ri pulſifica eiſ- calor nonnunquam diſſimilis nature cor dem à corde communicata, fid ab im pore congregat pulfu fanguinis Calore corpora non femperrarefiunt, Arteriæ omnes eoderntemporis puncto Calore cur omnia diffoluantur, atque li. ab impulſu fanguinis mouentur , tam queſcant que cordis proximefunt, quam quæ à Caloris naturaex Platone explicatur corde longiſſimèabfunt . 129 Cauernæ in quibushomines fuffocantur , arteriarum venarumqueplexus, atque ignisextinguithi' implicatio ibi eße folet vbi fit aliqua Chyli in ſanguinem mutatio quomodo ſecretio fiat. Aſtrologia conieéturalis vanitas Cloylus ad inteſtina de aplies duobus li quoribuspermiſcetur attractioni vulgo tributi motus re vera chylum ounem per lacteas venas trana. pendent à circumpulſione refulſo prodideruntiuniorcs Auftifichs ſuccusper membranas, a Chymix cognitio ad Thyſiologiam illis neruos in partes diffunditur ſirandam perutilis Auftificus fuccus ab Arabibus obfer- chymici magnam cladem galenicæ fa Uatus,fedperperam iudicatus. &tioni attulere cibaria non eo quo ingeruntur ordine Ilis à fanguine in iecinore fecerni B permanentin ventriculo tur cibi pars e ventriculo fiatim elabitur Bilis nõ eſt fanguinisexcrementun antequam integra maſa confefta fue Bilis nutritiumfuccum diluit, & fluxum reddit ciborum concoétionem auctores diuerſa Bilis vtilitas rationeexplicant Brahaus illuftris Aftronomus à predi- cibus in ventriculo quomodo conficia Etionibus aftrologicis abstinuit  Bruni de mundanorum innumerabilitate cibus non à folo calore conficitur sententia refellitur cibus in ventriculo fermentarur Brunus voluminibus ſuis nugas inferuit . Cibus in ventriculo coctus non femper albicat Cibus non detinetur in ventriculo donec Alidorum halituum magna vis in totusfuerit confectus exterendis duris corporibus Cola piſcis cur amphibiorum more diu Calor cæleftis est eiufdem nature , atque tule fub aquis viuere potuerit elemenearis Conceptus omnes viviparorum ouifor culor innatus eftmedicorum inane com mes ſunt Con rit . tur . с Copernicus ab Italis mundani systematis FFelleus, Gʻaqueus humor cuit Condenſatio, et rarefaétiofine tenuiſſima quod ob defluxum bydrargyri inane ætheris fubftantia explicari non po videtur teft F Elle nullum animal caret . notitiam arripuit quibus Copernicus maximus astronomus prædi. chylus diluitur,iterato fæpius circuitu &tiones aſtrologicas improbauit ad inteftina reuoluuntur cor motum non habet à cerebro, fed inſe Fermentatio quid ſit ex Platone, ip, o cietur, cpalpitat Fermenti vis à calore excitatur . ibid . Cordis motus fit ab balitibusin eiuſdem Firmicus reprehenditur lofibras influentibus flamma cur fine pastu permanere ne Cordis motus nõ excitatur àferuorefan queat guinis , vt Ariftoteli, Carteſio pla- Flamma cur faſtigietur in conum , ibid. Fæmina ſubminiſtrat materiam omnem Corpora je inuicem propellere poffunt , ex qua fætuscorporatur non autem attrahere Fæminæ genitura non carent D Feminarumgenitura an aliquid conferat Ifferentis inter conceptus ouip.rros, adgenerationem Fætus vita non pendet à vita matris Dɔny Volumen de natura hominis fætus cum propria tum parentis vi ab utero excluditur E Frigore nonnunquam diſſimilis nature Lectrum quomodofeſtucasattrahat. corpora ſegregantur experimenta ludicra quatuor primum Alenus ab Ariſtotele maximis de orbiculorum in aqua alternatim a rebus diſſentit frendentium , defcendentium Galenus Platonis fententiam de circum secundum orbiculorum in tubo dque pulſione non eſt affecutus pleno fuerfum deorſumque recurrena Galeni experimentum de fistula in arte. - tium ad nutum eius , qui tubi oftium riam immiſa oſtendit arterias ab im digito obturat pulſie fanguinis moueri tertium orbiculorum in tubo retorto Galeni Secta cæpit deficere aſcendentium defcendentium pro Galenice fattioni magna clades d chy paria tubi inclinatione micis eſt illata quartum orbiculorum ex imo furfum galenice medicine summa aſcendentium propter diſtractionein Galilæus de atomis, inani aliter vidé aeris in eiſdem conclufi tur decernere, ac Democritus & Epi Experimentum quo Verulamius probat curus aquam comprimipole eſt fallax Galileus omnium primus physiologiam experimentum Torricelli de spario, com Geometria iugauie Ga Gevens ifotelemaximisde Galilcus aſtronomicarum rerum peritif Hippocratimulta tribuuntur, quecom . fimus improbauit aſtrologicas prædi mentitia funt ctiones" Hobbes fententia de ſubſtantia inter al Galilei Carteſi aliorumque iuniorum rem & aquam media. doctrina phyſicapræftantior quam homo à teneris annisita potefl educari, antiquorum vt amphibiorum more ſub aquisdiu Genituraquid ,vnde prodeato tius viuat Genitura non fit in teftibus Homo incerto gignitur fpatio Genitura in procreatione animalium ef- Hominis genitura non est eiufdem ratio ficientis tantum caufa vim habet. nis cum femine ſtirpium Genitura non eſt pars , feu materia con Hornunculorum generatio à Paracelſo fituendi conceptus : propoſita commentitia eft Genituræ craffamentum oua, & conte Humanusfætus recens formatusmaiu ptus minimè ingreditur Sculæ formica magnitudinem vix fum Geniturepars, quæ efficiendi vim habet , perat oculorum fugit aciem Geniture vis per occultum agit corpora quantumuis denfa penetrat Sanguinefecernere. Ecinorisprecipuum munusest bilen Geometrie Paradoxa nonſemper plyſInanenihil eft . cis diſquiſitionibus aptantur so Ingenia ad philofophandum idonea que Glandulg cur maiores & frequentiores nam fint. in tenellis , & pinguibusanimalibus, Initia rerum naturalium abftrufa. quam in ſenioribus , &macilentis, in omni motu fit reciproca corporum  dla translatio Glandule fecernunt auctificum ſuccum Iuniores multa fulicius inuenere quam à reliquo fanguine Priſci . 4 Glandularum vtilitas . ibid . K Græci curdoctrine ſudijs cæteris natio nibuspræcelluerint probauit aftrologicas predi&tio Grauiora corpora etiam à leuioribus ju . perftantibus premuntur L Grauitas quid L Ac quibus vis feratur' ad mam H mas Hanimalium accuratiſſima. Aruei obſeruationes degeneratione lacervberibus virorum , &virginum frequenti fuetu prolicitur Harueius in obferuando diligētior, qaam Lace papillisrecens natorum extillans .. in iudicando Hippocratis de calore Paradoxum . lac in ventriculo pueri coagulatur Hippocratesanimaduertitfetum in man ' Latte columbs-nutriunt pullos ſuosprin tris vtero alimentum exfugere mis diebus Laa nes Luuleirum venarum nonnulla cum me. Saraicis coniunguntur medicina praua quadam conſuetudina Lamine complanatæ mutuo contactu co . hominibus infimæfortis tractanda re hærentes cur niſi magno conatu diuelli linquitur nequeant Medicina rationalis ſuper falſis hypothe. Lansbergius' excellens Aftronomus à fibus hactenus fuit ſuperstructa predi& tionibus aſtrologicis abſtinuit . Medicina Græcorum continet inanes conie turas & fallaces præceptiones , Lien per flexuojam arteriam craffioren fanguinem excipit Medicina inconftantia, Seftarum va Lien craffiorē & impuriorem ſuccum ex rietas. cibireliquisſecretum ſuſcipit Medicinam pauciffimi Romanorum fa Lienis vtilitas, Arụctura Etitarunt Lumennon eft in rebus, fed fit in ipfo  Membranarum vtilitas, dentis oculo Motus ad fugam vacui vulgo relati pen Luminis naturaexplicatur dent à circumpulſionefuperftantis ae. ris maseratica vis diſimilis elektrick : Mund for printeriplexdifferentia mini . Men Maßarias iuniorum gloriæ infenſus  Mundi magnitudo incomprehenſa. ibid. Materia exqua fætus corporatur eſt al N bugineus lentor ſinailis ouorum albus Aturæ ratio ex ipſa potiusrerum Mathematicæ diſciplinæ fummam inge paranda stü aciem defiderant Naturalis historie cognitio ad Phyſiolo Mathematicarum disciplinarum notabile giam malde necellaria incrementum O Medici latina verba importunèeffutiunt, Bferuatio noua deforaminibus in vt imperitorum plaaſum aucupen . interiorem pentriculi tunicam . : tur biantibus . Medici periculofus, &ancipites morbo- obſeruatio noua de pensatorum ventri. rum curationes inftituunt , culis. Medici perperam diuidunt partes in ſper. Obferuatio noua lenti humoris in ventri maticas,atque fanguineas', culo exiſtentis Medici rationales quam profitentur' , Obſeruatio viarum, que nouum alimentū. ſcientiam omnino ignorant ex ventricnli fundo excipient Medicis familiare eft mutuainter fe ia . Oetimestris partus non minus pitalis Etare conuicia quam ſeptimeſtris Medicorum improbitas Ouiformis conceptus in viviparis habet Medicorum inſcitia reprehenditur, vcram ſeminis rationem Ouum gr Pusega Perguedus nouisobfervationibusfretus R Frisvarijoeleis queriamlitar $ Strguis I i Ouum fæcundum b.abet rationem femi- Ptolemai Copernici, &Brahei mundan nis in ouiparis Systematis pofitiones manca im perfecte Ancreatis ductus vtilitas Pueri cur facilius mathematici effe pof fant,quàm phyſici ,aut politici. 36 Paracelſus d plerifque propter obſcurita- Pulli ex quo generatio defcribitur tem deſertus R opinion Erum natura vix alibi quàm in li Pecquetus obferuationibus quæriſolita bematofin tribuit cordi, non iecinori. Refpiratione cordis æſlum temperari fal sò creditum est Pestilentix confideratio philosophandi ratio inſtituta à noftri fæ Anguis non eſt ſuceus ſimplex , nec culi auctoribus laudatur . tamen continet quatuor decantatos Philoſophia noftris temporibus in liber humores tatem vindicata eft Sanguis in omne corpus per arterias dif Philosophia Cartesii quails funditur Ploilofophiæ ftudium à pleriſque peruer- Sanguis per arterias in membra influen's titur vitalitatem magis , quam nutrimen Philoſoplrorum in definiendis rerum ini. tum infert tijs conſenſus sanguis non calore, motuue liquefcit, fed Phyſiologia parum hactenus adoleuit permiftione tenaifimihalitus pbyſiologia plurimarum rerum cognitio nem , & experientiam requirit Sanguis non fuapte natura caliduseſt , Phyſiologia onde ordienda nec calorem accipit à corde, fed motu, Phyſiologia poteft ex falfis hypotheſibus atque agitatione incalefcit veras naturalium rerumaffectiones Sanguis non in iecinore, nec in corde, vel concludere alio certo viſcere conficitur Phyſiologie obſcuritas onde proficifca . Sanguinis duapartes altera viuifica tera auctifica Phyſiologiæ perfetta cognitio cur defpe- Sanguinis natura admirabilis Eius randa potior pars aciem fugit Phyſiologiam noftre etatis fcriptores Sanguinis motusà corde a præclaris inuentis illuſtrarunt Sanguinis circulationem ab Harueio de Phyſiologiam nemo Geometriæ ignarus fcriptam indicauerant,ante Pizulus Mis aſequitur Sarpa , &Anstress Cefalpinus. Planetarum corpora ad ætheris liquidif- Sanguinem fal coire, &denfere noir par ſui motum circumferripoflunt titur Plato materiam voluit eſſe locum Sapientia illa quam in ætatibus habet ſe weêtus nostræ potius cetati, quins pria e feq . tør . ſeis fcis temporibus debetur Vacuipropugnatores corporis naturam à Semen animalium quidnam fit cx Aris tałtu determinant Stotele P'ene lactea non deferuntomnem fuc Senfus non ea omnia percipit, qua in na. cum alibilem jura exiſtunt Venis la &teis animantesquædam carere Senſu quæcumquepercipiuntur falsò ta videntur lia iudicantur qualia videntur. ibid . Venarum lymphaticarum progreffus, ego Soli nibilſimiliusquamflamma vſus leg. Solem igneum esſe tactus & oculorum Vene meſaraica fuccum nutritium ex teftimonio probat Cleanthes inteſtinis ad iecur Stelliole Encyclopedia Vens meſaraicæ non ſunt deſtinate nú Stelliola nouitate verborum abſtruſe do . tricationi inteftinorum & alui Etrina caliginem offudit Vene vmbilicales maiores ampliorefque Stirpium ex ſemine propagatio compre funt coniugibusarterijs. 88 hendi facile poteſi Ventriculi,& inteftinorum motus  Stoicis materia corpuseffe videtur Vermes in iecinorè, liene,corde,pulmoni Sympathia Antipathiæ & Antiperiſia bus & cerebro animaliū fis inania commenta Verulamius opes ætatemque inter expe rimenta conſumpſit Elefius putauit poße ſpatiumma Vix quibus humores d corpore per aluum gna vi conatuque pacuum fieri . expurgantur Vita hominis in continuata fanguinis Telefiusveteresphilofophos, é precipuè. motione conſiſtit Ariſtotelem exercuit Vitalis halitus in ſanguine existensquo Testes priuerfo corpori robur conferunt . modo percipiatur Vitri denſitatem penetrat hydrargyrus Theologi Hegyptü Deos omnes ex ouo prognatos eſetradiderunt Vniuerſum vnum indiuiduum , atque im Tyndaridæ ex ouo editi mobile Torricelli Paradoxum geometricum Vrina per quas vias in renes, &veficam profunditur . Acuum experimento Torricelli Vvirjungiani ductus vtilitas Vacuum neque mouere corpora poteſt ne Enonis de natura geniture fenten que ne moueantur inbibere Ztia. Grice: “It’s best to represent Cornelio as representing Cartesio – yes, the Cartesio that Ryle attacked! But Italy never had a Ryle, so that’s good!” Tommaso Cornelio. Cornelio. Keywords: Giove, Ganimede, e Prometeo, pro-gymnasmaton, gymnasmaton, gymnasta, gymnasium, ginnasio, ginnasiale, nudo romano, nudita romana, corpo nudo, snudare, atleta, atletismo, lotta ginnastica, competizione ginnastica, implicatura ginnastica, l’implicatura ginnastica di Socrate, Socrate al ginnasio, implicatura ginnasiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cornelio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51681116235/in/photolist-2mJNFoT-2mJPYQ1-2mJPYR3-2mJTeke-2mJPYPE-2mJJzjC-2mJNFpz-2mJJzgM-2mJS9aA-2mJTeiW-2mJS9aq-2mJJzhP-2mJTejc-2mJTej2-2mJS9aR-2mJS9bx-2mJTem1-2mJTej7-2mJqjKS-nBUkrk-nWUtwa-nBUyfE-nCw1cC-nURj7V-nUffV5-nCGcVs-nV8RFY-nBTinq-nBU5Mk-nW9NpP-nSkrdq-nUhwDY-nUnQ24-nU4UKV-nVgpvB-nUY39P-nUmNhz-nCM7PB-nUWSKv-nBT68x-nV9nob-nBMGGc-nBMHuK-nD898Q-nD7Rpi-nUfDAD-nBM7tR-nUazns-nU96Ze-nVVvb6

 

Cornello (Sorrento). Filosofo. La sua opera più importante è la Gerusalemme liberate, in cui vengono cantati gli scontri tra cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana di Gerusalemme. Ultimo dei tre figli di Bernardo Tasso, letterato e cortigiano nato a Venezia, ma di antica nobiltà bergamasca, poi al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino del regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola, e di Porzia de' Rossi, nobildonna napoletana di origini toscane, pistoiesi da parte paterna e pisane da parte materna. La primogenita Cornelia era venuta alla luce nel 1537.  Di Sorrento e della «dolce terra natìa» il poeta conserverà sempre un magnifico ricordo, rimpiangendo  «... le piagge di Campagna amene, pompa maggior de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.»  (Gerusalemme liberata, I, 390-92) Quando Torquato era ancora bambino, il principe di Salerno fu bandito dal regno e Bernardo seguì il suo protettore. All'età di 6 anni si recò in Sicilia e dalla fine del 1550 fu con la famiglia a Napoli, dove lo seguì il precettore privato Giovanni d'Angeluzzo. Frequentò per due anni la scuola dei Gesuiti appena istituita e conobbe Ettore Thesorieri con il quale poi restò in corrispondenza epistolare.  Ebbe un'educazione cattolica e da giovane frequentò spesso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni (dove si trovava la tomba di Urbano II, il papa che aveva indetto la prima crociata), e ricevette il sacramento dell'Eucaristia quando «non avea anco forse i nov'anni», come scrisse egli stesso. Due anni dopo la sorella Cornelia, che nel frattempo si era sposata con il nobile sorrentino Marzio Sersale, rischiò di essere rapita durante un'incursione ottomana a Sorrento, e questo rimase impresso nella sua memoria.   Guidobaldo II Della Rovere. Rimase a Napoli fino ai dieci anni, poi seguì il padre a Roma, abbandonando con grande dolore la madre che fu costretta a rimanere nella città partenopea perché i suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote». Nella città pontificia fu Bernardo a educare privatamente il figlio, ed entrambi subirono un grave trauma quando nel febbraio 1556 vennero a sapere della morte di Porzia, probabilmente avvelenata dai fratelli per motivi d'interesse.  La situazione politica a Roma subì però uno sviluppo che preoccupò Bernardo: era scoppiato un dissidio tra Filippo II e Paolo IV e gli spagnoli sembravano sul punto di attaccare l'Urbe. Mandò allora Torquato a Bergamo presso Palazzo Tasso e la Villa dei Tasso da alcuni parenti e si rifugiò presso la corte urbinate di Guidobaldo II Della Rovere, dove fu raggiunto dal figlio pochi mesi dopo.  A Urbino Torquato studiò assieme a Francesco Maria II Della Rovere, figlio di Guidobaldo, e aMonte, poi illustre matematico. In questo periodo ebbe maestri di assoluto livello quali il poligrafo Girolamo Muzio, il poeta locale Antonio Galli e il matematico Federico Commandino. Torquato passava a Urbino solo l'estate, dal momento che la corte trascorreva l'inverno a Pesaro, dove Tasso entrò in contatto con il poeta Bernardo Cappello e con Dionigi Atanagi, e scrisse il primo componimento a noi noto: un sonetto in lode della corte.  Bernardo si sposta intanto a Venezia, indiscussa capitale dell'editoria, per occuparsi della pubblicazione del suo Amadigi. Poco tempo dopo, quindi, anche il figlio cambiò una volta di più città, stabilendosi in laguna. Sembra che proprio a Venezia, non ancora sedicenne, abbia cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata e al Rinaldo. Il Libro I del Gierusalemme (conservato dal Codice vaticano-urbinate 413) fu scritto dietro consiglio di Giovanni Maria Verdizzotti e Danese Cataneo, due poeti mediocri che allora frequentava e che già avevano scorto nel Tasso un talento straordinario. Si iscrisse per volere paterno alla facoltà di legge dello Studio patavino, raccomandato a Sperone Speroni, la cui casa frequentò più delle aule universitarie, affascinato dalla vastissima cultura dell'autore della Canace. Tasso non amava la giurisprudenza, tanto che attendeva più alla produzione poetica che allo studio del diritto. Così, dopo il primo anno ottenne dal padre il consenso per frequentare i corsi di filosofia ed eloquenza con illustri professori tra cui spicca il nome di Carlo Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un modello costante per le dissertazioni teoriche tassesche futureprime fra tutte quelle dei Discorsi dell'arte poetica, in cui si nota anche l'influsso dello Speronie lo avvicinò allo studio della Poetica aristotelica.  È in quest'epoca che si colloca il primo innamoramento del ragazzo, già molto sensibile e sognatore. Il padre era stato introdotto nella corte del cardinale Luigi d'Este, e nel settembre 1561 si era recato col figlio a fare la conoscenza dei familiari del suo protettore. Conobbe nell'occasione Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di Luigi.  Lucrezia, quindicenne, era molto bella ed eccelleva nel canto, anche se era piuttosto frivola. Avendo notato un interessamento della fanciulla, Tasso cominciò a dedicarle rime petrarcheggianti, ma dovette presto essere ricondotto alla realtà, poiché nel febbraio 1562 scoprì che la ragazza era promessa sposa al conte Baldassarre Macchiavelli. Non si arrese, continuando a cantarla in poesia, ma dopo le nozze si lasciò andare al risentimento e alla delusione.  Intanto, l'entourage cominciava ad avvedersi del talento del Tassino (come veniva chiamato per essere distinto dal padre), e gli furono commissionate delle rime per alcuni funerali. Confluendo in due raccolte, furono le prime poesie pubblicate da Torquato.  Ancora più notevoli erano gli sforzi prodigati per il Rinaldo, composto in soli dieci mesi e dedicato a Luigi d'Este. Il poema epico cavalleresco, incentrato sulle avventure del cugino di Orlando, fu stampato a Venezia nel 1562 e contribuì a diffondere il nome di Tasso, che aveva ancora soltanto diciotto anni.  Il padre intanto lo aveva messo nel 1561 al servizio del nobile Annibale Di Capua, e il duca d'Urbino gli aveva procurato una borsa di studio di cinquanta scudi annui per permettergli di continuare i corsi universitari. Dopo due anni a Padova, Tasso proseguì gli studi all'Bologna, ma durante il secondo anno di permanenza nella città felsinea, nel gennaio 1564, fu accusato di essere l'autore di un testo che attaccava pesantemente, con una satira sferzante, alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e privato della borsa di studio, fu costretto a ritornare a Padova, dove poté beneficiare dell'ospitalità di Scipione Gonzaga, che gli fornì il necessario per continuare il percorso di formazione.  Ritrovò tra i maestri Francesco Piccolomini e seguì le lezioni di Federico Pendasio. In casa del principe Gonzaga era appena stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci dello Speroni che miravano alla perfezione della forma, non senza scadere nell'artificiosità. Tasso vi entrò assumendo il nome di Pentito e leggendovi molti componimenti, tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una donna che la critica ha per lungo tempo identificato in Laura Peperara.  Secondo questa versione Torquato conobbe Laura nell'estate del 1563, quando aveva raggiunto a Mantova Bernardo, nel frattempo messosi al servizio del duca Guglielmo Gonzaga. La delicatezza nei modi della giovane fece dimenticare presto al Nostro le ancor fresche pene amorose per Lucrezia Bendidio. Lo spirito del Petrarca rivisse allora nelle liriche del ragazzo nuovamente innamorato. L'anno dopo, rivedendola, fu però deluso, e pur continuando a cantarla dovette ben presto rassegnarsi al secondo scacco.  Ricerche recenti hanno tuttavia collocato la nascita della Peperara nel 1563, rendendo quindi impossibile che fosse lei la seconda musa del Tasso.  I due canzonieri amorosi andarono in parte a finire tra le Rime degli Accademici Eterei, stampate a Padova nel 1567, assieme ad alcune che scriverà nel primo anno ferrarese.  Si legò anche all'Accademia degli Infiammati.  A Ferrara  Torquato Tasso all'eta di 22 anni ritratto da Jacopo Bassano. Giunse a Ferrara in occasione del secondo matrimonio (quello con Barbara d'Austria) del duca Alfonso II d'Este, al servizio del cardinale Luigi d'Este, fratello del duca, spesato di vitto e alloggio, mentre dal 1572 sarà al servizio del duca stesso. I primi dieci anni ferraresi furono il periodo più felice della vita di Tasso, in cui il poeta visse apprezzato dalle dame e dai gentiluomini per le sue doti poetiche e per l'eleganza mondana.  Il cardinale lasciò al Nostro la possibilità di attendere solamente all'attività poetica, e Tasso poté così continuare il poema maggiore. Rapporti particolarmente intensi intercorsero con le due sorelle del duca, Lucrezia e Leonora. La prima era uno spirito libero e incarnava ideali di vivacità e vitalità, mentre la seconda, malata e fragile, fuggiva la vita mondana e conduceva un'esistenza ritirata. Per quanto Tasso fosse attratto da entrambe e per quanto si sia avallata l'ipotesi di una relazione amorosa con Leonora, la critica tassesca ha concluso che non si andò al di là di forti simpatie.  La ricchezza culturale della corte estense costituì per lui un importante stimolo; ebbe infatti modo di conoscere Battista Guarini, Giovan Battista Pigna e altri intellettuali dell'epoca. In questo periodo riprese il poema sulla prima crociata, dandogli il nome di Gottifredo. Nel 1566 i canti erano già sei, e aumenteranno negli anni appresso.  Nel 1568 diede alle stampe le Considerazioni sopra tre canzoni diPigna, dove emerge la concezione platonica e stilnovistica che il Tasso aveva dell'amore, con alcune note però affatto peculiari, che lo portavano a ravvisare il divino in tutto ciò che è bello, e a definire di matrice soprannaturale anche l'amore puramente fisico. I concetti vennero ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose pubblicate due anni più tardi.  Compose anche i quattro Discorsi dell'arte poetica e in particolare sopra il poema eroico, anche se videro la luce solo nel 1587 a Venezia, per i tipi di Licino.  Nell'ottobre 1570 partì per la Francia al seguito del cardinale e, temendo gli potesse accadere qualche disgrazia nel lungo e pericoloso viaggio, volle dettare le proprie volontà all'amico Ercole Rondinelli, richiedendo la pubblicazione dei sonetti amorosi e dei madrigali, mentre precisava che «gli altri, o amorosi o in altra materia, c'ho fatti per servizio di alcun amico, desidero che restino sepolti con esso meco», ad eccezione di Or che l'aura mia dolce altrove spira.  Per il Gottifredo afferma di voler far conoscere «i sei ultimi canti, e de' due primi quelle stanze che saranno giudicate men ree», il che prova che il numero dei canti era salito almeno a otto.  Intanto, sempre nel 1570, Lucrezia d'Este sposò Francesco Maria II Della Rovere, compagno di studi di Torquato nel periodo urbinate.  Il soggiorno transalpino fu di sei mesi, ma, siccome Luigi aveva messo a disposizione del poeta poco denaro, questi trascorse il periodo francese sostanzialmente nell'ombra, con il solo onore di essere ricevuto da Caterina de' Medici, la moglie di Enrico II. Di ritorno a Ferrara, il 12 aprile 1571 decise di lasciare il seguito del cardinale.  Credeva incorrere in miglior fortuna presso Ippolito II, e scese pertanto a Roma. Anche il cardinale di villa d'Este però lo deluse, e Tasso decise di risalire la penisola, facendosi ospitare qualche tempo da Lucrezia e Francesco a Urbino, prima di entrare al servizio di Alfonso II.  In questo periodo continuò ad attendere al capolavoro, ma si diede anche al teatro, e scrisse l'Aminta, celebre favola pastorale che rientrava nei gusti delle corti cinquecentesche. Rappresentata con ogni probabilità all'isola di Belvedere, dov'era una delle «delizie» estensi, ebbe un grande successo e fu richiesta anche da Lucrezia d'Este a Urbino l'anno successivo. Nell'euforia del successo, scrive una tragedia, Galealto re di Norvegia, ma la abbandona  all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano molto più tardi trasformandola nel Re Torrismondo.  Il capolavoro e la revisione L'impegno principale rimaneva comunque il poema epico, per il quale l'autore non aveva ancora stabilito un titolo. Nel novembre '74 l'opera era quasi completa, visto che «io aveva comincio quest'agosto l'ultimo canto», ma si deve aspettare per avere l'annuncio del completamento del testo, quando in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano leggiamo: «Sappia dunque Vostra Signoria illustrissima, che dopo una fastidiosa quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».  Completato quindi il poema maggiore, si apre il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero. Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Speroni, il principe e cardinale Gonzaga, il cardinale Antoniano, il poeta Bargeo e il grecista Nobili.  Cndivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questao condotto finalmente al fine il poema di Goffredo. Completato quindi il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta. Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero. Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili.  Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questa particolare istoria di Goffredo si conveniva altra trattazione; e forse anco io non ho avuto tutto quel riguardo che si doveva al rigor de' tempi presenti. E le giuro che se le condizioni del mio stato non m'astringessero a questo, ch'io non farei stampare il mio poema né così tosto, né per alcun anno, né forse in vita mia; tanto dubito de la sua riuscita».[26] Nemmeno l'entusiastica ammirazione di Lucrezia d'Este cui leggeva il poema ogni giorno «molte ore in secretis»[27], né l'essere venuto a conoscenza del grande piacere con cui da più parti l'opera veniva letta, poterono placare le sue angosce. Scrive “Allegoria”, con cui rivisitava tutto il poema in chiave allegorica cercando di emanciparsi dalle possibili accuse di immoralità. Ma non bastava: gli scrupoli di carattere religioso assunsero la forma di vere e proprie manie di persecuzione. Per mettere alla prova la propria ortodossia nella fede cristiana si sottopose spontaneamente al giudizio dell'Inquisizione di Ferrara, ricevendo due sentenze di assoluzione.[29]   Barbara Sanseverino Disagi presso la corte estense e fughe Due belle signore, giunte alla corte nel 1575 e protrattesi presso il duca fino all'anno dopo, costituirono un intermezzo piacevoleforse l'ultimoin mezzo a tante preoccupazioni. Per loro, la contessa di Sala Barbara Sanseverino e la contessa di Scandiano Leonora Sanvitale, cantò gioiosamente in alcune rime amorose, che, com'era accaduto per Lucrezia e Leonora d'Este, obbediscono alle conventions de genre e non rivelano altro che una sincera amicizia. Ma il Tasso si era stancato anche di Alfonso, e sognava diandare a Firenze, presso la corte medicea. Non è chiaro perché volesse abbandonare Ferrara, ma i motivi adducibili sono vari e variamente intriganti, e tutti hanno in loro almeno una parte di verità. «Ch'io desideri sommamente di mutar paese, e ch'io abbia intenzione di farlo, assai per se stesso può essere manifesto, a chi considera le condizioni del mio stato», scrive a Gonzaga.  Le «condizioni del mio stato» possono avere una valenza materiale: Tasso riceveva dal duca solo cinquantotto lire marchesane mensili, che sommate alle centocinquanta percepite in qualità di lettore all'Università (carica che ricopriva per i soli giorni festivi) danno una cifra sicuramente bassa che a un poeta ormai affermato doveva parere stretta, anche solo per una questione di dignità, senza voler pensare a motivazioni di pretta bramosia L'espressione tassesca può assumere però anche una connotazione morale e psicologica: si erano in effetti verificati alcuni episodi spiacevoli presso la corte estense. Ha una lite con il cortigiano Ercole Fucci. Provocato, aveva rifilato uno schiaffo al Fucci, che in risposta lo colpì più volte con un bastone.  Un servo aveva inoltre rivelato al Tasso che, durante una sua assenza, un altro cortigiano, Ascanio Giraldini, aveva fatto forzare la porta della sua camera, nel tentativo di appropriarsi di alcuni manoscritti. Tasso sarebbe anche riuscito a rintracciare il magnano ottenendone una confessione, come risulta da un'altra lettera al Gonzaga, in cui si ipotizzano altre trame ordite alle sue spalle, anche se «io non me ne posso accertare».[33]  A far precipitare il rapporto con il duca e la corte furono però gli scrupoli religiosi del poeta. Si autoaccusò presso l'Inquisizione ferrarese (dopo l'autoaccusa presso il tribunale bolognese avvenuta due anni prima), attaccando inoltre influenti personaggi di corte. Si cercò allora di far desistere il poeta dall'intenzione di confermare le sue affermazioni negli interrogatori successivi, senza risparmiargli punizioni corporali che non riuscirono afar cambiare idea al Tasso, che si presentò altre due volte davanti all'inquisitore.[35]  Le accuseerano rivolte in particolare contro Montecatini, il segretario ducale. Siccome Torquato voleva recarsi a deporre presso il Tribunale capitolino, l'inquisitore ferrarese, conscio del fatto che una simile azione poteva mettere a repentaglio i rapporti con la Santa Sede,vitali per casa d'Esteinformò immediatamente il duca con una missiva del 7 giugno. Alfonso mise il poeta sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso, ritenendosi spiato da un servo, gli scagliò contro un coltello.   Il Castello Estense Tasso rimase nella prigione del Castello fino all'11 luglio, quando Alfonso lo fece liberare e lo accolse presso la villeggiatura di Belriguardo, dove però rimase pochi giorni, venendo rimandato a Ferrara per essere consegnato ai frati del convento di S. Francesco.[37]  Il poeta supplicò allora i cardinali dell'Inquisizione romana affinché lo sollevassero da una situazione ormai insopportabile trovandogli una sistemazione nell'Urbe, e nel contempo si lamentava con Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto, ma pochi giorni dopo si ritrovò nuovamente nella prigione del Castello. Tentò quindi un'altra via e chiese invano perdono al suo signore. E indubbiamente provato dalle fatiche della Gerusalemme, e le lettere del periodo rivelano un animo inquieto e agitato, spesso preoccupato di smentire chi voleva vedere in lui i germi della pazzia. Le manie di persecuzione e l'instabilità si erano impadronite di lui, ma fino a qual punto? Fino a qual punto invece certe manifestazioni del poeta, che mantiene nelle missive una lucidità pressoché completa, funsero da pretesto per emarginare un personaggio divenuto pericoloso? Su questo punto i critici non sono mai riusciti a trovare un accordo.  Intanto la prigionia el Castello si prolungava, e non restava che la fuga: nella notte tra il 26 e il 27 luglio si travestì da contadino e fuggì nei campi. Raggiunta Bologna, proseguì fino a Sorrento, dove, ancora sotto mentite spoglie e fisicamente distrutto, si recò dalla sorella, annunciandole la propria morte, così da vedere la sua reazione, e svelandole la sua vera identità solo dopo aver osservato la reazione realmente addolorata della donna.[39]  A Sorrento rimase parecchi mesi ma, volendo riprendere parte alla vita di corte, fece inviare da Cornelia una supplica al duca, in data 4 dicembre 1577, chiedendo di essere riammesso alle sue dipendenze, in un testo che fu certamente dettato, almeno in parte, dal poeta stesso: «La maggior colpa che io credo sia in lui, è la poca sicurezza, che ha mostrata d'avere nella parola di V.A., e il molto diffidarsi della sua benignità».[40]  Così, nell'aprile 1578 ritornò a Ferrara, ma, tempo tre mesi, era di nuovo in fuga; Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di Pesaro, da Cattolica mandò ad Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i motivi dell'abbandono, che restano, anche nella testimonianza diretta del Tasso, criptici: «ora me ne dono partito. per non consentire a quello, a che non dee consentire uomo, che faccia alcuna professione d'onore, o ch'abbia nell'animo alcuno spirito di nobiltà. Paura, instabilità?  Quello che è certo è che nello stesso mese le parole di Maffio Venierche lo aveva incontrato a Veneziasembrano far perdere credibilità alle ipotesi di follia: «sebbene si può dire che egli non sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più tosto segni di afflizione che pazzia». Anche gli scambi epistolari intrattenuti con Francesco Maria Della Rovere paiono rivelare una personalità afflitta e agitata più che folle. Il Leitmotiv, adesso più che mai, è il dolore. Il dolore si fa allora poiesis, creazione. È proprio questo il periodo in cui vengono composti i versi dell'incompiuta canzone Al Metauro, tra i più citati e famosi dell'opera tassesca. Qui, in una rievocazione della propria vita sub specie doloris[44], affiorano i ricordi delle proprie sofferenze e della morte dei genitori. Il poeta è un esiliato, concretamente e metaforicamente, sin da quando bambino dovette lasciare il luogo natìo:  «In aspro esiglio e 'n dura povertà crebbi in quei sì mesti errori; intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi stagion, matura l'acerbità de' casi e de' dolori in me rendé l'acerbità degli anni»  Intanto continuava a vagare. Percorse a piedi il tratto che separa Urbino da Torino, ma non sarebbe riuscito a entrare nella cittàera stato respinto dai doganieri perché in stato pietosose Angelo Ingegneri, amico di Torquato da alcuni anni, non lo avesse riconosciuto e aiutato a entrare. A Torino ricevette l'ospitalità del marchese Filippo d'Este, genero del duca di Savoia[45], e godette di una certa tranquillità che gli permise di comporre poesie e iniziare tre dialoghi, la Nobiltà, la Dignità e la Precedenza. In seguito a nuovi pentimenti e nuove nostalgie della corte ferrarese, il poeta si adoperò ancora una volta per il rientro nella città ducale, facendo leva sulle intercessioni del cardinale Albano e di Maurizio Cataneo, e infine riguadagnò la capitale estense tra il 21 e il 22 febbraio, proprio mentre fervevano i preparativi per le terze nozze di Alfonso, quelle con Margherita Gonzaga, figlia del duca di Mantova Guglielmo.  Fu ospitato da Luigi d'Este, ma nessuno badava a lui: «Ora le fo sapere, che io qui ho trovato quelle difficoltà che m'imaginava, non superate né dal favore di monsignor illustrissimo, né da alcuna sorte d'umanità ch'io abbia saputo usare», scrisse a Maurizio Cataneo. In una missiva al cardinale Albano, recante la data, Tasso chiede almeno gli si faccia riottenere lo stipendio precedente.[47]  A questo punto i fatti precipitano: «Iersera l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le insolenti pazzie ch'avea fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che era poi venuto a fare con le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato rifferto, furono così brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione».[48] Non è chiaro quando accadesse esattamente il fatto, si oscilla tma è certo che in quest'ultima data il poeta fosse già stato recluso nella prigione di Sant'Anna.[ Pare sicuro anche che le parole offensive pronunciate in preda all'ira si siano indirizzate poi in modo esplicito allo stesso duca, ed è probabile che si trattasse di gravi accuse (forse legate ancora una volta alla vicenda dell'Inquisizione) che, fatte in pubblico, chiedevano una risoluzione drastica.  Il duca Alfonso II rinchiuse quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, nella celebre cella detta poi "del Tasso", dove rimase per sette anni. Qui, alle manie di persecuzione, si aggiunsero tendenze autopunitive.   Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna Nell'Ospedale veniva trattato alla stregua dei «forsennati», ricevendo poche razioni di cibo scadente, privato di ogni comodità materiale e di ogni conforto spirituale, visto che il cappellano, «se ben io ne l'ho pregato, non ha voluto mai o confessarmi o comunicarmi».[50] È vero che dopo nove mesi ci fu un miglioramento del vitto, ma dovette trattarsi di ben poca cosa, e i primi tre anni coincisero con una sorta di isolamento.  Scrisse comunque ininterrottamente a principi, prelati, signori e intellettuali pregandoli di liberarlo e difendere la propria persona. Le suppliche erano rivolte al solito Gonzaga, alla mai dimenticata Lucrezia d'Este, a Francesco Panigarola (che sarebbe divenuto vescovo di Asti), a Ercole Tasso e molti altri. I primi anni di reclusione non impedirono a Torquato di scrivere; anzi, le tre canzoni del periodo rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle armonie, simbolo di un'ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di più, di come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Ecco quindi A Lucrezia e Leonora, con la celebre invocazione alle «figlie di Renata», in una nostalgico ricordo dei tempi sereni trascorsi a corte, messo in contrasto con la durezza del tempo presente, ecco Ad Alfonso, nuova supplica al duca che, rimasta inascoltata, diventò un inno Alla Pietà nell'omonima canzone.  Le condizioni mutarono con gli anni: gli fu permesso di uscire qualche volta e di ricevere visite, il vitto migliorò ulteriormente, mentre poté lasciare Sant'Anna più volte alla settimana, «accompagnato da gentiluomini e qualche volta fu condotto anche a corte».[52] Tuttavia il trattamento rimaneva molto duro e, a distanza di secoli, pare spropositato se il motivo dovesse ridursi alla pazzia o a delle offese personali.  Certo, il Tasso soffriva di turbe psichiche. A questo proposito è illuminante la lettera di aiuto che indirizzò il 28 giugno 1583 al celebre medico forlivese Girolamo Mercuriale. Qui troviamo un elenco e una descrizione dei mali che affliggono il poeta: «rodimento d'intestino, con un poco di flusso di sangue; tintinni ne gli orecchi e ne la testa, imaginazione continua di varie cose, e tutte spiacevoli: la qual mi perturba in modo ch'io non posso applicar la mente a gli studi per un sestodecimo d'ora», fino alla sensazione che gli oggetti inanimati si mettano a parlare. È da notare tuttavia come tutte queste sofferenze non l'abbiano reso «inetto al comporre. Si può poi ammettere che «il Tasso non fu semplicemente un melanconico, ma di tratto in tratto veniva sorpreso da eccessi di mania, da riescire pericoloso a sé ed agli altri»[54], ma, anche se questi squilibri dovessero essersi manifestati realmente, essi non giustificano né la tesi della pazzia né la necessità di allontanare il Tasso dalla corte per un periodo così lungo. Con buone probabilità, quindi, la ragione principale deve essere riallacciata ancora una volta ai tentativi tasseschi di ricorrere all'Inquisizione romana, e l'imprigionamento era il solo modo per non compromettere il rapporto con lo Stato Pontificio.  Dopo l'edizione veneziana "pirata" e mutila di Celio Malespini, sempre durante la prigionia, vennero pubblicatenel tentativo di porre rimedio alla sciagurata operazionea Parma e Casalmaggiore, ancora senza il suo consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo di Gerusalemme liberata fu scelto dal curatore di queste ultime versioni, Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ebbe un grande successo.  Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentavano delle imperfezioni e la Gerusalemme era ormai di dominio pubblico, bisognava approntare la versione migliore possibile, ma per far questo era necessaria l'autorizzazione e la collaborazione del Tasso. Così, seppur riluttante, il poeta diede il proprio consenso a Febo Bonnà, che diede alla luce la Gerusalemme liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara, restituendola in modo ancora più preciso pochi mesi dopo. Queste traversie editoriali addolorarono il Tasso, che avrebbe voluto mettere mano al poema in modo da renderlo conforme alla propria volontà. All'amarezza per le pubblicazioni seguì ben presto quella che gli fu causata dallapolemica con la neonata Accademia della Crusca. La diatriba non fu scatenata, per la verità, né dal poeta né dall'Accademia. La sua origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia, che il poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino Sermartelli. Nel dialogo Torquato viene esaltato assieme alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele ai dettami aristotelici, mentre l'Ariosto viene duramente condannato a causa della leggerezza, delle fantasiose invenzioni e dell'eccessiva dispersione che si possono riscontrare nell'Orlando Furioso. Il testo provocò la reazione dell'Accademia, che rispose nel febbraio dell'anno seguente con la Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca, stroncando il Tasso ed esaltando invece «il palagio perfettissimo di modello, magnificentissimo, ricchissimo, e ornatissimo» che era il Furioso. La Difesa fu fondamentalmente opera di Leonardo Salviati e di Bastiano de' Rossi. Tasso decise di scendere in campo con l'Apologia in difesa della Gerusalemme Liberata, edita a Ferrara dal Licino il 20 luglio. Rivendicando la necessità di un'invenzione che si fondi sulla storia, il poeta si opponeva alle opinioni dei paladini del volgare fiorentino, e respingeva le accuse di un lessico intriso di barbarismi e poco chiaro. La polemica continuò, visto che il Salviati replicò in settembre con la Risposta all'Apologia di Torquato Tasso (testo noto anche come Infarinato primo), cui seguirono un nuovo opuscolo di Pellegrino e un Discorso del Nostro, dopo di chese si esclude un ulteriore scritto del Salviati, l'Infarinato secondo per qualche tempo le acque si calmarono, ma la querelle tra ariosteschi e tasseschi proseguì fino al secolo successivo, e fu una delle più infiammate della storia della letteratura italiana.  Durante la reclusione Tasso scrisse principalmente discorsi e dialoghi. Fra i primi quello Della gelosia, Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo, Della virtù eroica e della carità, Della virtù femminile e donnesca, “Dell'arte del dialogo”; “Il Secretario” cui si deve aggiungere il Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia e il Trattato della Dignità, già iniziato a Torino, come si è visto.[61]  Queste opere sviluppano tematiche morali, psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è proclamata come superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune origine di amore e gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il tutto arricchito dal racconto di esperienze personali che giustificano l'opinione dell'autore. Vengono affrontate anche questioni politiche, in special modo nel Secretario, diviso in due parti, la prima dedicata a Cesare d'Este, la seconda ad Antonio Costantini. Qui, nella descrizione del principe ideale, si enucleano alcune caratteristiche come la clemenza (chiaro il riferimento alla propria condizione), l'esser filosofo, e soprattutto «un gentiluomo a la cui fede ed al cui sapere si possono confidare gli Stati e la vita e l'onor del principe». Più copiosa ancora fu la composizione di dialoghi, scritti sotto il nume ideale di Platone, ma paragonabili più obiettivamente a quelli del sedicesimo secolo. Quasi ogni tematica morale viene sviscerata in una serie davvero lunga di opere più o meno prolisse e più o meno felici.  Tasso scrisse, nell'ordine, Il Forno, o vero de la Nobiltà, il Gonzaga, o vero del Piacer onesto, in seguito rivisto e stampato con il titolo Il Nifo, o vero del piacere; Il Messaggero. Qui immaginò di interagire amichevolmente con il folletto da cui si credeva perseguitato nella realtà. Questo dialogo ispirò la celebre operetta morale leopardiana Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare), con una seconda lezione. Il padre di famiglia (ispirato a un gentiluomo che lo ospitò a Borgo Sesia prima dell'arrivo a Torino); Il cavalier amante e la gentildonna amata (con dedica a Giulio Mosti, giovane ammiratore del poeta); Romeo o vero del giuoco, rivisto e dato alle stampe con titolo Il Gonzaga secondo, o vero del giuoco; La Molza, o vero de l'Amore (prende spunto dalla conoscenza che il Tasso fece della celebre poetessa Tarquinia Molza a Modena, dedicato a Marfisa d'Este); Il Malpiglio, o vero della corte (con riferimento al gentiluomo ferrarese Lorenzo Malpiglio); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir la moltitudine; Il Beltramo, overo de la Cortesia; Il Rangone, o vero de la Pace (in risposta a uno scritto di Fabio Albergati); Il Ghirlinzone, o vero l'Epitafio. Il Forestiero napolitano, o vero de la Gelosia; Il Cataneo, o vero de gli Idoli, e, infine, La Cavalletta, o vero de la poesia toscana. In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe, dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente opposte agli interventi che avrebbe apportato negli anni successivi: parla di portare la Liberata da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento. Qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava intravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della reclusione  a Comacchio era stata rappresentata una commedia tassesca alla presenza della corte. Ora Virginia de' Medici voleva che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata e ricevette il titolo “Gli intrichi d'amor” edal Perini, uno degli attori dell'Accademia di Caprarola, che aveva messo in scena la commedia. L'opera, ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati all'Aminta. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella commedia dell'arte: il personaggio del Napoletano, parlando in dialetto e «profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura maschera di Pulcinella. La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di Francesco D'Ovidio. F. Pourbus: Vincenzo Gonzaga Dopo la prigionia: le delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni. Finì la prigionia. Venne affidato a Vincenzo Gonzaga, che lo volle alla sua corte di Mantova. Nelle intenzioni di Alfonso, Tasso doveva restare presso il figlio di Guglielmo Gonzaga solo per un breve periodo, ma di fatto il poeta non tornò più a Ferrara, e restò presso Vincenzo, in un ambiente in cui conobbe Ascanio de' Mori da Ceno, diventandone amico.  A Mantova ritrova qualche barlume di tranquillità; riprese in mano il Galealto re di Norvegia, la tragedia che aveva lasciato interrotta alla seconda scena del secondo attoe che aveva frattanto avuto un'edizione nel 1582 -, e la trasformò nel Re Torrismondo, conglobando nei primi due atti quanto aveva precedentemente scritto ma cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre atti successivi in modo da arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto si recò a Bergamo, ritrovando amici e parenti, si mise subito in azione per dare alle stampe la tragedia, e l'opera uscì, a cura del Licino e per i tipi del Comin Ventura, con dedica a Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova. Si trattava comunque di una "libertà vigilata", e i fatti lo dimostrano chiaramente. Dopo essere tornato a Mantova, deluso e preoccupato di una possibile venuta di Alfonso, Tasso andò a Bologna e a Roma senza chiedere al Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la pressione del duca di Ferrara, tentò in ogni modo di farlo tornare indietro. Antonio Costantini, sedicente amico del poeta che metteva al primo posto l'ambizione e l'obiettivo di essere tenuto in onore presso la corte mantovana, e Scipione Gonzaga si mobilitarono, ma Torquato capì la situazione e rifiutò di ritornare, rendendo impossibile qualsiasi mossa, dal momento che un intervento che lo riportasse nel ducato mantovano con la forza non sarebbe mai stato tollerato dal Pontefice. Il fatto che nessuno impedisse il viaggio a Bergamo mentre ci fosse una mobilitazione generale per allontanare il poeta dall'Urbe rimane comunque un segnale che pare ulteriormente ridimensionare il peso della presunta follia di Torquato nelle preoccupazioni dei duchi del settentrione.  Il santuario di Loreto in un'incisione di Francisco de Hollanda (prima meta del sec. XVI) Nel corso del tragitto Tasso passò da Loreto, raccogliendosi in preghiera nel santuario e concependo quella canzone «a la gloriosa Vergine» che può forse richiamare il Petrarca della Canzone alla Vergine in qualche scelta lessicale, ma, in mezzo alla lode e alla supplica, è tanto più intessuta di travaglio e sofferenza:  «Vedi, che fra' peccati egro rimango, qual destrier, che si volve nell'alta polve, e nel tenace fango.»  Torquato fu a Roma. L'irrequietudine era di nuovo alle stelle: le lettere registrano le sue richieste di denaro e le lamentele per la propria condizione di salute. Il poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento sulla possibilità che gli altri lo aiutino. Come scrisse alla sorella in una lettera del 14 novembre, gli uomini «non hanno voluto sanarmi, ma ammaliarmi. Tuttavia, il Nostro è in preda al bisogno materiale e continua ad autoumiliarsi, scrivendo versi encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto cardinale, senza ottenere alcunché. Anche la speranza di essere ricevuto dal papa Sisto V viene delusa, nonostante le lodi che Tasso rivolge al pontefice in varie poesie, confluite assieme ad altre del periodo in un volumetto del 1589, stampato a Venezia. Vista l'inutilità del soggiorno romano, il peregrinante poeta pensò trovare maggior fortuna nell'amata Napoli. Così, ritorna nella città vesuviana fortemente intenzionato a risolvere a proprio favore le cause contro i parenti per il recupero della dote paterna e di quella materna. Benché potesse contare su amici e congiunti, e sulle conoscenze altolocate partenopee, tra cui i Carafa (o Carrafa) di Nocera, i Gesualdo, i Caracciolo di Avellino, i Manso, preferì accettare l'ospitalità di un convento di frati olivetani. Qui conobbe l'amico più caro degli ultimi anni: Giovan Battista Manso, signore di Bisaccia e primo entusiasta biografo dell'autore dopo la sua morte.  Il clima amichevole in cui fu accolto, la stima di amici e letterati, e il conforto di una «bellissima città, la quale è quasi una medicina al mio dolore, riuscirono a risollevare per un breve periodol'infelice animo tassiano. Per ringraziare i monaci scrisse il poemetto, rimasto incompiuto, Monte Oliveto, in riferimento al convento in cui sorgeva il complesso monastico che attualmente ospita la caserma dei carabinieri (resta visitabile la chiesa Sant'Anna dei Lombardi). L'operaun resoconto encomiastico delle principali tappe esistenziali e delle principali virtù di Bernardo Tolomei, il fondatore della Congregazioneè fortemente intessuta di spirito cristiano, in un severo richiamo ad una vita sobria, lontana dalle vanità del mondo. Dedicata al cardinale Antonio Carafa, si interrompe alla centoduesima ottava. Al pari del Re Torrismondo e di molta parte dell'ultima produzione tassesca, il Monte Oliveto non ha goduto dei favori della critica. Guido Mazzoni vi vide più una predica che un poema, mentre Eugenio Donadoni utilizzò quasi le medesime parole che gli erano servite per stroncare il Torrismondo (v. Re Torrismondo): questa è «l'opera non più di un poeta, ma di un letterato, che cerca di dare forma e tono epico a una convenzionale vita di santo».[78] Come per la tragedia nordica, la rivalutazione è arrivata con l'analisi di Luigi Tonelli e di alcuni studiosi più recenti.  In ogni caso, anche questo periodo napoletano si rivelò problematico per Tasso, a causa delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, a cui si aggiunsero anche nuove polemiche letterarie e religiose sulla Gerusalemme liberata. Spostatosi a Bisaccia, Tasso poté vivere un periodo di maggiore tranquillità. Manso ricorda un episodio curioso: mentre sedeva con l'amico davanti al fuoco, questi disse di vedere uno «Spirito, col quale entrò in ragionamenti così grandi e meravigliosi per l'altissime cose in essi contenute, e per un certo modo non usato di favellare, ch'io rimaso da nuovo stupore sopra me inalzato, non ardiva interrompergli». Alla fine della visione, Manso confessò di non aver visto nulla, ma il poeta gli si rivolse sorridendo: «Assai più veduto hai tu, di quello che forse... E qui si tacque».[79] Viste le rare manifestazioni allucinatorie di cui abbiamo notizia, (si ricordino quelle che erano state descritte nel dialogo Il messaggero, in cui è descritto uno spirito amoroso che appare a Tasso sotto la figura di un giovanetto dagli occhi azzurri, simili a quelli che Omero alla dea d'Atene attribuisce), la risposta del Nostro assume una valenza indubbiamente ambigua, e non può escludersi che avesse voluto mettere alla prova il Manso per vedere se anche lui lo avrebbe considerato un "folle".  A dicembre era di nuovo a Roma, dove giunse nella speranza di poter essere ospitato dal Papa in Vaticano, confidando negli illusori pareri di alcuni amici.[80] Ad ospitare Tasso fu invece Scipione Gonzaga, e il poeta si sentì di nuovo «più infelice che mai». Ricominciava la routine: richieste d'aiuto a destra e a sinistra, con l'obiettivo di ricevere i cento scudi che gli erano stati promessi per la stampa delle sue opere: «vorrei in tutti i modi trovar questi cento ducati, per dar principio a la stampa, avendo ferma opinione che di sì gran volume se ne ritrarrebbero molto più», scrisse ad Antonio Costantini.[82] I destinatari erano ancora una volta i più disparati: il principe di Molfetta, il Costantini, il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, gli editori. Il Nostro si umiliò per l'ennesima volta anche con Alfonso, cui chiese nuovamente perdono, mentre al Granduca di Toscana Ferdinando I domandò l'intercessione del cardinal Del Monte, lo stesso che prenderà sotto la propria protezione Caravaggio. Tutte le speranze, però, furono disattese.  Al tempo stesso anche le missive ai medici si rifecero intense. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non venne meno la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi scritto il commento, Tasso compose anche un poema pastorale che riprende, anche se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera fu postuma. Per quanto Grazioso Graziosi, agente del duca di Urbino, dicesse al suo signore del modo eccellente in cui il Tasso era trattato presso il cardinale Gonzaga, egli rilevava al contempo le infermità fisiche e mentali di Torquato, che privavano la sua età «del maggior ingegno che abbian prodotto molte delle passate. Tuttavia, è bene diffidare della prima quanto della seconda affermazione. Se «il povero Signor Tasso è veramente degno di molta pietà per le infelicità della sua fortuna»[85], come si legge in una missiva del Graziosi di due settimane dopo, perché cacciare il poeta in malo modo, mentre Scipione Gonzaga non era presente, e costringerlo a una nuova situazione di bisogno? In aiuto del Tasso vennero ancora i monaci della Congregazione del Tolomei, che lo ospitarono a Santa Maria Nuova degli Olivetani.[86]  Gli ultimi anni del Tasso, però, non conobbero pace duratura: le sofferenze psichiche si acuirono nuovamente, certo per le nuove delusioni derivanti da richieste di denaro non esaudite, dall'obbligo di piegarsi alla composizione di poesie a pagamento, e il poeta fu costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli, adiacente alla chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi, la cui costruzione era appena stata ultimata. Il dolore emerge in modo chiaro in una lettera inviata il primo dicembre 1589 ad Antonio Costantini, divenuto ormai suo confidente. Ritornò presso Scipione Gonzaga, sempre lamentandosi per la scarsa considerazione in cui era tenuto e sempre scrivendo della propria infelicità.[88] Tasso premeva, come già più volte in passato, per essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accettò quindi con gioia l'invito di Ferdinando de' Medici. A Firenze giunse in aprile, ospite prima dei fidati Olivetani, poi di ricchi e illustri cittadini quali Pannucci e Gherardi. Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si aggiunsero anche relative soddisfazioni economiche (sempre comunque in cambio di versi encomiastici): dal Granduca ricevette centocinquanta scudi[89], da Giovanni III di Ventimiglia, marchese di Geraci, sembrerebbe, duecento scudi.[90]  Il motivo di gioia principale era tuttavia un altro, era l'avvicinarsi dell'evento più ambito da chi si sentiva, sopra ogni cosa, poeta: «Penso a la mia coronazione, la qual dovrebbe esser più felice per me, che quella de' principi, perché non chiedo altra corona per acquetarmi». Non ci fu nessuna incoronazione. C'è chi ha asserito che questa lettera contenesse solo una bislacca speranza del Tasso, senza alcun legame con la realtà.[92] Tuttavia, la sicurezza con cui l'evento viene ormai dato per certo lascia pensare che le illusioni del Nostro avessero un fondamento, e non fossero una pura chimera.  Un nuovo evento lo indusse all'ennesimo spostamento: papa Urbano VII era succeduto a Sisto V, incoraggiando il Tasso a fare nuovamente affidamento sugli aiuti pontifici. Tasso scese così a Roma, accolto dagli Olivetani di Santa Maria del Popolo. Giovanni Battista Castagna morì tredici giorni dopo l'elezione, lasciando il posto a Gregorio XIV. Anche questa volta le lettere del poeta registrano un amaro scacco: «Ho perduto tutti gli appoggi; m'hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le promesse ingannato», confidò, sempre più afflitto, a Niccolò degli Oddi. L'autore della Gerusalemme è ogni giorno che passa più confuso, sballottato qua e là dagli eventi come una barca in mezzo al mare. Tutto questo riflette la condizione interiore di una persona disincantata ma al tempo stesso ancora ingenuamente pronta a fidarsi delle fallaci promesse che giungono dal mondo intorno, riflette un'instabilità ormai cronica. È vero che la fede andò radicandosi sempre più in Tasso, ma il fatto che al duca di Mantova scrivesse di volersi ritirare in un monastero e pochi giorni dopo accettasse il suo invito a tornare a corte è l'evidente manifestazione di un'anima senza pace.[94]  Ritornato quindi sul Mincio (marzo 1591), accolto con tutti gli onori, poté dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e in particolare alla revisione del capolavoro. La missiva a Maurizio Cataneo del 4 luglio ci informa del fatto che il poeta era già a buon punto, e illustra le linee direttrici della propria opera correttrice: «sono al fine del penultimo libro; e ne l'ultimo mi serviranno molte di quelle stanze che si leggono nello stampeato. Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato e quasi riformato poema toglia il credito a l'altro, datogli dalla pazzia de gli uomini più tosto che dal mio giudicio».[95] Sono parole che possono parere sciagurate, ma riflettono gli scrupoli religiosi sempre più pressanti.  Non si era comunque concentrato solo sul poema: aveva raccolto le Rime in quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A tutto questo va aggiunto un nuovo lavoro che aveva intrapreso, lasciandolo poi incompiuto. La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, si interruppe dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666, tra le Opere non più stampate dell'edizione romana Dragondelli.[96] Il poemetto è sicuramente trascurabile, fatto di una versificazione fredda, appesantita da nozioni e nomi. Tra le fonti il ruolo principale è stato svolto da un regesto di Cesare Campana, Arbori delle famiglie... e principalmente della Gonzaga, uscito a Mantova l'anno prima, e dall'Historia sui temporis di Paolo Giovio, accanto a cui va ricordata la tradizione orale legata alla battaglia del Taro.[97]  La calma, tuttavia, era ormai un ricordo di gioventù, e ogni soggiorno diventava insopportabile dopo un certo numero di mesi. Così, ridiscese la penisola, con l'intenzione di raggiungere nuovamente Roma. Il viaggio fu travagliato e appesantito dal fatto che Tasso si ammalò più volte durante il tragitto, costretto a sostare in varie località, fra cui Firenze. Giunto nell'Urbe il 5 dicembre 1591, ricevette l'ospitalità di Maurizio Cataneo. Poche settimane dopo era ancora in viaggio, diretto a Napoli  A questo punto, inaspettatamente, ci fu spazio per qualche luce e qualche reale soddisfazione. Il soggiorno napoletano non tradì, né per quanto riguarda l'accoglienza ricevuta (fu ospitato dal principe di Conca Matteo di Capua e poi da Manso con grandi onori e affetto), né sulle questioni letterarie, né su quelle relative alla salute dell'artista. In effetti, in virtù della «purità dell'aria, comincia a sentirsi meglio, e di conseguenza poté dedicarsi in modo più proficuo alle proprie attività. In questi mesi completò la Conquistata, e, sempre durante il soggiorno partenopeo, mise mano all'ultima opera significativa, Le sette giornate del Mondo creato. Gli ultimi tre anni di vita lo videro prevalentemente a Roma. L'elezione al soglio pontificio di Clemente VIII lo fece venire nell'Urbe, e anche qui ebbe un trattamento decisamente migliore rispetto alle recenti esperienze. Poté infatti alloggiare nel palazzo dei nipoti del Papa, Pietro e CinzioAldobrandini, in procinto di diventare cardinali. Cinzio sarà di fatto il vero mecenate dell'ultimo periodo. La produzione letteraria ebbe nuovi sussulti, consacrandosi ormai quasi esclusivamente agli argomenti sacri: compose i Discorsi del poema eroico e altri Dialoghi, carmi latini e rime religiose. Addolorato per la morte di Scipione Gonzaga, gli dedicò, nel marzo 1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.Tasso aveva intanto finito di rivedere il poema, e sempre nel 1593 vide la luce a Roma, per i tipi di Guglielmo Facciotti, la Gerusalemme conquistata.  Esistono inoltre chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare Tasso in Campidoglio, nonostante alcuni studiosi si siano osti negarlo e a considerarla un'invenzione del poeta. È veramente degno il Signor Torquato Tasso di esser celebrato in questi medesimi tempi come raro per la sua poesia, ed è parimente degno della grandezza dell'animo del Signor Cinzio Aldobrandini di erigergli una statua laureata, con mill'altre cerimonie e specie, come dicono che tosto si vedrà, e dargli luogo in Campidoglio fra le più degne ed antiche cerimonie [...]», rivela Matteo Parisetti in una lettera ad Alfonso II, risalente all'agosto del Lo stesso Tasso è esplicito al riguardo: «Qui in Roma mi voglion coronar di lauro», scrive al Granduca di Toscana il 20 dicembre 1594, «o d'altra foglia». Sennonché, pur essendo ancora bisognoso di soldi e continuando a fare richiesta per ottenerli, il poeta sentiva sempre più lontane le preoccupazioni del mondo, e sempre meno si curava della vanità e dei successi terreni. La salute, dopo la parentesi napoletana, andava aggravandosi nuovamente, e Torquato cominciava a capire che la fine non era lontana. Per questo ritornò alle falde del Vesuvio, per concludere rapidamente in proprio favore la questione legata all'eredità materna: il risultato fu soddisfacente, acconsentendo il principe di Avellino a versargli duecento ducati all'anno, ai quali vanno aggiunti cento ducati annui che il Papa si risolverà a dargli a partire dal febbraio 1595.  A Napoli rimase dal giugno al novembre del 1594, alloggiato al monastero benedettino di san Severino, sempre più votato alla vita monastica e attratto ancora dalla letteratura agiografica. Fu probabilmente nei mesi trascorsi presso i benedettini che Tasso abbozzò l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine dell'anno ritornò a Roma.  Cambiò città per l'ultima volta: la fine era dietro l'angolo. Riconosciuta la definitiva infermità che gli rendeva ormai impossibile scrivere e correggere, non sentì più che un ultimo bisogno, tralasciando tutto il resto, il bisogno della «fuga dal mondo». Entra al monastero di S. Onofrio, sul Gianicolo, senza più nemmeno curarsi del fatto che il Mondo creato non era stato ancora rivisto. Tutto svaniva, di fronte all'importanza di prepararsi al trapasso: «Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella, perch'io mi sento al fine de la mia vita. Non è più tempo ch'io parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de l'ingratitudine del mondo». Tutto perdeva importanza, a fronte della dolcezza della «conversazione di questi divoti padri», che cominciava «la mia conversazione in cielo. Monumento in Sant'Onofrio Il 25 aprile, all'«undecima ora». Tasso muore. E una morte serena, ricevuta con tutti i conforti dei sacramenti.La morte  del Tasso è stata accompagnata da una particolar grazia di Dio benedetto, perché in questi ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime e insegnamenti spirituali pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse affatto guarito dall'umor malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse accostato al naso l'ampolle del suo cervello. Venne sepolto nella Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo.  Presso il monastero, accanto alla strada è ancora visibile la rampa della quercia, dove si trova il tronco nero di una quercia secolare sostenuto da un sopporto metallico. Secondo la tradizione locale si tratta della cosiddetta quercia del Tasso, l'albero alla cui ombra il poeta spesso sedeva per riposarsi.  Albero genealogico Reinerius de Tassis SconosciutaOmedeo Tasso (1290)[110] SconosciutaRuggero Tasso SconosciutaBenedetto Tasso SconosciutaPalazzo de Tassis Tonola de Magnasco, Pasimo (o Paxio) de Tassis. SconosciutaPietro Tasso. SconosciutaGiovanni Tasso  Catalina de Tassi Gabriel Tasso Porzia de RossiBernardo Tasso Torquato Tasso Opere  Un ritratto a Sorrento. Gerusalemme Scritto quando egli aveva solo 15 anni il Gierusalemme rappresenta il primissimo tentativo di Tasso di maneggiare il genere epico nonché il suo primo impegno letterario di rilievo. Se ne possiedono soltanto centosedici stanze del canto I. Oltre a condividere con la Liberata l'argomento (la prima Crociata), si notano pure alcune somiglianze tra il proemio di questo esordio poetico giovanile e quello del capolavoro della maturità.  Rinaldo All'età di diciotto anni Tasso riprese la materia del romanzo cavalleresco e pubblicò il Rinaldo, poema in ottave che narra in dodici canti (circa 8000 versi) la giovinezza del paladino della tradizione carolingia e le sue imprese di armi e di amori. Nella prefazione al poema Tasso dichiara di voler imitare in parte gli "antichi" (Omero e Virgilio), in parte i "moderni" (Ariosto). Si concentra però su un unico protagonista, secondo le esigenze di unità proposte dall'aristotelismo. Si tratta di un'opera tipicamente giovanile, ancora priva di originalità, ma compaiono già alcuni temi e toni fondamentali che caratterizzeranno il Tasso maturo e formato culturalmente.  Rime Torquato Tasso compose un gran numero di poesie liriche, lungo l'arco di tutta la sua vita. Le prime furono pubblicate col titolo di Rime degli Accademici Eterei. Uscirono Rime e prose. Tasso lavorò fino al 1593 ad un riordino complessivo dei testi, distinguendo rime amorose e rime encomiastiche. Previde poi una terza sezione, dedicata alle rime religiose e una quarta di rime per musica, ma non realizzò il progetto.  Nelle Rime amorose è ben riconoscibile l'influenza della poesia petrarchesca e della vasta produzione petrarchistica del Quattrocento e Cinquecento; contemporaneamente, però, il gusto per le preziosità linguistiche e l'intensa sensualità rivelano l'evoluzione verso un linguaggio nuovo che maturerà nel Seicento. L'uso frequente di forme metriche poco usate dai poeti precedenti, come il madrigale, e la raffinata musicalità dei versi fecero sì che molti di essi fossero musicati da grandi autori come Claudio Monteverdi e Gesualdo da Venosa.  Più solenni e classicheggianti le Rime encomiastiche, dedicate alle figure e alle famiglie signorili che ebbero rilievo nella vita del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro, Orazio e al celebre Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone al Metauro, intessuta di elementi autobiografici.  Le Rime religiose sono caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che le scrisse negli ultimi anni di vita. Qui il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere l'ansia esistenziale e il tormentoso senso del peccato attraverso la fede e l'espiazione.  Discorsi dell'arte poetica Attorno alla metà degli Anni Sessanta scrisse i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella ariostesca, che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del pubblico.  Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su un evento storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e non più udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della favola. Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione cristiana. Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il sublime e il mediocre a seconda dei casi.  Aminta Magnifying glass icon mgx2.svg Aminta (Tasso).  Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo Cavarozzi «L'Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, com'erano le tragedie e le commedie e i così detti drammi pastorali in Italia … Essa è in fondo una novella allargata a commedia, di quel carattere romanzesco che dominava nell'immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo, la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de' due protagonisti, Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si accavallano con magica rapidità, appena abbozzati, e quasi semplice occasione a monologhi e capitoli, dove paion fuori i sentimenti dei personaggi misti alla narrazione … L'Aminta è un'azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da partecipi con le impressioni e le passioni in loro suscitate. L'interesse è tutto nella narrazione sviluppata liricamente e intramessa di cori, il cui concetto è l'apoteosi della vita pastorale e dell'amore: "s'ei piace, ei lice". Il motivo è lirico, sviluppo di sentimenti idillici, anzi che di caratteri e di avvenimenti. Abbondano descrizioni vivaci, soliloqui, comparazioni, sentenze, movimenti appassionati. Vi penetra una mollezza musicale, piena di grazia e delicatezza, che rende voluttuosa anche la lacrima. Semplicità molta è nell'ordito, e anche nello stile, che senza perder di eleganza guadagna di naturalezza, con una sprezzatura che pare negligenza ed è artificio finissimo. Ed è perciò semplicità meccanica e manifatturata, che dà un'apparenza pastorale a un mondo tutto vezzi e tutto concetti. È un mondo raffinato, e la stessa semplicità è un raffinamento. A' contemporanei parve un miracolo di perfezione, e certo non ci è opera d'arte così finamente lavorata.»  (De Sanctis) L'Aminta è una favola pastorale. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. Ogni canto si conclude a lieto fine.  Ha ispirato la composizione della favola pastorale Flori di Maddalena Campiglia lodata dallo stesso Tasso. Sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta Tasso incominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe alla seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprese e la completò a Mantova, subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna cambiando però il titolo, diventato Re Torrismondo, e il nome del protagonista. L'ambientazione è nordica: in essa sono frequenti le immagini di distese boschive. In questo, il Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende nordiche, come ad esempio mostra la lettura dell'Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno.  L'editio princeps è quella bergamasca del 1587; seguirono a ruota le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino, ma poi ci fu un lungo silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta soltanto al Teatro Olimpico di Vicenza.  Trama Torrismondo è intimamente segnato dal conflitto tra amore e amicizia: il sovrano (d'una ignota regione nordica, non di Norvegia) ama Alvida, che a causa di un debito passato (Germondo aveva salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con l'amico Germondo, re di Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo stesso era stato accusato di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque non può sposarsi con la donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia. Germondo decide allora che Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere la mano di Alvida e al momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa. Ottenuta da Torrismondo la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia prenderà un'altra china quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è altri che la sorella, la situazione culminerà nel suicidio dei due. Il Re Torrismondo è molto importante perché anticipa le tragedie barocche, nelle quali si riprendono alcune caratteristiche fondamentali delle tragedie senecane: la meditatio mortis (il Memento mori) e il gusto dell'orrido. Nel Tasso, però, ciò che compare fortemente e caratterizza le sue tragedie è il conflitto intimo che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo si sente intrappolato dal fato, poiché impossibilitato all'agire, a modificare il corso degli eventi ormai già predisposti.  Tuttavia, la critica non si è espressa positivamente in merito all'opera: Angelo Solerti e Francesco D'Ovidio si sono mostrati ostili verso il Torrismondo come lo erano stati nei confronti degli Intrichi d'amore, e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che alla tragedia ha dedicato una monografia.  Ancora più duro il giudizio di Eugenio Donadoni, che arrivò a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un poeta,  e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno dell'ingegno tassesco. Solo Tonelli fa presente che superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e rivaleggiava con le migliori del tempo. Gerusalemme liberata Gerusalemme liberata.  Tasso con la sua Gerusalemme liberata La Gerusalemme liberata è considerata il capolavoro di Tasso. Il poema tratta di un avvenimento realmente accaduto, ossia la prima crociata. Tasso iniziò a scrivere l'opera con il titolo di Gierusalemme durante il soggiorno a Venezia. L'opera fu pubblicata integralmente con il titolo di Gerusalemme liberata. In seguito alla pubblicazione del poema il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse eliminando tutte le scene amorose e accentuando il tono religioso ed epico della trama. Cambiò anche il titolo in Gerusalemme conquistata. In realtà la Conquistata fu immediatamente dimenticata e la redazione che continuò ad avere grande successo e ad essere ristampata, in Italia e nei paesi stranieri, fu la Liberata.  Trama Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso viene cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. I Dialoghi La stesura di prose dialogiche impegnò Tasso fin dal 1578, anno della composizione del Forno overo de la Nobiltà.  La dialogistica tassiana è stata da sempre relegata al margine dalla critica: De Sanctis accenna soltanto al Minturo overo della Bellezza, limitandosi ad asserire che Tasso da giovane fu “infetto dalla peste filosofica”. Un giudizio a dir poco sminuente se si considera che il poeta compose venticinque dialoghi (e questa è solo la cifra canonica; non si fa riferimento, infatti, agli abbozzi e ai rimaneggiamenti) e vi pose il suo impegno fino alla morte.  Una valutazione più precisa è fornita da Donadoni: lo studioso dedica un intero capitolo della sua monografia ai Dialoghi indagandone trame, fonti e suggestioni. La prima edizione moderna del corpus dialogico tassiano è quella di Guasti, il quale, però, non riuscendo a reperire tutti i manoscritti dei Dialoghi si basa sui testimoni a stampa, dando vita ad un’edizione, che presenta corruttele da far rabbrividire i moderni filologi.  Un grande passo in avanti nella fortuna dei Dialoghi è rappresentato dall’edizione critica di Ezio Raimondi pubblicata nel 1958, di capitale importanza per gli studiosi tassiani i quali, ancora oggi, continuano a considerarla punto di riferimento. Raimondi considerò i Dialoghi tassiani come opere postume, scegliendo la versione più attendibile fra manoscritti e stampe in base alla loro storia individuale.  Questo criterio non è stato accettato da Stefano Prandi e Carlo Ossola, i quali hanno proposto un’edizione storica dei Dialoghi che tenesse conto dei testi effettivamente circolanti all’epoca dello scrittore. L’edizione in realtà non ha mai visto la luce e si è fermata al 1996 ad uno specimen che avrebbe dovuto anticipare una successiva edizione completa.  Negli ultimi anni gli studiosi della prosa tassiana sono aumentati: si è posta attenzione al Tasso politico, con due edizioni commentate della Risposta di Roma a Plutarco e al Tasso egittologo di cui si è occupato Bruno Basile. Non mancano letture dei singoli dialoghi: Basile e Arnaldo Di Benedetto si sono occupati del Padre di Famiglia (rispettivamente, Fonti culturali e invenzione letteraria nel «Padre di famiglia» di Torquato Tasso; e Torquato Tasso, «Il padre di famiglia»); Emilio Russo del Manso (Amore e elezione nel "Manso" di Tasso), Massimo Rossi del Malpiglio Secondo e del Rangone (Io come filosofo era stato dubbio. La retorica dei "Dialoghi" di Tasso); Maiko Favaro, dopo la monografia di Prandi/Ossola, ha offerto una puntuale lettura del Forno, premiata con il premio Tasso  (Le virtù del tiranno e le passioni dell’eroe. Il “Forno overo de la Nobiltà” e la trattatistica sulla virtù eroica); Angelo Chiarelli si è, invece, occupato del Malpiglio overo de la corte (Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana), preceduto dal contributo di Massimo Lucarelli sullo stesso argomento (Il nuovo «Libro del Cortegiano»: una lettura del «Malpiglio» di Tasso) e del Costante («Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso).  L'edizione critica di Raimondi fornisce il testo dei venticinque dialoghi tassiani, con un'appendice che ci permette di conoscere i manoscritti superstiti e le stampe. Questo il titolo dei vari dialoghi:  Il Forno overo de la Nobiltà; Il Beltramo overo de la cortesia; Il Forestiero Napoletano overo de la gelosia; Il N. overo de la pietà; Il Nifo overo del piacere; Il messaggiero; Il padre di famiglia; De la dignità; Il Gonzaga secondo overo del giuoco; Dialogo; Il Rangone overo de la pace; Il Malpiglio overo de la corte; Il Malpiglio secondo overo del fuggir la moltitudine; La Cavalletta overo de la poesia toscana; Il Gianluca overo de le maschere; Il Cataneo overo de gli idoli; Il Ghirlinzone overo l'epitaffio; La Molza overo de l'amore; Il Costante overo de la clemenza; Il Cataneo overo de le conclusioni amorose; Il Manso overo de l'amicizia; Il Ficino overo de l'arte; Il Minturno overo de la bellezza; Il Porzio overo de le virtù; Il Conte overo de le imprese. Le sette giornate del mondo creato È un poema in endecasillabi sciolti, accanto ad altre opere di contenuto religioso di impronta chiaramente controriformistica. Il poema venne pubblicato postumo. Si fonda sul racconto biblico della creazione ed è suddiviso in sette parti, corrispondenti come dice il titolo ai sette giorni nei quali Dio creò il mondo, e presenta una continua esaltazione della grandezza divina della quale la realtà terrena è un pallido riflesso.  Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo Si tratta, come nel caso de Le sette giornate del mondo creato, di due scritti facenti parte delle cosiddette "opere devote" del Tasso. Nello specifico, sono due poemetti in ottave che riprendono la tradizione della "poesia delle lacrime", in voga nella seconda metà del Cinquecento, appena qualche anno prima della morte.  Influenze culturali  Statua di Tasso a Sorrento La figura del Tasso, anche per la sua pazzia, divenne subito popolare. La lucidità delle opere scritte durante il periodo di prigionia nell'Ospedale di Sant'Anna fece diffondere la leggenda secondo cui il poeta non era veramente pazzo ma fu fatto passare per tale dal duca Alfonso che voleva punirlo per aver avuto una relazione con sua sorella, imprigionandolo (anche se, come si è visto, è assai più probabile che la vera ragione della reclusione consistesse nell'autoaccusa del poeta di fronte al tribunale dell'Inquisizione). Questa leggenda si diffuse rapidamente e rese particolarmente popolare la figura del Tasso, fino a ispirare a Goethe il dramma Torquato Tasso (1790)[129].  In età romantica il poeta divenne il simbolo del conflitto individuo-società, del genio incompreso e perseguitato da tutti coloro che non sono in grado di comprendere il suo talento straordinario. In particolare Giacomo Leopardi, che quando si recò a Roma il giorno venerdì 15 febbraio del 1823 pianse sul sepolcro del Poeta in S. Onofrio (commentando in una lettera che quella esperienza era stata per lui "il primo e l'unico piacere che ho provato in Roma"), considerava Torquato Tasso come un fratello spirituale, ricordandolo in numerosi passi dei propri scritti (tra cui quello citato) e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare (una delle Operette morali).  Molta parte della poesia recanatese è impregnata di stile tassesco: i notturni di alcuni canti, come La sera del dì di festa o Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, richiamano quelli della Gerusalemme, mentre nella canzone Ad Angelo Mai Leopardi crea una forte empatia con il «misero Torquato, spirito fraterno «concepito come un alter ego. I due nomi femminili più celebri presenti nei Canti, Silvia e Nerina, furono ripresi dall'Aminta.  In generale, l'attenzione si spostò dai personaggi della Liberata al dramma esistenziale vissuto dal suo autore. Ferretti scrisse le parole del Torquato Tasso, melodramma in tre atti musicato da Gaetano Donizetti e rappresentato per la prima volta al Teatro Valle. Il "mito" conquistò anche Franz Liszt: era quando l'apostolo del Romanticismo metteva in musica l'opera byroniana Il lamento del Tasso, dando vita al poema sinfonico Tasso. Lamento e Trionfo.  Il poeta vicentino ottocentesco Jacopo Cabianca ha dedicato al Tasso un poema in dodici canti intitolato appunto Il Torquato Tasso.  Nei primi anni del ventesimo secolo il compositore catanese Pietro Moro si concentrò sugli ultimi momenti di vita del poeta con Ultime ore di Torquato Tasso, carme in un atto sulle parole di Giovanni Prati (riviste per l'occasione da Rojobe Fogo).  Torquato Tasso nel cinema Torquato Tasso, regia di Luigi Maggi, Torquato Tasso, regia di Roberto Danesi. Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata Il primo regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Ne farà due remake;  Gerusalemme liberata, di Enrico Guazzoni; La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni); La Gerusalemme liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia; I due crociati, parodia di Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio. Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus, Laurea poetica nastrino per uniforme ordinariaLaurea poetica (postuma) — Roma. Giovan Pietro D'Alessandro, Vita di Torquato Tasso, ed. da C. Gigante, in «Giornale storico della Letteratura Italiana», Giovan Battista Manso, Vita di Torquato Tasso, B. Basile, Roma, Salerno Editrice, Pier Antonio Serassi, La vita di Torquato Tasso, Bergamo, Stamp. Locatelli, 2 to. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, 3 voll. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, Tariffi, Capitoli di storie letterarie Ettore Bonora, in Storia della letteratura italiana, dir. E. Cecchi e N. 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Dal petrarchismo a Torquato Tasso, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Massimo Colella, «Parmi ne’ sogni di veder Diana». Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso, in «Griseldaonline», 1Sull'«Aminta» Mario Fubini, L'«Aminta»: intermezzo alla tragedia della «Liberata», in Studi sulla letteratura del Rinascimento, cMaria Grazia Accorsi, «Aminta»: ritorno a Saturno, Soveria Mannelli, Rubbettino, Arnaldo Di Benedetto, Il sorriso dell'«Aminta», in «Giornale storico della letteratura italiana», Arnaldo Di Benedetto, Tasso, Haller, Ungaretti, in «Studi tassiani», Sui Dialoghi A. Benedetto, Torquato Tasso, «Il padre di famiglia», in L'«incipit» e la tradizione letteraria italiana. Dal Trecento al tardo Cinquecento, Pasquale Guaragnella e Stefania De Toma, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia,  Angelo Chiarelli, «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», Angelo Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana»,  Raimondi Ezio, Il Problema Filologico e Letterario dei Dialoghi di T. Tasso, in Rinascimento Inquieto, Einaudi, Torino. Bozzola Sergio, «Questo quasi arringo del ragionare». La Tecnica dei «Dialoghi» Tassiani, in «Italianistica, Rivista di Letteratura Italiana», Baldassarri Guido, L’arte del dialogo in Torquato Tasso, in «Studi Tassiani»,  Guido Armellini e Adriano Colombo, Torquato TassoL'uomo, in Letteratura italianaGuida storica: Dal Duecento al Cinquecento, Zanichelli Editore, Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, L. Tonelli, Tasso, Torino); Lettere di Torquato Tasso (Firenze, Le Monnier); L. Tonelli, G. Natali, Torquato Tasso, Roma, G. Natali, cA. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino. Altri pensano invece che queste sperimentazioni risalgano al periodo patavino o addirittura a quello bolognese.  G. Natali, cit.,   Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, G. Natali, cG. Natali, cit.20  L. Tonelli, cit.68  G. Natali,  L. Tonelli, cit.60  E. Durante, A. Martellotti, «Giovinetta Peregrina». La vera storia di Laura Peperara e Torquato Tasso, Firenze, Olschki,   W. Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Milano: Paravia,  L. Tonelli, cil rapporto amoroso è stato ipotizzato in particolare da Angelo de Gubernatis in T. Tasso, Roma, Tipografia popolare, L. Tonelli, c Lettere, cit., I22  L. Tonelli, cit.89  L. Tonelli, cit.,  99-100  Lettere, cit., I49  Secondo Maria Luisa Doglio la data non è casuale e si inserirebbe nella tradizione petrarchesca. Petrarca avrebbe infatti visto per l'unica volta Laura, cfr. M. L. Doglio, Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma Lettere, c Lettere,  Lettere, cit., I114  Si tratta di un'epistola al Gonzaga del luglio 1575; Lettere, cit.,  L. Tonelli S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario, Milano, Principato, L. Tonelli, Lettere,  Si trattava comunque di uno stipendio oggettivamente basso, che a una persona comune avrebbe garantito a stento la sopravvivenza; L. Tonelli, cit.172  Lettere, L. Chiappini, Gli Estensi, Milano, Dall'Oglio, A. Solerti, cA. Solerti, cit., II,  120-121  A. Solerti, L. Tonelli, cit. G. B. Manso, Vita del Tasso, in Opere del Tasso, Firenze, M. Vattasso, Di un gruppo sconosciuto di preziosi codici tasseschi, Torino, M. Vattasso, cA. Solerti, L. Tonelli, c M. L. Doglio, I. De Bernardi, F. Lanza, G. Barbero, Letteratura Italiana,  2, SEI, Torino, 1987  Lettere, cit., I298  Lettere, cit., I299  A. Solerti, ccosì scrive al cardinale Luigi un suo informatore L. Tonelli, Lettere, cit., II89  L. Tonelli, cit.187  A. Solerti,  Lettere, Cesare Guasti, Napoli, Rondinella,  A. Corradi, Delle infermità di Torquato Tasso, Regio Instituto Lombardo548  L. Tonelli, M. L. Doglio, cit.,  41 e ss.  Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini e Franchi, L. Tonelli, cInfarinato era il nome accademico assunto dal Salviati  Tra parentesi sono indicate le date di pubblicazione  L. Tonelli, Opere, cit., II276  Tra parentesi si indicano due date, quella di composizione e quella di pubblicazione  Lettere, cit., II56  La prima versione di quelli che saranno Gli intrichi d'amore non ci è pervenuta  L. Tonelli, L. Tonelli, F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, Non fu più tenero il Solerti; L. Chiappini, c L. Tonelli, cit.188  L.Tonelli,  247-248  A. Solerti, cLettere, L. Tonelli, cit.,  266-267  Lettere, c L. Tonelli, cG. Mazzoni, Del Monte Oliveto e del Mondo creato di Torquato Tasso, in Opere minori in versi di Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli,  E. Donadoni, Torquato Tasso, Firenze, Battistelli,  G. B. Manso, Vita di T. Tasso, in Opere di Torquato Tasso, Firenze; Lettere, Così al Costantini; Lettere,   Lettere,  L. Tonelli, cit.275  Passo riportato in A. Solerti, A. Solerti,   L. Tonelli, Lettere,  Lettere, cit.,Lettere, cit., Lettere, A niuno sono più obligato che a Vostra Eccellenza, ed a niuno vorrei essere maggiormente; perché è cosa da animo grato l'esser capace de le grazie e de gli oblighi. Laonde non ho voluto più lungamente ricusare il secondo suo dono di cento scudi, bench'io non abbia mostrato ancora alcuna gratitudine del primo; ma la conservo ne l'animo, e ne le scritture: e ne l'uno sarà forse eterna, e ne l'altre durerà tanto, quanto la memoria de le mie fatiche. Niuno de' presenti o de' posteri saprà chi mi sia, che non sappia insieme quant'io sia debitore a la cortesia di Vostra Eccellenza, ed a la sua liberalità; con la quale supera tutti coloro che possono superar la fortuna." Così scrive il Tasso al marchese Giovanni Ventimiglia da Firenze nella primavera del 1590. Soltanto nello stesso 1590, il Tasso dedicherà al marchese due composizioni encomiastiche, non portando però a compimento il promessogli poema Tancredi normando.  Lettera a Scipione Gonzaga, Lettere. E. Rossi, Il Tasso in Campidoglio, in Cultura, Lettere, cit., V6  L. Tonelli, cit.278  Lettere, cit., V62  L. Tonelli, cit.,  278-279  C. Cipolla, Le fonti storiche della «Genealogia di Casa Gonzaga», in Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit.,  I  L. Tonelli, G. B. Manso, L.Tonelli, L. Tonelli, E. Rossi, c A. Solerti, cit.,  II  Lettere, cit., V194  Lettere, cLettera ad Antonio Costantini, in Lettere, Lettera di Maurizio Cataneo a Ercole Tasso, 29 aprile 1595; A. Solerti, cit., II363  Lettera di monsignor Quarenghi a Giovan Battista Strozzi, A. Solerti, cAlmanach du gotha, de J.-H. de Randeck, Les plus anciennes familles du monde: répertoire encyclopédique des 1.400 plus anciennes familles du monde, encore existantes, originaires d'Europe,   de Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit, de A. M. H. J. Stokvis, Manuel d'histoire: Les états de Europe et leurs colonies, de Pierantonio Serassi, La vita de Torquato Tasso8.  de Niccolò Morelli di Gregorio, Della vita di Torquato Tasso, de Pierantonio Serassi, La vita di Torquato Tasso10.  (DE) de Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit, de Heinrich Léo Dochez, Histoire d'Italie pendant le Moyen-âge T. Tasso, Discorsi dell'arte poetica, I, 12 in Le prose diverse di Torquato Tasso (C. Guasti), Firenze, Le Monnier, 1875  Discorsi dell'arte poetica, cit., I, 15  A. Solerti, F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, U. Renda, Il Torrismondo di Torquato Tasso e la tecnica tragica nel Cinquecento, Teramo, E. Donadoni, G. Carducci, Il Torrismondo, testo premesso all'ed. Solerti delle Opere minori in versi di Torquato Tasso, L. Tonelli, cit.253  Torquato Tasso, Risposta di Roma a Plutarco, Res, Risposta di Roma a Plutarco e marginalia | Edizioni di Storia e Letteratura, su storiaeletteratura. Angelo Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana», ,  121, n°1,  34-43.. 12 agosto . «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», Sul muro esterno della Chiesa di S. Onofrio, a Roma, una tavola con iscrizione tedesca ricorda il soggiorno di Goethe e l'ispirazione che lo portò a scrivere il dramma, dopo aver veduto la tomba del poeta custodita all'interno dell'edificio sacro  Ad Angelo Mai, v. 124  G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Milano, Paravia, S. E. Failla, Ante Musicam Musica. Torquato Tasso nell'Ottocento musicale italiano, Acireale-Roma, Bonanno, Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso | Massimo Colella | Griselda Online, su griseldaonline. 2Torquato Tasso, commedia goldoniana Tasso, dramma di Goethe, Torquato Tasso, opera di Gaetano Donizetti Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, dalle Operette morali di Giacomo Leopardi Thurn und Taxis, ramo austriaco della famiglia Tasso di Bergamo, fondatori delle prime poste europee Museo tassiano, museo dedicato a Torquato Tasso Accademia dei Catenati Cella del Tasso, attuale ubicazione a Ferrara. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Torquato Tasso, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Torquato Tasso, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  To Tasso, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Torquato Tasso, su Liber Liber.  Opere di Torquato Tasso, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Torquato Tasso, . Opere Progetto Gutenberg. LibriVox. Torquato Tasso, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Spartiti o libretti di Torquato Tasso, su International Music Score Library Project, Project Petrucci Tasso, su Internet Movie Database, IMDb.com.  Torquato Tasso Testi completi e cronologia delle opere. Opere integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Opere di Torquato Tasso, testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Due segregazioni: il Cantico spirituale di Giovanni della Croce e Il Re Torrismondo di Torquato Tasso, su midesa. 2 luglio 2009 19 maggio ). Opere di Torquato Tasso colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette sull'edizione fiorentina, ed. illustrate dal professore Gio. Rosini, Pisa, presso Niccolò Capurro, Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da Cesare Giusti, 5 voll., Firenze, Felice Le Monnier, I dialoghi, Cesare Guasti, Firenze, Felice Le Monnier, Le rime di Torquato Tasso. Edizione critica su i manoscritti e le antiche stampe Angelo Solerti, 4 voll., Bologna, presso Romagnoli-Dall'Acqua, Opere di Torquato Tasso. Tasso. Keywords: l’arte del dialogo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tasso’ – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51722871363/in/photolist-2mNzeEc-2mMVgsX-2mMVgGz-2mMTVCg-2mMUd42-2mMVhRZ-2mMYn7i-2mMYo8b-2mLP9qE-2mLQ1Vx-2mKNGew-2mKDwcr-2mGnP2f-2mKySc9-2mKC6W3-mbpshr-mbrMFJ-mbpPpD-mboJD8-mbqBen

 

 

Grice e Corrado – la dieta di Crotone – filosofia italiana – Luigi Speranza (Oria). Filosofo. Grice: “I like Corrado; of course we have the beefsteak, the English do; but Corrado philosophised on the near ‘cibo pitagorico’ a Crotone and produced a philosophical cookbook for the noblemen!” --  Uomo di grande cultura, fu soprattutto grande gastronomo e uno dei maggiori cuochi che si distinsero tra il '700 e l'800 nelle corti nobiliari di Napoli, simbolo del suo tempo nella variegata realtà partenopea. Fu il primo cuoco che mette per iscritto la "cucina mediterranea", il primo, a valorizzare la grande cucina regionale italiana.  Scrisse “Il cuoco galante”, definito all'epoca un libro di alta cucina, testo richiesto in tutto il mondo dalle principali autorità dell'epoca, e ristampato per ordini del principe per ben 6 volte.  Preparava elegantissimi banchetti in principio alla corte di Don Michele Imperiali Principe di Francavilla presso il palazzo Cellamare di Napoli, dove coordinava un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi e preparava i pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia sontuosa e raffinata.  Figlio di Domenico e di Maddalena Carbone. Rimasto orfano per la morte del padre, ancora adolescente, divenne paggio alla corte di Michele Imperiali che era Principe di Modena e Francavilla Fontana, Marchese di Oria e Gentiluomo di camera di S.M. il Re delle due Sicilie, che lo condusse a Napoli dove risedette per diversi anni. Appena maggiorenne, entrò a far parte della Congregazione dei Padri Celestini nel convento di Oria.  Dopo l'anno di noviziato, fu chiamato dal Superiore Generale De Leo nella residenza napoletana di San Piero in Maiella, dove si specializzò negli studi di filosofia. Dallo stesso padre generale fu avviato, anche, allo studio delle scienze naturali e dell'arte culinaria, per la quale divenne famoso. Non diventò mai sacerdote per cui, dopo la soppressione degli ordini religiosi si stabilì a Napoli, ove risedette per oltre cinquant'anni, insegnando la lingua francese ai figli delle famiglie aristocratiche della città, pubblicando contemporaneamente molte sue opere che gli diedero successo e notorietà. Per i molti impegni che ebbe a Napoli, non tornò più ad Oria, anche se non mancarono momenti di nostalgia per la lontananza dalla sua famiglia e dalla sua città natale.  Il Principe di Francavilla gli attribuì la mansione di "Capo dei Servizi di Bocca" (antica mansione con cui veniva chiamato colui che era preposto a sovrintendere alla cucina, alla preparazione delle vivande e all'organizzazione dei banchetti) di Palazzo Cellamare, sito sulla collina delle Mortelle prospiciente il golfo di Napoli e della famiglia del Principe, poiché molti illustri personaggi di un certo livello e rango, che venivano a Napoli, invitati a mensa poterono constatare la fama di questa opulenta ospitalità più spagnolesca e tipicamente partenopea che era in uso al tempo.  Parlando del suo lavoro Vincenzo Corrado così si esprimeva:  «L'abbondanza, la varietà, la delicatezza delle vivande, la splendidezza e la sontuosiotà delle tavole richiedevano una schiera di uomini d'arte, saggi e probi. Questa mastodontica organizzazione, era guidata proprio da lui. Alle sue dipendenze lavoravano un maestro di casa, un maestro di cucina ed un maestro di scalco che aveva il compito di acquistare, di cucinare, di dissodare e di trinciare ogni tipo di animale, mentre una schiera di cuochi, rispettando la gerarchia allora in uso, lavorava secondo la propria specializzazione (oggi le grandi cucine dei Ristoranti hanno i cuochi di rango) : vi era il cuoco friggitorie, quello per le insalate, il pasticciere, il bottigliere e il ripostiere. Tutti questi erano aiutati da una serie di sguatteri e di serventi che avevano il compito di girare intorno al tavolo per esibire lo spettacolo fantasioso delle portate prima ancora di servirle. Tutta questa organizzazione era coadiuvata da un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi che interveniva non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate artisticamente decorate. Vincenzo Corrado, a seconda degli ospiti del Principe preparava i pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia sontuosa e raffinata. Egli stesso ci descrive queste splendide composizioni con pregevole gusto e raffinatezza, lasciando, anche, delle visioni grafiche. Gli elementi decorativi della tavola erano affidati al maestro ripostiere che usava gusto artistico e genialità: grandi vasi in porcellana ricolmi di fiori variopinti, alzate di cristallo e argento a tre o quattro piani colmi di dessert o frutta o fiori o ortaggi, bianchi gruppi di porcellana raffiguranti scene arcadiche o bucoliche; puttini d'argento; gabbiette dorate con piccoli uccellini cinguettanti; coppe di cristallo di varie fogge in cui guizzavano pesciolini tra foglie di rose ed altri fiori. Il centro veniva racchiuso da una cornice di frutta, di fiori freschi e di ortaggi, secondo la stagione variante, disposti, intervallati da piccole spalliere di agrumi in porcellana con ortolani nell'atto di raccoglierli. La composizione era la sintesi di un artista di provata esperienza, di raffinata fantasia e di vivace estro, capace di accoppiare tanti svariati elementi fondendoli insieme a formare uno spettacolo di gran gusto e di particolare gradevolezza. Il valore del tavolo di gala completato dal vasellame, cristalleria e argenteria di grande pregio era inestimabile. Questo senso artistico, anche, nell'arte culinaria Corrado lo aveva ereditato da un suo antenato letterato di mestiere. Ma per quanto dotato di una cultura autodidatta, di vivacità d'ingegno, di originalità e di una particolare facilità nell'insegnamento, se non avesse avuto la fortuna di conoscere Don Michele Imperiali, che ne coltivò le particolari doti incoraggiandolo a scrivere della sua specifica arte per tramandarla ai posteri, probabilmente sarebbe rimasto un ottimo organizzatore, un appassionato gastronomo, ma la sua fama si sarebbe estinta con lui.  Le opere “Il cuoco galante’. Il primo libro vegetariano della nostra storia. il credenziere: colui che si prendeva cura della credenza. L'opera fu sottoposta a ben 7 ristampe. Prodotta in 7500 copie, Dalla dedica si ricava il leitmotiv dello scritto nonché la filosofia in cui credeva l'autore, che è di questo tenore: il “buon gusto nella tavola” inteso come “sano pensare”. Di questo trattato di gastronomia, il successo fu istantaneo e inaspettato, in quanto la precedente opera gastronomica, La lucerna dei cortigiani, stampata presso Napoli e dedicata a Ferdinando II duca di Toscana, non era riuscita ad attirare l'interesse del pubblico che la trascurò ignorandola.  Invece grande successo ottenne la prima edizione del "Cuoco Galante" che si esaurì rapidamente, tanto che il Principe ne ordinò una seconda edizione che ebbe eguale successo. Intanto Vincenzo Corrado migliorò e ampliò il testo di questa opera e ne preparò una terza edizione.  La fama del libro superò i confini del Regno di Napoli e dell'Italia; infatti dall'estero giunsero richieste da tutti quegli stranieri che avevano conosciuto ed apprezzato il Corrado alla corte degli Imperiali, per cui si pervenne ad una quarta edizione, seguita dalla quinta e infine la sesta pubblicata. Assolute novità introdotte dall'autore erano allora la patata, il pomodoro, il caffè e la cioccolata.  Altre opere Incoraggiato dal successo del Cuoco Galante, il Principe spinse l'autore a pubblicare nel 1778 un Credenziere del buon gusto, del bello, del soave e del dilettevole per soddisfare gli uomini di sapere e di gusto. Egli scrisse e pubblicò inoltre “Il cibo Pitagorico”, “Trattato sulle patate”, “Manovre del cioccolato” e “Manovra del caffè”; “Trattato sull'agricoltura e la pastorizia ed infine, “Poesie baccanali per commensali”. -- è il faro della cucina moderna della nobiltà a cavallo del periodo della rivoluzione francese. Egli privilegia i personaggi di rango in visita alla mensa del principe con opulenta ospitalità. Orbene in questo contesto di sfarzo godereccio, di lusso e di differenze sociali abissali, rimase fin abbagliato dalla nobiltà, la gente ricca e potente, verso la quale nutre sempre sentimenti di grande reverenza se non addirittura di venerazione. Proprio per riconoscenza al Principe, dando alle stampe i suoi due libri, confessa. “Questi due libri che del buon gusto trattano, con la guida e norma scrissi, e pur mercé la tua generosità mandai alle stampe, e tu di propria mano ne *segnasti* il titolo “Il Cuoco Galante” -- l'uno e “Il credenziere del buon gusto” l'altro, tutti e due a te li porgo come frutto di un albero dalla mano piantato. Mio Scopo egli è di richiamare alla memoria dei nobili uomini dei quali tu fosti la gloria l'ornamento alla memoria e la lode. Ah? Ma qual Tu fosti non basterebbe di dire di cento e mille lingue, per cui io stimo meglio il tacere e con il silenzio benedire gli anni che ti fu appresso.  L'organizzazione dei magnifici banchetti e delle cene lussuose gli diedero l'appellativo di “il cuoco galante”. La cosa straordinaria è che dietro gli scenari di un favoloso pranzo o cena vi era una preparazione, quasi orchestrale della quale il direttore era il filosofo. Alle sue dipendenze vi era una vera e propria squadra di addetti alle cucine formata da precettori cuochi e servienti. La presentazione estetica, oltre al gusto, acquista la sua importanza in cucina, ed dedica grande spazio alle decorazioni e al modo di imbandire le tavole dei banchetti. Nell'opera sono anche presentati i sorbetti, in vari gusti, ed il caffè, che, a differenza dall'attuale espresso, veniva bollito in apposite caffettiere.  Precettori un precettore di alloggio e sistemazione posti per gli invitati, un precettore di preparazione dei cibi, un precettore abile con utensili domestici, che aveva la mansione di far provviste e comperare il necessario al mercato per le mense, di dissodare e di affettare ogni tipo di carne o pesce. Chef e Cuochi “Il cuoco friggitore”, il cuoco per le insalate, il pasticciere, il bottigliere, il ripostiere. Serventi lavapiatti, camerieri, maggiordomi, domestici, volteggianti e giullari che intervenivano non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate artisticamente decorate.  Non era solo una semplice cena, era un vero e proprio spettacolo, fuori dall'immaginato. A volte comprendeva l'utilizzo di 100 persone per altrettanti o più invitati.  I banchetti o le cene con caratteristiche e assortimenti di piatti erano accoppiate con tanta inventiva e particolari astuzie architettoniche ed eleganti al fine di plasmare una scenografia sfarzosa e affinata.  Egli stesso nelle sue opere e nei suoi diari ci descrive queste splendide composizioni culinarie come opere d'arte, quasi uno spreco consumarle. Bicchieri e coppe di cristallo, posate in argento intagliate, tovaglie di pizzo fiorentino, buche e composizioni floreali, piatti in porcellana di Capodimonte  Termini culinari "Il Cuoco Galante", proprio nella terza edizione, alfine di una maggiore comprensione, spiega alcuni termini "cucinarj" usati per la preparazione delle varie pietanze, ne riportiamo un esempio:  Bianchire: Far per poco bollire in acqua quel che si vuole; Passare: Far soffriggere cosa in qualsiasi grasso; Barda: Fetta di lardo; Inviluppare: Involgere cosa in quel che si dirà; Arrossare: Ungere con uova sbattute cosa; Stagionare: Far ben soffrigere le carni o altro; Piccare: Trapassar esteriormente con fini lardelli carne; Farsa: Pastume di carne, uova, grasso ecc.; Farcire: Riempire cosa con la sarsa; Adobare: Condire con sughi acidi, erbette, ed aromi; Bucché: Mazzetto d'erbe aromatiche che si fa bollire nelle vivande; Salza: Brodo alterato con aromi, con erbe, o con sughi acidi; Colì: Denso brodo estratto dalla sostanza delle carni; Purè: Condimento che si estrae dai legumi, o d'altro; Sapore: La polpa della frutta condita, e ridotta in un denso liquido; Entrées: Vivande di primo servizio; Hors-dœuvres: Vivande di tramezzo a quelle di primo servizio; Entremets: Vivande di secondo servizio; Rilevé: Vivande di muta alle zuppe, potaggi, o d'altro.  Pitagora nell’atto, che dalla cattedra nella nostra italica scuola dettava sistemi, che riguardavano quanto mai fosse fuori di esso lui, e di noi per pascere l’animo e l'intelletto, non trascure di sistemare peranche ciò che meglio, e piu opportunamente al nutrimento ed alla conservazione del meccanico nostro vivere conducesse. E però dettando il canone o la legge, come dir si voglia, per la cucina delli suoi mentati, non di *carni* di animali ei ditte quadrupedi, o volatili, o di pelei imbandite vengano le mente di quanti han voglia di più lungamente, e più lanamente vivere, ma soltanto di vegetabili erbe, di radici, di foglie, di fiori. Ebbe cotesso filosofante la somma disgrazia di non essere da ogni filosofo inteso, come sovente la savia donna stobeo sua moglie e espose li g luf'J\ l&- r menti: e com’egli la tras-migrazione dell’anime avesse ingegnata, così dalli silenziari scolari suoi, e da parecchi altri prevenuti da quel di lui fatto sistema si divieta del cibo animalesco, e la preferizione del solo cibo erbaceo furon pref nel sinistro senso di una supertiziosa venerazione , cK egli aveffe per l’animale, nella macchina del quale l’anima dell’uomo dopo la morte fojfcro tras-migrate. Ma ’ che chefané di ciò, egli è indubitata cosa , che il cibo erbaceo fallo più confacenti all’verno, per cui vedef la più parte dei Naturalifi a quella opinione indicimata, che l'uomo naturalmente non è carnivoro. E se noi ponghiamo mente al parlare dell’antica filosofia, rilevaremo con tutta chiarezza che le frutta della terra defluiate vennero al nutrimento dell'uomo, e che sopra del pesce, dell’animale terrestre, e del volatile n eh he lo fie[fio uomo soltanto il domini ; Jlcchè l efifierfii poi dati alcuni uomini ad alimentarsi di animali j'offe fiata una necessità di alcuni luoghi, oppure un lusso! Non senza ragione quindi la italiana gente, ansi avvedutamente oggi più che in altro tempo la legge pitagorica ha ripigliata ad oficrvare con tutto impegno nella cucina del filosofo galante, e nelle mensa: e le nazioni anche più culte, che da Italia sono lontane, han preso il gufo di dare al corpo nutrimento più sano, gusiosso, e facile per mezzo dell’erba. Ed ecco perciò tutta la scuola cucinaria pofia in movimento per inventar un nuovo modo a poter preparare e condire l’erba per mezzo di altri fingili vegetabili, onde non solamente grato al palato si renda il semplice pitagorico cibo, ma eziandio pofia sioddisfarsii al lusso nell' imbandire laute Menfie da filmili siempìicità compofie. E quesio è il fine della mia filosofia, difiefio , ed a comune uso e utilità. Vero egli è, che non tutti li vegetabili dei quali ferie preferìve qui la preparazione filano li più perfetti, e giovevoli ai nutrimento nostro. Ma ciò ha dovuto farsi per accomodarsì af gufo comune, ed alla moda presiente della tavola fu ,di che qualunque Aristarco non avrà che opporre. Nella mia filosofia volendosi imitare la filmile semplicittà della materia del soggetto, con sempiice e chiaro discorso si da la pratica come ogni erba italiana dando il suo proporzionato condimento con fughi di carne, con latte Animali, e di fórni, con butirro, con olio, con uova , e con altr’erbe odorifere e gusiofe debano preparar f . E intanto per a et tare, ad ogni articolo alcuna cosa verrà premefi , che rifguarda la natura, e le virtù del vegetabile di cui fe ne voglidn preparare la vivanda. E già qui fiegue in prima, la maniera di far i brodi, i  coli e le buri neceJTarj pel condimento: ed in secondo luogo h nòta del vegetabile del quale nella mia filosofia fe ne preferivo il modo di prepararli: avendo io in ciò fare procurato di mettere in J'alvo anche il Injjo nell' imbandire con simili generi una mensa di formalità e gala, e nel tempo Jìeffo di soddisfare il gusto delicato dei nobili, e di provvedere alla conservazione dell’utterato . INDICE: Velli Brodi, Coli , e Purè p. I Velli Coli a Velie Purè i tutta la c minarla prepa- ragione de’ vegetabili, Lattuca, Spinaci, Cavolo Cappuccio , Selleri, Zucca, Zucca lunga ia Delle Zucche Vernine ivi Cavai fiore Finocchi Iudivia Cardoni Cavoli Torgi Carciofi Broccoli Boraggine Senape Cipolle ivi Rape Ravanelli CicoriaPetronciane Pafiinacbe Pomidoro Cedriuoli Peparoli Pifelli Sparaci Raperortzpli Velli Ceci Fave Faggioli 3^ De//** I-enfe 39 Funghi Tartufi Erba per condiment, Maggiorana, Targone, Pimpinella, Santa Maria Crefcione Origano Timo Acetofa Salvia Menta Cerfoglio Porcellana Bafiltco Ruta Sambuco Rosmarino Tralci Vite Zafferano Anafi Cappari Scalogne Dettagli Rafano o Ramolaccio Bettonica Idea dell'ufo delle frutta ivi. Grice: “My favourite chapter from ‘Il cuoco galante’ is the philosophical one, on Pythagoras! I vitto pitagorico consiste l’erba fresca, la radice, il fiore, la frutta, il seme, e tutto cid che dalla terra produce per nostro nutrimento. Vien detto pittagorico poiche Pitagora, com’ è tradizione, di questi prodotti della terra soltanto fece uso. Pitagora mangia l’erba semplice e naturale, ma gli uomini de’ nostri di li vogliono conditi, e manovrari; ed io nel voler conversare con distinzione dell’erba procuro eseguire l’uno, e soddisfare l’altro, con escludere le carni, e di servirmi del condimento, anche pitagorico, com'è il ſugo di carne, il lasase, le uova, l’olio , ed il burirro per compiacere qualche particolar palato, servirmi pure delle parti più delicate degli animali. Grice: “Oddly, my mother was keen on Mrs. Beeton, I’m keen on Signore Corrado!”  La cucina e la credenza, ad esami parlando, son sorelle gemelle, poichè le due appartengono al buon gusto del cibo, e le due nacquero, cresceron , e s’ingrandirono nello stesso temp , e nella nostra Italia che in altri luoghi, sotto i fastosi e dominanti romani, e divennero tutte e due arti d’ingegno, di piacere, e di utile; ed il cuoco ed il credenziere debbono esser d'accordo nel loro, quantunque dissimile, lavoro. Della estesa ed elevata cucina se n’è discorso abbastanza. Dico abbastanza ma non già al fine; e compimento, poichè ciò accade quando non vi saranno più uomini al mondo. Ora vengo a trattare di quanto la credenza include, e di quanto un credenziere dee esser fornito. E se nel dar l’istruzione per la cucina pensai e scrissi da cuoco, ura collo stesso metodo filosofo da credenziere. Come tale intendo ragionare al dilettante. Procuro di aggiugnere quanto di bello, di buono, e di dilettevole mi ha potuto suggerire la fantasia. Gradisci dunque , o cortese mentato, questa mia fatica, e sappi, ch’io resto soprabondevolmente pagato col piacere di avervi servito. Vivi felice. Vincenzo Corrado. Corrado. Keywords: la dieta di Crotone, il cibo pitagorico, il concetto di conversazione galante, gala --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corrado” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770502359/in/dateposted-public/

 

Grice e Corsini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Fellicarolo). Filosofo. Grice: “I like Corsini; if we at Oxford had a sublime history as they do in Italy, we surely would be philosophising about it! Corsini taught philosophy at Pisa and spent most of his efforts in deciphering what the Romans felt interesting about Greek philosophy!” Grice: “Corsini also explored the roots of Roman philosophy from the earliest times – ab urbe condita,’ as the Italians put it!” Studia nel Collegio dei padri scolopi fananesi, dove in seguito entra quale novizio e  si trasferì nel Noviziato di Firenze.  Le sue capacità lo portarono a diventare docente di filosofia a soli vent'anni presso la stessa scuola. Si trasferì quindi a Pisa dove insegna. Eletto Superiore Generale e dovette trasferirsi a Roma.  I principali campi di studio ai quali si applica furono: la filosofia, la cronologia, l'epigrafia, la filologia e la numismatica ma si interessò anche di matematica, di logica, di fisica, di idraulica, di didattica, di storia e di lettere antiche e moderne. Altre opere: “Illustrazione relativa alle recensioni su De Minnisari e Dubia de Minnisari pubblicate ne gli Acta Eruditorum; “Illustrazione relativa all'Epistola ad Paulum M. Paciaudum, pubblicata negli Acta Eruditorum”; “Ragionamento istorico sopra la Valdichiana” (Firenze); “Index notarum Graecarum quae in aereis ac marmoreis Graecorum tabulis observantur” (Firenze); “De Minnisari aliorumque Armeniae regum nummis et Arsacidarum epocha dissertation” (Firenze); A. Fabbroni, Vitae Italorum...,  Pisis  E. de Tipaldo, Biografie degli italiani illustri,  X, Venezia); Dizionario biografico degli italiani. Elogio di Corsini (con lettere di Fananese a Rondelli). Fanani nianae, quod in ditione est oppidum Ducum provinciae AteftinorumFri, III. Non . Octobris anno MDCCII. natus eft Eduardus Corsinius (Silvestro Corsini) optimis quidem parentibus, honestissimaque familia, quippe quae jamdiu civitate Mutinensi donata fuerat. Is ubi primum adolevit Sodalitatem hominum Scholarum Piarum, quos praeceptores puer in patria habuerat, ingressus est. Multa diligentia, multoque labore in humaniorum litterarum [cf. Grice, Lit. Hum.], philosophiae ac theologiae studiis Florentiae se exercuit apud suos; & cum omnes condiscipulos gloria anteiret, ab omnibus tamen in deliciis habebatur. Erat enim bonitate suavitateque morum prope singulari; & cum plurimuin faceret non solum in excolendis studiis, sed etiam in officiis omnibus religiosi hominis obeundis, minimum tamen ipse de se loquebatur. Vix ferre poterat Eduardus peripateticos quofadam horridos, durosque oratione & moribus, quibuscum versari cogebatur; intelle xeratque jam falsos hujusmodi sapientiae magistros de veritate jugulanda potius, quam de fendenda assidue certantes, philosophiam artem fecisse subtiliter & laboriose infaniendi. Relictis igitur disputandi spinis, ad Academiam se convertit, cujus ratio inquirendi verum libero folutoque judicio, & fine ulla contentio ne & pertinacia non poterat non magnope re probari homini natura leniſſimo. Nec forum in philosophorum libris corum dogmata, quae disputationibus huc & illuc trahuntur, ut ipse per se perpenderet, inveſtigavit Corsii, sed etiam philosophiae adminicula & an ſas, qualem Xenocrates geometriam appellabat, in Euclide, Apollonio & Archimede quae sivit. Quo in itinere felicem adeo habuit exitum, ut fervore quodam aetatis impulsus, břevi condere potuerit libellum de circulo quadrando, quem ad Guidam Grandium mi fit. Novit in eo Grandius eximium & admirabile adolescentis ingenium, eumdemque hortatus est, ut pergeret porro in eo studio, quod ceteris & studiis & artibus antecede ret, & in quo ipse futurus effet excellens. At Corsini praeſertim trahebatur ad humaniores litteras, quibus a puero mirifice dedicus fuerat, quaſque vel in sublimiorum disciplinarum occupationibus, ne obsoleſcerent, legendo renovaverat. Itaque moleste tulit demandatam fibi a majoribus fuisse an MDCCXXIII provinciam tradendi publice Florentiae philosophiam, quasi ad ea detru deretur, quae sui non essent ingenii. Principio sequi coactus est Goudinium, cui brėvi substituit Hamelium. Atque hos auctores sic interpretatus est, ut facile intelligeretur non eſſe ex illorum doctorum numero , pud quos tantuin opinio praejudicata poteſt, ut etiam fine ratione valeat auctoritas eo rum , quos ſequi ſe profitentur . Poftremo · ad ſcholae fuae utilitatem & ornamentum maxime pertinere exiſtimavit , fi e multis , quae ſunt in philoſophia & gravia & utilia a recentioribus praefertiin philoſophis tracta ta , quantum quoque modo videretur deli geret, in quo adoleſcentes exerceret . Sa pienter etiam faciebat, quod ipſos non ſolum quibus luminibus ab illa omnium laudanda rum artium procreatrice Philoſophia petitis a mentem illuſtrare , fed etiam quibus virtuti bus omnem vitam tueri deberent fedulo e rudiebat . Quare minime eſt mirandum fi in tantam claritudinem brevi pervenerit, ut fuis & Florentinis vehementer carus , quibuſdam vero hominibus nudari ſubfellia ſua , & cor nicum oculos configi dolentibus eſſet invim diofifſimus. Fuerunt & nonnulli ( tantum in vidia , aut inſcitia potuit ) qui apud eos , quorum munus eſt providere , ne quid er roris in religionem moreſque irrepat , Corſi nium accufarunt , multa illum tradere , in exponendis praeſertim Gaffendi & Cartefii ſententiis , a recta religione abhorrentia . Stomachatus eft homo religiofiflimus , caftif fimuſque obtrectatorum temeritatem . Hos ve ro ut falſae & iniquae inſimulationis publi ce convinceret , utque ab omni metu diſci pulos fuos liberaret , ftatuit in lucem profer re , quae in ſchola & domi iiſdem expoſue rat . Quod cum praeftitiffet , id evenit, ut alteros reprehendiſſe poeniteret , alteri fe di diciſſe gauderent . Inſcripfit opus : Inſtitutio nes philoſophicae ad ufum Scholarum Piarum , & illud in quinque volumina diſtribuit si ma mum continet hiſtoriam philoſophiae & lo gicam ; ſecundum verfatur in indagandis prin cipiis , & tanquam feminibus unde corpora funt orta & concreta , horumque proprieta tibus & qualitatibus ; agit tertium de cor poribus inanimatis , quae caelo , aere , ri & terra continentur ; examinat quartum animata corpora , multipliceſque eorum fpe cies, & elementa metaphyſicae tradit ; quia tum denique morum doctrinam complectitur. Nec folum in conficiendis his libris res no vas inveſtigavit Corfinius , fed etiam eas , quae funt ab antiquis traditae , quarum co gnitionem eo utiliorem putavit , quod faepe. philoſophos nova proferre judicamus , cum pervetera proferant . Praeter quam quod in ea erat opinione Corſinius, illi , fitum eſt veritatem invenire , fingulas nofcen das effe diſciplinas , ut ex omnibus , quod probabile videri poſſit , eliciat , praeſertim cum doceamur a ſapientiffimis viris , nullam fectam fuiffe tam deviam , neque philoſopho rum quemquam tam delirantem , qui non vi derit aliquid ex vero . Nec modo quid fibi probaretur , fed aliorum etiam fententias , & quid cui propo quid in quamque ſententiam dici poſſet, pera fecutus eſt, quod ea modeſtia praeſtitit , ut : non vincere maluiſſe , quam vinci oſtende- . rid . Hanc opinionum varietatem ex fuis fone tibus fincere deductam , ut potentius in die fcipuloruin animos influeret, non modo ora , vine diſpoſuit ., ſed etiam claritate & nitore, Latini ſermonis illuſtravit . Praeclare enjin , Cicero : mandare quemquam litteris cogitationes fitas , qui eas nec difponere poffit , nec illuftra-: re , nec delectationé. aliqua lectorem allicere , hominis est. intemperanter abitentis otio & like cris . Sunt nonnulli qui in hiſce. Insitus, rionibus dum pleniflimo ore laudant ima menſam prope eruditionis copiam ,, politio remque elegantiam , quibus ornantur, defide; rare videntur abditiorem 'reconditioremque tractationem earum rerum, quae primum ii) phyſica tenent locum , quales ex. gr. ſunt Trotus., Newtoniana' attractia , harumque lo ges, non tam .ut ceteros, quam ut ſe ipſum , qui nunquam adduci potuit , ut Newtoni fententiae affentiretur, convinceret . Sed ii meminiſſe debent quibus ſcripſerit:Corfiniusi, hribuſque temporibus ſcripferit. Quoniam ve Tom . VIII to plurima ſunt in phyfica , quae fine 'gea metriae ope tractari non poffunt , hoc quo que adjumențum a fe afferri oportere diſci pulis ſuis putavit . Itaque Philoſophicis Ma thematicas Institutiones adjecit , in quibus fi ordinem excipias ( initium enim facit a pro portionibus , quas nemo ignorat difficillimam effe geometriae partem ) cetera ſatis belle procedunt. Neque multo poft retexuit hoe ipſum opus , in quo eo elaboravit attentius , quod fperabat aditum fibi facturum ad mu nus tradendi mathematicas diſciplinas in Ly ceo Florentino . Acceptum illud cum plauſu fuit propter dilucidam brevitatem atque ele gantiam , licet in eo acutiores peritioreſque geometrae pauca quaedam jure ac merito teprehenderint. Praeſtantiam , quam conſe cutus fuerat Corſinius in rebus geometricis, yoluit ad hydroſtaticam transferre; cumque fedulo evolviffet quae in ea facultate ſcris ptis mandaverant poft Galilaeum Torricellius, Michelinius , Guglielminius , Grandius , alii. que pauci , in ſcenam prodire non dubitavie fuftinens perſonam non modo conſiliarii & arbitri de dirigendis avertendiſque aquis , ſed etiam ſcriptoris. Etenim ex ejus officina prow diit liber , qui infcriptus eft : Ragionamenti intorno allo stato del Fiume Arno e dell' acque della Valdinievole , quique editus fuit fum ptibus. Marchionis Ferronii , cujus cauffam praeſertim defendebat . Spe dejectus Eduar dus perveniendi in Lycei Florentini docto rum numerum , qui praeter modum iis tem- . poribus. creverat , animum ad Academiam Piſanam convertit , petiitque dari ſibi va cuum eo tempore logicae interpretis locum . Celeriter quod optabat impetravit , propte rea quod Joannes Gaſto Magnus Etruriae Dux eximiam illius ſcientiam in omni re philo ſophica cognoverat .. Vir non tam doctrina praeſtans, quam docendo prudens ( etenim quaedam etiam ars , eſt docendi ) magno erat emolumento ſtudiofis adoleſcentibus , qui non uſitata frequentia fcholam illius celebrabant . Cum vero de fchola in otium folitudinem que ſe conferret , tempus potiffimum conſu mebat in augendis . perficiendiſque ſuis Phi lofophicis Institutionibus , abſolvendoque , quod inſtituerat , opere de Practica Geometria . Ins ter haec magna fuit amnis Arni inundatio , F 2 84 EDUARD US ut fi inundationes excipias , quae annis MCCCXXXIII. & MDLVII. acciderunt, nul lam unquam majorem fuiſſe conſtaret . Pere vaſerat opinio per animos Florentinorum huic luctuofae calamitati cauſſam praefertim dediffe Clanis aquas in Arnum deductas , & quae ad eaſdem moderandas aquas facta fue rant opera . Hunc errorem ut eriperet Edu. ardus , utque perſuaderet eadem opera fuiſſe utiliffima ac faluberrima , libro expoſuit qua lis fuiſſet , & quis eſſet ſtatus Claniae val lis , quidque conſultum & actum ab anno MDXXV. ad fua uſque tempora , ut peſti lentiſſima regio convaleſcere aliquando & fa nari poſſeti, utque controverſiae inter finia timos Principes de dirigendis aquis ejuſdem regionis tollerentur . Piſis erat Corfinio con tubernium cum Alexandro Polito , qui hum maniores litteras profitebatur , cujuſque vi tam ſupra explicavimus . Hominis Graecis & Latinis litteris eruditiffimi exemplum & vo . ces , ſelectiſſimorumque librorum copia , qua is abundabat , Corſinium per fe jam flagran tem vehementiffime incenderunt ad eas ar tes , quibus ab ineunte aetate deditus fuer GO RS IN I UŚ. 85 rat , celebrandas . Sciebat Graece , cujus ſermonis elementa juvenis Florentiae acce perat a ſodali ſuo Franciſco Maria Baleſtrio , fed non luculenter . Itaque multo ſudore ac labore in arte grammatica primum ſe exer euit , poftea Graeca multa convertit in La tinum , Graecorumque libros & eos pracſer tim , qui res geſtas & orationes ſcripſe runt , utilitatem aliquam ad dicendum aucu- | pans, ftudiofiffime legebat . Cum vero ei eſſet perſuaſum ingentes ac prope immenſos cam pos illi proponi , qui eloquentiae ceterife que humanioribus litteris vacare cupit , acom mico hac de re aliquando ſciſcitanti reſpon dit: percipiendam ei effe omnem antiquitatem , co gnoſcendam hiſtoriam , omnium bonarum artium ſcriptores & doctores & legendos & pervolu tandos , & exercitationis cauſa laudan.los , in terpretandos, corrigendos , refellendos ; diſputan dumque de omni re in contrarias partes, & quid quid erit in quaque re , quod probabile videre poffit , eliciendum atque dicendum . Hujuſmodi exercitationes, quas diu incluſas habuit, Core finius in veritatis lucem tandem proferre ſe poffe putavit , cum Faſtos Atticos illustrandos fuſcepiſſet ; magnum ſane opus & prae clarum , quod omnem fere Athenienfium hi ftoriam complecti debebat , cum qua philo fophiae , omniumque laudatarum artium hi ſtoria arctiſfime eſt conjuncta . Diviſit illud ipſum opus in partes duas , quarum prio rem veluti apparatum Faftorum effe voluit, quod in illa fuſe lateque ea exponerentur , quae commode in ipfis Faftis , ad quos ta men pertinebant , 'exponi haud poffe vide bantur . Agit itaque de Archontum inſtitu tione , numero , varietate , muneribus & re rie , de Archontico anno , atque ordine men fium Athenienfium . Cum vero Archontigiis annus non in menſes ſolum , ſed in Pryta nias etiam diviſus eſſet , ac Tribuum Athe nienfium fingulae aequali temporis , annique parte Prytaniae munere fungerentur , de ie pſarum Tribuum ac Prytaniarum numero , ordine ac ſerie , deque Atticae populis , ex quibus illae conſtabant , eruditiſſime differit . Neque ab his ſeparandam putavit tractatio nem de Athenienſium Senatu & Ecclefiis , dcque Proedrorum , ac Epiſtatum numero , diſtinctione & officiis. Tranſit inde ad contexendam Archontum ſeriem diſtinguens eponymos a pseudeponymis . Quam diſtinctio nem licet nonnulli agnoverint , nemo tamen exſtitit , qui Pſeudeponymorum Archontum feriem illuftrandae Atticae hiſtoriae maxime neceffariam recenſere tentaverit . Agit de mum de civilibus Graecarum gentium annis, ipfarumque menfibus, cyclis atque periodo, cum antea declaraſſet tempus , verumque di em , quo varia Athenienſium feſta peragi & redire confueverant . Id facere neceſſe fuit propterea quod eadem fefta , veluti perſpi cuae certaeque temporis notae, rerum gefta rum memoriaé ſaepiffimè a ſcriptoribus adji ciuntur . Haec quidem in priori operis par te . In fecunda vero Fafti exponuntur a pri ma Olympiade , qua Coroebus palman retus lit , uſque ad Olympiadein cccxvi. Cauffa fuit juſta Corſinio praetereundi antiquiora tempora , quod iſta laterent craſſis occultata tenebris , & circumfuſa fabulis . Ne tamen primam Athenienfis imperii formam deſpice. re videretur (nam Athenis initio Reges , inde perpetui Archontes, mox decennales , tandemque annui imperarunt) qui Reges & Archontes perpetui , & qua aetate fuerint in Prolegomenis perſecutus eft. Ceterum Fa. ftos fic contexuit Corfinius, ut nullum ad nos pervenerit nomen Archontum , Olympioni čarum & Pythionicarum , nulla lex , neque pax , neque bellum , neque caſus neque res illuſtris & memoranda populi Athenien fis , quae in iis ſuo tempore non fit notata . Interdum etiam attigit Spartanorum , Phoceli fium , Thebañoruin , aliorumque Graecorum gefta , conſilia , pugnas , diſcrimina , quod ca maxime ſint Atticae hiſtoriae conjuncta . Grae Cos vero philoſophos , poetas, oratores , cete roſque tum pacis, tum inilitiae artibus claros viros ita commemoravit, ut quibus Olympicis annis, & quo loco in lucem fint editi , vitam que ' finierin't intelligi poffit. Atque haec o Innia capitulatim ſunt dicta . Etenim nimis lon gus effem fi praecipua, & nova vellem deſcri bere , quae in his Faftis continentur . Nihil poſuit in iis Corſinius fine locuplete auctori täte & teſte, aut faltem ſine probabili conje: ctura ; quodque difficillimum fuit, fcriptorum Graecoruin loca aut vitiata aut minime intel lecta, aut mutilata'ſic reſtituit , illuſtravit, fupplevitque, ut dubitari poffe videatur plus ne jis reddiderit luminis , quam ab iiſdem aco ceperit . Neque minori perſpicientia Athe nienfium nummos vidit , ex quibus non pau . ca quidem in rein ſuam hauſit ; ſed multo plura e marmoreis monumentis fumpfit, ta li modo dirimens controverſiam , quae ex fufcitata fuerat a ſummis viris Spanhemio , & Gudio , nummis ne , an inſcriptionibus princeps locus dandus effet in explicandis ri tibus , feſtis , Numinibus , ludis, magiſtrati bus , rebuſque geſtis Athenienfium . Inter nobiliores inſcriptiones , quas refert Corfi nius , & miro prorſus acumine atque eru ditione explicat , & interdum etiam fupplet, eft Florentina quaedam apud Riccardios ile luſtrandis Athenienfium Tribubus maxime idonea. Sed haec mirifice corrupta erat , au gebatque corruptelam collocatio . Etenim cum ex tribus fragmentis conſtaret , imperi tus artifex fic illa in pariete diſpoſuerat, ut media pars primae , finiſtra mediae , dextera vero omnium poftremae partis locum Occu paret. Vidit haec mala Corſinius , qui 2 tutiſſime indagabat omcia , iifque remedia goadhibuit . At puduit Joannem Lamium ſe non adeo lynceum fuiffe , cum ufus effet sadem inſcriptione in ſuis ad Meurfium Scholiis , & ex pudore orta eſt invidia . Ex quo intelligi poteſt quare is debitas mun quam tribuerit laudes operi , quod omnium judicio longe multumque ſuperat quidquid in hoc rerum Atticarum genere ſcripſerunt Sigonius , Scaliger , Petavius , Petitus , Spo nius , & vel ipfi Meurfius , & Dodwellus , quorum errorés dum faepe corrigit Corfini, us, & dum minime ab iis animadverſa pro fert , fatis declarat iiſdem detrahere voluiffe Haerentem capiti multa cum laude coro nam . Rumor erat ea parare Lamium , quibus fpe rabat hominibus fe probaturum , Corfinium in emendanda illuſtrandaque Riccardiana in fcriptione ſurripuiffe fibi fegetem & mate riem gloriae ſuae . Porro Lamius poft edi tas Corſinii emendationes fupponere cogita verat in locum impreſſae jam paginae in I. Meurſii operum volumine , quae prae fe fe rebat inſcriptionem corruptam , aliam pagi nam , in qua emendatior inſcriptio legebatur ; CORSINIUS: 1 bancque mutationem , omnibus occultari pof ſe putaverat , quod Meurſii liber nondum efe ſet in vulgus editus . Non latuit certe Core finium , in cujus manus pervenit etiam pria mum impreffa pagina , qua omnem a fe prow pulſare poterat injuriam . Id ut audivit Lami mius aliam rationem iniit perficiendi confi lii ſui . Dedit ad Angelum Bandiniun litte ras plenas iracundiae ac minarum, ſpecie qui dem ut ea, quae jamdiu ſepoſuerat ad Ric cardianum marmor explanandum , aliquando proferret ; re autem ipſa ut quae a Corſinio didicerat , perpaucis additis aut mutatis , le ctori aut occupato aut indiligenti vendita Yet pro ſuis . Atque id utrumque ſcriptorem conferenti luce clarius eft . Quare mirari ſa tis non poffum hominis frontem , qui furti Corfinium infimulet in eo loco, in quo ipfo cum re aliena , atque etiam cum telo eſt de prehenſus. Atque haec an. MDCCXLv. ſunt geſta , cum Fafti Attici anno ſuperiori lu cem vidiſſent . Sed tamen res defenſionem apud multitudinem potuit habere uſque ad cum annum , quo Meurſii opera cum Lamii animadverſionibus vulgata funt fimul universa . Is fuit an . MDCCLXIII. Tum enini primum jejuna illa marmoris interpretatio, quam ante annos xxII . Lamius in l . operum volumen intulerat , lecta eft pag . 258. : ad calcem vero ejus voluminis ſecundae Aucto ris curae in eum lapidem , & quaſi retra Statio quaedam ante dictorum edita eſt . Qua in mantiſſa bina extant indicia Corſinii cauffam mire tuentia , alterum quod nihil hoc in loco proponatur , ' quod non ille in Faſtorum libro occupaverit ; alterum quod mantiſſae characteres ab ejuſdem voluminis characteribus forma et figura longe abſunt , teſtanturque non niſi poſt annos multos quam liber fuerat impreſſus , diſtractis jam aut obſoletis formis illis prioribus , additam eſſe appendicem , de qua meminimus . Sed jam fatis multa de homine meo quidem judicio paucis comparando , niſi regnum in litteris, quod Florentiae perdiu tenuit , malis inter dum artibus & clarorum virorum vexatione confirmandum putaſſet. Quamvis in Fa. Hujus rei narrationen pluribus etiam verbis exa pofitam vide in libello cujus eſt infcriptio : Paffatem po Autuntile , quo in libcllo Si quis est qui dictum in se ir clemencius Exis. Atis Articis elaborare Corfinio maxime glorio fum fuerit , non minorem tamen laudem rea portavit ex Agoniſticis Differtationibus, de qui bus Ludovicus Muratorius , intelligens ſane. judex , dicere folebat , poſſe eas per ſe ſo las aeternum nomen Auctori comparare . His Diſſertationibus oftendere voluit Eduardus, quo tempore Graeci celebrare conſueverunt ludos Olympicos , Pythicos , Nemeaeos , & Iſthmiacos, quod tempus eatenus fuerat vel incompertum , vel faltem obſcurum . In hoc autem non mediocrem utilitatem chronolo giae & hiſtoriae ſe allaturum putavit , quod iiſdem ludis fcriptores uterentur ad notanda deſignandaque rerum geſtarum tempora . Ab Olympicis exordiens , qui ceteros fplendore & frequentia ſuperabant , breviter cos percurrit, quos ab Hercule primum inſti tutos Trojano bello deſiiſſe , moxque ab . Iphito reftitutos iterum intermiffos fuiffe fcriptores narrant . Etenim illud caput eſſe videbatur , ut de Olympiade illa quaereret , qua Coroe bus palmam accepit , & quae prima dicitur , omnes Exiflimayit ele , fit exiſtimet Reſponſum , 11011 d.ctum effe, qu'a lacris prior , 6 94 EDUARD V $ quod ab illa ceterarum Olympiadum ordo & feries incipiat . Hanc celebratam fuiſſe putat an . periodi Julianae MMMDCCCCXXXVIII. circiter folftitium aeſtivum , plenilunii tempo re , qui mos ſemper manſit non folum anti quioribus , quibus civiles Graecorum anni lunares erant , fed recentioribus etiam , qui bus ſolares anni a Romanis ad Graecos tran . fierunt . Primus is erat anni menſis , in quem incidiffent Olympici ludi . Quinque diebus eorum certamina abſolvebantur , inter quae curſus , quo, uno certatum eſt ad Olympia dein uſque XVIII, primas tenebat . Neque. in Aelide folum , fed & in aliis Graeciae ur bibus fumma cum populi frequentia ac faca. crorum caeremonia Olympici celebraba ntur, donec v . ineunte reparatae falutis faeculo , jidem cum Pyticis. ſublati fuerunt . , Pyticos primum inftituit Apollo , eofque jamdiu in-. termiffos, confecto. Criſſenfi bello , Olympiade. XXXXVIH . Amphictyones revocarunt. Ii- . dem Olympicorum inſtar pentaéterici erant ; neque ſecundis annis, aut quartis , ut Peta vius & Dodwellus, exiſtimarunt , ſed tertiis , hiſque exeuntibus circa Elaphebalionis menfis finem , tum Delphis , tum in aliis Grae- : ciae urbibus peragi confueverunt , Proxime poft Pythia Olympiade ſcilicet Lill. inſtaura ta fuerunt Nemea , quorum origo reperitur a ſeptem Argivis ducibus , qui ad lenien dum defiderium pueruli Archemori a ſerpen te occiſi funebres hoſcę agones CCCCLXXV. annis ante Olympiadem primam prope Ne meaeum nemus inftituerunt . At Nemeadem illam , ex qua veluti cardine ceterae infe quentes numerari coeperunt , in annum IV. Olympiadis LxxII . poft Marathoniam pu gnam incidiffe fatis probabiliter Eduardus af firmat . Nemeades aeſtivae aliae, aliae hibere nae , omnes vero trietericae fuerunt; eaeque alternis annis ita peragebantur , ut hibernae quidem in medios ſecundos , aeſtivae vero in quartos ineuntes Olympiadum annos in currerent . Cum Nemeis ludis quaedam erat Iſthmicis a Theſeo , ut ferțur , conſtitutis fia militudo . Funebres erant ambo , ambo trie terici , & qui utrolibet in certamine viciſſent apio coronabantur , Ithmici quoque alii em rant aeſtivi, non tamen alii hiberni , ut qui dem Dodyellus putabat , fed verni brabantur illi primis Olympiadum annis Hea catombeone menſe , hi Thargelione , exeun te fere tertio Olympico anno . Sic definivit Corſinius tempora quatuor illuſtrium Graea ciae ludorum , patefaciens obſcura & ignota vel ipſis chronologiae luminibus Scaligero Petavio , & Dodwello , quorum auctoritate abreptus ipfe in primo Faſtorum Atticorum libro Pythiades ſecundis Olympicis annis cona cefferat . Agoniſticis hiſce Differtationibus , veluti faftigium operis , idem adjecit feriem Hieronicarum alphabetico , ut dicitur , ordi ne diſpoſitam , & Dodwelliana longe ube riorem accuratioremque . Nam feptuaginta. ſupra centum vitores recenſuit , qui Dod weilum prorſus fugerant ; fonteſque indic cavit ( in quo Dodwelli diligentia ſaepiffi , me deſiderabatur ) unde uniuſcujufque vin ctoris nomen , aud patria , aut aetas , aut tertaminis genus , quo viciffet, hauriebatur . Hoc opus vehementer adeo Auctori fuo pro batum erat , ut vir modeftiffimus in eo quo daininodo gloriari videretur . Etenim , ut At rico fcripfit Cicero , fua cuique Sponfa ,fuus quiqua 2007. Quoniam autein tumuin his Agoniſticis Diſſertationibus , tum in Faltis ſcribendis faepe uſus eſt Corſinius ſubſidio marmoreorum monumentorum , in quibus multae occurrunt notae , quarum neque fa cilis, neque prompta fuit explicatio , fepara tum opus. a ſe expectare putavit Graecarum antiquitatum ftudiofos , quo in opere non ſolum ex marmoreis , fed etiam ex aereis Graecorum tabulis: varias eorum notas colli geret , haſque explicaret atque illuſtraret . Quae dum animo verſaret , fcriptionique jam manum admoviffet , ecce in lucem prodit Scipionis Maffeii liber de Graecorum figlis l.z pidariis, in quo trecenta fere vocum com pendia ingeniofe: feliciterque enodantur.. Cum Eduardus ab amico librum accepiſſet , ei epi ſtolam fcripfit ( relata haec fuit in IV. vo lumen . diarii Litteratorum . Florentiae editi ) in qua ſummas tribuit Maffejo laudes , quod primus ex omnibus materiem hanc ſeorſim tractandam füfceperit ,, magnam in illam con ferens.eruditionis copiam , & acre: prudenſ que judicium .. Non, propterea tamen: ſpar tam , quam fibi ſumpſerat , ille deſeruit , quia , ut ait Auſonius, is crat campus , in quo alius alio plura invenire poteft , nemo om. nia . Et plura certe Corſinius invenit , cum mille fere notas , aut numerorum vocum que compendia uno volumine colligere po tuerit & explicare illo ſuo acutiffimo inge nio , cui inquirenti & contemplanti omnia occurrere ſe ſeque oftendere videbantur . Ut vero delectatione aliqua alliceret adoleſcen tes , quibus inſuavis fortaſſe & aſperior via deri poterat ſiglarum inveſtigatio , poftquam multa eruditiſſime praefatus effet de notarum origine , vi , utilitateque , opportune ſparſit in toto libro non pauca ad hiftoriam , geos graphiam , chronologiam , ac mythologiam ſpectantia . Ex quibus aliiſque diſciplinis ube riora etiam hauſit , ut ornaret Diſſertatio nes ſex , quas , abſoluta univerſa notarum ſerie , confecit, ut eſſent operis corollarium . Explicant illae inſignes quaſdam Chriſtianac & profanae antiquitatis inſcriptiones , ficque explicant , ut facile exiſtimari queat , eum qui non comprehenderit rerum plurimarum ſci entiam , quique judicio certo & ſubtili non fit praeditus , in his antiquitatis ftudiis ſatis callide verſari & perite non poſſe . Inſcriptit Corfinius hoc ſuum opus : Norse Graecorum five vocum & numerorum compendia , quae in gereis atque marmoreis Graecorum, tabulis obſer vantur , dedicavitque Cardinali Quirinio , a quo pecuniam ad illud ipſum evulgandum dono accepit . Etenim his temporibus haud illi magna res erat, quae vix fatis efle vide batur ad vitam ſuſtentandam , neceſſarioſque. libros emendos . Praepoſitus an MDCCXXXV. dialecticae ſcholae, nihil aliud annui ſtipendii obtinuit nifi octingentos denarios . Hoc eſia fatum videtur nobiliilimae. quidein diſcipli nae , ut pote quae per omnes diſciplinas ma: nat ac funditur , ut qui illam profitentur me: diocribus afficiantur praemiis . Vel ipſi Grae. ci , quamvis ellent aequi liberalium artium aeftimatores , minam , eſſe voluerunt inerce dem Dialecticorum. Coin.nodiori in ftatu res Corſinii eſſe coeperunt cum traductus fuit (id accidit an. MDCCXLVI.) ad metaphyſi cam atque ethicam docendam .. Tunc eniin ipfius ftipendium erat bis millenorum & am plius denariorum , poſteaque illud ipſum ad quatuor. mille ducentos quinquaginta uſque pervenit , cum proſperae. res multae confecutae fuiſſent . Satis ſuperque id erat homi ni temperato ad vitam beatiſſimam ; videba turque libi ſuperare Craffum divitiis . Quan tum vero ſorte ſua contentụs , quantiſque a moris vinculis Academiae Piſanae obftrictus effet , ex eo conjici poteſt, quod mortuo Lu dovico Muratorio Mutinenfis Ducis bibliothe cae praefecto in illius locum fuccedere recu favit, quamvis liberaliſſime ipfius Ducis ver bis invitaretur . Quo cognito ab Emmanue le Comite Richecourtio , qui Franciſci I. Cae faris nomine res Etruriae adminiſtrabat, ipſe fingularibus verbis ei gratias agendas cenſuit, eidemque prolixe de ſua non modo , fed & Cae aris voluntate pollicitus eſt . Id non potuit Corfinio non fumme eſſe jucundum ; utque viro de fe & de Sodalitate ſua bene ſemper merito gratum fe oftenderet dedica vit illi Plutarchi opus de Placitis Philoſopho. tum a ſe Latinum factum , vitaque Scripto ris , fcholiis , & diſſertationibus ornatum . Cauſſam ſuſcipiendae novae interpretationis ei dem dederunt naevi quidam , quibus maçı lantur Budaei , Xylandri , & Crụſerii honi num ceteroquin doctiſſimorum interpretationes ; ſuſceptam vero ita perfecit , ut ver bu pro verbo reddiderit , multaque etiam attulerit de fuo , quae funt diverfo chara ctere notata , ne attenuata nimis diligentia perſpicuitati officeret , & ne res ipfa omni Latinae orationis dignitate cultuque deſtitu ta ſordeſceret . In limine operis Plutarchi vi tam ex illius aliorumque veterum ſcriptis a ſe diligentiſſime colletam , & feriem philo ſophorum , quorum placita a Plutarcho pro feruntur , aetatemque , in qua vixerunt , ex . poſuit . Singulis vero operis capitibus brevia adjecit commentaria , quae aut mutilos & hiulcos Plutarchi locos ſupplent , aut de pravatos emendant , aut obſcuros atque per plexos , opportune allatis aliorum philoſo phorum ſententiis , illuſtrant . Siquando au tem longioris eſſe orationis putavit Corſi nius lucem aliquam afferre rebus obſcuriſſi mis , cum non Heraclitus ſolum , ſed & quiſ que fere antiquitatis philofophorum , quo rum ſententias coarctavit & peranguſte re ferſit Plutarchus , Exotélv8 cognomen me reatur , hujuſmodi illuſtrationes ad finem li bri rejecit . Quo in loco voluit etiam recenfere illuſtriores ſententias , quae propriae di cuntur recentiorum philoſophorum , cum ea rum tamen manifeſta appareant veſtigia in Plutarchi libro , quod profecto ad veterum gioriam amplificandam plurimum valet . Ta les ſunt attractionis leges , vireſque , ut di cuntur , centripeta & centrifuga, Charteſia ni vortices , lunae phaſes , maculae , quod que haec fit terra multarum urbium & mone tium , converfio folis , planetarum , fiderum que certa quadam celeritate ac periodo cir ca axes ſuos , natura , coſtans motus , rever lioque cometarum , telluris motus , quodque ex eo cauſſa ' maris aelus repetenda fit jegew’ewe explicatio , aliaque hujuſmodi mul ta tum ad corporum , tum ad animi na turam pertinentia . Profecto nihil dulcius erat Corfinio quam per abdita remotioris antiqui• tatis permeare , & inde nova & inexpecta ta deferre , quae hominibus contemplanda bono in lumine exhiberet . Nam , ut Ari ſtoteles inquit, fuo quiſque artifex ftudio atque opera impenſius delectatur . Cum igi tur accepiffet ab Antonio Franciſco Gorio amiciſſimo ſuo graphidem eximii cujųſdam anaglyphi , quod Romae viſitur in Aedibus Farneſianis , non magnopere hortandus fuit, ut in illo exponendo elaboraret . Exhibet hoc ſuperiori in parte Herculem cuin Eų. ropa , Hebe , Satyriſque quieri , voluptati que poſt exantlatos labores indulgentem, in inferiori vero tripodem Apollini ſacrum , Ar givae Junonis Sacerdotem , atque alatam Virginem , & Herculem demum ipſum ſe ſe expiantem , ut purus ad Deorum conci lium afcenderet . Hinc & illinc anaglyphum ornant binae columnae cum Graeca inſcrie ptione, quae multis verſuum decadibus Her culis geſta commemorat : in ſupremo tan dein anaglyphi loco octodecim hexametra car mina exculpta ſunt, quibus Herculis labores & certamina declarantur . Praeclariſſimi hujus monumenti explicationem Eduardus libello quem ad Scipionem Maffejum inſtituit, com plexus eſt ; ex eoque judicari poteft , vehe mens afiiduumque ftudium ipfi copiam eru ditionis dediſſe , naturam vero tribuiſſe in genium ad conjiciendum divinandumque fa ctum . Et fane divinationis cujuſdam vide illum potuiſſe laceras ac depravatas multorum verſuum lacinias feliciſſime corri gere atque ſupplere. Magnae antiquitatis ar gumentum praebere ſuſpicatus eſt Doricam dialectum , qua exarata eſt inſcriptio , ne- ! que ipfe affirmare. dubitat opus paullo poſt Alexandri tempora' , antequam Q. Flaminius priſtinam Graecis libertatem redderet, perfe &um fuiſſe . Sed aliter alii ſentiunt ( 1) qui bus nunc plerique affentiri videntur . Hoc ipſo ferme tempore Corſinius ejuſdem Gorii poſtulationibus Diſſertationes quatuor con ceſſit , quae impreſſae funt ab illo in vi. vo lumine Symbolarum litterariarum . Extricat pri ma epigraphen ſculptam in labro interiori cujuſdam crateris ahenei Mithridatis Eupa toris, qui crater in muſeo Capitolino, Vide Winkelman, Monumenti antichi inediti Trel. Prelim . p . LXXIX . Idem quaedam alia notat in quibus deceptum fuiſſe Corfinium arbitratur p. 39. (2 ) Sic interpretatur Corfinius mire involutam in. ſcriptionem : Regis Mithridatis Eupatoris Regni anno 54. Eupatoriftts Gymnaſii ( hoc eft civibus Eupatoriae , qui in Gymnafio certarunt ) ſenectutem conſeival , quod erat ad laudem vini , quo plenus crater vi &ori con cedebatur . Alii aliter interpretanda extrema pracſertim inſcriptionis verba exiſtimarunt , quorum fententiam plerique nunc fequuntur affervatur . Secunda patefacit obſcuros igno ratoſque dies natalem & fupremum Plato nis , qua occafione aliorum etiam virorum illuſtrium Archytae , Philolai, Iſocratis , Ly fiae, Dionis , & Socratis aetates & tempora perſequitur . Explicat tertia adverſam par tem numiſmatis Antonini Caeſaris , in qua Prometheus humanum corpus ex luto fin gens , & Pallas capiti mentem , papilionis imagine expreſſam , inſerens confpiciuntur . Curioſa ſunt quae excogitavit Corfinius , ut perſuaderet hominibus morem repraeſentandi humanam mentem ſub papilionis imagine non ex miris hujus volucris affectionibus & natura , non ex ipſa animi immortalitate , circuitu , aut tranſmigratione, non ex Chal daicae , Graecaeque fapientiae fontibus , non ex arcanis amoris myſteriis, fed ex fola ar tificum imperitia profluxiſſe . Cum enim unum idemque nomen pſyches papilionem & ani nium deſignet, rudis artifex , qui primus ani mum exprimendum ſuſcepit , non putavit hu jus ideam poffe melius excitari , quam obje eta imagine illius rei , quacum is commune nomen habet . Quarta Diſſertatio demum in 106 EDUARDUS eo verſatur , ut oftendat mentitam & falfam effe Latinam quamdam inſcriptionem , quae Piſis vilitur in Scortianis aedibus . Summi labores , quos Corſinius impendit in conficien dis , quos retulimus , libris , magna compen ſati fuerunt gloria , ut unus e multis , qui illuſtrandae Graecae praefertim antiquitati ſe ſe dederunt , excellere judicaretur . Cujus de praeſtanti in hoc rerum genere doctrina tan ta etiam judicia fecit Scipio Maffejus , quan ta de nullo ; cujus teſtimonii auctoritas ma xima reputari debet non folum quod ab hox mine prudentiſſimo proficifcitur , fed etiam quia figulus invidens figulo , faber fabro , ut eſt Heſiodi dictum , alterius laudi & gloriae | minime favere ſoleat . Ex mutua opinione doctrinae , fimilitudineque ftudiorum orta eft inter cos jucundiffima amicitia , cujus tanta vis fuit , ut Corſinius aeſtate an. MDCCLI. quamvis non bene valens, Veronam venerit aliquot menſes commoraturus apud amicum . Quo tempore inter eos fuit familiariſſima focietas , & communicatio ftudiorum . Dono accepit Corſinius a Maffejo tercentum fere Graecas inſcriptiones ( has Edmundus Chici1 shullius collegerat, & fecundae Afiaticarum antiquitatum parti reſervaverat ) ea conditio ; ne , ut eas Latine redderet atque illuſtraret , Satisfecit ille aliqua ex parte promiffo ſuo , cum anno inſequenti edidiſſet eas inſcriptio . nes , quae ad Athenas ſpectabant ; eaſdem que iterum cum commentariis edidit quam driennio poft , ut eſſent ornamento quarto Faftorum volumini . Nono menſe poftquam in Etruriam rediit Eduardus , moritur Ale- ' xander Politus , quocum ille ita vixit , uit. quem pauci ferre poterant propter difficilli mam naturam , hujus fine offenfione ad fum . mam fenectutem retinuerit benevolentiam . Mortuo autem Polito neque inquirendum neque conſultandum fuit quis illi ſucceſſor in Academia Piſana daretur , cum omnium oculi ftatim in Corſinium conjecti fuiſſent . Ita hic exeuntė anno MDCCLII . poftquam octodecim fere annos philoſophiam tradidif ſet , munus docendi humaniores litteras li bentiſſimo animo ſuſcepit . Initio propoſuit fibi (nam muneris ratio , & adolefcentium utilitas ab eo poftulabant, ut cum Graecis Latina conjungeret ) explanare Plutarchi parallelas Graecorum , Romanorumque vitas , ut inde occaſionem ſumeret utriuſque populi leges inter ſe conferendi . Memoriter dicebat e ſuperiori loco , quod ad praeceptoris & ſcholae dignitatem plurimum tum conferre putabatur ; & quae tradebat inſignita e rant luminibus ingenii , & conſperſa erudi tionis ſententiarumque flore . Genus dicen di erat quiétum & lene, purum & elegans, ut maxime teneret eos qui audiebant , & non folum delectaret, fed etiam fine fatieta te delectaret. Nulli diſcipulorum aditum ſermonem , congreſſumque fuum denegabat , quin immo eos bis in hebdomada domum ſuam invitabat , ut in ftudiis exerceret Grae carum , Romanarumque antiquitatum . Domi etiam tradebat metaphyſicam , quo onere non placuit Academiae Moderatoribus illum libe rare niſi anno MDCCLIV. quo quidem tem pore Venetiis evulgavit ſuas Inſtitutiones Me taphyficas. In his adornandis illud unum pro pofitum fibi fuit , ut in animis adoleſcentium rectas de animae immortalitate , arbitrii li bertate , Dei exiſtentia , ceteriſque naturalis theologiae dogmatibus notiones infereret, quibus in gravioribus aliis diſciplinis veluti praeſidiis uti pofſent , quibuſque caverent a peſte quadam hominum non tam religioni , quam reipublicae infeſta , quae rationem per vertendo ubique venenatas opiniones diffe minare non veretur . Subaccuſent aliqui, fi lubet, Corſinium , quod nimis, parcus fuerit in pertractandis quibuſdam rebus , quae in ca , in qua nunc ſumus , luce ignorari mi nime poſſe videntur ; omnes profecto uno ore fateri debent tales effe hafce Inſtitutio nes , ut cupidi metaphyſicae nullibi poffint refrigerari ſalubrius atque jucundius. Poftre mum hoc operum fuit , quae Corfinius Phi loſophiae dicavit , nifi dicere velimus , eti am cum minime videretur tum maxime ila lum philofophari conſueviſſe, Quod declarant ejus Latinae orationes ad Academicos Piſanos refertae Philoſophorum fententiis , faluberri ma praecepta , quibus adoleſcentes ad omne officii munus inftruebat , doctiflimoruin Phi loſophorum familiaritates , quibus ſemper flo ruit , & ars illa diſtinguendi vera a falſis , colligendi ſparſa , eaque inter ſe conferendi, diligenter examinandi omnium rerum verbocum rumque pondera, nihilque afferendi fine evi denti ratione , aut faltein probabili conjectu ra in qua arte quantum inter omnes un Aus excelleret , praeſertim oftendebat , in vetuftatis monumenta inquireret . Hujus inquiſitionis uber fane fructus fuit Diſſertatia illa de Minniſari, aliorumque. Armeniae Regim nummis , Et. Arſacidarum epocha , quam idem in lucem extulit an . MDCCLIV. Difficulta tis maximae fuit oftendere Minniſari num mum , quem praecipue illuſtrandum Corſi nius ſuſceperat , ad illum fpectare Maniſarum Armeniae & Meſopotamiae. Regem , de quo Dio Caffius in libro Romanae hiftoriae LXVIII. mentionem fecit, & Arſacidarum epocham uon in Parthiae. folum , fed etiam in: Arme niae regum nummis inſcriptam fuiffe , eam . que ab anno Urbis conditae Dxxv. initium duxiſſe . Antea quidem doctiſſimorum viro rum Uſſerii, Petavii , Noriſii , Spanhemii , Vaillantii, & Froelichij fententia fuerat , ſe rius. Arſacidarum imperium incepiſſe , adver ſus quam ſententiam Eduardus ita pugnavit, ut veritas non minus quam modeſtia eluxe rit . Quoniam vero in antiquitatis ftudio multae res inter fe ita nexae & jugatae funt , ut , inventa una , aliae , quae prius latebant , ſe ſe contemplandas offerant, ean ob rem Corfinius in Minniſari regis num mo explicando varia ſcriptorum loca corri gere & ſupplere , verum Darii genus expo nere , Tiridatem alterum , Arfamem , aliof que Armeniae Reges Vaillantio prorſus in cognitos proferre potuit . Res in hac Differ tatione contentae , non fine laude oppugnatae fuerunt a Jeſuitis Froelichio & Zacharia , reſponditque ad ea , quae objecta fuerunt , ſine iracundia Corfinius . Eteniin veritatis unice amans alios a fe diffentire haud ini quo ferebat animo, ſemperque deteſtatus eſt eos , qui ſuis ſententiis quaſi addicti & con . fecrati etiam ea , quae plane probare non poſſent , conſtantiae, non veritatis cauſſa de. fenderent . Propugnationem quoque Corſinii libello (*) ſuſcepit ejus convictor & fodalis (*) Huic titulus eſt . Lettere critiche di un Pafton r Arcade ad un Accademico Erruſco nelle quali ſi ſciola gono le difficoltà fane contro un'opera del Reverendiſſia mo Padre Corſini nel Tom . IX. della Storia leveraria of lialia &e, in Pisa 1957. in Carolus Antoniolius , qui quidem non me . diocria adjumenta illi praebuit , cum pluri mum valeret in omni genere ftudiorum quae ipſe excolebat . Magni quoque Acade miae fuit Antoniolii opera in Graecis littea ris tradendis toto illo ſexennio , quo Corfi nius , coactus capeſſere, ſummum Sodalitatis fuae magiſtratum , bona Principis cum ve nia , & fine ulla ſtipendiorum jactura Piſis abfuit . Hic Romam venit menſe. Aprili an. MDCCLIV, ardens. defiderio indicia veteris memoriae , quibus mirabiliter urbs. illa abun dat ( quacumque enim quis ingreditur in aliquam hiſtoriam veftigium ponit ) cogno ſcendi . Sed raro ei poteſtas dabatur huic ſuo . deſiderio, fatisfaciendi, cum podagrae dolori bus ſaepiſſime vexaretur , & munus ſuum diligentiſſime exequi vellet . Quanta vero pru dentia ac dexteritate fuerit in tractandis ne. gotiis , quanta aequitate in conſtituendis , temperandiſque, ſi res pofcebat, conſtitutis jam legibus , quanta humanitate erga omnes , quantaque vigilantia ac providentia in con fulendo rebus. praeſentibus , praecavendoque futuras , fatis praedicari non poteft . Cum autem nihil ſine aliorum conſilio agere ei mos eſſet , & facilitate ſumma uteretur in füos adjutores procuratoreſque , inde norza nulli materiem ſumpſerunt falſae criminatio nis , quod ad aliorum magis quam ad ſuun arbitrium res Familiae adminiftraret . Omnino totum fe tradidit Eduardus Sodalitati , to tamque fic rexit , ut oblitus commodorum ſuorum omnibus proſpexerit . Non eſt credi bile quanto animi dolore angeretur , fi ali quis ſuorum in crimen vocabatur . Horrebar enim homo innocentiſſimus vel ipfam pecca ti ſuſpicionem . Sed non propterea fontibus iraſcebatur, hofque clementia magis atque manſuetudine , quam animadverſione & ca ftigatione ad frugem revocare ſtudebat . Cum vero feveritatem , fine qua reſpublica adıni niftrari non poteſt , adhibere cogebatur, similis, ut praeclare admonet Cicero , legum erat , quae ad puniendum non iracundia , fed aequitate ducuntur . In his occupationi bus muneris ſui, ne plane ceſſäre a fcriben do videretur , extare voluit explicationem đuarum Graecarum inſcriptionum , quae mus ſeum ornant Bernardi Nanii Veneti Senatoris.quam feliciter id praeftiterit , perſcrutata prius litterarum priſcarum , quibus illae con fcriptae ſunt , forma atque vi , facile judica bunt ii , qui ſunt harum deliciarum amato Tes . Tentaverat eamdem rem Franciſcus Za nettus, ſed longiſſime aberravit a vero ejus interpretatio . Ipſe Eduardus cum Anconae effet ineunte anno MDCCLVI. eoque prae ſente cum multis aliis detecta fuiſſent atque agnita corpora Sanctorum Cyriaci , Marcelli ni & Liberii, quos ſingulari obfequio ea dem civitas venerațur, incitatus fuit, ut ali quid laboris impertiret illorum Sanctorum illuſtrandae hiſtoriae , definiendoque praeſer tim tempori , quo tranſata eorumdem cor pora fuerunt in eum , ubi nunc jacent , lo cum , & quo Anconae coli coeperunt . Haec Corfinius , edito commentariolo , accidiffe - ftendit exeunte faeculo XI. , & ex ipfis an tiquitatis monumentis quibus ſententiam ſuam confirmavit , quatuor Anconitanorum Epiſcoporum nomina in lucem protulit , quaç uſque ad id tempus fuerant incognita , Per pauca in hoc commentariolo attigit de S, Liberio , quod ejus hiſtoriam involutam tenebris & fabulis exiſtimabat , Mox cum ei aliquid luminis affulfiſſet , & monumentorum ope , & mirabili illa ſua conjiciendi arte pa tefacere potuit Liberium fuiſſe unum ex fo ciis S. Gaudentii Abfarenſis Epiſcopi , qui circiter an. MxXxx. Anconam venit , fo litariam vitam acturus in ſuburbano mona ſterio Portus Novi . Harum rerum inventio multis laudibus. celebrata fuit a Scriptoribus annalium Camaldulenſium (*) : pergrata quo que fuit. Benedicto XIV. pro ejus. fingulari ftudio in Anconitanam Ecclefiam . Hic cum ſaepe ad congreffum colloquiumque ſuum invitaret Eduardum , quod ejus ſummum in genium , fuaviffimos. mores , atque eximiam probitatem & nofſet & diligeret , ſaepe quo que ipſum hortabatur ,, ut ea pergeret man dare litteris , quae abdita Chriſtianae anti quitatis patefacerent . Sed fuerunt juftae ca uffae quare. Corſinius amantiffimis. Pontificis M. conſiliis minime obtemperavit ; & quid quid fubciſivorum temporum incurrebat, quae perire non patiebatur, libentiffime concede-. ( * Vid . Tom . III ., bat ſuis priſtinis ftudiis . Ruſticabar cum eo in Tuſculano, quando epiſtolam ſcripſit ad Paullum Mariam Paciaudium , in qua plura de Gotarzis eximio nummo , ejuſque , Bar danis , & Artabani Parthiae Regum hiſtoria perſecutus eſt, & pro jure noftrae amicitiae ab ipſo poftulabam , ut in otio , quod raro da batur , & peroptato illi dabatur, ceffaret a libris & a ftilo . Verum cuin is eſſet ut fi ne his ftudiis vitam inſuavem duceret, di cere folebat hujuſmodi ſcriptiones non pre mere , ſed relaxare animum . Et relaxatione certę aliqua ille indigebat , cui grave adeo erat , quod multi appetunt , ceteros regendi munus , ut onus Aetna majus ſibi ſụſtinere videretur . Poterat quidein illi eſſe lovaniens to recordatio multorum benefactorum , inas ter quae maximum illud reputari debet quod eo ſexennio , quo ad Sodalitatis gum . bernaculum ſedit , viginti domus , five cole legia conſtituta ſunt . Interim advenit tem pus , quo magiſtratu fe abdicare , & extre mos auctoritatis fuae fructus capere debe bat in provehendo digno viro , qui fibi fuc cederet . Verum minime illi : contigit , ut funt ancipites variique caſus comitiorum , quem optabat, exitus. Peractis comitiis, fine mora rediit ad Academiam Piſanam & ad il lamºquietam in rerum contemplatione & co gnitione maxime poſitam degendae vitae rae tionem, qua qui frueretur, negabat ei aliquid deeffe ad beatė vivenduin . Liber de Praefe . ctis Urbis ei erat in manibus ; Graecas in fcriptiones in Aſia repertas , quas , ut ſupra retulimus , a Scipione Maffejo dono accepe rat , quafque jampridem Latinas fecerat, co pioſis commentariis explicabat ; aderat diſci pulis ſuis ; veniebat frequens in Academiam , afferebat res multum & diu cogitatas, facie batque fibi audientiam hominis erudita, com pta & mitis oratio . Idem efflagitatu & coae tu amicorum inftituta. hoc tempore opera abrupit , ut explicationem lucubraret cujuf dam nummi recens in Auſtria reperti , in quo erat nomen & imago Sulpiciae Dryan tillae Auguſtae. Conjecit ille feminam hanc libertam fuiſſe, libertatémque accepiffe a Sul picio quodam , ab eoque in Sulpiciam ģen tem receptam ; nupfiffe demum Carinó fcea leftiffimo Imperatori. Haec porro incerta. Illud unuin ſine ulla dubitatione colligi pof fe videtur ex nummi fabrica, characterum forma, feminaeque ornatu , illum ipſum num mum cuſum fuiſſe inter Elagabali & Diocle tiani imperium , proptereaque Dryantillam ad aliquem Imperatorum , qui illo intervallo re gnarunt, pertinere. Neque his contentus Edu ardus voluit etiam excutere hiſtoricorum & rei nummariae interpretum mire inter fe dif ſidentes opiniones de Aureliani ac Vaballa thi imperio atque aetate , ac poftremo ſuam ſententiam proferre . Fuit haec , Aurelianum exeunte Julio , vel ineunte Auguſto anno CCLXX. imperium ſuſcepiſſe , eaque multis & gravibus confirmatur argumentis . Ad ex vero diluenda , quae contra dici poterant ex illorum ſententia , qui praeſertim niti vide bantur lege quadam data a Claudio VII. Kal. Novembris Antiochiano & Orfito Con ſulibus , ut ſerius Aurelianum inchoaffe im perium perſuaderent, diſtinguit Conſules or dinarios a ſuffectis . Hac autem conſtabilita diſtinctione , quae maxime apta erat non fo lum ad id , quod requirebat , ſed etiam ad expediendos alios , quos vel ipſe Scaliger in diffolubiles in Chronologia exiſtimaverat now dos , concludit eamdem legem editam fuiffe anno cclxix. vel CCLXVIII. quando An tiochianus & Orfitus ſuffecti Conſules erant, minime vero anno cclxx. iiſdem Confuli bus ordinariis . Nec minor difficultas erat o ſtendere , qui fieri potuerit , ut Aurelianus ad vil. Imperii annum perveniffe dicatur , & explicare locum Euſebii , qui tradit in ejuſdem tempora incidiffe in . Antiochenam Synodum : exploratnm eft enim hanc Sya nodum anno cclxix. incoeptam & abſolu tam fuiſſe . Feliciter haec praeftitit Corſi nius , cum probaſſet Aurelianum anno & ultra antequam a legionibus poft mortem Claudii Imperator fieret , ab ipfo Claudio deſtinatum ſibi fuiſſe ſucceſſoreni , adeoque ampla poteſtate donatum ut ab hoc tema pore nonnulli ejus Imperii initium ſumere potuerint . Quae vero de Vaballatho diſream ruit Corſinius haec ferme ſunt . Illum Ze nobia procreavit ex Athena priori viro , ejuf demque nomine ab anno ccLXXVI. uſque dum Claudius in Gothicum bellum uni ce intentus vixit , Orientis imperium te H4 ut nuit . Ex quo factum eſt , ut quae hoc tem pore cuſa funt Vaballathi numiſmata , Impe. satorem Caefarem Auguftum illum nominent . Poftquam vero ille deſciviſſet a matre , Aureliano adhaereret, huic quidem conjun octus in nummis repraefentari voluit, minime vero paludamento , radiata corona , fplendi doque Augufti nomine decoratus, ſolo Im peratoris contentus . Praetereo alia multa Scitu digniſſima in hac Diſſertatione conten ta , ne , cum nimis longus in recenfendis ſcriptis operibus fuerim , videar oblitus con ſuetudinis & inſtituti mei . Hujus libelli ( cil ra liberatus Corfinius totus in eo fuit, ut ab Solveret ſeriem Praefectorum Urbis ab Urbe con dita ad annum afque MCCCLIII. five a Chri fto nato DC. Etenim poſteriora tempora mi nime inquirenda putavit , quibus , penitus fere exſtincto Urbanae Praefecturae fplendo re ac dignitate , nonniſi tenue nomen , ac leviſſima priſtinae majeſtatis umbra ſuperfuit ; ex quo fiebat, ut nihil inde lucis facra & profana ſperare poffet hiſtoria , cum contra uberrimam fplendidiffimamque utraque acci. peret ex veterum Praefectorum ferie , horumque aetate rite conſtituta . Ut vero non utilitate ſolum , ſed etiam jucunditate lecto res invitaret Corſinius , operi varia opportu ne admifcuit , quae marmora & ſcriptores , quorum teftimoniis ubique fere utitur , cor rigunt & illuſtrant , interpretumque falſas opiniones atque errores emendant . Non ego ſum neſcius multos anteceſſiſſe Corſinium in hujuſmodi pertractando argumento ; ex qui bus omnibus , ac praefertim Jacobo Gotho fredo ac Tillemontio plurima in rem ſuam tranftulit . Sed ii exiguis finibus operam fuam continuerunt , fi unum excipias Feli cem Contelorium , qui contextam a Panvi . nio Praefectorum ſeriem ad annum uſque MDCXXXI. traduxit . Tale tamen non fuit Contelorii opus , quin eadem de re aliquid politius , copiofius , perfectiuſque proferri a Corſinio potuerit . Et protuliffe certe ipſum oportet , cum magna fuorum laborum prac conia ab intelligentibus viris reportaverit . Mi rari hi tantummodo viſi ſunt quod aut is in gnoraverit hac ipſa in re plurimum quoque elaboraſſe Almeloveenium , aut quod hujus fcripta conſulere praetermiſerit. Id profecto & praeſtitiſfet abundantius & copiofius pro poſitae fibi rei ſatisfacere potuiſſet , neque poftea ventofiffimi homines triftem fuftinuif fent notam calumniatorum , qui nullo in pre tio ob pauca quaedam a Corſinio praetermif ſa hujus opus habendum inflatis buccis clamitarunt . Ne hi verbofis fibi famam ad quirerent ſtrophis vel apud imperitam mul titudinem, factum eſt diligentia Cajetani Mari nii, qui librum Bononiae an. MDCCLXXII. edidit, quo non folum eorum obftitit injuriis, verum etiam nova a ſe inſcriptionum ope detecta Praefectorum Urbis nomina in lucem protulit . Sed ad Corſinium revertor , qui dum fine intermiſſione obſequebatur ftudiis ſuis & adoleſcentium utilitati, oblitus vide batur fe jam fenem factum ( quando enim typis mandavit librum de Praefectis Urbanis ſexageſimum primum aetatis annum agebat ) & infirma aegraque valetudine effe . Sed ac Hujus eſt inſcriptio : Difefa per la ſerie de' Pree fetti di Roma del Ch . P. Corfini contro la cenſura farie . le nelle offervazioni ſul Giornale Piſano , in cui le della Serie si suppliſce anche in affai luoghi e le emenda . In Bon logna e S. Tommaſo d'Aquino in 4. Vide Pilanas Ephcm meridcs vol. VIII. p. 179 eidit miſerabilis caſus , qui repente ipſi onga nem ſpem non folum litteris , ſed etiam na : turae vivendi praecidit . Erat haec conſuetu . do Academiae Piſanae, ut qui humaniores lite teras profitebantur , Kalendis Novembris , quo tempore inftaurari ftudia folebant, Latinam om rationem haberent ad vehementius inflamman dam cupidam doctrinarum juventutem . Di cebat eo ipſo die Eduardus ( vertebat tunc annus tertius fupra fexageſimum hujus fae tuli ) de viris , qui & ſcriptis editis , in ventiſque rebus in Academia maxime florue runt , eaque erat oratio , ut nunquam is di xiſſe melius judicaretur . Cum eo pervenirſet, ut exultaret in immenſo Galilaei laudum campo , repente apoplexis ipſum perculit , ac ſemivivum reliquit . Dolore hujus caſus o ſtenſum eft quantum ille Academiae eſſet ac ceptus . Aegre domum deductus , ibi quatri duo cum morte conflictatus eſt. Quinto die, multis adhibitis remediis , levari coepit , ac praeter ſpem paullatim convaluit . Ut arden ter deſideraret priſtinas recuperare vires , efficiebat ille fuus ſingularis amor in Aca demiam , cui majus ſe non poſſe munus afferre videbat , quam fi inſtitutum juſſu Prin cipis biennio fere ante opus de ejuſdem Academiae ortu , progreſſu ac vicibus ad umbilicum perduceret . Plurima collegerat at que vulgaverat ad hanc hiſtoriam pertinen tia vir diligentiſſimus Stephanus Maria Fa bruccius Juris civilis in eadem Academia do ctor , quae quidem ampla & bella materies effe poterant ad novum aedificandum opus . Hoc igitur ſubſidio inſtructus Eduardus , ala cer ſe ſe ad rem accinxit . Et primo qui dem illuftrium Italicorum Gymnafiorum ori ginem ſubtexuit , diſſerenfque quatuor prio ribus capitibus de prima Gymnaſii Piſani in- : ſtitutione, neque ab xi. neque a xiv. Chris fti faeculo , ut multi ſcripſerunt , fed ab ine unte XIII. vel exeunte xii . illam repeten dam effe exiſtimavit . Ex hoc tempore ad annum uſque MCCCXXXIX. , quo anno Fa bruccius contendit coepiſſe Academiam Piſa nam , hanc fi nullam dicere nolumus , mi nimain certe fuiſſe oportet . Conſecutae des inceps yices multae , ut ipſa modo langues ſcere , modo ad interitum properare , vires vitamque modo recuperare , ac faepe etiam veluti extorris ſedem mutare viſa fuerit , Quae omnia octo conſeqılentibus capitibus perſecutus eft Eduardus . Cum vero Acade miae res , imperante Coſmo I. ceteriſque.non solum Mediceis, sed etiam Lotharingis Principibus , feliciflime proceſſiſſent , quibus ab his beneficiis, ſplendore atque gloria aucta, quibuſque gubernata legibus consuetudinibusque, variis interdum pro temporum varietate, exposuit in quatuordecim capitibus , quo rum nonnulla adumbrata magis quam de fçripta videntur . Haec omnia primam ope ris partem conficere debebant , cum refer vafſet alteram, quam tamen minime attigit, Doctorum vitis. Dum haec scripta legebam videbatur mihi pofſe ab Auctore defiderari major rerum copia , magiſque apta ac preſ fa oratio. Inest quidem in omnibus Corsinii scriptis luxuries quaedam , quae , ut in herbis ruſtici ſolent , depaſcenda erat; quod fi eft vitium in omni oratione , maximum tamen eſt in hiſtoria , in qua pura & illu fțris brevitas expetitur . Eodem tempore, quo Eduardus in Academiae historiam incumbebat, ne plane superioris aetatis Audia de servisse videretur, epistolam fcripfit ad ami cum & collegam fuum Franciſcum Albi zium , in qua de Auſonii Burdigalensi consulatu egit, Desperaverant vel ipsi chronologiae Patres Panvinius & Pagius, computationem quamdam annorum ah. Auſonio factam in e pigrammate, ad Proculum , in quo, ab Urbe condita ad consulatum suum CXVIII. an nos enumeravit, conciliari posse, cum Varroniana epocha , ideoque, novam excogitarunt epocham XIII. annis Varroniana pofte riorem , qua non solum Ausonium, sed etiam Arnobium usos fuisse scripserunt. Horum aliorumque Auſonii interpretum errorem ut corrigeret Eduardus, probare debuit. Auſonium non Romanum, modo, fed & Bur digalenſem geffiffe consulatum, & Romanorum & Burdigalenfium Consulum fastos conscripsisse . Qua distinctione constabilita , facile fuit oftendere eumdem Aufonium in ea pigrammate , quod ad Heſperium filium ini fit cum Romanis faſtis, de Romano, a ſe ges: ſto consulatu, in epigrammate autem illo, quod est ad Proculum, de patrio, municipali, quinquennali (etenim in municipis omnibus majores magiſtratus quinquennales eſſe ſolebant) de Burdigalenſi nimirum con. ſulatu locutum fuisse. Hanc epistolam secuata est altera ad Joannem Chrysostomum Trom . bellium Canonicum Regularem , in qua do nummo quodam ab Athenienſibus Livia Augustae dicato, illiuſque aetate differens, feminam illam non ſupremis tabulis , ſed matrimonii jure a marito nomen Auguſtae accepiſſe pluribus monumentis comprobat. Quae quidem aliaque ex abditiſſima antiqui. tate deprompta , quae fparfit Corfinius in hac epiſtola , ut jucunda lectoribus , ita iif dem plena moeroris fore arbitror , quae in extrema pagina ejuſdem epifolae Trombel lius adnotavit. Scribit enim ille : Dum extre mam hujus epiſtolae partem edimus , monemur , eodem fere tempore , quo Brixiae egregius Maza zuchellius , inclytum Corfinium noftrum Pisis apoplexi repente ereptum . Eheu litterae aflicłae ! o amicos incomparabiles ! o annum vere calami 10fum & peffimum ! Dies , quo illum apople xis iterum invafit , fuit v. ante Kal. De cemb. anno MDCCLXV. poft quem caſum tribus ferme diebus vixit fine ſenſu , Sepultanta tus eft in Aede S. Euphraſiae totius Acade miae luctu , quae hanc calamitatem acerbif fime doluit , doletque adhuc reminiſcens ſe orbatam homine, in quo plurimae erant lit terae eaeque interiores , divinum ingenium , ac induſtria fumma ; fruebatur vero nominis celebritate, ut hac fola muneris fui fplendorem tueri potuiſſet. Atque haec vi tae decorabat dignitas & integritas . Quan tả gravitas mixta comitati in yultu & moribus ! quantum pondus in verbis ! ut nihil inconſideratum exibat ex ore ! quam diligen ter inquirebat in fè ſe, atque ipſe ſe ſe ob Servabat I Oinnino tantus erat in ipso ordo, conſtantia, & moderatio dictorum omnium atque factorum , ut probitatem & religio nem prae se ferret , & ad omne virtutis de cits natus videretur. Quidquid come loquens, & omnia dulcia dicens mirabiliter ad se diligendum omnium ani mos alliciebat; si vero in familiari sermo ne a quopiam dissentiret , contentiones disputationesque vitabat, quod non tam na turae quam virtutis erat. Etenim iracun diae aculeos aliquando sentiebat, sed hos perpetuus cupiditatum domitor frangebat, pla neque occultabat . Secum ipſe vivens animi triftitiam frequenter patiebatur , praeſertim si contemplaretur misera, in quae incidimus, tempora, quibus corrumpere, & corrumpi saeculum vocatur. Quod vero nonnulli per verſe adeo abuterentur philofophia, ac prae ſertim metaphyſica , ut ea animos a religio ne avocarent , tanto illum perfundebat horrore , ut vehementer poenitere eum non nunquam videretur industriae suae , quam in erudienda juventute ad recentiorum philoſo phorum dogmata inſumpſerat . Quae quidem poenitentia injurioſa mihi videtur; omnium artium parenti philosophiae, quasi ejus culpa, quae deflebat mala Eduardus, accidif ſent. Etenim ſunt unicuique ſcientiae : certi fines ac termini ab omnium rerum modera tore Deo constituti, quos qui tranfilit, nae ille devius in praecipitem locum ruat necese est . Sed ad Corfinium revertor, de cujus laudibus non eft tacendum ſummae illum bonitati ingenuitatique ſummam dexterita tem , ſi oportuiſſet, conjűxisse. Liberalis minimeque cupidus pecuniae hanc facile a se extorqueri patiebatur. Virorum litteris illus ftrium amicitias ftudiofillime coluit, amavitque in primis Trombellium & Paciaudium , quo rum mentionem fupra fecimus, quorumque conſuetudinis magnum cepit fructum eo prae sertim tempore, quo Romae fuit. Dolui in pſum combufliffe, quas ab amicis accipere solebat, epistolas , quia ſciebam in iis erudita multa contineri: eae quidem mihi non me diocri subsidio futurae fuiſſent huic explican dae vitae . De qua fatis erit dictum , fi hoc unum addam , eumdem ineditas reliquiffe bi nas Dissertationes de S. Petro Igneo , & B. Joanne delle Celle; librum de civitatibus, quarum mentio sit in graecis nummis , ſex que Latinas orationes habitas in Academia Piſana , ex quibus lenitas ejus fine nervis cognoſci potest. Opere: “Instıutiones philosophicae, ac Mathemaricae ad ufum Scholarum Piarum : Tomus I. Florentiae typis Bernardi Paperini, continens physicam generalem, continens libros de coelo Es mundo, continens tractarum de anima, E metaphysicam  continens ethicam vel moralem continens institutiones mathematicas Editae iterum fucrunt hae institutiones in V. mos diſtributae Bononiac ex ty pograghia Laclii a Vulpe cum hoc titulo Cl. Reg: Scholarum Piarum, & in Pisana Academia Philosophiae Professoris Institutiones Philosophicae ad un fum scholarum Piarum edirio altera auctior & emendarior; Ragionamenti intorno allo fato del fiume Arno, dell acque della Valdinievole, In Colania appresso Heng Werergroot, in 4. “Elementi di Matiemasica, ne' quali sono con migliori ardine e nikovo metodo dimostrare le più nobili e necesaria proposizioni di Euclide, Apollonio, e Archimede, Ch . Reg. delle Scuole Pie : in Firenze . nella Stamperia di S. A. R. per li Tartini, e Frasa ahi in 8 . Hace elementa mathematica edita secundo fuerunt Year I 2 1 netiis apud Antonium Perlinum , in qua edie tione quaedam mutata ſunt , emendatufque error, quo cao ptus fuerat Auctor, dum in priori editione exposuit propoíitionem XXXV. Libri XI. Venetae huic editioni a djc&us est ejusdem Auctoris liber della Geometria Pranica; Ragionamento Istorico Sopra la Valdichiana, in cui si descrive la antica e presente suo stato” (Firenze nella Stamperia di Franceſco Moucke in 4); “Faſii Anici in quibus Archonium Athenienfium sea ries , Philosophorum, aliorumque illustrium Virorum deras arque praecipua Acicae historiae capita per Olympicos annos disposita describuntur, novisque observationibus illustrantur: ACl. Reg. Scholarum Piarum in Pisana Academia Philosophiae Professore, Florentiae, ex typographia. Jo . Pauli Giovannelli ad insigne Palmae in Platea S. Eliſabeth . Tom .II. prodiic. ex eadem typo graphia . Tom . III. prodiit anno 1751. ex eadem typographia . Tom . IV . prodiit ex Imperiali typographia Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acadeo mia Pisana Philosophiae Profeſoris Differtationes. IV Agonisticae, quibus Olympiorum, Phychiorum, Nemeurum, ale que Isthmorum lempus inquiriiur ac demonftrarur: Aco redit Hieronicarum catalogus eduis longe uberior Es accurarior. Florenciae ex typographia Imperiali. In cxtrema pagina hujus libri öxhibetur integra feries menfium Macedonicorum, Atticorum , & Romanorum ad de mondirandun veruna corum ficum ac connexionem ; quam ſeriem hoc quoque in loco nos exponemus , quia rem gratam antiquitatis ſtudioſis facturos arbitramur. Series enim a Corfinio contexta differt nonnullis in nienſibus ab ca quam Scaliger, Uſterius, Petavius, Dodwellus, aliique descripferunt, i Macedonici Atrici Romani Lous Gorpiaeus Hyperbercraeus Dlus Apellaeus Audynaeus Peritius Dystrus Xanthicus Artemisius Daiſius Panemus Hecatombeeon Meragirnion Boedromion Pyanepſion Maemacterion Pofideon Gamelion Anthefterion Elaphebolion Murychion Thargelion Scirrhophorion Julius Augustus September October November December Januarius Februarius Marrius Aprilis Majus Junius Lettere intorno all' opera del Marchese Scipione Maffei intitolata: Graecorum Siglae lapidariae. Extat in tom. 4 . par. 3. del Giornale de’ Letterati pubblicaro in Firenze notae graecorum , five vocum Ex numerorum compen dia , quae in aereis atque marmoreis Graecoruin rabulis ob. fervantur . Collegii, recenſuit, explicavit, eaſdemque cabu las opportune riluftravia Eduardus Corſinus Cl. Reg. Scholas) rum Piarum in academik Piſina Philoſophiae Profesor . Accedunt Differtationes ſex , quibus marmora quaedam rum facra cum profana exponuntur ac emendantur. Florentine Tographio Imperiali in fol. Plutarchi de Placitis Philofophorum libri V. Larine reddidit , recenſuir , adnotationibus , variantibus lectionibus , diferrationibus illuſtravit Eduardus Corfinius Cl. Reg. Schoe laruan Piarum in Pisana Acad. Philosophia Professor Flo. seniige ex Imp. Typographio, Disertationes IV quibus antiqua quaedam insignia moc sumente illuſtrantur . Vide eas, Symbolarara litercriarum Antonii Francisci Gorii. Herculis quies & expiatio in eximio Farnesiano mere more expresa : in fol. Inscriptiones Articae nunc primum ex Cl. Maffeii Schea dis in lucem editae latina interpretatione brevibusque observationibus illuſtratae Cler. Regul. Schole sunr Puarum in Academia Pisana Philosophiae Professore. Florenciae ansio ex typographio Jo. Pauli Giovannel li in 4 . Solecta ex Graeciae Scriptoribus in usum ſtudiosae Juvent. sutis , Florentiae ex Imperiali rypographio ir 8 . Inſtitutiones Metaphyſicae in ufus Academicos auctore Eduardo Corfi:n0 Clericorum Regularium Scholarum Piaruz in Academia Pifana . Philoſophiae Profeſore . Vesieriis ex Typographia Balleoniana in 12 Eduardi Corſini Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acco demia Piſana humaniorum litterarum Profeſſoris de Minni fari aliorumque Armeniac Regum nummis , & Arſacidarum Epocha Differtario Liburni typis Antonii Santini & Sociorum in 4. Spiegazione di due antichiſſime inſcriçroni Greche indie ricare al Reverendiffimo Padre Anton Franceſco Vezzofi, Prepoſto Generale de Cherici Regolari , Lettore nella Seo pienza Romana , ed Eſaminatore de' Vefcovi da Edoardo Corfini Ch . Reg. delle Scuole Pie. In Roma, nella Stamperia di Giovanni Zempel in 4 . Relazione dello scuoprimento e ricognizione fatta in Ancona dei Sacri Corpi di S. Ciriaco , Marcellino, e Lia berio Proiettori della Circà ; e Riflefroni ſopra la translazione, ed il culto di queſte Sanci . In Roma, nellu Stampe ria di Giovanni Zempel in 4. Eduardi Corfini Cler. Regul. Scholarum Piarum, En in Academia Piſana humaniorum literarum Profeffuris Dis Seseario , in qua dubia adverſus Minniſari Regis nummum , & novam Arſacidarum epocham a Cl. Erasmo Froelichio s. J. proposita diluuntur. Romae ex typographio Palla dis in 4. Eduardi Corſini Cler. Regul. Scholarum Piarum & in Academia Pisana humaniorum lirerarum Profeſoris ad Cles riflimam virum Paulum Mariam Paciaudium Epiſtola , ir qua Gotarzis Parthiae Regis nummus hactenus ineditos expli Catur , & plura Parthicae hiſtoriae capita illustrantur . Romae, in Typographio Palladis . Excudebant Nicolaus & Marcus Palearini ir 4 .Cl. Reg. Scholarum Piarum in Pifar:& Academia humaniorum litterarum Profeſoris Epiftolae rres , quibus Sulpiciae. Dryantillae, Aureliani ac Vaballathi Avea guſtorum nummi explicantur & illuſtrantur. Liburni apud Jo. Paullus Fanthechiam ad fignum Verit. in 4 . Series Praefeciorum Urbis ab Urbe condira ad annum uſque MCCCLIII. sive a Chriſto naro DC. collegit , rem cenſuit , illuſtravir Eduardus Corſinus Cler. Reg. Scholarum Piarum in Academia Piſana humaniorum liuerarum Professor Pisis excudebar Joh . Paulus Giovane nelius Academiae Pifunae Typographus cum Sociis in 4. Notizie Iſtoriche intorno a S. Liberio ſepolto e venera 10 nella Cattedrale della città di Ancona all' Eminentiffimo Signor Cardinale Acciajuoli Veſcovo di detta città . In Are cona nella Sramperia Bellelli in 4.  Cl. Reg. Scholarum Piarum , in Academia Piſana humaniorum litterarum Profeſoris Epiſtola de Burdigalenfi Aufonii Confulatu . Piſis Exe cudehar Joh. Paulus Giovannellius Academiae Pifanae inyo pographus cum Sociis in 4. Clericor. Regular. Scholarum Pia rum Ex- generalis , & in Pifana Univerſitare Primarii Les coris ed Joannem Chryſostomum Trombellium canonicorum Regularium Congregationis S. Salvatoris Ex-generalem & S. Salvatoris Bononiae Abbatem Epistola, Bunoniae,  ex typographia Longhi in 4; Disertazione sopra S. Pietro Ignes, sopra il B. Giovanni delle Celle; De Civitatibus, quarum mentio sit in Graecis nummis, Pars I. Historiae Academiae Pisenae, Latinae Orationes VI, Ad Academicos Pisanes. Odoardo Corsini. Edoardo Corsini. Silvestro Corsini. Corsini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corsini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690387482/in/photolist-2mJ4GHU-2mKGKkh

 

Grice e Cortese – del principio del significato – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo e alpinista. Grice: “I love Cortese; first he wrote on Frege, whose views on ‘aber’ are very much like mine on ‘but’! – But then he also wrote on ‘irony,’ alla Socrates – as per Kierkegaard’s example, “He’s a fine fellow! => He’s a scouncrel --, and most ‘theoretically,’ as the Italians put it – on the ‘principle of meaning’ – significato – which had me thinking – I very freely speak of the principle of conversational helpfulness, but somehow, principle of ‘signification’ sounds obtuse! Signification seems too natural to require a principle! If helpfulness and benevolence are evolutionary traits, they are certainly NOT ‘instituted’ as principles, even if they are requirements for trust and the ‘institution of decisions’!” “I am anything but a contractualist, and principle has to be taken with a pinch of salt!” If I speak of a rational constraint, the idea of a principle evaporates: it’s conversation as rational cooperation – as I put it – as different from and stronger than ‘conversation as mere cooperation’ – but this slogan frees us from a commitment to the existence of a ‘principle’ to which we might want later to provide with some sort of ‘psycho-logical’ validation!” Di una famiglia originaria di Sant’Angelo Lodigiano. Si laurea a Trieste e Milano sotto Bontadini e Noce. Insegna a Trieste. Studia Kierkegaard, Gioberti. Italianismi in Kierkegaard. Altre opere: “Kirkegaardiana” (Milano); “Esistenzialismo e fenomenologia” SEI, Torino); “Protologia e temporalità, Gregoriana, Roma); “Kierkegaard” (Milan); “Del principio di creazione o del significato” Liviana, Padova, Kierkegaard” (La scuola, Brescia); “Ironia” (Marietti, Genova); La Creazione: Un'apologia accidentale della filosofia” (Marietti, Genova); “Il negozio del sapone, Liviana, Padova); “Enten-Eller ([Victor Eremita” (Adelphi, Milano); “L'attrice” (Antilia, Treviso); “Un discorso edificante” (Marietti, Genova); Il naturale e il sovra-naturale (Padova); Ermeneutica” (Lint, Trieste), “Il responsabile” – “Eden” – “Introduzione all’introduzione” del Gioberti – “Frege: signare il concetto”; “Liberalismo” -- Grice: Can a sign have a different meaning for utterer and recipient? – If so, why do we keep calling communication – signare seems to be still good enough! -- Alessandro Cortese. Cortese. Keywords: del principio del significato, Kierkegaard, soap, sapone, actress, attrice, edifying discourse, discorso edificante, naturale/sopra-naturale/preter-naturale, Paul Carus, hyperphysical. Those spots means she has the devil inside her. Praeter-natural implicatura, supra-natural implicature, non-natural implicature, natural implicature. “Del significato”, ironia socratica, sapone, Savona, signare il concetto, sovrannaturale, liberalismo, il responsabile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cortese” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770444479/in/dateposted-public/

 

Grice e Corvaglia – TANTALO – filosofia italiana – Luigi Speranza (Melissano). Filosofo. Grice: “I love Corvaglia – or corvus in diluvio, as he called himself! – a very Italian philosopher and thus interested in the history of Italian philosophy, especially Vannini – the fact that he wrote plays on philosophical subjects – La casa di Seneca – helps!”  Opera nel campo della filosofia del rinascimento. Tra gli studi filosofico-scientifici si distinguono per vastità e profondità i volumi Le opere di Vanini e le loro fonti, e Vanini Edizioni e plagi, risposta polemica condotta contro le veementi critiche ricevute Porzio.  Pubblica il romanzo Finibusterre, trasfigurazione quasi sacra della sua amata terra e del popolo del Basso Salento, ch'egli incitava con ogni mezzo, anche se spesso travisato e intralciato e persino calunniato a crescere, per migliorare materialmente e moralmente. Il romanzo fu ben accolto dalla critica. Benedetto Croce, a cui Corvaglia lo aveva dedicato, rimarcò "lo sfondo storico rappresentato in modo assai vigoroso" e il "trattamento dei caratteri e degli effetti". Con maggiore puntualità Annibale Pastore (già suo professore all'Torino) gli confidava di sentire emergere nella sua mente, attraverso figure e temi del romanzo, ricordi sepolti, "struggente malinconia", un mondo molto simile a quello del Manzoni, "anch'esso celato alla superficie, soffuso d'ironia-limite", e tuttavia turbato da altri affascinanti caratteri, quali: "il sorprendente realismo, la perfetta armonia, l'effusione poetica, l'occhio acuto e sicuro, che scruta l'animo umano fin nelle più remote pieghe".  Si dedica totalmente alla filosofia del Rinascimento, animato dal bisogno di trarre alla luce obliterate sorgive  e percorrendo il movimento spesso alquanto sconosciuto della filosofia, che dal Rinascimento risale fino al Medio Evo.  S'apre nella sua vita uno spiraglio di fiducia verso gli uomini impegnati, e si prestadoverosamente secondo la sua fede politica all'attività politica, accogliendo e votandosi alla cultura mazziniana, cui rimane Fedele.. È di questo periodo la pubblicazione, tra l'altro, dei Quaderni Mazziniani: “Noi Mazziniani”, “Mazzini ed il Partito di Azione”, “L'Acherontico retaggio”, “Il Partito Repubblicano italiano”, il discorso Ai giovani, la conferenza (edita da Laterza) su Giuseppe Mazzini. Dopo la proclamazione della Repubblica, però, si allontana da ogni azione politica, ritenendola del tutto estranea e lontana dall'ideale da lui vagheggiato e sperato. Si trasferisce a Roma, nell'ambiente culturale a lui più consono, ritornando agli studi tra i suoi libri, dove soltanto sente di vivere senza alcun compromesso, in assoluta libertà.  Cascata di S.M. di Leuca. Scaligero, un saggio di "speleologia". Saggio su Cardano. Su iniziativa del comune di Melissano, è stato avviato un "Biennio di Studio su Corvaglia", al fine di approfondirne e divulgarne la conoscenza. Alla realizzazione del progetto collaborano, come protagonisti, anche l'Amministrazione Provinciale di Lecce, l'Università degli Studi del Salento e l'Istituto Comprensivo Statale di Melissano, che chiuderanno il biennio dei lavori, organizzando un Convegno su Corvaglia", al fine di dibattere argomenti di particolare interesse presenti nella sua opera. A tale riguardo si sta già operando non solo sul piano della ricerca specialistica e accademica, ma anche sulla promozione d'iniziative, che coinvolgano biblioteche e settori culturali degli enti locali, creando opportunità per sviluppare in maniera articolata e organica la ricognizione e la valorizzazione del patrimonio culturale salentino in generale e melissanese in particolare, lasciato in eredità da Corvaglia.   La casa di Seneca- Commedia di L. Corvaglia. Altre opere: “La casa di Seneca” (Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Rondini (dedicata "Al mio povero innocente Nova, fuggevole visione di un Infinito", che avvampa e dilegua in vicenda amara di avventi senza natale"; Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Tantalo” Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce), Santa Teresa e Aldonzo (L. Cappelli Editore, Bologna); Rondini- Commedia; “Romanzo Finibusterre, Editrice Dante Alighieri, Milano); “Le fonti della filosofia di Vanini” (Anphitheatrum Aeternae Providentiae, Società Dante Alighieri, Milano); “Introduzione semi-seria dialogata per il lettore Vanini” (Edizioni e plagi, Tipografia Carra di Casarano); “Ricognizione delle opere di G.C. Vanini, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana”; La poetica di Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana", Quaderni Mazziniani; “Noi Mazziniani” Tipografica di Matino (Lecce), “Mazzini e il partito d' azione (critica), Tipografica di Matino (Lecce), “ L'acherontico retaggio (con l'elogio della vita comune), Tipografica di Matino (Lecce), Quaderni Mazziniani n° 4. Il partito repubblicano italiano, Tipografica di Matino (Lecce). Discorso tenuto a Lecce nel Teatro Paisiello il 21 gennaio 1945. Giuseppe Mazzini, Discorso commemorativo tenuto a Lecce nel Teatro Apollo, Laterza, Bari,"Rinascenza salentina", Un Paese del Sud. Melissano. Storia e tradizioni popolari, Tipografia di Matino. Meridionalista e Polemista, La Poetica di Giulio Cesare Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, Musicaos Editore, Sulla Poetica di G.C. Scaligero. Convegno sy Corvaglia. Il pensiero politico di Corvaglia. Popolo Sacralità Religiosità. Luigi Corvaglia. Corvaglia. Keywords: TANTALO. Refs.: Vanini, Bordon, poetica, Mazzini, Pomponazzi, Cardano --. Luigi Speranza, “Grice e Corvaglia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717194455/in/photolist-2mNaHiH-2mN22TL-2mN597t/

 

Grice e Cosi – l’accordo – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cosi; my favourite of his philosophical essays on justice is the one on ‘l’accordo,’ for this is what my principle of conversational helpfulness or co-operation is all about!”  Giovanni Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna a Firenza, Sassari, Siena. Altre opere: “La liberazione artificiale: l’uomo e il diritto di fronte a la droga” (Milano: Giuffrè); "Religiosità e teoria critica" (Giuffre); "Secolarizzazione e ri-sacralizzazioni" (Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di archetipologia” (FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile"; "Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come gentiluomo (Giuntina); “La  obbedienza civile, la disobbedienza civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la plutocracia, la democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista perduto: avvocati e identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica” (Giappichelli, Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo spazio della mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè). “Invece di giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto della diada conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia” (Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione artificiale: l'uomo e il diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio sulla disobbedienza civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè, Milano; Il giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, Firenze; Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, Franco Angeli, Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La responsabilità del giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino; Società, diritto, culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e prevenzione: materiali di etica professionale, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze; Per una politica del diritto del fenomeno droga: problemi e prospettive", Archivio Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per una comprensione culturale dell'uso di droghe", Testimonianze; "Religiosità e Teoria Critica: la teologia negativa di Max Horkheimer", Rivista di Filosofia Neo-scolastica, "Secolarizzazione e risacralizzazioni: le sopravalutazioni post-illuministiche dell'immanentismo", in L. Lombardi Vallauri - G. Dilcher (eds.), Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Giuffrè - Nomos Verlag, Milano - Baden-Baden);  "Sulla 'naturalità' dei diritti civili", Testimonianze; "L'Uno o i Molti? Il 'nuovo politeismo' di Miller e Hillman", Testimonianze; "Ordine e dissenso. La disobbedienza civile nella società liberale", Jus; "Iniziazione e tossicomania: intorno a un libro di Luigi Zoja", Testimonianze; "Le aporie del pacifismo: critica della pace come ideologia", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "L'immagine sofferente della legge", L'Immaginale; "Diritto e morale in tema di aborto", Testimonianze; "Professionalità e personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella società", Sociologia del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente: appunti storici e sociologici sulla professione legale", Materiali per una storia della cultura giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto;  "Il diritto del mondo I", Anima; "Un anniversario dimenticato: Il Bill del 1689 e la sua eredità", Sociologia del Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di identità degli avvocati", in Storia del diritto e teoria politica, Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Macerata; "Verso il paese di Inanna", Anima;"Avvocato o giurista?", comunicazione al VI Convegno nazionale di studio dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, Firenze, Iustitia, "Tutela del mondo e normatività naturale", in L. Lombardi Vallauri (ed.), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano); "Tutela del mondo e strumenti giuridici", Testimonianze; "La professione legale tra etica e deontologia", Etica degli Affari e delle professione; "Diritto e realizzazione: un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini della coscienza", Per  la filosofia; "Naturalità del diritto e universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto,"Naturalità del diritto e universali giuridici", in F. D'AGOSTINO (ed.), Pluralità delle culture e universalità dei diritti, Giappichelli, Torino); "Etica secondo il ruolo", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "Purezza e olocausto: un'interpretazione psicologico-culturale", Per  la Filosofia; "Logos giuridico e archetipi normativi", in L. LOMBARDI VALLAURI (ed.), Logos dell'essere, Logos della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia senza giudizio. Limiti del diritto e tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e A. AMOROSO (ed.), Teoria e pratica della mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le forme dell’informale”, comunicazione al XXI Congresso Nazionale della Società di Filosofia Giuridica e Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti del suddetto Convegno, Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti Scuola, “Controllare la professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia e prevenzione”, Dirigenti Scuola. Grice: “Italians are afraid of the ‘sacro’ because since the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! – unless otherwise stated by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have spent more time analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to realise how wrong his theory is!” Grice: “Austin, who taught morals at Oxford, should have examined, as Cosi does, what we mean by ‘responsible philosopher’ before opening his mouth!” – Grice: “My idea of helpfulness does not quite include that of ‘mediation’ but it should – the space of mediation in the conflict in the conversational dyad! I owe this to Cosi.” Grice: “I decided to use ‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. – His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni Cosi. Keywords: l’accordo, il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato – legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura, naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo, fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770000218/in/dateposted-public/

 

Grice e Cosmacini – compassione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’! – on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini (Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie. raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere: la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale. Gius. Laterza & Figli); “Medicina e Sanità in Italia nel Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma-Bari, Laterza); “La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano, Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. Cosmacini-Cristina Cenedella, I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza); “Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano. Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Raffaello Cortina, La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di medico. Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca' Granda. Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari, Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e i tempi di Giovanni Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute e bioetica, Torino, Einaudi, G. Cosmacini-Roberto Satolli, Lettera a un medico sulla cura degli uomini, Roma-Bari, Laterza, La vita nelle mani. Storia della chirurgia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre edizioni, Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi, Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il romanzo di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo. Un «tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC Edizioni, Le spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina, Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano, Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie. Vita e avventure di Augustus Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza); “Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e stetoscopio. Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica", AlboVersorio, . Medicina e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina e il nostro tempo” (Collana Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un triennio cruciale. Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea. Medici socialisti e compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco,  Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina tra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco,  Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici, medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni, . Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna, NodoLibri,  Salute e medicina a Milano. Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo” (Pantarei); “Il viaggio di un ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia cordis, Ass. Gianmario Beretta, . Curatele Dizionario di storia della salute, G. Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino, Einaudi.  “mutua gratia” - Practicis nostris , Muri LAPIDES , sine inscriptione , apud nus, gadinca, vel Hnoc . Non liquet, “don mutual” – mutual gift -- Charta ann . 1326. in Chartul . Hygenum de Limitibus constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes , in Con thesaur. S. Germ. Prat. fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta suet. MSS. Eccl . Colon . e Bibl . Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto thesaurario quasdam Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. 1129. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ. Vide Multo, litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom . 6. col. 623 Nulla angaria , par I mutio , id est, Patuus. Vocabul . dictam Ysabellam et prædictum defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris . dum vivebat , et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron. Parmense ad mutis, Truncus, stirps . Pactum inter nio inter ipsos. ann. 1996. apud eumdem tom . 9. col . 834 : Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”, Mutuum, seu exactionem ec impositum fuit per commune Parma 1343. in Reg: 134. Chartoph. reg. ch. 34 : nomine mutui impositam solvere. Vide unum mutuum octo millium librarum impe recte tendendo ad pedem cujusdam margassii mutuum . rialium per episcopatum , et quinque millium seu claperii in quo margassio seu cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti- per civitatem . Et mutuum clericis fuit im rio sunt duæ mutes arborum . dii Archiep. Bisonticensis cap. 5 : Bene- positum duo millium librarum, etc. Chron . Åwwvíz , in Gloss . Græc. Lat. dictionis ergo dono mutuatim dato , etc. Mutin . ibid . tom. II. col. 122 : Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3 . p.112, Eoque quippiam petere volente, MSS. Auscior. art. 3 : Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est; qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1 : V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet , et tandem certa ex Ital . Mutola , Muta . Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia comprobatur. Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9 . Reb . gest. Italic . pag. 86 : Communes da præterea toin . 2.Sanctorum Apr. pag. 429.] , Idem quod Expeditatus, riæ , exactionesque et Mutua publica el priMuronagium . Vide in Charta Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis Monasterii Ka Mullo . latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib . ann. 1308. ex ( Ovis, Massiliensibus Mous, Nudus , glaber. Regesto Philippi Pulcri Regis Franc. Tabu tonfede. Charta ann . 1390 : Quilibet Mu- Gloss. Lat . Græc. MSS. Sangerman . larii Regii n . 11 : Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat xvi. denarios. * Castigat . in utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis mutuare voluerint habitan Lugdunensibus , Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns , ex Vulc. tes. Ita in Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4: Si citania ann. 1298. in alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem ibidem infra terminationem aliqua in- Regis ann. 1299. n. 16. Vide Credentia , neum . Supplem . Antiquarii et Gloss. MSS. dicia sua arte , vel butinæ ,aut Lat. Græc. Sangerm . Aliud itidem Gloss. : extiterint, ad sacramentum non admittatur, *mutuum coactum* exactio , quæ a Mutonium , Tepábeuo , Additio. etc. Ubi mutuli, videntur esse aggeres ter- dominis in urgentibus negotiis suis ac ne 1., quos Motes nostri vocant : aut forte cessitatibus fiebat super subditos, vassallos, equilatus , quod sic describit Jovius Hist. lapides ii quosMuros vocant Agrimensores,ac tenentes cum restitutionis conditione ac lib . 14: Mutpharachæ admirabili virtute i. sine inscriptione, vice terminorum po- pollicitatione : a qua quidem exactione præstantes , toto orbe conquisiti, ea condi- siti. Vide Bonna 2 . exempta pleraque oppida, quibus concessæ tione militant, ut quos velint Deos , impune KF Errat Cangius , si fides Eccardo , libertates , leguntur. Charla libertatum colant, præsentique tantum Imperatori ope- in Notis ad Legem citatam , quam ad cal- Aquarum Mortuarum ann . 1246 : Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino cem Legis Salicæ edidit . Mútuli enim sunt habitatores loci illius sint liberi et immunes in Lex. milit . machinaliones clandestinæ , vel seditiones ab omnibus questis , talliis , et toltis , et clam excitatæ , a veteri German .Meulen , tuo coucto , et omni ademptu coacto. Con capitis tegumentum , quod monachi cap. | clandestine agere , unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS. cap. 56: paronem vocabant. Gall . Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin. Hæc vir Toltam nec quistam , vel Mutuum coactum , col uti. Mutrellis 782 : Statuimus in dormitorio , quod liceat fratribus eruditus ; quæ tameninmeam fidem reci. vel aliquam exactionem coactam non habet ; . Vide Mitræ . necunquam habuit dominus Montispessulani I Vide Morth . I Gall . Mouton . in hominibus Montispessulani. Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann. 1307. exArchivis Massil. : naculæ , totas inquistas , ni prest forsat , o Terrear.villæ de Busseul ex Cod . reg. 6017. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha , etc. Libertates fol. 47. vº. : Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum , astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2 . Feda 2 . pere nolim. 75 594 etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem significatu , De S. 6 : L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ ex Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom . 1. Maii pag. 399 : ROBRECHARIO VIX ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140 : Nec recipiemus Episcopus Narniensis ex suo palatio , ialari L. OLYMPUSA PECIT.  in ibi Muruum , nisi gratis nobis mutuare velint reste indutus , racheto et Muzzeta. Vide Inscript. ccxcix . 3. Vide Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta. hac voce . magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in . Fantasia , miratores. Pa Mutuum VIOLENTUM , in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo. pias. tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw , Mugio , reboo. Vide Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta , in I Piscis genus, qui alius zer. Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem. in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat . Computus ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318 : Debeat solvere emptori villa : Omnes homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium , solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes , el eorum hæredes, a 575 : Et in 111. copulis viridis piscis ... Et bet rubo piscium , et intelligatur detracta talia , ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos et immunes esse sol. vi. d . et in xx. Myllewell majoris sortis Eadem notione, usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi VI. Re- Xit, sol. ( * Vide Mulsellus.] lius Aurelianus , Celsus, et Apicius. Vide gis Frane. 3. Febr. ann. 1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum fieri ullum Mutuum coactum xop. myn'e'cen'e , vel minicene, hodie Graviter, com super subditos suos : quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse. Copeil. posite ambulare. Chron. Ditm . Mersburz. anie exegisse docet Diploma anni 1342. Ænbamiense in Anglia ann. 1009. cap. 1 : l'episc. tom . 10. Collect. Histor. Frane. pag. 28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates , monachi et Mynecenæ , 131 : Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud ann . 1309. in 12. Regesto Char- canonici et nonne , natoribus duodecim vallatus , quorum ser tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in rasi barba ,alii prolixa Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis 30. Cantharus po- cum buculis , etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius Scaligero , qui a similitudine muris I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in Regestis publicis testa- et barbæ , quæ in conum desinit, Myobar- tus; titulus honorarius Archiep. Toletani , tur D. de Lauriere tom . 2. Ordinat. Reg. bum voce ibrida dietum existimat . Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234. Undeexistimat D. Cangium bus vero Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd . | bum compositum mure et barbo, quod |  , Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15. non3. Febr.spectasse, mensuram , liquidorum sescunciam penitus , vel princeps. Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut sit tamquam muris cya- 349 : Bene est , quod ipse ex omnibus My subditis suis exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le ; emendat Lil . Gyraldus  Epist, *mutuum violatum* Exactio nomine xobarbaru , quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP. ann.748. tom. 1. Rer. Mo *mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum in Harpocrate pag . 78. gunt. pag . 255, Officium , sacra Li mutuum violatum, velmessionem bajuli vel turgia . Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum . [** Leg. Violentum ut, supra.) ctum ... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege Hispan.: Tunc Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem ligabis oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis Portugalliæ tom . 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida , aut spongia in ipsa Aldebrandum cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua infusa. rius. Ideo hoc fecit , quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam . 9piratici genus arium habere voluit in omni Regno. Infra : mutuum, stipendium datum in ante- , ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium in cessum . Lit. ann . 1408. tom . 9. Ordinat. nebo lib . 3. Adversar. cap. 1 . nomen omne regnum Regis Adefonsi æra 1113. ( Chr. reg . Franc. pag. 363, art. 1 : Ordinamus adepti . Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores, thesaurarios, ... hoc est , angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag. parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. 1427. 1728. col. 2 : Indutus est ( Gratilianus ) ve nostras accedant, *mutuum* fieri priusquam apud Murator. tom . 31. Script. Ital.col.stimentis a. Grice: “The grammar of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated. But I’m sure Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’ doesn’t make sense as an analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both ways) or exchange *information* -- The grammar is: A and B are in love – implicated: ‘mutual’ --  A and B are friends – implicated: mutual. Dickens, who never attended Oxford, would never catch the subtlety of his biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But I’m surprised from Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini. Cosmacini. Keywords: compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della medicina, Foucault, l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica, giacobinismo, fascismo, giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina fascista, la medicina non e una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical della vita, bio-chemistry –Grice on life, the philosophy of life, cooperation and compassion. Imperativo conversazionale, compassione conversazionale, imperative della mutualita conversazionale – mutualita conversazionale – imperative of conversational mutuality, mutuality, mutual, the depth grammar of mutuality – Grice against Schiffer – Grice scared by ‘mutual knowledge’ – and using it in scare quotes (“Such monsters as Schiffer’s ‘mutual knowledge’ have been proposed to replace my regress when there’s nothing wrong with stopping it elsewise!”  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmacini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770578255/in/dateposted-public/

 

Grice e Cosmi – metodo dei principi generali del discorso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casteltermini). Filosofo. Grice: “I love Cosmi – for one he uses the very exact phrase I do, ‘the general principles of discourse,’ and he also finds them to have a rational (‘razionale’) basis – they involve those desiderata for helpful communication, a co-operative principle – concerning most constraints I refer to: the necessity to avoid superfluity (supperfluita) and to maximize clarity (chiarezza) – so that’s genial!” – Grice: “Cosmi actually has two treatise, a more theoretical one, “General principles of discourse,” and an applied tract, “Metodo’ – of the “general principles of discourse’ – he had already elaborated on all the figures of rhetoric, so he knew what he was talking about and where he was leading --.” Grice: “The fact that he like me also loved Locke – and perhaps was more of a ‘sensista’ than I am, makes him great, too!” Fu un'imponente filosofo, no italiano, ma siciliano (Grice: “Sicily is not considered part of the ‘peninsola italiana’). Formatosi nel Seminario dei Chierici di Agrigento, ricopre la carica di rettore a Catania. Riceve dal re Ferdinando l'incarico di redigere il piano regolatore della filosofia siciliana. Da un rilevante contributo all'innovazione del illuministimo. Fu un grande filosofo, il primo e il più geniale del regno meridionale e uno dei primi e più geniali del Settecento italiano. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Principi generali del discorso, e della ortografia italiana ad uso delle regie scuole normali di Sicilia by Giovanni Agostino De Cosmi( Book )  1 edition published in 1984 in Italian and held by 2 WorldCat member libraries worldwide. E primo forne il D2 Cosmi. Questo e un aureo libretto dei "Principi Generali del discorso" – i. e. un principio comune a ogni discorso. Questo affinchè il filosofo a una nozione direttrice, non superflue. In questo trattato invano cercheresti quella immensa farragine di precetti disordinati, e quelle infinite minuterie non necessarie, con cui si sostitoleva confondere e stancare la prattica conversazionale del giovanetto. Si spone un solo principio generale e fondamentale, sintetizzato nell'antico ma verissimo motto: precetto uno. Il resto e uso. Questa mia preziosa filosofia è un sapientissimo essamine pel filosofo che vuole adoperare il "metodo conversazionale." Quivi si ricorda dapprimà quanto in occasione di filosofare sulla maniera di dare la prima istruzione conversazionale al ragazzo, in caso la necessita. Si ricorda come puo potè attuare la mia prammatica conversazionale, mettendo in esecuzione un maniobra chiara, spedita, uniforme per ogni topico conversazionale adattata alla maniera del civil conversare --  è cosa necessaria il sapere la semantica e le implicature conversazionale del volgare linguaggio. Il pirincipio della conversazionale e un principio di chiarezza (perspicuita) -- e un principio di aggiustatezza (approprio_ -- e un principio di mezzana eleganza (stilo estetico), e un principio senza oscurità, e un principio con univoci e senza cattive equivoci (un buon aequi-voce e accettable)– sensa non sunt multiplicanda praeter necessitatem --, e un principio senza superfluità (economia dello sforzo conversazionale, fortitudine conversazionale, candore conversazionale -- e un principio senza barbarismi -- imperciochè la perfezione e efficenza del volgare linguaggio guidato dalla semantica formale e il segno del reale. E vuole che al giovane si da un principio generale e fondamentale -- e un principio generale della conversazione, esposto con metodo ragionabile e calculable e con chiarezza. Un solo principio o imperativo categorico, un principio di efficenza communicative -- un principio soggetto il meno che si può all'eccezione o la violazione involuntaria si non a la splotazione retorica -- e un principio stesso ben capito e ben esercitato, chi forma il  corpo di ogni parte della filosofia. Ebbe un giorno a scrivere di Marco Tullio Cicerone, che questo ingegno eminente prende a gradi la sua maturità e si perfezionava coll’uso, colla riflessione e col maneggio dei grandi affair. Or quello che osservo su Cicerone, intervenne proprio me medesimo, i cui Elementi di filologia, non prometto continuazione; ma osservazioni su l'uso dei Principj del Discorso, e qualche riflessione su i primi pensieri, da cui era partito nell'immaginar il mio metodo, gli somministrarono la materia di un secondo, e anche di un terzo volume di preziose nozioni di metodica prammatica.  Il secondo volume  e come il primo, è diviso in due parti.  La prima parte ha per titolo, “Principj generali del Discorso applicati alla lingua volgare”, per la quale avverto che, sebbene nelle parti già pubblicate dei “Principj generalie del discorso” siesi detto ciò che basta per l'istruzione della prima età; la sperienza mi ha fatto conoscere, che, volendosi col metodo intrapreso tirare innanzi il cammino, per la piena intelligenza,  1 G. A. De Cosmi, Elem. di filol. ecc., tomo I, pag. 231.  • LO STESSO, Elem. di filol, ital. e latina, tomo II, Palermo; pag. III   ed imitazione dei classici principalmente italiani, era necessario ad entrare in qualche più esteso rischiarimento, *non per multiplicare l’imperativo conversazionale, ma per agevolarne l'uso, senza di cui inutili sempre la massima conversazionale universalisable si rimarranno. Dietro di che, in cinque paragrafi, filosofo, con la solita competenza, “Del Pro-nome in generale”, “Del Pro-nome ed dell’Articolo”; “Del pronomi e del verbo che ne dipendono; Della Preposizione, detta “segnacasi”, e “Della Costruzione irregolare”. I quali cinque paragrafi, con la giunta delle prime due parti dei Principj Generali del Discorso già stampati a riprese. Egli fece riunire in separato volumetto per uso degli scolari 3  Io non mi stancherei, dirò col Mollica Di Blasi, di riportare varie altre sentenze, che oggi pajono roba fresca, e pure da presso a un secolo il nostro l'aveva annunziato con tanta chiarezza da farla scorgere anco ai ciechi ; ed è per tanto che riferisco qualche altro criterio, che dovrebbe aver nell'animo e nella coscienza ognuno, che si dà all'educazione specialmente elementare:  Invece di sorprendere, cosi il De Cosmi, l'età fanciullesca coll' apparenza dottrinale di parole incognite, ingegnerassi il maestro a far vedere, che ciò che s'insegna di nuovo, è presso a poco quanto sapeva il fanciullo o quanto avrebbe potuto agevolmente sapere con un poco di riflessione 5.  Anzi che ad un giuoco di memoria desiderava che lo studio fosse diretto allo sviluppo dell'intendimento ; inculcava lo studio dell' aritmetica fatto a norma delle regole predette, e indi tornava a ribadire che:  Per mantenere sempre desta l'attività nella mente degli allievi, è di somma importanza il non sgomentarli giammai coll'apparenza di gravi difficoltà nelle operazioni che loro si propongono; anzi colla frequenza degli esempi il far loro osservare, che avrebbero da se sciolto le domande, se avessero fatto riflessione alle cose sa pute 6.  E poi seguiva cosi :  Che se alle volte occorrerà di dovere insegnare delle cose difficili, allora il maestro procurerà di scemare la difficoltà colla curiosità della ricerca , perchè il piacere della scoverta l'incoraggisca al tedio dell'operazione. Ma qualora la curiosità non è infiammata, il fanciullo non sente altro che la fatica, e la fatica sola da se ributta 7.  Poi chiedeva a se stesso :  É necessario il rappresentare al naturale lo stato presente della educazione ncstra letteraria? Lo farò con coraggio. Si è caricata la nostra memoria; perciò è rimasto senza energia e senza originalità l'intelletto. La nostra filosofia, in vece   1 G. A. De Cosmi, Metodo dei principj generali del Discorso, Palermo, 1792, p. 1-6.   . Lo stesso, Metodo cit., p. 5.  3 Lo stesso, Op. cit., p. 8.  * GAETANO MOLLIGA DE BLABI, Note storiche di G. A. De Cosmi; Palermo, 1883, p. 18.  • G. A. De Cosmi, Metodo ecc., p. 8-9.   . Lo stesso, Op. cit., p. 14.   . Lo stesso, Op. cit., p. 15.   d'essere l'arte di pensare, è stata l'arte di parlare di ciò che non s'intende; la nostra rettɔrica, l'arte di csaggerare con parole, e di parlare a controsen 30. Gran servigio, gran servigio, ridico, si presta al pubblico da chi indirizza per la strada regia del sipere la presente gioventù, da chi coltiva la loro ragione e il loro cuore.  Era tempo oramai di aprirsi a tutti la strada alla coltura delle scienze e delle arti; di venire nella comune estimazione le cognizioni realmente utili all'umanità, di siudiarsi la Natura nei suoi varj regni e nel suo vero prospetto. Era già il tempo ce la pubblica e la privata utilità fossero rico 103ciute ch.n: la misar di calcolare l'importanza delle cognizioni; che la Religione s'impari nella sua storia, nei suoi Dogmi, nella sua Morale, mi senza il pru:ito della costroversia ; che nelle lingue doite si cerchi il gusto, ma senza pedanteria; che le matematiche, e l'analisi ci servano di guida nelle cognizioni astratte; che nelle scienze naturali si cerchino i mezzi per accrescere, o conservare la sanità dei nostri corpi, o per influire ne la ricchezza nazionale, coltivando e migliorando i prodotti dell'arte e della natura; e che finalmente la volgare e popolare lingua, vero termometro della coltura nazionale, si perfezioni; che non pud perfezionarsi, senza che si eserciti la ragione nello stesso tempo '.  [ocr errors] IV.  A questa stupenda Direzione pei maestri, il De Cosmi unì la prima parte dei Principj Generali del Discor30, che già aveva stampato a solo sin. dal 1790 ; cui fece seguire ora dalla parte secondo, che delle proposizioni, dei verbi, dei pronomi, delle congiunzioni s'intertiene, chiudendola con alcune regole primarie ad illustrazione delle altre, messe in fine della prima parte; e terminando l'aureo librettino con un capitolo sulla Scelta dei libri necessari allo studio della lingua italiana; dove vuole che siano preferiti i libri del Trecento; additando per libro di prima lettura il Fiore di virtù o il Volgarizzamento dei Gradi di S. Girolamo, 'od anche gli Ammaestra. minti degli antichi di frate Bartolomeo da San Concordio; e per la seconda classe, il Trattato del Governo della famiglia di Agnolo Pandolfini 5.  A sintesi di tutto il libretto il De Cosmi conchiude così:  Ciò che i maestri debbono inculcar continuamente alle tenere orecchie degli scolari sarà la necessità delle regole e dell'uso; perchè l'uso e le regole sono i veri arbitri di ogni lingua. Nulla contro le regole, nissuna parola fuori dell'uso",  Questo pregevole volumetto incontrò l'applauso di tutti i letterati; e un di essi, che si volle occultare sotto le iniziali 0. G. R. P., ne fece una bellissima ed estesa rivista nelle Notizie Letterarie di Cesena-agosto 1792 “.   1 G. A. De Cosmi, Op. cit., p. 17-18.  . Vedi sopra pag. 166.  • G. A. De Cosat, Metodo ecc., p. 56-57."  • Lo stesso, Op. cit., p. 60-61.  * Pag. 55 e seg.   L'articolo dell' O. G. R. P. venne riprodotto da Giov. D'Angelo nelle 840 Memorie per servire alla Storia letteraria di Sicilia; vol. III, Ms. della Biblioteca Comunale Cosmi. V. Cosmi. Giovanni Agostino De Cosmi. Giovanni Cosmi. R Cosmi. Keywords: metodo dei principi generali del discorso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770487810/in/photolist-2mSMhnq-2mS1rKF-2mNaHiH-2mMV7by-2mMLXtT-2mLEwYs-2mKBEmt-2mPhuNk-2mKC3nj-2mKCewV-2mKAuZM-2mJpFSS-2mJe9QJ-2mGnP2f-Bq5PrV-CntuMM

 

Grice e Cosottini – MELOPEA – filosofia italiana –Luigi Speranza (Figline Valdarno). Filosofo. Grice: “Cosotini considers ‘Home, sweet home,’ in terms of linearity – surely Miss X can ‘improve’ on the score! Especially if she did visit Payne’s little cottage by the sea – in Easthampton, and shed a tear!”. Si laurea a Firenze con “Fenomenologia”. Fonda GRIM, Gruppo per la Reserccia dell’Improvisazione Musicale. GRICE Gruppo por la research dell’Improvisazione conversazione espressiva. Insegna Improvvisazione Musicale. Le Fanfole, canzoni composte su testi del poemetto meta-semantico di Fosco Maraini Gnosi delle Fanfole. Linearità e Nonlinearita in semiotica – sintagma lineare, sintagma soprasegmentale – the volume of a sound – a ‘natural’ expression of pain – the higher the volume, the higher the pine --. Grice on stress, intonation and implicature. I KNOW it. I KNOW it (you don’t have to tell me). SMITH paid the bill. Due conversazionaliste si muovono pacatamente per le loro vie, variando direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e mai serrati. “La musica dei matti” creazione dialogica di suoni del tutto libera e interamente legata all'istante, tale da produrre mozzione conversazionale dallo sviluppo verticale. Improvvisare la verità. Il concetto di ‘improvvisare’ improvissato – cf. English ‘improved’. Improvisation – improvised. Musica e Filosofia. Realizza la partitura grafica Dettagliper tre esecutori, che consiste di una mappa e ottantuno carte con segni grafici codificati (la mappa e le carte sono i “veicoli” e il modo in cui si legge la grafia genera molteplici possibilità di implicature. “wordless novel”. I suoi studi si concentrano sulla filosofia della musica e sull’improvvisazione musicale, scrivendo numerosi saggi per riviste specializzate come Musica Domani, Perspectives of New Music, Aisthesis, Musicheria e la rivista online De Musica.  Inoltre pubblica un saggio sul silenzio e sulle sue potenzialità performative. Metodologia dell'Improvvisazione Musicale. Tra Linearità e Nonlinearità, un libro di metodologia dell’improvvisazione musicale nel quale Cosottini teorizza la dicotomia tra Linearità e Nonlineairtà come strumento per l’analisi dell’improvvisazione musicale.  Non-linearita EDT, il silenzio in contesto non lineare, Filosofia della Musica. Non-linearità.  Metodi non lineari. EDT Non linearità. EDT Ascolto creativo e scrittura creativa di un’improvvisazione musicale. Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra Linearità e Nonlinearità Edizioni ETS, L’estetica dell’improvvisazione tra suono e silenzio in Musica Domani, improvisation-research-center--musica-e-filosofia. Do You Need A Sign. Mirio Cosottini. Cossotini. Grice: “I am sure that a suprasegmental or non-linear segment adds to what a conversationalist means – he means THAT Smith did not pay the bill, and that somebody else did” – By stressing on LOVE he means that he likes her AND that he loves her.” Keywords: melopea, prosodia, Hjelmslev, Hockett, fonema, tratto sopra-segmentale, stress – Grice’s examples: “Smith kicked the cat” – “Smith didn’t pay the bill. Nowell did.” “Smith didn’t pay the bill”. “I knew it” “I love her” -- segno, nonlinearita, codice, soprasegmento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosottini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51769469536/in/photolist-2mSG4EY

 

Grice e Costa – uomini fuori di sé– filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre del Greco). Filosofo. Grice: “I love Costa; if I have to chose three of my favourite essays of his, those would be, “Le passioni,” “L’uomo fuori di se: l’esternalissazione’ and above all, his sublime, “l’estetica della communicazione,’ which is what my philosophy is all about!” --  Mario Costa (Torre del Greco), filosofo. È conosciuto, in particolare, per aver studiato le conseguenze, nell’arte e nell’estetica, delle nuove tecnologie, introducendo nel dibattito filosofico una nuova prospettiva teorica, attraverso concetti come "estetica della comunicazione", "sublime tecnologico", "blocco comunicante", "estetica del flusso".   È stato Professore di Estetica all'Salerno e, come professore incaricato di Metodologia e storia della critica letteraria e di Etica ed estetica della comunicazione, ha contemporaneamente insegnato per molti anni nelle Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). A Salerno ha fondato e diretto, daArtmedia, Laboratorio permanente dedicato al rapporto tra tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su queste tematiche decine di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali. L'estetica dei media ha ottenuto il Premio Nazionale "Diego Fabbri". Pubblicato una trentina di libri; alcuni di essi e numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in America. Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica e filosofica delle avanguardie artistiche, e l'elaborazione di una filosofia della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei cambiamenti che la nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e nell'estetico.  Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate, ha fornito un complesso di interpretazioni filosofiche ed estetiche di numerosi movimenti dell'avanguardia artistica e letteraria. Momenti di particolare rilievo in questo ambito di ricerca possono essere considerati i suoi lavori su Duchamp e sulle funzioni della moderna critica d'arte, nonché i suoi studi sul "lettrismo" e sullo "schematismo", movimenti artistici di grande importanza, anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in Italia. Per quanto riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo pensiero si è a sua volta sviluppato secondo due assi fondamentali: uno riguardante le conseguenze sociali ed etiche della comunicazione tecnologica, riassunte soprattutto nel libro La televisione e le passioni che analizza gli effetti disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più recente La disumanizzazione tecnologica, e l'altro, dominante rispetto al primo, consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine, della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha condotto ad una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo investigato. Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media, e Dopo la tecnica) la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo dando luogo ad una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale. Alcune opere rappresentative L'estetica dei media può considerarsi, per i contenuti trattati e per la inedita metodologia di indagine instaurata e seguita, un libro che apre un nuovo campo di ricerca, prima del tutto ignorato ed inesplorato dalle discipline estetologiche, quello appunto della "estetica dei media", da non confondere, ad esempio, con l'estetica della fotografia o con quella del cinema, alle quali ha comunque dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro in questione segue ai diversi contributi teorici relativi all'estetica della comunicazione le cui identificazione, nominazione e formulazione teorica risalgono al 1983, e che è ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose Cattedre e indirizzi universitari. Il sublime tecnologico è considerato il lavoro più noto e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso che, considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico dalla nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della dimensione dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una nuova forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto quello che questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime tecnologico è stata diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale della teoria estetica ed ha sollecitato un incalcolabile numero di sperimentazioni da parte di artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed estetica del flusso traccia le linee di una nuova estetica e della sperimentazione artistica che da essa può scaturire. Si tratta da una parte di un violento e argomentato pamphlet contro l'arte contemporanea, ritenuta “una congerie più o meno sgradevole di nullità mercantili”, e dall'altra della tematizzazione ed elaborazione del concetto di “flusso estetico tecnologico”, considerato come ultima e residua possibilità di sperimentazione per gli artisti e come chiave per comprendere alcuni aspetti dell'ontologia contemporanea. Dopo la tecnica () ripercorre la storia delle varie epoche della tecnica sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire configurando, ogni volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di chi da esse è abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la tecnica, una volta connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo incondizionatamente autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad appartenerle e a favorire il suo sviluppo. Altre opere: “Arte come soprastruttura”, Napoli, CIDED, Teoria e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore, Il ‘lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina posteriore, Roma, Carucci Editore, Le immagini, la folla e il resto. Il dominio dell'immagine nella società contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Il sublime tecnologico, Salerno, Edisud, L'estetica dei media. Tecnologie e produzione artistica, Lecce, Capone Editore, Il ‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Napoli, Morra, La televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1Lo ‘schematismo'. Avanguardia e psicologia, Napoli, Morra, Lo ‘schématisme parisien'.Tra post-informale ed estetica della comunicazione, Fondazione G.E.Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), Sentimento del sublime e strategie del simbolico, Salerno, Edisud, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Costa & Nolan, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma, Castelvecchi, Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, L'estetica della comunicazione. Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico della simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, Dall'estetica dell'ornamento alla computerart, Napoli, Tempo Lungo, Internet e globalizzazione estetica, Napoli, Tempo Lungo, New Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, oDimenticare l'arte. Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Milano, Franco Angeli, L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, La disumanizzazione tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove tecnologie, Milano, Costa & Nolan, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, Costa & Nolan, Arte contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio Edizioni,  Ontologia dei media, Milano, Post media books,  Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli, Liguori Editore. Il lavoro teorico di Costa teso, tra l'altro, a definire la nuova epoca dell'estetico connessa alle neo-tecnologie elettro-elettroniche e digitali, e a fare in modo che questa si andasse ben configurando e definendo, si è, per ciò stesso, sempre accompagnato ad un'intensa attività di promozione estetico-culturale:  agli inizi degli anni ottanta organizza a Napoli, col supporto della RAI-TV, una grande esposizione di videoarte (Differenzavideo); per sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti dalle tecnologie della comunicazione, co-organizza (conPerniola) presso l'Salerno, il Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte, pubblicati sulla Rivista di estetica di Torino, necrea, con l'artista francese Fred Forest, il movimento internazionale dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari contesti  (Electra di Frank Popper, al Centre Pompidou a La Revue parlée di Blaise Gautier, ialla Sorbonne, al Séminaire de Philosophie de l'art di Olivier Revault D'Allonnes); nei mesi di marzo-aprile del 1984 dà luogo al primo evento/rassegna di estetica della comunicazione (L'immaginario tecnologico, Benevento, Museo del Sannio); a partire dal 1985 concepisce e dirige, presso l'Salerno, Artmedia, Convegno Internazionale di Estetica dei Media e della Comunicazione; organizza presso l'Salerno un Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; nel febbraio 1989 organizza presso la stessa Università il Convegno "Il suono da lontano". Eventi sonori e tecnologie della comunicazione"; realizza, per la RAI-TV (Dipartimento Scuola e Educazione) la trasmissione televisiva in tre puntate: Un'estetica per i media; fa svolgere, presso la settecentesca Villa Bruno (S.GiorgioNapoli) Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media e della Comunicazione; nel 1990 presenta per la prima volta in Italia presso l'Salerno due videoplays di Samuel Beckett; nel 1995 fonda e dirige, la Rivista Internazionale Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e tecnologie, fonda e dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici, una «Collana di Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche connesse ai nuovi media (testi di Francesco Piselli, Anne Cauquelin, Theodor W. Adorno, Costa, Marie-Claude Vettraino-Solulard, Dorfles);  co-organizza a Parigi la VIII Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2003 co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza; organizza presso il Museo del Sannio di Benevento la Mostra New Technologies (Roy Ascott, Maurizio Bolognini, Fred Forest, Richard Kriesche, Mit Mitropoulos); norganizza presso l'Salerno la IX Edizione di Artmedia; nco-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2009 organizza presso l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo "L'oggetto estetico dell'avvenire". Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi Editore, 1976; Mario Costa, L'oggetto estetico e la critica, Edisud, Salerno. Mario Costa, Il 'lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina, Carucci Editore, Roma,Il 'lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Morra, Napoli, Si veda anche Signe, forme, schéma, ornement, in "Schéma et schématisation", 57, Parigi 2002,  L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma, Mario Costa, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma, Arte contemporanea ed estetica del flusso, Mercurio, Vercelli . Inoltre: Technology, Artistic Production and the "Aesthetics of communication", in "Leonardo", Tecnologie e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli, Reti e destino della scrittura. Sulla diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si vedano tra gli altri: Philippe Bootz, The thesis of Walter Benjamin and Mario Costa, in Philippe Bootz, Sandy Baldwin, Regards Croisés, West Virginia University Press, Alberto Abruzzese, Il compiersi della pubblicità dal manifesto metropolitano ai linguaggi elettronici del presente: pretesti, testi e questioni, in  (Riccardo Lattuada), Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Derrick de Kerckhove, L'estetica dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di Mario Costa, in "Mass Media",Frank Popper, L'art à l'âge électronique, Paris, Hazan, Mario Costa, professore di estetica, in MCmicrocomputer, n. 208, Roma, Pluricom. Grice: “Costa uses words in ways we don’t allow at Oxford: a sign by which nobody signs; and so on.Mario Costa. Keywords: – uomini fuori di sé, blocco comunicante, communicazione sine contenuto, communicazione fatica, semiotica, estetica della comunicazione, significante sine significato – segno sine segnato – autoreferenzialita – asemanticita – sintassi – retorica – codice – intenzione communicative, medio, messaggio, recursivita, self-reference, meta-linguaggio – linguaggio come metalinguaggio -- - Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770288370/in/dateposted-public/

 

Grice e Costa – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo. Grice: “My favourite keyword for Costa is ‘contrassegnare’!” – Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke; on the composition of ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli precisi’ – I explored that a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when I attack minimalism and extensionalism, and provide a way which is meant to resemble Locke’s way of words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or ‘composite’ (Costa’s ‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out ‘bachelor’ unmarried male that I play with with Strawson in “In defense of a dogma.” In this respect, it is interesting to see that Costa also wrote on ‘ellocution’ and ‘sintesi’ versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia Ricciarelli, studia a Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa Costa, Bologna -- è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere affiliato alla Carboneria. Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati della elocuzione e del modo di esprimere l’idea e di segnarla con una espressione precisa a fine di ben ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,” Costa segna che fa freddo. Il trattato filosofico della sintesi e dell'analisi; i quattro sermoni dell'arte poetica, un commento alla Divina Commedia, la Vita di Dante, il Dizionario della lingua italiana, poesie (Laocoonte), lettere e traduzioni.  Letterato neo-classico e dunque tipicamente italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani e sostenitore del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella lettera a Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume le sue concezioni filosofiche. È necessario, per togliere la infinita confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare all’espressione un determinato valore. Sostengo che questo non si può ottenere, come crede Locke, colla de-finizione (horismos) (la quale e una scomposizioni di una idea o di piu idee), se prima la idea non sia stata ben composta. Sostengo che questa non si puo compor bene, se prima non si conosce quale ne sieno gli elementi semplici – soggetto e predicato, il S e P -- Sostengo che un elemento semplice e una reminiscenza relative a una sensazione, e che la idea si compone di almenno due di sì fatti elementi – il S e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del sentimento del rapporto di una reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione – nel indicativo o imperative – il giudizio – il giudicato – e la volizione – il volute. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I kantisti ed altri filosofi distinguono una idea in una idea soggettiva e in una idea oggettiva, ed attribuiscono un'origine a posteriori e sintetico alla una ed un'origine a priori e analitico all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura diversa: a posteriori/sintetico, dal senso – e a priori/analitico – dall’intelleto – nihil est in intellectus quod prior non fuerit in sensu.  Ogni idea ha un stesso origine. e questo si fa palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo nascere sue  proposizioni. Una proposizione: "La reminiscenza S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra proposizione: “La reminiscenza S si associa con la reminiscenza P”. Qual è l'origine dell’idea dalla quale deriva sì fatta proposizione? Il sentimento. Dire che la reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che sento che è in me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così direte dell'altra proposizione. Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione e altra proposizione. Il corpo pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la proposizione? Dal sentimento (senso). Perciocché dire che questo corpo pesa è lo stesso che dire che sento il peso di questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che la cagione (causante, causans) della mia sensazione tattile del senso del tattoo è in questo corpo. Così dire che la rose manda odore è lo stesso che dire che sento l'odore della rosa, giu-dico, ovvero, sento che l'odore dela rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè che non sono in me. Fra una idea soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra differenza, se non che nella che si suppone oggetiva  sento che la cagione (causans) è nella nostra persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è in me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea soggetiva nella cosa (il reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa (il reale) fuori? Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora solute. Ma l'ignoranza in che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali di concludere che il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio è un sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre sensazione, una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non fosse, nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe. Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”. Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la qualità della sensazione  di natura diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro, nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo, perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue. Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista. Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS  (sulla formazione padovana del Costa, e sulla sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella [fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore onore, che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla dignità, alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e pacifica; per questa  sono animati i guerrieri – come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più degni modi si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si mantiene nel cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o giovamento a voi stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo nobilissimo studio del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica l'interpretare e l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il venire meco investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè, essendo la favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e si traggono gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione alle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che , pel naturale desiderio, che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine , poniam subitomente al fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE, sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice: “imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima: dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione – cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione, L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea, fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna considerare che ogni idea e composta – il S e P - ; e che alcune, differendo da altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi , comprende le idee delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf. Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere molto dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano i vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa, che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero, pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria, mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf. Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono dinanzi agli occhi  ci somministrano esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa, che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione “moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli, cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de' ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono. Prima,  il saper bene dividere le idee fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili. Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e rendetli ; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero , palafreno, poledro, rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile, o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono , a cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento ; dal che si vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci rappresentano stesso complesso d'idee ; e quindi può intervenire, che ingannali dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari, e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia; e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa, che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso formiamo i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui , qualvolta sieno osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole avvertire, cha talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le quali ' riesce chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella eſficacia, che avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però offendere le delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi) delle parole, che agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di quella, che lo fa chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel ragionamento, il quale di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che viene modificata dalle altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le allre suballerne (o minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro comodi abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu , mu travagliando e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta. L'imperatore ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa) principale (maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa minore). La proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in un dipinto, dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è che vuolsi evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero troppe, invece di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro officio, verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza , che circa le proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura di ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione loro, è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin guono in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte le parli loro sono manifeste, come nella seguente : ľuomo è ragionevole. Diconsi implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti. L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio, che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA (splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve” trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’). Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da' participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo. Quao do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel seguente luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo nell'età più matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato falto nell' età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo libretto si vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata chiarissima. Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi, ed è scritto dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un uomo passò di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel pensiero di alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in Inghilterra, nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge resla alcun poco sospesa. Molte traspposizioni, che si bia simano nella lingua italiana, sono spesso con venevoli nella lingua latina, perchè nella lingua romana gli aggettivi, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri e nei casi si accordano coi sustantivi, rade volte lasciano dubbio a cui vogliano appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto, comunque nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente luogo di Crasso, riportato da Cicerone. Haec tibi est excidenda lingua, qua vel evulsa spiritu ipso libidinem tuam libertas mea refutabit. Tenendo l'ordine di queste parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza: sconvolgendolo si perde tutta l'efficacia. Se diremo. Questa lingua li è d'uopo recidere: recisa questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà, apparirà che la sfrenatezza reprima la libertà. Se per lo contrario tradurremo. La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo alla sentenza molto della sua forza. Vedremo a suo luogo la ragione, per cui la diversa collocazione di una espressione semplice rafforza o snerva l'espressione complessa. Ora ci basti osservare, poichè cade in acconcio, che le varie lingue (parlando ora della sola facoltà, che hanno di permutare il luogo alle parole), luttochè sieno alle a qua. Junque specie di componimento, nol sono ad esprimere uno stesso concetto nella stessa forma; perciò è che quando si trasportano le scritture da una favella ad un'altra non dovrà l'espositore darsi briga di ritrarre espressione per espressione, ma, avendo rispetto al genio della sua lingua, cercherà di produrre per altro conve pevol modo negli animi di nostro compagno conversazionale gli effetti, che l’espressione in lui operarono. Per fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] gioverà ancora badare ne' verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo, la quale è simile alla terza, dicendosi io amava, colui amava; perciò a distinguerle è sovente bisogno di pre ineltere all’espressione ‘amava’ il nome o il pronome. Giova spesso alla chiarezza, e segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere le persone e le cose, delle quali si parla (il topico); e perciò sta bene talvolta il *ripetere* il nome per non confondere l’una coll'altra; imperciocchè i prononi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco – confusione – cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of conversational clarity; e questo interviene specialmente, quando nella proposizione antecedente sono più sustantivi di un medesimo genere e numero, che si possono accordare coi relativi delle susseguenti; perciò conviene tal volta o giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un femminino, o inulare il numero del più in quello del meno, o viceversa. Può ancora geverarsi perplessità nell'usare il possessivo “suo” e “suoi” invece de relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per quello, come nel caso seguente. Mai da sè partir nol potè, infino a lanto che egli (Cimone) non l'ebbe fino alla casa di lei accompagnata. Se Boccaccio avesse detto, fino alla casa sua accompagnata, si sarebbe potuto credere essere quella di Cimone. Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione de'ragionamenti sono assai opportune le particelle copulative (“e”(, avversative (“ma”), illative (“se”) e somiglianti – disgiuntiva (“o”). Molli fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere a piccoli membri senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da biasimare, iaperciocchè costringono la mente di nostro compagno conversazionale a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli occasione di scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf. Grice, category of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. Affinchè si vegga manifestamente quanto la mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso, leverò dal seguente luogo del Passavanti le particelle che ne conneltono le parti. Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all affezione sua, a quella che più ta sprona. Se vede che si , non a . spetti che al sogno suo debba altro segui. tare. Quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; è l'effetto dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione. Facciamo congiunti questi membri colla particella “e”, la particella”imperciocchè, la particella “ma” e vedremo il discorso apparire più chiaro (“She was poor and she was honest”) Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. E se vede che si, non aspetti che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto del l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione. Quesli pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori, che desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose, che i filosofi hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore) dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di *molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono collocare nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a parlare dell' ornamento. La perſezione dell'arte del conversare, secondo Cicerone, consiste nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico, che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro, che dalla invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona in altre due parti della rettorica. Accade qui di parlare delle suddette tre qualità solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il concetto ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre due, che fanno il discorso – la mozione conversazionale -- accetto a nostro compagno conversazionale. Prima di tullo si vuole osservare che la proprietà delle voci e l'ordinata (cf. Grice, be orderly) composizione loro generano gran parte della bellezza del discorso; imperciocchè fanno sì, che esso sia inleso senza fatica, che è quanto dire con qualche sorta di piacere. Ma questo non basta; chè nessuno per verità loda il conversatore solamente perchè si fa intendere dal suo compagno conversazionale; ma lo biasima e sprezza, s ' ei ſa altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gli uomini e tragga a sua voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più che more tale? Colui, che nel conversare è distinto, copioso, splendido, armonioso, e che queste qualità, onde si forma l'ornamento, congiunge al decoro. Que' che conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento disgiunto dal decoro diviene sconcezza e deformità. Di questo decoro diremo più particolarmente a suo luogo; ora veniamo a discorrere le parti dell'ornamento. Molto leggiadre ed efficaci sono le voci proprie, che per cagione del loro suono hanno somiglianza col significato, o quelle che ne ricordano qualche particolare qualità. E espressiona, che ricorda il significato per somiglianza di suono le seguenti: “belato”; “ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”; “rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre, che per alcuni furono chiamate termini figure, a differenza di quelle, che, non avendo soosiglianza veruna col significato , furono delle termini memorativi o cifre. Fra i termini figure voglionsi annoverare, oltre le voci che abbiamo teste accennat , quelle che o provengono da altr’espressione, che è segno di cosa somigliante al signficato che si vuol esprimere o communicare (cf. Grice on the circularity of analyising ‘signare’ e ‘communicare’), o ricordano l'origine o gli usi del significato. L’espressione “spirito” è bella per certa tal qual somiglianza, che il significato, cioè l’immateriale sostanza, sembra avere col fialo o con qualsivoglia altra sottil materia, che spiri. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione “pecunia”. la prima delle quali, venen do da “moneo”, significa che il metallo ed il conio ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda, venendo da pecus, ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed alle pecore, antica inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due esempi ancora perchè si vegga ' quanto giovi alcuna volta l'investigare l’etimologia. Concorrono co' termini propri e co' termini figure a far bella la mozione conversazionale le parole nobili, qualvolta sieno convenevolmente adoperate. Accade delle parole, dice Pallavicini, che comunemente accade degli uomini nel civil conversare. Questi acquistano ripulazione o vilipendio dalla qualità delle persone colle quali usano farnigliarmente; e le parole dalla qualità delle persone da cui sono sovente proſerite; e ciò interviene perchè tutti hanno per fermo, che i personaggi illustri e gli uomini letterati sieno esperti a conversare con legge, e che la plebe allo incontro parli e cianci barbaramente. Avviene da ciò che alcune voci, che significano cose vili o laide, sono tuttavia tenute per nobilissime. All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose significando, in grave componimento non sarebbero lodate. Della prima spezie sono in Italia l’espressione “lordo”; “lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che nelle più nobili conversazione sogliono essere usate. Dall'altro canto l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato cardinale Pallavicini , la quale nobilissimo personaggio rappresenta, non sarebbe ricevuta in grave componimento poetico. In tre schiere vengono separate dal Pallavicini le parole rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella prima si collocano quelle, che dal conversatiore in nobile conversazione e usata a significare un concetto grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie non si potran no senza affettazione adoperare in tenue argomento o in famigliare discorso. Che se alcuno famigliarmente usasse l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in vece di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che move rebbe a riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella espressione, che vanno egualmente per le bocche degli uomini ragguardevoli e del popolo, e che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza poi è di quelle, che furono avvilite nella bocca della plebe, come e l’espressione “pancia”; “budella”; “corala” e simili , le quali possono essere opportune in una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la mozione conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta elle abbiano convenevole forma e non sieno passate ad altro significato [non multiplicare sensi piu di la necessita], vagliono à nobilitare la conversazione; ma si richiede somma cautela in co lui che a vila le richiama, poichè, siccome ė detto di sopra, una espressione antiquata, ollrechè spesso portano seco oscurità [cf. Grice, ‘avoid obscurity of expression, procrastinate obfuscation], più spesso fanno l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi p trebbe, senza indurre a riso il compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”; “piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You are the cream in my coffee), la quale usata opportunamente è lume e vaghezza della orazione. Prima è a sapere che gli uomini selvaggi per essere scarsi di cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna cosa non ancora significata, fecero uso naturalmente di quella espressione gia usata, la quale e stata inventate a contras-segnare *altra* cosa somigliante in qualche parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in my coffee”). Occorrendo loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre” per la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele. Cosi dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a fox” – he is a fox), “capo del monte” la cima, e “piè” del monte la falda di quello. Per gli addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole, transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream – simplifcata a “You are the cream”); impercioc chè la seguente similitudine spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe (per brevita) in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora fu da principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè, sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra le selvagge e rozze, pure la metafora è e sarà sempre luce e vaghezza della conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità, che ora verrewo particolarmente esponendo. La metafora presenta spesso all'animo più chiaramente ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di forma *sensibile* una idea non-sensibile, o intelleltuale (nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le pone davanli agli cinque sensi. Voleva Alighieri significare che non è meraviglia se per la le nuità della nostra fantasia non possiamo per venire ad imaginare le cose, che Alighieri desiderava narrare del Cielo; e questo con una metafora dicendo. E se le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è maraviglia. Per tal modo il concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale, divenne sensibile e per conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous [sic] – the imperative of conversational clarity] e più popolare. E se taluno volendo dire che gli uomini bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gli atti e le parole a modo di parer verilieri, dicesse che la menzogna prende talvolta il manto della verità, non significherebbe egli il suo concetto assai vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re the cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream in the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi, più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della qualità sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte le altre appartenenti a quello pur si risvegliano , e vivamente ed intero lo ci pongono dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore – parola dolce. che si cá vano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato (secondo senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto senso dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore di santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinqe sensi, sono le seguenti. Splende la gloriu (visum). Folgoreggiano gli scudi; ridono i prali (udito); si rasserena la fronte ; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero ad Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum, rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora attribuisce a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di Omero. Le saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche Virgilio, parlando di una satta entrata nel petto di una vergine, disse. Harsit virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa vivamente quasi innanzi agli organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita (no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele, partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un manto e la no billà della prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. Opoca nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non s'appon di die in die lo tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco manto adorna la persona di colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni uomini quell'onore che ricevono pei pregi degli avi loro, e che chiamasi nobillà: ma, se per virtù novella non si rinfranca, ei viene di giorno in giorno scemando. Questi pensieri il divino poeta ci reca alla mente colla nuova similitudine, e ci dilella e ci illumina. Vale eziandio la metafora a muovere con maggior forza l’affeto, perciocchè, laddove alcuna volta parole proprie astretti a recare alla mente di nostro compagno conversazionale le idee una dopo l'altra, la metafora, rappre sentandole tutte ad un tempo, assale l’animo con veemenza. Basti un solo esempio del Petrarca, il quale rivolto alla morte così le dice: con saremmo me dove lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce ed amoroso e piano lume degli occhi miei non è più meco? Quali e quanli pensieri si destano nella mente all’espessione “cieco” e la frase/espressione frasale “lume degli ocehi miei”! Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si vuole por menle che ella non mostra  il lavoro e la fatica dell’intelletto, perocchè non è verisimile che colui, che ha l'animo perturbato, si perda a far cerca d'ingegnosi concetti e figure retoriche. È ancora pregio della metafora di coprire con velo di modestia e di gentilezza il segnato, che espressa con un termino proprio (e non un termino figura como e la metafora) sarebbero odioso o turpo. Ecco un bell’esempio del Passavanti. La innata concupiscenza , che nella s vecchia carne e nell'ossa aride era addor meniata , si cominciò a svegliare : la favilla, quasi spenta si raccese in fiamma ; e le frigide membra, che come morte si giacevano in prima, si risentirono con oltraggioso orgoglio. E Virgilio disse. O luce magis dilecta sorori, Sola ne perpetua moerens curpere juventa? Nec dulces natos, Veneris nec praemia noris? Questo e i principale vantaggio della metaſora, onde sovente viene preferita al termino proprio. Diremo ora dei vizii che talvolta elle possono avere. Se bella e la metafora che fa scorgere una maniſesta somiglianza tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my coffee’), da che si toglie il vocabolo e l'altra, a cui si reca, chiaro è che deformi saravno quelle, che tengono ji paragone di rose o polla e poco somiglianti, e che sono male acconcie al pro posto dne (“a woman without a man is a fish without a bycicle”). Nessuna somiglianza si vede fra le cose paragonale nella seguente metafora del Marini, Folendo egli lodare un maestro, che formara bellissimi esempi da scrivere, esalta la penna di lui, dicendo ch'ella deve essere divina: Perchè una penna sela, Benchè s'alzi per sè pronto e sicura, Se divina non è tanto non rola. E qual somiglianza è mai tra il relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza quella metafora che volendo segnare una cosa piccola prende da una cosa grande l'imagine, e al contrario. Mariai assomiglia le lacrime della sua douna a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il diluvio universale al bucato. Erro similmente colui che disse a suo amante. Son gli occhi resiri archiòugiati a ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È bellissina la metafora che Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar come fa il mare. Sarebbe difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le biade. Viziose come le sopraddeile erano la più parte delle metafore usate dagli scrittori del secolo XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i monti per estrarne i metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio colp inchiostro. Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè il nostro secolo, sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra nemico. Della metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo essere mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir cosi e che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la se. guente: Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora , che la sorvenire il nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa rimprovera Dante per essere talvolta caduto in questo difeilo , siccome quando disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal vivanda fosse gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi, se avessi avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine plebea e sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo Pallavicini, comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale, quando disse, che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora coll' inchiostro, e quando per accennare la qualità, ond'è costituita l'eleganza della elocuzione, disse: saputi distintamente quali ingredienti compongono quesla salsa, cioè l'eleganza; i quali modi sono da biasimare, essendochè nel primo esempio li vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce l'abbietta voce che sa di cucina. Similmente non paiono degni di lode coloro, che sogliono usare per vezzo della conversazione un idiotismo, e segnatamente quello, che ha origine da certa anticha costumanze dimenticata oggidi. Non merita lode Davanzali quando volendo dire: o nulla o lullo: disse: o asso o sette. Questo proverbio, oltre chè si è di vilissima condizione, è tolto da un giuoco, che potrebbe essere sconosciuto a molli. E proverbio, del quale non si sa l'origine, il seguente; e perciò freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece di cercar la cosa dove ella non e. Bastino questi pochi pro verbi per moltissimi , che qui si po ebbero recare, e de' quali vanno in traccia alcuni mal accorti conversatori, onde parere versali nella lingua antica. Aucora è biasimevole alcune volte la metaſora , che si deriva dalle materie filosofiche ; imperciocchè, se il fine, pel quale il conversatore usa di quella, si è di rendere più chiaro e più vivo i concetto, questo non si potrà ottenere traendo la similitudine da cose poco nole o malagevoli ad intendere, come a la metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno bisogno delle similitudini tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano imagini, che vagliano a cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi tempi sono alcuni conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta metafora, avvisando d'illustrarne la sua mozzione conversazionale, e di mo strarsi intendente e sottile; ma va grandemente errato, perciocchè non solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid obscurity of expression, be clear) alla sentenza, ma danno segno di affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si è dello di sopra che la metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi agli oc ebi in forma quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci porge ammaestramento col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima non osservata; dal che si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar maraviglia, de guardarsi dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle, che, a somiglianza della monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni conversazione. Poichè tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri, converrà avvertire che il grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità del componimenlo. Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al pensare della gente nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de' climi fa che gli uomini abbiano diversi i costumi e le usanze , e perciò diverse ancora le idee e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente le similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi , incontra che alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima, tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più amore del verisimil ; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva, ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro, che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli, recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla. Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse. lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di guerra, non dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale non trovi mai contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche alcuni autori eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che (paventosamente a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non così egli fece nel Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè in esso avendo preso ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da questa imagine non si diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare coll’esempio di questa allegoria, che in breve discorso non possano star bene insieme più metafore di natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene il trapassare da una similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo talvolta a render chiare e naturali quella metafora, che per se medesime sarebbero ardite e spiacenti, il preparare per convenevole modo l'animo di nostro compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli uomini per mal esempio altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa” della falsa opinione, use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella diviene bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va. glia l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco al cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla mente, ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali riducono le idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di quello che si converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi a questi loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra loro, il che fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi e tra questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere nel seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi palesement , che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione, principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom , ' concorrer deve a scuotere ed a sferzare l'industria , on de riguardo allo sviluppamento di questa Costa. Vol. Un. 3 50 ec . ( 1 ) Oh quanta confusione ed oscurità in tanta pompa di parole! Pare che il conversatore volesse dire, che i savi conobbero che la natura ha posto nel cuore dell' uomo il desiderio d'emulare gli altri; e che da questo procede l'industri ; ma accoppiando i vocaboli principio e costituzione, che sono segni d'idee molto astratte, colla melaforica voce “inserire” ha composto un enigma; perciocchè nessuno polrà imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi diviene la metafor , quando l'astratto segnato dalla espressione “principio” si fa a scuolere ed a sferzare l'ind stria falla inopportunamente persona per trasformarsi losto in altra cosa, che si sviluppa a guisa di una malassa. In questa forma la metafora, che e vaghezza e luce della favella, diviene tenebre alla mente e vano suono (flatus vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE del conversatore non sia solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo talvolta dilettevole e maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui dilelto e maraviglia, si fango a derivare dalla metafora certe loro conseguenze, come se in quella non già una simililudine si contenessa, ma come se la cosa a cui si reca il nome novello, veramente si trasformasse nella cosa, donde esso nome si toglie. Di questa specie di concetti si presero diletto i prosatori ed i poeti del secolo decimo settimo, forse per desiderio di avanzare gli scrittori delle altre elà, ed in fastidirono tutti i sani intellelli . Basti di ques 1 ( 1 ) Atti dell' Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone Grozio, per mostrare che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver lodate nel principio di un epigramma le virtù di lei , sog giunse: Necfas est de morte queri, namque ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con l’espressione “fuoco”, imposta a cagione di similitudine, viene il conversatore a trasformare la misera vergine in vero fuoco materiale; e quindi trae la strana conseguenza, che ella mai non dovesse morire, o morire nel fuoco. Similmente si è frivolo modo e sciocco il derivare la metafora dalla somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose diverse, ALLUDENDO all' una di esse mentre si fa mostra di ſavellare dell'allra. In questo difetto incorse anche il primo de'nostri poeti lirici quando, piangendo la sua donna, parla del lauro, ed allude freddamente al nome di lei, come nella canzone, che comincia, Alla dolce ombra delle belle fronde ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi fin qui parlato de' pregi e de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il ragionare degli altri traslati di parole e di concetto e della figura: ma , perciocchè queste cose sono state definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici, stimo che qui basti il ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella, se non in quanto vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo stesso fine, che la metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto, melte bene talvolta il trasportare l’espressione a un segnato improprio o nominando invece del tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia, ond'ella è composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare (majestic plural – We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto usando questo traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine della cosa, da cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee, che si vo gliono svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo più che le altre ide , che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele , di quello ch : fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui, che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per l’effetto , o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso: il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”, giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”, dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura, ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi” (contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella, abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal , riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici. Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de' traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine del Palavicini, degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione “eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà (non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto fruttifica. La sovrabbondanza (over-informativeness) delle parole all'incontro empie le orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò è da guardare non solo che nostro compagno conversazionale non sia distratto da una vana proposizione subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più da un segno che dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo inconveniente ed acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione, che somigliante alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi, gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra lingua. Vi sono ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e questi consistono nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi, che racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta qui recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle cose onde fosti & cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando tacque a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui do mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione, Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza; ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo, siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante, e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi quasi fisonomia , per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”, si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola. Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali , e per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato; e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti . La negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua, compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi? Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua ; e dalla sua definizione trarrò alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua (come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana; ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e diano opera gl'illustri scrittori . E così avvenne di vero nella formazione e nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare d'Italia, poichè, come dice il Bembo, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano e e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano. Tutte le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con chiarezza i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o moderne; chè le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie no necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo – libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo. Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire, cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”,  e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente ; ma alla co storo petulanza coll'autorità di Cicerone ri spondano arditamente che colui , il quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è poela , ma non è uomo (Cic. de orat. I. 3.). Quarta e ultima, se le parole fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet . Il discorso può ricevere varietà da sei luogh , che ad uno ad uno ver remo a dichiarare brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi, non tolga al discorso laproprietà necessaria ; per non peccare contro la quale sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come, a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe' suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger, che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata. Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece delle cose stesse , o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o passivo da un verbio Potrai dire : Raffaele colori questa tavola , ovvero, da Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative seguente, ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi : ora le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”) si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è il temere. La buona coscienza è sempre sicura . Avvegnachè la sentenze sia più accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa parere affettato . In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di  Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche l'uso della sentenza pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata, ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si apprende a fare buon uso della sentenza, è Cicerone, nelle cui filosofia mai non pare che quelle sieno condotte nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle per recar luce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concetto, onde viene grazia o piacevolezza ai componimenti. Concetto propriamente si dice una certa proposizione, che per essere nuove ed espresso con brevi parole recano altrui diletto e maraviglia e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha di due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli, che con proprio nome si chiama una facezia. Gli uni e gli altri nascono da’ medesimi luo ghi, e differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo: che i gravi si traggono da cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi: ma pare veramente che a far ri devole un dello, sia necessario, il più delle 1 volle, che esso comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera, che la congiunzione loro ben si convenga con una terza idea. Ciò sia chiaro per un esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di un vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie e di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole. Traduzione d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi. Se il ridicolo di questa figura consistesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave con quella de' giovani leziosi, ci ſarebbe ridere anche l'imagine di una sirena, che è composta di due contrarie nature; lo che per verità non accade, ed accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna , che termina in pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica. Pare dunque manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla convenienza che è tra esse e la cosa, cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto diriltamente Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè disconvenienza, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di tutto si vegga che da’ luoghi, donde si cava la grave sentenza, si possono ancora cavare i molli da ridere, re cherò l'esempio, che ne dà Castiglione. Lodando un uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò ch'egli ha, non è suo: il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato, o con male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol dire: non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata: e que sto similmente si dirà di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi sono pres sochè infinile , e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali . Cicerone distingue primieramente le maniere graziose , che consistono nelle parole, da quelle che stanno nella cosa , o che si esprimono col parlare continuato. Egli dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le parole non cessano di generare maraviglia o riso: tali sono le narrazioni verisimili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini, e di queste molte ve n'ha nel Decamerone di Boccaccio. Una seconda consiste nella imitazione de’ costumi altrui fatta per modo di parlare continuato, come quella che fece Crasso, il quale in una sua orazione contraffacendo un uom supplichevole con queste parole, per la tua nobiltà, per la tua famiglia, ne imitò cosi bene la voce e gli alti, che mosse la gente a ridere; e proseguendo, per le statue, distese il braccio, ed accompagnò la voce con geslo e con imitazione si naturale, che le risa scoppiarono maggiori. Queste sono le due maniere, che consistono nella cosa, e che si esprimono col parlar continuato. Quelle che maggiormente si attengono alla materia che qui si tratta sono le maniere di que'concetti, la grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi. Alcuni molli graziosi si generano in virtù della metafora. Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua impresa una spazzetta, con che voleva segare se essere disposto a cacciare dall'Italia gli oltremontani, domanda alcuni ambasciatori fiorentini, che loro ne paresse. Quelli risposero. Bene ce ne pare, salvochè molle volle avviene che chi spazza tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto, quando ad alcuno, che metaforicamente abbia parlato, si risponde cosa inaspettata continuando la metafora stessa. Tale si fu detto il Cosimo de' Medici, il quale a' Fiorentini ſuoruscili, che gli mandarono a dire che la gallina cova, rispose. Male potrà covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e piccole a cose grandi è spesso cagione di ridere, come in questi versi del Berni: E prima , iodanzi tutto, è da sapere che l’orinale è a quel modo tondo, Acciocchè possa più cose tenere, E falto proprio come è falto il mondo. Dobbiamo in questa maniera della facezia guardarci dal fare sovvenire il compagno conversazionale di cose laide e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria: lo che sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale disposizione. Molti molti ridevoli si formano per via di iperbole [“Every nice girl loves a sailor”] accrescendo o diminuendo alcuna cosa. Diminui ed accrebbe a un tempo le cose Cicerone parlando giocosamente di suo fratello, che essendo di piccola slatura aveva cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato mio fratello a quella spada? Dall’equivoco procede spesso i motti freddi ed insulsi, ma spesse volte ancora gli arguli. Argulo parmi il seguente in biasimo di una donna, che fosse di molli. Ella è donna d'assai: il qual molio potrebbe ancora essere usato per lodare alcuna femmina prudente e buona. Molla venustà è in que’ delli, che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la quale l'altra s'intende (IMPLICATURA, SOTTITESSO). Assai leggiadro è questo  in cui si favella di un'amazzone dormiente, recato ad un esempio da Demetrio Falereo: in terra aveva posto l'arco, piena era la faretr , e sotto il capo aveva lo scud: il cinto esse non isciolgono mai. Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone, come fece lo Scipione, secondo che narra M. Tullio, con quel centurione, che non si era trovato al conflitto di Paolo Emilio contro Annibale. Il centurione scusavasi di sua negligenza col dire. Io sono rimasto agli alloggiamenti per farli sicuri; perchè, o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà? Cui rispose Scipione. Perchè non amo gli uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle risposte, per le quali si DEDUCE da una medesima cosa il contrario di quello che altri deduceva. Appio Claudio disse a Scipione. Lo maraviglio che un uomo ďalto affare, quale tu sei, ignori il nome di tante persone. Non maravigliare, rispose Scipione, perocchè io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a conoscer molti, ma a far si, che molti conoscano me. Per egual modo Parnone rispose a colui che chiamava sapientissimo il tempo: Di pari dunque potrai chiamarlo “ignorantissimo”, perchè col tempo tutte le cose si dimenticano. Il concetto della risposta conversazionale può essere grazioso solamente perchè racchiude alcun insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu chiesto ad uno spartano, perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose. Acciocchè mirando in essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia disconvenga. Hauno grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al costume della persona, alla quale si attribuiscono. Essendo un colal uomo beone caduto inſermo, era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse : Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar via la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que’ detti, che procedono da sciocchezza o goffezz , finta o vera che ella sia. Tali sono le due seguenti terzine del Berni: lo ho sentito dir che Mecenale Diede un fanciullo a Virgilio Marone, che per martel voleva farsi frate; E questo fece per compassione, ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla disperazione. si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di nuov , che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono queste usate dal Boccaccio: picchia. pello ; madonna poco.fila ; lava-ceci ; bacia santi. Si falte maniere, che direi quasi deſormità della lingua, poichè dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alla cosa segnata stanno bene, e perciò inducono a ridere e han lode di graziose ; ma se poi in forza dell'uso divengono proprie, perdono , a somiglianza delle vecchie metafore, alquanto della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia del detto proviene alcuna volla dall'ordine solamente, quando una cosa posta nel fine produce un effetto, che posta nel mezzo o nel principio nol produrrebbe, o il produrrebbe minore. Egli reca l'esempio seguente di Senofoole, che, parlando dei doni dali da Ciro a certo Siennesi, disse. Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia, parendo cosa nuova, che si donasse a siennesi ciò che egli possedeva: se quel dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna. Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di Benedetto XIV. Accomiatandosi da lui due personaggi di religione luterana, egli avvisa di benedirli e di ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che egli no ricevessero con grato animo quell'atto di amore paterno: ma il venerabile vecchio ollenne il buon effetto parlando così. Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a tutte le genti; il Signore v'illumini. Ingegnosissimo si è que sto detto per l'ordine suo maraviglioso. Colla prima affeltuosa parola, “Figliuolo,” il papa procacciasi la benevolenza del compagno conversazionale. Nella sentenza , la benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti, chiude la prova della con venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la dignità di pontefice, che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della chiesa romana. Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevol , chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sarebbe officio di chi volesse trattare solamente di questa materia: e diciamo con maggior brevità de’ concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime qualsivoglia concetto, coi nulla manchi di grazia e di perfezione ; ina qui si vuol prendere la parola nel segnato , in che viene usata da ' più de' moderni reltorici e perciò così detiniamo i concetto sublime. Concetto sublime si dicono quelli, che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia. Tali sono i seguenti . Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di vendicare Achill , e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo. Questo concetto, il quale ci fa maravigliare della potenza di Giove, cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse segnato: perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino e farebbe che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla mente di nostro compagno conversazionale, che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora quel luogo di T. Livio nella allocuzione di Annibale a Scipione. Ego Annibal pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la fero cia di quel capitano. Medesigiamente si fa maniſesta una straordinaria fortezza di animo ne'due luoghi seguenti. Seneca, nella Medea, fa dire alla nudrice: Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e tantis tibi. Medea risponde: Medea superesto Corneille, ad imitazione di Senec : Nerine: Dans un si grand revers que vous reste- t- il ? Med. Moi. In luogo del nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed ottenne effetto maraviglioso e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella voce “moi”. Il poeta latino col nome di Medea destò nel compagno conversazionale la memoria della potenza, della sapienza e della magnanimità di quella maga. Divisata così la natura de' motti graziosi e piacevoli e de' sublimi, e restando a dire al cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe teremo ciò, che già detto abbiamo delle sentenze, cioè che lo scrittore si guardi dal fare troppo uso de' concetti ingegnosi e graziosi e de' sublimi, poichè non è cosa tanto contraria alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio manifesto e l'affettazione. Le grazie si dipinsero ignude appunto per insegnare che elle sono nemiche di tutto che non è ingenuo e naturale. La grandezza similmente non va mai disgiunta dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle cose, che sono piene d'ornamenti; imperciocchè la mente soffermandosi in ciascun d'essi riceve molle e divise imaginet le in luogo di quella imagine sola, che ci rappresenta la cosa continuata ed una. Male adoperano coloro che non avendo rispetto alla materia, di che favellano, nè alle persone ne alla modestia nè alla gravità conveniente allo scrittore, colgono tutte le occasioni, che loro porgono o le cose o le parole, per trar materia di motleggiare; perocchè invece di mo strare acutezza d'ingegno appaiono loquaci ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que , che abusano dell'ingegno per empiere le scritture di freddi e falsi concelti, di riboboli, di bislicci e d'indovinelli? di que', che tengono per finis sime arguzie le allusioni delle parole, che erano la delizia del Marino e de' suoi seguaci? Diremo che nali non sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla fatica, e per indur ſesta e riso, ma per noia, fastidio e sfinimento di chi è costretto di udirli. Se il discorso si fa strada all’animo per gli orecchi, è necessario che egli sia accompagnato dall' armonia, della quale niuna cosa ha maggior forza negli uomini. L'armonia ci dispone al pianto e all'ira, e ci rallegra e ci placa; e lulle le genti, avvegnachè barbare, sono tocche dalla dolcezza di lei; laonde gran de mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac crescere efficacia alle sue parole non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely (armosin), che segna connettere, è derivata la voce “armonia”. I maestri di musica insegnano, che essa consiste nell'accordo di più voci sonanti nel medesimo punto; ma coloro, che parlano del l'arte retorica e della poelica, presero questa parola quasi nel significato , che i maestri di musica prendono quella di melodia , come si vede aver fatto Aristotele, che usò in questa significazione ora la voce melos, ora la voce armonia. La melodia consiste nella altenenza, che hanno rispettivamente i gradi successivi di un suono nel salire dal grave all'acut : e noi direino che rispetto al discorso l'armo nia sta nell'altenenze delle lettere o delle sil labe o delle parole, che si succedono con quel la certa legge che si affà alla natura dell'or gano dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due maniere, semplice o imitative. L’una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi, l'altra, oltre la dilettazione degli orecchi, la imitazione del suono e dei movimenti delle cose inanimate e delle animate, e quella degli umani affetti: colle quali imitazioni inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli animi sigrioreggia. La dilettazione degli orecchi si ottiene con parole costrutte e disposte in modo analogo, come è dello , alla natura dell'organo del l'udito e fuggendo tutte le voci e tutti gli accozzamenli di esse, che producono sensazio ne spiacevole. L'imitazione poi si fa adope. rando e componendo suoni o gravi o acuti o inolli o robusti, secondo che meglio si affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo alcuna cosa più largamente e dell' una e dell'altra armonia, l’armonia semplice e l’armonia composita o imitativa. Le parole, le quali, come tutti sanno , si compongono di vocali e di consonanti , sono più o meno armoniche, secondo che le lettere delle due specie suddelte si trovano disposte con certa proporzione. Le vocali fanno dolce il vocabolo le consonanti robusto. Ma le troppe vocali, che si succedono , producono quel suono spiacevole, che si dice iato; le troppe consonanti fanno le parole aspre e diſficili a pronunciare: così l'incontro delle sillabe somiglianti produce la cacofonia, Circa le parole non molto armoniche, ma approvate dall' uso, diremo chę elle non si banno a rigettare; ma si deve aver cura di collocarle in guisa, che il loro suono disarmonico serva al l'armonia di tutto il discorso. Anzi sono da commendare quelle lingue che ricche si trovano di vocaboli diversi di suono, i quali , giunti insieme con bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia del conversare. Sebbene, circa l'arte del collocare le parole con armonia, non possa darsi maestro infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici scrittori, pure non sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa delle parti, onde l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che l’altenenza tra le lettere, le sillabe e le parole, dalle quali risulta l'armonia, sono di due ragioni: cioè altenenze di tempo, poichè si pronunciano o in tempi uguali o disuguali; e attenenza di suono, poichè ogni sillaba differisce dall'altra per aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di asprezza. Diciamo prima delle attenenze di tempo. Pie chiamamo i Latini quella certa quantità di sillabe, che pronunciandosi in tempi eguali, si potevano misurare colla battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suonatori. E, poichè si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle parole) in ispazi uguali di tempo, avvenne che lunghe si dissero quelle che occupavano la maggior parte del tempo misurato dalla battuta, e brevi le altre, che occupavano la parte minore. “Coelum”, per esempio , si compone di due sillabe e si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre : perciò coelum è un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due brevi. I piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de' semplici di due sillabe, che sono o due brevi o due lunghe , una breve e una lunga , o una lunga e una breve: ve n'ha di tre sillabe, che per la varia combinazione delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie: ve n'ha finalmente più di cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi semplici. Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla natura dell'organo del l'udito umano, la qual legge si sente nell'anima e definire non si può, nasce il numero; e similmeple dall ' unione determinata di varii piedi, i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi, onde sono composti. Dalla varia qualità e quantità de’ versi nascono poi le differenti specie del metro. A rendere armonioso il verso si congiunge al pu nero il suono, che, siccome abbiamo accennato, si genera dalla proporzione, con che sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i versi abbiano il medesimo número, non hanno il medesimo suono, ma variano nella loro armonia maravigliosamente: per la qual cosa interviene che dalla unione di molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie: la diversa upione di queste armonie di cesi, “ritmo”. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi upili nasce il ritmo poetico , così da quello di minuti membri d' indeterminala mi sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla, siccome avremo occasione di osservare in appresso. Ora veniamo a dire del l'armonia della favella italiana. Gl’italiani non hanno determinata la quantità nelle sillabe, come si vede aver fatto i latini , per la qual cosa nemmeno i piedi hanno potuto determinare. Alcuni letterali del sesto decimo secolo, fra' quali il Caro, tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri, ma quanto poco (per la in sufficienza della lingua nostra) al buon volere rispondesse l'effett , apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei, i quali, se non sono molto aiutati dall'arte del recitante, non possono ricevere soavità. Ecco il chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe carca la terra ride. Scacciano gli alni i soli co' le frondi e co'ra (mi coprendo; Spiraci con dolce fato auretta vaga. A noi servono invece di piedi le sillabe é gli accenti, e quindi è che da un determinato numero di sillabe e da una determinata positura di accenti nasce il numero, onde si generano molte specie di versi. Omettendo le di spute de'rettorici e le loro opinioni circa questa materia, faremo qui alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le parole sono di una o più sillabe : se di una soltanto , l'accento è su quella, come in tu , me, no, si : se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella pri 79 ma, come in tempo, o nella penullima come in andarono, o prima di essa, come in concedea glisi. L’indicati accento si dice “acuto”, perchè alzano la pronuncia : dove questi non sono, si trova il “grave”, che l'abbassano. Gli acuto e il grave  alzando ed abbassando il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi il luogo de' piedi Jalini, e formano varie specie di versi, che, secondo, la quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi. Dalle varie unioni di questi nascono i diversi metri. E il ritmo nasce nel modo, che si è detto parlando della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si piace di que' suoni, che più vivamenle ci pougono innanzi il segnato; e questo specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo, o mostrando di avere per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso ordinala, e splendida: sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitativa. Dalla mescolanza delle lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione delle grida, de’suoni, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra lingua troverà, secondo che osserva il Bembo, voci sciolle, languide, dense, aride, morbide, riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e strepitanti. Perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno ordinare .e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi. tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina Commedia : ma basti qui la sola descrizione dello strepito, che Dante udi nell'Inferno: Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai risonavan per l'äer senza stelle, Perch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte ' e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come l'arena, quando il turbo spira . Del medesimo genere sono i seguenti versi del Poliziano. Di stormir, d'abbaiar cresce il romore: Di fischi e bussi tutto il bosco suon : Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba : Con tal tumulto, onde la gente assorda, dall'alte cataratte il nil rimbomba. Con tal orror del latin sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba.Il Parioi ci fece sentir il guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bellissimi vers. Aita, aita, Parea dicesse ; e dall'arcate volte a lei l'impielosita eco rispose. Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto che questo, che si può chiamare movimento del discorso, ba somiglianza coi movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro. Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante : Non altrimenti fatto che d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu rallento , E i rami schianta , abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori . Mirabilmente Virgilio descrisse il tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo : Qua data porta ruunt et terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque, Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu clus. Insequitur clamorque virum , stridorque rudentum. Fra i versi che esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti : E caddi come corpo morto cade ; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare dell'acqua precipitosa : ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il Caro: E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù . In virtù di quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si sente il romor dell'acqua che l'inghiotte : Calossi gorgogliando e s'aſfondò. Lo stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del carro di Net tuno : Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo lievemente, ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle seguenti parole di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue ; Procumbit humi bos. Dell’armonia che imita gli affetti col suono , Onde conoscere per qual modo gli affelli vengano imitati dall'armonia , uopo è d'inve sligare quali altenenze essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle altenenze si ponga mente che ad ogni sorta di affetli (1) risponde un particolar molo del l'organo vocale , per cui si formano voci di verse secondo la diversità de' medesimi affetli ; all'allegrezza risponde il riso , alla mestizia il pianto ; ed il riso ed il pianto si manifestano con suono al tutto diverso : così presso tutte le geoli la subita maraviglia è significata dal l'esclamazione ah , ovvero oh ; il lamento dall' eh, o dall’ahi ; e la paura dall'uh. Que ste voci, che da principio sono elfelti naturali delle aſſezioni dell'animo, diventano poi, merce dell'esperienza , segni di quelle : per la qual cosa interviene che i vocaboli composti di ma, niera , che facciano mollo sentire il suono di quelle leltere, che alle predette voci primitive si assomigliano , avranno virtù d'imitare o questa o quella affezione. Le parole, che s'in, nalzano per la a o per l'o , che sono lettere di largo suono, saranno acconce ad esprimere l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli : quelle, che declinano per la é e per l'i , che sono lettere di molle suono , saranno convenienti alla malinconia ed agli umili e miti affetti. (1) Omnis enim motus animi suum quemdam a natura habet vullum , et sonum et gesium (Cic. de Orat. ). 84 quelle , che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le perturbazioni dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle parole viene poi rafforzata dalle attenenze , che le passioni hanno col numero. Volgendo la considerazione alle varie passioni , si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira è fatto impetuoso , frettoloso nell'allegrezza , lento nella mestizia , svarialo nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non solamente si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle tarde modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto . A somiglianza di quest' arte maravigliosa , anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando , innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole, secondo la natura degli affetti , che di esprimere intende. Con quest' arte medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer . mazione di quanto abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del Petrarca : Voi ch* ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe rimesso se dicesse: O voi, che udite in dolci rime il suono ; sostituendo 1'i alla a. Veggasi come Dante seppe significare uno stesso concetto con due diverse armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino sdegnalo, e Francesca d' Arimino dolente dicono all’Alighieri di esser presti a rispon dere alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile : Parlare e lagrimar vedrai insieme ; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono : Farò come colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci aspre lo sdegno : E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua rabbia. La velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello , apparisce in questo esempio dello stesso poeta : Dunque che è, perchè perchè ristai? Perchè tanta viltà nel core allelte ? Perchè ardire e franchezza non bai ? Un verso, che esprime luogo pauroso e cupo, si è questo : 10 venni in loco d'ogni luce mulo. Dove si vede che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso non avrebbe messo nell'animo quel sentimento d'orrore. La e , che è lettera di suono lento, basso ed oscuro , rende sommamente imitativi i se gucnti versi : Buio d'inferno e di notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser può di nuvol tenebrata. In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori que' maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo , ene ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura , non già perchè io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la regola ; chè anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari d'ogni allra vaghezza poetica ed oratoria , nascere spontaneamente ; ma questo volli fare, perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti l ' intelletto a dirittamente giudi carne , e quindi a formare quell'interior senso si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito , che prendono gli orecchi alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere agli orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del quale diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o suono od affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci faremo oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre conciliare l'ordine domandato dagli orecchi con l'ordine sopraddello , ma spesso ancora con quello , che rende più evi. denti o più efficaci i concetti , del quale ora ci rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo della collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la mozzione conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le proposizioni si possono , senza to gliere la chiarezza , alcuna volta posporre o anteporre l'una all'altra in più maniere ; ma è da por mente che , fra le molte possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate , e che spesso una solamente si è l'ottima. Ho udito dire da molti che il più delle volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine diretto, e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi all'inverso , segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma nifesta alcun affetto ; ma certo egli è che l'or. dine diretto ( prescindendo dai mancamenti che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di biasimo, siccome freddo ed inefficace. A quale legge dunque dovremo ubbidire , ol. tre a quella già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le parole e le propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più efficace l'espressione degli affetti ? La filosofia ci mostra che le idee tornano alla mente associate in quell' ordine , che vennero all' anima per l'impressione delle cose ester 88ne, o in quello , che si genera in virtù della forza particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre ; e questo mostrandoci , ella ne insegna che , se vogliamo fedelmente ritrarre nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a mano le altre secondo loro qualità e silo : La stanza quadra e spazïosa pare Una devola e venerabil chiesa , Che su colonne alabastrine e rare Con bella architellura era sospesa . Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea d'innanzi una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran lume all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli occhi di chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e l'ampiezza di esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia , cioè la devota e venerabil chiesa : indi l'allenzione del riguardante si indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e rare : queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità dell'architellura , indi alle parli . più minute, cioè all'altare, alla lampada, alla luce, che si spande d'intorno . Quanto giovi disporre le parole nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo esempio di Virgilio , il quale , volendo rappresentare all'imaginazione nostra il greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi : Namque ut conspectu in medio turbatus, inermis Constitit , atque oculis Phrygia agmina circumspexit. La collocazione di queste parole è secondo l' ordine , nel quale avrebbero proceduto le sensazioni di colui , che avesse veduto cogli occhi propri sinone, e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima cosa, che gli verrebbe all'animo , sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone, conspectu in medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità , turbatus , inermis ; poi l'azione, constitit ; poi la parte del' vollo , che subito chiama a sè l'altenzione del riguardante , co Die quella , che è indizio dello stato dell'ani ma, oculis ; poi le cose , sopra le quali gli occhi si volsero , Phrygia agmina; infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta colla tarda parola circumspesil. go Un altro esempio dello stesso Virgilio dimo. slrerà come sieno poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alla ( Horresco referens ) immensis orbibus (angues Incumbunt pelago , pariterque ad litora tendunt : Pectora quorum inter fluctus arrecta , jubacque Sanguineae exsuperant undas : pars cae lera pontum Pone legit, sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante salo , jamque arva tenebant ; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni, Sibila lambebant linguis vibrantibus ora . و Colui che fosse presente al descritto caso , osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir del luogo che gli fosse al co spetto, gemini a Tenedo ; indi le acque per le quali nuotassero, tranquilla per alta ; al l'avvicinarsi di quelle due indistinte cose, egli comiocerebbe a distinguere il loro divincolare ; poi ecco che le due cose, che da prima indi stinte si mostravano , si vedrebbe essere due serpenti, angues, i quali più s'accostano e più li vedi , e più discerni l'azione loro ; prima del gittarsi sul mare , poi del girarsi al lido , incumbunt pelago , pariterque ad litora lendunt ; ed a mano a mano più visibili la . cendosi le qualità de' serpenti , si vedrebbero i pelti erti sui flutti ed alte le creste sangui. gne, e il rimanente de'corpi con grandi volute nuolare, pectora quorum ec . Finalmente udi rebbe il suono dell' acque , e ne vedrebbe le spume. Pervenuti al lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi ardenli e sanguigni , ne ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue, fit sonitus ec. Per l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare le parole secondo la catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di chi il descritto caso avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le descrizioni : di qualità che all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma di vedere cogli occhi pro pri. Nel rappresentare colle parole le sole idee che vengono naturalmente all'animo di chi mira le cose , e di chi è mosso dagli affetti, consiste l'arte del particolareggiare : chi tra passasse Test limite cadrebbe nella prolissi tà, e nella minutezza , la quale rende stucche voli que' poeti che eccessivamente particola reggiando si pensano di produrre l'evidenza. Siccome poi le cose hanno più o meno di forza sull'animo nostro a misura che più o meno vagliano a concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore ; così interviene talvolta , che esse al tornar che fanno alla mente tengono quell'ordine , che è secondo i gradi della ri. spettiva loro forza. Perciò è che qualvolta le idee in virtù delle parole sieno ordinate con formemente a siffatta legge, il discorso è caldo e passionato; e freddo e di nessun efletto se l'ordine delle parole discorda da quello delle idee. Nel libro IX dell'Eneide veggendo Niso l'amico Eurialo già presso ad esser morto dai Rutuli, cosi esclama: Me me (adsum qui feci) , in me conver : tite ferrum , O Rutuli , mea fraus onnis : nihil iste nec , ausus, Nec potuit : coelum hoc , et conscia si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza della passione di Niso, soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle altre la voce me quarto caso, poichè la prima idea, che viene all'ani. mo del giovanetlo , si è quella della propria persona , che egli vuole sacrificare per l'amico suo ; poi vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della legge. Similipente il Petrarca : E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero, Apri tu, padre, inlenerisci e spoda . Se invece egli avesse dello : Apri tu , padre, intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero, l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con quelle prime parole quasi pone innanzi a Dio, affinchè si piaccia d'intenerirli. Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria sentenza , e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì , che le idee vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio : Tu se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio : Ri. prenderannomi, morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il collocare l'ay verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo , qualvolla sieno posti nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che me. glio si dirà : io ti amerò sempre , che io sempre ti amerò: è facile il sentire come questa seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni, e Ira questi il Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo frequentemente pone il verbo alla fine del pe riodo; e per verità l'hanno biasimato a ragio ne ; perchè non solo con ciò si toglie al di. scorso la varietà, ma anche perchè il più delle volle si viene a turbare la naturale associa zione delle idee. Alla quale associazione se porrà mente lo scrittore troverà sempre molivo onde approvare o disapprovare l'ordine che egli avrà posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe il trattare qui minutamente questa ma teria e il prescrivere le regole applicabili a tutti i casi particolari ; queste si possono age volmente dedurre dalla regola generale, che abbiamo assegnata , e perciò stimiamo che qui 94 basti fare qualche altra osservazione intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il verbo è posto in ultimo. Avendo il principe Tancredi, presso il Boc caccio, rimproverato Ghismonda di avere eletto per suo amatore Guiscardo di nazione vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di lei, così ella, rinfacciandogli il fatto rimprovero, gli dice : in che non taccorgi che non il mio pec cato , ma quello della fortuna riprendi. Qui chiaro si vede che se Ghismonda avesse dello : non taccorgi che non riprendi il mio pec cato , ma quello della fortuna, avrebbe par. lalo freddamente. Il figliuolo di Perolla, in T. Livio, sdegnato che il padre suo gli abbia in. pedito di uccidere Annibale, si volge alla pa tria dicendo: o Patria , ferrurn , quo pro te armatus hanc arcem defendere colebam, hodie minime parcens, quando pater extor. que, accipe. Ne'due cilati luoghi son poste innanzi le idee, che prima si presentano ale l'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il verbo, che apporta luce alla mente sospesa dell'ascollatore. Se T. Livio avesse detto : 0 Patrin , accipe ferrum ec. , oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe an cora mancato di quell'arte, che l'altenzione altrui si procaccia: imperciocchè qualvolta egli ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane voleva difendere ostinatamente la rocca, subito la niente nostra sta attendendo impaziente menle che cosa esser debba di quel ferro; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, re sla preso da subita maraviglia e ne riceve dilelto. Nel collocare le parole secondo la catena delle idee, si vuol porre ' grande cura di con ciliare quest' ordine con quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua , al quale non si può contrariare. Qualvolta 10 scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra che le sue parole siensi di per sé poste al luogo loro, e che chiunque avesse voluto dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Que sta si è quella facilità, che molti avvisano di poter conseguire , ma spesso invano a ciò si affaticano e sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti innanzitulli gli elemenli, onde si compongono le prose e le poesie , ac cade ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi della convenevolezza , o sia del decoro , di che abbiamo di sopra falto cenno alcuna volta. Come dalla mescolanza de'selle colori fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza nella imagine delle cose dal pittore imitate, cosi dalla mescolanza degli elementi predetti , similmente falta con legge, nasce la varietà e la venustà delle prose e delle poesie . Colui che si facesse ad accozzare e ad ammassare alla rinfusa parole nobili , modi urbani, mela fore, traslali, igure , sentenze, ec. , verrebbe certamente a comporre di buona materia as sai deforme Perſella riuscirà posizione, allorchè le parole e i modi e l'ar monia e le figure verranno e ben divisale le une con le altre e lulle insieme, secondo i fini che lo scrillore si propone, secondo la maleria della quale ſavella, secondo la condi. zione sua e di coloro che l'odono , secondo i luoghi in cui parla ; chè in queste tulle cose consiste il decoro. Dal decoro nasce la leggia dria , che risplende nelle più belle opere del. l'arle, e senza di esso nessuna cosa al mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono i fini speciali , che lo scrittore si propone , varii i subbielli, di che può ragionare, varie le uma ne condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le specie de' con ponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual carallere, per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente : Il carattere del discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali risultano la chiarezza e l'or. namenlo, ſalta secondo le leggi del decoro. E perciocchè la principal legge del decoro si è quella , che riguarda il fine, che ci pro poniano , quando altrui manifestiamo i nostri concelli , a questo volgeremo tosto la nostra considerazione, Chi scrive inlende o a convincere o ä pero suadere o dilellare altrui. Secondo questi tre fini nasceno tre generi di scrivere o tre caralleri si diversi , che vogliono essere di stigli e particolarmente considerati ; cioè il fi losofico , il persuasivo, il poelico. Di questi di reno prima alcuna cosa in generale , indi ne accenneremo le specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è il mostrare altrui la verità, e perciò le loro scritture intendono a fare che il lettore od ascoltatore non sola . menle venga di buona voglia nella sentenza a lui esposta , ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto dire ch'egli rimanga convinto . Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella virtù del linguaggio , per la quale si genera il convincimento , ci saranno subito manifeste le qualità , onde il carallere filosofico si distingue dagli altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi percepiamo l'attenenza ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni insie me collegate ' e procedenti da una o da più altre conformi a'falli , le quali si chiamano principii ; ed in questo secondo caso diciamo di essere convinti con evidenza di ragione. A costringere gli animi con questa evidenza in . lendono i filosofi, ed a tal fine son loro neces sarii i vocaboli di singolare significazione ed i modi precisi ; imperciocchè se nella catena delle proposizioni che formano il ragionamento , una sola vi fosse di perplesso significalo, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportanle alcuna idea, si mulerebbero le at tenenze delle dette proposizioni, dal che proce derebbe l'errore , come accade nelle operazioni arilmeliche, qualvolta , no solo numero si ponga iu luogo di un altro, Se agli uomini venisse dalo (che Dio volesse) di ordinare la lin gua a modo che dalle percezioni delle qualità semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non fosse vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il ragionare dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria , come si ragiona nella matemalica ; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al conoscimento delle allenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro principii; e per tal forma ciascuno potreb be sempre rendersi certo della enunciata verità . Da tutto ciò si raccoglie che nella precisio ne delle parole e dei modi sta la virtù di con vincere ; e che perciò essa precisione esser dee la prerogativa dello scrivere filosofico. L'uso della metafora pertantoe delle figure può divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che l'animo umano ingannato dalle similitudini, di che si formano le meta fore, e commosso dagli artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni, non secondo la natura delle cose , ma secondo le apparenze e la capricciosa indole della fantasia. Il sistema del Malebranche , ch'ebbe tanti se. guaci e disputatori (per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si dovrà dunque nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura, e renderlo secco e ruvido, come quello de'ma temalici? V'hanno certamente alcune malerie ( e tale è per avventura la ideologia ) , le quali richieggono un linguaggio pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra ; ma non è perciò che le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera scienza delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia filosofica vuol essere molto mollo fregiala, acciocchè il verisimile, in forza degli artifizii oratorii , non venga ad invadere . il luogo del vero, nė paia che il filosofo voglia invescare e prendere altrui : nulladimeno è necessario che a quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo ragionare, trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga oscurala . Perciò il filo soro collo schivare le parole barbare, rance , oscure e disarmoniche toglierà ogni ruvidezza al suo discorso, e gli darà grazia e leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili , colle vereconde metafore scelte a maggiore schiari. mento di quanto per le parole ben determi nate fu espresso ; colla brevilà e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure, quale sa rebbe l'interrogazione, e specialmente coll’ar. monia facile e piana , e con tutti gli allri modi naturali alla tempérala favella. Questo carallere filosofico fu si ben divisato da Cicerone, che io stimo convenevole cosa di recare le sue parole Temperata e famigliare è l'orazione de’ filosofi: non è composta» di modi popolari; non è legata a cerle regole d'armonia, ma discorre liberamente. Niente sa d'iralo, niente d'invidioso, niente di inirabile, niente di astulo. Casla, vereconda, quasi pudica vergine, onde piuttosto ragionamento che orazione può nominarsi. Parliamo del discorso  di carattere persuasive o protrettico. Poichè abbiamo dato contrassegno del carattere filosofico, veniamo a fare il medesimo della mozzione conversazionale persuasiva. “Persuadere” segna propriamente far credere altrui alcuna cosa; dal che manifeslo apparisce essere grande la differenza tra il “convincimento” e la “persuasion”. Perchè siamo convinti è forza che conosciamo ogni proposizione che compone un ragionamento fino alla prima percezione, dalle quali dipende il principio fondamentale di quello. Perchè siamo “persuasi” basta che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o l'apparenza o l'autorità (non come l’intende Courmayeur). Molti dicono, a cagion d' esempio, di essere “persuasi” che il sole si giri intorno la terra, ed altri che la terra si volga intorno al proprio asse. Gli uni prestano fede all'apparenza, gli allri al detto degli uomini sapienti. Ma di quello che credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione. Da questo esempio, e da infiniti altri, si può vedere che la persuasione non è sempre generata dal conoscimento di ogni proposizioe  che si richieg gono nella dimostrazione, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a tenere le menti del più degli uomini, non importa semipre il dimostrare sollilmente alla maniera del filosofo, ma giova di far uso di qualsi voglia verisimile principio: di comporre imaginazioni che abbiano faccia di verità: di adoperare figure che, perlurbando l'aninmo di nostro compagno conversazionale, conformino i pensieri di lui secondo la nostra volontà di guisa, che, se egli sia per venire nella nostra sentenza, precipitosamente vi corra . Ma tutte queste cose si vogliono ado perare a modo, che il discorso abbia sempre apparenza di vera dimostrazione; perciocchè gli uditori di qualsivoglia condizione sempre domandano a conversatore che sia loro mostra la verità. Converrà quindi dedurre il discorso, per natural guisa e chiaramente, e da esso rimovere ogni proposizione ed ogni artificio, nel quale apparisca alcuna ombra di falsità. Primo ufficio del conversatore si è il provare la sua proposizione nella divisata maniera. Secondo, il dilellare. Terzo, il commovere; accorgimento si richiede nelle prove; sobriela degli ornamenti che intendono al diletto; veemenza nel concitare gli affetli. Con queste arti si perviene a trionfare ed a governare la volontà di nostro compagno conversazionale. Per le cose dette si conosce che il conversatore, comechè dice di voler dare esatta dimostrazione di quanto afferma, questo non fa sempr : del che si può aver prova nella disputa, che fa in contraddilorin, per le quali talvolta appaiono vere due sentenze, una delle quali, essendo opposta all'altra, deve di necessità esser ſalsa (reduction ad absurdum, introduduzione della negazione). Non è dunque l'arte della conversazione veramente l'arte di dimostrare (prendendo questa parola nello stretto segnato del filosofo) ma, come la define Dionigi d'Alicarnasso, “l'arte di farsi credere”. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra indicato inodo divisata la natura di una mozzione conversazionale persuasiva, de abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse а porterebbe opinione falsissima; perciocchè non si ſa inganno agli uomini adoperando a bene quell'arte, che sola si conſà all'indole della più parte di essi. Pochi sono coloro, che pos sono essere falli capaci della verità per via di sollile ed esatto ragionamento; anzi avviene il più delle volte che, sembrando molti falsissimo il vero e piacesse a Dio che così non fosse), è forz , per guadagnare l'opinione foro, venire ad alcuna utile verità per le strade del verisimile; e questo non è certo ingannare, ma giovare la umana famiglia. Vero ufficio dei conversatori si è l ' usare l'eloquenza non ad inganno, ma per indurre gli uomini a fuggire il vizio, a seguitare la virtù e la verità; per metter fine alle conlese, per sedare i tumulli, per sollevare l'autorità della legge contro il volere di coloro, che il privato bene antepongono a quello della repubblica: che se alcuni malvagi intellelli abusano di tutte le arli civili, dovremo per questo sbandirle dal Roma e ricondurre gli uomini a viver di ghiaude? Finalmente e la mozzion conversazionale di carattere poetico, come in Heidegger. La poesia fou dai romani inventata per proprio diletto, e poscia dagli autori della vila civile ad ammaestramento di esso popolo adoperala. Piacque ad aleuni a solo ricreamen to dell'animo usarla, ma i più nobili poeti sotto il velame delle favole, delle imitazioni e dei mirabili concetti pascosero la dottrina , e con locuzione accesa nella fantasia e con soavi armonie si aprirono la strada alle menli volgari, le quali all'insegnamento dei filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo che niuno può dubitare che chiunque si dispone a fare una mozzione conversazionale poetica non debba cercare di piacere alla più parte degli uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il nostro Alighieri, la cui divina Commedia leggevano anche le persone d'umile condizione, e ne traevano documenti a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il Tasso, e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere salutato un autore di una mozzione conversazionale poetica. Se dunque investigheremo quali sieno quei modi che dilettano il più degli uomini, e quali sieno que' che li noiano, giungeremo a conoscere quali convengano e quali disconvengano al carattere della mozzione conversazionale poetica . E primieramente e palese che le espressione apportano diletto e colla materiale struttura loro e colla qualità delle idea, che recano alla mente; perciò è che l'essere del carattere poetico dall'una e dall'altra di queste cose dovrà generarsi. Una delle qualità necessarie alla mozzione conversazionale poetica sarà dunque la più squisita armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato l'intelletto in virtù della imitazione. Dell'armonia abbiamo dello abbastanza, perchè passeremo tosto a dire della natura delle idee dilettevoli. Il diletto si genera negli animi da ciò che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la mente senza tenerla in fatica: e perciò è che le imagini dei corpi diversi e tulte quelle cose e que’ concetti, che hanno virtù di risvegliare gli affetti, ci recano maraviglioso piacere e le idee astratte all'incontro non lo ci recano, perciocchè, se non sono mollo complesse, fanno lieve impressione nell’animo; se molto complesse, abbisognano di molta attenzione, e perciò affaticano la mente. Proprii, saranno dunque del carattere poetico i vocaboli e i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza di molte sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere sensibili coll'aiuto delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili concetti della mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti vengono segnata la passione o l’azione, e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali in virtù dei soli nomi sustantivi non verrebbero all'animo di nostro compagno conversazionale, o ci verrebbero debolmente; perciò al poeta conviene l'adoperare essi aggiunti più frequentemente che all'oralore, quale dipinge meno parli colarmente le cose, siccoine colui che non ha per fine principale il diletto. Colla metafora si dà corpo a una nozione astratta, coi tropi si pone dinanzi agli occhi della mente quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che prima si presenterebbe al senso di colui che cogli occhi del corpo il mirasse. Adoperando i predetti modi, si perviene a dare a’ concetti intellettuali forma sensibile guisa, che nostro compagno conversazionale, direi quasi, non più per segni percepisce le cose, ma le vede, e con mano le tocca. Affincho palesemente si vegga questa prerogativa, che sopra tutt e rende il carattere poetico distinto dagli altri, recherò ad esempio alcuni concetti intellettuali, convertendoli in forma sensibile. Tutti i viventi muoiono. La sede del romano impero fu da Costantino trasferitu a Bisanzio Il popolo facilmente mula consiglio. Quello ch' ei fece dai tempi di Romolo, sino a quello dei Tarquinii. Quello concetto si dice intellettuale, siccome quelli che si denno giudicare secondo il segnato proprio di ciascuna parola; sensibili saranno, qualvolla sieno espressi di maniera che giudicare si debbano secondo l'apparenza o la similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli nel modo seguente. La morte batte egualmente alle capanne de poveri ed a’ palagi de’ re. Posciachè Costantin lo quila volse contro il corso del ciel, che la seguiu Dietro quel grande , che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E guel cliei fe' dal mal delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che assai di lettano, e perchè contengono manifeste similitudini e perchè racchiudono veri intellettuali concetti, sono talmente proprie della mozzione conversazionale poetica, ch'elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi, che non hanno per fine primario il diletto. Come queste poi si addicano più a cerle specie, che a certe altre, vedrenio a suo Juogo. Ora bastea di avere in genere contra-segnata la natura del carattere poetico, onde apparisca che tengono mala strada coloro, i quali cercando "fama tra i poeti fanno pompa ne’loro versi di dottrina e di soltile ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e distinto. I concetti che si cavano dall’intrinseco della filosofia, recanó seco molta oscurità e difficoltà, specialmente quando vengono segnato co' vocaboli e commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che è il fine del poet , o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento. E quando si dice che il poeta dev'essere filosofo, non si vuol dire che a modo dei filosofi debba scegliere, ordinare e segnare il concetto, ma che egli usi molto di filosofia nello scegliere le materie più utili agli uomini, e nel dare a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se talvolta egli vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia, lo toglierà dalla superficie e non dal profondo seno di lei, in quel modo, che ha fatto il Petrarca, qualvolta si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio. Per le cose mortali, che son scala al fattor chi ben le stima, D'una in altra sembianza potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna nè oscurità, ma naturalezza, novità, e magnificenza, che sono qualità popolari, che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegnamento, sono: la matematica, la fisica , la metafisica, la morale, la politica, l'arte oratoria e la poetica, le arti liberali e le meccaniche, e tutte le conoscenze che da queste principali procedono, ciascuna delle quali essendo più o meno astratta , richiede o maggiore o minore soltigliezza d'ingegno e forza di attenzione in chi le consider: per la qual cosa interviene che dovendo i conversatori usar parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie, ne risultano diverse specie di caratteri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due maniere. Alcune letterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono avvezze al ragionamento, si converrà stretto sermone: più diffuso alle altre, le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto, ed anche talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile. Per tal cagione il discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai perdere però la precisione, che forma l'essenziale sua proprietà. Di tal sorta sono molte mozzione conversazionale indirizzati all'insegnamento de' giovani, e i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali vengono usate affinchè certe materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i conversatori affaticati trovino riposo nelle digressioni e in altre parti accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o protrettico. Se al mondo fossero uomini dirittamente sapienti e perfettamente savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere convinti con precisa e poco adorna favella: ma Blo non sono quaggiù nel mondo cose perfette, e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvisando di poter essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti artificii; pure non v'ha alcuno, che vaglia a resistere alla seduzione di astuta eloquenza; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare con ogni sorta di persone; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti è l'aculezza dell'intelletto e la sapienza, altrellanto esser deve la cura nell'ora tore di occultare l’artificio. Dovranno dunqne i modi del discorso persuasivo tanto più avvicinarsi a quelli del filosofico, quanto piu le persone, cui si favella, sono sapienti ed arcorte; ed all'incontro tanto più dovranno lingersi, direi quasi, del COLORE (Farbung) poetico, quanto nel conversatore è minore l'altitudine ad argo nentare sottilmente: e la ragione di questo si è che, a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intelletto, cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le apparenze della buona dimostrazione; essendo che' il popolo stesso, il qual pure, come è detto, presume di sapere ragionare sottilmente, sde gna quella orazione che gli par vuota di ragioni. Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso, secondo la maggiore o minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si possono dividere in tre schiere. La prima è degli uomini letterati : la seconda degli uomini che banno convenevole discrezione di mente: la terza del popolo basso. Per le quali tre schiere tre specie di carattere persuasivo procedono. La prima partecipa alquanto delle qualità del genere filosofico: la terza di quelle del poelico: la seconda è stile medio e media fra le due. Della prima specie e le allegazione, che l’avvocato pronuncia al cospetto de' giudici; della seconda i discorsi morali, la storia, l’elogio, ed altre opere intese a persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete; della terza la predica e la allocuzione e il parlamento, che si fanno al popolo ed a; soldati. Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano, e varie le cose di cui si può favellare, interviene che secondo queste e quelle verrà il carattere persuasivo a dividersi in altre specie: e perciocchè le per le cose si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili, piacque a' retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del carallere persuasivo, e questi sono: il sublime, il temperato ed il tenue. Che a ciascuna di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile comprendere e chi non vede che al discorso rivolto a celebrare le lodi di un eroe o di un sapiente si convengono maniere diverse da quelle , che sarebbero accomodate a descrivere o a lodare l’amenità della villa? Che la lettera famigliare intenla a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura diversa dall' orazione che tralla della cosa medesima? Paren sone e I 2 domi che qui non sia bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò , cioè, che von solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere, ma ancora particolare collocazione di parole e particolare armonia . Imperciocchè l'animo di chi favella , essendo secondo i varii casi o tranquillo o perturbato, o elevato o umiliato , non è dubbio che, nel seguitare questi diversi affetti, variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro le, e che similmente dee variare l'armonia , se vero è ch'ella soglia naturalmente , qualvolta favelliamo, accompagnare i moti dell'animo, Oltre di che vuolsi considerare che que' che parlano alla moltitudine, o scrivono cose da proferirsi ad alla voce , sogliono muoverla e modularla con diverso andamento da quello che userebbe colui, il quale famigliarmente ragionasse e tranquillamente in angusto loco alcun fatto narrasse ; e perciò il ritmo di que ste due specie di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a modo, che le nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo pubblico di gravi negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual sivoglia materia. Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun caso convenga, insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimento, chè l’esempio de classici scrittori assai meglio ne può ammaestrare. Penso che sia convenevole cosa il collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si addice alla istoria; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre coll'insegnamenlo la prudenza civile e militare, il che si ottiene col porre innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli effelli di quelli. Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma piera e particolari e generali, assalti , uccisioni , incendii, battaglie, saccheggi, trattazioni, páci  congiure, delilli e virtù; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai capilani, i gravi consigli e i documenti della politica ; di esprimere i caratteri delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle cose vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della maleria. Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della storia, cioè grave , siccome si addice a chi le gravi cose racconta , certo egli è che secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello innalzarsi, ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace, nelle descrizioni più ameno ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi introdolli a parlare, ma sempre temperato in quella dello scrittore, che da ogni parteggiare dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere storico nè l'autorità filosofica, la quale sarebbe contraria alle malerie , nè la poetica pompa , che torrebbe fede alla narrazione ; perciò é forza che gli sieno proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo, dal quale differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accennale. C’e una e altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in alcune specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore altitudine delle menti umane a di scerncre la verità, ciò non occorrerà circa il carallere poetico ; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno , quanto quelli , in cui la fantasia prevale all'intelletto, hanno tulli dinanzi al poela una medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni noe. tiche , quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli della verità e quasi come leggiadri sogni della filosofia , e in questo loro dolce ricreamento sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose forme filoso . fiche . Perciò è palese che il poeta rivolge sem . pre le parole ad vomini, i quali, sieno di qual sivoglia condizione , amano che la mente loro şia condotta ad operare senza fatica . Da que. sto si ricava che ogni specie di carattere poe tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo di sopra, le idee che tengono in falica l'intelletto, e rappresentare quelle , che vestile di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque diviso in ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti , ma della condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle varie cose , che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo proposito , parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della poesia. Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista nel metro, e fra que sti è il Melaslasio , il quale nella sua esposi zione della Poetica d'Aristotele sostiene che la lavella metrica, per essere l'istrumenlo con che l'imitazione si fa , ne forma l'essenza . Ma io domanderei voleplieri a coloro che cosi la pensano , qual nome vorrebbono dare all'Eneide tradolla in favella sciolta dal metro? Le daranno per avventura nome di prosa? L’espressione “prosa” altro non segna che discorso senza metro, e per ciò verranno a dire solamente che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di quella sola qualità, di che grandemente si diletta l'orecchio, ma non già di tutte le altre, che stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di diletto. Dal che appare manifesto che un altro general nome è bisogno per distinguere i discorsi composti per dilettare. E quale è a ciò più accomodalo vocabolo che quello di poesia? L’espressione “poeta”, secondo sua origine , significa facilore o vogliam dire fabbricatore; e perciò poesia sonerà lo stesso che fabbricazione o finzione, e tali sono di necessità quasi tutti i discorsi, che si compongono a fine di dilellare, essendo che il nudo vero non è dilettevole sempre e in ogni sua parle: perciò Varchi dice nell'Erco laro, che il verso non è quello che faccia principalmente il poeta; e che Boccaccio talvolla più poeta si mostra in una delle sue Novelle, che in tutta la Teseide. Ed Orazio afferma che a distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta disgiungerne le membra, cioè loglierle il metro, e allora si vede manifestamente che il carattere non le si toglie. Conchiudiamo pertanto, che il metro induce diſſerenza di specie ma non determina la natura del genere; e stabiliamo che a tutti i discorsi  che hanno per fine il dilettare con metro o senza , si conviene il nome di “poesia”.  Ora veniamo alle specie. Talvolta il poeta rappresenta la persona d'uomo, che cantando, dice laudi degli Dei e degli Eroi; talvolta quella , ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell’amore, o solamente gli scherzevoli con cetli. Le poesie di questa maniera solevano dagli antichi essere cantate sulla “lira,” e perciò presero il pome di “lirica”, e tuttora il conservano. Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si possono dal conversatore lirico, interviene che ancora il canto si divide in varie specie, che tutte poi si riducono a tre, come nel carattere persuasivo: cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità sue proprie. Magnificenza e gravità di mod , di sentenze e di arinonia , e splendore d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra le laudi degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passioni: più tenui maniere e parole e più soave armonia a chi esprime gli affelli meno gravi e canta di subbielli meno nobili: quegli poi , che dice i mili affetti o gli scherzi o le umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da ogni fasto lontana, ed armonia soave e varia , ma sempre tenue. Alla detta varietà d'armonie, mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano secofl'umiltà , altri la mediocrità , altri l'allezza dell'armonia. Sono molti esempi di questa varietà in Petrarca, Si ponga mente ai modi, al metro, al ritmo delle due canzoni d'amore , una delle quali comincia, Chiure, fresche e dolci ucque; e l'altra, Di pensiero in pensier, di monte in monte; e si vedrà la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di grazia, e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poeta narra gl ' illustri ſalli ; tal volla i mediocri; e talvolta i piacevoli: indi si generano i poemi epici, i romanzi , i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili , e quindi provengono le tragedie, le commedie , le egloghe pastorali e le pisca torie . Ognuna di queste specie, siccome è pa lese , ha modi ed armonia convenevole alla maleria ed alla condizione delle persone. Perciò è che il poeta , specialmente nella tragedia, nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo altri a par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa , che lo spettatore , ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire : così parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale favella fos sero i versi . Giovi questo generale avverli mento , perciocchè non si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie . Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari , alle quali colui che ben vede di stintamente le raffigura : pure a quando a quando or questa or quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa , che l'epico nelle forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il più sublime lirico parra alcuna volla , siccome fa l'epico. Lo stesso interviene delle allre specie , fra le quali per fino la commedia talora si leva a gareggiare colla Tragedia , e la tragedia al dire l'Orazio , spesso , si duole con sermone pe destre. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la nalura, si scorge infinita diversilà , ma per questa spesso non è tolto che moltissimi indi vidui della medesima specie , sebbene molto dissimili, non sieno egualmente belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la vole colorite da' celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello dell'imitare la bella natura, non in tutti una apparisce la sembianza del loro dipingere. Raffaello, Correggio, Domenichino, Caraccio, Tiziano e Paolo, i quali cerlo non mancano nelle regole invaria bili dell'arte , sono fra loro assai differenti. Tutti mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione, belle forme , ben disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa: tutti esprimono i costumi e gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predette e di altre virtù una cotale mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la maniera dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti. Questa, che i pillori chia mano maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori, agli storici ed a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari commendazione, sebbene tale fra loro sia la diſſerenza, che spesso ciascuno solamente a sè me, desinio ed a nessun altro assomiglia ? La rinsposizione dell'ingegno e delle affezioni dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è cagione che le dette maniere sieno di numero pressochè infinito. Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della perspicuità, alcuno della eleganza, allri della grazia, altri dell'aculezza. Questi è grave e maestoso: quegli delicato e molle: chi è breve e robusto: chi copioso , chi úrbano e chi veemente: ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di noi desiderasse di ottener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri, si è quella che gli antichi chiamarono “stile” (cf. Tannen, Conversational style), prendendo questa voce dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La stessa parola “stile”, presa più largamente che non fanno i filosofi, segna comunemente il carattere in genere o in ispecie : ma è palese che, filosoficamente parlando, si è bene d'usarla nel senso leste dichiarato. Ond'è che assai propriamente diremo in generale, carattere filosofico, caruilere persuasivo o poetico; ed in ispecie carattere oralorio, lirico, epico, tragico, sublime, medi cre e tenue : e stile di Demostene, di Cicerone, di Ortensio, di Omero, di Virgilio: percioc chè nei primi fu il solo carattere persuasivo, negli altri il poelico; ma in ciascuno ebbe una particolare maniera, che modificando il carattere, l’essere suo non gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera, che stile si appella, vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l' animo disposto : laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che far si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere modificato secondo le qualità dell'intellelto , della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile , non sarà indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello scrivere ; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto , della fantasia e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo convenevole e pulito , bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il più che si può. L'uomo nasce fornilo dell'intelletto, cioè della facollâ di sentire, di percepire , di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di astrarre, di ricordarsi, di imaginare , ma d'uopo è che queste lacollà vengano poscia diriltamente usate ed esercitale, onde sia generala quella virtù pressochè divina , che si appella la ragione, la quale consiste nell'abito di . paragonare in sieme i sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai falli pariicolari le nozioni gene. rali ; di anteporre o posporre le une alle altre, di congiungerie o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza loro , e secondo i loro gradi di più o di meno. A formare que sl’abito , sarà bisogno di studiare le opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose na lurali, delle proprietà dell'intelletto e del cuore umano ; di apprendere l ' istoria , senza la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si rimane sempre fanciullo ; di osservare la nalura , di pralicare fra le diverse condi. zioni degli uomini , e di operare ne privati negozii e ne' pubblici . Ad arriccbire l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la reminiscenza delle qualità sensibili che più ci muovono e dilellano ; di congiugnere insie me con verisimiglianza quelle , che sono di. sgiunte in nalura , e di significare per siinili tudine delle cose corporee i concelli astralli, non solo metterà bene di leggere gl'inventori di nuove e vaghe fantasie , ina di por menle a tutto ciò che ai sensi porge diletlo , sia nelle azioni degli uomini e degli anigali sia nel l’esteriore aspelto e movimento delle cose inanimate ; e soprattullo gioverà di ben con siderare le somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia genere e specie ; chè que sto si è il fonte , dal quale si derivano le vuo ve e maravigliose metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed all'immaginativa lo sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i quali, essendo il compendio di quanto ove i filosofi hanno osservato intorno le cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori, apportano quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe indarno di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno. Vuolsi però sull'osservanza de'precelli avvertire ciò che nell'arle poetica osserva Zanotti; cioè che le cagioni del piacere e del dispiacere trovate da’ filosofi, essendo cagioni universali ed indeterminale, mostrano bensi i luoghi , non vogliono che si ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si debba giugnere o rimanere , per non ecce dere o non mancare; ond' è che, a fare buon uso del precello , è bisogno di quella discre. zione , che si acquista con lungo sludio e fatica . Rispetto agli affelli, io mi penso che, sel) bene sieno da natura, pure a conciliarli in al trui grande aiuto si possa trarre dall'arte . Se l'amore, l'odio, l'ira, la mansuetudine , la misericordia ed allre affezioni dell'animo na. scono da cagioni determinale, come per eseni. pio l'amore da bellezza e da virtù, l’odio da male qualità del corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio che gli aſſelti medesimi si deb bono in chi legge risvegliare per virtù della viva' rappresentazione di quelle cagioni : dal che si raccoglie che lo scrittore, considerando le varie disposizioni degli uomini passionali, e le cagioni, per le quali la passione si genera, avrà materia onde gli animi perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà ad operare in altrui quell'eſello, che imperſellamente avrebbe operalo mercè della sola naturale sua disposi. zione. Da quanto è dello apparisce che la scienza avvalora l'intellelto e l'immaginativa , ed aiuta a muovere gli affetti, e che perciò ella si è il fonte dello scrivere rettamente. La scienza poi è generala negli umani intellelli da due cagioni: queste sono: la naturale disposizione delle organo corporale e l'azione delle cose esterne sopra di esso; sì falte ca. gioni sono di necessità diverse in ciascuno ; perocchè non è da credere che si possano tro vare due corpi nella stessa maniera conforma li ; ed è poi certamente impossibile che uno riceva dalle cose esterne nell'animo le mede sime impressioni che un altro. Per la qual cosa avviene che diversa in ciascuno si generi la scienza , e quindi diversa la forza dell'in gegno e dell'imaginaliya, diversa la qualilà degli affetti, e per conseguente anche lo stile, che da queste procede, deve riuscire diverso . Dal che si vede che imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano ad imitare lo stile d'altri. E alcuni pur sono che andando passo passo sull' orme di Dante, del Petrarca o del Boccaccio , avvisano alla costoro gloria di per venire ; ma le opere loro per verità , in fuori di un poco di pulita buccia, niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque apprendere dagli scrittori ? Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri concelli. Da questo scrillore ci sludieremo di procacciare una cosa , da quello un'altra , a seguileremo sempre la nostra natura , secondo l'esempio di Dante, il quale lasciò scritto di sè : lo mi son un che, quando amore spira , nolo, ed a quel modo che delta dentro, vo significando. Che se allrove disse a Virgilio: Tu se' lo mio maestro e lo mio autore, Tu se' solo colui , da cui io loisi Lo bello stile, che mi ha fallo onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera propria di quel poeta , ma sibbene la qualità , onde il carattere poetico é differente dal filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza che è dallo stile di Dante a quello di Virgilio? Rimane per ultimo a dire degli autori , che coloro che amano di scrivere nell'italiana favella , devono scegliere a maestri. Nulla dirò dello studio della lingua greca e della latina, perciocchè essendo notissimo che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che insegnarono a tutto il mondo, e che questa nostra da quelle procede, ciascuno conosce di per sé quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò dunque a fare alcuna parola de' solo il conversatore italiano, che agli altri si devono preporre. E prima è a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni poeti diedero al volgar nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi polulo eguagliarli: che nel secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per soverchio amore della lingua latina e per pusillanimità degli uomini d’Italia : che nel secolo XVI ſu dal Fortunio e dal Bembo ridollo a regole deter. minate ; e da molti ſu nobilmente adoperato in varii generi di scritture : che nel secolo XVII fu da talupo acconciamente impiegato ed ar ricchito di voci perlinenti alle scienze , fu da alcun altro scrillo con eleganza, ma venne da moltissimi in parte corrotto e rivolto in vanilà di falsi concelli: che nel XVIII finalmente ſu da pochi bene usato , e da moltissimi con pa role e modi forestieri vituperato . Tale essendo stata la fortuna di questa bellissima lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi sa lutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapienli , cioè quello di studiare agli antichi esemplari? Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava essere opera di gran probllo ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori del Lazio, quanto maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi, che viviamo in un secolo , ove gl'ita liani, pressoché tutti , più delle cose forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì, che punto non pare alle loro scritture che sieno stali allevati in Italia? Verissimo si ė (anche parlando delle arti) quello che dicono i politi ci, cioè che qualvolta le cose sieno pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro principii. Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro, che amano il profitto de' giovani nelle lettere umane ; pure sono al cuni cbe , deridendo coloro che studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza il darsi tanto pensiero delle parole ogni qualvolta si 1centisti , abbia cura dei concelli ; come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non dipenda dalla virtù di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla loro usanza o ne' soli domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo studio della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, non avendo au. torità , non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini di mente discreta non si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i giovanetti a studiare prima nelle opere de’ trecentisti, ne’ quali è dovizia di vocaboli proprii e di forme gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza , ed a riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei cinque che scrissero eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà: non dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del nostro secolo e cercare di piacer loro seguendo l'usanza? Perchè dunque vorremo che la gioventù studii ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivocazioni, e talvolta negligenza e stranezza nel costrutti? Perchè non vorremo consigliarla piullosto a leggere i soli scrillori del cinquecento, i quali seguitando le regole grammati. cali dettate dal Fortunio e da Bembo, non solo scrissero correttamente, ma trattarono eloquen temente di varie ed importanti materie? A queste obbiezioni risponderemo che si dee se guire l'usanza, del buon conversatore, l'usanza del volgo; che non si vuole negare che in molle opere del trecento non si trovino ma non fra la copia delle maniere proprie, nobili e graziose, varii difelli; ma che per questo non ci rimarremo da consigliare la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel secolo beato, e di leggere per tempo i suoi eccellenti scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è difficile il rendersi famigliari e domestiche le maniere native e gentili, altrettanto è facile di perdere l’abito di peccare contro la grammatica e contro l’uso. La predetta virtù non si può acquistare se non con lungo esercizio : il diſello si può togliere assai agevolmente dopo lo studio della grammatica, e dopoche per la filosofia e per la erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle parole e di ben distinguere la lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che per vecchiezza ban no perduta la grazia e la forza pativa, da quel le che sono ancora belle ed efficaci. Quanto allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per essere ulilissimo, essen do che molli eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua, che appresero da Alighieri, da Boccacio, da Petrarca e dagli altri tre centisti , emulando mirabilmente i romani in molli generi di scrilture: ma teniamo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al candore ed alla semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma gnificenza, la copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché lulti coloro, che sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla filosofia sieno ſalli ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella buccia, una nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i giovanelli esprimere con verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la tenera età , troveranno assai comodale al bi sogno le parole ed i modi usati da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia dell'italico sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo, in che a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora apprenderanno da Guicciardini gravità e nerbo; dal Segretario fiorentino sobrietà ed evidenza; dal Caro copia, efficacia e gentilezza; dal Casa splendore e magnificenza ; dal Galileo ordine e precisione; d’Ariosto e da Tasso i pregi lulli, ond' ė divina la poesia. Ma allo studio di quesli e degli altri molli, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di . sposto se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del trecento, da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o Giovani, è quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel cammino delle lettere, alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo contrario. Vi ho mo strato quali sieno gli elementi della Elocuzio ne; come nel contemperarli secondo le leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e final. mente come lo stile proceda da naturale di sposizione e come col sapere si perfezioni. Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio fanno l'arte, è vero altresì che arte senza uso poco giova: onde, se dallo stile cercate onore, vi sarà bisogno di neditare mollo, di leggere molto e di scrivere mollissimo. Grice: “It may be said that my transcendental Kantian approach to cooperative rational conversation is a response to Costa’s totally empiricist (or ‘sensista’ as he prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my imperative of conversational clarity), and brevita, eleganza, and all the categories that inform the maxims. Paolo Costa. Keywords: la teoria sensista della communicazione – idea dei chi proferisce la proposizione “Me diletta l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e la risponsa di nostre anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di questa rosa piu dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702675055/in/photolist-2mLMHZZ-2mKApHn-E4u3XA-Dw1w1R-Bq5Z5y-CnttUK-nUj619-nBUubW-hSTpSd-G7oMm2-G55xdb-DeWyrT-CnAGLH-CnAwSe-Bq5WiS-BP5SQX-BP5RLx-Cd2bAj-CkhJ9S-CkaHMd-CfbuaM-Bq5Mgn-BVfXy9-BpU9Z4-BNM5Tv-CnttHx-CntuMM-CntseF-CkaGvL-BpXSw7-Bq4Qqv-BNWG9n-BnHAG1-BnL2uc-CdAEaL-CfWKjF-CdDizG-C5w76F-p3gA2D-ofCmSF-ofJrso-ofUXeP-oevzEE-ofQJ3g-nNzkWw-o7QPSt-o5WCN5-o41RkA-o5yjTn-nPvfXy

 

Grice e Costanzi – amore e morte – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pozzuolo Umbro). Filosofo. Grice: “I like Costanzi; possibly my favourite of his essays is the one on ‘amore’ and ‘morte’ – eros and Thanatos for the Oxonian!” Si laurea a Bologna. Ensegna a Bologna. Altre opere: “Pensiero ed essere” (Perrella, Roma); “Varisco: l’uno e i molti” (Perrella, Roma); “Noluntas” (Perrella, Roma); “Schopenhauer” (Roma); “L'asceta moderno” – L’asceta -- Arte e storia, Roma; Spinoza, Universitas, Roma); “Il sentito in Platone” -- Arte e storia, Roma); “L'ascetica di Heidegger” Arte e storia, Roma); “L'ascesi di coscienza e l'argomento d’Aosta”, Arte e storia, Roma); “Meditazioni inattuali sull'essere e il senso della vita” Arte e storia, Roma); “La terrenità edenica del Cristianesimo e la contaminazione spiritualistica” (Patron, Bologna); “La donna angelicata e il senso della femminilità nel Cristianesimo” (Patron, Bologna); “La filosofia pura, Alfa, Bologna); “Il senso della storia, Alfa, Bologna); “Sul prologo di Zarathustra (Nietzsche e Schopenhauer) con trad. dello stesso Prologo, in Ethica; “L'etica nelle sue condizioni necessarie, Ed.ni di Ethica, Bologna); “L'estetica pia, Patron, Bologna); “L'ora della filosofia, R. Patron, Bologna); “L'uomo come disgrazia e Dio come fortuna” (Alfa, Bologna;  “La critica disvelatrice” (Ed.ne dell'Istituto di Filosofia dell'Bologna, Bologna); “Amore e morte” (L. Parma, Bologna); “La singolarità della diada: compimento di un itinerario senza vie” (Cooperativa libraria universitaria editrice, Bologna); “L'equivoco della filosofia cristiana e il cristianesimo-filosofia” (Clueb, Bologna; e ragioni della miscredenza e quelle cristiane della fede, Clueb, Bologna); “La fede sapiente e il Cristo storico” (Sala francescana di cultura Antonio Giorgi, Assisi); “La rivelazione filosofica” (Sala francescana di culturaAntonio Giorgi, Assisii); Il Cristianesimo: filosofia come tradizione di realtà” (Sala francescana di cultura, Assisi); “Breviloquio della sera” (Sala francescana di culturaAntonio Giorgi, Assisi); “L’immagine sacra” (Sala francescana di cultura, Assisi); “L'identità del Lumen publicum nelle privatezze di Anselmo e Tommaso” (Il Cristianesimo-filosofia, Le Lettere, Roma); Opere, E. Mirri e M. Moschini, Bompiani, Milano). Sgarbi torna a Tuoro per presentare l'opera omnia del filosofo Teodorico Moretti-Costanzi, "UmbriaLeft.  Il filosofo imagliato dal Sessantotto, "il Giornale"Dizionario Biografico degli Italiani. Teodorico Moretti Costanzi. Keywords: amore e morte, l’essere, il sentito, ascesi (verbo?), Zarathustra, il singolo della diada, l’uno e i molti, nolere, nolitum, volitum, amore/morte, eros/tanatos, immagine sacra, imaginatum, essere, un essere, due esseri, le due esseri entrambi – rivelazione – la rivelazione filosofica – a new discourse on metaphysics: from genesis to revelations – un nuovo discorso di metafisica: del genesi alle rivelazione. – Zarathustra e cristita --  nollere in Schopenhauer --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costanzi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770174255/in/dateposted-public/

 

Grice e Courmayeur – Hegel in Italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “The most interesting thing about Courmayeur’s philosophy is that he is a count; unlike Locke, or the common-or-garden English Oxonian philosopher who doesn’t have a dime, this one has, as the Italians say, ‘all the money in the world’! That helps with philosophy! His forte is moral philosophy AND HEGEL, which proves that Hegel becomes the taste of aristocrats and not just dons like Bosanquet!” - Dall'antica famiglia valdostana dei Passerin d'Entrèves et Courmayeur. Ottenuta la maturità classica al Massimo d'Azeglio di Torino, si laurea con Solari con “Hegel” (Torino, Gobetti). Studia sotto Ruffini e Einaudi la filosofia politica del medio evo e il concetto di costituzione. Insegna a Torino. Fu capitano di complemento degli Alpini e membro del CLN, dal quale venne nominato, primo prefetto di Aosta. Fu all'origine dello statuto della regione autonoma Valle d'Aosta.  Fra le sue opere più note, Il concetto dello stato, è considerata da molti la sintesi del suo pensiero storico-filosofico.  Oltre che filosofo del diritto e storico del pensiero politico, viene considerato il fondatore della filosofia politica italiana come disciplina a sé stante, finalmente distinta dalla filosofia dello stato. Paradossalmente ciò avviene proprio col saggio, “Il concetto dello stato”. Ben diversamente dall'ordinamento tematico della “Staatslehre” come pure dall'ordinamento cronologico per filosofi in uso nella filosofia politica, ordina la filosofia politica secondo uno schema concettuale schiettamente filosofico: "il concetto di forza – forzare ", "il concetto di potere" (il verbo ‘potere’); "il concetto di autorità – auctoritas --". Il concetto di faccia dello stato, secondo una scala di qualificazione crescente. Il concetto di "forza" (il forzare) e qualificato di un imperativo, un mando o commando efficace. Il concetto di "potere" (potere del giurato) contiene il concetto di forza (il forzare – come un mando o imperativo efficace), ma organizzato in una istituzione e qualificato dal ‘giurato’. Finalmente la terza faccia, il concetto di "autorità" come contenendo la second faccia del potere del giurato, qualificato da una concetto di legge variable: la promozione del giurato, la promozione del bene comune (la res publica), o la promozione della piccolo patria. Altre opere: Il concetto dello stato (Torino: Giappichelli); “La Valle d'Aosta, Bologna: Boni); “La filosofia della politica, Torino: UTET); “Filosofia politica nel medio evo italiano” (Torino: G. Giappichelli); “La filosofia politica d’Alighieri” (Einaudi, Torino); “Morale, diritto ed economia, Pavia: Libreria Internazionale F.lli Treves); “Morale, Roma: Athenaeum); “Appunti di storia delle dottrine politiche: la filosofia politica medioevale, Torino: Giappichelli);  “Il concetto dello stato in Zwingli", in Filosofia del diritto, Roma); La teoria del diritto e della politica in Inghilterra all'inizio dell'età moderna, Torino: Istituto giuridico della R. Università); “Obbedienza e resistenza” (Roma/Ivrea, Edizioni di Comunità). La piccola patria, Milano: Franco Angeli); Obbligazione Politica, Pensa Multimedia.  Dizionario biografico degli italiani. Biblioteca civica Passerin d'Entrèves. Grice: “It’s only natural that Courmayeur had such an intricate concept of ‘state’ – he was born in a minority, like Russell, who was born in a place which some called England, some called Wales. The situation is so borderline that it reminded me of my ancestors, the Ingvaeonic – and see all the problem the Frisians are having in Germany! Now they do recognise the ‘anglo-frisiche’ – but hardly allow them to vote!” “It is not clear how the collectivity has any bearing on the third state of ‘state’ – the ‘auctoritas’ – but then perhaps ‘auctoritas’ is the wrong concept, since it just means ‘author’ – Courmayeur is making the point that all authority is legitimate authority. “You have no authority” means ‘you have  no legitimate power’ – and you have no power, means you have no legal force, and you have no force means you cannot command!” As Courmayeur would say: it’s all different in valaestan, the vernacular of Aosta, which hardly has the same status as Italian (since giuridically Aosta belongs to Italy) or French (since French is the official language, along with Italian). But don’t ask that imperialist Crystal for an answer!” Alexandre Passerin d'Entrèves et Courmayeur. Alessandro Passerin d’Entrèves et Courmayeur. Courmayeur. Keywords: Hegel in Italia, hpiccola patria, il concetto dello stato, filosofia politica versus staatslehre, prima faccia: il forzare come imperativo efficace; seconda faccia: il potere come il forzare organizzato in una istituzione e qualificato dal giurato; la terza e ultima faccia: l’autorita, come il potere qualificator da una legge centrata in un concetto ideale variabile: il giurato, il bene comune (res publica), la piccolo patria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Courmayeur” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51769448478/in/dateposted-public/

 

Grice e Cotroneo – VIRTÙ – filosofia italiana – Luigi Speranza (Campo Calabro). Filosofo. Si laurea Messina sotto Volpe con “L’implicatura di Kierkegaard”. Ensegna a Messina. “Scritti”. “Lo storicismo di Cotroneo”. Altre opere: “Bodin teorico della storia” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Croce e l'Illuminismo” (Napoli, Giannini); “I trattatisti dell'arte storica” (Napoli, Giannini); “Storicismo antico e moderno” (Roma, Bulzoni); “Rareta e storia” (Napoli, Guida); “Societa chiusa, società aperta” (Messina, Armando Siciliano Editore); “La ragione della libertà” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Trittico siciliano: Scinà, Castiglia, Menza” (Roma, Cadmo); “Momenti della filosofia italiana” (Napoli, Morano); “Questione post-crociane” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Tra filosofia e politica” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Le idee del tempo. L'etica. La bioetica. I diritti. La pace, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Un viandante della complessità. Morin filosofo a Messina, Annamaria Anselmo, Messina, Armando Siciliano Editore); “Croce e altri ancora, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Etica ed economica” (Messina, Armando Siciliano Editore); “La virtù” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Croce filosofo italiano, Firenze, Le Lettere); “Illuminismo, Napoli, La scuola di Pitagora); “Libertà” (Napoli, La scuola di Pitagora); “Storia della filosofia, Napoli, La scuola di Pitagora); “Positivismo, Napoli, La scuola di Pitagora); “Filosofia della storia, Napoli, La scuola di Pitagora); “Rinascimento, Napoli, La scuola di Pitagora); “Aristotele e Perelman, Retorica vecchia e nuova” introduzione (Napoli, Il Tripode); La retorica di Aristotele, retorica antica, Perelman, Itinerari dell'idealismo italiano, Napoli, Giannini, Raffaello Franchini, Teoria della pre-visione” (Messina, Armando Siciliano Editore, Croce, La religione della libertà. Antologia degli scritti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il diritto alla filosofia, Atti del Seminario di studi su Raffaello Franchini” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Croce filosofo, Atti del Convegno di studi, Napoli-Messina” (Soveria Mannelli, Rubbettino); La Fenomenologia dello spirito” (Napoli, Bibliopolis); Cavour, Discorsi su Stato e Chiesa” (Soveria Mannelli, Rubbettino, Letteratura critica Giovanni Reale, Girolamo Cotroneo , in Dario Antiseri e Silvano Tagliagambe , Storia della filosofia, Milano, Bompiani, Lo storicismo di Cotroneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, Giuseppe Giordano, Tra Storia della Filosofia e Liberalismo, in Bollettino della Società Filosofica Italiana,  Roma, Carocci, Giuseppe Giordano, Rivista di storia della filosofia, Milano, Franco Angeli, Girolamo Cotroneo, in Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Cotroneo. Cotroneo. Keywords: VIRTÙ, retorica, retorica di Aristotele, retorica nuova, retorica moderna, Perelman, rareta e storia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cotroneo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51769142371/in/dateposted-public/

 

Grice e Cotta – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “My favourite explorations by Cotta are three: ‘per che violenza?” – “dalla guerra alla pace: un itinerario filosofico” and a secondary-literature study on ‘i concordati’ --- which is MY philosophy. You see, Plato thought that the soul resided in the brain – cool as he was – but Aristotle corrected him: it resides in the HEART – Cicero loved that and coined ‘cum-cor’ – i.e . something like my cum-operare: your hearts convene!” -- Grice: “I would say Cotta is Italy’s H. L. A. Hart, with a bonus – he wrote on essentialism, deontic logic, and from war to peace!”  Figlio di Alberto, studioso di scienze forestali, e Maria Nicolis di Robilant. Da parte di madre è discendente diretto di Eulero. Studia a Firenze presso l'istituto dei barnabiti La Querce. Si laurea a Firenze. Chiamato alle armi con il grado di sottotenente, il giorno dell'annuncio dell'armistizio, è in Friuli. Scioltosi l'esercito, scende in barca lungo l'Adriatico per raggiungere l'Italia non ancora occupata dai tedeschi. Ammalatosi di malaria, dopo svariate traversie decide di raggiungere il Piemonte, dove partecipa alla guerra di resistenza come comandante di una brigata partigiana nella VII Divisione Autonoma "Monferrato". È tra i primi ad entrare a Torino nei giorni della liberazione. Per la sua partecipazione alla guerra partigiana gli vengono attribuite la Medaglia di bronzo al valor militare e la Croce di guerra. Dopo gli studi sul pensiero politico dell'Illuminismo i suoi interessi si sono incentrati sulla filosofia giusnaturalistica, che è stato in grado di fondere con elementi della fenomenologia. Autore di saggi sulla visione politica di Montesquieu, Filangieri, Aquino ed Agostino, dedicandosi in seguito a riflessioni teoriche sul diritto e sulla politica. Insegna a Torino, Perugia, Trieste, Trento, Firenze, Roma, e Teramo. Fu tra i componenti del comitato promotore del referendum abrogativo della legge sul divorzio. Altre opere: “La società; “Il concetto di ‘legge’ in Filangieri” (Torino, Giappichelli); “Il concetto di ‘legge’ in Aquino” (Torino, Giappichelli). “Il concetto di Roma come città in Agostino”; “Filosofia e politica nell'opera di Rousseau”; “La sfida tecnologica”; “L'uomo tolemaico” – la ferita narcissista di Galileo – “Quale Resistenza?, Perché la violenza; “Il normato: tra il giurato e l’obbligato”; “Il diritto nell'esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica”; “Dalla guerra alla pace”; “l’uomo, la persona, il diritto umano”; “Il pensiero politico di Montesquieu, Bari, Laterza); “L’inter-soggetivo giurato”; “I limiti della politica, “Il sistema di valori e il diritto”; Perché il diritto Quid ius?” (Brescia, La Scuola). Stante la concessione chirografata dall'ex re Umberto II, Cotta puo fregiarsi del titulo nobiliare di “conte”, sia pure del tutto informalmente stante l'instaurazione dell'ordinamento repubblicano e la XIV disposizione finale e transitoria della Costituzione. Il conte Sergio Cotta. Keywords: l’inter-soggetivo, il giurato, il normato. La prima ferita narcissista, Filangieri, giurato, l’uomo galileano, l’obbligato, il normato, Latin ‘normare’ – not recognized in Dizionario etimologico – il giurato d’entrambi – il concordato d’entrambi – fenomenologia – Roma citta – polis, politea, res publica – pubblico e privato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cotta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51632110209/in/photolist-2mEy4wH-JPArAv-Zfi6xa-G8sBRD-G8ngaQ-G8ngbb-G8sCc8-FeZdU7-FKjBVw-FeZ7vW-G4yqy8-G4yjkg-G882Af-FKjB53-G886pN-G87Rb7-Gaqcai-FeZhzo-G4xwgx-Ffb7VF-FeXV8h-FKiTAG-G2gBt1-FKizHN-DMJ5kq-DTJ6Cy-DtW7ZW-CYDsFv-DTHDe1-DMLpjH-DMMWH2-DW3r8g-CYvvjy-CYDsVt-DtW3Mh-CYx7hC-DMNkfr-DW1RXk-CYDv8z-CYDWFZ-DtWvaC-CYwY2j-CYwYU1-CYx6eW-CNheVt-B4RdHR-B2BAa9-A6WGqH-Dcd6e3-Dcd9v3

 

Grice e Credaro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sondrio). Filosofo. Grice: “I like Credaro; it is as if he invented the universities! I especially love the way he connects it all, in that uniquely Italian way, with the ‘assoluto’!”  Si laurea a Pavia, dove fu convittore del Collegio Ghislieri, divenne insegnante di liceo. Wi recò a Lipsia per perfezionarsi nella psicologia filosofica sotto Wundt. Insegna a Pavia. Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia nei governi Luzzatti e Giolitti IV --  istituì il Liceo moderno. Relatore nella presentazione della Legge che istitutiva dei Corsi di perfezionamento, o più comunemente Scuole pedagogiche, di durata biennale, di preparazione per l'esercizio all'ispettorato o per la direzione didattica delle scuole. Fu l'ispiratore della legge Daneo-Credaro, che stabiliva che lo stipendio dei maestri delle scuole elementari fosse a carico del bilancio dello Stato, e non più dei Comuni, contribuendo così in maniera determinante all'eliminazione dell'analfabetismo in Italia. Prima di questa legge, infatti, i comuni di campagna e quelli più poveri, specie nel Sud, non erano in grado di istituire e mantenere scuole elementari e pertanto rendevano di fatto inapplicata la legge Coppino sull'obbligo scolastico.  Si interessa attivamente dei problemi agricoli e forestali di Sondrio. Autore di numerosi saggi, in particolare sui Kant eHerbart.  Commissario Generale Civile della Venezia Tridentina, ossia la suprema autorità del Trentino-Alto Adige che sta per essere fannesso all'Italia. In tale veste tentò una politica particolarmente conciliante verso la minoranza di lingua tedesca e rispettosa dell'ordinamento amministrativo de-centrato della regione. In seguito, anche a causa delle pressioni dei nazionalisti, la sua politica nei confronti della minoranza di lingua tedesca si fece più intransigente. Testimonianza ne è la cosiddetta Lex Corbino,elaborata da Credaro, sull'istituzione di scuole elementari nelle nuove province che è considerata da una parte della storiografia strumento per potenziare la presenza italiana soprattutto nel territorio misti-lingue della regione a danno della minoranza tedesca. Ciononostante, sube l'assalto di una squadra d'azione fascista che lo costrinse alle dimissioni per far luogo all'insediamento di un prefetto di Trento. Termina quindi la sua carriera politica in disparte rispetto al regime che si andava consolidando. Altre opere: “Lo scetticismo degli platonisti (Roma, Tip. alle Terme Diocleziane); La libertà di volere (Milano, Tip. Bernardoni); G. F. Herbart, Torino, Paravia), “Razionalismo trascendente in Italia” Catania, Battiato); Wundt (Milano, Società Anonima Editrice Dante Alighieri). Andrea Di Michele, L’italianizzazione imperfetta. L’amministrazione pubblica dell’Alto Adige tra Italia liberale e fascismo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, Analfabetismo, Dizionario biografico degli italiani, Credaro un italiano d'altri tempi articolo di Sergio Romano, Corriere della Sera,  Sondrio. Se il nome di Carneade non è completamente ignorato dalle persone colte, che non si occupano di storia della filosofia, si deve alla parte giuridica del suo pensiero, la cui conoscenza è tratta quasi interamente da pochi frammenti della famosa orazione (quasi-Trasimaco) *contro* il concetto dello giusto tenuta a Roma frammenti conservati da Lattanzio, il quale li ha presi dal trattato della repubblica di Cicerone. Questa orazione alla Trasimaco *contro* la coerenza del concetto dello giusto – gius – giustiziato, juratum, giurato cf. Cicero jusjuratum -- , che fa epoca nella storia della cultura del popolo romano, non deve essere considerata solamente un episodio della vita di Carneade, una semplice millanteria del facondo oratore, che volesse fare impressione sugli animi dei Romani; ma il suo contenuto deve venire integrato colle altre vedute di Carneade per cercarne il legame ed esaminarne il valore. A tale fine bisogna anche qui muovere dallo stoicismo. L'orazione *contro* lo giurato (Cicerone – iusiuratum) giustiziato ha qualche rapporto con esso? Si sa che tutti e tre i filosofi ambasciatori -- Carneade accademico, Diogene stoico e Critolao peripatetico -- durante il lungo soggiorno a Roma, sia per invito avuto dalla cittadinanza, che in quel tempo godeva la pice decorsa tra la battaglia di Pidna e la terza guerra punica, sia di propria iniziativa, per desiderio di far mostra di tutta la potenza della loro parola e della loro scienza filosofica, a beneficio eziandio della causa che patrocinavano, aprirono un corso di conferenze (A. Gell . Noct. Att. VI, 14, 8-10. Macrob. Saturn., 5, I , p.147-150). É probabile che tutti e tre filosofi – Carneade accademico, Critolao peripatetico del liceo – e Diogene stoico -- abbiano scelto l'argomento delle loro orazioni dalla filosofia pratica, come quella che interessa vivamente i loro ospiti, tutti dati alle armi, agli affari, alla politica, all'amministrazione; anzi e le cito supporre che ciascuno abbia esposte le idee della sua scuola – l’accademia, il liceo, e la stoa -- intorno al “giurato” – Cicerone iusiuratum, il principio o imperativo più importante della vita pubblica e privata. Il soggetto del giurato – Cicerone, iusiuratum – dove soddisfare pienamente le esigenze e i desideri dell'uditorio, poichè i romani, a ragione o a torto, si credeno gli uomini più giusti (giuratura, iusiuraturus) e alla virtù del giurato (Cicerone iusiuratum) attribuivano la grandezza, alla quale era pervenuta la propria patria. In questa ipotesi lo stoico Diogene, con parola modesta e sobria, come attesta Polibio, che ebbe opportunità di ascoltarlo, spiega ai Romani l'idealismo morale e il cosmo-politismo della sua setta. L'anima di tutti gli uomini è uguale; e come tutte le cose uguali si attraggono, cosi anche gli esseri razionali; per ciò l'istinto della società è insito nella stessa ragione, la quale insegna a ciascuno di noi che esiste una sola città , un solo stato, la grande società umana; ciascuno si sente parte integrante di questo immenso organismo governato da una sola legge (ius) e da un solo diritto, la retta ragione (ius). Questa legge (ius) conforme alla natura si fa sentire in tutti, immutabile, sempiterna, divina; invita col comando al dovere, col divieto allontana dalla frode. È suprema, assoluta; non è lecito crearne altre contrarie, nè abrogarla totalmente o parzialmente; non voto di popolo, non decreto di senato possono dispensare dall'ubbidirla; nessuno ha bisogno d'interprete per comprenderla; è la medesima in Atene e in Roma, oggi e domani e sempre; l'inventore e il promulgatore di essa è uno solo, il maestro e il comandante di tutti, Dio. Chi non vi obbedisce, va contro la natura e per questo fatto solo soffrirà tutte le pene. L'uomo pensa e opera moralmente (mos: costume) solo in quanto conformasi a questa unica legge; e poichè questa è la medesima in tutti gli uomini, tutti debbono tendere allo stesso scopo, al bene universale. Il uomo non deve vivere per sè, ma per l'umanità; l'interesse personale deve essere asso lutarnente subordinato a quello umano (1) Cic. , de fin . III , 64 ; de rep ; III, 33 ; Plut. , de comm. notit. XXXIV, 6. Zeller, p. 285 e 8). In questo stato politico ed etico regna perfetta concordia ed armonia. Tutti i cittadini hanno vivo il sentimento dell'ordine, coltivano la virtù e reprimono gli appetiti irrazionali, che sono la causa dell’inimicizia e della guerra (bellum, polemos). Sono sottomessi alla volontà divina, al fato, alla serie universale e interminabile delle cause e degli effetti. I doveri fondamentali sono il giurato (iusiuratum), in qua virtutis splendor est maximus, e la benevolenza e la beneficenza.Questedue virtù sono le basi della società civile (Cic. , de fin . III, 67). Intorno ad esse Diogene puo parlare a lungo ai Romani, perchè nella Stoa e stato soggetto di molte dispute e di scritti. Il suo tutore Crisippo gli aveva insegnato in proposito una dottrina propria. Tutti gli altri esseri sono nati per il bene degli uomini e degli dei, due uomini per formare una popolazione, una società, una comunanza, una communita, un comune; è inerente alla natura che tra l'uomo e il genere umano, come tra parte e tutto, interceda un diritto naturale. Colui che lo osserva è giusto (promuove il giurato – iusiurato); ingiusto chi lo trasgredisce. Tra il diritto pubblico e quello privato non avvi opposizione (Cic. , de fin . III, 67). Un uomo non si trova in rapporti giuridici con una bestia, ma solo con suo simile. Affinchè si realizzi il regno del giurato (iusiuratum) e della moralità occorre che la perfetta ragione sia presente in tutti. La ragione invece si trova solamente nel sapiente; si formarono quindi gli stati singoli, che tengono divisa l'umanità. Come gli stati, così le istituzioni che li governano sono effetto di errore e stoltezza: quali l’istituzione del matrimonio, l’istituzione della famiglia, l’istituzione della proprietà, l’istituzione dela moneta, l’istituzione del ribunale, l’istituzione del ginnasio (Diog. L. VII, 33 e 131). Stato conforme alla natura umana, con istituzioni veramente buone, non esiste. Edotto di questo idealismo politico, puo sul Campidoglio il pretore romano A. Albino, uomo erudito e versato nella lingua greca, dire per ischerzo volgendosi a Carneade. “A te, Carneade, non sembra io sia un pretore, nè questa una città, nè in essa abitino cittadini). A cui Carneade, che subito capisce di essere stato preso per il collega della Stoa. “A questo stoico non sembra cosi.” I filosofi ateniesi non lasciano di contendere neppure in paese straniero; o certo Carneade e stato assai lieto di osservare che al senso pratico dei romani la dottrina de' suoi avversari si presenta come assolutamente *ridicola*; e tornato in patria , credette il fatto degno di essere raccontato a' suoi discepoli (L'aneddoto è ricordato da Clitomaco. Cic. , Ac. II , 137). Sogliono gli storici narrarci che Carneade tenne a Roma *due* discorsi ispirati a scopo opposto. Il primo giorno dimostra l'esistenza del diritto naturale e loda la giustizia (il giurato – il iusiuratum – dike – cf. lex). Il secondo giorno sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità, all’audacia e alla sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di difendere contraddizione si anorme. Anche non tenendo conto che, se si applicasse questo criterio , tutta la filosofia dei accademici sarebbe un' immoralità, perchè il loro metodo e di difendere in ogni quistione le soluziori opposte. Idue discorsi (tesi ed antitesi, positio e contra-positio, posizione e contra-posizione), tenuti in giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la sintesi, o com-posizione) e si propongano il medesimo fine: mostrare la falsità della dottrina della tesi di Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in questa parte della filosofia, molto più che in altre, sono dipendenti da Platone e da Aristotele, bisogna prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio. Carneades autem, ut Aristotelem refelleret ac Platonem, justitiae patronos, prima illa disputatione collegit ea omnia , quae pro justitia dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades, quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam refellendi, quia refelli posse intellexit (Lattanzio , Instit. div. V , 14 ; V , 17. 2-4.). E al trove. Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui refelleret istorum (Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam, quæ fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil firmi de iustitia disputare (Ibid. Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la prima orazione non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione, un'esposizione delle idee accettate da Diogene, che Carneade s'appresta a confutare nel vegnente giorno (Cic., de rep. III, 12); confutazione, la quale non aveva per iscopo di vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la loro teoria dommatica – il domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma il sapere. Su questo si dovrà tornare più innanzi. E caso a noi pervennero frammenti solamente della seconda orazione. Questa sola offriva una filosofia nuova, dava una scossa inaspettata e forte all'intelligenza dei romani. Perciò eam disputationem, qua iustitia evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur (Lattanzio , Instit. dio. I. c.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo singolare di scorso nelle sue linee generali. Per Carneade, non esiste una giustizia (giurato – iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse le medesimecose sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o cattive, morali o immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le dolci e le amare. Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima diversità di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra il popolo romano e il popolo sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al Trastevere, da tempo a tempo. I cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il brigantaggio. I Lacedemoni dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto. Gli Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che loro apparteneva ogni terra che producesse olive e biade. I barbari galli stimano disonorevole cosa procurarsi il frumento col lavoro, invece che colle armi. I romani vietano ai Transalpini la coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli semitici egiziani, che hanno una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni genere. I semitici Persiani, disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e Alessandro manda ad esecuzione la guerra contro i greci per punire quei numi. I Tauri, gli Egiziani, i barbari galli (“Norma”) e i Fenici credeno che tornassero assai accetti alle loro deità il sacrifizio umano. Si dice: E dovere dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum) ubbidire alla legge. Quale legge? A la legge di ieri, o alla legge di oggi? A quelle fatte in questo lato del Tevere, o nel Trastevere? Se una un imperativo o una legge suprema, universale, trascendente, kantiana, costante s'impone alla coscienza dell’uomo, come pretende Diogene, coteste variazioni non sarebbero possibili. Perciò non esiste un diritto naturale, nè un uomo che per natura arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius) è una invenzione dell’uomo a scopo di utilità e didifesa; come prova anche il fatto che non raramente la legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura a questo sesso un particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’, attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera, per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della propria conservazione e felicità (Cic., de rep . III, 12-21). La storia insegna che ogni popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi altrui, ma unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando a un Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a Lelio il saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult , all'erudito Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone, l'implacabile nemico di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla presenza dei colti ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli altri, ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il criterio direttivo della vostra vita non e il  giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara; poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie* sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui , col rubire, siete per venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che avesse potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri esempi, che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o Alessandro, infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al cielo colle lodi, è la negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità del proprio paese, naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente il territorio altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è colui che acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e nazioni, colma l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che è peggio, non solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi esortano e incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità non manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia, che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono chiamarsire per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta , o per potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città, costituiscono una setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il popolo ha il sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo si chiama libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e una classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto fra popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la giustizia è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è naturale che cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni: recare *in-giuria* e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli repute ottima la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti. Poscia la terza, che dona quiete e sicurezza; ultima e più infelice la condizione di chi sia costretto ad essere continuamente in armi, sia perchè faccia, sia perché riceva *in-giurie”. Adunque alla Hobbes lo stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta (uomo uominis lupo), la guerra, la discordia , la rapina, la violenza , l'inganno, in una parola, la negazione del giurato (giusgiurato). La giustizia è una virtù che si esercita per effetto di debolezza e per proprio tornaconio. Ma Diogene, come vedemmo, considera il giurato (iusiuratum) verso gli uomini. Carneade dove notare che l’istituzione del tempio esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si acquista, non si allarga potere, non si fonda regno senza le armi, le guerre, le vittorie; le quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la distruzione di città. E dalle distruzioni non vanno immuni le oggetti addorati nei tempi, ne dalle stragi si sottragge il sacerdote del tempio; né dalle rapine i  tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splendidi i trionfi dei generali romani! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente non viene osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di risparmiare tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non sminuire la felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non ha mai l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il popolo attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto; bensì al sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il ‘scitum’ i generali di Roma hanno il soprannome di grandi. La violenza, la forza, la negazione del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma per nascondere la propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato (iusiuratum), il popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando delle favole da sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il comandare con la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del giurato (iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e soffocano il sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con qualunque mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di un individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa guisa parere *giustificati* (giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum -- anche gli atti di violenza e di frode, che avevano per I scopo la conservazione e la potenza del proprio stato; o, per meglio dire, il popolo e gl'individui non hanno coscienza di un principio o imperativo che governa la propria vita. Credeno, i Romani pei primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente negano il giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione tra fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum) (Cic. , de fin. II , 59). Il medesimo conflitto tra il giurato e il ‘scitum’ dimostra egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che sa difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede quello degli altri. Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e assai chiari e appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale vuole vendere uno schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre. Egli solo conosce questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si, s'acquista  fama di uomo onesto, perchè non inganna, maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto; se no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio, perchè inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore lo sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio, sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai, dovrai avvertirlo del pericolo , o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto; se parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep. III, 34). Dunque qui pure si presenta la contraddizione: chi è giusto, è stolto ; chi è sapiente, è ingiusto. Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe più spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare, vede un altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che vale a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e si pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo.  Cosicchè il giure naturale, la giustizia naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo -- principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto perchè e peggiore di quello . Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci credere che egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse un sentimento più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi il malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic . de leg. I , 40 e s.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità, inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per distinguere il giurato dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade, generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e altrettanta opinione, la quale non deriva da un imperativo kantiano, o un principio naturale fisso, come provano la loro varietà e il dissenso degli uomini (Cic. , de leg. I, 42 e s). Alla teoria giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o dommatico, che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula. NA Wundt/1/IV/D/XIII/1 Estate Wilhelm Wundt Zeitungsausschnitte 100. Geburtstag Wundt 1932. Last changed 2016-02-25 NA Wundt/III/1001-1100/1098/461-462. Estate Wilhelm Wundt Brief von Luigi Credaro an Wilhelm Wundt Last changed 2016-01-13. Luigi Credaro. Keywords: i sofisti, il giurato, iusiuratum, Carneade, il secondo discorso, contro Democrito, ragione pratica (saggezza), ragione teorica, a philosopher in political linguistics: German minority, Italian majority in Trento. Il prefetto di Trento. Lingua tedesca, lingua italiana, ordinamento amministrativode-centrato, Wundt, Kant, razionalismo trascendente, Herbart, scetticismo, accademia, prima accademia, seconda accademia, terza accademia,  liberta di volere, freewill, volere libero, ambiascata ateniense a roma, influenza dell’academia nell’elite romana – l’accademia come perfezionamento per la dirigenza romana, Wundt, positivismo, suggestione, i primordii del kantismo in Italia, Hegel vacuo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Credaro” – The Swimming-Pool Librrary. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51631460511/in/photolist-2mEuJp2

 

Grice e Crespi – Antonino e compagnia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “Crespi is an interesting figure; Strawson calls him an Englishman since he became a Brit! My favourite is his edition of Marcauurelio’s remembrances – which is a n irony: he was a roman, but left his remembrances in Hellenic; and the Italians needed a translation! It would be as if Pocahontas’s remembrances were in Anglo-Saxon!” Collaboratore della Critica sociale, si avvicina alle posizione modernista. Collaboraa Il Rinnovamento, L'Unità, La Rivoluzione liberale, Coenobium. Emigrato durante il fascismo, ospita numerosi esuli antifascisti. Altre opere: “Le vie della fede” (Roma, Libreria editrice romana); “Sintesi religiosa” (Firenze, Tip. Bonducciana di A. Meozzi); “L’impero romano” (Milano, Treves); “Dall'io al tu” (Modena, Guanda). Nunzio Dell'Erba, Rosselli e Sturzo, "Annali della Fondazione Ugo La Malfa", Luigi Sturzo, Mario Sturzo, Carteggio, Roma, Edizioni di storia e letteratura-Istituto Luigi Sturzo, Giovanni Bonomi, Angelo Crespi, Cremona, Padus). Angelo Crespi. Grice: “His essay on Antonino is brilliant – his philosophy of history is controversial. Keywords: la filosofia dell’impero romano, impero, impero romano, impero britannico, funzione dell’impero, funzione storica dell’impero, filosofia imperial, imperialismo, imperialismo romano, imperialism britannico, post-imperialismo, Antonino.  Filosofia della storia – aporie, lingua latina, impero romano, lingua nazionale, nazione romana, nazione italiana, lingua italiana, lingua fiorentina, lingua toscana, toscano, -- Refs.: Luigi Speranza, “Crespi e Grice” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51767645268/in/dateposted-public/

 

Crespo

 

Grice e Croce – idealismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pescasseroli). Filosofo. Grice: “I would think the fashionable Englishwoman may think Croce is the most important philosopher that ever lived!” -- vide under “Grice as Croceian” -- Grice as Croceian: expression and intention -- Croce, B., philosopher. I genitori appartenevano a due abbienti famiglie abruzzesi: la famiglia Sipari, quella materna, originaria della stessa Pescasseroli, ma radicatasi anche in Capitanata e Terra di Lavoro, particolarmente legata agli ideali liberali, e l'altra, quella paterna, originaria di Montenerodomo (in provincia di Chieti), ma trapiantata a Napoli, legata invece ad una mentalità di stampo borbonico[9]. Croce crebbe in un ambiente profondamente cattolico, dal quale però, ancora adolescente, si distaccò, non riaccostandosi più per tutta la vita alla religiosità tradizionale.  Il terremoto di Casamicciola A diciassette anni perse i genitori, Pasquale Croce e Luisa Sipari, e la sorella Maria, periti  durante il terremoto di Casamicciola, nell'isola d'Ischia, dove Croce si trovava in vacanza con la famiglia. Un terremoto durato non più di 90 secondi ma dalla potenza devastatrice enorme - e per questo rimasto come esempio terribile di distruzione nel modo di dire delle popolazioni coinvolte - dove lo stesso Benedetto rimase «sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo. Il "problema del male", in sottofondo alla sua filosofia ottimistica sul progresso, rimarrà insoluto, se non addirittura negato, e dietro le quinte del suo pensiero, influenzato da questi eventi giovanili come evidenziato dalle meditazioni private dei Taccuini personali. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio.Fra i primi ad accorrere in suo aiuto fu il cugino Paolo Petroni, la famiglia del quale lo assisté affettuosamente nei mesi seguenti nella loro residenza di campagna a San Cipriano Picentino, paese non troppo distante da Salerno. In seguito a questo tragico episodio fu affidato, assieme al fratello superstite Alfonso, alla tutela del cugino Silvio Spaventa, figlio della prozia Maria Anna Croce e fratello del filosofo Bertrando Spaventa, che, mettendo da parte dei dissapori storici che aveva con la famiglia Croce, lo accolse nella propria casa a Roma, dove il giovane Benedetto trascorse gli anni dell'adolescenza ed ebbe modo di formarsi culturalmente[14] fino all'età di vent'anni. Nel circolo culturale nella casa dello zio Silvio, Croce ebbe modo di frequentare importanti uomini politici ed intellettuali tra cui Labriola che lo inizierà al marxismo. Pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Napoli, Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a Roma tenute dal Labriola. Non terminò mai i suoi studi universitari, ma si appassionò a studi eruditi e filosofici, trascurando il pensiero hegeliano, di cui criticava la forma incomprensibile.  Il ritorno a Napoli Lasciata la Roma troppo accesa di passioni politiche, Tornò a Napoli, dove acquistò, per abitarvi, la casa dove aveva trascorso la sua vita Giambattista Vico, il filosofo napoletano amato da Croce per la concezione filosofica anticipatrice, per certi aspetti, della sua. Nel 1890 fu tra i fondatori della Società dei Nove Musi, un cenacolo di intellettuali. Compì numerosi viaggi in Spagna, Germania, Francia e Regno Unito mentre nella sua formazione culturale cresceva l'interesse per gli studi storici e letterari, in particolare per la poesia di Giosuè Carducci, e per le opere di Francesco De Sanctis. Attraverso Antonio Labriola con cui era rimasto in contatto, si interessò al marxismo, di cui però criticava come astorica la visione che dava del capitalismo. Da Marx risalì alla filosofia hegeliana che cominciò ad apprezzare e ad approfondire.  La fondazione de La critica e la vita politica Nel gennaio del 1903 uscì il primo numero della rivista La critica, con la collaborazione di Giovanni Gentile, e stampata a sue spese, allorché subentrò l'editore Laterza. Venne nominato per censo senator e fu Ministro della Pubblica Istruzione[16] nel quinto e ultimo governo Giolitti.  Con regio decreto dgli fu concesso il titolo di "Nobile". Elaborò una riforma della pubblica istruzione che fu poi ripresa e attuata da Giovanni Gentile.  Posizione nella prima guerra mondiale «Ardenti e vivacissime furono in quei dieci mesi le polemiche tra «interventisti» e «neutralisti», come erano chiamati non si può dire che [gli interventisti] avessero torto, come non si può dire che l'avessero i loro oppositori, perché dissidî di questa sorta non sono materia, nonché di tribunali, neppure di critica scientifica, e hanno questo carattere entrambe le tesi, appassionatamente difese, sono necessarie per l'effetto politico e, come suona il motto, che, se una delle due opposizioni non ci fosse, converrebbe inventarla. Più di un cosiddetto «neutralista» si sentiva talvolta scosso dalla tesi avversaria e inclinava ad accoglierla, e il medesimo accadeva a più di un «interventista. Storia d'Italia Bari, Laterza) Il filosofo, nella scelta tra le due posizioni, neutralismo o interventismo alla prima guerra mondiale, si rivolse alla prima; ma il suo era un neutralismo che contemperava le posizioni liberali con la possibilità dell'intervento (rimase comunque poco favorevole alla guerra, e, non obbligato ad arruolarsi, per limiti di età - 49 anni -, non andò mai al fronte a differenza di altri intellettuali come D'Annunzio, volontario. Scriveva a Bigot che era pronto ad accettare quella guerra che saremo costretti a fare, quale che sia, anche contro la Germania, ad accettarla come una dolorosa necessità, risoluto a non provocarla per ragioni antinazionali e settarie»  (B. Croce, Epistolario, Napoli) Il rapporto con il fascismo L'iniziale fiducia al governo fascista  Benedetto Croce nella sua biblioteca Inizialmente Croce fu vicino al fascismo[19]. Ascoltò e applaudì il discorso di Mussolini al teatro San Carlo di Napoli, durante l'adunata preparatoria per la marcia su Roma. In occasione delle votazioni al Senato, successive all'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, fu tra i 225 senatori che votarono la fiducia al governo Mussolini, insieme a Giovanni Gentile e Vincenzo Morello. In seguito Croce spiegò in un'intervista che il suo non era stato un voto fascista, aveva votato a favore del regime perché pensava che Mussolini, se sostenuto, poteva esser sottratto all'estremismo fascista a cui Croce faceva risalire la responsabilità del delitto Matteotti.  «Abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata. Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è condizionata al nostro beneplacito. Croce scrisse su Il Giornale d'Italiache il regime mussoliniano «non poteva e non doveva essere altro che un ponte di passaggio per la restaurazione di un più severo regime liberale».  La rottura e il Manifesto degli intellettuali antifascisti Il filosofo abruzzese si allontanò definitivamente dal regime allorché, su sollecitazione di Giovanni Amendola, scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti in replica al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Lo scritto, pubblicato sul quotidiano Il Mondo, tra l'altro sosteneva:  «Contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso. E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto che risplende di molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie nazioni. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d'altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamenti alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo. Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento.»  Secondo Norberto Bobbio, il Manifesto degli intellettuali antifascisti sancì l'assunzione da parte di Croce del ruolo di «coscienza morale dell'antifascismo italiano» e di «filosofo della libertà. Lo scritto segnò inoltre la rottura dell'amicizia con Gentile, a causa delle ormai inconciliabili divergenze filosofiche e politiche. In seguito Croce fu l'unica voce fuori dal coro tollerata dal regime. Il ruolo di Croce come coscienza dell'antifascismo è testimoniato, tra gli altri, da Primo Levi, che nel 1975 ricordò che negli anni del fascismo e della guerra, segnati per gli antifascisti da smarrimento morale, isolamento e incertezze, solo «La Bibbia, Croce, la geometria, la fisica, ci apparivano fonti di certezza. Il mio liberalismo è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco tutto.»  (Lettera a Alfieri) Rifiutò di entrare nell'Accademia d'Italia, e dopo un breve appoggio al movimento antifascista Alleanza Nazionale per la Libertà, fondato dal poeta Lauro De Bosis, si allontanò dalla vita politica, continuando peraltro ad esprimere liberamente le sue idee politiche, senza che il regime fascista lo censurasse, almeno esplicitamente. L'unico atto di ostilità violenta ed esplicita compiuto dal fascismo verso Croce fu la devastazione della sua casa napoletana avvenuta nel novembre del 1926[29]. Negli anni successivi, quelli della sua affermazione e del cosiddetto “consenso”, il fascismo ritenne Croce un avversario poco temibile, sostenitore com'era della tesi di un fascismo inteso come "malattia morale" inevitabilmente superata dal progresso della storia. Inoltre la fama di Croce presso l'opinione pubblica europea lo proteggeva da interventi oppressivi da parte del regime. Ebbe altresì blandi rapporti culturali con intellettuali in qualche modo vicini al regime, anche se marginali, come un carteggio epistolare con il tradizionalista Julius Evola, a cui espresse l'apprezzamento formale per due opere, da pubblicare presso Laterza con il benestare dello stesso Croce, Saggi sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto e, successivamente, La tradizione ermetica. Il governo fascista richiese ai docenti delle università italiane un atto di formale adesione al regime in base all'articolo 18 del regio decreto (il cosiddetto giuramento di fedeltà al fascismo). A seguito di tale provvedimento, i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non solo "alla patria", secondo quanto già imposto dal regolamento generale universitario del 1924, ma anche al regime fascista. In quell'occasione, Croce incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi Einaudi a rimanere all'università, «per continuare il filo dell'insegnamento secondo l'idea di libertà. Se la sua figura fu importante per l'area politica del liberalismo, la sua scuola ebbe durante tutto il ventennio fascista una platea assai più ampia di allievi[36]: del resto, già prima dalle sue idee avevano tratto esempio anche Antonio Gramsci[37] e il gruppo comunista de L'Ordine Nuovo.Polemica sulla Giornata della fede La non adesione di Croce al fascismo parve messa in discussione dal gesto compiuto durante la Guerra d'Etiopia, quando il filosofo, in occasione della "Giornata della fede" donò la propria medaglietta da senatore accompagnandola con questa secca lettera al presidente del Senato: «Eccellenza, quantunque io non approvi la politica del Governo, ho accolto in omaggio al nome della Patria, l'invito dell'E.V., e ho rimesso alla questura del Senato la mia medaglia, Il gesto “suscitò negli ambienti dell'antifascismo italiano, in patria e all'estero, sorpresa, dolore e polemiche” che colpirono dolorosamente Croce. Al termine di un drammatico colloquio con Bianca Ceva, inviata a sostenere il punto di vista degli antifascisti, dopo un iniziale tentativo di giustificazione, Croce affermò: “dica che io sono sempre lo stesso, che sono sempre con loro. Il regime varò la legislazione antisemita (Croce non era presente nell'aula del Senato, quale forma di protesta; egli fu uno dei pochi a esprimersi contro di esse a livello pubblico). Il governo inviò a tutti i professori universitari e i membri delle accademie un questionario da compilare ai fini della classificazione "razziale". Tutti gli interpellati risposero. L'unico intellettuale non ebreo che rifiutò di compilare il questionario fu Croce.  «L'unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me, che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata.[40]»  Il filosofo, invece di restituire compilata la scheda, inviò una lettera al presidente dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, in cui scrisse sarcasticamente:  «Gentilissimo collega, ricevo oggi qui il questionario che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l'avrei riempito, preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso domandare a un uomo che ha circa sessant'anni di attività letteraria e ha partecipato alla vita politica del suo paese, dove e quando esso sia nato e altre simili cose?»  (Benedetto Croce a Luigi Messedaglia, Presidente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti di Venezia, in A. CAPRISTO, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Torino, Zamorani,) Croce fu quindi espulso da quasi tutte le accademie di cui era membro, comprese l'Accademia Nazionale dei Lincei e la Società Napoletana di Storia Patria.  All'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, unica accademia che lo mantenne socio, alla fine della guerra Croce riconoscerà il merito di non averlo espulso durante il regime fascista. Dopo aver denunciato la persecuzione degli ebrei, Croce però critica anche gli atteggiamenti degli ebrei stessi, sia quelli che avevano aderito al fascismo, sia quelli che vivevano "separati", ritenendo la specificità ebraica come pericolosa per gli ebrei stessi: «Quando s'iniziò l'infame persecuzione contro gli ebrei, io ebbi, con un brivido di orrore, la piena rivelazione della sostanziale delinquenza che era nel fascismo, come chi fosse costretto ad assistere allo sgozzamento a freddo di un innocente e mi misi di lancio dalla loro parte con tutto l'esser mio per fare quello che per loro si poteva a lenire o diminuire il loro strazio. Molti danni e molte iniquità compiute dal fascismo non si possono ora riparare per essi come per altri italiani che le soffersero, né essi vorranno chiedere privilegi o preferenze, e anzi il loro studio dovrebbe essere di fondersi sempre meglio con gli altri italiani; procurando di cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire l'idea di popolo eletto, che è tanto poco saggia che la fece sua Hitler, il quale, purtroppo, aveva a suo uso i mezzi che lo resero ardito a tentarne la folle attuazione... [essi] disconoscono le premesse storiche (Grecia, Roma, Cristianità) della civiltà di cui dovrebbero venire a fare parte.»  (Lettera a Cesare Merzagora) Espresse quindi una posizione di perplessità per il sionismo. Il rientro nella vita politica Dopo la caduta del regime Croce rientrò in politica, accettando la nomina a presidente del Partito Liberale Italiano. Durante la Resistenza cercò di mediare tra i vari partiti antifascisti e nel 1944 fu Ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio, benché non stimasse né il Maresciallo né il re Vittorio Emanuele III, a causa della loro compromissione col fascismo. Subito dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) entrò a far parte del secondo governo Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, ma diede le dimissioni qualche mese dopo.  Egli avrebbe preferito l'abdicazione diretta del sovrano in favore del piccolo Vittorio Emanuele (con rinuncia di Umberto al trono), la reggenza a Badoglio e l'incarico di capo del governo a Carlo Sforza, ma i rappresentanti del Regno Unito si opposero.[46] Al referendum sulla forma dello Stato (2 giugno 1946) votò per la monarchia, inducendo tuttavia il Partito Liberale (di cui rimane presidente) a non schierarsi, per far sì che prevalesse sulla questione piena ed effettiva libertà di scelta, e dichiarando in seguito: «il buon senso fece considerare a quei milioni di votanti favorevoli alla monarchia, che, se anche essi avessero riportato la maggioranza legale, una monarchia con debole maggioranza non avrebbe avuto il prestigio e l'autorità necessaria, e perciò meglio valeva accettare la forma nuova della Repubblica e procurar di farla vivere nel miglior modo, apportandovi lealmente il contributo delle proprie forze.»[48]   Benedetto Croce con Enrico Altavilla e il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola Concetti che Croce aveva, nella loro sostanza, già espresso; ben prima che Umberto II, nel messaggio ribadisse tale indicazione. Eletto all'Assemblea Costituente, non accettò la proposta di essere candidato a Capo provvisorio dello Stato, così come in seguito rifiutò la proposta, avanzata da Luigi Einaudi, di nomina a senatore a vita. Si oppose strenuamente alla firma del Trattato di pace, con un accorato e famoso intervento all'Assemblea costituente, ritenendolo indecoroso per la nuova Repubblica. Fonda a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici destinando per la sede un appartamento di sua proprietà, accanto alla propria abitazione e biblioteca nel Palazzo Filomarino dove oggi ha sede la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce. Presidente dell'associazione PEN International e, negli stessi anni, entrò a far parte del Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli. Per un ictus cerebrale rimase semiparalizzato e si ritirò in casa continuando a studiare: morì seduto in poltrona nella sua biblioteca il 20 novembre 1952, all'età di 86 anni. I funerali solenni si tennero nella sua Napoli e le sue spoglie tumulate nella tomba di famiglia al Cimitero di Poggioreale. Il rapporto con la cultura cattolica «Pure filosofo quale sono io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall'umanità sia stato il cristianesimo, e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima[53]»  Il rapporto di Croce con la cultura cattolica variò nel corso del tempo. Agli inizi del Novecento i filosofi idealisti, come Croce e Gentile, avevano esercitato assieme alla cultura cattolica una comune critica al positivismo ottocentesco. Alla fine degli anni venti vi era stato un progressivo allontanamento della cultura laica e idealistica dalla cultura cattolica. Croce, pur non essendo un anticlericale militante, riteneva importante la separazione liberale tra Chiesa e Stato, propugnata da Cavour. La Chiesa con i Patti Lateranensi aveva ormai raggiunto un rapporto equilibrato con le istituzioni statali italiane distaccandosi quindi dalle posizioni politiche antifasciste dell'idealismo crociano. Croce fu contrario al Concordato e dichiarò apertamente in Senato che «accanto o di fronte ad uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i quali l'ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza. Mussolini gli rispose dichiarandolo «un imboscato della storia», e accusando il filosofo di passatismo e di viltà di fronte al progresso storico. Quando Croce scrisse la Storia d'Europa nel secolo decimonono, il Vaticano criticò aspramente l'autore che difendeva le filosofie esaltanti una religione della libertà senza Dio. Il Sant'Uffizio pose all'Indice nel 1932 questo libro ma, non ottenendo negli anni successivi da Croce un qualsiasi ripensamento, ninserì nell'elenco dei libri proibiti tutti i suoi scritti. La polemica anti-concordataria crociana vide l'adesione del giovane filosofo nonviolento e liberalsocialista Aldo Capitini che a Firenze, a casa di Luigi Russo, aveva avuto modo di conoscere Croce, a cui aveva consegnato un pacco di dattiloscritti che il filosofo napoletano aveva apprezzato e fatto pubblicare nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventarono uno tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista. La posizione personale di Croce nei confronti della religione cattolica è ben espressa nel suo saggio Perché non possiamo non dirci "cristiani", scritto nel 1942. Il termine "cristiani" inserito nel titolo tra virgolette non voleva indicare l'adesione a un credo confessionale, bensì la consapevolezza di un'inevitabile appartenenza culturale rappresentata nella sua particolare prospettiva dal fenomeno del cristianesimo: non si trattava di una professione di fede cristiana dovuta a un rinnegamento dell'agnosticismo come volle fare intendere la propaganda fascista[60], ma di riconoscere il valore storico e di «rivolgimento spirituale»:  «Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per la capacità dei princìpi cristiani di contrastare il neopaganesimo e l'ateismo propagandati dal nazismo e dal comunismo sovietico[61]:»  «...sono profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell'impulso dato da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho scritto una breve nota, di carattere storico, che pubblicherò appena ne avrò lo spazio disponibile. Del resto non sente Ella che in questa terribile guerra mondiale ciò che è in contrasto è una concezione ancora cristiana della vita con un'altra che potrebbe risalire all'età precristiana, e anzi pre-ellenica e pre-orientale, e riattaccare quella anteriore alla civiltà, la barbarica violenza dell'orda?[62]»  Croce, in sintesi, vede nel cristianesimo il fondamento storico della civiltà occidentale ma non ripudia l'immanentismo radicale del suo pensiero che vede nella religione un momento della realizzazione storica dello spirito che si avvia, superandolo, ad una più alta sintesi.[63]  All'Assemblea Costituente lotterà contro l'inserimento, voluto dalla DC, e dal comunista Togliatti[64], dei Patti Lateranensi nel secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana, giudicandolo come "sfacciata prepotenza pretesca". In vista delle elezioni politiche del 1948, tuttavia, si accordò con il segretario della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, per dare vita a un manifesto comune, Europa, cultura e libertà, contro i totalitarismi passati e presenti. A seguito della vittoria della DC, replicò severamente ai laici benpensanti schierati col Fronte Popolare che sbeffeggiavano il ceto umile e contadino di cui era composto in prevalenza l'elettorato cattolico:  «Beneditele quelle beghine di cui ridete, perché senza il loro voto e il loro impegno oggi non saremmo liberi.»  Nel 1950, lasciando disposizioni per la sua morte (che avverrà tre anni dopo) scriverà invece che la sensibilità religiosa della moglie cattolica le consentirà di evitare che un sacerdote tenti di "redimerlo" all'ultimo minuto, perché è "cosa orrenda profittare delle infermità per strappare a un uomo una parola che sano egli non avrebbe mai detta".  Croce fu legato sentimentalmente e convisse con Angelina Zampanelli, fino alla morte di lei. La coppia prese alloggio a Palazzo Filomarino, a Napoli. Angelina, sofferente di cuore, morì poco più che quarantenne a Raiano, dove insieme a Croce ella soggiornava spesso d'estate, presso il Palazzo Rossi-Sagaria, ospiti della cugina del filosofo, Maria Teresa Petroni, moglie di Valentino Rossi. Croce sposa a Torino, con rito religioso e poi civile, Adele Rossi, da cui ebbe cinque figli: Giulio, Elena, Alda, Lidia (moglie dello scrittore e dissidente anticomunista polacco Gustaw Herling-Grudziński) e Silvia.Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro filosofo, ma esercitare un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere dell'uomo.»  (Benedetto Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri, Sicilia Nuova Editrice, Milazzo. L'opera di Croce può essere suddivisa in tre periodi: quello degli studi storici, letterari e il dialogo con il marxismo, quello della maturità e delle opere filosofiche sistematiche e quello dell'approfondimento teorico e revisione della filosofia dello spirito in chiave storicista. Come idealista, ritiene che la realtà sia quella che viene concepita dal soggetto, in quanto riflesso della sua idea e interiorità, ed è convinto che la razionalità e la libertà emergano nella storia, pur tra immani difficoltà. La filosofia idealista riconduce totalmente l'essere al pensiero, negando esistenza autonoma alla realtà fenomenica, ritenuta il riflesso di un'attività interna al soggetto; l'idealismo, come in Hegel, implica una concezione etica fortemente rigorosa, come ad esempio nel pensiero di Fichte che è incentrato sul dovere morale dell'uomo di ricondurre il mondo al principio ideale da cui esso ha origine; in Croce questo ideale è la libertà umana. Definito da Gramsci "papa laico della cultura italiana", a sua filosofia ha goduto di enorme credito nella cultura italiana del XX secolo, perlomeno fino agli anni settanta e ottanta, in cui si sono levate molte critiche verso il suo approccio, ritenuto superato. Croce fu un intellettuale rispettato anche al di fuori dell'Italia: la rivista Time gli dedicò la copertina negli anni '30[7], e negli anni 2000, contestualmente alla rivalutazione del pensiero crociano, si è registrato l'interesse della collana editoriale dell'Università di Stanford, mentre la rivista statunitense di politica internazionale Foreign Affairs lo inserì tra i pensatori più attuali tra quelli del '900, accanto a intellettuali come Isaiah Berlin, Francis Fukuyama e Lev Trotsky. Parallelamente allo studio del marxismo, Croce approfondisce anche il pensiero di Hegel; secondo entrambi la realtà si dà come spirito che continuamente si determina e, in un certo senso, si produce. Lo spirito è quindi la forza animatrice della realtà, che si auto-organizza dinamicamente divenendo storia secondo un processo razionale. Da Hegel egli recupera soprattutto il carattere razionalistico e dialettico in sede gnoseologica: la conoscenza si produrrebbe allora attraverso processi di mediazione dal particolare all'universale, dal concreto all'astratto, per cui Croce afferma che la conoscenza è data dal giudizio storico, nel quale universale e particolare si fondono recuperando la sintesi a priori di Kant e lo storicismo di Giambattista Vico, suo altro filosofo di riferimento. Da destra, Giovanni Laterza, Stefano Jacini, Croce e Luigi De Secly. Il divenire e la logica della dialettica, in Hegel e in Marx, è esso stesso verità in movimento; anche per Croce la verità è dialettica, ma occorre esprimere un giudizio storico ed esistono delle regole che arginano la pretesa giustificativa di ogni fenomeno: in Croce lo Spirito - in quanto intelletto umano - si realizza nella storia ma nel rispetto della libertà. Per questo ogni fatto è quindi calato nella realtà storica, ma questo non può giustificare, con la scusa del divenire e del progresso, aspetti deplorevoli come, ad esempio, il totalitarismo fascista o comunista, il primo come necessario (concezione di Giovanni Gentile e della sua idea di realtà come atto puro di pensare e agire) e il secondo come fase storica obbligata (seguendo il concetto marxiano della dittatura del proletariato, di cui il filosofo tedesco parla nella sua teoria "razionalista" del materialismo storico). Quindi il materialismo dialettico di Engels e quello storico di Marx sono da ritenersi errati. In questo, il suo storicismo si differenzia dal pensiero di un altro filosofo liberale, Karl Popper, secondo cui dialettica e storicismo finiscono invece per generare quasi sempre totalitarismo (concezione assai diffusa nel pensiero del liberalismo novecentesco). Al contrario di Popper e Arendt, per Croce la radice totalitaria è proprio nell'antistoricismo, cioè nel rifiuto dello storicismo stesso. Il neoidealismo entrò in crisi, sostituito da nuove filosofie come l'esistenzialismo e la fenomenologia; sempre in nome del libertà e dell'umanesimo, Croce critica l'esistenzialista Martin Heidegger, divenuto poi anti-umanistico e colpevole di accondiscendenza verso il nazismo, definendolo anche "un Gentile più dotto e più acuto, ma sostanzialmente della stessa pasta morale"[79]; esprime così nel 1939 un tagliente giudizio sul filosofo di Essere e tempo: «Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust cattedratico, egli che, nei suoi libri non ha dato mai segno di prendere alcun interesse o di avere alcuna conoscenza della storia, dell'etica, della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita spirituale nelle sue varie forme - quale decadenza a fronte dei filosofi, veri filosofi tedeschi di un tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! -, oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero attore, l'umanità. [...] E così si appresta o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la filosofia.»  (Conversazioni Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza. L'asserzione di Hegel che "la storia sia storia di libertà" viene da Croce inquadrata nella sua concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale nascere, nel successivo crescere e infine nel raggiungimento di uno stadio finale e definitivo di maturità.[74]  Croce fa proprio questo detto hegeliano chiarendo però che non si vuole «assegnare alla storia il tema del formarsi di una libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia. Come tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I popoli e gli individui anelano sempre alla libertà, e come dice Hegel «ciò che è razionale è reale» (cioè la ragione concepisce quello che può diventare reale) e «ciò che è reale è razionale» (cioè esiste un'intrinseca razionalità, anche minima, in ogni fenomeno storico, anche se non tutto il reale è ovviamente razionale). Alcuni storici, senza ben rendersi conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha abbandonato la scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe dire che è morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa sostituire quello della libertà «che è l'unica che faccia battere il cuore dell'uomo, nella sua qualità di uomo». Ciò significa che la libertà non è una fase di presa di coscienza che conduce allo Stato etico o al socialismo, venendo superata, ma è essa stessa la verità nel divenire, non una fase. Egli critica Hegel, poiché secondo lui il filosofo ha concepito la dialettica in modo riduttivo, ovvero semplicemente come dialettica degli opposti, mentre secondo Croce sussiste anche una logica dei distinti: non ogni negazione è infatti opposizione, ma può essere semplice distinzione. Ciò significa che certi atti ed eventi devono essere sempre considerati appunto distinti rispetto ad altri ordini di atti ed eventi, e non ad essi opposti. Elabora, quindi, un vero e proprio sistema, da lui denominato la filosofia dello spirito. Inoltre, la prima importante differenza con Hegel è che nel sistema crociano non vi rientra né la religione, né la natura. La religione sarebbe infatti un complesso miscuglio di elementi poetici, morali e filosofici che le impediscono di presentarsi come forma autonoma dello Spirito. La natura poi non è altro che l'oggetto "mascherato" dell'attività economica, è il frutto della considerazione economica diretta al mondo. Qui la realtà in quanto attività (ovvero produzione dello spirito o della storia) è articolata in quattro forme fondamentali, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado (particolare o universale): estetica (teoretica - particolare), logica (teoretica-universale), economia (pratica - particolare), etica (pratica - universale). La relazione tra queste quattro forme opera la suddetta logica dei distinti, mentre all'interno di ognuna di esse si ha la dialettica degli opposti.[73] All'interno dell'estetica infatti si ha opposizione dialettica tra bello e brutto, all'interno della logica, l'opposizione è tra vero e falso; nella economia tra utile e inutile e infine nell'etica tra bene e male.  Estetica Croce scrisse anche importanti opere di critica letteraria (saggi su Goethe, Ariosto, Shakespeare e Corneille, "La letteratura della nuova Italia" e "La poesia di Dante"). Egli si mosse nell'ambito della sua teoria estetica che mirava alla scoperta delle motivazioni profonde dell'ispirazione artistica. Quest'ultima era ritenuta tanto più valida quanto più coerente con le categorie di bello-brutto. La prima parte della teoria estetica la ritroviamo in opere come Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, Breviario di estetica e Aesthetica in nuce. In seguito modificò questa iniziale teoria stabilendo per la storia un nesso con la filosofia. L'estetica, dal significato originario del termine aisthesis (sensazione), si configura in primo luogo come attività teoretica relativa al sensibile, si riferisce alle rappresentazioni e alle intuizioni che noi abbiamo della realtà.  Come conoscenza del particolare l'intuizione estetica è la prima forma della vita dello Spirito. Prima logicamente e non cronologicamente poiché tutte le forme sono presenti insieme nello spirito. L'arte, come aspetto dell'Estetica, è una forma della vita spirituale che consiste nella conoscenza, intuizione del particolare che:  come forma dello spirito, come creatività non è sensazione, conoscenza sensibile che è un aspetto passivo dello spirito rispetto ad una materia oscura e ad esso estranea; come conoscenza (prima forma dell'attività teoretica) non ha a che fare con la vita pratica. Bisogna quindi respingere tutte le estetiche che abbiano fini edonistici, sentimentali e moralistici; quale espressione di un valore autonomo dello spirito, l'arte non può né deve essere giudicata secondo criteri di verità, moralità o godimento; come intuizione pura va distinta dal concetto che è conoscenza dell'universale: compito proprio della filosofia. L'arte può essere definita quindi come intuizione-espressione, due termini inscindibili per cui non è possibile intuire senza esprimere né è possibile espressione senza intuizione. Ciò che l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica, letteraria, musicale ecc.) che egli per ispirazione crea da una considerazione del reale, nel senso che l'opera artistica è l'unità indifferenziata della percezione del reale e della semplice immagine del possibile. La distinzione tra arte e non arte risiede nel grado di intensità dell'intuizione-espressione. Tutti noi intuiamo ed esprimiamo: ma l'artista è tale perché ha un'intuizione più forte, ricca e profonda a cui sa far corrispondere un'espressione adeguata. Coloro che sostengono di essere artisti potenziali poiché hanno delle intense intuizioni ma che non sono capaci di tradurre in espressioni, non si rendono conto che in realtà non hanno alcuna intuizione poiché se la possedessero veramente essa si tradurrebbe in espressione. L'arte non è aggiunta di una forma ad un contenuto ma espressione, che non vuol dire comunicare, estrinsecare, ma è un fatto spirituale, interiore come l'atto inscindibile da questa che è l'intuizione. Nell'estetica dobbiamo far rientrare anche quella forma dell'espressione che è il linguaggio che nella sua natura spirituale fa tutt'uno con la poesia. L'estetica quindi come una «linguistica in generale». Dall'estetica deriva la critica letteraria crociana, espressa in molti saggi. Della logica, Croce tratta essenzialmente nella Logica come scienza del concetto puro[83]); essa corrisponde al momento in cui l'attività teoretica non è più affidata alla sola intuizione (all'ambito estetico), ma partecipa dell'elemento razionale, che attinge dalla sfera dell'universale. Il punto di arrivo di questa attività è l'elaborazione del concetto puro, universale e concreto che esprime la verità universale di una determinazione. La logica crociana è anche storica, nella misura in cui essa deve analizzare la genesi e lo sviluppo (storico) degli oggetti di cui si occupa. Il termine logica in Benedetto Croce assume quindi un significato più vicino al termine dialettica ovvero ricerca storiografica. In genere, la Logica di Croce è lontana da criteri scientifico-razionali, e si ispira ai metodi dell'immaginazione artistica e dell'eleganza estetico-letteraria, nei quali il filosofo raggiunge risultati eccellenti. Di carattere decisamente diverso è invece la filosofia delle scienze fisiche, matematiche e naturali delle quali Croce non si occupa affatto nei suoi studi. Del resto, come segnala Geymonat nel suo Corso di filosofia - immagini dell'uomo, «la vera indubbia grandezza di Croce va cercata assai più nella sua opera di storiografo, di critico letterario, ecc., che non nella sua opera di filosofo. Gentile ai tempi del direttorato alla Scuola normale di Pisa. In ogni caso la logica e la filosofia della scienza è stata sviluppata in Italia da altre correnti di pensiero contemporaneo a quello crociano, con studiosi fra quali Peano e lo stesso Geymonat. Un orientamento parzialmente diverso ebbe invece Giovanni Gentile che, pur criticando gli eccessi del positivismo, intrattenne anche rapporti con matematici e fisici italiani e cercò di instaurare un rapporto costruttivo con la cultura scientifica. Invece Croce ebbe con la logica e la scienza un rapporto difficile. La sua posizione portò in Italia nella prima metà del Novecento ad uno scontro dialettico fra due culture contrapposte: quella artistico-letteraria e quella tecnico-scientifica. Il rapporto conflittuale con le scienze matematiche e sperimentali Un caso emblematico del giudizio di Benedetto Croce nei confronti della matematica e delle scienze sperimentali è la sua nota diatriba con il matematico e filosofo della scienza Federigo Enriques, avvenuta il 6 aprile 1911 in seno al congresso della Società Filosofica Italiana, fondata e presieduta dallo stesso Enriques. Questi sosteneva che una filosofia degna di una nazione progredita non potesse ignorare gli apporti delle più recenti scoperte scientifiche. La visione di Enriques mal si confaceva a quella idealistica di Croce e Gentile, come pure a gran parte degli esponenti della filosofia italiana di allora, per lo più formata da idealisti crociani.  Croce, in particolare, rispose ad Enriques[84], liquidando in modo deciso - "antifilosofico" secondo Enriques - la proposta di considerare la scienza come un valido apporto alle problematiche filosofiche e sostenendo, anzi, che matematica e scienza non sono vere forme di conoscenza, adatte solo agli «ingegni minuti» degli scienziati e dei tecnici, contrapponendovi le «menti universali», vale a dire quelle dei filosofi idealisti, come Croce medesimo. I concetti scientifici non sono veri e propri concetti puri ma degli pseudoconcetti, falsi concetti, degli strumenti pratici di costituzione fittizia.  «La realtà è storia e solo storicamente la si conosce, e le scienze la misurano bensì e la classificano come è pur necessario, ma non propriamente la conoscono né loro ufficio è di conoscerla nell'intrinseco. Sul tema Benedetto Croce sostenne, tra l'altro, che:  «Gli uomini di scienza [...] sono l'incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all'organismo filosofico-storico.»  (Benedetto Croce da Il risveglio filosofico e la cultura italiana, A proposito dello sviluppo novecentesco della logica matematica e dell'introduzione dei formalismi simbolici, ad opera di matematici e filosofi quali Gottlob Frege, Giuseppe Peano, Bertrand Russell, Benedetto Croce dichiarerà:  «I nuovi congegni [della logica matematica] sono stati offerti sul mercato: e tutti, sempre, li hanno stimati troppo costosi e complicati, cosicché non sono finora entrati né punto né poco nell'uso. Vi entreranno nell'avvenire? La cosa non sembra probabile e, ad ogni modo, è fuori della competenza della filosofia e appartiene a quella della pratica riuscita: da raccomandarsi, se mai, ai commessi viaggiatori che persuadano dell'utilità della nuova merce e le acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni adotteranno i nuovi congegni logici, questi avranno provato la loro grande o piccola utilità. Ma la loro nullità filosofica rimane, sin da ora, pienamente provata.»  (Benedetto Croce da Logica come scienza del concetto puro,Anni dopo, ancora scriveva che:  «Le scienze naturali e le discipline matematiche, di buona grazia, hanno ceduto alla filosofia il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o addirittura sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo e di pratica utilità, che non hanno niente da vedere con la meditazione del vero.»  (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e e schiarimenti filosofici e ribadiva come:  «Le finzioni delle scienze naturali e matematiche postulano di necessità l'idea di un'idea che non sia finta. La logica, come scienza del conoscere, non può essere, nel suo oggetto proprio, scienza di finzioni e di nomi, ma scienza della scienza vera e perciò del concetto filosofico e quindi filosofia della filosofia.»  (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici. Tuttavia ebbe altresì un cordiale e rispettoso scambio epistolare con Albert Einstein. Secondo diversi storici e filosofi (es. Giorello, Bellone, Massarenti), l'influenza antiscientifica di Croce e di Gentile[90] sarebbe stata fortemente deleteria sia sul piano dell'istituzione scolastica per gli orientamenti pedagogici della scuola italiana, che si sarebbe indirizzata prevalentemente agli studi umanistici considerando quelli scientifici di secondo piano, sia per la formazione di una classe politica e dirigente che attribuisse importanza alla scienza e alla tecnica e portando, per conseguenza, ad un ritardo dello sviluppo tecnologico e scientifico nazionale.  «[La scuola] sarà caratterizzata dal primato dell'umanesimo letterario e in particolare dell'umanesimo classico. Tutte le istituzioni culturali saranno improntate al primato delle lettere, della filosofia e della storia. Giorello nel quarantennale della morte di Croce ha scritto che "predicò la religione della libertà e per questo gli siamo riconoscenti. Ma la sua condanna della scienza e la sua estetica hanno causato danni gravissimi alla nostra cultura. Che ora esige riparazione.  Lo stesso Giorello però ha in parte ritrattato l'affermazione, negando che sia da attribuire a Croce il mancato sviluppo scientifico italiano, adducendo che quelle che lui considerava una "colpa" sarebbero da accreditare maggiormente alla Chiesa, agli scienziati stessi e alla classe politica, più che all'idealismo, che trascura le scienze ma nemmeno le ostacola, definendo la filosofia di Croce «interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza. Croce riteneva le scienze umane e sociali prive di qualunque validità e del tutto inutili per lo studio dei fenomeni umani. Lui stesso dichiarò più volte di non riuscire a capire perché si dovesse sprecare del tempo a studiare «i cretini, i bambini e i selvaggi, quando esistono pensatori come Kant. ilosofia della pratica «La legge morale è la suprema forza della vita e la realtà della Realtà.»  (Filosofia della pratica. Etica ed economica, Laterza, Bari) Economia ed etica vengono trattate in Filosofia della pratica. Economica ed etica. Croce dà molto rilievo alla volizione individuale che è poi l'economia, avendo egli un forte senso della realtà e delle pulsioni che regolano la vita umana. L'utile, che è razionale, non sempre è identico a quello degli altri: nascono allora degli utili sociali che organizzano la vita degli individui. Il diritto, nascendo in questo modo, è in un certo qual senso amorale, poiché i suoi obiettivi non coincidono con quelli della morale vera e propria. Egualmente autonoma è la sfera politica, che è intesa come luogo di incontro-scontro tra interessi differenti, ovvero essenzialmente conflitto, quello stesso conflitto che caratterizza il vivere in generale. Croce critica anche l'idea di Stato etico elaborata da Hegel ed estremizzata da Gentile: lo Stato non ha nessun valore filosofico e morale, è semplicemente l'aggregazione di individui in cui si organizzano relazioni giuridiche e politiche. L'etica è poi concepita come l'espressione della volizione universale, propria dello spirito; non vi è un'etica naturale o un'etica formale, e dunque non vi sono contenuti eterni propri dell'etica, ma semplicemente essa è l'attuazione dello spirito, che manifesta in modo razionale atti e comportamenti particolari. Questo avviene sempre in quell'orizzonte di continuo miglioramento umano. Teoria e storia della storiografia «La storia non è giustiziera, ma giustificatrice»  (Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia) La storia e lo spirito: lo storicismo assoluto  Giambattista Vico Come si evince anche da Teoria e storia della storiografia la filosofia di Croce, ispirata soprattutto a Giambattista Vico, è fortemente storicista. Per ciò, se volessimo riassumere con una formula la filosofia di Croce, questa sarebbe storicismo assoluto, ossia la convinzione che tutto è storia, affermando che tutta la realtà è spirito e che questo si dispiega nella sua interezza all'interno della storia. La storia non è dunque una sequela capricciosa di eventi, ma l'attuazione della Ragione. La conoscenza storica ci illumina a proposito delle genesi dei fatti, è una comprensione dei fatti che li giustifica con il suo dispiegarsi. Si delinea in quest'ottica il compito dello storico: egli, partendo dalle fonti storiche, deve superare ogni forma di emotività nei confronti dell'oggetto studiato e presentarlo in forma di conoscenza. In questo modo la storia perde la sua passionalità e diviene visione logica della realtà. Quanto appena affermato si può evincere dalla celebre frase «la storia non è giustiziera, ma giustificatrice». Con questo afferma che lo storico non giudica e non fa riferimento al bene o al male. Quest'ultimo delinea, inoltre, come la storia abbia anche un preciso orizzonte gnoseologico, poiché in primo luogo è conoscenza, e conoscenza contemporanea, ovvero la storia non è passata, ma viva in quanto il suo studio è motivato da interessi del presente. Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni.La storiografia è in seconda istanza utile per comprendere l'intima razionalità del processo dello spirito, e in terzo luogo essa è conoscenza non astratta, ma basata su fatti ed esperienze ben precise. Anche se subisce l'influsso dello storicismo di Voltaire, Croce critica gli illuministi e in generale tutti coloro che pretendono di individuare degli assoluti che regolino la storia o la trascendano: invece la realtà è storia nella sua totalità, e la storia è la vita stessa che si svolge autonomamente, secondo i propri ritmi e le proprie ragioni.  La storia è un cammino progressivo per cui «Nulla c'è al di fuori dello spirito che diviene e progredisce incessantemente: nulla c'è al di fuori della storia che è per l'appunto questo progresso e questo divenire. Ma il positivo destinato a superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati non sono mai scontati né prevedibili. La storia diviene, allora, anche storia di libertà, dei modi in cui l'uomo promuove e realizza al meglio la propria esistenza. La libertà si traduce, sul piano politico, in liberalismo: una sorta di religione della libertà o di metodo interpretativo della storia e di orientamento dell'azione, che è imprescindibile nel processo del progresso storico-politico, come si evince dal volume del 1938 La storia come pensiero e come azione Per Croce la libertà può essere apprezzata solo difendendola costantemente in maniera dialettica, poiché la storia è necessariamente contrasto. Chi desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente, pensi per un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come dall'immagine, peggio che della morte, della noia infinita.»  (La storia come pensiero e come azione). Ciò però non vuol dire che Croce giustifichi la violenza come necessaria; nello stesso saggio ammonisce infatti che «la violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla».  La concezione storica crociana ebbe grande seguito in Italia per molto tempo ed ebbe notevole influenza anche all'estero, ad esempio per quanto riguarda la formazione del maggior storico americano del nazismo, George Mosse. Croce interviene al congresso liberale. Croce critico letterario, specie quello di Poesia e non poesia, esercitò molta influenza successiva, quasi una "dittatura intellettuale sulla cultura italiana, ma ricevette anche critiche: ad esempio furono ritenute scorrette, "pseudoconcetti" (riprendendo una parola usata da Croce), poiché non presentate come opinione personale ma come veri canoni estetici, varie tesi, come la sua opposizione alle novità letterarie europee, esemplificate dalle stroncature verso gran parte dell'opera di Gabriele D'Annunzio, Giovanni Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di Myricae e dei Canti di Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili), del crepuscolarismo e di Giacomo Leopardi: di quest'ultimo salvò, nei Canti, gli idilli e i canti pisano-recanatesi, ma criticò le poesie "dottrinali" e polemiche (in particolare i Paralipomeni della Batracomiomachia e la Palinodia al marchese Gino Capponi) e le opere filosofiche (apprezzò solo una minima parte delle Operette morali), affermando che quella leopardiana non era vera filosofia, ma solo uno sfogo poetico in prosa, inferiore comunque alle liriche, dovuto esclusivamente alle condizioni fisiche e psicologiche del poeta recanatese. Croce non considera Leopardi un vero filosofo, come Schopenhauer, a cui invece riconosce dignità filosofica ma che non apprezza come individuo poiché ritenuto cinico e indifferente, ma solo un pensatore, il cui pensiero è essenzialmente al servizio della sua poesia. Sulla scorta di Francesco de Sanctis, esprime simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito civile, l'impegno e la lotta eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso nella poesia La Ginestra. Egli fu grande ammiratore soprattutto del Carducci, in quanto classicista, razionale e sentimentale al tempo stesso, ma senza scadere nel sentimentalismo irrazionale, e, a proposito del decadentismo e degli autori di questo movimento, scrisse, in Del carattere della più recente letteratura italiana: «Nel passare da Giosuè Carducci a questi tre, sembra, a volte, come di passare da un uomo sano a tre malati di nervi». La polemica contro il decadentismo è figlia di quella contro il positivismo: Croce sostiene che il misticismo decadente, che egli disapprova come sintomo di vuoto spirituale e filosofico (Croce è razionalista e idealista al tempo stesso), è figlio dello scientismo positivistico e delle pseudoscienze da esso generate (come lo spiritismo): «Di qua il positivismo, di fronte il misticismo; perché questo è figlio di quello: un positivista dopo la gelatina dei gabinetti, non credo abbia altro di più caro che l'inconoscibile, cioè la gelatina dove si coltiva il microbio del misticismo». Le opere di Croce spaziano dalla filosofia, alla storiografia, all'aneddotica, alla critica letteraria e all'erudizione storica. Qui si indicano le più importanti. Per un elenco completo si veda L'opera di Benedetto Croce, bibliografia a cura di S. Borsari, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, I principi dell'estetica crociana, oltre ad essere formulati in opere organiche, trovarono anche applicazione critica in prefazioni e curatele di opere altrui. Tale è, ad esempio, la prefazione all'opera di Tommaso Parodi, Poesia e letteratura: conquista di anime e studi di critica, pubblicata postuma nel 1916 da Laterza, a cura del Croce. Il filosofo napoletano collaborò inoltre con numerosi articoli su vari argomenti pubblicati su molti giornali e riviste stranieri e italiani (Cfr. Panetta, Settant'anni di militanza: Croce, tra riviste e quotidiani) Ad esempio la sua collaborazione con il quotidiano Il Resto del Carlino durò per più di 40 anni. Filosofia dello spirito Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale Logica come scienza del concetto puro Filosofia della pratica. Economica ed Etica Teoria e storia della storiografia; Problemi di estetica e contributi alla storia dell'estetica italiana La filosofia di Vico Saggio sullo Hegel seguito da altri scritti di storia della filosofia Materialismo storico ed economia marxistica Nuovi saggi di estetica Etica e politica. La poesia. Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura La storia come pensiero e come azione Il carattere della filosofia moderna Discorsi di varia filosofia; Filosofia e storiografia; Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici; Perché non possiamo non dirci "cristiani"; Primi saggi Cultura e vita morale L'Italia. Pagine sulla guerra Pagine sparse; Nuove pagine sparse; Terze pagine sparse; Scritti e discorsi politici; Carteggio Croce-Vossler; B. Croce - G. Papini, Carteggio; Il caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana; Saggi sulla letteratura italiana del Seicento La rivoluzione napoletana del 1799 La letteratura della nuova Italia; I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza Conversazioni critiche Storie e leggende napoletane Manifesto degli intellettuali antifascisti Goethe Una famiglia di patrioti ed altri saggi storici e critici Ariosto, Shakespeare e Corneille Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono; La poesia di Dante Poesia e non poesia Storia del Regno di Napoli Uomini e cose della vecchia Italia Storia d'Italia; Storia dell'età barocca in Italia Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento Storia d'Europa nel secolo decimonono Poesia popolare e poesia d'arte Varietà di storia letteraria e civile Vite di avventure, di fede e di passione Poesia antica e moderna Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento La letteratura italiana del Settecento Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia Aneddoti di varia letteratura Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro Edizione nazionale La casa editrice Bibliopolis ha in corso di pubblicazione l'edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce, promossa con Decreto del Presidente della Repubblica. Eugenio Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, Enciclopedia italiana Treccani alla voce "neoidealismo"  Emanuele Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia contemporanea, Milano, Rizzoli, Giulio Giorello, Dimenticare Croce?  Benedetto Croce - Senato  Partito Liberale Italiano «nato nel 1924, sciolto durante il fascismo e ricostituito». In Enciclopedia Treccani alla voce "Partito Liberale Italiano"  Pagina jpg del Corriere del Mezzogiorno: Luigi Mosca, L'America innamorata di Croce. La prestigiosa rivista USA "Foreign Affairs" lo incorona tra i pensatori più attuali, Einaudi infatti sosteneva che «il liberismo non è né punto né poco "un principio economico", non è qualcosa che si contrapponga al liberalismo etico; è una "soluzione concreta" che talvolta e, diciamo pure, abbastanza sovente, gli economisti danno al problema, ad essi affidato, di cercare con l’osservazione e il ragionamento quale sia la via più adatta, lo strumento più perfetto per raggiungere quel fine o quei fini, materiali o spirituali che il politico o il filosofo, od il politico guidato da una certa filosofia della vita ha graduato per ordine di importanza subordinandoli tutti al raggiungimento della massima elevazione umana.» (in G.Einaudi, Il buongoverno. Saggi di economia politica, a cura di E. Rossi, Il filosofo, rispettivamente nel 1919 e nel 1922, dedica ai paesi degli avi, sia paterni che materni, due monografie, intitolate Montenerodomo: storia di un comune e due famiglie e Pescasseroli, uscite per Laterza e in seguito collocate in appendice alla Storia del Regno di Napoli (Laterza, Bari).  È noto, a tal proposito, l'aneddoto narrato in un testo coevo, secondo il quale il padre del filosofo, prima di morire tra le macerie, avrebbe detto al figlio «offri centomila lire a chi ti salva». Cfr. C. Del Balzo, Cronaca del tremuoto di Casamicciola, Tip. De Blasio e C., Napoli, Un'analisi di quella traumatica esperienza anche in relazione all'opera di Croce è in S. Cingari, Il giovane Croce. Una biografia etico-politica, Rubbettino, Soveria Mannelli, Il problema del male nell’indagine di Cucci. Testimonianza di Croce sul terremoto  Benedetto Croce, Memorie della mia vita, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1966.  "Il superstite è accolto allora nella casa romana del politico Silvio Spaventa, cugino del padre e fratello del filosofo Bertrando. Il lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non stupisce che questa miscela abbia precipitato il giovane in una crisi d’ipocondria; e l’ostentato contegno olimpico dell’adulto deriva forse da questo periodo oscuro. «Quegli anni», confessa l’autore del Contributo, furono «i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino». Nella Roma del trasformismo, Benedetto si chiude in biblioteca. Ma a scuoterlo è Antonio Labriola, che con le lezioni sull’etica di Herbart gli offre un appiglio cui aggrapparsi nel naufragio della fede. Croce ricorda di averne recitato più volte i capisaldi sotto le coperte, come una preghiera": v. A cento anni dal “Contributo” di Croce, di Matteo Marchesini, Sole 24 ore, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ministri della Pubblica Istruzione, su storia.camera.  Ultimo Governo Giolitti, su storia.camera.  A. Jannazzo, Croce e la corsa verso la guerra, in Idem, Croce e il prepartito degli intellettuali, Edizioni La Zisa, Palermo, Giorgio Levi della Vida, Fantômes retrouvés, Diogène, Antonio Gnoli, Benedetto Croce e il suo fantasma, in la Repubblica, Camera dei deputati - Portale storico  Giugno 1924; citato in G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi testuale: Novecento; Casa Editrice G. Principato S.p.A., .  Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Sambugar, Salà, Letteratura italiana, Croce e il manifesto antifascista.  Primo Levi, Potassio, in Il sistema periodico, poi in Opere, Torino, Einaudi, «La più efficace difesa della civiltà e della cultura si è avuta in Italia, per opera di Benedetto Croce. Se da noi solo una frazione della classe colta ha capitolato di fronte al nemico a differenza di quel che è avvenuto in Germania, moltissimo è dovuto al Croce. (Guido De Ruggiero) Osserva Nicola Abbagnano nella sua Storia della filosofia: «Il regime fascista, certo per costituirsi un alibi di fronte agli ambienti internazionali della cultura, consentì tacitamente a Croce una certa libertà di critica politica; e Croce si avvalse di questa possibilità [...] per una difesa degli ideali di libertà... Negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale la figura di Croce ha assunto perciò, agli occhi degli italiani, il valore di un simbolo della loro aspirazione alla libertà, e ad un mondo in cui lo spirito prevalga sulla violenza. E tale si mantiene a distanza di anni. Il terzo volume del carteggio tra Croce e Laterza (l'editore delle opere crociane) offre una grande quantità di esempi delle difficoltà di mantenersi in equilibrio “tra l'opposizione concreta e organizzata al fascismo, e l'adesione o la cinica indifferenza”. Esempi “quasi tutti orientati però verso una precisa direzione: quella dell'autocensura, a volte praticata, altre volte orgogliosamente respinta... Tra i molti casi che potrebbero essere citati a illustrazione di questo atteggiamento, è notevole quello sorto attorno alla dedica apposta da Paolo Treves, nel libro sulla filosofia di Tommaso Campanella, al padre Claudio, scrittore e parlamentare socialista, famigerato tra i fascisti soprattutto per il celebre duello ingaggiato con Mussolini. La dedica recitava: “A mio padre, che mi additò con l'esempio la dignità della vita”. Laterza scrive a Croce accostando, con diplomatica sottigliezza, la lettura di un volgare trafiletto anticrociano e antilaterziano sul “Lavoro fascista” alla questione della dedica, che egli propone al Treves di limitare “alle prime tre parole essenziali, non essendo opportuno motivarla allo stato attuale delle cose”. Alla lettera Croce risponde il giorno dopo, tranquillizzando Laterza sulla “purezza” del lavoro storico del Treves e sull'assenza in esso di riferimenti al presente, e aggiungendo, con maliziosa e retorica ingenuità: “ma veramente non capisco perché vi abbia fatto senso quella dedica affettuosa di un figlio al padre. O che la dignità della vita (il corsivo è ovviamente di Croce) è un fatto politico del giorno?”. Comunque sia, la dedica uscì poi nella versione “purgata”. Maurizio Tarantino, recensione a Benedetto Croce-Giovanni Laterza, Carteggio, a c. di Antonella Pompilio, Napoli, Roma-Bari, Istituto italiano per gli studi storici, Laterza,  “L'indice”. L'episodio è narrato con dovizia di particolari in una lettera di Fausto Nicolini a Giovanni Gentile riportata da Gennaro Sasso in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Alessandro Barbera (a cura di), La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza, Roma, Fondazione Julius Evola, Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della Sera, Cfr. la prefazione del testo Lettere di Julius Evola a Croce. Regio Decreto Legge, Disposizioni sull'istruzione superiore (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Flavio Fiorani, Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti Editore, 2000,91  La Repubblica, Giuseppe Giarrizzo rivendicò con una punta di orgoglio l'essere annoverato tra i “nipotini” di Croce (se, nel corso di uno sgradevole scontro, sono stato per Ernesto De Martino un «basco verde di Palazzo Filomarino. Giarrizzo, Giuseppe, Di Benedetto Croce e del filosofare sine titulo, Archivio di storia della cultura: Napoli: Liguori,  si veda: Antonio Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce  B. Croce, Epistolario, I, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, La vicenda è descritta e analizzata da Gennaro Sasso, La guerra d'Etiopia e la “patria”, in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Pierluigi Battista, Corriere della Sera, B. Croce, Taccuini di lavoro, Napoli, La tentazione antisemita di tre antifascisti liberali  Dante Lattes, Ferruccio Pardo, Benedetto Croce e l'inutile martirio d'Israele. L'ebraismo secondo B. Croce e secondo la filosofia crociana  Michele Sarfatti, Il ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, pag. 111  Peter Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, Croce rimase fermo sulle sue posizioni: l'unica condizione alla quale i partiti antifascisti dell'opposizione avrebbero accettato di entrare nel governo di Badoglio era l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Era stato il re, disse Croce, ad aprire le porte al fascismo, favorendolo, appoggiandolo e servendolo per vent'anni».  Tompkins, Piero Operti, Lettera aperta a Benedetto Croce, Torino, Lattes, Giuseppe Mazzini (1948), poi in Scritti e discorsi politici, II, Bari, Laterza, 1963,451; sulle caratteristiche "affettive" del pronunciamento di Croce al referendum, vedi Fulvio Tessitore, Il percorso psicologico dalla monarchia alla repubblica attraverso i Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, in Benedetto Croce e la nascita della Repubblica. Atti del convegno tenutosi presso il Senato della Repubblica, Soveria Mannelli, Rubbettino,  "non sono veri liberali...coloro che si fregiano, come ora taluni hanno preso a fare, del nome di monarchici, perché il liberalismo non ha altro fine che quello di garantire la libertà" e se "la forma Repubblicana gli offre questa...garanzia quando non gliene offre sicura la monarchia, sarà anche eventualmente repubblicano" (Taccuini di lavoro; "se il tentativo la duplice abdicazione di Vittorio Emanuele III e di Umberto II] fallisse, noi sosterremo il partito della Repubblica, adoperandoci a farla sorgere temperata e non sfrenata, sennata e non dissennata" (Taccuini di lavoro. Benedetto Croce, mai nominato, formalmente rifiutò prima ancora che la sua ventilata nomina potesse concretizzarsi.» (In Davide Galliani, Il Capo dello Stato e le leggi, Volume 1, Giuffrè Editore, Ente Morale, su UniSOB.na. URL consultato il 30 ottobre 2018.  Senato della Repubblica-Cinecittà Luce, Il filosofo della libertà: Napoli - il funerale di Benedetto Croce  B. Croce, Maria Curtopassi, Dialogo su Dio: carteggio 1941-1952, Archinto, Il carteggio fra Croce e Maria Curtopassi è stato pubblicato presso la casa editrice Archinto da Giovanni Russo, autore anche della nota introduttiva, Maurizio Griffo, Il pensiero di Benedetto Croce tra religione e laicità. La citazione è tratta da: B. Croce, Taccuini di lavoro, vol. 6, Napoli. Croce, Perché non possiamo non dirci anticoncordatari. Discorso contro i patti lateranensi, tratto da: Benedetto Croce, Discorsi parlamentari, Bardi editore, Roma, Atti parlamentari della Camera: Guido Verucci, Idealisti all'Indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Laterza, Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce, Il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai alluse ironicamente all'operetta crociana con un articolo intitolato Benedetto Croce rincristianito per dispetto (In Ruggiero Romano, Paese Italia: venti secoli di identità, Donzelli Editore,Perché non possiamo non dirci "cristiani, in La Critica, 20 novembre 1942; poi in Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari 1945  B. Croce, M. Curtopassi, Dialogo su Dio. Carteggio op.cit. ibidem.  F.Focher, Rc. a F. Capanna, La religione in Benedetto Croce. Il momento della fede nella vita dello spirito e la filosofia come religione, Bari 1965, in Rivista di studi crociati, Sandro Magister, Colloquio con Vittorio Foa (Da l'Espresso, Documenti)  In Vittorio Messori, Pensare la storia: una lettura cattolica dell'avventura umana, Paoline,Nello Ajello, Solo per amore, "La Repubblica, Gennaro Sasso, Per invigliare me stesso, Bologna, Il mulino, 1989,36-9  Nel registro mortuario di Raiano, vicino a L'Aquila, viene indicata erroneamente come "moglie del senatore Benedetto Croce"  Benedetto Croce e l'amore  Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a Raiano, in "L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, n. 10, ottobre 1964  Morta Alda Croce, figlia di Benedetto Croce  È morta Silvia Croce l'ultima nata del filosofo  Morta Lidia, l'ultima figlia ancora vivente di Benedetto Croce. Si è spenta a Napoli a 93 anni  Il pensiero filosofico di Benedetto Croce - senato  B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari Saggio sullo Hegel  Croce, da "papa laico" a grande dimenticato  Renzo Grassano, La filosofia politica di Karl Popper: 1 - La critica della dialettica hegeliana e dello storicismo; commento a La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello storicismo di Popper  Croce e il totalitarismo  Carteggio Croce-Omodeo  Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani, Milano In opposizione al positivismo che voleva riportare la storia ad una forma della scienza, Croce si era interessato dell'estetica nella quale avrebbe dovuto essere compresa la storia; cfr. La storia sotto il concetto generale dell'arte, Bari 1919  Per questo motivo Croce della Divina Commedia di Dante apprezza la prima cantica dell'Inferno in quanto risultato di una forte e sentita intuizione-espressione, mentre apprezza meno la cantica del Paradiso dove Dante mescolerebbe poesia e filosofia  Nella premessa datata «novembre 1908» Croce scrive di aver trattato l'argomento nello scritto intitolato Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro pubblicato negli Atti dell’Accademia pontaniana nel 1905. In effetti però avverte Croce che il volume «È una seconda edizione del mio pensiero, piuttosto che del mio libro» (B. Croce, Logica, Cent'anni di ricerca in Italia. Un passato da salvare, conferenza del prof. Carlo Bernardini, dal sito Centro Studi Enriques, B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari. Quel che si scrivevano Einstein e Croce  Dimenticare Croce? (Corriere della Sera)  La scienza negata. Il caso italiano, Codice Edizioni, l'Italia della scienza negata (dal blog de Il Sole 24 Ore)  Ministro dell'Istruzione del governo Mussolini, promotore della riforma scolastica varata in Italia nel 1923  Lucio Lombardo Radice in O. Pompeo Faracovi (a cura di), Federico Enriques, Approssimazione e verità, Belforte, Livorno 1982  Giulio Giorello, Dimenticare Croce?, in Il Corriere della Sera, L'arretratezza dell'Italia in campo scientifico è il risultato di cattive scelte dei politici da una parte e di resistenze culturali e di incapacità degli scienziati stessi a comunicare dall'altra e che quindi risultano indipendenti dall'idealismo crociano. A livello culturale, casomai, esistono altre forze che potrebbero essere imputate del ritardo scientifico, si veda per esempio la nefasta influenza della Chiesa in merito ad alcuni aspetti delle ricerche bioetiche. La mia perplessità nei confronti di Croce non riguarda le pretese conseguenze della sua filosofia sullo sviluppo tecnico-scientifico del nostro Paese. Mi sembra che sia una polemica datata e ormai superata. Non credo che dalle posizioni antiscientifiche di Croce derivi un ritardo della società italiana nei confronti della scienza. Quella di Croce è una filosofia interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza e quindi è deficitaria sotto il profilo di una seria trattazione del problema della conoscenza.» (Giulio Giorello), in È vero che Croce odiava la scienza? - Dialogo tra Giulio Giorello e Corrado Ocone, Vincenzo Matera, Angela Biscaldi, Mariangela Giusti, Elena Pezzotti, Elena Rosci, Scienze umane - Corso integrato, Marietti Scuola,9.  Benedetto Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari, Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Lorenzo Benadusi, Giorgio Caravale, George L. Mosse's Italy: Interpretation, Reception, and Intellectual Heritage, Palgrave Macmillan, Sambugar, Salà, Letteratura italiana  Paolo Ruffilli, Introduzione alle Operette morali di Leopardi, ed. Garzanti  Sebastiano Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano  Croce, Schopenhauer e il nome del male  Si riferisce a d'Annunzio, Fogazzaro e Pascoli  Riportato in Mario Pazzaglia, Letteratura italiana III  Benedetto Croce, Del carattere della più recente letteratura italiana, in Letteratura della nuova Italia, Bari, Dino Biondi, Il Resto del Carlino, Edizioni Nazionali istituite anteriormente alla legge su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, concernente l'«Edizione Nazionale delle opere di Benedetto Croce. Integrazione della composizione della Commissione» su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, VISTO il D.P.R. 14 agosto 1981 istitutivo dell'Edizione Nazionale delle opere di Benedetto Croce».Bibliografia Guido Fassò, Croce, Benedetto, in Novissimo Digesto Italiano, diretto da A. Azara e E. Eula, Torino, Utet, Carlo Antoni, Commento a Croce, Venezia, Neri Pozza, Alfredo Parente, Il pensiero politico di Benedetto Croce e il nuovo liberalismo, Sergio Solmi, Il Croce e noi, in "La Rassegna d'Italia", La letteratura italiana contemporanea, a cura di Giovanni Pacchiano, Milano, Adelphi). Fausto Nicolini, Benedetto Croce, Utet, Torino, Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a Raiano, in "L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, (ora in Id., Operatori letterari abruzzesi, Lanciano, Itinerari). Damiano Venanzio Fucinese, Dieci lettere inedite di Croce, in "Dimensioni", Lanciano, Ulisse Benedetti, Benedetto Croce e il Fascismo, Roma, Volpe Rditore, Roma, Gennaro Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano, Nicola Badaloni, Carlo Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Roma-Bari, Laterza (in part. di Muscetta: La versatile precocità giovanile di Benedetto Croce. Profilo della sua lunga operosità, Critica e metodologia letteraria di Croce, Croce scrittore: multiforme unità della sua prosa). Gianfranco Contini, La parte di Benedetto Croce nella cultura italiana, in Altri esercizi, Torino, Einaudi, Gennaro Sasso, La "Storia d'Italia" di Benedetto Croce. Cinquant'anni dopo, Napoli, Bibliopolis,  Paolo Bonetti, Introduzione a Croce, Editori Laterza, Claes G. Ryn, Will, Imagination and Reason: Babbitt, Croce and the Problem of Reality (1986). Emma Giammattei, Retorica e idealismo, Il Mulino, Bologna, 1987. Gennaro Sasso, Per invigilare me stesso. I taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989. Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Milano, Il Saggiatore, Croce e la cultura meridionale. Atti del convegno di studi, Sulmona-Pescasseroli-Raiano, a cura di Giuseppe Papponetti, Pescara, Ediars, Toni Iermano, Lo scrittoio di Croce con scritti inediti e rari, Napoli, Fiorentino, Antonio Cordeschi, Croce e la bella Angelina. Storia di un amore, Milano, Mursia, Gennaro Sasso, Filosofia e idealismo. I - Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis, Pier Vincenzo Mengaldo, "Benedetto Croce", in: Profili critici del Novecento, Torino, Bollati Boringhieri, 1998. Giovanni Sartori, Studi crociani, Bologna, Il Mulino, Ottaviano Giannangeli, Croce e la riconquista dell'Abruzzo e Due monografie e un appunto, in Scrittura e radici. Saggi, Lanciano, Carabba, Croce filosofo. Atti del convegno internazionale di studi in occasione del 50º anniversario della morte: Napoli-Messina, Soveria Mannelli, Rubbettino, Ernesto Paolozzi, L'estetica di Benedetto Croce, Napoli, Guida, Fabio Fernando Rizi, Benedetto Croce and Italian fascism, University of Toronto Press, Toronto, M. Visentin, Il neoparmenidismo italiano, I. Le premesse storiche e filosofiche: Croce e Gentile, Napoli, Bibliopolis, Maria Panetta, Croce editore, Napoli, Bibliopolis, Guido Verucci, Idealisti all'indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Laterza, Roma-Bari, Girolamo Cotroneo, Croce filosofo italiano, Firenze, Le Lettere, Giuseppe Gembillo, Benedetto Croce, filosofo della complessità, Soveria Mannelli, Rubbettino, Antonio di Mauro, Il problema religioso nel pensiero di Benedetto Croce, Milano, FrancoAngeli. Marcello Mustè, La filosofia dell'idealismo italiano, Roma, Carocci, Marcello Mustè, Croce, Carocci, Roma, Emma Giammattei, I dintorni di Croce. Tra figure e corrispondenze, Napoli, Guida, Giancristiano Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce, Macerata, Liberilibri,G. Galasso, La memoria, la vita, i valori. Itinerari crociani, a cura di E. Giammattei, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici - il Mulino, Carlo Nitsch, «Diritto»: studio per la voce di un lessico crociano, in JusOnline, IV. Pirro, filosofia e politica in Benedetto Croce, Roma, Bulzoni, G. Sasso, Croce. Storia d'Italia e Storia d'Europa, Napoli, Bibliopolis, Michele Lasala, Il lirico sospiro di un istante. L'estetica crociana e i suoi critici, in "Quaderni di Diacritica", Roma, Diacritica Edizioni, Roma, G. Sasso, Croce e le letterature e altri saggi, Napoli, Bibliopolis, Silvestri Paolo, “Rileggendo Einaudi e Croce: spunti per un liberalismo fondato su un’antropologia della libertà”, Annali della Fondazione Luigi Einaudi, Silvestri Paolo, “Liberalismo, legge, normatività. Per una rilettura epistemologica del dibattito Croce-Einaudi”, in R. Marchionatti,Soddu (Eds.), Luigi Einaudi nella cultura, nella società e nella politica del Novecento, Leo Olschki, Firenze, Silvestri P., Economia, diritto e politica nella filosofia di Croce. Tra finzioni, istituzioni e libertà, Giappichelli, Turin, Giuseppe Russo, Croce e il diritto: dalla ricerca della pura forma giuridica all'irrealtà delle leggi, in Diacronìa. Rivista di storia della filosofia del diritto, Voci correlate Istituto italiano per gli studi storici Fondazione Biblioteca Benedetto Croce Liberalismo Manifesto degli intellettuali antifascisti Premio nazionale di cultura Benedetto Croce. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Benedetto Croce, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.Benedetto Croce, su Dictionary of Art Historians, Lee Sorensen.Opere di Benedetto Croce / Benedetto Croce (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere di Benedetto Croce, su Open Library, Internet Archive.Opere di Benedetto Croce, su Progetto Gutenberg.Audiolibri d su LibriVox.(FR) Pubblicazioni di Benedetto Croce, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.Bibliografia di Croce, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.Benedetto Croce, su storia.camera, Camera dei deputati.Benedetto Croce, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.Benedetto Croce, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scheda sul sito del Senato, su notes9.senato. L'Istituto italiano per gli studi storici fondato da Benedetto Croce, su iiss. La Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, su fondazionebenedettocroce. Una bibliografia di Benedetto Croce, su rivista.ssef. Una bibliografia di Benedetto Croce con corredo di riassunti delle opere e piccoli s aggi, su nuovorealismo.Biografia di Benedetto Croce con elenco opere, su giornaledifilosofia.net. Il problema dell'impressione nella ricerca filosofica del giovane Croce, su giornaledifilosofia.net. L'elenco dei volumi dell'Edizione Nazionale, su bibliopolis. Benedetto Croce, su Camera - Assemblea Costituente, Parlamento italiano. Le riviste di Benedetto Croce on line. Accesso full text a «La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia» ai «Quaderni della “Critica”» su bibliotecafilosofia.uniroma1. Benedetto Croce, il filosofo liberale, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Alessandra Tarquini, Benedetto Croce, il filosofo liberale, Radio3, Benedetto Croce. Croce.  Keywords: idealismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Croce: implicatura: intenzione, espressione, e communicazione” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51680412208/in/photolist-2mJPC2N-2mJPC5J-2mJNjHK-2mJJdqJ-2mJRM6M-2mJJdpb-2mJNjFf-2mJJdoj-2mJSSNH-2mJPC2T-2mJSSQ1-2mJSSQB-2mJSSNN-2mJJdqi-2mJPC6v-2mJJdrA-2mJJdrF-2mJNjHu-2mJJdpw-2mJNjFa-2mJJdoe-2mJJdqU-2mJPC5o-2mJPC9M-2mJRMdq-2mJSSTN-2mJJdsN-2mJNjKP-2mJPC7x-2mJSSTh-2mJSSQX-2mJPC7H-2mJNjLv-2mJNjMx-2mJJdrL-2mJNjKJ-2mJPC8u-2mJRMbX-2mJSSSL-2mJJdsY-2mJSSR3-2mJRMci-2mJRMe2-2mJNjKZ-2mJNjLR-2mJRMe7-2mJPC7h-2mJNjLL-2mJPC9b-2mJPC9w

 

Grice e Curcio – esistenti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Noto). Filosofo. Grice: “Curcio is what we could call at Oxford a poet; he wrote a little book ‘Esistentee,’ an obvious parody on Sartre, ‘L’essistentialismo e un umanesimo.’ – His background is philososophical though, and it shows!” Ensegna a Noto e Messina. Direttore Generale per l'Ordine Ginnasiale.  Altre opere: “Armonia e dissonanza” – consonanza e dissonanza (Noto) – etimologia di armonia – cognata con ‘armento’ e ‘aritmetica’ – “La sfinge” – “La piramide”. “Il prezzo della salute” (Noto). Commenti, libri I-XXIV – Roma” – “Il giro del templo” (Bonacci, Roma); “Mottetto” (Bonacci, Roma); “Fugato” (Bonacci, Roma); “II grano di follia” (Bonacci, Roma); “Senza più peso” (Bonacci, Roma); “Assolo, (Bonacci, Roma); “A due voci” (Bonacci, Roma); “L'avita vocazione” (Bonacci, Roma); “Esistente” (Bonacci, Roma); “Altri occhi” (Bonacci, Roma); “Le due cene” (Bonacci, Roma); “Sitio” (Bonacci, Roma); “Consummatum” (Bonacci, Roma); “Derelictus” (Bonacci, Roma); “In horto” (Bonacci, Roma); “Paradossale” (Bonacci, Roma); “Felix” (Bonacci, Roma); “Deliramentum” (Bonacci, Roma). Corrado Curcio. Curcio. Keywords: esistenti -- Lucrezio, Foscolo, Leopardi, Alighieri, Gentile, Diano, Sicilian philosophy. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Curcio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51768264130/in/dateposted-public/

 

Grice e Curi – passione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Verona). Filosofo. Grice: “I like Curi; unlike me, we would call him a prolific philosopher; my favourite are his reflections on ‘eros’, ‘amore’ and bello, but he has also written on various topics related to maleness --  Si laurea a Padova. Insegna a Padova. Membro dell’Istituto Gramsci Veneto. Formatosi alla scuola di Diano, Gentile e Bozzi, incontra Cacciari. A partire da quel topos, si avvia un sodalizio estremamente solido e fecondo, all'insegna di una comune ricerca del nuovo, e di un impegno teoretico rigoroso, che va oltre il piano strettamente della speculazione, in direzione di una pratica civile. Filosofa sul nesso politica-civilita e guerra e sul concetto di ‘polemos’ – cf. Grice epagoge/diagoge “”War is war” – Eirene --, lungo la linea che congiunge Eraclito a Heidegger. Valorizza la narrazione, sia intesa come mythos, sia concepita come opera cinematografica. Medita su alcuni temi fondamentali dell'interrogazione filosofica, quali l'amore e la morte, il dolore e il destino.  Altre opere: “Endiadi: figure della dualità” (Feltrinelli, Milano); “La filosofia come ‘bellum’” (Bollati Boringhieri, Torino); “La forza dello sguardo” – Lat. vereor – warten: to see --; “Meglio non essere nati: la condizione umana” – cf. la condition humaine”, Malraux); “Lo schermo” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano).Quello che non e filosofo, ma ha soltanto una verniciatura di casi umani, come il maschio abbronzato dal sole, vedendo quante cose si devono imparare, quante fatiche bisogna sopportare, come si convenga, a seguire tale studio, la vita regolata di ogni giorno, giudica che sia una cosa difficile e impossibile per lui. A questo maschio bisogna mostrare che cos'è davvero la filosofia, e quante difficoltà presenta, e quanta fatica comporta.” (Platone, Lettera settima). La libertà non è soltanto l'essere-liberati DA lle catene né soltanto l'esser-divenuti-liberi PER la luce, ma l'autentico essere-liberi è essere-liberatori DA il buio. La ridiscesa nella caverna non è un divertimento aggiuntivo che il presunto "libero" possa concedersi così per svago, magari per curiosita. E esser-ci dentro tutto, essa soltanto, il compimento autentico del divenire liberi. Heidegger, L'essenza della verità, Franco Volpi, Milano).Ne “La brama dell'avere” si ha un attento e puntuale riesame sia storico-filosofico che critico-filologico della fondamentale categoria esistenziale dell'”avere” – “the have and have-nots” --  alla luce dell'odierno assetto socio-comunitario. Cf. Grice on “H” for “Hazzes” “x H y”  Curi focuses on ‘ekhein’ which would then correspond to Grice’s “H” --. Altre opere: “Il coraggio di pensare, manualistica di filosofia, Loescher editore, Torino); “Il problema dell'unità del sapere nel comportamentismo” (CEDAM, Padova); “Analisi operazionale e operazionismo” (CEDAM, Padova); “L'analisi operazionale della psicologia” (Franco Angeli, Milano); “Dagli Jonici alla crisi della fisica” (CEDAM, Padova); “Anti-conformismo e libertà intellettuale: per una dialettica tra pensiero e politica” (Padova) – cfr. Grice on non-conformismo – “Psicologia e critica dell'ideologia” (Bertani, Roma); “La ricerca” (Marsilio, Venezia); “Katastrophé. Sulle forme del mutamento scientifico” (Arsenale Cooperativa, Venezia); “La linea divisa. Modelli di razionalita' e pratiche scientifiche nel pensiero occidentale” (De Donato, Bari); “Pensare la guerra. Per una cultura della pace” (Dedalo, Bari) – cf. Grice on ‘eirenic effect’ – pax et bellum – si vis pacem para bellum. ex bello pace. “Dimensioni del tempo” (Franco Angeli, Milano); “Einstein” (Gabriele Corbo, Ferrara); “La cosmologia filosofica” (Gabriele Corbo, Ferrara); “La politica sommersa. Per un'analisi del sistema politico italiano, Franco Angeli, Milan); “Lo scudo di Achille. Il PCI nella grande crisi” (Franco Angeli, Milano); “L'albero e la foresta. Il Partito Democratico della Sinistra nel sistema politico italiano, con Paolo Flores d'Arcais, Franco Angeli, Milano); “Metamorfosi del tragico tra classico e moderno, Bari); “La repubblica che non c'è” (Milano); “Poròs. Dialogo in una società che rifiuta la bellezza, Milano); L'orto di Zenone. Coltivare per osmosi” (Milano); “Amore duale” (Feltrinelli, Milano); “Platone: Il mantello e la scarpa” (Il Poligrafo, Padova); “Pensare la guerra. L'Europa e il destino della politica, Dedalo, Bari); “Pólemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino); Ombra della’ idea. Filosofia del cinema fra «American beauty» e «Parla con lei», Pendragon, Bologna); “Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno, Bruno Mondadori, Milano); “Il farmaco della democrazia. Alle radici della politica, Marinotti, Milano); “La forza dello sguardo, Bollati Boringhieri, Torino); “Skenos. Il Don Giovanni nella società dello spettacolo” (Milano); “Libidine” (Milano). Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano); Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche, Bollati Boringhieri, Torino); Miti d'amore. Filosofia dell'eros, Bompiani, Milano); Pensare con la propria testa” (Mimesis, Milano); “Straniero, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Passione” (Raffaello Cortina Editore, Milano . La porta stretta. Come diventare maggiorenni” (Bollati Boringhieri, Torino); “I figli di Ares. Guerra infinita e terrorismo, Castelvecchi, Roma . La brama dell'avere; Il Margine, Trento); “Il mito di Narciso sul  Umberto Curi. Keywords: passione, have, habere, habitus, comportamentismo, behaviourism. La brama dell’avere, anticonformismo, guerra e pace – Eirene – cosmologia anthropologia – l’orto di Zenone – lo scudo d’Achille – I figli di Marte --  il mantello e la scarpa libido -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Curi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51768019629/in/dateposted-public/

 

Grice e Cusani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Solopaca). Filosofo. Grice: “I love Cusani; for one, I was born at Harborne, but nobody cares; Cuasani was born in Solopaca, and there’s a ‘corso Cusani’, and a ‘Biblioteca Cusani’.” Grice: “Cusani would have been friend with Bosanquet; both are Hegelians – Italians, after SOME Germans, were the first to endorse the philosophy of the absolute spirit inmanent to dialectic – Cusani does attempt to respond to a criticism on the ‘assoluto’ brought up by Hamilton (of all people), and consdtantly refers to the ‘metafisica dell’assoluto’ – a ‘progetto,’ he humply titles it!” Figlio di Filippo e Caterina Cardillo, nacque al capoluogo distrettuale e di comprensorio del Regno delle Due Sicilie. Membro dei Pontaniani. Frequenta il circolo del marchese Basilio Puoti, insieme a Sanctis e Gatti.  Punto di partenza della sua filosofia, comune a buona parte del circolo del’hegelismo di stanza a Napoli, dei quali e un esponente, fu Cousin, il fondatore della “storiografia filosofica”. Insegna a Montecassino, e al collegio Tulliano di Arpino, dove fu affiancato da Spaventa, chiamato poi a sostituirlo. Si stabilisce a Napoli nel proprio studio privato. I saggi di Cusani furono pubblicati su “Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti” e “Museo di filosofia”. La seconda fu da lui stesso fondata. Molti dei saggi di filosofia più impegnati furono pubblicati in L’Antologia, di Firenze. Scrisse inoltre note e recensioni nel periodico l'Omnibus e nella Rivista napolitana.  Molte delle sue opere sono archiviate presso la Biblioteca "Stefano Cusani" di Solopaca.  Idealista hegeliano ed esponente dell’ecletticismo filosofico di Cousin. Opere: “Della fenomenologia, il fatto di coscienza intersoggetiva”; “Del metodo filosofico”; “Storia dei sistemi filosofici”; “Della materia della filosofia e del solo procedimento a poterlo raggiungere”; “Il romanzo filosofico”; “La poesia drammatica”; “L’assoluto – l’obbjezione d’Hamilton”; “Logica immanente e logica trascendentale”; “Compendio di storia di filosofia”; “Della lirica considerata nel suo svolgimento storico e del suo predominio sugli' altri generi di poesia”; “Economia politica e sua relazione colla morale”; “L’essere e gli esseri: disegno di una metafisica”; “Percezione dell’esistenza”. Nel comune di Solapaca è stato indetto nel  un anno di celebrazione in occasione del centenario della nascita nel comune di Solopaca. Il corso Stefano Cusani gli è stato intitolato a Solopaca. Sanctis lo cita nella autobiografia. Cusani dato alla stessa filosofia, ha maggiore ingegno del superbissimo Gatti, ed e mitissima natura d'uomo. Sale al tavolo degli oratori con tale fervore dialettico che a tutta la persona grondava onorato sudore» (G. Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII congresso in Napoli nell'autunno del 1845: notizie biografiche, Napoli.  L'amico coetaneo Cesare Correnti, patriota milanese legato ai circoli Napoli, insegnante nella Scuola di lingua italiana da lui fondata, gli dedicò un necrologio. Ecco un altro amico, un'altra fiorita speranza di questa nostra Napoli sparire a un tratto a noi d'intorno. Ben dissi a un tratto, poiché la sua non lunga malattia parve un momento agli amici. La filosofia specialmente nol sedussero, in modo che a più severi studi non volgesse l'acuto e fervidissimo spirito, e a bella armonìa si composero nell'anima sua. Rivista europea», ripr. in Scritti scelti, T. Massarani, Forzani, Roma). «Rivista europea», ripubblicato in Scritti scelti, T. Massarani, Forzani, Roma, Dizionario biobibliografico del Sannio, Napoli, "Il Progresso", "Il Lucifero","Omnibus"; "Rivista napolitana", Sanctis, La letteratura ital. nel sec. XIX, II, La scuola liberale e la scuola democratica N. Cortese, Napoli; G. Oldrini, Gli hegeliani di Napoli. A. Vera e la corrente "ortodossa" (Milano); F. Zerella, Filosofia italiana meridionale”; “Dall'eclettismo all'hegelismo in Italia”. Cusani e la filosofia italiana: Vico, Galluppi, Mamiami, Colecchi, Rosmini. Nasceva in Solopaca, una volta Distretto di Caserta, oggi Circondario di Cerreto Sannite (Benevento) il 23 dicembre 1816, Stefano Cusani da Filippo e Caterina Cardillo. Suo padre, insigne avvocato, fu sollecito della educazione di questo come di altri quattro suoi figliuoli, che, affidati alle cure di un suo fratello germano a nome Matteo, sacerdote, mandolli in tenera età a imcominciare e compiere i loro studî in Napoli. Ivi Stefano, ch'era il secondogenito di cinque fratelli, frequentava i più rinomati Istituti privati di quel tempo (che allora l'insegnamento pubblico esisteva sol di nome),  si distingueva fra gli altri condiscepoli in ognuno di questi, così che in breve, compiuti gli studi letterarî fu giocoforza mettersi a studiare le scienze della facoltà che doveva seguire. Fu questo il solo brutto periodo di sua vita. Suo padre voleva fare di lui un Avvocato civile, come suol dirsi, e quindi fu obbligato a studiare leggi e pandette, per le quali discipline non si sentiva la benchè minima inclinazione, anzi, a dir vero, sentiva per esse la più marcata avversiono; ma buon figlio e docile essendo, per non dispiacere al padre, che tanti sacrifizî avea fatti e faceva per lui, come per gli altri fratelli, a malincuore sempre, ma sempre tacendo, giunse fino ad esser Avvocato, ed a fare la pratica presso uno de'luminari del Foro Napoletano. Da questo momento incomincia il suo grande sviluppo intellettuale. Non potendone più, la rompe col padre, dicendosi avverso ai processi, ed allo studio di essi, e ad ogni altro artifizio da causidico. La rompe con quella pratica noiosa, che tralascia ed abbandona; ed ottiene dal padre stesso, che ragionevole e savio uomo era, di poter attendere a quegli studi che più alla sua indole si affacevano. Fioriva in quel tempo, a Napoli, la scuola del Marchese Basilio Puoti, ed egli, incontratosi con Stanislao Gatti che fu poi indivisibile amico e compagno, vi si getto a capofitto, e fu in poco tempo il più caro e pregiato discepolo del Marchese, come l'amico e compagno del De Sanctis, del Mirabelli, e di tutta quella pleiade che in quel tempo arricchirono Napoli di filosofi insigni.  Ma a quell'ingegno che s'andava ogni giorno più sviluppando e fortificando di sani e severi studî, parve angusto oramai quest'orizzonte, o volse l'ala, e la di instese con intensità ed ardore allo studio della filosofia. Ben cinque anni decorsero di volontaria prigionia nel suo studiolo, ovo ridottosi, o giorno e notte indefessa mente attendeva a' prediletti studî, e si beava di leggere Platone nel testo, chè familiare la lingua gli era ; come pure si fece a studiare la lingua alemanna per  mettersi al corrente dei progressi della filosofia, e per meditare e studiare le dottrine e teorie dell'Hegel, ultimo filosofo tedesco di quella epoca.  Uscito dopo questa epoca a nuova vita incominciò a scrivere sul Progresso, una Rivista di scienze e letteratura, diretta dal Baldacchini, articoli su questioni filosofiche; e, dopo un anno, era già conosciuto in tutta la Napoli pensante. In questo torno di tempo si apri un concorso per la Cattedra di filosofia e matematica, nel Collegio Tulliano di Arpino, e lui fu prescelto per titoli ad occuparla. Vi andò e vi trovò il suo amico Emmanuele Rocco, che v'insegnava letteratura. Vi stette un anno e vedendosi in una cerchia troppo angusta alla sua attività, si dimise, e fece ritorno in Napoli, conducendo con sè anche l'amico Rocco. Quivi apri studio privato unitamente al Gatti di filosofia, e dal bel principio quello studio fioriva per numerosa gioventù, che accorreva a udire le sue lezioni. In breve fu lo studio più affollato di Napoli. Le ore che aveva libere dallo insegnamento le occupava a scrivere articoli di filosofia che si pubblicavano sulle Riviste Napoletane di quel tempo, il Progresso che usciva in fascicoli voluminosi, la Rivista Napoletana di Scienze, Lettere ed Arti, il Museo di Scienza e Letteratura, ove collaboravano per la lor parte Antonio Tari, Francesco Trinchera, ed altri; e sul Progresso il Colecchi  ed altri.  Non andò guari e s'incontrò col Mamiani in quistioni di alta Metafisica, o ne usci onorato dell'amicizia e della riverenza dell'insigno filosofo. Il suo intelletto altamente speculativo destava ammirazione perchè si elevava ad altezze tali filosofiche che non gli si potevano contrastare. In quel tempo si agitò una polemica tra V. Cousin, filosofo francese, ed un insigne filosofo inglese, il cui nome ora non mi sovviene; dopo varî articoli scambiatisi parea che l'inglese avesse preso il di sopra, ed il Cousin, che lui credeva più dell'altro stare nel vero, avesse dovuto soccomberé. Allora senza frapporre tempo in mezzo egli entrò terzo nella quistione e scrisse epubblico una serie di articoli che costrinse l'inglese a desistere dalla polemica, ed il Cousin a scrivergli una lettera di ringraziamenti e di felicitazioni, e con la quale lo chiamava, e si firmava suo cugino.  Si radunava il Congresso dei Filosofi in Napoli nell'ottobre del 1845, o lui ne dovea far parte; ma non sapendosi se il Borbone lo avesse permesso, o meno, erasi ridotto in patria a villeggiare con la moglie e due piccini, l'uno lattante e l'altro di due anni. Il Congresso fu permesso, i filosofi si riunirono in Napoli, e lui fu invitato espressamente a farvi ritorno; che anzi il Presidente della Sezione “Filosofia speculativa” a cui egli apparteneva, non volle aprire la sessione s'egli non fosse arrivato. Cosi corse in Napoli solo, lasciando in patria la famiglia, che poi sarebbe andato a rilevare, dopo finito e sciolto il Congresso. Fu questa la causa della sua morte! Arrivato in Napoli vede gli amici - con essi si intrattiene passeggiando -- suda; è l'ora già che s'apre la Sessione -- essi ve lo accompagnano a piedi per goderselo di più -- vi si arriva. Egli era sudatissimo -- entra e n'esce dopo quattro lunghe ore di discussione; quel sudore lo avea già colpito a morte. Si riduce a casa, si ricambia le mutande - la camicia  era troppo tardi! Incomincia dopo poco tempo una tosse secca, stizzosa, ch'egli non cura, perchè forte e robusto era; e questo fu il peggiore dei divisamenti. Ritorna in patria per ripigliare la famiglia e ridursi in Napoli, poiché si era alla vigilia del novembre. Si riapre lo studio, si riprendono le lezioni; il maggior numero degli alunni affluito gli rinfocola l'ardore, ch'ei metteva in esse, e parla dalla cattedra per lunghe ore, e poi agli alunni più provetti che gli propongono dubbi o problemi a risolvere, parla pure ad alta voce, e quella tosse insidiosa non lo lascia, anzi invida della sua noncuranza lo avverte spesso del suo malefico potere, interrompendogli il discorso, e forzandolo per poco a tacere. Le cose durarono ancora così per altri 10, o 12 giorni, e finalmente la emottisi tenne dietro a quella tosse funesta, e fu giuocoforza sottomettersi a quanto l'arte salutare poteva e sapeva consigliare, ma invano tutto! Chè una tisi florida si svolse, ed in meno di due mesi si spense la robusta complessione di S. Cusani! Tale fu quest'uomo, che a 30 anni la morte rapiva a'suoi, alla scienza, alla patria. Nato a 23 dicembre 1816, moriva a 2 gennaio 1816. Dissi rapito alla patria, e giustamente, poichè egli da giovanissimo appartenne alla Giovine Italia, e in Napoli fu sempre il più ardente fra i patrioti. Egli con altri preparò e cooperò con ardore al movimento del '18 che poi non potė vedere! La sua casa era il convegno di Carlo Poerio, L. Settembrini, S. Spaventa, P. Mancini, e di tutti gli altri illustri compromessi politici di quel tempo, con i quali  si congiurava, si faceva propaganda, e si organizzava la rivoluzione. Fu cosi caro a questi tutti che se un giorno solo nol vedeano, si tenea por certo la visita loro in sua casa; ed il Poerio, addoloratissimo della sua malattia, volle ed ottenne che fosse stato medicato, curato ed assistito infino all'ultimo istante di sua vita dal fido o dotto medico Alessandro Lo Piccolo. L'esequie furono imponenti pel concorso di amici, che  formavano tutte le notabilità scientifiche, patriottiche e letterarie. Il lutto per la sua perdita fu sentito generalmente per Napoli, che in lui salutava la giovine scienza, e che per lui si metteva a paro di altre città d'Italia, che fiorivano per altissimi ingegni ed insigni filosofi, come il Mamiani, il Rosmini, il Gioberti, ed altri, se quella vita non si fosse spenta nel mezzo del cammino! La cura della filosofia di Cusani d’Ottonello ha il merito di riproporre all’attenzione una figura di rilievo della cultura filosofica napoletana dell'Ottocento. Benché scomparso in giovanissima età, nel gennaio 1846 (eranato nel dicembre del 1815, o forse del 1816, come i piú sostengono), Cusani lascia di sé traccia profonda, testimoniata dalla considerazione in cui e tenuto, per tacer d’altri, da Sanctis, o dalla valutazione che di lui dette Gentile. Con Gatti ed altri può essere inserito - come nota il curatore nella nitida e puntuale introduzione nell'ambito dell'hegelismo napoletano, oltrecché in quello piú generale dell'eclettismo alla Cicerone. Opportunamente si avverte però che Hegel costituisce per Cusani un potente polo d'attrazione, ma non il filosofo fondamentale. In realtà si può forse con fondamento aggiungere, pur senza ricorrere ad una indagine falsamente sottile, che resta in ombra, nellepur autorevoli e acute analisi dedicate alle ascendenze cousiniane ed hegeliane di Cusani, un filosofo fondamentale che sicuramente ispira la filosofia piú significativa di Cusani: Vico. La costruzione del sistema eclettico cui Cusani dichiara di dedicarsi segna una fase già tarda dell'eclettismo napoletano e giungeva al termine di un decennio assai ricco di suggestioni in questa direzione negli ambienti culturali napoletani. È sicuramente da condividere l'affermazione del curatore secondo il quale il sincretismo avvertibile in Cusani non impedisce però l'emergere di un nucleo speculativo che deborda dalla semplice trama delle affermazioni altrui. In questo senso il problema del metodo filosofico e il connesso problema della storia italiana segnano sin dall’inizio lo sforzo speculativo di Cusani, la cui originalità trova subito sulla sua strada Vico. Collaboratore della Temi napoletana, dell'Omnibus letterario, scrive prevalentemente sul “Progresso.” Sin dalprimo scritto, Filosofia in Italia, il tema della storia italiana appare questione teorica centrale. Non a caso una ricerca storica da l'occasione a Cusani di porre il problema che gli sta acuore, sin dalla citazione tratta da Guizot che apre la nota. I fatti sonomeme affermazioni al problema della storia trova subito sumanibus letterario ma are i grandiuti al fatto che risguardato, en per il pensiero, ciò che le regole della morale sono per la volontà. Egli è tenuto di conoscerli, e di portarne il peso, ed è solo allorché ha sodisfatto a questo dovere, e ne ha misurato e percorso tutta l’estensione, che gliè permesso di montare verso i risultamenti razional. Il rinnovato interesseper la storia italiana che si registra-- che né l'Antichità, né i tempi di poco anteriori a questi che viviamo avevano mai risguardato -- non sembrano a Cusani casuali, ma dovuti al fatto che l'intendimento si rivolge a indagare i grandi ordini di fenomeni per scoprire e prendere inconsiderazione i fatti e le ragioni, una storia ed una filosofia. Il bisogno di comprendere e giudicare il fatto, piuttosto che esserne solo spettatore (e dunque di verificare una diversa attitudine della storia italiana), esalta questa parte immortale della Storia, cioè il conoscere il legamento fatalista della causa e dell’effetto, le ragioni, i fatti generali, le idee da ultimo ch'essi celano sotto il manto della loro esteriorità. Onde ch’egli è d'uopo sceverar con chiarezza e con precisione la differenza di queste due parti della storia italiana che sono per cosí dire il corpo e l'anima, la parte materiale, e la parte spirituale di tutti gli avvenimenti esterni e visibili, che compongono la nazione italiana, secondo che dice Vico. Il rifiuto, che Cusani trae dalla lezione vichiana, di affidarsi a pre-mature generalità, e con formole metafisiche per soddisfare il mero bisogno intellettivo, è una traccia decisiva per comprendere il suo pensiero. L'annotazione di Gentile, secondo il quale l'osservazione storica non è piú l'integrazione della psicologia, bensí la costruzione stessa della filosofia, può commentare l'intero itinerario filosofico di Cusani, che si consuma nell'arco di pochissimi anni. Il discorso sul metodo che Cusani compie si basas in dall'inizio su una acquisizione precisa: un sistema o una filosofia consistono nel loro stesso metodo. Nel primo saggio veramente organico (Del metodo filosofico e d'una sua storia infino agli ultimi sistemi di filosofia che sono si veduri uscir fuori in Germania – Hegel -- e in Francia -- Cousin) Cusani parla addirittura di un metodo generale, il quale presiede all'investigazione dell'unica e universal verità. La filosofia è dunque la regina scientiarum che consente di ricondurre ad “unità” il sapere, e a tal pro-posito l'assimilazione dei termini è dichiarata apertamente, a proposito dell’analisi psicologica, la quale segna il punto di partenza della riflessione, ed è la base unica dell'immenso edificio filosofico, il solo solido fondamento, il suo atrio e il suo vestibolo. E nel saggio, “Del reale obbietto di ogni filosofia” (Il Progresso) ribadisce e chiarisce che lo studio de’ fatti della natura umana, o de’ fenomeni psicologici, vuoto del tutto riuscirebbe, se invece di tenerlo come base d'ogni ulteriore investigazione, si volesse considerare come il termine stesso della filosofia. Il secolo decimottavo si è trovato dunque di fronte al centrale problema del metodo filosofico. Se è vero che nella storia italiana è tutta quanta la filosofia italiana, occorre riconoscere il merito insuperabile di quella mente divinatrice e profonda che avea posta nel mondo la nazione italiana. Vico, definito – nella nota sul Nuovo Dizionario de sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo, quell'altissimo lume d'Italia, con una locuzione che introduce un discorso, ingiustamente trascurato, sulla tradizione filosofica meridionale, piú volte ripreso dal Cusani. Lo studio di Vico qui esaminato è appunto il “De antiquissima Italorum sapientia”; nel quale potentemente convinto della relazione che stà tra il pensiero (l’animus, il segnato) e la parola (il segno), fecesi ad investigar quello degli antichi romani e italici nostri maggiori, cavandolo per avventura da quella lingua italiana ch'era nelle bocche volgari degli uomini. Il rapporto tra spontaneità e riflessione, che tanta parte ha in Cusani, è dunque introdotto sotto il segno di Vico. Si ponga mente alle affermazioni che seguono il passo già citato, allorché Cusani insiste sul fattoche veramente il Vico porta opinione che tutto l'antico (antichissimo) pensiero o sapienza italiana era in quella lingua italiana ch'egli disamina, e dalla quale intende rimetterlo in luce, e che se la lingua italiana non e opera di un filosofo, ma sibbene il prodotto spontaneo delle facoltà nell'uomo italiano, se innanzi che venissero adoperate nella costruzione e nel concepimento del sistema di un filosofo, di cui pur e il necessario strumento espressivo e communicativo, esisteva nella massa de’ popolo italiano. Insomma, quella che è stata chiamata la svolta hegeliana del Cusani, va valutata alla luce di una ispirazione legittimamente riferibile a Vico. Si veda il Saggio su la realtà della humanitas di Vincenzo De Grazia (Il Progresso), già sul crinale della svolta hegeliana. L'epigrafe di Cousin posta all'inizio ritorna sul problema che sta a cuore a Cusani, e che ne determina l'originale ricerca. Ci ha due spezie di filosofie. La prima spezie di filosofia studia il fatto, lo disamina, e lo descrive, riordinandoli secondo le loro differenze o somiglianze, e potrebbesi però denominare filosofia “elementare” o immanente. L’altra spezie di filosofia comincia ove si ferma la prima, investigando la *natura* de’ fatti, e intendendo di penetrare la loro ragione, la loro origine, il lor fine, e potrebbesi denominare filosofia trascendente, o filosofia prima. La citazione dai Frammenti filosofici serve in realtà a Cusani pergiungere alla fondamentale affermazione secondo cui, esaurita nel secolo precedente la filosofia elementare, e necessario che si cominciasse asentire il bisogno di nuovi problemi, e che l'ontologia ricomparisse nel dominio della speculazione filosofica. Insomma la disamina del fatto immanente elementare (il segno) deve servire a rintracciarne la natura, le origini, le relazioni, che è il vero fine supremo della filosofia prima. Ma questo è possibile (e l'eclettismo di Cusani si dimostra non mero sincretismo, ma sapiente innesto di elementi concorrenti a rafforzare le personali ipotesi speculative) soprattutto all’italiano, chi può vantare una tradizione filosofica ininterrotta che ha in Vico il suo vate supremo. Il bisogno dell’ontologia ha ulteriori ragioni in Italia, dove la filosofia trova terreno fecondo emotivo di continuità. Ed è la tradizione ontologica de’ filosofi italiani, e il predominio costante della filosofia prima o trascendente in Italia sulla elementare o immanente, non solo in tempi che era cagione universale nel mondo della scienza, ma eziandio allorché fortemente altrove ponevasi la base d'ogni filosofia ed all'apo genere a nostri e quell'indole elementare, e molto studiavasi in essa. Di qui nacque quell'indole speculativa che si è sempre accordata in genere al filosofo italiano, anche quando discendevano alla pratica ed all'applicazione de’ principi. É di vero se si pon mente alla Storia, e si consideri che dalla scuola italica di Crotone o da Pittagora suo fondatore, passando per i filosofi di Velia (Senone), arrivando fino all’apparizione di quella meraviglia del Vico, si troverà che la verità da noi accennata apparisce luminosa e in tutta la sua pienezza. Dunque continuità della tradizione, rivendicazione della propria originalità speculativa, e soprattutto applicazione esemplare del metodo storico come proprio della storia della filosofia. Già affrontando il problema della fenomenologia semiotica, Cusani non manca di annotare, con una affermazione che resta sostanzialmente immutata nella sua produzione, a riprova del vichismo naturale della sua ispirazione, che l’italiano è cosí fortemente incluso intutta la morale che ne forma il subbietto perenne, e non si può farne astrazione senza far crollare tutto l'edificato da quelle. Del resto nel saggio Del reale obbietto d'ogni filosofia, posto sotto il segno di Vico – la cui “De constantia Philosophiae” fornisce l’epigrafe, Cusani ha chiarito che la umana intelligenza, di cui si ricerca e scopre una storia naturale, una volta esaurita l’investigazione della natura, ripiega progressivamente verso il subbietto stesso di quelle investigazioni, e rientrando dall'esterno nell'interno, fa se stessa obbietto della sua conoscenza. La morale nasconode questo percorso, allorché il filosofo ritorna sopra se stesso dopo indagare il mondo esterno. La svolta hegeliana può a questo punto arrivare, ma a sua volta innestandosi su questa ricerca di una legge onde si regge il mondo. Il dilemma su un oggetto immutabile della conoscenza, e della mutabilità al tempo stesso del fatto che il pensiero trascendente va indagando, diventatra la questione centrale. Spesso Cusani torna nella sua opera, che riesce difficile in questa sede indagare in dettaglio, sulle permanenze della storia italiana e sulle variazioni. Nel Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione politico-legale d’Albini, significativamente impostato il tema, e sempre ricorrendo a Vico. In Italia fu primo tra tutti Vico che intende ala ricerca d'un principio universale ed immutabile del diritto e che questo ponesse nella ragione, unica fonte dell'assoluta giustizia, distinguendo esattamente il diritto universale, o filosofico, dal diritto storico. Anzi, la debolezza della cultura filosofica italiana può essere addebitata al mancato studio di Vico il cui esempio non frutto gran bene, ch'io mi sappia all'Italia,non essendo le sue teorie accettate da'suoi contemporanei, perché forse troppo superiori all'intelligenza comune, fino al punto che l’italiano perde, com'a dire, la sua particolare fisionomia, rivestendo un'indole forestiera – come i fanatici di Hegel con la sua lingua foresteriera! -- Se non che questo che al presente diciamo fu molto piú pronunciato in Beccaria e Verri non furono che perfettissimi seguitatori dell'Helvelvinitius e del Rousseau, quanto all'ipotesi del Contratto sociale, che in il vichismo dunque, se accolto, avrebbe garantito la continuità e originalità della filosofia italiana. Infatti la cultura napoletana da in questo senso testimonianza della continuità speculativa della filosofia proprio attraverso la tradizione vichiana. Filangieri, ma soprattutto Pagano, ritennero l'elemento tradizionale italiano, che li riannodava a tutta l'erudizione. Anche quando nel Museo di letteratura e filosofia soprattutto, e la Rivista napoletana, piú evidente si coglie la lettura di Hegel, Cusani testimonia la persistenza sicura della lezione vichiana. Senza rotture, ma sviluppando le tematiche e gli interessi, nel saggio Della lirica considerata nel suo svolgimento storico, ove – come ha notato Oldrinisi incontra un esplicito richiamo alle lezioni hegeliane di filosofia della storia, Cusani riprende con vigore la questione fondamentale. Ora poiché l'uomo è il subbietto storico per eccellenza a volere istabilire lal egge che governa tutte le accidentalità variabili delle vicende umane, la filosofia non puo che cercarla nelle modificazioni della stessa umanita. Questo punto di partenza, che il Vico, per il primo, prescrisse alla filosofia della storia, facendo che le sue ricerche rientrassero nella coscienza psicologica dell’italiano, e si cercasse di spiegar questo per mezzo della sua propria natura, ma eziandio tutti i fatti di cui egli è causa, ingenera tanto vantaggio, che da un lato tolse la specie umana dall'esser considerata come mezzo da servire ad altri fini, e dall'altro la rialza sopra la natura, di cui vuole sene fare prodotto o artificio. In che misura l'hegelismo, rintracciabile nella preoccupazione di garantire l'unità del sistema attraverso l'unità della filosofia, deve tener con toda un lato della matrice vichiana del pensiero di Cusani e dall'altro dello sforzo di costruire l'edificio eclettico della filosofia in modo originale? Andrebbe qui indagato, con cura e minuziosità che questa sede non consente, il tema del senso comune in piú luoghi richiamato da Cusani. Sipensi al saggio apparso sul « Museo », Idea d'una storia compendiata della filosofia, proprio dove il tema della filosofia assume intonazioni sicuramente hegeliane. Purtuttavia, sebbene l'uomo sia conscio nell'intimo della sua coscienza della sua libertà, e riconosca in sé stesso il potere di cominciare una serie di atti, di cui egli è causa; ciò nondimeno non può non iscorgere eziandio, che la sua volontà è posta sotto il dominio e la soggezione d'una legge, che diversamente vien denominata secondo che diverse sono le occasioni, alle quali essa si applica, contrassegnandosi ora come legge morale, ora come ragione, ed ora comesenso comune. L'indipendenza speculativa che Cusani manifesta nel rimeditare tutti i contributi all'interno della sua riflessione è evidente, e su questo tema operante nei confronti dello stesso Vico. Esaminando la questione del fatalism e della libertà (giustamente si ricorda come sia questa la questione piú importante che si possa scontrare nella filosofia della storia, dai primi agli ultimi scritti presente inche di sua volone causar in Cusani), nell'Idea d'una storia compendiata della filosofia, Cusani ha qualcosa da rimproverare a Vico stesso, da altri peraltro erroneamente collocate tra gli storici fatalisti -- cosí Livio si distingue da Machiavello e da Vico; e sebbene Livio da maggiore influenza alla parte passiva e fatale dell’italiano nella storia; ciò nondimeno non si è data che ai secondi, a cominciar da Machiavello, la nota del storico fatalista. Se è vero infatti che Vico cerca nell'italiano il principio e la legge dello svolgimento dell'umanità, egli ebbe però il torto di essere esclusivo, in quanto non ha riconosciuto l'influenza della natura italiana sull'italiano. Si annota come a Cusani fin dai primi studi si affacci il dilemma tra pensiero come condizione e pensiero come condizionato: se una legge governa lo svolgimento dell'intelligenza, la storia è da intendersi fatalisticamente costretta entro i termini di una legge fissa del pensiero? Del resto in un saggio nel Progresso (e non compresa nei due volumi degli Scritti, forse perché firmata — come del resto altre note raccolte da Ottonello — con la sola sigla S. C.), Elementi di Fisica sperimentale e di meteorologia di M. Pouillet, Cusani ritorna sul metodo delle scienze e sulla accostabilità tra scienze morali e scienze fisiche. Dappoiché la scienza della natura e sottoposta nella sua ricerca a metodi certi e sicuri, e l'umana intelligenza punto da quelli non dipartendosi, seguitò attesamente le sue investigazioni, i progressi rapidi e continuati succedettero ai lenti e quasi invisibili dell'antichità. Il successo di queste scienze — come di ogni scienza — è nel metodo, cosi che da meglio che tre secoli lo spirito umano procede, in questa special branca delle sue conoscenze con tanta fidanza, e direi quasi, contanta certezza de' suoi risultamenti, che nissun'altra scienza per avventurapuò con questa venire al paragone. Si badi, le scienze fisiche non costituiscono altro che una special branca delle conoscenze dello spirito umano. Dunque occorre applicare anche alle altre branche metodi certie sicuri, come è possibile dal momento che la storia universale dell'Umanità, che pone la Storia al centro dell'investigazione, racchiude,com'a dire, in un corpo tutto lo svolgimento intellettivo della spezie. Ecco perché nel saggio Della lirica, a proposito della legge della evoluzione ideale dell'umanità nel progresso storico, Cusani nota che questo è di proprio particolar dominio di quella scienza, che sorta gigante in Italia per opera di quella maraviglia del Vico, costituisce ora il centro intorno a cui si svolgono tutti gli sforzi del secolo. Simili le espressioni usate nella recensione agli Elementi di Fisica sperimentale, allorché della storia universale dell'Umanità nota che forma a questi nostri tempi il punto di mezzo, intorno di cui si volge e gravita tutto il processo del lavori del secolo. Il ricco saggio “Idea d'una storia compendiata della filosofia” è a questo punto da considerare fondamentale. La connessione che la storia ci rivelatra libertà e necessità, ci consente di rintracciare la legge necessaria del progresso storico. Noi sappiamo che la filosofia del popolo italiano non è altra cosa se non lo spirito del popolo italianom non già come  si manifesta nella sua religione spontanea, nelle sue arti, nella sua costi-in se stesso aveva, artea, un concertelli avvenimee metafisica. cipale delle sourcetuzione politica, nelle sue leggi e costumi, ma come si rivela nell'esilio inviolabile del pensiero puro, che riferma il piú alto grado al quale possada sé stesso elevarsi. Cusani ha, a tal proposito, filosofato nel saggio “Della poesia drammatica” un concetto che poi si ritrova in seguito. Egliè il vero che sotto la varietà degli avvenimenti del fatto e della vita stessa della società italiana è nascosa la legge suprema e metafisica che li governa,e che il filosofo tenta di scoprire, e ne fa l'obbietto principale delle sue ricerche, ma all’italiano, ch'é, come dice quell'altissimo ingegno di Vico, il senso della nazione italiana e dato tutto al piú di sentirla, ma non deve essere suo scopo di manifestarla, dove all'ispirazione vichiana pare già si aggiunga, insinuandosi, una suggestione hegeliana. Nello saggio Della lirica, Cusani ribadisce l'argomento. Se la filosofia non deve fat suo scopo, come altrove dicemmo, parlando della poesia drammatica, la rivelazione di essa legge secondo la quale l'umanità si svolge nello spazio e nel tempo, puf tuttavia non potrà certo cansarla nella sua manifestazione storica, cioè nel suo progresso attraverso delle nazio ultima recension Felice Roman son sottoposti alla legge storica in generale, la quale le impronta quasi una seconda indole, ed è questa poi, che fa che i filosofi sieno, come diceVico, il senso della nazione italiana. Sorprendentemente, nell'ultima recensione pubblicata sulla « Rivista napolitana », Liriche del Cav. Felice Romani, quasi ad emblematica chiusura, Cusani ripete. Vico innanzi tuttia veva formolata questa solenne verità, proclamando che il filosofo e  ilblematica sblata questa sojeni filosofi ne sinnestare Hegedea d'uneinnanzi Qui l'eclettismo cusaniano ha voluto innestare Hegel sulla tradizione italiana custodita e proclamata, specie allorché, nella idea d'una storia, riprende il tema di una ragione fondamentale, di una idea filosofica fondante le manifestazioni della vita umana, per cui la religione e soprattutto la filosofia già ricordata sono riconducibili ad una legge razionale. Un'altra citazione, non giustificata in questa sede, si rende necessaria per la sintesi che riesce a conseguire, in specie sul tema del senso comune. Allorché il movimento filosofico o riflessivo passa dalla fede alla scienza,e dalle credenze popolari alle idee della ragione, e si trova d'essere giunto a scoprire il pensiero celato dapprima sotto FORMA SIMBOLICA, e che si traduce nell’istituzione, nella costume, nella filosofia e e nelle industria, egli fatto quasi banditore della verità scoperta, l'annunzia per farla conoscere alle masse, le quali non avrebbero potuto pervenire sino a quel segno che tardi e lentamente. È in questo senso che il filosofo accelera il movimento delle masse, e da qui nasce ancora che egli stesso e indugiato nel movimento che è loro proprio. Dappoiché se le masse accettano la nuova luce che loro arreca il filosofo, sono d'altra parte lente e ritenute nell'abbandonare le vecchie opinioni, che il tempo ha rese abituali, e bisogna innanzitutto che esse comprendano ciò che loro viene rivelato, e lo comprendanoa loro modo, cioè facendo che discenda in certa guisa dalle forme astratte della scienza alle forme pratiche del senso comune. Dunque il filosofo comprende e spiega nient'altro che ciò che l’intelligenza spontanea dei popoli crede istintivamente, e pertanto, lafilosofia non è che la spiegazione del senso comune. Possiamo a questo punto scoprire l'errore di chi ha collocato Vico e Machiavelli tra un storico fatalista como Livio, dappoiché, se a tuttaprima poteva parere, che l’italiano appo costoro fosse schiavo dell’istituzione, in quanto che queste venivano considerate come cose non procedenti dall’italiano stesso, pure, allorché si vide che l’istituzione none che la manifestazione esterna, il segno, e la realizzazione delle idee del popolo italiano, libertà umana nella creazione degli avvenimenti del mondo. Come si risolve pertanto il problema della libertà? Si pone inquesti termini l'interrogativo. La ragione è dunque il fondamento della libertà; ma ragione e libertà sono da intendersi esclusivamente riferitisare appunto che il problema della libertà investa soltanto l'azione soggettiva (non intersoggetiva o collettiva) che ha per teatro la storia. In realtà però, proprio per l'ampia visuale che egli propone della storia globalmente intesa, la libertà non è solo quella dell'individuo o soggetto italiano che si affranca dai condizionamenti dell'istinti -- vità, ma anche quella che costituisce la linea intelligibile di tutto lohere nelle pella sciente quella con il. La soluzione che si può intravedere in Cusani, concorde ed omogenea allo sviluppo della questione della scienza e del metodo  nell'intera, intensa elaborazione culturale di Cusani è forse quella contenuta nella Idea d'una storia. Resta certo il rammarico del mancato approfondimento delle tante tematiche che a questa risposta devono riferirsi, in particolare sulla politica e sulla estetica. Ma la sintesi che Cusani propone rimane oltremodo significativa. L'ordine adunque degli avvenimenti, la provvidenza, o legge dell'intelligenza umana, è quella legge che Iddio  stesso ha imposta al mondo morale, e che non differisce dalle leggi della natura, se non per questo, cioè che la legge imposta al mondo morale non distrugge punto la libertà individuale, essendo ché è permezzo della libertà che si compiono i destini della intelligenza, laddovele legge della natura e compita senza il concorso della libera volontà. Stefano Cusani. Cusani. Keywords: l’assoluto, il relative, spirito soggetivo, spiriti soggetivi, spirito oggetivo, storiografia filosofica di Cousin, unita latitudinale della filosofia, l’assoluto di Bradley, Hamilton, l’obbjezione all’assoluto, l’essere e la metafisica, gli esseri e la metafisica, economia e morale, la fenomenologia, il fatto di coscienza intersoggetiva, hegelismo, Vico, Galluppi, Mamiami, Colecchi, Rosmini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cusani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690273430/in/photolist-2mLQc9e-2mPrdWj-2mKBFeq-2mKGaqS-2mKG3XG-2mKbpiZ

Grice e Dalmasso – la giustizia nel discorso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie (Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. –  Hegel e l’Aufhebung del segno. L'implicatura del noi duale. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne Il tema della filosofia di Dalmasso ri­guar­da la do­man­da ori­gi­na­ria. Do­man­da e ori­gi­ne sono pro­ble­mi del pen­sie­ro che, fin dal­l’i­ni­zio della fi­lo­so­fia, non co­sti­tui­sco­no un ap­proc­cio di con­trol­lo e di do­mi­nio del­l’e­si­sten­za, quan­to piut­to­sto un ri­pie­ga­men­to su sé stes­si che si in­ter­ro­ga sulla pro­pria ge­ne­si. In ter­mi­ni meno esi­sten­zia­li e più an­ti­chi tale que­stio­ne oc­cu­pa il posto del­l’a­ni­ma. Dalla con­sa­pe­vo­lez­za del­l’in­com­be­re della morte nel primo sta­si­mo del­l’An­ti­go­ne al co­sti­tuir­si, per così dire, di un’interiorità nella so­fi­sti­ca e in Pla­to­ne, l’a­ni­ma (animatum) ha fun­zio­na­to come prin­ci­pio ori­gi­na­rio in una forma di­ver­sa che il do­mi­nio. Prin­ci­pio che an­no­da e che ma­ni­fe­sta, se­con­do vie non solo im­me­dia­te e spe­cu­la­ri, il logos (la ragione), il noein come co­no­scen­za e mi­su­ra di un or­di­ne. Quan­do il nous, at­tra­ver­so Ari­sto­te­le, ac­qui­sta tutto il suo svi­lup­po con­cet­tua­le e stra­te­gi­co, nel pen­sie­ro tardo-​an­ti­co, a par­ti­re da Plo­ti­no, l’ anima ri­ma­ne ed è ri­ba­di­ta come il luogo e il ve­ni­re a co­scien­za del rap­por­to con lo stes­so “nous,” cioè con il for­mu­lar­si del­l’o­ri­gi­na­rio (uno, bene o atto che sia).  Grice e Dalmasso scel­gono di leg­ge­re Bradley e Hegel. Scel­ta mo­ti­va­ta da loro in­te­res­si di ri­cer­ca, ma anche, più am­pia­men­te, dall’attualità di un lin­guag­gio che è in grado di ri­for­mu­la­re que­stio­ni sul­l’as­set­to mo­der­no del sa­pe­re e sul sog­get­to – e l’intersoggetivo -- di tale sa­pe­re. Su un ‘noi’ duale, che, nella espli­ci­ta stra­te­gia he­ge­lia­na, ar­ti­co­la e rad­dop­pia il ruolo di due anime. Sa­pe­re su di un noi duale è co­mun­que per Hegel un sa­pe­re sulle strut­tu­re di un noi duale chi, che sono in grado di for­mu­la­re una do­man­da ori­gi­na­ria.  Il testo, di cui Bradley propone al­cu­ne note es­sen­zia­li di com­men­to, ri­guar­da i pa­ra­gra­fi dal 440 al 458 della “Psi­co­lo­gia razionale” se­zio­ne della Fi­lo­so­fia dello Spi­ri­to con­te­nu­ta nella edi­zio­ne dell’En­ci­clo­pe­dia. A dif­fe­ren­za dell’“an­tro­po­lo­gia”, in cui due a­ni­me sono con­si­de­ra­te come l’a­spet­to im­me­dia­to della vita dello spi­ri­to (le due anime con­si­de­ra­te come il sonno dello spi­ri­to, pro­ble­mi del rap­por­to del­le due anime con I due corpori, que­stio­ni del sonno, della ve­glia, delle sen­sa­zio­ni ecc.) la Psi­co­lo­gia non è scien­za delle due a­ni­ma, ma scien­za del sa­pe­re in­tor­no al­le due a­ni­me, cioè scien­za ve­ra­men­te tale, nella sua por­ta­ta con­cet­tua­le. Per Bradley e Hegel, ‘scien­za’, Wis­sen­schaft, ogni scien­za, e so­prat­tut­to quel­la scien­za mas­si­ma­men­te ri­go­ro­sa che è la fi­lo­so­fia (‘regina scientiarum) è scien­za sem­pre di se­con­do grado: scien­za che con­trol­la e che ha come og­get­to la sua stes­sa ge­ne­si. La filosofia e la regina scientiarum, la scien­za che mi­su­ra il ne­ga­ti­vo ri­spet­to al suo as­sun­to e al suo stes­so me­to­do, scien­za che è in grado di smar­car­si dal piano del suo stes­so sa­pe­re e di com­pren­de­re il rap­por­to di­na­mi­co, ge­ne­ra­ti­vo e mai astrat­ta­men­te “spe­cu­la­re” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-co­no­scen­za si co­sti­tui­sce. Così, nel caso del testo com­men­ta­to da Bradley, i con­te­nu­ti della psi­co­lo­gia sono cu­rio­sa­men­te tutti di­ver­si da quel­li che nel­l’as­set­to della fine del­l’Ot­to­cen­to e del primo No­ve­cen­to ci si aspet­te­reb­be da una psi­co­lo­gia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and dispositions”. La psi­co­lo­gia filosofica o razionale non è scien­za delle leggi delle anime o psi­chai, ma del mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo delle leggi delle anime o delle psi­chai.  I testi che sono og­get­to del com­men­to di Bradley sono, come Bradley nota, estre­ma­men­te dif­fi­ci­li. Prima di co­min­cia­re Bradley fa qual­che ri­lie­vo sul pro­ble­ma della difficoltà in ge­ne­ra­le nella let­tu­ra del testo di Hegel. La que­stio­ne si pone se­con­do tre punti di vista. In­nan­zi tutto come que­stio­ne della na­tu­ra e della de­sti­na­zio­ne del testo. Ad esem­pio l’ “En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che”, nel no­stro caso, è pen­sa­ta come un rias­sun­to delle le­zio­ni per i ‘tuttee’. In se­con­do luogo il pro­ble­ma del si­gni­fi­ca­to espres­so, del voler dire del di­scor­so he­ge­lia­no. In terzo luogo, che è quel­lo de­ci­si­vo, la que­stio­ne del me­to­do di com­po­si­zio­ne del testo di Hegel, me­to­do che ri­guar­da, d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Que­stio­ni, dette al­tri­men­ti, di sin­to­niz­zar­si con il testo che, per quan­to ri­guar­da il me­to­do filosofico di Hegel, non può es­se­re altro che ri­per­cor­re­re l’e­le­men­to ge­ne­ra­ti­vo del si­gni­fi­ca­to di ciò che Hegel explicitamente communica. Senza di que­sto in­ces­san­te ri­per­cor­ri­men­to a li­vel­lo della ge­ne­si del testo, il suo ‘segnato’ posse appare in­com­pren­si­bi­le o ap­piat­ti­to. Ap­piat­ti­to come su di una su­per­fi­cie, in modo che il gioco delle in­ter­pre­ta­zio­ni del tutee, anche nel caso si trat­ti di stu­dio­so molto qua­li­fi­ca­to, tende spes­so a sbiz­zar­rir­si in gro­vi­gli di ipo­te­si fi­lo­lo­gi­che o di ca­rat­te­re ideo­lo­gi­co-​me­ta­fi­si­co. Il mi­ni­mo comun de­no­mi­na­to­re è la per­di­ta del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo di tale segnato. Così si può se­pa­ra­re per­fi­no il con­cet­to di ne­ga­ti­vo dal con­cet­to di ge­ne­ra­zio­ne so­vrap­po­nen­do l’uno sul­l’al­tro e ren­den­do in­com­pren­si­bi­li en­tram­bi. Que­stio­ne che si pone in modo non in­fre­quen­te, anzi ma­les­se­re spes­so dif­fu­so anche nel com­men­to di Bradley. Ini­zia­mo la let­tu­ra par­ten­do dalle prime righe del par. 440.  Lo spi­ri­to si è de­ter­mi­na­to di­ve­nen­do la verità del­l’a­ni­ma e della co­scien­za, cioè la verità di quel­la totalità sem­pli­ce e im­me­dia­ta e di que­sto sa­pe­re.  Ades­so il sa­pe­re, in quan­to forma in­fi­ni­ta, non è più li­mi­ta­to da quel con­te­nu­to, non sta in rap­por­to con esso come con un og­get­to, ma è sa­pe­re della totalità so­stan­zia­le, né sog­get­ti­va né og­get­ti­va, ma intersoggetiva. ll pro­ble­ma del rap­por­to fra il sa­pe­re e la ra­gio­ne inau­gu­ra qui il di­bat­ti­to sulla scien­za della psi­che. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne ini­zia a di­pa­nar­si nel pa­ra­gra­fo se­guen­te:  L’a­ni­ma è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui è de­ter­mi­na­ta im­me­dia­ta­men­te, cioè de­ter­mi­na­ta per na­tu­ra.  La co­scien­za è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui ha un og­get­to.  Lo spi­ri­to è in­ve­ce fi­ni­to, “in­so­fern ist end­lich,” nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re (in sei­nem Wis­sen) non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za, nel senso che è fi­ni­to per via della sua im­me­dia­tez­za e — che è la stes­sa cosa — perché è sog­get­ti­vo, è cioè come il Con­cet­to. Lo spi­ri­to è fi­ni­to nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re, non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za. Lo spi­ri­to sem­bra es­se­re quell’attività in grado di con­te­ne­re e con­trol­la­re l’in­trec­cio fra la ra­gio­ne e il sa­pe­re, anche se ora solo nella forma del­l’im­me­dia­tez­za. L’in­trec­cio si or­ga­niz­za su due poli: la ra­gio­ne e il sa­pe­re. Essi si im­pli­ca­no re­ci­pro­ca­men­te . A se­con­da che si con­si­de­ri come con­cet­to la ra­gio­ne o il sa­pe­re.  Qui è in­dif­fe­ren­te ciò che viene de­ter­mi­na­to come con­cet­to dello spi­ri­to e ciò che viene in­ve­ce de­ter­mi­na­to come realità o “Realität” di que­sto con­cet­to. Se in­fat­ti la ra­gio­ne as­so­lu­ta­men­te in­fi­ni­ta, og­get­ti­va, viene posta come con­cet­to dello spi­ri­to, al­lo­ra la realità è il sa­pe­re, cioè l’in­tel­li­gen­za; se in­ve­ce è il sa­pe­re a es­se­re con­si­de­ra­to come il con­cet­to, al­lo­ra la realità del con­cet­to è que­sta ra­gio­ne e la rea­liz­za­zio­ne (Rea­li­sie­rung) del sa­pe­re con­si­ste nel­l’ap­pro­priar­si della ra­gio­ne.  La fi­ni­tez­za dello spi­ri­to per­tan­to con­si­ste in ciò: il sa­pe­re non com­pren­de l’Es­se­re in-​sé-​e-​per-​sé della sua ra­gio­ne. In altri ter­mi­ni: la ra­gio­ne non si è ma­ni­fe­sta­ta pie­na­men­te nel sa­pe­re.4  C’è un di­sli­vel­lo dun­que strut­tu­ra­le con la ra­gio­ne che fun­zio­na nel sa­pe­re. Di­sli­vel­lo strut­tu­ra­le che per i greci era in­ve­ce co­sti­tui­to dal rap­por­to fra il sa­pe­re e la verità. Co­mun­que la realtà, con­si­de­ra­ta come realtà del sa­pe­re o come realtà della ra­gio­ne, si co­sti­tui­sce e fun­zio­na per Hegel come un farsi che è un in­trec­cio ine­stri­ca­bi­le. Una purità e verginità del­l’o­ri­gi­ne è in­tro­va­bi­le.  La que­stio­ne di un sa­pe­re dello/sullo spi­ri­to si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te nel pa­ra­gra­fo 442:  Il pro­ce­de­re dello spi­ri­to è svi­lup­po (Ent­wic­klung) nella mi­su­ra in cui la sua esi­sten­za, il sa­pe­re, ha entro se stes­sa l’es­se­re — de­ter­mi­na­to in sé e per sé, cioè ha per con­te­nu­to, “Ge­hal­te,” e per fine, “Zweck” il ra­zio­na­le, “Ver­nunf­ti­ge.” L’attività di tra­spo­si­zio­ne è dun­que pu­ra­men­te e sol­tan­to il pas­sag­gio for­ma­le nella ma­ni­fe­sta­zio­ne e, in que­sta, è ri­tor­no entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella mi­su­ra in cui il sa­pe­re, af­fet­to dalla sua prima de­ter­mi­na­tez­za, è sol­tan­to astrat­to, cioè for­ma­le, la meta dello spi­ri­to è quel­la di pro­dur­re il ri-em­pi­men­to og­get­ti­vo, “die ob­jec­ti­ve Erfüllung her­vor­zu­brin­gen,” e quin­di, a un tempo, la libertà del suo sa­pe­re. In que­sto testo il mo­vi­men­to del sa­pe­re e il suo sa­per­ne si ar­ti­co­la come que­stio­ne della co­no­scen­za del­l’o­ri­gi­na­rio. Tale que­stio­ne, che ha la forma del ri­tor­no, è pen­sa­bi­le come libertà. L’av­ven­tu­ra dello spi­ri­to che è sem­pre un ap­pro­priar­si, un far pro­prio, qui, e se­con­do la radicalità della sua strut­tu­ra, fun­zio­na come ap­pro­priar­si del sa­pe­re e coin­ci­de con l’av­ven­tu­ra della libertà.  Il cam­mi­no dello spi­ri­to con­si­ste per­tan­to nel­l’es­se­re spi­ri­to teo­re­ti­co, cioè nel­l’a­ve­re a che fare con il ra­zio­na­le nella sua de­ter­mi­na­tez­za im­me­dia­ta, e di porlo ades­so come il suo. Il cam­mi­no con­si­ste in­nan­zi tutto nel li­be­ra­re il sa­pe­re dal pre­sup­po­sto e, con ciò, dalla sua astra­zio­ne, e ren­de­re sog­get­ti­va la de­ter­mi­na­tez­za. Poiché in tal modo il sa­pe­re è in sé e per sé de­ter­mi­na­to come sa­pe­re entro sé, e poiché la de­ter­mi­na­tez­za è posta come la sua, quin­di come in­tel­li­gen­za li­be­ra, il sa­pe­re è  volontà, spi­ri­to pra­ti­co, il quale in­nan­zi tutto è an­ch’es­so for­ma­le. Il sapere a un con­te­nu­to che è sol­tan­to il suo. Esso vuole im­me­dia­ta­men­te, e ades­so li­be­ra la sua de­ter­mi­na­zio­ne di volontà dalla soggettività e l’intersoggetivita che la con­di­zio­na­ come forma uni­la­te­ra­le del pro­prio con­te­nu­to. In tal modo gli spi­ri­ti  di­vie­neno come spi­ri­ti li­be­ri, nel quale è ri­mos­sa quel­la dop­pia unilateralità. Lo scor­cio teo­ri­co for­ni­to in que­sto pa­ra­gra­fo me­ri­ta una pun­tua­liz­za­zio­ne. Ab­bia­mo in pre­ce­den­za ac­cen­na­to alla cor­ni­ce della psi­co­lo­gia filosofica o razionale come pro­get­to scien­ti­fi­co: scien­za delle anime che si pone come scien­za dei fat­to­ri ge­ne­ra­ti­vi delle anime.  Il per­cor­so dei spi­ri­ti che si sfor­zano di co­no­sce­re se stes­si, che tentano di com­pren­de­re l’e­spe­rien­za della lor libertà, che nella Fe­no­me­no­lo­gia dello spi­ri­to pren­de la via della mo­ra­le come sto­ria, in que­ste pa­gi­ne pren­de la via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà. Che il sa­pe­re possa af­fer­ra­re se stes­so, possa ap­pro­priar­si di sé. La stra­te­gia he­ge­lia­na im­pli­ca che l’o­ri­gi­na­rio, per i sog­get­ti (l’intersoggetivo) e per il sa­pe­re, fun­zio­ni e sia co­no­sci­bi­le come ef­fet­to di que­sto ap­pro­priar­si che è etico, pra­ti­co.  Se non si pensa il si­gni­fi­ca­to del sa­pe­re e di suoi sog­get­ti come etico, pra­ti­co, i sog­get­ti del sa­pe­re si di­bat­teno «in una bi-lateralità»: la rap­pre­sen­ta­zio­ne che i sog­get­ti fano di sé come suoi e l’im­me­dia­tez­za di tale rap­pre­sen­ta­zio­ne. Le libertà dell’anime è pen­sa­bi­le come lo spiaz­za­men­to in cui i sog­get­ti del sa­pe­re co­no­sceno il loro es­se­re fatto, no­no­stan­te e at­tra­ver­so il loro co-fare (co-operare) im­pos­si­bi­li­ta­to a co­glie­re l’identità fra sé e le loro im­ma­gi­ni. Que­sta di­vi­sio­ne e di­sli­vel­lo in­ter­no che è l’impossibilità di co­glie­re l’o­ri­gi­ne del pro­prio co­sti­tuir­si è per Hegel l’In­tel­li­gen­za (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and Intelligence” – Signs). Nel mon­tag­gio lin­gui­sti­co di que­sto testo tale di­vi­sio­ne e tale di­sli­vel­lo vanno ad oc­cu­pa­re il posto della clas­si­ca op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, in quan­to è que­sta unità con­cre­ta dei due mo­men­ti — vale a dire, im­me­dia­ta­men­te, di es­se­re ri­cor­da­ta entro sé in que­sto ma­te­ria­le este­rior­men­te es­sen­te, e di es­se­re im­mer­sa nel­l’es­se­re fuori-​di-​sé men­tre entro sé si in­te­rio­riz­za col pro­prio ri­cor­do —, è in­tui­zio­ne. Il cam­mi­no del­l’In­tel­li­gen­za sta pro­prio nel bat­te­re in brec­cia l’op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  Le in­tel­li­gen­za, quan­do ri­cor­dano ini­zial­men­te l’in­tui­zio­ne, poneno il con­te­nu­to del sen­ti­men­to nella pro­pria interiorità, nel loro pro­prio spa­zio e nel loro pro­prio tempo. In tal modo il con­te­nu­to è im­ma­gi­ne, li­be­ra­ta dalla sua prima im­me­dia­tez­za e dalla dualità astrat­ta ri­spet­to all’altro soggetto, in quan­to essa è ac­col­ta nella dualità del­ noi. Que­sto bat­te­re in brec­cia, visto dal punto di vista del­l’in­tel­li­gen­za, è l’im­ma­gi­ne. L’in­tel­li­gen­za pos­sie­de dun­que le im­ma­gi­ni. L’in­tel­li­gen­za è il Quan­do e il Dove del­l’im­ma­gi­ne.  L’im­ma­gi­ne è per sé “tran­s-eun­te”,  nomade, da una anima ad altra anima, e l’in­tel­li­gen­za stes­sa, in quan­to at­ten­zio­ne, è il tempo e anche lo spa­zio, il Quan­do e il Dove, del­l’im­ma­gi­ne.  L’in­tel­li­gen­za però non è sol­tan­to la co-­scien­za e l’es­ser­ci delle pro­prie de­ter­mi­na­zio­ni, bensì, in quan­to tale, ne è anche i sog­get­ti e l’In-​sé. Ri­cor­da­ta nel­l’in­tel­li­gen­za, perciò, l’im­ma­gi­ne non è più esi­sten­te, ma è con­ser­va­ta in­con­scia­men­te. Nell’An­mer­kung dello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel inau­gu­ra la me­ta­fo­ra del pozzo not­tur­no per de­fi­ni­re il fun­zio­na­men­to del­l’in­tel­li­gen­za come un luogo in cui sono con­ser­va­te im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che l’in­tel­li­gen­za stes­sa non co­no­sce. Hegel pro­se­gue la sua in­da­gi­ne at­tra­ver­so una sorta di tiro in­cro­cia­to fra in­tui­zio­ne ed im­ma­gi­ne, met­ten­do in azio­ne uno stile ago­sti­nia­no alla “De ma­gi­stro”. Anche la no­zio­ne, clas­si­ca, di “re-­praesentatum” (il rappresentato) entra, ri­com­pre­sa e ri­pen­sa­ta, come dal­l’in­ter­no, nel mo­vi­men­to pro­dut­ti­vo del­l’in­tel­li­gen­za.  La no­zio­ne di “me­mo­ria” (stato temporario totale) è an­ch’es­sa ri­per­cor­sa, nella sua strut­tu­ra clas­si­ca, come mo­vi­men­to at­ti­vo e im­pren­di­bi­le, fun­zio­nan­te nel­l’in­tel­li­gen­za e pro­dut­ti­va di essa, in una svol­ta de­ci­si­va del pa­ra­gra­fo. L’in­tel­li­gen­za è la po­ten­za che do­mi­na sulla ri­ser­va di im­ma­gi­ni e il rappresentato che le ap­par­ten­go­no. Essa è quin­di con­giun­zio­ne e sus­sun­zio­ne li­be­ra di que­sta ri­ser­va sotto il con­te­nu­to pe­cu­lia­re. L’in­tel­li­gen­za si ri­cor­da ed in­te­rio­riz­za in modo de­ter­mi­na­to entro quel­la ri­ser­va, e la pla­sma im­ma­gi­na­ti­va­men­te se­con­do que­sto suo con­te­nu­to. Essa è quin­di fan­ta­sia, im­ma­gi­na­zio­ne SIMBOLIZZANTE, al­le­go­riz­zan­te o poe­tan­te.  Que­sta for­ma­zio­ne im­ma­gi­na­ti­va più o meno con­cre­te, più o meno in­di­vi­dua­liz­za­te, e an­co­ra delle sin­te­si nella mi­su­ra in cui il ma­te­ria­le, in cui il con­te­nu­to intersog­get­ti­vo con­fe­ri­sce un es­ser­ci al rap­pre­sen­tato, pro­vie­ne dal Tro­va­to, “dem Ge­fun­de­nen,” del­l’in­tui­zio­ne. Passività, evi­den­za, sor­pre­sa di fonte al darsi ori­gi­na­rio delle cose ri­guar­da perciò per Hegel un mo­vi­men­to che ha come suo ele­men­to lo sce­na­rio dell’intersoggetività. Il tro­va­to del­l’in­tui­zio­ne, in­con­tro, evi­den­za, ac­co­glien­za della realtà è pen­sa­bi­le in un re­gi­stro che è già una tra­du­zio­ne, ‘trans-latum.” È nel re­gi­stro di una tra­du­zio­ne (“trans-latum”) che nel per­cor­so di que­sto testo di Hegel, di una tra­du­zio­ne (trans-latum) del fuori nel den­tro e vi­ce­ver­sa, che si può av­vi­sta­re ciò in fi­lo­so­fia si chia­ma realtà.  Quan­do l’in­tel­li­gen­za, in quan­to ra­gio­ne, parte dal­l’ap­pro­pria­zio­ne del­l’im­me­dia­tez­za tro­va­ta entro sé, cioè la de­ter­mi­na come un “universale”, ecco al­lo­ra che la sua attività ra­zio­na­le pro­ce­de dal punto at­tua­le, “dem nun­meh­ri­gen Punk­te,” a de­ter­mi­na­re come es­sen­te ciò che in essa si è svi­lup­pa­to in au­to-in­tui­zio­ne con­cre­ta, pro­ce­de cioè a ren­de­re se stes­sa Es­se­re, cosa, il reale. L’in­tel­li­gen­za stes­sa così si fa es­sen­te, si fa cosa, si fa il relae.  Quan­do è at­ti­va in que­sta de­ter­mi­na­zio­ne, l’in­tel­li­gen­za si estrin­se­ca, “aus­sernd,” pro­du­ce, “pro­du­zie­rend,” in­tui­zio­ne: è fan­ta­sia che si espri­me in un “segno,” “Zei­chen ma­chen­de Phan­ta­sie,” token-making fantasy – fantasia che fa segno, fantasia che segna. L’in­tel­li­gen­za esi­ste in quan­to fan­ta­si. Tesi non im­me­dia­ta­men­te pre­ve­di­bi­le nel di­spo­si­ti­vo, in­tri­ca­to, di que­sto per­cor­so he­ge­lia­no. Tesi cui pure spin­ge, con ri­go­ro­sa necessità, que­sta ana­li­si scien­ti­fi­ca delle anime – una anima segna, l’altra capisce. Que­sto testo di Hegel in­ne­sca con­sa­pe­vol­men­te una po­le­mi­ca ed anche una ri­for­mu­la­zio­ne me­to­do­lo­gi­ca ra­di­ca­le nei con­fron­ti della tra­di­zio­ne em­pi­ri­sta, dei sen­si­sti, di Con­dil­lac e degli ideo­lo­gues. At­tra­ver­so le scor­ri­ban­de del­l’in­tel­li­gen­za fra sa­pe­re e “segno” (Zeichen, la fantasia che fa segno, la fantasia che segna), scien­za e realtà, at­tra­ver­so e al di là della dia­let­ti­ca fra il po­si­ti­vo e il ne­ga­ti­vo, fra i sog­get­ti e la verità ecc, Hegel af­fer­ma che l’in­tel­li­gen­za è il suo atto. Esi­ste­re non è l’im­me­dia­tez­za di un che ri­spet­to a se stes­si, ma è l’at­to in cui, in un con­te­nu­to de­ter­mi­na­to, l’in­tel­li­gen­za si rap­por­ta a se stes­sa.  La fan­ta­sia è il punto cen­tra­le in cui l’u­ni­ver­sa­le e l’es­se­re, il pro­prio e il tro­va­to, l’in­ter­no e l’ester­no – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna -- sono per­fet­ta­men­te uni­fi­ca­ti. Le sin­te­si pre­ce­den­ti del­l’in­tui­zio­ne, del ri­cor­do ecc., sono uni­fi­ca­zio­ni del me­de­si­mo mo­men­to, tut­ta­via si trat­ta pur sem­pre di sin­te­si. Solo nella fan­ta­sia l’in­tel­li­gen­za non è più come il pozzo in­de­ter­mi­na­to e come l’u­ni­ver­sa­le, bensì è come sin­go­la­re, cioè come intersoggettività CONCRETA nella quale l’­re­la­zio­ne è de­ter­mi­na­ta sia come es­se­re sia come universale.L’in­tel­li­gen­za è intersoggettività con­cre­ta solo nella fan­ta­sia condivisa. Tale que­stio­ne è chia­ri­ta dal se­gui­to della stes­sa An­mer­kung. Tutti ri­co­no­sco­no che le im­ma­gi­ni della fan­ta­sia co­sti­tui­sco­no tali uni­fi­ca­zio­ni del pro­prio e del­l’in­ter­no dello spi­ri­to con l’e­le­men­to in­tui­ti­vo. Il loro con­te­nu­to ul­te­rior­men­te de­ter­mi­na­to ap­par­tie­ne ad altri am­bi­ti, men­tre qui que­sta fu­ci­na in­ter­na va in­te­sa sol­tan­to se­con­do quel mo­men­to astrat­to.  In quan­to attività di que­sta unio­ne, la fan­ta­sia è ra­gio­ne, ma è ra­gio­ne for­ma­le, solo nella mi­su­ra in cui il con­te­nu­to in quan­to tale della fan­ta­sia è in­dif­fe­ren­te. La ra­gio­ne in quan­to tale, in­ve­ce, de­ter­mina a verità anche il con­te­nu­to. Nell’An­mer­kung suc­ces­si­va nello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel opera la svol­ta de­ci­si­va nel per­cor­so che qui ci in­te­res­sa:  In par­ti­co­la­re bi­so­gna an­co­ra ri­le­va­re que­sto fatto. Poiché la fan­ta­sia porta il con­te­nu­to in­ter­no a im­ma­gi­ne e a in­tui­zio­ne, e ciò viene espres­so di­cen­do che essa lo de­ter­mi­na come es­sen­te, non deve sem­bra­re sor­pren­den­te l’e­spres­sio­ne se­con­do cui l’in­tel­li­gen­za si fa­ es­sen­te, si fa­ cosa, si fa il relae. Il con­te­nu­to del­l’in­tel­li­gen­za, in­fat­ti, è l’in­tel­li­gen­za stes­sa, e lo è al­tret­tan­to la de­ter­mi­na­zio­ne che essa gli con­fe­ri­sce. L’im­ma­gi­ne pro­dot­ta dalla fan­ta­sia è intersog­get­ti­va­men­te in­tui­ti­va, men­tre è nel segno (Zeichen, token) che la fan­ta­sia ag­giun­ge a ciò l’au­ten­ti­ca intuibilità (ei­gen­tli­che An­schau­li­ch­keit); nella me­mo­ria mec­ca­ni­ca, poi essa com­ple­ta in sé que­sta forma del­l’es­se­re.  L’im­ma­gi­ne solo nel “segno” (Zeichen, token) è au­ten­ti­ca intuibilità di ciò che è. L’es­sen­te è co­gli­bi­le come “segno” (Zeichen, token) non come dato, come dono. Dato e dono non sono pen­sa­bi­li, ma nep­pu­re spe­ri­men­ta­bi­li nella forma della pre­sen­za, cioè in un darsi (che, in ter­mi­ni he­ge­lia­ni, è la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne). Essi sono già tra­scrit­ti nel con­te­nu­to in­ter­no del­l’in­tel­li­gen­za, cioè come un segno (Zeichen, token). L’e­le­men­to im­pren­di­bi­le, enig­ma­ti­co della co­no­scen­za è il segno (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella strut­tu­ra di que­sto testo Hegel af­fer­ma che il non pro­prio, il non nostro so­vra­sta e spiaz­za nella forma del segno (Zeichen, token), non nella forma del dono.  In que­sta unità, pro­ce­den­te dal­l’in­tel­li­gen­za, di una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma, “selb-ständiger Vor­stel­lung,” e di una in­tui­zio­ne, la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne è certo in­nan­zi­tut­to un qual­co­sa di ac­col­to, di im­me­dia­to e di dato, “ein auf­ge­nom­me­nes, etwas un­mit­tel­ba­res oder ge­ge­be­nes,” per esem­pio il co­lo­re della coc­car­da e af­fi­ni. In que­sta identità però l’in­tui­zio­ne non ha il va­lo­re di rap­pre­sen­ta­re po­si­ti­va­men­te e di rap­pre­sen­ta­re se stes­sa, bensì di rap­pre­sen­ta­re qual­co­s’al­tro. Essa è un’im­ma­gi­ne che ha ri­ce­vu­to entro sé una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma del­l’in­tel­li­gen­za come anima, che ha ri­ce­vu­to, cioè, il suo segnato. Que­sta in­tui­zio­ne è il segno (Zeichen, token). L’in­tui­zio­ne, rap­por­ta­ta scien­ti­fi­ca­men­te alla sua ori­gi­ne, ha la forma del segno (Zeichen, token). Tale forma ha una strut­tu­ra che coin­vol­ge i ter­mi­ne stes­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tel­li­gen­za sem­bra fun­zio­na­re in una de­ri­va di cui il segno (Zeichen, token) co­sti­tui­sce una sorta di cer­nie­ra, snodo in cui l’in­tel­li­gen­za stes­sa è tolta-​con­ser­va­ta.  L’in­tui­zio­ne che im­me­dia­ta­men­te e ini­zial­men­te è qual­co­sa di dato e di spa­zia­le, “ge­ge­be­nes und raum­li­ches,” una volta im­pie­ga­ta come segno (Zeichen, token) ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa. Que­sta sua negatività è l’in­tel­li­gen­za.  Perciò la fi­gu­ra più au­ten­ti­ca del­l’in­tui­zio­ne, che è un segno (Zeichen, token), è di es­se­re un es­ser­ci nel tempo: un di­le­gua­re, “Ver­sch­win­den,” del­l’es­ser­ci men­tre l’es­ser­ci è.  Inol­tre, se­con­do la sua ul­te­rio­re de­ter­mi­na­tez­za este­rio­re, psi­chi­ca, la fi­gu­ra più vera del­l’in­tui­zio­ne è un es­se­re-​posta dal­l’in­tel­li­gen­za, esser-​posta che viene fuori dalla naturalità pro­pria, an­tro­po­lo­gi­ca, del­l’in­tel­li­gen­za stes­sa: è il tono, “Ton,” cioè l’e­strin­se­ca­zio­ne riem­pi­ta dell’interiorità an­nun­cian­te­si.  Il “tono” che si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te in vista del rap­pre­sen­tato de­ter­mi­na­te è il di­s-cor­so –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un si­ste­ma del di­scor­so è la communicazione. In que­sto am­bi­to il “tono” con­fe­ri­sce a una sen­sa­zio­ne, una in­tui­zio­ne e un rap­pre­sen­ta­to  un *se­con­do* (duale) es­ser­ci, più ele­va­to del­l’es­ser­ci im­me­dia­to. In ge­ne­ra­le con­fe­ri­sce loro un’e­si­sten­za che ha va­lo­re nel regno dell’attività rap­pre­sen­ta­ti­va. Que­sto pro­get­to he­ge­lia­no di una scien­za della psi­che tenta qui un ul­te­rio­re ra­di­ca­le ap­proc­cio alla ge­ne­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tui­zio­ne, in quan­to fun­zio­nan­te come segno (Zeichen, token), ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa, “zu einem Zei­chen ge­brau­cht wird, die we­sen­tli­che Be­stim­mung nur als auf­ge­ho­be­ne zu sein.” In que­sto esser ri­mos­so, tolto-​con­ser­va­to del­l’in­tui­zio­ne sta l’o­ri­gi­ne del­l’in­tel­li­gen­za. La negatività di cui essa è fatta si in­trec­cia strut­tu­ral­men­te alla no­zio­ne di tempo. L’in­tui­zio­ne non è do­mi­na­bi­le da due sog­get­ti se non nella forma del dopo, un di­le­gua­re del­l’es­ser­ci men­tre es­ser­ci è. Quel­l’al­tro in­trec­cio che co­sti­tui­sce l’in­tui­zio­ne, l’in­trec­cio fra il den­tro e il fuori si espri­me nel “tono,” suono ar­ti­co­la­to. Il tono, visto in rap­por­to ad una rap­pre­sen­ta­zio­ne de­ter­mi­na­ta, è il di­scor­so (“Rede”) e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua (Spra­che) e la communicazione. A que­sto punto del suo per­cor­so la stra­te­gia di Hegel si in­con­tra con il pri­vi­le­gio greco e pla­to­ni­co ac­cor­da­to all’espressione, la pa­ro­la, al logos in quan­to vi­ven­te pro­nun­cia­to, detto, dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel Cratilo di Pla­to­ne anche in Hegel l’espressione come segno è cen­tra­le nella vita del­l’in­tel­li­gen­za, ma di una centralità che oc­cu­pa il luogo di un mo­vi­men­to ori­gi­na­rio ed im­pren­di­bi­le.  Per un com­men­to cri­ti­co ed espli­ca­ti­vo dei pa­ra­gra­fi della «Psi­co­lo­gia» nella se­zio­ne sullo «Spi­ri­to sog­get­ti­vo», anche per ciò che con­cer­ne le fonti di Hegel e la sag­gi­sti­ca re­la­ti­va, cfr. La «magia dello spi­ri­to» e il «gioco del con­cet­to». Con­si­de­ra­zio­ni sulla fi­lo­so­fia dello spi­ri­to sog­get­ti­vo nel­l’En­ci­clo­pe­dia di Hegel, Mi­la­no, Gue­ri­ni e As­so­cia­ti, 1995. ︎  Uso la re­cen­te tra­du­zio­ne di Vin­cen­zo Ci­ce­ro (En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che in com­pen­dio, ed. 1830, Mi­la­no, Ru­sco­ni, 1996) che ri­ten­go pun­tua­le ed av­ver­ti­ta delle que­stio­ni poste dal testo, no­no­stan­te la discutibilità di al­cu­ne so­lu­zio­ni su cui per altro pesa in certa mi­su­ra la re­si­sten­za ad ab­ban­do­na­re tra­du­zio­ni fa­mi­lia­ri e con­so­li­da­te. Grice: “There’s something otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it  or better, that a dark cloud signs *that* it may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian ‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso. Keywords: la giustizia nel discorso, sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen, zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dalmasso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766507517/in/dateposted-public/

 

Grice e Dandolo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito. Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in “Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano). Un filosofo che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara, libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli” (Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano); “Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi  (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di Tullio Dandolo”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”; “Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di G. A. Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi, primo e secondo periodo, Assisi. di Roberto Guerri, direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano.  Colloqui col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico avere per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro non erano che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione efficace la filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con indifferenza la sposizione poetica che del sistema d'Epicuro loro presentò Lucrezio. Germi erano questi gettati in terreno non preparato ancora à riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’ quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica ad abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme vano come pericolosi e disprezzavano come futili. Catone il censore ottenne che si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale. I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido Censore non prevede che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di Cesare. Non possiamo trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione del passato e le  tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien  dietro la riflessione, saremo costretti di riconoscere  che a rintuzzare il progresso della filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe muovere accusa alla Divinità, quasi ch'ella con innestare il male nella conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien dunque adoperarsi  a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose, non  proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle  conscii dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del giusto, il risvegliare in  quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova dottrina. Ma l' impulso era dato, nè poteva fermarsi. I giovani romani conservarono impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare, quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi, furono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè medesima le proprie soddisfazioni. Gli uni tennero dietro alla filosofia nel suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degli eserciti furono i primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza generale degli spiriti. L'accademico Antioco fu compagno di Lucullo. Catone il censore cedè egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. Silla fece trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. Catone d'Utica allorch'era tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che lo stoico Atenodoro abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a dimorare con lui.  Pure gli spiriti che con siffatto entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la filosofia penetra in coteste menti dirò come in massa e nel suo insieme. Ma non s'indentificò col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia fu nel tempo stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza, piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni, allora suprema.  I romani si divisero in sette. Effetto della maniera d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a' padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione, la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere, contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone, a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone Uticense. “Non  possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine.  ERASM. in Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus, intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove; l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie dell'eloquenza.  All' Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste , nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo, comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu, come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro, commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza, piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo, solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive, la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali, sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in nugoli, e la terra colle piove feconda ; e ad ora ad ora pegli spazii trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira, col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte; coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra, allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa; pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura ; talora nell'ombra della terra s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora  cessa; spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la reciproca giacitura , che si poterono ad esse applicar nomi di determinate figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là fortuitamente ? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali , senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio; argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica sanzione dell'umana giustizia.  u Fondamento primo d'ogni legislazione, egli scrive,  sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito pratica il culto ; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse, onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme eloquenza.  Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii , ossia de' doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni; le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita , perchè sovraccaricate di vane disputazioni , oppurtune più spesso a trastullare l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone ( scrive- a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato  di luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti meditazioni. Ma Cicerone non possedeva lo spirito speculativo che si richiede a poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze : il tempo venivagli meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari. Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de' caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell' umano consorzio.  La situazione politica in cui M. Tullio si trovò collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà. Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici insegnamenti.  Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M. Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia? Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice ? Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!” -- Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Dandolo. Keywords: storia della filosofia romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”; “Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”; roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688599022/in/photolist-2mRnYF2-2mPqEYR-2mKG3XG-2mKxzFL-2mKC3nj

 

Grice e Daniele – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Clemente). Filosofo. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica che era stata di Vico e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --;  “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) – dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio, e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’ re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi, , quanto in quella del medio evo --  “Monete antiche di Capua” (Napoli)  dove interpreta le antiche monete di Capua gia pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica, diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico, segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri” (Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius”, Lettere di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo Esperti’.  Francesco Daniele. Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole, Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio, filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro, vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di Sicilia. Daniele. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690282405/in/photolist-2mN8ym7-2mLGod1-2mPV6V9-2mKGd6B-2mKNWFh-2mKAuZM-2mPHbXQ-2mJLMNt-E4u3XA-Bq5PrV-BYy4NX-nRMNgJ-npxWhK-nsMM3K-noAhH4-hJHSQv-hJJo1T-hJH1Be-hJGLZx-hJG5wa

 

Grice e Dati – ELEGANTIOLÆ – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo. Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus; “Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” – ristampato “Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, SismelEdizioni del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae A. Datii” – Grice: “Dati is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that ‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x = x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ – or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords: ELEGANTIOLÆ, retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766418442/in/dateposted-public/

 

Grice e Delfino – l’ottava sfera – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu octava sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius.  Dizionario biografico degli italiani. Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus. Federico Dolfin. Federico Delfino. Delfino. Keywords: l’ottava sfera, first sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere, fifth sphere, sixth sphere, seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera, seconda sphaera, tertia sphaera, quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera, septima sphaera, octava sphaera, holometria, fabrica holometri, aristotelismo padovano vs. platonismo fiorentino – aristotele – platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51768078450/in/dateposted-public/

 

Delia

 

Deliminio

 

Grice e Delogu – semiotica romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nuoro). Filosofo. Grice: “We can call Delogu a Griceian; at least he has written a little tract that he entitled ‘questioni di senso’ – which is all that my philosophy is about!”  Si laurea a Sassari  e, come vincitore di una borsa di studio regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru.  È stato redattore del periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto da Pigliaru.  Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore.  Come vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e  prof. ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane.  Fa parte del comitato scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce.  È stato direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione sassarese della Società Filosofica Italiana.  È stato direttore della Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi, dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo, Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della Grande Guerra . Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari, Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma),  Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), SSatta, (Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa Carrara.  Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo.  È stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza nazionale dei Rettori.  Premio "Sardegna-Cultura" Premio "Giuseppe Capograssi”. Altre opere: “Insegnamento e implicamento empiegamento della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero,  Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi in  Sartre in Sartre, teoria scrittura impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto, Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense, Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil, in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri, FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico  Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza, in Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo internazionale mediterraneo nel 50º Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone, L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica. Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo; in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città, Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni, M. Corrias Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al confine ed oltre. La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma);  J. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru, Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press, Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue Theologique,  Prefazione all’analisi dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante, Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in Esperienza e verità-  Capograssi filosofo oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni Spes, Roma,  Ragione e mistero, in Orientamenti Sociali Sardi, XV, . Il pensiero di Noce sul Magistero della Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, , Cantagalli, Siena, Contro lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma, . Libertà di coscienza e religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità, libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano, . La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e A.M. Morace, Pisa, ETS,  Questioni di senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma, . La vita e il diritto nell’opera di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo , su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com. Festival di filosofia. Antonio Delogu. Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna part of Italy, as Sicily isn’t – they are part of the Italian republic – the ‘stato’ – but geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks are especially precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo of his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is about signs and comprehension. Keywords: semiotica romana, “segno e comprensione” s_gn_ e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica comunitaria, etica universale.  -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51767166606/in/dateposted-public/

 

Grice e Demaria – organismi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vezza d’Alba). Filosofo. Grice: “Demaria is what we at Oxford would call a philosophical theologian! And a dynamically realist at that!” Famoso per numerosi studi sulla tomistica.  Frequenta il seminario di Alba, entrò come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni, Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.  Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica realistico organico dinamica.  Negli anni sessanta fondò con Giacomino Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di formazione e divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.. Giacomino Costa strutturò volutamente la grande e innovativa impresa dell'Interporto di Rivalta Scrivia ( il così detto "porto secco" di Genova) come applicazione dell'"organico dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente liberiste.  Negli anni settanta fu il referente culturale delle "Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò alla "sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento. Continuò nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la diffusione della "ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico dinamica", una vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella marxista comunista.   Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu intensamente attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di san Tommaso d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica Demaria, passa attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La società alternativa".  L'indagine sui dinamismi profondi della società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale.  Aderisce al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in “rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia, azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo indirizzamento.  Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a “dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto.  Il realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo materialista.  Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente dinamico o anche ente di secondo grado.  Dalla osservazione di ciò che nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli “enti di primo grado”,  gli enti la cui essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a quello della monada – l’uomo, il soggeto,  un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità. Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado (la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la comunità).  Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico, oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente dinamico” per restare vivo e vitalmente operante.  Sul fronte della interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.  Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica” -- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale, è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici.  Le “ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre (3): capitalista, marxista, “dinontorganica” e queste sono costruite secondo i rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore (la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in funzione della vita.  Nella società dinamica secolare, che è laica e profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore del marxismo.  L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica. L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi, attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di “cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro.  L’impresa dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo, costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente dichiarazione , si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in ambito di fede e morale cattolica.  La scoperta dell’“ente di secondo grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula” (individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande) sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa (l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione industriale è l’azienda industriale.  Pur accogliendo nella sua “metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la “dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa mobilitazione.  La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società. Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società “dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è “dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa “ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria “ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli autocostruttivi.  Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione, Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici : genesi storico-dottrinale, testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano Lavoratori), Bologna, Luigi Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano, Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire, La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo, Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire,  L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma, Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca partecipata ., Bologna, L. Parma, Ugo Sciascia, Crescere insieme oltre capitalismi e socialismi : rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà : un itinerario filosofico esistenziale,Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Stefano, Apertura a “tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della notte? : analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila, Roma, LAS, Giuseppe Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza , Realismo dinamico : il problema metafisico della realtà storica come superorganismo dinamico cristiano / riduzione dell'opera di Tommaso Demaria , Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza ,L'ideo-prassi dinontorganica: la costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica : revisione del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Lorenzo Cretti , La quarta navigazione : realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa , Verona, Donato Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova . Globalizzazione e metafisica, Bari , Edizioni Levante, Oliviero Riggi, L'ideoprassi cristiana per una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università Pontificia Salesiana, Giulio Pirovano, Roberto Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu Enterprise, Mauro Mantovani, Alberto Pessa e Oliviero Riggi , Oltre la crisi; prospettive per un nuovo modello di sviluppo. Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona , Fede & Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su dinontorganico.  Scritti teologici inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti del convegno: Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure : un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano, Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente. La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a tutto l’essere in Nuove Prospettive,  Realismo dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere e  ragionata a cura dell'Associazione Nuova Costruttività., su dinont-organico. Tommaso Demaria. Demaria. Keywords: organismo, organismi, super-organismo, Tuomela, we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e cultura, dynontorganico – dinamico ontico organico -- l’implicanza di Speranza, implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demaria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51765923282/in/dateposted-public/

 

Grice e Demetrio – il sentimento taciuto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “Demetrio and the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a Grecian, way, on the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the vehicle is phonic, it need not be – any non-expression is a tacit act --.” “And like me, Demetrio holds that there is a whole communication involving the un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice: “I like Demetrio. You see, Demetrio is sa good one. – and he enriches the Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio, due to the richness of the Italian language, can play with the ‘tac’ root. I often refer to the implicit as the tacit – and the tacit is nothing but the ‘silent’ –Demetrio has this brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are ‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit – his favourite scenario is a loving couple – the silence of love – he has also played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he explores most and relates to my explicit/implicit, tacit/non-tacit distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come pratica filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione, Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare, Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi,  Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi); “Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma, Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini di sé, Torino, UTET Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli adulti.  Saperi, competenze e apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per incontrare i «gentili», Padova, Messaggero,  Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano, Cortina, ,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis); “Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano, Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare in autunno, Milano, Cortina, Duccio Demetrio. Demetrio. Keywords:il sentimento taciuto, maschile, omossesuale, perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile, homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702036438/in/photolist-2mRKZNn-2mPTNKh-2mPAuFE-2mPr8cN-2mLJsam-2mLCVzx-2mKMsLp-2mGnP2f-jkWwCU-jkTG2r

 

Grice e Desideri – consenzienti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Desideri; he would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of ‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre opere: “Il tempo e la forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema dell'arte” – “L’esperienza del  bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa: estetica e filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci);  “Percezione ed estetica” (Brescia, Morcelliana). Fabrizio Desideri. Desideri. Keywords: consenzienti -- consentire, “i consenzienti del bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum, sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione, giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum, il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property, aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice ---- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51765846162/in/dateposted-public/

 

Grice e Diacceto – i tre libri d’amore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’ – and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per distinguerlo dal nipote.  Divenne un canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma dell'abside.  Studiò diritto continentale e frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò le opere, in latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere la sua biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S. Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino); “Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino); “L’autorità del Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione spirituale utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita” (Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La superstizzione dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi & Marco Peri). I tre libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un Panegerico all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto Varchi (In Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto: Cultura teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani. FRANCISCI CATANEI DIACETII PATRICII FLORENTINI IN DIVINI PLA. tonis Sympoſium Enarratio ad Clementem VII.Pont.Max . Amoremdiftinguit atq, definit,antequam rei explicatio nem aggrediatur. رازدا ( 1 Ntequam Sympoſi enarrationem aggredia mur , operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis intelligendum . Secus enim fieri nequit , ut diuinú Platonem de Amore diſſereniem intelligamus. Solec itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade, finitur, aut exacta quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia, quæ cungilla ſit,Amorrectèdici poteſt. Sinautē exacta ratione, Amor eſt deſiderium perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot ſunt appetitus, totidem elle amores neceſſe eſt. Atqui ue rum efficiens propter intimam fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz ſeruare quodeffecerit. Vnde & diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipſum facta ſunt, & feorfum ab ipſo nihil , quod factum eſt:ſignificans,non ſolùm ex Deo, ideft,ex uero efficiente res effe ,uerumetiam eaſdem citra dei auſpicia nihilfieri. Dionyſius quo que Areopagita ſplendor Chriſtiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor, cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſuseſt ipſum in ſeipſo manere, quaſiſterile lit: ſed ipſum impulit ad opus ſe, cundùm exceſſum omnia efficientem . Seruat autem propterea om nium cauſa,beneficio fupereminentis amoris : quandoquidem non fimplici prouidentia extra ſe procedens ſingulis entium immiſcetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant, quaſi uehementem entium amatorem . Acuerò &res ipfæ femper in auctorem reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat, recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt, uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus N 146 FRANCISCI CATA NEI DIA ČETI Hierotheus in hymnis amatoris,Amorem ,inquit,fiue diuinum , li ueangelicum ,fiue intellectualem , ſiue animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam conciliantem facultatem intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam :quæ ueró funt eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem :inferiora uerò ad fuperio rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere concupiſcunt. Diuina enim a . &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex calefaciendi fa cultate calefactionecipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum lo cutus eſt Plato in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe Ariſtotelem ,ex his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima &fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem . piternum optimum. Quare uita &æuum continuum & æternum ineſtdeo . Ineft quod & materiæ primæ appetitus ad formam : qui quidem amordici poteft,quandoquidem merito formæ boniipfius particeps fit.Eft & alius appetitus, quo res compoſitæ ſibiipfæ cohæ reſcere amant , optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident. Quemſagax naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore poſſe rerum aſymmetriæ , quæfitex materia , mederi. Virenim naturæ ſtudioſus, quaſi Lunam è cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè ductilis,utinquitPlotinus, per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti excuſſo morboin fuam integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus agendum no biseſt. In plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt, amor dici poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue uirtutis,ſiue ſapientiæ , ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore, quipinguiquadam Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò quidem diuinæ animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu primùm apparet. Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò inſit: quæ quidem intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul. chritudinem uſqz adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos longè aliter diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima pulchritudine maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo intellectui infit, eidem quoq ineſſe amorem ; habere autem originem ex intelligen tia, IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO, 147 tia,quandoquidem appetentia omnis fequitur cognitionem . Atue rò diuina anima gemino amore, nonaduentitio quidem& acciden tario , ſed euidenti &intimo prædita eſt. Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper modumſeminis & naturæ in ſeipſa exprimerecon cupiſcit : & in materiamtransferre affectat idearum participationes. Sed de his in primo &fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui mus, &in ſequentibus uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos amores dupliciter in pulchrum aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia pulchræ prolis procreandæ , quali pulchrū in pulchro procreari oporteat ( atąhicamoranimam in generatio nem deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis, quamdeſcendens nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun que igitur ſpectaculo ſenſibilis pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò facillimèrecuperat alas, quibus ad diuinam pulchritudinem at collitur. Rectèigiturimmortales,ut inquit Homerus, Amoremap pellarunt Alationem : quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio primifermonis,qui Phadrieft: Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui Minerua, quid fit exacta ratione nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri ſermonem aggrediamur, in quo Phædrus non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo potius appecitu , qui rebus adue nitinter exordia,principiò uerba facit. Cornumèrans uerò ea com moda, quibus amoris beneficio participamus, in eum tranſit amo rem , quiab umbratili, Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos reuocat.Sedagèdum uideamus,quid Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo intelligibili,tum in anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur. Verumàmundo intelligibi liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe ubiqellentiæru ditatem: Terramuerò effentiæ firmitatem : Amorem autem eſſe Ap petitum . Plato in Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere Terminum&Infinitum ,quartum eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego uerò Plotinum ſequutus , non puto Termi num & Infinitumelleduas ſoliditates ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus & Proclus:fed quod àperfe uno primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe ,dici Terminuni, quoniam eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum : quate nus utrung ſimul complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone . er N 2 148 FRANCISCI CATANEI DIACETII miſtumappellatur , quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet. Chaosigiturin mundointelligibili nihil eft aliud , quàm miſtumex termino ac infinito , id eft, ipſum per feens,quod ratione poteſtatis dicitur,perfectioniobnoxium . Poftchaos eſt Terra, quoniam ens ipfum , quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus deſignatus per Terram . NamutPlato docet in Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel ſentia ,ftatu ,motu ,eodem , diuerſo . Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas, per quam fingula manent idipſum quod funt. Quamo brem autemfirmitas eſſentiædeſigneturperterram , paulo poſt de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam ens ipſum cùm fit actus pri: mus, perficitur perintimam actionem ,quieſt primus &intimus mo tus,habens originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus eſtà termi. no. Quapropterà Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele . mentum ,utprius ſitens, deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio ipſius entis,quæpropriè Vita dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerumdiuinarum actü per feipfius intellectus aſſeruiteſ ſe uitam optimam &ſempiternam . Inter actionem ac potentiam a. gendi,medius eft agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti prius ineſtagendi facultas ,deinde agere affectat,deinde agit. Ecce igitur quomodo appetitus agendi mediumobtinet locum inter po tentiam &actionem ,cuius eſt principium .Nam potentia omnis, quç cunc ſit ,deſiderat appetitőz ſuum actum . Quod etiam euenitprimæ materiæ ,ut Ariſtoteles ait . Sed de his paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ firmitatem ,qui propriè Status dicitur, efle principium intimæ actionis, quæ Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius beneficio ensin ideas diſtin Ctum eſt.Ex quo patet etiam quomodo amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides. Parmenides enim infueuit ſub Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens diſtinguitur peruitam & motū intimum , Vitæ autem appetituseſt principium , necefle eft appeci tumhuiuſmodi ideis eſſe priorem . Recte igituramor,quieft appeti. tus,antecedit deos omnes, ideft ,ideas. Sedut ad terram redeamus,a nimaduertendum eft fecundùm Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à mathematis uerò res naturalesnon : quod uelint res natura les ſecundùm materiam &formameſſe à mathematis ( licenim ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis eſſe figuras rerum naturalium , qui busconftituuntur. Proinde mathemata appellantur à Platone ob ſcura intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ funt clara intelli gibilia :ſicuti corporum imagines & umbræ ,quæ funt obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur ex proprijs figuris rerum natu. 1 349 IN SYMPOSIVM PLATONIS ÉNARRATIO. FC naturalium Placo in Timæodeſignat earundemingenium . Propte: reaignem & terram ac cæteraid genusex triangulis componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de. finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ , quem iuniores fextum exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc:Nempeutintelligamus, per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam . Atqui palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram , quæ ineptiſsimaeftad motum: quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem . Quodetiamex eo conijcere poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde & Plato in Phædro , Sola , inquit ,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte natura debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo componit folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius oftendat admotumineptitudinem . Verùm dehis fufius in Timæo. Terrai: gitur firmitatis prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili. Animauerò ab intellectu primo prodit , ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno , fi Plotino crédimus,ńső ,quiPlotinum ſe cuciſunt,Porphyrio &Amelio, quanquam Syrianus &Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq & Origenes contendunt, ab ipfo per ſeuno eſſe cummentem ,tum animam ,tum materiam , Chriſtianum dogma potius quam Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis momento inſig. nis prodit idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul tate Nam quemadmodum intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert unitatis participationem( quod ſummum eſtipſius intellectus, & quo ipſum per ſe unum attingit) ſic & animam proce dens ab intellectu indeſecum affert facultatis intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ proceſsionis momento habet idearum expreſsionem , habet & facultatem intelligendi, qua non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic enim intellectum auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum .Atqui intellectus etli primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per intimam tamen ac primam actio . nem , quædicitur per ſe uita ,cuius ope ſeipſum in ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata ,per ſe animal efficitur :per in telligentiam uerò uitæ ſummum ,përſe intellectus, ac mundusintel ligibilis. Sic &in anima , quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate intelligendi ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima ac ſua actio , per quamfeipfam in rationes diſtin 3 1 N 3 150 FRANCISCI CATANEI DIACETII guit, ac per quam propriè animadicitur ,uita eſt participarò, mo. tus autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione intelle, ctus, ratiocinatio autem perfe. Quo fit ,ut inſtar intellectus ſit orbi cularis. Intellectus enim circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam fecum habet & tempus. Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic & primum tempus. Nec quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum participaciones, hoceſt, no tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe. Namintelle. ctus & ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio. nesidearum ,altera uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen inter fe habent. Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes ) tanquam impartibiles acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ . Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua habenc affinitatem . VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem. Intellectum , quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. & tum agentem ,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ ,quidiui. duuseltacdiſcurſu agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè inquit The. miſtius,deſententia Ariſtotelis,unum eſſeagentem intellectum illu minantem ,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum ,inquam intellectum agentem ,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò eſt :complures autem , qui ſunt animarū , illuminati quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt: illuminantes uerò, quoniã ex his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig. niseſt idearum participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam tamen nondūin eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius diſtinguitur,nondumin eam , quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu , quibus propriè anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt ,effentia rudis. HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum interit,ut in Parmenide dictüeſt, quan doquidem motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit racionā ,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò dicitur deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos materia eſt,quam Platoin Ti inro IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO. 151 I. 11 mæo temere agitatam Auitantem appellat:materia,inquam ,omni no expers formæ,ſuapte natura, acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo dictum eſt.Idautem nihil eft aliud , quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad formam ,ut Ariſtoteles inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo contraria , ut Plato ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam duntaxat ipſum nihil inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi, pſum per ſe malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam ,perquam formæ ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem ſunt. Nam per defectum totius per fectionis eftunum : ſicuti deus perexceſſum eſtunum .Ad hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur ſit unum per defectum ,eo quòd careat omni perfectione : erit etiam obnoxi generis, cùm citra auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat. Profecto quaeſtunum per defectum , & cafus abente, di citurmateria: quàuero eſt obnoxii generis,dicitur ſubiectum , pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde & Plato ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem cognomentum materiæ tribuit,quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm utThemiſtio uiſumeft : cui placet,materiam eſſe earum rerum , quæ nondum faétæ aut ortæ ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu :quo fieri,ut materia fit cum priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum firmitatem , tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt,ut Ariſtoteles inquit. Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps: quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum &appetibile ,ut Ariſtoteles inquit.Hisita perſpectis, pa. tet materiam ,quà eſtunum ,per defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia Parmenidis. Nã uia generationis,priorineſtmateriæ appetitusformæ , quàm forma. Forma autem ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm Parmenidem , idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum. Amorigitur,hoceft formæ appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas participacionesmeritò dicitur antecedere. Dictú Auñ eft hactenus, quid GitChaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſ N 4 152 *** * 1s cÌ CATANE1 DIA CETII fimus; atqid tumin mundointelligibili,tumin anima, tum in mun do ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt , quæ ex amore nobis eueniunt. Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ purificationes. Animaenim dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno inficitur , neglectis plerunq; diuinis, quorum cognata eft :quodin decimode Rep. diuinus Plato indicat, dicens, animas quæueniuntin generationem , ſumpto potu ex Amelita flumine ad CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com mércio animis alioqui diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum . Reuocatur igitur anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum ,miniſterio uirtutum ,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter materiæ for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu dicit, perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando @ ex alñs,ſignificans uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo amorcauſanobiseft uirtutumomnium ,quarum beneficio maxima bona conſequiinur, hoc eſt, ipſam ſapientiam . Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum .Veritasenimpræ ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ , inftarauri quod igne defæca tur. Quod & Ariſtoteles quo & clara uoce afſeritin ſeptimo deNa turali auditu. Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut fiant expetibilia: hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum nonexpetere idipfum , quod ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur proſequutio. Appetitus enim principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio libro de Ani ma progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam refert. Voluptas autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit proſequendi expetibilis , Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat animam ,utetiam profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab expetibili uix commo ueatur , iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti uirtu tem , (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din fatetur Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo fimiles facit. Vnde & Plato in Theäteto , Fu. ga , inquit , hinc ad deum , iplius dei fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia & ſanctitas cum prudentia præſtant. His ita perſpectis , uidere poſſumus ; quomodo amor uirtutum cauſa . lit. Quod Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit , reuo cans IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 23 3 3 čansnosà turpibus, præter hæc æmulátio ad honeſta inultans,no- , bis fternit muniti uiam ad præclarè rectei uiuendum . Altera e nim dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando extrema, ſem per habet ob oculos mediocritatem .Quoeuenit, ut quicquid magni præclarię efficimus, horum ope efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in nobispudorem excitat, aut ſuſcicatçmulacionem : Amorenimuel abiectiſsimum quemq,licgnauum reddit ad uirtu tem conſequendam ,ut numine percitus uideatur. Amorquoq;fica mans amatúmque inſtruit,utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab altero ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt , Amoremuirtutes ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo &ratione. In præſentia uerò adſtruendum ,ex eodem quo que eſſe cum purgatiorias,tum etiam purgati animi uirtutes : quarü beneficio ſapientiæ acfelicitatis participamus. Cuius quidem rei Al ceſtidis atop Achillis fabula admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe prius, animam trahi in generationem affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis impura redditur:aſcendere uerò ad diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile,in quo nihilconitantiæ ,nihil firmitatis inuenias. Atuita intelligibilis ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius agemus in fequentibus,ubi declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit, quid ſibi Plato uoluerit in decimode Rep.dicens, a nimas in generationem deſcendere per Cancrum, per Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia uerò fatis ſitgeminum huncaf fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam fabulæmy ſterium aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum ,pro eo mori uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam reuocarunt. Alceſtidem puto eſſe animam , quęiaminue ritatem incumbat. Admetum uerò credo ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera intelligibilia excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti nequit. Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili uita , in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt ,quà exuit ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur.Namexuere uitam ſenſibilem ,nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat expetibilisproſequutionem . In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus enimhuiu £ ک 294 FRANCISCI CATANEI DIACETII ! modinonin purificatione,fedpotius in ipfa puritate conſiſtit. Purifi 'catio enim motio quædameſt. Atpuritas motionis terminus. Con fummatio igituruirtutis potius in termino motionis , quàmin ipſa motionecõliſtere debet. Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua quidem diſcimus etiam abipfo ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt &longèmaximū,& quod longo uſuacdiuina quadam ſor teuix comparatur,neceſſariūtamen ad fapientiam felicitatem con fequendam ,ita paratuminſtructumós eſſe ,ut corporeas tantùm fen tias affectiones,cetera prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos Orpheumimitatus, exiſtimat, dum ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in ueritatem patere aditum . Hicenim ſenſibilium notionibus,qua tenus ducuntadueritatem ,uti nequit, ſed quà ſunt duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit ,utumbras,hoceft ,fimulachrū Eurydices captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum fürentibusfae minis dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid euenit animæin puritatem iamredactæ . An talem uiteſtatum ſapien tia ſequituradhæſioc in deum , quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo utitur ſenſibilium ad ueritatem conſequendă. Namſenſibilia imagines ſunt rerum diuinarum. Vnde et Plato in Ti mæo idem fermètribuitanimædiuinæ ingeniū,quod priusin mun. di corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo ſenſibilium :quorum notiones in ipſa intelli gibilia excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones ,ubi primumintelligibilia conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis oratione agendum nobis eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli ( fabula nosadmonet. Achilles,inquit,mortuo Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus, non ſolum in uitam reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi habitandas.Patroclum puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia adminiculo ſenſibilium . Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus eft Patroclusamans, id eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium notionibus indigeat,quibus innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui deſinantelle animæad intelli gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles dícitur. Dij uerò huncuolunt reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus ſenſibiliú fiuntobuia ipſa intelligibilia :unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas euenit & bonum ,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An ſi comparetur uisintelligendi ad id quod intelligitur, longè I melius IN 155 SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili,ſcientiam uerò intellectui ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones, quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas : Pen dencenim à ſenſibilibus,ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ . Plato igitur quando dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum .Hæfanè intelligente animalongè ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim ,ut rectè inquit Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſtutrunca contemplari. Quandoqui demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum , ſicuti etiã ſenſus, &rei ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod inquit Plato, Amans propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore agitur. Verùm quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi amatum , in gratiam amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin gratiam amati, nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem , abijcere uitam fenfibilem ,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiadueritatem compa randam ,irritæ ſint: Amatumenim ſenſiliūnotionesſignificat. Quod exeo aſſeritur, quoddictum eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx , filieimpedimento ſenſibilis uita . Amatū uerò moriin gratiamamantis,ſignificat notiones ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem intueatur : quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere notiones ſen lilium , intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem , ut notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit , a matū pro amante,hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato ,hoceſtAlceſtidē in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad maiorem honorē cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia ,uerumetiam ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt ,Achilliin uitam à dis reſtitu to beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam reuocari ſatis fuerit. 257 2 156 IN SYMPOSII SECVNDVM SER: MONEM QVI PA VSAN IAE TRIB Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pauſania dictum eſt, totidemeſſe Amores, quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem , quideaſit:alioquiphiloſophia amoris( quod qui dem in præfentia quærimus ) lateat nos neceſſe eſt. Plotinus igitur putat, Venereineffe ipfam animam , proindecaulamamoris efficientem . Sunt etiam & alij, qui aliter ſen . tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia dimittere conſilium eſt. Vir enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt rationi bus,quam putateſfeueritatem ,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter aſſentior, qui credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento , in Phædro dictum eſſe furorem amatorium , & optimū effe furorum omnium , & ex optimis.Exoptimis quidem , quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur, optima ac præſtantiſsi ma eſtomnium , quæcunq ſenſui offeruntur: nam & exquiſiciſsima diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, & ſenſui omnium perſpi caciſsimo ficobuiam .Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel fi nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles ſint,ut Ariſtoteles inquit :præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus, quippe qua exquiſitius cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad intelligentiam traducere folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod &Ariſtoteles indicauit. Nam & in tertio uolumi ne eius libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, & in primo de Moribus adNicomachum , Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus eſt in anima.Patet igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine ſenſibili excitetur,quę optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe facile dabit is, quem non latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt Amor,indagancibus bonum obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus in ueſtibulo occur rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur ſen fibili pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem intelligibilem dirigitur , huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, utPlato inquit in Phædro :quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui Veneremcomitatur,pulchrorum dux puero. rum , IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 157 . 5 rum , eorumſcilicet animorum , quos pulchriuehementer prouocat {pectaculü :quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in . dicari : Nuncuerò quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt . Quod pulchritudo ſitex eorumnumero, quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat eius qualita tis , quæ uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam &pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur extenſionem , ſed temporis puncto ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft & alia qualitas uilibilis ,quæ tanquam imago acflos ellenti alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id igitur quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago acfloseſſentialis per fectionis,alliciens rapiens in bonum ,reuera eſtPulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum appellatur. Cæterum pulchritudi nieuenit,ut delicata,utiucunda,utamabilis ſit. Delicata,eo quodfe. quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat. Amabi. lis ,eo quòd allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon ſint, quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo.Eſto pulchrum omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim . Quid tum poftea.Num continuò ſequitur,bonum quidem genus ef ſe ,pulchrūuerò ſpeciem ? Alioqui& ſapiens,& iuftum , & perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft,ficédecęteris: nõtamen uiceuerſa.Nūcuerò neck perfectum ,negiuſtum , ne s fapiens boni ſpecies ſunt,alioquieſſent quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum eſſegenus,fiquidem genus totum eſt : totum uerò partibus obnoxium: Siigitur unum eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque impartibile eſt, quemadmodum in Sophiſtedeclaratur.Sedagedum ſidetur bonum eſſegenus, quídnam id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo patere poteſt, quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ beneficio uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio motusanima eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio formæ ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis autem non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici poſsit, perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum ,neminem inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt. Nónneignieſseignem ; 158 FRANCISCI CATANEI DIACETII bonumeſt:Atquis ambigat per formam ,quieſt actus, ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe uiuens, bonüeſt:Ve rùmalterūbeneficio uitæ ,altera beneficio motus, quorūutergeſta ctus,id euenire palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē bonüeſſe,uiciſsimo bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat, pulchrumàbono differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit inficias,fibonuminuniuerſum accipiatur, pofſe dari, gracia diſſertationis,idipſumgenus effe :contender tamen,fedebono uerba facere, non quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur, fed quatenus particulare definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem rerum perfectionem . Atque id quidem affirmat recta ra. tione . Nampulchritudo ingenium modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa rationeexploditur.Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo , reuera intima:quod ex co aſseritur, quoniam unumquodąeſſentia conſtat. Hinc quidem uidere poſlu . mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis . Ideas enim ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin ideas diſtinctumeſt : quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat Theoremata non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere,ubi nam&quo pacto lintideæ . Vtrumânt in eo ,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto ,uel totum in partibus, uel pars in parte , uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit. Namgenus &ſpecies totius partium ( habent ingenium . An ex diuiniPlatonis fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex . Anuelutiforma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt, quando alterius beneficio noneſtactu . Sed neque tano accidens in ſubiecto . Quis enim contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra foliditateseſse perſpicuum eſt,utignis, & terra, & cætera generis eiuſdé:Non ſuntquoq tanquãin caufa effe. ctus , quandoquidemeſsentpoteſtate. Nücuerò ideæ acti funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod perfici debet? Namper feanimal uita ipfa ,non ideis, tanquam actu animaleſt. At nequetanquam totum in toto , neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt . Non enim totum ſunt ideæ , quoniammultitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò unumeft. Nónneſi tanquam partemin parte IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 159 1 parte eſſe concedamus, oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm ideas,alicuius totius partes eſſe : Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe animal:Reftatigitur, ideas eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes. At id eft, quodin Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot formas mūdo èxhibere, quot fpe cies mènsuideratin ipſo per ſeanimali.Quemadmodum enim forme quas mundo exhibuit mundiOpifex , continentur in mundo , tano in toto partes:ficetiam ſpecies, quas mundi Opifex eſt imitatus,in ip ſo per le animalicontineri pareſt. Abipſo autem per ſèuno procedit primò ens: quodintima functioneabfolutum , quæ uita dicitur,fit per ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio cùm totum ſit, in partes quoce diſtribuatur neceſſe eſt . Totumenim& partes ſimul ſunt. Quapropteripſum per ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi ideæ ſunt.Ex quoli cetadmirari nõnullos:quicõminiſcunturideas aduenire extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü informi naturæ . Quo genere peccarenul lummaius poſſunt, qui amant uideri Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio quempiã laceſſendi ( quod à uiro philoſopho alienum ſem per duximus) fed quoniam ſunt nonnulli , qui dum alteros auidius quàm decetinfectantur,nõ cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui. Nãduxnoſter Marſilius , etſi alicubi dicitideas excrinſecus accedere, Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt patere arbitror, primā pulchritudinem non efle ideas, quemadmodumnonnulli ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt. Plato in Timæo di cit mundum eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse autemalicuius ſimulachrum , quodratione ac fapientia ſola compre, hendi poteſt:adhæcmundumpulcherrimum natura opus optimum que eſſè :effe , inquam , animal animatum intelligens.Ex quo intelli, gere poſſumus, de Platonisfententia,id exemplar quodmundiOpi fex eſt imitatus, tūanimal eſſe, tum etiã pulcherrimum . Quapropter pulchritudinem primò eſſe ipſius per ſe animalis,non idearum : nam ipſum per fe animal ideas antecedit. Adhæc, ſi pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ perfectionis : intimauerò perfectio ne ipſum per ſe animal fit : quis non uidet,ipſius per fe animalis prima pulchritudinēeſſe : Quomodo igitur idearu : Dehis tum paulo poft diſſerendūnobiseſt , tūetiã in libro de amore ſatis abūdediſſeruimus: Hactenus oſtenſum eſt, quid Venus ſignificet, quid ſit pulchritu do ubiſit.In præſentia uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia B 160 FRANCISCI CATANEI DIACETII ſitamoris,an potins finis.Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen tentia ,pulchritudinemeſſe materiam amoris. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non tanquam principium efficiens eius actus qui eſta mare , fed tanquam obiectum .AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò ſuntmateria, circaquam actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea Venusdicitur amoris mater.Nam materiam eſſe tanquammatrem ,efficiensuerò tanquam patrem ,con tendunt Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum . Sed non poſſum non uehementer admirari, quihæcproferunt in medium , uiri alioquigra ues &magni, &quos arbitror nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent adintegram caſtamos Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam . Non ſolum enim quæ dicta ſunt,Platoni Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi, pugnant quoque&his quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in ſextodeRep.libro dicit, fjs quæ intelliguntur inefleueritatem :intelligentiuerò ineſſeſci entiam ,ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa ſit intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do ueritas ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem :Veritas enim ſci entiæ longè præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin undecimoRerum diuinarum , Expetibile, inquit, &intelligibile mouetnonmotum , quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur. Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc:Mouet icaqz tanquamamatum . Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs finis ipſius habere ingenium . Siitam expetibile &intelligi bile mouetut finis, pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe poterit: Atprimapulchritudo ſoli intellectui eſtobuia,quemadmodum oſtēſum eſt ,cùm fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam eſt ,bonum au tem quà bonum ſemperexpetibile.Poſſent &alia multa afferri in me dium ,quibus oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ eſſe materiam actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs, qui uel breuem deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò &rationi recla mat,obiectum ueluti materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id ex quo ali quid fit .Nó fiūtaūtex obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie éta . Quo euenit,ut obiecta materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt, quandoquid exeo appetimus quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea quòdexpetimus.Expetibile autē obiectõeſt,quo fit, utbonum IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 16i 2:13 I utbonum obiectum ſit:Gaddas,obiectüeſſemateriam ,bonum quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione aſserendum , bonumipſummā teriam eſſe : Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi, tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies fit :bonum ueròde pulchro tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt bonum ,bonumuerò materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter meaquidem ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia : quo pacto Amorem exoriridicendum eſt : Anubi primumcognoſcendi facultas,pulchritudinem utdelicatam , ut iucundam ,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur .Appetitus enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat ſibi adeſse ac per frui delicato , iucundo ,amabili,utinde plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui quidemreuera Amoreſtappellandus,hoceft,appetitus &deſideriū perfruendæ pulchritudinis.Huius deſiderñ efficiens cauſa,uiseſtap . petendi:pulchritudo illud ,cuiusgratia. Quænam uerò materia ſit, in Socratis oratione declarabimus,exponentes, quid nobis per Peniam fit intelligendum , quam eſſematrem amoris affirmat Plato . Quod quidem euidens argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſemateriam amoris.Nunquam enim dicit Plato , Venerem ( quæ pul chritudinem ſignificat ) matrem eſse amoris , ſed potius amorem co , mitari ſequio Venerem ,quippe quiVenerisipſius eſt ,in Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius, non materiæ . Nonnulliſunt, quidicant,quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere id quod ab eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē hocipſum dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione lubnititur ( cognitio autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter deſideransacdeſideratum congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem nequit, utidquod deſide. ratur,à deſiderante quodammodonon participetur. Alioqui nulla eſſet inter utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē ſen tentia cómentitiử hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur. Cuius rei indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis deſiderat. Quo fit,ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe àqua cognitio ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid cognitione priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis. Sed fortè dicent,nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint,deſiderãs,quàdeſiderans, merito cognitionis cognit 1 3 162 FRANCISCI CATANEI DIACETII habere quodämodo poffefsionem illius,quod delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua cognofcit.Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali zrei cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit.Vtrūuerò id affequemur,alñ iudicabūt.Nobisſatis erit afferre in mediū ,nõ quæ adeo premất alios,eospræſertim ,quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari:fed quę caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere arbitramur.Quod quidem ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē. Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè poſsitambigere.Cognitio.n.inipſum cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio nullā habet cumuiſione affinitatem . Non enimqui poſsidet quodãmodo intuetur, ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum quod poſsidetur. Quoeuenit, ut poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis. Siigitur cognitio uifionis imitatur naturam ,poffefsio uerò non imitatur, quo pacto dicendum eft ,cognitionem eſſe poſſeſsionem . Adhæc,uerum & bonūnonidē funt.Quod ex eo patere poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In uerum dirigitur cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi.Ex ueriperceptioneaſseueratio certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu ( uoluptas. Si igitur cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret,uoluptatisquo particeps fieret. Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté cognoſcentem no perficit,fed appetētem .Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin miſto quodã ex lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia intellectum :altera uerò,hoceſtuoluptas , uoluntatem perficit. Sed de his infequentibus comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą deſiderat,huncipsūnon poſsidere ,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In preſentia uerò declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo auteſse autdici debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur fimilia ſunt,aut propterea dicuntur ſimilia , quòdcerto quodã tertio participent ( cuiuſmodico, plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non tamé uiciſsim :quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo uiuentem Socratem quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis contendet,uiuentē picto auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè inquit Plotinus.Sen lilia quoqhocpacto intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil cum eisha bentcõmune,niſi nomen. Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide Timæocz teftatur. Ex quo Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè diluitur. Quæcũçaūt ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt, & cætera generis eiuſdem , fimilia & ipſa dici poffunt, tū ijs quærecipiuntur,tumis quæ efficiunt.Horum eniin 11 IN SYMPOSIVM PLATONIS EN ÅRRATIO. 163 be Inic enim poteſtas quædam ſimilitudo uidetur eſſe. Dicitur quo &effi ciens finiſimile, quoniã efficiensomne à fine mouetur: illius enim gra tia omnia ſunt. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerūdiuiuarū ,Ěx petibile,inquit, & intelligibile mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat. Quod paulo poſtexpreſsit,dicés: Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq expoſitis,uidendū eſt, quopacto deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt, cuius ſimilitudinem meritò fibi deſiderati inſit poſſeſsio.Non eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur, quoniã tertio quodamparticipent. Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc pacto ſimiliaſunt,quando in tertio cócurrunt. Atdeſideras &idquod deſideraturita fe habent, ut idquod deſideraturnomotūmoueat,deſiderãs uerò moueatur:Quo euenit,ut ſecus id , quod deſideratur, deſiderāti: ſecus autem deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit. Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò &id quoddefideratur non ſimili côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ quoq nõ participare : Non ſunt quoqz ſimilia ,eo quòd alterü alteri duntaxat ſimile ſit:alio , quiaut alterum alteriusſimulachrū imagóą eſſet ,autfaltē imitaretur. Nuncuerò neutrūaut alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt, quo recipiensautei quodre cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur. Neutrumenim recipientis habet ingeniū, quandoquidem alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud cuiusgratia efficitur. Reſtat igitur, fi qua eft ſimilitu do ,utdeſideras &id quod defideratur propterea fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft efficiés . Quã quidē fimilitudinēnemoeſtomniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse:Quoenim pacto eo côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur . Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem . Nã propterea effici ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem ,nulla finispoſseſsio eſt:finis enimpoſseſsio actu eft,poſse aūtmoueripotencia. Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu : do poſseſsionēdicit . Adhæc lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod deſideratur,id quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet quogiãactu &uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt afseruerit,deſiderãs quà deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate:Nãdeſideriūmotio quædã uidetur, quãdo motionis pricipiūelt.Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē ſimulmoueri,acno moueri.Quod fieri nulla ratione po teft :Ěxhis perſpicuñeſse arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur pociūdi illius : quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt autem 164 FRANCISCI CATANEI DIACETIÍ quam uehementiſsimeſingulaſibibonumadeſle. Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit, cuius non fuerit &cognitio.Hæcquidem cognitio no intelligencia eſt,non ratiocinatio ,non opinio , ſiue cogitatio,nõ ſenſus aliquis, ex his quos particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula enim ftatimquàmfunt, intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem ,unde uenerunt,libieſſeproperandum , indebonumuberri mèadfequutura.Hicquidem ſenſus, quem IntimūNaturęgsappella mus,principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită intelligēciāõpro cedat.Nãuita intelligentiaõprogreſsioeftin bonū.Progreſsio aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim , quàmeft,præféntit ex auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt. Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis & ipſiusauctor eſt. Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus.Effentie, in quit,animæ ipfiusingenitaquedamineft deorum cognitio ,omniiu dicio melior,antecedens electionem ,ratiocinationem , demonſtrati onem omnem : quæ quidem interexordia inhærens in propriam cau fam ,coniúcta eſt cumeo animæappetitu ,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi, meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium , quaſi abextima intelligentia dirigantur .Namfieri nequit,utextima fit cognitio,appetitusuerò intimus. Appetitus enim cognitionem fequitur,eiuſdemqz rei eſt cognoſcere & appetere. Huncienſum ue . teres Magiobſeruauere, hincopera ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus quietum acline ſtrepitu appellauit . Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla indiget ope externorum , fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat . Qua propter mea quidemfententia , quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas ſuã habet ſentiendi facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi facultatē uolūtas, quibus nitătur ( alioquin he quidé quod reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico deſiderio cöplecterentur) fic & cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum dirigūrur, ſuāhaberecognitioné ( quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü præſentiatur,neceſſe eſt.Hecquidēcognitio quéadmodūnā 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 169 eſtbonipoſſeſsio ( alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius poſsidēdi principiū :pari ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem . Quo fit,utrecta rationedici nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête cognitioneſubnicatur, quaſicognitio ſitpof feſsio quædam . Quomodoautemnon folùm Amor, fed appetentia omnis,media ſitinter idquodbonum eſt,atquenonbonum : quidper Porum , quidper Peniam Amoris parentesdiuinus Plato ſibi uelit, in Socracis oratione uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus Pulchritudiném eſle Amoris finem , non materiam : declarauimus quoqs Amoremnullam habere pulchritu dinis poſſeſsionem , quemadmodumnõnulli comminiſcuntur . In præſentia declarandum eſt,quænam , qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem declarato,uidebimusquinam ,qualéſoamores ſint. Fi eri enim nequit,utcitra pulchritudinem ſit Amor. Vbiigitur fem per pulchritudinem fequitur, non ſolùm totidem eſſe amores, quot ſunt puichritudines, pareſt: uerùm etiam expulchritudinisingenio amoris eſſencia ,uires, opera ſuntæſtimanda. Sediamrem ipfamag grediamur. Rerum genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum . Rurſus intelligibile in partes duas diuiditur, in clarum ſcilicet &ob. {curum .Intelligibile clarum dici poteft, quod ſuapte natura obuiam fit intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi funt ideæ fiuemundus in telligibilis, ac liquid aliud tale eſt, quod non indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò intelligibile ,quod nonnili in claro intelligi bili apparet: cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid participant firmitatis.BrõrinusPythagoricus in eo libro, qui de Intellectu cogitationem inſcribitur,Cogitatio ,inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut & cogitabilemaius intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft ,citra compoſitionem ,id quod primò intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim citra partes, citra compoſitionem aliorum primum . At cogitatio tummultiplex eſt , tum partibilis,id quod fe cũdo intelligit:ſcientia enim demonſtrationeớ nititur. Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia demonſtrabilia ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem comprehenduntur. Ex quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud ſignifi cari, quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum. Obſcurūuerò per illud , quod dictur, Scibile ,demoſtrabile, uniuer ſale. Nam cogitabilia omnia, cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata,non attinguntur quafi recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro intelligibili:fed per rationem , & quandam ,ut fic dixerim ,ab ideis declinationem acdeſcenſum . Suntautē mathematare uerafluxus eorum generum ,quæcuque 166 FRANCISCI CATANEI DIACETII rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium , idearum imagines, ex empla ſenſibilium ,eandem habentia ad ideas comparationem ,quam habétumbræ &imagines in ſpeculis aduera corpora,quę& àcorpo ribus profluunt, & in eiſdem ,& beneficio eorundem , ſenſui fiuntob uiam.Sicutig &mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, & i, dearum beneficio habéntfirmitatem . Sicuti autemipſuminelligibile in clarumobſcurū < diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum eſt.Senſibile clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam , quodą ſuapte natura opinabile eſt, utcælum ,ut elementa , & reliqua corpora naturalia . Obſcurum uerò, quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet tamen ex corporenaturali tū quatenus fit ,tumetiamquatenusapparet. Hæcſunt corporum natu ralium imagines ac ſimulachra, quæ & à corporibus naturalibus pē dent, &citra eadem ſtatim dilabuntur,necſenſuifiuntobuiam . Hu iuſmodi autemſunt umbræ in aquis, in ſpeculis @ imagines. Addunt Syneſius &Proclus, eſſe quorundam corporum naturalium profu uia ,ad certam intercapedinem integrum feruantia characterem .Quę nõambigunt mirisquibuſdã machinis à Magis impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm & ipſa ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas Tarenti nus in eo libro,cuide intellectu & ſenſu titulus eft,quæcunqdicütur eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri uoluitàde, terioribus ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē tur.Diuinus quoạPlato in fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus, qualeſas ſintä animænoftræ uel habitus uel facultates, qui. bus uniuerfam illam rerum diſtributionem cognoſcimus.Quæom nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur . Nam ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur,noneftcurhæſitemus intelligibilis generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul,necinter diuina cõnumerabimus ( quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat manus extremeratio ni : proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris ſit, media quoơſciệtiãeſſe,cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt, ut credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur. Quid enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO 167 1 &umeft:Intellectus fortè diuinum quiddameſt &impatibile. Quin etiam nihil prohihet,inquit,partem animæ aliquam ſeparari:liquidē nullius corporis actus eſt.Præterea & illud :deintellectu autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud genusanimæ eſſe időzſeparari,tan quamæternumà caduco. In primoautem de partibus animaliumex erta uoce ait:Naturalemphiloſophum non de anima omnidiſſerere, quandoquidem non omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene ratione animalium ,folam mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe , cùm eiusactio no communicet cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum ( quêpleriq falsò fextum au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo) Naturalis, inquit,ip . ſius eſtnon omnemanimam contemplari,ſed quandam ,quæcunque non ſine materia fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur : Vita,inquit,poteſteſſe optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud:nobis autem fieri nequit. Ex quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis contemplationem de intellectu ad facultatem naturalem non pertinere . Proinde aliam quandamſcientiam eſſe, quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque Plato anima ipſam , quando ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin de intelligibilis generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum Platonis ,in quo multa de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura tituluseſt:nosutią quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi uotum, naturę opera contemplari: ficquoqzimusinficias, quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim præ ſe fertilledialogus, quæ naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò commiſcerimateriasobrjciendum eſt. Fuite nimoperæprecium de iis etiam fieri meditationem , quorumopus, & organum natura eſt . Huncautem eſſe diuinū opificem ,diuinamą. animam ,Plato afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem animam ge neris intelligibilis effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata ſunt:fed talis potius,cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis necalieno indiget adminiculo ,utmaneat, & fuapte na tura intellectui fit obuiã. Eftenimuera & abſoluta participacione, quicquid per femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui ipſius,tumalterins dicatur eſſe,ut rectèin quitProclus. Siquidem ipſius, quòd eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem , quòdin corpus propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit,utalteram quãdam animã producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur, quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum , quæ cunque cum materia commnicandæ ſunt . Hæc in præſentia de 268 FRANCISCI CATANEI DIACETII animafatis ſint:Namin fequêtibus eius philoſophiam uberrimècon. templabimur.Ergo animam rationalemègenere intelligibili,irratio nalemuerò èſenſibilieſſe aſsèremus . Quod etiam Plato ſignificauit in Timxo , appellans animam irrationalem mortale animæ genus; mortale autem omneſenſui obnoxium eſt. In plenum colligere poſ ſumus,ſub claro intelligibili animamrationalem , ideasý , hoceſtin telligibilem mundum ,quamprimam quoộmentem ,primumens,ac perſe animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò ſenſibilecomplectiirrationalemanimam ,complecti & om nia corpora naturalia , cælum ,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani malia,plantas,& cætera generis eiufdem . Obſcurum uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis, & fiqua ſunt alia id genus . Adhęc & ea profluuia corporum naturalium ,de quibus paulo ante mencio nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri tudines , quot rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem intelligibilem ,effe quoqj & ſenſibilem . Rurſusa intelligibilempul chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram . Claramquidem , tum quæmundiintelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam effe , quam in mathematiscontemplari poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum animæ irrationalis fiue naturæ , tum etiam corporum naturalium eſſe dicimus : quamquidem claram ap. pellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã eft, & fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non elegans admiſcetur, nonconcionum , undequaqcompofita, undequaqfibi ipficonfentiens. Animequoqrationalispulchritudo coeleſtis acdi. uinadici poteft:quæ tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima pulchritudine ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ, tumetiam corporum naturalium ,non fine materia eſſe poteſt . Anima enim irrationalis ſuapte natura circa corpora diuiduaeft , ut Plato inquit: undeuulgarisacplebeia pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci um. Siigitur duo pulchritudinisgenera funt,cæleſte ſcilicetacplebe ium :coeleſtisautem pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi intelligibilis ſit, ſiue mathematum ,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò univerſum ſenſibile: totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter amor ,qui cæleſtis pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ pulchritudinis,plebeius & ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse appe. 1 titum . IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 169 titum deſideriumộ pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile. Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor,circa primam pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret ,ut pauloante dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non ſolumin primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis (qua uis per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen tia mundi intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud, quàm pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui fitobuiam , in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ . Huiuſmodi autem conceptus, eius facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe pulchritudinem poteft effi cereEx. quo perſpicuum eſt,Amoremeffe principium producen di,quæcunq diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit, utpulchritudinis ſemina producant extrinſecus pulchritudinem ,ni. fi & ea quoqproduxerit, in quibus apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz amoris definitio eſt,ut defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ ,uerum etiam effingendæ pulchritudinis:ut in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu ,quòd cæteriduntaxaruolup tate contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic autem ada datetiam efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm fituera participacio pulchritudinis ,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine perfrui con cupiſcit,eandem affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ ,cu, ius eſt imago. Natura ueró animæ rationalis inſtrumentum ( quam ſecundam animam appellant)habetab anima ſuperiore pulchritudi nem :fed &ipſa per modum feminis. Quandoquidemper hanc ani marationalis componit uerſatớp materiam , in qua pulchritudo per modum ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini ſuntamo res:alter, qui eius pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi bili mutuatur:alter uerò qui in eam pulchritudinem dirigitur , quæ per modum ſeminis in natura fecundamanima effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam pulchritudinem , transfert in materiam pulchritudinis illius participationem ,quandopulchritudinis ſpecta culum in ea anima effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius generationis re uera principium eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget amor. Namubi ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus habet & ipſaſempiternum , quod uita donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis imaginem . Anima enimquàanima,uicam alicui exhi р 170 FRANCISCI CATANEI DIACETIT bere debet:quo fit, cùmfemper animafit,uitam quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti conditione participare dicendum eſt. Quapropter anima om nis rationalis,habet corpus æternum , quod Vehiculum appellant, cuiſemper uitam imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan quamPlotinus &lamblichus credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ ſine corpore fit. Sed dehis alibi latius. Ariſtoteles quo in fecundo libro deGeneratione animalium , Omnis, inquit, animæ ſiueuirtus,ſiuepotentia ,corpus aliquod participare uidetur, idő magis diuinum ,quàmea quæ elementa appellantur. Ex quibus uerbis colligere poſſumus,Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio nalialiquod effe corpus,quod cæloproportionereſpondeat. Quod etiam Themiſtius in ea paraphraſi, quam in primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis affirmat. Quapropter in omni ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter pulchritudinemin telligibilem ,alter ueròſeminalem explicare in corpore materias af fectat. Quo euenit,utinanima omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam & plebeius. Habet & alia ratione utrun amorem animano ſtra.Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie excitata præcipitatina moremexplicandorum feminum ,proindeq pulchro illo potiri im potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani mamgenerationi huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem pulchro nonadgenerationem , ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem in diuinam pulchritudinem reuocatur , unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille uerò ſummopere uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet : declaratum quoque quid fit pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps : quòdpulchritu do noneſtamorismateria,fed finis : quòd nonelt idex , necin ideis: quòd amor nullam habet pulchri poſſeſsionem , ſed potius mer dium tenet locum inter pulchrum atque non pulchrum : quod to. tidem ſunt amorum genera , quot pulchritudinum : quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur , quo fit ut amor partim plebeius , partim cæleſtis ſit : quòd in omni ani. ma rationali utrunque amorem ſit inuenire , in noftra autem duplici ratione. In præſentia uerò reſtat , ut diuiniPlatonis fer e uc uc moncm IN SYMPOSIUM ENARRATIO. 170 PLATONIS moneminterpretemur.Pauſanias apud Platonem laudaturus Amo rem ,improbatPhædrum , quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is rectus honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim plexoelt,oportet,inquit, declarare nos prius, quot ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem laudedignus,qui bonus & àbono ,& in bonum . Qui uerò necbonuseſt, neqz à bono, neq; in bonum :tantum abeſtutlaudari debeat,ut etiam uituperatione ſit di gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum ,hunc ipſum bonū effe ,nemoeſtomnium qui ambigat. Contrà uerò , quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus eſt putandus. Quapropter illé reuera laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt. Contrà ue rò ille uituperandus,à quo nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt amores. Amor,inquit, femper Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet Venus,unus &Amor utique eſſet. At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo nata, fine matre quę cæleſtis Venusdicitur: altera uerò ,quæ Plebeia nuncupatur, ex loueac Dio ne progenita : propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter .cæleftis eft, illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem : alter uero plebeius, qui plebeiam comitatur.Dux ,inquit,Veneres ſunt,hoceft,duo pul chritudinis genera :ut Plotinum ,alios omittamus. NamPlotinus putat, Venerem eſleipſam animam . Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à Platone dicuntur in Phædro, Ve nerem nihil aliud, præter pulchritudinem , ſignificare. Cui quidem ſententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit illud Platonis,Furorisamatorñpatrociniū tributum eſſe Ve. neri,apertè dicit ,Venerem ſignificare pulchritudinem . Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem . Quod quidem etiam obnixè contenderem , ni magnus Plotinusmeremoraretur.Tantum enimei uiro tribuendű cenfeo ,utexiſtimem , huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio , fiue is ſitNumenius Pythagoræus,fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter homines deum facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag . nus Syrianus,quem Proclus non ſecus acnumen colic. Ergo dug Ve neres, hoceſt, duo pulchritudinis genera ſint: quarum alteramdi cit Cælo natam finematre:alteram louis Dionesof ſtirpem . Vetus eſt dogma(cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt,Porphyrius, Amelius Longinusadftipulantur)tria effe rerü omnium principia, Perſeunum ,Mentem , Animam .Aperſeuno eſſe Mentem , quam uocant Mundumintelligibilem , à Menteeſſe Animam , ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus P 2 172 FRANCISCI CATANEI DIACETIL elargiri unitatem :Mentemſiue mundumintelligibilem elargiricon ftantiam :Animamueròmotum . Rurfus ,per ſeunum quandoque Cælumappellari,Mentemuerò Satúrnum , Animam louem . His itaqz conſtitutis,poſſumus dicere,E Cælo,hoceft, ex primo rerum omnium principio, quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem , ideſt,primam pulchritudinem ,quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam ,inquam ,exipſo per reuno, quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima pulchritudo,ex ipſo perfe uno prodïjt.Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio huiuſmodi nul Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus euenit. Prodit enim ſecundum à primo , per fimplicem quandam proceſsionem ( ſicuti lumen à Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto dicimus &animam ab intelle ctu , & materiam ab anima prouenire. In toto hocproceſſu concin git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum , Mundumin telligibilemn ,Animam ipſam ,Naturam animæ inſtrumentum , Cor pusMateriam , . Infra autem noneſt deſcenſus. Vnde & Orpheus, In ſexta,inquit,progeniecantilenæ ornatum finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato.Poteft &alia ratione, acnondeteri ore fortaſſe, Veneremdici Cælifiliam eſſe. Namin Cratylo dictum eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem : Saturnum purita tem intellectus: Iouem uerò uiuentem , & perquemuita, ita ſcilicet, atis aſpectus, quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is uerò, quo ſeipſum uidet , Saturnus, quali lit pura intelligentia , in ueritatem incumbens : Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra feipſum participabilem eſſe .Qui quidem dicitur mundi opifex , quandoquidem mundi principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem uita , quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui in ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo ante appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur , quandoquidem principi umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia dici poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc habet originem. Nam hicſenſus princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium pulchritudinis. Pul chritudo ením uitam fequitur,ut dictumeft. Eft autem fine matre: quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo longè materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platonediſſentire,qui dicit, Veneremcæleftem Saturni ſtir pem IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO , fo pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam ,quæ àprimo intellectu procedit.Sed hęchactenus de cæleſti Venere.Nuncuerò de plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe, afferens habere matré,quãCæleſtis Venusnon habebat. Iupiter ſig nificatMundianimā, quemadmodūpatet ex his ,quædicútur in Phę dro.Magnus uciądux in Celo lupiter,citans alatū currum ,primus incedit,exornans cuncta,prouide diſponens. Huncſequitur deo. rumdæmonumą exercitus,per undecim partes ordinatus. Solà autem in deorumædemanec Veſta.Ex quibus uerbis palàm effe po teft, louemeſſemundi animam . In Philæbo quoque dicit Plato, In magno loue eſſe regium intellectum , eſſe & regiam animam : lig. nificans,mundi animam tumuninerſaliintelligentia,tumetiam uni uerſaliuita præditameſſe. Ergo Iupiter mundi anima eſt; ſecun , dùm Platonem . Dione autem Materia dici poteſt. Anima enim quælupiter appellatur,mundumproducere debet. Mundusautem materia indiget. Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim pliciter,fed ex ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia fit neceffe eft. Vnde &Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex ſuppoſitione. Plato quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id eft, ex materia eſſe conſtituium : quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima mundum producere debet , mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut Dionérectara tiónė diči poſsit :quandoquidemand trüdros,hoceſt,à loue trahit ori ginem.Eft itaque plebeia Venus,louis Dioneső filia :quoniam ſe minaria naturæ pulchritudo tum pendet à mundi anima , cuius eſt inſtrumentum ad generationem , tum etiam materiam mundo ne . ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater, quòd ſuopte in. genio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia; quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria ſeiungiturubi , ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac plebeia, duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem ſequitur. Diuinæ pul chritudinis Amor diuinuseſt : qui non folùm diuina pulchritudi: ne perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per mo dum feminis. Plebeiæ pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem principium eſt generationis , quando pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi exprimere nequit, citra formarum omniumexplicationem : Sed ambigi poteſt,quo pacto dictum ſic, quot ſunt pulchritu dines, totidem efle Amores, Nónne pulchritudo finis Amoris eft : is 31 p3 174 ERIKOISCI CATANEI DIACETIT At vero quid prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut etiam nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar. Vnus enimHercules eſt: Herculisautem imagines complures. Vnde&illud Platonis in Timæo in contro uerliam trahitur,propterea, inquit,munduseft unus , quoniamex emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum imitetur : Ariſtotelescùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium ,ex tota ſua materia conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo eſſentia : non tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ fit in materia , femper amet eſſe uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ aſſumunt particulam :ut equus,utleo , & fi quaſuntalia generis eiuſdem . At ueròquæcunqextota materiafua conſtant, hæc quidem ſingulain ſingulis funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li brodeCælo agitAriſtoteles. Vnde colligere poſsumus,materia copiam ,multitudinemindicare ſingularium .Quod etiam in undeci. moRerumdiuinarumclara uoce dictum eſt. Verumenimuero de claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in Ti. mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde declarandum nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi pulchritudo finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum ,non ex eo oftendit, quòdmateria eſtuna (quemadmodum Ariſtoteles fecit ) nec.exco, quòdmundi eſsentia in corpus unum occurrat ,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim ſolus,aut maximèuſus eſt præcognofcente cauſa ,quemadmo. dum inquit Theophraſtus.Nam mundum eſse unum , acceptumre. fert exemplaricaufæ . Sienim exemplar unum, opifex unus,neceſse eft & mundum eſseunum . Nam opifexunus dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum , omnes exprimendi numeros impleat ne ceſse eſt. Alioquinon perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio nonniſi in uno perfectiſsima eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè exprimuntur , quid prohiberet , in infinituma bire : At aſserere , ab uno opifice infinitos eſse mundos , ſtupidi omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum , multa eſse quæ perfectiſsimè exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse perfe ctius, quandoquidem perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel exquiſitius in perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu perfluent:Quaproptermeaquidem ſententia, rectè adſtructum eft, Si 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 13. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse eſt &mundum eſseu num .Acexemplareſſeunum ,opificem unum , facilè oftendi poteſta Sienim multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio ex his præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem ſingula ualerent idem . Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio perfectiuseft,nónne in id ,quod eſt præſtan tius,ſemper opifex intuebitur unde & cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum . Quapropter recte dictumeſt à diuino Platone, Mundum propterea unum eſſe, quòd exemplar unumimitetur. Quo fit,ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum , quòd exem plar unumimitaretur:quando uidemus,exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe. Namomnino fierinequit, utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex unus, ifíp perfectiſsimus : cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo fimulachrorum ,autex opificis de bilitate : autex multitudine uarietateof fic. Quòdfiobijcitur, ani marum ideameſleunam , opificem unum , huncés perfectiſsimum : complures tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, & fiqua ſunt generis eiufdem , ideam eſſe unam , complura tamen quæ ideam i plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non eſſe animarum om nium ideam unam, proinde nec exemplarunum . Sed fingulas ani mas, ſingulas habere ideas. Vnde & animæ omnesrationales, de Pla tonis fententia,fpecie differunt. Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In his,inquit ,quæ ſunt ſeorſumà materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe . At intellectum ſiue rationalem animam ſe orſum eſſe ,ſecundùm Ariſtotelem facilè dabuntij, qui multis in lo cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius in tertio libro de Anima dicit de mente Ariſtotelis, intellectum illuminantem eſseu num , illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter & animarum diſcurſiones , & uitæ , ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi latius agendum eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon eſſeideam unam . Soluitur & alia ratio .Nam propterealeoniseftidea una , exemplar unum , par ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non eſt unum ac perfectum ,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim dij mundani, & cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem . Quod etiam Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens,ab homine & ſole hominem generari, Hactenusdeclaratum eft,liexemplareſtunū, quo pacto id, quod exemplarimitatur,unumeft, quo pacto contingitmultitudinem in cidere.Nuncuerò reſtat,ut eirationi reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines, propterea quòd concin git finemeſſeunum :complura uerò, quæ illius gratia ſunt. Nampul chritudò finiseft amoris.Dicimusigitur,id quod habetrationemfi nis,expetibile effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximèexpetibile .Quapropterquoniamper ſeunum &per febonnmomnium eſt finis ,reuera & primòab omnibus effe expe tibile. Vndeapud Ariſtotelem legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt. Significatur enim idquodab omnibus, fed pro ſua cuiuſque facultate ,expetitur,eſleid ,quodreueraac primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat appetitum , ubi plura expetibilia ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus enim ſemper expeci bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura con iuncta lint.Vbiuerò unumexpetibile,appetendigenusunumquo. queſitoportet. Quo fit,cùm unum idem's omnibus commune bo , numſit,unumquoqlıtomnibuscommuneappetendi genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt. Atqz ita in cunctis unum eſt. Præter autem id bonum ,quod cùmprimòbonumſit,omnibusadeſt,ſuntalia & bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi pulchrumeft, cuiuſ modiiuſtī , & fi qua ſuntgeneris eiuſdem . Rectè igiturà diuino Pla tone dičtum eſt,totidem effèAmores,quot ſunt Veneres. Venus énimpulchritudo eſt:amor autem pulchritudinis deſiderium . Cum igiturduæ ſint pulchritudines,altera diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia: ſintóshæc genera duo expetibilium :neceffe eft, totidem quoq; effe appetendigenera,qui duo ſuntAmores. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius, quàm quibus uiſumeft, pul chritudinem Amoris eſſe materiam . Ex his ratio illa facilè diffolui tur.Adftruitenim polito appetibili uno , contingere, ut complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt , non tamen continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam pulchritudo fi unafit , etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle , unum tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis ſententiam èffe : arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem , alterum ple bcium appellauit:quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur,altera plebeia,accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus ipſe ſitæſtimandus. Hactenus IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO, 177 Hactenus de his amoribus tranſegimus, quiomnibus animis inſunt , ſiue hæ deorum ſint, fiue dæmonum , ſiue illius generis, quodcorpus caducum ſibi induit, cuiuſmodi hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt expediendi, qui propriè hominum dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem , ſiue in diuinam pulchri tudinem reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius pulchritudo , intel ligibilis exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima eſtcu iufuis hominis pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati curam habet: ut in Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf : cung ſpecies ſortiatur, ſiue deorum uitam uiuens , ſiue cæleſtem ac dæmonicam ,fiuecorpus terrenum , elementarech nacta, totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori, etſi uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat uniuerſi facultatem , quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima omnis eft uniuerſum ,. quin profuo efficiatingenio ,ubicunq efficit. Hinc legas apud Pla tonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam diuinum ,in animantium genere , fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis conſtitutum . In ſeptimo quoc eiuſdem operis , Deus, in quit, omni beato ſtudiodignus eſt :homo uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt, hominem habereomnia in numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur dei ludo con ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus , fuo quodam modo fit uniuerſum . Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat,homi- . nis pulchritudinem ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq; huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum ,niſi quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem talisaggreditur, quodcunqobtigit,ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem , quoni amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli,materiçuicem gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò ,quoniã quandoquſą adeo inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur,ut credat ſeibi generationé conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus omnino in pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan . doquidéanimus diuina res eſt ,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria exhibitură. Amatquo & potius ſinementehomines, 178 FRANCISCI CATANEI DIACETI prudentes.Quoniam non facile eft prudentes decipere, qui mente ualentacnitunturratione.Noneftautem conſilium , ea incommoda in præſentia recenſere, quçtalesamatores ſuis amatis adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu noctub cogitant,niſiquo pacto ualeant uolup tatem explere: Vndeſiamatipauperes fuerint , ſine neceſſarös , ſine clientelis,lineamicis ,adheline omnianimi cultu , cuiuſmodi ſuntdi ſciplinæbonarumartium , ſinequibus nemo uirmagnus eſle poteft, denią fine diuina philoſophia, quæ homines facit prudentiſsimos, miruminmodum gaudent,quafiex calamitatibuseorum ſuam felici tatem auſpicaturi.Quapropterimprobandi,reiciendi,inſectandig ſunt,tanquam maximèpernicioſiac noxij, quippequigenus huma nummaximis detrimentis,bonisuerò nullis afficiant. Quid igitur mirumfi legibus cautum eſt,nullo pacto uulgares amatores audien dos eſſe, quaſi impudentiſsimiiniuſtiſsimiĝzlint: Huiuſmodi igitur ac fimilium affectuũauctoreſtilla ſenſibilis pulchritudo , quam Ve neremplebeiam appellat Plato. Trahitenim , utdictum eſt, rapitớs animamadcorpora (quodanimæmaximummalumeſt ) niſi optimi morešdiuiniacobftet philoſophia,cuius beneficio ueritatis partici pamus. Atuerò ſipulchritudo ſenſibilis ſit inſtrumentum addiuină pulchritudinem , Venuscæleſtis rectè dicitur:affectusõz ille,qui cir ca hancuerſatur, Amorquoq cæleſtis iure appellatur. Prouocatau tem ad diuinam pulchritudinem ,non fæminæ pulchritudo ,ſed ma ris. Amatorenim diuinus,cùm probè nofcat fæminamgenerationi deſeruire, in mareuero generationem expediri non poſle, abhorreat autem penitusà generatione (quandoquidem totus in diuinum in hæret)fit utiqz maſculæ pulchritudinis & fectator adeò &admira tor: quippe qui pulchro uti amet,non tanquam in quo explicet ſemi nalem pulchritudinem ( quemadmodum euenit plebeio amatori) fed tanquam inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem , ac tumdeinde in diuinamattollatur. Probat autemnon pueros adhuc mentis expertes,fed adoleſcentes, quimente ualere iam cceperint. In certum eſtenim ,an pueri uirtute præditi futuri ſint. Ille autem in pri mis uirtutem , optimum (Banimi habitum admiratur. Ergo adole ſcens ubi furentem amicumcontemplatur, quàm omni uirtutum ge nere abundet,non minus obferuareac colere debet, in omne oble quium paratiſsimus,quàmdeorum immortalium ſtatuas colendas cenfet. Scit enim cumeo diuinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibicogitandum efle,niſiquo pactoualeatomneuirtu tumgenus explicare,utdiuino amatore dignus amatus & uideatur & fit.Hactenus Pauſaniæ ſermonem explicaſſe ſatis erit. Nam quæ dicunturde Ariſtogitonis &Harmodñjamicitia,quæíz deuarijsa mandi legibus, tum apud Græcos,tumetiam apud Barbaros, expli canda alijs relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſi liumeft,quæuideanturadPhiloſophiam pertinere. Grice: “If these Italians, pretentious as some are, want to use more than one surname – their loss!” – Grice: “It was an excellent idea of  Diacceto to translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of Plato’s little dialogue on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar Florentine!” -- Franciscus Cathaneus. Franciscus Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M. Francesco Cattani da Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords: i tre libri d’amore, diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766795558/in/dateposted-public/

 

Grice e Diano – errante dalla ragione – emendato – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vibo Valentia). Filosofo. Grice: “I love Diano, but Italians usually take him to be a bit too Hellenic; recall that a true Roman considers himself a Troian, i. e. an enemy of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus, I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte giovanili.  Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.  Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli. Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue la libera docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista, come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.  Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di lingua italiana presso le Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi che ricoprì fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune opere.  Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945 è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista.  Dal dicembre del 1946 ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso la Facoltà di Lettere dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione aristotelica nel Veneto.  Molte delle sue traduzioni dei tragici greci sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani, interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai. Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito, dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro.  Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo Valla.  Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade, Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson, Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita culturale e artistica del 900.  Tra i suoi allievi più noti troviamo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari.  Per i suoi amplissimi studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del filosofo di Samo.  Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di analisi generale di una cultura.  Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri); “Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro, GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085 dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno, L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson, Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura). Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro, Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D. (con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti, (traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura) Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia Editore); “Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito, Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova, Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki); “La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano, Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano, Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR);  Platone, Il Simposio (traduzione e cura), Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino, Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari.  e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra. Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito, Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside, Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945); Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze, Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Diano, .  Carlo Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di Corallo", di Francesca Diano. Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Diano. Keywords: errante dalla ragione, emendato, il segno della forma, il simposio ovvero dell’amore, Mario l’epicureo – homosocialite – forma, segno, convite, Orazio, Virgilio, filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690429192/in/photolist-2mS1rKF-2mQi1gy-2mPXDFp-2mPNfYo-2mPKHfm-2mNsjFh-2mLJPUG-2mLMaMX-2mPxhsE-2mKGXJq-AKm2wa-BxbiQ5-iaPo9Z-BfCsgw-iaPpsv-iaP9LN

 

Grice e Dionigi – intorno al Cratilo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Barletta). Filosofo. Grice: “I like Dionigi; for one, he wrote on Cratylo, which I love!” – Grice: “In Plato’s Cratylo there’s possibly all the vocabulary you need to understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W. Morris!” -- “Postmodern Italians like Donigi, and they created a cocktail in his honour! His philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on semeiosis proves Whiteheads’s dictum that all pragmatics is footnotes to Grice, and all Grice is footnotes to Plato!” Si laurea a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale, nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche), analizzato sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un lucido bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il processo di ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta "linguistica", vista come approfondimento della critica della metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo ermeneutico”), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose. Intorno il “Cratilo” di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite descriptions – descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa stessa" della filosofia.  “Cocktail Dionigi” e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari, Marramao.  Altre opere: Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia: “Un filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un filosofo tra Aristotele e il pub”.  su ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi.  The development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia romana antica. Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla correttezza -- dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è un dialogo di Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della “correttezza” -- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e Cratilo.  La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. Incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema e delle due tesi sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una espressione o nome. Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e “per natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene crede invece che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale, physikos; l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla convenzione.  Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in sé qualcosa della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del discorso (A e B, S e P), è evidente che l’espressione utilizzata nel discorso vero deve essere ‘corretta’. Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso l’espressione, il legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione all' ‘idea’ o concetto (implicatum) dell’espressione, adattandolo poi a questa o quella necessità descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa, del reale.  Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in considerazione l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità dell'uomo, come l' “anima” o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il ‘corretto” dell’espresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento si dilunga sulle qualità morali dell'uomo. Il corretto di una espressione si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa  caratteristica di essere un compost (complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale, l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”, Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce. Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta, propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa) bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende il reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf. muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima, ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre l’espressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dell’espressione risiede nella stabilità del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre uguale, allora è possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione “Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’ spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale (hairy-coatedness).  Cratilo simboleggia invece la concezione naturale (pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto, assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura non e un segno; Non tutto e un segno -- .  Platone fonda la sua concezione della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita. Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura del legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di Cratilo. Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità del legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno. Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno, nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette, nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per argomentare l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da Grice con il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il collegamento tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A segna che p” no implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate, storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della prammatica. Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la concezione platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un legame naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum.  Sedley, Plato's Cratylus, Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il Melangolo, Luigi Speranza, “Platone e il problema del linguaggio” seminario. Lettura e commentario di testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico. Traduzione integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo greco presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus, in Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Bibliografia su Cratilo. Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate · Critone · FedonePlato-raphael.jpg II tetralogiaCratilo · Teeteto · Sofista · Politico III tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro IV tetralogia Alcibiade primo · Alcibiade secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete · Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia maggiore Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia IX tetralogia Minosse · Leggi · Epinomide · Lettere Opere spurie Definizioni Sulla giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco AlcioneEpigrammi. Linguistica Categorie: Opere letterarie in greco antico Dialoghi platonici Opere letterarie del IV secolo a.C.  CRÀTYLVS PLATONIS, VEL DE RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS Ficino Florentino, ad Petrum Medicem uirum clariſſimum. A MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostrū et cum hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo : Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus hic ô Socrates, rebus singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid esse nomen, quod quidã ex constitutione vocant, dum vocis suæ particulam quandā pronunciat, sed rectam rationem aliquam nominū & græcis et barbaris eandé omnibus innatam. Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur. Socrati vero quod nomen, inquam :Socratesait.Nónne cæteris omnibus,inquã ,id eft nomen quo quenquocamus.Illenõ tibi tamen ait Hermogenes nomen eſt,nec etiã ſi omnes homines teita uocarint. Dumýobfecro ut ſciſcitanti mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorſus declarat, sed me ludens, simulatſeſe aliquid uerſareanimo,quali nõnihil hac de re intelligat,quod li uellet exprimere,cogeret meidipfumfateri,eadēý dicere quæ ipſe dicit. Quamobrem libenter ex te audirem , siqua ratione Cratyli uaticiniâ potes conījce se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem tibiplacet,audi rem.soc.Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur. Pulchra eſſe cognitü Prouerbia e difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua res eft.Equidem ſi ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam olim audiffem , in cuius traditione etiã hæc inerant,ut ipſeteſtatur, nihil prohiberet quin tu ſtatim nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun audiui, fed illamdrachmæunius duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio ,inueftigare autem tecum ſimul &cum Cratylo paratus ſum .Quodautem dicit ti bi noneſſe reuera nomen Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi pecu niarum auidus ſis , & impos uoti. Verum ,ut modo dicebam, diſficilia hæc cognicu ſunt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum ita sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet frequenter cum hoc cær terisc permultis iam diſputauerim ,nondum tamen perſuaderimihi poteft aliã eſſe no minisrectitudinem , conuentionemipfam conſenlionemě.Mihi quidē uidetur quod cungnomen quis cuig imponit,id eſſerectů.Acſi rurſus comutat,aliudó imponit, ni hilominus o primum , quod illi ſuccedit nomen rectấexiſtere, quemadmodüſeruis no mina cómutare solemus: nulli quippe rei natura nomē ineſſe,fed lege &uſu illorum qui fic uocare conſueuerunt.Quod quidem ſi aliter ſe habet,paratus ſum non à Cratylo tan tum ,uerumetiã àquouis alio diſcere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conſideremusitap.quodcũq imponit quis cuinomen uocato , id illi nomen effe af feris:HER .Mihi ſane'ita uidetur. Soc.Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER. Affero . soc. Quid vero si ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus , ego “equum” nominē, quem'ue equum , hominē: publice quidem erit eidē homo nomen, pricatim “equus”, &priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita loqueris: HER .Ita uider.soc. Diciterum num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifalſa .HER. Equidem . Soc. Nónne illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio falſa : HER.Ita prorſus. So c.Illa uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit ut exiſtűt, vera est ,quæ ut no exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est autem hoc,oratione,ea quæ ſunt, & quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum .soc. Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum tota quidem eft uera,partes non uerærher.Imò&partes ueræ . soc. Vtrữ partes magnæ ueræ ,exiguæ uero particulæ fallæ ,an ueræ ſunt omnes. HER. Omnes arbitror.soc.Habes orationispartem aliquã minorēnominer HER.Nequaç , Orationis hęceſ pars minima.so c.Etnomen quidē hoc pars orationis ueræ.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars utiq uera,utais ipſe.HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma eſt nos ergonomen uerű , & nomen falſum dicere, fiquidē & orationem.HER. Quid prohibet, men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id & cuiq; nomen eft ? HER. Idipſum . soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter hanc nominis rectitudinem am rerum ipſas effe dinens,utuidelicetliceatmihi quidē alio rem uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti. Ita equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, & Græcis ad alios Græcos,& Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. musHermogenes,utrum resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ minem effemenſuram , ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia & mihiſint: item qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ effentiæ ſuæ quandã habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc deductusfum , quæ tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc. Nunquid & ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem eſſe hominem omnino malum : her . Non per louem.imò fæpenumero ita fum affectus,utexiſtimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, & quidem plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci. soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus vero prauos imprudentes omnino: HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eſto hæcipfa ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur,talia ſint fieri'ne poteft,ut alij hominum prudentes ſint,imprudentes alí :HER.Nequaquam.soc.Atqui hæc, ut arbitror,tibi omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam & imprudentia fic,Protagorā baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera prudētiorerit,fi quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe ſimiliter ac ſemper.Nec enim ali boni,alí mali effent,fiſemper & æ nibuselle û que omnibus & uirtus ineffet & prauitas. HER. Vera loqueris. soc. Ergo fineqom . militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato ſimiliter,ne cuiq proprium unumquodq , cõſtat res femper quæ effentiam quandam firmam in fe habent,ne® quo ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą diſtractæ , fed fecundum feipras quoad ipfarum elfen tiam utnatura inftitutæ ſunt permanentes.HER. Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipfæ ita natura conſiſtunt,actiones autem illarum non ita,ſed aliter: an & actiones ipfæ fimiliter quædam rerum fpecies ſunt:HER.Et ipfæ omnino. soc. Er go actiones ipfæ fecundum naturam ſuam ,non ſecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum finosrem quampiam diuidere ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que eft,utnos uolumus, & quo uolumus: an potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun dum naturam qua diuidere & diuidioportet, item eo quo ſecundum naturam diuiſio fieri debet,diuidemus utiqrecte, & aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus: Sinau tem præternaturam ,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita uidetur. soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem opinio nem comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam . hæc autem eſt qua ratione naturaliter quode comburi debet atæ comburere,& quo debet. HER. Vera hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio : HER . Eadem .Soc. Annon & dicere una quæ dam operationữeſt: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut ſibi dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipſa rerum natura dicere diciç requiritiet fi quo natura exigit,eo & dicat,aliquid dicendo proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós efficier. HER.Ita equidem utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est nominare: & quinominant, loquuntur quodamodo? HER.Omnino.soc. Etnominareactio quæ dam eft: quandoquidem & dicereactio quædam circa res eft. HER . Prorſus. soc.A. Ationes autem nobis apparuerunthaud ad nos reſpicere,fed propriam quandam ſui ha bere naturam. Her. Est ita.so c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipſarum natu . ra nominareacnominaripoftulat,& quopoftulat,nõ autem pro noftræ uoluntatis arbi trio ,liftandum eſt in his quæ dicta ſunt. HER. Sic eſt.s o c.Ato ita aliquid peragemus, nominabimusý ,aliter uero nequaquam . HER. Apparet. soc. Quod incidendum eſt, aliquo incidendű.HER. Aliquo.soc. Etquod texendữ, aliquo certe texendű, quodue perforandum ,aliquo perforandū.HER.Plane.so c.ltem quod nominandũ,aliquono minandum.HER.Sic oportet.soc. Quid illud ,quo aliquid perforareoportet? HER. Terebrum.soc.Quid quo texere: HER . Radius pecteng. soc. Quid quo nomina. Reč HER.Nomen.soc.Beneloqueris,ideog inſtrumentum aliquod nomen eft.HERErt Eft.soc.Siquærerē quod inſtrumentū eſt radiuspectený ,reſponderes quo teximus: HER.Non aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non fubtegmen & ſtamina con fuſa ,radio diſcernimus. HER.Iſtuc ipſum.so c.Idem de terebro ac cęteris reſpondebis: HER. Idem .soc.Potes & circa nomen ſimiliter declarare, quid facimusdum nomine Nomen, res ipfo quod inſtrumentū eſt,aliquid nominamus. HER.Nequeo.so c.Nűquid docemus tias docen's inuicem aliquid ,acres ut ſunt diſcernimus. HER .Nempe. soc. Nomen itaqrerű ſub di diſcernen Itantiasdocendidiſcernendig inſtrumentū eſt ,ficutpecten & radius ipſe telę.HER.Sic diğinftru eft dicendű.soc.Radiusporrò textorių eſt inſtrumentū.HER. Quid nir'sOCR.Texcor mentum icaç radio ac pectinerecte uterur,recte,inquā,ſecundű texendirationē.Ille uero quido cet,nomine utetur, & recte,recte uidelicet ſecundű docendipropriâ rationē: HER. Cer te.soc. Cuius artificisoperebene uteturtextor,quando radio pectineś utetur: HER. Fabrilignari. soc.Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha . betartē.soc.Cuius item opere recte perforator utetur? HER.Aerarijfabri.soc. Num quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER .Quiartē. soc. Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER .Neſcio.soc. Allignare & hocneſcis: quis nobis traditnomina quibus utimur.Her.Ignoro & hoc.soc. Nónne lex tibiuidet nobis nominaſtatuiſſe HER. Videtur. soc. Ergo legislatoris utet opere doctor,quádo nomineipfoutetur.HER.Opinor.soc. Códitor legis quilibettibiæque uidetur,an quiarte eſtpræditus.HER.Arte præditus.soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenesnomen imponere,uerũ cuiuſdam nominữautoris. hic autem etiam , ut ui detur,nominữ inſtitutor , quirarioromniartifice interhominesreperit.HER.Apparet. Soc. Animaduerte obſecro , quô reſpiciens nominü inſtitutor,nomina rebus imponit: imòſuperiorű exempla dýjudica,quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit.nonnead tale aliquid quodad texendum natura fit aptum: HER.Prorſus. soc. Siin ipſo operera dius hic frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan potius ad ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus eſt,fecerat: HER . Adipſam ut arbitror, speciem .soc. Nónneſpeciem ipfam merito ipſius radij rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo oportet cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis alteriradiữ apparare, radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis uero cuiqznaturaliter eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű ,ut natura poftulat,adhibere.HER.Oportet ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis eftratio .Nam quod natura cui & congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq id illiattribuendű,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu ra ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ accommodatum ſcire oportetin ferro perficere. HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc ſunt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius telæ alteri competit, & in alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum inftitutor nomen Quomố no natura rebus ſingulis aptű in uocibus & fyllabis exprimat, ad idý reſpiciés quod ipſum minabit qui nomen eſt, ſingula nomina fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor eſt futurus. recte nomi Quod ſinonñſdem ſyllabis quiſq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt, quod neq fabriomnesærarñ eodem in ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio , & alio ferro ,eatenus recte ſe habet inſtrumentum ,ſiuehic,fiue apud Barbaros fabricēt. Nónne; HER.Maxime. soc.Nónne & eodem modo cenſebis,donec inſtitutor no minum quiapud nos eſt, & qui apud Barbaros, nominis speciem cuim cõpetentem tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű altero in nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum conueniens radij species cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an textor uſurus. HER . Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus, cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem inſtruere poteft, & opus recte'ne an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis ergo: HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo . ris nauiữ. HER.Gubernator.soc.Quis item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, & expletû dijudicabit & apud Græcos & apud Barbaros: Nónne & quiuteſ: HER. Is certe.so c.Annõ is eſt qui interrogare ſçitç HER . Iſte. $ 0 c.Idem quog reſpondere, HER nabic zi HER. Nempe. $ o c. Eum uero qui interrogare ſcit ato reſpondere,aliumuocas i diale Dialecticus nouit recte cticum : HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri ita opuseſt temonem facere guber impofita no natore præcipiente,li bonus futuruseſt temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt nomina. HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue quiddam ,utipfecenſes,nominis impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum &quorumuis hominum opus.NempeCra tylus uėra loquitur,cum nomina dicit natura rebus competere,neg unum quemuis eſſa nominum autorem, sed illum duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag ſpeciem eâ literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates qua ratione his quæ dixiſti,lit repugnandã:forte'uero non facile eſt ſubito fic perſuaderi. Videor autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi oftenderis quam dicaseſſe natura rectano. minis rationem . soc. Equidem ô beate Hermogenes,adhucnullam dico , ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà, meuidelicet hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul inueftigantibus hoc duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem aliquã natura nomen habere , nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne: her.Valde.soc.Conſiderandum reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deſidero equidem .soc. Animaduerte igitur. HER. Quauia inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab his qui ſciūt hæc perquirere,oblatis pecunis, & gratöjs inſuper actis:hi uero ſophiſtæ ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês euafiffe ui detur.Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt fratrem ſupplex ores, ut te doceatnominârectitudinem quam à Protagora didicit. HER.Quàm abſurda hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam Protagoræ ueritatem nullomodo recipiã ,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa dicuntur,alicuius precí æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut ironicũ mero cæterisý poetis est diſcendum . HER. Quid de nominibus, & ubi Homerus ô Socrates,tradic:so c.Paſimmulta, maximauero & pulcherrimaſuntilla ,in quibus diftin guitcirca eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi inducunt. Annoncenfes ipſum in his magnificum alíquid & mirandumde recta ratione nominữ tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti, quæ natura conſiſtunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio ,fiqua dij uocant,recte eos admodum nominare. Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano flumine, quod ſingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant, uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs, Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas,ut fciat quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam aros Myrinen , alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum iſtarữrerum inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē &Altyanax quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com prehendi,facile & percipi poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ dico: HER. Omnino.soc. Vcrum iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire magis puero, Aſtyanacta'ne,an Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem conſidera:liquis te interrogaret, utrữ putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an minus ſapien. tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe.soc.Vtrũmulieresin urbibus sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri : quantı ad genus attinet. HER. Viri.so c.Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a mulieribus Scamandriū nuncu patum : quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare conſueuerűt. Her . Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam mulieres eorũ exiſtimauit: HER . Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta igiturrectius quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER .Apparet.SOCR. Animaduertamusquam ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit, ciuitatem ipſis cutatus eſt amplas mænia . Quapro prer decet, ut uidetur,protectoris filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč ,eius, quam pater ipſiusſeruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider : Soc.Quod aức hoc maxime;porrò &ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis: HER. Nõ perlouem.soc.Arqui & Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit. HER. Quamobrem : soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya sactieſſequamproximum : ferme'enim idemſignificant, putanta Græciutraq hæcno mina regiaeffe. Cuiuſcunæ enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft & fxTue,id eſt poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ , & habere.An forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam : HER.Nullo modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR .Decet,utmihiuidetur, leonis filiū leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico, liquid tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus:fed cuius generis ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum naturam filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum ,non pullus equinus di cendus eſt hic ,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana producit , quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris omnib. iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem.soc.Obſerua me nequid defraudem . Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in alíis uero & alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc ſiue addatur litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec eſſentia reiſignificatæ in ipſo nomine dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum'ue dico, uerű ita ut in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonów, o fixpou & whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes liceras ,ut Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus. Verum quo uſg elementi ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud uocare ipſum quod nobis fignificet elementum , ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.éc, nihil obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur, cuiusnominum autor uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit : Erit ex regerex , ex bonobonus, ex pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet genere alterữ quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano : mina.Variare autem licet per fyllabas,ut uideantur homini rudi,quæ ſunteadem ,eſſe di Gería. quemadmodữ pharmaca medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem fint,nobis diuerſa uidentur : Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem iudican tur ,neß eum additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in nominibus eruditus, uim illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua litera addita eſt, uel tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis eadē uis nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector, liceras omnino diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod &exémolis, id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum duobus ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil aliud quam regem ſignificant. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem ſignificant,ut čys, worém cedoOMG , .Alia item quæ medicinæ profefforem declarant,ut ictportas, a xecik @ poro. Aliaó permulta reperiri poflunt,fyllabis & literis diſcordantia, ui autem fignificationis penitus conſonantia. Sic ne & ipſe putas, an alia ter : HER. Sic certe.SOCR. His profecto quæ fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER. Omnino. SOCR. Quoties uero præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie monftri , uelut quum ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non genitoris nomen ſortiri debet, ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum ſuprà diximus,ſi equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium ,fedbo uem denominandum .HER. Siceſt. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa rentis, sed generis nomen attribuendum . HER . Vera hæc ſunt.soc.Neque igitur6tocosia Agy , id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id eſt Dei memorem, uel talem aliquem huiuſmo diuocarefilium talem decet, Ted cótraria ſignificantibus nominibus appellare, ſi modo recte nomina inſtituta effe debent.HER. Sic prorſusagendum ô Socrates. soc. Profe dio Oreſtinomen recte,o Hermogenes,uidetur impoſitum , fiue aliqua ſors illi nomen dedit, liue poeta quidā, ferinam cius naturã agreſtē &moncanã nomine eo ſignificās. HER.Sic apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER. Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon,utſibi laborandũcenſeat,to lerandumý, &in ijs quædecreuit,per uirtutem perfeuerandã.Argumentũuerotoleran tiæ ſuæ apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prębuit. Quod igitur mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen ſignificai Agamemnon , quali ayasos 967 oli ümrovlu . Fortè uero & Atreusrecte eft nominatus.Nexenim Chryfippi, & crudelitas aduerſus Thyeſten ,noxiữ perniciofumo illum demonſtrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, & clam innuit,ut non quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum periti ſunt, ſatis Atrei ſignificatio pater. Dicitur enim ſecundum erogès, afeger's atypów, quaſiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit. Videtur & Pelopi nomen haudab re tributum. Hominem quippe quæ prope ſunt uidentem ,nomen iſtud congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicæde, utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus pſpicere quãta toti generi ex hoc calamitas im mineret. Quæ enim antepedeserant, &ad præsentia tantum respiciebat, hoc autem eſt prope aſpicere: quod & fecit, cum Hippodamiæ coniugium omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos, quodad uiſionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipſa uidetur impofitum , ſi uera ſunt quæ circunferuntur. HER. Quænam iſta : soc. Quoduiuentiadhuc illi aduería plurima &grauia contige runt,tandemý patria eius omnis fubuerſa eſt. Defuncto præterea faxum in caput immi. net, ſors certe duriffima. hæcprorſuscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to you ,id eft, inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus obſcurius, pro Talancato Tantalum poſuifler. Taleutiæ nomen fortuna eius aduerſa ipſorumore gentium præ buiſſe uidetur. Quinetiam patri eius loui recte nomen eſt indicum ,nec tamen facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio quædam louis nomen , quod quidcm bifaijā partientes,par tim una,partim altera parte utimur. Quidamfive , quidamdia, uocani. Quæpartes in unumcópofitæ, naturam dei ipſius oftendűt, quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim nobis cæterisomnibus uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter decens nomen eſt hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus ineſt.Sectum autem in duo eft unum, ut diccbam ,nomen ,in diæ uidelicet ata awa. Hinc Saturnifilium cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit. Verű probabile eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin Hóp - dicitur,non puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, & fynceram integria tem. Est aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus ad ſupera merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o Hermogenes, 17 qui derebusiutli mibusagunt,puram mentem adeffe, & recevo, iure nomen impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente tenerem , & quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem oftendere tibérecte illis nomina infcripta fuiffe ,quo ad huius fapicntie periculü facerem ,liquid ipſa proficiat peragator, & an deficiatnecne, quæ mihi tam ſubito ignoro equidem unde nuper illuxit . HER. Profecto mitttiden som Ô Socrates iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor equidem ,ô Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio emanalie. Illi fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur eum deo plenú non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, & reliqua quæ ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc conſenſerimus,excutiamuscam , expiemusý ,aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem , feu ſophiſtam qui purgare hæc ualeat. HER. Probo hæc maxi. me Socrates. libentiſſime nang quæ de nominibus reſtant, audirem. soc. Ira prorſus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiendű iudicas,poftquam formulam quandam præfcripfimus,ut pernoſcamusſi etiã nomina nobis ipía teſtantur non caſu quodama. » ata fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam continere:Nomina quidem heroum atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang multa ſecundum cognomenta maiorum pofita) ſunt, & fæpe nequağ conueniüt , quemadmodã in principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ , Itópinoy, alia “ permulta.Talia itaq ) prætermittenda cenſeo.decens eñconſentaneumg maxime reperire nos quæ in rebus ſempio Lempiternis &naturæ ordine cõſtitutis recte ſunt poſita. Nam circa iſta in condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero ipſorūnonnulla diuiniore quadam poten tač humanaſunt inſtituta. HER. Præclare mihi loqui uideris,ô Socrates. soc.Nonne pareſtabipfisdíjs incipere ,rationemý inueſtigare qua bcos uocati ſunt: Her.Nempe, soc.Equidem ita conício.Videnturutiq mihi Græcorű priſci deos ſolos putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbarorű plurimiarbitrantur, solem, luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hæc omnia perpetuo in cursu esse coſpicerent,ab hac natura moldatu få nominalle uidentur,deinde &alios animaduertêtes omneseodem nominenuncu pale.Habeoquod dico uerifimile aliquid, nec'ne HER . Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum : Conſtat de dæmonibus heroibusø &hominibus quærendum eſſe, HER . Dedæmonibusprimum. soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun nomen animaduertenum aliquid dicam .HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit, HER.Non.soc.Nec etiam , quod aureum genus hominum zitin principio extitiſſe ? HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt przſentis uitæ fara fieri dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ expullores,& cu licdes liominum.HCR . Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde conſcio, genus noftrum fereum eſſe dicit. HER . Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis nunc ex noſtris bonus fc ,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum eſt.soc. Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdæmones præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex noſtraiſtud priſca lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, & cæteripoetæ permultipræclare loquuntur,quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus eſt, maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic & dæ monſecundum ſapientiæ cognomentūIca & ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle hominem , quicung ſitbonus,eumódæmonicum effe ,id eſt felicem ,uiuenten » acc defunctũ, recteý dæmonem nũcupari.HER Videor . mihi ô Socrates, in hoctecum s maxime conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu difficile.paur lo enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem illorum čre WTO manaſſe. HER.Qua rationeid ais: s o c.Anignoras ſemideos heroas effe : HER. Quid tum : soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres humanas, uel amore uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam Acticorum linguam con fideraueris ,magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper mutatū eſt nominis gratia ex UTO ,undeſunt heroes geniti:quod'ueaut hincheroum nomen eſt ducium ,aut ex eo quòd fapientes ,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, & ad interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam ,& diſputatores&amatori uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica prolesexiſtit. Verum nõ iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű, quamob cauſam homines ävbewmoinominantur.habesipfe quid afferas: HER.Vndeid habeābone uir: Quin ſi reperire quoquo modo poffim ,nil cotendo, ex eo quòdtemo lius facilius“ quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione confider se mihiuideris.HER.Abſc dubio.soc.Ec merito quidem confidis.Nam belle nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam ,nehodie ſapiêtior quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis circa nomina animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus,lepe ctiam demimus pro arbitrio,dum nominamus, & a cuta ſæpenumero tranſmutamus,utcum dicimus dicíres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum , inde excerpfimus, & pro acuta fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs quibuſdam literasinterſerimus,alia uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc.Hoc & in ävegen O côtingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum eſt,uno a excepto,grauiorig fine effecto.HER.Quomodo iſtud ais 's o c. Itak" hominis nomen illud ſignificat, quod cætera quidem animalia quę uident,non confide rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem & uidet ſimul &contemu platur,animaduertito quod uider.Hincmerito solus ex omnibus animátibus homočvrse @puro eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ ön WT5, id est, uidit. Quid poft ce haqquæram :Anuidelicet quodlibenter perciperem HER: Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi uideturdeanima & corpore cõſideratio .Nam anima& cor pusaliquid hominis funt.HER.Sine cótrouerſia.soc.Conemurhæcquemadmodū ſu: periora diſtinguere. Quærendum primodeanima putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore: HER :Equidem.soc.Vtigitur ſubito exprimarn quod primumm . hinunc ſe offert,arbitror illos qui ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod » hæc quoties adest corpori, caula est illi uiuendi, reſpirandi,& refrigerandi uim exhibês: 9 & cum primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu noni 21 naffeuidentur,quaſi awatúzov, reſpirando refrigerans.Atuero, si placet, fifte parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos quiEuthyphronem ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut arbitror, & durû quiddã eſſe cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű .HER. Dicmodo.soc. Quid aliud animatibiuidetur corpus continae, uehere, & utuiuat & gradiatur efficerer HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagoræ ce dis,rerum naturam omniẩmente quadam & anima exornari ſimul & contineri: HIR . Credo equidem.soc.Pareſt igitur eam potentia nominare quelw.quæ quan,naturan, oxa & xe , id eft uehit & continet.politius autem fuxó proferſ.HER . Siceſtomninoji detur & mihiiſtud artificiofius effe .soc. Eft profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin hocnominepauliſper ab origine declinari. nen . pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ quidam eſſe tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia animaper corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco & rivec iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid potiſſimữpoſuiffe,q anima in corpore hoc delictorũ det pænas, & hocci: cũſepto uallo claudatur,uelut in carcere quodā ,utolor ferueſ. Effeitac uolunthoc ita utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ expendar,neq literam aliquã adăciendam putant. HER .Dehis fatis dictum ô Socrates,arbitror. Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita utdeloueactum eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica : soc. Per Iouem nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes,precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam , neq deipſorīnominibus quibus iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare.Secundâ uero recte denominatio nis modum exiſtimo, utquemadmodülex in uotis ftatuit precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita & nos ipfos uocemus,tanğ nihil aliud cognoſcētes.Recte não , utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis ,ad hanc inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc. Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen 9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes priminomināautores non hebetes quidā fuisse, verum acuti fublimium rerum inueſtigatores HER. Quamobrem : soc. Talium quo rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi quisperegrinaconlide. retnomina,nihilominus quod ſibiuult,unumquodq;reperiret.quemadmodőhocquod  nos días, eſſentiam nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia .Primo quidem ſecundum alterum nomen iſtorum ,haud procula rationeuidetur rerum effentiam ésiav uocari. & quia nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex hocrecte éstæ poffet denominari.Superioresnoftriquondam šriav,tola uocabant.Quinetiã ſi quis facrorí ritusanimaduerterit,exiſtimabit ſic eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim ante deosom nes Veltæ facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Veſtam cognominarunt. Qui item wola nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc fluere omnia femper, nihilo conſiſtere.Cauſam igitur & ipſorum originem ducem ipſum wow , quod impel lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam nominari.Dehis hactenusitalic dictų ,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam aất, deRheaato Saturno conſidera reconuenit,quanğ de Saturninomine in ſuperioribus diximus.Forte'uero nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O boneuir,ſapientiæ quoddam examen animaduer ti. HER . Quale iſtud: soc. Ridiculum dictu.habet tamen nonnihilprobabile.HER : Quid ais: & quo pacto probabile.so c.Infpicere mihiHeraclitum uideor,iã pridem ſa pienter nonnulla de Saturno Rhea tradentem , quæ & Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum amnis fluxuicomparás,haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou gas.HER.Vera hæcſunt.soc.An uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire , qui aliorum a deorum progenitoribus inſeruitRheam atą Saturnữ :Nunquid putas temere illum no mina iſtis impoſuiſſe.Quin & HomerusOceanum deorum originem inſtituit, & The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, & Heſiodus.Aitpræterea Orpheus, Oceanű primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe, quicum Tethy germana ſeſua commiſcuit. Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ in opinionēHeracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem nomēhaud fatis quid ſibiuelit, in telligo.soc.Hocutißidem fermeſignificar:quoniam fontis nomēeſt reconditů.Nam doctons & xlsus ,id eſt ſcaturiens & tranſiliens,fontis imaginem præ ſe ferunt, ex utrif queuero hiſce nominibusnomen tudúceſt compoſitum . HER.Hoc quidem belliſi mum eſt ô Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres autem eius dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum uocant.HER.Prorſus.soc. VideturNeptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco mooddãy uocatusfuiſſe, quia euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro , grediultra permitit,ſed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov, id eſt pedum uinculũ .& uero decoris gratia forte adie ctum fuit. Forſitan nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit pofitum, quafi dicat mom sidós, id eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod dicitur códy, id eft quatere,okwu ideft quatiens eſtnominatus, cuiw & d fuitadiectū . Plutonem autem quali zašto, id eſt diuitiarī datorem dicimus, quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus eruuntur:& dxs uero multitudo interpretatur, quali addis, triſte tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes Plutonem uocitant.HER.Tuuerò quid fentis Socrates. soc. Videnturmihi homines circa potētiam Deiiftiusmultifariam errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime deceat.Porrò quiſ ex hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit, quod'ueanimanudata corpore,illucabit.Cæterum hęcomnia & regnum & nomen hư ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto :soc.Dicam quod fentio . Dic age. Vtrữ horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű , neceſſitas'ne, an cupiditas? HER.Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ plurimi,&dw quo tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos quiillucdeſcendunt,uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam eos,utuidetur,potius ő neceffitate deuincit, fi modouinculo nectitfortiſſimo.Her.Apparet.soc.Nónne rurſus multæ cupiditates funt HER.Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate nectit eos, fimododebet inſolubilinodo conectere.HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla cupiditas, ş ea qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudinemeliorem feuirūſperat euadere: HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C.Hacdecaufa dicendűHermogenes,neminem hucillincuel lereuerti,nec etiã Syrenesipfas, imò & eas & cæterosomnes ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý ,utratio hæcteſtat,deus is ſophiſta proculdubio diſertiſſimus & ingentia confert his quipenes ipſum habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat,uttantanobis bona ſuppeditet,unde & Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo . phitibiuidet officium , q nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ admittateos, cũanimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus: Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore & infania corporis ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere ualeret,fecumý tenere.HER .Nonni hil loquiuiderisÔ Socrates.soc.Longeabeft Hermogenes utnomē& dos, quali cudes id eft trifte tenebroſum'uefit dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt noſle omia pulchra.Ex hoc itaq deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid præ terea dicimusde Cereris nomine, Iunonis“ , Apollinis & Minervæ,Vulcanig & Martis,cæterorumýdeorum : soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa alimentorī largitione, quaſi didolæ pektyg ,hoc est exhibensmáter. Kex uero,id eſt Iuno, quali fatá, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans quihoc nomen inſtituit,aeram ,spav denominauit, & obſcurelocutus est, ponensin fine principiữ quod quidem patebittibi,finomen illud frequenter pronüciaueris. DefélQKT say,id eſt Proſerpinam ,& denómwnominare nõnulliuerent,propterea quòdillis ignota eſt nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregóvlw ipsam considerant,graue id illis apparet. hocautēdeæ ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft quæ resfluentes attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem gegéraqemerito dea hæcnominaretur,propter fapientiam , & Encolu , id eſt contacta , qepomlis, id elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret illi ſapiens ipſe édes, quia ipſa talis eſt .Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem quoq circa Apollinis nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ noſti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime cõuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet, quod & cöprehenderet omnes, & iplius quodammodo declaret musicam, uaticinium, medicinam , & sagittandiperitiam. HER. Aperias iam .Mirum quiddã nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoſitõeſt, conſonatý ,utpote quod ad de um pertinet muſicum . Principio purgatio purificationesø & ſecundum medicinam ,& ſecundum uaticinium ,item quæ medicorum pharmacis peraguntur, ac uatum incanta tiones expiationes , lauacra, & afperſiones, unum hocintendunt, purum hominem & corpore & anima reddere. HER. Sic omnino. soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn & Ösp núwy,id eft abluensa malis, solvens ,q Apollo ipfe ſignificat? HER. Abſque Tubio.soc. Quatenusitap diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda vero divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more Theſſalicorűnominarehuncpoſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt. Quatenusaấtási Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy dicipo teſt,hoc eſt ,perpetuus iaculator.Secundữueromuſicam , dehoc eſt cogitandū quemad modum de eo quod dicit & nórolo & « xomis,id eftpediſſequus,comes, & uxor, in qui. bus& ur & in alijsmultis, idem quod ſimul ſignificat.Hic quoq && zónas ſignificant uerfionem quæ ſimul & unaperagitur, quam cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos fit quos sónos uocamus:in cantu uero & quovia , quam dicimus ovuqwricw . Quia in his, uttraduntmuſicæ & aſtronomiæ periti,harmonia quadā ſimulomnia cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ præfidet omonwy,id eft fimuluertenshæc omnia,& apuddeos & apud homines.Quemadmodum igitoorkeudoy & Oxóxosniv , id eft ſimuleuntem & ſimul iacentē,uocauimus anonovlov & KOITIY, o in « permutantes, ita Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy, altero a interiecto , quia æquiuocũfuiſſetduro cum no mine.quod & his temporib. ſuſpicati pleriq , ex eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt, perindehocmetuunt, ac si perniciem quandã fignificaret.Sed reueranomen hocomneshuiusdei uires cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim plicem ,perpetuũiaculatorem , expiatorē & conuertentem .Muſarā uero & muſicæno men,ab eo quod dicitpães, id eft inquirere,indagatione & ftudio ſapientiæ tractõelt. agtá,id eſtLatona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy, id eſt prompta & expofita & Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű. Forte'uero ut peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe uident,quia non rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos lenis & mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés, quali integra modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua fiageplisoge,id eft uirtutis conſciã,uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit uiricum muliere.Vel enim propterhorâ aliquid ,uel propteromnia huiuſmodinomen eſt inſtitutű .HER: Quidue ro dióvvoos & espositor's O.Magna petis Hipponici fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet & iocoſa.Seriã quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi fanè & difunt: Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor, quafi nobivuosioco quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati,oisdocevouü exay, ideftmentem habe rele putent.DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter ipfam ex dogo, hoc eſt ex ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, ô Socra tes,Vulcanūča & Martem ,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ præteribis.soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen quamobrē ſit impofitũ , haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam uocamus.HER . Planè.soc.Nomen hoc cenſendum eſt à faltatione in bello ductum fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à terra attolles re ſeu manibusaliquid efferre,dicimus cámay, & wameat,id eſt uibrare,agitare & agitari,& ſaltare, & ſaltationem perpeti.HER.Ablo controuerſia,Palladem hac ratione uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo pacto interpretaris: so c . állwaữ quæris: HER. Id ipsum.soc. Grauiushocamice: vident prisci å blwaw exiſtimare,quemad , modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus ſunteruditi.Nam iftorum plurimiHomerữexponuntåbwaw tano mentem cogitationemg finiſſe . Et qui nomi na inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,imò etiam altius eam extollēs,utDeimen tem induxit, perinde ac fi diceret sleovõu , hoc eftutens æ pro y externo quodam ritu , s uero & o detrahens,fortè'uero non ita , ſed IGavónas, id eft,utpote quæ diuina cogno ſcat,præ cæterisomnibus deoroli , id eſt diuina cognoſcentē, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus uoluiſſe illũappellareeam klovólw , qualiipſa in more intelligentia fit. Ipſe poſt modữ,uel eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid producendo,Athenean de nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nominãt: so'c. Quidais:Num ge neroſum ipſum páso- isogæ ,id eſt luminispræfidem quæris? HER.Hâc quæliffe uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft , quiso eft,& x ſibiuendicat.Vnde igas id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet: niſitibiquoq modo adhucaliter uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte,interroga.HER .Interrogo.soc.Siplacet,õpys, id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt maſculã, & av dogov,id eſt forte . Quinetiã fi uolueris ob na turam quandãaſperam ,duram atq inuictã,immutabilemý, quod totumägøæby appella tur,ogy uocatum fuiffe,hoc quo & Deo penitusbellicoſo cõueniet.HER. Prorſus.Soči Deosiam mittamus per deos obsecro.Nãdehis diſſerere uereor.Adalia uero quecung uis,meprouoca,ut qualesEuthyphronisequiſunt,noueris.HER.Faciam utpetis,ſi unű deme quæfiuero.meliquidē CratylusHermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita quid épus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc. équis, id eſtMercurius,adſermonēpertinere uidetur, quatenus égjelw rús eft,hoc eſt interpres & nuncius, furtiuús inloquendo ſeductor,ac uehemens concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in fuperioribus diximus, kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero dehocHomerusait £ukcal, id eft machinatuseſt. Ex utriſq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo quod loquieſt,tum ex eo quodmachinari & exco gitare dicenda, perindeac ſi nominis autornobis præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id eſtloquimachinatus eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice legan tius eloqui, éguli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu , id eſt loqui, nomen habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius Hermogenē elleme Cratylus ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes ſum .Soc. Conſentaneâ quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî .HER.Qua rationer'soc. Scis quòd fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý & uoluit ſemper,eſtó geminus uerusuidelicetac fal ſus: HER.Equidem . soc. Annon id quod eſt in ſermoneuerum ,leue eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod falſum ,infrà in hominữmultis,afperű ato tragicũ : Hincenim fabularum comenta & falfa & plurimacirca tragicam uitam reperiunt.HER . Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw , id eft totâ nuncians, & æs monasy, id eſt femper uolutans,7 dezóros biformisMercurij filiusdiceret, ex ſuperioribus partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus aſper atok hircinus.Eftg Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis frater,fiquidem eſt Mercurij filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum :Ce terüiã o beate, ut & paulo ante rogabā, ſermonem dedñshunc abrumpamus.HER.Ta. les quidem deos,li uis,mittamuso Socrates,huiuſmodiuero quædam percurrere quid prohibet.Solem ,lunam , ftellas,terram ,ætherem ,aerem,ignem, aquam, ver & annum : D soc. Multa funt acmagna quæ poftulas. Sicamen gratum tibi futurum eſt,obfequar. HER.Pergratum plane.soc. Quid primum poſcis: an utipſenarrabas in primis stov , id eft folem; HER.Profecto.soc.Manifeſtius id fore uidetur,li Dorico nomine quis uta tur.Dorici enim asoy uocant,ato ita uocatur ſecundữ &nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum homines,cum exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper reuoluitur.Præterea quia uariat circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem & duo. agy idem eft. HER . Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum : soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid fert antiquius, quod ille nuperdixit, quodlunaà fole lumen haurit.HER.Quo pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER . Idem . SocR.Lumen hocperpetuo circa lumen voy & güvoy eſt id eſt nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue renouatur, Vetusautem eſtmenſis præteritilumen.HER.Vtig.soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe. soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus ſemperhabet,merito uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo ahavice uocatur. HER . Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id eftmenſem :& äspe quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab vas. atroce, id eſtàminuendo, iure nuncuparetur. Astra uero & sectic, id eſt coruſcationis co gnomentum habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uiſum ad fe conuer. tit, ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men trahil mie& idap, id eft ignis & aqua :'Soc. Ambigo equidē,uideturg autMuſa meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte obſecro quò confu giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam : soc. Dicam tibi.ſcis ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER.Non hercle.soc . Vide quid dehoc ſuſpicer.Reor equidêmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preſertim quiſub Barbaris ſunt, habuiſſe. HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis rectam iſtorũ impoſitionem fecundum græcã uocem quærat,non ſecundum eam qua eſt nomen inuentũ nimirum ambiget.HER. Verifimile id quidem . soc. Vide itaç nenomen hoc quebarbaricum ſit.neo enim facile eft iſtud græcæ lin guæ accomodare , conſtataita hocPhrygios nominare parum quid declinantes, & ý. dwg & xuías,id eft canes,alia permulta. HER. Vera hæc sunt. soc. Ergo distrahereiſta nihil oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere quiſquã poteſt.Quapropter nomina illa ignis & aquæ huncinmodum reñcio kázautēſic eft dictus Hermogenes, quia quæ circa terram ſunt, deed,id eſteleuat.uel quia aega , hoc eft ſemperfluit,uel quia eiusflu xu ſpiritusconcitatur.Poetæ quippe flamina aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur quali avocTócow , agzóſſow id eſt ſpiritus fluens, uel fluens flamen , dedica præterea fic exponendum arbitror, quoniã đa dicirca ãégæ pêwy, id eft ſemper currit circa aerem fluens, quocirca čeddeks dicipoteft.gæ autē, id eſt terra,planius fenſum exprimit,ſigara dicatur.yaa enim recte görkodea, id eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum in re,inquit.Quid reftat deinceps. HER . Ver & annus, ô Socra tes. soc. Spore quidē, id eftueris temporapriſca & Attica uoce dicendaſunt,ſi uis quod conuenienseſt,cognoſcere. Horæ nanquocant, quia ief80, id eſt terminant hyemem atçæftatem uentosca & fructus ex terra nafcentes. giveau tos aất & čnos, id eft annus,idem effe uidet.Quod eñ in lumen uiciſlim educit,quęcung naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat & diſcernit,annus eft: & ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab aliquibus Pavæ ,ab alijs diæ uocari,ita & annữ quidam giardy yocant,quia in ſeipſo, quidā quia examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo examinat.Vndeexo ratiõeunanominaduo ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū étolov,id eft in ſeipſo examinās, diſtinctum dicitur griaunos, & £70s, id est annus. HER. Atuero Ô Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin philoſophia uideor euagari. HER . Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes.Her.Verum pofthancfpeciē libentiſlime contêplarer ,qua rationerectenomina iſta præclara uirtutūſint impofira,ut ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's,iuftitia, ac reliqua huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū ſuſcitas,ô amice. Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud deterreridecet,imò præclara ipfa,utais,nomina prudentiæ ,intelligentię,co gitationis ſciêtiæ cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc. Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam ,antiquiflimos uidelicet illos nominữ autores, ut & fapientiâ noftrorum plurimis accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter ceteros in cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri & vacillareil lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem uertiginem ,ſed exterior ? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura habere ſe putāt , ut nihil in eis firmum . ZE & ftabile fic,fed fluantomnesferanturo ,& omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC & defluant. Quod quidem in his nominibus, quæ nuncrelata ſunt, conſpicio . HERM.CC Quo pacto Socrates.soc. Haudaduertiſti superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus, & iugigenerationetranslatis impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis percepi.soc.Prins cipio quod primûretulimus,ad aliquid huius generis attinet.HERM . Qualeiſtud: soc. apórnois,id eſt prudétia eft,qopás a govórous, id eſt lacionis & fluxus animaduerſio. Signi ficare quog poteſt,recipere övnou dopás,id eſt lationisutilitatê.Tádem circa ipfam agita tionem uerſatur. Quinetia liuis yvaus id eft cogitatio fignificat govis várnoip ,id eft gene rationis cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem , id eft intellectio , eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res eſſe,ſignificat eas fieri ſemper.atqß hoc deſi derare & aggredi animum indicat qui nomēillud inuenitvsotow .principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro ,duo se proferēda erant,ut rebois, quafivéov , id eſt noui toisappe. titio & aggreſſio.ow poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus , id eſt prudêtiæ ,falus & conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia ,ab eo quod inftar & fequit tra &tum eſt,quafi res fluentesſolas animusperſequatur,inſtetø & comitetur:at negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare& interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio quædam eſſe uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur etiska . Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix , id eft fapiêtia ,agitationis eft tactus.Obſcurius autem , & alieniushoc à nobis. Verum animaduertendữeſt in poetis, quotiesuoluntaduentantem aliquem & irruen tem exprimere,ovulo.id eſt erupit,profiljjt,dicere.Quin & illuftricuidam apud Lacedæ. moniosuiro nomen erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones cõcitationis impe tum indicant. Qualiitaqomnia perferantur,huiusipſiusagitationis, quę eo quod oos di citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia demonſtrat..yglóxid eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile,amabile,delectabile ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia ,quod xaiov oubsou ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid autem ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis quod dictum eſt cocellum ,reliquum uero dubium .Etenim quicung totum mobile arbitrantur, plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo fingula fiant, quod'ue tenuiſlimum fit & uelociſſimum.Nec enim per omniadiſcurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi ſtancibus utatur.Quoniam uero gubernatomnia, dlačov , id eſt diſcurrens & permanans, merito dinglov eft appellatū, x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te diſcēdideſiderio flagranshæc omnia perfcrutatus ſum ,& in arcanis percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, & cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt caufa:proprieś ita uocariiſtud debere quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam auditis iftis nihilominus diligenter ex ., quiro quid ipfum iuftum ſit, quando quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, & caueam ,utdicitur,uallūý ſupergredi.Satis enim femperrogaſſeme & audiſ- Prouerbia fereſpondent,meg uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra coſentiunt. Quidam ait iuſtű hoc, folem effe.Solâ quippe folem diſcurrendo calefaciendog omnia gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualipræclarum audierim , refero, ftatim ille meridet, quærito nunquid exiftimem post solis occaſum iuftűnihil hominibus superef le: Percontanti itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem iuftâ exiſtere.neqid cogni tu facile,quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum potius innatum ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iuſtā mētem illâ quâ induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam exornare omnia inquit, per omnia pe netrantem .Hic quidem ô amice in maiorēambiguitaté fum prolapſus, quàm antea dum nihil deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad id cuiusgratia diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ .her. Videris Ô Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer deprompſiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita.s o c.Atten de igitur; forte'nançsin reliquis te deciperem , quali quæ afferam non audierim.Poſtiu ftitiam quid reſtare avdgíay,id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia faneobſtacu lum eiuseſt quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna in rebus fi quidē fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d ſubtraxerit ex nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat. constat planè quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo eft,fed oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo eſſet laudabilis.žeệw autem ,ideft mas, & civip,uir à ſimili quodã ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu .pusuero,id eſtmulier, quafi jová, id eſt fæcunda & generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn ? Begrãs,id eſt papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft germinare pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere ,augmentum'iuuenum repræſentat, quaſi uelox quiddam & fu bicum , quod innuitille quinomen conflauit ex leiv , id eſt currere, & &Ma, id eft faltare. Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus ſum : Mul ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc şuu vä , id eſt habitum mentis oſtendit, ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter x & v,& interv & nézován: HERM. Aridenimiū Socrates & inculte.soc.Anignorasbeateuir no mina uetera diſtracta iam effe,atq cõfuſa à ſermonis tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad« dentibus & fubtrahentibus literas,ac partim tēporis diuturnitate , partim exornationis& ftudio undiq peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo, abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū : Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris illecebras pluris æſtimantő ueritatem. Quamobré cũ multanominibus ipſis adiecerint,tãdem effecerűt, utnemoiam nominūdu fenfum animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl oqiya pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto fidareturcuiş arbitratu ſuo & de mere& addere,magna utic eſſet licentia, & quodlibetnomē cuiæ rei unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ſed enim mediocritatem quandam aros decorum ſeruare te decet præsidem sapiętem .HERM.Outinam.soc.Atqui& ipſe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium diſcuſſione, uir felix , exquiras, neuim meam prorſus exhaurias.Afcendam quippead ſupradictorum apicen: posto post artem cõli. derauerimus Myjavlw ,id eftmachinationéexcogitationemg ſolertem . Videtautem li gnificare idem quodmultum pertingere & aſcēdere.Componitur ergo ex his duobus, púxos, id eſtlonge & multum, & dvey,id eft aſcendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam , adſummam dictorum perueniendum eft, quærendum quid nomina iſta significant, opeta, id est uirtus, & xcxiæ ,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum patere uidetur.Nam ſuperioribusomnibus conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards sok ,id eſt male uadens:xariæ ,id eft,prauitas erit . quarecum animamale adres ipfas accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa. culcas inoshiq ,id eſt timiditate patet, quam nondum declarauimus. prætermiſimuse nim.Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre.Multa inſuper alia prę teriſſeuidemur.ddníc ſignificat durum animæ uinculum.domés enim uinculum eſt.nian uero forte quiddam durumg ſignificat.quare timiditasuehemensacmaximum eſt ani mæ uinculum : quemadmodum & exeíc ,id eſt defectus inopia , dubium ,malum quiddã eſt,ac fummatim quodcuną progreſſus ipfius impedimentum ,idé male progredi uide tur oſtendere,in ipſa uidelicetmotione impediri atą detineri. Quod cum animaſubit, prauitate plena dicit.Quod ſi illud prauitatis nomen talibus quibuſdam cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus ſignificabit.In primis quidē facilē agilemą progreffum , deinde folutum & expeditū animæ bonæ impetum effe oportet. Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog és béov,id eſt ſemperfluens iure cognominari poffet adgfútn.fortè uero & αριτίω degerli uocatquis,quia litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ . Verum colliſo uocabulo obetxdenominatur.Forſitan mefingere dices:ego autem aſſero, ſimodo no men illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum ,recte quoc & iſtud uirtutis nomen induci.HERM.Arranów ,id eftmalum ,per quod in ſuperioribusmulta dixiſti, quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem ,ac inuétu difficile. Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam.HERM. Quid iſtud: SOCR . Barbaricum quiddam & hoc esse dicam .HERM.Probeloquiuideris.soc.Cæterum hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon & degeóv, id eſt pulchrum & turpe, conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere uidetur.Nempecum ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit,paſſim agitationis impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw , id eft femper impedientifluxum nomen dedit aegóggow . Nuncuero collidentes degsów appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum : soc.Hoc cognitu difficilius, quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat & longitudinis gratia ipſum æ ſit productum . HERM.Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum quoddam esse videtur. HERM .Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc cogitatio est veldeorũ, vel hominum ,uel amborum : HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa ,ideft quoduocatres, & kxaóv,idem accogitatio ſunt.HERM.Apparet.soc. Quæcunq mens & cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ non,uituperanda.HERM.Prorſus.soc. Quod medicinæ par . ticeps,medicinæ opera efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu vero quid fentis ? HERM . Idem.soc.Pulchrum ita pulchra.HERM.Decet.so c.Eft autem hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM.Maxime.soc.Nomen ita @ hoc naróv, id eſt pulchrum ,merito erit pru dentiæ cognomentum ,talia quædam agencis, qualia affirmantes pulchra eſſe,diligimus. HERM. Sicapparet.SOCR . Quid ultra generis huius reftat inveſtigandum : HER M. Quæ ad bonum & pulchrum ſpectant,conferentia uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum contraria . soc. Quid our popov ,id eſt conferens ſit ,ex ſuperioribus ip ſeinuenies. Nam nominis illius quodad ſcientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim præ ſe ferc aliud quam qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum rebus, quæ ue hinc proueniunt,uocari orredoporre & ovu qopa, id eſt conferentia,ex eo quod fimul circumferuntur.Herm . Videtur.soc.Losdantov autem ,id eft emolumentum : 7 koše dos,id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud excogitauit pro vap ponens,ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut cauponeshoc utuntur, idcirco Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id eſt ſumptusuitat & minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit lationem réao-,id eft finem progreſſionis accipere atæ ceffare : ſed ſoluitfemper ab illa fugató ,fi quis terminusfuperueniat, ipfamós indeſinentem immor talemg præbet.hac rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum enim motionis aú ou do río , id eft foluens terminum ,avandou uocari uidetur.coénomoy uero, id eſt con ducibileperegrinum nomēeſt, quo ſæpenumero Homerus eſt uſus. Eftauté hocaugen difaciendio cognomētum.Her.Quid de horâ contrarijs eſt dicendûrsoc. Quæ per ne gationem iſtorum dicuntur,tractarenequaquam oportet.HER.Quænã iſtar'sOc.co.uk gogov ,kiw deres davandés,axopdes.HERM.Vera loqueris.s o c .Sed Brabopov & yusão s, id eft noxium & damnofum . HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how effe dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire & coercere:pšu id eft fluxum :hocautem passim uituperat:quodő uultanlay góp pouw , recte bonomopou appellaret.uerum ornatus gratia Brabopón arbitrornominatū. HERM.Varia tibifuboriâtur,ô Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladiæ legispraeludiữ quoddã præcinuiſſe,dum no men Bracoitopöy pronunciares. so.Nõego in cauſa ſum Hermogenes,fed quinomēip ſum inſtituerunt.HERM. Vera loqueris. Verum Cauãdoquid : soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: & uide uere loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria ſignificationéinducãt.quod apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top & {mps&d ov,fenſum ipſum cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais: soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero & d utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro uelipfum & uelx adhibent, produe. ro ( quali hæcmagnificentius quiddam ſonent.HERM .Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem uocabant,pofteriores autem partim čuopov ,partim su'épow ,co cant.HERM.Vera hæc funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit declarari.Nam ex eo quod imeipzory , id eſt deſiderantibus homini bus gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam intelli. gas.quanquam arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta quæg efficiat. HERM.Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum , dvozov uocauiſ fe.HERM.Planè.soc.Enimuero luzów nihil aperit.at d'voyou ,divoiy dywylw ,id eſt duori conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø eftdemultis alijs iudicandű.HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum cótrarium nominum omniâ quæ ad bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies exiſtens,déondeouós,id eft uinculum quod dam & impedimētum proceſſionis effe uidet,tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam .HERM.Icamaximeapparet,ô Socrates.Soc.Verum nõſicin nomineueteri, quod ueriſimilius eſtrecte inſtitutum fuiffe, quàm noftrum. Nempe cum ſuperioribus bonis conſenties,fi pro 4,1 uetus reſtituas.Nec enim deby ;ſed toy bonum illud ſignificat,quod ſemper nominūlaudat inuentor:Atą ita fecũipſenõdiſſidet, imòad idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ, λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν , συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro , greffum.uniuerſü hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq pe rornans,idő ubiq laudatü : qd uero obftat & detinet, improbata . Quinetiã nominehoc {Butãds,liyeterű mored profpoſueris ,apparebit tibinomen iſtud disutisè boy, id eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum .unde & Musãdes cognominandum eſt .Herm. Quid ádura,númy, uslupia ,uoluptas ſcilicet,dolor, cupiditas, Socrates, & huius generis reliqua: soc.Haudnimis obſcura mihi uidentur Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis illiusnomen eſt, quæ adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut pro eo quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à Stanús Gews,id eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione corpus diffol uitur.xvíc , id eſt triſtitia , quod impeditigio ,id eft ire,demonftrat.& aguda , id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab ängdvö dictum.éduig,id eft dolor & afflictio,ab güdlü Oews,id eft ingreſſionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Cårigoló ,id eftmoe ror languor ,lationis grauedinem tarditatemg ſignificat. ãxto enim onuselt.ioy uero pergens.xapod uero ,id eſt lætitia gaudium ,à diazúrews,id eft profuſione, & progias,id eft facilitate,poas, id eſtmotionis animæ,dicitur. Tosalesid eſt delectatio,ab toptivs,id eft oblectamento ducitur.Topavoy autem à trom,id eft inſpiratione delectationis in animā Quaremerito uocaretur égaršv,id eſt inſpirans. Temporis autem interuallo ad Top Arvo deuentum eſt.cuqpoouis,id eſthilaritas & alacritas, quam ob cauſam dicatur,aſſignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo quod dicitur eü , id eſt bene. oum @ opeally id eft unaſequi qualidicat animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw appellamus.Sed neg difficile est assignare quid üsgutta, id eſtcupidi. tas ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id eft animam & iram & fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft flagrantia, feruore,& impetu animę. proindeiupo ,id eft fuauis & blandaperfuſio,dicitur,jm ,id eſt fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga ,ideft incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos uocatur,id eſt deſiderium , quod fane'præfentem fuaui tatem nõ reſpicit, quemadmodū iuepo ,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG ,id eft abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co quod cupitur iuopo ,abſente wólo denominatur.iews autem , id eſt amor,quia doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo , id eft influctio ,amor ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem épwsdicitur,wproo interpoſito . Ve. rum quid deinceps conſiderandum præcipis?HERM. dlófæ, id eft opinio ,& talia quædã, undenomen habentisoc.déke,uel à diwa,id eſtperſecutione dicit, qua pergit & pro ſequituranima,conditionem rerum inueftigans:uelà tófo Borm,id eft arcus iactu . uides turautem hinc potiusdependere.oinois, id eft exiſtimatio ,huic confonat. oftendit quip pecioiy,id eſt ingreſſum animæin unumquodß conſiderandum ,oioy,id eſt quale fic:quê admodum & bons,id eft uoluntas a Borá,id eſt iactu dicitur: & Bóns, id eſt uelle , pro pter ipſum attingendinixum ſignificat etiamélis,id eſt cupere:& Bonbuch , id eſt cõſu lere.Omniahæcopinionem fequentia,Boras ipfius, id eſt iactus & nixus imagines eſſe uidentur.quemadmodum contrarium , & boniæ,id eſt priuatio uoluntatis,defectusquidã conſequendiimpos apparet, quali non contendat, neq etiam quod intendit,uult, cupit, inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora hæc congerere uideris, ô Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen adhuc,ávéyxlu & Exšonoy,id eſt neceſſarium & uo luntarium declarari.Nempe ſuperioribusilta ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id eſtcedensneg renitens,hocfiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces denseunti, quod'ue ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium & obfi ſtens,cum præter uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam uerſabitur.deſcribiturautem ex proceſſu ſecundum neceſſitatem , quoniam in uia aſpera denſa inceffum prohibent. Vndeavaysazov dictum eſt ,quali per & yroscop ,id eſt per uallē uadēs.Quouſ uero uiget robur,ne deſeramus. Quamobré interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce rogo quæ maxima ſunt& pulcherrima:« aksaa ,id eft ueritatem , & fordo ,id eftmendacium , & öy,id eft ens, & quareid quodehicagimus,övoua,id eft nomen ,dicitur.SOCR. Quid vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum, quo dicicuröv, id eſt ens esse ,cuiusnomen inquiſitio eſt. Quod clarius certe comprehendes in eo quod dicimus óvojasóy, id eſt nominandum . hic enim exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet inquiſitio. &ikbļa uero ficut & alia componiuider.Nam diuina entislatio ,nominehocincluditur,ankódæ , quaſi exiſtensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium motionis.Rurſushic uſurpatur agitationis obs ftaculum , quod'ue ſiſtere cogit.Nam à reboudw, id eſt dormio dicitur. 4 uero adiectum ſenſum nominis occulicouuero & Xoia , id estens et essentia ,cum & rx66ą, id eſtueritate , congruunt: fic apponatur.namrov,id elt uadens ſignificat.Atdrøv id eſt non ens,quidam nominant xxcov, id eſt non uadens. HERM. Hæcmihiuideris, 6 Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturquæ fitrecta iſtorum interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt uadens:géov,id eft fluens,doww,id eſt ligansac detinens, quid illi potiſſi. mum reſpondebimus: habes'ne: Socr. Habeo equidem.profecto nuper ſuccurrit no bis aliquid , cuiusreſponſione quicquam uideamur afferre. HERM . Quale iſtud : soc. Viquodminimecognoſcimus,barbaricum eſſe dicamus. fortè enim partim reuera talia ſunt: forte'uero partim , ac præſertim nomina prima,temporum confuſione infcru . “ tabilia.Etenim cum paflim uocabula diſtrahantur,nihilmirum eſſet ſi priſcalingua cum Ç noſtra collatanihilo à barbarica uoce differret. HERM .haud alienum eſtà ratione quod a dicis. Socr . Conſentanea quidem affero , non tamen idcirco certamen excuſationem uideturadmittere.Sed conemur hæc diſquirere, ato ita conſideremus: fiquis femper uerbailla per quænomen dicitur,quæreret,rurſus illa per quæ dicuntur uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita perquirere,non'ne qui refpondet, defatigari tandem & renuere cogeretur: HERM.Mihiſane'uidetur. S O CR. Quando ita quireſponſum denegar, merito ceſſabit: An non poftquam ad nominailla peruenerit, quæ cæterorum ſunt& ſermonum & nominum elementarHæcutio fi elementa funt,ex alñsnominibus com pofita uiderinon debent.quemadmodum ſupra & yalóy,id eſt bonâ diximus, ex « y så, id eſtiucundo amabilio , & 805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex alijs conftare di cemus,illağ ex alijs.ſed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex alíisnominibusno coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe dicemus,nec ulteriusbocin alia nomina , referendum. HERM .Scite mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina eleméta funt oportet rectam illorõrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile id quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hæcredacta uidentur:ac ſi ita ſe res habet,utmihiuidetur, rurſusage hic unamecum conſidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento. HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc . Arbitror equidem in hoc tecõſentire,unam efferectam & primi& ultiminominisrationem, nul lumğ illorum eo quod nomen est, ab alio diſcrepare.HERM.Maxime.so c.Etenim om 2 nium quæ ſuprà retulimusnominum recta ratio in hoc cõſticit, ut qualis quæ res litin 7) dicaretur.HERM . Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt.HERM. Prorſus.so-c .Atquipoſteriora no. minaper priora hocefficere poterant.HERM. Apparet. soc. Primauero quibus alia nõ præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendēt, ſi nomina effe debet: Adhoc mihireſponde. ſiuoce & lingua caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara re,nonneperindeac nuncmuti,manibus capite & cæterismembris ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates, soc. Ergo supernữ quippiam ac leue demon. ftraturi,cælum uerſusmanum extuliffemus, ipſam rei naturam imitantes: inferiora uero & grauia deiectione quadã humiinnuillemus. quinetiã currentem equũuelaliud quic quam animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi nem quamproximequiſo finxiſſet.Herm .Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc. Huncinmodűutarbitror his corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce, lingua, & ore declarare uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio : HERM.Neceſſarium puto . soc.Nomen itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua quiſquis aliquid imitatur,per uocem imitat & nominat. HER.Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum tamen recte dictum existimo. HERM .Quamobrē: Soc. Quoniam hos ouiū & gallorum cæterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem quæ imitantur.HERM .Vera loqueris. SOCR .Decereid cenſes: HERM . Nequaquam sed quænam ô Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ permuſicam fit ,quamuis uoce fiat,nec etiã eorundem quorum & mu. fica imitatio eſt,nec enim permuſicam imitationem nominareuidemur. Dico autê ſic: Adeſtrebusuox & figura colorø plurimus. HERM.Omnino.soc.Videturmihiſiquis hæcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cõfiftere.hæfiquidem ſunt partim muſica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc: nonne essentia eſſe cuiq putas, quemadmodú colori & cæteris quæ ſuprà diximus: an nõ ineſt coloriacuocieſſentia quædam ,& alijs omnibus quæcunc essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą eſſentiam imitari literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit declararet: HERM . Maximequidem . Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem partim muſicum ,partim pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM. Videturhicmihiô Socrates quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc eſt,conſiderandum iam denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu ,igra ,id eſt ire, géoews, id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis reuera effentiam imitantur,nec'ne.Herm .Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid hæcſola primanominaſint,an fint & alia præterhæc. HER.Alia equidem arbitror. Soc. Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari incir pitimitator:Nónne quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fitimitatio , præſtatprimu elementa diſtinguere : quemadmodum qui rhytmis dant operam , elementorum primo uiresdiſtinguunt,deinde fyllabarum tanium ,rhythmoscandem iprosaggrediuntur,pri usnequaquam . HERM. Vtiq.soc.Annon ita & nosprimooportetliteras uocales die ſtinguere,poftea reliquas ſecundum ſpecies,mutas & femiuocales: Ita enim in his erudi ti uiri loquuntur.acrurſus uocales quidem ,non tamen ſemiuocales, & ipſarű uocalium ſpecies inuicem differentes.Etpoftquam bæcbene omnia diſcreuerimus,rurſus induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ omnia referuntur,quemadmodum elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa, & fi in ipſis ſpecies continentureodem modo ficutiner lementis.His omnibusdiligenter cogitatis,Icire oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą ,ſiueunum uniſit admouendum, ſeu mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat coloré adhi bent,interdum quemuis alium colorem , quandoq multoscômiſcent,ueluti cum imagi nem uiri quam ſimilimam effingere uolunt,uel aliud quiddãhuiuſmodi, quatenus ima goqueo certis coloribusindiget. haud ſecus & noselementa rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur :oumbona “ , id eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eisö nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam & pulchrum & integrum conſtrue mus:& quemadmodum totum ipſum compoſitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegrű ; orationem uel nominandi peritia ,uel rhetorica fábricatam ,uel alia quauis quæ id efficiatarte.Imòno nos iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref fus fum , quippe ueteres ita conflarunt,fi ita eſt conſtitutum .Nosautem oportet,fimodo artificiofe conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes , fiue ut conuenit primano mina & pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita excogitare.Aliter autem cõnectere uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit error.Her. Forte per louem ô Socrates. soc.Nun quid ipfe cöfidis ita te posse diſtinguere:Ego enim mepoſſe diffido . HEŘ .Multo igitur magis ipſe diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum quid horum noſſe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita & nấcper gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda hæc fuiffent, uel ab alio quopiam ,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet: nuncautem ,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit.Admittishęc'uel quid ais.HER. Sic prorſusopinor. soc.Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes,arbitror, quod res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát.Neceſſarium tamen:nec enim meliushochabemus quic quam ,ad quod reſpicientes deueritate primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt, cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita & nos ocyusrem expediamus,dicentes deos primanominapoſuiſſe, & idcir corecte inſtituta fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille,quod ipſa a barbaris quibuſdam accepimus:Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem ita ea diſcerninequeuntut & barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, & belliſſimæ quidem , illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû reddere rationem . Ete nim quiſquis rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium cognoſcerene quit.hæcporrò ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin potius neceffe eft fequê tium peritiam profitentem ,multo prius & abfolutius antecedentia comprehendiffe,por feq oſtendere,aliter autem ſciredebet fe in fequentibus deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter Socrates.soc.Quæ ego ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum eſſe mihiuidentur,eaç tecû , ſi uelis, comunicabo . Siquid uero tumelius inueneris,mecum & ipſe comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo. soc.Princi pio ipſum g uelut inftrumentum omnismotuseſſe uidetur.Curautem motuslivrosap pelletur,non diximus.patet tamen quoditors ,id eftitio eſſe uult.Non enim » quondam , fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire, quodperegrinum nomen eft,& igra ,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum eiusnomen reperiatur in uocem noftram translatum , recte i'eois appellabitur.Núc autem ab kiau nomineperegrino , & ipfiusy conmutatione, & vipſius interpofitionelivyoisnuncupatur.Oportebat autem sidingoy uel any dicere . súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga , id eft ire eſle uult, ſed ornatuscaufa séas denomi natur.Elementū itaq ipſum qopportunűmotusinſtrumentum ,utmodo dicebā ,uiſum eſt nominum autori ad ipfam lationis fimilitudiné exprimendā : paflim itaggad motus expreſſionē utitur.In primo quidem ipſo jau & goñ, id eſtfluere, fluxuğ per literampla tioně imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya aſpero .item in uerbis huiufmodi, kódy percutere,&gaver uulnerare , oʻúrdy trahere, @ gúndu frangere eneruareg , kopuerto siddy incidere,pêué du uacillare, irritare, & circumuerſare. Hæcomnia ut plurimâperpad fimilitudinémotionis effingit.Mitto enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius cocitatur . Quocirca ad iſtorũ expreſſione iplo s potiſſimữ uſus fuiffe uider. Vfus eft & , scilicetiota, ad tenuia quæ per omniamaximepenetran tia.idcirco igra & icadou , id eft ireprogredió per o imitatur . Quéadmodū per 4.0, quæ E literæ uehementioris fpiritus ſunt,talia quædam nominum autor exprimit, fuzeów frigt dum, ( soy feruens, osoatare concuti, & communiter aconoy, concuſſionē quaffationem : quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum imitari uult nominum inftitutor, tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam ipſiusd cõpreſſionem aco,linguæ & uelut ha . rentis retractionem ,peropportunã exiſtimaſſe uideturaduinculi&ftationis potentiâ exprimendam.Etquia in a proferendo maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit nga , id eſt lenia & órcdaerah labi , & noMūdeslie quidum ,Ascrapov pingue, cætera huiuſmodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto formauityhioggoy lubricum , gauxudulce , yrādes uiſcoſum , luculentum. Animaduertens quo&ipfius v ſonum imoin gutture detineri, eo nominauit so výdby & te gutos, id eſtąd intus eſt,& quæ intrinfecusſunt, utres per literas repræſentarer.Ipſum uero w ,meyer@ ,id eſt magno tribuit &ipſum % ukus ,id eſt longitudini, quoniamma. gnäliteræ ſunt.in nomineautem spozzinoy, id eft rotundum ,ipfo o indigens, o ut pluri mummiſcuit. Eadem ratione cętera ſecundum literas ac ſyllabas rebus ſingulis accom modare uidetur nominum autor,ſignữnomenoconſtitués,ex his deinde ſpecies iamre liquas per ſimilitudinem conſtituere.Hæc mihi Hermogenes recta uidetur effe nomina ratio, niſi quid aliud Cratylus hic afferat. H ER.Etenim ở Socrates,fæpemeturbat Craty lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã afferit rectam nominû rationem , quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere nequeam utrum de induſtria , nec'ne adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô Cratyle,coram Socrate dicas , utrum placeant ea tibi quæ Socrates de nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre poffis:quodfi potes,adducas in me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos ambos erudias. CRAT. Videtur'netibi Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere quoduis atque docere,nedum rem tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER. Non mihi per louem , quinimò ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod operęprecium ſit paruum paruo addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne graueris, fed & Socratem istum iuua ,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem ô Cratyle,nihil eorum quæ ſupra comemoraui;aſſererē.Nem peutcunq; uiſumeſt, cum Hermogenehocindagaui. quocirca aude fi quid melius ha bes, exprimere,tanquã ſim libenter,quod dixeris,ſuſcepturus.Neqz enimmirarer liquid tu hiſcehaberespræclarius. Videris porrò &ipfe talia quædã conſideraffe, &ab alijs di diciſſe. Siquid ergo præstantius dixeris, me interdiscipulos tuos circa rectam nominā rationem unum connumerato. CRAT. Certe mihi ô Socrates,utais , curæ hæc fuerunt,ac forte diſcipulum te efficerem .Vereortamen ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te dicere, quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex ſententia protulifti.Ita cu quo queô Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inſpira tus,ſiue Muſa quædam tibipridem inhærens nuncte protinus concitauerit. soc. O uir bone Cratyle, ego quoß fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis confido.qua re examinãdum quid dicam ,exiftimo.Namaſeipſo decipi grauiſſimum eſt.nimis enim 2 periculoſa res eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum proximecomita,  tur.Oportetitao superiora frequêter animaduertere, & utpoeta ille ait, ante illa retros conſpicere.Atqui &in præsenti videamus quid à nobis sit dictum. Rectam diximus no minis rationem , quæqualisquæqres fit, oftendit.Nunquid ſufficienter eſſe dictâ afferi mus: CRAT. Ego quidem aſſero .soc. Docendi igitur gratia nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus.soc. Annon & artem eſſe hancdicimus, & ipfius artifices : CRAT. Maxime. soc.Quos.CRAT.Quos à principio tu legum &nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem ſimiliter atą alias ineſſe hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam deteriores ſunt,quidam pręſtantiores? CRAT.Sunt.soc. Nónne præſtantiores opera ſua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: cætericontra: Aedificatoresquoq ſimiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficiūt: CRAT.Sic eſt.soc. Nónne et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora, partim turpiora efficiunt: CRAT.Haud ampliusiftud admitto.soc. Non ergo leges aliæmeliores,deteriores aliæ tibiuidentur.CRAT.Non.soc.Nec etiã nomen utapparet, aliud melius,aliud deteriusimpoſitum arbitraris. CRAT. Negiſtud. soc.Ergo omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr. soc.Quid de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt,nomine:Vtrum dicendű non effeilli iftud impoſitum ,niſiquod équo geridews,id eft Mercurijgenerationis illicompe car:Animpoficum quidem ,non tamen recte:CRAT.Nec impofitum eſſe ô Socrates, arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura inest quæ nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe eum dicit:Nec enim hoc eft dubitandum , quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non fit.CRAT. Quaratig ne id ais : so c . Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa ,ſermo tuus conftat, & circa id uerſacur.permulci nempeô amice Cratyle, & nunc prædicant, & quondam aſſerue runt.CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum dicit quis quod dicit quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ ſunt dicere: soc.Præclarior hic fermoamice ,quam con dicio mea & ætas exigat.Attamen mihi dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui detur,fariautē pofle? CRAT.Neq fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu tare:Quemadmodum liquis tibi obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat Salue hoſpes Athenienſis, Šmicrionisfili Hermogenes.illeloqueretiſta,uel fari dicere tur,uel diceret,uel falutaret,appellaretę ita, non te quidem ,ſed hunc Hermogenem ,aut nullum: CRAT.Videtur mihi ô Socrates,incaſſum hæc iſte uociferare.so c.Šat habeo. utrū uera uociferat,qui ita clamat, an falſa: Anpartim uera, partim falſa: Namhoc quo queſufficiet.CRAT. Sonare huncego dicam feipfum fruſtra mouentem , ceu fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle ,utrum quoquo modo conueniamus.Nõne aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem. soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū . So c.Etpicturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero,force'ego quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has imitationes utraſą &picturas & nomina rebus his quarű imitaciones ſunt,attribuere,nec'ne: CRAT.Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit aliquisuiri imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, & in alijs eodem pacto : CRAT.Sic certe.soc.Num &contra ,uiri imaginem mu lieri,& mulieris uiro : CRAT. Ethoc. soc.An utræquediſtributioneshuiuſmodirectæ sunt: uelpotiusaltera,quæ cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT.Mihi quidem uide tur.SOC.Ne igitur ego actu cum ſimusamici,in uerbis pugnemus, aduerte quod dico. Talemego diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső picturis rectã uo co . & in nominibus nõrectam modo,fedueram. Alteramuero diſsimilisipſius tributio nem illationem non rectam ,& in nominibus præterea falſam. CRAT. Atuide ô Socra tes,nefortè in picturis duntaxat id contingere poſſit,ut quis male diſpertiat, in nomini bus autem minime,fed neceſſariū ſit recte femper adſcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt: Nonefieri poteſt ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hæctua figuraeſt, oſten datók illi forte'uiri illius figuram, forte'etiã mulieris: Oftendere,inquam ,ſenſibus oculo rum offerre.CRAT.Certe.soc.Nónneiterum ut eidem factus obuiam dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen est ,quemadmodũ & figura. Dico autéita.Nón ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in aurē idem infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod uir eſt ,forte' uero fæminæ cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod mulier: Non uidetur tibihoc aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o Socrates,licefto.soc.Recte facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam tolletur. Porrò si in his huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui falſa uocamus.Si hocaccidit , & poſſumus non recte nomina diſtribuere, & quænon propria funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba nominağ ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter. Oratio quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta Cratyle: CRAT. Quod & tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima nomina ad literas ipſas quadã imitatione referimus,cótin . gere poteſt in his quemadmodã in picturis ,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg; adhibeamus.Item ( ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha mus,plura & pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so.. Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas & imagines reddit.Quiuero addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe. soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed non pulchra:Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT. Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex ,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne huic nomen erat nomi numcõditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in cæteris artibus con . ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo fuperiora illa inter noscon ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô Socrates, quotiens has literas « & B & quoduis elementorű nominibus per artē grammaticamattribuimus, ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus, quod nomen quidem ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo fcribimus,quin potius ſtatim aliud quiddã eſt ,cũ primum horű aliquid patitur.soc.Videndű Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortaſſis quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta reneceſſe eſt,idquod ais perpetiuntur, quemadmodūdecem ,autquiuis alius numerus. Nam quilibet numerus quocûç additouel ablato,alius ſtatim efficitur. Fortè uero qua litatis cuiuslibet & imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg enim omnia imago ba bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago futura. Animaduerte num aliquid dicam .Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet, & ipfius imago, ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut pictores ſolent,ſed interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem eandem ,caloremý,motum ,animā, fapientiā; &ut breui complectar,talia prorſus effinxerit omnia,qualia tibiinſunt: Varum , inquá, alterum iſtorum Cratylus erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT.Cratyli ô Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem eſſe quærendam , quàmillorum quæ paulo ante diximus.'ne cogendum effe liquiduel additum ,uelablatum fuerit ,ut non ampliusſit imago Annonſentis quantã deeſt ima ginibus,ut eadem habeantquæ & illa quorû imagines sunt: CRAT. Equidem.soc.Ri. diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina ſunt, fi prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrumą illorūutrum effetpo tius dici poffet ,res'ne ipſa annomen. CRAT. Vera loqueris. soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum aliud bene,aliud contra pofitum effe :nec cogas omnes literas continere,adeò ut penitus tale fit, quale & id cuius eft nomen :ſed mitte literá quoq mi nus congruam afferri quãdoq:ſi literam , &nomen ſimiliter in ſermone: ſi in fermoneno men,ſermonem inſuper nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari diciç ,quoad rei ipſiuscuius fermo eft figura,inſit: quemadmodü in elemento rum nominibus quæ nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT. Recordor equidem ,soc. Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om nia conuenientia prorſus adſint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum pau ca.Diciitap ô beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu circumuagãtur, fero iter peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera ſerius quàm deceat, perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam nominis rationem ,nec confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porrò ſi ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire non poteris. CRAT. Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita pono.soc.Poſtquam de his conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men poſitum eſſe debet,oportere diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT. Plane. soc.Conuenit autem ut literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc. Quæigi tur recte ſunt poſica ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt ut plurimum qui demex conuenientibus ſimilibusý literis conſtat, fi quidem imago eſt.habet auté & ali quidnon conueniens,propterquod non rectâ eſt,nerecte nomen eſt inſtitutű,Sic'ne an aliter dicimus:"CRAT.Nihileft ô Socrates,utarbitror,contendendã:neq enim mihi placet,utņomen quidem eſſe dicatur,non tamērecte poſitű . soc.Vtrum hoc tibi non placet,quodnoměreiipfiusdeclaratio lit :CRAT. Placet.soc.At vero nomina partim ex primis constituta esse, partim esse primanon probedictâ putas:CRAT.Probe.soo Enimuero prima ſi quorundā declaraciones effe debent, habes'ne modû commodiore quo id fiat, qa li talia fiát,qualia illa funt quæ declarari volumus:Anmodus iſte pocius ei bipla. i  biplacet,qué Hermogenesalijý plurimi tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint ijs qui ita coſtituerunt,acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű eſt de cernat, an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum cognominetur, wuero quodmodow magnum , w paruum dicatur : Vter iftorum magis tibimodus pla cer: CRAT. Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult, quouis alio. soc. Scice loqueris.Nõnelinomen rei ſimile eſt,neceſſe eſt elemēra ex qui bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus eſſe fimilia: Sic autem dico: an aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei cuiuſquã ſimilem effinxiſſet,niſi colores ipfi qui bus cõſtatimago,efTentnatura reiillius ſimiles quam pictoris ſtudium mitatur : Anno impoſſibile: CRAT.Impoſſibile plane.soc.Eadem rationenomina ipſanun alicuius fimilia fierent,niſi illa quibus nomina cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum rerű , quarum nomina imitationes ſunt. Ea vero quibus conſtant nomina , elemen ta funt.CRAT. Sane . soc . lam tu ſermonis eiuseſto particeps,cuiusnuperHermoge nes.An rectediceretibi uili ſumus, quod ipſum plationi,motui,aſperitati congruit? CRAT.Rectemihi quidem.soc.Ipfum aūta leni & molli, accæteris quæ narrauimus: CRAT. Profecto.so c.Scis'ne quod idem ,id eſt aſperitasipſa nobis quidē oxigpótys uo icatur, Eretrienſibus uero oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo hæclp& o, eidem fimilia uidentur,idemg oſtendűc tam illis per ipliuse determinacionē,quam nobis pero nouiſſimű,uel alteris noſtrum nihil referunt: CRAT. Vtriſą plane demonſtrant. soc. Vtrum quatenus fimilia ſuntp & o ,uel quatenus diſſimilia: CRAT. Quatenus fimilia . soc. Nunquid penitus ſimilia ſunt,ad lacionē æque ſignificandā : quin & ipſum a inie ctum ,cur non contrariū aſperitatis ipſius ſignificat: CRAT. Forte'non recte iniectữeſt ô Socrates, quamadmodūea quæ tu in ſuperioribus cum Hermogenehoc tractabas,dum &auferebas &inferebas literas ubimaximeoportebat. Acrecte mihi facere uidebaris. &nunc forte pro 1, s apponendű eſt.so.Probeloqueris. Quid uero nuncuc loqui nihil percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat : nec tu quidnuncego dicã, intelligis: CRAT.Intelligo equidem propter conſuetudiné.soc.Ouir lepidiſſime,cum confuetudinem dicis , quid aliud præter conuentionem dicere putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id pronuncio,illud cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis :Nonhocdicis: CRAT. Hoc ipsum.soc.S ;id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio ,ex diſſimili uidelicet eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipſum , diſſimile eft eius quo tu ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe habet, profecto ipfe ad id teipfum aſſuefacis, & ex hac conuentione rectam tibi nominis ratio nem proponis ,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles literæ repræſentãt propter ipfum conſuetudinis & conuentionis acceſſum.Sinautem conſuetudo conuentio minime fit; haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē eſſe declarationem, imò cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex ſimilitudine&diſſimilitudine conſuetudo declarat , Hisaricco ceffis,ô Cratyle nempe ſilentiñ tuum pro cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid conuentionēģconcere,conferreġ ad eorû quæ ſentimus& loquimur expreſſio nem.Nam ſi uelis ,optime uir,ad numerorũ conſiderationem defcendere, quo pactoſpe ras, adeò propria reperturű te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen attribuas, ſi no permiſeris cõcefſionem tuam , conuentionemý autoritatê aliquam circa nominū ratio nem habere: Mihi quidē et illud placet,ur nomina quoad fieri poteſt, rebus fimilia ſinta Coc Vereor tamen neforte,utdicebatHermogenes, tenuis quodãmodoſic iſtius ſimilitudi nis uſurpatio , cogamurg & oneroſa hacre,cõuentioneuidelicet uti, ad recta nominum rationem :quoniã tunc forte pro uiribus optime diceretur,cum uel omnino ,uel maxima ex parte ſimilibus,id eſt cõuenientibus diceremus,turpiſſime uero cữ contrà . Hocautē poft hæc inſuper mihi dicas: quã nobis uim habētnomina, quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis afferimus:'CRAT.Doceremihi quidē nomina uident,ô Socrates,idý fimplicia ter aſſerendű , quòd quiſquis nomina ſcit, & res itidē ſciat.so. Forte ô Cratyle,tale quid cuc dam dicis, q cũnoueritaliquisquale ſitnomē,eſt aūt tale qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam agnoſcet, quandoquidē nominis eft res ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor ter ſe ſimiliū .Hac ratione inductusdixiſſe uideris; quod quiſquis nomina cognoſcit, res ecc quoghi quoq ipfas agnoſcet.cRAT.Veraloqueris.soc.Age ,uideamus quismodus docenda rum rerum iſte ſit ,quem ipſenuncdicis, & utrum alius prætereaſit,hic tamen potior ha beatur,uel alius præcerhuncnullus. utrum iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte, quòd nullusuidelicet alius ſit,fed hic folus & optimus.soc.Vtrum uero & resipſas ita reperiri cēſes,ut quicung nomina reperit,ea quoq quorum nomina ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium modum quendā,hunco diſcendű.CRAT.Maximeomniale cundum iſtahuncipfum & quærendű & inueniendum . soc.Age,ita conſideremus,ô Cratyle: ſiquis dum res inueſtigat,nominaipſa ſequitur,rimatur; quale unãquodą uule elle,uides maximum decepcionis pericula ſubit:CRAT. Quo pacto: soc.Quoniam qui principio nominapoſuit, quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba mus,effinxit.Nonne itar CRAT.Ita prorſus. Soc.Siergo illenõrecteſenlit, & ut ſenlie inſtituit,nõne & nos fequentes eius ueftigia deceptos iri exiſtimasť CRAT.Haud ita elt imòneceffe ſciencem fuiffe illum quinomina poſuit.Aliter autem ,ut iamdudâdicebam , nomina nequaſ effent.Euidentiſlimoautem argumento id eſſe tibipoteſt, haudà ueri tate aberrauiffe nominum autorē,quòd ſimale ſenſiſſet,nequaq libiita omnia conſona. rent.An non aduertiſti & ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta obo. neCratyle,ualet defenſio .Quid enim mirum eft, li primodeceptus nominâ institutor, se quentia rurſusad primum ui quadã traxit,& ipfi conſonare coegit:Quemadmodücirca figuras interdűexiguo quodam primo ignoto falſof exiſtente , reliqua deinceps multa Circa prin , inuicem conſonant . Debetenim quiſo circa rei cuiuſ principium ſtatuendű differere » cipium ſta , multa,diligentiſſime conliderare,utrum recte decernat,nec ne . quo quidem fufficiens tuendă diſ ter examinato ,cætera iam principium fequidebent, Miror tamen ,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt. Conſideremus iterum quæ ſupra retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ſignificare qualiomnia currat,ferant & defluant. Ita'nelignificare cenſes ? CRAT. Ita certe. & recte quidē.soc.Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes . Principio nom hocwrshug,id eſt ſcientia ambiguum eſt,magis a ſignificare uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus animam , ĝ quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut principium eiusutnuncüdishulu dicamus, per e ipſius eiectionem , & pro 4, 5 potius adijciamus. Deinde Bébajok , id eſt firmum dicitur, quoniam badoows & scotas, ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Præterea igoelæ ad forte ſignifi cat quod isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum , & ipſum nisov,id eſt credendum , isaw , id eſtfira mare omnino ſignificat.Quinetiã uykusid eſtmemoria,oftendit prorſus quod in anima nõagitatio eft,fedpovni,id eft quies,ſtabilise permanſio. Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ & ovuqoça ,id eft error & cótingentia caſus ,idem uidebuntinferre,quod owens & ufiskur, id est intelligentia at scientia, & cætera nomina quæ præclarisſunt rebus impoſita.ltem cualíc & cronacíc , id eſt inſcitia & intêperantia ,proxima hisui dentur .icuclic quidē importareuidetur,&cket demi loves aegear, id est simul cum deo eun tis progreſſum . cronæriæ uero omnino quandam ipfarum rerum arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum .At ita quæ rerum turpiſſimarű nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa pulcherrimaſunt, ſimillimauidebuntur.Arbitror & aliamultare periri poffe,fiquis ad hæc incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur rentes delataso res,imò ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates ſecundi agitationis ſignificationē uides illum conſtituiffe.soc. Quid agemusô Cratyle : Nun quid fuffragiorû calculorum inſtarnomina ipſa dinumerabimus : at ad hancnormă derecta ratione nominū iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes plu rium nominum fuffragantur: CRAT.Haud decet . soc. Non certe amice. Sed his iam omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixiſtinuper,firecordaris,neceffariñelle, illűquinomina ſtatuit,prænouille ea quibus nomina tribuebat:perſtasadhuc in ſenten tia ,nec'ne'CRAT. Adhuc.so c.Nunquid & illum quiprimanominapoſuit,nouiſicais dum poneret: CRAT. Nouiſſe.soc.Quibusex nominibus resueldidicerat,uel invene rat, quando necdâ primanomina fuerāt inftitutar cum dicta ſit impossibile esse resuelig vuenire, uel diſcere,niſi qualia nominaſint,didicerimus,uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil ô Socrates, dicere. soc.Quo igitur pacto dicemus eos ſcientes, nomina poſgillexuellegum & nominü conditores ante poſitionem cuiuslibet nominis extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe,fiquidem nõ aliter quam ex nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socratesueriſsimum eum effe fermonem quo diciturex.co cellentiorem quandam potentiam quam humanam primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa . soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum autorē li dæmõ aliquis ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur: CRAT.Forte'nondum alterum iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti me; num quæ ad ftatum uerguntian quæ ad motum potius Neq enim , utmodo dixi mus,multitudineiudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque diſſentiant contendanto de ueritate inuicem nomina, & tam hæcquàm illa uero propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus.Quò nos uertemus: Nec enimad alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter nomina quæren da funt,quæ nobis oftendantabſque nominibus,utra iſtorum uera ſint, rerum uidelicet monſtrantia ueritatem . CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc uera ſunt Cratyle , pof ſunt,utuidetur, res line nominibus percipi. CROT. Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res ipfas percipere:Nónne per quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem , fcilicet fiquomodo inuicem cognatæ sunt, & perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft ab illis , aliud quiddam non illas significat. CRAT. Vera loquiuideris.soc.Dicobſecro nonne iam fæpe conceſsimus,nomina quæ recte pofita funt,fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe: CRAT. Con ceſsimus planè.soc.Si ergo licetrespernominadiſcere , acetiam per ſeipfas, quæ præ ftantior erit lucidiorý perceptio :Num si ex imagine cogitetur et imago ipſa utrum re cteexpreſſa fit, & ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex ueritate tam ueritas ipſa . quàmipſius imago,nunquid decenter imago ad eam fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt.ERAT. Sicapparet ô Socrates .soc.Animaduertamus & hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto illiuelut in quan dam delapfi uertiginem , & ipfi uacillant iactanturcs, & nosin eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego sæpenumero fomnio , utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum ,& unum quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe uidetur.so c .Illud igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid taliú pulchrum eſt, quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ dicimus,nonneſemper tale quale eſt perfeuerat : CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid possibile eft ipſum recte denominare si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud fic dein de quale ſit dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim fieri,iugitero dif fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq eodem modo fe habet , eo in tempore minimepermutatur:fin autem ſemper eodémodo ſe habet;idemg exiſtit , quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non deferat: CRAT. Nullo pacto: so ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim cognitura uis ipsum aggrederetur, aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut quale cognoſcinõpoffet .nam cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe habentem percipiat. CRAT. Eft ut ais.soc . Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandẫeſt ô Cratyle ſi deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio eſtnon decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem cognitionis ſpeciesipſa diſcedit,ſimul & in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,neæ cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat , ſempernon erit cognitio. Aro hacra . tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum ,ſemper erit. Sinautem fem per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft & bonum , eſtý deniq exi. Itențium unűquod & quæ in præſentia dicimus,fluxus lationis ſimilia non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores, alijg permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum animumg luū nominibuscredere; & autorem nominum sapientem asseverare, atqz ita de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut putet nihil integrum firmumą exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces , arque tibi fufficitætas. Et liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam Socrates. Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero . Nuncautemut conſtituiſti in agrum perge. Atqui & Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita. Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords: in torno al cratilo, ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dionigi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766594608/in/dateposted-public/

 

 

Grice e Disertori – la tensione dell’arco e il volo della freccia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo. Grice: “I like Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the archer, and, ‘under the sky (or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta il Ginnasio liceo Prati. Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si laurea con “Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si trasferisce a Milano e si specializza in neurologia e psichiatria con Besta. Torna a Trento, dove esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista.  Antifascista da sempre, negli anni quaranta partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando fra gli altri Reale, Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a riparare in Svizzera. Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e psichiatria a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento.  Pubblica più di 300 saggi di filosofia.  Per tutto il secondo dopoguerra si occupa attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa .Altre opere: “Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato di psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, 1975. La collezione si trova già chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura, documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche scientifiche.  Coppola, Passerini, Zandonati.  SIUSA.  G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati , Un secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” Beppino Disertori. Atti del convegno di studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di Beppino Disertori, Manfrini, Calliano (TN), L. Menapace et al. , Note biografiche, R. Bacchi et al. , Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento, Beppino Disertori. Giuseppe Disertori. Disertori. Keywords: la tensione dell’arco e il volo della freccia, libro della vita (why do we live?), il messagio di Timeo, itinerari pitagorici, pitagora e aligheri – tensione dell’arco, volo – eraclito – platone – politeia di Platone – Grice on Plato’s Republic – plato carmide e la medicina – dell’anima – psicologia teoretica -- sul segno dell’uomo, de anima. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Disertori” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717066030/in/photolist-2mN4tWf-2mN1mod/

 

Grice e Dòdaro – tracce di un discorso amoroso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Filosofo. Grice: “Dòdaro is an interesting one – totally cryptic of course! It is as if he were Nowell-Smith, Austin, and Donne, combined into one! Recall Nowell-Smith’s challenge to Austin: “Donne is incomprehensible,” “He surely ain’t!”  Costretto a riparare a Turi per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si legò a Maglione, Castellano, Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri artistici e letterari del caffè-pasticceria Il Sottano (in quegli anni frequentato da Moro, Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Calò ecc.), fondato da Scaturchio, e agli incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso periodo conobbe Nazariantz, il quale rappresentò per Dòdaro una sorta di guida, fu lui, infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove ebbe modo di stringere amicizia con Bodini, Calò, Scotellaro. Abbandonò presto Bari, tentando una prima fuga a Parigi, città in cui sarebbe tornato a vivere altre volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe, prima del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi, presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attività artistica furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto: Verri riporta in suo intervento: arriva con la novità dei colori "bruciati". Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato incantesimo di barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione presso il premio "Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a Lecce, lavora presso l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto contatto con Fiore, figlio di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo. Sempre nel clima della Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al suo arrivo a Lecce riallacciò i rapporti con Bodini e Calò, oltre che con Suppressa, conosciuto in occasione del premio Il Maggio di Bari, entrò, inoltre, in contatto con quelli che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici: Durante, Massari, Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse importanti sodalizi amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in corrispondenze private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e collaborazione come il "sodalizio Caruso-Dòdaro". A Leccesi rese protagonista, con Candia, di un grande falò in cui i due bruciarono tutti i quadri realizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica  "Svergognato incantesimo di barca", insieme a pochi altri, si salvò dal falò perché all'epoca custodito presso la casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui si dedicò allo studio intenso nel tentativo di scoprire il perché del linguaggio, rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento di Arte Genetica con sede a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci l’origine dell’italiano o romano nel battito materno ascoltato in età fetale, teorizzando il romano o italiano come una congiunzione volta a rifondare la dualità dell’essere umano non un regressus ad uterum, bensì la coppia, la dualità, ovvero la dimensione originaria della comunione con l’altro e come lutto, annodandolo alla mancanza di Lacan. Il movimento si doterà di due riviste: “Ghen”, giornale modulare ideato da Dòdaro con sede a Lecce, e “Ghen Res Extensa Ligu” con sede a Genova e diretta da Mignani. L’idea del modulo come unità di misura sarà alla base della struttura modulare di “Ghen” oltre che della concezione dello spazio, mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale, fino a sfociare nel manifesto "Incliniamo l’orizzonte”. L’italiano o il romano diventa una congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si alimentava il trionfo del lutto e la mancanza. L’orizzonte diventa orizzonte mediale: poesie per i treni, per gli altoparlanti e più in là romanzi in tre cartelle, romanzi su cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da proiettare per le strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su leaflet, romanzi da muro-narrativa concreta, romanzi di cento parole da pubblicare in store, nelle vetrine dei negozi. Al Movimento di Arte Genetica aderirono, o ruotarono attorno alle sue riviste e attività, un numero considerevole di autori provenienti dalle sperimentazioni poetiche e poetico-visive, performative, sonore, plastiche: Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari, Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano, Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari, Miglietta, Center of Art and Communication (Toronto), Giorgio Barberi Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra, Sicoli, Souza, Alternativa Zero, Experimental Art Foundation (South Australia), Block Cor (Amsterdam), Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany, Etlinger, Caruso, Verri, Miglietta, Nigro ecc.  Con la nascita del movimento di Arte Genetica, avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue modalità fruitive, avviava il progetto "Archivio degli operatori pugliesi", per una catalogazione degli operatori estetici e culturali. Crea e anima «il centro di ricerca 1.4.7.8. (strutturato, nel nome, sulle coordinate della Classificazione Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di ricerca: filosofia, linguistica, arte, letteratura), ospitato dalla Libreria Adriatica di Lecce, e con il quale coinvolge numerosi operatori del territorio (docenti universitari, il gruppo Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a Novoli da Greco e Lorenzo, il gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori del gruppo di Arte Genetica da lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice Conte di Lecce, ha fondato a Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa in store. La sua attività letteraria ed editoriale è  stata caratterizzata da uno spiccato senso per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da lanciare, rappresentando sul territorio pugliese un autentico volano per operazioni di ampio respiro che andavano spesso a coinvolgere autori del panorama letterario internazionale. Idea e dirige una mole notevole di collane editoriali volte al rinnovamento dell’oggetto-libro, fra queste: «Scritture» (Parabita, Il Laboratorio), «Spagine. Scritture infinite» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca formato poster, spaginate, «Compact Type. Nuova narrativa» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle, «Diapoesitive. Scritture per gli schermi» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca da proiettare, «Mail Fiction» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, «Wall Word» (Lecce, Conte Editore,)tradotta in giapponese ed esposta all’Hokkaido Museum of Literature di Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta, «International Mail Stories» (Lecce, Conte Editore), «Internet Poetry» (Lecce, Conte Editore) una delle primissime esperienze italiane di net poetry, «Walkman Fiction. Romanzi da ascoltare» (Lecce, Argo), «E 800 European Literature», in 5 lingue (Lecce, Conte Editore), «Pieghe narrative» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe poetiche» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe della memoria» (Lecce, Conte Editore), «Foglie nude» (Doria di Cassano Jonio), «Locandine letterarie» (Lecce, Il Raggio Verde), «Romanzi nudi» (Lecce) in unico esemplare, «Carte letterarie» (Lecce, Astragali), «792 Mail Theatre» (Lecce, Astragali), «New Page. Narrativa in store», (Lecce) narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole, collana che guarda alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su crowner, pannelli cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed esposti in store, nelle vetrine dei negozi.  Nell'ambito della poesia verbo-visiva e del libro-oggetto, è presente in numerose manifestazioni di «Nuova scrittura»: Ma il vero scandalo è la poesia. Un salto di codice, Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo, Strudà (Lecce), Ospedale psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo D'Elia; Centro internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti sulla Puglia, Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce,1981; Cercare Bodini, Bari / Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro. Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari, Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta. Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L. Pignotti, “La poesia visiva”, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo, Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale. Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione, Archivio libri d' artista. Laboratorio 66, G. Gini e F. Fedi, Milano, È presente in Musei, Biblioteche, Archivi. Tra i più importanti: Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze“Libri e pagine d'artis ta”con l’opera Mar/e amniotico, 1983; Galleria d’arte moderna di Gallarate, con le opere Mourning Processes. The word, 1991 e Processi di lutto. Notizen: dis, 1991; Museo S. Castromediano di Lecce, con l'opera Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami Beach, e Archivio Della Grazia di nuova scrittura, Milano, con varie opere; Hokkaido Museum of Literature, con la collane “Wall Word”, nteramente tradotta in giapponese; Imago mundi-Visual poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc.  Altre opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,); Disianza Congiuntiva (Livorno); Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico (Caprarica di Lecce); Tracce di un discorso amoroso (Caprarica di Lecce); Compact Type. Nuova narrative Con A. Verri, (Caprarica di Lecc); Sconcetti di luna (Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free Lances Con A. Verri(Caprarica di Lecce); Navigli (Caprarica di Lecce); Void Fiction (Sibari,); Street Stories (Lecce)tradotto in giapponese(SapporoJapan); Parole morte. Dead Words (Lecce); L’addio alle scene (Lecce); Antonio Verri. Schegge del contestocon M. Nocera (Lecce); 18 i titoli pubblicati su leaflets (Lecce), 16 «Pieghe narrative» e 2 «Pieghe poetiche»: “Pieghe narrative”: Vento, vento, I colombi della clausura, Il figlio dell'anima, La Balilla , Graziato, Il monumento, Dove volano i gabbiani, La mimosa, Ricordanze zigane, Franco, Joe Cocker, All'ombra del grande vecchio, Reparto «P», Il tradimento, 27 marzo, L'esame. “Pieghe poetiche”: Rosa virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza (Lecce); 7 i «Romanzi nudi», titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era d’autunno, Il falò, L’Objet trouvé, Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma (Lecce); Di viole. D’incanti. Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco di frammenti (Lecce), La parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate (Lecce) interrogatorio violento (Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori dell’anima (lecce, ), Di un solstizio d’amore (Lecce, ), Maria la magliaia (Lecce, ), Teresa. L’Altrove, (Lecce, ), La mer. Ma mère (Lecce, ), Una notte senza stelle (Lecce). Le distese di grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce), Una sua lettera (Lecce), Trincee matricali (Lecce), Compagno d’accademia (Lecce). Tra i gabbiani (Lecce), Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale (Lecce). La tromba dell’altrove (Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce); ‘Operatori culturali contemporanei in Puglia. Archivio storico divulgativo, Lecce); “Ambivalenze genetiche”, Ghen (Lecce) ora in “Genetic Ambivalencie”, Art Communication Edition, Toronto-Canada) “Links”, Ghen (Lecce), “Il complesso di Edipo e quello di Caino”, Quotidiano (Lecce); “I processi di lutto. La Weltanschauung ghenica” in , La parola tra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio, “Codice yem: le origini del linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia”, Ghen (Lecce) (ora in Regione Puglia, Creatività e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie); “Dis-astro”, in A. Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, “L’area inter-media”, in F. Gelli, Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; “Ipotesi interpretativa del fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella poetica. Della scissione. Della prevenzione” in Tossico-dipendenza: progetto di lotta per gli anni ’80Centro studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; “Mater externata”, in L. Caruso, Mater: poesia. Madre e signora dell’acqua, Lecce; “Lontananze genetiche. Ad cantus enclitico”, in Manifesto mostra gruppo Ghen, Milano; Progetto negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi nell’arte contemporanea, Roma-Bari); “La letterarietà di Caruso”, in E. Giannì, Poiesis: Ricerca poetica in Italia, Arezzo; “La poesia totale di Spatola. Il convegno di Celle Ligure”, On Board, Lecce; “Wall Word: parole da muro, romanzo da muro”, in F.S. Dòdaro, Street stories, Lecce; “Dodici haiku. Dodici punti di rilevamento”, in E. Coriano, A tre deserti dall’ultimo sorriso meccanico. Three deserts from the shadow of the last mechanical smile, Lecce; “Una pagina diversa, up to date”, in Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura e Mappatura schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; “L’ampliamento della flessione”, in Archivio libri d’artista. Laboratorio 66, Milano; “Le anime narranti di Alberto Tallone”, in Alberto Tallone. Manuale tipografico, Alpigiano (Torino), New Page (Lecce); L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in New Page (Lecce). Francesco Aprile, Già così tenera di folla, in Intrecci, Napoli, Oèdipus,  Edoardo, un cavaliere senza terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit.  Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di teoria letteraria/editoriale, su utsanga.  Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org.  Cantata duale, Imago mundi-Visual poetry in Europe, su imagomundiart.com.  Antonio Verri, Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un cavaliere senza terra, SudPuglia, Francesco Aprile, Già così tenera di folla, Napoli, Oèdipus,  Francesco Aprile, La parola intermediale: lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola inter-mediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo,  Aprile, Fra parola e new media, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti del convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo,  Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale: un itinerario pugliese , Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo,  Visual poetry: A short anthology, in utsanga, L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in utsanga, Testi di teoria letteraria/editoriale,  Codice Yem, le origini del linguaggio: ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga, Letterarietà di Caruso, in utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di Celle Ligure, in utsanga Francesco Aprile, Il rapporto Dòdaro-Verri attraverso la critica, in utsanga Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in utsanga, Aprile, L’Arte Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa, Poesia, Teatro, Scavi in store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio etnografico, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di critica letteraria, Sondrio, Edizioni CFR,  Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco Aprile, in utsanga Lamberto Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere, immagini da leggere, in utsanga, Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine, Omaggio alla "O" in Francesco Saverio Dòdaro, in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro Laporta, cercarlo dove non appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again. Risarcimento dei supporti o della signatura dei segni, in utsanga Egidio Marullo, F. S. Dòdaro. L'ultimo mentore, in utsanga  Omaggio, in utsanga  Cantata plurale, materiali 01, Caprarica di Lecce, Utsanga. Francesco Saverio Dòdaro. Dodaro. Keywords: tracce di un discorso amoroso, mappatura, signature, segnatura, cantata duale, cantata plurale, origine del romano, edipo, caino, mancanza di Lanca, communicazione inter-mediale, communicazione inter-mediale e luto, immagine e signo, sensibilia, visibilia, Freud, Jakobson, Levi-Strauss, Magritte, “silenzo silenzo silenzo silenzo” Catullo poema rima ritmo batto cuore figlio madre padre orale genitale ma-ma etymology of ‘altro’ – Hegel on conscience of ego and conscience of alter, Sartre on ‘nous’ and love affair – infinito – lingua a codice – codice come ripetizione – ripetizione dei suoni del cuore – ontogenesi ripete filogenesi – commune, vacuum del ventre della madre, etimologia di termine chiave, fonema, unita etica, unita emica, Speranza, Schultz, unita emica come classe di unita etica – criterio: un accordo o codice di relevanza – l’intenzione del mittente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dòdaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766439354/in/dateposted-public/

 

Grice e Donà – sessualità – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “Well, Donà has philosophised on almost anything – I drank wine; he philosophises on it – ‘bacchiana,’ he calls it – he has also philosophised on ‘eros’ for which he uses the very Italian idea of ‘sesso.’ – And he has also punned with ‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo il corso degli anni ottanta, a diversi convegni e seminari in varie città italiane. A partire dalla fine degli anni ottanta, collabora con Massimo Cacciari presso la cattedra di Estetica a Venezia e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta, inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre con Romano Gasparotti e Massimo Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Andrea Emo. Dirige per la casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e "Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste, settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale "L'Espresso".  Attività musicale In qualità di musicista, dopo aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera. Nasce così il Massimo Donà Sextet. Suona con musicisti che sarebbero diventati protagonisti della scena musicale italiana. Suona in jam session anche con alcuni padri storici del jazz, come Dizzy Gillespie, Marion Brown, Dexter Gordon e Kenny Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo gruppo: il Massimo Donà Quintet, con il quale si esibisce in Italia e all'estero. Il quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con cui Donà suona da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben sette CD incisi con suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la "Caligola Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà, fratello di Massimo e importante critico musicale jazz.  Altre opere: “Il 'bello, o di un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia); “Le forme del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una reinterpretazione dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del fondamento” (La Città del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “L' Uno, i molti : Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città Nuova, Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani, Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte” (Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio, Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia” (Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere” (AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano ; Non avrai altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile. Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine  PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia. Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa” (il Mulino, Bologna  Abitare la soglia. Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio, Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti Editore, Reggio Emilia  Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità della natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la verita come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide. Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova)  Misterio grande. Filosofia di Giacomo Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte trinitario” (Città Nuova, Roma  Erranze (Alfredo Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la musica” (Mimesis Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme dell'immaginazione” (Moretti & Vitali, Bergamo  J. Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il sacro. Il tempo della verità, Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica. Sistema di estetica” (Bompiani, Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia alla fede, tra misura e dismisura, Orthotes, Salerno); “Senso e origine della domanda filosofica, Mimesis, Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno all'irrisolutezza” (Mimesis, Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della conoscenza” (Rosenberg & Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare” (Bompiani, Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica” (Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In Principio. Philosophia sive Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie, Mimesis, Milano-Udine); “Di un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte” (Bompiani-Giunti, Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine); “Un pensiero sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La nave di Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni sull'incontraddittorietà a partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua, di là. Ariosto e la filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano); “Miracolo naturale. Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte e Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo. Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle mani di Dio, Caligola Records  Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati, in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Massimo Donà. Dona. Keywords: sessualità, eroticamente, per una filosofia della sessualità. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51764600477/in/dateposted-public/

 

Grice e Donatelli – esperienza – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Donatelli – his titles can be too expansive, like the one about ‘philosophy and common experience,’ as a subtitle, which incorporates the all too controversial notion of experience simpliciter!” L’etica, la sua storia e le problematiche contemporanee sono al centro dei suoi interessi. Studia a Roma, dove ha conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss Guido Carli. Insegna a Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei classici dell’etica alla filosofia morale contemporanea. Si occupa della riflessione sulla vita umana, in bioetica e nel pensiero teoretico e politico, e del pensiero ambientale. Nel dibattito bio-etico ha difeso una concezione laica delle istituzioni. La sua proposta si situa nella filosofia di ispirazione wittgensteiniana (Cavell, Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del pensiero democratico e perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige la rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di numerosi comitati, tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista Interdiscliplinare ed Etica & Politica. Altre opere: “Filosofia morale. Fondamenti, metodi, sfide pratiche” (Milano, Le Monnier,  Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune” (Bologna, il Mulino,  Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive, Torino, Einaudi); “Quando giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza); Decidere della propria vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima persona duale” (Roma-Bari, Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le Lettere); “James Conant e Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein , Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari, Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e la vita morale , Roma, Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein e l’etica, Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni” Milano, LED,I destini dell'etica  Bioetica e progresso morale dell'Italia, su ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.  Bioetica Consulta di bioetica  Piergiorgio Donatelli. Donatelli. Keywords: esperienza, let’s cooperate (cooperiamo), let’s make the strongest utterance; let’s trust each other; let’s be relevant (siamo relevanti), let’s be perspicuous (siamo perspicui), prima persona, prima persona duale – noi – nostro – numero nel verbo greco: singolare, duale, plurale, Mill,  virtu, Conant, ambi, both – the dual – Both conversationalists must cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donatelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51765277371/in/dateposted-public/

 

Grice e Donati – il fra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Budrio). Filosofo. Grice: “I like Donati; most of what he says is very basic, and he says it from what he thinks is a scientific perspective – but then he writes about morality and you start to wonder – anyhow, his central concept is that of reflexitvity, which he multiplies into goal-centred, rule-centred, means-centred, and value-centred – Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel a lot of affection for Donati and his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale la tematica epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia filosofica’, re-interpretata alla luce della "svolta relazionale”. Su tali basi, vengono svolte l'analisi del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno associativo della società civile e della politiche di welfare state nelle società altamente differenziate; l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che emergono dai processi di morfo-genesi sociale, in particolare nelle sfere di terzo settore; l'apertura di una nuova prospettiva negli studi sul capitale sociale e sui processi di “riflessività” in rapporto alla legittimazione di nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione di una ‘sociologia filosofica relazionale' è andata di pari passo con la fondazione filosofica di un nuovo e più generale ‘paradigma relazionale' che si pone come superamento della contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra l’individualismo o intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico. Questa prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del welfare nelle società.  L'etichetta "sociologia filosofia relazionale" viene usata, oltre che da Donati, da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un ‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto indipendente rispetto a Donati. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni studiosi assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische ), altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi della società (Donati, Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,, l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società: la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia. Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli. Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto distinto nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San Michele per  "Pensiero sociale cristiano e società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la promozione della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia, Donati mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa essere conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica -- e non come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria relazionale della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione alla sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di “Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva, ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale, secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2), bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto, ‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico, Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”, ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che Donati chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la sfera in cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due soggetti che stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la relazione sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e qualità le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali elaborati da Donati sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in molte leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è stato utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto di ‘beni relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come Zamagni e Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato dal Centro studi Erickson). Il concetto di ‘differenziazione relazionale’ si applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi di Donati, Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale all'indagine sociologica, Carocci, Roma, Donati, Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari, Carocci, Roma, è il più recenteDonati "La famiglia. Il genoma che fa vivere la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è quella della salute: si veda Donati  Manuale di sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale” (Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive” (Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile: Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge, Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori, FrancoAngeli, Milano, Donati, I. Colozzi, Capitale sociale delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole statali e di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi, la sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha dimostrato la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano delle applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di intervento sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e le valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna di esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia relazionale, FrancoAngeli, Milano, .  Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e pratiche.  I, il Mulino, Bologna, Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi , Il servizio sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss, Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in Donati , Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori Donati, I. Colozzi , FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano, Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza, Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, 1991 La famiglia come relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale. Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale. Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica, Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli, Bologna). Pierpaolo Donati. Donati. Keywords: il fra, relazionalismo, internal conversation, l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io, intersoggetivismo metodologico, communicazione come realta fra, implicatura, reflessivita, reciprocita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51764407872/in/dateposted-public/

 

Grice e Dondi – l’astrarium – filosofia italiana – Luigi Speranza (Chioggia). Filosofo. Grice:  “I like Dondi and I like a watch chain!” Figlio di Jacopo, studia filosofia a Padova. Insegna a Padova. Si trasferì a Pavia. Dopo un periodo a Firenze, vi ritorna come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a Pavia.  Scrittore di rime, amico e corrispondente di Petrarca, fu anche tra i pionieri dell'archeologia. In occasione di un viaggio a Roma, descrisse e misura monumenti classici, copiò iscrizioni e trascrisse i dati rilevati nel suo ‘'Iter Romanorum'’.  La sua fama è legata soprattutto all'astrario da lui progettato a Padova e costruito a Pavia, dove, era conservato, nel castello di Pavia, presso la biblioteca Visconteo-Sforzesca.  L'astrario è un orologio astronomico che mostra l'ora, il calendario annuale, il movimento dei pianeti, del Sole e della Luna. Per ogni giorno sono indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla latitudine di Padova, la "lettera domenicale" che determina la successione dei giorni della settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della Chiesa. L'orologio astronomico (o astrario) di Dondi è andato distrutto, ma è ben conosciuto perché il suo ideatore ne dette una particolareggiata descrizione nel saggio “Astrarium”, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di un congegno mosso da pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa 70), racchiuso in un involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi l'astrario riproduce i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti. Esso indicava anche la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come misuratore del tempo esso, oltre all'ora, indicava (forse per la prima volta tra gli orologi meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati di astrologia nella biblioteca di Dondi fa sospettare che la progettazione sia stata influenzata da astrologi antichi. L'orologio astronomico che si può tuttora ammirare sulla Torre dell'Orologio, Padova, in Piazza dei Signori, è una copia non dell'astrario di Dondi, ma dell'orologio costruito dal padre Jacopo. Secondo la tradizione sarebbe stato Dondi ad introdurre a Padovala gallina col ciuffo, oggi nota come gallina padovana. In realtà, il giornalista padovano Franco Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi è documentazione alcuna che attesti che Dondi abbia mai avuto contatti con la Polonia o che l'abbia mai visitata. A lui è dedicata una delle statue che adornano il Prato della Valle, a Padova. Il Circolo Numismatico Patavino gli ha dedicato una medaglia commemorativa opera dello scultore bellunese Massimo Facchin. A Giovanni De'Dondi è dedicata la ballata iniziale di Mausoleum. Siebenunddreißig Balladen aus der Geschichte des Fortschritts del poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger. Altre opere: Rime, Antonio Daniele, Neri Pozza, Vicenza); “Astrarium, E. Poulle, CISST);  Opera omnia Jacobi et Johannis de Dondis, corpus pubblicato sotto la direzione di Emmanuel Poulle. Padova. Andrea Albini, Op. La Biblioteca Visconteo Sforzesca, su collezioni. Musei civici.pavia. Andrea Albini, L'astrario di Giovanni Dondi, su Museoscienza. Ricerche d'Archivio riguardanti la famiglia Dondi dall'Orologio. Di Franco Holzer.  Andrea Albini, Machina Mundi. L'orologio astronomico di Giovanni Dondi, Create Space, Astrario, Gabriele Dondi dall'Orologio Università degli studi di Padova. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario, su clock maker. Replica in scala ¼, su pendoleria. com. Grice: “I thought it was a good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon idea of ‘time’ (as stretch – a rather English root – cf. German ‘zeit,’ our ‘tide’ --, and borrow from Latin, ‘tempus’, which gives us ‘temporary’, as I use in my ‘Personal Identity,’but also ‘tense’ – This tense is better than by vice/vyse, since vice and vyse are both cognate with violence. But tense and tense are not. One is cognate with Latin tension. The other is just a mispronounciation of Fremch ‘temps,’ Latin/Roman ‘tempus’ – So as Cicero would have it, it’s ‘tempus’ we should care about!” -- Giovanni Dondi dall’Orologio. Giovanni De Dondi. Dondi. Keywords: l’astrarium, Leibniz’s Law, time-relative identity, total temporary state (Grice: “I’m thinking of Hitler”); Wiggins, Myro, The Grice-Myro Theory of Identity, sameness and substance, Mellor, filosofia del tempo, Prior, Creswell, Mellor – logica cronologica, ‘tense logic’ ‘tense implicature’ -- “iter romanorum”. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Dondi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691596318/in/photolist-2mQzBiv-2mKAsyK-2mKNWFh

 

Grice e Dorfles – implicatura del kitsch – filosofia Italian – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo. Grice: “Must say my favourite Dorfles is his ‘artificio e natura,’ on the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre goriziano di origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica allo studio della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo, denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a quelli propri della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale contribuì a precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di articoli, saggi e manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose collettive, tra le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano, l'esposizione itinerante, e la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle arti", svoltasi nella Galleria del Fiore di Milano. Risulta componente di una sezione italiana del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo alla realizzazione dell'Associazione per il Disegno Industriale. Si dedica quindi in maniera pressoché esclusiva all'attività critica. Con la personale presso lo Studio Marconi di Milano, torna a rendere pubblica la propria produzione pittorica. L'arte non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del gusto. Considerevole è stato il suo contributo allo sviluppo dell'estetica italiana, a partire dal Discorso tecnico delle arti, cui hanno fatto seguito tra gli altri Il divenire delle arti e Nuovi riti, nuovi miti. Nelle sue indagini critiche sull'arte contemporanea si è sovente soffermato ad analizzare l'aspetto socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. È autore di numerose monografie su artisti di varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols, Scialoja). Pubblicato due volumi dedicati all'architettura (Barocco nell'architettura moderna, L'architettura moderna) e un famoso saggio sul disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica). è il primo a vedere tendenze barocche nell'arte moderna (il concetto di neobarocco sarà poi concettualizzato da Calabrese) riferendole all'architettura moderna in: Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al Manifesto dell'antilibro, presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza artistica e comunicativa dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come artista. A Genova si occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla presentazione del libro Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam Cristaldi, di cui Dorfles ha scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha pubblicato Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria massmediatica ha soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e Fattoidi. Pubblica un inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette la teoria alla prova con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e problematiche come il cinema, la fotografia, l'architettura.  è uscito Irritazioni: un'analisi del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi dell'editore Castelvecchi. Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua inconciliabilità con i tempi che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica e corrosiva all'attuale iperconsumismo. NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1 risposte di Dorfles nella collana Carte Comuni. Un'intervista "lunga un secolo" con la quale il critico ripercorre la sua vita e alcuni incontri d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da Castelli a Fini. La Triennale di Milano ospita la mostra "Vitriol, disegni" Aldo Colonetti e Luigi Sansone; V. I. T. R. I. O. L.  è un simbolo alchemico, acronimo del motto rosa-crociano “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come Anceschi, Enrico Baj, Marchesi, Mulas e Niccolai, partecipa al numero quattordici di BAU..  Muor e a Milano, nella sua casa di piazzale Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico letterario della trasmissione televisiva Per un pugno di libri (il padre di Piero, Giorgio, era fratello di Gillo).  Tra i riconoscimenti ricevuti: Compasso d'oro dell'Associazione per il Design Industriale, Medaglia d'oro della Triennale, Premio della critica internazionale di Girona, Franklin J. Matchette Prize for Aesthetics. È stato insignito dell'Ambrogino d'oro dalla città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova e del San Giusto d'Oro di Trieste.  È stato Accademico onorario di Brera e Albertina di Torino, membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico, Fellow della World Academy of Art and Science, dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo gli conferì la laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la laurea honoris causa in Lingue moderne.  Onorificenze Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, Di iniziativa del Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco nell'architettura moderna” (Studi monografici d'architettura, Libreria Editrice Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso tecnico delle arti, Collana Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il pensiero dell'arte, Milano, Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie sapere tutto, Milano, Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma e vita, Milano, Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino, Einaudi, ed. accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani); “Ultime tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF, Milano, Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il disegno industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in Aut Aut, Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica del mito (da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del cattivo gusto, Milano, Gabriele Mazzotta Editore); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano, Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino, Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I quattro grandi: Wright, Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe); Dall'espressionismo all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere, Milano, Mondadori, Mode & Modi, Collana Antologie e saggi, Milano, Mazzotta, II ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale. Linguaggio e storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo perduto, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal costume alle arti e viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal Neobarocco al Postmoderno, Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I turbamenti dell'arte, Genova, Edizioni Costa & Nolan, La (nuova) moda della moda), Costa & Nolan, Elogio della disarmonia: arte e vita tra logico e mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico, Milano, Studio Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari, Bologna, Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione, con VII tavole di Giulio Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste Edizioni, Preferenze critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari, Dedalo, Design: percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti, Fulvio Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli pseudo-eventi nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana Attraverso lo specchio, Luni, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di Architettura, L. Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy Press, Flavia Puppo, Dorfles e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti, Bologna, Editrice Compositori, L'artista e il fotografo, Verso l'Arte, Conformisti. La morte dell'autenticità, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e comunicazione: comunicazione e struttura nell'analisi di alcuni linguaggi artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato alla Biennale, A. De Simone, Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni, Movimento Arte Concreta, Luigi Sansone e N. Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta, Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore senza specchio, Quaderni di prosa e di invenzione, Milano, Edizioni Henry Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Aldo Colonetti et al., Bologna, Editrice Compositori, Arte con sentimento. Conversazione, Marco Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa Edizioni, Essere nel tempo, Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato, Luigi Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita, Aldo Colonnetti, Silvana, Estetica senza dialettica. Scritti, al , Luca Cesari,Milano, Bompiani, Paesaggi e personaggi, Enrico Rotelli, Milano, Bompiani, La mia America, Luigi Sansone, Milano, Skira; "Interviene Gillo Dorfles", in alterlinus "Calligaro: parole e immagini", in Preferenze critiche, Dedalo, "Né moduli, né rimedi", in Agalma,  "Disarmonia, asimmetria, wabi, sabi", in Agalma,  "Feticcio", in Agalma,  "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening. Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Rudolf Arnheim, Guernica. Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a Gillo Dorfles: «La mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone», su corriere. Aldo Cazzullo: la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, Corriere della sera, 1 il Redazione, Novità formali e riesumazioni di precedenti esempi, il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un sapere condiviso, QM, su quid magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il Bulino, Galliano Mazzon, Mostra antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, MMilano, Civico Padiglione d'Arte Moderna, Mostra antologia di Galliano Mazzon : Civico Padiglione d'Arte Moderna, Milano, Luciano Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco, Processo edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano: Franco Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno, Dedalo, Bari Di Giovanni Marilisa, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron : materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù (BAU14). Celeste Prize BAU 14 Antonio Gnoli, Gillo Dorfles, il rivoluzionario critico d'arte, La Repubblica,  Bucci, Morto, critico poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma Dorfles, signora di cultura, Il Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su Quirinale, dettaglio decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai. Sergio Mandelli, Capire l'arte contemporanea su youtube.com Gillo Dorfles ,«Mi sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere della Sera, Aldo Cazzullo,  la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, in Corriere della Sera.  Gillo Dorfles. Angelo Eugenio Dorfles. Dorfles. Keywords: filosofia del kitsch, “Artificio e Natura, natura, artificio, communicazione, mito, simbolo, segno, linguaggio, interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dorfles” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51714639082/in/photolist-2mMR3uj-2mLJvTo-2mLH4oV-2mLJwvR-2mLMBfw-2mLD1cJ-2mLH3QA-2mLJBQd-2mLCZMW

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