The Grice Club

Welcome

The Grice Club

The club for all those whose members have no (other) club.

Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

Search This Blog

Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS V/XXII

 

Grice ed Ardigò – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casteldidone). Filosofo. Grice: “I love Ardigo – but I have a few qualms – his “Opere filosofiche’ is improperly indexed! The man wrote zillions! My attention was first caught by  minor editorial note: “’La morale dei positivisti’ was reprinted a few years later after its first edition as divided into two parts, “la morale’ proper and ‘Sociologia’ – Since I have used philosophical biology and philosophical psychology, Ardigo is indeed into ‘philosophical sociology’ – As he notes, ‘sociology’ is today’s philosophese for Aristotelian politics – politica – re publica romana – And being a positivist, Ardigo provides some good background – which will later be ‘refuted’ by the neo-idealists that opposed this sort of philosophy – to the idea of two organisms (two pirots) interacting --. While I speak of conversational egoism as balanced by conversational tu-ism; Ardigo, less of an altruist, and who laughs at the ‘ridiculous’ sensist conception of ‘simpatia’ – speaks of two principles: the principle of egoism, or prepotence, found amoung brutal animals – and the principle of what he calls ANTI-EGOSIM, found in the civil Italian gentleman – the word ‘civile’ is crucial, as in Castiglione, ‘discorso,’ or ‘conversazione’ civile.  If Wilson found it offensive when Chomsky spoke of two ideal communicadtors, this is no problem for the positivist – As Ardigo notes, an Italian will not behave conversationally in the same way when conversing with some he regards as below his station  -- that’s why he (and later I adopted the same guideline) uses ‘Romolo’ and ‘Remo’ (rather than Jack and Jill, since there is a gender issue here) as  communicators. As he puts it, ‘the fact that Romolo eventually kills his ‘fratello’ is hardly relevant from a positivist point of view – surely we don’t require ANTI-EGOSIM to hold indefeafeasibly, I would disagree with Ardigo’s dismissal of Remo’s murder – ‘l’assassinio di Remo’ – I discussed this with Hardie – in English, and, after a ten-minute pause, all I got from him was, ‘what do you mean by ‘of’?’” -- Essential Italian philosopher. Grice: “It’s amazing Ardigo found psychology a science, and a positive one, too!” – Altre opere: “La psicologia come scienza positive”; “Scritti vari”; “Venti canti di H. Heine tradotti 100 percent.svg  di Heinrich Heine (1922), traduzione dal tedesco (1908) Testi su Roberto Ardigò. Per le onoranze a Roberto Ardigò 100 percent.svg  di Mario Rapisardi (1915) Note  Gemeinsame Normdatei  data.bnf.fr  Comité des travaux historiques et scientifiques  Brockhaus Enzyklopädie  Dizionario Biografico degli Italiani Categorie:  Casteldidone Mantova 1828 1920 28 gennaio 15 settembreAutoriAutori del XIX secoloAutori del XX secoloAutori italiani del XIX secoloAutori italiani del XX secoloReligiosiFilosofiPedagogistiReligiosi del XIX secoloReligiosi del XX secoloFilosofi del XIX secoloFilosofi del XX secoloPedagogisti del XIX secoloPedagogisti del XX secoloAutori italianiReligiosi italianiFilosofi italianiPedagogisti italianiAutori citati in opere pubblicateAutori presenti sul Dizionario Biografico degli Italiani Refs.: Grice, “Ardigò and a positivisitic morality,”  Luigi Speranza, "Grice ed Ardigò," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. ARE. Ricerca Roberto Ardigò psicologo, filosofo e pedagogista italiano (1828-1920) Lingua Segui Modifica «L'inconoscibile di oggi è il conosciuto di domani.»  (Roberto Ardigò[1]) Roberto Felice Ardigò (Casteldidone, 28 gennaio1828 – Mantova, 15 settembre 1920) è stato uno psicologo, filosofo e pedagogista italiano.   Roberto Felice Ardigò Biografia Modifica Roberto Felice[2] Ardigò nacque a Casteldidone, in provincia di Cremona, il 28 gennaio 1828, da Ferdinando Ardigò e Angela Tabaglio. A causa delle difficoltà economiche della famiglia, un tempo agiata, si dovette spostare a Mantova, dove il padre trovò lavoro presso i cognati. La madre era profondamente religiosa, mentre il padre sostanzialmente indifferente in materia. Egli ne avrà sempre profondo rispetto e un forte legame, come anche con la sorella.[3]  Studi teologici Modifica Studiò a Mantova, per poi iscriversi nel 1845 al liceo del Seminario vescovile. Nel 1848 ottiene un posto gratuito nel seminario di Milano, ma in seguito ai moti risorgimentali é costretto a rientrare a Mantova. Il suo successivo tentativo di arruolarsi nell'esercito di Guglielmo Pepe è frustrato da una febbre malarica che lo colpisce alla vigilia della battaglia di Goito. Proseguì poi gli studi teologici. Dopo la morte dei genitori, fu accolto a casa sua da Mons. Luigi Martini, rettore del Seminario mantovano. In quegli anni il Seminario era investito dalla congiura patriottica che porterà al supplizio dei Martiri di Belfiore, dei quali ben tre erano sacerdoti, tra cui il leader della congiura Don Enrico Tazzoli, insegnante presso lo stesso Seminario.   Ardigò fu infine ordinato sacerdote il 22 giugno 1851.[3]  L'insegnamento positivista, la sospensione e la scomunica Modifica Nel 1870 pubblicò La psicologia come scienza positiva e nel 1876 tentò di istituire presso il Liceo di Mantova, dove insegnava[4], un Gabinetto per le ricerche psicologiche.[3] Nel metodo di insegnamento, poi, privilegiava il personale e diretto coinvolgimento degli allievi, sollecitandoli al libero dialogo, con una attenta analisi di brani critici e dei filosofi, cosa non troppo gradita alle gerarchie ecclesiastiche e al Ministero dell'Istruzione.  Già preda di una crisi religiosa molto forte, che lo portò infine a divenire ateo[5], tutta questa polemica lo condusse appunto a smettere l'abito ecclesiastico nel 1871, a 41 anni, dopo aver aderito ormai completamente alle posizioni positiviste ed evoluzioniste, che andavano nettamente in contrasto ai dettami della Chiesa cattolica del tempo, e aver attaccato apertamente il dogma dell'infallibilità papale.[3]  Alla fine, Ardigò venne anche scomunicato, ultimo atto della polemica contro la Chiesa di cui aveva fatto parte.[6][7]  Professore universitario Modifica  Casteldidone, lapide sulla casa natale In totale insegnò storia della filosofia all'Università di Padova per 28 anni dal 1881. Considerato tra i padri della psicologia scientifica italiana[8] per aver promosso una concezione scientifica della psicologia, concepì una complessa teoria della percezione e del pensiero che non ebbe completa dimostrazione sperimentale. Nel 1882 Ardigò svolse uno dei suoi maggiori esperimenti in campo psicologico sperimentale, sulle condizioni dell'adattamento visivo su prismi ottici.[3] Diverse furono le materie che insegnò nei lunghi anni d'insegnamento universitario fino alla data del 1º giugno 1909 quando fu collocato a riposo. Fu, altresì, preside della facoltà di filosofia e lettere dal 1899 al 1902.[3]  Il 31 maggio 1908 divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino.[9]  Il 16 ottobre 1913 fu nominato senatore del Regnoma fu impossibilitato a raggiungere Roma per il giuramento.[3]  Durante la sua vita elogiò Giuseppe Mazzini[10] e Giuseppe Garibaldi[11], criticò la massoneria[12] (in quanto la riteneva non necessaria in uno stato ormai libero) ed espresse idee fortemente repubblicane.[13]  Ultimi anni e suicidio Modifica Negli ultimi anni di vita, isolato dall'ambiente intellettuale, ma non dai suoi discepoli più stretti, soffrì di gravi problemi fisici e depressivi (acuiti dalla morte della sorella Olimpia, che viveva a casa sua, nel 1907), che lo condussero a un primo tentativo di suicidio a Padova nel 1918 (dopo aver appreso della disfatta di Caporetto e della morte di molti giovani italiani), fallito perché la ferita non era grave[3], ma che si sarebbe ripetuto il 27 agosto 1920[14], questa volta riuscendo nel suo intento: Ardigò morì infatti suicida all'età di 92 anni nella sua ultima sistemazione a Mantova a casa Nievo, abitazione che era stata di Ippolito Nievo. Si autoinflisse una ferita colpendosi con un rasoio (o una roncola) arrugginito alla gola.[15] Le testimonianze dell'epoca riferiscono che venne trovato seduto alla scrivania, con la barba bianca del tutto sporca di sangue (barba che gli fu tagliata dai soccorritori ed è tuttora conservata come cimelio nella sala blindata della Biblioteca di Mantova[15]); soccorso dai medici, perse comunque conoscenza dopo aver ribadito le sue intenzioni, e morì due settimane dopo, il 15 settembre.[3][15]  Ricezione dell'opera di Ardigò Modifica Il tragico atto finale della sua vita venne usato dai suoi detrattori - clericali o neoidealisti - per screditare il positivismo in declino o visto come un gesto di demenza senile, e non come un atto di un uomo ormai stanco a livello psicofisico, che aveva dato tutto e vissuto la sua lunga vita secondo coscienza, quale in effetti era. D'altra parte, seppur il sistema di Ardigò non era anti-idealistico, furono gli idealisti ad attaccarlo filosoficamente, seguiti dai marxisti di inizio secolo, come Antonio Gramsci, talvolta paragonandolo agli esiti più deleteri del positivismo, come l'antropologia criminale di Cesare Lombroso (risultata poi non scientifica), determinando l'oblio parziale delle sue opere, tra i maggiori libri filosofici tra il periodo illuminista (con l'esclusione delle opere filosofiche di Giacomo Leopardi) e il neoidealismo di Croce e Gentile. Con lo sviluppo del positivismo logico e la riscoperta del positivismo, si è avuta una lenta rivalutazione di Ardigò, il maggiore esponente italiano del movimento, assieme a Maria Montessori e, come lei, tra i fondatori della pedagogia e della psicologia moderna[3][16][17], oltre che uno dei maggiori pensatori laici della cultura italiana tra XIX e XX secolo.[18]  Commemorazioni Modifica Sulla sua casa venne apposta una lapide, quando ancora egli era in vita:  «(Mantova) (in una pergamena). Indagatore sapiente dei fenomeni del pensiero e del sentimento. Assertore impavido della naturale formazione e dell'unità molteplice della vita. La Società magistrale Mantovana, col plauso degl'insegnanti elementari d'Italia, della Società filosofica dei professori di Morale e di Pedagogia, festeggiando l'ottantesimo compleanno del Maestro sublime, augura con fervidi voti che la nuova generazione cresca degna di lui nel culto della scienza, nell'apostolato della verità.»  (Epigrafe di Mario Rapisardi) La città di Monza gli ha dedicato una scuola media inferiore e una strada. Anche Milano gli ha dedicato una strada in zona Forlanini, così come Roma che gli ha dedicato una piazza tra il quartiere dell'EUR e la Via Laurentina.  I libri della sua biblioteca personale sono conservati presso la Biblioteca universitaria di Padova.[3]  PensieroModifica  Mantova, lapide commemorativa Il suo pensiero mosse dalla conoscenza dei classici teologici e filosofici, come Agostino d'Ippona e Tommaso d'Aquino (poi abbandonati), all'adesione al razionalismo e al positivismo di Auguste Comte ed Herbert Spencer (con cui ebbe una corrispondenza epistolare, ma di cui non condivide né il darwinismo sociale, né il ruolo marginale da questi attribuito alla filosofia), passando attraverso il naturalismo del Rinascimento, come quello panteistico di Giordano Bruno.[19] D'altra parte, del sapere magico-ermetico della filosofia cinquecentesca della natura, da Bruno stesso a Bernardino Telesio, non vi è alcun residuo nella filosofia positiva di Ardigò, che prova disinteresse e disprezzo per la rinascita romantico-idealista della filosofia, a cui, dopo la "conversione laica", contrappone la vera filosofia scientifica.[19]  Caratteri della «filosofia positiva» di Ardigò Modifica L'originalità della sua filosofia si distanzia tanto dall'enciclopedismo naturalistico quanto dal tradizionale spirito di sistema, aprioristico, deduttivistico, dogmatico.[19] La filosofia trova la sua specificità nel fondamento del fatto (fisico o psichico) e nell'argomentazione induttiva, contro le deduzioni a priori, metafisiche, che non hanno fondamento nell'esperienza come la deduzione logico-matematica.[20]   Auguste Comte Una filosofia, che accetti metodo scientifico e voglia dirsi scientifica, rifiuta quindi le tesi metafisiche, le entità trascendenti inverificabili, accetta le ipotesi da verificare. Contro l'astratto razionalismo metafisico della filosofia, è andato emergendo, secondo Ardigò, dapprima il naturalismo rinascimentale, che ha trovato seguito nell'empirismo, nell'illuminismo e nel sensismo, fino al darwinismo e al positivismo.[20]  Una filosofia positiva non può nutrire certezze definitive (se vuol essere portatrice di tesi riformulabili come le teorie scientifiche) e non può essere un sistema unitario e dogmatico.[20] Ardigò propone una filosofia che, perduto l'ambito delle scienze naturali positive, si specifica in autonomia come scienza dei fatti psichici (psicologia) e dei fatti sociali (sociologia).[20]  Psicologia, pedagogia e sociologia positive Modifica I suoi contributi nell'ambito delle scienze sono importanti per l'impostazione generale. Interessanti sono le sue idee sull'evoluzione intesa come passaggio dall'indistinto al distinto, ma anche condizionata dal caso e caratterizzata dal ritmo. Non tutto dunque è lineare e meccanico. Ardigò fu uno dei primi psicologi moderni, anche se non nel senso di terapeuta, ruolo che sarà ricoperto dagli psicoanalisti e dagli psichiatri, ma nel senso di formatore pedagogico e professionale, oltre che di teorico e studioso della psiche, come Henri Bergson.[21]  Ardigò insistette sulla necessità di una psicologia ed una pedagogia scientifiche, soffermandosi sul ruolo delle abitudini. L'educazione infatti sul piano naturale può essere ricondotta all'acquisizione di comportamenti sedimentati e certi; questo significa il passaggio da una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come scienza dell'educazione.[21]  L'Io, l'Indistinto e la nascita della coscienza Seguendo comunque l'assioma comtiano che "non ci può essere scienza se non di fatti" (anche se Comte riconduce la psicologia alla filosofia e alla medicina, oltre che alla sociologia), egli conia inoltre il termine di "confluenza mentale".[22]  Teorie pedagogiche Modifica Ardigò dice:   «la pedagogia è la scienza dell'educazione, per questo l'uomo può acquisire le abitudini di persona civile, di buon cittadino.»  Per Ardigò dunque non tutte le abitudini sono educative. Dal punto di vista didattico privilegiò l'intuizione, il metodo oggettivo, la lezione delle cose, il passaggio dal noto all'ignoto, insegnando poche cose alla volta, ritornando più volte sulle cose spiegate e facendo continue applicazioni di teorie e casi nuovi. Egli rivalutò la funzione del gioco, il quale permette al bambino l'occasione di vedere e toccare gli oggetti, riconoscerne le proprietà e le somiglianze, favorendo lo sviluppo fisico, il quale va d'accordo con quello mentale. Proprio in riferimento al gioco, Ardigò criticò le idee di Fröbel.[23]  Il problema di Ardigò fu quello di coniugare la formazione di giuste abitudini con la libertà e l'autonomia propugnata dai Giardini d'infanzia di Fröbel.[23]   Charles Darwin Natura ed evoluzionismo Modifica Il sistema ardigoiano si configura come un “naturalismo” evoluzionistico (da lui chiamato però realismo positivo) che cresce sulla consapevolezza delle scienze e della tecnica, e si regge sotto una solida epistemologia, mentre si rivolge anche alla morale, sottraendola al riduzionismo naturalistico e meccanicistico, riservando alla psicologia la funzione di sovrintendere al tutto.[24] Se tutto ciò che esiste è un fatto naturale, dal cosmo al cervello umano, dai vegetali ai minerali, non esiste e non può esistere un Ente trascendente metafisico e non è pensabile alcun progetto finalistico che permetta una comprensione teleologica della Natura; ad essa ci si può avvicinare solo con spirito scientifico.[24]L'ignoto di Ardigò non trascende l'esperienza, non ne è causa prima e soprannaturale, per cui il suo immanentismo non finisce mai nello spiritualismo a-scientifico e irrazionalistico (accusa spesso rivolta da Benedetto Croce ai positivisti).[24] Un motivo di originalità è offerto dal tentativo di attenuare il determinismo e meccanicismo evoluzionistico e positivistico tramite la dottrina della casualità. La realtà è per lui continuo passaggio dall'Indistinto al distinto, e i distinti sono la coscienza umana e il mondo esterno, frutto entrambi dalle sensazioni e da quell'Indistinto dalla quale procedono per «autosintesi ed eterosintesi».[24]  Riflessione morale Modifica Egli punta a far rinascere un'etica laica, naturalistica, non prescrittiva, che pone l'uomo davanti alle scelte, dandogli strumenti conoscitivi per una scelta razionale.[25] Rimane estraneo però alla questione sociale e alle istanze socialiste (nonostante la collaborazione con Turati), e, ancor prima, anarchiche, ampiamente diffuse in Italia, come isolato è anche rispetto alla politica.[26]  Le idealità sociali o massime morali si distinguono in[27]:  naturali, perché frutto solamente dell'evoluzione della specie e della psiche individuale sociali vere e proprie, cioè etico-giuridiche perché determinate dalla convivenza; esse devono la propria oggettività alla loro «genesi (...) individuata nello sviluppo “materiale” dell'uomo (biologico, fisico, ecc.) e (...) si esprimono storicamente in istituzioni (come la famiglia, lo Stato) le quali disciplinano e orientano le azioni umane».[27] Va detto che la riflessione ‘di periodo’ ardigoiana sulla moralità e sulle idealità sociali “nell’idea della giustizia” mostra l’intento di fondare in Italia la sociologia come scienza sulla cauta possibilità di concepire nella società la morale senza la religione (Roberto Ardigò, La morale dei positivisti, Milano, Natale Battezzati, 1879, XXI, p. 290 e sg.). Il progetto di Roberto Ardigò si concretizza maggiormente nelle pretese di fondare un sapere laico in grado di confrontarsi con le sfere dell’etica e della filosofia speculativa, senza che quest’ultima possa vantare ex ante una alleanza “forte” di filosofia e religione e senza avere avuto un confronto con i temi messi in campo dalla scienza e dai suoi più immediati avanzamenti, così e come mostrano proprio i primi passi dell’idea di formare un sapere sociologico autonomizzato dalle sfere dell’eticità (Guglielmo Rinzivillo, Ardigò e la prima sociologia in Italia, su “Scienzasocietà” n.50, A. IX maggio-agosto 1991, pp. 25 –31). In questo senso l’impresa di Ardigò di confrontarsi direttamente con il sapere speculativo risulta essere l’unica nel suo genere al cospetto del positivismo di fine secolo XIX ( Guglielmo Rinzivillo, La scienza e l’oggetto. Autocritica del sapere strategico, Milano, Franco Angeli, 2010, ristampa 2012, II, ISBN 9788856824872 ). Ma il tentativo di formare una scuola si infrange nella ripresa sia europea dello spiritualismo che più nostrana dell’idealismo e nella contestazione delle dottrine filosofiche di seguaci come Giovanni Marchesini e Giuseppe Tarozzi (Mariantonella Portale, Giovanni Marchesini e la “Rivista di Filosofia e Scienze Affini”. La crisi del positivismo italiano, Milano, Franco Angeli, 2010, ISBN 8856825643) Altre opere: “Discorso sulla difesa dalla inondazione”; “Pomponazzi”; “La psicologia come scienza positive” – cf. Grice psicologia filosofica --; “La formazione naturale nel fatto del sistema solare”; “La morale dei positivisti”; “Sociologia”; “Il fatto psicologico della percezione”; “Il vero”; “La scienza della educazione”; “La ragione”; “L'unità della coscienza”; “La nuova filosofia dei valori”; “Canti di Heine(1922), traduzione dal tedesco Raccolta delle opere, “Filosofia” (Padova, Draghi). Citato in: Alberto Bonetti, Massimo Mazzoni, L'Università degli studi di Firenze nel centenario della nascita di Giuseppe Occhialini (1907-1993), Firenze University Press, 2007, pag. 90, nota ^ Ardigò, Roberto ^ a b c d e f g h i j k Marco Paolo Allegri, Il realismo positivo di Roberto Ardigò. L'apogeo teoretico del positivismo Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive. Guido Cimino e Renato Foschi, Percorsi di storia della psicologia italiana, Kappa, 2015, p. 26, ISBN 8865142162. ^ Antonio Dal Covolo, Roberto Ardigò. Dal sacerdozio all'ateismo ^ Ardigò su Chi era costui? ^ Ardigò e il sistema positivistico, dal sito della Congregazione per il Clero del Vaticano ^ Luccio Riccardo, Breve storia della psicologia italiana. Psicologia Contemporanea, Roberto ARDIGO', su www.accademiadellescienze.it. URL consultato il 16 luglio 2020. ^ Numero unico, Mazzini, giugno 1905, Milano). ^ Discorso commemorativo pronunciato sul Monumento dei Martiri il 5 giugno 1882 in piazza Sordello. Dal giornale Il Mincio, 11 giugno 1882. ^ Egregio Sig. Genovesi. Rispondo subito alla di Lei lettera, che convengo interamente con Lei che dice giustamente che La Massoneria in uno stato libero è un non senso: e che a combattere l'oscurantismo è più efficace l'opera indefessa ed aperta di educazione e di elevazione civile che non l'opera tenebrosa e nascosta di una setta: e che coll'esistenza di questa la gran massa popolare non può che perdere la fiducia nella giustizia pubblica del proprio paese, nell'idea che la massoneria sia poi in fine una associazione di interesse pei soci a danno di quelli che non vi appartengono. E fortuna per me che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo perché nulla spero. ^ Lettera del 20 febbraio 1879 in Lettere edite ed inedite, a cura di W. Büttemeyer, 1° vol., 1990, p. 191. ^ Ardigò, Roberto - Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia (2012) di Alessandro Savorelli, Treccani ^ a b c Roberto Ardigò 1828-1920 ( PDF ), su lnx.societapalazzoducalemantova.it. URL consultato il 17 novembre 2014 (archiviato dall' url originale  il 29 novembre 2014). ^ La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980, Lampi di stampa, 2000, p. 159 ^ Wilhelm Büttemeyer, Roberto Ardigò e la psicologia moderna, Firenze, La Nuova Italia, 1969 ^ Veniero Accreman, La morale della storia, Guaraldi, Giovanni Landucci, Roberto Ardigò e la "seconda rivoluzione scientifica", ed Franco Angeli, RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA, 1991 ^ a b c d Marco Paolo Allegri, Il realismo positivo di Roberto Ardigò. L'apogeo teoretico del positivismo Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive., pagg. 24-25 ^ a b A. Groppali e G. Marchesini, Nel 70º anniversario di Roberto Ardigò, ed, Bocca, Torino, 1898 ^ Roberto Ardigò, La psicologia come scienza positiva, Viviano Guastalla editore, Mondovì 1870, 169; 177-8 ^ a b Froebel ^ a b c d Marco Paolo Allegri, Il realismo positivo di Roberto Ardigò. L'apogeo teoretico del positivismo Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive., pagg. 34-40 ^ Mario Quaranta, Etica e politica nel pensiero di Roberto Ardigò, “Rivista di storia della filosofia”, 1/1991, 127-44, 142. ^ Quaranta, op. cit. pag. 129 ^ a b Anna Lisa Gentile, Il positivismo di Roberto Ardigò: un'ideologia italiana, in “Rivista di storia della filosofia” 1/199 pag. 158 e segg. Bibliografia Modifica Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Davide Poggi, La coscienza e il meccanesimo interiore. Francesco Bonatelli, Roberto Ardigò e Giuseppe Zamboni, Padova, Poligrafo. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Roberto Ardigò, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata Alessandro Bortone, ARDIGÒ, Roberto, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 4, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Opere di Roberto Ardigò, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Roberto Ardigò, su Open Library, Internet Archive  consultabili nell'Archivio di Storia della Psicologia, su archiviodistoria.psicologia1.uniroma1.it. URL consultato il 16 dicembre 2011 (archiviato dall' url originale  l'11 luglio 2012). Alessandro Savorelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Altre opere: Pietro Pomponazzi. La psicologia come scienza positiva. La formazione naturale del sistema solare. L’inconoscibile di H. Spencer e il Positivismo. La religione di T. Mamiani. Lo studio della Storia della filosofia.  La Morale dei Positivisti. Relatività della Logica umana. La coscienza vecchia e le idee nuove. Empirismo e scienza.  Sociologia. Il compito della filosofia e la sua perennità. II fatto psicologico della Percezione. Il Vero. La Ragione. La scienza sperimentale del pensiero. Il mio insegnamento della filosofia nel R. Liceo di Mantova.  L’Unità della coscienza. L’Inconoscibile di H. Spencer e il Noumeno di E. Kant. Il meccanismo dell’intelligenza e l’ispirazione geniale. L’indistinto e il distinto nella formazione naturale. Note eticosociologiche — Articoli pedagogici. Il Pensiero e la Cosa. L’idealismo della vecchia speculazione e il Realismo della filosofia positiva. La formazione naturale e la dinamica della psiche. Saggio di una ricostruzione scientifica della psicologia. La perennità del Positivismo. Monismo metafisico e monismo scientifico.  La filosofia nel campo del sapere. Atto riflesso e atto volontario. I tre momenti critici nella storia della Gnostica della filosofia moderna. Il sogno della veglia. Tesi metafisica, ipotesi scientifica e fatto accertato. Il quadruplice problema della Gnostica. Guardando il rosso di una rosa. La nuova filosofia dei valori. Una pretesa pregiudiziale contro il Positivismo. L’Inconscio — A. Comte, H. Spencer e un positivista italiano. Infinito e indefinito.  Fisico e psichico contrapposti. Repetita juvant. I presupposti Massimi Problemi. Il Positivismo nelle scienze esatte e nelle sperimentali. L’individuo. Estema, idea, logismo. Le forme ascendenti della realtà come cosa e come azione e i diritti veri dello spirito. Lo spirito aspetto specifico culminante della Energia in funzione nell’organismo animale. La meteora mentale. Filosofia e positivismo. La ragione scientifica del dovere. La filosofia vagabonda. L’intelligenza. Altre opere: SCRITTI VARI  RACCOLTI E ORDINATI DA GIOVANNI MARCHESINI  Le Monnier scuola - nuovo FIRENZE  FELICE LE MONNIER. Prefazione; opere filosofiche; Polemiche; La confessione; Sulla storia della confessione esposta nel n. 181 della Favilla dal sig. Eugenio Pettoello. Il prete professore Ardigò e la confessione. Calunnie. Risposta del prete professore R. Ardigò alla lettera del sig. Luigi De Sanctis inserita nel n. 217 della Favilla. Dichiarazione ai lettori. Lettera dell'illustre De Sanctis. Articolo comunicato. La psicologia positiva e i problemi della filosofia. Dialogo. Il filosofo e un ignorante. Il liberalismo di R. Ardigò. Contro la massoneria. R. Ardigò e A. Fouillée. Discorsi. Garibaldi. Discorso di commemorazione. Per il 70° anniversario. Le Ancelle della carità al Civico Spedale. I programmi e l’ordine dell’insegnamento. Il cultore vero della scienza. La gerarchia dei godimenti. La libertà del sentimento religioso. L’unità internazionale. La filosofia col nuovo regolamento universitario. La scuola classica e la filosofia. Divisi dalle religioni, la scienza ci riunirà. Il dolore morale nella società. La polarizzazione del lavoro mentale. La breccia di Porta Pia. Il significato morale del XX Settembre. Le immagini rovesciate. Il metodo del lavoro intellettuale di R. Ardigò. La formazione inconscia delle convinzioni. La condizione fisica della coscienza. Lettere 100%.svg  Lettera 1 100%.svg  Lettera. Giudizi e pensieri. Giudizi. Pensieri. Versi. Uno scherzo in un'ora allegra. Intecta fronde quies. Venti canti di H. Heine. Schöne Wiege meiner Leiden. Warte, warte, wilder Schiffsmann. Berg und Burgen schaun herunter. Der Traurige. Zwei Brüder. Die Grenadiere. Auf Flügeln des Gesanges. Liebste, sollst mir heute sagen. Mein süsses Lieb, wenn du im Grab. Ich weiss nicht was soll es bedeuten. Mein Herz, mein Herz ist traurig wie der Mond sich leuchtend dränget auf dem Hardenberge. Der Hirtenknabe. Nachts in der Kajüte. SOCIOLOGIA. Dedica. Avvertenza. Il potere civile; La reazione dell' individuo e   quella della società; il Diritto intemazionale; Machiavellismo politico; l’ideale della società umana; le giustizie sociali; L'Idealità sociale impulsiva del  volere individuale è una giustizia; L'Idealità sociale è una giustizia potenziale; diritto positivo e diritto naturale; triplice ufficio del potere; giustizia e diritto nella convenienza; la giustizia; la Giustizia legale (seconda forma dell' ufficio del Potere) è  una gradazione evolutiva superiore di un indistinto inferiore da cui emerge; dall'indistinto della prepotenza  (principio egoistico) nasce il  distinto della giustizia (principio anti-egoistico) che è la  risultante dinamica di quella; la formazione della giustizia  nel senso proprio va colla  formazione del potere onde  è l’espressione; la giustizia è la forza specifica   dell' organismo sociale; la gradazione della giustizia; dovere giuridico e dovere  morale; obbligatorietà e trascendenza  imperativa del dovere nella  coscienza morale; atteggiamento vario della giustizia e coefficienti relative; funzione della giustizia morale; l'autorità; criterio positivo del diritto e  del dovere; i diritti dell'uomo sopra le altre cose della natura; i diritti dell'uomo sopra se  stesso; suicidio; il diritto d’autorità; l’autorità nel diritto naturale; la dottrina positiva dell'autorità e del diritto è liberale; Gl’attti benefici nell' etica tradizionale; gl’atti benefici nel positivismo; falsa apparenza di paralogismo; la virtù, il merito, il premio; l’ordine morale; il bene sociale; il fatto del diritto (diversità,  specie, coordinazione) e il suo  ideale; il diritto è in virtù di se stesso; il diritto è la facoltà del bene  sociale; l'esercizio del diritto è la funzione del bene  sociale; il diritto costa una contribuzione; le unità minime, le unità medie e l’unità massima nel corpo  sociale; la selezione interorganica nella  evoluzione formatrice dello  Stato Come risulti spiegata la prima  forma dell' ufficio del Potere,  e anche la terza: e stabilito  r assunto del libro  Conclusione. SOCIOLOGIA Atxyj^ 8vo|ia oòx dEv ^Seaav, el xaOxa fJ “Non ci sarebbe l’idea della giustizia se non fossero i supplizi.” -- Eraclito di Efeso presso Clem. Strom. IV, j. . ALL’ILLUSTRE PROFESSORE ENRICO FERRI IL QUALE PRIMEGGIANDO FRA I MAESTRI DELLA SCIENZA NUOVA DEL DIRITTO PENALE SI COMPIACE DI RICORDARE CHE ALL’INDIRIZZO POSITIVO DELLA SUA MENTE FECONDISSIMA NON FURONO ESTRANEE LE LEZIONI DEL SUO ANTICO MAESTRO L'AUTORE DEDICA QUESTO SAGGIO IN SEGNO DI FRATERNO AFFETTO. AVVERTENZA. Questa sociologia costitue una parte della morale dei Positivisti. Fu in ogni parte o ritoccata o rifatta. Non vi si trattano tutte le questioni introdotte e discusse generalmente nei saggi di sociologia; ma solo la fondamentale: quella cioè della formazione naturale del fatto speciale caratteristico dell' organismo sociale, ossia della giustizia. E, relativamente a questo fatto, non dà una riproduzione pitc meno manipolata delle idee messe in voga dai filosofi più celebrati di questa materia. Qualunque ne sia il valore, chi scrive presenta qui il frutto della sua riflessione solitaria; e non recente, ma di vecchia data, e già matura fin da quando lo esponeva ai filosofi di Mantova, pei quali divenne germe e stimolo ad elaborazioni ed applicazionidi merito nel campo della filosofia. Restringendosi poi la trattazione, come qui è divisato, al fatto della giustizia, con ciò la sociologia tiene a mantenersi nel campo, che le spetta in proprio, e pel quale riesce una disciplina a sé e distinta da tute le altre. È un errore capitale quello comunissimo di fare della sociologia un ammasso di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che suppongono l’ambiente della società umana, A tale stregua la cosmologia dovrebbe constare di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che suppongono l’ambiente dell’universo visibile. A questo modo si dà ragione a quelli che persistono a *negare* alla sociologia filosofica la qualità di disciplina autonoma. Una sub-disciplina filosofica è un tutto a sé, che si pone e si distingue da quello di tutte le altre, come la specialità del fatto che essa considera. E, nel caso nostro, la sociologia filosofica, o la psicologia filosofica dell’intersoggetivita, si pone e si distingue, come la specialità del fatto della giustizia, nel quale è la ragione diretta dell'organismo sociale; a quel modo che nel fatto della gravitazione è la ragione diretta della mutua dipendenza delle masse astrali, considerata dalla cosmologia filosofica. Così, essendoci il fatto Fisico si dà la Fisica; essendoci il fatto chimico si dà la chimica; essendoci il fatto psichico, si dà la psicologia filosofica, e via discorrendo per ogni sub-disciplina. Si restring la presente trattazione allo studio della formazione naturale della giustizia, e limitandosi a considerare il fatto di essa in generale, e non estendendosi a considerarlo in particolare nelle molte e diverse forme svariate, che si munifesiano, funzionando la giustizia nelle differenti comàiìmzioni secondarie pnllulanti ed armonizza nèi nella totalità malto complessa dell’organismo sociale. Ed è solo in qneslo senso, die fuesta trattazione non aòòraccia tutto r amèito della So- etologia j. co7icernendo solo la sua farle introduttiva e fondamentaie. Esaurita la prima edizione di questo quarto Volume delie Opere filosofiche, e anche la seconda, nella quale tra stata introd^itta qualche piccola correzione ed aggiunta, colia presente terza questa Sociologia comparisce nella sua edizione quinta. Questa trattazione deWdi Sociologia suppone e completa quella della morale dei positivisti. La suppone, in quanto nella morale medesima è presentata l’analisi della attitudine etico-civile umana, ed è esposta la teoria positiva della responsabilità sotto tutti i suoi aspetti e rapporti. La completa, in quanto studia la formaziofie della attitudine etico-civile suddetta. Specialmente sotto V di-- spetto e il rapporto della sua obbligatorietà si interna che esterna.  Ma questa della sociologia è poi, come tale, una trattazione distinta da quella della morale. La morale ha per oggetto suo speciale e proprio la attitudine etica e quindi la virtu individuale. La sociologia ha per suo oggetto la costituzione della società civile e quindi la gitistizia che ne è la funzione caratteristica. Il punto di partenza del nostro ragionamento è la questione proposta dalla morale dei posttivisti. Il concetto della responsabilità (de- finito precedentemente come l'astratto delle sanzioni, onde la società reagisce, rintuzzandola, contro l’azione propriamente umana individuale) fosse manchevole, non estendendosi quanto la moralità, e quindi fosse da ripudiarsi. E ciò per la considerazione che sembrerebbe così la responsabilità riferirsi solamente agli atti intesi nel concetto stretto del giusto, cioè ai pochi atti esterni, aventi importanza per l’ordine sociale, commessi in misura e in circostanze determinate,  discorso basta notare il fatto, la cui spiegazione si lascia alla fisiologia. Come l’apparato nervoso delF organismo biologico vi si forma a poco a poco per naturale svolgimento e trasformazione di una parte degli elementi prima omogenei della sostanza viva, cosi l'apparato del P<:7/^r^ nell’organismo dello stato vi si forma a poco a poco per  naturale selezione ed adattamento dì alcuni fra gli individui del *consorzio* umano informe primitivo. Del pari, come la funzione speciale dell' apparato  nervoso si è in esso determinata per Io svolgimento e la trasformazione della attività vitale generica della sostanza  animale, cosi la specialità della reazione del potere non  è altro che una distinzione, operatasi a poco a poco e di  mano in mano che andava formandosi, della reazione istintiva comune degli individui eslegi del *consorzio* umano primitivo. E, come l’attività nuova speciale sovrapposta e dominante dell' apparato nervoso dell'animale superiore  sviluppato non vi sopprime l’attività iniziale semplice e comune del materiale biologico, la quale vi persiste allato e al disotto dell' attività nervosa, che la regola, così la reazione del potere, svoltasi naturalmente collo svolgersi dell' organismo sociale, non vi sopprime la reazione  istintiva detta sopra, la quale quindi persiste nello Stato  civile allato e al disotto della reazione del Potere, che  la regola.  E cosi nello Stato vengono a riscontrarsi contempo-   è assai opportuno studiare ulteriormente, e sotto /r^r df~  versi aspeliì, l'analogia notata fra T organismo dell' ani-  male superiore e quello della Società civile. Nel corpo di un animale, anche di organizzazione superiore (e quindi massimamente in quello dell' uomo), ogni parte viva ha in sé la ragione della propria attivita puramente vegetativa, che ha luogo quindi indipendentemente dal concorso diretto della funzionalità nervosa centrale. Ma questa funzionalità nervosa centrale può intervenire ad impedire tanto o quanto la detta attività puramente vegetativa della parte subordinata, A far ciò l’uomo, nel caso che la parte si ammali e quindi la sua attività vegetativa si renda anormale, si sforza (valendosi dell' apparecchio nervoso sovrastante alle parti) di limitare l’anormalità e di contrastame gli  effetti perniciosi sulle altre. Mettiamo, sostituendo la medicina al cibo, o tralasciando di mangiare e di adoperare se possibile la parte malata, o operando su di essa,  o staccandola in caso estremo dal resto del corpo. Quindi, l’intervento della funzionalità centrale qui sarebbe puramente negativa; cioè solo di impedire tanto  o quanto l’attività vegetativa; la quale, nella parte, sorge  in virtù della propria natura dì questa, e non potrebbe esservi creata ed infusa dalla medesima funzionalità centrale. Un fatto analogo si osserva nel corpo della società civile. In questo corpo sì riscontrano due generi di reazione sociale, quello della convenienza, proprio di ciascun individuo e nascente direttamente dall’urto degli individui fra di loro, indipendentemente dalla sovrapposizione ad essi del potere al  quale sono subordinati; e quello della giusto, proprio  di questo potere. La reazione di convenienza tra individuo e individuo tende con forza ad assumere, e spesso assume effettivamente forme irregolari nocive e atte a turbare in misura  più o meno grande il buon assetto della società. Ed è qui che intervitìne la reazione del giusto per parte del potere sovrapposto. Ma con effetto solo di impedire  e limitare, per quanto possibile, la irregolarità della  rea zione della convenienza. Si che questa, funzionando pure  per forza e legge propria, non ecceda però la forma e  la misura compatibile coll’andamento migliore del corpo sociale. Le parti singole dell'animale sono coordinate insieme mediante una funzione, che sì aggiunge alle particolari di esse e loro sovrasta, dominandole e subordinandole nel sistema complessivo deir individuo. Questa  funzione centralizzatrice ha una efficienza negativa, na ne ha anche una positive, ed è  quella di produrre il concerto delle parti nell’attività  dell’individuo totale. Coè, la vìta propriamente detta, elevantesi sulla semplice vegetazione di ciascuna parte,  adattata e resa ubbidiente alle esigenze della vita medesima, e quindi, per cosi dire, ingentilitane. Cosi anche nella societa. Nella quale la funzione assodante del potere si sovrappone a quelle degli due *associate*, ed è puramente negativa o di limitazione per rispetto a queste, ma è positiva per rispetto a se stessa, in quanto cioè si pone e produce un  effetto speciale suo proprio, che si risolve soprattutto  in quello della moralizzazione dell' uomo nello Stato  civile.  Annunciamo qui solo il fatto, la cui spiegazione det-  tagliata risulterà dal corso della trattazione. L' individuo eslege è pronto ad impiegare a proprio  vantaggio, come T istinto naturale lo sospinge, tutta la  forza materiale onde dispone; e ad elidere e a togliere  di mezzo il più debole. Il che impedirebbe la formazione  della società e il concerto civile delle sue parti. Perchè tale concerto sia possibile è necessario che sopravvenga neir umano consorzio una forza superiore, la  quale, in nome e colla mira dell'interesse di tutti, rin-  tuzzi e contenga la forza esuberante e trasmodante dei  singoli più forti o irregolarmente operanti, e renda cosi  attuabile lo sviluppo e l’esercizio pieno e non impedito, e tranquillo, e benefico delle attitudini di ogni elemento, onde è costituito il corpo sociale. L' istinto della reazione individuale, per sé, rappre-  senterebbe il princìpio egoistico antisociale. Invece il Po-  ^ tere subordinante rappresenta T Idealità sociale ossia il  principio morale antiegoistico. L' individuo nella Società diventa morale in quanto,  ridotto dalla coazione della Giustizia a riconoscere il  principio antiegoistico rappresentato dal Potere associante,  vi si uniforma, ingentilendosi, rinunciando alla tendenza  di usare la violenza rispetto agli altri, contenendosi nei  limiti permessi dal Potere, cooperando con esso al Bene  comune.   La costituzione quindi della Società umana, fino al  grado di un' alta Civiltà, è possibile, perchè la psiche  umana, a preferenza di quelle dei bruti, è atta alla for-  mazione caratteristica della Idealità sociale, come è di-  mostrato nella Morale dei Positivisti (i).   Nella macchina fisiologica dell' animale non si dà  potenza centralizzatrice delle parti senza un organo di-  stinto da esse, che ne sia investito e la possegga. La  forza centralizzatrice poi, in un animale, è in ragione della  massa di questo organo; come la massa stessa è in ra-  gione del bisogno (2) della forza occorrente per dominare  le parti. E inoltre neir animale la materia dell' organo  centralizzante è presa dalle parti stesse centralizzate per  via di un processo di selezione naturale, come dimostra  la embriologia e la zoologia comparata. E secondo il  principio generale, da me tante volte ricordato, del pas-  saggio dall' indistinto al distinto (3).     (i) Vedi specialmente il Capo III della terza Parte del Libro  primo ; e la Parte seconda del Libro secondo. Per questa espressione bisogno vedi la nota alla pag. 17 del  volume ILI di queste Op, fil.  Per la teoria dell' indistinto e del distinto vedi la Fortnazione  naturale nel fatto del sistema solare y nel Voi. II di queste Op, fil.    Cosi nella Società» La coordinazione delle partì com-  ponenti e la relativa reazione della Giustizia non vi può  aver luogo senza che vi sia costituito un ordine di per*  sone investito del Potere occorrente all'uopo, e fornito  dei mezzi sufficienti all' effetto. Tale ordine di persone si stabilisce nella Società per  la legge suddetta della selezione naturale, come già ac-  cennammo sopra; e di ciò parleremo in seguito più a  lungo,   E r ordine sovraiieggiante nella Società deve essere  in ragione della forza occorrente a produrre Teifetto di  contenere le parti nella associazione dello Stato. Più in queste è la resistenza alla coordinazione so-  ciale, come nella barbarie o nella depravazione, quando  ha ana grande prevalenza T egoismo (o perchè le Idea-  lità sociali non sono ancora progredite nella loro forma-  zione, o perchè abitudini prave sottentrate le paralizzano),  e più il Potere centrale è poderoso e A'iolento, e ha quindi  il carattere di Potere militare. E la Giustizia allora as-  sume la forma del fato inesorabile e crudele, che sforza  ad agire colla violenza necessitante.   E, nel caso che manchi nel Potere la forza suffi-  ciente, la Società si trova in quello stato di organizza-  zione imperfetta che si osserva negli animali inferiori  aggruppati in masse, che sono piuttosto delle colonie  che non degli individui propriamente detti.   Se invece poca o nuila è la renitenza alla coordina-  zione sociale, come nelle Società adulte, colte e virtuose.  quando le Idealità sociali negli individui sì sono già for-  mate e si mantengono impulsive, allora il Potere centrale assume il carattere di un semplice arbitro morale fra gli  individui associati. E la Giustizia qui perde il carattere  della violenza^ assumendo invece quello di una sentenza  vera ed equa, che ottiene il rispetto e T assentimento col  solo essere enunciata. E si conferma ciò che dicemmo al-  trove del regno del fato e del regno della Giustizia fra  gli uomini (i),   E discende anche dalle cose dette che, siccome il  dispotismo militare è proprio dello stato della barbarie,  così invece il governo repubblicano è proprio dello stato  della cultura più compita ; intendendo per questo governo  (idealmente) un governo formatosi per la selezione natu-  rale più propria dell' uomo, ossia razionale ; e di persone  funzionanti quasi come semplici arbitri morali ; e rap-  presentanti U Idealità sociali ammesse dagli individui  associati, che sono disposti per ciò a rispettarle, senza  bisogno di coazione e di violenza.  Le cose dette hanno una conferma da ciò che  si riferisce al Diritto internazionale, e servono a chia-  rirne ÌL fatto e la teoria. •   1 diversi Stati tra loro indipendenti sono come degli   (i) Nella Morale dei Positivisti, Per es. Gap. II della Parte IV  del Libro li, al numero i6 (pag. 399 del voi. Ili di queste Op, fil,  nella edijE. del tSSs^ e 432 dell' ediz. del 1893 e del 1901, e 432 Del-  l' ediz, dei 1908).     3"«|P).individui non co-ordinati l’uno con l’altro sopra i quali vige la ragione del  più forte, poiché l' idealità sociale co-ordinante non è realizzata in un potere effettivo sovrastante, che si faccia  valere; e quindi vi campeggiano sole attività egoistiche  dei singoli, staccati V uno dall' altro.   Ma, essendo il principio della socialità naturale al-  l' uomo, come per esso tendono a stare uniti gli individui  nella Società più semplice della famiglia, e questa e le  altre unità sociali più o meno grandi tendono a colle*  garsi organicamente nelle unità dello Stato, cosi gli Stati  tendono poi a riunirsi fra di loro: e, parzialmente, in  gruppi di Stati ; e, totalmente, nella unità universale della  umanità intera.   E da ciò si vede che il Diritto di uno Stato è rela-  tivo al pari di quello dell' individuo, che ne fa parte ;  per la ragione che, come il Diritto di questo viene a sof-  frire una limitazione e una rettificazione col prevalere su  di esso del Diritto del Potere dello Stato particolare che  se lo subordina, così anche il Diritto di questo è limita-  bile e rettificabile nella sua subordinazione all'organismo  più grande, del quale tende a far parte.   E cosi dicasi della Giustizia, che è la funzione del  Potere.   Nella Giustizia del Potere si riassumono tanto o  quanto, diventando la Legge propriamente detta, o al-  meno (se non ne sono in tutto sostituiti) vi si appuntano  come tollerati, o permessi, o anche incoraggiati, certi  atti di iniziativa degli individui ispirati dalla Idealità so-  ciale, tendenti a frenare o vendicare la reazione istintiva irregolare: avverantisi già nel consorzio umano non  ancora sviluppatosi nell'organismo sociale civile, e per-  duranti in questo, o produeentisi nella condizione della  Civiltà. Il padre che governa la famiglia, il forte gene-  roso che difende il debole, V associazione che si prefigge  scopi umanitari, e via dicendo, ne sono esempi. Qui ab-  biamo le virtualità della Giustizia, che ne preparano  r avvenimento, o la riforma miglioratrice, nella Giustizia  di fatto dello Stato. E questa Giustizia di fatto di uno  Stato è soggetta a limitazioni e rettificazioni ulteriori,  per via di una Giustizia più ideale, in quanto uno Stato  può subordinarsi alle unità sociali maggiori, delle quali  dicemmo, e quindi alla Legge loro. Data la riunione effettiva di più Stati in una  unità sociale maggiore che li comprenda, e della quale  essi siano le parti componenti, in questa si avrà il Po-  tere distinto o specifico coordinante, del quale abbiamo  parlato sopra, col carattere della Giustizia, di fronte alle  funzionalità particolari degli Stati componenti; la reazione diretta dei quali per ciò fra di loro avrà il carat-  tere della Convenienza, mentre V uno non potrà valersi  della forza materiale contro T altro, sia in sostegno del  proprio Diritto, sia in offesa dell' altrui, ma dovrà la-  sciarne r uso al Potere internazionale sovrastante.   Il Diritto internazionale quindi non è effettivamente  un Diritto, se non ha il detto carattere, della Giustizia.  E non ha questo carattere, se non esiste un organo reale,  colla forza sufficiente all'uopo, per esercitarla pratica-  mente. La storia ci presenta diverse forme di questo potere intemazionale o egemmiico, che dir si voglia. Ma  sempre più o meno imperfette. Per esempio quello esercitato dalla madre patria sopra gli Stati delle colonie,  che ne furono fondate. O quello di uno Stato più forte  sopra altri più deboli soggiogati colle armi, o ridotti a  protettorato, o confederati, O quello di una autorità re-  ligiosa sui popoli che la riconoscono. O quello risultante  da una lega, più o meno precaria, per iscopi determinati. Le forme suddette, come già accennammo, sono  forme di egemonia imperfette, o per la loro ristrettezza  e precarietà, o perchè non abbastanza potenti per farsi  valere, o perchè una tirannia di im forte su molti deboli,   E per ciò disfatte o da disfarsi col progredire della  Società. La quale invece tende ad una consociazione più  ideale degli Stati fra di loro. Ma a quale? Poiché, e questa non deve essere  per mezzo di uno Stato più forte che soggioghici altri  più deboli, e tuttavia la consociazione, colla Giustizia so-  vrastante relativa, non è una vera realtà organica se non  esiste effettivamente il potere che la eserciti.   La risposta alla domanda si ha in ciò che dicemmo  costituire il governo più perfetto, ossia del vero regno  della Giustizia, cioè n^W Aròiiraio.   L'Arbitrato o l'Anfizionia internazionale. E come si  va già disegnando sempre più concretamente nel fatto  dei trattati internazionali aventi forza esecutiva, e del  consenso moralmente giusto e fortemente efficace, che si  va stabilendo nel gruppo degli Stati più civili circa te  questioni sociali di interesse universale, e che influisce  anche sopra la legislazione interna dei singoli Stati, Solo     — ac-  quando esista realmente, in forma ben determinata e colla  forza necessaria di farsi valere, questa Anfizionia, potrà  esistere un Diritto internazionale veramente tale. Dico, quando esista questa Anfizionia. Fogniamo sul  fare della autorità centrale elvetica o degli Stati Uniti  di America.  E dico, quando questa Anfizionia sia un Potere veramente efficace. Il che non può essere, se non pel pro-  gresso sociale dei singoli Stati dipendenti; come T Arbi-  trato efficace fra gli individui non è possibile che a misura che questi si perfezionano moralmente, come dimo-  strammo.  E in effetto il progresso sociale degli Stati ci-  vili è già riuscito a stabilire delle legislazioni, o comuni,  o concordanti, colle rappresentanze e coi mezzi di esecuzione rispettivi, in ordine ai rapporti di interesse non  politico; come sarebbero il Commercio, T Industria, la  Navigazione» le Comunicazioni, i Diritti privati, le Monete^ le Misure, la Scienza. E tende ad estendere sempre  più questo genere di Giustizia universale, sia colle Com-  pagnie internazionali riconosciute per imprese di interesse  della Civiltà generale, sia coi Congressi pure internazio-  nali per altre sue esigenze, come sarebbe p. e. l'Igiene. Lontana ancora è T epoca della unione politica in  discorso. Ma va facendosene sempre più forte V aspira-  zione, che è già T anima del partito politico dell' internazionalismo, e che per la forza delle cose deve ormai  essere confessata più o meno dagli stessi governi.   Queir epoca è lontana; ma arriverà una qualche  volta; e cioè quando nei singoli Stati saranno state rimosse le cause che la ritardano: quelle cause precisa-  mente che la Civiltà attuale tende a rimuovere: e che saranno rimosse quando ogni Stato avrà ottenuto il suo as-  setto naturale giusto rispetto all' Estero nella sua circo-  scrizione etnografica, nella sua sicurezza, nel suo equili-  brio cogli altri Stati. Anche la questione del Machiavellismo politico  trova la sua risposta nei principj da noi indicati; riu-  scendo cosi in pari tempo a riconfermarne la verità. La reazione dell'individuo nella rozzezza eslege  del consorzio ancora selvaggio non è una reazione morale.  Non lo è, né di fatto, né di diritto.   Non di fatto, perché il suo movente é il puro istinto  egoistico, pronto senza ritegno al danno altrui, indiffe-  rente all'uso di tutti i mezzi di riuscire: fino alla violenza più spietata, fino all' inganno più vile e sfacciato. Non di diritto, perché, mancando l'ordinamento so-  ciale e la Giustizia del Potere che ne é il prodotto, non  si ha ancora la ragione, onde le reazioni umane siano  giudicate col criterio della moralità.  In una condizione analoga si trova il Potere  nello Stato non progredito nella Civiltà. In tale condizione si rivela nel Potere ciò che si  chiama il Machiavellismo. Il Machiavellismo del Potere può divenire, nel fatto, una impossibilità e, nel diritto, una immoralità, solo in  forza di una Giustizia relativa che lo impedisca e lo ri-  provi,   E come?  Per rispondere bisogna distinguere la reazione del  Potere di uno Stato per rispetto al Potere di altri Stati,  e quella del medesimo per rispetto ai propri subordinati.  Nel caso della reazione del Potere di uno Stato  per rispetto agli altri Stati è evidente che, se esso non è  tutelato nella sua esistenza da una forza internazionale  equa e^ nella sua tendenza a vantaggiarsi sugli altri e a  soperchiarli, non è frenato dalla medesima, non farà dif-  ferenza tra mezzo e mezzo che giovi al suo intento; e  il danno altrui lo procurerà come bene suo proprio. Il ricorrere ai mezzi opportuni all' intento, nel caso  in discorso, come non ne è impedito dalla Giustizia in-  ternazionale, che non esiste, cosi non è nemmeno ripro-  vato,   E per ciò il ^lachiavellismo del Potere nella sua rea-  zione cogli altri Stati viene ad essere una possibilità di  fatto, senza essere ancora una immoralità di diritto. Ciò è dimostrato storicamente nelle formazioni in-  ternazionali imperfette di epoche e regioni diverse. Valga  r esempio dei vari Stati della Grecia antica, collegati  tanto o quanto fra loro, e insieme isolati dalle genti non  greche; alle quali, considerate per ciò come barbare, ne-  gavano i riguardi che pure si avevano fra loro. E valga  r altro esempio delle religioni abbraccianti diversi Stati,  i quali insieme per ciò di fronte agli altri, considerati  siccome infedeli, si credevano sciolti da ogni freno di  procedimento. Nel caso della reazione del Potere per rispetto  ai propri sudditi è da considerare che la sua condizione  in uno Stato progredito nella Civiltà è ben diversa da  quella che la precede. Qui il Potere non è ancora divenuto la semplice e-  spressione del volere di tutti che lo pone, lo regola, lo  sancisce, come la Giustizia che lo rigfuarda. Ma è ancora  solo la conquista machiavellica di una casta, di una fa-  miglia, di una persona, lottanti per conservarlo con tutti  i mezzi atti all' uopo di fronte alle altre caste, ad altre  famiglie, ad altre persone dello Stato medesimo, con una  reazione quindi come tra individuo e individuo prima  della costituzione definitiva di una Giustizia superiore al  di sopra di essi. Nel caso in discorso è notevole il fenomeno  del concetto della Giustizia divina, che si pensa sovra-  stare alla stessa persona del Principe (come spiegheremo  in seguito) ; in modo che le sue azioni, quantunque fuori  d* ogni Legge, tuttavia vengono considerate dal punto di  vista della moralità: onde il suo Machiavellismo, persi-  stendo di fatto, viene a cessare in qualche modo di esi-  stere di diritto.   Questo fenomeno non è un argomento contro il nostro principio, ma a favore di esso. La Giustizia perfetta accompagnante lo stesso svi-  luppo iniziale dell'organismo sociale, informa natural-  mente la coscienza di quelli che ne fanno parte. E que-  sti, ignorando come si è formata veramente, la immaginano una entità assoluta preesistente alla Società e pro-  pria del nume divino. E cosi la si pensa valere, nella lotta fra i competi-  tori del Potere, al di sopra e delle imprese degli emuli e  di quelle del vincitore.   In effetto però il Potere conquistato dallo stesso vin-  citore lo emancipa dalla Giustizia, che esso esercita sopra  gli altri, e (massimamente se la lotta è eccitata da idee  sociali nuove) si fa autore di una Giustizia nuova che  deroga quella anteriore creduta divina ; e questa per con-  segfuenza non serve più quale criterio di moralità delle  azioni del Potere medesimo. Di che luminosamente ci  ammaestra la storia nei contrasti multiformi col Potere  sacerdotale sostituito da quello militare, e tra questo e  il civile che gli sottentra nella Civiltà più avanzata.   Il conòetto quindi della Giustizia divina né valse da  sé a impedire nel fatto il Machiavellismo del Potere, né  a riprovarlo nel diritto.  Parlando però di impedimento del Machiavellismo non abbiamo inteso di un impedimento assoluto,  ma solo relativo. La forza della Giustizia, che si stabi-  lìsce nella Civiltà avanzata, anche al di sopra del Potere  di uno Stato, ne impedisce il Machiavellismo tanto o  quanto; ma non mai affatto. La cosa qui è precisamente come nelle reazioni ini-  que tra cittadino e cittadino, che la Legge dello Stato  tende ad impedire : ed impedisce realmente tanto o quanto  ma non mai del tutto. Dalle cose dette importa soprattutto che si  raccolga V importanza suprema, in ordine alla moralità,  dello sviluppo dell' organismo sociale sopra indicato. Come accennammo (e lo dimostreremo più largamente  in seguito) lo sviluppo del consorzio umano nello Stato  ha per effetto la moralità privata. La Civiltà che per-  feziona r organismo dello Stato all' interno, e promuove  r associazione civile degli Stati ha per effetto la moralità  politica. La Giustizia (e quindi la Responsabilità, che  è un suo correlativo) non è perfettamente tale nell'organismo civile se in questo non si ha la libertà ù.^\\^ parti  coordinatevi, e la distinzione netta del Potere e delle sue  attribuzioni.   Importa fissare in modo preciso in che consista, teo-  ricamente, la libertà.   La libertà consiste in ciò, che la parte coordinata  neir organismo sociale vi possa funzionare secondo la di^  sposizione naturale onde è atta a funzionare. E, in base  a tale disposizione, imprescrivibilmente. E, tanto relativamente a se stessa, quanto nel reagire all' azione collaterale delle altre parti.   S' intende bene che la disposizione naturale onde la  parte è atta a funzionare, traente con sé il diritto impre-  scrivibile alla funzione relativa, deve essere quella del-  l' uomo socialmente perfezionato ; e quindi in tutto razionale in ordine alla convivenza e alla collaborazione cogli  altri nel consorzio civilmente perfetto. Ma la reazione della parte verso le altre deve essere  tale che non le impedisca. Che altrimenti si avrebbe eli-  sione di attività nelle parti impedite, e quindi lesione in  queste della loro libertà.   È questa una condizione essenzialissima perchè esista  realmente nell'organismo sociale la libertà vera e per-  fetta delle sue parti.   Ora tale condizione importa che la reazione della  parte sulla parte si limiti a quella della pura Conve-  nienza, che esclude la violenza dell' uno suir altro. E cosi questa esclusione, . ossia questo limite nega-  tivo, viene ad essere essenziale al concetto della libertà.  Sicché questa è determinata positivamente dalla attività  intrinseca dell' operante che ne è fornito, e negativamente  dalla rimozione della violenza estrinseca che la impedi-  rebbe nella sua sfera di coordinazione.  Il limite negativo suddetto della libertà ne  porta seco di necessità anche uno positivo, per la ragione  che la rimozione degli impedimenti estrinseci alle libertà  delle parti non si può ottenere se non mediante la costituzione di una forza superiore a tutte, sufficiente all'uopo.   La coazione, colla quale questa forza deve reagire,  per lo scopo detto, sopra le parti subordinate, non eli-  mina la libertà, come sarebbe la coazione tra parte e  parte.   Come notammo sopra, la coazione della parte come  tale è egoistica, e quindi a vantaggio della parte che la  esercita e a danno della parte che la soffre; mentre la coazione del Potere sovrastante alle parti è antiegoistica,  vantaggiosa alla Società, e quindi diretta a salvare nella  integrità della sua attitudine e funzione la disposizione  naturale di ogni sua parte.  La forza superiore del Potere essendo richie-  sta dalle esigenze delle stesse libertà delle parti subor-  dinate» queste devono concorrere a costituirla con una  parte della loro attivitàt sottoponendola quindi alla ne-  cessità della organizzazione sociale.   Qui, come dicemmo, abbiamo un limite positivo della  libertà delle parti costitutive della società; ma, siccome  è posto da esse liberamente (mentre l'organizzazione so-  ciale è una spontaneità naturale del consorzio umano nel  quale si produce)» allo scopo di sussistere, torna poi sem-  pre che la libertà delle parti medesime rimane on primo  ed un assoluto da cui tutto in ultimo dipende nella società.   Dal bisogno stesso della libertà adunque di-  pende anche il Potere subordinante. E con ciò è legiitimaiù. E quindi anche determinato in ciò che deve essere.   Determinato nel corpo che ne è investito, il quale  non deve essere una delle stesse parti coordinate, perchè  con ciò essa si troverebbe nel caso sopra indicato ed e*  sclusOf della parte che impedisce V altra*   Determinato nella azione che deve esercitare, che è  quella precisa richiesta dai due limiti «opra detti, cioè^  quello di porsi, onde essere in caso dì funzionare, e non  più; e quello di impedire la violenza della parte sulla  parte, e non più-  Ciò posto r ideale della Società umana richiede  le ragioni che seguono. L' autonomia perfetta delle parti, che cioè  ognuno sia veramente un arbitrio, come dicemmo nella  Morale dei Positivisti (i). E precisamente quel tanto che  si trova di poter essere realmente.   Secondo. Nessuna esecutività diretta o violenta del  volere dell' una sull' altra. Sicché la reazione loro sia  quella della Convenienza, scevra da costringimento ma-  teriale.   Terzo. Costituzione distinta del Potere, al quale solo  competa la esecutività coattiva sopra le parti subordinate.   Quarto. U ordine del Potere derivante dal corpo  dello Stato per selezione naturale degli ottimi, in dipen-  denza dal volere stesso delle parti che vi si subordinano ;  e in virtù delle Idealità sociali proprie delle stesse, e  quindi non altro che allo scopo della tutela delle auto-  nomie coordinate nella Società, e della stessa loro coor-  dinazione nella medesima.   Quinto. Giusta e stabile organizzazione e subordina-  zioue delle parti corrispondente alla stabile giusta orga-  nizzazione ed efficacia d' azione del Potere. Ma il fatto concreto delle Società storiche del-  l' umanità si presenta assia vario e complesso. E lo stesso (i) Libro I, Parte II, Capo IV, (Pag. 113 del voi. Ili dì queste  Op, fU. nella ediz. del 1883, 118 della ed. del 1893 e del 1901, 122  della ediz. del 1908).  Ideale generico di queste Società non sì può rettamente  comprendere senza lo studio diretto del fatto medesimo.   E noi qui lo tenteremo, prendendo le mosse dalla  stessa analogia, alla quale ricorremmo sopra, tra V orga-  nismo sociale e V organismo biologico. Nelle specie infime degli animali le parti del  corpo sono omogenee ed indistinte, o pressoché tali. E  somiglia a questo indistinto preorganico della zoologia  r indistinto preorganico sociale delle truppe o coacerva-  zioni disordinate delle popolazioni selvaggie.   Nelle specie animali che seguono alle infime nella  scala zoologica si ha una prima distinzione di formazione :  cioè una moltitudine di parti distinte, congiunte insieme  in colonie, nelle quali non è ancora costituito un apparato  speciale distinto unico atto a subordinarle insieme nella  unità più perfetta dell' individuo. E a ciò somiglia il fatto dei primordi di una formazione sociale, nei quali,  sul suolo medesimo e coi soli rapporti della vicinanza, e  della parità maggiore o minore delle idee, dei costuiri e  della discendenza comune, si trovano a contatto, in un  certo numero, le tribù o i pìccoli Stati indipendenti gli  uni degli altri.   Nelle specie animali superiori, per una distinzione ulteriore (onde si forma la diversità dei tessuti e uno di  questi, il nervoso, resta con una speciale superiorità verso  gli altri in quanto, formando un sistema solo di tutte le  sue diramazioni nate in ogni parte, associa cosi colla u-  nità del suo lavoro i lavori di tutte le unità singole su  cui domina), si arriva alla unità organica propriamente  detta, che non è più quella della massa informemente  coacervata, né quella delle semplici colonie delle unità  distinte, ma quella dell' individuo complete, E somiglia  a questa distinzione progredita quella della Società ci-  vile, formatasi in seguito alla distinzione delle tribù in  caste, e al predominio della più forte e intelligente sulle  altre, e alla trasformazione successiva della sua tirannia  nel Potere regolare, moderatore delle unità sociali con-  federate.  Nel processo evolutivo di distinzione della  formazione biologica l’apparato, onde si unificano le parti  neir organismo assai complesso dell' animale, sorge dalle  intimità della sostanza viva. La quale però non risente l’effetto proprio dell' apparato stesso, uscito dal proprio  seno, se non a misura che si è formato effettivamente.  Lo stesso avviene nel processo evolutivo di distinzione  della formazione sociale. Il Potere subordinante, e quindi  ciò che si dice la Legge e la Giustizia, e la relativa Re-  sponsabilità dell' individuo verso di esse, nasce dalla  stessa virtù intima delle parti associate ; ossia in ultimo,  degli individui umani. E accennammo già come; e spie-  gheremo più a lungo in segfuito. Nasce cioè in virtù delle  Idealità sociali (i), che sono un fenomeno psichico pro-  prio dell' individuo.   Ma r individuo non ne ha coscienza distinta se non  dopo che, pel processo naturale indicato, e inconscia-  mente per lui, il Potere stesso si è costituito.   Ed ecco come l' individuo è il fattore della Legge,  della Giustizia, della Responsonilità ; e, nello stesso tempo,  (i) Su ciò verte in generale tutto il Libro I della Maiale dei po-  sitivisti, e in particolare il suo Capo III della Parte III.  queste suppongono l’evoluzione sociale già avvenuta, e  vi sono risentite siccome la correlazione dell' individuo  subordinato col potere sovraneggiante.   E con ciò siamo ora in grado di rilevare ancora m.e-  glio, e una volta di più, la verità, già illustrata nella  Morale dei Positivisti (i), del concetto della morale degli  antichi e di Aristotele in ispecie, che la consideravano  correlativa essenzialmente alla Società formata ; e la fal-  sità del concetto ascetico-scolastico, che la considera sic-  come indipendente dalla Società stessa, fondandosi sul  fenomeno sopra indicato (2) del concetto della Gitistizia  divina. Ma la coordinazione e subordinazione, nel corpo  sociale come neir animale, e in qualunque altra unità or-  ganica naturale, non è cosi semplice quale, per chiarezza  e preparazione del discorso ulteriore, sopra abbiamo supposto.  Non è cosi semplice. Vale a dire non è puramente  un certo numero di parti, proprio eguali ed equipollenti,  concertate per la dipendenza diretta unica e sola di o-  gnuna da un centro immediato di tutte unico e solo;  come, per esempio, i raggi di un cerchio dal punto di  mezzo, dal quale si dipartono uniformemente con ugua-  glianza di lunghezza e di divergenza. E invece immensamente più complessa. Gl’elementi fondamentali ed ultimi del corpo so-  ciale sono gli individui umani, i quali formano, in gruppi  di pochi, degli organismi sociali elementari distinti ; que- (1) Capo V della Parte III del Libro I. (2) N. 6 del l III.    sti piccoli organismi elementari poi si coordinano come  parti di associazioni e di organismi superiori ; i quali alla  loro volta di nuovo si aggruppano in complessi maggiori. E la serie di tali ordini maggiori, che ne abbracciano  dei minori, è ben lunga. Come è anche il caso dell' animale superiore, soprat-  tutto dell'umano, nel quale ogni arto ed ogni viscere è  già un complesso ottenuto per una certa serie di combi-  nazioni di gruppi minori; e gli arti e i visceri sono insieme collegati dai centri del midollo spinale, al quale  poi sono sovrapposti gli altri centri superiori del cervel-  letto e dei lobi cerebrali, dipendenti alla loro volta dal-  E qui possiamo venire a una conseguenza im- portantissima circa i diversi aspetti che assume nella So- cietà civile ciò che dicemmo in genere, la Giustizia; e quindi anche la Responsabilità. Data la serie delle subordinazioni dette sopra, solo degli estremi si potrà dire che siano assolutamente, T in- fimo, la piura Convenienza, e il sommo, la piura Giustizia. Non COSI dei medii. Qualunque dei quali non sarà asso- lutamente, né la Giustizia, né la Convenienza; ma con-   incoata, e si compia solo in virtù del Tribunale dello Stato.  E cosi il Potere dello Stato, per rispetto all' eser-  cizio della Giustizia subordinata della associazione particolare, no permette solo quello che non danneggia l'assetto generale della Società o il Diritto dei soggetti in  quanto questi sono enti, oltreché della essociazione par-  ticolare, anche in pari tempo della totale.   Il che fa sì che la Giustizia propria dei Poteri su-  bordinati, col progredire della Società, va sempre più av-  vicinandosi a ciò che chiamammo sopra V arbitrato, E  che rispteade massimamente in quello paterno del buon  padre di famiglia.  Spieghiamoci meglio.  Nelle popolazioni selvaggie l’individuo è vindice di se stesso, o dei propri voleri, al di sopra dei quali non è costituito ancora, per la  imperfezione della associazione in cui vive, nessun potere giudicatore. E vindice dei propri voleri, anche se violatori della  libertà dell’altro. La costituzione di. un Potere superiore . nelle Società  progredite, che si assume la vendetta delle violazioni  della libertà individuale, togliendo la esecutività co-attiva al *volere dell' individuo sopra l’altro*, assicura la libertà di ambi. Tanto la cosa è cosi che, se per poco vien meno  questo Potere superiore, torna subito all' individuo la ne-  cessità e quindi il Diritto della propria vendetta. Come  nel caso che una persona appartenente ad una società civile si trovasse fra una popolazione selvaggia, o sopra una nave in alto mare e quindi fuori della portata del  Potere vendicatore, o assalito senza scampo immediato  da malfattori, o in un momento di anarchia dello Stato  in cui vive. Nel primo embrione di Società, in quello mettiamo  di una famiglia isolg-ta dal resto degli uomini, le contese  tra i fratelli le giudica e le vendica il padre, che ne è  il capo naturale. E la sua vendetta è illimitata e senza  responsabilità verso nessuno.   Nessuno per ciò gli impedisce o gli contende il Di-  ritto anche sulla vita dei figli e della moglie.   Non così però, coordinate che siano le famiglie sotto  un Potere superiore nella città che le abbraccia in una società sola. In questa città il Potere superiore tende a  limitare il Potere del padre al puro necessario per l'esi-  stenza, il ben essere, la prosperità della famiglia come  tale; e veglia a che il padre non eserciti verso i suoi  dipendenti altro Potere che questo, che però in pari  tempo concorre ad assicurare: e vendica su di lui ogni  eccesso od abuso del potere. E da ciò consegue naturalmente, che se ne restringa  sempre più la esecutività, e che si converta in semplice  arbitrato ; nel quale può soprattutto, e da sé sola, per la  propria impulsività morale, la Idealità sociale, nella quale  consiste la Legge, nel cui nome l'arbitrato si esercita. Ed ecco quindi l’effetto naturale del progresso  della evoluzione sociale: salvare e garantire sempre più le autonomie naturali. Stabilire sempre più distintamente il compito dei Po-  teri subordinanti; e impedirne gli eccessi e gli abusi.   Rendere quindi con ciò più evidenti le Idealità s(h  ciali, e rafforzarne la impulsività, e ridurle alla condi-  zione di Poteri efficaci senza uso di violenza e quali sem-  plici arbitrati. Come più volte, e per varie g^ise, dedu-  cemmo sopra.  Il quale eflFetto, che il Potere si converta in  semplice arbitrato, lo riscontrammo anche nello stesso  Potere, solo provvisoriamente supremo, di un singolo  Stato.   Solo provvisoriamente supremo. Perchè notammo,  che lo Stato tende a coordinarsi naturalmente nei colle-  gamenti intemazionali di più Stati.   E per la stessa legge; mentre dimostrammo, che il  Potere di uno Stato va sempre perdendo del violento, e  avvicinandosi alla natura puramente persuasiva della Idea-  lità, che si impone da sé, in conseguenza di una forza  estema e superiore ad esso; cioè del potere inter-nazionale, tendente ad impedire gli atti di lesa umanità nei  singoli Stati intemazionalmente collegati o altrimenti, e  il loro Machiavellismo.   Come emerge poi luminosamente anche dalla storia  politico-sociale contemporanea.   Un saggio storico eloquentissimo di un Po-  tere superiore convertitosi in semplice arbitrato si ha nel  fatto della Chiesa Romana, e in seguito all' abolizione di  ciò che in essa si chiamava il braccio secolare.   Si verificò in questa conversione, per questo lato,  r Ideale della Società umana, sopra da noi chiamato anche  il regno (razionale) della Giustizia sottentrante a quello irrazionale del fato; ossia il regno del concorso libero  o autonomico delle parti costituenti ; e non eteronomico(\)y  ossia p>er violenza materiale esercitata sopra di esse da  una forza, non morale, ma bruta.  E questo arbitrato sociale non è poi altro in  fine se non lo stesso arbitrato della volontà dell' indi-  viduo sopra se stesso, onde emana, come più volte di-  cemmo.   Ne emana, e quindi ne ha in sé le ragioni costitu-  tive. Nel medesimo tempo però, per le ragioni già ripe-  tute, lo stesso arbitrio individuale non finisce di diven-  tare ciò che deve essere (vale a dire una forza che muove  per la impulsività pura delle Idealità sociali), se non a  misura che, idealizzandosi nel modo anzidetto, si perfe-  Circa r Autonomia e la Eteronomia, vedi la Morale dei Po-  siiivisti, Lib. I, Parte II, Capo IV (Pag. 113 del volume III di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 118 della ed. del 1883 e del  1901, e 122 della previa edizione).  seziona il Potere sociale al quale V individuo è subordi-  nato.   Onde poi lo studio dell' arbitrio sociale subordinante  serve indirettamente a far conoscere la natura dell'arbi-  trio deir individuo umano.   E siccome lo studio da noi qui fatto dell' arbitrio  sociale subordinante ci ha condotto al concetto di una  Legge© che si impone colla sola evidenza della propria  Giustizia, con ciò abbiamo una nuova prova della nostra  dottrina (esposta nella Morale dei Positivisti). L'idealità sociale impulsiva del volere individuale  è una Giustizia.   Ed ora poi dalle cose dette possiamo ricavare  la conseguenza, alla quale mirava tutto il lungo discorso  fin qui fatto sopra la distinzione e la genesi della Convenienza e della Giustizia. L' Idealità sociale è la stessa Legge che si stabilisce  nella Società. E la Legge è la Giustizia in quanto im-  porta una Responsabilità dei subordinati verso il Potere.  L' idealità sociale (impulsiva della volontà dell' indi-  viduo, com' è dimostrato nella Morale dei Positivisti) si  viene formando nella psiche dell' individuo convivente  nella Società per effetto di questa convivenza. Per ciò di-  ciamo che r Idealità sociale è infine nuli' altro che l'm-  pronta, nella psiche singola di un dato uomo, della Legge  o del Volere sociale subordinante. Nello stesso luogo indicato nella nota precedente.  Da ciò consegne poi che l’Idealità sociale nella psi-  che o nella mente dell' uomo, in cui si è formata nel  modo ora detto, non si presenta come una semplice ve-  rità logica, dipendente da una propria speculazione teo-  rica, ma si come qualche cosa che si impone; cioè come  una Legge che la domina da una altezza superiore, e ac^  compagnata dalla minaccia di una Sanzione vendicatrice ;  ossia, non come una semplice idealità qualunque, ma come  una Giustizia. Ed ecco scoperto il nostro gran difficile.   La Giustizia non può essere che la legge del potere subordinante: e tuttavia la Idealità sociale, impul-  siva del volere dell' individuo e nascente in lui per la  evoluzione intima e propria della sua psiche, è pure una  Giustizia.   I due asserti parevano contradditorj ; e invece sono veri  ambedue, accordandosi tra di loro e spiegandosi a vicenda. Si spiegano a vicenda.   Da una parte, non è possibile il fatto della Legge  del Potere subordinante senza il lavoro psichico dei di-  versi individui che compongono la Società.   Dall' altra, le stesse attitudini dell' individuo sono  però massimamente gridate nel loro funzionamento natu-  rale dall' ordine delle cose della Società in cui vive. E  quindi le Idealità sociali dell' individuo devono assumere  nella sua mente la forma della Legge subordinante che  domina nella Società che lo involge : devono essere nella  sua mente come 1' eco o la soggettivazione o il pensiero  del fatto oggettivo reale dell'ambiente che determina il  suo lavoro intimo. Il valore scientifico della detta soluzione della  difficoltà propostaci è tanto maggiore in quanto V indu-  zione sociologica qui conferma pienamente V induzione  psicologica, che nella Morale dei Positivisti ci portò alla  medesima conclusione.   Alla conclusione cioè, che la morale individuale è es--  senzialmente dipendente dalla morale sociale ; e che VE-  tica è un ramo della Politica, come diceva Aristotile,  ossia della Sociologia, come si dice adesso.   E che il principio dei Metafisici, che sia l'Etica che  crei la Sociologia (e non il contrario), è falso.   Falso, come, in ogni altro ramo della scienza, il cre-  dere che il fatto complesso della natura sia determinato  direttamente dalle azioni indipendenti dei singoli compo-  nenti, e non che V azione di ogni componente sia essa  stessa determinata dal suo rapporto col resto della na-  tura ; come ho spiegato nel libro della Formazione natila  rale nel fatto del sistema solare (i), dove dimostrai che  la legge di una formazione naturale qualunque è questa :  che un fatto singolo è il punto nel quale si intersecano le  due linee infinite dello Spazio (o delle cose tutte quante esistenti) e del Tempo (o delle azioni tutte quante succedutesi).   E godo adesso di avere illustrato quella legge gene-  rale col rilevarne la verifica anche n^Wz. formazione etica.   La quale ha questo carattere, di apparire nella co-  scienza individua siccome una Giustizia. E la Giustizia  implica un ambiente esterno alla coscienza stessa, dal  quale sia determinata. Del quale principio poi (e gioverà notarlo qui  ancora, quantunque, la cosa, V abbiamo accennata altre  volte precedentemente) è prova positiva diretta il fatto  storico (superiore a qualunque eccezione, e accertabile  nel modo più evidente) che nmt non fu possìòtle di ira-  vare in una coscienza individuale una Idealità elica, ossia  un principio di Giuslizia, di formazione inconsapevole,  £he non corrispondesse al fatto della Legge sociale real-  mente riabilitasi neir amòiente nel quale la coscienza  stessa fu educata. Proprio come sopra nessuna bocca  d'uomo parlante fu mai possibile una parola inconsapevolmente appresa, che a lui non abbia insegnato la So-  cietà dei parlanti fra i quali crebbe. E come in tutte le cose le diversità degli ambienti  creano le varietà e le specie delle individualità dipen*  denti, cosi le Varietà e le Specie eliche fra gli uomini  sono create storicamente dagli ambienti sociali vari e di-  versi, ai quali essi appartengono; e per quella stessa  leg^ge dell’ordine e del Caso, che in ogni parte della na-  tura si verifica nella produzione delle Varietà e delle  Specie delle cose, come dimostrai nel libro testé citato. Che più? La stessa teoria dei metafisicici for-  nisce un argomento in appoggio della nostra.   Anche il Metafisico ha trovato nella coscienza umana  Una serie di Idealità, direttive del volere, con questo ca-  rattere della Giustizia o della Obbligatorietà; e ha argo-  mentato che, per ciò stesso, ossia per tale carattere della  obbligatorietà, era giocoforza ricorrere a qualchecosa di  esterno alla coscienza medesima, onde quelle Idealità le  fossero dettate, e di fronte ad essa sancite.   Se non che il Metafisico non si è apposto nella de-  terminazione giusta di questo esterno. Ossia il suo esterno  non è quello distinto e vero del Positivista, che è quanto  dire V ambiente sociale ; ma T indistinto, anzi il confuso  della speculazione volgare antiscientifica, ossia dio. Non si è apposto qui il Metafisico, come non si è  apposto neir assegnare T esterno onde dipende la produ-  zione della pianta e dell' animale, che il Positivista ha  trovato essere la stessa natura (i) e il Metafisico ha cre-  duto fosse il volere diretto della divinità. L' Idealità etica è una Legjge obbligante, ossia una  Giustizia. Dunque, ha detto il Metafisico, tale Idealità è  prima una realtà fuori dell' uomo, ossia è un pensiero di  dio. E da esso è dettata in modo misterioso all' uomo. Vale a dire lo stesso pensiero divino di quella Idealità  è riflettuto nella mente umana, come in uno specchio il  raggio di luce che lo illumini da un corpo per sé luminoso. L' Idealità etica è una Legge obbligante. E non lo  sarebbe realmente se non importasse una Sanzione. Dun-  que, ha detto il Metafisico, lo stesso dio ha decretato  quella sanzione e la applica in un modo misterioso. Un  castigo misterioso è preparato in una vita misteriosa av-  venire a quelli che trasgrediscono la Legge stessa. Non sarà inutile qui di avvertire che, pel significato dì questa  parola natura, mi riferisco alla spiegazione che ne do negli 'altri  miei libri, e specialmente in quello della Formazione naturale nel  fatto del Sistema solare : e per la quale intendo solamente le proprietà  inerenti alle stesse cose. Sicché è ridicola affatto V osservazione di  certi miei accusatori superficialissimi^ che io con questa parola non  faccia altro che sostituire al soprannaturale, chiamato dio dai metafisici, un* altro soprannaturale chiamato natura.  Dal che si rileva, che la Metafisica ha notato giu-  stamente la relatività della Giustizia data nella coscienza  verso una esteriorità che renda ragione delle qualità ca-  ratteristiche della Giustizia medesima quali la osserva-  zione le riscontra nel fatto della coscienza stessa. Solo  ha sbagliato nel projettare questo fatto. Ha sbagliato la  Metafisica nel projettare V individuo cosciente sul fondo  della esteriorità immaginaria e fallace della divinità^ an-  ziché su quello della esteriorità positiva e vera della  Società,   Ha sbagliato qui la Metafisica, come negli altri  campi dello scibile la scienza vecchia in genere. Per  esempio, V astronomia tolemmaica, che aveva ragione nel  distinguere i fatti dei movimenti dei corpi celesti, ma  errò nella loro projezione. Proiettandoli essa secondo la  ragione del suo falso supposto che la Terra fosse immo-  bile, le osservazioni vere condussero ad un disegno falso  del movimento cosmico reale. Per render vero questo di-  segno r astronomia copernicana non ha avuto bisogno di  altro che di projettare le figure medesime del movimento  sidereo, notate dai tolemmaici, secondo una ragione pro-  spettica diversa; cioè secondo la ragione della immobi-  lità del Sole, e della mobilità della Terra intorno ad  esso. E così qui possiamo riconfermare il nostro asserto  per ciò che dicemmo in un capitolo della Morale dei  Positivisti (i), dove accennammo alla genesi storica della (i) Capo VII della Parte I del Libro I, n. 8 (Pag. 70 del Voi.  Ili di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 72 dell' ed.  del 1893 e del 1901, e 75 dell'ediz. del 1908).    stessa Idea della Giustizia divina nel terzo stadio della  evoluzione del sentimento religioso. L’Idealità sociale è gia Giustizia potenziale. La Giustizia adunque, secondo le cose dette,  ha due lati essenziali correlativi V uno air altro ; correla-  tivi come r individuo e la Società. Due lati: dalla parte della Società, ossia come un  fatto verificatosi persistentemente nel Potere che la eser-  cita sugli individui dipendenti : e per questo rispetto spe-  cialmente si chiama Giustizia. E dalla parte dell* indi-  viduo nel quale è, non qualchecosa di statico, come nel  Potere, ma una potenzialità, ossia qualche cosa di dinamico: e per questo rispetto specialmente si chiama Idea-  lità sociale.   Capitale questo carattere della Giustizia o dell'Idea-  lità sociale dell' individuo. E positivamente certo : poiché  corrisponde alla osservazione del fatto. E che non si può  spiegare se non per le vie onde qui lo scoprimmo. E  senza del quale poi è impossibile chiarire le diverse  forme delle reazioni sociali, e quindi delle responsabilità corrispondenti al principj etici dominanti nella coscienza individuale. E in che consiste questa ragione dinamica o questa  Potenzialità? Ossia in che modo la Giustizia nella co-  scienza individuale è una Giustizia potenziale?  Nell’individuo non può esistere distintamente  in un determinato modo il concetto della Giustizia so-  ciale obbligante, e correlativa ad una Sanzione, se non  per effetto sull'individuo stesso della vita sociale com-  plessiva, della quale esso faccia parte. Questo si: ma è  pur vero che, come la Società è V opera degli individui  che r hanno costituita, cosi la Giustizia che vi domina si  deve in ultimo alle loro disposizioni psicologico-morali,  che ne sono la potenzialità inconsapevole.   Secondo. Una volta che la Giustizia sociale è dive-  nuta, pel processo naturale inconsapevole della forma-  zione della Società, un fatto statico atto ad informare di  sé la coscienza dell' individuo vivente sotto il suo re-  gfime, questa coscienza concorre a mantenerla nell'essere  suo. E ciò più o meno consapevolmente. Così, per esempio,  il maestro di musica di una data epoca è in possesso della  sua arte perchè questa vi si era naturalmente maturata ; e  cosi potè essere da lui appresa nella forma che vi aveva.  Egli poi serve in pari tempo a mantenerne la tradizione. La applicazione della Sanzione sociale in virtù  della detta consapevolezza viene ad essere reclamata dallo  stesso pensiero della Giustizia vivente nella coscienza in-  dividuale. E quindi la detta applicazione è una soddis-  fazione della stessa coscienza individuale. E tanto, che  la Sanzione medesima essendo applicata, mentre soddisfa  il reclamo della coscienza individuale, nello stesso tempo  la rafferma e la rende più viva e sentita, come osser-  vammo nella Morale dei Positivisti (Libro II, Parte IV, Capo II, n. 17 (pag. 400 e seg. del Voi.  Ili di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 423 dell' ed.  del 1893 e del 1901, e 433 delPediz. del 1908). La coscienza individuale diventa per tal modo  giudice in primo appello, o potenziale, dei fatti e degli  ordinamenti della Socteià complessiva. E giudice delle parti coordinate nella Società^   Settimo, E giudice di se stessa. Ed ecco, in questa  ultima cerchia, la Giustizia sociale divenuta Giustizia  etica.  La Giustizia sociale cosi nell'individuo lo rende  un giudice potenziale verso tre termini: la Società stessa,  le altre parti coordinate (ossia ciò che anche si dice, il  prossimo), e se stesso.   Come giudice potenziale verso la Società coopera  nella produzione del Potere e nella riduzione di esso alla  sua forma giusta.   Come giudice potenziale verso il prossimo si atteggia  nella reazione che dicemmo della Convenienza.   Come giudice potenziale verso se stesso si manifesta  nel fatto intimo del rimorso per la colpa e della compiacenza morale per la virtù,   Resta che si considerino un poco queste tre  specie di giudizi del tribunale individuale della coscienza  di ciascun uomo,   E, per ora, la prima e la seconda.  E cominciando dalla prima, ossia del giudizio del-  l' individuo verso il Potere sovrastante. Nello sviluppo normale della vita sociale la  ragione della Autorità subordinante e la sua fissazione  in un Potere effettivamente affidato ad un dato ordine di  persone va producendosi di continuo inconsciamente (quan-  tunque in modo inegualissimo dall' uno all' altro) nella  psiche dei singoli individui. E perciò fu da noi detta  sopra, non statica, ma dinamica.   Vi si va producendo di continuo secondo che la com-  partecipazione precedente degli individui stessi li ha  messi in grado di procedere, dalla formazione psichica  acquistata inconsciamente nella matrice sociale educativa,  ad una formazione ulteriore.   E con un lavoro, che si svolge si nei singoli indi-  vidui, ma nello stesso tempo, per la comunanza della vita  morale, si aiuta nel formarsi del lavoro simultaneo degli  altri.   Inegualissimamente, abbiamo detto, nei singoli indi-  vidui. Ma colla consapevolezza del consentimento nella  formazione stessa della massa sociale. In modo che la formazione medesima, quantunque  inegualissima nei singoli, determina una tendenza com-  plessiva, che ha la potenza unica e grande corrispondente  alla somma delle individuali.   Potenza che si attesta con un effetto proporzionato:  cioè colla creazione del Potere sociale, che rappresenta  quella Idealità sociale onde è l’effetto (come già di-  cemmo), o col perfezionamento del Potere già esistente,  in corrispondenza col perfezionamento delle stesse Idea-  lità sociali.   Per tal modo il Potere, come è una manifestazione  spontanea della vita sociale, nella quale concorrono i sin-  goli individui inconsciamente, e prorompe quindi da tale  inconscio concorso irresistibilmente, cioè pel processo in-  vincibile della natura, e diventa coscienza dell'individuo  solo dopo che si è manifestato nella realtà sociale pròdotta dal processo medesimo, così è potenzialmente prima  neir individuo.   Ne viene, che V individuo stesso, una volta che ha  potuto cosi accorgersi dell' Idealità sociale produttrice del  Potere sociale (accorgersene cioè dopo la sua manifesta-  zione comune in esso operatasi), s' accorge insieme di due  cose. Che cioè la detta Idealità ha all' estemo per suo  corrispondente il Potere stabilito nella Società, ed è nata  dentro di sé: e che vi è nata col carattere di una Giu-  stizia ; vale a dire con quel carattere col quale apparisce  all' individuo quando arriva ad averne la coscienza. E  tanto, che l' individuo sfesso per tale Idealità concepita  come Giustizia giudica lo stesso fatto esterno del Potere :  ossia rileva come corrisponde o meno al principio di  Giustizia della propria coscienza, e pone astrattamente  una Responsabilità dello stesso Potere verso esso principio. Ed è ciò precisamente che notammo sopra, parlando  del Machiavellismo polìtico nel suo riguardo all' in-  terno, e del fenomeno storico del concetto della Giustizia  divina.  Il che poi spiega un altro fatto della evo-  luzione sociale. Quello cioè che, a misura che una Società  progredisce nella cultura e nella umanità, diminuisce ciò  che si dice il Diritto del più forte, é cresce ciò che si  dice il Diritto dell' uomo, e l’ordinamento sociale va  sempre più diventando elettivo.   Che è mai il Diritto dell' uomo, che si attesta di  fronte al Diritto del Potere subordinante, se non la sud-  detta coscienza individuale della Idealità sociale, onde il potere medesimo nasce e vige ? Si: è proprio la suddetta  coscienza individuale, che ne è il giudice potenziale, po-  nendolo, fissandone i confini, e creandone la responsabi-  lità in modo . astratto verso se stessa.  Questo Diritto, la coscienza lo trova in sé, in seguito  al fenomeno sociale corrispondente verificatosi; a quel  modo che la coscienza dell'arbitrio sopra le proprie gambe  si ha solo dopo che si è fatto Tuso volontario delle  gambe medesime. E l’arbitrio la causa onde si muovono le gambe ; ma  solo r effetto seguito del movimento rende avvertita la  coscienza di tal suo potere.   E ciò è proprio di ogni genere di coscienza.  Per esempio, dell' arte. Che sa dell'arte l'uomo prima  di avere prodotto un' opera d' arte? U opera riuscita inconsciamente estetica gli rivela il suo potere estetico. E  dair opera medesima che 1' uomo ricava la coscienza e la  regola dell' arte in genere e la mossa a progredire nel  correggere e migliorare la precedente, e a giudicarne.  E di mano in mano che la coscienza della Idealità  sociale va facendosi nella generalità distinta e forte e  impulsiva in proporzione dell* atto umano, anche la creazione del potere si sottrae al caso della forza brutale e  si fa dipendente dalle deliberazioni dirette degli indi-  vidui associati : tanto più razionali e libere dalla violenza,  quanto più la massa degli individui stessi è umanizzata.  Onde, se la selezione naturale è la legge secondo la  quale negli organismi in genere si crea il loro apparec-  chio centralizzatore, nell'organismo sociale, per la crea-  zione del Potere, che è il suo apparecchio centralizzatore.  ■"TW^W^^PP^la selezione naturale si specifica nella forma superiore  della ciezìofie,  E anche in ciò toma il principio già ricordato del  procedimento progressivo della Società nel suo sviluppo:  cioè del regno della Giustizia razionale, che si va sempre  più sostituendo a quello del fato: analogo al procedi-  mento generico della natura, che neir uomo tanto più è  diventata psiche quanto più ha cessato di essere cosa meramente _^ica. Tutto ciò nel processo sociale di evoluzione  normale. E nell'anormale?  Xeir anormale si genera un movimento periferico  contrastante la funzionalità centrale, che non armonizza  colle Idealità sociali già formate negli individui sotto-  posti. Un movimento contrastante che può andare fino  alla distruzione della funzionalità esistente, e quindi alla  sostituzione di un'altra che armonizzi colle dette Idealità,  ossia colla Giustizia potenziale degli individui medesimi.  E questo il processo della rivoluzione.  Succede in questa un fatto analogo a quello fisiolo-  gico della passione, nella quale una eccitazione insolita  invadente le parti subordinate dell' organismo sopraffa i  centri, sostituendo quindi il proprio impulso a quello  normale dell'apparato volitivo libero.  E tale processo anormale della rivoluzione, nel fondo,  è quello stesso normale detto sopra della evoluzione. Poi-  ché anche in questo il Governo sociale è determinato dal  consenso delle parti subordinate. La differenza sta solo  in ciò, che nel processo normale della evoluzione il centro  si presta, cedendo, ad atteggiarsi secondo le esigenze della Giustizia potenziale; e nell'anormale della rivohi-  none no. In una parola, le forze che agiscono sono le  stesse, e gli eflFetti diversi dipendono dalla diversità dei  rapporti delle forze medesime. La rivoluzione sociale propriamente detta dunque suppone una condizione avanzata di cultura mo-  rale dei membri della Società.  Più è questa cultura morale e più è irresistibile la  forza rivoluzionaria.  Ma più questa forza è irresistibile e più la sua anione è  moderata e procede per moto evolutivo anziché sovversivo-  In modo che, nel massimo della cultura, e quindi  della irresistibilità, e conseguentemente della modera-  zione, il moto rivoluzionario coincide con quello normale  progressivamente riformante detto sopra.  Q, — Perchè non si incorra in un equivoco circa il  principio sopra stabilito, bisogna ricordare qui esatta-  mente il concetto da noi posto a fondamento di tutto il  nostro discorso; ossia quello della Giustizia potenziale,  che infine è la stessa Idealfià sociale an^iegoùHca; la  quale nella umanità perfezionata è impulsiva irresistibil-  mente della volontà individuale.  Onde r individuo rivoluzionario per eccellenza è, non  Tuomo di poca levatura, nel quale la mente e il volere  si acconciano a ciò che impera esternamente» trovando  tutto buono; ma il Sapiente, quale fu da noi definito  nella Morale dei positivisti (i).  (D Libro I, Parte li. Capo IV, w. 17 (^ag^ lay del Voi. Ili di  queste Ofté re filosofiche nella ed, dei iS85, 132 dell* ed* del J&93  e deJ 1901, e 136 dell" ed. del 1908).  ^m  - 64 -  Il sapiente, come ivi dicemmo, è quello nella co-  scienza del quale le Idealità sociali antiegoistiche si sono  espresse colla massima evidenza, e acquistarono la mas-  sima impulsività sul volere. Onde è ciò che si dice un  carattere. Esso è per questo nella impossibilità di patteg-  giare cogli ordinamenti riprovati dalla potenzialità della  Giustizia imperante nella sua coscienza : anche se il patteg-  giare gli porti soddisfazioni egoistiche. Ed è anche nella  impossibilità di non isforzarsi secondo la potenzialità me-  desima ; anche se il farlo gli porti danni personali. Questi  egli li incontra senza impensierirsene e tranquillamente  come Cristo e Socrate, e tutti i cosi detti martiri delle idee.  Sublimemente questo fatto nel cristianesimo primi-  tivo è stato espresso nel principio, che òisogna ubbidire  prima a dio poi agli tcomini, E il principio, come è  chiaro dopo le cose dette, è in tutto vero, quando alla  espressione dio, che indica indistintamente una realtà  giusta, si sostituisca quella di Giustizia potenziale, che  indica distintamente la realtà stessa. E discende poi da ultimo dalle cose dette  anche la conseguenza, essere la teoria della rivoluzione  del positivismo diametralmente opposta alla vecchia della  Metafisica, espressa soprattutto oella dottrina del contratto  sociale di Spinoza e di Rousseau.  Il contratto sociale è falso per la storia naturale della  umanità.  Per la storia naturale dell' umanità è vera invece  un' altra legge : la legge della naturalità della società  umana, formantesi spontaneamente, e inconsci gli indi-  vidui subordinativi.  Nella dottrina di Spinoza e di Rousseau il moto rivoluzionario è determinato dall' individuo che si pone  come un assoluto ; e quindi è affatto egoistico ; e quindi  tende a disfare la Società. Nella dottrina positivistica invece il moto rivoluzionario è determinato dall'individuo siccome ordinato naturalmente alla Società; ossia è determinato dall’idealità che vi hanno relazione. E quindi è essenzialmente  ant-iegoistico o altruistico – l’amore dell’altro, la benevolenza, la beneficenza : e conseguentemente tende, non a disfare la  diada sociale, rna a migliorarla. Consideriamo ora il giudizio del tribunale indi-  viduale della coscienza di ciascun uomo verso le parti  coordinate nella Società, ossia verso di ciò che si chiama il prossimo. Nel che tocchiamo di un argomento di importanza principalissima tanto dal lato sociologico quanto dal lato  morale propriamente detto.  E la nostra considerazione, cominciando in questi  due ultimi paragrafi del primo Capo del libro, sarà prò-  segpiita nel seguente. La Idealità sociale è una formazione naturale della  psiche individuale umana: e tale Idealità è impulsiva del  volere : e per esso gli atti liberi dell' uomo sono antiegoi-  stici e quindi morali.  E (come indicammo anche qui nei paragrafi precedenti) la Idealità sociale agisce sopra il volere dell'uomo  presentandosegli nella forma della Giustizia; vale adire  come qualchecosa che ha rapporto con una Sanzione: ossia  è una legge che importa la Responsabilità del volere  verso di essa.  La Giustizia onde è dettata e autorizzata Téizione del  volere ne costituisce il Diritto,  La Giustizia che importa verso di se la Responsabi-  lità del volere ne costituisce il Dovere a).  Ed ecco in che modo la Idealità sociale, che è una  formazione naturale spontanea dell* individuo, è in pari  tempo, e un concetto mentale, e un motivo pratico (ossia  una forza che determina T atto volontario), e una Giusti-  zia, e una Legge, e un diritto, e un dovere.  L' essere umano, unico o collettivo, in quanto  r azione ne è determinata dalla Giustizia, è una Persona,  Il genere poi della Personalità varia secondo il genere  del rapporto creato dalla Giustizia medesima.  Considerando qui il rapporto di subordinare nell'or-  ganismo sociale, si ha la Personalità del Potere. Consi-  derando il rapporto di esservi subordinato, si ha la personalità della parte sociale sottoposta che, in ultimo, è  r individuo. Pel potere la Giustizia è la stessa Legge dello Stato.  Per r individuo è la stessa Idealità sociale che in lui si  forma e che chiamammo Giustizia potenziale.  In virtù della Legge il Potere costringe il subordi-  (i) Vedi la Morale dei Positivisti ; per es. Libro I, Parte II,  Capo IV, n. 15 e 16 (Pag. 125 del Voi. Ili di queste Opere filosofiche  nella ediz. del 1885, 131, 132 dell* ediz. del 1893 e del 1901 e pag.  135» 136 nella ediz. del 1908).  - nato alla osservanza della Idealità sociale. E quindi il  Potere ha un Diritto sul subordinato, e il subordinato ha  un Dovere verso il Potere. E il Diritto del Potere qui è  positivo.  Ma in virtù della Giustizia potenziale anche il subordinato ha una azione sopra lo stesso potere. E per tale rispetto quindi  il potere ha un *dovere* verso il subordinato; e questo  ha un *diritto* verso il Potere. E il *diritto* del subordinato qui è *naturale*. Ed ecco il concetto vero del diritto naturale, creatore e gfiudice del positivo e vendicatore sopra lo stesso potere delle ragioni del subordinato.  E cosi, per asserire lo stesso diritto naturale, non  occorre punto uscire dall’uomo, e riferirsi ad una divinità e ad una Legge da essa emanata.  Questo diritto naturale appartiene all'essere umano,  malgrado che in esso non possa formarsi al di fuori  della Società e senza che V Idealità sociale della psiche  singola siasi prima convertita nella Legge positiva del  Potere. Essendo poi il Diritto positivo lo stesso fatto  del Potere che si è costituito efifettivamente in una data  Società, con ciò si spiega come possa essere più o meno  in contraddizione col Diritto naturale, preso siccome la  Giustizia potenziale astratta, desunta dallo studio compa-  rativo dei fatti sociali, e rappresentante quindi un ideale,  che solo imperfettamente si trovi realizzato nelle singole  formazioni storiche della Società umana.  Ed essendo il Diritto positivo stesso una formazione naturale della totalità sociale, che diventa qual' è col pas-  sare dall' indistinto al distinto (per la legge comune ad  ogni formazione naturale), cosi si spiega come, prima di  essere un codice scritto, è stato una consuetudine sorta  per inconscia spontaneità; e come la stessa consuetudine,  che seguita a sorgere pure per inconscia spontaneità an- che dopo la fissazione del codice, possa a poco a poco  avere prevalenza, come diritto, sopra la legge positiva. Il Diritto naturale, oltre comprendere la ragione, imperante nel subordinato, di creatore, giudice e  vindice verso il Potere sovrastante, ne ha in sé anche  un' altra.  Vale a dire ha in sé anche la ragione di ciò che de-  signammo sopra col nome di Convenienza, che riguarda  i rapporti dei subordinati tra di loro, e non ha esecuti-  vità propriamente detta. Ora é da dire di questa più chiaramente e precisela  mente, se e come sia o no una Giustizia, e quindi appar-  tenga alla Moralità; poiché la Moralità non si può con-  cepirla se non con una Sanzione e con una Responsabilità; e quindi in ordine ad una Legge sovrastante: cioè  come una Giustizia.  Domanderemo e risponderemo di nuovo: Quale é l’ufficio del Potere? L'ufficio del Potere è triplice. Dì stabìlii-si aella Società a spese delle  sue partì.  Secondo. Di difendere l’autonomia di ciascheduna  dalla violenza delle altre. Dì dispensare nell'effetto del mij^Uoramenta  delle parti quella forza coniane dell* ambiente sociale  che opera per esso Potere. In tutte e tre le suddette forme del suo ufficio il  Potere esercita sulle parti un Diritto, come abbiamo  detto. E la ragione della azione del Potere è quindi una  Giustizia, ossia è col legata ad una Sanzione, E ciò perchè  esiste una Responsabilità per parte dei subordinati verso  di essa azione, se mai violassero gli ordini stabiliti.  E il Diritto medesimo lo dicemmo un Diritto positivo.  Ma questo Diritto positivo dimostrammo sopra di-  pendere in ultima analisi dal Diritto potenziale o dalle  Idealità mentali degli individui» Onde, in ultima analisi,  potenzialmente la Giustizia non è altro che le stesse Idea-  lità mentali. La Giustizia dunque si estende quanto la potenzialità  della Idealità sociale, formantesi nella psiche singola dell’uomo per la sua partecipazione alla vita comune della  Società; nella quale si cova, per cosi dire, il germe in-  dividuale, si che si maturi in lui la disposkione naturale  al civile coasorzio. Maturazione questa che importa tutte  tre le forme suddette dell' ufficio del Potere, se non che il Potere stesso non è tutto l’effetto di tale maturazione; ma solo una parte* Quella cioè,  che si potrebbe chiamare V effetto più disHnéù.  Oltre sififatta parte ne resta un'altra; e più estesa  ancora: ed è quella che non si matura nel fatto di un  Potere legale, ma rimane neW indistinto di ciò che chia-  miamo la Convenienza. E la Convenienza la diciamo un indistinto appunto per-  chè il Potere non è altro che un distinto che si forma poste-  riormente da essa per una elaborazione più compiuta.   Ne /iene che, se il Potere è il Diritto distinto, e  quindi la sua ragione una Giustizia distinta, (e cosi la  Sanzione e la Responsabilità) la Convenienza è invece un  Diritto indistinto, e quindi anche una Giustizia indistinta. Una Giustizia indistinta si, ma pur sempre una Giustizia.  Ed ecco come il concetto della Giustizia, e  quindi della Legge morale (col suo rapporto ad una San-  zione e con una Responsabilità) si allarga oltre la sfera  delle prescrizioni del codice pubblico e si estende a tutte  le relazioni libere tra individuo e individuo. E come  questa Legge morale extralegale sia anch'essa puramente  una formazione naturale della psiche dell'uomo civile. E  quindi non occorra per ispiegarla ricorrere al sogno della  Legge eterna della divinità. E il farlo sia un errore ana-  logo a quello della vecchia astronomia che, il moto della  Luna intorno alla Terra, lo spiegava col comando dato alla  Luna da dio di girare cosi intorno alla Terra, e non per via  della stessa naturale evoluzione cosmica; e, la virtù dell'a-  cido di intaccare il metallo, lo spiegava colla proprietà in-  taccatrice capricciosamente concessa da dio all'acido, e non  per via della stessa disposizione intima degli atomi compo-  nenti la molecola dell'acido e del metallo, onde dipende na-  turalmente ossia necessariamente, il fatto chimico suddetto. La Giustizia legale (seconda forma dell' ufficio del Po-  tere) è una gradazione evolutiva superiore di un in-  distinto inferiore da cui emerge.  Ma la cosa ha bisogno di essere dilucidata  meglio e con esempj più concreti.   K per ordine. Cioè secondo le tre forme dette sopra  deir ufficio del Potere. E comincieremo dalla seconda, di difendere l’autonomia di ciascheduna parte della Società dalla violenza delle altre. La difesa dell' individuo subordinato, assunta  dal Potere, importa che questo lo guardi dalle ofifese  degli altri, e faccia che V ofifensore risarcisca T ofifeso ; e  che gli arbitrj singoli nella loro attività si equilibrino  vicendevolmente in modo che la limitazione imposta a  ciascheduno sia la minima necessaria, la minima indi-  spa usabile ad ottenere la coordinazione giusta nella So-  cietà, richiedente la collaborazione egualmente non im-  pedita di tutte le sue parti.   Ma tale difesa, assunta dal Potere, della libertà e  del Diritto individuale non si pud estendere a tutti asso-  iuiamente i fatti sociali verificantisi attorno ad un indi"  viduo. Non a tutti, di gran lunga. Non a tutti, che sono  infinitamente molti. Ma solo ad alcuni pochi. A quei  pochi solamente che è strettamente richiesto dalla esi-  stenza del corpo sociale.   E la difesa in discorso, circa i detti pochi fatti, è  propria di quella che si chiama la Giustizia legale, o po-  sitiva, o distinta. Quanto poi agli altri infiniti fatti rimanenti ha luogo  il fenomeno sociale della Convenienza, che dicemmo es-  sere pure una Giustizia ; ma non legale, o positiva, o distinta: sibbene potenziale, o indistinta, o morale. Quella della convenienza è anch' essa una Giustizia, come la legale.  Ma indistinta. E per la ragione che, nel fondo, V una e  r altra sono la cosa medesima, e si differenziano tra loro  solamente come il distinto dall' indistinto. E tanto che,  provenendo nelle formazioni naturali il distinto dall' in-  distinto, qui nella Società la reazione della Giustizia le-  gale non è altro infine se non una forma evolutiva supe-  riore della stessa reazione della Convenienza. Anzi di più. Come l'idealità sociale della psiche umana è sola-  mente una forma evolutiva superiore di un indistinto che si trova già nei bruti, cosi la Giustizia legale si collega  nelle sue gradazioni formative, non solo con quella della  Convenienza propria dell' uomo, ma anche con quella del  semplice talento egoistico osservabile nelle reazioni tra  bruto e bruto. E mettiamo in chiaro la cosa.   La reazione tra bruto e bruto è V effetto di un im-  pulso istintivo quasi affatto egoistico. Ma non del tutto,  poiché (come osservai più volte nella Morale dei Positivisti (i) in certi istinti socievoli dei bruti fa capolino  qualche cosa di antiegoistico. L' istinto egoistico del bruto si continua anche nell’uomo ; nel quale però va emergendo l'impulso antiegoi-  stico a misura che si sviluppano in Fui le formazioni psi-  chiche superiori (2) ; in modo che nell' individuo umano  vivente nella Società apparisce la reazione della convenienza, che è mista di talento egoistico e di ragione an-  tiegoistica.   Quindi nella reazione della Convenienza si ha una  forma di passaggio dal talento egoistico del bruto alla  ragione dello schietto antiegoismo della Giustizia legale.  E questa è il divenuto della Convenienza, come la Con-  venienza è il divenuto del talento egoistico del bruto. E in effetto infinite sono le gradazioni della reazione  della Convenienza; da quella che rasenta la brutale del     (i) Per es. Libro I, Parte III. Capo III, n. 6 (Pag. 149  del Voi. III di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, 156 dell' ediz.  del 1893 e del 1901 e 161 dell'ediz. del 1908. Ciò è dimostrato in tutto il corso della Morale dei Positivisti,  essendone V assunto fondamentale.     l^WU IP ■ I     puro egoismo, a quella che tocca la più nobile del puro  antiegoismo.  Infine, se si guarda una medesima Società nel suo  progresso storico dallo stato della barbarie a quello della  civiltà, e se si guardano le diverse condizioni degli in-  dividui di una medesima Società in un dato tempo. Per  la legge, più volte indicata, che nella formazione natu-  rale i diversi del coesistente sono T immagine dei diversi  del successivo. E in oltre, da una parte, nelle Società imperfette il  talento egoistico si riscontra nello stesso Potere, e dal-  l' altra, la Convenienza, a misura che si spoglia dell' e-  goismo, si fa più antiegoistica e tende a diventare una  Giustizia legale. E la Giustizia legale da prima è stata sempre e da  per tutto una Convenienza radicatasi neir uso e final-  mente stabilitasi come legalità.   §n.   Dall'indistinto della Prepotenza (principio egoistico) nasce  il distinto della giustizia (principio anti-egoistico) che  è la risultante dinamica di quella,  per rendere evidente la verità dell'asserto, che  la Giustizia emerge, come formazione superiore, dal ta-  lento egoistico precorso, giova vedere come succede il  fatto.  Il più forte è prepotente verso il più debole.  E la Prepotenza è precisamente l'espressione del talento egoistico in opposizione colla ragione antiegoistica, o della Idealità sociale, o della Giustizia. Ne viene che l’adulto è prepotente col fanciullo, l’uomo colla donna, il robusto col debole, il ricco col  povero. Fra gli uomini sempre si verifica tale prepotenza, ma in gradazioni infinitamente diverse: da un massimo  ad un minimo. Cioè in ragione inversa dell’idealità anti-egoistica contrastante, ossia in ragione inversa della  civiltà. E ciò, tanto considerando la successione dei momenti del progresso di incivilimento, quanto considerando  gli elementi più o meno inciviliti di una medesima società. Considerando gli elementi più o meno inciviliti di  una medesima Società, la prepotenza dell' adulto del ro-  busto del maschio del ricco e via discorrendo è sempre  maggiore fra le persone rozze e minore fra le colte. E  in queste per la ragione del maggiore sviluppo delle  Idealità sociali contrastanti. Le Idealità sociali si impon-  gono alle persone colte per la semplice abitudine che ab-  biano di concepirle. Ai rozzi possono imporsi quando,  neir atto che essi inveiscono con Prepotenza, esse bale-  nano neir atteggiamento disapprovante e minaccioso di  vendetta degli altri uomini. Cioè, alle persone rozze, nelle  quali, le Idealità sociali non sono ancora una coscienza  ben forte e distinta, queste frenano il talento egoistico  nella forma di volere sociale con qualche maniera di San-  zione ; e alle persone colte non occorre la manifestazione  estema vendicatrice, perchè in esse V imperiosità della  ragione della Società è diventata una loro coscienza, che  rinasce efficace senza la espressione materiale esterna del volere sociale. Ed ecco come avviene il passaggio Del-  l' individuo dalla disposizione egoistica del bruto alla an-  tiegoistica dell' uomo civile.   Considerando poi i momenti successivi di formazione  di una medesima Società, la Prepotenza degli individui  si vede a poco a poco eliminata dalla formazione contra-  stante del Potere ; il quale, per esempio, ha tolto, in tutto  o in parte, le Prepotenze dell' arbitrio assoluto del padre  di famiglia sui figli e sulla moglie, della schiavitù sotto  le diverse sue forme, dei privilegi dei nobili, della infe-  riorità della donna, e via discorrendo.   Quando il Potere non era ancora riuscito a elimi-  nare queste Prepotenze anche la coscienza comune non  sentiva distintamente la ingiustizia loro. Mentre questa  ingiustizia vi è divenuta evidentissima in seguito al fatto  della Legge che le ha inibite. Questo fatto ha reso l'ingiustizia medesima evidente al segno, che nella coscienza  di tutti gli individui della società civile le Prepotenze  suddette appariscono delle vere impossibilità, non solo  per gli altri, ma anche pel proprio volere; cioè, nel vo-  lere, formatasi pienamente l' Idealità sociale antiegoistica  corrispondente, questa riusci ad ottenervi una forza assoluta di impulsività. E con ciò si ha la prova di fatto, e  della dottrina nostra generale circa la Moralità esposta  nella Morale dei Positivisti, e della dottrina qui toccata  del divenire della Idealità impulsiva: e della Giustizia  legale distinta dalla Giustizia indistinta della Convenienza. Ancora, le persone civili sono meno manesche delle rozze.  Onde, come fra queste è facilissima e pronta la vendetta dell' offesa, così fra quelle- riesce invece e difficilissima e  tarda. E ciò nulla ostante la persona civile ha esigenze infinitamente maggiori e più sottili verso le altre, e nello  stesso tempo assai più raramente offende. E la cosa parrebbe assurda. E lo è colla teoria vec-  chia della ragione degli atti morali. Ma si spiega chiaris-  simamente colla positiva. Il rozzo reagisce direttamente colle proprie mani, e  punisce l’offesa atrocemente : tuttavia è offeso ad ogni  poco. E basta udire, per convincersene, le ingiurie che  due persone rozze si scagliano colla massima facilità. Dunque T idea dell' utile non è quella che insegna il contegno dell' uomo. Il rozzo è più religioso del civile; e tuttavia con ciò  non è più rispettoso del Diritto altrui. Dunque 1' idea  religiosa non è la ragione della Giustizia. Immensamente più che nel rozzo è estesa l'idea del  proprio diritto nell' uomo civile, il quale dell' offesa recatagli si risente nel suo intimo assai più ohe il primo. Ciò dipende dalla più progredita formazione psichica dell' uomo civile. E questa dal beneficio più largamente produto della influenza formatrice dell' ambiente sociale. Il risentirsi poi più forte dell' offesa porta seco una  tendenza più forte a reagire. Ma nell’uomo civile anche la reazione (quantunque  più fortemente disposta) ha il carattere della umanità più  progredita. Quella dell' uomo civile è una reazione non  di egoistica e brutale Prepotenza: cioè non è fatta di  propria autorità e di propria mano. E invece una reazione fatta in nome di qualche cosa che trascende l'individuo ; vale a dire in nome di una Idealità sociale rico-  nosciuta come tale. In nome insomma di ciò che si chiama  la pubblica opinione. E questa pubblica opinione, diventata la coscienza  della persona civile, che la trae al risentimento; ed è a  questa medesima pubblica opinione che è lasciato l'in-  carico della vendetta: in modo che l’offensore è responsabile deir offesa verso la stessa pubblica opinione ven-  dicatrice, la quale per ciò viene ad essere una Giustizia.  E conseguentemente una Gitistizia viene ad essere pure  la coscienza individuale, che ne segue la morale impulsività. Una Giustizia indistinta, che precorre e prepara  alla distinta o legale. E come?  La pubblica opinione si forma nel cozzo delle parti  della Società fra di loro, onde nascono le diverse Idea-  lità sociali relative. Questa pubblica opinione si annuncia prima vaga-  mente nelle parole e negli atti accidentali degli individui. A poco a poco si stabilisce nei detti e nei pro-  verbi e nelle usanze e consuetudini comuni.  Un pò' alla volta poi crea i suoi rappresentanti di-  retti. Da questi quelli del Potere. Ma con ciò, che il  Potere non può assorbirli in sé tutti. Onde, sotto tale  rapporto, il Potere deve considerarsi siccome il vertice  di una piramide, nel quale va a collimare una infinità di  piani sempre più allargantisi di sotto, cioè una serie di  associazioni giudicatrici subordinate. Costante e organica è questa legge della for-  mazione sociale.   Da prima è V individuo che si fa giustizia da se  stesso. Nel che però non si ha la Giustizia vera, ma an-  cora solo la Prepotenza. Poi più persone aventi speciali interessi comuni si  associano in modo tacito e anche espresso in vista di  essi; e nella associazione si va costituendo naturalmente  r arbitrio collettivo sopra le contestazioni che la riguar-  dano; nel quale è già quindi un principio di vera Giu-  stizia, quantunque ancora più o meno indeterminata o in-  distinta. Da ultimo il Potere supremo della Società si arroga  il giudizio nelle contese, fissandone precisamente i ter-  mini; ed ecco il meno della Prepotenza e il più dell' an-  tiegoismo e della Giustizia. E questa è la Giustizia di-  stinta, derivata per evoluzione dalla indistinta, come questa lo è dal talento più egoistico dell' individuo. E nella nostra attuale Società la legge mede-  sima apparisce nella sua massima evidenza.   Vediamo costituirvisi dei giuri al di fuori del Po-  tere legale; i quali, in nome di una pubblica opinione  (che è il loro codice) pronunciano dei verdetti, vendica-  tori almeno iniziali delle violazioni della opinione stessa,  e che quindi ne sono la Sanzione sociale diretta. Giusta, ossia antiegoistica, perchè sociale e non individuale o di  Prepotenza. Sanzione producente una Responsabilità pei  violatori delle Idealità sociali corrispondenti; e quindi  atta ad innalzare le Idealità stesse nelle coscienze di tutti  al grado di vera Giustizia ; tanto più distinte quanto più stabile e ordinato e ripetuto e normale è l'esercizio del  suo ufficio. E anche quando non è eliminata ancora del  tutto nella vendetta V azione diretta della persona, che  ne ha da essere soddisfatta, si può tuttavia palesare l'in-  tervento subordinante di una autorità superiore all'indi-  viduo.   Come nel duello; nel quale la ragione di intimarlo  e di accettarlo deve essere sancita dal codice della opinione corrente ad esso relativa, e giudicata 1' applicabi-  lità al caso particolare da padrini, e questi devono pre-  senziare r esecuzione.   Nel duello si ha quindi una certa Giustizia, quan-  tunque molto imperfetta. Imperfetta, perchè vi si mantiene ancora troppo 1' eccessivo e il brutale dell' atto di  Prepotenza dell' individuo di vendicarsi colle sue mani.  Imperfetta ancora perchè 1' autorità che vi si intromette  non è riconosciuta come tale dalla Legge.  Il fatto del duello qui ricordato toma poi op-  portuno per confermare, colle particolarità da esso of-  ferte, la verità delle cose suesposte.   L* opinione, che vige nei paesi civili di. oggi in re-  lazione al duello, è una formazione storica della nostra  Società. Perchè, se, da una parte, esso ha la sua causa  generale in alcune ragioni costanti di ogni formazione  sociale, dall' altra però, le formalità che lo accompagnano  accusano la sua provenienza per trasformazione storica  dalla consuetudine di un tempo dei cosi detti giudizi di  dio, E da ciò si vede, come sia vero che la Giustizia  (anche quella naturale o potenziale o etema che dir si  voglia), quanto alla forma precisa colla quale è effettiva-  mente in una data Società o coscienza, è una accidenta"  lità storica. Come la produzione di un dato frutto di una  data pianta. L’opinione circa il duello non è qualchecosa di fis-  sato e sancito dal Potere legittimo, che T infligga inde-  clinabilmente anche a chi vi si rifiuti. Ma ciò non toglie  che r opinione stessa abbia una forza ; e tale da imporsi  quantunque gravosissima, alla volontà. E da ciò si vede  che la Giustizia ha già una effettività piena di efficacia  anche nella forma indefinita della spontaneità vaga della  opinione pubblica. Ma r opinione circa il duello, appunto perchè ancora  in quello stadio della vaga spontaneità sociale, non ma-  turata e non maturabile in una Legge del Potere che la  stabilisca per tutta la Società, vi si restringe ad un certo  ordine di persone. E (cosa curiosissima) per questo or-  dine di persone è divenuta una idea di una impulsività  potente, certa, indeclinabile, atta a tenerlo sotto il proprio  impero, mentre per gli altri, esenti dalle influenze onde  è insinuata, è come se non esistesse. E tanto che, dove  presso gli uni è moralmente spregevole e disonorato chi  non si attiene alle prescrizioni della opinione favorevole  al duello, per gli altri è cosa ridicola e stolta il tenerne  conto. L' opinione relativa al duello associa delle conse-  guenze esecutive gravissime a fatti riguardanti V onore.  L' onore, che è un semplice rapporto mentale dell' indi-  viduo colla Società. E da ciò si vede che neir uomo, per  lo sviluppo speciale onde la sua psiche è capace, si  Voi. IV. 6    creano delle entità di un ordine superiore, che sono impossibili pel bruto e si trovano solo inizialmente e quindi  poco avvertite nelle Società rozze e nelle classi sociali  meno colte. Delle entità aventi per base, non il benes-  sere materiale dell* individuo, che è l'espressione del puro  egoismo, ma il benessere degli spiriti associati, che è  r espressione della ragione antiegoistica. Qui insomma  r individuo si trova necessitato perfino al sacrificio vo-  lontario della vita in omaggio di un' idea che lo padro-  neggia. L' opinione relativa al duello tende (come tutte le  altre opinioni, con tendenza positiva o negativa) a diven-  tare una Legge della Società. Questa tendenza in parte  è riuscita, in quanto esistono già delle disposizioni posi-  tive di Legge che riguardano il duello. Ma in parte non  è riuscita. Ora T analisi accurata della tendenza medesima e di ciò che n' è riuscito e non riuscito ci raggua-  glia circa il processo naturale, onde la Giustizia indi-  stinta, ossia la Convenienza, si fa la Giustizia distinta,  ossia la Legge positiva. Il Potere ha emanato delle disposizioni relative al  duello. Ciò ha potuto fare solo in seguito all'essersi que-  sto fenomeno sociale fissato a poco a poco nelle sue  forme precise, che presentarono 1' occasione alla opinione  pubblica di manifestarsi nel senso del partito adottato  nella Legge.   Ma, delle disposizioni stesse prese una volta dall'au-  torità in relazione al duello, altre rimasero poi anche in  seguito perchè trovate rispondenti allo scopo sociale, di  non impedire in modo nocivo il corso inevitabile di certe reazioni di Convenienza j altre invece dovettero essere  smesse come inopportune e quindi contrastate nella prova  dalla coscienza dei cittadini, cioè dalla Giustìzia poten-  ziale che, come dicemmo tante volte, è Tarbitro naturale  di ogni Legge sociale.   Il Potere però, nella reazione anche esecutiva del  duello, non ha potuto sosHiuirsi ialalmenie, come è la  sua tendenza in generale per rapporto a qualsiasi esecu-  tività forzata delle reazioni dirette tra individuo e indi-  viduo. E ciò ci istruisce praticamente di due cose, che già  osservammo sopra. Vale a dire:   Primo. Che nel Potere non si può appuntare se  non una parte delle reazioni tra indivìduo e individuo;  come nel cervello non arrivano direttamente dei fili ner-  vosi che governino immediatamente tutti i punti della  massa del corpo: ai quali invece in gran parte il cer-  vello fa sentire la sua influenza solo per J' azione che  esercita sopra centri secondari, aventi però anch' essi una  propria azione, che si compie in parte senza rintervento  degli organi cerebrali.   Secondo. Che, se una tendenza reale dell' individuo  non può essere soddisfatta intéramente dalT intervento  del Potere, Tindividuo cerca la soddisfazione da se ; come  in un assalto improvviso dì un assassino, dove, non po-  lendo la forza pubblica difendere il cittadino, a questo  è concesso il Diritto anche dell' uccisione a propria di-  fesa.   Per cui si arguisce, che il fatto ancora incivile ed  anomalo del duello non sarà evitato nella civiltà, se non quando in questa le questioni circa V onore potranno es-  sere risolte appieno giuridicamente, sia modificandosi l'o-  pinione pubblica relativa, sia trovata in base a questa  una legislazione atta all' effetto. Vedemmo fin qui come la Giustizia legale, af-  fatto antiegoistica, del Potere sorga dalla potenziale della  coscienza degli individui, che ha per base una Idealità  sociale antiegoistica non ancora divenuta una Legge, e  nello stadio tuttavia solamente di opinione più o.meno  comune.   Resta ora a chiarire come questa Giustizia poten-  ziale, avente per base una Idealità antiegoistica, si svolga  anch' essa alla sua volta da una forma ancora più im-  perfetta di tendenza dell' uomo, cioè dal talento brutale  egoistico della Prepotenza. La reazione del semplice talento brutale, o  della Prepotenza, per la concorrenza dei prepotenti di  pari forza, diventa Equipollenza: e quindi Giustizia,   Non occorre per ciò che intervenga un elemento  nuovo. Il diverso, anzi 1' opposto, della Giustizia si ot-  tiene per la semplice reduplicazione dell' identico della  Prepotenza elementare dell' individuo. Per la legge universale dell' emergere del diverso distinto  dair identico indistinto per la reduplicazione dei molti identici (prima  distinzione dell* indistinto uno), che ha luogo in tutte le formazioni  naturali. Come ho dimostrato nello scritto sulla Formazione naturale  nel fatto del sistema solare (Voi. II di queste Opere filosofiche)^ e  come dimostrerò nei libri relativi alla Formazione del pensiero (nei  voi. V, VI e VII di queste stesse Op, fil.) Così nella formazione  chimica la materia identica diventa gli opposti deir acido e della  base dopo che, distintasi in atomi diversi, questi poi si reduplicano  e si aggruppano variamente. La Prepotenza è la coscienza che l' individuo ha acquistato del fatto della propria Attività  che esso ha esperimentato ; e la Giustizia è la coscienza  che neir individuo stesso ha dovuto formarsi del fatto  della Equipollenza degli altri individui dato dalla espe-  ricìiza delle Prepotenze concorrenti nella Società. Sicché nel bruto la psiche non arriva alla trasfor-  mazione in discorso, perchè in esso, non essendo un es-  sere sociale, non si può formare la coscienza successiva  a quella della Prepotenza come nell* uomo, che è un essere sociale (Onde poi raccogliamo la conferma di un altro dei grandi principi  da noi già spiegati della Formazione naturale : vale a dire che la  Cosa è il molteplice preso nella coesistenza dei singoli, e la Forza è  lo stesso molteplice preso nella loro successione. Sicché Cosa e Forza  non sono che distinzioni di un identico indistinto : il quale, preso  nello schema della coesistenza, è la Cosa, e, preso nello schema  della successione, è la Forza. — La Giustizia o T idealità sociale,  come apparisce dalle cose dette nel libro, suppone una successione  di fatti ; ed è assurda senza questa supposizione. Ma nello stesso  tempo, potendo questi fatti succedentisi essere presenti contempo-  raneamente al pensiero, pel lavoro suo descritto nella Morale dei  Positivisti^ è una entità (Cosa) del pensiero, ed è una virtù efficiente  (Forza) nella dinamica morale (Impulsività dell* idea). E qui dobbiamo notare una cosa curiosissima, spiegabile solo  colla nostra teoria della identità, nel fondo, della Cosa che è, e della  Forza onde essa agisce.  L' Idealità sociale è impulsiva del volere umano in quanto gli  si presenta siccome una Giustizia, vale a dire in quanto gli fa pro-  spettare una Sanzione ; ossia lo avverte della sua responsabilità. E tuttavia, a misura che V Idealità sociale si fa più viva e abituale,  diviene invece più vago il presentimento pauroso delle relative  conseguenze di punizione per parte della reazione sociale. Anzi il  massimo della impulsività dell' Idealità sociale (nel Sapiente e nel  Regno della Giustizia, come dicemmo nella Morale dei Positivisti)  va col minimo del presentimento pauroso della punizione sanzionatrice.  Il concetto umano della Giustizia si forma da  quello della Prepotenza per V equilibrio di molti prepo-  tenti nella loro concorrenza sociale.   La filosofia tradizionale (o la filosofia sana, come la  chiamano) spiega la Giustizia ponendola siccome lo stesso  comando di dio. La spiega così: aggiungendo molto ingenuamente  alla sua spiegazione V avvertenza, che la Giustizia, ri-  mane distrutta assolutamente tosto che si rimova la di-  vinità e il suo volere assoluto.   E invece la verità è precisamente il contrario. La  Giustizia» in questo volere divino, è V opposto, ossia la  negazione, della Giustizia come tale. Come ne è l'oppo-  sto e la negazione la Prepotenza come tale.   Il volere di dio è la Prepotenza innalzata al grado  dèlia Prepotenza assoluta.   E il bello si è che la stessa filosofia tradizionale ha  dovuto accorgersi de IT inconveniente, tanto o quanto, an-  ch' essa, senza intenderlo distintamente. Poiché ha dovuto  maritare, nella sua dottrina della ragione della Giustizia,  il principio del volere divino con quello della conoscenza  che dio debba avere dell' essere intimo delle cose, e  della necessità onde il suo volere sìa costretto assolu-   Egli è come dire, che è V ordine dei fatti sociali, il quale è  diventalo un inrro ordine ideale, presente al pensiero in un suo atto  intuitivo momentaneo : qiTasi forza fissatavisi dal di fuori come  sommi» unica di efileni ng^i untisi a poco a poco l’uno all' altro. Proprio come la proprietà attuale, onde una sostanza è atta ad  agire in un dato momento con una data intensità dì forza, sì è for-  mata in questa per la addizione successiva, mettiamo, dì un certo  numero di \:alorie, entratevi dal di fuori a poco a poco V una dopo  V altra.     -tamente (se ha da essere giicsto) a regolarsi nel suo comando secondo le esigenze della essenza da sé cono-  sciuta appieno della cosa, alla quale impartisce il co-  mando.   In questo secondo principio maritato al primo è stata  riconosciuta implicitamente, in qtuilche maniera, tardi,  imperfettamente, confusamente e con una contraddizione  col primo principio la verità di ciò che dimostrammo ;  ossia della derivazione della Giustizia dallo stesso uomo  per effetto della sua convivenza sociale.   Imperfettamente, dicemmo. E la dottrina teologica  della predestinazione n' è testimonio. E tardi : cioè a misura che lo studio dei fatti guidò  al presentimento confuso della verità contenuta nella  dottrina positiva. Tanto che la storia della idea di dio  ce lo presenta prima coir impero capriccioso, dispotico,  appassionato, mutabile del tiranno prepotente. E succes-  sivamente con una mitigazione del capriccio e della prepotenza, quale era suggerita dal fatto della legislazione  sociale in lui oggettivata, che venne diventando sempre  più giusta per T equi librar visi sempre maggiore degli  elementi componenti.  Come si è detto, nell'individuo non coordi-  nato nella Società si ha la sua autonomia che si goverua  colla Prepotenza.   una risul- tante dinamica di esse, per le considerazioni che seguono. Con uno straniero, e soprattutto con un barbaro, o con un selvaggio, un uomo in generale non sente il dovere della Giustizia come con un altro uomo della sua stessa Società. Perfino si dà che in faccia ad un uomo di razza diversa si atteggi ne' suoi sentimenti come in faccia ad un bruto o ad una fiera. E la cosa è naturalissima. La sua Società è in lotta colla popolazione alla quale appartiene queir uomo. La sua Società quindi si atteggia verso di essa e verso i suoi Componenti come un prepotente ; ed egli pure. Anche se non è in lotta, dal momento che 1' offesa recata al(Il  Nel che si verifica la legge generale di tutta la natura, che  r ambiente è necessario all' ottenimento di una formazione, mettiamo la nebulosa solare alla formazione di un pianeta, o 1* ambiente vege- tativo alla formazione di un seme ; ma una volta ottenuta la forma- zione questa funziona come tale anche indipendentemente dalle con- dizioni onde emerse. Mettiamo la forma e la solidità di un pianeta, e la virtù vegetativa specifica del seme. ^'^''PfliW^^IF lontano selvaggio non è vendicata dal tribunale del pro- prio paese, né di nessuno, queir offesa stessa non appa- risce un attentato vero e proprio contro la Giustizia. Che se ci sono degli uomini che sentono la Giustizia  anche per gli estranei, fossero anche dei selvaggi, questo  succede solo per quelli nei quali il sentimento della Giu-  stizia, prodotto prima nel modo che spiegammo, è diven-  tato una forma perfetta e assolutamente dominante della  psiche, e che agisce da sé e senza il bisogno più del co-  stringimento dell' ambiente produttore, e con una sponta-  neità esuberante. Ancora, nella stessa Società un gentiluomo è molto cauto  nelle sue relazioni coi stcoi pari. Non lo è egualmente  trattando con persone di condizione inferiore.E ciò perchè co' suoi pari le conseguenze speciali del  suo contegno (quelle mettiamo di un duello) hanno indotto  un ordine di Convenienza che non occorre per gli altri,  relativamente ai quale le conseguenze non hanno la me-  desima gravità.   In una parola, chi sta sopra è prepotente cogli infe-  riori, e non co' suoi pari, coi quali è più giusto. La formazione della Giustizia nel senso proprio va colla  formazione del Potere onde è l' espressione. L’idea della Giustizia non nasce se non dietro  i fatti determinati prodottisi effettivamente nelle reazioni  degli associati.  Dico, dietro i fatti determinati. Non prima di essi.   contenuta.   Per questo il Potere (nel senso da noi qui inteso)  è eminentemente la Giustizia, che i poeti rappresentarono  colla bilancia in mano (1* equipollenza giusta degli arbi-  trj) e colla spada nell' altra (la forza onde si determina  r equilibrio tra arbitrio e arbitrio). E lo è perfettamente  esso solo.   Lo è eminentemente in quanto dispone di una forza  che costringe e determina i soggetti alla osservanza della  Idealità sociale, o giusta, che dir si voglia.  Lo è perfettamente esso solo, in quanto a sé solo ri-  serba il costringimento violento alla osservanza della me-  desima Idealità giusta.   Onde viene poi che la Giustizia propriamente detta  si restringe agli atti che possono cadere sotto la direzione  del Potere, e non comprende quelli che ne sono esenti:  i quali per ciò rimangono la sola Convenienza.   E su tutto ciò non cade dubbio. Il furto, per esem-  pio, dove non e' é un Potere che lo inibisca, non é un  delitto. È solo un atto pericoloso e che esige del corag-  gio e della avvedutezza in chi lo commette. Dove e' é un Potere, che proibisca sì il furto, ma sia  impotente a impedirlo, il furto stesso é un delitto vago  e non grave.   Dove il Potere lo impedisce effettivamente e lo col-  pisce con forti punizioni è un delitto grave.   E può essere un delitto di varie specie se la puni-  zione è varia.   Per esempio, il furto del privato a danno del privato, che importa la prigionia del ladro, è perciò un de-  litto infamante. Il furto invece di un privato che non paga  un diritto della pubblica finanza, onde incorra solamente  in una multa pecuniaria, non è più infamante, a motivo  che la punizione non è la prigionia ma la multa.  La quale forza poi del Potere, onde è mante-  nuta violentemente V osservanza della Legge, in due ma-  niere è dispensata. '   Direttamente cioè dal Potere, stesso per V otteni-  mento delle condizioni occorrenti alla vita sociale, e indi-  rettamente quando esso è domandato per interesse pro-  prio delle parti individualmente offese.   E da ciò due forme di Giustizia. Questa seconda più  sentita dagli individui meno educati e quindi più egoisti ;  la prima più sentita dai più eletti e quindi meno egoisti.  L' avaro si commuove per la infrazione della Legge . della  proprietà individuale, che è per esso la Giustizia per ec-  cellenza. Il virtuoso si commuove per una disposizione po-  litica antiliberale, preoccupandosi soprattutto della Giu-  stizia in se stessa. La circostanza di questa forza materiale occor-  rente al Potere ci conduce a scoprire una legge fonda-  mentale della Sociologia, ossia della formazione naturale  deir organismo e della vita sociale.   Nel Potere, per costituire questa sua forza, sono as-  sorbite delle forze prese dal corpo sociale: e in ima certa  misura (i). Così la forza propria del cervello, onde sono     (i) Ci limitiamo qui a notare il fatto. Quale sia questa misura,  e come sia variabile fra estremi assai distanti secondo le condizioni  e gli stadj storici di una Società, deve essere lasciato a uno studio  regolate le funzioni del corpo di un uomo, è costituita  dalle forze prestate dal sangue del corpo medesimo in  una misura, che non può essere oltre certi limiti.   Ora una quantità determinata di forza non può pro-  durre se non un effetto limitato, proporzionato ad essa.  Ne viene che, se la Società è mcipiente o selvaggia o  rozza, tutta la forza rimanendo impegnata nel costringere  gli individui a osservare la Legge fondamentale della esi-  stenza sociale, il Potere rimane senza altra forza da di-  sporre per la produzione nella Società di miglioramenti  ulteriori (i).   Ma quando in seguito si sono introdotte, colla ripetizione degli atti violenti di coercizione sociale, le abitu-  dini giuste, queste producono poi V effetto della osser-  vanza della Legge per parte dei soggetti da sé; e la-  sciano la forza del Potere disimpegnata e quindi disponi-  bile per altri usi, per altri lavori, per indurre altre abitu-  dini superiori ; insomma pel progresso ulteriore della vita  sociale. Cosi nel corpo dell' uomo. Nel bambino il cervello è  tutto impegnato nel produrre le abitudini dell' esercizio  delle membra; e pogniamo anche in quelle di leggere e  scrivere. Prodotte queste abitudini iniziali, resta disponi-     particolare, che può da sé fornire materia per una scienza spcciaU,  E per noi basta notare, che la misura in discorso va crescendo in  ragione che progredisce V organizzazione sociale ; analogamente a  quanto si osserva negli organismi biologici, nei quali cresce la pro-  porzione del cervello in ragione che si fa maggiore la centralizzazione  degli organi.   (i) Ciò si ripete nel caso di una guerra, che assorbisca le risorse  del Governo ; e nel caso di anarchia che le dissipi.   bile per altri esercizi. Mettiamo per la cultura propria-  mente detta. E ottenute le abitudini di questa cultura, ri-  mane poi libero per V esercizio di una professione parti-  colare. E cosi via.   E insomma la questione dell' immagazzinamento delle  forze. Un' abitudine in un individuo è la forza che, por-  tata sopra di lui una lunga serie di volte, vi si è imma-  gazzinata in questa forma. Come nella produzione delle  proprietà delle sostanze chimiche dalle più semplici alle  più complicate. Come nella produzione della pianta dal  seme fino al frutto maturatone.   Onde la Giustizia, che va producendosi nelle coscienze  dei singoli uomini raccolti nella Società civile è )' imma-  gazzinamento lento e progressivo della forza dispensata  dal Potere nei singoli atti infiniti del suo esercizio, e im-  pressa e ricevuta in quelle coscienze volta per volta. An-  che nel fatto del concetto della Giustizia, come in ogni  fatto distinto della natura, si ha una forza o un rifmo  persistente, ottenuto per la fissazione di una forza appli-  cata dall' ambiente e divenuto 1' essere costitutivo di ciò  in cui si è formato (i), ossia dell' uomo civile come tale. Il che poi dimostra che anche la Società, come  ogni altra formazione naturale, è una formazione che  nasce, progredisce e muore.   Quando nasce, è la violenza che tende a produrre il  fatto e il sentimento della Giustizia.   Quando progredisce, è la forza del Potere che si di-  ■I) Si allude alla Legge della Formazione naturale \A\\\q\X.^ ^o^x?i  accennata.    spensa ad ottenere ordini sempre più alti di azioni e di  idee giuste.   Quando muore è V organismo vecchio, che non si  presta più al mantenimento di questa forza comune orga-  nicamente subordinante del Potere. Come (per una forma  dì questa morte) nella famìglia vien meno il potere su-  bordinante del padre quando la personalità adulta dei figli  non si presta più alla coordinazione di essi sotto la tu-  tela del capo della famiglia.  Se non che, riguardo alle Società che muoiono,  vale del pari ancora la relativa legge naturale di ogni  altra formazione, per la quale la morte «di un organismo  non è mai totale, restando tuttavia i ritmi singoli pro-  dotti dallo stesso organismo mentre era vivo. Come nel  seme della pianta, che resta alla morte di questa. Come  nelle idee, che restano per gli uomini succedenti a quelli  che le hanno trovate.   Sicché il mondo greco e il mondo romano, per es.,  sono morti come quelle date formazioni sociali, ma re-  starono le idee della Giustizia umana nate nel loro seno.  Restarono come germi, o magazzini di forza già elabo-  rata. E dei quali si giovarono le Società europee venute  dopo, che non dovettero ricominciare da capo (ossia dalla  condizione infima dell' uomo preistorico) il lavoro della  organizzazione sociale.  La giustizia è la forza specifica dell'organismo sociale. Siccome poi V organismo e la vita sociale si  spiegano per la Giustizia che vi si produce, cosi la teoria   «T-     della formazione naturale della vita sociale è anche nello  stesso tempo la teorìa della formazione naturale della  Giustizia. La quale per ciò è una formazione naturale,  come il Sistema solare, come un Minerale, come un Ve-  getale, come un animale, come una Goccia di Rugiada,  come un qualunque Pensiero di un uomo.   È cioè la Giustizia una formazione naturale della  Società ; come, ad esempio, si direbbe che la vegetazione  è una formazione naturale del nostro Pianeta.   Ed è la Giustizia la forza specifica della società medesima. Ne è la forza specifica, come si direbbe che V affi-  nità è la forza specifica delle sostanze chimiche, la vita  delle organiche, la psiche degli animali.   Nessuna affinità, o vita, o psiche, senza sostanza chi-  mica, organismo vivo, animale. Del pari nessuna Giusti-  zia senza Società umana.   L* affinità, la vita, la psiche scaturiscono dalle stesse  forze onde esistono i loro soggetti ; e ne rappresentano  la risultante, che, come tale, si distingue specificamente  dalle forze producenti medesime. E cosi la Giustizia sca-  turisce dalle stesse autonomie prepotenti degli individui,  ed è la specie distinta di essere risultante naturalmente  dal loro contemperarsi insieme. La società quindi, come tale, è tanto più per-  fetta quanto più è forte V idea della Giustizia formatasi  nei consociati ; ossia quanto più questi sono morali : sic-  ché meno sia uopo concorrere colla forza materiale al-  l' ottenimento dell* ordine sociale.   D che equivale al dire che T Idealità sociale sia più  Voi. IV. 7    impulsiva da se stessa nella psiche di ciascheduno, e  quindi il regno della Gitcstizia {adoperando la nostra so-  lita espressione) si sostituisca a quello del Fato o della  Prepotenza.   In modo analogo una sostanza chimica è tanto più  stabile e perfetta quanto più V Affinità degli atomi vi è  grande» e la rende atta a mantenersi nell' essere suo in-  dipendentemente dalle circostanze fisiche esterne della  temperatura, delP ambiente, della compressione e via di-  cendo, che suppliscano colla loro azione al difetto della  forza di coesione intima dei componenti. La costituzione dell'organismo sociale, e quindi  la sostituzione della Giustizia alla Prepotenza, produce  la incolumità dei consociati. La incolumità, che non è  altro appunto se non la elisione della Prepotenza oflFen-  dente.  Questa incolumità ha due fattori :   Primo. La forza materiale disposta nelle mani del  Potere per far valere violentemente la Legge contro la  Prepotenza non domata delle parti subordinate.   Secondo. Il sentimento del Dovere formantesi negli  individui associati nel modo detto sopra. Ora, siccome questo sentimento del Dovere (o questa  Idealità sociale impulsiva, che torna lo stesso) è una vera  forza traente l' individuo a vincere la propria tendenza  egoistica della Prepotenza, e a segfuire la ragione an-  tiegoistica della Giustizia o della Legge, cosi le due  forze suddette, del Potere di fuori e del Dovere di dentro  collimanti a produrre V incolumità dei consociati e in^e-  granfisi vicendevolmente nella intensità sufficiente al-  l' uopo, si troveranno concorrervi in ragione inversa.   Meno è il sentimento del Dovere sviluppatosi nei  singoli individui, e più dovrà essere la forza materiale  usata dal Potere. E viceversa, più il sentimento del Do-  vere, e meno la forza materiale.   E ciò, sia normalmente, sia accidentalmente; e per  certi momenti critici sociali, e per certe Idealità.   La incolumità  poi del cittadino importa un  complesso di condizioni sue particolari molte e diverse,  cominciando dalla fondamentale della salvezza della vita  materiale e andando fino alle più delicate (proprie delle  condizioni sociali più perfette) del rispetto morale vicen-  devole negli atti anche più comuni della vita.   Il Potere supremo della Società non può (come altre  volte avvertimmo) provvedere per tutte le dette condi-  zioni della incolumità del cittadino : ma deve necessaria-  mente intervenire almeno per le fondamentali. Da ciò consegue che l’azione materiale sulla persona del cit-   Chi consideri tutte le possibili reazioni tra uomo e  uomo in una Società di leggeri può rilevare due cose  molto importanti pel discorso che facciamo qui. Cioè:  Primo. La varietà infinita delle azioni di un uomo  atte a destare in qualunque modo la attenzione di un  altro. Fogniamo, partendo da un assassinio e venendo  fino ad uno sbadiglio. Nella quale varietà, come è chiaro  da sé, si hanno delle vere diflFerenze di generi e di specie.  Secondo. Il sentimento nascente in un uomo, per  reazione, in seguito all' azione da lui osservata in un  altro. E di tale sentimento abbiamo parlato nella Morale  dei Positivisti (i), mostrando quanto sia variato e come  formi una serie di sentimenti diversi, anzi una scala in  ordine di nobiltà.  Ora, per le cose dette, ripetendosi e le azioni e i  sentimenti accompagnanti le reazioni che le susseguono,  si producono un po' alia volta e si fissano nella psiche,  come sue potenzialità, delle Idealità sociali corisppndenti.  Le quali per ciò sono costituite dalla rappresentazione  della azione e dalla reazione effettiva conseguente: onde  sono Idealità impulsive del volere, ossia Giustizie. La mente si confonde pensando alle varietà possibili  ad emergere in ragione di tale processo. I pochi ele-  menti del chimico, si sa a quale infinita varietà di for-  mazioni di sostanze si prestano: le poche note musicali,  a quale infinita varietà di composizioni musicali ; le poche  lettere dell' alfabeto, a quale infinita varietà di suoni ar-     (i) Libro I, Parte I, Capo III (Pag. 21 e segg. del Voi. Ili di  queste Op, fil. nella ediz. del 1885, del 1893 e 1901, e pag. 22 nel-  l'Ediz. del 1908).     I20   ticolati. Or che sarà della varietà delle formazioni psichiche  della Giustizia, pensando anche solo alla varietà dei senti-  menti componibili colle rappresentazioni degli atti sociali? Per farcene una qualche idea prendiamo un esempio.   Neir uomo, fra i molti sentimenti onde è capace, si  ha anche quello caratteristico corrispondente alla espres-  sione del ridere. È questo si può connettere con un nu-  mero senza fine di rappresentazioni di atti, dando ori-  gine cosi al genere delle Idealità comiche ; le quali nes-  suno ignora quanto siano potenti neir indirizzo della vita  e nell'impero della volontà; mentre è pur vero che il  timore del ridicolo ha talvolta più efficacia che non il  timore del carcere e della multa.   Il fatto, pel mondo morale, è analogo a quello di  una sostanza che, potendosi combinare con tutte le altre  nel mondo materiale, è atta a determinarvi un atteggia-  mento particolare per tutto T essere suo. Il nostro mondo,  per esempio, sarebbe un mondo aflFatto diverso da quello  che è, se gli mancasse il ferro. E cosi dicasi degli orga-  nismi in genere se mancasse, mettiamo, il potassio che  concorre a formarli, essendovi quindi un ministro della vitcu   Allo stesso modo V atteggiamento morale dell'uomo,  quale è al presente, verrebbe meno, se mancasse il coef-  ficiente del riso, che concorre a formarlo, essendovi quindi  con ciò anche esso un ministro del bene.   Il quale ragionamento poi va ripetuto per tutti i  sentimenti umani ad uno ad uno, che sono altrettanti  coefficienti dell* Idealità sociale direttiva delle azioni u-  mane, attivandola sotto la forma di generi speciali dì  Idealità o di Giustizie.  E della varietà inesauribile di queste, per tale via ottenute, è un saggio V arte, che nella scultura, nella pit- tura, nella poesia, nella prosa, riproduce dalla coscienza, in tante forme, gli atteggiamenti morali dell' uomo. In tante forme li ha riprodotti, e in tante ancora, senza fine, è atta a riprodurla 3. — E i sentimenti umani riescono cosi coefScienti della Giustizia, perchè un sentimento, qualunque sia, essendo la reazione corrispondente ad un atto, ne è anche la Sanzione ; e chi commette V azione atta a susci- tare un sentimento incontra una Responsabilità in ordine ad esso.  Anche ciò è essenziale al concetto naturale vero e  pieno della Responsabilità umana.   Anche ciò quindi appartiene all' ordine naturale della  Giustizia nella varietà delle sue formazioni. Il restringere 1* ordine della Giustizia a quei pòchi  atti ai quali si rìduceva una volta, e che si abbraccia-  vano nei dieci comandamenti del decalogo, è eflFetto di  nna grossolana e non scientifica idea della cosa. Come  il restringere che fa il volgo dell' idea dell' animale a  quelli che sono forniti di occhi e di gambe per camminare: e il restringere l' idea del vegetale a quelli soltanto  che hanno le foglie verdi.   La scienza ha trovato animali anche senz' occhi e  fissi alle pietre ; e vegetali senza foglie e senza verde. E  cosi trova delle Giustizie senza la Sanzione del carcere  e della multa. La restrizione suddetta corrisponde insomma perfet-  tamente a quella che fa il volgo e fecero gli antichi delle  specie degli animali, credute poche e sempre quelle e mo-  dellate a priori sugli esemplari fatti passare da dio in  rivista davanti ad Adamo nel paradiso terrestre.   E dipende dalla stessa ignoranza della legge della  formazione naturale. Poche, dicevano, e sempre quelle, le specie degli ani-  mali ; e create direttamente da dio, e mostrate ad Adamo  al principio del mondo nel paradiso terrestre. E cosi,  poche e sempre quelle le specie della Giustizia, impresse  da dio direttamente neir anima di ogni uomo che nasce  e scritte sulle tavole di Mosè dalla cima del monte Sinai [cfr. Grice, ’10 comandi’, decalogo] La scienza sbugiardò V idea meschìnissima quanto  alle specie degli animali. Sbugiarda col positivismo l'idea  meschinissima quanto alla Giustizia. Non dio, autore delle  specie degli animali; ma la natura: e le specie, un nu-  mero stragrande; e non fisse, ma variabili; e variabili  accidentalissimamente. E cosi, non dio autore delle specie  della Giustizia, ma la natura : e queste specie, un numero  stragrande e immensamente differenziato ; e non fisse, ma  variabili; e variabili accidentalissimamente.  L'idealità sociale, ossia la giustizia morale,  formata che sia nella coscienza dell' individuo, vi fun-  ziona come una forza speciale, nel senso antiegoistico  chiarito nella Morale dei Positivisti; e vi produce un  doppio effetto, secondo che si applica al giudizio e alla  direzione delle azioni individuali proprie, ovvero al giu-  dìzio e alla direzione delle azioni degli altri.   Da questo secondo effetto dipende la vitalità intrin-  seci e vera della Società, considerata siccome un organismo naturale nel senso proprio della parola. Perchè la  Giustizia, parlando nella coscienza dell' individuo, è la  potenzialità indistinta onde originano i distinti dei Po-  teri sociali effettivi e delle Leggi da essi emananti; e  perchè la Giustizia potenziale degli individui associati  collabora a rendere efficace l’opera del potere e della  legge sociale. E come se si dicesse che un organismo, pogniamo  vegetante, si sviluppa nei suoi organi caratteristici mercè  la vitalità delle parti componenti: e che poi T attività  di questi organi speciali è operativa de' suoi effetti par-  ticolari sopra le parti mercè il concorso della vitalità che  si mantiene nelle parti stesse. Sempre insomma la legge  generale della formazione naturale, che l' indistinto non  cessi mai di sottostare al distinto, e di offrire cosi la ra-  gione naturale e del suo essere e del suo operare.   Cosi si osserva che una legge in un paese rimane  senza efficacia e come lettera morta se, a farla valere, è  solo il Potere, e non lo ajutano di conserva le singole  coscienze dei cittadini; le quali, accogliendo in sé la  forza viva già formata della Giustizia morale, ne ricevono  un impulso atto a muoverle alla disapprovsizione degli atti  contrari alla Legge e a concorrere per quanto possono a  farla valere.  E, quanto sia vero ciò che affermiamo, lo di-  mostrano i fatti sociali tutti quanti. Anche, per esempio.     r interesse vivissimo onde si tien dietro allo svolgimento  di un processo criminale, pur dei paesi lontani, pure re-  lativo a persone che non ci riguardano punto, né diret-  tamente, ne indirettamente.   Che più? Tanto è viva e potente nell'uomo T idea  della Giustizia antiegoistica, che egli non può stare che  non ne provi V eflFetto più vivo anche pei fatti immagi-  nari delle fole, dei racconti, delle poesie, dei drammi.  Data r immaginazione di un fatto, al quale sia applica-  cabile l'idea della Giustizia, questa per legge psicologica  indeclinabile si ridesta nella mente, e col suo naturale  atteggiamento: come in tutte le altre associazioni men-  tali. In ciò la spiegazione della vivezza della voluttà,  onde si leggono o si odono i suddetti racconti, e si as-  siste ai drammi. E la vivezza di tale voluttà è il termo-  metro che prova la presenza nella coscienza della idea  efficace della Giustizia e ne ne misura l' intensità.  La punizione materiale, vendicatrice della Giu-  stizia, sarà necessaria quindi in ragione inversa della ef-  fettuazione nella coscienza della Idealità sociale giusta.  Meno sarà questa, e più dovrà essere la severità e la  prontezza della pena materiale, che n' è la Sanzione. Il  che, come altrove dicemmo, si fa per due scopi: per  quello di supplire, colla impulsività dall' esterno della  minaccia del castigo, al difetto della impulsività dall* in-  terno della Idealità sociale direttrice dell'azione: e per  quello di giovare a produrre questa impulsività nel!' in-  dividuo. Onde, più questa è già prodotta, e meno occorre  di coazione a supplirla.   E al massimo assoluto della produzione della detta  impulsività corrisponderà V assenza del bisogno della coa-  zione materiale e la sufficienza per la Moralità del puro  fatto psichico della idea e della disposizione della Giu-  stizia, e del giudizio mentale dettatone di approvazione  e disapprovazione dell' atto relativo.   Ciò nel rapporto dinamico tra chi detta la Legge e  chi ne è obbligato ad eseguirla.   Ma e' è di più. La effettuazione della Idealità della Giustizia, in ra-  gione che più avviene, più paralizza il suo contrario,  onde deriva; cioè la Prepotenza. E quindi i sentimenti  nei quali questa si esprime: come è, tra gli altri, quello  della vendetta considerata quale sodisf azione egoistica.   E più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, come  quello della benevolenza altrui. Ravviva cioè i sentimenti  che, nella Morale dei Positivisti (i), distinguemmo colla  denominazione di pietosi, dopo avere dimostrato che la  Pietà è il carattere del sentire dell' uomo in corrispon-  denza della sua formazione caratteristica della Idealità  sociale.   Per conseguenza, la stessa pena materiale, a misura  che una Società diventa civile, va perdendo del carattere  di una vendetta espiatoria ed appassionata, assumendo  quello di un semplice rimedio; che si applica a malin-  cuore e con sentimento di compassione essendocene il  bisogno e per questo bisogno solamente.   E in generale, questa qualità della assenza del carat-  (i) Libro I, Parte III, Capo III, n. 7 (Pag. 150, 151 del Voi.  Ili di queste Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 158, 159 nella  ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 163, 164 nella ediz. del 1908) e altrove.    tere appassionatamente vendicativo e di pura espiazione  si trova nella Società assai più nella reazione del Potere,  che rappresenta maggiormente V Idealità antiegoistica, di  quello che nella reazione della Convenienza, nella quale  assai più rimane dell' egoismo e della Prepotenza.   E, negli atti stessi della Convenienza, la vendetta  appassionata, egoistica, prepotente, è più o meno in ra-  gione che è più o meno eflFettuata V idea della Giustizia  neir individuo reagente.   Ossia, in una parola, quantunque la Giustizia im-  plichi la Responsabilità, e questa una Sanzione o una  vendetta punitrice, tuttavia, compiuta che sia come for-  mazione psichica individuale essa Giustizia, vi si dissi"  mula o vi si fa latente la vendetta relativa: a quello  stesso modo che, formata che siasi in una sostanza la  sua affinità chimica per la trasformazione in questa di un  certo numero di calorie, il fenomeno propriamente ter-  mico vi si dissimula e non si manifesta più in una tem-  peratura misurabile col termometro.  E torna cosi, anche nello studio della Respon-  sabilità e del carattere della Idealità sociale come Giu-  stizia, il principio più volte illustrato nella Morale dei  Positivisti per altre vie (i), del regno della Giustizia sot-  tentrante nella Società, di mano in mano che questa si  perfeziona, al regno del fato.   E torna ad apparire del pari il carattere speciale  deir uomo formato sotto V influenza dell' ambiente o del-     (i) Libro II, Parte IV. Capo II, n. 16 (Pag. 399 del Voi. Ili  di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, e pag. 422, 423 nella ediz.  del 1893 e del 1901, e pag 432, 433, nella ediz. del 1908) e altrove.     PPipm>yi^"imtVi- k^i.J»^-» ■-pr^\»y-^r* t-^»t-«- ^vv --.. vt-w-    l'organismo sociale: ossia dell' uomo virtuoso, o sapiente,  che dir si voglia.   Per lui basta, ed è tutto, V idea della Giustizia ; e  il giudizio che fa egli stesso di se medesimo in virtù di  essa: e al di fuori e al di sopra di ogni punizione mate-  riale. Come dice Dante di Virgilio:   El mi parea da sé stesso rimorso,  O dignitosa coscienza e netta,  Come t' è picciol fallo amaro morso!   E, relativamente al malvagio che lo oflFende, in ra-  gione della offesa, anziché il sentimento della vendetta,  cresce in lui quello della pietà. Come in quel divino cro-  cefisso, al quale, negli spasimi di dolore cagionatigli dalla  più atroce delle ingiustizie col più atroce dei supplizi,  l'offesa immensa non riusci che a trargli dall'anima la  preghiera sublime : Padre, perdgna a questi miei crocifis-  sori, perchè non sanno quello che si facciano. Abbiamo parlato di quello  che, sulla fine del primo, avevamo chiamato il secondo  degli uffici del Potere.   Resta dunque a parlare del primo di questi uffici,  che dicemmo essere di stabilirsi nella Società a spese  delle sue parti; e del terzo che dicemmo essere di di-  spensare nell'effetto del miglioramento delle parti  quella forza comune dell' ambiente sociale che opera  per esso Potere.   E lo faremo, cominciando la illustrazione divisata in  questo Capo e nel seguente, e compiendola nelF ultimo.   2. — La Giustizia propriamente detta non è tutta la  moralità.   Questa Giustizia, cóme vedemmo, riguarda la ifuo-  lumità delle parti sociali. E quindi è il solo lato nega-  tivo della Moralità.   Ma la Moralità ha anche i suoi lati positivi: come  quelli indicati dalle parole Diritto e Autorità; e quello   dei mezzi onde si costituisce e vive il Potere, organo  della Società; e quello del Premio della virtù.   Anche di questi lati positivi quindi (e sotto il punto  di vista prefissoci (i) della Responsabilità) si deve chia-  rire la formazione naturale. Con ciò potrà rimanere spie-  gato appieno il fatto naturale della Moralità, e la ragione  della Responsabilità potrà apparire sotto tutti i suoi  aspetti reali.   §11.   Criterio positivo del Diritto e del Dovere. Il Diritto (come dimostrammo nel luogo più  volte citato della Morale dei Positivisti) è la stessa  potenza libera che si avvera rielT essere umano. Considerato questo essere isolatamente, il Diritto,  come dicemmo sopra, coincide colla Prepotenza; e di-  venta il Diritto sociale antiegoistico e giusto (o il Diritto  propriamente detto) in quanto è ridotto in limiti deter-  minati dal contrasto della potenza opposta degli altri uo-  mini consociati.   Vale a dire: la potenzialità astratta dell' individuo,  nella condizione eflFettiva del suo esercizio (cioè di fronte  alle reazioni delle potenzialità degli altri), diventa una  potenzialità reale determinatamente limitata dalla effi-  cienza contrastante delle potenzialità degli altri uomini. 12) Libro I, Parte II, Capo IV. n. 15 ecc. (pag. 125 del Voi.  nidi queste Op, ftl. nell' ediz. del 1885, e 131 dell' edìz. del  JS93 e del 1901, e pag. 135 nelle ediz. del 1908).   Voi. IV. 9     Tf^r»*   Con che però resta sempre il principio, che il Di-  ritto di un uomo è ciò che esso può fare.   Resta sempre ; per la ragione xche, posto V uomo di  fronte agli altri, e rimanendone elisa per tale relazione  una parte della potenzialità, la potenzialità sua effettiva  non è tutta V astratta, ma solamente quella che residua  dalla elisione sofferta.   E, per togliere ogni dubbio su ciò, basta V osserva-  zione del fatto che, cambiandosi le condizioni e i rap-  porti dinamici, onde dipende la elisione di una parte  della potenzialità di un individuo, questa torna attiva, e  con ciò torna Diritto. Il potere di staccare un frutto ma-  turo da un albero non è Diritto dove il contrasto del  possesso altrui impedisce di esercitarlo; ma tolto questo  contrasto (portandoci, mettiamo, in una regione nella  quale le piante sono proprietà comune) lo stesso potere  di staccare il frutto torna Diritto, per la sola ragione che  non ha più T impedimento al suo esercizio del possesso  altrui. Il Diritto quindi, come dicemmo pure nello  stesso luogo della Morale dei Positivisti, se in astratto  è identico per ogni uomo, (essendo Tuomo in astratto  identico all' uomo) nella realtà per ogni uomo è diverso,  per la ragione che la potenzialità di un uomo differisce  sempre nel caso pratico da quella di un altro: quella  del maschio, ad esempio, da quella della femmina; quella  dell' adulto, del sano, del civile, del colto, dell' educato,  dell' uomo di genio, da quella del bambino, del malato,  del selvaggio, dell' ineducato, dell' imbecille ; e via dicendo.     wyfmwii^i ' P Jl >»u- .ry -"^.-^v- ■f^.-.-v-.-f-—   l’uomo ha nella natura in forza del suo arbitrio in quanto è deter-  minato dalla Idealità lituana che è la Idealità sociale. Qui colla  spiegazione della formazione della Giustizia (o dell' Idealità sociale)  spieghiamo anche la formazione del Diritto, e quindi ne indichiamo le condizioni dettagliatamente, che si possono riassumere nel quadro che segue : A) Arbitrio umano libero. Non il potere generico della cosa sulla cosa. Non quello della persona in condizione irresponsabile. B) Arbitrio libero di un uomo (sulla cosa o sull* uomo) in con- fronto colla reazione delVarbitrio libero dell* altro uomo. Non dove non si pone questa reazione : e in quanto è regolata dalP Idealità so- ciale. E in ordine a ciò: Arbitrio libero di un uomo in confronto con una reazione pos-  sibile. E qui Diritto potenziale o naturale. Arbitrio libero di un uomo in confronto con una reazione  reale. E qui Diritto di fatto o positivo^ nelle diverse forme di questo.  il Diritto può essere nello stesso tempo un Dovere, e non  che deòòa.   E perchè questa differenza fra Diritto e Diritto?   Rispondendo, apparirà insieme come e quanto con-  vengano fra loro le definizioni apparentemente diverse da  noi date del Diritto nella Morale dei Positivisti (nel  luogo sopra citato), dove dicemmo che è in se stesso la  Giustizia, o la Legge o la Idealità sociale, e qui, dove  diciamo che è un potere libero implicante una Respon-  sabilità verso una Sanzione che ne salva V esercizio. Nel caso di chi mangia la propria mela, M impulsi-  vità traente all' azione è data, non dalla Idealità sociale  «  antiegoistica, ma dall' istinto egoistico, o da quella che  dicemmo la Prepotenza, precedente T Idealità morale propriamente detta. Trattandosi di questa Prepotenza, la Re-  sponsabilità r accompagna solo in quanto la limita, e non  in quanto la produca. E quindi la stessa Responsabilità ha con essa un rapporto unico. E. per ciò non può  aver che il nome di Diritto, ossia si può pensare soltanto  che r esercizio ne è reso incolume dalla Responsabilità  che lo salva.  In vece, nel caso del padre che educa il figlio, T im-  pulsività traente all' azione è data dalla Idealità sociale  antiegoistica, ossia da qualche cosa che è già una Giu-  stizia, implicante quindi T elemento della Responsabilità.  Da ciò proviene che il potere del padre di educare il  figlio sia fra due rapporti: fra quello di eserizio incolume,  in quanto è salvaguardato da una Sanzione sociale relativa, onde è Diritto; e quello che il padre è alla sua  volta obbligato, pure per una Sanzione sociale relativa.  ad avere in sé la Idealità della sua disposizione o del  suo potere di educare il figlio, onde è Dovere.   In una parola, il potere egoistico, non derivando  estrinsecamente dall' ordinamento sociale, ma dalla stessa  spontaneità dell' individuo, non può importare se non la  Responsabilità di chi volesse impedirlo. E quindi è solo  un Diritto. Mentre invece il potere antiegoistico, deri-  vando come tale dall' ordinamento sociale, che lo ingenera per mezzo della relativa Sanzione, impòrta due Re-  sponsabilità. Una per chi non lo rispettasse: onde gli  corrisponde il Dovere in un altro. Ed una seconda per  chi non lo avesse e non lo esercitasse : onde, sotto questo  rispetto, è un Dovere esso stesso. Dunque il Diritto è sempre una potenzialità  che importa una Responsabilità, secondo la definizione  che qui ne abbiamo dato. Ma questa potenzialità può es-  sere determinata da una Legge, o Giustizia, o Idealità  sociale, secondo che importava la definizione data nella  Morale dei Positivisti,  In questo secondo caso, come ivi dicemmo, il Diritto  è nello stesso tempo un Dovere. Non cosi quando la po-  tenzialità è di un ordine estramorale.  8. — E cosi siamo arrivati, per mezzo della analisi  positiva del fatto umano e sociale, a scoprire // criterio  positivo del Diritto e del Dovere.  Con questo criterio (e non altrimenti) si possono ri-  solvere i problemi che li riguardano; e specialmente i  quattro fondamentali che seguono: circa i Diritti dell' uomo sopra le altre cose  della natura. Circa i Diritti dell' uomo sopra se stesso.  Circa i Diritti di Autorità.  Circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità o Beneficenza, che dir si voglia. Nell'esempio innanzi citato di uno che pigli  dei pesci notammo, che il Diritto di chi lo fa è solo per  quanto il fatto riguardi altri uomini, e non per quanto  riguarda i pesci.  Coi pesci, che prende, l'uomo ha il semplice rapporto  generale della cosa colla cosa, quale è quello, pogniamo,  della foglia verde oscillante al sole e rubante all'atmo-  sfera la molecola di acido carbonico che vi nuota dentro  e si imbatte alla portata delle boccuccie predatrici.  In confronto col pesce 1' uomo non ha né Diritto né  Dovere. Esso, in forza del potere onde é fornito, ne usa  e ne abusa senza offesa della Moralità, che é estranea a  tale ordine di azioni. E nessuno dice reo di colpa e im-  morale, né il pescatore di professione che trae dall'acqua  il pesce e ne contempla impassibile gli spasimi dell'asfis-  sia, onde muore dibattendosi convulsivamente sulla secca  arena, e lo piglia cosi per procacciarsi da vivere; né il  pescatore dilettante, che gli infligge quel martirio per  semplice spasso.  Ma nella Civiltà progredita si può arrivare fino al  punto di estendere il carattere del Dovere anche alla  detta azione dell' uomo in rapporto col pesce. La Zoofilia  - 138 -  (che è una tendenza della Civiltà progredita) cosi parle-  rebbe in proposito air uomo ; — Il pesce, prendilo pure :  x:hè ti abbisogna per vivere. Ma nel farlo non eccedere  i limiti della stretta necessità. Prendilo per quanto ti oc-  corre, o per mangiarlo, o perchè ti è di danno o di pe-  ricolo il viver suo. Altrimenti rispetta in lui il godi-  mento della propria vita. E, dovendo prenderlo, fa ia  modo che avvenga col minore suo dolore possibile. E tutto  ciò consideralo siccome un tuo Dovere verso il pesce.  E, un Dovere analogo, i moralisti più delicati oggi  lo stabilirebbero, non solo pei pesci, ma anche per tutti  gli altri animali; e non solo per gli animali, ma anche  per le piante ; e non solo per le piante, ma anche per le  cose inanimate senza distinzione. Stabilirebbero cioè quel-  la ordine quarto di Doveri, che chiamano dei Doveri del-  l' uomo verso le cose della najtura: essendo V ordine primo,  secondo loro, quello dei doveri verso dio; il secondo,  quello dei Doveri, verso se stesso; il terzo, quello dei  Doveri verso il prossimo. E come ciò? E giusta tale estensione dell'idea  del dovere? E, se giusta, non si avrebbe con ciò una  smentita alla nostra dottrina della formazione naturale  deir idea del dovere?  Dicemmo che la effettuazione della Idealità  della Giustizia, in ragione che più avviene, più para-  lizza il suo contrario , . , e più invece ravviva i sentimenti  antiegoistici, che distinguemmo col nome di pietosi, caratteristici del sentire dell' uomo in corrispondenza colla  sua formazione della Idealità sociale. In ordine a ciò, parlando in ispecie della Idealità  sociale della famiglia, nella Morale dei Positivisti (i) scri-  vemmo quanto segne: — Questa Idealità diversifica se-  condo le varietà umane. Rozza fra le rozze, gentile fra  le gentili ; portante a illimitato uso di potere nelle So-  cietà embrionali, ristretta alla mera necessità dell* alleva-  mento, dell' educazione, e dei riguardi necessari, nelle So-  cietà più perfette ; e cosi via per altre diversità e grada-  zioni senza numero. Sicché si può dire, che, se dal bruto  air uomo r idealità in discorso si umanizza, questa uma-  nizzazione è neir uomo stesso maggiore o minore. E, dove  è minore, vediamo T effetto, e nella forma ancor fiera del  sentimento relativo, e nella sua limitazione, restringen-  dosi, o alla nazione, o allo stato, o ^alla tribù, o ad un  semplice branco di uomini. Mentre, dove è maggiore, ve-  diamo Teffetto, e nella gentilezza del sentimento, e nella  sua estensione, che abbraccia tutti quanti gli uomini, per  quanto diversi e immeritevoli: e travalica anche il con--  fine dell'umanità, e si presta a che l'uomo sia pietoso anche  cogli animali inferiori, e perfino cogli esseri inanimati,  La pietà cosi estesa, o in genere Tappi icazione  del potere proprio verso le cose 7iei limiti del necessario  e del ragionevole, è una moralità indiretta, e non una mralità diretta. Che questa è solo quella che dipende  immediatamente dalla reazione tra uomo e uomo; e che  quindi ha per correlativo una Sanzione sociale e conseguentemente ne implica la Respc^nsabilità.  (i) Libro I, Parte III, Capo III, 11. 6 (|)a^. 149, 150 del voi.  lU di queste Op. fiL nella ediz. del 1885, e pag'. 156, 157 nel!' ediz.  del 1893 e del 1901, e pag. 161, 162 nella ediz. del 1908). Onde storicamente (nella successione dei periodi della  evoluzione della Moralità umana), e statisticamente (nei  gradi di evoluzione della Moralità propria dei diversi  ordini costitutivi di una stessa Società) da prima si ha  solamente la Moralità diretta, o che riguarda V uomo e  non le cose.  Le genti più rozze oggi e, fra le genti più colte, le  persone che lo sono meno, né sentono né sospettano  neanco che la Moralità possa riferirsi anche agli atti relativi ai bruti e alle cose inanimate. Il decalogo mosaico,  sintesi dei precetti morali di uno stadio evolutivo antico  e non ancora perfetto della Moralità, non ne fa cenno  nemmeno esso.  Ma, sviluppatasi più fortemente col progredire della civiltà nel sentimento pio la espressione della Idealità  antiegoistica, questa dovette risentirsi e muovere ogniqual-  volta nella rappresentatività umana si fossero avute anche  solo delle analogie coi fatti umani eccitatori dello stesso  sentimento pio.  E ciò per la legge generale della attività psichica,  la quale importa che la rappresentazione somigliante (os-  sia il ritmo analogo dell' attività centripeta) determini  affetti e volizioni somiglianti (ossia ritmi analoghi dell’attività riflessa).  Mansuefatto l’uomo per l’effetto dell' ambiente sociale, e reso più umano, e cresciuta in lui la potenza pietosa, questa dovette scuotersi al palpito, non solo delle viscere del fratello immolato dalla ferocia dell' assassino, ma (per somiglianza della cosa) anche di quelle dell’agnello semivivo sul lastrico del pubblico macello. Do-  ||Wli|ILP!iWWiJi,iS"iWii vette scuotersi perfino alla dilaniazione dei ramoscelli  vivi di una pianta, onde il pensiero è tratto per analogia a rappresentarsela con un senso di dolore. Come quando Goethe canta di una pianticella di rosa. Der wilde Knabe brach* s  Rdslein auf der Heiden ;  Ròslein wehrte sich und sùach,  Hai/ ihm dock kein Weh und Ach !  Mussi* es eben leiden,  E siccome il senso della pietà è, come dicemmo, il  sentimento riassuntivo dell’idealità antiegoistica, ossia  doverosa, cosi il concetto vago del dovere, colla sua imperatività astratta e quindi misteriosamente indefinita, dovette associarsi anche alla Pietà sentita in causa dell’analogia per T agnello e per la rosa ; e conseguente-  mente si dovette indirettamente o per riflesso, la ragione  del Dovere, estenderla anche al rispetto di un animale e  di una pianta.  Ed è ciò che confusamente presentirono quei vecchi  sensisti che posero la facoltà immaginaria del senso della  Moralità, o queir altra misteriosa della *simpatia* o compassione. Ma la cosa può andare anche più oltre.  Il sentimento pio medesimo, rimanendo offeso in chi  è testimonio della azione spietata, compiuta da una per-  sona o sopra un bruto o sopra un' altra cosa, e perciò  in lui risentendosi, può far sì che egli si esprima ripro-  vando r azione offendente. Tale espressione riprovatrice sarebbe una vera San-  zione vendicatrice della resizione di Convenienza, e che  — 142 —  potrebbe essere assunta dal Potere, quando esso (come è  possibile, anzi probabile, an2i in gran parte si è già  fatto (i) progredendo la Civiltà) convertisse in Legge  pubblica il giudizio privato divenuto comune. Come è notissimo, in tutti si può dire i paesi civili si sono  formate delle società per la difesa degli animali, e si sono fatte  delle confederazioni di esse anche internazionali, e si tengono di  tratto in tratto dei congressi dei loro rappresentanti. E si sono anche  fatte delle leggi proibitive degli eccessi contro le povere bestie. E  credo opportuno riportare (jui tradotto un tratto a proposito del  Konversations Lexikon del Brockhaus (Lipsia, 1895 voi. 15, pag.  844) — La legislazione più antica contro quelli che maltrattano gli  animali ci è presentata dall' Inghilterra dove essi erano puniti fino  dal secolo passato. Seguì una serie di leggi per la protezione degli  animali domestici, per la proibizione delle giostre delle fiere, per la  limitazione delle vivisezioni. Relativamente presto anche la Germania  dettò leggi nello stesso senso ; oltre le misure di polizia, il codice  penale sassone del 30 marzo 1838 indisse la prescrizione generale per  la quale si deferivano alle autorità di polizia le punizioni per gli  eccessi dell' uso anche legittimo degli animali. Seguirono tosto la  Prussia, il Wtirtemberg, ecc. con prescrizioni in parte più estese.  Al presente vige un paragrafo del codice penale dell' Impero, col  quale è punito con una multa che va fino ai 150 marchi, o col  carcere, chi pubblicamente o in modo da fare scandalo con malvagità  d' animo tormenta o tratta male gli animali. Oltre ciò sono in vigore  nei diversi stati delle ordinanze speciali delle autorità amministrative  proibitive di particolari maltrattamenti degli animali e in favore di  un contegno ad essi favorevole, e in specialità con prescrizioni circa  il trasporto degli animali, i cani da tiro, la macejleria, il sopraccarico  dei carri ecc. Nell'Austria, oltre certe ordinanze speciali delle autorità,  ha valore di legge 1* ordinanza ministeriale del 15 febbraio 1855, che  dichiara punibile il maltrattamento degli animali che desti pubblico  scandalo ; in Francia la cosidetta legge Grammont del 2 luglio 1850  per la protezione degli animali domestici, ecc. I rappresentanti delle  società per la difesa degli animali tendono a che la punibilità si  estenda maggiormente e non si limiti a restrizioni fissate, come per  esempio la pubblicità def maltrattamento. Di tale tendenza pare ab-  biano tenuto conto la Svizzera, 1' Italia (art. 491 del Codice penale  del 1889), il Belgio (Codice penale del 1867), l'America del Nord, ecc.  ■^i^i Nel qual caso poi si avrebbe una doverosità diretta  formatasi da una indiretta. E con una Sanzione e una  Responsabilità, non misteriosa e indefinita e vaga, ma  determinata.  E lo stesso avviene poi per molte altre dell’idealità morali. E anche per un altro verso V esercizio del po-  tere di un uomo sulle cose può finire coir essere gover-  nato da una doverosità. Come dove uno, che possiede un  podere e potrebbe farne lo strazio che volesse, è tratte-  nuto dair idea di non lasciare i figli senza pane. Nel  quale ordine di idee cade il fatto della legislazione sulla  interdizione dei prodighi. E per altri versi ancora; e per moltissimi. Ogniqual-  volta cioè r esercizio del potere, di un uomo sulle cose  offende, o affetta in qualsiasi maniera, il senso e l’appreziazione dell’altro e ne provoca una reazione, incontrandone quindi una sanzione e la responsabilità. E in tale ordine di casi è da notarsi che certi atti  fisiologici necessari ed inevitabili, ma incomodi o al senso  esterno o al sentimento estetico, importano una dovero-  sità solo in quanto sono compiuti da un uomo alla pre-  senza di altri e non in quanto sono fatti in disparte e  in segreto. Fatta però V abitudine di considerare gli atti mede-  simi fatti alla presenza degli altri come illeciti, V idea  della loro sconvenienza si associa poi ad essi • tanto o  quanto. anche compiendoli nascostamente. E quindi l'uomo,  a misura che diventa civile e moralmente più perfetto,  si studia o di evitarli più che è possibile o, non poten- . I !ij.i«pj  dolo assolutamente, di eseguirli nel modo meno inde-  coroso.  Ciò conferma anche la dottrina positiva già da noi  accennata (i) della formazione naturale dei Doveri del-  l' uomo verso se stesso.  E spiega in pari tempo il fatto curioso delle an-  tiche Moralità religiose, che consideravano alcuni fatti  fisiologicamente necessari dell'uomo, anche compiuti in-  segreto, impuri e tali da inquinarlo, e richiedenti quindi  i riti della purificazione,  7. — Secondo le idee religiose T arbitrio sulle cose  sarebbe una concessione di dio, creatore e quindi proprie- tario di esse: e in forza di questa concessione l'arbitrio medesimo sarebbe intero ed assoluto ed esente dalla restrizione doverosa sopra chiarita di un trattamento umano  e di un uso razionale, mancando il precetto divino rela-  tivo, che solo, secondo le idee stesse, può stabilire la ra-  gione del Dovere.  E da ciò si vede che il positivismo, anziché distrug-  gere la Moralità, è atto invece ad allargarla più che non  lo faccia la religione. La quale anzi, nella sua gelosia  pel monopolio arrogatosi della morale, si irrita e si im-  penna per questo eccesso (come essa lo chiama) di Mora-  lità positiva della Società moderna più colta, che vuol  essere buona anche colle bestie e coi fiori.  La religione si sente in ciò moralmente soverchiata,  e se ne vendica chiamando questa bontà, che essa non  sente e non può insegnare, cosa diabolica e perversa.  (i) Vedi sopra Capo II, J VI, n. 14, e la nota (2) relativa. Si teme che, perduta la religiosità, V uomo tor-  nerà alla ferocia brutale della prepotenza egoistica; e  non si vede che invece il positivismo è ancora più umano  e morale che non la religione.  Cosi si lamenta che la Civiltà vada distruggendo la  ingenuità santa dei tempi antichi ; e non si vede che' i  santi ingenui dei vecchi tempi, perfino le matrone pa-  trizie e venerabili, erano, verso le stesse persone umane  degli schiavi, più fieri e crudeli che il rozzo mulattiere  colla sua bestia ricalcitrante, e il ragazzo ineducato col-  r insetto che strazia senza pietà.   L' uomo del positivismo non si umilia irragionevol-  mente col credere che V uso delle cose, sulle quali sente  di avere un potere, sia una concessione gratuita e capric-  ciosa che gli sia stata consentita dal talento o dalla mi-  sericordia di qualcheduno. Ed è orgoglioso di ritenere  cosa sua ciò che egli è in gprado di appropriarsi: anche  i mari, le montagfne, il vapore, V elettricità, che non sono  enumerati nel rogito di consegna del paradiso terrestre.  Ma ciò non impedisce che egli agisca verso le cose con  meno insolenza dell' uomo religioso e con maggiore mitezza.  Il proposito del positivista non è quello avaramente  egoistico del moralista della religione, che dice a se  stesso: — Queste cose dio me le ha date in proprietà: dunque perchè non ne caverò per me tutto il pro-  fitto possibile? Il suo proposito è quello retto, onesto,  morale della razionalità, di servirsi cioè delle cose pel  bene in genere, proprio od altrui ; fosse pur anco solo il  bene delle cose che non sono lo stesso uomo.  Voi. IV. IO  '■■■^ ^ Pel moralista della religione le cose sono una pro-  prietà, onde dio, che le ha create e può quindi disporre  a suo talento, lo ha investito, col controsenso che abbia  ancora a sudare per raccogliere i frutti del campo, e lot-  tare contro la rabbia, molte volte fatale, delle bestie fe-  roci. Il moralista del positivismo invece, fiero di se stesso,  audace, generoso come Giapeto, non riconosce donatori.  Egli si sente- padrone della natura come frutto della siia  conquista faticosa ; e, come un duellante cavalleresco, al-  l' elemento immite della natura dice: Eccoci alla prova;  se varrai più di me soccomberò io; sarai tu a soccom-  bere, se sarò io il vincitore.  Ma si dice dal moralista religioso, che un Do-  vere originato nel modo da noi detto sopra non è pro-  priamente un Dovere : e che, se V ha fatto V uomo, esso  può anche disfarlo.  Secondo il moralista religioso il Dovere propriamente  detto è quello che non è abbandonato alla balia del ta-  lento mutabile e capriccioso dell'uomo: onde è neces-  sario che sia un comando di dio, al quale non è possi-  bile sottrarsi.  E in tale credenza è secondato dalla falsa idea, pur  generale ancora fra gli stessi positivisti, che le buone  azioni in genere, e in ispecie la pietà verso i bruti e la  ragionevolezza neir uso delle cose, siano naturalità irre-  sponsabili, al pari, mettiamo, degli effetti delle cause fi-  siche sui corpi: disconoscendosi cosi, per ispiegare i fatti  in discorso, la loro natura morale, che è pure una realtà  attestata sperimentalmente.  Il positivismo (malgrado i positivisti che sbagliano) vita futura, conchiudono generalmente che l'uomo da nulla  è obbligato ad avere rispetto alla propria vita, poiché, suicidatosi, rimane senza efficacia qualunque minaccia che la Società ponesse a trattenerlo. E che quindi sia V uomo anche moralmente padrone assoluto della propria vita, e possa disporne come gli talenta. Queste sono due soluzioni opposte ed estreme. False  ambedue, perchè dedotte da una idea del Dovere scien-  tificamente non vera.  Una doverosità diretta, relativamente al suici-  dio, certo che non si può trovarla, poiché, né ha nes-  suna presa sul suicida una minaccia di punizione per  parte della Società sulla di lui persona, che se ne sot-  trae col suicidio stesso, né é ammissibile l' idea della  Legge divina e della immortalità dell' anima.  E, assolutamente parlando, quanto alla conservazione della propria esistenza, V uomo potrebbe considerarsi nella condizione estramorale indicata sopra parlando degli  atti deir uomo sopra le cose della natura. E quindi, come  non si ascrive a merito il tendere, nelle condizioni nor-  mali dell'animo, a conservarsi in vita, e neanche a tirare  il respiro (quantunque a ciò si possa concorrere anche  colla volontà), cosi il suicidio potrebbe essere riguardato  semplicemente quale effetto naturale di condizioni anor-  mali dell' animo di un uomo, come il tossire delle con-  dizioni anormali degli organi della respirazione.  Ma, se non una doverosità diretta, si può bene  avere, circa il suicidio e la conservazione della propria  vita, una doverosità indiretta; per la ragione che molte  e diverse Idealità morali doverose, connesse col fatto  della conservazione della vita, possono essere presenti  imperativamente (ossia con una impulsività morale o do-  verosa) nella coscienza disposta al suicidio; e rivestirne  la deliberazione del carattere della reità morale.  Mettiamo un padre disposto a suicidarsi, che pensi  di creare, facendolo, la infelicità materiale e morale der  figli superstiti. O uno che pensi danneggiare suicidan-  dosi dei creditori onesti, che si sono fidati di lui e lo  hanno beneficato prestandogli del denaro, che avrebbe  potuto pagare almeno in parte continuando a vivere. E  cosi via per moltissimi altri casi consimili (i).   (i) Molto istruttivo per questo è il noto dramma di Paolo Ferrari,  intitolato // Suicidio^ nel quale, come le tirate spiritualistiche sono  freddure senza fondamento scientifico, senza sugo e ridicole, che è  strano che egli creda che si possano prendere sul serio, cosi invece  è pieno di verità e di effetto il quadro delle conseguenze nella fa-  miglia superstite del suicida. Onde poi si deduce che anche nei casi nei quali la  doverosità affetta, per impedirla, la deliberazione del sui-  cidio, questa doverosità non è sempre la stessa, ma varia  secondo il numero, la importanza e la qualità delle ra-  gioni morali intervenienti. Cosi, se un corpo insipido per  sé acquista un sapore da sostanze che glielo danno, que-  sto suo sapore varia secondo la diversità delle sostanze  dalle quali Io riceve. Tanto è vero poi che la doverosità non è in-  trinseca al suicidio per se stesso, e gli è. conferita, quando  si dà che Io accompagni, da ragioni morali intervenienti  diverse secondo i casi, che si può pensare Inter venirvene  anche di opposte; e tanto da produrre perfino la dove-  rosità contraria, ossia quella puranco di commetterlo.  E invero tutti quanti i ragionamenti ingegnosissimi  architettati da certi moralisti non poterono mai togliere  r aureola di eroismo virtuoso onde risplende la memoria  di Lucrezia romana e di Catone uticense.  Dicemmo, che la doverosità può associarsi al  fatto del suicidio, e contrastarlo quindi nella coscienza  morale in quanto si dà accidentalmente la circostanza  che, commettendosi da un uomo, restino inadempiuti dei  Doveri che gli incombono e sono da lui apprezzati.  E per ciò affermammo che la doverosità stessa viene  così a riguardare il suicidio, non per sé, ma indiretta-  mente.  Se non che è pur vero che anche una doverosità  diretta, atta a contrastare da sé la deliberazione di com-  metterlo, si accompagni al suicidio. E per ciò per una  Sanzione che minacci, non la persona viva (che non può  I- "II* PF.I 'darsi come dicemmo), ma la sua fama dopo la morte. La  paura di nuocere alla propria fama col suicidio può trat-  tenere tanto o quanto un uomo dal commetterlo, e in tal  caso esisterebbe per quest' uomo una doverosità diretta  impeditiva del suicidio. E sono due gli ordini dei motivi che possono deter-  minare questa Sanzione per la quale la Società può ven-  dicarsi del suicidio sopra la memoria del suicidato.  Il primo è quello delle doverosità indirette accen- nate sopra. E per esse viene ad avverarsi così ciò che si disse al numero 5 del paragrafo precedente della dove- rosità indiretta occasione della diretta. Il secondo è quello della opinione sfavorevole che  domini in una Società o in una classe di persone ri- guardo all'atto der suicidio, fondata sopra la idea che  sia una irreligiosità abbominevole o una rivelazione di  debolezza d' animo o di alterazione delle facoltà mentali.  La doverosità diretta dipendente da una San-  zione sociale, determinata da questo secondo ordine di  motivi, è una doverosità accidentale e temporanea, e non  normale e durevole, come si richiede pel Dovere assolu-  tamente tale.   E in vero T opinione relativa al suicidio, non sem-  pre, non dapertutto, si trova ad esso sfavorevole. Quante  volte, e presso quanti invece il suicidio è solo ragione  di compassione, come per una disgrazia non colpevole, o  è anche una ragione di lode!  La disapprovazione motivata dalle idee religiose vien  meno con queste. Si danno circostanze nelle quali il sui-  cidio si riveste del carattere di atto eroicamente lodevole,  come nei citati di Lucrezia romana e di Catone uticense.  Si danno condizioni e periodi dello stato di una Società,  che fanno considerare il suicidio siccome una fatalità ir-  responsabile.  Che più? Se uno è colto a commettere una azione  criminosa, la gente si avventa sdegnata contro il delin-  quente e si presta in aiuto della pubblica autorità ven-  dicatrice. Si corre invece a salvare dalla morte chi è in  procinto di darsela, e con senso, non di sdegno, ma di  pietà,  Tutto giorno si moralizza sul suicidio a fine  di impedirlo, ritenendosi di danno alla Società in gene-  rale e a certe sue istituzioni in particolare. Ma si mora-  lizza inutilmente. Le ragioni che si fanno campeggiare  sono inefficaci per mancanza di solidità intrinseca. Il fatto  si ripete ugualmente, come la febbre curata coli* acqua  fresca. E il male, riguardo alla Società, non è tanto nella  perdita dei suicidi, che in generale non costituiscono la  sua parte più attiva e sana, ma nelle condizioni stesse  della Società, che, se sono favorevoli al suicidio, con ciò  dimostrano di essere non buone e da migliorarsi.  Per le cose dette certo si scandolezzeranno  molti. E crederanno di avervi trovato un capo d' accusa  ineccepibile contro T etica del positivismo, per sostenere  che essa è esiziale alla Moralità dell' individuo e del  corpo sociale. Ma noi rideremo dello scandalo; ingenuo,  se chi lo prova è un pusillo; e ipocrisia, se chi lo pre-  testa è un accorto. E diremo: Acquietatevi, che né la  Moralità individuale, né la Società avranno danno nes-  suno. Anzi ne avranno vantaggio.  L' esperienza dimostra che anche tra i credenti in  una fede, che riprova assolutamente il suicìdio, si danno  di quelli che lo commettono. Sicché non si può soste-  nere che la religiosità valga ad impedirli. Quanto alla  minaccia dell' eterno castigo il credente suicida, o la af-  fronta disperatamente, o trova modo di persuadersi di po-  terlo evitare. Tanto che si sa di suicidi cattolici che si  confessano prima di darsi la morte. E nei credenti, se  si ha il ritegno della paura della pena avvenire, non si  ha poi queir altro, del non credente, dell'orrore di metter  fine per sempre alla esistenza, che per questo non si pro-  lunga oltre la vita attuale. E se si disse, che i credenti  un tempo si trattenevano molte volte dal suicidarsi per  r idea di essere sepolti fuori del cimitero consacrato, non  è men vero che ora possa altrettanto l'idea del biasimo  che può restare alla loro memoria.   Abbastanza ha provveduto la natura coli' istinto  strapotente della vita alla conservazione dell' umanità,  malgrado i mali gravissimi che ne accompagnano la esi-  stenza.   La disperazione che porta al suicidio non si mani-  festa con frequenza allarmante se non in certe condizioni  morbose sociali ; e ne è il sintomo. Si manifesta per ef-  fetto delle condizioni medesime, regnino o non regnino  le religiose credenze. Ed avviene pel morbo, onde il sui-  cidio è il sintomo, come per tutti gli altri morbi; che,  se non producono la morte, le loro crisi stesse ajutano  la guarigione, sia segnalandoli alla cura da applicarsi,  sia promovendo una reazione salutare.   Quando in una Società si verificano frequenti suicidi     HW"*^ »    è certo ch^ la pubblica opinione si scuote dalla sua indifferenza per le cause dalle quali essi dipendono. E  finisce per rendere giustizia alla protesta contro di lei  di quelli, ai quali fu fatale lo sdegno contro la sua durezza.   E i singoli individui sono avvertiti e ammaestrati  circa i pericoli fatali di certe posizioni e circa gli effetti  funesti di certi indirizzi della vita, perchè li evitino e si  ravvedano intanto che il male può essere ancora scon-  giurato.  Il Diritto suppone l'Autorità; ossia è Diritto  solo in quanto è autorizzato ad esserlo. Ma la stessa Au-  torità è tale solo in quanto è un Diritto. E lo stesso Di-  ritto, qualunque esso sia, è in se stesso una Autorità.   Questi asserti sono altrettanti principj fondamentali  positivamente veri; quantunque la loro enunciazione ab-  bia r apparenza di un circolo vizioso.   Come dicemmo sopra tante volte (i), il Diritto per  essere veramente tale (e non semplicemente la potenza di  fare, comune ad ogni cosa che agisce), deve corrispon-  dere ad una Sanzione che ne assicuri V esercizio, con-  forme air Idealità sociale o giusta : e importare quindi  una Responsabilità morale. Ora la potenza che stabilisce  questa Sanzione, e verso la quale esiste questa Respon-   (E si veda per tutte la nota al n. 5 del § II di questo Capo III ) sabilità, è ciò che si chiama una Autorità. Onde è chiaro  essere il Diritto un correlativo della Autorità, e quindi  supporla necessariamente.   Potrebbe sembrare a prima giunta che questa  dottrina fosse identica alla vecchia religiosa e politica  circa TAutorità e la dipendenza da essa del Diritto. Ma  tra quella e la nostra corre una differenza di opposizione  perfetta.   La vecchia dottrina religiosa della Autorità insegna,  che ogni Diritto dell* uomo risulta da una concessione gra-  tuita di dio: che il Diritto, assolutamente parlando, non  l'ha se non dio: che T uomo di suo ha solo il Dovere:  che quindi, quando si dice di un uomo che ha un Di-  ritto verso un altro, la cosa va intesa cosi, che dio ha  imposto a questo il Dovere di fare o rispettare o lasciar  fare una cosa che lo stesso dio vuole che sia pertinenza  del primo.   Politicamente poi la stessa dottrina insegna che il  capo dello Stato è investito divinamente (e ciò significa  la consacrazione e la incoronazione con rito religioso per  parte del sacerdozio) di un potere sopra tutti i cittadini;  che esso ne è il sovrano per volere diretto di dio (onde  il titolo Per la grazia di dio) e indipendentemente dal  volere loro e da qualunque ragione naturale di Giustizia  o di bene comune (onde il precetto religioso: Obedite  praepositis vestris etiam discolis)\ e che quindi i citta-  dini, per lo stesso arbitrario volere divino, non sono altro  che sudditi. La scienza ha fatto ragione del principio religioso;  r evoluzione storica sociale del politico.     IP^II^KIIV idn,»»^ij5'tr«'isnfc#«^--xj' Il principio religioso è il solito fenomeno psicolo-  gico volgare, onde, concepito V astratto di un ordine na-  turale di fatti, il medesimo astratto è pensato come una  realtà fuori degli stessi fatti e come causa di essi. Gli  esseri viventi, ad esempio, danno V astratto dalla vt^a,  che non è se non la forma caratteristica speciale che li  distingue dai non viventi. Pel fenomeno psicologico sud-  detto si fece di questa vita una realtà atta ad introdursi  in questi esseri che lo possiedono e a renderli vivi con  ciò. Cosi fu fatto per V Autorità. Per una illusione ana-  loga; separata mentalmente dalla funzionalità sociale, onde  è un aspetto, fu collocata in dio, e di là si è fatta valere  a cagionare la funzionalità medesima.   E qui, come è ben noto, ci troviamo col solito abbaglio, del metodo metafisico, che spiega la cosa e il  fatto colla stessa cosa e collo stesso fatto. Come nel de-  rivare gli effetti fisiologici dell'Oppio dalla sua Virtù  dormitiva: per citare lo stesso esempio addotto da Pa-  squale Villari nel suo scritto intitolato e La Filosofa po-  sitiva e il Metodo storico » pubblicato fino dal gennaio  1806 nel Politecnico di Milano, e che io qui ricordo per-  chè egli fu il primo che ponesse la questione del Posi-  tivismo (nel senso che ha oggi) in Italia, e perchè una  grande influenza anch' esso ebbe sopra V indirizzo delle  riflessioni che finirono a produrre l'ordine attuale delle  mie idee filosofiche. Parlando poi della applicazione politica dello stesso principio religioso basterà osservare  come per essa il Potere è concepito, non come Giustizia,  ma come Prepotenza ed Usurpazione ; onde si ha la Pre-  potenza, ossia r Ingiustizia, eretta alla dignità di principio inorale. Il che è bene scandaloso in una dottrina  che pretende di essere la salvaguardia unica possibile  della Moralità.   E questa applicazione politica del principio religioso  si trova poi corrispondere precisamente ad uno stadio  arretrato della evoluzione.   Il contrasto sociale (dal quale, come dimostrammo,  dipende la riduzione della Prepotenza e la sua trasfor-  mazione in Giustizia) si attestò da prima nell' impero  della religfiosità e della sua rappresentanza, cioè in quella  del sacerdozio. E allora si disse, il sovrano avere il po-  tere da dio, ed essere responsabile verso di lui dell'uso  di esso; e il sacerdozio si atteggiò a creatore e giudice  del sovrano in nome di dio.   Poi, venuta meno per le ragioni storiche la forza ef-  fettiva del sacerdozio nella Società, e quindi il peso del  suo contrasto, la sovranità se ne emancipò, e il legitti-  mismo di ortodosso divenne eterodosso; cioè, riconoscendo  ancora T esser suo dal cielo, autore e giudice della so-  vranità della terra, sottrasse però questa alla elezione e  al foro sacerdotale.  Incontrastabile veramente è il principio della  filosofia etica tradizionale, che il Diritto suppone la Autorità e che quindi questa si richiede pure per la Mo-  ralità.  Ma si ragiona falsamente dicendo, che il Positivismo  viene a distruggere la Moralità, dal momento che toglie  di mezzo l'Autorità; sicché per salvare la Moralità si  debba necessariamente tornare alla filosofia tradizionale,  che sola possa stabilire il principio della Autorità.  L'Autorità, il Positivismo, la pone anch' esso ; e con  certezza, poiché ne trova il fatto nella Società e nella  psiche deir uomo civile, e ne dà la spiegazione partendo  dalla osservazione di ciò che succede realmente. E cosi  la fissa scientificamente ne' suoi termini veri e giusti, e  la garantisce dal dubbio (fatale sempre in materia di mo-  rale), e da ogni falsa, e dannosa, e immorale interpreta-  zione e applicazione.  L'Autorità, che la filosofia tradizionale fa venire dal  cielo, è un sogno antiscientifico ed involgente una con-  traddizione.   Come avvertimmo un' altra volta (i), il comando di-  vino imponente il Dovere all' uomo è un principio im-  morale della Moralità, mentre in fondo è la tirannia, o  l'ingiustizia, in grado infinito. E mostrarono d'essersene  accorti gli stessi metafisici quando concedettero, che il  comando divino abbia da essere non ripugnante alla es-  senza stessa delle cose, per cui riesca giusto, e dio che  ne usa debba chiamarsi santo. La stessa condizione po-  sero anche per la sua Autorità ; e cosi, ammettendo una  dipendenza di essa dalla essenza delle cose, fecero di  questa il primo e di dio il secondo, e quindi vennero a  disautorarlo.   E r ammettere la condizione in discorso è poi infine  un riconoscere in modo indistinto la verità della nostra  dottrina, per la quale l'Autorità, non è un assoluto,. xm,  un relativo.   Cioè l'Autorità è il relativo di qualche cosa che si  impone moralmente; vale a dire con una Responsabilità   (i) Sopra Capo II, § II, n. ii.     ..LUI «IVI   verso una Sanzione, e quuidi verso una reausione libera  od umana: insomma verso la Sanzione sociale. Per cui  l'Autorità non può nascere se non nella Società degli uomini, e non può essere se non una formazione naturale  della sua attività organica. Ma questa dottrina del positivismo circa l'Au-  torità pare anch' essa contradditoria alla sua volta.   Un Potere, come si disse, è una Autorità in quanto  conviene con una Idealità sociale ed è giudicabile se-  condo questa; e quindi il suo esercizio è passibile di  una Responsabilità verso un Tribunale che dispone di  una Sanzione per far valere i principj secondo i quali  sentenzia.   Ora, siccome tale è precisamente anche il Diritto,  cosi l'Autorità viene ad essere anch' essa un Diritto.   Ma se l'Autorità è un Diritto, e il Diritto lion è tale  se non per l'Autorità subordinante che lo riconosca e lo  sancisca, come potrà darsi l'Autorità, non potendo essere  che il subordinante sia nello stesso tempo il subordinato?  Per rispondere alla difficoltà basta richiamare  quanto fu detto sopra (i) della Giustizia effettiva o giu-  ridica, o del corpo sociale ; e della potenziale, o dell' in-  dividuo.   Ciò che sancisce l'Autorità suprema dello Stato è in  genere l' indistinto delle coscienze individuali, che ve-  demmo sopra come esista e come operi. E che, in modo  via via più distinto, si concreta nelle prerogative proprie  della gerarchia sociale (I) Capo I. i VII.    E COSI è tolta la contradd^ione obbiettata.   Il Diritto del subordinato è sancito dalla Autorità  stabilita nella Società. Il Diritto di questa Autorità è  sancito anch' esso da qualche cosa. Ma non da un' altra  Autorità superiore a quella della Società, che non può  darsi: sibbene dalla potenzialità morale del corpo sociale  collettivo (o delle coscienze individuali) che si forma ed  esiste e funziona ed è efficace in r^ione e a misura che  vige l'ordinamento effettivo della Società. E questo vero è attestato dal fatto storico co-  stante della Società umana, nella quale sempre si è ma-  nifestato questo processo; da una parte, della Autorità  stabilita che sancisce il Diritto del subordinato; e dal-  l'altra, della coscienza comune dei subordinati che san-  cisce il Diritto della Autorità stabilita.   Questo fatto è evidentissimo nella costituzione delle  Società moderne più avanzate, nelle quali é già ricono-  sciuta anche legalmente la dipendenza del Governo, in  tutte le sue parti, dal beneplacito dei cittadini. In tutte  le sue parti ; mentre ormai la irresponsabilità, o si limita  alla sola persona del capo supremo, o è tolta affatto  anche per questa.   All' infuori del potere tirannico della forza e della  violenza di certe Società informi, che non è ancora l'Au-  torità giusta propriamente detta, ma la Prepotenza in-  giusta, nei governi teocratici la potenzialità morale del  corpo sociale collettivo si manifesta nella istituzione e  dipendenza del Potere dalla religione. E nei governi as-  soluti laici la potenzialità stessa si manifesta nella dipendenza del Potere sovrano, che pure ivi ha luogo, da  qualche cosa; come dalle consuetudini, dalle caste, dagli  ottimati e via discorrendo.   7. — Ed è poi confermato il vero medesimo dalla  distinzione, che sempre fu riconosciuta, fra il Diritto  reale e il potenziale ; ossia, che è lo stesso, fra il Diritto  positivo e il naturale.   Poiché, scientificamente parlando, che è mai il Diritto naturale, se non la potenzialità morale propria degli individui componenti la So-  cietà. Il nostro ragionamento ci ha condotto:  Primo, a scoprire la vera indole del Diritto naturale.  Secondo, a spiegare con ciò V origine e la natura   vera della Autorità sociale. A darci il criterio per istabilire i rapporti del  Diritto naturale col positivo, tanto storici quanto ideali.   2. — Il Diritto positivo è, come già dicemmo più  volte, il Potere quale è costituito e funziona nella Società  umana; il Potere dei subordinanti e quello dei subordinati,  in quanto è riconosciuto fissato e garantito dal primo.     (i) Vedi in proposito : Morale dei Positivisti Libro I, Parte li.  Capo IV. n. 15 e segg. (pag. 125 e segg. del Voi. Ili di queste  Op. fil, nella edizione del 1885, e pag. 131 e segg. nella ediz. del  1893 e del 1901, e pag. 135 e segg. nella ediz. del 1908), e Parte HI,  Capo I (pag. 129 e segg. del medesimo nella ediz. del 1885, e pag.  135 e segg. nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 139 e seg. nella  ediz. del 1908). — E questa Sociologia Capo I J VII (principalmente  n. 6) e J Vili (principalmente n. 3 e 4), e Capo II. ? 11, nota al n. 5.   Il Diritto naturale non è altro che il potenziale.  Ossia quello che corrisponde alle Idealità sociali, o giu-  ste, o morali. £ alle Idealità sociali universe: tanto a  quelle che si sono già avverate nella psiche e nella co-  scienza umana, quanto a quelle che non vi si sono an-  cora avverate, ma vi si possono avverare quandochesia.   Dalle quali definizioni enaerge che il Diritto positivo è determinato e giu-  stificato dal naturale; che il Diritto naturale è imprescrivibile, ed  ha un valore trascenclente assoluto, corrispondendo al va--  lore trascendente assoluto della natura onde è il prodotto:  come una forza o una specie naturale qualunque, che  l'uomo trova nella realtà e deve subirvi e riconoscervi; che il Diritto naturale è universale, come la  natura umana, allo svolgimento proprio della quale cor-  risponde.   Quarto, che il Diritto naturale è infinito.   Il Diritto naturale è infinito, nel senso posi-  tivo della parola, spiegato nella Morale dei Positivisti (i).   Infinito cioè nel senso, che è una potenzialità inter-  minabile nelle serie e nelle forme de' suoi svolgimenti.  Una potenzialità indistinta atta a determinarsi nei fatti  dei Diritti distinti che si verificano via via senza fine,  come i fatti in genere nella natura per la sua forza ine-  sauribile. E non mica un pensiero, o un sistema di pen-  sieri, già determinato e fissato in tutto il suo contenuto  (Libro II, Parte III, Capo I (pag. 255 e segg. del Voi. Ili  di queste Op. fil,, neir ediz. del 1885 e pag. 268 nell'ediz. del 1893  e del 1901, e pag. 275 nella ediz. del 1908).  e in una forma unica, nella mente di dio, come dà la  filosofìa tradizionale.   La quale immiserisce meschinissimamente il concetto  del Diritto. Come immiserisce meschinissimamente il con-  cetto delle specie naturali delle piante e degli animali,  riducendole ad un numero chiuso di archetipi fissi pre-  stabiliti in una mente creatrice.   Come realtà attuale, già distinta nella sua forma di  Diritto, questo è un fatto accidentale; è il risultato del  caso dell'incontro fortuito delle reazioni particolari che  ne determinarono la effettuazione reale, analogamente a  ciò che avviene per ogtii fenomeno naturale, e come nella  Formazione naturale nel fatto del sistema solare dimo-  strai importare la legge universale della Formazione na-  turale. Ma esso Diritto poteva realizzarsi in un infinito  numero di altri modi ; come era possibile un infinito altro  numero di accidenti (i) nella coincidenza produttrice della  serie degli eventi e della serie delle condizioni dell'uomo,  in cui si avverò la coincidenza. E, del pari, resta sempre  infinito il numero dei momenti evolutivi ulteriori, per la  stessa ragione, e perchè V attività naturale resta sempre  inesauribile, e non si arresta al punto al quale è arrivata  in un dato momento.  Dalle quali cose poi emerge che tra il Diritto  positivo e il naturale vi deve sempre essere lotta. Tanto  è lungi che il positivo (come discenderebbe dalle dot-  trine dell' etica tradizionale) sia T acquietamento defini-  tivo del naturale; e che questo, eflFettuatolo, riposi in     (i) Vedi la Parte IV dello stesso libro.    -   quello, e solo debba stare in guardia contro i principj  contrari (sia delle passioni ree dell' uomo, sia di potenze  sovrannaturali perverse) tendenti a disturbare V assetto  etico definitivo del mondo.   Eterna è la lotta fra il «Diritto positivo e il Diritto  naturale. E non effetto della reità di nessuno, ma dello  stesso Processo del Bene. Il Diritto naturale lavora continuamente a trasfor-  mare il talento della Prepotenza egoistica, che rimane  nella Autorità vigente, in ijome della Idealità antiegoi-  stica. E la trasformazione, incominciata sopra il massimo  della Prepotenza, e continuata pei gradi insensibili infi-  niti della sua diminuzione, non è mai compiuta total-  mente.   Il Diritto positivo di un dato momento è sempre in  arretrato verso le Idealità sociali più progredite, già al-  beggianti nelle coscienze sociali. E la evoluzione di que-  ste Idealità, che, nate, si ribellano subito al Diritto po-  sitivo discordante per riformarlo ad immagine di se stesse,  è una evoluzione che mai non cessa. L’Autorità del subordinante e in pari tempo, un suo Diritto. Soggiungiamo ora che anche il Diritto del subor-  dinato è, esso pure, una Autorità nel vero senso della  parola.   Il Diritto del subordinato è si riconosciuto dalla Au-  torità del subordinante, mai non è da questa creato. Esso  esiste per sé in virtù del fatto del suo comparire nella  coscienza individuale. Se questo fatto non si avesse, l'Au-  torità del subordinante non potrebbe fare che fosse il Diritto relativo. Dato che sia il fatto, la stessa Autorità  non può esimersi dall' ammettere il Diritto.   Il Diritto del subordinante quindi si impone per que-  sto verso all'Autorità del subordinante, e perciò è esso  stesso una Autorità. Oltreché poi ogni Diritto, anche di  un subordinato, è sempre tanto o quanto subordinante,  cioè atto a determinare dei Doveri e dei Diritti corre-  lativi.   E questa dottrina della autorevolezza intrinseca del  Diritto del subordinato (santo pel subordinante, come  l'Autorità di questo è santa pel subordinato), era sentita  nella coscienza etica degli antichi, malgrado il falso loro  riferimento della cosa, quando all' ordine iniquo del prin-  cipe tendente a violare il Diritto naturale del suddito,  questo rispondeva: Se il principe comanda ciò che dio  proibisce, o proibisce ciò che dio comanda, l' ordine e il  divieto del principe non hanno valore per la coscienza. La dottrina positiva dell'Autorità e del Diritto è liberale.   Questa dottrina (che è quella del liberalismo  positivo) contrasta a due estremi opposti ; esiziali 1' uno  e r altro alla Moralità vera. A quello del Nichilismo del  Diritto individuale della dottrina etico-religiosa dei me-  tafisici ; e a quello del dichilismo deldiritto del Potere  di un certo socialismo materialistico. Il Diritto naturale e l'Autorità del Potere, che  lo riconosce, sono fatti naturali della Società, correlativi  ruoo all'altro. Onde» sopprimendo T uno di essi, sì sop-  prime anche V altro. Il Nichilismo materialistico dunque,  annullando l'Autorità del Potere viene ad annullare lo  «tesso Diritto individuale, che vorrebbe rimanesse col carattere di Diritto unico ed assoluto*   Il Diritto individuale è un effetto dell' organismo so-  ciale; e tanto che» tolto questo organismo, né potrebbe  formarsi, né perdurare, esistendo di già; come la fun-  zione e il prodotto speciale di un viscere particolare non  è segregabile dall* organismo deir animale e dai centri  nervosi superiori, onde è determinata e regolata V atti-  vità di ogni sua parte. Si form<\ il viscere a misura che  si formarono i centri regolatori ; si mantiene finché si  mantengono i rapporti di dipendenza da essi. E analogo  è il caso del Diritto individuale nel suo rapporto coli' Au-  torità centrale.   E dunque liberale la dottrina positiva che, mante*  nendo TAutorità subordinante, può mantenere anche il  Diritto dell' individuo. E, per conseguenza, illiberale è  quella del Nichilismo materialistico, poiché, distruggendo  questa Autorità, finisce con ciò a distruggere anche que*  sto Diritto.  Ma la stessa dottrina positiva combatte, nel  medesimo tempo, il principio illiberale del Nichilismo  teistico, dal quale non è riconosciuto nelT individuo un  Dìntto propriamente detto, o proveniente dal suo essere  stesso; ed è insegtiato essere il Diritto una concessione  gratuita di dio, che egli possa dare e togliere a suo pia-  dmento, e lasciare anche alla balia degli usurpatori della  sovranità, nei quali si debba in ogni caso riconoscere una Autorità che non emani dal corpo sociale e sia ir-  responsabile verso di esso.   Il positivismo combatte questo principio, stabilendo  l'Autorità originariamente ed inalienaòilmente risiedente  neir individuo di esercitare il suo naturale imperio sopra  le cose, sopra di sé, sopra gli altri. E mostrando, come  la dipendenza dell' individuo dal Potere subordinante non  è quella dello schiavo, che è costretto colla violenza dal  padrone, e ne eseguisce i comandi suo malgrado, e col-  r ira incitante alla vendetta ; ma è quella liberale di chi  fa con persuasione e con amore. E ciò perchè, l'Autorità  giusta subordinante, l'individuo la pone esso stesso pel  Bene di tutti; anche se importa un sacrificio per parte  propria: la pone, la coltiva, la difende come cosa, pro-  pria, anzi come suo proprio Diritto. Proponemmo quattro problemi fondamentali da  risolvere secondo il criterio positivo del Diritto e del Do-  vere prima indicato.   Dei primi tre problemi abbiamo trattato nei paragrafi  successivi del Capo medesimo. Tratteremo in questo del  quarto, cioè circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità Beneficenza, che dir si voglia.  Fin qui il nostro libro ha voluto soddisfare a  due dei tre suoi intendimenti; cioè di dimostrcure che la  Moralità, come è spiegata nella filosofia positiva, com-  prende, non solo gli atti della Gitistizia propriamente  detta, ma anche:   Primo. Gli atti infiniti offensivi non contemplati e  uon contemplabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi  dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno at-  tribuiti a queir altro della pura Convenienza. Gli atti sindacabili soltanto dalla coscienza  intima dell' individuo in cui si avverano, e producenti la  sola reazione del Rimorso intemo. Trattando ora del quarto problema suddetto,  vedremo di soddisfare al terzo degli intenti propostici,  vale a dire di mostrare, che la Moralità, come è spie-  gata nella filosofia positiva, comprende anche;   Terzo. Gli atti virtuosi, che V individuo potrebbe fare  e sarebbe bene facesse, e non è costretto a fare. Ossia  quegli atti, che non si attribuiscono né alla Giustizia né  alla Convenienza, ma alla Carità, come dicevano i mo-  ralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come di-  rebbero i nuovi.  Gli atti benefici nell* Etica tradizionale.  E noto che nell' Etica tradizionale si stabiliscono due ordini diversi di atti buoni:  Quelli ai quali uno é tenuto per poter essere senza  colpa, che si dicono atti di Giustizia; e si riassumono  nel detto: Non fare agli altri ciò che non vuoi che sia  fatto a te. Che é quindi un vero Precetto,   E quelli che uno può tralasciare senza diventare con  ciò colpevole, che si dicono atti di Carità o di Beneficenza, e si riassumono nel detto: Fa agli altri ciò che  vorresti fosse fatto a te. Che è quindi propriamente, non  un Precetto, ma un Consiglio, Ed è noto che 1' osservanza dei primi si dice pro-  durre la semplice Onestà morale; e la semplice Esenzione dalla punizione. E che la pratica dei secondi pro-  duce anche una Perfezione morale ; e quindi il Merito di  un premio.   Ed è noto ancora che, tra i pronunciati morali ap-  partenenti alla categoria dei Consigli miranti alla mag-  giore Perfezione morale, se ne pongono anche di quelli  relativi, non al bene da farsi agli altri, ma alla nobilita-  zione interna della Persona morale. Il principio del Bene morale non prescritto, e  quindi n&n obbligatorio o gratuito (che è un principio ve-  rissimo, anzi è il principio morale per eccellenza), l'Etica  tradizionale, e non potè mai riuscire a dedurlo rigorosa-  mente, ed è, nel sistema di essa, contradditorio. E regge  solo nella dottrina dell'Etica positiva. E ciò malgrado sembri a tutta prima che questa,,  posta la dipendenza da essa stabilita del fatto morale  dalla Sanzione costringente, conduca ad una conseguenza  affatto opposta ; a quella cioè di togliere di mezzo quello  che ora chiamammo (ed è senza dubbio) il principio mo-  rale per eccellenza.  L' Etica teologico-metafisica tradizionale si è  accorta dell' imbroglio che sta nella sua dottrina ; e ha  cercato di cavarsene colla sua solita gherminella (rilevata  stupendamente dal Mefistofele del Faust di Goethe) di un  vocabolo equivoco. Cioè col vocabolo Consiglio contrap-  posto a quello di Precetto.   Il Bene morale obbligatorio (ha detto V Etica teolo-  gico-metafisica tradizionale) è il Precetto di dio, che non  si può non seguire : il Bene morale gratuito invece è il  suo Consiglio, che l'uomo può anche non seguire. Ma ciò non è altro, come dicemmo, che una  gherminella. La mentalità divina del Bene morale, onde partono  i metafisici in discorso, derivandone tanto il Precetto  quanto il Consiglio, sta, secondo loro, colla ragione di-  vina dell' Ordine morale.  Ora si può domandare:  L' Ordine morale metafisico, ragione del Bene, è esso  esigenza assoluta dell' essere proprio delle cose che ri-  guarda? E allora è necessario che sia Precetto tutto  il Bene. O sta invece che l'Ordine morale sia il puro bene-  placito di dio, il quale possa stabilirlo arbitrariamente  in un dato modo, e di due sorta, cioè uno da esigersi  inesorabilmente, e un altro da consigliarsi soltanto e  quindi da permettere che sia anche violato da chi voglia? E allora il Bene morale, anche quello prescritto,  non ha un valore assoluto ; e si può supporre che dio po-  tesse non averlo voluto, come si suppone dagli stessi me-  tafisici, che egli potesse non aver voluto creare il mondo.  Si può supporre insomma, che il male sia male solo perchè dio r ha decretato, e che egli avesse potuto decre-  tare che non lo fosse. Il che sarebbe la distruzione pili  radicale immaginabile della Moralità. E da questo dilemma non si scappa. Cosa ben curiosa e ridicola il sistema etico  della filosofia sana, anche da questo punto di vistai   Secondo questa filosofia sana un uomo sa che dio io  consiglia ad un Bene che egli potrebbe fare benissimo;  e sa che con ciò darebbe soddisfazione a lui che deve amare sopra ogni cosa : ma quest' uomo non si cura, né  del Bene per sé, né dell'autorità di dio che lo invita a  farlo, né del dispiacere che gli reca trascurandolo ; e ciò  per la preferenza data a un proprio interesse egoistico  contrario : e tuttavia il medesimo uomo rimane dopo tutto  questo esente da colpa, e nella grazia dello stesso dio  cosi postergato.  L' imbroglio e V assurdo della distinzione tra  il Precetto e il Consiglio dipende dalla distinzione falsa,  posta dai moralisti in discorso nella stessa ragione di-  vina del Bene morale, del Bene doveroso e di quello non  doveroso, corrispondente all' altra distinzione falsa, di un  Ordine morale che dio voglia necessariamente e di uri  Ordine morale che egli voglia arbitrariamente; e che è  la conseguenza di un principio ontologico fondamentale  erroneo circa le leggi dell' essere e della causalità in ge-  nerale e della provvidenza in particolare. Nel principio ontologico al quale alludiamo si accoz-  zano, in modo confuso e contradditorio, il necessario e  r arbitrario, come nell' Etica corrispondente la Moralità  determinata dalla ragione assoluta dell' essere e quella  determinata dalla ragione di un comando arbitrario. E  per un processo logico analogo.   Il concetto del necessario e dell'assoluto deriva dalla  osservazione della costanza delle leggi naturali dove que-  ste appariscono a tutti. Il concetto dell' accidentale e del-  l'arbitrario deriva dalla osservazione dei fatti, che nella  apparenza non si connettono necessariamente a cause na-  turali, onde si attribuiscono all' intervento diretto volta  per volta dell' arbitrio divino ; come, pel volgo, la piog-      colare della povertà (che anzi questa sublimità per sé la  povertà non V ha niente affatto, se non ha invece la qua-  lità opposta) ; ma bensì se mai fosse V effetto inevitabile  di una azione o giusta o caritatevole, sì che uno non a-  vesse potuto rimaner giusto se non si fosse rassegnato ad  incontrare la povertà, o avesse sofferto perfino di subirla  per un maggior bene altrui.E così la povertà volontaria può essere anche pel po- sitivista una cosa sublime ed eroica. Mentre in caso di- verso egli la direbbe una stoltezza ridicola e riprovevole. Che se pel religioso la elezione della povertà non è una stoltezza, ciò dipende unicamente dalla circostanza che egli la riferisce ad uno scopo; cioè a quello di gua-  dagnare con essa il paradiso. Ma, se cessa così di essf re una stoltezza, riesce però un atto al tutto egoistico e quindi ancora tutt' altro che eroicamente morale.  E merita una speciale considerazione a questo proposito la dottrina relativa alla elemosina e al dare a prestito. Ho un ricco, fatto proprio secondo lo spirito dell'E- tica sana teologico-metafisica. Egli crede fermamente che  r esser lui nato ricco e destinato, senza lavorare, a go-   di ogni genere, mentre il povero non ha da coprirsi a- vendo freddo; se il ricco ha a sua disposizione palazzi e ville, quando il povero manca di un tetto qualsiasi; se il ricco imbandisce la propria mensa di cibi e vini costo- sissimi con profusione, dove il povero manca della stessa  polenta; se il ricco ha cavalli e cocchi e servi che lo  ajutano a fare niente, mentre il povero si stima fortunato  che altri gli offra per carità un lavoro che lo esaurisce senza compensarlo ; se al ricco si offrono tutti i pia-  ceri da vicino e da lontano (poiché non gli bastano quelli  che può dargli il suo paese e gli occorrono anche quelli che solo si trovano altrove), e questi gli sono sempre  perdonati quand' anche affatto eccessivi e corrompenti e illeciti e scandalosi, quando il povero ne è privo al tutto ed è barbaramente rimproverato pur dei pochissimi e grami che gli sia dato di procurarsi; se fa tutto questo il ricco, non solo crede, secondo la sua sana morale (che sempre ha cura di contrapporre ad un' altra diversa, detta da lui empia e sovversiva) di far uso di un Diritto concessogli da dio per un gusto particolare di predilezione, ma crede poi anche di adempiere ad nn Dovere: a quel Dovere che si chiama il Dovere di vivere secondo il proprio stalo.   Or bene questo ricco, fatto secondo lo spirito dell’Etica sana teologico-metafisica, riconosce fra i Doveri  del proprio stato anche quello della elemosina, ritenendo che coir adempirlo diventi, non solo buono (che lo è già senza la elemosina), ma ottimo, ed in modo perfetto ed  eroico. Ed è assai bello vedere come il nostro ricco  intenda la detta elemosina. C è da rilevarne proprio la  sublimila della morale onde ha lo spirito. Prima di tutto, se egli si trova padrone di una so-  stanza vistosissima ereditata nascendo (quanta fatica,  quanto studio, e quanto merito!), la sua proprietà è cosa  sacra, qualunque ne sia la origine antica: anche se in  questa origine fu accumulata colla frode e colla rapina.  È cosa sacra, che gli viene da dio stesso. E, se deve contribuire una parte piccola e superflua per lui dell' aver  suo, per concorrere alle spese dello Stato che glielo di-  fende, o per dare un pane insufficiente a chi si logora la-  vorando penosamente per lui, che nulla fa e solò consuma  godendo e corrompendo, egli intende, nella goffaggine su-  perlativa del suo pensiero, che T operaio, che suda per la  scarsissima paga, e il funzionario pubblico, che si sacri-  fica pel meschino stipendio, della paga e dello stipendio  debbano arrossire come di suoi compassionevoli e gratuiti  donativi, e debbano riconoscere che, se faticando assai  hanno poco da mangiare, anche questo poco è tutta gene-  rosità sua, per la quale si compiaccia di largirlo, privandosi di una piccola parte di ciò che gli sovrabbonda. Ma va più in là l’eroismo della sua generosità di  dare del superfluo a chi non ha di proprio se non il dovere di lavorare (quando. gliene danno) e di soffrire. Va  più in là; poiché, oltre pagare le imposte che non può  frodare, oltre angariare V operajo coir avarissimo com-  penso dei servigi avutine, esercita anche la viriti dell’eielosina. Non già impoverirsi per ciò. E nemmeno restringere  di nulla gli scialacqui demoralizzanti. Oibò! Sarebbe questo un venir meno ai Doveri del proprio stato. E nem-  meno impiegarvi una, anche piccola, parte delle super-  fluità più riprovevoli. Tanto non occorre; e di gran  lunga.   Se, per cavarsi un capriccio stimato come un nulla,  il nostro ricco non bada a spendere un migliaio di lire,  una lira sola è anche troppo gettarla, come si farebbe  di un osso ad un cane, ad un vecchio cadente per la fame. Un pugno di monete di rame, ecco quanto basta per a-  dempiere al Dovere di perfezione della elemosina, per es-  sere morale in grado superlativo ed eroico, per acquistare  il merito -di un posto riservato in paradiso.  Poiché anche quelle miserabili monete di rame della  elemosina non si intende mica s'abbiano a gettare gratis. Né anche per sogno! Anche da esse, quantunque non  abbiano un valore apprezzabile per chi le getta, deve ve-  nire un vantaggio : e un vantaggio assai grande ; devono  fruttare nientemeno che una felicità eterna in un'altra vita. E la cosa va di suo piede. Il povero, la cui vita fu  uno strazio continuo, é ben giusto e naturale che vada  poi air inferno, essendo infine, un povero, un malvagio  mascalzone ; mentre il ricco, che ha sempre goduto senza  nessun merito, deve essere premiato colla beatitudine del  cielo, essen'do infine, un ricco, una persona buona. Un pugno di piccole monete di rame; ecco dunque  la limosina del ricco, secondo l'Etica sana. Un pugno di  piccole monete di rame date all' impazzata ad una turba  degradata di accattoni che le implorino, facendo ressa e  alzando le mani supplichevoli, intorno al castello minac-  cioso e al cocchio superbo, di chi le getta loro col piglio del disprezzo. E questa turba di accattoni degradati é poi neces-  sario, secondo la stessa Eti.ca sana, che ci sia anch'essa.  Altrimenti come sarebbe possibile al ricco di avere il  vantaggio di procacciarsi il paradiso a si buon mercato,  e di far risplendere, al di sopra dei languenti per inopia,  r orgoglio stupido della ricchezza in tutta la forza della  sua brutalità? Onde, nel pensiero del nostro ricco (fatto secondo ìct  spirito dell'Etica sana), è cosa immoralissima e sovver-  siva del Bene, che altri, come il positivista, cerchi di to-  gliere dalla Società T ignominia dell'accattonaggio: che  consigli la Società a provvedere, non in apparenza ma in  realtà, V impotente, 1' ammalato, il disgraziato : e senza  degradarlo, e con un soccorso che apparisca un Diritto  riconosciuto in chi lo riceve, e non una elemosina che lo  avvilisca ; che faccia opera affinchè il povero sia educato  in modo da sentire il danno e la vergogna di accattare  il pane poltrendo neir ozio ; e il vantaggio e la soddisfa-  zione confortevole di guadagnarselo nobilmente col pro-  prio lavoro.  E, il sommo della immoralità della condotta del po-  sitivista, il nostro ricco la riscontra poi in questo; che,  se si dà il caso dell' incontro di un infelice bisognoso di  soccorso, egli, il positivista, glielo porga per puro sen-  timento antiegoistico di umanità, senza pensare punto allo  interesse, né del paradiso né di nient' altro, da ricavarne ;  e lo faccia senza avvilire chi riceve, comportandosi con  esso come il fratello col fratello ; e nell' intento, non di  perpetuarne lo stato miserabile, che faccia risaltare meglio-  il proprio più decoroso, ma di agevolargli la via per u-  scirne al più presto, diventando un suo pari.  Dopo tutto però bisogna confessare che il no-  stro ricco, fatto secondo lo spirito dell' Etica sana, è  logico.  Ma le conseguenze pratiche di tale sua logica ser-  vono assai bene per farne apprezzare i principj. Come,  al contrario, la verità dei principj positivi apparisce nelle conseguenze opposte or ora accennate, eminentemente (ed  esse sole) buone e morali.  Certo si deve ammettere, che nella Società (pur pre-  valendo nelle dottrine dei maestri di morale il concetto  teologico-metafisico sopra descritto) si fece strada a poco  a poco, e per, la condotta individuale e per la direzione  delle cose pubbliche, V idea della beneficenza propugnata  dal positivismo, fondata sulla benevolenza effettiva che  r uomo, diventato buono, ha pe' suoi simili, stimati tutti  avere gli stessi Diritti ai beneficj della vita e della So-  cietà; alla quale perciò incomba il debito di provvedere  normalmente, più che sia possibile utile e morale, per gli  infelici.  Ma giò è V effetto della stessa natura, che opera se-  condo le sue leggi invincibilmente, senza e malgrado le  teorie dei filosofi. E qui pure, come in tutto il resto dei fatti  etici, essa natura ha dimostrato, che la Moralità non si  attacca materialmente ad un atto determinato circa . il  quale dio abbia detto : Questo atto voglio che sia un atto  buono. E ha dimostrato che la Moralità consiste invece  nella stessa disposizione antiegoistica dell' animo, creata  dal vivere sociale ; e per la quale V atto materiale (che  per sé non è moralmente né buono né cattivo) diventa  buono, se la disposizione relativa dell' animo è buona, e  cattivo, se cattiva, E ha dimostrato che non occorre, che  un atto buono sia stato prescritto positivamente da nes-  suno, perchè si introduca nella pratica morale degli uo-  mini, e che questi lo eseguiscono anche senza e prima che  sia stato prescritto. Che anzi la prescrizione positiva medesima è pur essa non altro che V effetto della disposi-  zione potenziale degli individui precedentemente forma-  tasi neir animo moralizzato, nel modo sopra descritto.  Un discorso analogo si può fare circa il dare  a prestito. L' Etica religiosa, computandolo fra gli atti di  beneficenza e volendo quindi che, se altri lo eseguisce,  abbia da, poterlo fare solamente sotto questo riguardo, e  conseguentemente senza interesse, ne sopprime la funzione  vitalissima per la prosperità commerciale ed industriale  nel meccanismo economico sociale; lasciando più libero  il campo alle imprese esiziali degli usurai ; sottraendo il  capitale all'ingegno e all'operosità dei volonterosi; re-  stringendo le fonti del benessere pubblico e quindi della Moralità comune.   E allora non sarà colpa l'approfittarne per contravvenirla:  e Vufficio del galantuomo sarà tulio nello studio di elu^  dere la Legge, E vi riuscirà, più o meno sempre, es-  sendo verissimo V adagio : Fatta la Legge, trovato V in-  ganno. Ed ecco il galantuomo inappuntabile dell'Etica sana. Quanto diverso, e più veramente galantuomo,  quello del positivismo, che l'Etica sana dice sovversione,  distruzione, negazione della Moralità.  Lo scopo dell' attività umana congegnata insieme nell’organismo sociale è di produrre nella coscienza degli  individui la Idealità morale antiegoistica, atta a muoverne  la volontà a fare il Bene. Fino a che l'individuo, questa  Idealità, non ha potuto formarsela, è un infelice da com-  passionarsi, come il selvaggio che non ha appreso da una  Società colta a procurarsi ciò che forma il benessere e il  decoro di un uomo. Si faccia dunque ogni sforzo per  isvolgerne le facoltà etiche onde egli goda del bene di  avere il carattere dell' essere morale. — • 2og — Una volta che Tuomo sia tale, egli fa il Bene in virtù della Idealità, che è viva in lui e impulsiva per sé del suo volere. Impulsiva per sé: tanto pel Bene della Giustizia propriamente detta quanto per quello della beneficenza. Impulsiva sempre ; ogni volta che si presenti V occa-  sione di ravvivarsi nella coscienza. Operatrice del Bene nella stessa misura della sua im-  palsività, ossia del suo esserci. Impulsiva finalmente pel solo fatto di esserci ; e senza  la scappatoja immorale del difettò, o nella promulgazione della Legge, o nella sua redazione negli articoli del co"  dice. Poiché, come dimostrammo già più volte, l'Idealità  morale, essendo essa la Giustizia potenziale, non segue  (come vaneggia la filosofia da noi riprovata), ma precede  la Legge propriamente detta ; e quindi esiste nella coscienza (ancor prima della redazione scritta di una Legge  e della sua promulgazione) un suo dettato e una sua an-  nunciazione, che integra qualunque difetto della redazione  e della promulgazione positiva; e conseguentemente im-  pedisce che la Legge e il suo spirito siano ipocritamente  dissimulati e dolosamente elusi.  Il Bene di perfezione non obbligatoria, la vecchia Etica teologico-filosofica, lo ravvisò anche negli  stessi atti della Giustizia propriamente detta.  E in vero essa insegna, come notammi^ altrove, che,  se la volontà si decide a questi atti unicamente perchè  premuta dalla minaccia del castigo sancito per essi, si ha  solo la Giustizia e non la perfezione; e la perfezione si  raggiunge, eseguendo gli atti della Giustizia indipendentemente dalla minaccia del castigo e per la pura soddis-  fazione di fare le cose giuste.  Ed è giustissima questa distinzione fra il primo e il secondo genere della deliberazione volontaria rispetto ad un medesimo atto obbligatorio. E l'etica positiva la ri- pete e la mantiene anche per conto suo. E ne approfitta per argomentarne ad hominem contro TEtica vecchia. Poi- ché questa colla distinzione in discorso (che è una prova della verità dei principj della nostra Etica sperimentale) mette a nudo il proprio difetto per gli artificj, ai quali deve ricorrere affine di conciliarla colle sue teoriche; e per le incongfruenze che, malgrado gli artificj stessi, vi risultano. Notiamo, per esempio, l’incongruenza relativa alla distinzione tra T atto di rigorosa Giustizia e V atto gra- tuito, al quale essa annette il carattere di perfezione mo- rale. Qui non si tratta più di un Bene supererogatorio, e tuttavia vi trova il carattere della stessa perfezione. La quale incongruenza svanisce subito partendo dai principj da noi esposti dell'Etica positiva. L' essenza dell' atto morale propriamente tale, ossia di perfezione, di un'atto che ecceda l' efifetto diretto della minaccia del castigo, consiste, come dicemmo, nella atti- tudine del volere a esegfuire V atto indipendentemente dalla eccitazione esterna della Sanzione del castigo minacciato. E questa attitudine si ha quando, per effetto appunto della applicazione della eccitazione esterna mede- sima, a poco a poco si ingenerò e si rinforzò la dispo- sizione psichica impulsiva per sé; e tanto, che, divenuta questa una autonomia morale, ha da sé quanto basta per agire, senza bisogno di esservi ajutata dalla eccitazione della minaccia esteriore. Il che in qualche maniera é ammesso anche dall' E- tica vecchia, che pur riconosce la detta spontaneità mo- rale, ricorrendo però per ispiegarla al sogno della grazia di dio, che sostituisca il timore del castigo all' uopo di muovere la volontà al Bene. Coi principj dell'Etica positiva é dunque spiegata nel modo più ovvio e conseguente 1' analogia che corre tra r atto della stretta Giustizia eseguito per pura bontà d' animo, e l' atto della beneficenza in pari modo prodotto ; e come ambedue possano avere cosi egualmente il carat- tere della Moralità perfetta. Molto più che è precisamente la spontaneità di operare la Giustizia (ossia lo Giustizia potenziale) che, precedendola, promuove la legislazione positiva colla rela- tiva Sanzione costringente (come dimostrammo). Ed é la stessa spontaneità che ne mantiene il vigore. Chi ha in sé l'amore alla Giustizia si fa autore diretto o indiretto della Legge, la difende, e concorre a renderla efficace e a vendicarla, se violata. E non impegna persé la forza del Potere, lasciandola disponibile interamente all' utile comune della Società. Dalle quali cose si trae un nuovo argomento in favore del principio etico positivo in confronto col me- tafisico tradizionale. Nella formazione della Moralità umana, secondo le cose dette, va considerato il momento disponente alla for- mazione stessa, e il momento della Moralità già attuata neir animo. Il momento disponente si ha nel cedere che fa il volere alla eccitazione che le viene esternamente dalla Sanzione della Legge. Il momento della Moralità già attuata si ha nella spontaneità acquistata dallo stesso volere air azione giusta e buona senza il bisogno della suddetta eccitazione. Or bene: il principio etico metafisico, onde la ragione deir atto morale è riferita al motivo della pena e del premio, contempla la Moralità nel Momento dispo- nente, vale a dire quando essa non è ancora la Moralità già fatta: dove il principio etico positivo, pel quale la ragione dell' atto è nell' Idealità sociale impulsiva per sé, contempla la Moralità proprio nel momento nel quale essa esiste veramente nella disposizione effettiva del volere. § VII. La virtic, il merito e il premio. Ora poi, esposte le quattro considerazioni pro- posteci, e confermata cosi e chiarita pienamente la dot- trina positiva riguardante gli atti cosidetti di carità o beneficenza, possiamo anche iritendere più compiutamente e precisamente, che sia ciò che si chiama la viriti e il me-' rito, nel loro senso distinto e proprio. Pl'lt .■l .J * — Tr"»T' ^r- Il merito è la proprietà della virtù, come tale; e non del semplice atto morale. E la virtù è una disposizione esistente realmente nel- l'uomo virtuoso. Il che, come sia, è chiaro dalle cose dette sopra. Cosi la scienza è V attitudine particolare dello scien; ziato. Ed essendo la virtù una disposizione reale dell'uomo virtuoso, questo per ciò è un essere diverso dall'uomo non virtuoso; poiché in questo secondo non esiste la potenza etica, che esiste nel primo. E questo vero è stato riconosciuto (quantunque con- fusamente e in contraddizione col loro principio (i)) dai moralisti della chiesa, in quanto per essi il merito e la virtù richiedono la presenza nell'anima di una attività spe- ciale, vale a dire di ciò che da loro è chiamato, la grazia. Se qualcheduno osservasse che noi, col ricor- rere alle dottrine dei teologi cattolici per trarne una con- ferma dei dettati del positivismo, tiriamo in campo inse- gnamenti già abbandonati dalla stessa filosofia etico-me- tafisica che combattiamo, e che quindi facciamo opera inutile (come anche oppugnando il dogma della grazia, che è voler sfondare una porta aperta, non credendo ad esso oramai più nessuno dei moralisti metafisici non teo- logi), soggiungeremo che la teoria dei metafisici non teo- logi non è che un riflesso sparuto della dottrina teolo- (r) Vedi Morale dei Positivisti Libro li, Parte I, Capo II, n. 26, 27 e 28 (pag. 224 e segg. del Voi. Ili di queste _Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 234 e segg. nella edìz. del 1893 e del 1901, e pag. 241 e segg. nella ediz. del 1908). • ^'••^'^'^gica patristico-scolastica precedente; e che ne ha eredi- tato i difetti perdendone i pregi ; rimanendo cosi una su- perficialità destituita anche di quel valore scientifico, che bisogna pure riconoscere, anzi ammirare, nellametafisica ecclesiastica. Gli autori della quale furono grandi pensatori che, se non poterono arrivare alla soluzione positiva del pro- blema morale (ed era impossibile al loro tempo e nelle loro circostanze), ne ebbero però dei presentimenti. E il principale fra questi pensatori fu S. Agostino vescovo di Ippona, il cui genio potè a ragione essere messo allato a quello del divino Platone. La dottrina della grazia, relativamente al fatto morale, è analoga alla dottrina della forza creativa, rela- tivamente al fatto fisico. Il corpo agisce fisicamente perchè ha in sé la pro- prietà di farlo. Del pari T uomo agisce moralmente per- chè ha in sé la proprietà di agire cosi. Per ispiegare V azione fisica gli antichi supponevano la produzione della proprietà relativa nel corpo per parte della onnipotenza divina. E così davano una ragione della azione fisica stessa quantunque falsa. Il positivismo (come dimostrai nel libro della Formazione naturale nel fatto del sistema solare) trova che la proprietà del corpo di agire fisicamente è la stessa sua costituzione naturale. E così spiega Y azione fisica in modo analogo a quello degli antichi : ma colla differenza che, dove questi considerano la proprietà introdotta nel corpo arbitrariamente da dio nel crearlo (che è contro l' insegnamento del fatto), il positivista considera la proprietà connaturale al corpo medesimo. Nella evoluzione scientifica, onde si passò dalla spie- gazione antica della azione fisica alla positiva attuale, tra quella e questa si formò una spiegazione ibrida e con- tradditoria ; la quale, da una parte, riconosceva V appar- tenenza della proprietà al corpo, proclamandola quindi una naturalità; e, dall'altra, riconosceva ancora dio quale primo autore di ogni naturalità; il che è una incon- gruenza scientifica, ed è il vizio capitale della dottrina teistica, come si trova ad esempio nel sistema del padre Secchi.Tale e quale la storia della evoluzione della dottrina etica. La virtù, o la proprietà psichica specifica dell'uomo morale, i teologi cattolici la supponevano un dono santo e sovrannaturale di dio. Il positivismo invece trova che tale proprietà santa è la stessa costituzione che potè acqui- stare la psiche umana per 1* azione esercitata sovr' essa dalla Società; ed è quindi una naturalità nel senso asso- luto della parola. La dottrina ibrida intermedia dei me- tafisici non teologi rende confuso econtraddittorio il con- cetto, pur semplice e chiaro, escogitato dai teologi, della proprietà etica infusa come grazia diviua. Rende, dico, confuso e contradditorio questo concetto in quanto, da una parte, negano V intervento diretto dell' azione divina sulla volontà, e, dall'altra, ne mantengono la indiretta. Il merito è l' indice della virtù. Esso è quindi per ogni atto virtuoso in ragione inversa dell'intervento del motivo estemo nella spinta alla deliberazione volon- taria. Appunto come la virtù, la quale, essendo la pro- pensione ad astenersi dal Male e a fare il Bene ingene- ratasi neir animo per le vie già indicate, tanto più ha in W-Vfl«-JJJ «.P., —sé di intensità quanto meno ha bisogno di essere mossa dal costringimento della minaccia del castigo e dall'ade» scamento della prospettiva di un vantaggio. Per conseguenza, minimo è il merito nelle azioni buone dipendenti al tutto dalla diretta efficacia della loro Sanzione esteriore: come in quelle che si fanno perchè imposte dalle Leggi positive. Ed è massimo nelle azioni buone per nulla determinate da motivo di fuori : come in quelle del Bene gratuito o supererogatorio, o di carità e beneficenza, per le quali, o non esiste Sanzione positiva determinata, o, esistendo, non si considera da chi le fa. Ma la stessa osservanza della Legge avente 4a sua Sanzione può in un uomo, indipendentemente dal ri- gfuardo della Sanzione stessa, essere determinatadallavirtùformatasi in lui di eseguirla solo perchè giusta, come vedemmo sopra nella osservazione quarta, E così anche per questa osservanza può aversi un grado di me- rito: e per questo distinguersi nella Società il semplice galantuomo (o quello che non può essere messo in pri-» gione perchè non fu còlto a delinquere) dall' uomo virtuoso, che è stimato non disposto a mancare agli obblighi del cittadino anche aboliti il Tribunale e il carcere. L' uomo, per la formazione che in lui si veri* fichi della energia morale o della virtù, diventa un essere fornito di una eccellenzaparticolare; cioè della eccellenza dignità o prerogativa d’essere morale. E il fatto è analogo a quello, per esempio, della for- mazione della energia vitale nel corpo materiale, per la quale questo si distingue fra le cose come ESSERE VIVENTE. Il premio, in relazione alla Moralità, o è una sua causa, o è un suo effetto. Come causa è la Sanzione allettatrice della quale par- lammo nel paragrafo quarto al numero sette. E con ciò si comprende percliè alla osservanza della Legge imposta colla minaccia di una Sanzione punitrice, ed eseguita per evitarla, non si addica la ragione di un premio, ma solo la esenzione dal castigo. Con questo la Società si difende dalla offesa dell' individuo ; dal quale si procura invece l'opera utile della beneficenza colla offerta di un van- taggio. Dove è da considerare che la offerta stessa, fa- cendosi più per r utile dell' azione che per la sua Mora- lità, non si differenzia da quella che si fa in generale per la prestazione dell' opera volontaria da chi la desidera, cominciando dai premj dei concorsi riguardanti o un libro, una cosa d' arte, o una invenzione scientifica, meccanica, industriale, o un' impresa, e venendo fino allo stipendio dell'impiegato e alla mercede giornaliera dell' operajo. Come semplice effetto il premio è la conseguenza spontanea del merito ; ed è l’espressione onde altri lo riconosce. Sotto questo riguardo anche la semplice osserva- vanza della Legge punitrice può avere una ragione di premio, se V osservanza avviene nel senso detto sopra al numero sei, parlando dell'' uomo virtuoso. E il premio consiate in questo caso, oltreché nella stima comune, anche in ciò, che questo uomo virtuoso è considerato siccome il rappresentante nato della Legge e del Diritto, come spiegheremo meglio in seguito. Il premio conseguente al merito della virtù è una naturalità non determinata positivamente. In generale si restringe alla stima e alla venerazione degli uomini pel virtuoso; la quale non è altro che la reazione spontanea sociale di fronte al Bene morale, e quindi si produce negli uomini in ragione che sono buoni, ossia bene di- sposti moralmente. Ma alla detta stim^ e venerazione si possono accompagnare anche vantaggi di posizione so- ciale e di benessere materiale. La mancanza del premio o della espressione del riconoscimento del merito, quando si verifica, è una ingiustizia, ma non distoglie dalla virtù chi ha la pro- prietà di averla ; essendoché la virtù è per sé, e basta a se stessa. E non si addice il nome di virtù a quella disposi- zione a fare il Bene che sia determinata proprio dalla sola idea di averne la rimunerazione ; secondo V osserva- zione sublime del Vangelo su quelli che fanno il Bene per essere veduti e rimeritati dagli altri.Esso dice di loro giustissimamente, che rimangono così senza il merito della virtù, essendo già pagati per quello che hanno fatto egoisticamente in vista della ricompensa. Il che però non vuol dire che il virtuoso non ap- prezzi la lode e T ammirazione altrui e non se ne soddisfi. Nobilissimo sentimento é questo di fare stima e di sod- disfarsi del giudizio morale degli uomini che apprezzano e ammirano la virtù; e più che di vantaggi materiali anche grandi. E di ciò parlai nel mio Discorso su Pietro Pomponazzi, dicendo del pensatore, che esso « ama la so- litudine. Ma non perchè sia privo di sentimenti benevoli, che anzi in lui si trovano più generosi; mentre nulla tanto disavvezza dall' egoismo, quanto la scuola delle idee. ^^P".  E nemmeno perchè non apprezzi la stima e la lode degli uomini; che, invece, in nessuno la passione della gloria è più viva, che in lui. E, nobilmente altero della sua oscurità, solo egli rinuncia sdegnosamente all' onore, che si acquista colle umili arti.  Sciolto cosi il problema propostoci, riguardante r azione benefattrice e la virtù che porta ad essa, gioverà fermarci a considerare il fatto dell' Ordine morale, e la naturalità della sua formazione. Circa la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL' ORDINE MORALE, in quanto questo fatto è un Ordine, alle cose dette alla fine del Capo prece- dente (2) e a quelle più generali esposte nel libro della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL SISTEMA SOLARE {3) e nel lavoro s\x\Y Inconosciòile di H, Spen- cer (4), qui ci proponiamo di aggiungerne una nuova. 3. — L' insufficienza e quindi la falsità del principio assoluto, che un Ordine qualunque naturale presupponga (i) Vedi pag. 51 del Voi. I di queste Op, fil, nella ediz. del 1S82, ^ P3&- 54 nell'edìz. del 1908). (2) \ VII. Vedi sopratutto V Appendice sul Caso (pag^. 271 e s%%%. del Voi. II di queste Op, flL nell'ediz. del 1884, pag. 287 e segg. nel- l'ediz. del 1899, e pag. 295 e segg. nell'ediz. del 1908). (4) Specialmente al J VII (pag. 353 e segg. dello stesso vo- lume neir ediz. del 1884, pag. 375 e segg. nella ediz. del 1899, e pag. 383 e segg nell'ediz. del 1908J. una Mente, che lo abbia concepito anteriormente e pre- disposto, emerge: Primo. Dalla considerazione che ciò che si chiama, la mente, è il fatto stesso della formazione psichica umana svolgentesi da ciò che non è ancor tale: onde la stessa Mente è per tal verso, essa pure, un effetto, come tutti gli altri avvenimenti naturali. Secondo. Dalla considerazione che, se la Mente (sorta per graduale isvolgimento da ciò che non era tale), è an- ch' essa la causa dell' Ordine che è subordinato alla sua efficienzaspecifica, sono del pari cause di Ordini subor- dinati propri anche tutte le altre formazioni naturali: anche quelle puramente meccaniche e fisiche. Sicché la il- lazione che 5i fa per la Mente, come ragione dell'Ordine, vale tanto quanto la illazione identica che si faccia per l'agente puramente fisico e meccanico. E in effetto, se r analisi del fatto mentale vi discopre gli elementi e le ragioni della sua efficienza ordinatrice, anche l'analisi del fatto puramente fisico e meccanico vi rintraccia pure gli elementi e le ragioni della sua analoga efficienza ordina- trice. Né più, né meno. Terzo. Dalla considerazione che I' efficienza ordina- trice della Mente, da una parte, si estende solo alla sfera dell' ambiente da essa abbracciato, e quindi è impotente al di fuori di questa; e, dall'altra, essa stessa suppone un ambiente maggiore nel quale si forma e che la fa es- sere : un ambiente che é, non una Mente, ma qualchecosa di puramente meccanico e fisico. Sicché, paragonando in- sieme le due formazioni ordinatrici (cioè la formazione meccanico-fisica, e quella della Mente), la prima è più ampia della seconda e quindi superiore ed anteriore ad essa. Quarto. Dalla considerazione che l'Ordine, che realmente si trova esistere in un dato punto della natura e in un dato momento del tempo, non è V effettuazione di un disegno, nel quale fosse stabilita la serie degli atti occorrenti alla effettuazione stessa, fino all'ultimo, cioè a quello del compimento dell' Ordine contemplato. No. Nella linea del tempo questo ordine ha la sua ragione in un primo che è fuori della Mente : cioè nelle stesse possibi- lità di svolgimento verso un Ordine proprie dell' essere naturale attivo. Nella linea dello spazio poi 1' Ordine in discorso ha tante ragioni quanti sono gli incontri fortuiti subiti dall' essere naturale attivo nel corso del suo svol- gimento; in modo che ad ogni incontro lo svolgimento stesso devia accidentalmente dalla sua direzione prece- dente, e quindi V ordine ultimo non corrisponde più alla virtualità Iniziale dell' essere che si svolge, ma solo a quella diversissima e puramente casuale portata dall' in- contro ultimamente subito. In una parola, la Mente, né pone il disegno dell' Ordine, che è già nell' essere natu- rale stesso, né lo eseguisce come l' aveva disegnato, poi- ché la esecuzione sempre ne differisce per opera degli agenti naturali casualmente concorrenti. Fra i quali può benissimo essere anche la mente stessa (che è pure una attività naturale), ma 'solo con analoga accidentale effi- cienza. Ciò fu già chiarito a lungo e dimostrato con argomenti positivi nelle trattazioni sopra citate. Ora faremo un ragionamento che suppone i suddetti. ne discende e li completa : ed è poi senz' altro la semplice constatazione logica del fatto dato dalla osservazione. La teoria metafisica, onde si pone in una Mente la ragione dell' Ordine delle cose, è basata sopra i due falsi supposti, che il disegno finale della Mente preceda al tutto la esecuzione estema, e che l'adattamento delle parti nel tutto reale effettuato sia stato determinato dal concetto medesimo di esso tutto; sicché questo sia asso- lutamente un fine e le parti siano assolutamente mezzi; e non il contrario. Il secondo falso supposto deriva dalla osservazione superficiale ed illudente della specie già formata, che ap- parisce come un ultimo, ossia come un fine. Anche perchè la specie è di una stabilità relativamente grandissima per rispetto alla esperienza dell' uomo. Egli, trovandone già r esistenza anteriormente alle mutazioni conosciute, la im- magina realizzata nella sua interezza attuale fino dal suo principio : e, non essendogli dato di essere testimonio del suo trapasso in una specie nuova, ritiene che sia desti- nata a durare inalterata fin che dura il mondo. E cosi si forma il proprio concetto della specie, che, o sia come è, o non sia punto. E, siccome la esistenza di una specie im- plica quella delle parti onde risulta, cosi l'uomo pensa che queste non siano altro che i mezzi necessari al fine di essa, e quindi siano il trovato ingegnoso di una Mente ; la quale, formatasi da prima il disegno della specie, sia passata poi a divisare le parti occorrenti alla sua realiz- zazione. Il primo falso supposto poi deriva dalla esperienza del fatto della Idealità dell' arte, che è qualchecosa di re- lativamente compiuto e fisso, e che si comunica qual' è da uomo a uomo : e in un modo che uno avendone la co- gnizione e segtiendone la rappresentazione mentale, è atto ad eseguire addirittura, senza tentennamenti e prove im- perfette, un' opera definitiva, predisponendo e coordinando all'uopo tutto ciò che si esige. perchè riesca nella realtà quale si concepisce. I metafisici fanno i due detti falsi supposti, commettendo T errore di considerare il tempo della osser- vazione siccome una eternità, nella quale non sia diffe- renza tra un momento e V altro della esistenza ; mentre invece nella durata reale i momenti sono effettivamente diversi l'uno dall'altro, ed essa nei precedenti va diven- tando ciò che risulta poi nei successivi, cessando in que- sti quello che era nei primi. L'essere naturale esiste trasformandosi (i); e, nella linea infinita del tempo, solo per un tratto di questo si trova in una forma che svanisce col venire del successivo. La specie è questa forma, instabile come il tempo del quale è figlia. Si muta insensibilmente nel mentre che pare persista la medesima, come il posto del Sole in cielo che sembra fermo a chi lo guarda. E ciò vale tanto per la specie, quale complesso di parti, quanto per la parte coordinata nella specie. L' una e l' altra soggiace del pari al fato del mutamento. E cosi n) Vedi per ciò 1* Osservazione III del libro della Formazione naiuraie nel fatto del Sistema solare e sopratutto il J X (p-ig. 193 del Voi. II di queste Op, fil. nella ediz. del 1884, pag. 204 nella ediz. del 1899, e pag. 209 nella ediz. del 1908). la parte viene ad essere, non solo un mezzo, ma anche un fine, come la specie; e questa, non solo un fine, ma anche un mezzo, come la parte. Molto più che nella na- tura nessuna cosa è tanto una specie, che non sia nello stesso tempo semplice parte in una specie più grande ; e nessuna cosa tanto è una parte che non sia nello stesso tempo una specie per sé. E nella natura medesima non è la esigenza a priori di una specie, destinata ad esistere, che abbia determi- nato il farsi delle parti occorrenti alla sua esistenza, se- condo il divisamento precorso di una mente ragionatrice : ma è la esistenza avveratasi delle stesse parti costitutrici che ha determinato la formazione della specie, quale si trova in effetto nella realtà. Se le cause naturali relative (indipendentemente af- fatto da un concetto della specie che non era prima della esistenza reale di essa) non avessero prodotto le parti costitutive della specie, questa non si sarebbe realizzata. E se le cause naturali avessero prodotto le parti in modo diverso, la specie si sarebbe realizzata diversamente. La coordinazione quindi delle parti alla specie, come del mezzo al fine, è una coordinazione a posteriori. Non può esistere la specie qual' è senza le parti occorrenti ; e se esiste la specie è solo pel caso avvenuto della formazione delle parti richiestevi. Per ciò, se la parte è il mezzo a cui consegue il fine della specie, questo mezzo non è un effetto (come è sup- posto nella teoria metafisica della Mente che è determi- nata a ricorrervi dalla necessità del fine della specie) ; ma è la stessa causa della specie. E quindi, se si vuol chiamare la specie un fine, ciò va inteso come dell' effetto che segue la sua causa, e non viceversa, come nella teoria che ripudiamo. Così, se si avverasse che il tronco di un albero per un accidente qualunque cadesse sopra un altro tronco in modo da stare sovr' esso in bilico, e questo fatto dello stare in bilico lo si prendesse come un fine, apparireb- bero mezzi per ottenerlo la esistenza sotto il caduto di queir altro tronco colla sua sufficiente resistenza a non piegarsi e rompersi, e T esservi dato sopra il tronco in bilico col centro della sua gravità. Ma qui il detto fine, nessuno lo direbbe la causa precedente del fatto ; nessuno direbbe i detti mezzi degli effettivenuti dopo, ossia di- visati e predisposti da una Mente consecutivamente al pensiero di avere un tronco in bilico sopra un altro. Non altrimenti è la cosa nel fatto della Idea- lità e dell'Arte umana, e in genere di tutto ciò che si chiama il disegno ordinatore della Mente. La Mente e il suo disegno sono fatti della natura, analoghi a tutti gli altri in essa verificantisi nella sfera biologica e nella inorganica ; e quindi soggetti alle stesse leggi : sono casualità, come la produzione di una specie o la caduta or ora accennata di un albero sopra un altro. Quando un dato disegno è già un fatto compiuto, al- lora certo può rimanere un certo tempo come è riuscito ; ed essere trasmesso da uomo ad uomo ; e servire per pro- durre addirittura l’opera corrispondente, e per predisporre e coordinarvi le parti come mezzi al fine dell'opera stessa ; e in modo che questo fine venga ad essere proprio la causa di dovere divisare i mezzi relativi, e il divisamento di questi mezzi venga ad essere l’effetto di aver voluto r opera. Ma ciò non succede soltanto per la mente e pel suo disegno : che succede lo stesso anche per la specie fisica, una volta che sìa g^ià un fatto compiuto. Una volta che esista g^à la gallina, essa potrà pro- durre un' altra gallina. Cosi un bruco nato da un altro potrà fare un bozzolo simile a quello che faceva il suoprocreatore. Un uomo, arrivato a comporre nella sua Mente il di- segno di una locomotiva a vapore, ha potuto costruirne una reale: i meccanici in seguito poterono imparare quel disegno e costruirne delle altre. Non potè succedere che la gallina procreasse altre galline prima che se ne formasse la specie. E lo stesso del bruco. E lo stesso dell' uomo. Non potè succedere che questo costruisse la locomotiva a vapore prima che se ne fosse formato il disegno nella sua Mente. E come la specie della gallina e quella del bruco non proruppero tali e quali dal nulla, secondo la cre- denza di un tempo, ma furono la riuscita ultima di una serie lunghissima di gradazioni di svolgimento dell'essere, che prima non era né gallina né bruco, cosi il disegno della locomotiva a vapore della Mente umana, fu la riu- scita ultima di un lavoro del suo pensiero, che prima non era quel disegno. Né divèrsa nel fondo è la legge della formazione nelle specie biologiche della gallina e del bruco e nel di- segno della mente umana. E analoga nei due casi è la ra- gione della potenza di produrre la cosa a propria immagine e somiglianza, e di fare che nella cosa stessa corri- spondano allo scopo dell' essere suo i mezzi impiegativi. £ quindi un libro che narri la storia della invenzione di una macchina è analogo a quello che esponga la evolu- zione formativa di una specie naturale. E, se, come di- cono i teisti, dio è 1' autore della natura, questa non se- rebbe altro che il libro nel quale si può leggere ciò che esso è arrivato a inventarvi, una cosa dopo l'altra, a poco a poco. Ma dobbiamo dimostrare e chiarire meglio la cosa. Un uomo ha fatto bollire dell'acqua in un vaso. Ne ha visto sortire del vapore. Per caso copre il vaso mente ritenta l' esperimento, e il vapore solleva il co- perchio. E l'uomo pensa allora: — Dunque il vapore è una forza: e non si potrebbe adoperarla a produrre un qualche lavoro? Sì certo. E si prova ad applicare al coperchio del vaso un' asta, la quale, alzandosi il coper- chio, trasmette il suo movimento ad un corpo che essa urta. Ma il movimento così è in un solo senso ; e l' uomo immagina che si potrebbe averlo nei due contrarj di va e vieni. E che perciò sarebbe necessario che il vapore spingesse il coperchio una volta al disotto e un' altra al disopra. E quindi studia e trova il modo di far passare il vapore dal vaso dell' acqua bollente, per un foro in un cilindro, nel quale sforzi il coperchio medesimo ora al di- sopra e ora al disotto. E allora gli soccorre V idea di ap- plicare r asta, moventesi avanti e indietro, ad una ruota per farla girare. E vi riesce praticando un foro all'estre- mità libera dell' asta e applicandolo ad una caviglia fissata vicino al centro della ruota. Ed ecco inventata la locomotiva a vapore. Ecco tutto. Il disegno della locomotiva a vapore, la Mente non lo creò con un suo fiat. Quel disegno in essa è r esito faticoso e lento di una serie di operazioni succedutevi r una dopo T altra ; e determinatevi da una serie di accidentalità che la trassero fino al compimento della sua invenzione, che riusci una sorpresa per la mente stessa che si trovò di esservi arrivata. Analogo è il processo di tutte le formazioni mentali. La Psicologia positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL PENSIERO in genere, e logico in ispecie; su di che spero di pubblicare presto un mio lavoro g^à pressoché ulti- mato (i). L'Estetica positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL- L'ARTE, che mi duole assai non avere potuto ancora pre- sentare in un libro pel quale ho già preparato tutti i materiali. L'Etica sociologica positiva lo dimostra nel suo studio (i) Cosi ho scritto e ripetuto nelle edizioni precedenti, quando aveva ancora la fiducia di poter ultimare il lavoro. La speranza ora è quasi svanita. La circostanza di essere impegnato otto mesi del- l' anno per le lezioni mi lasciò sempre poco tempo per ciò che avrei voluto fare fuori di esse. Gran parte del materiale preparato per la Formazione naturale nel fatto del Pensiero mi ha servito pei tre libri del Vero^ della Ragione e della Unità della Coscienza, E questi quindi possono supplire tanto o quanto invece del libro promesso ; che poi non ha cessato di preoccuparmi, come apparisce dai lavori sull'argo- mento pubblicati nei Volumi IX e X di queste Op, fU, Ptll —  della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL’ORDINE MORALE, che è l' oggetto della presente trattazione. 10. — Ora è noto come la scienza oggi, illuminata e messa sulla strada dal genio di Darwin, dimostri av- venire allo stesso modo la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELLA SPECIE organica: e per ciò mi devo rimettere ai libri che uq trattano. Anche qui si rileva lo stesso processo di formazione, indicato per V invenzione del disegno della locomotiva a vapore nella Mente umana, pei lenti e accidentali ingran- dimenti e tramutamenti di struttura e conseguentemente di funzione : la stessa ragione, onde la formazione già ot- tenuta è riprodotta nella forma raggiunta. E per la stessa legge, da me formulata nel libro della Formazione naturale più volte citato, del ritmo che lentamente si trasforma per gli urti esterni non concor- danti, e indefinitamente si conserva in quanto non è di- sturbato, e si trapianta fuori di sé, applicato come forza ad un altro essere atto a riceverla. Ciò posto, riepiloghiamo il nostro ragiona- mento. Il piano mentale è un meccanismo o apparato psico- logico riuscito per aggiunte e modificazioni cernali suc- cessive, indipendenti da un proposito consapevole del sog- getto pensante, e occasionato dalle azioni e reazioni ac- cidentalmente verificatesi tra esso soggetto e le cose ate. Vedi Formazione naturale nel fatto del Sistema Solare ^ Os- servaz. Ili, J XIV.a impressionarlo,come la specie della gallina è un mec-- canisfno o apparato fisiologico riuscito per aggiunte e mo- dificazioni casuali occasionate dalle azioni e reazioni dell' ambiente in cui si è formata. L' apparato psicologico del piano mentale serve alla produzione di un' opera a sua immagine e somiglianza : come l'apparato fisiologico della specie della gallina serve alla produzione di un individuo nuovo della specie mede- sima. Il fatto è come di uno stromento che 1' arte della natura (cioè del complesso delle cause che esistono in essa) ha preparato, nel primo caso entro la psiche deU r uomo, nel secondo caso entro la vita della gallina, per produrre 1' opera relativa (i). Dunque nel disegno della mente ciò che si chiama il fitte di esso (poniamo per la locomotiva a vapore di muoversi della macchina sulla ferrovia colla forza di tra- scinarsi dietro il treno attaccatovi) non è un primo, che la Mente si sia proposta e che abbia motivato per essa il divisamento, al quale sia quindi venuta solo dopo, delle sue parti, come deimezzi necessari al conseguimento del fine medesimo : nel che si fa consistere la ragione di dover (i) Nel Capo I della Parte II del Libro I della Morale dei Positivisti, numero 3 ho mostrato potersi definire la Psiche : Un mondo possibile^ che si presenta coyne il piano dell* opera a chi ha da pro- durne uno reale. E precedentemente vi è dimostrata la casualità della formazione del stessa psiche. Una cosa affatto analoga è V energia specifica di un agente naturale fisico qualunque. Tale energia è un ordine di proprietà costituite nella cosa per la stessa ragione della casualità della sua formazione, le quali vengono ad essere la possi- bilità degli effetti che la cosa è atta a produrre, e precisamente di un ordine di eff*etti corrispondente all' ordine delle proprietà dalle quali dipendono. Fra la psiche e V agente puramente fisico nel ri- ricorrere alla Mentalità per ispiegare il fatto dell’ordine, inteso quale divisamento dei mezzi necessari al conseguimento di un fine. Nel disegno della mente, ciò che si chiama il fine non è un primo, ma un ultimo, che vi si verifica posteriormente, perchè prima vi si è verificata la cogni- zione dei mezzi. Nel fatto particolare della concezione del disegno della locomotiva a vapore allo scopo di trascinare il treno ferroviario, la Mente che vi è arrivata possedeva già la cognizione della forza del vapore; e del modo di farlo agire sopra uno stantuffo si che ne risultasse un movi- mento di va e vieni sopra un'asta; e del modo di con- vertire il movimento rettilineo dell' asta in quello circo- lare di una ruota; e la cognizione, che un peso, gravi- tando sopra ruote che lo portino è girino su guide di ferro, si trasloca con esse. Solo dopo ciò, solo dopo che la Mente era già pervenuta alla cognizione di questi mezzi, ad esso potè sovvenire V applicabilità loro al fine di avere un motore di un treno ferroviario. L'Ordine adunque anche nella Mente è un risultato accidentale di concorrenze casuali nel quale i mezzi non spetto in discorso si ha la sola differenza, che nella prima l'ordine mentale, causa dell'ordine delle opere, mettiamo dell* uomo, è accom- pagnato dalla coscienza di sé, mentre nel secondo 1' ordine delle proprietà attive, causa dell' ordine de' suoi effetti, non è fornito di tale coscienza. Ma ciò non influisce punto ad alterare la natura del processo della estrinsecazione, per così esprimermi, della attività. Cosciente o non cosciente, V attività funziona in un agente sempre e necessariamente nel modo onde è atta a funzionare, ossiasecondo lacostituzione propria dell'attività stessa nella intimità dell'agente che la esercita. L  sono determinati dal fine, ma è questo determinato dai mezzi. E tanto, che supporre il contrario è supporre ima impossibilità o un assurdo della dinamica della natura. E cesi la tantovantata scoperta di Anassagora, che V Or- dine dell'universo importi una Mente ordinatrice, vale quella del suo predecessore Talete, che si argomentò di ritenere doversi V attrazione della calamita pel ferro ad un' anima che vivesse in essa, e ne determinasse questo effetto curioso. Se qualcheduno qui credesse di sfuggire alla nostra conclusione, osservando che il pensiero che si at- tribuisce a dio non è come il pensiero dell' uomo, sul quale noi facemmo la nostra argomentazione, risponde- remmo due cose: Primo. O il pensiero attribuito a dio è qualche cosa di analogo al pensiero dell'uomo, e allora l'argomenta- zione fatta su questo vale anche per quello : o non è una cosa analoga, e allora non si può dire che sia un pen- siero. Perchè a noi, quando diciamo, pensiero, è impossi- bile concepire altro che non sia lo stesso nostro pensiero. E poi non si può ancora in nessuna maniera fondarvi sopra r argomentazione relativa all' Ordine, dal momento che questa è suggerita precisamente (quantunque per sem- plice illusione) dal fatto dello stesso pensiero umano. Secondo. Lo stesso fatto della natura poi smentisce direttamente la supposizione della obiezione. E in che modo? Si disse: Concepì dio il disegno del mondo e poi lo esegui creandolo: e tale subitoqualedoveva es- sere poi sempre a gloria sua ; e quindi coli' uomo, dotato per ciò da lui, non solo del senso come il bruto, ma anche della ragione e del libero volere, che lo rendes- sero atto a conoscerlo e a rendergli omaggio e culto spontaneo. E il sistema era logico. Non aveva che il piccolo di- fetto di essere basato sul falso supposto che il mondo at- tuale sia una formazione che persista immutabilmente: tale al suo primo principio, tale ancora fin che ne dura la esistenza. Ma la scienza s'è avveduta che la formazione quale ora si presenta, l'uomo compreso, è una fasetransitoria della esistenza. E con ciò ha distrutto il sogno che fosse r opera definitiva, nella quale si fosse realizzato appuntino il disegno di una Mente divina. La scienza s' è avveduta, che lo stato attuale delle cose è dovuto ad un processo continuo di formazione ana- logo a quello delle idee e dell' arte dell' uomo, e che que- sto processo è determinato dalla attività  intrinseca delle stesse coseche si formano, e dal caso delle reazioni delle cose fra di loro. E con ciò ha distrutto il sogno che siano r Ordine preveduto come fine in una divina idea. I teisti, smentiti così nel campo degli Ordini della natura fisica, si restrinsero a sostenere il loro prin- cipio della preordinazione della Mente divina, nel campo dell' ORDINE MORALE; e credettero che quivi sareb- bero rim£isti eternamente inoppugnabili. Ma ahi! che anche qui la scienza li ha seguiti e ha messo in evidenza la insostenibilità della loro tesi.La scienza positiva dell' Etica sociologfica ha sco- perto, come vedemmo, 1' analogia perfetta che corre tra la formazione naturale in genere e quella della Giustizia e del Bene morale in tutte le sue forme. Ha scoperto quindi che tutto ciò che si riferisce all' Ordine morale, e r Ordine morale medesimo, sono il prodottolento e pro- gressivo {e vario secondo le dccidentalitàaccompagnanti) della attività intrinseca dell' essere umano e delle reazioni degli individui nella convivenza della Società.  Il fatto del Diritto (diversità, specie, coordinazione) e il suo Ideale. Circa la diversità del Diritto tra individuo e individuo, in ragione della potenzialità non ugnale dal- l' uno air altro, alle cose dette nel libro della Morale dei Positivisti {\) e superiormente in questo {2), un'altra im* portantissima qui ora torna la opportunità di aggfiungerne. La diversità in discorso dipende in parte dalla stessa costituzione fisico^psichica colla quale uno nasce ; e per questo riguardo si potrebbe chiamarla diversità ini- zicUe; e in parte (grandissima) è il prodotto della convi- venza sociale: e per questo altro riguardo si potrebbe (i) Libro I, Parte II, Capo IV, n. 15 ecc. (pag. 125 del Voi. ITI di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, e pag. 131 nella ediz. del 1893 e del 1901 e pag. 135 nella ediz. del 1908). (2) Capo III, J II, n. 3. pi L I «IP^« chiamarla diversità riuscita. La quale poi alla sua volta influisce pur anche indirettamente sulla disposizione ini- ziale della nascita. L' argomento della diversità del diritto, considerata sotto il secondo degli aspetti ora indicati, è vastissimo: ma noi qui lo toccheremo solo per ciò che occorre allo scopo della nostra trattazione. Le specialità di condizione di un uomo, dipen- denti dalla sua relazione e convivenza cogli altri uomini uniti in Società, sono moltissime; come ognuno sa. Per esempio, la ricchezza, la parentela, la clientela, gli ade- renti, gli amici, i conoscenti, T ufficio, il grado, la cultura, il merito, le idee, e via discorrendo. Queste specialità di condizione sono nello stesso tempo altrettante specialità di attitudini e di potenza del- l' uomo. E quindi anche, secondo le cose stabilite sopra, altrettante specialità di Diritti di esso. Si verifica perciò nell'organismo sociale la legge di tutti gli organismi, per la quale V elemento, che, con- siderato in astratto e fuori dell' orgfanismo, è uniforme, una volta entrato a farne parte, si diversifica per opera dell'organismo medesimo; poiché questo, fra le moltis- sime funzioni delle quali un elemento ha primitivamente la potenzialità indistinta, lo dispone e lo destina ad una data funzione distinta. Che è ciò che si chiama anche il fenomeno della divisione del lavoro, ed è nello stesso tempo ciò che altrove (i) dicemmo corrispondere alla (i) Per esempio, nella Formazione naturale nel fatto del sistema solarCy Osservazione III, § V (nel Voi. II di queste Op, fil,). wf^'^vmmmifm^gg^ della varietà, onde si spiega T attitudine alla esi- stenza e alla virtù formativa nella natura in generale e negli organismi in particolare. Così vediamo che gli atomi polivalenti del carbonio si costituiscono, negli organismi degli animali e delle piante, in una serie di forme diverse di radicali: in una serie tanto più notevole per numero e varietà, quanto più complicato e perfetto è V organismo costruitone. Nell'organismo sociale poi i suoi radicali (per ado- perare questa espressione) o le sue varietà elementari co- stitutive, o attitudini distinte di funzione, onde emerge r essere suo complessivo quale organismo sociale, sono precisamente le specialità di condizione dell' uomo sopra accennate: ossia quelle specialità di potenza, che l'uomo vi assume: ossia le specialità dei Diritti, I quali Diritti, nell' organismo sociale, in pari tempo, e lo costituiscono, e ne sono determinati. In modo che la Società si può chiamare la procreatrice dei Diritti, Come la pianta è la. procreatrice delle sostanze speciali necessarie alla sua vita particolare ; le quali, nello stesso tempo, e la costituiscono e ne sono determinate. I diritti individuali, per tal modo nascenti e vigenti in una Società, sono in numero immensamente gratide: e perchè i fatti determinati sono moltissimi, e perchè questi si connettono insieme in maniere differen- tissime, e perchè le attitudini emergenti si diversificano all' infinito secondo le condizioni infinitamente diverse nelle quali si verificano. Tuttavia si deve avere nella Società umana, in quanto è un organismo speciale dato, una certa costanza nel nu- - 238 - mero e nella qualità dei generi secondo i quali si pos- sono classificare i Diritti. Allo stesso modo che nell'or- ganismo vegetale, per esempio, si ha una certa costanza nel numero e nella qualità dei generi delle sostante com- ponenti. La quale costanza però non sarà mai quella delle Idee^ eternamente immutabili, di Platone ; né quella delle specie, sempre le medesime dopo la creazione, dei vecchi naturalisti ; né quella dei Diritti ab eterno ed immutabil- mente stabiliti dal verbo divino, dell'etica metafisica: ma sarà solo, come dicemmo, una certa costanza; e si che, da una parte, ammetta una lenta trasformazione secondo i tempi le circostanze e i casi e, dall'altra, nella realtà si verifichi sempre con qualche diversità, come il tipo di un uomo o di una foglia, che non si effettua mai lo stesso in ogni uomo, in ogni foglia. Il Diritto, che si forma nel modo suddetto, è il Fatto del Diritto ; ma non il suo Ideale, Un uomo esercita la propria potenza in quanto l'ha e in quanto glaltriglielo permettono, o gli detta la Idealità sociale : che torna lo stesso, dal momento che la Idealità sociale non è che 1' astratto della reazione altrui e quindi del permesso dato dagli altri di agire. £ la forma della reazione altrui e quindi della Idealità sociale, nella loro tendenza a ridurre e trasformare la prepotenza egoistica originaria dell' arbitrio individuale nella Giu- stizia antiegoistica del suo concc«:so nel lavoro social- mente utile, sono continuamente in via di progressivo mu- tamento; come spiegammo sopra, e come esige, secondo che pure avvertimmo più volte, la legge universale della ^'«ifannipiiij I ^^Formazione naturale applicata al caso particolare della Formazione etico-sociale.6. — Un uomo esercita la propria potenza in quanto r ha e gli altri glielo permettono, o gli detta V Idealità sociale regolante il suo operare. Ecco il Fatto del Diritto. La reazione sociale, e quindi V Idealità mentale con- seguente diretttiva dell' azione umana, va sempre trasfor- mando r arbitrio individuale dalla sua originaria prepo- tenzaegoistica nella Giustizia antiegoistica. £ questa Giustizia antiegoistica, alla quale tende la detta forza trasformatrice, è T Ideale del Diritto. Ma questo Ideale è un termine al quale si può andare avvicinandosi sempre più, senza che si effettui però mai perfettamente. E da ciò consegue: Primo. Che V Ideale assoluto del Diritto non esiste realmente. Sicché è una assurdità il concetto di un ordi- namento morale definitivo, come porta la dottrina meta- fisica della istituzione morale per parte di un legislatore divino, che la fissasse una volta per sempre, e nei ter- mini di una sognata Giustizia assoluta e quindi irrefor-mabile. Secondo. Che il fatto del Diritto è sempre una Giti^ stizia relativa: e cioè relativa al lavoro di riduzione so- ciale precedente e alla potenza attuale dell' organismo so- ciale derivatone. Ma tale Giustizia, quantunquesolamente relativa quando sia rapportata ad un concetto astratto più perfetto dell' organismo sociale, nella Società in cui vige ha valore come se fosse assoluta, perchè essa giù- ■Jf W4» l  dica, non in base all' Ideale o di un' altra Società o di una Società possibile più perfetta, ma in base al Fatto che si è già verificato in essa. Terzo. Che ogni Diritto di fatto è nello stesso tempo in parte una prepotenza ingiusta, che si tende ad elimi- nare, e si va sempre più eliminando. E ciò, sia regolando meglio il fatto medesimo, sia, quando occorra, togliendolo del tutto. 8. — Senza questi criteri è affattoinspiegabile la storia del Diritto, e il processo legislativo delle Società. Tale processo, senza questi criteri, apparirebbe, non la Giustizia in azione (come è realmente, e non può non es- sere), ma la ingiustizia incaricata di creare la Giustizia. E con questi criteri poi si spiega il fatto storico della evoluzione sociale procreatrice del Diritto più utile e più giusto. La quale evoluzione quindi, secondo i cri- teri medesimi, si può dire consistere in ciò, che il Diritto dell' avvenire, ossia il Diritto ideale, combatte e vince il Diritto delpassato, ossia il Diritto di fatto. L' Ideale assoluto del Diritto dicemmo che non esiste realmente. E che nella realtà non si ha, dell'Ideale del Diritto, se non una effettuazione incompleta. E da ciò potrebbe altri dedurre, che il Diritto di fatto sia un relativo il quale supponga un assoluto: e che questo assoluto sia l'Ideale o il tipo eternamente deter- minato del Diritto, che la mente o possieda gfià o abbia la possibilità di possedere quandochesia. Ma anche ciò è un errore. L'Ideale del Diritto non è un tipo assoluto o eter- namente determinato, nemmeno come semplice mentalità. L' Idealità del Diritto è, anch' essa, un fatto, come quello del Diritto effettuatosi realmente. U Idealità del Diritto presiede si, come mentalità direttiva, nella pro- duzione del Diritto di fatto, ma è pur sempre un fatto anch' essa. Solo che questa Idealità è un fatto della mente, dove il Diritto effettuatosi realmente è un fatto della co- stituzione già vigente esteriormente in una Società. Ed essendo un fatto ha le proprietà di tutti gli altri fatti jn quanto tali: cioè di essere casuale e quindi relativo. Il tipo ideale del Diritto è come tutti gli altri tipi ideali. Per esempio, come quello del disegno della crea-- zione supposto nella mentedi dio, del quale abbastanza ho discorso nel libro della Formazione naturale, E come, quello dell' arte ; mettiamo dell'Architettura: che (per una serie di casualità) è riuscito diverso nell'India, in Egitto, in Roma,in Germania, e via dicendo ; e pur nello stesso paese non fu mai identico affatto nemmeno nella stessa epoca, e nemmeno in due soli architetti, anzi nemmeno nello stesso architetto in tutta la sua vita. Il tipo ideale del Diritto, come tutti quanti i tipi ideali, è una formazione mentale, che apparisce un dato momento per una accidentalità che la suggerisce; vi si perfeziona poi in una data maniera per altre accidentalità che guidano la mente a farlo ; e un dato momento poi si oblia e si sostituisce con altri diversi e opposti, ancora per delle accidentalità che ve la inducono. E tanto, che il tipo ideale stesso non è quindi deter- minabile a priori, come un vero preesistente inmodofisso e inalterabile nella mente di ognuno: ma solo a poste- riori, cioè come 1' astratto di tutti i tipi conosciuti veri- Vol. IV. 16 ficatisi effettivamente nelle Società umane d* ogni tempo. A quella maniera che il tipo del vegetale non si può avere se non pel confronto mentale fra le forme reali che effettivamente s* è dato che se ne producessero. IO. — Che se altri dicesse che il tipo ideale del Di- ritto è assoluto in quanto è il corrispettivo necessario etico-sociale di una entità reale, cioè dell' uomo e della sua convivenza nella Società (i), risponderemmo: Primo. Che la reale entità stessa, dell' uomo e della sua convivenza nella Società, determinante necessaria- mente il tipo ideale del Diritto, è ancora una somma di accidentalità, che si rileva a posteriori, e non si prefigge a priori. Secondo. Che il tipo ideale del Diritto sipresta al concetto di essere il correspettivo necessario del fatto so- ciale, non come il disegno preesistente di ciò che non è ancora succeduto; ma solo come V astratto rilevato dopo (i) Su ciò ho scritto nella Psicologia come scienza positiva (Voi. I di queste Opev e filosofiche pag. 219, 220) un tratto che stimo op- portono di ripetere anche qui : « Anche nel dire, idealità, il filosofo positivo esprime un concetto armonizzante i veri imperfetti di diverse scuole. La scuola psicologica dà l'idea, come una mera forma del tutto soggettiva, accidentale e variabile del pensiero. La scuola onto- logica le assegna un valore oggettivo, immutabile ed assoluto. La scuola storica ricorre per ispiegarla alle relazioni dell'uomo colle con- dizioni esterne in cui vive , per cui le attribuisce una semioggettività, e la considera, da una parte contro i psicologi, non una creazione fa- cile ed efimera dell' individuo, ma una produzione faticosa,lenta, du- revole della Società, e dall' altra contro gli ontologi, non una intui- zione che la riveli d' un tratto nella sua interezza ed in una forma unica sempre e per tutti, ma una formazione progressiva e varia, che incomincia dall' abbozzo per venire al lavoro sempre più finito; e che riesce con aspetti diversi, secondo le circostanze differenti dalle quali •*-^..r9,rr-fr- ^.-^ — 243 di ciò che è già succeduto. Onde il ricorrervi che fanno i nostri avversari è un circolo vizioso. §n. // Diritto è in virtù di se stesso, gioverà qui ripetere, in forma appropriata a questo punto del nostro discorso, ciò che pursopra sotto vari aspetti dimostrammo. Quello che può un uomo, che fa parte di una So- cietà, è una forza, che vi si pone da sé col solo fatto che r uomo medesimo ne faccia parte ; e che vi emerge in quanto non vi è elisa dal contrasto dei consociati. Come già dicemmo più volte. Emergendo la forza di un uomo nella Società, vi è dipende. Or bene anche nel filosofo positivo l' idea è una formazione lenta, progressiva, durevole, non dell' individuo, ma della società, e dipendente dalie esteme condizioni di essa, ma solo in quanto queste condizioni esterne e l'opera sociale giovano a dare eccitamento e rin- forzo al pensiero individuale, il quale è il vero fattore dell' idea, se- condo chedicono giustamente i psicologisti. Ma l' individuo e la so- cietà, producendo l' idea, non fanno opera capricciosa, ed avente solo valore momentaneo e soggettivo. No : tale lavoro ha la sua ragione nella stessa natura per la quale agiscono, come la forma che assume il seme germogliando. E come la forma assunta dal seme per la ger- mogliazione, più che se stessa, rappresenta queir ordine di cose, che ha determinato la formazione della specie vegetale a cui appartiene, cosi r idea di un uomo, più che 1' operazione accidentale, soggettiva, variabilissima di esso, rappresenta, secondo che dicono giustamente gliontologisti, queir ordine assoluto e immutabile, almeno quantola natura, nel quale è la ragione oggettiva del fatto particolare, che consideriamo. Vedi per esempio nel Capo I, dove parlammo della Giustizia potenziale y e nel Capo II, dove parlammo della derivazione della Giustizia dalla prepotenza. ■«T- riconosciuta: o estrale galmente nel tacito consenso degli altri uomini, e nell' uso, e nella esplicita manifestazione dell'opinione pubblica in qualunque modo approvante: o legalmente nelle forme stabilite dal Potere sociale rico- nosciuto come tale. E pel detto riconoscimento la forza in discorso acqui- sta il carattere di Diritto, per la ragione che importa la Responsabilità di chi la lede verso la Società, la quale, col suo riconoscimento, se ne è costituita tutrice e vin- dice. E quindi è falsa V idea che il Diritto emani assolu- tamente dall'Autorità superiore, che lo doni o lo conceda air inferiore. Non emana da essa: esiste potenzialmente prima e indipendentemente e malgrado di essa : si impone da sé : e sforza la stessa Autorità ad ammetterlo col riconoscerlo e sancirlo. E anche questo dicemmo già più volte. Ma ci occorre ora di far notare un fatto essen- ziale alla dottrina della sociologia positiva, non ancor ri- levato: il fatto cioè che il Potere sociale crea pur esso direttamente dei Diritti individuali. E, dato questo, si domanda : come si accorda questo fatto col suddetto principio della emanazione del Diritto dall'individuo e non dalla Società? Facile è la risposta. Il fatto della creazione di un Diritto individuale per parte del Potere sociale si ac- corda col principio in discorso per la ragione che questo Potere, nel caso qui contemplato, può porre il Diritto neir individuo in quanto può fornirlo di una forza ; e in quanto questa forza, che l' individuo ha ritratto dal potere che gliel' ha fornita, sia riconoscibile quale Diritto come le altre forze possedute comecchessia dall'individuo medesimo, e dalla società rispettate o difese. In ogni caso il fatto del Diritto di un uomo neir organismo sociale è analogo a quello delle proprietà acquistate dall' elemento materiale quando é entrato a far parte di un organismo ; e, per un esempio, dalla molecola combinata nel tutto di una sostanza, che acquista la forza specificamente funzionante della sostanza medesima solo perchè è divenuta V elemento di essa. Nell’organismo chimico di una sostanza V elemento è la molecola, come neir organismo sociale l’elemento è la persona di un uomo. L' organismo intero, neir un caso e neir altro, e' è solo pel rapporto della forza di un ele- mento con quelle degli altri; ossia per orientarla se- condo la coordinazione acconcia di tutte. Il che però non esclude: Primo. Che, coordinandosi nella complessa azione dell' organismo le forze proprie degli elementi, ognuno di questi non ne ceda un tanto a formare delle somme comuni, che poi siano distribuite di nuovo nelle parti in ordine alle esigenze generali dell' organismo. Secondo. Che l' individuo stesso non dipenda (e in quanto giunge all' acquisto di tutte le forze onde riesce rivestito, e in quanto le conserva e ne usa liberamente) dall' ambiente sociale, nel quale trova il mezzo dell'acquisto e della sua gsiranzia. Sicché per questo lato (ma per questo solamente) è vero il principio della derivazione del Diritto neir individuo dalla Società e dal suo Potere direttivo : e come, per esempio, nella sostanza del chimico, nella quale, in virtù della sua costituzione, le forze sono condotte ad assommarsi in certi punti determinati, e in certa maniera ; e poi anche V acquisto e la costanza della forza specifica operante negli atomi dipendono dall' es- servi coordinati. Il diritto è la facoltà del bene sociale. L’esercizio del diritto è la funzione del bene sociale. Dalle cose dette apparisce, che il Diritto è la facoltà del Bene sociale; e che l'esercizio del Diritto è la funzione del Bene sociale. E ciò, o solo indirettamente, o anche direttamente. Solo indirettamente, in quanto la facoltà indi- viduale sia puramente V egoismo contenuto nei limiti inof- fensivi per gli altri e producente il Bene dell' individuo investitone; che torna il bene della Società, e perchè è il Bene del suo elemento, e perchè se ne possono giovare e se ne giovano anche gli altri. Come nel fatto di una industria, che arricchisce l'in- dustriale, e quindi anche il paese, e offre nello stesso tempo un utile e un comodo ai consumatori de' suoi pro- dotti. E anche direttamente, in quanto la facoltà in- dividuale sia quella che corrisponde alla Idealità antiegoi- stica; la quale, come si estenda in urla Società adulta e colta e bene ordinata e fiorente, vedemmo sopra; dove anzi dimostrammo che, se si tien conto di tutte le gra- dazioni della Idealità e delle disposizioni antiegoistiche (da una minima che lavori insieme con un massimo di egoismo, ad una massima che lavori insieme ad un mi- nimo diegoismo), si trova in tutto ciò che può fare e fa r individuo sociale. Il Diritto costa una contribuzione, I. — Ma, se, da una parte, l'individuo è investito di una potenza o di un Diritto (del quale usa poi facendo, o indirettamente, o direttamente, il vantaggio altrui) dal- l' altra, la stessa potenza o Diritto costa una contribuzione per parte degli altri. E questa una legge naturale correlativa alla sopra accennata e necessariamente ad essa collegata. Si piglia ; ma si deve dare. Si dà; ma si piglia per poter dare. Questa legge dell' organismo sociale non è altro cioè che r applicazione al caso particolare di esso organismo della legge che domina in tutti gli organismi, anzi in tutta la natura, dove una forza, posseduta da un agente che funziona in virtù di essa, è, non una forza creata dal nulla neir agente medesimo, ma comunicata ad esso da altri agenti, che gliela cedono in ragione dei rapporti correnti fra quello che cede e quello che acquista ; come ho dimostrato nel libro della Formazione naturale, par- lando del ritmo (i). Il vegetale si appropria l' acido carbonico che lo at- (i) Vedi Formazione naturale nel fatto del sistema solare^ Os- servazione terza. § XIV (nel Voi. II di queste Op. Jil.J. tornia, e con esso mantiene la vita. Gli animali maggiori vivono cibandosi dei minori. Neir organismo di un mam- mifero alcune parti lavorano a preparare il sangue, e le masse nervose ne fanno consumo. Impossibile V attività specifica nervosa, necessaria al funzionamento generale deir organismo e anche a quello particolare delle parti preparanti il sangue, senza la contribuzione di queste alla nutrizione dei nervi mediante la somministrazione del sangue acconciamente preparato e distribuito. 2. — Parlando in particolare deir organismo sociale, la partecipazione al contributo di ciascuna parte è in ra-gione della importanza del Diritto, e quindi della facoltà di produrre il Bene sociale. Più è r importanza del Diritto, e più è la facoltà di produrre il Bene sociale. Più è questa facoltà e più è la partecipazione al contributo delle parti. Come nel resto della natura, dove si trova che le funzioni più elevate de* suoi agenti costano un immagaz- zinamento di forza tanto più grande quanto più distinta è la forma e ìa sfera della efficienza. Risultando cosi una proporzione di equivalenza tra la natura che dà e quella che riceve. E in questo modo, che al più della contri- zione apportata corrisponda il più della importanza della attività emergente. Per la stessa ragione il Diritto di un ordine supe- riore, quello ad esempio di un Giudice, costa una contri- buzione per parte di quelli sui quali ha giurisdizione. Sicché il Giudice mangia dei frutti della terra che essi hanno lavorato, come il sistema nervoso consuma del sangue che fu preparato da altre parti dell'organisme animale. PPP^P"?!'^. Come molto movimento equivale a poco di calore, e molto calore a poco di attività chimica, e molta attività chimica a poco di attività vitale, e molta attività vitale a poco di pensiero; cosi, nell'ordine etico della natura, a molta materialità (intendendo con questa espressione le forme inferiori della esistenza) corrisponde poco di attitudine morale: poiché, nella gradazione delle formazioni naturali e quindi delle equivalenze delle forze, i suoi poli opposti possiamo rappresentarceli, o andando dal movimento meccanico al pensiero, che ne è l'ultima trasformazione (i), o andando dalla materialità alla mora- lità, che è r ultima e più sublime sfera della evoluzione ascendente della natura insensibile e bruta. Naturale è questo fatto della contribuzione delle parti nell'organismo sociale. E quindi, non effetto solo di arbitrio o prepotenza di alcuno, ma necessario; a quel modo che è necessario l'assorbimento del carbonio per parte del vegetale, e il consumo del sangue per parte dei nervi. E naturale il fatto stesso ; ed anche giusto, in quanto è, direttamente o indirettamente, consentito ed approvato da quelli che contribuiscono. Ed è consentito ed approvato da questi per la legge, rilevata dagli economisti, della domanda; la quale, come tutti sanno, consiste in ciò, che più una cosa importa a molti e più è domandata; e tanto più si paga quanto più (i) Intendendo questo nel senso della filosofia positiva e non in quello della metafìsica materialistica. Come spiego da per tutto nei miei libri, e più a lungo in quello col titolo V Unità della Coscienza nel VII voi. dì queste Op. fil. iiu^.i'i>nn^  si domanda; ma si paga quanto occorre per averla e non più. Questa legge poi, che determina nei suoi limiti ne- cessari la contribuzione assentita e giusta nell'organismo sociale, è analoga alla fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle sostanze che lo nutrono nei limiti deter- minati dallo stesso bisogno della funzione domandatagli. 4. — E quindi il fatto in discorso deve essere con- siderato come un caso speciale di selezione naturale; che si potrebbe chiamare la selezione etico-sociale. E dalle cose dette si conferma e si chiarisce viemmeglio la dottrina sopra esposta, che il Diritto indi- viduale è pur esso una autorità (i). Poiché, come ve- demmo, il Diritto individuale si impone a tutti quelli che contribuiscono all' essere suo ; e agli eguali, che lo rico- noscono e lo rispettano; e agli inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei rapporti nascenti dalla sua speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una direzione; e al Potere sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo riconosce, ed è determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé; onde, una volta che si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di se stesso. Le unità minime, le unità medie, e V unità ^ massima nel corpo sociale. L’individuo è V unità minima del composto so- ciale, come r atomo del composto chimico. E, come in (i) Vedi Capo III, specialmente \ V. tutti gli altriorganismi naturali, cosi nel sociale, oltre le unità minime degli individui sociali, e Munita massima dell' intero organismo, si trovano delle unità di mezzo di terzo grado, risultanti di più individui associati parti- colarmente fra loro, o di più di queste associazioni di individui collegate particolarmente in federazioni più grandi. In unaSocietà adulta, fiorente e grande, la vita del tutto si manifesta nelle più svariate e spiccanti differen- ziazionidelle attitudini e conseguentemente dei Diritti individuali, come accennammo or ora. Anzi la grandezza della Società è, alla sua volta, il risultato di tali varietà o specificazioni di attitudini ; ovvero di tale divisione di lavoro, verificatavisi : come in ogni altro organismo; per esempio, in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la ec- cellenza zoologica sopra gli altri animali dipende da una suddivisione di specificazioni in massimo gradodegli or- gani componenti. In un animale del grado infimo della scala zoologica la sostanza componente (come avvertimmo nel principio del libro) non è né muscolo ne nervo : come in una Società umana primitivissima tutti gli individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti : e non vi si trova una distinzione di occupazioni, per salire, po- gniamo, da uno che attende a far pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di ottica o di astro- nomia. La differenziazione in discorso nella Società più pro-gredita va, si può dire, all' infinito. E non solo nelle u- nità minime degli individui, ma anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli individui e delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle Società adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch' esse all' infinito : dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia, alle più insolite, ac- cidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare una volta una festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in una impresa commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato tra loro consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie sono (al modo che una data somma, come tale, si distingue dalle sin- gole quantità sommate, considerate ad una ad una) sog- getti distinti in possesso di una facoltà speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si verifica neglialtri organismi naturali : nei quali, per esempio, la cellula nervosa singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di cellule nervose ha un dato uf- ficio distinto fisiologico, che essa esercita in quanto esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il possesso di una potenza di fare im- porta il possesso di un Diritto, come dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle As- sociazioni hanno le proprietà già notate dei Diritti indi- viduali più quelle dipendenti dalla specialità proporzio- nale della associazione. Delle quali ultime proprietà una massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto, si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già pos- sedute nascendo, e le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una particolarità di impronta di- stinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di selezione naturale: cioè la selezione naturale onde una unità so- ciale si sceme quale individualità distinta fra altre unità. Anche le agglomerazioni di più individui in associa- zioni o totalità distinte sono determinate e foggiate, con grandezze, tendenze e attività particolari, neir ambiente sociale, secondo i bisogni ed i fatti, e costanti e acciden- tali, onde emergono, per una analoga selezione naturale distinguente un composto singolo fra altri composti. Ma in questo composto (o unità media, come sopra lo chiamammo) ha luogo un' altra forma della selezione naturale : cioè quella che, neir interno stesso del com- posto, diflFerenzia edistingue fra loro le parti compo- nenti: e si che esso composto riesca un organismo e non rimanga una semplice agglomerazione inorganica di ele- menti tutti identici fra loro. E questa forma di selezione si potrebbe chiamare selezione interorganica. La unità sociale da noi detta media non è puramente un certo numero di parti addizionate le une alle altre, ma è una collaborazione organica degli individui o dei soda- lizi aggregati insieme; e quindi con diversità di attinenze e di facoltà distribuite fra loro. Altri fanno numero, con- tribuiscono e concorrono a mantenere T associazione : altri invece la rappresentano, la dirigono, ne applicano le forze accumulatevi. E, occorrendovi specialità di lavoro e di ufficio, queste vi sono divise quali negli uni e quali negli altri. E, come è naturale la creazione di queste differenze interorganiche delle parti costitutive delle unità medie, cosi è naturale la selezione interorganica dalla quale di- cemmo che proviene. Questa selezione interorganica, come insegna la os- servazione del fatto, avviene in diverse maniere secondo i casi; ma soprattutto secondo la legge, che riesce a una data facoltà ufficio chi piti vi ha attitudine, o ne ha il merito, e colla condizione del consentimento degli as- sociati. Il fatto del merito, onde uno acquista una preroga- tiva o una particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è analogo a quello notato da Darwin della specie preva- lente nella lotta per la esistenza. Il fatto del consentimento degli associati è analogco air altro, pure da Darwin segnalato, dell* efficacia del- l' ambiente nel secondare la trasformazione progressiva dell' essere naturale. L' individuo investito di nna facoltà o di un ufficio in un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad avere due sorta di facoltà o di Diritti : cioè il Di- ritto fondamentale spettante a lui come parte elementare della Società intera, e il Diritto avventizio, onde è in- vestito come organo speciale della associazione partico- lare a cui appartiene. Il Diritto fondamentale ha il suo rapporto immediato colla costituzione generale delle Società che lo garantisce direttamente a tutti senza distinzione : T avventizio V ha con quella della associazione particolare per la quale e- merge; ed è garantito dal Potere sociale supremo in quanto esso riconosce il Diritto della medesima associa- zione particolare. Se privato si dice ciò che è proprio della unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò che è proprio della unità massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno un carattere di mezzo tra i due, e gradata- mente; in ragione cioè della importanza loro, intensiva- mente o estensivamente, nella vita sociale complessiva. Il pubblico poi si differenzia in genere dal privato in quanto ha un rapporto diretto col Bene, non indivi- duale, ma sociale ; ossia è, non egoistico, ma antiegoistico. La proprietà quindi di ente morale antiegoistico com- peterà massimamente alla unità più glande o allo Stato. E se, come sopra dicemmo, il Diritto in genere è \2l fa- coltà del Bene sociale e il suo esercizio è la funzione del Bene sociale, ciò si avvererà meno pel Diritto privato, più pel Diritto delle associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel Diritto dello Stato. Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il principio si avveri proprio nel grado massimo, per la ragione che, come sopra dicemmo n), uno Stato singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si coordina internazionalmente con altri Stati, anzi con tutte le Società umane esistenti sulla terra. La selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello Stato. La legge della selezione interorganica, che si avvera nella costituzione degli organismi delle unità com- (i) Dove parlammo del Diritto internazionale (Capo [, \ II). plesse medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell' organismo della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in questo la formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni subordinanti, che sono poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume storicamente forme svari atis- sime. Ma anche la varietà è determinata da una ragione costante, che si rivela chiarissimamente nella storia poli- tica degli Stati, e che non è altro che una applicazione del principio nostro fondamentale della formazione etico- sociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si forma il distinto della Giicstizia, E in vero nello stadio iniziale, o della prepotenza, la selezione formatrice del Potere sociale è dipendente dalla violenza, che a poco a poco si mitiga nella eredità, finché da ultimo è sostituita, prima in parte e poi del tutto, dalla elezione (per parte dei subordinati, e in modo legale e pacifico) dei più degni, in ragione del merito morale e della Giustizia» e non del soprastare materiale della ricchezza o della forza dei muscoli : e si che riesca investito dell' ufficio chi si trova piti atto ad esercitarlo, e che il Potere nella direzione del corpo sociale sia quel premio del virtuoso del quale un' altra volta parlammo nel Capo precedente (i). 2. — Il costante e vivissimo lavoro evolutivo del- l' organismo dello Stato, onde si ha la sua formazione na- turale e il suo sviluppo e isuo progresso, è T applica- zione nel grado massimo del principio della formazione (I) \ VII, numero 8. morale, cioè, dall' indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e dell' egoismo, al distinto (morale in atto) della Giustizia antiegoistica. Più procede la formazione organica dello Stato e più si estende e arriva in tutte le parti e nel!' intimo di esse la virtù direttiva e moralmente perfezionatrice della So- vranità politica. In modo che, dove prima le parti erano agglomerate e coacervate e tenute in fascio violentemente, a poco a poco vanno organizzandosi vitalmente insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V altra, e tutte nel tutto, volontariamente e per liberoconsentimento. Come, per esempio, le molecole di certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e aderiscono insieme a formare un cri- stallo solo in seguito ad una compressione che le sforzò a ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari passo con quel- r altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si orientano nella armonia politica dello Stato, di- ventando partecipi e collaboratrici della sua vita, reagi- scono sul Potere sovraincombente, rintuzzando la prepo- tenza, che vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e mo- rale ; ad una forza, in una parola, diretta al Bene di tutti. 3. — Non è nostro compito (non richiedendolo lo scopo del presente libro) di studiare i modi precisi onde, per la elezione interorganica, e pel processo di distin- zione, si va formando nell' organismo dello Stato bordine del Potere, che riesce un sistema complesso di funzioni speciali esercitate da individui e corpi particolari; e come nasca il fatto, mettiamo, della divisione del Governo in diversi ministeri, e di ciascuno di questi in parecchie Voi. IV. 17  dipendenze, alle quali, variamente e per mez£o di centri subordinati, si rannodano le ultime propag^ni della am-ministrazionepubblica sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro scopo, in riguardo alle specializzazioni ac- cennate degli organi del Potere, basterà fare T osserva- zione (pure importantissima) che, come si distinguono tra loro le amministrazioni pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e conseguentemente il modo di funzionare (che deve atteggiarsi in conformità dell' intento da otte- nere), cosi si distinguono tra di loro le Sanzioni pub- bliche e legali degli atti sociali relativi; e quindi (si noti bene) le specie di Responsabilità, che neemergono. E da ciò proviene che le forme della Giustizia e quindi della Moralità si specializzano insieme collo spe- cializzarsi della pubblica amministrazione; onde, moral- mente, non sono, per esempio, identiche le azioni degli individui giudicate da un tribunale civile e quellegiudi- cate da una una intendenza di finanza, o da una commis- sione igienica o di belle arti; e per un reato controla proprietà individuale o per uno contro le restrizioni della libertà della stampa, in materia scientifica; e cosi via. Il che non vuol dire però che non si possano tutte le dette azioni ridurre al genere comune delle obbliga- torie nel foro intimo della coscienza, in ragione che Del- l' individuo si è formata, come sopra abbiamo dimostrato, r abitudine virtuosa e propria del saggio ; l'abitudine cioè di attribuire universalmente alle Idealità antiegoistiche sociali un valore obbligativo per se, assoluto e indipen- dente dalle specialità di procedura e di Sanzione, che loro corrispondono nella amministrazione governativa. m — Come risuiii spiegata la prima /orina de li* ufficio del Intere, e anche la terza : e stabilito l' assunto del liérù. Ora, facendo, colla proporzione dovuta, al fatto del Diritto del Potere, Tapplicazione del priacipio stabi- lito sopra, che ogni Diritto importa una conirièuzionc, possiamo trovare la verità di quella che sopra, alla fine del Capo I, dicemmo la pritna forma dell' ufficio del Po- tere, cioè : di stabilii*^! nella Società a spese delle sue parti. Et facendo allo stesso fatto» pure colla pro- porzione dovuta, r applicazione dell' altro principio, che il Diritto è la facoltà del Bene^ constatiamo la verità di quella, che ivi stesso chiamammo la terza forma dell' uf- ficio del Potere, cioè: di flÌH|ìensHri^ la forza propriadeir ambiente sociale (cioè le contribuzioni suddette) al migli orauiento delle sue parti. In questo ultimo enunciato poi abbiamo il com- pendio, per cosi dire, di tutta la trattaEione di questo libro, E> in relazione allo stesso enunciato, si verificano, in ragione cho lo Stato si perfeziona in ogni sua parte, i principj che seguono: Primo* Che le contribuzioni di ogni genere, prestate da tutti gli elementi costitutivi dello Stato, diventano li-èeramente consentile. Secondo. Che le contribuzioni medesime si vanno av- vicinando al massimo di ciò che pi4Ò dare ciascuno ^ senza suo esiziale detrimento* ^ i '«.iFI-i-^..' TChe nulla, di ciò che è contribuito, va consur- malo prepotentemente ed egoisticamente da chi è investito del Potere di disporne. Quarto. Che la erogazione medesima è fatta secondo il volere di quelli stessi che contribuiscono. Quinto. E alla tutela dei Diritti di tutti; e dXVotte- nimento della prosperità, e al miglioramento morale. Sesto. E a questo soprattutto. E nella ragione che il miglioramento morale ottenuto, supplendo da sé, come dimostrammo sopra (i), alla tutela dei Diritti e all' otte- nimento della prosperità materiale, lascia per sé disponi- bili mezzi sempre maggiori. E cosi nello Stato siverifica T idea della prov- videnza, che il teista colloca in dio, come in esso colloca il tipo della specie di una pianta, per la solita illusione tante volte notata. E si verifica anche V idea della grazia, immaginata per una simile illusione dalla teologia cattolica siccome emanazione divina, atta a rendere V uomo morale, a far che segua le leggi della Giustizia ed eserciti la beneficenza. La possibilità per 1* individuo di essere morale, di conoscere e seguire la Giustizia, e di essere benefico verso gli altri, si ha, come dimostrammo nel corso del libro, dalla sua convivenza nella Società e dalla proprietà di questo di svolgere e perfezionare le facoltà dell'uomo, e di moralizzarlo. 5. — Onde lo Stato, cosi concepito, viene ad essere l'attuazione pura e compiuta della Idealità sociale, ossia (i) In molti luoghi: per es. Numero 2 del J VI del Capo IV. 201 del principio del Bene an ti egoistico, del Bene morale, in una parola del Bene pel Bene, E quindi lo Stato medesimo riesce la prova concreta ' sperimentale della verità del principio della Morale dei positivisti da noi affermato, chiarito, dimostrato: e una prova evidente, in quanto nel fatto dello Stato il fenomeno individuale si trovaingrandito, E mi spiego. Se, ad esempio, si può dubitare che un atomo materiale preso da sé sia pesante, perchè il peso deir atomo è tanto piccolo che non si può rilevare iso- latamente, il dubbio cessa affatto prendendo una grande congerie di atomi, nella quale i pesi minimi non valu- tabili di ognuno sisommano in un peso valutabile, dal quale si arguisce quello troppo piccolo dei componenti. E, se si può dubitare che una molecola di ferro, consi- derata isolatamente, sia calamitata, il dubbio cessa quando se ne prenda una grande massa. E cosi nel caso nostro. Se si può dubitare che T uomo singolo sia mosso nelle sue azioni da una Idealità sociale antiegoistica, perchè la ragione di questa, nella singola azioneumana di un individuo, si sottrae facilmente alla osservazione, stante il concorso e il contrasto colle ragioni egoistiche, le quali ve la accompagnano, il dubbio è tolto interamente arguendo dal fatto che, appuntandosi i voleri individuali nella totalità dello Stato, ne risulta la incontrastabile sovranità del volere morale, e antiegoistico, che vi os- servammo. Le cose dette nel corso del libro dimostrarono che la Responsabilità, intesa nel senso che sia Vastraito delle Sanzioni,onde la Società reagisce, rintuzzandola, contro V azione propriamente umana individuale, si rife- risce, non solo agli atti della Giustizia propriamente detta, ma anche a tutti gli altri atti  etico-civili dell'uomo ; cioè : Primo. Agli atti offensivi non contemplati e non con- templabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno attribuiti a quel- la altro della puraConvenienza. Secondo. Agli atti sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell* individuo in cui si avverano, e producenti la sola reazione del rimorso intemo. Terzo. Agli atti virtuosi, che V individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non fa. Ossia a quegli atti che non si attribuiscono, ne alla Giustizia, né alla Con- venienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come direbbero inuovi. E cosi è sciolta la questione, propostaci nella Introduzione, come compito di questa nostra Sociologia. Rodrigo Ardigò. Keywords: sociologia. Grice ed Ardigò:  implicatura cooperativa — positivismo filosofico —  biologia filosofica — psicologia filosofica naturalista — il sociale — l’intersoggetivo ——, la morale positivista, il positivism filosofico. La morale e il diritto all’altro – la convivenza sociale – la giustizia, il bene sociale – la benevolenza e la beneficenza – il calcolo ragionale nella convivenza sociale – l’evoluzione sociale – l’organismo sociale – il positivismo filosofico – communicazione e convenienza sociale – l’onesta morale – spettazione di onesta reciproca – Fondazione naturalistica della morale – Fondazione – il fatto sociale – il devere, la regola d’oro, fare all’altro cioe che vorreste fatto a te – consiglio di prudenza – kant – costume – fatto sociale presupposizione del linguaggio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ardigò” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684424707/in/photolist-2mTna1x-2mRnYF2-2mQzgRD-2mPszkp-2mMZzKx-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLLBQT-2mLGwFD-2mKDXUP-2mKT6cK-2mKLzDp-2mKwdUT-2mKAsyK-2mKAuZM-2mKjsJY-2mKfNvB-2mKbbNP

 

Grice ed Arena – nudi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripatransone). Filosofo. Grice: “I like Arena; my favourite of his tracts are one on what he calls, ambiguously, ‘guerriero dello spirito,’ which is pretty naif – wasn’t Aeneas killing for something too, not necessarily ‘spiritus’? – His focus is two orders: the templari and the teutonic order – my other of his favourite trats is  his ‘nudi’ – or ‘gnudi,’ if you mustn’t – when Romolo converses with Romo, they are ‘nudi’ – what they say is what they mean and what they mean is what they say – ‘nakedness’ becomes a philosophical category, as when Strawson says, ‘the naked true.’” “There is no reason why it shouldn’t be a philosophical category, since the etymology is fascinating – vide Clarke, “The naked and the nude,” --  Leonardo Vittorio Arena (Ripatransone), filosofo. Arena insegna "Storia della filosofia contemporanea" presso Urbino. Filosofo e orientalista,ha dedicato in particolare al Buddhismo Zen, al Taoismo e al Sufismo una vasta produzione saggistica; è anche autore di romanzi e traduzioni sui medesimi temi. Insegna tecniche di meditazione tratte da pratiche buddhiste e sufi. Ha collaborato ai programmi religiosi della Radio Svizzera.  Pensiero La sua visione filosofica è esposta principalmente nelle tre opere Nonsense o il senso della vita ,Note ai margini del nulla e Sul nudo, dove si propone una sintesi delle grandi correnti filosofiche orientali e occidentali, con particolare riguardo a Nietzsche, Wittgenstein, Zhuāngzǐ e il Buddhismo Chán/Zen.  Il nonsense, come dall'opera Nonsense o il senso della vita, è da intendere come la meta di ogni autentica indagine filosofica, realizzando la "distruzione delle opinioni" sulla scorta del Buddhismo. La filosofia del nonsense non è teoria, bensì non teoria: come la zattera del Buddhismo o la scala di Wittgenstein, serve ad arrivare a una sorta di consapevolezza speciale, per poi essere tranquillamente accantonata. Punto di partenza: non è possibile formulare una filosofia esente da contraddizioni. Nelle pagine di ogni filosofo si cela il tarlo dell'incoerenza. Traendo tutte le conseguenze logiche di ogni filosofia se ne attesta la contraddittorietà.  L'idealismo, base di ogni filosofia, dovrà sfociare nel vuoto e nel nonsense, laddove se ne sviluppi il suo principio-base, che è esistenziale prima ancora che teoretico, secondo cui il mondo è la rappresentazione del soggetto o di una mente cosmica. La posizione del nonsense spinge a riconoscere che le cose stanno proprio così (Tathātā), cioè sono caratterizzate da una nudità che non può essere interpretata o espressa attraverso alcuna dottrina od opinione.  Non c'è senso nascosto, e tutto è già qui, direttamente accessibile nella vita quotidiana all'uomo comune e al Risvegliato, mai così tanto accomunati. Lo strumento del nonsense è l'arte, specialmente la musica e si procede verso la dimensione del non suono, già cara a John Cage, nella sua composizione 4'33", cui Arena dedica una lunga disamina, nella sua opera La durata infinita del non suono. La stessa tematica viene ripresa e ampliata in Il tao del non suono, nonché nell'analisi di alcuni solisti o gruppi di musica contemporanea, come John Lennon, David Sylvian, Brian Eno, Robert Wyatt, Giacinto Scelsi e Ryuichi Sakamoto. Musica e filosofia si intersecano, entrambe sono mezzi di conoscenza, addirittura intercambiabili. Arena è influenzato dalla beat generation, e riconduce parte del suo interesse di lunga data per l'Oriente ai Beatles e ai grandi gruppi rock dei '60 e '70.  Nella poesia, l'haiku esprime lo yugen, un senso di "profondità misteriosa" che convive con la semplicità del "qui e ora". Nonsense implica il superamento degli opposti, quindi permette di giungere alla non dualità, al di là della logica formale di Aristotele, perseguita dall'esorcista del nudo, il quale pretende di cogliere e congelare in una articolazione sistematica il caotico divenire della vita; operazione votata all'insuccesso, e alla contraddittorietà. Come per Nāgārjuna e Wittgenstein, anche per Arena la logica può servire a invalidare sé stessa, ma nella dimensione radicale del kōan, come è concepita nel Chán/Zen. L'insegnamento si trasmette grazie a una sorta di empatia o comunicazione energetica tra maestro e allievo -, di baraka nel senso che il termine acquista nel Sufismo -, veicolata dal silenzio e dal non suono.  Nella sua opera Note ai margini del nulla, Arena riprende la posizione di Bodhidharma, relativa al "non sapere, non distinzione" (fushiki), in direzione epistemologica ed ermeneutica, sottolineando la complessità della diffusione del nonsense nell'ambito del sociale. Egli analizza le concezioni di vari esponenti del pensiero orientale e occidentale, tra cui Max Stirner, Fernando Pessoa e i maestri del Taoismo, specie Zhuāngzi. Il nonsense propone un nichilismo costruttivo, dove le "ragioni" del nulla non vengano concepite attraverso la modalità unilaterale del nihil privativum, negativum od oggettivizzato. Arena rovescia la conclusione del Tractatus Logico-Philosophicus: di tutto ciò su cui si dovrebbe tacere occorre proprio parlare.  Arena propone di sondare il nonsense attraverso il nudo, una comprensione che sfoci nella non comprensione e nel non pensiero, ben più fecondi di quanto la riflessione logico-formale non abbia dato da vedere all'Occidente. Nietzsche, Bob Dylan e i maestri Zen si rivelano, al momento, i suoi principali ispiratori nei toni di una filosofia non accademica, nemica del dogmatismo e della necrofilia della teoresi. La musica elettronica contemporanea sembra particolarmente adatta a sondare la nudità, nei modi della improvvisazione radicale, cui Arena dedica anche un'attività concertistica solista con lo pseudonimo Mu Machine.  Arena ha pubblicato una serie di ebook sull'analisi di maestri e filosofi alla luce delle categorie del nonsense e del nudo, sondandone tratti indipendenti dai "punti nodali", riscontrabili nei compendi od opere manualistiche, e considerando queste figure nella loro alterità: Samuel Beckett, Jacques Derrida, Nietzsche e Wittgenstein rientrano nel novero, ma anche Jacques Lacan (cfr. la voce Opere). Parallelamente, sta sondando le illusioni e i condizionamenti dell'animo, che non lasciano percepire il nudo/nonsense.  La produzione romanzesca è iniziata con La lanterna e la spada, dove Arena analizza la figura di Qinshi Huangdi, il primo imperatore della Cina, famoso per l'unificazione della lingua, del Paese, e il forte impulso dato alla costruzione della Grande Muraglia, ma anche per il rogo dei libri, che ha ispirato Ray Bradbury in Farenheit 451, e varie efferatezze. La produzione letteraria è proseguita con un altro romanzo, L'imperatrice e il dragone (ripubblicato come Il Tao del sesso), in cui si rievoca un'altra figura molto discussa, stavolta nella Cina medioevale, quella di Wu Zhao, la quale regnò per virtù propria, fondatrice di una sua dinastia, e non come semplice imperatrice vedova, altresì famosa per gli eccessi e le passioni sessuali. Anche di questa figura Arena dà un ritratto senza giudizi moralistici ed esaminandone i multiformi aspetti, come per il primo imperatore. In L'Ordine nero, ripubblicato come La svastica sul Tibet, si tratta della spedizione Schaefer, alla ricerca delle origini della razza umana e di ineffabili segreti magici. Nel gruppo di nazisti si trova anche il filosofo Leonard Mayer (personaggio inventato), alla ricerca del segreto della mente. In Il coraggio del samurai, si parla dell'arcano connubio tra samurai e ninja, e dei segreti di questi ultimi, descritti attraverso un gruppo di donne guerriere, la cui sovrana è la misteriosa Padrona, di cui si dice che abbia quattro secoli; si parla anche di Yoshitsune, un samurai del clan dei Minamoto, sfortunato quanto valoroso, ostile al fratello Yoritomo. Nell'ultimo romanzo pubblicato, La corda e il serpente, Arena si discosta dal romanzo storico e scrive un'opera sperimentale, dove la trama è un pretesto, e si nota l'influsso di William Burroughsanche di H.Lovecraft, per certi aspetti: nell'opera si parla di Atlantide, un mondo sommerso, distrutto da una catastrofe; il protagonista L., darà vita a una nuova specie umana.  Arena propone una personale versione della meditazione nella sua opera La Via del risveglio, Manuale di meditazione. Egli prende spunto dal buddhismo, vipassana e Zen, dal sufismo e da Georges Gurdjieff, dalla psicologia analitica di Carl Gustav Jung (il Libro rosso)[25] e dal lavoro sull'ipnosi di Milton Erickson. Una meditazione che conduce talvolta agli stati alterati di coscienza e permette di sviscerare il nudo nonsense, caposaldo della visione filosofica di Arena. Una meditazione che ha il suo supporto nella musica, la quale non ne costituisce solo il sottofondo, ma anche la base per approfondire le intuizioni che ne emergono. "Difficile separare la musica dalla meditazione", scrive Arena, "l'una porta all'altra".[26] Scopo della meditazione è anche attingere il non suono, categoria che Arena aveva sviscerato nei succitati studi su John Cage e Brian Eno. Una meditazione che attinge all'Oriente, ma fa tesoro delle conquiste psicologiche e spirituali dell'Occidente. Per indicare la modalità filosofica della pratica Arena propone una metafora: "La meditazione è premere il pulsante della consapevolezza".[27]  Dopo anni, e non sulla base di un ripensamento quanto di un ampliamento, Arena torna sul nonsense con una nuova riflessione, imperniata sul non sapere alla luce del buddhismo Chan/Zen nel suo complesso (non solo in riferimento a Bodhidharma), e soprattutto da non intendere come non sapere socratico. Il non sapere invita a diminuire la quantità di nozioni, a spogliare la mente dei preconcetti, principio che potrebbe essere il pilastro della scoperta scientifica. Lo anima il non pensiero, attività più affine alla intuizione, che usa la logica ponendola contro se stessa. Anche questa posizione, come quella relativa al nonsense nelle opere precedenti, mira all'acquisizione di un equilibrio psicofisico, all'autorealizzazione, al riparo da dogmatismi ed eurocentrismi. L'incontro con la nudità permetterà, nella solitudine esistenziale, di svelare nuove risorse nel soggetto, un incontro con se stessi fecondo e produttivo, senza entrare in polemica con alcuna visione filosofica, anzi ospitando visioni del mondo contrastanti. La contraddizione, implicita nel nonsense, è foriera di nuovi sviluppi teoretici, e consente di recuperare istanze che, nel pensiero occidentale, erano state sepolte dopo la demonizzazione dei sofisti.[28]   Altre opere: “Nietzsche-Wagner-Schopenhauer” (Fermo); “Il Vaisheshika Sutra di Kanada (Quattroventi) La filosofia di Novalis (Franco Angeli) Comprensione e creatività. La filosofia di Whitehead (Franco Angeli) Novalis, Polline (Studio Editoriale) Antologia della filosofia cinese (Arnoldo Mondadori Editore) Storia del buddhismo Ch'an (Mondadori) Il canto del derviscio [povero mendicanti sufi] (Mondadori) Il Nyaya Sutra di Gautama (Asram Vidya Edizioni) Antologia del Buddhismo Ch'an (Mondadori) Diario Zen (Rizzoli) I maestri (Mondadori) Haiku (Rizzoli); “Al profumo dei pruni. L'armonia e l'incanto degli haiku giapponesi, Rizzoli ). Realtà e linguaggio dell'inconscio (Borla) Novalis, Enrico di Ofterdingen (Mondadori) Vivere il Taoismo (Mondadori) Il Sufismo (Mondadori) Il bimbo e lo scorpione (Mondadori) La grande dottrina e Il Giusto mezzo (opere confuciane) (Rizzoli) La filosofia indiana (Newton) Buddha (Newton) La via buddhista dell'illuminazione (Mondadori) Del nonsense (Quattroventi) Sun-tzu, L'arte della guerra (Rizzoli) Iniziazione all'autorealizzazione. Un percorso verso la consapevolezza (Edizioni Mediterranee) Chuang-tzu, Il vero libro di Nan-hua (Mondadori); Zhuangzi (Rizzoli). Poesia cinese dell'epoca T'ang (Rizzoli) La barriera senza porta (Mondadori) La filosofia cinese (Rizzoli) La storia di Rama (Mondadori) Nei-ching, canone di medicina cinese (Mondadori) I-ching. Il libro delle trasformazioni (Rizzoli) Samurai. Ascesa e declino di una nobile casta di guerrieri (Mondadori) Musashi, Il libro dei cinque anelli (Rizzoli) Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi giapponesi (Mondadori); “Hagakure, Il codice dei samurai (Rizzoli) La mente allo specchio (Mondadori) Il sogno della farfalla (Pendragon) Il libro della tranquillità. 100 koan del buddhismo Zen (Mondadori) Sun Pin, La strategia militare (Rizzoli) Dogen, Shobogenzo (Mondadori) Tecniche della meditazione taoista (Rizzoli); “Il tao della meditazione, Rizzoli); I 36 stratagemmi (Rizzoli); I guerrieri dello spirito (Mondadori); La lanterna e la spada (Piemme) Lo spirito del Giappone (Rizzoli) L'imperatrice e il dragone (Piemme) La pagoda magica e altri racconti per trovare la felicità dentro di sé (Piemme); “Il libro nella felicità”; “II pensiero indiano (Mondadori) Orient Pop. La musica dello spirito (Castelvecchi) L'arte della guerra e della strategia (Rizzoli) Il lago incantato. Racconti sull'amore (Piemme) L'ordine nero (Piemme) L'innocenza del Tao (Mondadori); Il maestro e lo sciamano (Piemme, ) Incontri di filosofia. La biblioteca di Babele,  I (Città di Ripatransone). Xunzi, L'arte confuciana della guerra (Rizzoli) Confucio (Mondadori) Il coraggio del samurai (Piemme) Nietzsche in Cina nel XX secolo”; Incontri di filosofia. La filosofia come conoscenza di sé,  II (Città di Ripatransone). Memorie di un funambolo; Note ai margini del nulla; Nonsense o il senso della vita; La durata infinita del non suono (Mimesis) Il pennello e la spada. La Via del samurai (Mondadori, ) Introduzione al Sufismo (ebook, ). Un'ora con Heidegger (Mimesis, ). Introduzione alla storia del Buddhismo Ch'an (ebook, ). Il libro della tranquillità (Congronglu) 100 koan del Buddhismo Zen”; L'arte del governo (Huainanzi) (Rizzoli); “Heidegger, il Tao e lo Zen (ebook, ). Il Tao del sesso: La storia di Wu Zhao; La lanterna e la spade”; “La svastica sul Tibet”; Il libro dei segreti d'amore”; All'ombra del maestro”; Il Tao del non suono”; “La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock postmoderno (Mimesis); “Ikkyu poeta zen; “La filosofia di Brian Eno. Filosofia per non musicisti (Mimesis); “Novalis come alchimista”; “La filosofia di Robert Wyatt. Dadaismo e voceunlimited (Mimesis). Yogasutra (di Patanjali) (Rizzoli ). Sun-tzu: l'arte della guerra per conoscersi; La barriera senza porta (Wu-men kuan) 100 koan del buddhismo Zen”; “La comprensione negata”; “Buddha: La via del risveglio”; “Nagarjuna: la dottrina della via di mezzo (Zhonglun)”; “Il libro rosso di Jung (ebook, ). La storia di Rama (Ramayana)”; “Sul nudo. Introduzione al Nonsense (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; Lacan Zen, L'altra psicoanalisi (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; “Oltre il nirvana”; L'altro Derrida”; “Watt, la cosa e il nulla. L'altro Beckett; L'altro Wittgenstein”; “Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan. Un'autobiografia”; “ L'altro Nietzsche”; “Una introduzione alla filosofia di John Lennon”; “Scelsi: Oltre l'Occidente, Crac Edizioni . La corda e il serpente, Illusioni, La filosofia di Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Mimesis . La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli . Wenzi, Il vero libro del mistero universale. Un classico della filosofia taoista, Milano, Jouvence . La filosofia di John Lennon. Rock e rivoluzione dello spirito, Milano-Udine, Mimesis . Togliersi le idee. L'ombra del nonsense, Il Tao della pedagogia (selezioni da: Annali Primavere-Autunni di Lu Buwei); Il libro segreto dei ninja: Shoninki; Ikkyu: l'Antibuddha, (poesie in traduzione dal giapponese); Confucio come counselor, Miyamoto Musashi: Dokkodo; Quanti orientali. Oltre il Tao della fisica; Daodejing: Laozi come counselor; Zhuangzi: i capitoli interni; Bhagavad Gita; Qohelet, l'interpretazione "orientale"; Il pensiero giapponese. L'età moderna e contemporanea, Jouvence . La filosofia di Bob Dylan, Mu Machine Collection; Zhuangzi: i capitoli esterni, Mu Machine Collection; Zhuangzi: miscellanea, Mu Machine Collection; La raccolta della roccia blu (i cento koan del Biyanlu), Mu Machine Collection; Basho:Haiku, Mu Machine Collection; Vivere il taoismo, Mu Machine Collection; Il libro rosso di Jung: Liber Primus, Mu Machine Collection, ebook . Storia del pensiero indiano,  II, Mu Machine Collection, Storia del pensiero indiano,  III, Mu Machine Collection, Storia del pensiero indiano,  IV, Mu Machine Collection, ebook . Il libro rosso di Jung: Liber Secundus, Mu Machine Collection, L'antistoria della filosofia, Mu Machine Collection, Zen contro Zen, Mu Machine Collection,  I greci in Oriente, Mu Machine Collection, Liezi il libro taoista della verità, Mu Machine Collection, Lo spirito del samurai: Budoshoshinshu, Mu Machine Collection, Il giardino nascosto (sul tempo), Mu Machine Collection, Neijing il canone di medicina cinese, Mu Machine Collection, Dogen Shobogenzo, Mu Machine Collection, Guida al cinese classico, Mu Machine Collection; Nascita di un samurai, Mu Machine Collection; Il Canone di Mozi. La logica cinese, Mu Machine Collection, ebook . Jung Zen, Mu Machine Collection.  In Inglese Nonsense as the Meaning, ebook, . Nietzsche in China in the 20th Century, ebook, . The Shadows of the Masters, ebook, . An Introduction to Sufism, ebook, . The Dervish, ebook, . Cage Nagarjuna Wittgenstein, ebook, . Nosound, ebook, . The Red Book of Jung, ebook, . Illusions, ebook, . The Book On Happiness, ebook . On Nudity. An Introduction to Nonsense, Mimesis International . David Sylvian As A Philosopher, Mimesis International . In Spagnolo El canto del derviche. Parabolas de la sabiduria Sufi, Grijalbo, Barcelona 1997. In Francese Sur le nu. Introduction à la philosophie du Nonsense, Editions Mimésis, . Note  L. V. Arena, Nonsense o il senso della vita, ebook , cap. 1  Nonsense o il senso della vita, cap. 6  L. V. Arena, La durata infinita del non suono, Mimesis   L. V. Arena, Il tao del non suono, ebook   L. V. Arena, Una introduzione alla filosofia di John Lennon, Kindle Edition   L. V. Arena, La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock postmoderno, Milano, Mimesis   L. V. Arena, La filosofia di Brian Eno, Milano, Mimesis, .  L. V. Arena, La filosofia di Robert Wyatt, Milano, Mimesis, .  L. V. Arena, Scelsi: Oltre l'Occidente, Falconara Marittima, Crac Edizioni, .  L. V. Arena, La filosofia di Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Milano-Udine, Mimesis, ..  L. V. Arena, Orient pop. La musica dello spirito, Roma, Castelvecchi, 2007.  Nagarjuna, The Philosophy of the Middle Way, D. Kalupahana, Albany, 1986  L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Torino, Einaudi 1984  L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook , passim  L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook , cap. 1  Biyanlu, 1  Leonardo Vittorio Arena, Zhuangzi: I capitoli interni, ebook ; Idem, Zhuangzi: i capitoli esterni, ebook , idem, Zhuangzi: Miscellanea. ebook ..  Contra Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza 1979, p.281  Nonsense o il senso della vita, Appendice  L. V. Arena, La comprensione negata, ebook, .  Leonardo V. Arena, La filosofia di Bob Dylan, Collezione Mu Machine, ebook ..  Leonardo V. Arena, Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan, Autobiografia,  I, ebook .  L. V. Arena, Illusioni, Kindle Edition, .  L. V. Arena, La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli ..  Leonardo Vittorio Arena, Il libro rosso di Jung, ebook .  Ibidem13.  Ibidem15.  L. V. Arena, Togliersi le idee, L'ombra del nonsense, .. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Leonardo Vittorio Arena  Nonsense o il senso della vita, su amazon.  Note ai margini del nulla, su amazon. L'attività accademica di Leonardo Vittorio Arena [collegamento interrotto], su uniurb. Il blog filosofico di Leonardo Vittorio Arena, su leonardovittorioarena.wordpress.com. L'autobiografia, su amazon. Filosofia Letteratura  Letteratura Religioni  Religioni Storia  Storia Filosofo del XXI secoloOrientalisti italianiStorici delle religioni italiani 1953 Ripatransone. Leonardo Vittorio Arena. Keywords: nudi, Novalis, Schopenhauer, Nietzsche, Wagner, Puccini, Butterfly, Turandot, Mascagni, Iris, Leoni, L’Oracolo, Confucio, la guerra, stratagema, strategia, antistoria della filosofia, Heidegger, Wittgenstein, l’unconscio, Whitehead, Grice on east and west, Staal, ‘those in a position to know’ – metafisica, greco-latina, Heidegger citato par Arena, Leonardo Arena, Leonardo Vittorio Arena. Cinese, linguaggio, la filosofia del linguaggio di Novalis, Gozzi, libretti di Butterfy, Turandot, Isis, L’Oracolo.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arena” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789467047/in/dateposted-public/

 

Grice ed Armetta – dialogo – filosofia italiana – filosofia siciliana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I like Armetta; he is into ‘dialogue,’ I am into conversation. I once suggested to Strawson that he should write a dissertation on the distinction betweehn dia-logos and cum-versatio, but he said that ‘converse’ is used to mean ‘make out’ in the Bible, while ‘dialogue’ ain’t!” Principale allievo di Santino Caramella, di cui cura il lascito.   Si è laureato in Filosofia presso l’Palermo con Santino Caramella, di cui è diventato subito assistente universitario. Con lui e gli altri allievi e collaboratori ha fondato la rivista di filosofia «Dialogo» (1964-1974); dal 1960 al 1992 ha insegnato nei licei di stato (per un lungo periodo di tempo presso il Liceo Ginnasio Vittorio Emanuele II); dal 1981 insegna presso la Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia «San Giovanni Evangelista», prima come docente incaricato di Dottrine filosofiche e fino al 2004 anche di Logica; ha fatto parte della segreteria della Rivista della Facoltà per un decennio fino al 1998 e sin dall’anno accademico 1985 è Segretario Generale della medesima Facoltà.  Il pensiero di Armetta è una rilettura del neoidealismo crociano e gentiliano sulla base dello spiritualismo cristiano. I suoi studi sono rivolti soprattutto alla storia del pensiero filosofico e teologico in Sicilia, e sono culmila curatela del monumentale Dizionario Enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia.  Altre opere: "La filosofia del volere da Omero a Platone”; “Storia e idealità in S. Kierkegaard”; “L’uomo come natura”; “Guida agli scritti di Santino Caramella”; “Teoria e pratica in Santino Caramella”; “Caramella e Gobetti. Un rapporto oscurato”; “Il Carteggio Caramella-Croce”; “Il carteggio tra Caramella e Radice”; “Per una società in dialogo”; “Il pensiero filosofico in Sicilia”; “Elementi di ideologia”; “Istituzioni ideologiche”; “Rosario La Duca. Guida agli scritti”; “La toponomastica di TerrasiniFavarotta”; Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Secc. XIX e XX, Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma); “Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini al sec XVII (Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma). Riconoscimenti Papa Benedetto XVI lo ha insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine di S. Silvestro (13 febbraio ).  Note  Caltanissetta, Sciascia Editore, . Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1928 Palermo. Francesco Armetta. Keywords: dialogo, fascimo filosofico, filosofi del fascism, croce e caramella – il carteggio curato da Armetta, presenza di Caramella nel primo convegno a Milano, dialogo, implicatura dialettica, Caramella e Giobetti, storia della filosofia italiana, filosofia politica nella Italia del primo novecento, la metafisica del dialogo in Vico.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Armetta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51791128045/in/dateposted-public/

 

Grice ed Arrighetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like Arrighetti: his forte was Aristotle’s rhetoric, and he was very popular with the Accademia degli Ardenti, and later with a subgroup of this, The Accademia degli Svelati (which later merged with the Accademia dei Lunatici); his other forte was the distinction between ‘oratio’ and ‘oratio vvocalis’ – “Os” is of course Romann for ‘mouth’ – but figuratively for ‘linguaggio’ – (after all, the tongue is IN the mouth). I happen to prefer ‘mouth,’ because Roman ‘os’ is related to ‘essere’: you are who you are, i.e. you exist, because you can breathe through your mouth. Appartenente a una nobile famiglia fiorentina, studiò la lingua Greca e le filosofie Aristotelica e Platonica nelle Pisa e di Padova. Dedicatosi agli studi teologici, venne ascritto al Corpo dei Teologi dell'Università Fiorentina il 20 novembre del 1631. Il Pontefice Urbano VIII, che aveva molta stima per il giovane, lo creò Canonico Penitenziere della Cattedrale di Firenze e esaminatore sinodale, posizione che mantenne fino alla morte. Arrighetti morì il 27 novembre del 1662 all'età di 80 anni. Fu uno dei membri più illustri dell’Accademia Fiorentina e di quella degli Alterati fra i quali si chiamò Fiorito.  Altre opere: “La rettorica d’Aristotele e Cicerone spiegata” (Firenze);  “La Poetica d'Aristotele, spiegata” (I Svogliati, Pisa), “Il Piacere” (Firenze); “Il riso” (Firenze); “L’ingegno” (Firenze), “L’onore” (Firenze); “Vita di S. Francesco Saverio estratta dalle relazioni, fatte in Concistoro da Francesco Maria Cardinale del Monte”, “Sermoni sacri, volgari e latini fatti in varie chiese e compagnie di Firenze”; “Opere spirituali”; “L'Orazione vocale e mentale”; “Tractatus de iis quae necesitate medii et precepti credenda sunt”. Note  Arrighetti (Philippe), in: Louis Gabriel Michaud : Biographie universelle ancienne et moderne, 2ª edizione 1843,  2291.  Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge,  3, 2 (1844)641 sg.  Arrighetti (Philippe), in: Nouvelle biographie générale, 1852–66,  3358 Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge,  3, 2 (1844)641 sg. Biografie  Biografie Cattolicesimo  Cattolicesimo Filosofia Categorie: Religiosi italianiFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloGrecisti italiani 1582 1662 27 novembre Firenze PadovaTraduttori dal greco all'italiano. RETTORICA E POETICA D'ARISTOTILE TRADOTTE E SPIEGATE DA FILIPPO ARRIGHETTI CANONICO FIORENTINO. PROLOQVII NELLA RETTORICA D'ARISTOTELE RECITATI NELL'ACCADEMIA DELLI SVEGLIATI IN PISA. RAGIONAMENTO I. De principii vniversali dell'arte. Prooemium. E' lodevol'usanza di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato ch'eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose che si deven trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati parte nascenti dalla natura delle cose da insegnarsi, parte da varii accidenti onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno uditore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione. Quel ch'inducesse li huomini et quando a ritrovar l'arti. E' cosa manifesta a ciascheduno che l'huomo è composto di due parti principali, d'anima et di corpo. L'anima divina et immortale et per se stessa aspirante a cose alte et elevate: ma per esser racchiusa nel profondo del corpo nostro, tale che non può senza l'aiuto suo sostenersi, il ch'è la vita nostra. Hebben acconcia la terra, onde potessen nutricarsi et altresì provedut'onde commodamente vivesseno, si dieden alla contemplazione. Et tanto basti haver detto dell'occasion del ritrovar l'arti, et del tempo in che elle si ritrovarono.  Del fine dell'arti et della via loro in acquistarlo. Delle differenze dell'arti prese dal modo dell'acquistar il lor fine. Dell'origin et principio dell'arti. Dell'unità et distintion dell'arti. Del modo del discorrer dell'arti. Delle differenze tra l'arte com'habito et come metodo. De principii proprii della Retorica come arte. Quel che sia il persuadibile che è suggetto dell'oratore. A che specie d'arte si riduca la Rettorica. Dell'origine et autori della Rettorica. Della dispositione del corpo d'un ragionamento in universale. Delle parti della Rettorica com'arte. Considerasi la Rettorica come metodo. Delle parti materiali della Rettorica come metodo et ordine loro. COME LA RETTORICA SIA COLLEGATA CON LA DIALETTICA. De' luoghi della persuasione in universale. Schema ad albero dei luoghi rettorici. In che maniera succede il far fede. Delli affetti e'n che maniera et con che stromenti o ver metodi si muovino. Che via si deve tenere per far il DIRE DILETTEVOLE. Del modo del definire comun al poeta et all'oratore. Trattano i logici e metafisici della diffinizione ma con esquisitezza singulare mostrando che la diffinitione è una oratione, la quale dichiara la essenza et natura della cosa, et questa da loro si compone di genere et differenze. Ma havendoci noi proposto di ragionar di quelli che son più oscuri et manco trattati da professori della Rettorica, che son chiaramente quelli di cui già habbiam discorso. Poscia che havuto fine il nostro proposito, porrem anchor noi fine al nostro ragionamento.  DELLA POESIA. RAGIONAMENTO. Qual sia il primo fine del poema. Camminando su l'orme de discorsi fatti sin a qui sì in generale, sì in particolare sopr'il negozio rettorico acciocché si proceda secondo l'ordine della natura, che è cominciando prima delle cose prime, andrem ritrovando il fine a cui s'indirizza questa professione, o ver arte che dir la vogliamo. Però essend'egli parte della felicità, vien ad esser ancho parte del fine humano. Insin a qui habbiam vedut'in quanti modi si piglia il diletto, et non ha dubbio alcuno ch'un di questi si convien alla poesia; hora è da veder quale et come, et scior le dubitazioni ch'intorn'a ciò accadesseno. Determinazione del DILETTO come fine della poesia. Qual sia il giovamento che si trae delle poesia. Dell'imitazione. Delli stromenti et maniere d'imitar del poeta. Quali sien le cose da esser imitate. Risposta d'Aristotele alle opposizioni del Castelvetro contro l'imitazione. Disse Aristotele l'imitazione esser una delle principali cagioni della poesia et noi poco fa l'habbiam posta come fine. Adunque terremo per fermo che l'imitazione co'l metro habbin dat'origine alla poesia et che le sien la vera essenza di quella. Del suggetto della poetica. S'egli è vero quel che noi habbiam determinato ne discorsi rettorici essend'il suggetto quel ch'è capace della forma che intende d'introdur l'artefice et ove s'impiega l'opera del poeta, tutta rigirandos'intorno a questo che s'imiti alcuna attione è necessario dir ch'ella sia il suo suggetto. Et vedesi che s'è ben dato qualche condimento all'arti et alla filosofia mediante il verso come fecen molti scrittori innanzi a Platone Anassagora Empedocle ET APPRESS'I LATINI LUCREZIO et di medicina da Q. Sereno et altri la qual'usanza non è stata approvata né seguita da maestri delle scienze et pur le cose da loro eran trattate co' principii proprii, cosa molt'alieno dal sentimento et processo poetico.  Che sorte d'arte sia la poetica. Dell'unità dell'arte poetica. Dell'origine della poesia. Del furor poetico. Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Due son le parti del ben poetare come di esercitar ben tutte l'arti et professioni, l'una è l'ingegno, l'altra il giudicio, perché ogni buon opera debbe esser regolata da buon giudicio. Ma si com'il giudicio non ha luogo ove non è l'invenzione, sì anchor l'invenzione senza giudicio è cosa poc'artifiziosa et casuale. Della Rettorica d'Aristotele libro primo. La Rettorica ha convenienza con la dialettica trattando l'una e l'altra di quelle cose le quali communemente da tutti in un certo modo si conoscono, né si riferiscono ad alcuna determinata scienzia. Di qui è che tutti gli huomini in qualche modo dell'una o dell'altra partecipano, conciosiache tutti infino a un certo termine sappino arguire e rispondere, e difendere e accusare. Noi dunque (disse colui) domanderemo che voi giudici stiate a le cose che con il giuramento havete sententiato, et noi ci staremo? Anchora le altre cose simili che appartengono all'amplificatione. Et questo basti haver detto quanto alla fede senza artificio. Sommario del primo libro della Rettorica d'Aristotele. La Rettorica è distinta da Aristotile in tre libri. Nel primo narra le cose communi a i tre generi dell'oratione, i quali distinguendosi in deliberativo, dimostrativo e giudiziale, dichiara le propositioni et il fine di ciascheduno. Intorno a quai modi allega Aristotile i precetti di trattare de giuramenti. E così pon fine alle fedi et al primo libro della Rettorica.  Sommario delle cose più notabili del 2° libro della Rettorica d'Aristotile. Seguendo di ridurre in breve le cose principali del 2° libro della Rettorica d'Aristotile diremo avanti come in questo libro Aristotile tratta de gli affetti dello animo, de costumi. Termina poi questo libro annoverando le cose egli ha trattato nell'ultima parte et proponendo la materia del 3° libro che resta a perfettionare questa arte, cioè la locutione et dispositione.  Sommario del terzo libro della Rettorica. Nel terzo libro della Rettorica si contengono come dicemmo da principio due cose principali che sono gli ornamenti della oratione con le parti di essa. Comprende dunque l'epilogo la benevolenza dell'uditore, la amplificatione, la commotione degli animi et l'essamenatione delle cose dette.  Lettione. Proemio nella Rettorica d'Aristotele. Se dalle operationi si conosce la nobiltà della cosa niuna è più propria a manifestare l'eccellenza dell'animo nostro che quell'istessa la quale da gl'animali irragionevoli ci fa differenti. E' l'huomo mercé della divina bontà di molti doni dotato; onde secondo il Filosofo mediante la parte intellettiva vive sempre desideroso di conoscere la verità. Et Quintiliano seguitando Cicerone afferma che quest'opera è come un germoglio della civile filosofia. Et questo basti haver detto circa i preloquii della Rettorica. Qui fa fine Aristotile al trattato delle fedi senz'artificio et al primo libro della sua Rettorica. Intorno all'espositione della quale mi sono affaticato, per dar maggior luce et agevolezza a voi più giovani accademici nell'apprender da questo famoso filosofo i precetti dell'arte poetica. Il fine della dichiaratione del primo libro della Rettorica. Proloquii nella Rettorica d'Aristotele. Proemio. E' lodevol cosa di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato che eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose che si devon trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati. Onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno lettore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione.    Proloquii. Discorsi poetici. Qual sia il primo fine del poema. Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Delle parti del poema. Della poetica come metodo. Delle parti della poesia come metodo. Ne metodi ben ordinati il principio e comincia dalle cose che per ordine di natura procedono et questo ordine è di più maniere perché o egli è di perfettione, o di origine. Resta solo per dar fine a questo trattato che noi aggiunghiamo le considerazioni della musica delle quali col tempo piaccendo a dio da cui ogni mia attione riconosco, un'altra volta ne scriveremo. Magl. Cl. Rettorica e Poetica d'Aristotile tradotte e spiegate da Filippo Arrighetti canonico fiorentino. Il testo del vol. I.com . con questo titolo, "Proloquii nella Rettorica d'Aristotele recitati nell'Accademia delli Svegliati in Pisa". Cart., autogr., in fol. Leg.in mezza membr. Già della Bibl. Mediceo. Palatina. Precede il vol. I la tavola delle materie (lezioni, proloqui e versioni). II,I,22.(Magl.CI). Il titolo è di a Lezioni, relazioni e ricordi varii. Ma il vol.contiene "Lettione del Piacere recitata nell'Accademia degl'Alterati da Filippo Arrighetti accademico detto il Fiorito" (fol. 1-6). Lezione «DelRiso» delmedesimo (fol.7-10). Lezione sull'In gegno, del medesimo (fol.13-27). «Notitiaetincontridelviaggiodel R. card. di Firenze Legato in Francia l'anno 1596 » (fol. 29-31). Propositi tenuti da S. M. tả (Enrico iv] alli signori del suo Parlamento in presenza del suo Consiglio et de Duchi et Padri di Francia » (fol. 33 34). « Lettera in materia delle cose di Francia e de Ghisi » (fol. 35 45). « Lettera del Re di Navarra [Enrico iv) ai tre Stati del Reame di Francia » (fol. 50-58): in fine è la data 4 marzo 1589. Cart., infol., sec.XVII, autogr.dafol.1-6,f.79. Leg. inmezza membr.Proviene dalla Bibl. Mediceo-Palat. II,I,23. (Magl.CI.VI, num.15). G. MAZZATINTI Manoscrilli delle biblioleche d'Italia, viii. (Carlo di Tommaso Strozzi, num.581.  at :interlocutori SaccenteeFrinfri(fol.60-71).— «Ricordian l'Alchimia u tichi.Autore Iac. Petribonifiorentino» (titolo del sec.XVII). Precede na nota dei Gonfalonieri di Filippo Arrighetti. Keywords: il piacere, lista di figure rhetoriche --   A Accumulazione Adynaton Agnizione Allegoria Allusione Anacoluto Anadiplosi Anagramma Analogia (retorica) Anastrofe Anfibologia Annominazione Antanaclasi Anticlimax Antifrasi Antilogia Apagoge Apallage Aprosdoketon Arcaismo B Baritonesi C Cacofemismo Cacofonia Captatio benevolentiae Catacresi Catafora (figura retorica) Chiasmo (figura retorica) Clavis aurea Climax (retorica) Concinnitas Correctio D Deissi Diafora Dialefe Dialisi (figura retorica) Diallage Diastole (retorica) Dieresi Difrasismo Dilogia Disfemismo Distribuzione (figura retorica) Dittologia E Ekphrasis Ellissi (figura retorica) Ellissi temporale Enallage Endiadi Endiatri Enfasi Engo Enjambement Entimema Enumerazione Epanadiplosi Epanalessi Epanodo Epanortosi Epicherema Epifora (figura retorica) Epifrasi Epitesi F Fallacia patetica Figura di stile Figura etimologica Figure di suono H Hysteron proteron I Iato Invettiva Ipallage Iperbato Ipocoristico Ipofora Ipotassi Ipotiposi Ironia Isocolon K Kakekotoba Kakemphaton Kenning L Latinismo Leixaprén M Merismo Metalessi Metalogismo Metanoia Metasemema Metatassi N Nemesi storica Neologismo Noema O Occupatio Olofrase Omeoarco Omeottoto Omoteleuto Onomatopea P Palindromo Palinodia Panegirico Paradosso Parafrasi Paragone Paraipotassi Parallelismo Paraprosdokian Paratassi Parequema Paretimologia Parodia Paromeosi Paronimia Paronomasia Patronimico Pleonasmo Polisemia Polittoto Premunizione (figura retorica) Priamel Prolessi R Reduplicazione S Sarcasmo Scarto semantico Senhal Sillessi Similitudine (figura retorica) Simploche Sinafia Sinalefe Sinchisi Sincope (linguistica) Sineddoche Sineresi Sinestesia Sinonimia Sistole Tautologia Tmesi Truismo Umorismo Understatement Variatio Zeugma tipi di discorsi, discorso dimonstrativo, discorso deliberative, discorso di giudizio, imitazione, ornamentation, parte dell’orazione, giovinetti, rettorica per giovinetti, dialettica a la sua convenienza colla rettorica, rettorica come arte, dialettica come arte, l’arte di conversare, filosofia civie, rispondere, argomentare, il fine della retorica, le la rettorica distinta in tre parti, demostrazione, giudizio, buon giudizio, deliberazione, albero della retorica, luoghi retorici, il fine della poesia e il diletto, animale ragionabile, animale non-ragionabile, lucrezio, cicerone, quintiliano, il dire dilettevole, la benevolenza dell’oratore, la benevolenza del conversante, la benevolenza dell’auditore, la benevolenza dell’audienza, principi di rettorica, cicerone sulla rettorica di Aristotele – l’aristotele toscano, aristotele per i platonici di fiorenze, del piacere, della lussuria, dell’onore, dell’ingegno, del riso – Bergson – la felicita come fine – arte e natura – poetica come arte, il poeta e la natura – l’imitazione come fine della poetica, la filosofia e la rettorica. Rettorica e dialettica, universalita fra i uomini, la villa di Giulio di Filippo Arrighetti – Filippo Arrighetti, canonico, detto il Fiorito – pseudonimo, figura retorica, Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrighetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690463382/in/photolist-2mKH8TU

 

Grice ed Assunto – i nazareni – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caltanissetta). Filosofo. Grice: “I like Assunto; of course in Italy they take aesthetics seriously; my wife would say that they ONLY take aesthetics seriously! And I would correct her, ‘You mean that they take only aesthetics seriously,’ and she would re-correct me, ‘Whatever, dear.’” – “Anyhow, Assunto is best known in Italy as a historian, but he fails to see that when at Clifton we speak of the classics we mean the timeless – my timeless meaning was meant as a Cliftonianism! So Assunto is lacking background when he equates classicism, or worse, neo-classicism of the Canova type popular in London, as dealing with ‘l’antichita’ – that would have offend Canova: his statues were meant to represent Platonic timeless ideas or ideals!” Grice: “Gilbert and Leighton are very explicit about this in ‘The Artist’s Model’!” “Then Assunto thinks he can play with a fictiotious dichotomy between ‘l’antico’ and ‘il non-antico.’” Grice: “I treasure Millais’s slogan that at the Royal Academy, he had to do only TWO things: draw naked men ‘from nature’ – or draw naked men ‘dall’antico’!” – Grice: “As Millais suddently realised: ‘We found out that there were no English types that would represent the ‘antico’, or timeless ideal, so we had to deal with Italian models!” -- L'uomo che contempla il giardino vivendo il giardino [...] solleva se stesso al di sopra della propria caducità di mero vivente.»  -- Ontologia e teleologia del giardino). Ha compiuto i suoi studi secondari presso il Liceo Classico di Caltanissetta nella sua città natale. Laureato in Giurisprudenza è stato avviato alla filosofia da Pantaleo Carabellese professore di filosofia teoretica presso l'Roma.  È stato docente di Estetica a Urbino dal 1956 e titolare dal 1981 della cattedra di Storia della filosofia italiana presso la Facoltà di Magistero a Roma.  «Il suo insegnamento è anticonformista, fortemente intriso di contraddittorio. Ma forse proprio per questo motivo, quando arriva il Sessantotto, il filosofo sceglie la via della controrivolta: quella che passa attraverso l'élite. Rifiuta di adeguarsi al voto politico, si oppone ai collettivi e agli insegnamenti assembleari. I suoi allievi non si oppongono al suo rifiuto, anzi con questo comportamento Assunto riesce ad attirarsi la stima di molti esponenti del Movimento studentesco. Talmente rivoluzionario da divenire reazionario, Rosario Assunto dagli anni Settanta in poi avrà un atteggiamento sempre più schivo...»  Un isolamento, il suo, iniziato col Sessantotto, ma poi sempre più accentuato; infine, si chiuse nei suoi studi e nelle sue speculazioni dopo la morte della moglie, la storica dell'arte Wanda Gaeta, molto amata («Sono la fotocopia di lei, che è stata uccisa dal mio stesso male») .  A Roma fu molto amico di Giulio Carlo Argan pur contrastando le sue idee politiche.  Pensiero Rosario Assunto, interessato ai temi estetici della filosofia da un punto di vista storico e teoretico li ha trattati non solo come tipici della filosofia dell'arte e del bello ma considerandoli coincidenti con la filosofia stessa giudicata come pura estetica. Egli si rifà a Baumgarten, Cartesio, Leibniz, Kant esaminati soprattutto per la loro concezione dell'uomo e del suo rapporto con la natura. Una visione tradizionalista della filosofia, proprio nel momento in cui l'estetica si rivolgeva alla semiotica, che isolò Assunto soprattutto in Italia, mentre in Germania veniva tradotto e apprezzato.  Assunto ha rappresentato una delle voci più significative all'interno del dibattito filosofico estetico del Novecento. Vivamente interessato all'estetica dei giardini anticipa largamente nelle sue opere alcuni rilevanti concetti per la riflessione più recente, come per esempio quello di "estetica del paesaggio", che hanno ispirato i temi ambientalisti sulla tutela e conservazione del paesaggio, naturale o elaborato dall'uomo, che egli definisce «Spazio limitato, ma aperto; presenza, e non rappresentazione, dell'infinito nel finito».  Altre opere: "Civiltà fascista"; “Il teatro nell'estetica di Platone, in "Rivista italiana del teatro"; Curatela di Heinrich von Kleist, Michele Kohlhaas, Torino, Einaudi); “Essere e valore nella filosofia di C. A. Sacheli, in "Rivista di storia della filosofia"; “L'educazione estetica, Milano, Viola); “Educazione pubblica e privata, Milano, Viola); “La pedagogia greca, Milano, Viola); “Forma e destino, Milano, Edizioni di comunità); “L'integrazione estetica. Studi e ricerche, Milano, Edizioni di comunità); “Teoremi e problemi di estetica contemporanea. Con una premessa kantiana, Milano, Feltrinelli); “La critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano, Il saggiatore); “Estetica dell'identità. Lettura della Filosofia dell'arte di Schelling, Urbino, STEU); “Giudizio estetico, critica e censura. Meditazioni e indagini, Firenze, La nuova Italia); “Stagioni e ragioni nell'estetica del Settecento, Milano, Mursia); “L'automobile di Mallarmé e altri ragionamenti intorno alla vocazione odierna delle arti, Roma, Ateneo); “L'estetica di Immanuel Kant, una antologia dagli scritti a cura di, Torino, Loescher); “Hegel nostro contemporaneo” (Roma, Unione italiana per il progresso della cultura); “Il paesaggio e l'estetica I, Natura e storia, Napoli, Giannini); Arte, critica e filosofia, Napoli, Giannini); “L'antichità come futuro. Studio sull'estetica del neoclassicismo europeo, Milano, Mursia); “Ipotesi e postille sull'estetica medioevale. Con alcuni rilievi su Alighieri teorizzatore della poesia, Milano, Marzorati); “Libertà e fondazione estetica. Quattro studi filosofici, Roma, Bulzoni); “Intervengono i personaggi (col permesso degli autori), Napoli, Società editrice napoletana); “Specchio vivente del mondo. Artisti in Roma” (Roma, De Luca); “Hohenegger. Esploratore del possibile” (Roma, De Luca); “Infinita contemplazione. Gusto e filosofia dell'Europa barocca, Napoli, Società editrice napoletana); “Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria e storia dell'estetica, Roma, Bulzoni); “La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano, Jaca); “La parola anteriore come parola ulteriore, Bologna, il Mulino); “1. Il parterre e i ghiacciai. Tre saggi di estetica sul paesaggio del Settecento, Palermo, Novecento); “Verità e bellezza nelle estetiche e nelle poetiche dell'Italia neoclassica e primoromantica, Roma, Quasar); “Ontologia e teleologia del giardino, Milano, Guerini); “Leopardi e la nuova Atlantide, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa-Edizioni scientifiche italiane); La natura, le arti, la storia. Esercizi di estetica, Milano, Guerini studio); “Giardini e rimpatrio. Un itinerario ricco di fascino attraverso le ville di Roma, in compagnia di Winckelmann, di Stendhal, dei Nazareni, di D'Annunzio, Roma, Newton Compton); “La bellezza come assoluto, l'assoluto come bellezza. Tre conversazioni a due o più voci, Palermo, Novecento); Il sentimento e il tempo, antologia Giuseppe Brescia, Andria, Grafiche Guglielmi, 1997. Note  Rosario Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, Guerini e Associati, 1994,  978-88-7802-513-4.  Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. 24 agosto  26 agosto ).  Paola Nicita, Assunto scandaloso esteta, La Repubblica, 13 maggio 2006  Cutinelli-Rendina, Emanuele, Il Sessantotto di Rosario Assunto, Ventunesimo secolo : rivista di studi sulle transizioni : 22, 2, , Soveria Mannelli : Rubbettino, .  Op. cit. ibidem  Assunto scrisse contro il progetto politico della realizzazione del ponte di Messina  Antonio Debenedetti, Rosario Assunto, filosofo delle forme, Corriere della Sera, 25 gennaio 1994, p.27  Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea Editrice, 2005 p.90  Marisa Sedita Migliore, Il giardino: mito estetico di Rosario Assunto, Società Dante Alighieri, 2000. Teresa Calvano, Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese tra arte e natura, Donzelli Editore, 1º gennaio 1996,  139–,  978-88-7989-218-6. Claudia Cassatella, Enrica Dall'Ara e Maristella Storti, L'opportunità dell'innovazione, Firenze University Press, 2007,  191–,  978-88-8453-564-1. Francesca Marzotto Caotorta, All'ombra delle farfalle. Il giardino e le sue storie, Edizioni Mondadori, ,  207–,  978-88-04-61114-1. Domenico Luciani, Luoghi, forma e vita di giardini e di paesaggi: Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, 1990-1999, Fondazione Benetton Studi Ricerche, 2001. Pier Fausto Bagatti Valsecchi e Andreas Kipar, Il giardino paesaggistico tra Settecento e Ottocento in Italia e in Germania: Villa Vigoni e l'opera di Giuseppe Balzaretto, Guerini, 1º gennaio 1996,  978-88-7802-665-0. Emanuele Cutinelli-Rendina, Il Sessantotto di Rosario Assunto (con un carteggio inedito), in «Ventunesimo secolo», VI (2009),  45-57. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Rosario Assunto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Rosario Assunto Opere di Rosario Assunto, . Rosario Assunto, su Goodreads. Filosofia Filosofo Professore1915 1994 28 marzo 24 gennaio Caltanissetta Roma. Rosario Assunto.  Keywords: i nazareni, massimo, sala dante, koch, civilta, civilta fascista, theorie des schoenen; D’Annunzio, i Nazareni, I nazareni, pittori germani a Roma, Casino del marchese Carlo Massimo, Aligheri, Tasso, Ariosto. D’Annunzio, la preservazione dei Giardini antichi, villa, giardino di villa, giardino di palazzo, estetica del giardino, il giardino e il uomo, giardineria, filosofia del giardino, il giardino di Epicuro a Roma. Horto di Epicuro – il giardino d’Epicuro (non di Epicuro). Hortus, orto romano, i Scipione e la filosofia a Roma dopo Carneade – filosofia al giardino – filosofia nell’orto – orto italiano, giardino italiano, orto romano, simmetria, “teatro, cinematografo, radio” “sono tre simboli ideali” – “Civilta” – “estetica del teatro in Platone” assunto — annunzio —  i nazareni a roma — il giardino d’epicuro — “teatro, cinematografo, radio” — teatro nell’estetica platonica — schelling — il bello — intro alla fondazione della metafisica dei costumi — natura ed arte — roma città — giovanni gentile —  --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assunto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790729324/in/dateposted-public/

 

Grice ed Astorini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albidona). Filosofo. Grice: “I like Astorini, but more so does Sir Peter, vide his section on ‘Space’ in “Individuals: an essay in descriptive metaphysics”: ‘Surely we wouldn’t have space as we know it if it were not for Astorini.” La vivacità del suo ingegno, e il desiderio di apprendere cose nuove, lo induce a spogliarsi de' pregiudizi del secolo, e a studiare attentamente i filosofi, conosciuta la forza delle loro ragioni, ardì dichiararsi nemico del Peripato; al che avendo congiunto lo studio delle lingue ebraica e siriaca, ei cadde presso alcuni in sospetto di novatore, e per poco non si attribuì ad arte magica ciò che era frutto del raro suo ingegno e del suo instancabile studio.” Alcuni considerano i paesi di Cirò o di Cerenzia la sua patria. Si ritieneno deboli gli argomenti esposti da un ingegnoso filosofo di Cirò  il quale volle onorare la sua patria della sua nascita. Molti filosofi presero a difendere l'autorità del romano pontefice e a sostenere la chiesa romana contro i nimici della medesima. Uno solo, Astorini, ne accennerò per amore di brevità, con tanto maggior vigore si accinse a difenderla, quanto più avea per sua sventura potuto comprendere la debolezza dell'armi con cui essa era oppugnata. Vari luoghi della Calabria Citeriore han preteso all'onore di aver dato i natali a questo insigne filosofo, ma noi crediamo rimuovere ogni dubbio intorno al luogo di lui natìo, seguendo in questo punto l'opinione di Zavarrone, il quale afferma esser egli nato nella Città di Cirò, detta anticamente Cremissa, luogo non ignobile del Paese de' Bruzi, dove questa famiglia vive ancor oggi onorevolmente. «Molti scrittori di materie ecclesiastiche rilussero in questo secolo, e fra i più celebri si annoverano: primo, Astorini. Studia con il padre Diego, medico in loco, la grammatica, la retorica e la lingua greca. Si trasferì a Cosenza per completare gli studi e poi a Napoli per apprendere gli studi di filosofia, e di teologia a Roma, dove fu insignito dalla corte papale del compito di scrivere alcuni annali. In questo periodo pubblica “De vitali aeconomia foetus in utero”. Pubblicò alcuni saggi di matematica e geometria, come gli “Elementa Euclidis ad usum...nova methodo et compendiare olim demonstrate” e un “Decamerone pitagorico”. Dopo alcuni anni lascia l'Italia per raggiungere la Svizzera e la Germania, ma in quei territori, come la città di Groninga, riscontra una notevole influenza religiosa protestante e poiché il conversar co' i filosofi protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor dalla chiesa di Roma non v'e unità di fede, decise di tornare in patria -- Terranova, feudo del paese di Tarsia.  Note  Giacinto Gimma, Elogi Accademici Della Società Degli Spensierati Di Rossano, Troise, 1703. 7 dicembre .  Si tratta di Francesco Zavarrone (Montalto Uffugo, 1672Roma, 1740), religioso dell'ordine dei Minimi e teologo al servizio di illustri politici, come Augusto III re di Polonia e pontefici. Fu lettore del collegio urbano Propaganda Fide e consultore del Tribunale dell'Inquisizione.  Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, Parte I, Libro III, par. V ("Notizie e opere delElia Astorini"), Firenze: Molini, Landi e C.o,  110-11, 1812 (Google libri) Pietro Napoli-Signorelli, Vicende della Coltura nelle Due Sicilie o sia storia ragionata, 1784  9781145973954 Niccolò Morelli di Gregorio, Pasquale Panvini (Domenico Martuscelli), Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti, N. Gervasi, 1826  9781145650077 Niccola Falcone, Biblioteca storica topografica delle Calabrie (seconda edizione), 1846  9781104076337  Elia Astorini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Elia Astorini, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Filosofi italiani del XVII secoloMatematici italiani Professore1651 1702 5 gennaio 4 apriled Albidona Terranova da SibariCarmelitani. Altre opere: "De Vitali Oeconomia foetus in utero" (Groninch); "Elementa Euclidis ad usum novæ Academiæ Nobilium Senensum, nova methodo, & compendiariè demonstrata" (Stampat. in Sienna e di nuovo Neap., apud Felicem Mosca in 8); "Prodromus Apologeticus"; "De Potestate Sanctæ Sedis Apoftolicæ"; "De Vera Ecclesia Jesu Christi, contrà Lutheranos,& Calvinianos,  libri tres" (Neap. apud de Bonis, in 4); "Apollonij Pergæi Conica, integritati suæ, ordini, atque nitoripri stino restituta" (Neap. in 4); "De Recto Regimine Catholicæ Hierarchiæ"; "Ars Magna Pythagorica"; "Philosophia Symbolica"; "Archimedes restitutus"; "Decameron Pitagorico"; "Il consenso, e dissenso delle tre Gramatiche Ebraica, Arabica, e Siriaca; e'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da se stesso in breve tempo"; "Commentaria ad Scientiam Galilæi de Triplici Motu". La movimentata vicenda biografica di Astorini aonda le radici in una formazione cosmopolita e interdisciplinare, iniziata in Calabria sotto la guida del padre e proseguita accanto allo zio Tommaso Cornelio, esponente del fronte de inovatores nella Napoli di metà secolo. Fu per lui naturale ripudiare la filosofia scolastica e aderire alle teorie dei moderni, da Galilei a Cartesio, Hobbes e Gassendi, teorie che diuse a Cosenza e tra i filosofi nobili in varie località del viceregno e che gli recarono grande notorietà. Al termine di un lungo viaggio in Svizzera, Germania e Paesi Bassi durante il quale si fece apprezzare per le non comuni capacità didattiche,visse alcuni anni tra Firenze e Siena, dove frequenta i principali esponenti della cultura umanistica e scientifica toscana, da Magliabechi a Redi e Viviani. Ritornato nel viceregno per dedicarsi alla pubblicazione di numerose opere, si pone sotto la protezione di D. Carlo Francesco Spinelli Principe di Tarsia, ed anche d'Orsini, avvezzi amendue a favoreggiar letterati. Per l’ampiezza dei temi arontati, sua "Philosophia Symbolica puo giovarsi del ricco patrimonio librario custodito nella biblioteca di Spinelli. Il testo e diviso in dialoghi nei quali sono illustrati tutti gli antichi sistemi filosofici, colle dimostrazioni matematiche e colle osservazioni fatte in varie accademie, ed erudizioni prese da' filosofi latini." Sebbene varii luoghi della Calabria‘si contendano la patria dello Astorino, pure l’opinione più comune de’ suoi biografie, che egli sia nato a Cirò e fu nel battesimo nomato Tommaso Antonio. Fu gli padre un Diego Astorino professore di medicina reputatissimo in Albidona, ove da questi il figliuolo apprese la grammatica, la lingua greca e la rettorica. Studia quindi in Napoli e Roma la filosofia aristotelica, in che acquista tale riputazione, che gli venne permesso di scrivere a fronte delle sue conclusioni il motto: de/‘elndet ipse solus. Morto il genitore ripatrio per assestare i suoi dome stici affari, e iotè frai libri e fra le conversazioni dei suoi concittadini, dopo non lievi meditazioni, darsi tutto alle dottrine filosofiche del Telesio, ed alla libera maniera di ragionare. Era cosi istrutto nelle lingue greca, latina, ebraica, siriaca ed araba, che ne compose le relative grammatiche. E si disse,secondo l’andazzo de’tempi, e fu accusato lotto per magia; ma ei pote discolparsi dalla bassa calunnia, e percorrere per ben tre volte l’ltalia, ovunque acquistandosi e fama ed amicizia. Nominato a reggente di filosofia a Cosenza, fu da qui il propagatore della moderna filosofia per le calabrie; come lo fu altresi della città di Penne per gli Abruzzi. Invitato in Roma, vero o supposto che vi sfinfermasse, egli invece dimoro per qualche tempo in Albano. Ritenuto a Bari da alcuni nobili filosofi, che lo vollero a maestro, ebbe a cominciare in quella Chiesa di S. Nicolo il suo annuale di prediche; ma le convinzioni libere che egli spacciava, gli mossero fiera persecuzione. Sicclie passò in Zurigo, ed indi in Basilea, ove non dimore che un solo aniie. Pescia recessi nel Palatinato, donde si trasferì nell’Assia, dove fu costituito Maggiore ossia Vice Prefetto dell'Universita di Marburgo con la facoltà d’ insegnar filosofia, dacche non essendo dottorato non avrebbe potuto insegnarla. In stabile sempre si condusse dappoi in Groninga, e da quella Repubblica ebbe l'incarico di insegnar filosofia e quivi a spese del Senato fu dottorato, nel quale anno pubblico il suo saggio, "De vitali oeeonomia foetus in utero", in cui sostenne la opinione, non per ance in quell’era divulgate, della generazione dell'uome. Scorgendo intanto, che iteo legi della Chiesa riformata. fra le mille contese religiose si laceravano, penso ritornarsene fra’cattolici in ltalia; e d’Amburgo chieseil condono d’ogni apostasia; il che ottenuto dal S. Uffizio, recatosi presso il Vescovo di lilunster‘ fece solenne abiura, e si porto in Roma, onorevolmente accolto, ed inviato in Pisa come predicatore generale. Dopo un anno da Pisa si tradusse in Firenze, ove si acquista il favore del Granduca, e si concilio l’amistà fraternevele del Redi, del Viviani, del Marchetti e d’altri molti filosofi. In Siena, dove recessi come professore di filosofia, coopera efficacemente alla istituzione dei Fisio-Eritici, e ne fu eletto Principe e Censore perpetuo. Qui pubblica nel medesimo anno: Eiementft Euclidis nova methodo demostraiei. Ritornato in Roma fu inviato a Cosenza col grado di maestro in filosofia, e di prefetto degli studii. Ma riaccesigliodiisempre a cagien de’ suoi meriti, si ritira in Cervinara nel Principato Ulteriore; e da la spesso recandosi in Napoli ebbe a cenciliarsi la stima di Carlo Spinelli principe di Tarsia, il quale per Paifetto che portava all'Astorino (e per rimuoverlo dalla tristezza in che era caduto per la morte di Francesco Mainerio Astorino) lo indusse a recarsi in Terranova, deputandolo custode della sua scelta biblioteca. Fu questa l'ultima residenza, perocchè vi mori. Sono del pari sue opere stampate: Apollonii Pergei conica integritati suae ac nitori restituta" (Nap.); "De potestate S. Sedis apos-tolicae, Siena); "De‘nera Ecclesia Christi disciplina, libri tre Nap.). Fra i molti altri saggi che lascia si commendano: "Philosophia symbolica iuxta propria principia, in dialoghi"; "Ars magna Pythagorica," una specie di enciclopedia scientifico-universale; "Decamerone Pitagorico", in verso,  diviso in dieci giornate, e contenente tutta la filosofia naturale pitagorica in forma di satire in verso sciolto bernesco; "Commentario, ad scientiam Galilaei de tripliei motu"; "Archimedes restitutus"; "De reato reyimine Catholi caelticr archiae; "De vita Christi"; Apologiapro fitte catltolica, che divisava di dedicare a Filippo di Spagna. Parlano con somma lode di questo dotto filosofo il Cimma, il Zavarroni, l’Amato, l'Aceti, il Mazzucchelli, l’(lriglia, il liraboschi, il d’ Alllitto, il Signo relli, i Dizionarii storici, e per tacer‘ di tanti altri, . il Cantù. ASTORINI, Elia. - Nacque il 3 genn. 1651; è incerto se a Cirò, feudo degli Spinelli principi di Tarsia che lo protessero nelle ultime fortunose vicende della sua vita (Zavarroni), o ad Umbriatico oppure ad Albidona (Gimma), dove il padre Diego esercitò la professione di medico e dove sicuramente egli trascorse gli anni dell'adolescenza. Sedicenne, nel 1667, entrò fra i carmelitani dell'antica osservanza, mutando il nome di Tommaso Antonio in quello di Elia. Completò gli studi di filosofia aristotelica a Napoli nel convento dei Carmine Maggiore (dove appartenne all'Accademia degli Incauti) e a Roma quelli di teologia. La morte del padre lo richiamò in Calabria, nell'ambiente familiare.  Stando ai suoi biografi, in questi anni (1670-75) si colloca la sua prima crisi spirituale che investe il campo delle dottrine filosofiche acquisite: un radicale atteggiamento antiperipatetico lo avrebbe indotto a formarsi un sistema eclettico platonico-pitagorico e meccanicistico-materialistico, quest'ultimo ispirato dalla lettura delle opere di Galilei, Gassendi, Cartesio, Mersenne, Hobbes. Più prechaniente. possiamo dire, sulla base degli elementi desumibili da taluni suoi scritti, che egli riprese il pensiero dei suoi conterranei, del famoso "notomista" Marco Aurelio Severino, erede delle speculazioni campanelliane e delle teorie fisiognomiche del Della Porta; di Carlo Musitano, che aveva accolto le posizioni dei "moderni" come elaborate dalla napoletana Accademia degli Investiganti; e soprattutto di Tommaso Comelio, del quale l'A. amò più tardi dichiararsi nipote (cfr. Giornale de, Letterati del 1692..., p. 119).  La crisi non gli impedì tuttavia di raggiungere il sacerdozio nel 1675 e di divenire, nel 1680, reggente degli studi e lettore di filosofia e teologia nel convento dei suo Ordine a Cosenza. Ma i confratelli, nella congregazìone della provincia di Calabria, il 26 aprile dell'anno successivo, gli si ribellarono apertamente chiedendo al generale la sua sostituzione. Rivalità locali, come il contrasto tra l'A. e il provinciale P. T. Puglisi, adombrano l'inquietudine intellettuale del giovane religioso e le resistenze di metodi tradizionali di studio. Sospeso dall'insegnamento, penitenziato nel carcere della curia arcivescovile di Cosenza durante il 1682, l'A. è infine inviato a Roma per un giudìzio definitivo da parte deì superiori dell'Ordine. Dopo un breve ciclo di predicazìone si ritira ad Albano: non si sa se per punizione inflittagli o per motivi di salute. Ha comunque ìnizio adesso il momento più ambiguo e per taluni aspetti più oscuro della sua vita.  Nel 1683 passa a Bari, dove stringe amicizia con G. Tremigliozzi, seguace del gassendista Sebastiano Bartoli e del Cornelio e fondatore in quello stesso anno dell'Accademia dei Coraggiosi, bandìtrice delle nuove dottrine antigaleniche nel settore delle scienze mediche. Partecipò alle polemiche del Tremigliozzi in difesa del Musitano e compose un "epitafio" sulla "materia prima" per quella Nuova Staffetta del Parnaso circa gli affari della medicina...dirizzata all'illustrissima Accademia degli Spensierati di Rossano, Francoforte 1700, che ad opera del Tremigliozzi costituì una convinta difesa del metodo sperimentale degli Investiganti contro la metodologia cartesiana. A Bari conobbe il Gimna, che sarà il suo più diffuso biografo, al quale avrebbe mostrato vari suoi lavori manoscritti (tra essi un'Ars magna trigonometrica di cui si dirà più avanti). Predicò a S. Nicola e visse nel convento carmelitano barese dal quale poco tempo prima era fuggito, apostata in Svizzera, il priore Angelo Rocco. Se dietro esempio del Rocco o per raggiunta maturazione della sua crisi, è certo comunque che di lì a poco l'A., rotto ogni indugio, depose l'abito religioso e riparò anch'egli oltr'Alpe.  Da Zurigo raggiunge Basilea, dove nell'ottobre del 1684 presenzia a esperimenti. di medicina di J. J. Harder (Apiarium observationibus medicis ... refertum,Basileae 1687, pp. 28, 47, 110) e dove rimane circa un anno seguendo anche i corsi di teologia di J. R. Wettstein (non si sa se il padre, morto nel 1684, o il figlio succedutogli nello stesso anno sulla cattedra). Sostò nel Palatinato presso il principe elettore Carlo fino alla morte di lui (26 maggio 1685), per trasferirsì poi, nel suo peregrinare da università ad università, a quella di Marburgo dove divìene viceprefetto con facoltà di insegnare filosofia pur non essendo addottorato (stando al Gimma, ma la notizia non trova conferma nel Catalogus professorum Academiae Marburgensis 1527-1910, a cura di F. Gundlach, Marburg 1927). A Marburgo prosegue con fervore gli intrapresi studi di medicina ascoltando le lezioni del rettore J. J. Waldschmiedt. Nel 1686, dopo un breve soggiorno a Brema, è a Groninga: insegna matematica nel collegio dei nobili cadetti francesi e si laurea in medicina, il 1° novembre, con la dissertazione De vitali oeconomia foetus in utero,Groningae 1686 (pubblicata sotto il nome di Tommaso Antonio), che pare sottendere nello studio del problema della fecondazione, oggetto allora di discussione tra "ovisti" e "animalculisti", le preoccupazioni speculative dell'autore, volte sulla scia del Severino e più del Bartoli alla ricerca del "principio" vitale e formativo dell'embrione.  Durante il soggiorno in Olanda, tra il 1686-88, si ha notizia vaga di una sua partecipazione alle polemiche religiose nell'ambito del calvinismo: la difesa che egli assume del cattolicesimo preannunzia un suo più meditato ritorno all'antica fede. Attaccato pubblicamente dai ministri calvinisti, si rifugia ad Amburgo. Qui una sua lettera al S. Uffizio, con la richiesta di poter ritornare in Italia, gli procura una benigna risposta da parte del cardinale Lorenzo Brancati di Lauria e un salvacondotto. Assolto dal vescovo di Münster il 13 dic. 1688, è a Roma il 13 marzo dell'anno successivo.  Riammesso nell'Ordine, predicò a Pìsa e, nel 1690, la quaresima a Firenze. Conobbe allora A. Marchetti, cui dovette unirlo l'interesse per la filosofia "corpuscolare" e che lo presentò al Magliabechi, il Redi, cui lo legò la comune curiosità per il problema della generazione, e il Viviani. là questo, tra il 1691-94, il periodo culturamente più felice dell'Astorii.  Nel 1691, per interessamento del principe Gian Gastone de, Medici, ottiene la cattedra di matematica nella Nuova Accademia dei nobili senesi: per l'insegnamento prepara un'edizione degli Elementa Euclidis ad usum Novae Academiae Nobilium Senensium nova methodo et succincta demonstrata..., Senis 1691,dedicata al principe protettore. Ma la prefazione è indirizzata al Redi, e in essa l'A. chiarisce il proprio metodo ("... etiam proportiones ipsas, quarum nimis longa est series, redigerem. ad acquationes, more Analystarum", p. X) ed esalta la matematica in funzione dello sviluppo delle scienze naturali, concludendo con un elogio della scuola scientifica toscana, dal Galilei al Redi al Torricelli al Viviani al Marchetti al Bellini al Malpighi. Il Redi lo ringraziò (v. lettera del 18 sett. 1691, edita in Gimma, p. 413), promettendo di intervenire nuovamente presso Gian Gastone: il che dovette procurare all'A. la cattedra straordinaria di filosofia naturale nell'università di Siena, che resse dal 5 nov. 1692 al 3 apr. 1694.  Intanto, nel 1691, l'A., con Pirro Maria Gabrielli e Teofilo Grifoni, è tra i fondatori dell'Accademia dei Fisiocritici e ne diviene "principe perpetuo" (v. lettera del Redi al Gabrielli del 6 ott. 1691, in Redi, Opere,VIII, p. 56).Dalle lettere che l'A. indirizzò m questo tomo di tempo al Maghabechi desumiamo molte preziose notizie circa i rapporti tra cultura filosofica e scientifica meridionale e tradizione sperimentale toscana, rinnovando l'A. quell'incontro che per la generazione -precedente era stato compiuto a Pisa dalla scuola iatromeccanica,di G. A. Borelli. Il rapporto ideale tra le due culture è anzi tanto stretto che l'A. teme per quella toscana, le ripercussioni della lotta scoppiata a Napoli contro la filosofia "moderna" (processo degli ateisti): "In Napoli vi sono di gran rumori: mi scrivono che sia stata origine la dottrina di Tomaso Comelio e che già la modernità va sossopra. Mi dispiace per diversi capi, benché io non dubiti esservi framischiate delle calunnie degli emoli aristotelici e galienisti, e molto più mi dispiace per essersi già qui in Siena eretta un'Accademia fisicomedica tutta moderna e per esserne io stato eletto principe perpetuo. L'abbiamo celebrata due volte con l'intervento di tutta la più dotta nobiltà, ma adesso ci siamo raffredati non sapendo dove vadano a terminare le faccende" (al Magliabechi, Siena, novembre 1691). Sotto la guida dell'A. l'Accademia poté tuttavia continuare con tranquillità le riunioni "colla metodo de' Progimnasmi [i Progymnasmata Physica] di Tomaso Comelio" (al Magliabechi, Siena, 15 nov. 1691).  L'A. sperò contemporaneamente di raggiungere una sistemazione migliore: ambì (1691) al titolo di maestro di teologia e sollecitò, tramite il Magliabechi, un intervento del Malpighi, per il momento senza successo (divenne maestro il 13 marzo 1693);compose, mettendo a frutto la sua diretta esperienza del mondo protestante, un Prodromus apologeticus de Potestate sanctae Sedis Apostolicae, Senis 1693,dedicato al cardinale Francesco Maria de' Medici (ristampato in J. T. Roccaberti, Bibliotheca maxima pontificia, XI, Romae 1698),introduzione a una progettata serie di dissertazioni controversistiche, che però non si distacca dalla consueta letteratura dei tempo; dedica tuttavia il meglio della propria attività ancora al settore scientifico, apprestando, tra l'altro, l'edizione delle Coniche di Apollonio, con la quale per suggerimento del Redi e del Viviani intese completare e sistemare l'edizione già apprestata dal Borelli con l'aiuto di Abramo Echellense (Firenze 1661), e stendendo uno scritto di meccanica (Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu), rimasto inedito.  Ma ai primi del 1694 l'A. lascia quasi improvvisamente Siena per le non buone condizioni economiche, dati gli scarsi proventi che gli venivano dall'insegnamento, e per le sue precarie condizioni di salute. Il 29 maggio 1694 è a Roma; poi a Cosenza, quale prefetto degli studi e successivamente commissario generale nel suo convento di un tempo. Si riaccendono le persecuzioni a suo danno; le vicende sono ancora più oscure che per gli anni 1680-81, ma gli procurano la protezione del principe di Tarsia, F. Spinelli, presso il quale, a Terranova, dimorò nel 1697, e quella del cardinale Vincenzo Maria Orsini (poi Benedetto XIII), allora arcivescovo di Benevento. Il 12 genn. 1697 chiese il trasferimento dalla provincia di Calabria a quella di Terra di Lavoro nel convento di Cervinara e, in un secondo momento, in quello di Mongrassano. Nel giugno 1698 è però di nuovo prefetto degli studi a Cosenza; il 10 settembre priore del convento di Scala e come tale partecipa al capitolo provinciale del maggio 1699. Eletto priore di Mongrassano, non partecipa al capitolo dell'aprile 1701 per le peggiorate condizioni di salute e rinunzia anche alla carica.  Cura nel frattempo a Napoli la stampa dei De vera Ecclesia Iesu Christi contra Lutheranos et Calvinianos libri tres (1700), degli Apollonii Pergaei Conica (1698?, 1702?) e la ristampa degli Elementa Euclidis, Neapoli 1701.  Il nucleo ispiratore dei De vera Ecclesia... libri tres,abbozzati in parte a Siena e dedicati al principe di Tarsia, ha un reale interesse. L'A., come aveva accennato in una lettera al Magliabechi, appare preoccupato di confutare la tesi protestante circa i fondamenti aristotelici della dottrina cattolica e sostenere invece "la identificazione della nuova linea culturale incentrata sull'umanesimo e sul neoplatonismo con il cattolicesimo" (Badaloni). Sulla linea umanistica viene rivendicata anche la continuità del movimento scientifico del '600italiano. Ma tali motivi accennati nella prefazione sono sommersi, nell'opera, da un denso argomentare tradizionale, in cui tuttavia èmessa a frutto dall'A. la conoscenza dell'ebraico e delle lingue orientali.  Nel chiuso ambiente conventuale, dopo l'esperienza in terra tedesca e in Toscana (durante la quale però sembra che l'A. sia stato spinto più dall'esigenza di contatti e di fresche osmosi scientifiche che non da un meditato approfondimento culturale), accanto a un crescente disagio che lo rende insofferente della disciplina dell'Ordine e lo induce a frequenti viaggi a Napoli per sorvegliare la stampa delle sue opere, riaffiorano nell'A. le preoccupazioni proprie di una formazione e di una tradizione meno aperta e duttile: il pesante enciclopedismo e il gusto mnemotecnico della giovinezza prendono nuovamente il sopravvento sull'inteligenza sperimentale della natura, e l'A. dedica gli ultimi anni della sua vita a studi linguistici, condotti con criteri analogico-combinatori, Il consenso e dissenso delle tre Grammatiche ebraica, arabica e siriaca, e 'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da se stesso in breve tempo (inedito), e ad elaborare o completare una Philosophia symbolica,sorta di enciclopedia pitagorica di cui probabilmente facevano parte opere che dai biografi ci sono indicate con titoli particolari: un'Ars magna pythagorica, un Decamerone pitagorico (esposizione in rime bernesche della filosofia naturale), una Logica pythagorica seu de natura et essentia rerum (lo stesso che l'Ars magna?).  Degli inediti è conosciuta soltanto l'Ars magna in duas divisa Dissertationes Altera De origine rerum altera De ortu et progressu Scientiarum (ms. 336;copia sec. XVIII, pp. 31 con 4 tavv., della Biblioteca Alessandrina di Roma). La copia fu effettuata dall'erudito calabrese Zavarroni per la Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici diretta da Angelo Calogerà (cfr. acclusa allo stesso ms. una lettera dello Zavarroni al Calogerà del 21 luglio 1739).Probabilmente il carattere in apparenza bizzarro dello scritto dovette dissuadere gli editori dal darlo alle stampe. Esso, almeno nella copia dello Zavarroni, pare l'introduzione a una serie di Dissertationes e non va tout court identificato con l'Ars magna di cui fa menzione il Gimma. Se il De origine rerum,cioè la prima parte del manoscritto, può in qualche modo connettersi ai primi studi dell'A., a escludere che il De ortu et progressu Scientiarum sia uno scritto giovanile contribuiscono il cenno all'edizione postuma dei Progymnasmata del Comelio (1688),il ricordo del Redi e del Viviani, la notizia degli studi compiuti dall'A. sulla scienza galileiana del triplice moto, la notevole conoscenza che l'A. dimostra degli studi di anatonúa, elementi tutti che presuppongono appunto la sua esperienza culturale in Germania e in Toscana.  La prima parte dell'opera, che vuole essere una guida "ad metam naturalis sapientiae", contiene una critica agli schemi mnemotecnici del Lullo e del Kircher e si svolge nell'elencazione di triadi platonico-pitagoriche, alla cui base v'è il presupposto gnoseologico della possibilità di conseguire verità assolute attraverso l'ordine naturale delle idee (poiché nella natura creata v'è una "triplex virtus", "intellectiva, volitiva et effectrix", ad essa corrisponde una "triplex operatio", "interectio, volitio et impetus"' ecc.). Tale schema conduce ovviamente alla critica decisa della definitio logica aristotelico-scolastica che non attingerebbe alla "quidditas rei" come la definitio methaphysica,vagheggiata dall'autore.  La seconda parte è in sostanza una ripartizione delle scienze ancora su base platonico-pitagorica. Da "Sophia" è esclusa la logica, di cui sì ribadisce il carattere meramente discorsivo; ma a "Sophia" appartengono la metafisica (notevoli i cenni platonizzanti circa il rapporto microcosmo-macrocosmo); la fisica, per la quale l'A. si dilunga nella critica all'aristotelismo e al cartesianesimo e nell'esaltazione della filosofia atomistico-gassendiana e dello sperimentalismo galileiano, pur richiamandosi insieme nettamente alla tradizione filosofica meridionale da Bernardino Telesio a Tommaso Cornelio; la politica, per la quale egli esalta l'insegnamento di Platone; l'etica, per cui continuo è il richiamo al pensiero di Hobbes, ecc.  A questo impasto di vecchio e di nuovo, che contrappunta un momento della cultura meridionale e riflette il travaglio di un pensiero l'A. dedicò dunque lo scorcio estremo dei suoi anni, divisi tra la meditazione filosofica e la occupazione di biblìotecario presso il principe Spinelli, a Terranova di Sibari, dove morì il 4 apr. 1702.   Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Naz. Centrale, Magl. CI. VIII,171, Elia Astorini lettere ad Ant.Magliabechi da 25 sett. 1691 a 29 maggio 1694 ... ; Giornale de' Letterati del 1692 e primo di Modena, pp. 118-119; Giornale...dell'anno 1693, pp. 244-246; F. Redi, Opere,VIII,Milano 1811, p. 56; G. Gimma, Elogi accademici della società degli Spensierati di Rossano,I,Napoli 1703, pp. 387-413; A. Zavarroni, Bibliotheca calabra, Neapoli 1753, pp. 172-174; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia,I,2, Brescia 1753, pp. 1194-1196 (riprende dal Gimma); N. Di Cagno-Politi, E. A. filosofo e matematico del sec. XVII,Appunti, 2 ediz., Roma 1890; G. Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle de l'Italie de 1657 à 1750 environ,Paris 1909, pp. 133 s.; A. Grammatico, E. A., O. Carm., insignis disceptator saec. XVII, in Analecta Ord.Carm.,VI(1927-29), pp. 493-515; N. Badaloni Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, p. 225. Elia Astorino. Elia Astorini. Tommaso Antonio Astorini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Astorini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691259951/in/photolist-2mKMdFR

 

Grice ed Azeglio – non si danno doveri reciprochi senza società – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Azieglo; first he was a marchese, unlike me – second he looked for the fundamental law (or ‘fundamental question,’ as I call it) for the principle of cooperativeness – he finds it’s a natural thing, not a Rousseaunian contractualist thing – so he is a Griceian at heart – on top, he relies on Bentham, to minimise the Kantian rationalism and make it digestibale to those who care about what Azieglo calls ‘amore proprio’ – i. e. conversational self-love as still operating under a wider principle of conversational benevolence.” Coniò il termine giustizia sociale, successivamente ripreso e sviluppato da Antonio Rosmini (1848) nel saggio La Costituzione secondo la giustizia sociale e da John Stuart Mill nel saggio Utilitarianism.  Taparelli d'Azeglio è stato anche uno dei primi teorici del principio di sussidiarietà. Era il quarto degli otto figli di Cesare, conte di Lagnasco e marchese di Montanera, diplomatico della corte di Vittorio Emanuele I, e della contessa Cristina Morozzo di Bianzè. Alla nascita gli fu imposto il nome di Prospero che, divenuto gesuita, cambiò in Luigi. I fratelli Massimo e Roberto furono politici e senatori del Regno.  Maturò la propria vocazione religiosa a seguito di un corso di esercizi spirituali dettati dal venerabile Pio Brunone Lanteri (1759-1830), fondatore della congregazione degli Oblati di Maria Vergine. Studiò nel Collegio Tolomei di Siena e poi nell'Ateneo di Torino fino al 1809. Entrato nel seminario di Torino, quando il padre fu inviato come diplomatico alla corte di Pio VII si trasferì con lui a Roma e fu ammesso nel noviziato dei gesuiti di Sant'Andrea al Quirinale.  Fu ordinato sacerdote nel 1820. Iniziò a studiare negli anni 1824-29 la filosofia di San Tommaso d'Aquino, studio che continuò a Napoli negli anni 1829-32. Nel 1833 fu destinato al Collegio Massimo di Palermo dove insegnò lingua francese per poi assumere la cattedra di diritto naturale.  Nel 1840-1843 pubblicò con i tipi della Stamperia d'Antonio Muratori di Palermo il suo testo più importante, il Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, considerato a quel tempo una vera enciclopedia di morale, diritto e scienza politica.  Nel 1850 ricevette da papa Pio IX il permesso di cofondare con il padre Carlo Maria Curci La Civiltà Cattolica, rivista della Compagnia di Gesù, ove scrisse per venti anni per poi assumerne la direzione nell'ultimo periodo della vita. I suoi oltre duecento articoli pubblicati sulla rivista furono tutti caratterizzati da un contenuto tale da meritargli il titolo di «martello delle concezioni liberali»(Antonio Messineo).  Morì a Roma il 21 settembre 1862.  Pensiero Era preoccupato soprattutto dai problemi che nascevano dalla rivoluzione industriale. Il suo insegnamento sociale influenzò papa Leone XIII nella stesura dell'enciclica Rerum novarum sulla condizione dei lavoratori.  Proponeva di riprendere gli insegnamenti della scuola filosofica tomista. A partire dal 1825 portò avanti questa convinzione, ritenendo che la filosofia soggettiva di Cartesio portasse a errori drammatici nella moralità e nella politica. Argomentava che mentre la differenza di opinioni sulle scienze naturali non ha nessun effetto sulla natura, al contrario idee metafisicamente poco chiare sull'umanità possono portare al caos nella società.  A quel tempo la Chiesa cattolica non aveva una visione sistematica chiara sui grandi cambiamenti sociali apparsi all'inizio del secolo XIX in Europa, la qual cosa portava molta confusione tra la gerarchia ecclesiastica e il laicato. In risposta a tale problema, Taparelli applicò, in maniera coerente, i metodi del tomismo alle scienze sociali. Dalle pagine de La Civiltà Cattolica attaccò la tendenza a separare la legge positiva dalla morale e lo "spirito eterodosso" della libertà di coscienza che, a suo avviso, distruggeva l'unità della società.  Termini chiave della sua opera sono socialità e sussidiarietà. Vedeva la società non come un gruppo monolitico di individui, ma come un insieme di varie sub-società disposte in diversi livelli, ciascuna formata da individui. Ogni livello di società ha sia diritti che doveri, ognuno dei quali deve essere riconosciuto e valorizzato. Ogni livello di società deve cooperare razionalmente e non fomentare competizione e conflitti.  Dopo l'istituzione della Società delle Nazioni, Taparelli d'Azeglio ne vanne considerato un precursore. Sua fu l'idea di un'autorità universaleda lui chiamata "etnarchia"con il ruolo di tribunale e di arbitrio, che potesse proteggere ogni nazione dalle minacce esterne. Taparelli d'Azeglio continuò a fungere da autorevole guida al pensiero cattolico in materia di pace e guerra ancora nel Novecento. Altre opere: “Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto” (Palermo); “Nazione e nazionalità” (Genova, Ponthenier); “La Legge fondamentale d'organizzazione nella società” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “La libertà tirannia” “Saggi sul liberalesimo risorgimentale” (Piacenza, Edizioni di Restaurazione Spirituale); “La Civiltà Cattolica). Diritto soggettivo, proprietà e autorità in Luigi Taparelli d'Azeglio, di Alessanfro Biasini, sito della Università Ca Foscari Venezia. Scuola Dottorale d'Ateneo.  The Origins of Social Justice: Taparelli d’Azeglio, su home.isi.org.  Education and Social Justice, J. Zajda, S. Majhanovich, V. Rust, E. Martín Sabina, Springer Science & Business Media, 20061  Vittoria Armando, Il Welfare oltre lo Stato. Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra istituzioni e democrazia Seconda edizione, G. Giappichelli Editore, Georges Minois, La Chiesa e la guerra. Dalla Bibbia all'èra atomica, Bari, Dedalo, 2003493.  L. Pereña, La autoridad internacional en Taparelli, Libreria editrice dell'Università Gregoriana, 1964,  405-432. Studi Pierre Thibault, Savoir et pouvoir. Philosophie thomiste et politique cléricale au XIXe siècle, Québec, Maria Rosa Di Simone, Stato e ordini rappresentativi nel pensiero di Luigi Taparelli d'Azeglio, «Rassegna storica del Risorgimento», Giovanni Miccoli, Chiesa e società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito della cristianità, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, Francesco Traniello, La polemica Gioberti-Taparelli sull'idea di nazione, in Id., Da Gioberti a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano, Francesco Traniello, Religione, Nazione e sovranità nel Risorgimento italiano, «Rivista di storia e letteratura religiosa», Emma Abbate, Luigi Taparelli D'Azeglio e l’istruzione nei collegi gesuitici del XIX secolo, «Archivio storico per le province napoletane», Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, 5 voll., Palermo, Stamperia d'Antonio Muratori, 1840-1843. S. T., Per il centenario della nascita delLuigi Taparelli D'azeglio, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, Luigi Di Rosa, Luigi Taparelli. L'altro d'Azeglio, Milano, Cisalpino, Gabriele De Rosa, I Gesuiti in Sicilia e la rivoluzione del '48, con documenti sulla condotta della Compagnia di Gesù e scritti inediti di Luigi Taparelli d'Azeglio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963. A. Perego, La «Miscellanea Taparelli», in Divus Thomas,  Gianfranco Legitimo, Sociologi cattolici italiani. De MaistreTaparelliToniolo, Roma, Volpe, 1963,  30–51. Antonino Messineo S.J., IlLuigi Taparelli d'Azeglio e il Risorgimento italiano, in La Civiltà Cattolica, Carlo Maria Curci Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica Rerum novarum  Luigi Taparelli d'Azeglio, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Angiolo Gambaro, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Taparelli d'Azeglio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio, .  Francesco Pappalardo, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Giovanni Cantoni , Dizionario del pensiero forte, Piacenza, Cristianità, 1997. Giovanni Vian, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .Aloysius Taparelli, in Catholic Encyclopedia, Compagnia di Gesù Filosofia Sociologia  Sociologia Categorie: Gesuiti italianiFilosofi italiani del XIX secoloSociologi italiani Torino Roma. Non si danno doveri reciprochi senza società. Egli è costume di chi spiega diritto naturalo -- il ius naturale -- il considerare certe classi di doveri dell'un uomo verso l'altro anteriori ad ogni idea di società. E un tal modo di speculare è coerente con tutto il resto della dottrina allorchè la società si riguarda come una pura convenzione umana. Ma siccome il fatto di questa convenzione, per confessione di parecchi fra i suoi difensori, non è se non una finzione di diritto, fictio juris, ed io non amo fondar sopra una finzione quanto vi ha di più sacro ed importante nel commercio fra gli uomini, mi vidi astretto a cercare nel *fatto reale* (italici d'Azeglio) altro miglior appoggio. E sì mi parve averlo trovato con nulla più che analizzare la idea che ognuno si forma allorché pronunzia il vocabolo *Società*, o paragonar questa idea collo stato *naturale* in cui ogni uomo trovasi sulla terra. Ecco per qual motivo non credei poter trattare dei *doveri reciprochi* fra gli uomini se prima non li considerava formanti una qualche società. E in verità, come potrebbero esservi *doveri* reciprochi senza relazioni reciproche? Come relazioni senza qualche congiunzione? Come congiuzione senza qualche legge? Come legge senza legislatore e senza autorità? Data poi la congiunzione di molti esseri intelligenti sotto una autorità comune che altro ci manca per costituire una società? Parventi dunque ripugnante la voce di *relazioni extrasociali*, usata dal ch. C. di Haller -- di cui per altro ammiro in molti punti la dottrina --, nù seppi come introdurmi a considerare i doveri reciprochi se prima non no stabiliva *sul fatto* le fondamenta con una attenta osservazione dell’essere sociale. La legge fondamentale del *civico* operar sociale potrebbe dunque ridursi a questa — la socielà (e per essa la autorità) dee far sì che ciascuno *cooperi* a *difendere* e crescere il bene altrui senza sua perdita, anzi con vantaggio proporzionato alla sua cooperazione. Della società in generale. Società suol dirsi una concorde comunicazione di bene fra esseri intelligenti. Società di questi esseri *in istato di tendenza* sarà dunque la *tendenza concorde a fine comune*. E siccome la tendenza intelligente fra uomini dee produrre azione esterna, cosi la società umana potrà definirsi *cooperazione concorde di uomini ad un bene comune*. Prop. I.: Gli uomini tutti hanno nella lor *natura* un elemento di società universale. Prova: Gli uomini tutti sono obbligati a secondare l’ intento del Crea- tore. Or il Creatore vuole da essi *cooperazione concorde a ben comune*. Dunque ec. La minore si prova. Uno è per natura il bene da tutti conosciuto, ed a cui tendono tutti, giacche una è la loro *natura* ossia impulso primitivo. Questo impulso manifesta l'ntento del Creatore. Dunque ec. Diremo questo elemento *dovere di socialità*. Coroll. 1.: Ogni dovere sociale deriva da questo principio *fa il bene altrui*. Giacché la causa che mi obbliga a far ad altri *un* qualche bene è che debbo far loro il bene. Coroll. 2.: Questo è il primo principio *sociale* applicazione del primo principio morale. Coroll. 3: Il precipuo bene di ogni società è la *onestà*, giacché a questa tende precipuamente la *natura umana*. Coroll. 4.: Poiché *ottener il bene* è negli *enti ragionevoli* un *divenir felice*, il fine di universal società è rendere gli *associati* *onestamente felici*. E poiché la felicità dell’uomo consiste *secondo natura* nei beni di *mente* e di *corpo*, *assicurarci* e *crescerci* queste due specie di beni è il fine naturale della società universale. Una società determinata può o abbracciare tutto il fine naturale con mezzo particolare cioè col convivere stabilmente, o abbracciarlo parzialmente. Il *fine* particolare della prima sarà il *convivere* onestamente felice. Della seconda il conseguire quel particolare oggetto per cui ella si associa. Diremo società *completa* quella che abbraccia tutto l'obbietto naturale della umana società, cioè il bene di mente, quello di corpo, o la difesa di entrambi. Incompleta quella che ne abbraccia sol qualche parte. Coroll. 5.: La società è *mezzo*, non fine dell’ individuo. Luigi Tapparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Luigi Prospero Tapparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Prospero Tapperelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. D’Azeglio. Azeglio. Keywords: non si danno doveri reciprochi senza società, ius naturale, “non si danno doveri reciprochi senza società”, cooperazione, cooperare, fa il bene altrui – onesta, fine, principio della socialita, applicazione del principio della moralita, natura umana, fatto, socieeta totale, societa parziale, definizione di societa in termine di cooperazione, ‘de more geometrico’ – tendenzia impulso naturale all’onesta – societa – azione esterna, esseri ragionabile, esseri intelligente, convivir stabilmente, felice, -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Azeglio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789362417/in/dateposted-public/

 

Grice e Bacchin – anypotheton haploustaton; overo, i fondamenti della filosofia del linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Belluno). Filosofo. Grice: “I like Bacchin; as an Italian he is allows to speak pompously as we at Oxford cannot! But he is basically saying the commonplace that ‘intersoggetivita’ has a ‘dialectical dimension’ (interoggetivita come dimensione dialettica) in the sense that the ego (or ‘l’io’) presupposes the ‘altro’ (as he puts it: ‘a cui’) – therefore; it is a presupposition of the schema, as Collingwood would have it, alla Cook Wilson – and thus only transcendentally justified. Bacchin has noted that the operator ~ is basic in that ‘inter-rogo’ invites a ‘risposta’ whose ‘motivation’ may be ‘implicita’ – the ad-firmatum is motivated by the domanda – which can be another dimanda: why do you think so? “Why do you ask why I think so?” --  Bacchin is alla Heidegger and other phenomenologists, with the ‘essere’ versus appare on which my impicata in ‘Causal Theory of Perception’ depend (‘if A seems B, A is not B. Note that there is no way to express this implicata without a ~. It might be argued that it can express with some of the strokes or with some expression that would flout ‘be brief, rather than the simplest” – and which would involve, as Parmenide has it, the idea of, precisely –altro’ (other than). Note that Bacchin equivocates on the ‘altro’ – in the dialectical dimension of intersubjectivity he obviously means ‘tu,’ not ‘altro.’ In the negation or contradiction (in dialectical terms) of an affirmation – which is involved in every ‘dialogue’ that Bacchin calls ‘socratico’ or euristico rather than sofistico (based on equivocation) – the ‘altro’ is the other, A is not B, impying A is other than B (cf. my ‘Negation and Privation’). This does not need have us multiply the sense of ‘ne,’ in old Roman!” -- Giovanni Romano Bacchin (Belluno), filosofo. Dopo aver conseguito la laurea nel 1961, nel 1965 ottenne la libera docenza in filosofia della storia. Dal 1966 al 1980 insegnò filosofia della storia e filosofia della scienza presso l'Perugia. Occupò anche la cattedra di filosofia della scienza presso l'Lecce. Fu docente presso la facoltà di lettere e filosofia dell'Padova, tenendo la cattedra di filosofia teoretica.  Fu membro della "Società Filosofica Italiana". Morì il 10 gennaio 1995, sulla spiaggia di Rimini.  Pensiero Cresciuto filosoficamente nella scuola metafisica padovana di Marino Gentile, intorno agli anni sessanta, Bacchin presto sviluppò una propria originalità di approccio e di ricerca filosofica, che lo rendono difficilmente assimilabile ad una qualche corrente o "famiglia" filosofica se non quella della libera e inesausta teoresi.  A testimonianza della specificità del suo approccio metafisico si può citare questa sua affermazione.  «V'è un senso metafisico che può andare perduto. Né basta parlare di metafisica e considerarsi metafisici per possederlo. La perdita del senso metafisico è anche trionfo del condizionale e quindi dell'ipocrisia: "direi", "avanzerei la proposta", "mi si passi l'espressione", "vorrei che il lettore ricavasse l'impressione..'", "anche se siamo, il lettore ed io,certo ioimmensamente piccoli", "a mio sommesso avviso" e così via in un continuo spostare l'attenzione su di sé e in un continuo, inutile, domandare scusa al lettore della propriascontatapochezza, rivelando che non è poi così scontata da non parlarne. Nudo e indifeso alla presenza della verità, il metafisico non lo può essere di meno di fronte agli uomini, i qualidi certo- non sono la verità. »  Riferimento costante dell'incessante dialogo filosofico di Bacchin fu senz'altro l'attualismo gentiliano.  Altre opere: “Su le implicazioni teoretiche della struttura formale” (Roma, Jandi Sapi); “Originarietà e mediazione del discorso metafisico” (Roma, Jandi Sapi); Sull'autentico nel filosofare” (Roma, Jandi Sapi); “L'originario come implesso esperienza-discorso” (Roma, Jandi Sapi); “Il concetto di meditazione e la teoremi del fondamento” (Roma, Jandi Sapi); “I fondamenti della filosofia del linguaggio” (Assisi); “L'immediato e la sua negazione, Perugia, Grafica); “Anypotheton” Saggio di filosofia teoretica” (Roma, Bulzoni); “Teoresi metafisica” (Padova, Nuova Vita); “Haploustaton” (Firenze, Arnaud); “La struttura teorematica del problema metafisico”;  “Classicità e originarietà della metafisica, scritti scelti” (Milano, Franco Angeli); “La metafisica agevola o impedisce l'unità culturale europea?”in ‘Il contributo della cultura all'unità europea', Danilo Castellano, Edizioni scientifiche italiane, Napoli); “L'attualismo nel pensiero di Marino Gentile, in Annali, Roma, Fondazione Ugo Spirito 1992. Note  Informazioni biografiche reperibili anche in G.R. Bacchin, Haploustaton, Arnaud, Firenze 1995  Giovanni Romano Bacchin in Teoresi metafisica, 1984  Berti, Enrico Ricordo di Giovanni Romano Bacchin, "Bollettino della Società Filosofica Italiana", n. s. 154, gennaio-aprile 1995,  126-128 Scilironi, Carlo Tra opposte ragioni: nota in ricordo di Giovanni Romano Bacchin a dieci anni dalla morte. in Studia patavina: Rivista di scienze religiose. Filosofia Filosofo Professore1929 1995 27 dicembre 10 gennaio Belluno Rimini. Metafisica del principio. Si comincia dopo avere cominciato. L’innegabile è innegabilmente. Negare è escludere un’inclusione indebita. Non v’è limite del sapere. Il luogo del filosofare è la domanda del luogo per filosofare. Ciò che v’è di originario nell’esperienza. La filosofia non ha oggetto e nessun oggetto si sottrae alla filosofia. La riappropriazione metafisica. L’esperienza praticabile è conversione fattuale in fatto. Funzione della parantesi nell’asserzione e l’aporia del dogmatico. L’autorità del dogmatico si presenta come critica di ogni autorità. L’ideale dell’autorità è di essere indiscutibile. Autorità e intelletto si fronteggiano. Ciò che l’intelletto impone all’autorità è di essere ciò che pretende di essere. Il luogo della domanda è l’insufficienza di ciò che si presenta a ciò che, presentan- dosi, non è interamente. L’identità tra inevitabile e necessario è solo co- struita. Il senso in cui non si può domandare tutto. Ciò da cui dipendono le valutazioni del domandare. Il senso in cui non si può non domandare tutto. Domandare tutto è negare di poter asserire. Paradigma del dottrinario in filosofia. Una richiesta che preceda la domanda di verità non può essere vera. Il prefilosofico oltrepassa il sapere di non sapere credendo di superarlo. L’impossibilità di oltrepassare quel ‘limite’ che è la stessa impossibilità di oltrepassarlo. La costante esistenziale dell’esperienza e gli equivoci della sua valorazione. La domanda universale investe il linguaggio come luogo della possibilità dell’errore. Digressione. La base del filologismo in filosofia. Dell’ingenuità storiografica in filosofia. Le due direzioni dell’ingenuità storiografica. L’equivoco storico in filosofia. Equivoco di coscienza storica e conoscenza storica. Le storie della filosofia rendono la filosofia accessibile al senso comune prefilosofico. L’ideale sistematico del prefilosofico si prolunga nella storiografia. Filosofare nonostante la storia della filosofia. Inattualità teoretica dello storicismo. La nozione dogmatica di storia. Il carattere fideistico della tradizione e il circolo del riconoscimento. Due figure dell’accoglimento della tradizione: integralismo e progressismo. La ragione formale come unica ragione delle due figure. L’ideale immanente del credere è coincidere con il vivere. La ragione. Indice. Indice formale presiede nel suo uso ciò che la determina nei suoi contenuti. Se ogni fede è cosmica, ogni cosmo è creduto. La valenza sperimentale è già nella protomatematica, come si esemplifica in Galilei. Il carattere ipotetico di ogni riferimento assertorio all’esperienza. Il rischio erme- neutico è considerare effettivo ciò che è interpretazione, come si esemplifica in Galilei. Il senso in cui la scienza è alienazione. Ingenuità del ten- tativo di fondare scienza e filosofia sull’esperienza immediata. Il campo in cui si discute è ciò che intanto permane indiscusso. Credere di conoscere è non sapere di credere. Il rapporto tra intendere e pretendere è struttura del conoscere. Il rapporto strutturale di compreso e comprendente tra universi. Il rapporto di compreso e comprendente è struttura del contenuto di osservazione. Costanti del progetto d’esperienza e il vettore di interesse. Il progetto fondamentale e Kant. Il progetto di filosofare è il modo filosofico di progettare: miraggio del ritorno all’immediato, Controllabilità e statuto dell’individuale. Ambiguità del sapersi orientare nel mondo. L’intenzione conoscitiva del fenomeno individuale. Progetto del conoscere come adeguazione progressiva. Il co- noscere rappresentato come rappresentazione. Il presupporre è limite presupposto all’operare. La scienza ignora di essere una fede. La scienza non può sapere ciò che essa implica, dovendo postulare ciò di cui abbisogna. La considerazione pensante. La conoscenza scientifica ipotizza la realtà che le consente di ipotizzare. Tentativo della distinzione tra ‘visione naturale’ e ‘visione scientifica’ del mondo. Esame della struttura del ‘punto di vista’ nella configurazione dei sistemi di riferimento. Dopo l’intermezzo ludico, che cosa si intende per ‘considerazione logica’. La logica formale è il modo formale di considerare la logica. Il formalismo della logica è il nihilismo della verità. La conciliazione tra storia mondana e filosofare non può avvenire nella storia mondana. Ciò che si presenta con la divisione pone la richiesta della connessione. Il pensiero si affida al linguaggio per essere riconosciuto come indipendente dal linguaggio. Si esemplifica con l’espressione hegeliana “movimento dell’essenza”. Si insiste con l’esemplificazione hegeliana. Ancora esemplificazione hegeliana: la “cosa stessa” non può venire utilizzata. Il senso della cura–custodia. Il senso in cui il pensare penetra. Il pragmatico è fittiziamente teoretico. La verità mette in questione ogni discorso intorno alla verità. Il nesso tra tecnica logica e configurazione funzionale del concetto. La conoscenza scientifica considera astratto ciò che essa non può considerare. Rischio dell’equivoco tra mera domanda e domanda pura. L’imporsi della verità è l’asse delle pseudofilosofie. Volontà di coerenza e volontà di dominio. Coerenza è fedeltà alla logica di un sistema. Sistema ed esistenza. Esistenza e chiarificazione. Esistenza e coscienza. Coscienza e punto di vista. Il punto di vista fondamentale non è un punto di vista. La nozione comune di esistenza e l’istituzione. Ciò che esiste non è assoluto. Differenza tra teoresi e teoria e l’impossibilità di scegliere la teoresi. La teoresi, che non è teoria, appare in una qualche teoria. Poiché l’intero non può essere oggetto, nessun og- getto è intero. La scienza che escluda la filosofia diventa “filosofia della  natura”. Il mondo della vita impone l’astrazione. La filosofia non vincola a se stessa le scienze. Ricorso alla formula. La “formula” e l’aporia del metodo ideale. Il metodo di filosofare è filosofare, ossia domandare. Inevitabilità dell’astratto. Necessità e cogenza. Il carattere divino della matematica è l’essenza matematica di Dio anche se Galilei non lo vuole. L’ordine astratto si esemplifica in Wolff, ma esso è la logica interna della formulazione del principio di non contraddizione. La “proposizione” è la figura minima del sistema, la forma del quale è l’equazione. L’ideale del conoscere esclude dal conoscere l’operare. Le condizioni del conoscere sono riconosciute nella loro indipendenza dal conoscere, nel conoscere di cui sono condizioni. La relazione, che è esperienza, non può essere relazione dell’esperienza con altro da essa. La conoscenza dell’incono- scibilità dello in sé è conoscenza in sé. L’astratto è inevitabile, ma non necessario. Per dire con che cosa si comincia, si comincia con la domanda intorno a come si comincia. Affermare la totalità è dimostrare che es- sa non può venire negata e, dunque, non abbisogna di venire affermata. La condizione apriori è trovata analiticamente, perché è contraddittorio che, nel no- stro conoscere, tutto derivi dall’esperienza. L’uso è unicamente empirico ed è riconosciuto trascendentalmente. L’analisi è la presenza operante del “principio di non contraddizione”. La struttura sintetica del giudizio è l’infinitezza dell’analisi. Il giudizio è domanda infinita di venire fondato. Tra esperienza e giudizio non sussiste rapporto, perché l’esperienza non può essere un giudicato. La prima forma di mediazione è l’immediatezza fenomenologica, o medialità. Il contessere infinito del dato non è dato. Ogni ordinamento di oggetti è teorico. L’oggetto è pluralità di oggetti. Se è astratto l’oggetto, è astratto il suo contesto. L’intuizione astrae dal contessere infinito. Ciò che è dato per primo è risultato di un processo astrattivo: l’intuizione non è originaria. Differenza tra teorica dei giudizi e teoresi del giudizio. Impostazione. L’interpretazione empirica dell’oggetto “come tale” quale “oggetto in generale”: trascrizione generalizzata degli oggetti. La sintesi precede ogni analisi e la condiziona. Il conoscere presenta un duplice livello: quello del suo fungere che costituisce l’oggetto, quello della consapevolezza di tale fungere. Il conoscere muove dalla fiducia nello essere in sé del conosciuto, con base esclusiva- mente pratica. Può venire formulata anche la contraddizione, dunque la forma proposizionale non è struttura del giudicare. L’analisi come pre- senza dell’incontraddittorietà formulata come “principio di non contraddizione”. Un giudizio media la posizione di altro giudizio: medialità posizionale o fe- nomenologica. Di volta in volta un giudizio può valere come analitico o come sintetico. Si intende di sapere con necessità. Se v’è un modo empirico di conoscere, v’è un modo non empirico di riconoscerlo. Kant conosce analiticamente che la conoscenza umana è sintetica. Nessun giudizio matematico è conoscitivo. La ragione dell’aritmetica è un fatto, perché le risulta possibile ciò che le risulta fattibile. Le categorie. Indice. Indice trovate dall’analitica sono usate dalla stessa analitica. L’esperienza è condizione del darsi delle sue condizioni. “Cosa” ha significato operativo. Il tempo è essenzialmente prassi. Spazio e tempo provengono dalla sintesi dell’intelletto, ma operano nella sensibilità. L’oggettivazione dell’esperienza è matematizzazione, di cui il trascendente è negazione. Il trascendentale è, ma non appare. La sintesi è negazione di se stessa come negarsi reciproco dei suoi termini. Tempo e durata. La presenza fungente dell’apriori è analiticamente reperibile nel dato e non lo eccede. La differenza tra conoscere e sapere è conosciuta e saputa. Conoscere non è sapere e l’oggetto è matematico perché è oggetto. Esemplificazione con Kant di ambiguità fra matematica e conoscenza. Il conoscere della matematica, essendo matematico come conoscere, non è conoscere. La volontà di potenza è l’impotenza dell’io nei confronti delle sue rappresentazioni. L’io si riferisce a se stesso come dato all’io. Non vi può essere una ragione pura. Teoresi e finitezza della ragione. Il senso teoretico dell’inconoscibilità dello “in sé” è quello dell’inoggettivabilità del vero. La ragione è strumentale per se stessa. Il carattere filosofico della pricerca.   Il carattere dialettico, o negatorio della filosofia.  La dialettica dell identico livello.  La dia-letticità della filosofia e il momento analitico della filosofia del linguaggio.  I limiti di validità dell analisi nella filosofia del linguaggio.  Limiti di validità e valore.  Come è possibile una filosofia del linguaggio.  Concetto di  "teoria" e sua riduzione. La riduzione del concetto di teoria e la radice pragmatica dell intellettualismo.  La nozione ateoretica dello  "in generale" come base della teoria. Riduzione del procedimento analitico all inde terminato, cioè al contraddittorio. Differenza ontologica tra il contraddittorio ed il negato.  La dialetticità come impossibilità di un procedimento analitico sulla totalità. La domanda totale e la totalità domandata. L intero della domanda totale e della totalità domandata. La conversione dialettica della totalità domandata nella esclusività del domandare.  La domanda come riferirsi in atto alla risposta.  La problematicità della  "definizione"  concettuale.  L intersoggettività come dimensione dialettica.  La struttura dialettica dell'implicazione.  L'insignificanza teoretica del disaccordo.  La preoccupazione di raggiungere un accordo effettivo è empirica e filosoficamente ingenua. Fittizietà del rapporto tra filosofia e senso comune.  La superfluità del problema del  "solipsismo". Presenza e coscienza.  La realtà come pensiero si risolve nel pensiero come atto. La realizzazione. L'attualismo come attualismo  puro. La realizzazione come negazione e come posizione. L'attualismo monistico come naturalismo. La presenza pura. La coscienza della presenza pura. Il rapporto tra atto ed oggettivazione tra presenza e pre-sentificazione.  Importo teoretico dell'espressione "Verum et esse convertuntur".  La metaforicità intrinseca delia parola. La "cosa stessa" come l'intero di se stessa. L identità pensare-essere.  Il riproporsi del pensiero su se stesso come origine della parola "cosa". La duplice funzione della parola  "cosa". Le condizioni ad un indagine critica. L atto critico o negatorio come atto di pensiero nella coscienza.  La ricerca del mezzo logico adeguato e l interrogazione. I limiti teoretici delle asserzioni condizionate da interessi. La riduzione pretesa del  "sapere" al  "potere" e il concetto ateoretico di  "teoria". L'interpretazione matematicistica nei suoi limiti.  La teoria come formulazione generale.  La radice dell'interpretazione matematicistica.  Le condizioni imposte dal concetto d interpretazione.  Il carattere teoretico del controllo sull esperienza.  Lo spostamento del limite come essenziale alle determinazioni.  La determinazione come ritorno dell atto: totalità di definizione e totalità di esaustione.  La totalità di definizione come "essenza". L' atteggiamento fondamentale umano operante nella definizione concettuale.  Il modo indiretto dì dire l'essenza. Originarietà e mediazione nel discorso metafisico (Il "Tema"; Svolgimento delle indicazioni teoretiche del "Tema". L'originario come implesso esperienza-discorso. L'"Esperito" e l'"Esperienza integrale". Il significato dell'"Implesso"; Il senso dell'"Originarietà" dell'"Implesso". Il concetto di meditazione e la teoresi del fondamento (L'impostazione; La "sospensione" degli enti dall'essere). Giovanni Romano Bacchin. Keywords: anypotheton, haploustaton; ovvero, i fondamenti della filosofia del linguaggio, il discorso metafisico – a new discourse on metaphysics, from genesis to revelations, etymologia di ‘autentico’, l’esperienza e il disscorso, implesso esperienza-discorso;  anypotheton, haploustaton, anypotheton hypotheton, supponibile, insupponibile, haplloustaton, superlative di haplous, simplex, simplicior, simplicissum, simplicissmo, complesso, simplice/complesso, simpliccismo, simplicissimo, complessissimo, complesso proposizionale, semplice sub-proposizionale – implesso, analisi del concetto d’impicazione – senso e significato – senso e segno – proposizione – funzione proposizionale – Whitehead. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bacchin” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Bacci – I bagni dei romani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sant’Elpidio al Mare). Filosofo. Grice: “You’ve got to love Bacci; he was born in the Italian equivalent of Weston-super-Mare, and therefore, he dedicated his philosophy to swimming!” – Studia a Matelica, Siena, e Roma. Scrive “Del Tevere, della natura...”. Pubblica il “De Thermis”, un saggio sulle acque, la loro storia e le qualità terapeutiche che venne accolto con entusiasmo. Dopo aver ottenuto la cattedra alla Sapienza e l'iscrizione all'albo dei cittadini romani, e nominato Archiatra pontificio. I saggi “Delle acque albule di Tivoli”, “Delle acque acetose presso Roma e delle acque d'Anticoli”, “Delle acque della terra bergamasca”, “Tabula semplicim medicamentorum”, “De venenis et antidotis”, “Della gran bestia detta alce e delle sue proprietà e virtù”; “Delle dodici pietre preziose della loro forza ed uso”, “L'Alicorno”. Il monumentale trattato “De naturali vinorum historia”, un compendio in sette libri su tutti i vini conosciuti. Tratta temi relativi alla vinificazione e conservazione dei vini; Consumo dei vini in rapporto alle condizioni di salute; Caratteristiche peculiari dei vini; Uso dei vini nell'antichità classica, Vini delle varie parti d'Italia, Vini importati a Roma, Vini stranieri. Note  DBI.  Andrea Bacci la figura le opere, Atti della giornata di studi tenutasi il 25 novembre 2000 a Sant'Elpidio a Mare. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Andrea Bacci Collabora a Wikiquote Citazionio su Andrea Bacci  Mario Crespi, Andrea Bacci, in Dizionario biografico degli italiani,  5, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. De Naturali Vinorum Historia De Vinis ItalEae et de Conuiuijs Antiquorum Libri Septem Andreae BacciI Traduzione del libro Quinto nella parte dedicata ai vini delle Marche, Gianni Brandozzi, Associazione culturale Giovane Europa, Filosofi italiani del XVI secoloMedici italianiScrittori italiani Professore1524 1600 24 ottobre Sant'Elpidio a Mare Roma Enologi italiani. In quo agitur de balneis artificialibus, penes instituta recæperit, hoc tempus non esta deo compertum, nisi quantum legitur fuisse antiquissimum. Nam ex omnibus monumentis quæad notitiam hominum peruenerunt, vetustissima huncritum lavationum, perinde necessarium ad communem vitam commemorant. Balnearum enim mentionem invenio non modo ante ROMANORUM IMPERIUM. Sed ante asiaticos etiam et chaldæos extitisse. Imòsiiactatis, antequam ulla extitissetliterarumin ventio, dicterija credamus; extat apud Pisandrum id circo Calida balnea fuif fe natura bal. cognominata Herculea, quòd Minerva olim fesso Herculi calida parasset. Vel  veterum et Galeni in Thermis primus la tascoengerit quodammodo ad lauacra homines. Quippe ean ecessitas, quæ uationumv a primordio rerum monstrauerat mortalibus ex agresti vita victum quærere, sus. Tecta construere,abæstu& frigoresetueri:eadem & fordesabluere,mun ditiæquecultum monftrauit.primo quidem quantum vitæsatisfaceret,donec paulatima liqua industriaadhibita, laffata corpora mollia quarum foturecrea reedocuit. Verum quando id inftitutum locum aliquem in REPUBLICA HABE ROMANORUM, VANTA fuerit naturæ solertiaincumulandis gratijsaquarum spontemanantium et quæ differentiæsinttùm simplicis Elementi, tùm consequentes ex misturi. Et quisvsusearumin balneis. Hactenus proeoac potuimus explicauimus. Quis enim pro dignitate naturæ, speciales proprietatescunctarum aquarum sermonem consequi audeat? In hisautem quæ ad thermarum vsum dicendarestant, sirectèquis thermarum ARTIFICIALIUM magisteriaconsi dignitas. deret, summum artis cum natura certamen videri poterit. Ut tnesciam anadeo sciuerit natura elargiri mortalibus tota diumentorum materiam, torqueadeo diuinæ dispositionis ostentare miracula inaquis. Quanto maiora funt, quæ arsaddiditornamentain Thermissuis. Præsertimfubila ROMANI IMPERII maiestate. Inquarum monumentis,quæ exeispartimvidentur et partimle gunturapud varios authores, nons atisconstatapudme vtra fuerit maior, an magnificentia operis ad illorum temporum instituta, an commoditas popu. larisadvtilitatemlauationum .Principiononeftdubium fiprima quasiin cunabula cæterarum rerum coniectemus , quin ipsa vitæ , ac naturæ necessi quia   quia eidem (vtAthenæus est author)vulcanusmuneris vice feruida suppo fuisset. Etlivera credimusre tulisse Platonem tamspectatæfapientiæautho rem,superatomnium seculorummemoriam, quamipsetraditexantiquissi mis monumentis, de Atlantica maxim a olim insula n u n c Oceano ipso occupant aextram Columnas; quam Neptunimunere cùmomni delitiarum genere Thermar r o n clarssima, hab u i f f c ( r e f e r t i pse) etiam balneas quæ omni cultu ornatæ partim usus, quidem subdiuopaterent,partim veròsubtectocalentiahaberentlauacrahy Είμαζα, τ'έξιμοιρα,λοιπάτε θερμα,καιανα CUS Sexcenti sautem post Homerum annis,Hippocratesprimusmedicinæau 4.derat. thor, Thermarumvsum curandarumægritudinumcaussa, tanquamreiiam in Græciacommunitervsitate commemorat, ac damnauit aliqua. Floruitau tem (ut ratio temporum habeatur) natusprimooctogesimæ Olympiadis (ut Hippocrates Soranustradidit)circàPeloponnesiacum bellum :quod(teftePlinio)gestu estàtricentesimovrbisRoniæannoexactisanteàRegibusannos circitersexa ginta,& ArtaxersePersarumRegemagnam Græciæ partem, & Hellespontú occupante. Poftquæ temporadum Græciaindies Sapientiffimorum virorú scriptis venirent illustrior, perpetua habemus de Balneis testimonia, Socratis, Platonis, Aristotelis, cæterorum quesuccessu temporum authorum,qui& Aliam, & PersiamnonfolùmGręciambalnearumvsumhabuissefamiliarem LaconesTber testantur. Laconesinter Græcos antiquiores, primamlaudem Thermarum marimiznitanquam suuminuentumsibivendicare videntur, Dioneauthore: ac abeis tores . pofteà huncmorem reliquas nations didicisse. Quod confirmatpartiumno 36 mina in Thermis Romanis ,quæ omnes græcæ suntvoces,laconicum,Hypo cauftum,Miliarium ,& Thermæ ipfæ, nedicam cætera. Ex quibusconstat vsumThermarumapudRomanos fuiseposteriorem,aceasinæmulationem Græcorum constructastestanturMarcus Varroin librode antiquis nomini bus,& itemVitruuius.VeruntamensubilaRomaniimperijmaiestate, sicut omnes artes floruere, ac inuenta prius ab alijs meliora cuasére, vnde meri to Roma QUASI ALTER A MVNDI PARENS dictaest: itaomnium maxi mè Thermarumi nftituta incredibiles, & supraquàm exprimivnquam pof sit,habuêreprogressus,eatamen obliterataferèad hancætatem ,necliteris mandata, multisforsanèdoctishæcmeliusscientibus.Quamobrem nos, volentes ad noftrarum lauationum regulam, antiquum Thermarum vsum rcuocarein lucem; operæ precium eftRomanarum institutaprosequi:inqui bus quæ prima ipsarum introducendarum ratio fuerit, quisordopartium,& quisvsus,& quæ tandem ineis medicinæ pars extiterit,percurremus. In Critia, berno tempore, atque feorsumaliaregibuspriuata,alia viris,aliamulieri bus,aliaitem equis, cæterişúeiumentis.Posterisveròseculispater Home rus, cuiusscriptisnullumconstatapud Græcos testimonium antiquius,mul toties calidaruin lauationum mentionem fecit. Præcipuè verò in Odysseæ lib. 8.vbi Poëtaomnium fermèrituum memoriadignorum obseruátissimus, Thermas indeliciiscommemorat illisversibus. vic. Homeri lo Aid δωμϊνδαίς τεφίλη, κιθαρίςτε, χοροίτε, De  affiduis primùm venatibus deditos ,necminusagrestibus operibusedu catos, nonaliaferè industriatùm amplificandæ Reipublicę, tùmdefen dendæquùm opusfuit, præualuiffe, quàmquoddurataiampacislaboribus corpora,facilèquodcunquemilitiæonussustineredidicerant.Inquo perce lebremhabemus Quintium Cincinnatum , abaratroaddictaturamvocatum. Itemque C. Fabritium et Curium Dentatum, qui rure ac militiæ laudatissimi, omni Spicula contorquent, cursuque, ictuquelacescunt, Abhisergoexercitijs, vterant frequentes, harena, puluereque conspersi, ac fudoreprofusiatqueoleo,vtseminudi acexertisbrachijs,cruribusque,vel liberosaltemhabitu, quo degebant, vt effent admunia propriores, necessario lauationes pofcebant. Qua dere, dum adhuc nouitiavrbs inhis studijs Patres campum Martium vicinum Tyberi, in quo iuventus post exercitium Lib.1. c.10 armorum, ludorem, pulueremque dilueret, aclassitudinem,cursusquela borem natandodeponeret. Qui mos vt paulatim èreipsa, & quasi nemine Lauationes instituentese in ciuitatem ingessit (quem ve plurimum soletese nouo rūrituum inTyberi, introductio)itatandem crescente indiesiuuentute,armorumquefimulac exercitiorumaffiduostudio,viamtamfrugiinstitutiaperuit. Sanèin ciuile videri nobilem ciuitatem in luculentis Auminis aquis quotidielauari;aclaua craid circo Asiaticorum, & Græcorum moreparandaesse,quæpostexercitia non ad munditiam facerentsolùm, verumetiam recrearent, maiusque robur laffatis membrisadiungerent.Quod tamenpropositumlongissimèdistulêre: nonquideminscitia,autvecordiatamgenerosæciuitatis, sed propter  Antevrbempueri, & priinęuofore iuventus. Exercenturequis, domitant que in puluerecurrus. Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis 7. Aeneid. Lauationum Deprimis Thermarum institutis in vrbe Roma. Aris quidem constar Romanos illos Quirites,antiquosque Sabinos, satissuntexemplonobis,hæcfuisseilliusseculiftudia. Non pecuniapræua lere, non forma, nõ ambitiofo hominum comitatu , non stemmatis dignitate certare: fed totamvimin proprijanimiexcellentia,viribuscorporis,acexa etacura Rei pub. collocare. Feruebant honestælaudisemulatione ingenia,vt quosarma,& propria virtus ad prim s ciuitatis honores euexerant, studio, ac laboreæ quarent. Quare vbi militiæ in externosceffasset occasio, ROMANORUM quasi natiuo instinctu dediti ad labores, autrurese agrestibus exercebantope-studia. ribus, autaddisciplinamac roburcorporis, ciuilibus,ijsquevarijs exercita mentis vtebantur: cursu,disco,faltu, lucta,& pugilatu,natatione, atque armis. Quem more man t è urbem conditam fuiffe quoue. APUD LATINO antiquissimum, planèilis versibusrepresentauitVergilius. necessitas. 36 strenuè adolesceret, præclarum habemus Vegetij testimonium ,constituisse gruentem ,au&taque fpatio temporis,spectatævrbisinfinitimasterrasautho Aquaríper ducen.decre ritate; deaquistandem èvicinis montibus, Auuijsquein vrbem perducen- tum. 1 (vtegoreor) potissimascauffas:Tùm quiaprimiili Patresnontamfrugifu turumolimhuncritum existimauêre, quàm luxui, ac mollicieiforelenoci nium; id quod accidisse, posteà declarabitur. Deinde ob aquarum incom moditatem ,quarum incolles,vbitunchabitabantdifficiliserat,& nonsine maximaimpensa,perductio. Verùmhoc laucitiædesideriovniuersimin dis, duas   dis, decreto S. P. Q. R. publico ftatutum est: quæ & potuum fimul,& laua tionumritui suppeterent.Quod factum est primùm M. Valerio Max. P. De cio Mure Coss. (authore Plinio) circa 444. Ab vrbe condita annum, aqua Tyberinarī Appia ex Tusculano per ducta, Censore Appio Claudio curante. Aquibusté. porusdimif. poribus, Tyberinarum aquarum vsus ,adeam vsque ætatem tàm potu, quá sus. lauacrofrequentiffimus,exolescerepaulatimincepit:aclauationum simul, atque exercitationis gratia (ut tradit Festus Pompeius) Piscina publica ad cli Piscina Pub.uium Capitolinum iuxtàTyberimestconstituta.Pofteà Thermæconstructę. stitut& uationumduntaxat,conftitutæfuerant,haudmagnum habuêre progressum. Visicùm auctaciuitate, simul atquecrescenteindiesineisiuuentutisapplau. fu; semper maiorisearum capacitates ratiofuit habenda.& præsertim vbime dicorum consensu incurationem quoque ægritudinum suscipicæperunt.Ve rumtamenpostinitiadiuadmodum consuetum fuitangustasfieri,actenebri cosas;nonenimcalidævidebanturnisiobscuræ;quem admodum fcribitSe necaadLucillum,fuissebalneum Scipionis Aphricani ad Linternum. Causa verò amplificationis Thermarum præcipua, fuit Palæstrarum adiunctio. Quippe cùm apud Romanos veteres, ferèvfquead Augustum,nonadeo multa extiterit architecturæ dignitas, nec adeo fuerit consuetudinis Italicæ.20 (vt desuotemporescripsitVitruuius,& multoetiampost)cumPalęstrisLa uationes habere coniunctas;contentus quisque ruralibus exercitationibus, ThermeadvelCampo ipfoMartio,& harenaPlatearum;solasinThermisobibantla exercitia có uationes. Quo ritu ad imperium vsque Principum perseuerante (vnde planè stitute. constarepoteritThermas exercitiorum cauffa fuiffeinstructas)vbicunqueali qua fierent publica edificia, ac populi celebritas ,iuxtà constituebantur & Thermæ .Exemplo primùm Agrippæ clarissimo ;qui ob celebritatem admira bilistempli Pantheon,atqueCampi Martij;iuxtà,Thermas suas extruxit. SicNeroposteàNeronianassuasiuxtà Agonalem circum, ob Ludos,quiibi fiebantcelebres,constituit. Necfecus(authoreSuetonio)TitusVespasianus dedicatoAmphitheatro,Thermas celeriterextruiiussit:nimirùm ad Amphi Palestrari theatri,& exercitiorum,quæineofiebantcommoditatem.Donectandem cum Ther.illustratacuniImperijmaiestateArchitecturæperitia,moreGræcorum Palæ mis coniun-ftræcum Thermis fuêre coniunctæ ,vbinimirùm generosa iuuentus,relictis iamruribus,atqueharenis,simul& exercitationesobirentomnisgeneris,ac lauarentur.AtquehincnonsolumoperaThermarum fueruntelegantiùsdi. sposita,atque admodum amplificata, sedtantam etiam promeruerunt o m niumgratiam,vttotaciuitaspaulatim hancsusceperitconsuetudinem,fre quentare singulis diebus Thermas, & tàm Senes,quàm consulares,atque amplissimiordinisviri,necnonartifices,& matronæ.Proveteriinstituto, acftudiovirium,promunditia,& prosanitate,atqueomnicuracorporum. Romanarum Thermarum cenfura, atque Magnificentia,  Quæ quoniamfrugiinprimis,obeam, quam dixi causam et ad ritum la.10 Etæ 40 čtio. Cap. 111. A e c ergo initia , atque hæc incrementa fuerunt thermaru m Romanorum . Primò quidem institutæob ritum laudabilem ,quem exer citium ,& vitæratioillorum temporum inuexerat . Deinde au 30 Therme con Therma auCtæobcommunemvtilitatem,& magnificatæcumpalestris. Eradfum mam tandem amplitudinem, acmagnificentiamperductęobdelicias.quem ad modum à nobis ex earum aliqua descriptionem on f trabitur. Quan quam id quidem, prorei, atq;vrbis magnitudine, haudnostroindigeret testimonio,descriptio quiMedicinęduntaxatineisinstitutaprofiteremur:nisiminusplenèomnes,curnecela quide Architecturaconscripserunt, earummaiestatemexpreffiffent. Nam ria. quiddeVitruuijlibriseliciemus,nisinudaquædam lineamenta,atqueeaqui Invitruvio dem nonadmodum explicata,paucaquelocabalnearumsuitemporis,quan-censura. doperangusta,& blactariafiebantbalnea(vtpauloantèexSenecætestimo 10 niodiximus)quæeiusætate,& poftcà maximè, locuminter primasædificio rum vrbismagnificentiashabuêre?Minusàiuniorum scriptis,quimutatis rebusposttotsecula,acminus concordibus, quifparfimdeeismeminerunt authoribus;fatissibi,atquelegentibus fecisseratisunt,sivastamduntaxat Thermarum dixerintmolem ,acDedaleioperisinstaradmirarentur,cùm ta men Romanarum rerum magnitudo cunctarum nationum miracula supera- Medicorum. uerit , n o n in Thermis folum. Minimè o m n i u m à medicis. Quos turpe h o dieadrectam lauandiægros institutionem videri deberet hæcignorasse; indi gnissimumveròproea,quam profitenturGaleniimitationem,quæ vixvlla essepotestsinehorumrituum notitia, inquibus ferètotaeius doĉtrina versa 20tur. Quam obremoperæ preciumest, advniuersam instituti nostril rationé, Therme an aliquam ThermarumVrbanarum,partiumq;ipfarúcensuramfacere.Princi-publicę,an pioThermas fuissedecreto publico constitutas, (vt eftdictü)non eft dubitan priuata. dum .Nam idmultæ declarantauthoritatesscriptorum,acmarmoreæ tabu læ,inquibusvelSenatusconsultaleguntur,vellegespositæinThermis,ve! munera. Quę exmultispofteàritibusdeclarandavenient,vtpotè,inaliquo publicogaudiosinemercedepræstarisolitas;veloleum gratuitodari.incom muni veròluctupublicèThermarum vsum interdicisolitum . Imò in priua tispęnisexéplumlegimusapud Valerium Max.lib.2.Titio pręfectoobigno miniofam deditionem Calpurnium Cor. Conuictum hominum , & balnearu 30vsuminterdixisse. Verùm quinegantThermasoperafuiffepublica,memi sedinThermis:quarumhodieamplitudinem ,accelebritatem,hac sancta religioneintroducta , templanostra, ac pia xenodochia immittantur. Quare & Thermæ Xeniædicte,quæitaapudgræco scognominarifolebant, quasi hospitales,& gratuitæ, quo cognomina Thermarum publicarum vtitur manı  Thermarum nissedebent magnificos in eis Imperatorum titulos , qui æternitate nomi- Thermarum nissui, tantioperismagnitudine affectassevidenturacRomanis suis,velPo- magnitudi Oo pulo gratuito constitutasindicant.Quo planum fitetiam,easfierioportuis secapacissimas. Non enim in templistuncconsueuit populus congregari, quæidcircoangustafiebant,acsuisquisqueindigetisacpenatibuseratcon tentus, Tuniorum, nis ratio. Therma xea 40.Vnde perperam inhistorijsretulit Volaterranus, quiblice. M.Tulliuspro Cælio legitproSenensibus,cùm nus Francisci Patritij imitatus, Senias primas verò scripta subSenarummenioria.Inter quam balneainantiquislegantur, quarummeminititem palatine.,credo fuiffe Palatinas, atquehas xenias per acpublicas ,ademissaria Aque Claudiæ adeaspofteå Cicero,vbiSex.Rosciusoccisus ,authoreeodemSene ,earum cura erat publici muneris Max. ductæ. Necminus ætatem, quails & Cato, & Fabius ca , nobilissimos Aediles antesuam, acsuaetiam & alij, populum inthermis exigend imunditias gratia receptare niæ dop H. 2   manutemperare folitos. Balneatorestamenin Plautolegimus, & pofteain Balneatores M. Tulliopro Celio,quieiministerioaderant.EtIureconsulcus.Instru et Balneato me nto inquit balneatorio legato, balneatores continentur, quoniam sinerium lega ti. his balneæ vsum suum præber e non possunt. Producto autem seu t i s annis instituto ipso ad luxuriam Principum, non solùm capacitatitantæ vrbis con sultum eft, fed citrà vllam mensuram aut modum ,& (vtAmmianus aflimi Thermarunlat)potiusprouinciaruminftar,quàmvlliusædificijforma Thermascæpe numerus Ther.Impe runtextruere.Extatinterprimamonumenta,M.Agrippam ,inAedilitatis munere;quodpostconsulatum gessit,gratuitapræbuiffebalnea170.quæ'po steasub Nerone ,vt testator Plinius, ad infinitum auxêre numerum. Sextus autem Aurelius victorin censu partium vrbis, Thermas , amplissima opera Imperatori axii. nominauit. Priuatarum verò balnearú, quasad priuatosvsus Ther. Priua qui lautè viuerētsibiinproprijs domibus compararunt, numerum exeodem ta. fubducimusferèdcccLx.quassuccinctèperregioneshicrecensebimus.Pri m a s ergo h a r u m duo deci m n o n eft dubitandum, fuisse Agrippę  Thermas, qui Ther. Agripeo dé authore Plinio, imperáte Augusto eiussocero, multa & egregiainvrbe perfecitopera, ac Thermas fuaslytostrato,acencaustopinxit,& pauimétaex Neroniana . vitropofuit. ErantautemvltràCampum Martium adfiniftram templiPan theon,vbinunclocusvulgòCiambelladicitur,vtquæinCampo & inAgo naliCircoexercitareturiuuentus,hincTyberisnaturalem aquam,hincverò calentiuminThermisaquarumhaberetcommoditatem ,vbilauaretur.Ineis verocùm neque capacitati, nequeadeodelicijs consultumfuisset, eodem au. thore, successitquadragesimocirciterpofteàanno Nero profusiffimusImpe. rator, quiad Agonalem ipsum CircumsecundasThermassuonomineextru. xit.Inquibus,vtscribitLampridius,syluasdeputauit;& nonfolùmdulces, Alexandri.sedvelmarinasaquasinterdum ,velalbulasperAquæductusAnienisadduci Hadriani Traiana. eum fecissememinitSuetonius.PonitidēLampridiusAlexandrinas,abAle xandro Seuero extructas in C a m p o Martio ,quas quidam easdem esse N e r o nianas putant , quam tanto imperio fastuo- 30 sam ,par erathacquoquenoncareresuperbia.InIli& SerapideMoneta Regione, c ù m Titus Amphitheatrum dedicasser, Thermas iuxtà celerite rex truxit, Suetonio;quæ tertiæfueruntImperatoriæ,nimirùm inAmphitheatri celebritatem& commode (vti diximus) & id circo breues. Quartæiuxtàhas Traianę, quas Traianusobhonorem Suræ, cuiusstudioad imperium perue nerat,erexit,acTitiThermismaiores,vbiquæextantmiraAquarum rece ptaculaseptemSalasvulgoappellant.PriuatæveròintotahacRegione Bal cömodianæneę xxx .In Regione ad Portam Capenam, quintæinordinefuerunt Com & Seueria-modianę,quarum &AlexandrumSeuerumaffectassenomenvidetur:etiamsi nę. Antoniana. interpriores,acnoftrosantiquarios,aliquafitdelocis,& temporibus,& cognominumassignationevarietas.Inquapræterhas,extantalicuiusnomi nisapud authoresciuium balnea,Torquati,VettijBolani,Mamertini,Aba s c antiani, Antiochiani , & priuatæ aliæ Balneæ Lxxxv. Sextæ in Circo Maximo Antonianæ, quasmaximas verè dixeris, Spartianoauthore,quieasm e minitadradicesAuentinicollisAntoninumImperatoremcognomento Ca racallaminchoasse,perfeciffeveròeundemSeuerum:mirahodie architectu ra,   ratoria. pa. na . Agrippina. Titi. instauratas. Adhæc P.Victor Hadriani Thermas. Et ex priuatis BalneisintotahacRegioneLxu11.Eodemtemporeerexitquoq;suasTher- : mas iuxtàExquilias Agrippina Neronismater ra,necimitabili,cumPalęstrisconiuncto.Inhac& Varianæ,& Decianępo sterioresnumeranturaP.Victore,necnonSyriacæaliæcognominatę,& Pri uatæaliæLXIIII. Seueriquoque nominef uêrein TranītyberinaRegione Scueriane. Thermæ, eode in Spartiano teste. Necnon Aurelianz,Vopisco. Balneuitem Aureliane. Ampelidis, Balneum Priscilianæ, & Priuatæ aliæ 1xxxvi. Inter Esquilias &Montem Celium, apud Titi & Traiani Thermas, PhilippiImp.Thermas Gordiani. amplifl. ac pofitum estadperpetuamreimemoriaminipsabasylicadistichuin,deAngelis. 20 quodlicànobisestrestitutum. QuæfuerantThermæ,nunctemplum estVirginis,auctor El Pivs ipsePater,cediteDeliciz. ruptèdicuntur,&PriuatæintotahacRegione 1xxv.Porròrecenseturinli. 30 EsquilijsRegioneOlimpiadisLauacrum ,vbisummo colliculoSanctiLau Vltimæ Cæsarum nomine, Constantinæleguntur ThermæinCliuoMontis Quirinalis. Quas non reparatas , non d e integro ex tructas à Constantin o e x i ftimo, cùmvetuftofatis appareant opére. Necnonmarmoreæ tabulætestimo nio,quodlegitur:HAS CIVILI BELLO DEVAST ATAS QVANT VM PVBLICÆ PATIEBANTUR ANGVSTIÆ PETRONIVS PERPENNA RE STITVIT. Propèhas L.quoq; PauliBalnea,quæ vulgòBalncaNapolicor- BalneaPau rentijinPanisperna,monialium ecclesiahodiecelebratur.AdcliuumcollisàOlympiadis. SuburraAgrippinæNeronis,quod diximusBalneum, & infràNouati ciuis alix balneæ, vbi S. Pudentianæ est ecclesia. Et Priuatæ aliæ in totum lxxv . Subinde vede Priuatisreliquisbreuiteragam :erantinquartaRegione,vbi& Templum Pacis, Priuatæ BalnexLxxv.cum Daphnidisbalneo. InCeli montio xx. InviaLataLXXV. InForoRomano iXVI.InPiscinaPubli. caxlinn . InP alatioxxvi.PluresinMartialesparsimlegunturThermæ, Tuccæ,Hetrusci,Grilli,Lupi, Fortunati, Pontij, Seueri, Fausti, Peti,Ti ti, Tigillini, quarum locanon assignantur. PorròextraVrbem nonminor Thermarum cultusessedebuit,vtexquarundam preclariscolligimusm onu, Constantina. mentis. Erantad Hostiam P. Tacij Thermæ,centum Numidicis columnis Thermeer Ooij adscribit Pomponius Lçtus. Necprocul Gordianorum Domus, quam descri psitIul.Capitolinusadmirandam ,ducentascolumnasvnostilohabentem ,& cum Therinisadeolautis,vtprætervrbanas,vixaliæfimileshaberenturin toto orbe terraru m . In a lta Semita Regione, Viminali colle , Diocletianæ ex - Diocleti.1 1. . tant Thermæ, quasincçperatquidem Diocletianus Imp. cuni ordine exactif simo, atque amplissimoPalestrarú omnium generum ,inquarum opus quadra gintamilliaChristianorumeum addixisseaccepimus. Ob magnitudinem tamen (v tin Marmorea tabula legitur)CONSTANTIVS ET MAXIMIANVS OMNICVLTV PERFECTASROMANIS SVIS DEDICAR.Hę,cùm in fermè ædificio admirandæ permanerent, hodieCartusiensium Mona tegro sterioSacræ, Pio Iu11.Pont. Max.subtitulo Sanctæ Mariæ de Angelis magnificèrestaurantur: Curante M. ANTONIO AMV110.S.R.E.CARD. S. Maria exornatæ. Arpini suas instituitThermas Cicero ,scribens ex Asia ad Q . Fra trem.ErantinLucullano,quænuncFrascativulgòdicitur,LuculliThermæ, vbi nos integra vidimus Hypocausti vestigia . Ad Baias autem Thermæ Baians. erantprætervrbanas,supraquàm quisoptarepotuissetvoluptuofiffimæ,na turaipsaibiaquasvberriinèfuppeditante,gelidas,calidas,& plurifariâfalu bres,quasfatisinsuishistorijscelebrauimus.Quid verò hìc cęteras Italię pro sequar Philippi. Trarbem L.  haberet? Quinetiam Rusticanas, inquibusfamilia (vt inquit Columella,& Rusticana. exeoPalladius) ferijssaltemdiebuslauaretur: nequeenimfrequenteniearū vsum robori corporis operariorum conuenire. Similiterhunc morem acce Aquarum maris, & portuumcommoditate, aquarumduntaxatsustineretpe-': nuriam;hacinpartevenisseincertamenquodam modo cum naturavisaest, vtaquarum quoque essetabundantissima. Itaquecumhocdesiderio,crescen teindiesinstitutoThermarum,& modò aliaatquealiaadducta multo spatio temporis in tantam aquæ venêre copiam, vt Augustiætate, Strabone teste,pervrbem ,atquecloacasomnesinundareviderentur,& vni uersæpropemodum ędessubterraneos meatus, syphones,acfistulasvndo sashaberent.Quo temporeM.AgrippaAugustiipliusgener,quem complura invrbefecisseconstatopera,cultu,atqueedificiomagnifica;aquarum Cu ratorperpetuus,authorePlinio,alijscorriuatisatqueemendatis,& alijs nouiter adductis,septingentos lacus fecit.Pręterea fontes c v,Castella cXXX. 40 Lacusintelligoex Frontino, alueosbreuimuro,inquibusaquæ reciperen tur,& aliaexalia,vtfiuntapudnos Fontane,Lauacra,Fullonum stagna, jumentorumaquagia,& huiusmodipublicacommoda. Fontes, quiprimas a c f y n c e r a s e x Castello funderent aquas, pauciores id circo quàm lacus. C a stella,certaAquæductuum receptacula, ad MęniaVitruuio,&inviarumdi uortijs, vbi aquarum facienda esset distributio.Quale etiam num visitur in E r quilijs Castellum aquæ Claudiæ, indiuortio ad portam Maiorein nunc dictá et adpisse reliquas Provincias, quibus Romani imperassent, in transcursu diversarum lectionum obseruauimus. Prætermultas, quaslegimus Romanis anti  Lacus in vr sequarThermas,cùmeatempestatevulgòvilaquælibetdiuitumfuasbalneas quiores,vtquasprimasinGreciadiximus,inAsia,inSicilia,& apudPersas Hebræorum DarijThermas,quasPlutarchusdescribitditiffimas, & lautiffimas. EtIose Hifpanorum phus Hebrçorum Thermas ad Ascalonem , ad Tripolim , ad Damascum , ad Ptolemaidam. Hispaniaqua calidalauari poftfecundum bellum Punicum à 10 Romanisdidicêre,anteànon consueueruntnisiinfrigidalauari,authorIu stinusHistoricus.Multæ occurrunt apud authores Thermarum memoriæ ,in Germania,inGallia,inBritannia,aclongè pluraipfarumvestigiavisuntur in Italia, in quibus vidi sępius per inscitiam etiam doctos virosobstupescere, alij Theatra,alij Labirinthos, alijmemorandas moles alicuius sepulchri ia ctantes.Quarum tamenritumlegimusvenisseadeocommunem ,vtnonco lonias, & municipia solum ,sednemo dignè tùm Romanam militiam profi terivisusesset,quinon haberetsuabalnea,& gymnasia, inquibuscommi litonessuiexercerentur. Quod de CleandroTribuno equitum Commodi Cęs.meminitHerodianus.Indomesticisveròvsibusbalneum eratviainci-20 bum ,vtnotauitArthemidorus .Cuiusreipassimhabentur exempla,quùm ex itinere,labore,acexercitio quopiam balneum primò ingredi consueue rint,& pofteamolliaquarumfotu recreatiaccumberent. De aquis vrbanisad vsum Thermarumadductis. Externe. aqua ;haud copiaivrbe bequid. Fontes V Ros autemRoma,cùmprætercæterasgratias,quibuseamaltissi musdecorauit,salubritateaëris,situagriadimperium opportuno,zo adportamSanctiLaurentij,quod pofteàC.Marijtrophæisinsignitum , adhuc illius retinet n o m e n . Porrò fingulis castellis aquaruin erant propositi Trophça suiCastellarij,vtpræclaroquod Romæ legitur epitaphiocostat. D. M. Clemen Aquarum propria commoda. Mirariveròlicet inprimis ipsarum ductuum fabricam, duétuumma dignam planècùm magnitudine operis, tùm certè publicaipsavtilitate, quęgnitudo. Pluribus mundispectaculisproponendaessevideatur.Molesingens,àdimi dioferèItaliæquædam perducta,partimexcisisac perforatismontibus, par 30timascendens, partim abimis vallibus perimmensosarcussublata, quibus Aufeia,& 20 fue xit. Etanteà lib. 31. cap. 3. Clarissima inquit Aqua ruinomniumintotoorbefri goris, falubritatisquepalmapræconio vrbis Martiaest, inter reliquadeûn damlociscentum& nouempedesaltitudinismensurantur.Vniuersamverò omnium censuramitahabuitFrontinus.AltissimusAnioestnouus,Proxima Claudia,Tertiumlocum tenetIulia,quartum Tepula,dehinc Martia,quæ capiteetiam Claudiælibramæquat,deindeAppia,omnibus humiliorAllie tina. Primaverò,vtpropinquior,& maximècommoda,Appiaadducta co ftarexTusculano:Cenfore(vtfupradiximus)Appio Claudio,annovrbisAppiaaqua quæ perportam Capenam ,nuncSanctiSebastiani,inocto vr munera vrbitributa.Vocabaturhæc quondam Aufeia.Fons autem ipfePico nia. OriturinvltimismontibusPelignorum.TransitMarsos,& Fucinum La piconia tempus addu tiCæsarum N.SeruoCASTELLARIO Aquæ Claudiæ fecit Claudia Saba tis& fibi& fuis.Extat Senatus consultum apud Iul. Frontinum ,quoaquam non eratpermissum nisiexcastelloadducere,ne autriui, autfiftulæ publicæ lacerarentur. PublicisidcircoThermis,propriacastellavidenturfuissecon ftituta: qualiavidemusintegraadDiocletianasThermas,& adTraianas,mul tipliciopereconcameratas .In Priuatisautemprima Censorum,aut Aedi liumeratauthoritas,quorum arbitratupermodulos,digiti,velvncięnomi necertoannuosolutovectigaliconcedebatur. Legequecautum codem te fte,ne quispriuatus aliam duceret,quàm quæ exlacuredundaret,quam ca ducam vocabant : & hancipsam non in alium vsum quàm balnearum , aut fullonicarumdariessesolitam. Omnem aquaminpublicosvsuserogari debere.Cæterùmquotnumeroessenthæaquæ,quæ,quonomine,& quo tempore,& vnde adducerentur,breuiterpercurrendumest.ScribitPro copiusIustinianiCæs.fcriba,Romæ quatuordecim fuisse aquarum ductus, excocto latere,ealatitudine,acprofunditate, vtferèequesteripsocúequo pereosposseteuadere. Nos Frontinum imitati, qui Nerva imperante pręfuit hisceoperibus curator perpetuus,& fcriptis cuncta sid elitermandauit, octo aut nouem suo emissario per ductas dicimus. Quę fuerunt ex ordine, Appia, Anienisvetus, Martia,Tepula,Claudia,Anienisnouus,Iulia,Allietina,& virgo:etiamsipofteàduplici,acplurinomine,vtvsueuenit,fuerintcogno minatæ. Nam poft Frontiniætatem, non aliamlegitur, prętereasfuiss ead ductam, nisieasdem àdiuersis Imperatoribusautinstauratas, autseductasad bi sRegiones exviginti caftellis distribuebatur. Quadraginta veròannispo- tus. fteà, exmanubijs PyrrhiRegisEpiri,SpurioGarbilio,L.PapirioCoff.prima Anienisadductafuit,vtetiamcommodavrbi,& altæoriginissupraTybur.Martiaquę. Tertia fuit adducta Martia, dicente Plinio lib. 36.c.15.Q.Martius iussusà Se natu Aquarum Appiæ, & Anienistegulaductusreficere,nouamànomine suo appellatam , cuniculispermontes actis intràpræturæ cum, Marü. Anienis ve Oo i 1  Triana . cum, Romam non du biè p e t e n s . M o x specum e r s a in Tiburtina s e a p e r i t n o . uemmillibuspassuumfornicibusftructisperducta.Primuseam invrbem per ducereauspicatusestAncusMartius,vnus exregibus.Poftea Q.MartiusRex inprętura, rursus querestituit M. Agrippa. Hæc Plinius. Hancdemum& Traia namnuncupatam aseritFrontinus,àTraianoinAuentinumvsq;protracta. QuartafuitTepula,quaabagroLuculli,quéinTusculanoexvarrone legimus Tepula,. Gn. Seruilius Cepio,L.CasiusLonginusCollin Capitolium perduxêre, via , quæ PortaMaiorhodie appellatur,claristitulis Cæsarum, Claudij, Claudiaque VespasianiT, iti,& M.Aurelij. EamquidemdestinaueratpriusCaligula,per & Curiadaduxitveró Claudiusabvsquexxxvi.lapide, viaTiburtina, èfontibus Cæ Cerulean ruleo,Curtio,atque Albudinocollectam,quibusfæpènominibusscribitur. Adduxithiç & alteramAnienem,cuiductuiaddifferentiamveteris,Nouus Aniocognomentumfuitinditum,Frontinoauthore,qui& ipfumpofteàre Fons Albu ftituit.Concipiturautemperagrum Tyburtinumxx,milliario,operealtili-. moadPortamEsquilinamadducto.AquamveròIuliamadmiscuitcum Tepu laM.Agrippa,viaLatina,quæabAurelianoiterurmeftituta,eiuscognomen Juliaquęegassumplit.Ållietinam,quam& Augustam, miratur Frontinus Augustumpro Aureliana, uidentiffimum Principem per ducere curasse nullius gratiæ,imò & parum sa Alietina, lubrem ,nisi fortecùm opusNaumachiæ aggredereturtransTyberim. Qui dam ob hoc eam intervrbanas aquas non numerant. DE AQVA VIRGIN E,QVAM duxitAgrippa,vtPlin,meminitlib.31.c.3.& deinde Claud.Cęs.Pri mum veròauthorêCaium Cęs. fuisseindicantmarmoreæinscriptiones,quarú 30 vnaineiusaquæductuitalegitur. Tit.CLAVDIVS DrusifiliusCesarAug. Nominisra-ductusaquæ Virginis destinatosper Cæs.àfundamétisrefecit, acrestituit.Vir ginis porrò nomen (vt Frontinus scribitnobilis author de aquis vrbanis ) ad cafum fuithuicaquæ inditum:nam quærentibusa quammilitibus, puellam vir g u n c u l a m quasdam venas præmonstrasse, ac il as sequu t o s in gentem a q u ç moduminueniffe.AediculaidcircoVirginisfontiapposita.Quod nomen posteavidenturadsciuiffe Dianæ, ac Triuiænuncupaffe, quasi Dianæfonsdi Fons Diane triplex habere dicebatur numen , celebrarisolita, necnon à triplicifonte,qui- 40 bushæcaquaconcipitur. Vel (vtquibusdamplacetantiquarijs) virginisno futurna menindicasseIuturnam,quam Nymphamsic dictam (testeVarrone) quòd Nympha. iuuaret,invotisfuisehabitaminfirmis,quiexeaaquabiberent,facramque in via . simulat que puteum, qui extat, dive Mariæ  Virgini fuisse consecratum, vt r a n In Triuia. libetquiseiusnominisinterpretationem accipiat,verumtamen eofitmagis verisimilisnoftrafententiahuncfontemfuissevirginéàDiana,& Triuianun Meuiæ ,quæ dinus, Anio nouns 20 vocant Şaloniam , tio. Vel Triuię. & aqua Diançsacra,quęveteribusvirgohabitaest,& in Triuijs, vt AQVA autem Virgincquoniamsolahæcadnostramhancætatem Romam perducitur, altioraliquantosermohabendusest. Eam per cupa Primus aute D thor, ceretur, 10 Latina dextrorsus ,longex1, milliapaff. subterraprius, deinde arcuato opere. Quinta, ac fausti nominis fuit aqua Claudia,vtinfrontispiciolegiturPortæ id circo hanc ædemei fuisse constitutamasseruntiuxtaipsum fontem ,quam Sinct.Mar.posteàReligioneintroducta,insuperstitionempræteritiseculiabolendam,  JO est Herculaneus riuus, quem refugiens, virginis n o m e n obtinuit . Hactenus Ductus lon Plinius. HabetautemductuslongitudinesàcapiteadipsumTriuijfontem,girudo. spatio a bestàvia Prænestina,dicente Plinio.Marcus Agripa & virginéaddu ” xitaquamaboctauilapidisdiuerticuloduomilliapafsuú Prænestinavia:iuxtà (vt Frontinus dimensus est) milliariorum XIIII.n a m vbi fpecus subit montių , vbicircuitcolles,velvallesæquatarcuatoopere,multoshabetflexus. Pro greditur Anienemfuuium,acintersectaTyburtinavia, & exinde Nomenta na, & proximè Salariavia; tandeminter Collatinam Portamque estsalaria, & Puteus Po. Pincianam sub colle Hortulorú , qui est hodie Sanctæ Trinitatis, ad Trivium litianus vicum exilit fonte. Subitautemeum collempro fundiffimnospecu,cuiusho die puteus altissimus repertus estin medio viridario, quod magnifico, ac con spicuointotāvrbem ædificio ibi constituit Cardinalisamplish. POLITIA. 20NVS,& vtrinqueduæ eiusaquæ marmoreæ inscriptiones.Tı.CLAVDII nomine. Etquo digno tum fuit magnisilis Romanorum Architectis, erita; omni futuro seculo memorabile Camilli Agripæ Architecti inventum, salientemsuaptes ponte facit aqua (impulsam tamen in æreum tubum rotis ræ, primam fanèlaudem promerentur Sanctiffimi D.nostriPivs IIII.& qui - statim ei successit Pivs V. Pont. Max . quivirginem ipsam aquam ad Virginisper pristinamantiquorumformamperducerecurauêre.Quippe lapsu temporum hæcaqua varias subijt mutationes,& quodmirum eft, vsqueà Plinijtem lutem. Pofte àc raffantibus in Italiam,& invrbemipsamtotbellis,acvaria rumgentium incursionibus: plana in historijs monumenta habentur, quæ ductio. Refert Platina, Adrianum patria Romanum Pont. Max.d omitisiamaf. Adrianiin fi&isque Longobardis, anno falutisnoftræcirciter MCCLXXVI. Virginis Stauratio. Aquæductum dirutum, cumalijsvrbisaquæ ductibus restituisse. Donecite rumnonmulto poftdirutus, protantarerum ,quæsuccessitcalamitate, nuf quam prætdr e a videtur fuisse restitutus. Nam quod i n i p s o Trivii fonte legi Nicolai. tur, Nicholaumv. annoabhinccxII. Virginem fontem restituiffe, planevi detur is Pontifex haud vllam antiqui ductus huius aquæ partem instauraffe; sedconfluentesduntaxatèviciniavenascitràpontem Salarium prorefugio vrbis collegiffe, quæeftminimapars; virgoigitur aqua octauo (vt diximus) est Salonia. Milliario concipitur,vbi nunc locusà Salone dicitur: Quæcunque fuerithu ius nominis significatio apud vulgus, quod,vt consueuit huiusinodi aqua run conceptaculafalasdicere,forsan & hoc obamplitudinem areę Salonem nunc uparit, dicente præsertimFrontino,hunclocumvnde virgo aqua con- Riuusnúad iicitur, palustrem fuiffe, & vt scaturigines contineret, lignin operecom-mititur.  40 cupatum, quod nomen ipsum ædis Sancta Maria invia , vulgari (vt videtur) vocem utila dicitur,  pro Sancta Maria in Trivia, vbi multa cum devotione Beatæ Mariæ Virginis etiam num ea aqua ab infirmis bibitur. De Fonte ergo ipso quia d huc in Triviæ vico celebris est, non est dubitandum. De origin e a u - Origo. tem , Pliniusa pertèdicit concipivia Prenestina. FrontinusautemCollatina ad milliariumoctauum, quæ vtquidam putant,duorumcircitermilliariorü pore(vtipsememinit )cæpithuius aquæ fimulatque Martiæpenuria: Ambitione (inquit) ac auaritia in vilas,acsuburbanadetorquentibus publicamsa Artificium per Usurpatio.  Herculews ipsam aquam volubilibus, & machinis) quæ eximo puteoads ummam planiciem. paffusexilitfonte, actantavbertate, vt non hortosfolùm,fed & totam quoque subiectam vrbis partem reddat irriguam. Cuiustam frugiope Agrippe. mu 4 OO 111)   munitum, quod nunc quoque visitur aliqua parte. Iuxtà estriuus Herculaneus. quemtamen non admittit, tùm quia locus palustris humilisque est, ac v l i g i n e totus obsitus; nec aquæ est satis vtilis: tùm qui a  satis fupe r q ; adeam formam aquæductus Salonia est. Neceum riuum admisisse antiquos,satis apertè de clarantea Plinij verbaiam allegata. Iuxtàest Herculaneus riuusqué A Salinis refugiens Virginis nomen obtinuit. Nec secusdimittendaeorum sententia aqua . est,qui ad Salinas vocatas à Frontino aquas pro Salonia acceperint: cùm hæ longiusinfluantà Salone, sinistrorsusàvia Præneftina, vcidem Frontinus inquit,passuum septingentorumoctogintaquævelAppiaaqua,velAppix Appi&origo carestudeat, piètamen & public vtilitati consulens, opus tàm frugiprofequu Vltimaper tusest, aquamqueVirginem,adeototseculisdesideratam, hocanno,acmen se MDLxx. decimoseptimo Calen.Septembris, cummaximo totiusvrbis applausu, ac gaudio perduxit in totum. Consultistamen prius (vt Sapientissimum decet Principem) Medicis, àquibus & bonitatem aquæ, et vtilitatem, quam præbere posset huic almæ vrbì re latam comprobauit. Qua dere Naturaem hæc mea eft sententia: Sanè magnum argumentum bonitatis huius aquæ hoc Qualitates esseexistimo, quòd hæcaquafueritinvsu, vt nunc quoqueeft, longiffimis seculis. Quippe hæc primas sempermeruit laudes simulcum aqua Martiain tercæteras vrbisaquas. Authore Pliniolib.eodem 31.cap.3.d.Quantum vir gotactu(hocestfrigore)tantumpræstatMartia haustu:alternantehocbo tactusintfrigidæ, easnonperinde(laudabiles) & haustuesse. Hæcs uccinctè Plin. Hác aquam Martialis cognominatcrudam, ilisuerlibus. Ritussi placeanttibi Laconum, Contentus potesaridovapore 30 te influentium, & tepidarum, & frigidarum aquarum; hanc specialiter vsu Ab experi- balnei comprobat frigore, & profrigida, metri causa dixitcrudam. Velcru mentis. Dam intelligas eum dixisse in comparatione aquæ Martiæ, quæ (vt dictúest) vtilior haultuerat, virgo tactu. In experimentis, tardius hæccoquit legu mina, accibariareliquaque Tyberisaquęlimpidę,& Cisternalesaliquę.nimi rum quia fluuialeseiusmodi, inrespectu fontium, omni exutæsuntcrudita te,ac pluuiales magis aëreæ . Cæterùm hęcaquanullis fontium aquis vide- 40 turmeritò postponenda. Cætera veròquælegunturaquarumvrbisnomina, autvariæduntaxatipso nomin e sunt, sicut iam plura ali c u i a quę adduximus nomina :a u t externę sunt Crabra. Sabatina Lacus Saba saporem, inter vrbanas non adnumerant. Nec Crabram,quæ erataliaaqua, aquæ,nonvrbanæ. Quomodo quidam Alfietinam, itavocatamobingratū tis.Amnis Tusculanis,vndeaduehebatur,relicta.NecSabatinam ,quamàLacuSa Larus . batis, qui hodie est amnis Larus, nouissima momnium aquarum breuimo. Io ductio. Martialis.  pars per Capenam portam , nunc Sancti Sebastiani ducebatur in vrbem. Tota ergo virgo aqua Saloniaeft, multisvenarum, & riuulorum acquisitionibus (vt Frontini verbisvtar) obitervsqueinviam Salariamaucta'. Quam Pivs IIII. Pont. Max. vt delectabatur vrbem suam æternis monumentis, publi cisq; idgenus operibus adornare,destinauerat.Pivs verò V. Pont. Max.cũ fanèprimùm orthodoxamfidemnoftramàtotseculihuiuserroribusvendi no , vtquæ CrudaVirgineMartiaquemergi. Quo nomine haud quidem cruditatisvitioeāhic Poëta damnare voluit. Sed mirisex tollens laudibus Hetrusci balneum, blandicie præsertim, & varieta dulo   20 qua q u a n ı diversæ à prædictis aquæ. Quod vsu c u e n i t in eternis id gen us operibus, perpetuams ibiquisque memoriamcomparare .ItaqueprimaTherma structuræ exemplo, nulloque integrèscriptoremandataliteris, nisi obiteràmultis,& controuersè. Etquæobfitaadeovetustissimisiacetruinis, vt quanquàm peritissimi multi hacętate antiquarij conquisitiffimè studuerint easinali quamlucem reuocare:nonminortamenadhucrelictafit, magnis etiamingenijsconfusio, vtquęsparsim dehislegunturauthoritatesscripto rum,cum paucisquæipsarumapparentreliquijs concordentur. Inprimis describendaessetixvoypapíce,basisquetantiedificij,quam noftriadverbúPlan tamrectè appellant: at hæc diuersissima habeturabe aquam tradit Vitruuius, neceadem dispositioin omnibus Thermis.Porrò, præterfpatiaplatearum, m i n a esse tantum aut instauratorum, aut insigniu m e o r u n d e m constat, h a u d ac additos lucos, hortosque immensos, ac Lacus, distinguenda effentloca exercitationum àbalneis.Acloca propriacuique exercitijgeneriassignanda, vbicominus, acbreuicirco, vbieminusfierent, sub Diuo, subtecto, in Xi stis. Et quæratio fuisset exercitiorum in Palestris, & quali aexercitia.Quis vsus præter e a totali a r ú partiu m: & quæ dispositio, Corycęi E, p h e b ç i, E l ç o thefij, Conisterij, Exhedrarum, Spheristerij, Xistorum. Etdebalneis, fi singulæ Thermæ plura habebant balnea, at dubiumnonest,quæ naniratio 30 distinctionis, ancommoditati, an loco, an ordini, vtcunctis legitur fuisse consultum. An omnibus vnum essetcommune hypocaustum :& feu vnum comm u n e o m n i b u s , se u c o m m u n e v n i p a r t i t i o n i , vt verisimile fit , q u o l o c o maximècommodo.Anbinæ& ternæ, quælegunturlauationes,eodem fie rentbalneo,andiuerso.Etsidiuerso,aneadem pluribusferuiebat,ansin gulisnouaaqua.Velquæ ratiotàmmiriartificijcalefaciendivna hora tantam aquæ quantitatem, quæ innumerabili populo sufficeret? Vnde & quo certo ductutantæ aquæ copia? Quæ ratio erat Pensilium Balnearum, quastantocú applause Vrbis, & totius Italiæ quosdamintroduxisselegitur? Quibusadid valibus, aut balneis, aut alueisvtebantur? Etsilabrislapideis(vt quidam pu 4 0 t a n t) quæ videmus per Vrbem maximis : q u æ e o r u m e r a n t i n balneis dispositiones, & quo situ ad aquas accipiendas? Etdebalnearijsrebus,quæ fanis expedirent,& quæęgris. Quiddicamdelauandirituperordines;perætates, perleges,peranni tempora,peripsaexercitia;acde innumerisdenique id genuscircunstantijs,quasvelnon scriptasabantiquarijs,velper coniectu ramduntax attentatasà iunioribus, merispotiùserroribus obscuratas, quàm explicatas invenimus? Quar e n o s d u m h e c aliqua ex parte revocare in lucem intendimus, & quævsuimaximè medico opportunasunt, exponere,nullam Fos Veneris  1 rum instituta, atquemomenta Aquarum ductuum habemus . is fchnographia Thermarum, &dehisquetractandafunt. Cap.v. Hermas verò per partesliterisinstaurare, haudquaquàm presentis muneris est. Nec facile esset, pro tantæ molis magnitudine,  n õ v n i u s dulorestituit  Hadrianus I. Pont. Max.quam & Ciminam interim appellariin uenio,àCiminoipsomonteinFaliscis, fonteVenerisdeducta.Drusaauté, Ciminaaqui Annia,Traiana,Antoniana,Seueriana,Alexandrina,& idgenusaliæ,no. ferè Dubia in Ther. 2 Oov   ferèiuniorum positionemfequemur:sedquátum exrationeillorumrituum,  Spacia Thersimulatque locorum ipsorum diligenti consideratione colligerepotuimus, percurremus. Spatia in primis Thermarum videmus amplissima: atque ad eo vt quasdam vndeciesmilliespedumtotaarea continere constet,authore Baptista Alberto in libris de Architectura. In Diocletianis, quæ inipsaareaappa rentvestigia,præterspatiavndiqueplatearum,& prætermembra,quæinfe riusacsuperiusvarijsThermarum ministerijsferuiebant,centum continent partitiones, vario ac nobiliffim oordine. Nec mirum, siconsidereturpublici çdificijmagnitudo,inquocommunis fueritratiomaximæciuitatisadexer 10 Magnitudo . c i t i a corporis, ad balneas, ad disciplinas. In  i s enim communia er nt  studia , tamanimi quàm corporis, necaliaerantartium gymnasia, vndefæpè apud authores Gymnasia legimus pro balneis. Necminus addelicias: Nam ratio Gymnasia acresipsaostendit, nonfolùmvsuiinpartibus Thermarumfuiffe consultum, verumetiamvtiuuentus faciliùsadea studiatraheretur, & delicijsmaximè, & ornamento cunctarum rerum. Propterea Thermæ neque digniores occupa bantvrbislocos,nequeintervilioresfiebantvicos,sedvbilocicapacitas,at Forma Ther marum,ac partitið. queoperismaiestasrequireret.Vitruuijtamenętatenon videturfuissecon suetudinis Italicæ (vtipsescribit)magnificareadeo palæstrasac Gymnasia in Thermis: vtquibus satisad exercitiafacerenttùm Campus ipfeMartius,tùm Agonalis,totCirci,totplatex,totaliaexercitationumlocapublica, & priuata. Sed per angustas fieri, & paruas quales Agrippæ Thermas m e m i n i t P l i nius.Pofteàveroperductoimperiovrbisad luxuriam Principum ,non m o dò Græcorum more constitutæ,sed dilatatæfuêreamplius,distinctaquem e liuslocaexercitationum ,acGynınaliaàbalneis.QualesAntonianæ,acDio cletianædemaioribusextant,acmeliusdispositis:quarum sinunc præsumná describeremagnitudinem ,non tam describere, quàm maiorem partem di gnitatis earum mihi videbor minuere :sedharum m a x i m è,ad notitiam tanti ritus, fequarvestigia. In his edificationis eratvaria forma, ac varia dispositio partium : sed a r e a amplissima, q u æ i n q u a d r u m c l a u s a , tribu s v e l u t i perpetuis circuitionibusdiuisaesset. In primovndiq;ambitu,quæ męnioruminftar lib.s. 6. 11. totum edificium claudebant, errant gymnasia exercitationum, varioordine, quædicemus. In secundo, longèlat eque spatia platearum ,Xista, acPlatano nes, ad exercitiasub diuo. In medio,totaipfamoles Thermarum,quæ sunt membra balnearum ,Atria,simul atq; Xifti, & Palęstrarum amplissimæ porti cus,vbi (authoreVitruuio) Athletæ perhyberna tempora intectisstadijsexer cerentur, actranfirentstatim ad balneas, vtdelineataprimùmipfarumbasi, distinctèmagissingulaexplanabimus,  4marum . Thermæ. Ther.Diocl. 1 Oo vj   Hexedra Lalitudopal. 200 choricen Calidaria FO х NAT  MC) V R a THERMARVM DIOCLE Longitudo Platego Atriolum Die Scola riú BВ Spheriferti H Tostring 71 Apod TOD  Schola Longitudo Ρ Ι Α ΤΑ Laconica Hexedra Basilica Fngida Topida n uนี" Agaagiâetlume ORIINS Hexedma Hephebri ATRIVM nPoarttaitciuosnis la карэхэн Spheristerium 200 Hacera Lpatlitudo. 2  Hemicyclus Condste platego Porucus Tres Stadiate Theatric SET   VN M M HT NONES Hexedra A triolum sperifleriâ Laconicü Coniste Hephebell Hexedra pal . Kesedara LongituPdloa . odyterium Hypocau Dico Engda Hexedra 'Jių rium Porticus Staduatę Aquagiấetlume pal. OCCIDENS OS Tres salo ирэхэн ATIOTES TIANARVM ICON. ATRIVM n Paotrattiicounsis Spenfterum I O O O. Basilica Tepida Frigidai Calidariú Tõstrina A 5oC Hemicjclus sefala ridium PTENTRIO Scola 1    Departibus Thermarum, acexercitationumlocis. Cap.vi. N PRIMA ergo facie, quæestadmeridiem,tertiamferèpartemmediamoc cupabat Theatridium. Quæparseratprincipalis,& tanğcaputtotiushuius ædificij:vndeduplicem (vt quibusdam videtur) habebatvsum;alterum extrinsecus, alterum intrinsecus. Ambitum enim exterioré ponunt fuisse a r c u a t o opere distinctum ,& apertum ,quo exéplo patet, circūcolumnium poftbafilicam Posticã. ecclesiæ Lateranen.Vnde. f.ingrederenturquafiper Posticum, fiuedextrâverte rentur, fiuefiniftrâ per porticus, apertèvenirentinampliffimam plateam,ac exindè quò vellent, fiue in palæstras, fiue in balneas. In conspectu verò interiori ergaplateas,eratTheatrispeciedistinctumcũsedibus,vbi.f.populus,& maximè nobilessubvmbrameridieisederetadludorūspectacula, quiinplateisexercitij causa f i e r e n t. Partes verò quæ v t r i n q u e à Theatri d i o p l u r e s s u n t , a l i q u i b a l n e a putant.Ná quodrotundaformaestvtrinqueinversurisvnum ,pinguntessecali darium,& consequenterponunt vnú Tepidarium,vnum Frigidarium,& vnum lib.5.c.1 Apodyterium. Nec equidem nega uerim debuisse quæ d ã balnea s e o r f u m , & q u a l i extra palestras constitui:partimmulieribus,partim artificibus,&hisquivenien tesàciuitate,statimintrarent,& quasiextràconspectumpopularemlauarétur, & abirent.Verütamenhæcnonfuiflebalnea,hauddubièvidetur:nam iuxtàeá ria Sacella. appictionem ,nullus hicvidetur Hypocaufti locus:quoddebuiteffeinmedio, & communevtriqueordinibalnearum ,tefteVitruuio,atinmediohiceftThea tridiummaximum.Nec eratconsentaneum,vtmébraspectaculieffentStuphæ. Deest & laconicum ,nisifortasse hæc opinio confundat laconicum cũ calidario. Saterat& vnum Apodyterium comune,vtpotevnum vestibulum balnearum : hicduo ponuntur. EtprætereaTepidariaduo,cùm tamenidemfitTepidarium, quodApodyterium.Meliusergomihivideturdicendū,hæc fuiffepartimipfius Theatridij membra, & partimlocaadvsumAthletarum.i.eorum,quiexercendi essentcoram Theatridio, vtpoteConisteria,Elçotesia,& quædam apertè in pla team, forsanequorumcarceres. Duo pofthæc Peristiliaquadracaoblonga,hinc (vt scribit Plin. Lunior de villa sua) exercitationú generibus.Vel Sacella,vtnota turperædiculasæquisvndiquespatiisstaruarum.hæceratprimæfacieipartitio. Porròinalterafacie,quæabaquiloneeodemcomensuhuic refpondet, videntur Gymna fuiffe maiori ex parte Gymnasia, philofophis dicata, ac Rhetoribus, reliquisq; q studiis literarum de dissent operam.Vtpot epars magis remota àftrepituAthle tarum,& litucômodiffimo,tùm propteramenitatévnibrarum(erant.n.inhac plareaPlatanones,vtdicemus)tùm proptergratafontium murmuria, inNataa tionéipsamcadentiū. Quaproptervisum estpluribusantiquariis, inmediohoc Vestibulu. Spatioå Septétrione fuifleprincipale vestibule totius huiusæ dificij. Exquoper40 Hexedre medios Platanones patebat aditus ad Natationem, & hinc, & hinc in porticus, in & Hemi-basilicas, Diętas, & atria, quæ pofteà dicemus. Primùm verò àd extra vestibuli, cycli. & àsinistraerant Ex hedræ pluresclausæ ante plateam, &cusedibus Hemicycli forma, vt disputantes, & tam loquentes, quàm audientes sese omnes afpicerent: & aliquæpatentes, cellscholænoftræad leuiora studia. Maioremverò citer  10 Peristilia fia. atq; hincvnum àTheatridiq,quasipalestræbreues,veldeābulationes.Acinver Spheriste surisvtrinque,vnum Sphærifterium ,quod diximus rotunda forma,cum plurib. 30 Schola. exercitationum. Gymnasticarum continebant partem duæ vtrinque facies laterales, hinc,atquehinchabebantpartitiones.Ac fuisseeasadexerci quæ conformes tiadicatasvidetur:tùmquiaplatexhælateraleserantliberæ,& amplæmillecir,  citer pedum spatio. T ù m quia membr a ipsa partim erant Hemicycli aperti cũ sedibus,acvarioornamento,quod apparet,lignorum ,acpicturarum :& partimconisteria,Elæothesia,aliaquemembra advsumAthletarum oppor tuna . Totam hanc autem primam circunferentiam circundabant continua porticus,ducentiscolumnisvnostylo. Subinde erantPlatex,amplæ ,& .Nam siædificiorumperfectioproportionibushumani corporisresponderedebet,vtVitruuiustradit,perfectisfimèresponder in Thermis Diocletianis, ac melius quàm constituat ex Græcis Vitruvius. Ex Lib. 3. 20 eniminhis Theatridium ,vbieratvestibulum ,tanquàmcaput: Apodyteriū, pectus: Hyppocaustum, Stomachus: vmbilicus, maxima, acregalisbasili-Diocletiana cainmedio: venter, Natatio. Membrorum veròvtrinque, quæfuntbalnea, rummirifica a t r i a , palæstræ, porticus , Diętæ, basilicæ; æ q u a r a t i o , a c m e n s u r a e f t, v t b r a a r s et de chiorum, acfæmorum. itavtquæ exvnatradeturparte,cadem ex alterapa basilicaameniffima,vbiconuenirentomnes, quivelinpalæstrasventuriBasilica. essent,velinbalneas. Idcircosatisampla,ornatuplastices,acpicturis adhucnitetantiquiflimis. Hinc rectâ in Diętam, quæerateadem capacitate, fed latiortamen basilica, duplici columnarum stylotripartita: nam media par teceuatriolum,erataditusinatriummaximum,& inpalestras: capitaverò hincatquehincdeunebantinhemicyclis,vbifortasseAthletarum ferrentur iudicia Circuncolí - liberæ, vt dixi , t à m q u æ a n t è Theatr i d i u m Stadium , nia . ,erant xistum, Platanones, & autem,quæeratanteNatationem enim Xista (authoreVi maximè estiuas idonea . Fiebant adexercitationes Platani, virentesqueidgenusXista,&Syl )interduasporticusSylux,quæerant caperentre-ua. truuio situantèNatationem ,vndeaquarum arboresconfitæ,aptissimo autemStadium,itafiguratum,inquit Vitruuius,vtpof frigeria. PoftXiftum, Athletarum cursus, variaque alia sent h o m i n u m copiæ fine impedimento hæ omneserantpartitionesquoquo latere,&  gym : spectarecertamina.Atque veròoperismaiestas,erattotamolesinme Stadium nasiorum,& platearum. Summa ,acmultimodisearúmē dio,quæ communes habebatpalæstrascum balneis bris,acmiriartificij ,quàm vtræquelaterales. Inea Porticus riterintelligendafit. Incipiemusautem àNatatione,quæpatentiffimapars aspiciebatAquilonem:& exeaàlatereperbasilicas,acdiệtasveniemusin atria,exindeinpalæstrasinteriores,acmaximam bafilicam,& demum ad balnearum membra. Erat i n q u a m Natatio in re c e s s u m e d i o a b a q u i l o n e, l o n Natatio. Gitudinedu centorum pedum, latitudinedimidiominus, ponte ,acarcubus bipartitaadinterioresaditus, vbinunc factaestmaiorisaltaris basilica. Habe batautemàcastelloproximo Aquæ Martiæ emiffarium, quod per occultos tubos ferebatadNatationemipfamaquas.Habebat& supernèadlongitudi-Emissarium nem fontesvariaspecie,acMusxa,quæ teftePlinio,expumicibus, acero-aqua Mar fisvetustatefaxisextructa (vt hodie quoque Romæ sunt in vsu) specusima-tię. g i n e m referebant, ac fiftulis modò apertis, m o d ò clausis , vario , blandisli moque salientium aquarumlusu,recentessemperaquasinnatationéipfam Fontes,ac fundebant. Miriscircùmadhibitisornamentis,quorum etiamnumapparetMufaa ædiculæfignorum,& statuarum,fontiumquevestigia, & columnarum bases. A Natatione plura, ac nobilissimamembra: primùmabvtroquecapiteerantPorticusna amplissimæ porticus conformes, nimirùm & adspectaculaNatationum,& tationis. adrefrigeriaconstitutæ.Etaliæadaltiorem prospectumporticuspensiles,mi noristylo.Exeuntibusveròàporticu,tamdextrâ,quam sinistra,eratprimùm fcriptio. 30 Platanones. Dięta.  iudicia . I n Atriis era nt Peristilia, hoc est circü c o l u m n i a , quæ facie b a n t a t r i u m oblongum trecentis pedibus, latitudine dimidiominus. vbiin Porticu , orie simacum sedibus, quæ tertiaitem parte longior quàm lata, eratad exercitia Corticum. iuuenumdicata. Sub dextra Ephebei erat Corticeum,seu Coryceum à Co. Coryceum. ryco, quod videtur pilæ genus in Galeno 11. de San. tuenda. Seu Choriceum Choriceum dictum, Choreisnimirùm, ac saltationibus locus proprius. Proximè Frigidarium, locus ventis per flatus, feneftris amplis. Ab eoqueiterin Spheristeriú ro oblongum, & fimplex, ad pilæ ludum aptissimum. Adsinistram Elçothesium, Spherifleritquæeratad vnctiones faciendascellaolearia. SubhocConisterium, vbificcó Elçothelium.puluere, velharenaluctaturiseseconspergerent. Ab eoqueiterinPropni. Conisteriú . geum, vbi erat in ver  u r a porticus Laconicum, quod referemus suo loco p o Propnigeú. iteà. A Peristilioautem, atrioqueintrantibus ad interiores Palæstras, erant Talastre in Porticus tres stadiatæ ,quas hodie occupat longitudo ecclesiæ.Ex quibus m e teriores . diaparsamplissima, centumpedumlatitudine, superingentescolumnas,al Porticusftatissima prominettestudine, cæterùmitafactasecundum Vitruuium , vtilate Frigidariit. diate. Xistus. ra, quæ suntvtrinqueadcolumnasmargineshaberent,& qualeshabethodie viaabHadrianimoleadVaticanumsemitas,nonminuspedum denûm,re liquaqueplaniciesoctogintapedúm.Itaquivestitiambularentcircùminmar 20 ginibus,non impediebanturàcunctisfeexercentibus.Hæc autemPorticus ziso'sapud Gręcos vocitatur,in quo Athletæ in tectis stadijs exercerentur.Quę quoniamexacteeratinmedio,& velutiincordetotiusedificij,vbimaximè conueniresolebatnobilitasadexercitiahyberna,adambulationes,& adspe ctacula;cæterasmeritòexceditpartes,tùm magnitudine, tùmregalimaie stateoperis, altiffimisfuperbiffimisqueprominenscolumnis,& patentissima vndiqueinperistilia, inbalneas ,in Hypocaustum,inNatationein,acfuper nè feneftris illustrator latissimis. 30 præualereassuesceret: deinde ad sanitatemtuendam,quiduofuerant fines præcipui:& demumaddelicias.InquibusomnibusmutuaBalnearum,atq; Exercitationum errant beneficia. Nam quantum conferebant balnea lassatis rumque similiter coniunctaeratvtilitas, acmutuaerantinuicembe Thermarumneficia. Nempe Thermarum ratioduos,imòtreshabebatfines:primumad instituta,acdisciplinamiuuentutis,quæficviribuscorporis,honestisquevitæconatibus fines et Exercita exercitatione, aclaborecorporibusadroburviriumreparandum,& admun tionum muditiam. Tantundem rependebant vtilitatisexercitia,fine quibus balnea non tuo beneficia possuntessevtilia,maximèsanis.ItaqueGalenusinlibrisdetuendaSan.mo Non p i l a , non sollis, non t e p a g a n i c a Thermis Prz .   tali parte, eranthæcmembra,situaliquantifperdiuerfoabeo,quem assignat €phębeum Vitruuius .PrimòEphæbeum , in medio, hoc autem erat Hexædraamplif Balnearum 1 Bal. Recurel Atria . De exercitatio num generibus, ac preparationibus ad balnea. Cap. vir. CONSTAT ergo hactenus,balnearum locainThermis,atqueExer citationumfuisseconiuncta.Idqueoptimaratione,quoniam vtro dobalneaRecuratoriaviriumessedixit;modò Exercitia Præparatoriaadbal toria. Exerci nea.Quod frequenter inalijs authoribuslegimus,& succinctèeoEpigram tatio,Prapa ratoria. mate colligiturMartialis vnde dieta existimat D. Augustinusinconfessionibus,quòd Bénestaisdivíes,idestquòdan xietatestollat. Ergo vtpro veteriinstitutogenerosæ Ciuitatis,quam diximus inlaboribusnatam& educatam,magnaeratomniuminThermiscelebritas; itapro tempore, & proconditionibuspersonarum ,Exercitationeserantva- Exercitatio riæ,& invarijslocis.QuippealiæinPalestrisfiebant,aliæinXistis,aliæinnumloca. Hexedris ,subdioalię,instadio,& platearumliberofpatio;alięinpluribus fiebantlocis.Necsecusquædamerantcommunes exercitationes,pueris, senibus,& iuuenibus, vteo carminenotaturà Martiale. tereolusuum genera,quorum (vt cætera rumrerum viciffitudincs sunt) vix nomi. Iuuenum  1. De fatu.  Præparat, aut nudis tipitisictushebes. Vara nec iniecto ceromate brachia tendis, Folle decet pueros ludere, follesenes. Quædam propriæ.Iunioresautlucta,autcursu,autfaltu,autpilaludicriss;Personarum 20 idgenusexercitijscepissentafsuescereinEphebęis.Quemplanèmoremre exercitatio- presentauit Plautusin Bacchidibus, vbi in personam seuerisenisindicatpue-nes. Rosprimis vigintianniscum Pedagogo in Palestramantè Solem exorientem veniffefolitos, d. Βαλανέα Romanorum Puerorum Non harpaftamanu puluerulentarapis. Vidiffesigiturtum frequentem civitatem ,nonfecusatq; hodienossolemus Vite ratio facrasEcclefiasfestissolennibus, frequentare Thermas. Alios quidem adho nestos, quos primo instituto proposuimus vitæ conatus .Alios ad sanitatem Ther. tuendam . Et alios ad oblectamenta tam animi ,quàm corporis capienda, pro celebritate illa populi, pro variarum rerum, ac ludorum spectaculis. Et d e n i que pro amænitate loci deliciosissimi: vnde barevéesidcirco dictas græca voce Ibi cursu, luctando, hasta, disco, pugilatu, pila, Saliendo se exercebant , magis q uam scorto, aut f a u i j s. Fortiori autemiuuentaiis dem quidemexercebantur, velacrioribusetiáple runqueludis,halteribus,harpafto,& aliquandocęstu.Velarmorum varijs g e n e ribus in Palestris. Vel in Hippodromis cursu equì, vel agitatu. Athle - Caftus. t æ v e l s t a d i u m spectante populo de cusrrissent, vela c r i pugilatu dimicassent,  Halteres . cum cęstibusplumbeis,acbaltheis implicatismanibus,quo grauiùs percu terent. Alijsaltusimul et halteribus, item plumbeis globulis. Alijinsphę risterijslusifsent pila, vel foliinplateis, vel Harpasto, pilamaxima. Senio-Harpastum. resquidam, quorum erat ad sanitatem præcipuastudia,vtrecensuitGalenus, ambulationeduntaxatantèbalneumcontentierant. Alijclaralectione, vel Senumexer disputatione in Hemicyclis, velde clamatione oratoria, vel cantumusico. Alijcitationes. modòvnovtebantur, modòalioperoccasionem, exercitij genere. Id circos. Defa. tu. nec mirum septies quosdam aliquadielauari solitos, quod apud Plinium le gitur. Alexander Seuerus, vt  meminit Lampridiuspostlectionemoperam Palęftræ, aut Sphæristerio, aut cursui,aut luctaminibus mollioribus dabat, m o x venieba t in balneum. Aliis supplebant diurni operris labores, quia d r e Operari j. creandum lassatum viriumr oburvsuriessent balneo. Cæterùm lenis exercitationis modus erat ambulatio,quam Senes, & Virigraues,& imbecilles potiffimùmobibant. Dignioradlaudem ,acdisciplinam,eratexercitatioin Palestris & armiseorum, quirobustisess entviribus. Etquam oriquazíar, hoc 2. Desa.cu. est vmbra t i l e m pugnam, vt interpretatur Gellius, Græci appellant, divodepce T e u Tirl , ob salubritatem a gymnasticis dictam,Galeno teste. Innumera præ Рp   nomina adposterasætatestransiêre.Necnostræprofessionisestexercitatio Nostrisecunum singulosmodos,aut genera:quibusiliveteresvterentur, recensê. livita dif ferensaban tiquis. re, quam partemà Hieronymo Mercuriali, Medico atque Philosopho scientissimo elucubratam, propediem in luce meditam videbimus.Verùm exco rum exercitiorum censu, quem fecimus, hanc præcipuam habebimus vtili tatem, considerantes quàm longè differathic præsens nostri seculi viuendi modus,& maximèPrincipum,necopportuno pofteros destituemusconfi lio. Sanèvbiillorumtemporum vitaaffiduisdeditaeratexercitijs,vtpote 10 quæ & fanitatem conseruarent,& promptiores redderentviresad singula, tàm animi, quam corporis munera o b e unda; è contra hodie in continuo ocio degitur. Età Principibus maximè, quiob decorum, ac ampliffimi ordinis maiestatem , semotam à communi consuetudine degentes vitam ;aut curis animi grauibus iugiter tenentur. Aut siad ludicra aliqui tranfire foleant, ea Exercitianoinertiasunt, tabellæ, alex, vel Trochinouus modus hàc illuc supermensam stritemporisagitati: inquovitægeneretandemobdefidiain,& anxietatem,totam breui inertia, cursu vitædeficiant. Quapropter generalisfimum hoc ac saluberrimum sibi 20 Exercitijnequisqueproponeredebet institutum,exercitiumnecessariumessead susten cesitas ad vitationem vitæ: inquire omnes sapientes, variorum quenationum ritussum moconsensu conueniunt. Verùin quoniam hoc tempore non solùm pluri maveterum exercitiorum generanon funtinvsu, imòvelipsorum nomina (ut diximus) sunt obscura; necadeoilisvtiessetpoffibile,quinec Palestras habemus,necThermas,proptereàingratiamnoftrorunPrincipum,aliquot particularium exercitationumgeneraproponemusexGaleno, atq;alijsan tiquisauthoribus, quarum multas si non in campis et plateisobirepoterit; licebitfaltem et incameris et inatrijs,acviridarijsfuis,seruataetiainperso nægrauitate,percommodèexerceri.Exercitationum (inquitGalenus)com Exercitatio-pluresdifferentiæinueniuntur. Aliærobustæsunt, & violentę, fiuevehemen num dife-tes; aliæmediocres,&lenes. Aliæ singulares, aliæcumalio fiunt. Etaliæ rētiæex Gavni uersas simul corporis exercent partes, aliæ vnam magis,& aliæalteram . le.2.desan.Vehemens exercitatiodicitur,quę& robusta,& celerissit:atquehæcmul tergrauequoduistelum iaculari,& continuatisia&tibusoneremaximo subla  tame, pervertere temperaturam coguntur. Vnde non m i r u m est, q u i p r æ p r o p e r a m accelerentsenectam , incurrantque facileautinmorbosrenales,autinpoda gram,autinHemicraniam,aliosqueidgenus affectus,medioquevelutiin fum tuen to, tash abet differentias. Quædam enim fiuntocylimèagitatis, quædamrobore, acnixu, quædamfinehis, quædam cum roborepariter & celeritate ,& quæ Exercitatio-damlente.Fodererobustaest,& singularis exercitatio,remigare,discum nugenera. mittere,mouericeleriter,saltare;idquefineintermissionemaximè. Simili et ac clivis ambulare.Grauiarmaturatectumceleriteragitari.Continua tusdiucursus.Et iterfacere.Perfunem manibus apprehensum scandere, modo in Palestris quo solitum erat puerosexerceri.Velèfune,velperticama nuapprehensa sublimenpendere,acdiutenere.Manibusinpugnum redu: &tis, iisdemqueprolatis, velinaltumsublatis. Halteribus,feuglobisplus minusgrauibusleorsumpositis,vtraqueseinflectensmanu attollere.Quæ robustior erit exercitatio, si qui ad sinistram manum fuerit dextrâ coneturat tollere, & sinistrà qui ad dexteram. Diuq;,acsępiusidentidem facere.Potest & foliscruribuserectusacvnolococõsistensceleriterexerceri, modò retrora suminsiliens, modóinanterioravicifsim crurumvtrunquereferens.Solus fimiliterexerceriest,summispedibusingredi,tensasqueinsublimemanus, hancantrorsum, illamretrorsumcelerrimèmouere.Sehumi celeritercir cumuoluere, velsolum,velcumalijs.Cum alijsverò& citràrobur, & violen tiammultæexercitationesperaguntur. Vtcursusadmetam constitutam.Vel vibratilisar morum meditatio. Summisinuicem manibusconcertare.Co nes cú alijs. ryco,& paruapilaludere. Stare, nec finereseloco dimoueri;quo exercitij genereMilo Crotoniatescelebratur.Velseerectum ,& circumactum 10astantemmutare.Complecti quempiam manibus,digitisquepectinatimiun ctis,isque diuellere seadnitens. Medium appræhendere ,ac sublatum ceù magnumonusprotendere,&reducere. Luctaytriusqueluctatorisrobur maximèvtipoteruntSeniores,& quiadmotumsuntimbecilles. Ambula .Vltimò Fri &tiones suppleant. His omnibus ex ercitationum generibus ,imòinfinitis alijs (vtGalenusinquit)docebant Pædotribæexercendumesse:& velinPa læstris, velextrà, velinaltopuluere, velconculcato, & firmosolo, & omni noantèbalneum. Quibus & nosiuxtàpræsentemviuendimodum,siuepro præparatione, fiquis velit ad balneum,feusinebalneo,vtpleriquehodiefa tecdicere,quæ situborealifrigidas,acpurasstatimàfontibusadmittebat aquas.EratenimNatatio (vtidiximus) separataà partibus balnearum: citationes, le  cimus , percommodè vtipoterimus. Sed de exercitationum emolumentis 40 alio loco occurretdicere: nunc ad describendas balnearum partesin Thermis redibimụs, acaliaineisrequisitaexplicabimus. De Natatione. Ne i principes autemThermarum partes, primùm de Natatione opor Cap. vii . Рp ij nimi. Exercitatio. prope rium mem brorum .exercet. Luctaricum roboreest, ambobus cruribus alter alteriu scrus com plecti, minibus intersesecollatis, & collo. Manua lteratanquamfunecol loalteriusiniecta,ipsumqueretrorsumtrahere, acreuellere.Pectoribusex aduers o i n n i x i, magn o se co n a t u i n uicem retrudere. Ad singulares po r r ò universalis, attinet electionem , qua parte corporis quis vtivelit, aut indigeat exerci- particula tatione . Aliæ enim vniuersas simul exercent corporis partes;quo nomine ludusparuæpilæàGalenoprætercæteracommendatur. Aliæ vnam magis, aliæalteram exercentpartem, lumbos, crura,brachia, spinam,pulmonē, Deparuepi thoracem . Itatio, cursusquecrurum exercitationes sunt. Acrocorisini, hoclxludo. Est festiuæs altationes & Sciamachiæ, crurum, brachiorum ,& manuum pro pria. Lumborum autem, affiduèse inclinare,autpondusaliquod àterra tollere,autassiduèmanibus sustinere, Spinam transuersim exercet, atollere (vt dictum est) alternatimhalteres. Thoracis vero et pulmonis suntpro priæ, maximæ Respirationes. Cor. Celsus inter exercitationes imbecillisto lib.2. c.8. macho conferentes,claramcommendatlectionem .Maximaveròvoxvocis quoque instrumentaomniapermouet, dilatatque:naturalemexcitatcalo-Clarale&tio. rem, & quomagisfitafsidua, eomagisvniuersis corporis partibus communicatur, vtinnostris concionatoribus experimur et in libro de voceà Gale noestproditum. Hoc genere exercitationum per vocem, quælenessunt, Lenesexer Lufta. Etio,& amo tioneetiam quimagis validi. Velequitationessufficiantur, gestationesquebulatio. seucurru, seuproægrotantibusin Scimpodio,& Sellaportatili Cap. 18.   Nimirùmquia singularis eiuserat, acpropriusvsus, non tàm quidemadlaua Varzac efttionem ,quàm ad exercitium. Eftenim Natare laboriosum, quòd itaiacta quoddam e rerectèAristotelesinProbleumatibus,Natationem ,oblaborem,cursuico parat , aquarum periculaexercerentur. Et Galenus testator de suo tempore, pue 1, Defa.tu,rosin aquis qumasina's Feudasfacere consueuiffe,idest, quòd prima fiebantin of Pifcina, Piscina P u aquis pueritiæ rudimenta. Itaque præter Tyberis commoditatem,propria adhuncritumlocaconstituta fuisseinvrbediximus,quæ diuersisexplicata nominibusinuenimus, Natationes, Piscinas, Stagna, atque etiam naumachias, Piscinædi&tæ, quòd & pisces hauddubiècontinerent, nontamenad vsum piscium, nam ad hoc propriaerantviuaria,sed ad munditiam seruanda aquarum ,& amoenitatem . Videturautem exercitatio numhuiusmodi causa, primùm constituta fuiffe Piscina publica dieta sub cliuo Capitolino, ad veniebat populus. Exca& piscinæaliquandofuntdictæparticularesNata tiones,& labra lapidea, qualia Romæ videmus maxima, nec non portatilia, ac lignea advsum etiam calidarum aquarum. Quod authoritate constatM. 08 Tullijad Q.Fratrem desuisbalneis,Latiorem (inquit)piscinamvoluissem, vbiiactatabrachianonoffenderentur. Hasà Galeno,acalijsGræcisautho x a n u p u s o ' n ga ribus, modò x o d u a k r í z s a s, mod ò Bari i su p o e edicta s legimus. Parva autem Solia , Capesupulco peluesquequercus; quam differentiam planamfaciuot Galeni verba lib.7. Mé πυελοι. Stagna. thodi, vbi ad ventriculis iccitatem curandam, quæ Hecticamminetur, nata tioneminbalneo factam consulitivteīsnonumerisus, id eft in piscinis natandocó stitutis, quàmivtotspixpsīsavenoīs. Memorantur porrò & Neronis Stagna,vbi Amphitheatrumà Martiale poniturinprimis Epigrammatis d. Hic,vbiconspicuivenerabilisAmphitheatri Erigitur moles Stagna Neronis erant . Quod tamen stagnumnon plane constatanad natationis usum, anpro Nau stagno circumpofuit, conseuiffe. Stagnihuiusin Vaticano Naumachiæno Navale Sta minememinit Egelippus Græcus author, in D. Petri & Pauli martyrologijs. Cæterùm NaumachiapostNatationes& balneas,altiorisfuitinstitutiquàm Naumachia adnatationem ,nec,nifipoftimperiaprincipuminuenta. Nempe inqua nautici certaminis fieret spectaculum, vel ad disciplinam militarem , q u ò faci of Finis duplex liùsmilites pericula Aluminum, vel naualis belli, cùın opus fuisset, possent Naumachię euadere. Sic Polybius refert Romanos primo bello Punico, quod aduersus Chartaginienses gesturierant, militessuosinnaualidisciplina exercuisse. Et SuetoniusAugustumcúm effetcótrà Pompeiumiturus, inportuIulioapud Baias milites in nauali exercitatione tota vna hieme detinuiffe. Vel erat N a u jucundunfpe Etaculum. machiævsusaddelectationempopuli,vtcæteraspectacula.Pluraenimerãt q u æ præberent animo delectationem :primò aluei magnitudo, ac Cyrci c u   1 vivarium . blica. Quam (ut Festus Pompeius est author) & natatum et exercitationis caussas duo . rat, gnum . xercitium, tismanibus, accruribusaffiduè, vniuerfæcorporis exercentur partes.Qua Et Oribasiuseaminteraliaexercitationum generaadnumerat. Imò Natationis in vrbe fuitprimus ,acantiquissimus vsus ante balnea :quando scilicet conftitutæ fuerunt exercitationes in Campo Martio,vbiiuuenes (te ste Vegetio)  puluerem, sudoremque detergerent, simulatque a d o b e n n d a machiafuerità Nerone constitutum.Vsumtamen vtrunquepræftarepote Neronis no- sicut& de altero eius nominis meminit Tacitus,claufifle Neronem in m i n e stagna valle Vaticani spatium, in quo equos regeret, apud q u e n e m u s , quod navali iusdam OZ   jusdamamplissimiforma,editaadcommoditatem tantiludi,inconspectu maximæciuitatis. Deinde classisineam, etiammagnarumnauiumintrodu Etio, & ludusipsecertaminis. Etdemum populicelebritas, & velipsaaqua r u m copia, atque amænitas, m a r i s i n f t a r tranquillissimi. Et quæ apertis e u ripistantamvimaquarun vnohaustureciperet,laxaretquefinitospectaculo.Martialis inquo mouet admirationem aduenæ Martialis,dum sicadulatur Domitiano.locus. Cui lux primas acrimunerisipsafuit. Ne tedecipiatratibus naualis Enyo (Paruamora est) dices, hicmodò Pontuserat. Ex quo plane authoritate colligitur, in Cyrcotammarisquàm terræcelebra In Cyrco rispectaculadebuisse: vbimodòterra (inquit) modòPontuserat. Quod Naumachia. Cyrci MaximisitusconfirmatinterAuentinnm montem ,& Palatinum de pressus,inquemGabiusæaquæriuus,quemMarianam posteridixerunt,perGabiusaa petuòinfluit na. na aqua,vtFrontinuseftauthor, quæ fapore,& crafficiemarinamaquam AugustiNa 2 0 æmulabatur, in q u a faciliùs natat r, t e f t e q u o q u e Aristotele in Problemati - u m achia: sub colle Hortulorum, ademiffarium aquæ Virginis. Authore Sueto Domitiani. nio,quiasseritDomitianum circunstructoiuxtà Tyberinilacu (inter Cain pum Martium scilicet& ipsum collem Hortulorum, vbi nunc iuxtà Sanctito pluresessentqui exercerentur et quifrequentarent Thermas adca,quă Bal spectaculaquàm quilauarentur.Eteodemtemporemagnahominum co-nearum. piaexercebatur,&quivno,&quialioexercitiigenere. Atadbalneasin trantiumcontinuaficbatsuccessio, nam cùm priores occupassentloca, reli qui (vt scribit Vitruuius) circunstabant,dum lauarentur. Pleriquesani,ac robusti, poftquàm in exercitijs incaluissent, nullisferè alijsvtebantur bal neis(vtinfràmonftrabitur)nisinatatione.Quæ parsidcircoeratamplissi ma,& exercitationibustamsubdialibus;quàm interniscommodissima. Ve lBalnearum transiffentdunt axat ad balneas calidas, atqueillicoegrelliinsiliebantinfrigisitus. dam. Summa ergo artificijin balneishæc fuissevidetur, vt in locoessentquả commodo omnibus seseexercentibus;acmirandiplanè artificijministerijs totaquarum ,calidarum simul,& tepidarum ,quæcontinụèexsefunderen turin balneas. Pro commoditate, ac ratione lauationum, erant omnes ad Рpij meri  Et parvndafreti, hic modò terrafuit. Non credis ?spectes dum laxent æquora Martem. ropriè verò ad vsum naualis certaminis, duæ fuerunt certiffi-qua Maria inæNaumachiæ.PriinaAugustitransTyberim,adductâobidineamAlfieti Sylueftriædesapparentvestigia) naualespugnasineo, penè iustarum Claf fiume didisse. Luxuosissimus Heliogabalus, euripis vino plenis, naumachia Heliogabali. exhibuisse. Tradit Lampridius. Sed nuncad partes balnearum proprias accedamus . De partibus balnearum, esde Milliariis vafisin Hyppocausto. BÀLNEARVM veròinThermisnoneamvidemuscopiam, quamde BВ exercitationum locis iam diximus. Ex quo planè videtur, quod m u l n u m pluralo Exercitatio Siquisades longis serus spectatoraboris, bus. Alteraverò et magis celebris, fuit naumachia, quam Domitianidixi . mus Apodyteriú seu Tepidarium . meridiem,vndefolissemperillustrarentur,acfouerenturaspectu. Nam tó: taeafaciesanteriorerat distincta in duos ordines balnearum, vnusàdextris Hypocausti,&alteràfiniftris. Etvterqueordo distinguebaturinquatuor Cameras, conformes vtrinque, ac ita collocatas, vt ex una in aliam Etuplatearum àsitumeridionaliproposuimus,progressuferèad media pla eratceùvestibulumregaleApodyterium ,seu Tepidarium .Quem lo mirabilem, meritò alterum noftræ ætatis Trimegistum dixerim. Hinc fini Hypocaustús tror sumn modicus introitus in Hypocaustum. Sive (vt meliusdicam) super Hypocaustilocum ,quirotundaforma,cumopportunishincatquehincmē Cryptoportibris, nuncprimisNouæEcclesiæfacelisdicatuseft.Totaeniminfràmoles res. Aftuaria. darum, aliæ frigidarum aquarum ductus, alię calorum æstuaria, aliægrandes tores (vt vocabulo vtar Iure consulti) curam succédendi ignem habebant in Thermis. Eratautem vnicum, teste etiam Vitruuio: collocatum tamenin medio,vtcommuniseiusessetvsusvtrisquecaldarijs,exvnapartevirilibus, 30 exalteramuliebribus.Idqueperopportunaæstuaria,quierantmeatus ab Hypocausto perpetui, vndecalores occulti in cameras caldariorumipsorum penetrabant. Quod tetigit in primo Syluarum Papinius Statiusd. Vbilanguidusignisinerrat dioplacet)æneatamenpatinasubiecta. Quorumidemeratnomencum ca meris prædictis,vnum caldarium, alterum tepidarium, tertium frigidarių. Legitur item Milliaria, a magna fortasse capacitate, quali plus millelibrarú aquæ caperent.Quippeidgenusvasa, teste Vitruuio,maximi aheni inftar, actestudinataadcircinum ,itaerantcollocata, utex tepidarioin caldarium quantum quæ calidæ exisset, infueret, de frigidario in tepidarium adeundem modum. Atque hinc planum artificium est, in quot a n t opere laborauimus, quomodo ad communeinvsumtantaaquarum copia exvafisfuppedi tareturinbalneas. Quod restituoinlucem ex Seneca, quidum adLucillum miradeliciaruminuentasuitemporisdetrectat,hocafferitobiter. Construiteam , huiusædificij, concameratainuenitur,acdistinctaaddiuerfosvsus. Aliæ Fornacato. Criptoporticus erant patentes ad refrigeria in magnis caloribus. Aliä сali 40 IO CUS . 20 cum laxum, & hilaremdescribit PliniusadApollinarem, hocest,amænum, acmollisteporis, tùmsolaribusradijsàmeridie illustratum;tùm proximi Hypocausti vapore laxum :vbi nimirùm ingressuri ad balneas exuebát vestes. Qux quoniamprimaerat, acnobiliffima Thermarum pars,nobilissimietiá numapparetartificij. Figura inquadrumoblonga,achemicyclisquaquefa ciedistinctum,cum aditisvndiqueintercolumniorum ,columnisquesuper nætestudinisaltissimis,quætàmauthoris,quàmoperissummam maiestate ostendunt. Vnde sapienter hæc pars , proposita est pro prima porticu Ecclesiæà Michaele Angelo Bonaroto, quem pictura, sculptura et rchitectura cloacæ vnde lauationes exonerarentur, & aliadenique Hypocaustum ,atq; Lib.s.c.10 Hypocaustimembra.EratergoHypocaustum fornaxinferior,vbifornaca Aedibus,& tenuemvoluunthypocaustavaporem. Vasariatria SuperHypocaustotriaerant compositavasariaænea, velplumbea (ut Palla Mincepice Græcis hæc Mirsapíe, Latinis (vt apud Catonem, Senecam, atque Palladium folitum aditus .Inmedio quidemerat Hypocaustum, vtrinqueveròinversuris La conicum, deinde consequenter Calidarium,Frigidarium,& tepidarium,vt planèsingula explicabimus. Principio contram Theatridium, quodinprospe pateret solitumin ipsis milliarijs dracones, quæerant fistulatavasatubæ instarære tenui, perdecliuemilliariocircundata,vtaquadum ados draconis con lis canales occultos, q u o r u m aliquæ visæ sunt reliquię in eruendis ad nouam 2 0 ecclesiam m a c e r i j s: atque ex hinc aquas de duci s o l i t a s in N atationes , i n F o n sicis organis n o n absimiles . Q u i a d firmitatem quidem , ac robur faciebant Tubi etepi ipsis v a l ibus: simulatque artificio ferès i m i l i q u o n o s hodie Romæ nymph e i s s t o m i a. acviridarijsdamus velarcemusaquas,habebantfiftulasinfra parietes occul tas, q u æ in cameras balnearum ,vbi opportunis locis essent epistomia, infun d e b a n t aquas . Quod ex eodem Seneca non est dubium, d u m n i m i æ l a u t i t i æ adscribit, quod continue aqua calida ex sefunderetur in balneas ,acrecens semper, veluti ex calido fonte per cameras transcurreret. Et ex Galeno, vë iam decamerarum dispositionibus dicemus. De Laconico, esde Solis Balnearum . RDINES quidembalnearumin Thermisduosdiximus,vtrinque scilicetabhypocausto vnum testeVitruuio,alterumvirilium,alte Balnea viri. rum muliebrium. Nam vtscribit Gelliuslib.io.cap.3.authoritateVar ronis2.deAnalogia,Pudornon patiebaturvtrunquesexum simullauari,sed do liadoMu aquarкт epis t o m i j s, fundebantur. Vbi nota h a r u m ductuum in Balneas alterum arti 30fícium. Eranttubięne ierecti, tresàdextera et tresàsinistra milliarijs, m u 40 glomerati specie plurieseundem ignemambiret, pertantumfueretspatij,vasis. quantum acquirendocalorisatisesset. Quare triplex semper aqua invalis, acinfinitæcopiæ, calida, tepida,frigida, nam successiuas vasexvase Caldarium piebataquas.primum quidem,quod caldarium dicebatur,superprimavas. hypocaustistraturacollocatum, tanquam omnium vasorumvalis, calfa tes, Dracones i 10 са. Etasperdraconisinuo lucra fundebat aquas. Secundumsuperhoc erat tepidarium, quod a primi vasis vaporibus modicè incalescebat. Tertium Fri- Frigidariú. gidarium: vtpotequod frigidass tatimab emissario aquas capiebat et quan tum subiecta vasa vacuabantur, tantum hoc nouarum aquarum infunde- batfinefine. Emissarij verò huius obscura quoque ratio est. Nam vide-Emisariaa mus quidemad Thermas ipsas propria aquarum Castella constituta: qualequarum· extatin Diocletianis poft palestras orientali parte. Etin Antonianisàt ergo Theatridij admeridiein. Horum tamen altitude nullibi excedit planiciem bal nearum. Nec vllus est modus, neque artificij vllius vestigium, insummis Thermarum testudinibus, vndetam altè deduci potuissent aquæ.Videturita que mihià proximisiliscaftelliscóstructosfuiffeinfràpauimentatotiusm o Tepidarium lib.io.administris balnearijs veletiam iumento alligato, subleuatæ aquæinsu ipsihypocausto piscinam infundebantur, quæs ponteposteàinsubie pernamn rursusin Tepidarium ,& conse ĉtumFrigidariumcaderent,& exFrigidario , quenterinCaldarium ,velutidiximus. Vnde plenas emper vasa suis aquis imumcalida, medium temperata, supremum frigida, quæ per fistulasencas hinc atque hinc in quolibet vase compactas, versis ad vnum quenque actum Tympana Fistulę aqua ac alias piscinas. Hinc, tanquam a communi fonte, per rotas ac tymparo t e a c na, ac id genus alias machinas aquæ hau storias, quas describit Vitruuius commoditas coniungi desiderabat. Quanquam in hisque post Varronis et post Vitruvi j ętátem f a &t æ sunt , hæc distinctio non sit mihi ve risimili. Q a n rum . liebria.   do auctoritu exercitationum,ac lautitia inThermis ,vix publicas potuisse virorum frequentiæ sufficere videtur.Itaquepromiscuas potius ex eo tempo refuissereor,achonestismulieribussatisfecissepriuatas,velquasprincipes Matronas constituisse iam scripsimus, Agrippinæ Neronis matris balneas, terke inbal Olympiadis,atquealias. Cameræ in quoque ordine quaternæ, Laconicum, Calidarium, Frigidarium et Tepidarium. Velternæ adminus :hoc enim non videturdubitandum ,non fuisseThermas vno stylo vbique ,nequevno ordinepartium et tam in publicis quam in priuatis. Et hinc in authoribus Celsus. Tanta earum inuenitur varietas. Quaternas point Celsus lib. 1. cap. 4. dum scribit, Sub veste primùm paululumin Tepidario sudare folitos: tùmtranfi- Galenus. re ad Calidarium, vbi sudabatur largiùs, quod ponitpro Laconico: tumque aut in calidamd efcendere,autinTepidam ;deinde in Frigidam. Easdem C.i72ero qua λουτρόν Pyriateriit. Hypocaustü point Galenus lib.10. .Methodi, a Laconico incipiens: Primùm enim inquit ingredientis inaë reversantur calido:hinc secundò in aquam Calidam defcé dunt,quod propriè aoutcovait appellari. Ab hac mox in tertiam Frigida ibár: & tandem in quarta sudoren detergebant , quod erat tepidarium, seu Apo dyterium græce dictum. Inquo& Celsusdicit,fenouissimèquiselauissent abstergere,& vngereconsueuisse. Quem planèordinem& inhis Thermis, quarum videmus vestigia, seruatum inuenimus. Extat Laconicum adsuda tiones inquoqueprimæfacieiangulo vnum , idquenonadeomagnum ,hu- 200 iusenim partis noneratvsus communis, nequeadeo necessariusomnibus, vtquibus fatis ad sudandum exercitiafeciffent. Sed imbecillis proprius et quiminus validiadexercitia,sudoreshocloco excitabant:subindeintrabát adcæterasbalneas. Nomen autemdeduxità Laconibus: quos huncritum rium, Laconicum veròc ommuniter omnibus, & Ciceroni quodam loco ad Sphærifte- Atticum. Suetoniusin Vespasiani Cæs. Vita Sphærifterium hanc partemap- 30 rium . pellat à figuræ rotunditate. Locus quippe concameratus ac rotunda fpecie, Lib.5.c.10.habens,authore Vitruuio, inhemisphæriolumen,exeoqueclypeumæneú cathenispendens,percuiusreductiones,acdemissiones perficeretur Suda Clypeus Lationum temperatura, vaporibusnimirùm ficretentis,veldifflatis. Erat autem huius institutiratio, vtfcribit Dion in Annalibus, vtfus è intrantesinhac par vfus: t e sudaret et sub i n d e unctione ad hibita, statim descenderent in frigida. Quod planè clarius ex Galeno fiet pofteà, ac à Martiali obiter tangitur in Hetrusci Thermis, ad Oppianuin tribus versibus. tepidum tamen aquarum vaporem potuisse suscipere. Proinde Celsusineo, affus dixit sudationes lib.z. cap.27. alibi exiccari dixit corpora: Seneca exani tos   .primò instituise, Plutarchusin Alcybiadis Lacedemonijvitaeftteftis. Græ Calidarium. cialiquando Ilupice Supo's,& nonnullisuTorw50sdictum,ob igneum ineova Sudatorium.porem :Latinis modo Calidarium ,inodò Cella calidaria,Senecæ Sudato Laconici coni, ncis. mari, ritus si placeant tibi Laconum Contentus potes arido vapore CrudaVirgine, Martiaquemergi. Vaporíqua Virginem dixit, & MartiaminhisbalneisRomanasaquas,blandissimifrigo litas in Laco ris. Videtur autem Laconici aërem ,siccum quidem fuisse, atque igneum, Bico. Galenus & alijmediciinterdum elixari, Oribafius planè aëreferuidu dixit , ac præhumidum i n Laconico . Quod rationi consonum sit. Nam ex æstuarijs, partim quidem siccis, ex quibusiaindiximusabhypocaustooccul   10 su  tenui calore, diceba t Galenus x . Methodi, reservatis vniquem eatibus, liquatisque per totum corpus superfluis ,sudores, vtilesquemadores clicere, quæ inęqualias untęquare, cutimlaxare et multa quæsubhac detenta erant, vacuare. Ex Laconico patet aditus i n Calidarium, quod proprie Calidum So aoutpór, hocestlauacruindicitur, eodemteste,& calidum Solium. Patetau-lium. tem hæc pars,duplex magnitudine ad cęteras cameras :vt cuius in balreis maior erat necessitas, longior in e o f i ebat mora, ac usus frequentior, præsertim minusvalidis ac imbecillis. Vbi meminisse oportetex Celli verbis, quæ pau Halat & immodicosextaNeronecalet. Mox tertiolocoeratFrigidarium ,seuFrigidumSoliuminquo aquaexquisi. acviresdensatacutifirmarentur. Qui enim, subdit,hoc modo àcalidislaua- Vlus. tionibus, sudationibus que laconicis ftatim in frigidam non descendissent, Paulo post transpirato immoderatius calido innato,totum corpus frigidius euafiffesentiebant.Quodfanèfrigidælauatiofieriprohibebat,totum semel corpusconftringendo,&constipando,nonsecusatqueaccideresoletcalen tiferro,quod quùm infrigidammittitur, & refrigeratur,& induratur. Atque huius rei causa potissimum constatinuenta fuisse balna, pro imbecilliu vm i delicetcorporumrobore: hoceftvtimbecilla corporapræcalfacerent, itaque ad frigidum Soliumpræpararent. Adeoquepræualuitsemperfrigidarũvsus,Frigidarum 40vtvixquidam alijsbalneis vterentur. Carmis Maffiliensis Medicus, etate Neronis prerogativa, scribit Plinius lib. 29. cap. 1. damnatis prioribus Medicis, ac balneis, frigidalauarihybernis etiam algoribuspersuasit. Merficęgrosin Lacus.Vide bamussenes consularesin ostentationem vsquerigentes. Ex frigido tandem Solio erat exitus in Tepidarium, tepidiscilicetaëris,q uod diximus apodyterium, sive spoliatorium. Etcratfinisinbalnco.Ancè Tepidarium tamen Cella olearia in Diocletianis commodè est ut videtur Cella Olearia, eademque Tonstrinæ na.  tôs penetrare ignes in cameras, partim aqueis per suostubos ac spiracula, v a pores misti ad hemisperium Laconicipetentes,sub curuatura magni clypei intenuiffimasconuertebanturaspergines,quæimbrium modò super capita Facultates. corum ,qui morabantur in Laconico depluebant. Potest autem hæc prima pars lo ante retulimus ,vel in calidam fieridescensum , vel in tepidam , & quali ad uno, tenore vtentis arbitrium potuisse temperari. Et Galenus in 3. de  an, t u e n d a idem videtur asserere, nimirùmquòd in Calido Solioaqua, exvafisquæ diximus Miliariorum calidis, tepidis ,ac frigidis, poteratadvsum trifariam tèfrigida, ad hunc videlicet vsu minquit Galenusx.Methodi;vtquæ fuerantFrigidum.So fòexcalfacta fiue'in lium., anterioribus Solijs, fiucin exercitijs, hicrefrigerarentur, An balnea calida . fieri, tepidam, aciusto calidiorem. Quam tamenva ri, nempè temperatam lauationibus, sed in priuatis,vel non videopotuissefieriinpublicis rietatem , parabatur à Balneatore aqua advsum pu adpriuatosvsus. Nam in Thermis compara LO Aeftiuo serues vbi piscem tempore quæris. fortas selocus,vbinimirùmoleaseruarentur,atquevnguenta do Tonstri ,aliique odo blicum,vnotenorecalidaomnibus. Quod declarant authoritates scripto-frigidæ, alia rum, quialias Thermas appellant frigidas, alias blandas, alias fervidas. Vei frigidas significauit Martialisinprimo Epigrammatum. In Thermisferua Cecilianetuis. Idem inx. Neronianas indicat fuisse calidiffimas, eo epigrammate. Temperat hæc Termas nimios priorhoravapores res cal d a Therme alię   resad opportunosvsus,& quivellentbarbæ,& capillorum cultuivacarent. Unetiones in Eratautem hæc pars vn ade necessarijs, acessentialibus (ut ita loquuntur) in Thermis, toto ritu Thermarum, quandohiçmoseratcommunissimus,vtquisque lo tus,simplicis faltem oleivnctionevteretur,tùmvtsudoresinhiberet,tùm vtfeabextrinsecùsambientisiniuriavendicarepofset. Hunc enim tenorem in omnibus ferè,quę hùc sparsim adductæ sunt,authoritatibus obseruabis : primùmlegiturexercitium,deindebalneum,vbifrictiofiebat,& detersio, inoxstatim frigidæ lauatio, pofteavnctio,posteacibus& potus,vltimòso mnus. Proinderecolome legissepluriesinvitisPrincipum, ficuti ntermu..10 Oleimunus nerapublica erat Congiarium,erat Recta, erat Sportula,itaoleum aliquan publicum. do publicè donatum , quoin communi velutigaudio,quisque frueretur in balneis.Nimirùm vel Thermiscùmprimùmdicatis,velfaftualiquoPrinci pis.vnctionum verò,quasquisquesibipriuatimdeferebatadbalneum,luxus legiturinestimabilis.Quidelicatèviuerent,velimbecilles,odoratisvnguen Balnea con - t i s r e f o u e bant spiritus. Quosdam legimus iu f f i s s e s p a r g i p a r i e t e s unguento. spersa vn-Vtfimul (equidem puto) & lauarentur, proiectisinalueositaimbutosaquis ipfis, & vngerentur, fic penetrante exactiùs vnguento, & odorem, virtu temquesuam diutiusseruante in corpore. Atqueita Caium Principemsoli tum lauari, testisest Suetonius. Scribit Lampridius Heliogabalum nunquá inPiscinislauarisolitum,nisiillæcroco, aliisúepreciosisvnguentisperfusæ fuissent. Velplanè conspersiseo modoadluxum parietibus vtebantur,vedu quis se parieti confricaret ( quod aliqui facere folebant, vt apud Spartianum in Hadrianoleginus)sineministris,acetiam proprijsmanibusperungilice Balneton ret. Neroautem profusissimus non folùm calidis balneass pargebatodorib. guentipre-sed& frigidis quoque vnguentislauabatur, fcribitPlinius.'Recensenturau ciosi. tem hoc in generepræciolamulta,quæ (Galeno teste) Romanorum lauritia Olea, etvn- inueniffevidetur: vt Mendelium, Cyprinum, Narcissinum, Susinum, M e guenta pre- galium factum ex balsamo, Regale apud Reges Parthos primò comparatum . ciofa. Nardinumquoque,quod& Foliatumdicebatur,Plinio:& alterum Spicatú, QuodidemNardipisticæpræciosivnguentum legiturinEuangelio.Etitem30 Iasminum oleum ,quododoriscaufla(vtteftiseftDioscorides)non inbal neissolùm,verumetiaminterepulandum apud Persas,vsurpari consueue. Unguenta in r a t . Dono , e q u i d e m o p i n o r, et in Xenijs. Quem morem d i u Spartanos , at conuiuijs. Quelonasretin uiffe narrat Valerius quę, Plinio teste, Diapasmata,quasi conspersoria dixeris, Cyprini pulueris instar,quohodievtimurodoratissimi;dequoebriam,putidamq;Felceniam illuditMartialis in primo Epigrammatum , eo carmine. Quid?quod oletgrauiusmiftumdiapasmatevirus? Apodyterií Vt redeamus ergo ad cameras, Apodyteriumerat principium, & finisinbal gues. 40 M a x.lib.2. vnguenti, coronarumq uein conuiuio dandarum, secundismensis.Erat& Oenanthinuminter præciosa. Quorum similia aliqua apud Paul. Aeginetam legimusvnguenta,atqueolea. Multaquei d genu salia apud Plinium lib.13.inalabastrisferuarisolita:nunc omnia rarissima, aut que d a m sub dititi a, vel adulterata, tantæ verò e a tempestate copiæ, vevsuscorum ad vulgares quoquede fuxerit, quodserioarguit Iuuenalis . Moechis Foliataparantur. Diapasmara Ad sudores autem propri  c o hibendos, quæda m ficcis constab n t odoribu , neo;  eôdem nimirùm reuertentes, vbiantèbalnearum vestimentacõsignal sent.Idemqueex Galeniverbisplanèintelligiturx.Methodi:hicenim dum cunctarentur,actergerentur,corpusadhucpersudorem ,innoxiè,accitrà refrigerationem vacuabatur,acinnaturalem redibatmediocritatem. Porrò vana quorundam controuersia est, ponereAuicen.trescasas(itaenim interpretantur) in balneo, easque long è aliter dispositas, quam diximus. C u i b i l. cnim dubium non fuisse balneas vnost ylovbiquenequevno ordine? Defijf setamen pariterapud Arabes hunc ritum, testator Auerroes in Canticis, acBalnearum nonmirùmimperfectastùmeoshabuiffebalneas, Nequeinantiquiffimisanidemsły 10exempliseadistinctioquærendaeft: quando Hippocratisætatenon adeori tè balneaparabantur, quod & ipseinnuit 3. De ratione victus in morbis acutis. Neque in priuatis multo minus, quas Galenus aliquando perinde damnat, acincommodas, Depensilibus balneis, ac balneariis rebus. Uenire potuirationem .Nam si Pensiles balncas intellexeris sublime salueos, Pensile quid & quæ fu per solario locatæessent, idmagnuninoneft: ficut & Hortospensi lesvidemus, atquehorrea, acmaiusopus, Thębas Aegyptias pensiles fcribit Plinius. Audiuiqui id artificiumattribuant Laconico, ècuiussuspensura  lusvbique. ENSILIVM veròbalnearum,celebreduntaxatnomenperuenitad nos , fuis se eas inter maiora illius seculi blandimenta : cæterùm Cap. xi. n a m e a r u m fuerit ratio, non facilè ex aut ho r i b u s colligitur. Ponit Valerius Max ,interluxuriæexemplalib.9. CaiumSergium OratamPensiliabal quæ Auicenna neaprimum facereinstituiffe. Idquet radit Plinius lib.9.cap: Pensilibal 54.L. Crafsi Ora- neurum inui torisetate,parum anterempub.occupatam.Queminteraliasvoluptates,& torSergius Ostrearum afferitinueniffe viuaria, nec tamgulæ causaa, quàm auaritiæ, vt Orata. Quiitamangonizatas vendebat villas. Eadem testator Macrobius3. Saturna lium cap.15. Porrò venisse eas in gratiam popularem planè oftendit Plinius lib.26.cap.3.Asclepiadis NeronisMediciçtate:vrbe,inquit,imòveròtota Italiaimperatrice,tum primùm vsu balnearum pensiliadinfinitumblandien te. Extat & Annei Senecę censura ad Lucillum,dePensilibusbalneis:qua vaporesconuersosintenuesaspergines,imbriummodo Aqua pensi supercapitacorum, lis. q u i lauabantur, depluere diximu s. Vel quem ad modum Aqua Pensilis dicitur z Fluvius p e n & Auuius Pensilis, ita id balneum Pensile fortasse intelligendum, exquodi-filis. ximus (authore Seneca, atque Galeno) calidas perpetuò aquas, vel quales quisquevellet & tepidas & frigidas, velut ex calido fonte depluere, actran {currerepercameras. Verùm nihililliusblandimentivideoinhis,quam ob rem populus eascum tanto applausu receperit, & quæ ad authorem adscri: bantur voluptuosiffimum. Pensiles ergo balneę haud publici videntur fuisse vera balnea instituti, sed in priuatis extitiffe. Vtquæ priuatum habuêre authorem , & pri-rum Pensi uatamc aussam ,nempèinuentæaddelicias. Necvllumvestigium,nulladeliurnrutio. Hisin Thermispublicismentiohabetur, Earumveròrationem, inquatanto. perehesitaui,elicioexeodem Plinio, cuidererumantiquarummemoriapri ma laussupercæterosscriptores,meritòtribuendaest.Pensileenim dicitur rum inqnit suspensura inuentaest,vtnequid deesset adlautitiam. Hæc ha 3 benturde inuentione, atquedelicijs Pensilium , quarum tamen non facilèin 40 P suspen   suspenfum,& mobile: qualesipfememinit lib. 19. cap. 5. Tyberij Cesaris hortos Pensilesmiræ voluptatis,quoshaudquaquam ponitsupersolariolocatos, sedsuspensos,& mobiles, quos(inquit)singulisdiebuspromouerentadso lemrotisolitores. Quod idemclarainbalneis authoritate exposuit lib.26. сар.3.dum Cleophantum Medicum commemorat, authore  M. Varrone, alia quoque blandimenta ex cogitaffe, iam (inquit )suspendendo lectulos, quo rum iactatuautmorbosextenuaret,autsomnosalliceret. Iambalneasaui disfimahominumcupiditateinstituendo:easdemscilicet,&suspensas,vtdi xitlectulos.Quam fententiam confirmantquæmoxpaulòsubiunxitverba, quæ allegauimus; Anxiam nimis fuisseAsclepiadis, & quorundam eum se." quentium curan ,tum primùm Pensili balnearum vsu ad infinitum blandien te. Easdem & balnearum suspensurasdixitSeneca. Et ValeriusMax.impen faleuibusinitijscępta,suspensis calidæaquæ balneis. Vnde fiiam mente co cipiasvidere hominem inbalneo Pensili,velęgritudine debilem,vel volu ptuofævitæ,çuiusdulcitepore,acleniiactaræ,& nęnijs,& dulciconcentu tibiarum,somno& quietiindulgeretur,iamnihilpoterisexcogitaresuauius. Leftuli non Ex quibus intelligitur, neque lectulorum ritum in publicisextitisse:sed ho erấtin Therrumquoq;, vtPensiliumbalnearum,priuataratioeffedebuit,maximèegris. mis. Vtensilia in Neque particulariumquorundam vtensilium ,quorum in balneisaliquando xandrinusPedagogij lib.3.cap.5.consueuiffenobilesanteferreadbalneasva sainnumerabilia, aurea,atqueargentea,quorum hęcquidem adlauandum, illa ad vescendum, alia ad propinandum. Quin etiam carbonum craticulas, Syndones. &cathedras.Syndonestergendosudoripræparatas,maximèægris,memi-. nusfitpedesdenos,vtgradusinferiorindeauferat,& puluinusduospedes. Labrainvr-Hactenus Vitruuius. Quare, vtarbitror, labraistalapidea,quæmultavide bemarmo-muspervrbemmaxima, vicenos& ampliuspedeslongitudine, erantfortaf-40 s e i n priuatis balne s. Vel aliqua fort af f e in Thermis ad magnificentiam potius operis, ac ornamentum, quàm advsum. Alioquia d publicum vsum nó videolocum ,nequeadeofuiffevidenturcapaciapopulo. Pofteàvitroquæ dam extructafuiffeconftat. Pauimentorumautem, ac Lythoftrotorum, quibus alveos, atque ipsas cameras a d o r n a bant, luxus erat inæstimabilis. Quod certe inuentum Agrippæ tefte Plinio lib. 36. cap. 25. In Thermis, inquit, quas Romæ fecit Agrippa, figlinum opus encaustopinxit, in reliquis albarioador  Sufpenfabal nea, Thermis . mentio fit, quæ pueris voquisque domino ad balneum ante ferebant. Ut de strigili, quo sudore in detergebant;meminit Persius eocarmineIronico. Strigiles Ipuer,& Strigiles Crispiniadbalneadefer. Inęgristamen prostrigilibus,quierantvelofsei,velferrei,velargentei,spon giavtebantur,Galeno testex.Metho. Idgenuserat& Guttus,quodLe cythumquoquelegitur,inquoferuabanturoleuni,velaliavnguenta præ 20 30 rea, ciosa ad balneum. Hydriæ, pelues, alabastri, aliaqueid genusvasa, exau Vasaaurea.ro,argento, ferro, velinterdum lapidibusquibusdam. Refert Clemens Ale Labra , nit Galenusx. Methodi. Labraautem ex Vitruuio,& vestigijsipsorumal ueorum videntur fuiffe extructa in cameris signino opere , atque albario : sic enimlegiturlib.5.cap.1o. Labrumsubluminefaciendum videtur, nestan tes circumsuisvmbriso bscurentlucem. Scholasautem labrorumitafieri oportetspaciosas, vtcùm prioresoccupauerintloca, circumspectantes reli quirectèftare poffint. Aluei autem latitude inter parieten & pluteumnemi nauit.  O nauit. Non dubi èvitreas facturus cameras, fipriusi dinuentum fuisset. Libro autem3.cap.12.visasolimscribitBalineasgemmis,acargentostraras,vtnevitres ca vestigio quidem locus esset. Argento fæminas lauari solitas, argenteis folijs, meræge m Afiaticori sum missem perin delicijs fuisse apud omnes nationes oftenditur, hanc par mirans, hydrias, pelues, vnguentorum odores, & alabastros, cunctaauromaditißimg 20 lita, ac miro ornamento instructa; ad socios conuersus , & quasi nimiunı il DeritibusantiquisinThermisvrbis. Primis ergoThermarum ,ac Palæstrarum institutis,jam partium earum principalium distinctiones,necnon requisitaad earum vsum magis necessaria tetigimus. De Ritibus verò in eis, atque ordine publicaemolumentum, quoniam per hæc oblectamenta, assiduafiebatin gymnasijs frequentia,acvarijs,quasdiximuscorporisexercitationibus af suefiebat iuuentusad armorum industriam ,vnde faciliùs posset militiæ labo res,quando hæc erantprimailliusfeculiftudia, sustinere. Hûc accesserat& alia causa, quoniam qui tepidescere quodammodo ab honeftis conatibus cepiffent,perhas delicias retrahebaturà vitijsanimi, sicqueocium, quod eftomnium malorum fomes, tollebantur, feditionesarcebantur, & omnes populares corruptelæ. Ex quibus triainter communes ritus videnturesse manifesta. Primùm si vetustam illam verecundiam, ac Romanum decusrespicias, summam inThermishonestatemfuisseferuatam. Simaiestatempopu li,omnia ineis fuisse magnifica & splendida, velutidiximus, & quæ nolentes allicerent, atque etiam traherent. Sid enique communem causam. Communem, ac liberum earum vnicuique fuiffe usum. Erat autem hæc balnea- Thermecó. Rum condition communissima, vt singuli balneum ingressuri Quadrantem solmunes. Uerent balneatori. Quodplanèaliquæpræclarædeclarantauthoritates: pri Quadrantis mùm M. Tullii pro Cælio, vbi quadrantariam vocat permutationem balnea em concludam. Asiaticos durante suo imperio luxuofiflimos fuisse, acexeis Thermalu A Fines, etvti &, probrisseruisse. Pauper fibiquisquevide eandeinque materiam & cibis seexercentium,aclauationum,haudmirum esthæcinstitutasempermaioré mis,acar litatesprin habuisseprogressum ;siconsideremus non folùm hincvitæ cip.ilesTher 30 seruare consueuiffe , fanitatem elegantiam eos , & roburcorporis;sedquod maius eftinre ز gëtostratę. Baturacsordidus (scribit Seneca ad Lucillum) nisiparietes balnearūmagnis, a c preciocis orbibus refulsissent. Alexandrina marmor a Numidicis crustis distincta, operose vndique, & picturæmodo variataçircunlitio, Vitroconditæ cameræ. Aquainper argenteaeffundebantepistomia, & adhuc (inquit) ple beiasfiftulasloquor. Relinquocum hisstatuasillicęternitatidestinatas, operatectoria,picturas, speculariorumlapidumluxus, quiantècameras præbe bantlumina, & columnarn mingentium numerum, alia quetantioperisor namentasinefine. Atque hocvnotantùmPlutarchiexemplo,quobalneas primùm ad Gręcos, & exindeadRomanos huncmorem balnearumema nafse,apud veterum historiarummonumenta clarum est. Cùm ergo Alexa der Magnusdeuicto Dariorerumtandem Persię, ac imperijeius potitusesset, balneumque, vt sudorem pugnæ leuaret, ingrederetur; aquarum ductusad-Darij Ther ludens luxum, Hoccine (inquit) imperare erat. Torifieri solitam . Indicat & cocarmine Horatius, folutio. 1. Saty.3. Qq dum xuofiffima.  Nuditas in Redde pilam ,sonatæs Thermarum ,luderepergis? Verecundi ase nudum quisque in balneas exhibere ,& etiamin exercitationes. Cuiusreiinteraliafidem faciuntstatuæ, præsertimvirotum,inqui bus videtur minuere potuisse corporis gratiam, ac venustatem, si non pudenda etiam fimpliciterenudataessent. Nonnullitameninterexercitationes, autfuccinctafibulaprodiresolebant,autsubligaculis,quæ & subligariavo nihil foluiffe videntur :teste Iuuenali Satir.2.d. Nec pueri credunt, nisiquinondum ærelauantur. Quorum tamen priuatafieret lauatio, hora extraordinariaquæeratpoftde cimā, ij pluri precio lauabant, quod indicate o carmine Martialis lib. 10. Balneapostdecimanılafo, centumq; petuntur Quadrantes, &c. incommunitamen gaudio, erataliquandohocmunus interalia Principum, ut gratis lavaretur. Antonini Pij exemplo, quem balneum sinemercede prestitisse, meminitIul. Capitolinus. Sive ergo proveter iinstituto, fiueproso Sub ligaculo cabant. AuthoreM.Tullio1.offi.Scenicorum mostantamhabetveterisdi rumvfus. Sciplinæ verecundiam,vtinScenasinesubligaculoprodeatnemo. 40 Tecta tamen non hac ,qua debes partelauaris. .promi-Cæterùm cum haclicentiabalnei,videturdiuadmodum perdurassemulie. Eal. Mulierum verecundiam,quænon promiscuècumvirisintrarentinbalneas,nisi perabusum .Hinctotpriuatarumbalnearumnumerus.Etquædam viden  uerecunda. Subligar. E.. dum tuquadrante lauatum 14 .annum, Lauari. Cædere Syluano porcum, & quadrantelauari. Pueri tamen antè Fibula . Bal Rexibis,&c. Vituperanseum Principem,quivtvnusdemultisqua drāte lauaretur. Idem Iuuen.authoritate confirmatur in 6.ybi mulieres quas d a m a r g u i t i m pudentiæ, q u æ c o m m uniter cum viris auderent, inquit ips e, lutamercede,hocmanifestumest,commune,acperpetuum fuissein Ther Locai Thermis indultum ,vtlocus inbalneo, cuicunque tam primati,quàm plebeio co mis commu munis esset , atque indifferens . Ex quo intelligitur Tertulliani similitudo nia. aduersusMarchionem, QUASI LOCVS IN BALNEIS: quiavidelicetnul li e x merito datur, necto l l i t u r locus in balneis, iam gratuito constitutis, & T intinnabu - ad usum publicum. Erant autem tintinnabula in Thermis summo quo p i a m fasti g i o p o s i t a , fære factitio conflata, quorum s o n i t u populum, sicut i h o d i e adfacra; conuocari lauandihoraeratsolitum.Tintinnabuluminter Xenias exhibuit Martialis, eo disticho. Virgine visfolalotusabire domum? Facitadeandem licentiam Suetonijauthoritas, D. Titum Cæs. admissaple Secum plebebenonnunquamin Thermissuis lavisse. Et Aelij Spartianialia, Hadrianum Cæs.tamprobatævitæ,publicèfrequenterselauiconsueuiffecum multis, verecundia etiam priuatis . Inuafiffe enim consuetudo videtur,ex affiduis il lisexercitijs, inbalneis. vndefolutohabitu,acseminudiplerunquehominesdegebant,vtnonesset Idem affirmatquodamloco Clemens Alexandrinus de athletis et martialis si pudor est, transfer subl igar in faciem . 10 la. Reges lauif. invil. bres . uaret .d. Dum ludit media populospectantepalæstra Delapsa est misero fibula verpus erat. Et lib.3. Chionemnotat verecundiæ, quæmuliebriainbalneis contectala tur  publicæ fuisse muliebres, ut Agrippinæ Augustæ Neronis matris. Olym piadisitem balneæ in Suburra. EtquastransTyberim, quasiextràconspe čtum hominum habuisse Ampelidem,& Priscilianam ex P.Victorerecensui mus. Conqueritur hac de caussa insuis Amatorijs Propertiusnon eam esse tum Romanis virginibusin balneis libertatem, quibuscum more Spartano publice liceretcertare, & lauari, hisversibus. Sed magè virgine itot bona gymnasij. Quòd noninfamesexercetcorporelaudes cepsbeneinstitutę Reip.lapsus) totossingulisdiebuslauaricepisse.Invniuer 20sum , qui cunquein exercitijsfuis, autlaboribusdefatigatieffent,vixfanam vitam putassent, nisibalneasstatimintrarent, vbisudoré,fordespulueremq; detergerent,acintotum semolliaquarumfoturecrearent. Quoplanèfit,veSeptiesquos dam lauari. mirumessenondebeat,nequeluxuiadscribendum,quodquidamsepties eadem dietum lauari consueu erint, quod Plinius in primis refert. Ac posteri scriprores Commodum Cęf. et Gordianum idasseruntfactitasse. Sicenim intelle xêrequotienscunqueexercerentur,laffitudinisacrefrictionisvitarepericula, obstructionestollere,cutis afperitateinlenire,faciei,manuum ,ac vniuersi corporis decorem conciliare. Erant tamen lauandi horæ constitutæ . Scribit Lauandiho I ul. Capitolinus antem Alexandri Severi tempora numquam Theri n a s an t è a u 30 roram apertas fuisse, & semper antè solis occasum claudi consueuiffe. Communiterv erò lauandihora erat a meridie ad vesperum, quando (inquit Vitruvius lib. 5. cap. 10)  maxime calidæ auræ a spirare incipiunt. Cu i o m n e s a l i æ authoritates consentiunt . Hadrianus Cęs. (inquit Aelius Spartianus) ante horam octauam inpublico neminem, nisiçgrum, lauaripassus est: quod erat duashoras poftmeridiem .Vbi operæ præciumest Horarum apudantiquosHorologiri rationemhabere,quidiemartificialem quolibetannitemporedistinguebanttusapudan horisduodecim ,&no&tenipervigilias. Horæergoerantinęquales,maiorestiquos. estate,quialongiorestuncdies;minoreshieme,& proportionecæteristem poribus.Haud tamen intelligendumest cosà prandiovsosbalneis fuise: Prădijetcę Nam communiter vir Romanus impransus, autientaculo tantùm primoma-navfus. nerefectus,bonam dieipartemimpendissetnegocijs:mox àmeridie,àsexta nimirùm ad decimam horam ,exercitijs & balneo ;à balneo autem ,circa vi gesimamscilicet& secundamhoram ,cenabatopiparè.Quam dieiatqueho rarum partitionemconquisitèin eo Martialis epigrammate comprehensam habemus. Primasalutantes, atquealteracontinethora, Exercet raucos tertiacausidicos. Martialis  ma 10 CO, Multa tuæ Spartemiramur iura Palæstræ, Inter luctantes n u d a puella viros . Refert Plutarc husinterlaudabiles Catonisillius Cenforij mores,hocsum- verecundiă ma:laudiilicefliffe, quodcùmfilionunquàmlauisset. Imò Val. Max. fcribitinterafines. deinstitutisantiquis, necpatercum filiopubere, necsočercum generis lauabatur. Quia interista fancta Vincula, non magis quàm in aliquo sacra tolo nudaresenefasessecredebatur. Sedtranseamusiamadeosritus, qui com inunivsuretinebanturin Thermis. Perinitiainstitutihuius,narratSenecaad Lucillumconsueuifseveteresquotidiebrachia,& cruralauare, totosnundi nisfolùm. Cæterùm poft Magni Pompei ętatē (cuiusmemoria notatur præ ra. Qa ij Ad quintam variosextendit Roma labores, Sexta quieslafis,septimafiniserit. Sufficitinnonam nitidisoctaua palæstris, Imperat extructos frangerenonatoros. Hora libellorum decimaest Euphememeorum, Temperatambrosias cùm tuacuradapes. Octavam verò dieihoram fuisselauationibus propriam ,tùm publica,tùm pri M. Tullius, uata t e s t a n t u r exempla . M. Tullius scrib i t a d Atticum d e Cesare: Ambulavit inquitinlittore,pofthoram octauamin balneum, vnctusest, accubuit,edit, bibitq;opiparè. Horam & distinctionem temporum aliquamadnotamusex Galenus, Galeno v.deSa.tuen.d. Antoninus Imp. cognomento Pius, ad curam corporis promptifsimus, subbrumabreuibus, f.diebus, sole Occidente in palestram ingressus, sub indeole operun & tus lauarierat solitus: in Solstitio autemhora Thermehie-nona, autfummumdecima. Porrò quod legitur apud aliquos authores,Ther males, eteftimasaliquasfuiseHiemales, aliquasAestiuas;hæcnoneratcommunisom niumdistinctio,sedquarundam àcertocoelisitu dispositio. QualesHiema lesfecissetraditVopiscusAurelianum Cæs .in Transtyberina regione; nimi rum ad meridiem expositæ ,apertè solis fouebantur aspectu, itaq; ad hie males exercitationes aptissimæ. A e quaratione A estivas in Gordiano Iunior e meminitIul. Capitolinus, quæ in opaco fit uinter montem Celium & Esqui Bal.vfuspe-lias,gratas estate exercitationibus præftabant vmbras . Alioquî penes anni nesannitemtempora,vixvllaeratlauandidistinctio,sedbenèpersonarum. Nam qui cun que lavaban t u r a d exercitium, in different e r t a m h i e m e, quam estate lauissent, quandocunquescilicetexercerentur.Sanitatisverò& mundicieicauf sa:quandocunque opusfuisset,velad priuatamcuique consuetudinem, vt de Telep o Grammaticom e m i n i t Galen. v. de San . t u . qui lauari consueverat hieme bis mense, estate quater,medijs verò temporibus ter. Et de Primigene quodam philosopho, quiquadienonlauisset, febricitabatomnino. Adde liciasautemacvoluptates,velme tacente, priuataquoqueratio essedebuit, 30 &citràvllamaut regulam, autmensuram. Vnde Meridianælauaționes le Lychniinguntur, atqueetiam antemeridianę,& vespertinæ. Necnon Medicine introductio. xi,trimixi,polymixi, idestangulorum &luminum ,vnius,duorum,trium, plurium, Devrilitatibus Balnearum esquandoprimum Dalnceinvfum Medicinavenêre . seruatur;nonaliam legimusfuiffeRome Medicinamsexcentisannis, quàm balnea. Quod teftatur Pliniuslib. 29.cap.1.Receptos primùm èGræcia Medicos L.Aemilio, M.Licinio Coff.vxxxv.VrbisRomæ anno. Quádoqui dempetrarierant, nisiquiob cæliinclementiam crassarenturmorbi.Nam quæ exmalovitæregimine, acextermis causiseuenirep. Andrea Baccius. Andrea Bacci. Keywords: i bagni dei romani, De thermis – thermal baths – philosophy of thermal baths – implicatura ginnastica – le xii pietro pretiose – storia naturale del vino, bacco – terme romane – il vino e la filosofia, bacco ed Apollo, le xii pietre pretiose per ordine di dio I sardio II topatio III smeraldo IV barconchio IV saphhiro VI diaspro VII lingurio VIII agata IX amethisto X berillo XI chrisolito XII onice – tevere, le tibre au louvre, i vini. Thermopolium romanum – illustrazione – incisione terme romanae – natatio – piscina – ginnasio, mercurial, arte ginnastica. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bacci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790323713/in/dateposted-public/

 

Grice e Badaloni – colloquenza – filosofia italiana (Livorno). Filosofo. Grice: “I like Badaloni; he never took the ROMAN story of philosophy – I say story since history, as every Italian knows, is too pretentious! – seriously until he had to teach it! “Storia del pensiero filosofico – l’antichita’ is my favourite – because he does his best to understand Plato’s pragmatics of dialogue as misunderstood by Cicero!” --  Nicola Badaloni, Sindaco di Livorno Durata mandato19541966 PredecessoreFurio Diaz SuccessoreDino Raugi Nicola Badaloni (detto Marco) (Livorno). filosofo. Di spiccate convinzioni marxiste, è stato uno studioso di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giambattista Vico, Karl Marx, Antonio Gramsci.  All'attività di ricerca e di docenza presso l'Pisa, dove è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia e ha occupato dal 1966 e per molti lustri la cattedra di Storia della filosofia, Badaloni ha affiancato un'imponente attività politica nelle file del movimento operaio, ricoprendo per molti anni la carica di sindaco di Livorno (dal 1954 al 1966), di presidente dell'Istituto Gramsci, nonché di membro del Comitato centrale del PCI. I suoi contributi storiografici, salutati fin dall'esordio dall'apprezzamento di Benedetto Croce hanno messo in luce autori considerati minori e pensatori inattuali (Niccolò Franco, Gerolamo Fracastoro, Giovanni Battista Della Porta, Herbert di Cherbury, Antonio Conti) rinnovando radicalmente, attraverso una collocazione nel contesto storico, grandi figure viste dalla storiografia idealistica precedente come immerse in una «solitudine metastorica».  Storicismo e filosofia Nella presentazione dell'ultima pubblicazione di Badaloni nel 2005, Remo Bodei ha sostenuto che il marxismo, lontano da ogni vulgata, conserva, per lo storico della filosofia toscano, la sua capacità di strumento di comprensione del mondo, di erogatore di energie di cambiamento, di guida per lo sviluppo di una prassi razionale, ancora validi dopo le esperienze del cosiddetto "socialismo realizzato". Badaloni ha incessantemente ricercato un legame, nella storia, tra pensiero e azione sociale e sviluppato uno storicismo di impronta marxista che raccordasse autori lontani nel tempo (come Giordano Bruno, Gian Battista Vico, Antonio Labriola), ma accomunati dalla tensione al rinnovamento e alla trasformazione progressiva degli assetti sociali in una data situazione storica determinata. Così come c'è alterità profonda, ma non rottura senza legame, tra Hegel e Marx e similmente tra Croce e Gramsci.  Altre opere: “Retorica e storicità in Vico” -- “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano” (ETS, Pisa); “Appunti intorno alla fama del Bruno”; “Introduzione a Giambattista Vico, Feltrinelli); “Marxismo come storicismo, Feltrinelli); “Tommaso Campanella” (Feltrinelli, 'Istituto Poligrafico dello Stato); “Conti. Un abate libero pensatore tra Newton e Voltaire” (Feltrinelli); “Il marxismo italiano degli anni Sessanta” (Editori Riuniti); “Labriola politico e filosofo, sta in Critica marxista, Roma); “Per il comunismo. Questioni di teoria, Einaudi); “Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del 600, sta in  Storia di Napoli, Società Editrice Storia di Napoli); “Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Laterza); “La storia della cultura, sta in Storia d'Italia, III -(Dal primo Settecento all'Unità), Einaudi); “Il marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione politica, Einaudi); “Libertà individuale e uomo collettivo in Gramsci, in Politica e storia in Gramsci, F. Ferri,  1, Roma, Editori Riuniti-Istituto Gramsci); “Labriola, Croce e Gentile” (Laterza); “Dialettica del capitale, Editori Riuniti); “Gramsci: la filosofia della prassi, sta in Antonio Gramsci. La filosofia della prassi come previsione, in Hobsbawm, E. H. , Storia del marxismo” (Torino, Einaudi); “Teoria della società e dell'economia in A. Labriola, I e II, in Dimensioni”; Forme della politica e teorie del cambiamento. Scritti e polemiche” (ETS); Movimento operaio e lotta politica a Livorno”; “Democratici e socialisti in Livorno” (Nuova Fortezza); “Filosofia della praxis, sta in  Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo, Editrice l'Unità, 1987); “Labriola nella cultura europea dell'Ottocento, Lacaita); “Il problema dell'immanenza nella filosofia politica di Antonio Gramsci, Quaderni della Fondazione Istituto Gramsci Veneto, Venezia, Arsenale); “Giordano Bruno. Tra cosmologia ed etica, De Donato); “Laici credenti all'alba del moderno. La linea Herbert-Vico, Le Monnier-Mondadori); “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano, Edizioni ETS, Pisa, 2005 Nicola Badaloni è inoltre coautore di due importanti manuali:  Storia della pedagogia, (Laterza); “Il pensiero filosofico. Storia. Testi. Per le Scuole superiori” (Signorelli Editore). Notizia della morte sul settimanale Macchianera, su macchianera.  Giuliano Campioni, Addio a Nicola Badaloni, uomo politico e maestro di filosofia, Athenet, n. 12, anno 2005. 16 agosto  (archiviato dall'url originale l'11 settembre )., nel sito del Sistema bibliotecario di ateneo, Pisa. La lezione di Nicola Badaloni di Giuliano Campioni, professore del Dipartimento di Filosofia dell'Pisa, 20 gennaio, , in Pisanotizie. Nicola Badaloni, in TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  PredecessoreSindaco di LivornoSuccessoreLivorno-Stemma.svg Furio Diazdal 1954 al 1966Dino Raugi90637957 Filosofia Politica  Politica Categorie: Politici italiani del XX secoloPolitici italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi. Nicola Badaloni. Keywords: colloquenza, la retorica di Vico. La storia di Vico, storia e storicita, campanella, lingua utopica. Bruno, Campanella, Gentile, Croce, Labriola, Gramsci. badaloni — implicatura vichiana — libero — biologia filosofica  telesio — vallisneri — lingua utopica di campanella — “retorica e storicità” — laico — bruno — comune — comunismo — marchetti — vignoli —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Badaloni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790260478/in/dateposted-public/

 

Grice e Baglietto – dialettica – filosofia italiana – filosofia ligure – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo. Grice: “I like Baglietto; unlike me, he was a consceinious objector, but then we were fighting on different camps! I love the fact that his first tract is on ‘il problema del linguaggio’ in Mazzoni – but then he turned from ‘la bella lingua’ to Dutch! And specialized in Kant, but most notably Heidegger – ‘mitsein und sprache.’ But he also wrote on ‘eros’ and ‘love,’ – which is very Platonic of him! And of me, since the ground for my theory of conversation is on the balance between what I call a principle of conversational self-LOVE (or egoism, if you mustn’t) and a corresponding principle of conversational OTHER-love (or altruism, if you must, since I prefer tu-ism – ‘thou-ism’).” Claudio Baglietto (Varazze), filosofo.   Di origini modeste, dopo gli studi liceali presso il Liceo "Chiabrera"di Savona, studiò Filosofia all'Pisa e si perfezionò presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, allora diretta da Giovanni Gentile. Baglietto fu assistente del filosofo Armando Carlini. Negli anni pisani sviluppò idee di riforma religiosa e morale, in contrapposizione al Cattolicesimo e al Fascismo. Insieme ad Aldo Capitini, Baglietto organizzava riunioni serali in una camera della Normale, cui partecipavano giovani studenti, divenuti in seguito affermati intellettuali, come Walter Binni, Giuseppe Dessì, Carlo Ragghianti, Claudio Varese.  Così Capitini ricordava l'amico nel suo saggio Antifascismo tra i giovani (Trapani, 1966): "era una mente limpida e forte, un carattere disciplinato, uno studioso di prima qualità, una coscienza sobria, pronta ad impegnarsi, con una forza razionale rara, con un'evidentissima sanità spirituale. Cominciai a scambiare con lui idee di riforma religiosa, egli era già staccato dal cattolicesimo, né era fascista. Su due punti convenivamo facilmente perché ci eravamo diretti ad essi già in un lavoro personale da anni: un teismo razionale di tipo spiccatamente etico e kantiano; il metodo Gandhiano della noncollaborazione col male. Si aggiungeva, strettamente conseguente, la posizione di antifascismo, che Baglietto venne concretando meglio. Non tenemmo per noi queste idee, le scrivemmo facendo circolare i dattiloscritti, cominciando quell'uso di diffondere pagine dattilografate con idee di etica di politica, che continuò per tutto il periodo clandestino, spesso unendo elenchi di libri da leggere, che fossero accessibili e implicitamente antifascisti. Invitammo gli amici più vicini a conversazioni periodiche in una camera della stessa Normale [...]".  Ottenuta nel 1932 una borsa per perfezionarsi presso l'Friburgo in Germania, dove allora insegnava Heidegger, in coerenza con i suoi ideali di nonviolenza incompatibili col Fascismo, Baglietto decise di non rientrare più in Italia e rinunciò alla borsa, cosa che scandalizza Gentile (che aveva garantito per lui presso le autorità per il visto). Anche Delio Cantimori criticò animatamente la scelta di Baglietto, in particolare nel suo carteggio con Aldo Capitini e con Claudio Varese, accusando i colleghi normalisti dissidenti dal Fascismo di mancanza di senso di realismo politico, nonché di senso dello Stato (fu poi lo stesso Cantimori ad avvisare Gentile della morte di Baglietto).  Lasciata Friburgo, Baglietto si trasfere quindi a Basilea, dove visse da esule, proseguendo gli studi e dando lezioni private.  Morì nel 1940: è sepolto nel cimitero di Basilea.   Il cammino della filosofia tedesca dell'Ottocento, “Annali della Scuola Normale di Pisa”, Scritti religiosi. Antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); "Kant e l'antifascismo" , in Claudio Fontanari e Maria Chiara Pievatolo , Bollettino italiano di filosofia politica, Pisa37,  1591-4305 (WC ACNP),  7181065539 (archiviato il 5 settembre ). Ospitato su archiviomarini.sp.unipi. (Saggio inedito di Baglietto, composto a Basilea e da anni depositato nell'Archivio Marini dell'Pisa) Note. A. Capitini, L'antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); Chiantera Stutte, Delio Cantimori. Un intellettuale del Novecento, Carocci, Roma, che rinvia soprattutto a Simoncelli, La Normale di Pisa. Tensioni e consenso; Franco Angeli, Milano); Scritto pubblicato postumo Aldo Capitini.  Aldo Capitini Mahatma Gandhi Nonviolenza  Claudio Baglietto e la questione morale --  "Phenomology Lab", 2 giugno, . Claudio Baglietto, Kant e l'antifascismo di Claudio Fontanari, nel sito "Archivio Marini". Filosofia Università  Università Filosofo Professore1908 1940 Varazze Basilea Nonviolenza Antifascisti italiani Studenti dell'Pisa. Claudio Baglietto. Keywords.  dialettica, filosofia ligure, baglietto — il kantismo di heidegger — manzoni — filosofia dell’amore — dialettica — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baglietto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790229528/in/dateposted-public/

 

Grice e Baldini – il linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Greve). Filosofo. Grice: “I like Baldini, but more so does Austin! In his collection of ‘lessons’ (lezioni) on ‘filosofia del linguaggio’ (not just ‘sematnica’ or ‘semiotica’) for the distinguished Firenze-based publisher Nardini, he deals with Austin, but not me!” Grice: “Baldini fails to realise that I refuted Austdin – when Baldini opposes ‘filosofese,’ I am reminded of my non-conventional non-conversational implicata – and Austin’s less happy idea of a felicity condition for a perlocutionary effect!” Grice: “But what I like about Baldini is that being Italian, he refers to ‘amore’ in his ‘natural’ history of AMicizia – which is all that my conversational pragmatics is about: Achilles and Ayax must share a lot of common ground to be able to play the game of conversation, and they do!” -- Massimo Baldini (Greve in Chianti), filosofo. Si è dedicato in particolare alla filosofia della scienza e alla filosofia del linguaggio. Figlio dello storico Carlo Baldini, laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze nel 1969, nel 1970 è stato nominato assistente incaricato di Filosofia; l'insegnamento era tenuto da Dario Antiseri) presso la Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Siena. Nel 1975 è diventato professore incaricato di “Storia del pensiero scientifico” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia. Nel 1980 ha vinto il concorso di professore di prima fascia di “Filosofia del linguaggio” ed è stato chiamato dall'Bari alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Ha insegnato anche presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nella Facoltà di Medicina. È stato direttore del Dipartimento di Filosofia e dell'Istituto di Filosofia presso la Facoltà di Scienze della formazione all'Università degli Studi di Perugia e direttore della sezione di Storia della medicina del Dipartimento di Patologia presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.  Nel 1999 è stato chiamato dalla Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma per coprire la cattedra di "Semiotica". Qui ha insegnato anche “Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico e radiotelevisivo” (dal 2004), “Semiotica dei linguaggi specialistici” (che avrebbe dovuto iniziare nel 2009). Presso la LUISS ha inoltre rivestito numerosi incarichi accademici: preside della Facoltà di Scienze Politiche (da giugno 2007); coordinatore del corso di laurea magistrale in “Comunicazione politica, economica e istituzionale” (dal 2004), direttore della Scuola superiore di giornalismo (dal 2007) e direttore del Master di primo livello in “Economia, gestione e marketing dei turismi e dei beni culturali” (dal 2004). In precedenza, è stato vice preside della Facoltà di Scienze Politiche (2000-2006), direttore del Dipartimento di Scienze storiche e socio-politiche (2006-2007), direttore del Centro di ricerche sulla comunicazione (2003-2007).  Tre sono stati gli ambiti di ricerca che più di altri Massimo Baldini ha coltivato: la filosofia della scienza (con una particolare attenzione al pensiero dell'epistemologo Karl R. Popper, di cui ha curato anche alcune opere in edizione italiana), la filosofia del linguaggio, la semiotica della moda. A partire dagli anni Settanta, Massimo Baldini ha dedicato numerosi lavori all'epistemologia contemporanea, cogliendone le possibili applicazioni alla medicina, alla storia della scienza, alla pedagogia e, infine, alla filosofia politica. Parallelamente, ha rivolto i suoi interessi anche alla storia della scienza e, in particolare, alla storia della medicina. Un'attenzione particolare è stata dedicata ai nessi che intercorrono tra l'epistemologia e la filosofia della politica: sulla scorta delle riflessioni popperiane, ha riletto il pensiero utopico sia nella sua dimensione storica che in quella teorica.  L'altro grande interesse filosofico di Massimo Baldini è stata la filosofia del linguaggio. In particolare ha studiato le tesi dei semanticisti generali, un movimento nato negli Stati Uniti tra le due guerre mondiali e di cui si era occupato per primo in Italia negli anni Cinquanta Francesco Barone. L'interesse per la filosofia del linguaggio si è declinato anche in chiave storica: e alla storia della comunicazione Massimo Baldini ha dedicato numerose opere. Inoltre, gli studi sulla filosofia del linguaggio si sono incentrati sull'analisi di alcuni linguaggi specialistici: quello della pubblicità, quello dei mistici, quello della pubblica amministrazione, quello dei giornalisti, nonché il tema correlato del silenzio. Tutti questi linguaggi, sono stati studiati nelle prospettive dell'oscurità e della chiarezza, e dell'oggettività (soprattutto con riferimento al contesto dell'informazione).   La biblioteca comunale "Carlo e Massimo Baldini" di Greve in Chianti A partire dalla fine degli anni Novanta, infine, gli interessi di Massimo Baldini si sono incentrati sul tema della moda, che egli ha studiato dal punto di vista storico e semiotico, e nelle diverse componenti della moda vestimentaria e della moda capelli. Tutta l'attività di ricerca di Massimo Baldini è confluita in numerose opere individuali e collettive, curatele, introduzioni e prefazioni a testi italiani e stranieri, traduzioni, nonché nella collaborazione stabile con alcune case editrici e riviste scientifiche. In particolare, presso l'editore Armando (Roma) ha diretto le collane Temi del nostro tempo, I maestri del liberalismo, Moda e mode, I linguaggi della comunicazione; presso l'editore Rubbettino (Soveria Mannelli) la collana Biblioteca austriaca (con Dario Antiseri, Lorenzo Infantino e Sergio Ricossa).  Menzione a parte merita poi il ricordare che Baldini è stato ed è rimasto nel corso dei decenni un grande estimatore e diffusore dell'opera del concittadino grevigiano Domenico Giuliotti, il "poeta-mistico" o "profeta" Giuliotti, del quale il nostro ha riedito alcune delle sue maggiori opere per lo più per conto delle edizioni Logos di Roma, oltre a dedicare al medesimo alcune raccolte di saggi come "Il più santo dei ribelli. Scritti su Domenico Giuliotti" (1981) oppure "Giuliotti. Cristiano controcorrente" (ed. EMP, 1996), senza contare i volumetti preparati per conto della preziosa casa editrice La Locusta di Vicenza, a partire dal 1977, in consonanza agli interessi espressisi e sviluppatisi soprattutto a partire dagli anni ottanta, quelli che afferivano ai connotati e alle 'modalità' del linguaggio dei mistici, o alle relazioni intercorrenti fra le dimensioni del silenzio-parola-Parola di Dio-ascolto.  È stato altresì membro del Comitato Nazionale per la Bioetica; membro del comitato scientifico delle riviste L'Arco di Giano, 'Nuova civiltà delle macchine, Desk.  Morì a causa di un infarto mentre si trovava a cena con alcuni colleghi universitari. Nel  per la casa editrice Rubbettino è uscito il libro La responsabilità del filosofo. Studi in onore di Massimo Baldini Dario Antiseri con saggi di amici, colleghi, collaboratori e studenti per ricordare la figura intellettuale e morale di Massimo Baldini a quattro anni dalla scomparsa. Partecipano all'antologia Tullio De Mauro e Derrick de Kerckhove. Il primo maggio  è stata inaugurata a Greve in Chianti la Biblioteca comunale "Carlo e Massimo Baldini".  Sulla filosofia del linguaggio «È chiaro che devo preoccuparmi di essere inteso da tutti perché penso che la chiarezza sia la cortesia del filosofo»  (José Ortega y Gasset, Cos'è la filosofia?) Secondo Baldini scopo del filosofo e della sua filosofia è essere chiari: scrisse infatti «l'accusa che più frequentemente viene rivolta alle opere dei filosofi è quella dell'illegibilità». I filosofi come dimostra nel suo Contro il filosofese e nel Elogio dell'oscurità e della chiarezza non seguono sempre questa missione ed in alcuni casi sembra usino volutamente un linguaggio oscuro ed incomprensibile. Tre dei filosofi più oscuri secondo Baldini, che ricalca in questo anche il giudizio di Schopenhauer, sono stati Fichte, Hegel e Schelling. Parlando di Hegel, Baldini riporta il giudizio di uno scritto di Alexandre Koyré che definisce la lingua di Hegel "incomprensibile e intraducibile".  Citando inoltre il giudizio di Popper scrive: «Troppo spesso, secondo Popper, i filosofi vengono meno alla virtù della chiarezza. Con l'oscurità sovente mascherano le tautologie e le banalità che infiorettano i loro discorsi». Henri Bergson cita l'esempio di Cartesio, di Nicolas Malebranche e di molti altri filosofi francesi mostrando che idee molto raffinate e profonde possono essere espresse nel linguaggio ordinario anziché con circonlocuzioni e ridondanze e termini che sono causa di equivoci. Baldini afferma che «l'oscurità in filosofia è, dunque, il modo migliore per fingere di spacciare pensieri, mentre si sta solo spacciando parole, è una maschera che cela spesso il vuoto di pensiero o la banalità dei pensieri». Nonostante tutto secondo Baldini, non bisogna giudicare frettolosamente un filosofo, definendolo "oscuro", a volte può essere una carenza della nostra conoscenza che ci porta a respingere come vuoto suono, parole che invece, hanno il loro preciso significato.  Scrivere la filosofia in maniera chiara può avere le sue difficoltà, Nietzsche infatti afferma che «ci vuole meno tempo ad imparare a scrivere nobilmente che chiaramente» e Ludwig Wittgenstein che celebra a più riprese la chiarezza, fa autocritica ammettendo in una sua lettera a Russell che il suo Tractatus logico-philosophicus «è tremendamente oscuro». Quanti celebrano la chiarezza in filosofia, sanno bene che ogni lettore di testi filosofici deve fare proprio il consiglio che Wittgenstein dava a Bertrand Russell, quando questi si lamentava con lui dell'oscurità del trattato, gli scrisse: «Non credere che tutto ciò in cui tu sei capace di capire consista di stupidaggini». Invece, un personaggio che volutamente, secondo Baldini, tendeva a non farsi capire e a sopraffare linguisticamente («fra gli applausi di ammirazione») i suoi ascoltatori, è stato Armando Verdiglione.  Chi si avventurava nelle sue opere, fa rilevare il filosofo, si imbatteva in frasi tipo questa: «Sono tratto da un demone a dire, a fare, a scrivere sempre fra oriente e occidente e fra nord e sud. Senza luogo della parola. Questo demone è il colore del punto, dello specchio, dello sguardo, della voce: la moneta stessa. Punto, sembiante, oggetto scientifico, è indotto dalla pulsione, dall'instaurazione della domanda, dove l'offerta è il pleonasmo», ed ancora: «Ecco questo primo rinascimento. Primo in quanto procede dal secondo, ovvero dall'originario. Secondo dunque non in senso ordinale, non in nome del nome. Non è neppure nuovo, perché non parte dalla corruzione per arrivare all'utopia». "Oscuro superlinguaggio" e "gargarismi linguistici e semantici" sono secondo Baldini il risultato della "verdiglionite" ovvero di chi si muove "sui sentieri del filosofese". Secondo Baldini quindi la difficoltà di esprimere alcuni profondi pensieri filosofici non dovrebbe essere amplificata, è vero che ci sono pensieri filosofici difficili da esprimere in modo semplice, ma è pur vero che il filosofo che desidera trasmettere la propria filosofia, dovrebbe fare un onesto sforzo affinché essa sia quanto più possibile comprensibile al proprio uditorio.  Note  Sociologi: è morto Massimo Baldini, semiologo e filosofo, Adnkronos, 11 dicembre 2008  Contro il filosofeseI filosofi e l'abuso delle parolepag. 43-49  Contro il filosofeseFichte, Schelling, ed Hegel: i professionisti dell'oscuritàpag. 50-56  Alexandre Koyré, Note sulla lingua e la terminologia hegeliana, Interpretazioni hegeliane, La Nuova Italia, Firenze 1980, pag.43  Bertrand Russel. L'autobiografia 1914-1944, Longanesi, Milano 1969, II, pag. 208 (la lettera è datata 12 giugno 1919)  Armando Verdiglione, Manifesto del secondo rinascimento, Rizzoli, Milano 198323. Altre opere: “Epistemologia e storia della scienza” (Ed. Città di vita, Firenze); “Campanella ed il linguaggio dell’utopia” – “Utopia e ideologia: una rilettura epistemologica” Ed. Studium, Roma); “Epistemologia contemporanea e clinica medica” (Ed. Città di vita, Firenze); “Teoria e storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “I fondamenti epistemologici dell'educazione scientifica” (Armando Editore, Roma); “La semantica generale” (Ed. Città nuova, Roma); “Gli scienziati ipocriti sinceri: metodologia e storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “La tirannia e il potere delle parole: saggi sulla semantica generale” (Armando Editore, Roma); “Congetture sull'epistemologia e sulla storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “Epistemologia e pedagogia dell'errore” (Ed. La Scuola, Brescia); “Il linguaggio dei mistici” (Ed.Queriniana, Brescia); “Il linguaggio della pubblicità” “La fantaparola” (Armando Editore, Roma); “Educare all'ascolto, Ed. La Scuola, Brescia); “Parlar chiaro, parlar oscuro” (Ed. Laterza, Roma Bari); “Lezioni di filosofia del linguaggio” (Ed. Nardini, Firenze); “Antologia filosofica, Ed. La Scuola, Brescia); “Contro il filosofese” (Ed. Laterza, Roma-Bari); “Storia della comunicazione, Newton & Compton, Roma); “La storia delle utopie, Armando Editore, Roma); “Il proverbi italiano” (Newton & Compton editori s.r.l., Milano); “Karl Popper e Sherlock Holmes: l'epistemologo, il detective, il medico, lo storico e lo scienziato” (Armando Editore, Roma); “La medicina: gli uomini e le teorie, Ed. CLUEB, Bologna); “Il liberalismo, Dio e il mercato” (Armando Editore, Roma); “L’amicizia” (Armando Editore, Roma); “Introduzione a Karl R. Popper, Armando Editore, Roma); “Capelli: moda, seduzione, simbologia” (Ed. Peliti, Roma); “Popper e Benetton: epistemologia per gli imprenditori e gli economisti” (Armando Editore, Roma); “Elogio dell'oscurità e della chiarezza, LUISS University Press e Armando Editore, Roma); “Elogio del silenzio e della parola: i filosofi, i mistici, i poeti, Rubettino Editore, Soveria Mannelli); “I filosofi, le bionde e le rosse, Armando Editore, Roma); “L'invenzione della moda: le teorie, gli stilisti, la storia. Armando Editore, Roma); “L'arte della coiffure: i parrucchieri, la moda e i pittori, Armando Editore, Roma); Popper, Ottone, Scalfari, LUISS University Press, Roma 2009. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Massimo Baldini  Scheda dell'Università LUISS, su docenti.luiss. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1947 2008 18 giugno 10 dicembre Greve in Chianti RomaProfessori della Libera università internazionale degli studi sociali Guido CarliProfessori della SapienzaRomaProfessori dell'Università degli Studi di PerugiaProfessori dell'Università degli Studi di SienaProfessori dell'BariStudenti dell'Università degli Studi di Firenze.  In questo contributo intendo concentrarmi su alcuni aspetti della teoria aristotelica dell’amicizia: il metodo di indagine attraverso cui è articolata e acquisita, e il suo significato dialettico e teorico.  Il processo conoscitivo, per Aristotele, è una transizione da ciò che è “primo per noi” a ciò che è “primo per sé”[1], e l’indagine sull’amicizia non fa eccezione. Il “primo per noi” contempla la nostra esperienza della cosa intesa in senso ampio, tale da includere: le prassi linguistiche e ascrittive diffuse[2], le opinioni notevoli (ἔνδοξα) condivise da tutti o dai più o dai sapienti o da alcuni di essi[3], i topoi o luoghi comuni consegnati dalla tradizione, i fenomeni intesi come “fatti della vita”, ovverosia le ordinarie prassi umane, i comportamenti concreti implicati nelle relazioni di amicizia[4]. Si tratta di un materiale eterogeneo, variegato, opaco, bisognoso di sintesi e di articolazione concettuale: il suo trattamento dialettico preliminare sarà orientato anzitutto a evidenziare le contraddizioni che tale materiale ospita, per poi cercare di superarle entro una sintesi superiore la quale, attraverso una teorizzazione positiva ˗ materiata di distinzioni semantiche e concettuali, argomenti, definizioni ˗ ne salvi gli elementi genuini nella misura del possibile, mostri l’apparenza delle contraddizioni, e produca così una sorta di “equilibrio riflettuto” fra il “primo per noi”, da cui pure si sono prese le mosse, e il “primo per sé”, punto d’arrivo dell’indagine. Una buona teoria dovrà fare giustizia dei caratteri manifesti dell’oggetto, renderli cioè intellegibili e inferibili[5]; invece una teoria che negasse questi caratteri, sarebbe ipso facto una teoria deficitaria, insoddisfacente: non ci riconcilierebbe coi φαινόμενα, che pure sono il suo originario explanandum.  Questa cifra metodologica va tenuta presente, se si vuole apprezzare in modo non superficiale la trattazione aristotelica dell’amicizia nelle due Etiche. Perciò è opportuno partire non da Aristotele, bensì dall’orizzonte teorico-culturale cui egli si rapporta dialetticamente, nonché dai suoi obbiettivi polemici. Il significato ordinario di «φιλία» ha un’estensione ben più ampia della nostra nozione di «amicizia»: oltre all’amicizia propriamente intesa, può denotare anche l’alleanza politica[6], la vasta gamma dei rapporti sociali, dalle relazioni parentali e matrimoniali a quelle commerciali, quelle cameratistiche, quelle amorose ed erotiche; insomma, qualunque interazione umana positiva e non ostile, fra individui o fra gruppi – ma anche fra uomini e dei[7] – è denotabile come φιλία. Nella caratterizzazione preliminare che ne offre, Aristotele attinge ai grandi modelli omerico ed esiodeo, così come ai Sette Savi, ai tragici, nonché al sapere filosofico dei predecessori (Empedocle, Eraclito, etc.); ma il punto di riferimento dialettico che, sottotraccia, orienta l’intera trattazione, è il Liside platonico, la prima indagine filosofica sistematica dedicata alla φιλία[8], nelle cui note aporie sono peraltro condensate e portate a tematizzazione le contraddizioni insite nelle istanze della tradizione pre-filosofica globalmente intesa. Il Liside dunque, fra gli ἔνδοξα e i λεγόμενα, riveste un ruolo dialettico-polemico primario, anche se non se ne fa alcun riferimento esplicito. È impossibile in questa sede tentarne anche solo una cursoria sintesi, ma è necessario individuare perlomeno quelle aporie di fondo intorno alla φιλία che Aristotele riprende in maniera puntuale[9].  Una importante aporia (210e-213c), radicata nella dicotomia attivo/passivo, è articolata intorno alla questione: chi dei due, in una relazione amicale, è l’amico? Chi ama o chi è amato[10]? Si sonda tutto lo spazio logico delle possibilità, producendo esiti paradossali (di qui, appunto, lo status di aporia): se 1) è chi ama, ad essere amico di chi è amato, allora nel caso che chi è amato odiasse chi lo ama, uno sarebbe amico di chi lo odia! 2) se è chi è amato, ad essere amico, sarà anche il caso che chi è odiato è nemico, dunque se qualcuno ama qualcuno che lo odia, allora sarà nemico di un suo amico! 3) se sono amici o chi ama o chi è amato, indifferentemente, resta fermo che uno potrebbe essere amico di chi lo odia 4) se sono amici necessariamente entrambi, allora non potremmo essere “amici” di entità che non ci amano, come la scienza, o il vino, o i cavalli. L’aporia presuppone l’ampia estensione semantica di φιλία e di φίλος, che da un lato può avere significato passivo (esser caro a qualcuno), attivo (essere amico di) o reciproco[11], dall’altro come prefisso (φίλο-) può comporre termini denotanti amore, passione o apprezzamento per entità impersonali, che non reciprocano. Ma l’aporia è filosofica, non meramente linguistica[12].  Una seconda aporia (213d-223b) muove dalla questione se l’amicizia si dia fra simili o fra dissimili. Se 1) si dà fra simili, allora anche i malvagi sarebbero amici, ma fra malvagi non si dà vera amicizia (assunzione qui data per vera)[13]; 2) se si dà non fra simili simpliciter ma fra simili nell’esser buoni, sorge il problema di come il buono – il quale basta a se stesso[14] – possa trarre utilità da un altro buono, e viceversa, quando si era precedentemente stabilito che nessun amico è inutile all’amico (210c6-8); 3) se si dà fra dissimili contrari, come povero/ricco, sapiente/ignorante etc., allora, daccapo, l’amico sarà amico del nemico, il malvagio del buono etc.: amico/nemico e malvagio/buono sono contrari; 4) forse si dà fra certi dissimili non contrari: chi è intermedio fra buono e cattivo può amare il buono in virtù della presenza in sé di un “male”, cioè della privazione di bene di cui è conscio e che lo rende intermedio[15]; così l’amicizia diventa un caso particolare del desiderio[16], volto strutturalmente a ciò di cui si è privi. Ma anche qui si ricadrebbe nel caso 1 della Prima aporia: pare che l’amare unidirezionale e non ricambiato non sia sufficiente all’amicizia, inoltre il buono sarebbe amato senza amare a sua volta (infatti l’altro gli è inutile giacché egli ha già il bene presso di sé).  A questo punto viene introdotta l’idea che, se noi cerchiamo nell’amico il bene ma nessun amico può avere il bene pienamente presso di sé, allora ciò che cerchiamo negli amici è il «Primo Amico», qualcosa che trascende sia noi che gli amici stessi, di cui questi ultimi sono apparenze (εἰδώλα)[17]. Le relazioni amicali sono da ultimo orientate verso qualcosa che trascende entrambi i relati, secondo una dinamica “ascensionale” segnatamente platonica: ma così l’amico in carne e ossa parrebbe ridotto a mero luogo di transito di una tensione desiderante che ascende in direzione di un assoluto ideale. Riesaminando poi la relazione “orizzontale”, si introduce la nozione di «affine» (οἰκεῖος): forse la φιλία è rapporto col simile in quanto affine, o familiare; ma l’affinità pare essere reciproca (se A è affine a B, B è affine ad A), dunque il buono risulta inservibile a chi è già affine al buono; inoltre, sono affini anche i malvagi.  Anche se la trattazione appare un poco schematica e talora verbalistica, essa tocca problemi speculativi genuini. Come ci si aspetta da un dialogo “socratico” di Platone, le aporie non trovano uno scioglimento, se non la paradossale acquisizione che né amanti né amati, né simili né dissimili né contrari, né affini, né buoni, possono essere amici[18]! Teniamo dunque a mente questi nodi problematici.     2. La tassonomia delle amicizie e il suo significato    L’amicizia è studiata nel libro VII dell’Etica Eudemia, e nei libri VIII-IX dell’Etica Nicomachea[19]. Mentre la trattazione dell’Etica Eudemia risulta più logica e astratta, quella dell’Etica Nicomachea è più orientata a salvare i fenomeni, è più empirica e inclusiva: per cogliere i nuclei teorici di fondo, è sensato muovere dalla prima, e valutare criticamente quando e perché la seconda propone integrazioni o discostamenti teorici da quella. Sia la Eudemia precedente alla Nicomachea o meno[20], in essa appare più nitidamente come la trattazione aristotelica costituisca una sorta di virtuale controcanto filosofico del Liside platonico[21].  Etica Eudemia VII introduce il soggetto come specialmente degno di essere indagato: gli ἔνδοξα universalmente diffusi pongono la φιλία come il fine stesso della politica, come antidoto all’ingiustizia, come habitus caratteriale rivolto ai buoni, pongono l’amico come il più grande dei beni esterni (anche in quanto volontariamente scelto) e l’assenza di amici come il male più terribile[22]. La φιλία è aspetto centrale dell’etica – soprattutto entro un’etica eudemonistica imperniata sul bene e sulla felicità – dunque non sorprende che la sua trattazione occupi quasi un quinto degli scritti etici aristotelici.  Ma altre opinioni notevoli non sono universalmente condivise: per alcuni il simile è amico del simile (Omero, Empedocle), per altri lo è il contrario del contrario (Esiodo, Euripide, Eraclito)[23]: sono le opzioni 1 e 3 della Seconda Aporia del Liside, che pure non viene citato. Si ricordano poi altre opinioni, topoi tradizionali già ripresi dal Liside: per alcuni non c’è amicizia fra malvagi ma solo fra buoni (cfr. opzione 1 della Prima Aporia), per altri solo chi è utile può essere amico (cfr. opzione 2 della Seconda Aporia).  Prima di passare alla pars construens, Aristotele enuncia candidamente il criterio metodologico e lo scopo dell’indagine:    Occorre trovare un’argomentazione che insieme renda conto (ἀποδώσει) al massimo grado delle opinioni (τά δοκοῦντα) intorno a queste cose, e anche che sciolga le aporie e le contraddizioni. Ciò avverrà qualora appaia che le opinioni contrarie sono sostenute con buone ragioni: una tale argomentazione sarà nel massimo accordo coi fenomeni. E le tesi in contraddizione risultano mantenersi, se quel che affermano è vero in un senso, ma in un altro no. (Et. Eud. VII 2, 1235b13-18).[24] Le opinioni diffuse e notevoli non vanno accolte in modo supino e acritico, ma comprese nelle loro buone ragioni e, nella misura del possibile, salvate entro una sintesi teorica che superi le aporie e mostri che le affermazioni apparentemente incompatibili possano essere vere entrambe, in sensi diversi; così vi sarà anche il massimo accordo coi φαινόμενα. Questi, i desiderata da soddisfare.  Se l’amicizia è desiderio (altra acquisizione del Liside[25]), il desiderio può essere del piacevole (appetito) o del buono (volontà)[26], dunque ciascuno di essi ci è «amico» o caro (φίλον); comunque il piacere si presenta come un bene (o appare tale o è creduto tale[27]): la prima distinzione da fare è perciò fra bene e bene apparente (φαινόμενον ἀγαθόν), oggetti del desiderio[28]. La seconda è quella fra bene incondizionato (ἁπλῶς) e bene per qualcuno[29]: ciò che è buono simpliciter lo è per l’essere umano in generale, ciò che è tale «per qualcuno» lo è per certi individui particolari in certe circostanze (per esempio, un’operazione per un malato); parimenti, vi è un piacevole incondizionato e un piacevole «per qualcuno» (per esempio, in condizioni fisiche o morali alterate); Aristotele sostiene che il piacevole incondizionato coincida col buono incondizionato[30]: ciò che è buono per l’uomo in generale, è anche piacevole per l’uomo in generale, invece un individuo malato o corrotto troverà piacevoli cose non oggettivamente buone; né coincideranno il piacevole «per lui» e il buono «per lui». Un uomo saggio e virtuoso troverà piacevole ciò che è buono, dunque nel suo caso si identificano bene apparente e bene reale (è buono ciò che gli appare tale), bene «per lui» e bene incondizionato (ciò che è bene per lui è buono in generale per l’uomo), nonché bene e piacere: egli è norma rispetto a ciò che per l’uomo in generale è e deve essere buono e piacevole, in quanto esprime l’eccellenza della stessa natura umana. A ogni modo, ciò che motiva un soggetto S deve apparire un bene a S (che lo sia o meno), e apparire a S un bene per lui (che sia o meno anche un bene in senso incondizionato)[31].  Ci sono cose per noi buone in quanto le riteniamo dotate di valore intrinseco, cose per noi buone in quanto le riteniamo utili, e cose per noi buone in quanto le troviamo piacevoli. Poiché l’amico è un bene scelto e desiderato ˗ il φιλεῖν è un caso particolare di desiderio ˗ potrà esserlo per questi tre motivi: come bene in sé, e cioè in quanto è ciò che è e «per la virtù», o in quanto è ci è utile, o in quanto sia piacevole, «per il piacere»[32]. Chiariremo successivamente perché il buono in quanto buono, quando il bene sia l’amico stesso, si identifichi con la sua virtù.  Colui che è amato in base a uno dei tre aspetti suddetti (bene-virtù, utilità, piacevolezza) diventa un amico ˗ si aggiunge ˗ quando contraccambia l’affetto: dunque la reciprocità diviene un tratto essenziale dell’amicizia, una sua condizione necessaria; Aristotele sceglie l’opzione 4 della Prima Aporia del Liside, ma replica all’obiezione ivi contenuta, secondo cui cose amate come il vino, i cavalli e la scienza non possono ricambiare, mediante la distinzione fra φιλία e φίλησις[33]: la seconda è un affetto/desiderio per le cose inanimate, la prima implica un simile affetto come componente, ma include necessariamente la reciprocità. Talvolta, una nozione vaga può essere disambiguata mediante una distinzione semantica, in modo da sciogliere apparenti contraddizioni e insieme “salvare i fenomeni”. Tuttavia, l’affetto reciproco sulla base di uno dei tre amabili non è ancora sufficiente perché ci sia φιλία; tale reciprocità deve essere esplicita, non celata, nota ai due amici: se amo qualcuno che non lo sa, non siamo amici, nemmeno nel caso lui ami me e io lo sappia; entrambi devono amarsi l’un l’altro, ed entrambi lo devono fare in modo manifesto, tale che sia noto all’uno e all’altro. La coscienza di essere amici è essenziale all’essere amici: qualcuno può credere di essere amico senza esserlo[34], però nessuno può essere amico di qualcuno senza credere di esserlo. Se manca la reciprocità, non si ha amicizia ma «benevolenza» (εὔνοια), cioè desiderio del bene dell’altro; quando quest’ultima è reciproca e non è celata, allora può divenire amicizia[35].  Le tre forme di amicizia, rispettivamente basate su virtù, utilità, piacere, secondo l’Eudemia intrattengono la relazione asimmetrica che Aristotele chiama πρὸς ἓν, in cui vi è un significato primario o focal meaning cui gli altri, secondari e derivati, rimandano[36]: l’amicizia a causa della virtù e fondata sul bene è posta come πρώτη φιλία, «prima amicizia», da cui le altre dipendono dal punto di vista definitorio. Quindi «φιλία» non denota tre specie di un unico genere, né è un termine equivoco che denota realtà completamente diverse; è termine “multivoco”, giacché l’amicizia si dice in molti modi ma in riferimento a un senso che illumina tutti gli altri, e a cui gli altri si rapportano necessariamente. Molti critici ritengono che, siccome l’amicizia “utilitaristica” e quella “edonistica” possono darsi indipendentemente da quella “virtuosa”, l’idea che esse rimandino necessariamente a quella “virtuosa” non sarebbe convincente, e proprio per questo sarebbe poi abbandonata nella Nicomachea[37]. Ma la gerarchizzazione πρὸς ἓν è anzitutto definitoria: il piacere è un bene apparente (dunque, una declinazione del bene), l’utile è tale in quanto foriero di bene[38] o di piacere (che, daccapo, è un bene apparente); dunque i tre amabili sono un bene, un modo di apparire del bene, una via che porta al bene. Al modo in cui il piacere e l’utilità si definiscono in rapporto al bene[39] (ma, per Aristotele, non viceversa), così le amicizie basate sul piacere e l’utile si definiscono in rapporto a quella basata sul bene come tale: e infatti, come vedremo, ne sono forme imperfette e difettive.  Si noti la pur generica assonanza fra la πρώτη φιλία e il πρῶτον φίλον, il Primo Amico del Liside: se Platone radica il senso delle relazioni amicali in un anelito a qualcosa che trascende le amicizie e gli amici stessi illuminandole, per così dire, dall’alto, Aristotele immanentizza il bene entro gli amici stessi e le loro relazioni; c’è una amicizia prima, ma non un Amico primo che si distingua dagli amici empirici e concreti. Il bene che è in gioco nell’amicizia è ubicato negli amici stessi, è immanente.  Qual è la ragione profonda di questa tripartizione? Si può mostrare in modo puntuale che si tratta di una risposta alle aporie platoniche: se i platonici pongono come amicizia solo quella virtuosa, «non riescono a dare conto dei fenomeni»[40], ove per fenomeni si devono intendere non solo le prassi umane, ma anche gli ἔνδοξα e i λεγόμενα. Se vi sono tre forme di amicizia, può darsi che alcune opinioni notevoli e intuizioni siano vere dell’una ma false dell’altra, altre siano vere dell’altra ma false dell’una, come afferma il passo metodologico succitato. Se poi a partire da ciascuna delle tre caratterizzazioni si potessero inferire o congetturare dei rispettivi propria, che coincidano coi rispettivi tratti manifesti dell’amicizia che parevano aporetici in quanto incompatibili, allora grazie a questa tassonomia tricotomica le aporie potrebbero essere sciolte, poiché alcuni di questi tratti caratterizzeranno un tipo di amicizia, alcuni altri un altro tipo di amicizia.  L’amicizia virtuosa, fondata sul bene, è fra simili in quanto buoni[41]: essa cattura l’opzione 2 della Seconda Aporia del Liside, nonché l’ideale arcaico, omerico ma anche teognideo e in generale aristocratico, della φιλία come sodalizio elettivo fra ἀγαθοί; a questo topos tradizionale, il Socrate del Liside replica che esso è incompatibile con un’altra idea ben radicata (basata su altri due topoi tradizionali): il buono è autosufficiente, e un amico gli sarebbe inutile, ma l’amicizia è fondata proprio sull’utilità reciproca; quest’ultima idea, di matrice esiodea[42] ma anche un luogo comune confermato dalle prassi umane, non può essere negata, per Aristotele: sono gli stessi φαινόμενα a mostrare che coloro che intrattengono relazioni continuative di utilità e soccorso reciproco, si chiamano amici  e si ritengono tali, e così sono dagli altri chiamati e ritenuti. La contraddizione è apparente, se si postula che l’utilità reciproca è un prerequisito di una forma di amicizia (quella basata sull’utile) e non dell’altra (quella basata sul bene). Le relazioni utilitaristiche sono amicizia, sebbene di un certo tipo; sia queste che quelle fondate sul piacere, possono sussistere anche fra individui non buoni, persino fra malvagi, sebbene in forma estremamente labile e instabile: l’opzione 1 della Seconda Aporia del Liside è anch’essa percorribile, in quanto due individui non “buoni” possono essere amici sulla base del piacere, e sono simili nella misura in cui condividono certi tipi di piacere; inoltre, l’intuizione per cui l’amicizia si dà fra contrari come povero/ricco, sapiente/ignorante etc. ˗ opzione 3 della Seconda Aporia del Liside ˗ è anch’essa fatta salva, in quanto viene posta come peculiare all’amicizia utilitaristica, che tipicamente è intrattenuta da individui in qualche senso contrari (l’uno ha qualcosa che l’altro non ha). Aristotele riesce a salvare i fenomeni attraverso una distinzione tassonomica fondamentale, che deve conciliare certe apparenti incompatibilità ma al tempo stesso preservare una certa unitarietà dell’oggetto: quella di amicizia è una nozione originariamente ospitale, plurale e polivoca, tanto internamente differenziata da implicare una demarcazione netta fra l’amicizia virtuosa e le altre, ma non tanto monolitica da implicare che si escludano dal novero delle amicizie quelle forme di relazione (utilitaria, edonistica) ordinariamente denominate così: altrimenti si farebbe violenza al linguaggio e alle “cose stesse”[43]: a quel “primo per noi” che è lo stesso explanandum originario.  Una delle ragioni per cui l’amicizia virtuosa è detta «prima» nella Eudemia e poi «perfetta» (τέλεια) nella Nicomachea[44], è che essa è costitutivamente piacevole, benché non sia fondata sul piacere, e implica la disposizione alla mutua utilità quando serva, benché non sia fondata sull’utile: dunque contiene in sé, in certo modo, le altre due. Tuttavia, il piacere che consegue al bene ed è persino costitutivo di esso, non è lo stesso piacere che fonda le amicizie edonistiche; il primo è inseparabile dal bene cui consegue[45], quindi l’integrazione di piacere e utilità nell’amicizia virtuosa non è da concepirsi come una somma estrinseca o giustapposizione di aspetti positivi (bene + utilità + piacere). La perfezione di questa amicizia non è una somma di amicizie imperfette, è originaria completezza.  Nella Nicomachea non vi è traccia della relazione πρὸς ἓν, e la πρώτη φιλία diventa τέλεια φιλία[46]. Le altre amicizie qui sono dette tali «secondo somiglianza» a quella perfetta[47]: a mio avviso, al netto della differenza di linguaggio, la posizione di Aristotele non muta in modo sensibile fra le due opere; la somiglianza delle amicizie edonistica e utilitaristica a quella perfetta consiste anche qui nel fatto che quest’ultima è, per entrambi gli amici, utile e piacevole, dunque contiene quegli aspetti che fondano le amicizie imperfette, ma non ne è simmetricamente contenuta. Infatti, ciò che è buono è anche utile e piacevole, mentre ciò che è utile può non essere piacevole e può non essere buono (né simpliciter, né per l’individuo) – per esempio, se l’individuo è corrotto e trova per sé utile qualcosa che lo approssima a ciò che non è il suo bene (anche se egli magari crede che sia il suo bene[48]) – e ciò che è piacevole può essere inutile o persino dannoso. Questo vale in generale, e a fortiori vale per gli amici buoni, utili, piacevoli. In realtà, lo stesso “compito” etico implicitamente affidato all’uomo, gli è affidato anche in rapporto all’amicizia: l’ideale umano, incarnato dal saggio che ne è norma ed esempio, è quello di far coincidere ciò che è bene per sé con ciò che è bene in generale, e ciò che è piacevole per sé con ciò che lo è in generale; si realizza così anche la coincidenza di bene e piacere, visto che il buono in generale e il piacevole in generale si identificano per natura[49]. Ciò importa che occorra anzitutto essere buoni (saggi e virtuosi) e, essendolo, prediligere le amicizie virtuose (che sono appannaggio dei buoni): esse non ospitano conflitti strutturali, soprattutto il bene e il piacere – il confliggere dei quali sopraffà l’acratico – sono adeguati ab origine, nell’amicizia perfetta, giacché essa è piacevole proprio in quanto buona. Ma ciò non esclude che i buoni possano intrattenere anche amicizie fondate sul piacere, o sull’utile[50]: esse però, nell’economia della loro vita, risulteranno marginali, sia nella quantità che nella qualità.  Può sorprenderci il fatto che alla forma di amicizia più rara e più “inarrivabile” delle tre (i buoni sono pochi, gli amici a causa del bene ancora meno) venga ascritta una priorità definitoria, sia essa del tipo πρὸς ἓν o «per somiglianza». Ma per Aristotele qualunque capacità umana – l’amicizia è una virtù, le virtù sono capacità acquisite – viene individuata e definita sulla base della sua eccellenza: è il caso eccellente, in cui un tratto umano è più pienamente realizzato, che funge da essenza normativa rispetto ai casi difettivi, deficitari, degradati, imperfetti; per definire, occorre guardare ai casi migliori, alla modalità in cui una potenzialità è dispiegata ed espressa più compiutamente, e che misura gli altri casi quasi costituendone un virtuale dover-essere rispetto a cui essi mostrano la loro manchevolezza. Perciò la teoria aristotelica presenta al contempo una dimensione descrittiva e una normativa, fra le quali sussiste una sorta di tensione dialettica. E in effetti le amicizie fondate sul piacere e sull’utile sono incomplete: vengono caratterizzate addirittura come amicizie per accidens[51], il che sembra sulle prime vanificare l’atteggiamento inclusivo adottato da Aristotele come cifra metodologica, non solo praticata ma persino esplicitata in modo programmatico[52]. È come se in sede di definizione generale Aristotele fosse interessato a preservare l’unità della nozione di amicizia nonostante le differenze, ma in sede di caratterizzazione sinottico-comparativa dei diversi tipi, ponesse invece l’enfasi sullo iato che separa l’amicizia prima o perfetta dalle altre, fino a trattare le altre come solo accidentalmente tali. Perché esse sono caratterizzate come «accidentali»?  Chi si ama per l’utile o per il piacere lo fa «non perché l’individuo amato sia quello che è, ma in quanto è utile o in quanto è piacevole»[53]: l’utilità e la piacevolezza sono proprietà relazionali esterne all’essenza dell’amico amato, determinate dagli effetti che esso ha su chi lo ama, «perché gli uni ne traggono un qualche bene, gli altri un piacere»[54]; invece l’amicizia basata sulla virtù e la bontà dell’amico amato, è basata su proprietà intrinseche all’amato, su ciò che da ultimo l’amato è[55]. Noi siamo il nostro carattere, il nostro carattere è l’insieme unificato delle nostre virtù, una seconda natura che è frutto prima dell’educazione e poi delle nostre scelte: noi siamo un sé che sceglie, e i nostri pensieri, discorsi e azioni manifestano il nostro “sé”. Pertanto, nell’amicizia perfetta il bene che è in gioco è l’amico stesso che è amato, per ciò che egli essenzialmente è, mentre il bene che è in gioco nelle altre amicizie è il bene – nella forma dell’utile o del piacevole – dell’amico che ama. Anche se l’amicizia è sempre reciproca, resta fermo che nell’amicizia perfetta il fondamento è, per ciascuno degli amici, l’altro come buono, nelle altre è invece il proprio bene in quanto utilità o piacere[56]. Nelle amicizie imperfette la ragione per cui si vuole e persegue il bene dell’altro, resta radicata nell’interesse proprio come diverso dal bene elargito all’altro e diverso dall’altro stesso come dotato di valore intrinseco. È questa differenza radicale a rendere le amicizie imperfette amicizie per accidens: ciò non implica, si badi, che non siano amicizie[57], bensì che lo sono solo in virtù del loro somigliare all’amicizia perfetta, seppure in modo difettivo.  Ma l’amicizia fondata sul bene dell’amico non rischia così di risultare “disinteressata” in un modo psicologicamente implausibile? Solo in apparenza, in quanto il bene di chi ama è in gioco, ma lo è in quanto coincide col bene dell’amico: se siamo amici perfetti, siamo entrambi buoni e virtuosi, e il nostro bene individuale coincide col bene simpliciter: noi, come amici perfetti, cooperiamo per realizzare il bene in generale[58]; il bene mio e dell’amico sono voluti – rispettivamente, dall’amico e da me – in conseguenza del fatto che anzitutto io e l’amico siamo dei beni: se lo siamo l’uno per l’altro, è perché siamo buoni, siamo dotati di valore intrinseco, e lo riconosciamo reciprocamente. Non si tratta di una implausibile relazione puramente altruistica e disinteressata, perché non si fonda – ribadiamolo – solo sul volere il bene dell’altro, ma anzitutto sull’altro come bene in sé: voglio e perseguo il bene dell’altro non per altruismo astratto, ma perché l’altro è un bene. Una nozione comune con cui forse potremmo rendere più chiaro questo aspetto, è quella di stima. L’amicizia perfetta è fondata sulla stima reciproca: un amico che stimo per ciò che è e per come è, esemplifica in sé ciò che è buono, a prescindere da ciò che io posso trarre da lei/lui: «se uno non gioisce perché l’altro è buono, non c’è la prima amicizia» (1237b4-5). La stima reciproca presuppone una consonanza di valori, un’intesa su ciò che vale e ciò che è degno: e visto che i due amici sono virtuosi e buoni, essi valgono e sanno di valere, per questo valgono anche l’uno per l’altro. Si tratta di una amicizia in cui coltivare il proprio bene coincide col coltivare l’altro e il suo bene, e questo coincidere non è accidentale – come accade nelle altre amicizie – bensì è costitutivo. Invece posso trarre vantaggio da un amico utile senza stimarlo affatto, così come posso trarre piacere – per esempio, divertendomici insieme – da qualcuno che non stimo, che non ritengo una persona buona, degna, valida.  L’accidentalità delle amicizie non perfette si rende perspicua nella loro strutturale instabilità: un rapporto fondato sull’utilità non avrà più ragion d’essere, qualora uno dei due amici smetta di essere utile all’altro; i bisogni umani sono cangianti, e tali sono le risorse altrui per farvi fronte, cosicché anche le relazioni utilitarie sono essenzialmente mutevoli; lo stesso accade per gli amici secondo il piacere: cambiano, nel tempo, le fonti del piacere, i “gusti”, e cambiano anche le capacità altrui di procurarci piacere; l’amicizia piacevole, poi, è precaria anche perché riguarda tipicamente i giovani, i quali sono di per sé in continuo cambiamento[59].  Invece la virtù del carattere è cosa stabile: le amicizie complete sono stabili perché sono fondate sul bene come virtù, che è costante e non facile a mutare[60]. Il tempo può rendere inutile un amico che prima era utile, o non più piacevole un amico che lo era, ma difficilmente può sottrarre a un carattere le virtù, far diventare malvagi i buoni, stolti i saggi, e dunque minare le basi su cui le relazioni virtuose fra buoni sono costruite. Per questo l’amicizia completa è specialmente solida, quasi incrollabile[61], e l’amico virtuoso è un amico «al massimo grado»[62], un amico «vero»[63]. Un tale amico si renderà utile se può e quando sia necessario, ma sarà utile perché è un amico, piuttosto che essere amico perché è utile; e sarà piacevole all’amico, giacché ci risulta tendenzialmente piacevole frequentare chi stimiamo[64].  Così Aristotele, forte della sua tassonomia tripartita, deriva dei propria (dei caratteri distintivi) di ciascuna amicizia, spiegando i fenomeni e riconciliandoci con le comuni pratiche ascrittive: alcune intuizioni, luoghi comuni e opinioni notevoli sono vere di un’amicizia, alcune dell’altra. Parlando coi giovani Liside e Menesseno, Socrate nel Liside si dice desideroso di amicizia più di ogni cosa al mondo – con una Priamel che restituisce in modo icastico l’idea dell’amicizia come il più grande dei beni esterni, fatta anch’essa propria da Aristotele – e invidia ironicamente la loro felicità, visto che sono giovani e sono diventati amici «in modo facile e rapido»[65]. Si tratta di caustica ironia, visto che la φιλία che ha a cuore Socrate non è né facile né rapida: ciò che è dissimulato, è che quella non è verace amicizia, ma altro. Qui c’è un’aporia in nuce, visto che i giovani che si frequentano, pur con una certa leggerezza e una conoscenza reciproca non profonda, paiono amici e sono detti tali, eppure non soddisfano i requisiti della “vera” amicizia non solo secondo l’idea socratica, ma anche secondo l’opinione diffusa per cui la vera amicizia è durevole, lenta e difficile a darsi. Aristotele distingue i soggetti delle attribuzioni incompatibili, salvando la verità di entrambe: l’amicizia giovanile (per esempio, quella di Liside e Menesseno) è fondata sul piacere, e ha certi tratti distintivi quali la facilità a prodursi e a decadere, l’intensità emotiva, e così via; l’amicizia perfetta, tipica degli uomini maturi (è quella per cui Socrate dice di ardere di desiderio), necessita di una lunga consuetudine e di una conoscenza reciproca profonda[66], è rara e appannaggio di pochi, è difficilissima a nascere ma altrettanto difficile a morire, fondandosi su ciò che in noi vi è di più stabile. Invece, quella utile caratterizza tipicamente gli anziani, particolarmente bisognosi d’aiuto e sensibili, per debolezza, al beneficio che può arrecare il mutuo soccorso[67]; inoltre, essa si riscontra nei più, nelle masse, le quali sono più preoccupate dei benefici personali che del bene e del bello. Fra le amicizie incomplete, Aristotele ascrive una superiore nobiltà a quella fondata sul piacere, mentre quella fondata sull’utile è «da bottegai»[68]. In effetti, la condivisione del piacere è qualcosa di meno strumentale rispetto al trarre vantaggi da qualcuno: perlomeno il piacere è un fine, non un mezzo; inoltre, il piacere appartiene alla frequentazione stessa dell’amico, mentre l’utile è a questa completamente estrinseco: dunque il fondamento dell’amicizia utile è più esteriore e più contingente di quello dell’amicizia piacevole.  Un altro aspetto problematico del Liside emerge in particolare nella Prima Aporia rispetto alla polarità attivo/passivo (amante/amato), ma soggiace implicitamente anche ad altre aporie: l’amicizia sembra implicare uguaglianza e comunanza da un lato, e differenza e asimmetria dall’altro; si mescolano aspetti tipici del rapporto pederastico-erotico (amante e amato non sono intercambiabili), aspetti del rapporto genitoriale, anch’essi per definizione asimmetrici, e relazioni “fra buoni” simili, potenzialmente simmetriche. Aristotele cerca di articolare queste istanze entro un quadro più sistematico: la tassonomia delle tre amicizie si arricchisce di una distinzione trasversale, fra amicizie simmetriche e amicizie asimmetriche in cui uno è superiore e l’altro inferiore[69]; la φιλία deve essere reciproca, ma tale reciprocità può essere simmetrica o asimmetrica (fra superiore e inferiore). I tipi di amicizia sono dunque sei, giacché si può essere superiori quanto a virtù, a utilità, e a piacevolezza.  La ulteriore distinzione fra amicizie simmetriche e asimmetriche consente ad Aristotele una esplorazione straordinariamente ricca dei legami sociali più eterogenei, che assimila alla φιλία e alle sue declinazioni i rapporti familiari (padre-figlio, marito-moglie, figlio-figlio), i rapporti politici fra città (in vista dell’utile)[70], gli stessi rapporti fra i cittadini in rapporto alla loro comunità, i rapporti fra governanti e governati, le relazioni commerciali, e così via, e indaga le relazioni profonde fra amicizia, giustizia, concordia, comunità. Non è possibile restituire nemmeno sommariamente la ricchezza di tali analisi in questo contributo, il quale si focalizza piuttosto sul significato filosofico e dialettico della tripartizione in generale: ma fa d’uopo rilevare che le applicazioni di questa teoria generale sono molteplici e fecondissime.     3. Amicizia e autosufficienza    La tripartizione (con ulteriore dicotomia trasversale) non scioglie di per sé un nodo aporetico concernente la stessa amicizia perfetta fra buoni: è l’idea espressa entro il punto 2 della Seconda Aporia del Liside, per cui chi ha il bene presso di sé è autosufficiente e non ha bisogno di nulla, dunque l’amicizia di chicchessia gli sarebbe inutile. È vero che Aristotele ha distinto l’amicizia perfetta da quella utile, ma resta il problema di comprendere come mai colui che è saggio, virtuoso e buono, bastando a sé stesso, abbia una qualche motivazione a coltivare un amico, foss’anche un amico perfetto: «se è felice chi ha la virtù, che bisogno avrà di un amico?»[71]. L’idea dell’autosufficienza di chi è saggio, virtuoso, felice e beato, ripresa dal Liside, è un topos tradizionale, quindi ha lo status di ἔνδοξον ben radicato, di cui va dato conto e di cui va mostrata la compatibilità con la teoria positiva proposta nonché con altri ἔνδοξα altrettanto ben attestati.  Il problema è affrontato in Etica Eudemia VII 12 e in Etica Nicomachea IX 9, in maniere parzialmente differenti. L’Eudemia muove dall’analogia con la condizione divina, paradigma dell’autosufficienza. Ma la condizione umana può assurgere all’autosufficienza solo nella misura in cui lo consente la natura dell’uomo, che è animale sociale-politico[72] e può/deve realizzare questa natura, non quella divina[73]: il bene umano contempla sempre il rapporto a un’alterità – è καθ’ ἕτερον[74] ˗ quello divino è assoluto rapporto a sé[75]. L’autosufficienza divina funge da “idea regolativa”, da norma ideale: l’uomo felice minimizzerà il numero degli amici e si limiterà a quelli virtuosi, degni di accompagnarsi a lui; proprio il caso di chi non è obnubilato da bisogni e mancanze, evidenzia il valore intrinseco dell’amicizia perfetta, perseguita non già per ricevere benefici bensì per fare, dare e condividere il bene che si possiede. Ma l’argomento successivo – che è molto complesso e possiamo solo sintetizzare[76] – chiarisce che non si tratta di un altruismo generico e astratto, in quanto l’amicizia è ingrediente essenziale, non accessorio, della felicità individuale.  Vivere, per l’uomo, è percepire e conoscere[77], e – prosegue Aristotele ˗ l’aspirazione massima di ciascuno di noi è, da ultimo, quella di conoscere noi stessi (tesi che rivisita il celebre monito delfico-socratico); la felicità è costituita dalla conoscenza di sé in quanto attivi come buoni e virtuosi[78], e la conoscenza di sé passa per la conoscenza reciproca fra amici: l’amico è «un altro sé»[79], «percepire l’amico necessariamente è percepire in certo modo sé stesso e conoscere in certo modo sé stesso»[80]. Condividendo con l’amico i beni, i piaceri e le attività della vita felice, incrementiamo dunque la conoscenza di noi stessi e della nostra stessa felicità. La Nicomachea chiarisce la relazione fra il riconoscimento reciproco degli amici virtuosi e la loro felicità, soprattutto in un passo speculativamente densissimo:    Se l’essere felici consiste nel vivere e nell’agire, e l’attività dell’uomo dabbene ed eccellente è per sé virtuosa [..], se poi anche ciò che è familiare/affine (οἰκεῖον) a qualcuno è tra le cose che lui trova piacevoli, se noi possiamo osservare il nostro prossimo meglio di noi stessi, e le sue azioni più che le nostre, se le azioni degli uomini superiori, che siano anche amici, sono fonte di piacere per i buoni, dato che hanno tutte e due le caratteristiche piacevoli per natura, allora l’uomo beato avrà bisogno di amici simili a lui, posto che davvero preferisca osservare azioni buone, e che gli sono proprie, come lo sono le azioni dell’amico, quando è buono. (Et. Nic. IX 9 1169b31-1170a4)[81] Le attività di un’esistenza virtuosa e felice sono obbiettivamente piacevoli agli occhi di un uomo buono, virtuoso e felice a sua volta: vi si rispecchia, sentendocisi “a casa propria”, e la familiarità determinata da affinità e prossimità, gli è in sé piacevole. Come si evincerà, la nozione platonica di οἰκεῖον, introdotta sul finire del Liside come cifra stessa della φιλία, trova una ripresa puntuale e una valorizzazione speculativa nella teoria aristotelica. Il prossimo si offre alla nostra conoscenza in modo più trasparente che noi stessi, giacché la sua distanza da noi lo rende meglio oggettivabile. I due tratti umani piacevoli per natura sono da un lato la felicità di cui la virtù è costitutiva, dall’altro la familiarità, che chi è felice è virtuoso riscontra ed esperisce nel contemplare e cooperare con un’altra esistenza felice e virtuosa. Le azioni di un nostro amico “perfetto” sono buone e nel contempo ci sono proprie, cosicché contemplarle è come trovare in esse lo stesso bene che noi siamo. Potrebbe stupire il riferimento reiterato al tema del piacevole, quasi che si trattasse di una delle due amicizie non perfette: ma occorre tenere a mente che il piacevole per natura o ἁπλῶς coincide col bene ἁπλῶς, e che si tratta di un piacere costitutivo del bene e inseparabile da esso, piuttosto che di un piacere addizionale ed esteriore rispetto al bene cui consegue. Se l’altro è sufficientemente prossimo a me, posso de-situarmi e oggettivarmi riconoscendomi nelle sue azioni, secondo una dialettica complessa e chiastica di riconoscimento reciproco. «Se l’uomo eccellente si comporta verso l’amico come si comporta verso di sé, dato che l’amico è un altro se stesso, allora, così come è desiderabile per ciascuno il suo proprio esserci, così è desiderabile l’esserci dell’amico, o quasi» (EN IX 9, 1170b5-8). In questo gioco speculare di identificazioni reciproche, il mio rapporto con l’altro è mediato del mio rapporto con me stesso[82], l’altro è un «altro me» e perseguo il suo bene in maniera pressoché equivalente a come perseguo il mio (quel «quasi» è una concessione al realismo empirico, da cui questa idealizzazione non vuole disancorarsi); ma è altrettanto vero che il mio rapporto con me stesso è a sua volta mediato dal mio rapporto con l’altro, giacché conosco genuinamente me stesso non già con un qualche misterioso atto introspettivo[83], bensì conoscendo persone simili a me che a loro volta mi riconoscono simili a sé: questa è la ragione perché v’è bisogno di amici buoni e virtuosi entro relazioni di amicizia “perfetta”; se la felicità implica autosufficienza, si tratta di un’autosufficienza umana e non divina, che passa per l’inclusione del prossimo nella nostra esistenza, e per la cooperazione con chi scegliamo come degno incarnare il bene e la virtù[84]. Come l’essere amici non si dà senza il sapere di esserlo anche se si può credere di essere amici senza esserlo, così l’essere felici (in quanto buoni e virtuosi in attività) non si dà senza la coscienza di essere felici (in quanto buoni e virtuosi), anche se è possibile credere di essere felici senza esserlo davvero. E per sapere chi sono, devo rispecchiarmi in amici simili a me[85]. Ciò importa che l’uomo beato non avrà bisogno di amici “meramente utili” e “meramente piacevoli”, invece dovrà avere amici buoni e virtuosi: il topos tradizionale è riscattato nella sua verità profonda, ma anche oltrepassato in virtù della tripartizione; in un senso è vero, in un altro no. Essere felici insieme è diverso dal semplice divertirsi insieme, anche se lo include, ed è diverso dal semplice aiutarsi l’un l’altro, anche se può includerlo.  L’amico perfetto ˗ come ogni altro autentico bene ˗ è oggetto di scelta razionale[86]. Anche per questo la teoria aristotelica si distanzia da quella platonica[87]: la φιλία erotica, già ben presente nel Liside sin dalla sua ambientazione scenica – una palestra, ove Liside è il «bello del momento» di cui Ippotale è innamorato – viene relegata da Aristotele a una delle tante forme di φιλία, degna di pochi accenni espliciti, mentre nel Simposio e nel Fedro, dialoghi ben più elaborati e costruttivi del Liside, l’eros è la forma di φιλία che viene eletta a oggetto di indagine paradigmatico. Ma le componenti mistico-estatiche della φιλία erotica come «follia divina» e frutto di invasamento[88], risultano completamente marginalizzate entro la teoria aristotelica. L’amicizia più degna e verace è attività derivante da scelta come desiderio razionale; se la felicità è attività e i beni che la materiano sono oggetto di scelta, allora anche l’amicizia, ingrediente costitutivo della vita felice, sarà espressione di attività, piuttosto che passivo invasamento consistente nell’esser “posseduti” da uomini o dèi. Il primato etico, fisico e metafisico dell’azione sulla passione, è anche il primato di un certo tipo d’amore su un cert’altro. L’amicizia è riportata fra gli amici, e la sua declinazione più eccellente, normante rispetto alle altre, è caratterizzata secondo la dimensione eticamente più elevata dell’umano: la ragione che sceglie e governa il desiderio, piuttosto che esserne governata. L’eros platonico, così bellamente ed enfaticamente rappresentato nel Simposio e nel Fedro, diventa per Aristotele solo una delle tante declinazioni possibili di un tipo di amicizia – quella fondata sul piacere – che è già di per sé incompleta e deficitaria[89].  Secondo l’aporetico excipit del Liside, né amanti né amati, né simili né dissimili, né contrari né affini, né buoni, possono essere amici[90]; le Etiche aristoteliche presentano una teoria la quale non solo consente ma anche prevede che amanti, amati, simili, dissimili, contrari, affini, buoni, e perfino malvagi possano essere amici; inoltre tale teoria offre le risorse concettuali per chiarire quali coppie di amici possano e/o debbano avere questo o quel carattere distintivo, e perché.  Spero di avere almeno approssimato il duplice obbiettivo prefissatomi: mostrare in modo dettagliato e sistematico la dipendenza polemico-dialettica della teoria aristotelica dal Liside platonico, e mettere in luce il significato filosofico generale della tripartizione della φιλία in Aristotele.       Bibliografia   Adkins, A.W.K. (1963), ‘Friendship’ and ‘Self-sufficiency’ in Homer and Aristotle, «Classical Quarterly», 13: 30-45. Annas, J. (1986), Plato and Aristotle on Friendship and Altruism, «Mind»: 532-554. Berti, E. (1995), Il concetto di amicizia in Aristotele, in AA.VV., Il concetto di amicizia nella storia europea, Merano: Istituto di Studi italo-tedesco, 102-135. Bordt, M. (1998), Platon. Lysys, Übersetzung und Kommentar, Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht Verlag. Calvo Martinez, T. (2007), La unidad de la nocion de philia en Aristoteles, «Methexis», 20: 63-82 Cooper, J. (1976-1977), Aristotle on the Forms of Friendship, «Review of Metaphysics», 30: 619-648. Dirlmeier, F. (1967), Aristoteles Nikomachische Ethik. Überseztz und Kommentiert, Berlin: Akademie Verlag. Donini, P. (traduzione, introduzione e note a cura di) (1999), Aristotele. Etica Eudemia, Roma-Bari: Laterza. Ferejohn, M. (1980), Aristotle on focal meaning and the unity of science, «Phronesis», 25: 117-128 Fortenbaugh, W.W. (1975), Aristotle’s Analysis of Friendship: Function and Analogy, Resemblance, Focal Meaning, «Phronesis», 20: 51-62. Fraisse, J.C. (1974), Philia. La notion d’amitiè dans la philosophie antique, Paris: Vrin. Gomperz, Th. (1903), Griechische Denker, Veit: Leipzig; trad. it. Pensatori greci (2013), Milano: Bompiani. Kahn, Ch. (1981), Aristotle and Altruism, «Mind», 90: 20-40. Kahn, Ch. (1996), Plato and the Socratic Dialogue, Oxford: Oxford University Press. Kosman, A. (2004), Aristotle on the Desirability of Friends, «Ancient Philosophy», 24, 1: 135-154. Lualdi, M. (1974), Il problema della philia e il Liside platonico, Milano: CELUC. Natali, C. (traduzione, introduzione e note a cura di) (1999), Aristotele. Etica Nicomachea, Roma-Bari: Laterza. Natali, C. (2008), L’amicizia secondo Aristotele, «Bollettino della società filosofica italiana»: 13-28. Nussbaum, M.C. (1986a), The Vulnerability of the good human life, in Id., The Fragility of Goodness, Cambridge Mass.: Cambridge University Press, 343-370. Nussbaum, M.C. (1986b), Saving Aristotle’s Appearances, in Id., The Fragility of Goodness, Cambridge Mass.: Cambridge University Press, 240-261. O’Connor, D.K. (1990), Two Ideals of Friendship, «History of Philosophy Quarterly», 7: 109-122. Owen, G.E.L. (1960), Logic and Metaphysics in Some Earlier Works of Aristotle, in Barnes, J. (ed.), Articles on Aristotle (1979), vol. 3 (Metaphysics), London: Duckworth, 1-31. Owen, G.E.L. (1967), ΤΙΘÉΝAΙ ΤΑ ΦΑIΝÓΜΕΝΑ, in Moravcsic, J. (ed.), Aristotle. A Collection of Critical Essays, New York: Garden City, 183-190. Pakaluk, M. (1998), Aristotle. Nicomachean Ethics. Books VIII and IX, Pakaluk, M. (trans. and with a comm.), Oxford: Clarendon Aristotle Series. Payne, A. (2000), Character and the Forms of Friendship in Aristotle, «Apeiron», 1: 53-74. Pizzolato, L. (1993), L’idea di amicizia nel mondo classico e Cristiano, Torino: Einaudi. Price, A.W. (1989), Love and Friendship in Plato and Aristotle, Oxford: Clarendon Press. Reale, G. (a cura di) (2015), Introduzione, in Platone, Liside, Milano: Bompiani. Ruggiu, L. (1965), Il ΠΡΟΤΕΡΟΝ ΠΡΟΣ ΗΜΑΣ. L’ΑΡΧΗ del filosofare in Aristotele, «Rivista di filosofia neoscolastica», 57: 22-66. Trabattoni, F. (a cura di) (2004), Il Liside: un’introduzione all’etica socratica, in Platone, Liside, vol. II, Milano: LED: 47-171. Versenyi, L. (1975), Plato’s Lysis , «Phronesis», 20: 185-198. Vlastos, G. (1981), The Individual Love in Plato, in Id., Platonic Studies, Princeton: Princeton University Press, 3-34. von Willamowitz, U. (1959), Platon. Sein Leben und seine Werke, (Auslage 5 mit Bruno Snell), Berlin: Weidmannsche Buchhandlung. Walker, A.D.M. (1979), Aristotle’s Account of Friendship in the Nicomachean Ethics, «Phronesis», 24: 180-196. Ward, J.W. (1995), Focal Reference in Aristotle’s Account of Philia, «Apeiron», 28: 83-205. Wieland, W. (1970), Die aristotelische Physik, Göttingen: Vandenhoek & Ruprecht; trad. it. La Fisica di Aristotele (1993), Bologna: Il Mulino. Williams, R.R. (2010), Aristotle and Hegel on Recognition and Friendship, in Seymour, M. (ed.), The Plural States of Recognition, London: Palgrave Macmillan. Zucca, D. (2015), L’anima del vivente. Vita, cognizione e azione nella psicologia aristotelica, Milano-Brescia: Morcelliana.     Note al testo   [1] Cfr. Phys. I 1: la conoscenza procede da ciò che è più prossimo e più conoscibile per noi, a ciò che è primo per se o per natura; se tale “risalita” verso i principi a partire da ciò che ci è immediatamente più vicino è il metodo della fisica, a fortiori esso si applica all’ambito etico, che è ambito segnatamente umano: cfr. Et. Nic. I 2, 1095a31-b4, ma anche De An. II 2, 413a11-17 e Met. VII 3, 1029a35-b12. Sul valore epistemologico di questa differenza, resta decisivo Ruggiu (1965). [2] Per esempio: quando diciamo, tipicamente, qualcuno «amico» di qualcun altro? Sul rapporto costitutivo fra il primo-per-noi e il linguaggio, cfr. Wieland (1993). [3] Cfr. Top. I 1, 100 b 21-23; intendo questa definizione di ἔνδοξον come una disgiunzione inclusiva: se un’opinione è condivisa almeno da uno degli insiemi indicati (tutti, i più, i sapienti, qualcuno di essi), è un ἔνδοξον, e ciò che lo rende tale può essere quantitativo, o qualitativo, o entrambi: per esempio, se è condiviso da tutti, lo sarà anche dai sapienti. [4] Sulla intima connessione fra δοκοῦντα, λεγόμενα e φαινόμενα, cfr. Owen (1967), Nussbaum (1986b). [5] Cfr. De An. I 1, 402b 16-403a8. [6] Cfr. Herod. III 82, 35 e Tucid. I 137, 4, in cui si trova l’endiadi «συμμαχίᾳ καὶ φιλία». [7] Nei poemi omerici non vi è il termine φιλία – le prime occorrenze si trovano in Teognide (Teog. I, 31-38, 53-60, 323-28) – ma termini analoghi come φιλότης, φίλος sono utilizzati sia a proposito del rapporto fra uomini che di quello fra uomini e dèi. Sulla φιλία nel mondo antico, cfr. Pizzolato (1993), Fraisse (1974). [8] Nel Fedro platonico (228a-e), Socrate confuta un discorso di Lisia sulla φιλία, che Fedro custodiva sotto il mantello: quindi è verosimile che anche prima della data di composizione del Liside la φιλία fosse importante oggetto di dibattito e di riflessione critica. Del resto Giamblico (De Pythagorica Vita, 229-30) e Diogene Laerzio (Vitae Philosophorum, VIII, 10) attribuiscono già a Pitagora la prima trattazione filosofica della φιλία. [9] Anche il Fedro e il Simposio si occupano lungamente della φιλία – l’eros è una forma della φιλία, per Platone quella più significativa – ma, come cercherò di mostrare, l’indagine aristotelica dipende sistematicamente dal Liside: per così dire, essa articola una differente risposta a quelle aporie, rispetto a quella che propone Platone nel Simposio e nel Fedro. [10] Meglio: se qualcuno sia amico di qualcun altro in quanto ami o, piuttosto, in quanto sia amato. [11] φίλος + dativo significa “caro a qualcuno”, φίλος + genitivo indica colui a cui qualcuno è caro, due individui sono φίλοι, quando sono l’uno “caro” all’altro. [12] Alcuni interpreti leggono il Liside come un esercizio dialettico, filosoficamente debole [Versenyi (1975)] o più retorico-sofistico che filosofico [Bordt (1988)], o dal significato prolettico-introduttivo rispetto ai maturi Simposio e Fedro [Kahn (1996), ma già Gomperz (2013), Auslage 5, e Willamovitz (1959)]; benché questi due dialoghi successivi ne possano a buon diritto adombrare il valore intrinseco, tuttavia i temi sollevati dal Liside sono nodi aporetici sostanziali, e non deve fuorviare il fatto che Socrate mutui il linguaggio e lo stile argomentativo dal tipo di interlocutore che affronta (per esempio, “facendo” il sofista col sofista Menesseno, e così via). Per una interpretazione non riduttiva del Liside e del suo valore speculativo, è illuminante Trabattoni (2004). [13] Un altro topos tradizionale – per cui la vera amicizia è fra ἀγαθοί – ricorrente in Platone: per restare all’esempio più noto, in Resp. I, 351a-e Socrate replica a Trasimaco che fra malvagi e ingiusti non può esserci alcuna cooperazione né amicizia; era comunque un tema essenziale per Socrate (cfr. Senofonte, Mem., 2.6 1-7). [14] Sull’ascendenza omerica di questo topos tradizionale, e sulla sua importanza per Aristotele (cfr. infra: Par. III), cfr. Adkins (1963). [15] La coscienza del male come tale è sintomo del fatto che il male è relativo e non assoluto. [16] Qui nel Liside si tratta di ἐπιθυμία (cfr. 217c). [17] Tralascio qui la questione della possibile identificazione del Primo Amico col Bene: ciò che rileva, qui, è il fatto che esso trascenda gli amici concreti, i quali sono tali solo «a parole» e stanno al Primo amico – che è tale «in realtà» (τῷ ὄντι) – come i mezzi al fine (cfr. Lys. 220b1-4). [18] Lys 222e1-7. [19] La letteratura sull’amicizia in Aristotele è sterminata: in luogo di proporre una lunga lista di studi che comunque sarebbe tutt’altro che esaustiva, nel seguito mi limiterò a citare alcuni contributi che sono particolarmente pertinenti agli aspetti che tratterò. Un commento sintetico e preciso a Et. Nic. VIII e IX è Pakaluk (1998). [20] È il giudizio nettamente prevalente, anche se non unanime. [21] Sul rapporto fra il Liside e le Etiche aristoteliche riguardo l’amicizia, buoni spunti si trovano in Annas (1986). [22] Et. Eud. VII 1, 1234b18-1235a4; cfr. anche Et. Nic. VIII 1. [23] Et. Eud. VII 1, 1155a33-b7. [24] Trad. it. modificata. [25] Cfr. supra: nota 16. [26] Et. Eud. VII 2, 1235b22-23. [27] C’è chi crede che il piacere sia un bene, ma c’è anche chi crede che non lo sia eppure gli appare – porto dalla φαντασία – come se lo fosse. Nell’acratico la forza della φαντασία sopravanza, nelle scelte pratiche, quella della δόξα. [28] Il «bene apparente» è qualcosa che appare come bene; ma può anche non esserlo: tuttavia, anche il bene reale motiva il desiderio solo apparendo come bene. Dunque «apparente» qui non va affatto interpretato come falsa apparenza. [29] Et. Eud. VII 2, 1235b30-1236a1. [30] Il piacevole non è l’immediato, ma anche ciò che non procura dispiacere futuro; Aristotele sa bene che molte cose dannose possono procurare del piacere immediato. Ma chi non è acratico, conscio delle conseguenze negative, accorderà il suo desiderio con la sua ragione, e la motivazione data dall’ipotetico piacere immediato sarà soverchiata dalla motivazione a evitare danni futuri. [31] Questo punto è più chiaro per come è presentato in Et. Nic. VIII 2, 1155b23-27. [32]  Nelle espressioni δι’ ἀρετὴν, διὰ τὸ χρήσιμον, δι’ ἡδονήν, la preposizione significa a un tempo «in base a», «a causa di», «al fine di»: il rispettivo amabile è ciò che causa quell’amicizia, ciò che ne costituisce il fondamento o ragion d’essere, ciò che ne rappresenta il fine [su un’idea analoga, cfr. Nussbaum (1986a)]; nei termini della nota teoria delle quattro cause (dei quattro sensi del διὰ τί, cfr. Phys. II 3), potremmo plausibilmente intendere il tipo di amabile come causa efficiente, formale e finale della rispettiva relazione amicale. [33] Cfr. Et. Nic. VIII 2, 1155b26-31. Mentre la φίλησις è una passione o affezione (πάθος), la φιλία è uno stato abituale (ἕξις, 1557b28-29). [34] Cfr. Et. Eud. VII 2, 1237b17-23; Et. Nic. VIII 4, 1156b30-33. [35] Vi è discussione sul fatto che questa caratterizzazione definitoria offra condizioni sufficienti perché qualcosa sia amicizia, oppure solo condizioni necessarie; propenderei per la seconda opzione: per esempio, Aristotele ritiene che per diventare amici deve passare del tempo, e molti scambiano il desiderio di essere amici con l’amicizia stessa (Et. Eud. VII 2, 1237b12-22); ma se il desiderio è reciproco, sussiste già benevolenza reciproca non celata, che non è ancora amicizia. [36] Sul focal meaning cfr. Owen (1963), Ferejohn (1980). L’exemplum princeps è quello della Metafisica: la sostanza è il focal meaning dell’essere, tutto ciò che è o è sostanza o rimanda a una sostanza, al modo in cui tutto ciò che è «sano» rimanda alla salute e tutto ciò che è «medico» alla medicina (cfr. Met. IV 2, 1003a32-1003b11). [37] Cfr. Fortenbaugh (1975). [38] Può esserlo in modo mediato, come foriero di un altro utile, al modo in cui qualcosa è mezzo di un altro mezzo, ma in ultima istanza l’utile è tale perché porta al bene e i mezzi sono tali perché portano al fine. [39] Per esempio, in De An. III 7, 431a10-13 il piacere è definito come l’essere percettivamente attivi nei confronti del bene in quanto bene; l’utilità è indefinibile se non come capacità di avvicinarci a un qualche bene; l’utile sta al bene come il mezzo al fine, e non vi è modo di definire cosa sia un mezzo, senza chiamare in causa la nozione di fine. [40] Et. Eud. VII 2, 1236a25-26. [41] Et. Eud. VII 2, 1236b1-2; Et. Nic. VIII 4, 1156b7-8. [42] Cfr. Esiodo, Opera et dies, 342-360; 707-723. [43] Chiamare amicizia solo quella prima, equivarrebbe a «violentare i fenomeni» (βιάζεσθαι τὰ φαινόμενα, Et. Eud. VII 2, 1236b 22). [44] Et. Nic. VIII 4, 1156b7. [45] La prima amicizia, infatti è quella «secondo virtù e a causa del piacere della virtù» (EE VII 1238a31-32). [46] Secondo Aspasio (164.3-11), Owen (1960) e Dirlmeier (1967) vi sarebbe comunque focal meaning e relazione πρὸς ἓν, ancorché non esplicitata. [47] Et. Nic. VIII 5, 1157a32. [48] Se poi l’individuo è acratico, potrebbe anche non credere che qualcosa sia il suo bene, ma perseguirlo perché gli “appare” bene e frequentare individui utili a qualcosa che egli cerca di procurarsi pur sapendo che non è il suo bene: come uno che frequentasse un pusher in modo costante per procurarsi della droga, sapendo di farsi del male ma perseverando nel suo comportamento autodistruttivo (e nelle frequentazioni relative) per debolezza. [49] Sulla rilevanza della distinzione fra «bene per qualcuno» e «bene incondizionato» in rapporto alla teoria delle tre amicizie, insiste doverosamente O’Connor (1990). [50] Et. Nic. IX 10,1170b20-29. [51] Così, nella Nicomachea (Et. Nic. VIII 2, 1156a17), non nella Eudemia. [52] Cfr. supra: Par. II, 3. [53] EN VIII 3, 1156 a 16-17. [54] EN VIII 3, 1156a18-19 [55] Cooper (1977) sostiene che le amicizie accidentali siano tali perché dipendano da tratti accidentali del carattere dell’amico amato; Payne (2000) replica che anche i tratti in virtù di cui qualcuno risulta piacevole o utile possono essere altrettanto essenziali di quelli che lo rendono virtuoso: gli amici perfetti sarebbero scelti «per sé stessi» in quanto i loro caratteri virtuosi sono scelti come fine e non come mezzo (per altro). Ma le letture sono forse componibili: l’esser utile o piacevole, anche se sopravviene a tratti essenziali del carattere altrui, restano esterni all’altro, in quanto relazionali in un senso diverso dalla virtù; l’esser buono è sia essenziale e intrinseco all’amico, che scelto per sé stesso e non per altro, e rende anche l’amico stesso, che ha quel carattere virtuoso, scelto per sé stesso e non per altro. Cfr. supra: nota 31. [56] In Et. Eud. VII 7, 1241a5-7 si afferma che «se uno vuole per un altro i beni perché costui gli è utile, li vorrebbe allora non per quello ma per sé stesso; mentre invece la benevolenza, proprio come l’amicizia, si ritiene che sia rivolta non a quello che la prova, ma a colui per il quale la si prova. Pertanto, è chiaro che la benevolenza è in relazione con l’amicizia etica». Qui pare che solo l’amicizia etica (=virtuosa) implichi la benevolenza, che però è un costituente della definizione generale di amicizia. Da passi di questo tenore pare che le amicizie incomplete non siano amicizie in senso proprio, visto che non soddisfano la definizione; Aristotele è oscillante, è innegabile che vi sia una tensione irrisolta fra la sua vocazione inclusiva e lo sforzo di enucleazione della “vera” amicizia come tipologia normante e assiologicamente sovraordinata, che non è semplicemente una delle tre amicizie ma quella par excellence, di cui le altre sono approssimazioni manchevoli. Si può accogliere la lettura di Walker (1979), per cui l’amicizia perfetta soddisfa criteri più severi, le altre criteri più laschi. [57] Si pensi alla percezione per accidente (De An. II 6, III 1): essa è comunque studiata come una modalità genuina di percezione: le ragioni per cui essa è percezione per accidente non inficiano il fatto di essere genuinamente un tipo di percezione. [58] I due amici perfetti, in quanto buoni e virtuosi, realizzano l’eccellenza della natura umana, sono esempi del bene incondizionato e del piacere incondizionato. [59] Et. Nic. VIII 3, 1156a31-1156b1. [60] Et. Eud. VII 2, 1238a11-30; Et. Nic. VIII 3, 1156b17-32. [61] Può succedere che l’altro cambi, peggiori, o impazzisca, ma non accade per lo più. Cfr. Et. Nic. IX 3. [62] Et. Nic. VIII 4, 1156b10. [63] Et. Eud. VII 2, 1236b31. [64] La sventura, poi, può rivelare che un’amicizia che pareva perfetta era in realtà in vista dell’utile (Et. Eud. VII 2, 1238a19-21). [65] Lys. 211e-212a. [66] Et. Eud. VII 2, 1237b13-27. [67] Et. Nic. VIII 3, 1156a24-31. [68] Et. Nic. VIII 7, 1158a21. [69] Et. Eud. VII 4; Et. Nic. VIII 8. [70] Et. Eud. VII 9-11, Et. Nic. VIII 12-14. [71] Et. Eud. VII 12, 1244b4-5. [72] Cfr. Pol. I 1, 1253a10-12; Et. Nic. IX 12, 1169b18-19. [73] Et. Eud. VII 12, 1245b15-16. [74] Et. Nic. 1245b18. [75] Et. Eud. VII 12, 1245b18-19. [76] Si tratta di una complessità anche filologica, dovuta a corruzioni del testo. Su ciò, cfr. Kosman (2004). [77] Delle tre anime – nutritivo-riproduttiva, percettiva, razionale – la percettiva e la razionale sono quelle che discriminano la realtà (cfr. De An. III 3, 427a17-23); la percettiva, poi, è intimamente connessa col desiderio e, quindi, con l’azione (cfr. De An. III 9-11). Vivere significa realizzare le proprie capacità naturali e acquisite, il che per l’uomo implica anzitutto l’esercizio di percezione e pensiero (ove entrambe vanno concepite come connesse all’azione, in quanto coinvolgono anche desiderio e intelletto pratico). Su ciò, mi permetto di rimandare a Zucca (2015), Capp. II e VI. [78] La felicità è «una certa attività dell’anima secondo virtù completa» (Et. Nic. II 13, 1102a5-6). [79] Et. Eud. VII 12, 1245a30; Et. Nic. IX 9, 1166 a 32, 1170 b 6. [80] Et. Eud. VII 12, 1245a35-7. [81] Trad. it. modificata. [82] In Et. Eud. VII 6 e in Et. Nic. IX 4 si argomenta che i tipi di relazione che si hanno con gli altri dipendono dal rapporto che si ha con sé stessi: chi è buono e virtuoso sarà anche amico di sé stesso in modo armonico e costante – sebbene si possa parlare di amicizia solo κατὰ ἀναλογίαν (1240a13), nel caso dell’auto-rapporto – chi è malvagio sarà incostante e in conflitto con sé stesso, e in senso analogico sarà nemico di sé stesso. Questa idea non contraddice l’idea per cui la conoscenza di sé passa per la conoscenza dell’altro (Et. Nic. IX 9), ma anzi la completa: il buono e virtuoso è felice anzitutto in quanto ha un “sano” rapporto con sé, ma si conosce e realizza come felice solo in quanto ha un rapporto di riconoscimento reciproco con amici che hanno, a loro volta, un altrettanto “sano” rapporto con sé stessi. [83] L’idea di un accesso introspettivo infallibile ed essenzialmente privato ai nostri propri atti mentali, così tipicamente moderna, è affatto estranea ad Aristotele. [84] Come è naturale porre l’enfasi sul valore speculativo intrinseco della teoria, così è altrettanto opportuno ricordare che l’amicizia perfetta aristotelica resta prerogativa di un sottoinsieme dei maschi adulti liberi; tuttavia, questa tara storica affetta la teoria dell’amicizia, per così dire, mediatamente: in quanto restringe a quel sottoinsieme la capacità di realizzare l’eccellenza morale, precondizione della relazione d’amicizia perfetta. [85] Non uso la locuzione «sapere chi sono», anacronisticamente, come il coglimento di me stesso in quanto individualità irriducibile, magari ineffabile e inaccessibile ad altri – non è certo questa sorta di soggettività “novecentesca”, che secondo Aristotele giungerebbe alla coscienza di sé nell’amicizia – bensì come il venire a conoscenza di che tipo di persona sono. [86] Come bene intrinseco che trascende il livello del piacevole, è un amabile oggetto di volontà piuttosto che di appetito (Et. Eud. VII 2, 1235b22-23), e la volontà è desiderio razionale di beni scelti. [87] Un’analisi sistematica e comparativa delle nozioni di amicizia e amore in Platone e Aristotele, è Price (1989). Cfr. anche Kahn (1981). [88] Cfr. Phaedr. 265b-c. [89] La relazione erotica amante/amato, peraltro, è anche meno significativa e più instabile di altre relazioni fondate sul piacere – dunque, già di per sé instabili – in quanto in questo caso il piacere «non deriva dalla stessa fonte» (l’uno gode nell’esser corteggiato, l’altro nel contemplare l’altro, Et. Nic. VIII 5, 1157a2-10). [90] Lys. 222a3-7. Proverbi, impicatura proverbiale. A Errare humanum est.jpg Ab amico reconciliato cave. Guardati da un amico riconciliato.[1] Absit reverentia vero. Bando ai pudori di fronte alla verità. (Ovidio) Abusus non tollit usum. L'abuso non esclude l'uso.[2] Accidere ex una scintilla incendia passim. A volte da una sola scintilla scoppia un incendio.[3] Ad impossibilia nemo tenetur. Nessuno è obbligato a fare l'impossibile.[4] Adulator propriis commodis tantum suadet L'adulatore tiene di mira solo i suoi interessi.[5] (Giulio Cesare) Amantis ius iurandum poenam non habet. Il giuramento dell'innamorato non si può punire.[6] Amicus certus in re incerta cernitur. Il vero amico si rivela nelle situazioni difficili.[7] (Quinto Ennio) Amicus omnibus, amicus nemini. Amico di tutti, amico di nessuno.[8] Amicus Plato, sed magis amica veritas. Amo Platone, ma amo di più la verità.[9] (Aristotele) Amor arma ministrat. L'amore procura le armi [agli amanti perché possano essere grati alla persona amata].[10] (proverbio medievale) Amor caecus. L'amore è cieco.[11] Amor gignit amorem.[10] Amore genera amore. Amor tussisque non celatur. L'amore e la tosse non si possono nascondere.[12] Amoris vulnus sanat idem qui facit. La ferita d'amore la risana chi la fa.[12] Anceps fortuna belli. Le sorti della guerra sono incerte.[9] (Cicerone) Aquila non captat muscas. L'aquila non prende mosche.[13] Athenas noctuas mittere.[14] Mandare nottole ad Atene. Fare cosa inutile e superflua. Ars est celare artem.[15] La perfezione dell'arte sta nel celarla. Audi, vide, tace, si vis vivere in pace.[16] Ascolta, guarda e taci, se vuoi vivere in pace. B Barba virile decus, et sine barba pecus.[17] La barba è decoro dell'uomo e chi è senza barba è pecoro. Bene qui latuit, bene vixit. Ben visse chi seppe vivere nell'oscurità.[18] (Ovidio) Beati monoculi in terra caecorum. Beati i monòcoli nel paese dei ciechi. Bis dat qui cito dat. Dà due volte chi dà presto.[19] Bis peccat qui crimen negat.[20] È due volte colpevole chi nega la propria colpa. Bis pueris senes.[21] Il vecchio è due volte fanciullo. Bonis nocet qui malis parcet. Chi risparmia i malvagi danneggia i buoni.[22] Bonum nomen, bonum omen.[23] Buon nome, buon augurio. C Caecus non judicat de colore.[24] Il cieco non giudica i colori. Non si può giudicare ciò che si sottrae alle nostre attitudini. Caesar non supra grammaticos.[25] Cesare non (ha autorità) sopra i grammatici. Le persone più altolocate non possono avere autorità se non su quelle cose di cui s'intendono. Canis caninam non est.[26] Cane non mangia cane. Carpe diem. Cogli il giorno. (Quinto Orazio Flacco) Caseus est sanus, quem dat avara manus. Fa bene quel formaggio servito da una mano avara.[27] Causa patrocinio non bona peior erit. La causa cattiva diventa peggiore col volerla difendere.[28] (Ovidio) Causa perit iusta, si dextera non sit onusta.[29] La giusta causa soccombe se la destra non è piena [di denaro]. Cave a signatis. Guàrdati dai segnati.[28] Antico adagio in odio a coloro che sono affetti da qualche imperfezione fisica: guerci, zoppi, ecc. Cave tibi ab acquis silentibus. Guàrdati dalle acque chete.[28] Cavendo tutus.[30] Se sarai cauto, sarai sicuro. Cogito ergo sum. Penso dunque sono. (Cartesio) Commendatoria verba non obligant.[31] Le parole di raccomandazione non obbligano. Commune periculum concordiam paret.[32] Il comune pericolo prepari la concordia. Consuetudo est altera natura. L'abitudine è una seconda natura.[33] D De gustibus non est disputandum. Sui gusti non si discute.[34] Difficilis in otio quies. È difficile esser tranquilli nell'ozio.[35] Dulce bellum inexpertis, expertus metuit. La guerra è dolce per chi non ne ha esperienza, l'esperto la teme.[36] (proverbio medievale) Dum caput dolet, caetera membra languent. Quando duole il capo, tutte le membra languono.[37] Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Roma si delibera, Sagunto è espugnata.[38] Dum vinum intrat exit sapientia.[39] Mentre il vino entra, esce la sapienza. Duo cum faciunt idem, non est idem.[35] Quando due fanno la stessa cosa, non è più la stessa cosa. E Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.[40] L'errare è cosa umana, il perseverare nella colpa invece è diabolico. Error hesternus sit tibi doctor hodiernus.[41] L'errore di ieri ti sia maestro oggi. Est in canitie ridicula Venus. È ridicolo l'amore di un vecchio.[42] (Proverbio medievale) Est modus in rebus, sunt certi denique fines | quos ultra citraque nequit consistere rectum. C'è una giusta misura nelle cose, ci sono giusti confini | al di qua e al di là dei quali non può sussistere la cosa giusta. (Quinto Orazio Flacco) Ex ungue leonem.[43] Dall'unghia si conosce il leone. Da un atto compiuto si rivela la forza dell'autore, morale o materiale. Excusatio non petita fit accusatio manifesta (proverbio medievale)[44] Chi si scusa senza esserne richiesto s'accusa. F Fabas indulcat fames.[45] La fame addolcisce le fave. Facile est inventis addere.[46] È facile aggiungere a ciò che è stato inventato. Facile perit amicitia coacta.[47] Facilmente muore un'amicizia forzata. Facit experientia cautos.[48] L'esperienza rende cauti. Fac sapias et liber eris.[49] Fa' di sapere e sarai libero. Felicium omnes sunt cognati. Tutti sono parenti dei fortunati.[8] Fiat iustitia et pereat mundus. Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo. Frangitur ira gravis cum sit responsio suavis.[50] Una dolce risposta infrange l'ira. Frustra sapiens qui sibi non sapet.[51] Inutilmente sa chi non sa per sé. G Gutta cavat lapidem. La goccia scava la pietra. H Homo longus raro sapiens; sed si sapiens, sapientissimus. Un uomo lungo (ossia alto) di rado è sapiente; ma se è sapiente, è sapientissimo.[52] Homo sine pecunia, imago mortis. L'uomo senza danaro è l'immagine della morte.[53] I Ianuensis ergo mercator. Genovese quindi mercante.[54] Imperare sibi maximum imperium est. Comandare a sé stessi è la forma più grande di comando. (Seneca, Lettere a Lucilio, CXIII.30) In magno mari capiuntur flumine pisces.[55] Nei grandi fiumi si pescano i grandi pesci. Nei grandi affari si fanno i grossi guadagni. In medio stat virtus. La virtù sta nel mezzo. (Orazio) In vino veritas. Nel vino c'è la verità. L M Magnum vectigal parsimonia.[56] La parsimonia è un gran capitale. (Cicerone) Major e longiquo reverentia.[56] La riverenza è maggiore da lontano. (Tacito) Mala gallina, malum ovum.[57] Gallina cattiva, uovo cattivo. Mea mihi conscientia pluris est quam omnium sermo.[58] Per me val più la mia coscienza che il discorso di tutti. (Cicerone) Medicus curat, natura sanat. Il medico cura ma è la natura che guarisce.[59] Melius est abundare quam deficere. Meglio abbondare che trovarsi in scarsezza.[60] Mors tua vita mea.[56] La tua morte è la mia vita. Mortui non mordent. I morti non mordono[61] [truismo] Mortuo leoni et lepores insultant. Anche le lepri insultano un leone morto.[62] Multi multa, nemo omnia novit. Molti sanno molto, nessuno sa tutto.[63] N Natura non facit saltus. La natura non procede per salti.[64] Naturalia non sunt turpia.[65] Le cose naturali non sono turpi. Nemo non formosus filius matri. Nessun figlio non è bello per sua madre.[66] Ne pulsato portam alterius, nisi velis pulsetur et tua.[67] Non bussare alla porta altrui se non vuoi che bussino alla tua. Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu. Nulla è nell'intelligenza che prima non fosse nel senso[68] Non omne quod licet honestum est.[69] Non tutto ciò che è lecito è onesto. Non omnibus dormio. Non dormo per tutti.[70] Nomen omen Il nome è un presagio (v. anche nomina sunt consequentia rerum e conveniunt rebus nomina saepe suis) (Plauto, Persa, 625) Nomina sunt consequentia rerum. I nomi sono corrispondenti alle cose. (Giustiniano, Institutiones, 2, 7, 3) O Omne animal post coitum triste. Tutti gli animali sono mesti dopo il coito.[71] Omne ignotum pro terribili.[72] Tutto ciò che è ignoto incute paura. Omnia munda mundis. Per chi è puro tutto è puro. (Paolo di Tarso) Omnia vincit amor. L'amore vince ogni cosa. (Virgilio, Bucoliche X, 69) Omnia fert aetas. Il tempo porta via tutte le cose. (Virgilio) Omnis festinatio ex parte diaboli est.[73] Ogni fretta viene dal diavolo. P Panem et circenses. Pane e giochi [per distrarre il popolo]. (Giovenale, X 81) Patere quam ipse fecisti legem.[74] Subisci la legge che tu stesso hai fatta. Pectus est enim quod disertos facit È infatti il cuore che rende eloquenti (Quintiliano, 10,7,15) Pecunia non olet Il denaro non puzza (Vespasiano) Per aspera ad astra. Alle stelle [si giunge] attraverso aspri sentieri.[75] Periculum in mora. Vi è pericolo nel ritardo. (Tito Livio, Ab urbe condita; XXXVIII, 25) Philosophum non facit barbam.[76] La barba non fa il filosofo. Primum vivere deinde philosophari (Thomas Hobbes) Prima vivere, poi fare della filosofia. Q Quando Sol est in Leone, bibe vinum cum pistone. Quando il sole è in Leone [segno zodiacale], bevi il vino col pistone [a garganella].[77] Qui aquam Nili bibit rursus bibet.[78] Chi beve l'acqua del Nilo la berrà di nuovo. È destinato a ritornarvi. Qui asinum non potest, stratum caedit.[79] Chi non può bastonare l'asino bastona la bardatura. Qui gladio ferit gladio perit. Chi di spada ferisce di spada perisce.[80] Qui in pergula natus est, aedes non somniatur. Chi è nato in una capanna, i palazzi non li vede neanche in sogno. (Petronio, 74,14) Qui jacet in terra non habet unde cadat. Per chi giace in terra non c'è pericolo di cadere.[81] [truismo] Qui medice vivit, misere vivit. Chi vive sotto la guida del medico, vive miseramente.[81] Qui scribit, bis legit. Chi scrive, legge due volte.[82] Quisque faber fortunae suae. Ognuno è artefice del proprio destino. (Appio Claudio Cieco) Quod differtur non aufertur Ciò che si dilaziona non lo si perde[83] Quod non potest diabolus mulier evincit. Ciò che non può il diavolo, l'ottiene la donna.[84] (proverbio medievale) Quot homines tot sententiae. Tanti uomini, altrettante opinioni.[85] Quot servi tot hostes. Tanti servi, tanti nemici.[85] R Re opitulandum, non verbis.[86] L'aiuto va dato con i fatti, non con le parole. Rem tene, verba sequentur Possiedi l'argomento e le parole seguiranno. (Marco Porcio Catone) Res satis est nota, plus foetent stercora mota.[87] È cosa nota: lo sterco più è stuzzicato e più puzza. S Salus extra Ecclesiam non est[88] Al di fuori della Chiesa non v'è salvezza (Tascio Cecilio Cipriano, Lettera, 73, 21) Sapiens nihil affirmat quod non probet.[89] Il saggio nulla afferma che non possa provare. Satis quod sufficit.[90] Ciò che è sufficiente al bisogno, basta. Semel abas, semper abas.[91] Una volta abate, sempre abate. Proverbio medioevale, affermante che chi ha vestito una volta l'abito sacerdotale non può spogliarsi più delle idee e delle abitudini ecclesiastiche. Significa anche, per estensione, che si conservano sempre le idee una volta acquistate. Semel in anno licet insanire. Una volta all'anno è lecito fare follie. (Seneca) Senatores boni viri: senatus autem mala bestia.[92] I senatori sono brava gente; ma il senato è una cattiva bestia. Sero venientibus ossa.[93] Per chi viene troppo tardi restano le ossa. Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace prepara la guerra. (Vegezio) Sicut mater, ita et filia eius. Quale la madre, tale anche la figlia.[94] Simia simia est, etiamsi aurea gestet insignia.[95] La scimmia resta sempre scimmia, anche se indossa ornamenti d'oro. Sol lucet omnibus.[96] Il sole splende per tutti. Vi sono delle cose di cui tutti gli uomini possono godere. Sorex suo perit indicio.[97] Il topo perisce per essersi rivelato da sé. Sublata causa, tollitur effectum.[98] Soppressa la causa, scompare l'effetto. T Timeo Danaos et dona ferentes. Io temo comunque i Greci, anche se recano doni. (Publio Virgilio Marone) U Ubi maior, minor cessat. Dinanzi al più forte, il debole scompare.[8] Ubi opes, ibi amici. Dove sono le ricchezze, lì sono anche gli amici.[8] Ubi uber, ibi tuber.[99] Dove è la mammella, ivi è il tumore. Dove c'è abbondanza, ivi si forma il marciume, la corruzione. V Verba movent, exempla trahunt.[100] Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano. Verba volant, scripta manent.[101] Le parole volano, gli scritti restano. Vigilantibus, non dormientibus, jura succurunt.[102] Le leggi forniscono aiuto ai vigilanti, non ai dormienti. Vinum lac senum.[103] Il vino è il latte dei vecchi. Vulgus vult decipi, ergo decipiatur. Il popolo (il mondo) vuole essere ingannato, e allora sia ingannato.[104] Note  Citato in Mastellaro, p. 21.  Citato in Tosi 2017, n. 1408.  Citato in Tosi 2017, n. 1010.  Citato in 2005, p. 6.  Citato in Mastellaro, p. 11.  Citato in Mastellaro, p. 25.  Citato in Mastellaro, p. 18.  Citato in Mastellaro, p. 20.  Citato e tradotto in 2005, p. 15.  Citato in De Mauri, p. 27.  Citato in Mastellaro, p. 24.  Citato in Mastellaro, p. 23.  Citato in Tosi 2017, n. 2265.  Citato, con spiegazione, in Umberto Bosco, Lessico universale italiano, vol. XV, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 1968, p. 59.  Citato e tradotto in 2005, § 169.  Citato e tradotto in 2005, § 188.  Citato e tradotto in 2005, § 215.  Citato con traduzione in 2005, p. 28.  Citato in 1921, p. 43, § 161.  Citato e tradotto in 2005, § 243.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 148.  Citato con traduzione in 2005, p. 30.  Citato e tradotto in 2005, § 256.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 154.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 155.  Citato e tradotto in 2005, § 280.  Citato in Andrea Perin e Francesca Tasso (a cura di), Il sapore dell'arte, Skira, Milano, 2010, p. 41.  Citato e tradotto in 2005, p. 37.  Citato e tradotto in 2005, § 305.  Citato e tradotto in 2005, § 312.  Citato e tradotto in 2005, § 343.  Citato e tradotto in 2005, § 344.  Citato in Mastellaro, p. 9.  Citato in 2005, p. 57.  Citato in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza nella vita, traduzione di Oscar Chilesotti, Dumolard, Milano, 1885.  Citato in Marco Costa, Psicologia militare, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 645. ISBN 88-464-7966-1  Citato in 1876, p. 66.  Citato in 1921, p. 496.  (ES) Citato in Jesús Cantera Ortiz de Urbina, Refranero Latino, Ediciones Akal, Madrid, p. 68 § 773. ISBN 9788446012962  Citato e tradotto in 2005, § 645.  Citato e tradotto in 2005, § 650.  Citato in De Mauri, p. 29.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 366.  Citato in Giuseppe Fumagalli, L'ape latina, Milano, 1975, p. 82  Citato e tradotto in 2005, § 732.  Citato e tradotto in 2005, § 739.  Citato e tradotto in 2005, § 741.  Citato e tradotto in 2005, § 744.  Citato e tradotto in 2005, § 747.  Citato e tradotto in 2005, § 829.  Citato e tradotto in 2005, § 835.  Citato in 2005, p. 108.  Citato in 2005, p. 109, § 941.  Citato in Filippo Ruschi, Questioni di spazio: la terra, il mare, il diritto secondo Carl Schmitt, G. Giappichelli Editore, 2012, p. 140. ISBN 9788834896839  Citato e tradotto in 2005, § 1072.  Citato in 2005, p. 152.  Citato e tradotto in 2005, § 1313.  Citato con traduzione in Jean Louis Burnouf, Metodo per studiare la lingua latina adottato dall'Università di Francia, presso Ricordi e Jouhaud, Firenze 1850, p. 276.  Citato in 2005, p. 158.  Citato in 2005, p. 159.  Citato in AA. VV., Dizionario delle sentenze latine e greche, § 1509, Rizzoli, Milano, 2017.  Citato in 2005, p. 166.  Citato in 2005, p. 168.  Citato in 1921, p. 88, § 319.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 733.  Citato in 2017, § 664.  Citato in 1876, p. 58.  Citato in 1921, p. 556.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 788.  Citato in 1921, p. 536.  Citato in Paul-Augustin-Olivier Mahon, Medicina legale e Polizia medica, vol. 4, a cura di Giuseppe Chiappari, Pirotta, Milano, 1820, p. 295.  Citato in Guillaume Musso, Central Park, traduzione di Sergio Arecco, Bompiani, 2016, p. 195.  Citato in Ann Casement, Who Owns Jung?, Karnac Books, 2007, Londra, p.176 Anteprima Google  Citato in L. De Mauri, Angelo Paredi e Gabriele Nepi, p. 95.  Citato in Peter Olman, Zwei Mädchen suchen ihr Glück: Caleidoscopio berlinese, Edizioni Mediterranee, Roma, 1966, p. 265.  Citato e tradotto in 2005, § 1970.  Citato in 2005, p. 248.  (DE) Citato in Friedrich Otto Bittrich, Ägypten und Libyen, Safari-Verlag, Berlino, 1953, p. 7.  Citato e tradotto in 2005, § 2167.  Dal Vangelo: ... tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada (Mt 26:52).  Citato in 2005, p. 256.  Citato in 2005, p. 258.  Citato in Tosi 2017, n. 1174.  Citato in De Mauri, p. 171.  Citato in 2005, p. 266.  Citato e tradotto in 2005, § 2342.  Citato e tradotto in 2005, § 2363.  Spesso la frase viene attribuita a Cipriano in una forma diversa: Extra Ecclesiam nulla salus.  Citato e tradotto in 2005, § 2415.  Citato e tradotto in 2005, § 2421.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1034.  Citato e tradotto in 2005, § 2457.  Citato e tradotto in 2005, § 2472.  Citato in 1921, p. 138, § 465.  Citato e tradotto in 2005, § 2528.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1079.  Citato e tradotto in 2005, § 2606.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1097.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1169.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1203.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1204.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1216.  Citato in Proverbi siciliani raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia da Giuseppe Pitrè, Luigi Pedone Lauriel, Palermo, 1880, vol. IV, p. 140.  Traduzione in voce su Wikipedia. Bibliografia L. De Mauri, 5000 proverbi e motti latini, seconda edizione, Hoepli, Milano, 2006. ISBN 978-88-203-0992-0 Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921. Giuseppe Fumagalli, L'ape latina, Hoepli, Milano, 2005. ISBN 88-203-0033-8 Giacomo Lo Forte, Ad hoc, Sandron, 1921. Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012. ISBN 978-88-04-47133-2. Gustavo Benelli, Raccolta di proverbi, massime morali, aneddoti, ed altro, Carnesecchi, Firenze, 1876. Renzo Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, 2017. Voci correlate Modi di dire latini Lingua latina Palindromi latini Categorie: Lingua latinaProverbi per nazione. Proverbi Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi: Proverbi toscani. A A brigante brigante e mezzo.[fonte 1] A buon cavalier non manca lancia.[fonte 2] A buon cavallo non manca sella.[fonte 2] A buon cavallo non occorre dir trotta.[fonte 3] A buon intenditor poche parole.[1][fonte 2] A caldo autunno segue lungo inverno.[fonte 4] A cane scottato l'acqua fredda par calda.[fonte 5] A cane vecchio non dargli cuccia.[fonte 2] A carnevale ogni scherzo vale, ma che sia uno scherzo che sa di sale.[fonte 6] A caval che corre, non abbisognano speroni.[fonte 3] A caval donato non si guarda in bocca.[2][fonte 2] A cavalier novizio, cavallo senza vizio.[fonte 3] A cavallo d'altri non si dice zoppo.[fonte 3] A cavallo di fuoco, uomo di paglia, a uomo di paglia, cavallo di fuoco.[fonte 3] A cavallo giovane, cavalier vecchio.[fonte 3] A caval nuovo cavaliere vecchio.[fonte 2] A chi batte forte, si apron le porte.[fonte 7] A chi Dio vuole aiutare, niente gli può nuocere.[fonte 4] A chi fortuna zufola, ha un bel ballare.[fonte 4] A chi ha abbastanza, non manca nulla.[fonte 4] A chi mangia sempre polli vien voglia di polenta.[fonte 8] A chi non piace il vino, il Signore faccia mancar l'acqua.[fonte 8] A chi non può imparare l'abbicì, non si può dare in mano la Bibbia.[fonte 4] A chi non vuol credere, poco valgono mille testimoni.[fonte 8] A chi non vuol credere sono inutili tutte le prove.[fonte 8] A chi non vuol far fatiche, il terreno produce ortiche.[fonte 9] A chi prende moglie ci vogliono due cervelli.[fonte 4] A chi tanto e a chi niente.[fonte 2] A chi troppo e a chi niente.[fonte 10] A chi ti dà il cappone, dagli la coscia e l'alone.[fonte 8] A chi ti porge un dito non prendere la mano.[fonte 2] A chi vuole fare del male non manca l'occasione.[fonte 4] A ciascun giorno basta la sua pena.[3][fonte 2] A ciascuno sta bene il proprio abito.[fonte 4] A donna di gran bellezza, dalla poca larghezza.[fonte 4] A duro ceppo, dura accetta.[fonte 4] A goccia a goccia si scava la pietra.[4][fonte 11] A goccia a goccia s'incava la pietra.[fonte 2] A gran salita, gran discesa.[fonte 4] A granello a granello si riempie lo staio e si fa il monte.[fonte 4] A grassa cucina povertà vicina.[fonte 4] A lavar la testa all'asino si perde il ranno e il sapone.[fonte 12] A lume spento è pari ogni bellezza.[fonte 4] A mali estremi estremi rimedi.[fonte 1] A muro basso ognuno ci si appoggia.[fonte 1] A nemico che fugge ponti d'oro.[fonte 1] A ogni uccello suo nido è bello.[fonte 1] A padre avaro figliuol prodigo.[fonte 13] A pancia piena si ragiona meglio.[fonte 8] A pagare e a morire c'è sempre tempo.[fonte 14] A paragone del molto che ignoriamo, è meno di niente quanto noi sappiamo.[fonte 4] A pazzo relatore, savio ascoltatore.[fonte 8] A pensar male, s'indovina sempre.[fonte 15] A pensar male ci s'indovina.[fonte 2] A pentola che bolle, gatta non s'accosta.[fonte 8] A rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa carriera.[fonte 1] A san Lorenzo il dente la noce già sente.[fonte 2] A san Martino [11 novembre], apri la botte e assaggia il vino.[fonte 8] A San Martino ogni mosto è vino.[fonte 16] A san Mattia la neve va via.[fonte 4] A scherzar con la fiamma, ci si scotta.[fonte 17] A tal fortezza, tal trincea.[fonte 4] A torto si lagna del mare chi due volte ci vuole tornare.[fonte 4] A tutto c'è rimedio fuorché alla morte.[fonte 1] A usanza nuova non correre.[fonte 2] Abbattuto l'albero scompare l'ombra.[fonte 8] Accasa il figlio quando vuoi, e la figlia quando puoi.[fonte 18] Acquista buona fama e mettiti a dormire.[fonte 4] Ai bugiardi e agli spacconi non è creduto.[fonte 8] Ai voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esser vicini.[fonte 19] A voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esser vicini.[fonte 2] Abate cupido, per un'offerta ne perde cento.[fonte 4] Abate rigoroso rende i frati penitenti.[fonte 4] Abbi piuttosto il piccolo per amico, che il grande per nemico.[fonte 8] Abiti stranieri, costumi stranieri; costumi stranieri, gente straniera; la gente straniera sloggia gli antichi abitanti.[fonte 4] Abito troppo portato e donna troppo vista vengono presto a noia.[fonte 4] Abbondanza genera baldanza.[fonte 4] Accade in un'ora quel che non avviene in mill'anni.[fonte 2] Accade in un'ora quel che non avviene in cent'anni.[fonte 2] Accendere una candela ai Santi e una al diavolo.[fonte 4] Accendere una fiaccola per far lume al sole.[fonte 4] Acqua che corre non porta veleno.[fonte 4] Acqua cheta rompe i ponti.[fonte 16] Acqua di san Lorenzo [10 agosto] venuta per tempo; se alla Madonna viene va ancora bene; tardiva sempre buona quando arriva.[fonte 2] Acqua e chiacchiere non fanno frittelle.[fonte 20] Acqua lontana non spegne il fuoco.[fonte 21] Acqua passata, non macina più.[fonte 22] Ad albero vecchio ed a muro cadente, non manca mai edera.[fonte 4] Ad ogni primavera segue un autunno.[fonte 4] Ad ognuno la sua croce.[fonte 23] Ad ognuno pare bello il suo.[fonte 4] Ad un grasso mezzogiorno spesso tien dietro una cena magra.[fonte 4] Agosto ci matura il grano e il mosto[fonte 16]. Agosto: moglie mia non ti conosco.[5][6][fonte 1] Ai macelli van più bovi che vitelli.[fonte 2] Ai pazzi ed ai fanciulli, non si deve prometter nulla.[fonte 8] Ai pazzi si dà sempre ragione.[fonte 8] Aiutati che Dio t'aiuta.[fonte 24] Aiutati che il ciel t'aiuta.[fonte 25] Aiutati che io ti aiuto.[fonte 16] Al baciarsi presto tien dietro il coricarsi.[fonte 4] Al bisogno si conosce l'amico.[fonte 1] Al buio la villana è bella quanto la dama.[fonte 2] Al buio, le donne sono tutte uguali.[fonte 8] Al buio tutti i gatti sono bigi.[fonte 16] Al confessor, medico e avvocato, non tenere il ver celato.[fonte 26] Al confessore, al medico e all'avvocato non si tiene il ver celato.[fonte 2] Al contadin non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere.[fonte 1] Al cuore non si comanda.[fonte 1] Al cuor non si comanda.[fonte 27] Al cazzo non si comanda.[fonte 2] Al culo non si comanda.[fonte 28] Al destino non si comanda.[fonte 2] Al tempo non si comanda.[fonte 2] Al tempo e al culo non si comanda.[fonte 2] Al debole il forte sovente fa torto.[fonte 8] Al fratello piace più veder la sorella ricca, che farla tale.[fonte 8] Al levar le tende si conosce il guadagno.[fonte 4] Al gatto che lecca lo spiedo non affidar arrosto.[fonte 8] Al genio non si danno le ali, ma le si tagliano.[fonte 4] Al medico, al confessore e all'avvocato, bisogna dire ogni peccato.[fonte 8] Al povero manca il pane, al ricco l'appetito.[fonte 8] Al primo colpo non cade l'albero.[fonte 2] Al primo colpo non cade un albero.[fonte 2] Al suono si riconosce la pignata.[fonte 29] Al villano, se gli porgi il dito, si prende la mano.[fonte 30] All'A tien dietro il B nel nostro abbicì.[fonte 4] All'eco spetta l'ultima parola.[fonte 4] All'orsa paion belli i suoi orsacchiotti.[fonte 8] All'uccello ingordo crepa il gozzo.[fonte 2] All'ultimo si contano le pecore.[fonte 1] All'umiltà felicità, all'orgoglio calamità.[fonte 8] Alla fame è presto ridotto chi s'imbarca senza biscotto.[fonte 4] Alla fine anche le pernici allo spiedo vengono a noia.[fonte 8] Alla fine loda la vita e alla sera loda il giorno.[7][fonte 4] Alla fine loda la vita e alla sera il giorno.[fonte 2] Alla guerra si va pieno di denari e si torna pieni di vizi e di pidocchi.[fonte 4] Alle barbe dei pazzi, il barbiere impara a radere.[fonte 8] Alle volte si crede di trovare il sole d'agosto e si trova la luna di marzo.[fonte 8] Altri tempi, altri costumi.[fonte 2] Alzati presto al mattino se vuoi gabbare il tuo vicino.[fonte 8] Ambasciator non porta pena.[fonte 2] Amare e non essere amato è tempo perso.[fonte 4] Ambasciatore che tarda notizia buona che porta.[fonte 2] Amicizia che cessa, non fu mai vera.[fonte 4] Amico beneficato, nemico dichiarato.[fonte 4] Amico di buon tempo mutasi col vento.[fonte 4] Amico di ventura, molto briga e poco dura.[fonte 31] Ammogliarsi è un piacere che costa caro.[fonte 4] Amor che nasce di malattia, quando si guarisce passa via.[fonte 8] Amor di nostra vita ultimo inganno.[8][fonte 32] Amor, dispetto, rabbia e gelosia, sul cuore della donna han signoria.[fonte 8] Amor nuovo va e viene, amor vecchio si mantiene.[fonte 8] Amor regge il suo regno senza spada.[fonte 32] Amore con amor si paga.[fonte 2] Amore di parentato, amore interessato.[fonte 4] Amore di villeggiatura poco vale e poco dura.[fonte 2] Amore di fratello, amore di coltello.[fonte 8] Amore è il vero prezzo con che si compra amore.[fonte 33] Amore non si compra né si vende.[fonte 33] Amore onorato, né vergogna né peccato.[fonte 8] Amore scaccia amore.[fonte 4] Anche fra le spine nascono le rose.[fonte 34] Anche i fanciulli diventano uomini.[fonte 4] Anche il più verde diventa fieno.[fonte 4] Anche il sole ha le sue macchie.[fonte 4] Anche l'abate fu prima frate.[fonte 4] Anche l'ambizione è una fame.[fonte 4] Anche la legna storta dà il fuoco diritto.[fonte 4] Anche la regina Margherita mangia il pollo con le dita.[fonte 35] Anche le bestie le ha fatte il Signore.[fonte 8] Anche le colombe hanno il fiele.[fonte 4] Anche le pulci hanno la tosse.[fonte 2] Anche le uova della gallina nera sono bianche; ma staremo a vedere se anche i suoi pulcini sono bianchi.[fonte 4] Anche un giogo dorato pesa.[fonte 8] Andar presto a dormire e alzarsi presto chiude la porta a molte malattie.[fonte 8] Andar bestia, e tornar bestia, dice il moro.[fonte 36] Anno nevoso anno fruttuoso.[fonte 16] Anno nuovo vita nuova.[fonte 1] Approfitta degli errori degli altri, piuttosto che censurarli.[fonte 4] Aprile dolce dormire.[9][fonte 2] Aprile e maggio sono la chiave di tutto l'anno.[fonte 4] Aprile ogni goccia un barile.[10][fonte 2] Aprile piovoso, maggio ventoso, anno fruttuoso.[fonte 4] Ara nel mare e nella rena semina, chi crede alle parole della femmina.[fonte 8] Arcobaleno porta il sereno.[fonte 2] Aria rossa o piscia o soffia.[fonte 2] Asino che ha fame mangia d'ogni strame.[fonte 2] Assai bene balla a chi fortuna suona.[fonte 4] Assai digiuna chi mal mangia.[fonte 8] Assai domanda chi ben serve e tace.[fonte 37] Assai domanda chi si lamenta.[fonte 8] Assalto francese e ritirata spagnola.[fonte 2] Attacca l'asino dove vuole il padrone e, se si rompe il collo, suo danno.[fonte 1] Avuta la grazia, gabbato lo santo.[fonte 8] B Bacco, tabacco e Venere riducon l'uomo in cenere.[fonte 2] Ballaremo secondo che voi suonerete.[fonte 4] Bandiera rotta onor di capitano. Bandiera vecchia onor di capitano.[fonte 2] Basta un matto per casa.[fonte 8] Batti il ferro finché è caldo. Batti il ferro quando è caldo.[fonte 1] Bei gatti e grossi letamai mostrano il buon agricoltore.[fonte 38] Bella cosa presto è rapita.[fonte 4] Bella in vista, dentro è trista.[fonte 4] Bella ostessa, conti traditori.[fonte 2] Bella ostessa, brutti conti.[fonte 39] Bell'ostessa, conto caro.[fonte 40] Bella vigna poca uva.[fonte 2] Bellezza di corpo non è eredità.[fonte 4] Bellezza e follia vanno spesso in compagnia.[fonte 41] Bello in fasce brutto in piazza.[fonte 1] Ben sa la botte di qual vino è piena.[fonte 4] Ben si caccia il diavolo, ma Satana ritorna.[fonte 4] Bene per male è carità, male per bene è crudeltà.[fonte 8] Bene educato, non mentì mai.[fonte 4] Bene perduto è conosciuto.[fonte 4] Beni di fortuna passano come la luna.[fonte 2] Bevi il vino e lascia andar l'acqua al mulino.[fonte 8] Bisogna dire pane al pane e vino al vino.[fonte 2] Bisogna far buon viso a cattivo gioco.[fonte 1] Bisogna fare di necessità virtù.[fonte 2] Bisogna fare il pane con la farina che si ha.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando cade, e prendere il tempo come viene.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando è il santo.[fonte 4] Bisogna mangiare per vivere e non vivere per mangiare.[fonte 2] Bisogna prendere gli avvenimenti quando Dio li manda.[fonte 4] Bocca che tace nessuno l'aiuta.[fonte 2] Bocca che tace mal si può aiutare.[fonte 42] Bocca chiusa ed occhio aperto non fecero mai male a nessuno.[fonte 4] Botte buona fa buon vino.[fonte 2] Brutta cosa è il povero superbo e il ricco avaro.[fonte 8] Brutta di viso ha sotto il paradiso.[fonte 2] Brutto in fasce bello in piazza.[fonte 1] Buca il marmo fin d'acqua una goccia.[fonte 8] Bue sciolto lecca per tutto.[fonte 8] Bue fiacco stampa più forte il piede in terra.[fonte 4] Bue vecchio, solco diritto.[fonte 4] Buon fuoco e buon vino, scaldano il mio camino.[fonte 8] Buon sangue non mente.[fonte 2] Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo.[fonte 1] Buon vino e bravura, poco dura.[fonte 8] Buon vino fa buon sangue.[fonte 1][fonte 8] Buon vino, favola lunga.[fonte 8] Buona fama presto è perduta.[fonte 4] Buona greppia, buona bestia.[fonte 8] Buona guardia giova a molte cose.[fonte 4] Buona la forza, migliore l'ingegno.[fonte 4] Buone parole e pere marce non rompono la testa a nessuno.[fonte 31] Burlando si dice il vero.[fonte 4] C Cader non può, chi ha la virtù per guida.[fonte 4] Cambiano i suonatori ma la musica è sempre quella.[fonte 1] Cambiare e migliorare sono due cose; molto si cambia nel mondo, ma poco si migliora.[fonte 4] Campa cavallo che l'erba cresce.[fonte 2] Campa, cavallo mio, che l'erba cresce.[fonte 1] Can che abbaia non morde.[fonte 1] Cane affamato non teme bastone.[11][fonte 2] Cane e gatta tre ne porta e tre ne allatta.[fonte 8] Cane non mangia cane.[fonte 43] Cane ringhioso e non forzoso, guai alla sua pelle![fonte 4] Capelli lunghi, cervello corto.[fonte 4] Carta canta e villan dorme.[fonte 1] Casa fatta e vigna posta, non si sa quello che costa.[fonte 44] Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 45] Casa mia, casa mia, benché piccola tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 2] Casa mia, casa mia, pur piccina che tu sia mi sembri una badia.[fonte 9] Castiga il buono e si emenderà; castiga il cattivo e peggiorerà.[fonte 4] Cattivo cominciamento, fine peggiore.[fonte 8] Cavallo da vettura, poco costa e poco dura.[fonte 46] Cavallo vecchio, tardi muta ambiatura.[fonte 47] Cavolo riscaldato non fu mai buono.[fonte 2] Cavolo riscaldato, frate sfratato e serva ritornata non furon mai buoni.[fonte 2] Cento teste, cento cappelli.[fonte 48] Certe macchie ben si possono grattare ma non togliere.[fonte 4] Cessato il guadagno, cessata l'amicizia.[fonte 49] Chi a tutti facilmente crede, ingannato si vede.[fonte 4] Chi accarezza la mula rimedia calci.[fonte 2] Chi accarezza la mula buscherà calci.[fonte 2] Chi accetta l'eredità accetti anche i debiti.[fonte 4] Chi ad altri inganni tesse, poco bene per sé ordisce.[fonte 4] Chi alza il piede per ogni paglia, si può rompere facilmente una gamba.[fonte 8] Chi ama me, ama il mio cane.[fonte 50] Chi ara terra bagnata, per tre anni l'ha dissipata.[fonte 51] Chi asino nasce, asino muore.[fonte 4] Chi balla senza suono, come asino si ritrova.[fonte 52] Chi ben coltiva il moro, coltiva nel suo campo un gran tesoro.[fonte 47] Chi ben comincia è a metà dell'opera.[fonte 53] Chi ben comincia è alla metà dell'opera.[fonte 2] Chi ben comincia è alla metà dell'opra.[fonte 1] Chi bene semina, bene raccoglie.[fonte 4] Chi beve vin, campa cent'anni.[fonte 54] Chi beve birra campa cent'anni.[12][fonte 2] Chi biasima il suo prossimo che è morto, dica il vero, dica il falso, ha sempre torto.[fonte 4] Chi caccia volentieri trova presto la lepre.[fonte 4] Chi cade in povertà, perde ogni amico.[fonte 4] Chi cava e non mette, le possessioni si disfanno.[fonte 55] Chi cavalca o trotta alla china, o non è sua la bestia, o non la stima.[fonte 8] Chi cento ne fa una ne aspetta.[fonte 1] Chi cerca di sapere ciò che bolle nella pentola d'altri, ha leccate le sue.[fonte 8] Chi cerca lealtà e fedeltà nel mondo, non trova che ipocrisia.[fonte 4] Chi cerca, trova.[13][fonte 2] Chi cerca trova e chi domanda intende.[fonte 2] Chi coglie acerbo il senno, maturo ha sempre d'ignoranza il frutto.[fonte 8] Chi comincia in alto, finisce in basso.[fonte 8] Chi compra il superfluo, si prepara a vendere il necessario.[fonte 56] Chi compra sprezza e chi ha comprato apprezza.[fonte 2] Chi conserva per l'indomani, conserva per il cane.[fonte 8] Chi contro Dio getta la pietra, in capo gli torna.[fonte 8] Chi d'estate secca serpi, nell'inverno mangia anguille.[fonte 4] Chi d'estate vuole stare al fresco, ci starà anche d'inverno.[fonte 4] Chi da gallina nasce, convien che razzoli.[fonte 8] Chi da savio operare vuole, pensi al fine.[fonte 4] Chi dà ghiande non può riavere confetti.[fonte 4] Chi di gallina nasce convien che razzoli.[fonte 2] Chi dal lotto spera soccorso, mette il pelo come un orso.[fonte 8] Chi dà per ricevere, non dà nulla.[fonte 8] Chi del vino è amico, di se stesso è nemico.[fonte 8] Chi di spada ferisce di spada perisce.[14][fonte 1] Chi di speranza vive disperato muore.[fonte 1] Chi di una donna brutta s'innamora, lieto con essa invecchia e l'ama ancora.[fonte 8] Chi di coltel ferisce, di coltel perisce.[fonte 4] Chi di spirito e di talenti è pieno domina su quelli che ne hanno meno.[fonte 4] Chi dice A arrivi fino alla Z.[fonte 4] Chi dice A deve dire anche B.[fonte 4] Chi dice donna dice danno.[fonte 1] Chi dice donna dice guai, chi dice uomo peggio che mai.[fonte 8] Chi dice male, l'indovina quasi sempre.[fonte 4] Chi dice quel che vuole sente quel che non vorrebbe.[fonte 1] Chi disprezza compra.[fonte 1] Chi disprezza vuol comprare e chi loda vuol lasciare.[fonte 2] Chi domanda ciò che non dovrebbe, ode quel che non vorrebbe.[fonte 2] Chi domanda non erra.[fonte 2] Chi domanda non fa errore.[fonte 57] Chi dopo la polenta beve acqua, alza la gamba e la polenta scappa.[fonte 8] Chi dorme d'agosto dorme a suo costo.[fonte 2] Chi dorme non piglia pesci.[15][fonte 1] Chi è causa del suo mal pianga se stesso.[16][fonte 1] Chi è bugiardo è ladro.[fonte 4] Chi è destinato alla forca non annega.[fonte 58] Chi è generoso con la bocca, è avaro col sacco.[fonte 4] Chi è in difetto è in sospetto.[fonte 1] Chi è mandato dai farisei è ingannato dai farisei.[fonte 4] Chi è morso dalla serpe, teme la lucertola.[fonte 8] Chi non è savio, paziente e forte si lamenti di sé, non della sorte.[fonte 8] Chi è schiavo delle ambizioni ha mille padroni.[fonte 4] Chi è stato trovato una volta in frode, si presume vi sia sempre.[fonte 4] Chi è svelto a mangiare è svelto a lavorare.[fonte 1] Chi è tosato da un usuraio, non mette più pelo.[fonte 8] Chi è uso all'impiccare, non teme la forca.[fonte 4] Chi fa da sé fa per tre.[17][fonte 1] Chi fa come il prete dice, va in Paradiso: ma chi fa come il prete fa, a casa del diavolo se ne va.[18] Chi fa del bene agli ingrati, Dio lo considera per male.[fonte 4] Chi fa il male odia la luce.[fonte 4] Chi fa l'altrui mestiere, fa la zuppa nel paniere.[fonte 59] Chi fa la legge, deve conservarla.[fonte 4] Chi fa una legge, deve anche preoccuparsi che sia eseguita.[fonte 4] Chi fa le fave senza concime le raccoglie senza baccelli.[fonte 2] Chi fa falla e chi non fa sfarfalla.[fonte 1] Chi fa un'ingiustizia, la dimentica; chi la riceve, se ne ricorda.[fonte 4] Chi fosse indovino, sarebbe ricco.[fonte 4] Chi fugge il giudizio, si condanna.[fonte 4] Chi fugge un matto, ha fatto buona giornata.[fonte 8] Chi getta un seme lo deve coltivare, se vuol vederlo con il tempo germogliare.[fonte 60] Chi gioca al lotto, è un gran merlotto.[fonte 8] Chi gioca al lotto, in rovina va di botto.[fonte 8] Chi gioca al lotto, in rovina va di trotto.[fonte 8] Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.[fonte 16]. Chi ha avuto il beneficio, se lo dimentica.[fonte 4] Chi ha da far con un incostante, tien l'anguilla per la coda.[fonte 4] Chi ha denti non ha pane e chi ha pane non ha denti.[fonte 1] Chi ha farina non ha la sacca.[fonte 1] Chi ha fatto ingiuria ad altri, da altri convien che la sopporti.[fonte 4] Chi ha il capo di cera, non vada al sole.[fonte 61] Chi ha imbarcato il diavolo, deve stare in sua compagnia.[fonte 4] Chi ha ingegno, lo mostri.[fonte 62] Chi ha per letto la terra, deve coprirsi col cielo.[fonte 8] Chi ha polvere spara.[fonte 1] Chi ha portato la tonaca puzza sempre di frate.[fonte 2] Chi ha prete, o parente in corte, fontana gli risorge.[fonte 63] Chi ha tempo, ha vita.[fonte 64] Chi ha tempo non aspetti tempo.[fonte 1] Chi ha terra, ha guerra.[fonte 56] Chi ha tutto il suo in un loco l'ha nel fuoco.[fonte 2] Chi ha un mestiere in mano, dappertutto trova pane.[fonte 4] Chi il vasto mare intrepido ha solcato, talvolta in piccol rio muore annegato.[fonte 65] Chi la dura la vince.[fonte 1] Chi la fa l'aspetti.[fonte 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova.[fonte 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova peggio si trova.[fonte 16] Chi lavora con diligenza, prega due volte.[fonte 4] Chi lavora, Dio gli dona.[fonte 4] Chi mal semina mal raccoglie.[fonte 1] Chi male una volta si marita, ne risente tutta la vita.[fonte 4] Chi male vive, male muore.[fonte 2] Chi maltratta le bestie, non la fa mai bene.[fonte 8] Chi mangia sempre pan bianco, spesso desidera il nero.[fonte 8] Chi mangia sempre torta se ne sazia.[fonte 8] Chi mena per primo mena due volte.[fonte 1] Chi molto parla, spesso falla.[fonte 66] Chi mordere non può non mostri i denti.[fonte 40] Chi muore giace e chi vive si dà pace.[fonte 1] Chi nasce afflitto muore sconsolato.[fonte 1] Chi nasce è bello, chi si sposa è buono e chi muore è santo.[fonte 1] Chi nasce matto non guarisce mai.[fonte 8] Chi nasce tondo non può morir quadrato.[fonte 57] Chi non ama le bestie, non ama i cristiani.[fonte 8] Chi non apre la bocca, non le piove dentro.[fonte 4] Chi non beve in compagnia o è un ladro o è una spia.[fonte 1] Chi non caccia non prende.[fonte 4] Chi non comincia non finisce.[fonte 1] Chi non crede di esser matto, è matto davvero.[fonte 8] Chi non crede in Dio, non crede nel diavolo.[fonte 67] Chi non dà a Cristo, dà al fisco.[fonte 8] Chi non è con me è contro di me.[fonte 2] Chi non è volpe, dal lupo si guardi, perché ne sarà preda presto o tardi.[fonte 4] Chi non fu buon soldato, non sarà buon capitano.[fonte 68] Chi non ha fede, non ne può dare.[fonte 8] Chi non ha il gatto mantiene i topi e chi ce l'ha li mantiene tutti e due.[fonte 8] Chi non ha imparato a ubbidire, non saprà mai comandare.[fonte 8] Chi non ha testa abbia gambe.[fonte 57] Chi non lavora non mangia.[fonte 2] Chi non mangia ha già mangiato.[fonte 2] Chi non muore si rivede.[fonte 2] Chi non naufragò in mare, può naufragare in porto.[fonte 8] Chi non può bastonare il cavallo, bastona la sella.[fonte 4] Chi non risica, non rosica.[fonte 1] Chi non sa adulare non sa regnare.[fonte 4] Chi non sa fare non sa comandare.[fonte 68] Chi non sa leggere la sua scrittura è asino di natura.[fonte 69] Chi non sa niente non è buono a niente.[fonte 4] Chi non sa tacere non sa parlare.[fonte 2] Chi non sa ubbidire, non sa comandare.[fonte 68] Chi non segue il consiglio dei genitori, tardi se ne pente.[fonte 4] Chi non semina non raccoglie.[fonte 2] Chi non si innamora da giovane, si innamora da vecchio.[fonte 8] Chi non trovò ombra nell'estate, la troverà nell'inverno.[fonte 4] Chi non vuol essere consigliato, non può essere aiutato.[fonte 4] Chi parla due lingue è doppio uomo.[fonte 70] Chi pecca in segreto fa la penitenza pubblica.[fonte 8] Chi pecora si fa, il lupo se la mangia.[fonte 1] Chi per grazia prega, non ha mai bene.[fonte 4] Chi perde ha sempre torto.[fonte 1] Chi perdona senza dimenticare, non perdona che metà.[fonte 4] Chi pesca con l'amo d'oro, qualcosa piglia sempr e.[fonte 8] Chi piglia leone in assenza, teme la talpa in presenza.[fonte 8] Chi più ha più vuole.[fonte 1] Chi più ha più ne vorrebbe.[fonte 2] Chi più lavora, meno mangia.[fonte 4] Chi più ne fa è fatto papa.[fonte 4] Chi più ne ha più ne metta.[fonte 2] Chi più sa meno crede.[fonte 1] Chi più spende meno spende.[fonte 2] Chi poco sa presto parla.[fonte 2] Chi porta fiori, porta amore.[fonte 8] Chi predica al deserto, perde il sermone.[fonte 71] Chi prende l'anguilla per la coda, può dire di non tenere nulla.[fonte 4] Chi prima arriva meglio alloggia.[fonte 2] Chi prima nasce prima pasce.[fonte 1] Chi prima non pensa dopo sospira.[fonte 2] Chi rende male per bene, non vedrà mai partire da casa sua la sciagura.[fonte 8] Chi ricorda un beneficio, lo rinfaccia.[fonte 4] Chi ride il venerdì piange la domenica.[fonte 1] Chi rimane in umile stato, non ha da temer caduta.[fonte 8] Chi ringrazia non vuol obblighi.[fonte 8] Chi ringrazia per una spiga, riceve una manna.[fonte 8] Chi Roma non vede, nulla crede.[fonte 8] Chi ruba poco, ruba assai.[fonte 72] Chi rompe paga e i cocci sono suoi.[fonte 1] Chi ruba un regno è un ladro glorificato, e chi un fazzoletto, un ladro castigato.[fonte 4] Chi ruba una volta è sempre ladro.[fonte 4] Chi s'accapiglia si piglia.[19] Chi s'aiuta Iddio l'aiuta.[fonte 1] Chi sa fa e chi non sa insegna.[fonte 1] Chi sa fare fa e chi non sa fare insegna.[20] Chi sa il gioco non l'insegni.[fonte 1] Chi sa il trucco non l'insegni.[fonte 1] Chi sa senza Cristo non sa nulla.[fonte 8] Chi scopre il segreto perde la fede.[fonte 1] Chi semina buon grano avrà buon pane; chi semina lupino non avrà né pan né vino.[fonte 2] Chi semina con l'acqua raccoglie col paniere.[fonte 2] Chi semina raccoglie.[fonte 2] Chi semina vento raccoglie tempesta.[21][22][fonte 1] Chi serba serba al gatto.[fonte 1] Chi si contenta gode.[fonte 1] Chi si diletta di frodare gli altri, non si deve lamentare se gli altri lo ingannano.[fonte 4] Chi si fa i fatti suoi campa cent'anni.[fonte 57] Chi si fa un idolo del suo interesse, si fa un martire della sua integrità.[fonte 73] Chi si fida nel lotto, non mangia di cotto.[fonte 8] Chi si fida di greco, non ha il cervel seco.[fonte 74] Chi si guarda dal calcio della mosca, gli tocca quello del cavallo.[fonte 4] Chi si immagina di essere più di quello che è, si guardi nello specchio.[fonte 4] Chi si loda si sbroda.[fonte 4] Chi si prende d'amore, si lascia di rabbia.[fonte 8] Chi si scusa si accusa.[fonte 1] Chi si somiglia si piglia.[fonte 2] Chi si sposa in fretta, stenta adagio.[fonte 75] Chi si umilia sarà esaltato, chi si esalta sarà umiliato.[fonte 8] Chi si vanta da solo non vale un fagiolo.[fonte 2] Chi si vanta del delitto è due volte delinquente.[fonte 4] Chi siede in basso, siede bene.[fonte 8] Chi sta tra due selle si trova col culo in terra.[fonte 2] Chi tace acconsente.[fonte 1][23] Chi tace davanti alla forza, perde il suo diritto.[fonte 4] Chi tanto e chi niente.[fonte 1] Chi troppo e chi niente.[fonte 1] Chi tardi arriva male alloggia.[fonte 1] Chi ti dà un osso non ti vorrebbe morto.[fonte 4] Chi ti vuol male, ti liscia il pelo.[fonte 8] Chi tiene il letame nel suo letamaio, fa triste il suo pagliaio.[fonte 8] Chi tiene la scala non è meno reo del ladro.[fonte 76] Chi troppo comincia, poco finisce.[fonte 77] Chi troppo vuole nulla stringe.[24][fonte 1] Chi trova un amico trova un tesoro.[fonte 1] Chi uccide i gatti fa male i suoi fatti.[fonte 38] Chi va a caccia non deve lasciare a casa il fucile.[fonte 4] Chi va a Roma perde la poltrona.[fonte 2] Chi va all'acqua d'agosto, non beve o non vuol bere il mosto.[fonte 8] Chi va all'osto, perde il posto.[fonte 78] Chi va al mulino s'infarina.[fonte 1] Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare.[fonte 79] Chi va piano va sano e va lontano. Chi va forte va alla morte.[25][fonte 80] Chi ha più fretta, più tardi finisce.[fonte 4] Chi fa in fretta fa due volte.[fonte 4] Chi pesca e ha fretta, spesse volte prende dei granchi.[fonte 4] Chi va via perde il posto all'osteria.[fonte 81] Chi vanta se stesso e abbassa gli altri, gli altri abbasseranno lui.[fonte 4] Chi vende a credenza spaccia assai: perde gli amici e i quattrin non ha mai.[26][fonte 2] Chi dà a credito spaccia assai perde gli amici e danar non ha mai.[fonte 2] Chi va alla festa e non è invitato, ben gli sta se ne è scacciato.[fonte 4] Chi vien di raro, gli si fa festa.[fonte 8] Chi vince ha sempre ragione.[fonte 82] Chi vive in libertà non tenti il fato.[fonte 4] Chi vive sei giorni nell'oasi, il settimo anela il deserto.[fonte 8] Chi vivrà vedrà.[fonte 2] Chi vuol d'avena un granaio la semini di febbraio.[fonte 2] Chi vuol dell'acqua chiara vada alla fonte.[fonte 4] Chi vuol udir novelle, dal barbier si dicon belle.[fonte 8] Chi vuol esser libero, non metta il collo sotto il giogo.[fonte 8] Chi vuol essere pagato, non dev'essere ringraziato.[fonte 8] Chi vuol guarire deve soffrire.[fonte 4] Chi vuol impetrare, la vergogna ha da levare.[fonte 83] Chi vuol lavoro degno assai ferro e poco legno.[fonte 2] Chi vuol pane, meni letame.[fonte 84] Chi vuol presto impoverire, chieda prestito all'usuraio.[fonte 8] Chi vuol provar le pene dell'inferno, la stia in Puglia e all'Aquila d'inverno.[fonte 8] Chi vuol saper cos'è l'inferno faccia il cuoco d'estate e il carrettiere d'inverno.[fonte 8] Chi vuol un bel pagliaio lo pianti di febbraio.[fonte 8] Chi vuol vedere Pisa vada a Genova.[fonte 85] Chi vuole arricchire in un anno, è impiccato in sei mesi.[fonte 4] Chi vuole assai, non domandi poco.[fonte 86] Chi vuole essere amato, divenga amabile.[fonte 9] Chi vuole essere sicuro della sua farina, deve portare egli stesso il sacco al mulino.[fonte 4] Chi vuole i santi se li preghi.[fonte 1] Chi vuole la figlia accarezzi la madre.[fonte 4] Chi vuole vada e chi non vuole mandi.[fonte 1] Chiara notte di capodanno, dà slancio a un buon anno.[fonte 8] Chiodo scaccia chiodo.[fonte 2] Chiodo schiaccia chiodo.[fonte 9] Chitarra e schioppo fanno andare la casa a galoppo.[fonte 8] Ci vuole altro che un'accozzaglia di gente per fare un esercito.[fonte 4] Ci vuole ingegno per governare i pazzi.[fonte 4] Ciascuno è artefice della sua fortuna.[fonte 2][27] Ciascuno è artefice della propria fortuna.[fonte 2] Ciascuno porta il suo ingegno al mercato.[fonte 4] Cielo a pecorelle acqua a catinelle.[fonte 1] Ciò che è male per uno, è bene per un altro.[fonte 4] Ciò che lo stolto fa in fine, il savio fa in principio.[fonte 87] Ciò che non si può cambiare bisogna saperlo sopportare.[fonte 4] Col fuoco non si scherza.[fonte 1] Col latino, con un ronzino e con un fiorino si gira il mondo.[fonte 4] Col nulla non si fa nulla.[fonte 1] Col pane tutti i guai sono dolci.[fonte 1] Col tempo e con la paglia maturano le nespole.[28][fonte 2] Col tempo e con la paglia maturano le sorbe e la canaglia.[fonte 2] Colla sola lealtà, non si pagano i merletti della cuffia.[fonte 4] Come farai, così avrai.[fonte 4] Come i piedi portano il corpo, così la benevolenza porta l'anima.[fonte 4] Comincia, che Dio provvede al resto.[fonte 4] Compar di Puglia, l'un tiene e l'altro spoglia.[fonte 8] Comun servizio ingratitudine rende.[fonte 8] Con arte e con ingegno, si acquista mezzo regno; e con ingegno ed arte, si acquista l'altra parte.[fonte 4] Con gli anni crescono gli affanni.[fonte 8] Con i matti non ci son patti.[fonte 8] Con l'inchiostro, una mano può innalzare un furfante ed abbassare un galantuomo.[fonte 8] Con la pazienza la foglia di gelso diventa seta.[fonte 88] Con la pietra si prova l'oro, con l'oro la donna e con la donna l'uomo.[fonte 8] Con la più alta libertà, abita la più bassa servitù.[fonte 4] Con le buone maniere si ottiene tutto.[fonte 89] Con un bicchier di vino si fa un amico.[fonte 8] Con un occhio si frigge il pesce e con l'altro si guarda il gatto.[fonte 8] Conchiuder lega è facile, difficile il mantenerla.[fonte 4] Confidenza toglie riverenza.[fonte 4] Conserva le monete bianche per le giornate nere.[fonte 8] Contadini, scarpe grosse e cervelli fini.[fonte 1] Contano più i fatti che le parole.[fonte 90] Contro due donne neanche il diavolo può metterci il becco.[fonte 8] Contro due non la potrebbe Orlando.[fonte 91] Contro la forza la ragion non vale.[fonte 1] Contro la nebbia forza no vale.[fonte 4] Coricarsi presto, alzarsi presto, danno salute, ricchezza e sapienza.[fonte 8] Corpo satollo anima consolata.[fonte 1] Corpo sazio non crede a digiuno.[fonte 1] Cortesia schietta, domanda non aspetta.[fonte 92] Corre un pezzo la lepre, un pezzo il cane; così s'alternano le vicende umane.[fonte 8] Cosa fatta capo ha.[29][fonte 2] Cosa di rado veduta, più cara è tenuta.[fonte 8] Cosa rara, cosa cara.[fonte 8] Cucina grassa, magra eredità.[fonte 4] Cuor contento gran talento.[fonte 93] Cuor contento il ciel l'aiuta.[fonte 94] Cuor contento il ciel lo guarda.[fonte 2] Cuor contento non sente stento.[fonte 2] D D'aprile ogni goccia val mille lire.[fonte 2] D'aquila non nasce colomba.[fonte 4] Da colpa nasce colpa.[fonte 4] Da cosa nasce cosa.[fonte 95] Da falsa lingua, cattiva arringa.[fonte 8] Da Lodi, tutti passan volentieri.[fonte 8] Da un disordine nasce un ordine.[fonte 8] Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io.[fonte 2] Dàgli, dàgli, le cipolle diventano agli.[fonte 96] Riferito alle insidie che l'amore riserva alle virtù delle fanciulle. Dai giudici siciliani, vacci coi polli nelle mani.[fonte 8] Dall'asino non cercar lana.[fonte 4] Dall'opera si conosce il maestro.[fonte 4] Dall'immagine si conosce il pittore.[fonte 4] Dalla mano si riconosce l'artista.[fonte 4] Dal canto si conosce l'uccello.[fonte 4] Dal passato è facile predire il futuro.[fonte 4] Dalla casa si conosce il padrone.[fonte 4] Danaro e santità, metà della metà.[fonte 8] Denari e santità metà della metà.[fonte 97] Date a Cesare quel che è di Cesare.[30][fonte 2] Davanti al cameriere non vi è Eccellenza.[fonte 4] Davanti l'abisso e dietro i denti di un lupo.[fonte 4] Debole catena muover può gran peso.[fonte 8] Dei vizi è regina l'avarizia.[fonte 98] Del senno di poi son piene le fosse.[fonte 1] Delle calende non me ne curo purché a san Paolo non faccia scuro.[31][fonte 2] Detto senza fatto, ad ognuno pare un misfatto.[fonte 4] Di buone intenzioni è lastricato l'inferno.[fonte 99] Di chi è l'asino, lo pigli per la coda.[fonte 4] Di dolore non si muore, ma d'allegrezza sì.[fonte 8] Di maggio si dorme per assaggio.[32][fonte 2] Di malerba non si fa buon fieno.[fonte 4] Di notte si ritirano i galantuomini ed escono i birbanti.[fonte 8] Di quello che non ti interessa, non dire né bene né male.[fonte 4] Di tutte le arti maestro è l'amore.[fonte 8] Dice la serpe: non mi toccar che non ti tocco.[fonte 8] Dicembre favaio.[fonte 16] Dicono che è mercante anche chi perde, ma questo presto ridurrassi al verde.[fonte 100] Dieci ne pensa il topo e cento il gatto.[fonte 101] Dietro il monte c'è la china.[fonte 2] Dietro il riso viene il pianto.[fonte 8] Dimmi con chi vai, e ti dirò che fai.[fonte 73] Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei.[fonte 102] Dio aiuti il povero, perché il ricco può aiutar se stesso.[fonte 8] Dio dà la piaga e dà anche la medicina.[fonte 4] Dio guarisce e il medico è ringraziato.[fonte 4] Dio li fa e poi li accoppia.[fonte 1] Dio manda il freddo secondo i panni.[fonte 1] Dio mi guardi da chi studia un libro solo.[fonte 4] Dio misura il vento all'agnello tosato.[fonte 4] Dio vede e provvede.[fonte 2] Disse la volpe ai figli: "Quando a tordi, quando a grilli".[fonte 4] Dolore comunicato è subito scemato.[fonte 4] Domandando si va a Roma.[fonte 2] Domandare è lecito, rispondere è cortesia.[fonte 2] Donna al volante, pericolo costante.[fonte 103] Donna adorna, tardi esce e tardi torna.[fonte 8] Donna baffuta sempre piaciuta.[fonte 2] Donna barbuta, sempre piaciuta.[fonte 103] Donna barbuta coi sassi si saluta.[fonte 2] Donna bianca, poco gli manca.[fonte 8] Donna rossa coscia grossa.[fonte 8] Donna che canti dolcemente in scena, pei giovani inesperti è una sirena.[fonte 8] Donna che dona, di rado è buona.[fonte 8] Donna che piange, ovver che dolce canti, son due diversi, ambo possenti incanti.[fonte 8] Donna che sa il latino è rara cosa, ma guardati dal prenderla in isposa.[fonte 8] Donna e fuoco, toccali poco.[fonte 8] Donne e motori gioie e dolori.[fonte 104] Donna e vino ubriaca il grande e il piccolino.[fonte 8] Donna giovane e uomo anziano possono riempire la casa di figli.[fonte 8] Donna io conosco, ch'è una santa a messa e che in casa è un'orribil diavolessa.[fonte 8] Donna nana tutta tana.[fonte 2] Donna nobil per natura è un tesor cheonna savia e bella è preziosa ancsempre dura.[fonte 8] Donna pelosa, donna virtuosa.[fonte 2] Donna pregata nega, trascurata prega.[fonte 8] Donna prudente, gioia eccellente.[fonte 8] Dhe in gonnella.[fonte 8] Donna si lagna, donna si duole, donna s'ammala quando lo vuole.[fonte 8] Donne e sardine, son buone piccoline.[fonte 8] Donne, danno, fanno gli uomini e li disfanno.[fonte 8] Dopo desinare non camminare; dopo cena, con dolce lena.[fonte 4] Dopo e poi son parenti del mai.[fonte 2] Dopo il dolce vien l'amaro.[fonte 8] Dopo il fatto il consiglio non vale.[fonte 4] Dopo il fatto viene troppo tardi il pentimento.[fonte 4] Dopo il giorno vien la notte.[fonte 8] Dopo la grazia di Dio, la miglior cosa è la libertà.[fonte 8] Dopo la tempesta, il sole.[fonte 8] Dopo le fosche nuvole il sol splende più fulgido.[fonte 8] Dopo vendemmia, imbuto.[fonte 105] Non bisogna lasciarsi sfuggire le occasioni favorevoli, chi ha tempo non aspetti tempo. Dove c'è l'amore, la gamba trascina il piede.[fonte 8] Dove è castigo è disciplina, dove è pace è gioia.[fonte 4] Dove entra la fortuna, esce l'umiltà.[fonte 8] Dove l'accidia attecchisce ogni cosa deperisce.[fonte 4] Dove la fedeltà mette le radici, Dio fa crescere un albero.[fonte 4] Dove non c'è amore, non c'è umanità.[fonte 8] Dove non c'è fieno, i cavalli mangiano paglia.[fonte 8] Dove non c'è ordine, c'è disordine.[fonte 8] Dove non si crede né all'inferno né al paradiso, il diavolo intasca tutte le entrate.[fonte 8] Dove non vi è educazione, non vi è onore.[fonte 4] Dove non vi sono capelli, male si pettina.[fonte 4] Dove può il vino non può il silenzio.[fonte 8] Dove regna Bacco e Amore, Minerva non si lascia vedere.[fonte 4] Dove regna il vino, non regna il silenzio.[fonte 8] Dove son carogne son corvi.[fonte 8] Dove sono i pulcini, ivi è l'occhio della chioccia.[fonte 8] Dove vola il cuore, striscia la ragione.[fonte 8] Due cani che un solo osso hanno, difficilmente in pace stanno.[fonte 4] Due noci in un sacco e due donne in casa fanno un bel fracasso.[fonte 8] Due polente insieme non furon mai viste.[fonte 8] Dura più un carro rotto che uno nuovo.[fonte 4] Duro con duro non fa buon muro.[fonte 106] E È cattivo sparviero quel che non torna al richiamo.[fonte 8] È difficile far diventare bianco un moro.[fonte 4] È difficile guardarsi dai ladri di casa.[fonte 4] È difficile piegare un albero vecchio.[fonte 4] È difficile zoppicare bene davanti allo sciancato.[fonte 8] È facile lamentarsi quando c'è chi ascolta.[fonte 8] È impossibile come cavalcare un raggio di sole.[fonte 4] È impossibile volare senza ali.[fonte 4] È inutile piangere sul latte versato.[fonte 98] [truismo] È l'acqua che fa l'orto.[fonte 98] L'acqua fa l'orto.[fonte 98] È la donna che fa l'uomo.[fonte 57] È lieve astuzia ingannar gelosia, che tutto crede quando è in frenesia.[fonte 4] È meglio avere la cura di un sacco di pulci che una donna.[fonte 4] È meglio contentarsi che lamentarsi.[fonte 8] È meglio correggere i propri difetti, che riprendere quelli degli altri.[fonte 4] È meglio esser digiuno fuori, che satollo in prigione.[fonte 8] È meglio essere testa d'anguilla che coda di storione.[fonte 8] È meglio essere uccel di bosco, che uccel di gabbia.[fonte 8] È meglio essere umile a cavallo, che orgoglioso a piedi.[fonte 8] È meglio gelare nella nuda cameretta della verità, che crogiolarsi nella pelliccia della menzogna.[fonte 4] È meglio mangiarsi l'eredità, che conservarla per il convento.[fonte 4] È meglio meritar la lode che ottenerla.[fonte 4] È meglio sentir cantare l'usignolo, che rodere il topo.[fonte 8] È meglio testa di lucertola che coda di drago.[fonte 8] È meglio un esercito di cervi sotto il comando di un leone, che un esercito di leoni sotto il comando di un cervo.[fonte 4] È meglio un leone che mille mosche.[fonte 8] È più facile biasimare, che migliorare.[fonte 4] È più facile lagnarsi, che rimuovere gl'impedimenti.[fonte 8] È più facile prevenire una malattia che guarirla.[fonte 8] È più facile trovar dolce l'assenzio, che in mezzo a poche donne il silenzio.[fonte 8] È un bel predicare il digiuno a corpo pieno.[fonte 4] È una bella risposta quella che si attaglia ad ogni domanda.[fonte 8] Ebrei e rigattieri, spendono poco e gabbano volentieri.[fonte 4] Ecco il rimedio per l'ipocondria: mangiare e bere in buona compagnia.[fonte 8] Errare è umano, perseverare è diabolico.[fonte 107] Errare è umano, perseverare diabolico.[fonte 2] Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.[fonte 108] Errore non è inganno.[fonte 4] Errore non paga debito.[fonte 4] Errore riconosciuto conduce alla verità.[fonte 4] Esser dotto poco vale, quando gli altri non lo sanno.[fonte 8] Èssere più torbo che non è l'acqua dei maccheroni.[fonte 8] F Fa quel che il prete dice, non quel che il prete fa.[fonte 1] Fa quello che fanno gli altri, e nessuno si farà beffe di te.[fonte 4] Faccia bella, anima bella.[fonte 4] Facile è criticare, difficile è l'arte.[33][fonte 109] Fare debiti non è vergogna, ma pagarli è questione d'onore.[fonte 4] Fare e disfare, è tutto un lavorare.[fonte 110] Fare l'amore fa bene all'amore.[fonte 111] Fate del bene al villano, dirà che gli fate del male.[fonte 8] Fatta la legge trovato l'inganno.[34][fonte 1] Fatti asino e tutti ti metteranno la soma.[fonte 4] Fatti di miele e ti mangieranno le mosche.[fonte 4] Fatti le ali e poi vola.[fonte 4] Febbraio, febbraietto mese corto e maledetto.[35][fonte 2] Felice non è, chi d'esserlo non sa.[fonte 64] Femmine e galline, se giran troppo si perdono.[fonte 8] Ferita d'amore non uccide.[fonte 8] Finché c'è vita c'è speranza.[fonte 1] Fino alla morte non si sa qual è la sorte.[fonte 8] Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.[fonte 1] Fidati dell'arte, ma non dell'artigiano.[fonte 4] Fino alla bara sempre s'impara.[fonte 112] Fortezza che parlamenta, è prossima ad arrendersi.[fonte 4] Fortuna cieca, i suoi acceca.[fonte 4] Fortuna instupidisce colui ch'ella favorisce.[fonte 4] Fortunato al gioco, sfortunato in amore.[fonte 4] Fra Modesto non fu mai priore.[fonte 8] Fra sepolto tesoro e occulta scienza, non vi conosco alcuna differenza.[fonte 8] Fra un usuraio e un assassino poco ci corre.[fonte 8] Frutto precoce facilmente si guasta.[fonte 8] Fuggire l'acqua sotto la grondaia.[fonte 4] Funghi e poeti: per uno buono dieci cattivi.[fonte 8] G Gallina che non razzola ha già razzolato.[fonte 113] Gallina vecchia fa buon brodo.[fonte 114] Gallo senza cresta è un cappone, uomo senza barba è un minchione.[fonte 4] Gatta inguantata non prese mai topo.[fonte 8] Gattini sventati, fanno gatti posati.[fonte 115] Gatto e donna in casa, cane e uomo fuori.[fonte 38] Gatto rinchiuso diventa leone.[fonte 8] Gatto scottato dall'acqua calda, ha paura della fredda.[fonte 4] Gelosia non mette ruga.[fonte 4] Gioco di mano gioco di villano.[fonte 1] Gioia e sciagura sempre non dura.[fonte 8] Giovani di buon cuore, indoli buone, crescono cattivi per poca educazione.[fonte 4] Giugno la falce in pugno.[36][fonte 2] Gli abiti e gli uomini presto invecchiano.[fonte 4] Gli abiti e i costumi sono mutabili.[fonte 4] Gli abiti sono freddi, ma ricevono il calore da chi li porta.[fonte 4] Gli amori nuovi fanno dimenticare i vecchi.[fonte 4] Gli eredi dell'avaro sono onnipotenti, perché possono risuscitare i morti.[fonte 4] Gli eretici rubano la parola di Dio.[fonte 4] Gli errori degli altri sono i nostri migliori maestri.[fonte 4] Gli errori non si conoscono finché non siano commessi.[fonte 4] Gli errori si pagano.[fonte 8] Gli estremi si toccano.[fonte 4] Gli idoli separano papa e imperatore.[fonte 4] Gli occhi s'hanno a toccare con le gomita.[fonte 91] Gli stolti fanno le feste e gli accorti se le godono.[fonte 116] Gli uccelli dalle stesse piume devono stare nello stesso nido.[fonte 8] Gli uomini onesti non temono né la luce, né il buio.[fonte 8] Gobba a ponente luna crescente, gobba a levante luna calante.[fonte 2] Gola degli adulatori, sepolcro aperto.[fonte 117] Gotta inossota, mai fi sanata.[fonte 118] Gran giustizia, grande offesa.[fonte 4] Grande amore, gran dolore.[fonte 8] Greco in mare, Greco in tavola, Greco non aver a far seco.[fonte 74] Gru e donne fan volentieri il nido in alto.[fonte 8] Guardalo, figlia, guardalo tutto, l'uomo senza denari com'è brutto.[fonte 4] Guardare e non toccare è una cosa da imparare.[fonte 2] Guardati da chi accende il fuoco e grida poi contro le fiamme.[fonte 4] Guardati da cane rabbioso e da uomo sospettoso.[fonte 8] Guardati da chi giura in coscienza.[fonte 8] Guardati da chi non ha cura della sua reputazione.[fonte 8] Guardati da chi ride e guarda da un'altra parte.[fonte 8] Guardati da tre cose: da cavallo focoso, da uomo infido e da donna svergognata.[fonte 8] Guardati da tutte quelle cose che possono nuocere all'anima e al corpo.[fonte 8] Guardati dai fanciulli che ascoltano: anche i piccoli vasi hanno orecchie.[fonte 8] Guardati dai matti, dagli ubriachi, dagli ipocriti e dai minchioni.[fonte 8] Guardati dai tumulti, e non sarai né testimonio né parte.[fonte 8] Guardati dal diffamare, perché le prove sono difficili.[fonte 8] Guardati dal vecchio turco e dal giovane serbo.[fonte 119] Guardati dall'ipocrisia, perché è una cattiva malattia.[fonte 8] Guardati dalla primavera di gennaio.[fonte 8] Guardati in tua vita di non dare a niun smentita.[fonte 8] Guerra, peste e carestia, vanno sempre in compagnia.[fonte 120] H Ha cento volte un uomo flemma e giudizio, alla centuna corre al precipizio.[fonte 65] Ha bel mentir chi vien da lontano.[fonte 76] Ha la giustizia in mano bilancia e spada, perché il giusto s'innalza e l'empio cada.[fonte 4] Ha più il ricco in un angolo, che il povero in tutta la casa.[fonte 8] Ha un buon sapore l'odore del guadagno.[fonte 4] Ha un coraggio da leone, quello che non fa violenza ai deboli.[fonte 8] Ho veduto assai volte un piccol male non rispettato, divenir mortale.[fonte 65] I I baci sono come le ciliegie: uno tira l'altro.[fonte 2] I cani abbaiano come sono nutriti.[fonte 4] I capponi sono buoni in tutte le stagioni.[fonte 8] I cattivi esempi si imitano facilmente, meno i buoni.[fonte 4] I debiti sono gli eredi più prossimi.[fonte 4] I denari del lotto se ne van di galoppo.[fonte 8] I denari servono al povero di beneficio, ed all'avaro di gran supplizio.[fonte 4] I desideri non riempiono il sacco.[fonte 4] I docili non hanno bisogno della verga.[fonte 8] I doni dei nemici sono pericolosi.[fonte 4] I fanciulli diventano uomini e le ragazze spose.[fonte 4] I fanciulli e gli ubriachi cadono nelle mani di Dio.[fonte 4] I figli dei gatti mangiano i topi.[fonte 8] I figli sono la ricchezza dei poveri.[fonte 18] I figli sono pezzi di cuore.[fonte 2] I fiori tanto profumano per i poveri come per i ricchi.[fonte 8] I frati non s'inchinano all'abate, ma al mazzo delle sue chiavi.[fonte 4] I gamberi son buoni nei mesi della erre.[fonte 8] I gatti e i veri uomini cadono sempre in piedi.[fonte 121] I genii si incontrano.[fonte 4] I genitori amano i figli, più che i figli i genitori.[fonte 4] I genovesi risparmiano anche sui numeri: li usano due volte.[37][fonte 122] I giovani vogliono essere più accorti dei vecchi.[fonte 4] I giuramenti degli innamorati sono come quelli dei marinai.[fonte 4] I granchi son pieni quando la luna è tonda.[fonte 8] I guai della pentola li sa il mestolo che li rimescola.[fonte 8] I ladri grandi fanno impiccare i piccoli.[fonte 4] I loquaci e i vantatori son mal veduti da tutti.[fonte 8] I matti ed i fanciulli hanno un angelo dalla loro.[fonte 8] I matti fanno le feste ed i savi le godono.[fonte 4] I medici vogliono essere vecchi, i farmacisti ricchi ed i barbieri giovani.[fonte 4] "I miei datteri sono più dolci", dice il vischio che cresce sulla palma.[fonte 8] [wellerismo] I panni sporchi si lavano in casa.[fonte 123] I paperi vogliono portare a bere le oche.[fonte 4] I parenti sono come le scarpe: più sono stretti, più fanno male.[fonte 2] I pazzi crescono senza innaffiarli.[fonte 8] I pazzi e i fanciulli possono dire quello che vogliono.[fonte 8] I pazzi per lettera sono i maggiori pazzi.[fonte 124] I pazzi si conoscono dai gesti.[fonte 8] I peccati di gioventù si piangono in vecchiaia.[fonte 8] I poeti nascono, e gli oratori si formano.[fonte 8] I poveri cercano il mangiare per lo stomaco; e i ricchi lo stomaco per mangiare.[fonte 8] I poveri hanno la salute e i ricchi le medicine.[fonte 8] I pulci di vendemmia li tiene l'uomo e non le femmine.[fonte 125] I ricchi devono consolare i poveri.[fonte 8] I rimproveri del padre fanno più che le legnate della madre.[fonte 8] I soldi non fanno la felicità.[fonte 2] I veri amici sono come le mosche bianche.[fonte 4] Il bel tempo non viene mai a noia.[fonte 9] Il ben di un anno se ne va in una bestemmia.[fonte 4] Il ben fare non è mai tardo.[fonte 4] Il bisognino fa trottar la vecchia.[fonte 2] Il bue dice cornuto all'asino.[fonte 126] Il bue mangia il fieno perché si ricorda che è stato erba.[fonte 2] Il buon ordine è figlio del disordine.[fonte 8] Il buon nocchiero muta vela, ma non tramontana.[fonte 8] Il caffè deve essere caldo come l'inferno, nero come il diavolo, puro come un angelo e dolce come l'amore.[38][fonte 127] Il caldo delle lenzuola non fa bollire la pentola.[fonte 128] Il cane che ho nutrito è quel che mi morde.[fonte 8] Il cane è il miglior amico dell'uomo.[fonte 2] Il cane pauroso abbaia più forte.[fonte 4] Il cane rode l'osso perché non può inghiottirlo.[fonte 4] Il coccodrillo mangia l'uomo e poi lo piange.[fonte 8] Il colombo che rimane in colombaia è al sicuro dal falco.[fonte 8] Il colore più caro agli ebrei è il giallo.[fonte 4] Il coraggio copre l'eroe meglio che lo scudo il codardo.[fonte 8] Il corpo e l'anima ridono a chi si alza di buon mattino.[fonte 8] Il corvo piange la pecora e poi la mangia.[fonte 117] Il cuor cattivo rende ingratitudine per beneficio.[fonte 8] Il cuor magnanimo si piglia con poco amore, e il cuore dello stolto con poca adulazione.[fonte 8] Il cuore ha le sue ragioni e non intende ragione.[39][fonte 129] Il dare è onore, il chiedere è dolore.[fonte 8] Il delitto non si deve tollerare, ma anche meno si deve approvare.[fonte 4] Il denaro è il nervo della guerra.[fonte 4] Il denaro può molto, ma l'amore può tutto.[fonte 4] Il diavolo ben si lascia pigliare per la coda, ma non se la lascia strappare.[fonte 4] Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.[fonte 1] Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge.[fonte 130] Il diavolo vuol farsi cappuccino.[fonte 2] Il diavolo vuol farsi santo.[fonte 2] Il domandare è senno, il rispondere è obbligo.[fonte 8] Il dono del cattivo è simile al suo padrone.[fonte 56] Il dubbio è padre del sapere.[fonte 4] Il fare insegna a fare.[fonte 4] Il fatto non si può disfare.[fonte 4] Il ferro di cavallo che risuona, ha bisogno di un chiodo.[fonte 8] Il ferro è duro, ma il fuoco lo rende morbido.[fonte 4] Il figlio al padre s'assomiglia, alla madre la figlia.[fonte 4] Il filo sottile facilmente si strappa.[fonte 4] Il fuoco che non mi scalda, non voglio che mi scotti.[fonte 4] Il fuoco che non mi brucia, non lo spengo.[fonte 4] Il gatto ama i pesci, ma non vuole bagnarsi le zampe.[fonte 131] Il gatto brontola sempre, anche quando gode.[fonte 8] Il gatto che si è bruciato, ha paura anche dell'acqua fredda.[fonte 121] Il gatto è una tigre domestica.[fonte 8] Il gatto lecca oggi, domani graffia.[fonte 132] Il gatto non è gatto se non è ladro.[fonte 133] Il gatto non ti accarezza, si accarezza vicino a te.[fonte 134] Il generoso non ha mai abbastanza denaro.[fonte 4] Il gentiluomo chiede solo il miele, ma la gentildonna vuol anche la cera.[fonte 8] Il gioco è bello quando dura poco.[fonte 2] Il gioco, il lotto, la donna e il fuoco non si contentan mai di poco.[fonte 8] Il giudizio è opera di Dio.[fonte 4] Il grano rado non fa vergogna all'aia.[fonte 135] Il Greco dice la verità solo una volta all'anno.[fonte 4] Il lamentarsi non riempie camera vuota.[fonte 8] Il lavorare senza pregare, è una botte senza vino, e oro senza splendore.[fonte 4] Il lavoro nobilita l'uomo.[fonte 136] Il letto si chiama rosa, se non si dorme si riposa.[fonte 137] Il lotto è la tassa degli imbecilli.[fonte 8] Il lotto è un inganno continuo.[fonte 8] Il lupo non caca agnelli.[fonte 2] Il lupo perde il pelo ma non il vizio.[40][fonte 1] Il lupo quando acciuffa una pecora, ne guarda già un'altra.[fonte 4] Il magnanimo è superiore all'ingiuria, all'ingiustizia, al dolore.[fonte 8] Il magnanimo non ricorre all'astuzia.[fonte 8] Il male che non ha riparo è bene tenerlo nascosto.[fonte 4] Il male peggiore dei mali è il timore.[fonte 8] Il male viene in grandi quantità, e se ne va via a poco a poco.[fonte 4] Il matrimonio è la tomba dell'amore.[fonte 2] Il mattino ha l'oro in bocca.[fonte 138] Le ore del mattino hanno l'oro in bocca.[fonte 139] Il medico pietoso fa la piaga puzzolente.[fonte 140] Il medico pietoso fa la piaga verminosa.[fonte 140] Il meglio è nemico del bene.[fonte 1] Il merlo ingrassa in gabbia, il leone muore di rabbia.[fonte 8] Il miele non è fatto per gli asini.[fonte 4] Il miglior tiro ai dadi è non giocarli.[fonte 4] Il molto ringraziare significa chieder dell'altro.[fonte 8] Il mondo ricompensa come il caprone che dà cornate al suo padrone.[fonte 8] Il mulino di Dio macina piano ma sottile.[fonte 141] Il nano è piccolo anche se è sul campanile.[fonte 8] Il passato deve essere maestro dell'oggi.[fonte 4] Il passato non deve prendere a prestito dall'oggi.[fonte 4] Il peggior passo è quello dell'uscio.[fonte 2] Il pesce puzza dalla testa.[fonte 1] Il Piemonte è la sepoltura dei francesi.[fonte 8] Il poeta ben trova le palme, ma non i datteri.[fonte 8] Il politico bacia con la bocca, e tira calci con i piedi.[fonte 8] Il Portogallo[41] è piccolo, ma è un pezzo di zucchero.[fonte 8] Il povero non può e il ricco non vuole.[fonte 8] Il prete, dove mangia, vi canta.[fonte 142] Il prete vien cantando e va via zufolando.[fonte 143] Il prete vive ancor un anno dopo morte.[fonte 142] I suoi familiari continuano ad incassar per un anno i suoi redditi.[42] Il primo amore non si arrugginisce.[fonte 8] Il primo amore non si scorda mai.[fonte 8] Il primo anno ci si abbraccia, il secondo si fascia, il terzo anno si ha la malattia e la cattiva Pasqua.[fonte 4] Il puledro non va all'ambio, se la cavalla trotta.[fonte 144] Il ramo assomiglia al tronco.[fonte 4] Il ricco ha tanto bisogno del povero, quanto il povero del ricco.[fonte 8] Il ricco vive, il povero vivacchia.[fonte 8] Il ringraziare non fa male alla bocca.[fonte 8] Il ringraziare non paga debito.[fonte 8] Il riso abbonda sulla bocca degli stolti.[fonte 2] Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi.[fonte 145] Il riso nasce nell'acqua ma deve morire nel vino.[fonte 8] Il sapere è di tutti.[fonte 2] Il «se» e il «ma» sono due corbellerie da Adamo in qua.[fonte 4] Il silenzio è d'oro e la parola d'argento.[fonte 1] Il sospirar non vale.[fonte 8] Il superfluo del ricco è il necessario del povero.[fonte 8] Il tatto è tattica.[fonte 8] Il tatto è tutto.[fonte 8] Il tempo è denaro.[fonte 146] Il tempo è un gran medico.[fonte 147] Il tempo scopre tutto, perché è galantuomo.[fonte 147] Il tempo vola.[fonte 147] Il termine della notte è l'inizio del giorno.[fonte 8] Il timore fa trottare anche lo zoppo.[fonte 8] Il troppo gestire è da pazzi.[fonte 8] Il troppo tirare, l'arco fa spezzare.[fonte 4] Il turco ben può divenir un dotto, ma un uomo giammai.[fonte 119] Il ventre non ha orecchie.[fonte 2] Il vero infermo è quello che non vuol esser guarito.[fonte 8] Il vino al sapore, il pane al colore.[fonte 8] Il vino è buono per chi lo sa bere.[fonte 8] Il vino è forte ma il sonno lo vince, ma più forte d'ogni cosa è la donna.[fonte 8] Il vino è il latte dei vecchi.[fonte 8] Il vino è mezzo vitto.[fonte 8] Il vino fa ballare i vecchi.[fonte 8] Il vino la mattina è piombo, a mezzodì argento, la sera oro.[fonte 8] Impara a vivere lo sciocco a sue spese, il savio a quelle altrui.[fonte 4] Impara l'arte e mettila da parte.[fonte 1] In amore e in guerra niente regole.[fonte 8] In bocca chiusa non entran mosche.[fonte 2] In Campania si inganna persino il diavolo.[fonte 8] In casa del calzolaio non si hanno scarpe.[fonte 4] In cento libbre di legge, non v'è un'oncia di amore.[fonte 148] In chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni.[fonte 1] In compagnia prese moglie un frate.[fonte 1] In febbraio la beccaccia fa il nido.[fonte 8] In Lazio si nasce coi sassi in mano.[fonte 8] In lunghi viaggi anche la paglia pesa.[fonte 8] In paradiso non ci si va in carrozza.[fonte 141] In Sardegna non vi son serpenti, né in Piemonte bestemmie.[fonte 8] In tanta incostanza e quantità delle cose umane, nulla, se non quello che è passato, è sicuro.[fonte 4] In terra di ciechi, beato chi ha un occhio.[fonte 36] In terra di ladri, la valigia dinanzi.[fonte 8] In vaso mal lavato, il vino è tosto guastato.[fonte 8] Ingegno e capelli, crescono soltanto con gli anni.[fonte 4] Insieme non vanno la pudicizia e la beltà.[fonte 4] Inventare è poco, diffondere l'invenzione è tutto.[fonte 4] L L'abbaiare dei cani non arriva in cielo.[fonte 4] L'abbondanza non lascia dormire il ricco.[fonte 4] L'abete che fa ombra crede di fare frutti.[fonte 4] L'abete cresce in altezza, ma la felce cresce in larghezza.[fonte 4] L'abito non fa il monaco.[43][fonte 2] L'abuso insegna il vero uso.[fonte 4] L'acqua cheta rovina i ponti.[fonte 2] L'acqua corre al mare.[fonte 149] L'acqua e il fuoco sono buoni servitori, ma cattivi padroni.[fonte 4] L'acqua fa male e il vino fa cantare.[fonte 8] L'acqua fa marcire i pali.[fonte 5] L'acqua fa venire i ranocchi in corpo.[fonte 150] L'acqua di maggio inganna il villano: par che non piova e si bagna il gabbano[44].[fonte 2] L'acqua non è fatta per sposarsi.[fonte 9] L'allegria dei cattivi dura poco.[fonte 8] L'allegria è di ogni male il rimedio universale.[fonte 4] L'allegria è il balsamo della vita.[fonte 8] L'allegria fa campare, la passione fa crepare.[fonte 8] L'allegria piace anche a Dio.[fonte 8] L'allegria scaccia ogni male.[fonte 8] L'allodola vola in alto, ma fa il suo nido in terra.[fonte 8] L'altezza è mezza bellezza.[45][fonte 2] L'ambizione e la vendetta muoiono sempre di fame.[fonte 4] L'ambizione è nemica della ragione.[fonte 4] L'amore di carnevale muore in quaresima.[fonte 8] L'amore è cieco.[fonte 2] L'amore è cieco, ma vede lontano.[fonte 8] L'amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l'amore.[fonte 8] L'amore non è bello se non è litigarello.[fonte 103] L'amore non si misura a metri.[fonte 8] L'amore passa dentro la cruna di un ago.[fonte 8] L'amore quanto più è bestia, tanto più sublime.[fonte 32] L'amore scalda il cuore e l'ira fa il poeta.[fonte 8] L'amore senza baci è pane senza sale.[fonte 8] L'animo fa il nobile e non il sangue.[fonte 8] L'anno produce il raccolto, non il campo.[fonte 4] L'apparenza inganna.[fonte 1] L'appetito non vuol salsa.[fonte 151] L'appetito vien mangiando.[fonte 1] L'arancia la mattina è oro, il giorno argento, la sera è piombo.[fonte 2] Con riferimento a chi fa fatica a digerire le arance. L'arcobaleno la mattina bagna il becco della gallina; l'arcobaleno la sera buon tempo mena.[fonte 1] L'arte non ha maggior nemico dell'ignorante.[fonte 4] L'asino e il mulattiere non hanno lo stesso pensiero.[fonte 4] L'asino non conosce la coda, se non quando non l'ha più.[fonte 4] L'assai basta e il troppo guasta.[fonte 1] L'avaro in punto di morte rimpiange i soldi spesi per la bara.[fonte 8] L'avaro lascia eredi ridenti.[fonte 4] L'avaro non dorme.[fonte 4] L'avaro non vive, vegeta.[fonte 4] L'avversità che fiacca i cuori deboli, ingagliardisce le anime forti.[fonte 8] L'eccesso degli obblighi può fare perdere un amico.[fonte 4] L'eccesso della gioia divien tristezza, e l'eccesso del vino ubriachezza.[fonte 8] L'eccezione conferma la regola.[46][fonte 1] L'eclissi di sole avviene di giorno e non di notte.[fonte 4] L'edera taciturna si arrampica in cima alla quercia.[fonte 4] L'elefante non cura il morso delle pulci.[fonte 8] L'elemosina non fa impoverire.[fonte 4] L'eloquenza del cattivo è falso acume.[fonte 8] L'Epifania tutte le feste porta via.[47][fonte 1] L'erba del vicino è sempre più verde.[48][fonte 152] L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re.[fonte 2] L'erba che non voglio, cresce nell'orto.[fonte 4] L'erba non cresce sulla strada maestra.[fonte 4] L'eredità paterna ai paterni, la materna ai materni.[fonte 4] L'errore che si confessa è mezzo rimediato.[fonte 4] L'errore è un cocchiere che conduce sopra una falsa strada.[fonte 4] L'errore è umano, il perdono divino.[fonte 153] L'esercizio è buon maestro.[fonte 4] L'esperienza nel mondo conduce alla diffidenza, la diffidenza conduce al sospetto, il sospetto all'astuzia, l'astuzia alla malvagità e la malvagità a tutto.[fonte 4] L'esperienza senza il sapere è meglio che il sapere senza sapienza.[fonte 70] L'estate ce la porta sant'Urbano e l'autunno san Bartolomeo.[fonte 4] L'estate davanti e l'inverno dietro.[fonte 4] L'estate di San Martino dura tre giorni e un pochinino.[49][fonte 2] L'estate per chi lavora, l'inverno per chi dorme.[fonte 4] L'estate è una schiava, l'inverno un padrone.[fonte 4] L'estate per il povero è migliore dell'inverno.[fonte 4] L'eternità è una compera lunga.[fonte 4] L'eternità non ha capelli grigi.[fonte 4] L'eterno parlatore né ode né impara.[fonte 4] L'idolo si adora finché non è infranto.[fonte 4] L'ignorante ha le ali di un'aquila e gli occhi di un gufo.[fonte 4] L'inchiostro è il mio campo, su cui posso scrivere valorosamente; la penna, il mio aratro; le parole, la mia semente.[fonte 8] L'inchiostro è nero, e tinge le dita e la reputazione.[fonte 8] L'inferno e i tribunali son sempre aperti.[fonte 4] L'ingegno viene con gli anni, e se ne va con gli anni.[fonte 4] L'ingratitudine converte in ghiaccio il caldo sangue.[fonte 8] L'ingratitudine è la mano sinistra dell'egoismo.[fonte 8] L'ingratitudine è un'amara radice da cui crescono amari frutti.[fonte 8] L'ingratitudine nuoce anche a chi non è reo.[fonte 8] L'ingratitudine taglia i nervi al beneficio.[fonte 8] L'intelletto è nella testa e non negli anni.[fonte 4] L'intelletto non viene mai prima degli anni.[fonte 4] L'interesse acceca anche i galantuomini.[fonte 8] L'inverno al fuoco e l'estate all'ombra.[fonte 4] L'invidia è annessa alla felicità.[fonte 4] L'invidia è un gufo che non può sopportare la luce della prosperità degli altri.[fonte 4] L'invidia è una bestia che rode le proprie gambe, quando non ha altro da rodere.[fonte 4] L'invidia somiglia alla gramigna, che mai non muore, e da per tutto alligna.[fonte 4] L'ipocrisia intasca il denaro, e la verità va mendica.[fonte 4] L'ira senza forza, non vale una scorza.[fonte 4] L'ira turba la mente e acceca la ragione.[fonte 4] L'Italia è il paese dove corre latte e miele.[fonte 4] L'Italia è un paradiso abitato da demoni.[fonte 4] L'Italia per nascervi, la Francia per viverci e la Spagna per morirvi.[fonte 4] L'occasione fa l'uomo ladro.[fonte 1] L'occhio del padrone ingrassa il cavallo.[fonte 1] L'oggi non deve calunniare il passato.[fonte 4] L'olivo benedetto vuol trovar pulito e netto.[50][fonte 2] L'ombra di un principe dev'essere la liberalità.[fonte 4] L'ordine caccia il disordine.[fonte 8] L'ordine è pane, il disordine è fame.[fonte 8] L'orgoglio crede che il suo uovo abbia due tuorli.[fonte 8] L'orgoglio è stoltezza, l'umiltà è saviezza.[fonte 8] L'orgoglio fa colazione con l'abbondanza, pranza con la povertà e cena con la vergogna.[fonte 154] L'orologio dell'amore ritarda sempre.[fonte 8] L'ospite è come il pesce: dopo tre giorni puzza.[fonte 2] L'ospite e il pesce dopo tre dì rincresce.[fonte 1] L'ozio è il padre di tutti i vizi.[fonte 1] L'ozio in gioventù non è la via della virtù.[fonte 4] L'uguaglianza e misurar tutti con la stessa spanna, è la legge della morte.[fonte 8] L'umiliarsi è da saggio, l'avvilirsi è da bestia.[fonte 8] L'umiliazione va dietro al superbo.[fonte 8] L'umiltà è il miglior modo di evitare l'umiliazione.[fonte 8] L'umiltà è la corona di tutte le virtù.[fonte 8] L'umiltà è la madre dell'onore.[fonte 8] L'umiltà è una virtù che adorna tanto la vecchiaia, quanto la gioventù.[fonte 8] L'umiltà ottiene spesso più dell'alterigia.[fonte 8] L'umiltà sta bene a tutti.[fonte 8] L'umiltà sta bene con la castità.[fonte 8] L'unione fa la forza.[fonte 1] L'uomo avaro e l'occhio sono insaziabili.[fonte 4] L'uomo deve tenere aperta la bocca a lungo prima che c'entri un colombo arrostito.[fonte 4] L'uomo fu creato per lavorare, come l'uccello per volare.[fonte 4] L'uomo ordisce e la fortuna tesse.[fonte 1] L'uomo politico accende una candela a Dio e un'altra al diavolo.[fonte 8] L'uomo per la parola e il bue per le corna.[fonte 1] L'uomo propone e Dio dispone.[fonte 1] L'uomo propone e la donna dispone.[fonte 2] L'uomo si conosce al bicchiere.[fonte 4] L'uomo si giudica male dall'aspetto.[fonte 4] L'usura arricchisce, ma non dura.[fonte 8] L'usura è il miglior apostolo del diavolo.[fonte 8] L'usura è la figlia primogenita dell'avarizia.[fonte 8] L'usura è un assassinio.[fonte 8] L'usura è vietata da Dio.[fonte 8] L'usura veglia quando l'uomo dorme.[fonte 8] L'usuraio arricchisce col sudor dei poveri.[fonte 8] L'usuraio ha un torchio a sangue.[fonte 8] L'usuraio ingrassa andando a spasso.[fonte 8] La bestemmia gira gira torna addosso a chi la tira.[fonte 4] La buona cantina fa il buon vino.[fonte 8] La buona mamma fa la buona figlia.[fonte 4] La buona sorte ogni vile cuore fa forte.[fonte 8] La calma è la virtù dei forti.[fonte 2] La capacità si vede nelle difficoltà.[fonte 4] La carestia è il pane dell'usuraio.[fonte 4] La carne migliore è quella intorno all'osso.[fonte 4] La carne senz'osso non fa brodo.[fonte 4] La carrucola non frulla, se non è unta.[fonte 4] La cattiva sorte porta spesso buona sorte.[fonte 8] La cicala prima canta e poi muore.[fonte 8] La coda è la più lunga da scorticare.[fonte 1] La comodità fa l'uomo cattivo.[fonte 8] La compassione è la figlia dell'amore.[fonte 4] La concordia rende forti i deboli.[fonte 8] La contentezza viene dalle budella.[fonte 1] La corda troppo tesa si spezza.[fonte 1] La cupidigia rompe il sacco.[fonte 4] La dieta ogni mal quieta.[fonte 155] La difficoltà sta nell'iniziare.[fonte 4] La diffidenza aguzza gli occhi.[fonte 4] La diffidenza è la morte dell'amore.[fonte 4] La diffidenza porta più avanti della fiducia.[fonte 4] La donna a 15 anni scherza, a 20 brilla, a 25 ama, a 30 brama, a 35 sente, a 40 vuole e a 50 paga.[fonte 8] La donna bisogna praticarla un giorno, un mese e un'estate per sapere che odore sa.[fonte 8] La donna buona vale una corona.[fonte 8] La donna deve avere tre m: matrona in strada, modesta in chiesa, massaia in casa.[fonte 8] La donna e l'orto vogliono un sol padrone.[fonte 8] La donna ha più capricci che ricci.[fonte 8] La donna oziosa non può essere virtuosa.[fonte 8] La donna per piccola che sia, vince il diavolo in furberia.[fonte 8] La donna più sciocca vale due uomini.[fonte 8] La donna troppo in vista, è di facile conquista.[fonte 8] La fame caccia il lupo dal bosco.[fonte 1] La fame caccia il lupo dalla tana.[fonte 4] La fame spinge il lupo nel villaggio.[fonte 4] La fame condisce tutte le vivande.[fonte 4] La fame non vede la muffa nel pane.[fonte 4] La fame è cattiva consigliera.[fonte 1] La fame, gran maestra, anche le bestie addestra.[fonte 4] La fame muta le fave in mandorle.[fonte 4] La farina del diavolo va tutta in crusca.[fonte 1] La fedeltà non è mai rimeritata abbastanza, e l'infedeltà mai abbastanza.[fonte 4] La femmina è cosa mobile per natura.[fonte 4] La fine della passione è il principio del pentimento.[fonte 129] La fortuna aiuta gli audaci.[fonte 2] La fortuna del savio ha per figliola la modestia.[fonte 8] La fortuna è cieca.[fonte 2] La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo.[fonte 108] La fretta fa rompere la pentola.[fonte 8] La fretta è una cattiva consigliera.[fonte 108] La furia non fu mai buona.[fonte 4] La gallina del vicino sembra un fagiano.[fonte 152] La gatta frettolosa fece i gattini ciechi.[fonte 1] La gatta grassa fa onore alla casa.[fonte 121] La gatta, mette il piede davanti alla vacca.[fonte 156] La gatta non s'accosta alla pentola che bolle.[fonte 38] La gatta vorrebbe mangiar pesci, ma non pescare.[fonte 157] La gelosia della moglie è la via al suo divorzio.[fonte 4] La gelosia è il peggiore di tutti i mali.[fonte 4] La gelosia è una passione che cerca avidamente quel che tormenta.[fonte 4] La generosità è un muro che non si può alzare più alto di quello che arrivano i materiali.[fonte 4] La gente ricca alleva male i suoi cani, e la gente povera i suoi figlioli.[fonte 8] La gente savia non si cura di quel che non può avere.[fonte 87] La gioventù fugge, e la bellezza sfiorisce.[fonte 4] La gioventù vuol fare il suo corso.[fonte 4] La lealtà se ne è andata dal mondo e la dirittura si è messa a dormire.[fonte 4] La lega fa forte i deboli.[fonte 4] La liberalità è un muro che non si deve rizzare più alto di quello che comportino i materiali.[fonte 4] La liberalità non sta nel dare molto, ma saggiamente.[fonte 4] La libertà del povero è di lasciarlo mendicare.[fonte 4] La libertà è da Dio; le libertà, dal diavolo.[fonte 4] La libertà è più cara degli occhi e della vita.[fonte 4] La libertà fila con le sue mani il filo della sua tenda.[fonte 4] La lingua batte dove il dente duole.[fonte 1] La lingua non ha osso e sa rompere il dosso.[fonte 4] La lingua spagnola è la più amabile; quando il diavolo tentò Eva, le parlo in spagnolo.[fonte 8] La lode propria puzza, quella degli amici zoppica.[fonte 4] La luna di gennaio è la luna del vino.[fonte 2] La luna è bugiarda: quando fa la C diminuisce, e quando fa la D cresce[fonte 158] La luna non cura l'abbaiar dei cani.[fonte 2] La luna regge il lume ai ladri.[fonte 158] La luna, se non riscalda, illumina.[fonte 158] La Lombardia è il giardino del mondo.[fonte 8] La madre del peggio è sempre incinta.[fonte 159] La madre degli imbecilli è sempre incinta.[fonte 160] La madre dei fessi è sempre incinta.[fonte 160] La magnificenza spesso copre la povertà.[fonte 4] La mala erba non muore mai.[fonte 1] La mala nuova la porta il vento.[fonte 1] La malerba cresce presto.[fonte 2] La malinconia e le cure fanno invecchiare anzitempo.[fonte 4] La mercanzia rara è meglio che buona.[fonte 8] La miglior difesa è l'attacco.[fonte 1] La minestra lunga sa di fumo.[fonte 8] La modestia è il dattero che matura raramente sull'albero della ricchezza.[fonte 8] La modestia è madre d'ogni creanza.[fonte 8] La moglie è la chiave di casa.[fonte 8] La morte ci rende uguali nella sepoltura, disuguali nell'eternità.[fonte 8] La necessità aguzza l'ingegno.[fonte 2] La necessità fa più ladri che galantuomini.[fonte 8] La notte è fatta per gli allocchi.[fonte 8] La notte porta consiglio.[fonte 1] La novella non è bella, se non c'è la giuntarella.[fonte 8] La pancia del buongustaio è il cimitero dei cibi buoni.[fonte 8] La parola del ricco è simile al sole, e quella del povero è simile al vapore.[fonte 8] La pazienza è la virtù dei forti.[fonte 9] La pazienza è una buon'erba, ma non nasce in tutti gli orti.[fonte 88] La pecora che se ne va sola, il lupo la mangia.[fonte 91] La peggio ruota è quella che stride.[fonte 8] La peggior carne da conoscere è quella dell'uomo.[fonte 4] La penitenza corre dietro al peccato.[fonte 8] La pentola vuota è quella che suona.[fonte 8] La pianta si conosce dal frutto.[fonte 1] La pigrizia e l'impudicizia sono sorelle.[fonte 8] La pittura è una poesia tacita, e la poesia una pittura loquace.[fonte 8] La più bell'ora per il mangiare è quella in cui si ha fame.[fonte 8] La polenta è utile per quattro cose: serve da minestra, serve da pane, sazia e scalda le mani.[fonte 8] La povertà è priva di molte cose, l'avarizia è priva di tutto.[fonte 56] La prima acqua è quella che bagna.[fonte 1] La prima gallina che canta ha fatto l'uovo.[fonte 108] La prima eredità al primo figlio, l'ultima eredità all'ultimo figlio.[fonte 4] La provvidenza quel che toglie rende.[fonte 4] La pulce che esce di dietro l'orecchio con il diavolo si consiglia.[fonte 8] La puttana e la lattuga una stagione dura.[fonte 8] La rana è usa ai pantani, se non ci va oggi ci andrà domani.[fonte 8] La rana non morde, perché non ha denti.[fonte 8] La rana, o salta o piscia, ma mai non sbrana.[fonte 8] La razza comincia dalla bocca.[fonte 8] La roba dei pazzi è la prima ad andarsene.[fonte 8] La ruota della fortuna gira.[fonte 4] La ruota della fortuna non è sempre una.[fonte 4] La scorza fa bella la castagna.[fonte 4] La scimmia è sempre scimmia, anche vestita di seta.[fonte 8] La semplicità senza accortezza è pura pazzia.[fonte 8] La sera leoni e la mattina coglioni.[fonte 2] La sorte è come ognuno se la fa.[fonte 8] La speranza è cattivo denaro.[fonte 161] La speranza è il pane dei poveri.[fonte 2] La speranza è il patrimonio dei poveri.[fonte 2] La speranza è il sogno dell'uomo desto.[fonte 2] La speranza è l'ultima a morire.[fonte 2] La speranza è la miglior consolazione nella miseria.[fonte 161] La speranza è la miglior musica del dolore.[fonte 161] La speranza è la ricchezza dei poveri.[fonte 2] La speranza è sempre verde.[fonte 2] La speranza è un balsamo per i cuor piagati.[fonte 161] La speranza è un sogno nella veglia.[fonte 2] La speranza infonde coraggio anche al codardo.[fonte 161] La speranza ingrandisce, l'esperienza rimpicciolisce.[fonte 57] La superbia è figlia dell'ignoranza.[fonte 1] La superbia mostra l'ignoranza.[fonte 162] La superbia va a cavallo e torna a piedi.[fonte 1] La terra è madre di tutti gli uomini ed anche sepoltura.[fonte 8] La troppa umiltà vien dalla superbia.[fonte 8] La vanagloria è un fiore che mai non porta frutta.[fonte 163] La vera libertà è non servire al vizio.[fonte 4] La verità è nel vino.[fonte 8] La verità viene sempre a galla.[fonte 2] La veste copre gran difetti.[fonte 55] La via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni.[fonte 1] La vipera morta non morde seno, ma pure fa male coll'odor del veleno.[fonte 8] La virtù sta nel mezzo.[51][fonte 164] La vita è breve e l'arte è lunga.[52][fonte 55] La vita è già mezzo trascorsa anziché si sappia che cosa sia.[fonte 165] La volpe si conosce dalla coda.[fonte 4] Lamentarsi, supplicare e bere acqua è lecito a tutti.[fonte 8] Latte e vino, tossico fino.[fonte 8] Lavora come se avessi a campare ognora, adora come avessi a morire allora.[fonte 4] Lavoro non ingrassò mai bue.[fonte 4] Le allegrezze non durano.[fonte 8] Le belle penne rendono bello l'uccello.[fonte 4] Le bellezze durano fino alle porte, la bontà fino alla morte.[fonte 4] Le braccia e le mani del povero appartengono al ricco.[fonte 8] Le bugie hanno le gambe corte.[fonte 1] Le bugie sono lo scudo degli uomini dappoco.[fonte 4] Le chiacchiere non fanno farina.[fonte 1] Le colombe che rimangono in colombaia, sono sicure dal nibbio.[fonte 8] Le cose lunghe diventano serpi.[fonte 1] Le cose lunghe prendono vizio.[fonte 1] Le dita della mano sono disuguali.[fonte 8] Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli.[fonte 4] Le donne hanno quattro malattie all'anno, e tre mesi dura ogni malanno.[fonte 8] Le bestie vanno trattate da bestie.[fonte 8] Le cattive nuove sono le prime ad arrivare.[fonte 8] Le cattive nuove volano.[fonte 1] Le chiavi ed i lucchetti non si fanno per le dita fidate.[fonte 8] Le disgrazie non vengono mai sole.[fonte 1] Le disgrazie sono come le ciliegie: una tira l'altra.[53] Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli.[fonte 166] Le donne hanno sette anime... e mezza.[fonte 8] Le donne ne sanno una più del diavolo.[fonte 2] Le donne piglian bene le pulci.[fonte 8] Le lacrime sono le armi delle donne.[fonte 4] Le leghe e le corde fradice non durano a lungo.[fonte 4] Le malattie ci dicono quel che siamo.[fonte 88] Le montagne stanno ferme, gli uomini s'incontrano.[fonte 167] Le ore del mattino hanno l'oro in bocca.[fonte 1] Le parole sono femmine e i fatti sono maschi.[fonte 1] Le piante che fruttano troppo presto, si seccano.[fonte 8] Le querce non fanno limoni.[fonte 2] Le ragazze sono d'oro, le sposate d'argento, le vedove di rame e le vecchie di latta.[fonte 8] Le rane han perso la coda perché non seppero chiedere aiuto.[fonte 8] Le rose cascano, le spine restano.[fonte 168] Le teste di legno fan sempre del chiasso.[fonte 55] Le Trentine vengono giù pollastre e se ne vanno sù galline.[fonte 8] Le vie della provvidenza sono infinite.[fonte 1] Le vie del Signore sono infinite.[fonte 1] Leggi, rileggi e pondera.[fonte 8] Lingua cheta e fatti parlanti.[fonte 4] Lo sbadiglio non vuol mentire: o che ha sonno o che vorrebbe dormire, o che ha qualche cosa che non può dire.[fonte 8] Lo scarafaggio corre sempre allo sterco.[fonte 8] Lo scimunito parla col dito.[fonte 8] Lo scorpione dorme sotto ogni lastra.[fonte 8] Lo smargiasso ciancia in guerra, il valente combatte muto.[fonte 8] Loda il gran campo e il piccolo coltiva.[fonte 169] Loda il monte e tieniti al piano.[fonte 2] Loda il pazzo e fallo saltare, se non è pazzo lo farai diventare.[fonte 8] Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.[fonte 170] Lontan dagli occhi, lontan dal cuore.[fonte 2] Luna di grappoli a gennaio luna di racimoli a febbraio.[54][fonte 2] Lunga lingua, corta mano.[fonte 8] Lungo come la quaresima.[55][fonte 2] Luglio dal gran caldo, bevi bene e batti saldo.[fonte 16] Lungo digiuno caccia la fame.[fonte 4] Lupo non mangia lupo.[fonte 2] M Ma in premio d'amore amor si rende.[fonte 33] Maggio ortolano, molta paglia e poco grano.[fonte 16] Maggiore il santo, maggiore la sua umiltà.[fonte 8] Mai gli uomini sanno essere abbastanza riconoscenti verso gli inventori.[fonte 4] Mal comune mezzo gaudio.[fonte 2] Mal può rendere ragion del proprio fatto chi lardo o pesce lascia in guardia al gatto.[fonte 65] Mal si giudica il cavallo dalla sella.[fonte 3] Male che si vuole non duole.[fonte 9] Male ignoto si teme doppiamente.[fonte 8] Male non fare, paura non avere.[fonte 2] Male voluto non fu mai troppo.[fonte 57] Maledetto il ventre che del pan che mangia non si ricorda niente.[fonte 8] Manca tanto la pazienza ai poveri, quanto la compassione ai ricchi.[fonte 8] Mangiar molto e far buona digestione, è un privilegio che han poche persone.[fonte 8] Mano dritta e bocca monda possono andare per tutto il mondo.[fonte 4] Marinaio genovese, mercante fiorentino.[fonte 8] Martello d'oro non rompe le porte del cielo.[fonte 47] Marzo è pazzo.[fonte 16] Marzo pazzerello guarda il sole e prendi l'ombrello.[fonte 2] Marzo molle, gran per le zolle.[fonte 16] Mazza e pane fanno i figli belli; pane senza mazza fa i figli pazzi.[fonte 171] Medico vecchio e chirurgo giovane.[fonte 172] Medico vecchio e medicina nuova.[fonte 2] Chirurgo giovane e medico anziano.[56] Mediocre bestiame ben pasciuto è di maggior vantaggio che molto bestiame mal mantenuto.[fonte 173] Meglio andare a letto senza cena, che alzarsi con debiti.[fonte 4] Meglio aperto rimprovero, che odio segreto.[fonte 8] Meglio dietro agli uccelli, che dietro ai signori.[fonte 8] Meglio essere ben educato, che nascere nobile.[fonte 4] Meglio essere invidiati che compatiti.[fonte 174] Meglio fare la serva in casa propria, che la padrona in casa altrui.[fonte 4] Meglio fave in libertà, che capponi in schiavitù.[fonte 8] Meglio fringuello in man che tordo in frasca.[fonte 2] Meglio fringuello in tasca che tordo in frasca.[fonte 2] Meglio il marito senz'amore, che con gelosia.[fonte 75] Meglio l'uovo oggi che la gallina domani.[fonte 1] Meglio mangiar carote in pace che molte pietanze in disunione.[fonte 8] Meglio mendicante che ignorante.[fonte 124] Meglio pane con amore, che gallina con dolore.[fonte 4] Meglio poco che niente.[fonte 1] Meglio soli che male accompagnati.[fonte 1] Meglio tardi che mai.[fonte 1] Meglio un asino vivo che un dottore morto.[fonte 1] Meglio un fiorino guadagnato, che cento ereditati.[fonte 4] Meglio un magro accordo che una grassa sentenza.[fonte 2] Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio.[fonte 2] Meglio una festa che cento festicciole.[fonte 1] Meglio una volta arrossire che mille impallidire.[fonte 8] Meglio vivere ben che vivere a lungo.[fonte 64] Meno siamo meglio stiamo.[fonte 57] Mente lieta, vita quieta e moderata dieta.[fonte 2] Merito non conosciuto poco vale.[fonte 8] Milan può far, Milan può dir, ma non può far dell'acqua vin.[fonte 8] Mille errori sono più facilmente pronunciati che una verità.[fonte 4] Moglie e buoi dei paesi tuoi.[fonte 1] Donne e buoi dei paesi tuoi.[fonte 2] Mogli che non contraddicono e galline che facciano le uova d'oro, sono uccelli rari.[fonte 8] Moglie maglio.[fonte 1] Molte cose si giudicano impossibili a farsi prima che siano fatte.[fonte 4] Molte mani fanno l'opera leggera.[fonte 4] Molte paglie unite possono legare un elefante.[fonte 8] Molte volte la belleza più adorabile si unisce alla stupidaggine più insopportabile.[fonte 4] Molte volte si perde per negligenza quello che si è guadagnato con giustizia.[fonte 4] Molti hanno buone carte in mano, ma non le sanno giocare.[fonte 4] Molti inventano oro con la bocca ed hanno piombo alle mani e ai piedi.[fonte 4] Molti parlano d'Orlando anche se non videro mai il suo brando.[fonte 8] Molti sfuggono alla pena, ma non ai rimorsi della coscienza.[fonte 8] Molti si immaginano di avere il pulcino, che non hanno ancora l'uovo.[fonte 4] Molti si lamentano del buon tempo.[fonte 8] Molti sono i verseggiatori, pochi i poeti.[fonte 8] Molti squartano un gatto e giurano che era un leone.[fonte 8] Molti voti fanno l'abate.[fonte 4] Molto denaro, molti amici.[fonte 4] Molto fumo e poco arrosto.[fonte 1] Molto può nuocere una piccola negligenza.[fonte 8] Morire di fame in una madia di pane.[fonte 4] Morta la serpe, spento il veleno.[fonte 8] Morto un papa se ne fa un altro.[fonte 1] Mulo buon mulo, ma cattiva bestia.[fonte 8] Muore il ricco, gli fanno il funerale; muore il povero, nessuno gli dice: vale.[fonte 8] Muove la coda il cane non per te, ma per il pane.[fonte 4] N Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi.[fonte 2] Né col capretto né con l'agnello, si adopera il coltello.[fonte 8] Né di venere, né di marte non si sposa né si parte, né si dà principio all'arte.[fonte 2] Né donna né tela al lume di candela.[fonte 8] Ne uccide più la lingua che la spada.[fonte 2] Ne uccide più la gola che la spada.[fonte 2] Necessità fa legge e tribunale.[fonte 2] Negli ordini pari, i pareri sono dispari.[fonte 8] Nel bere e nel camminare si conoscono le donne.[fonte 8] Nel bosco tagliato non ci stanno assassini.[fonte 8] Nel dubbio astieniti.[fonte 2] Nel monte di Brianza, senza vin non si danza.[fonte 8] Nel paese degli zoppi, zoppicar non è vergogna.[fonte 8] Nel regno dei ciechi anche un orbo è re.[fonte 175] Nel regno dei ciechi anche un guercio è re.[fonte 175] Nel regno di Dio, poveri e ricchi sono uguali.[fonte 8] Nell'autunno non bisogna più sognare di rose e tulipani.[fonte 4] Nell'estate si deve pensare all'inverno, e nella gioventù alla vecchiaia.[fonte 4] Nell'eternità si arriva sempre in tempo.[fonte 4] Nell'inverno il pazzo sogna rose, e nell'estate il savio le raccoglie.[fonte 4] Nella botte piccola c'è il buon vino.[fonte 8] Nella felicità ragione, nell'infelicità pazienza.[fonte 8] Nella gotta, il medico non vede gotta.[fonte 176] Nelle sventure si conosce l'amico.[fonte 1] Nessuna corona è più bella di quella dell'umiltà.[fonte 8] Nessuna fortezza è così salda che non si lasci conquistare dall'oro.[fonte 4] Nessuna ingiustizia rimane impunita.[fonte 4] Nessuna mela è così bella che non abbia qualche difetto.[fonte 4] Nessuna nuova, buona nuova.[fonte 1] Nessuno è profeta in patria.[57][fonte 177] Nessuno può dare quello che non ha.[fonte 4] Nessuno può difendersi dalla beffa.[fonte 4] Ne uccide più Bacco che Marte.[fonte 4] Neve di Dicembre dura fin che dura la brina.[fonte 8] Niente è più bello di una faccia allegra.[fonte 8] Niuna guardia è migliore di quella che una donna fa a se stessa.[fonte 4] Non accettare i rimproveri o consigli da chi educare non seppe i propri figli.[fonte 4] Non aspettar che l'abete porti pomi.[fonte 4] Non basta esser galantuomo, bisogna anche esser conosciuto per tale.[fonte 8] Non bisogna fare il diavolo più nero di quello che è.[fonte 8] Non bisogna fasciarsi il capo prima di romperselo.[fonte 8] Non bisogna mai usare due pesi e due misure.[fonte 8] Non bisogna scuotere l'orzo dal sacco prima di avere il frumento.[fonte 8] Non c'è alcuno così povero che non possa aiutare, né alcuno così ricco che non abbia bisogno d'aiuto.[fonte 8] Non c'è cosa più triste sulla terra dell'uomo ingrato.[fonte 8] Non si muove foglia che Dio non voglia.[fonte 1] Non c'è affanno senza danno.[fonte 4] Non c'è Carnevale senza luna di febbraio.[fonte 2] Non c'è due senza tre.[fonte 1] Non c'è due senza tre e il quarto vien da sé.[fonte 2] Non c'è cosa così cattiva che non sia buona a qualche cosa.[fonte 4] Non c'è eretico che non abbia la sua credenza.[fonte 4] Non c'è fumo senza arrosto.[fonte 1] Non c'è gallina né gallinaccia che di gennaio l'uova non faccia.[fonte 2] Non c'è intoppo per avere, più che chiedere e temere.[fonte 178] Non c'è male senza bene.[fonte 4] Non c'è miglior cieco di quello che non vuole vedere.[fonte 4] Non c'è pane senza pena.[fonte 1] Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.[fonte 2] Non c'è regola senza eccezioni.[fonte 1] Non c'è rosa senza spine.[fonte 2] Non cade foglia che Dio non voglia.[fonte 1] Non ci fu mai frettoloso che non fosse pazzo.[fonte 8] Non ci rimane nessuna vigna da vendemmiare, e né meno nessuna donna da maritare.[fonte 179] Non credere a donna, quand'anche sia morta.[fonte 4] Non destare il can che dorme.[fonte 1] Non dire quattro se non l'hai nel sacco.[fonte 2] Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco.[fonte 180] Non è arte il giocare, ma lo smettere.[fonte 4] Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.[fonte 181] Non è bene esser poeta nel villaggio.[fonte 8] Non è bene riporre denaro in una cassa di cui non si ha la chiave.[fonte 4] Non è col dire "miel, miel," che la dolcezza viene in bocca.[fonte 117] Non è contento quel che si lamenta.[fonte 8] Non è in nessun luogo chi è in ogni luogo.[fonte 4] Non è mai gran gagliardia, senza un ramo di pazzia.[fonte 8] Non è povero, se non chi si crede tale.[fonte 8] Non è sempre savio chi non sa esser qualche volta pazzo.[fonte 8] Non è sì tristo cane, che non meni la coda.[fonte 182] Non è tutto oro quel che luccica.[fonte 183] Non è tutto oro quel che riluce.[fonte 183] Non esiste amore senza gelosia.[fonte 8] Non fa la stessa viva sensazione il solletico a tutte le persone.[fonte 8] Non facendo niente, più pena si sente.[fonte 4] Non far mai bene, non avrai mai male.[fonte 8] Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.[58][fonte 2] Non fare il male ch'è peccato, non fare il bene ch'è sprecato.[fonte 1] Non fare il passo più lungo della gamba.[fonte 2] Non gira il corvo che non sia vicina la carogna.[fonte 8] Non lodare il bel giorno prima di sera.[fonte 4] Non mettere il carro davanti ai buoi.[fonte 184] Non mettere il rasoio in mano a un pazzo.[fonte 8] Non mettere un rasoio in mano a un pazzo.[fonte 185] Non mi morse mai scorpione, ch'io non mi medicassi col suo olio.[fonte 8] Non nominar la corda in casa dell'impiccato.[fonte 1] Non ogni abisso ha un parapetto.[fonte 4] Non ogni lettera va alla posta, non ogni domanda vuole risposta.[fonte 8] Non pensa il cuore quel che dice la bocca.[fonte 4] Non perde il cervello se non chi l'ha.[fonte 8] Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi.[fonte 1] Non sempre va d'accordo la campana dell'orologio con la meridiana.[fonte 8] Non serve dire «Di tal acqua non berrò».[fonte 4] Non si campa d'aria.[fonte 4] Non si comincia bene se non dal cielo.[fonte 4] Non si dà fumo senza fuoco.[fonte 4] Non si entra in Paradiso a dispetto dei Santi.[fonte 1] Non si fa niente per niente.[fonte 1] Non si fan nozze coi fichi secchi.[fonte 186] Non si finisce mai di imparare.[fonte 4] Non si insegna a nuotare ai pesci.[fonte 4] Non si legge mai libro senza imparare qualcosa.[fonte 4] Non si possono cavar le castagne dal fuoco colla zampa del gatto.[fonte 187] Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.[fonte 1] Non si può bere e fischiare.[fonte 77] Non si sa mai per chi si lavora.[fonte 4] Non si sta mai tanto bene che non si possa star meglio, né tanto male che non si possa star meglio.[fonte 8] Non sono cacciatori tutti quelli che portano il fucile.[fonte 4] Non sono uguali tutti i giorni.[fonte 4] Non ti far povero a chi non ha da farti ricco.[fonte 8] Non ti fidar d'un tratto, di grazia o di bontà.[fonte 8] Non ti vantar farfalla, tuo padre era un bruco.[fonte 8] Non tutte le ciambelle riescono col buco.[fonte 1] Non tutte le lacrime vengono dal cuor.[fonte 4] Non tutti i matti rompono i piatti.[fonte 8] Non tutti i pazzi stanno al manicomio.[fonte 8] Non tutti possiamo abitare in piazza.[fonte 8] Non tutti sono ammalati quelli che sono in letto.[fonte 8] Non tutti sono infelici come credono.[fonte 8] Non tutti sono infermi quelli che gridano ahi![fonte 8] Non tutti vedono la serpe che sta nascosta sotto l'erba.[fonte 4] Non tutto il male vien per nuocere.[fonte 2] Non v'è mai tanta pace in convento, come quando i frati portano tonache uguali.[fonte 8] Non vi è donna senza amore.[fonte 8] Non vi è inganno che non si vinca con l'inganno.[fonte 4] Non vi è lino senza resca, né donna senza pecca.[fonte 4] Non vi è nulla che ricercando non si possa penetrare.[fonte 4] Non vi è peggior burla che la vera.[fonte 4] Non vi fu mai gatta che non corresse ai topi.[fonte 8] Non vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.[fonte 1] Non vo' dormire né fare la guardia.[fonte 4] Notte, amore e vino fanno spesso l'uomo meschino.[fonte 8] Novembre vinaio.[fonte 16] Nulla è così buono che a lungo andare non venga a noia.[fonte 8] Nuovo padrone, nuova legge.[fonte 58] Nutri il corvo e ti caverà gli occhi.[fonte 8] Nutri la serpe in seno, ti renderà veleno.[fonte 8] O O taci, o di' cosa migliore del silenzio.[59][fonte 8] Occhio che piange cuore che duole.[fonte 2] Occhio che piange cuore che sente.[fonte 2] Occhio non vede, cuore non duole.[fonte 2] Occhio per occhio, dente per dente.[60][fonte 2] Olio di lucerna ogni mal governa.[fonte 2] Oggi a me domani a te.[fonte 2] Oggi allegria, domani malinconia.[fonte 8] Oggi creditore, domani debitore.[fonte 8] Oggi fresco e forte, domani nella morte.[fonte 8] Oggi in figura, domani in sepoltura.[fonte 8] Oggi in pace, domani in guerra.[fonte 8] Oggi mercante, domani mendicante.[fonte 8] Oggi pioggia e doman vento, tutto cambia in un momento.[fonte 8] Ogni Abele ha il suo Caino.[fonte 4] Ogni animale per non morir s'aiuta.[fonte 188] Ogni bel gioco dura poco.[fonte 1] Ogni bella scarpa diventa ciabatta, ogni bella donna diventa nonna.[fonte 8] Ogni bene infine svanisce, ma la fama non perisce.[fonte 4] Ogni cosa ch'è rara, suol essere più cara.[fonte 8] Ogni disuguaglianza, l'amore uguaglia.[fonte 4] Ogni erba si conosce dal seme.[fonte 4] Ogni fatica merita ricompensa.[fonte 4] Ogni gatta ha il suo febbraio.[fonte 8] Ogni giorno non è festa.[fonte 4] Ogni giorno non si fanno nozze.[fonte 4] Ogni grillo si crede cavallo.[fonte 8] Ogni lasciata è persa.[fonte 1] Ogni legno ha il suo tarlo.[fonte 1] Ogni lucciola non è un fuoco.[fonte 8] Ogni lumaca vede le corna delle altre.[fonte 189] Ogni matto fa il suo atto.[fonte 8] Ogni medaglia ha il suo rovescio.[fonte 1] Ogni pazzo vuol dar consiglio.[fonte 8] Ogni pelo ha la sua ombra.[fonte 4] Ogni popolo ha il governo che si merita.[fonte 190] Ogni promessa è debito.[fonte 1] Ogni rana si crede gran dama.[fonte 8] Ogni rana si crede una Diana.[fonte 8] Ogni scimmia trova belli i suoi scimmiotti.[fonte 8] Ogni serpe ha il suo veleno.[fonte 8] Ogni simile ama il suo simile.[fonte 1] Ogni uccello fa il suo verso.[fonte 8] Ogni uccello canta il suo verso.[fonte 191] Ognun patisce del suo mestiere.[fonte 192] Ognuno trascura per sé i godimenti dell'arte sua, quasi venutigli a noia perché ci ha guardato dentro: il cuoco non è mai ghiotto, il calzolaio va colle scarpe rotte. Ognun per sé e Dio per tutti.[fonte 1] Ognun vede le proprie oche come cigni.[fonte 8] Ognuno all'arte sua e il lupo alle pecore.[fonte 2] Ognuno ama sentirsi lodare.[fonte 4] Ognuno che ha un gran coltello, non è un boia.[fonte 4] Ognuno fa degli errori.[fonte 4] Ognuno faccia il suo mestiere.[fonte 2] Ognuno ha i suoi gusti.[fonte 193] Ognuno ha il suo affanno.[fonte 8] Ognuno ha la sua croce.[fonte 1] Ognuno tira l'acqua al suo mulino.[fonte 2] Orto, uomo morto.[fonte 169] Orzo e paglia fanno il caval da battaglia.[fonte 8] Ospite raro ospite caro.[fonte 1] Ottobre mostaio.[fonte 16] P Paese che vai usanza che trovi.[fonte 1] Paga il giusto per il peccatore.[fonte 1] Pancia affamata, vita disperata.[fonte 4] Pancia piena non crede a digiuno.[fonte 1] Pancia vuota non sente ragioni.[fonte 1] Parla all'amico come se ti avesse a diventar nemico.[fonte 8] Pane finché dura, vino con misura.[fonte 194] Parenti, amici, pioggia, dopo tre giorni vengono a noia.[fonte 8] Parenti serpenti.[fonte 1] Parenti serpenti, cugini assassini, fratelli coltelli.[fonte 2] Parere e non essere è come filare e non tessere.[fonte 2] Parlare francese come una vacca spagnola.[fonte 4] Passata la festa gabbato lo santo.[fonte 1] Passato il fiume scordato il santo.[fonte 4] Patti chiari, amici cari.[fonte 2] Patti chiari amicizia lunga.[fonte 2] Pazzi e buffoni hanno pari libertà.[fonte 8] Pazzo è colui che bada ai fatti altrui.[fonte 8] Pazzo è quel prete che biasima le sue reliquie.[fonte 195] Pazzo per natura, savio per scrittura.[fonte 8] Peccati vecchi, penitenza nuova.[fonte 8] Peccato celato è mezzo perdonato.[61][fonte 196] Peccato confessato è mezzo perdonato.[fonte 8] Per amore anche una donna onesta, può perdere la testa.[fonte 8] Per chi vuol esser libero, non c'è catena che tenga.[fonte 8] Per essere amabili, bisogna amare.[fonte 9] Per fare l'elemosina non manca mai la borsa.[fonte 4] Per il galantuomo non ci sono leggi.[fonte 8] Per il saggio le lacrime delle donne sono come gocce salate.[fonte 4] Per imparare qualche cosa, non è mai troppo tardi.[fonte 4] Per l'abbondanza del cuore la bocca parla.[fonte 4] Per l'oro, l'abate vende il convento.[fonte 4] Per la santa Candelora[62] dell'inverno siamo fora, ma se piove o tira vento, dell'inverno siamo dentro.[fonte 2] Per la santa Candelora se tempesta o se gragnola dell'inverno siamo fora; ma se è sole o solicello siamo solo a mezzo inverno.[fonte 2] Per natura tutti gli uomini sono simili; per l'educazione diventano interamente diversi.[fonte 4] Per ogni civetta che si sente cantare sul tetto, non bisogna metter lutto.[fonte 8] Per quanto alletti la bellezza di un fiore, nessuno lo coglie se ha cattivo odore.[fonte 4] Per san Lorenzo la noce è fatta.[fonte 2] Per San Lorenzo la noce si spacca nel mezzo.[fonte 197] Per san Lorenzo piove dal cielo carbone ardente.[fonte 2] Per Santa Caterina [25 novembre], le bestie fuori dalla cascina.[fonte 198] Per trovare ingiustizie non occorrono lanterne.[fonte 4] Per un chiodo si perde un ferro, e per un ferro un cavallo.[fonte 8] Per un punto Martin perse la cappa.[63][fonte 2] Per una scopa formano un mercato tre donne e assordan tutto il vicinato.[fonte 8] Perde le lacrime chi piange davanti al giudice.[fonte 4] Perdona a tutti, ma non a te.[fonte 199] Perdonare è da uomini, scordare è da bestie.[fonte 199] Pesce che va all'amo, cerca d'esser gramo.[fonte 8] Pianta a cui spesso si muta luogo, non prende vigore.[fonte 4] Piccola fiamma non fa gran luce.[fonte 8] Piccola pietra rovesciar può il carro.[fonte 8] Piccola scintilla può bruciar la villa.[fonte 8] Piccole ruote portano gran pesi.[fonte 8] Piccolo ago scioglie stretto nodo.[fonte 8] Piglia il bene quando viene, ed il male quando conviene.[fonte 8] Piove sempre sul bagnato.[fonte 2] Pisa, pesa per chi posa.[fonte 8] Più alta la condizione, più si deve essere umili.[fonte 8] Più briccone, più fortunato.[fonte 4] Più il fiume è profondo, più scorre il silenzio.[fonte 4] Più si chiacchiera, meno si ama.[fonte 8] Piuttosto un asino che porti, che un cavallo che butti in terra.[fonte 87] Poca brigata vita beata.[fonte 1] Poeta si nasce, oratori si diventa.[fonte 200] Poeti e Santi campano tutti quanti.[fonte 201] Poeti, pittori e pellegrini a fare e a dire sono indovini.[fonte 8] Polenta e latte bollito, in quattro salti è digerito.[fonte 8] Portare frasconi a Vallombrosa.[fonte 4] Prendi la bruna per amante e la bionda per moglie.[fonte 8] Preghiera di gatto e brontolio di pulce non arrivano in cielo.[fonte 131] Preghiera umile entra in cielo.[fonte 8] Presto e bene, raro avviene.[fonte 8] Prete spretato e cavolo riscaldato, non fu mai buono.[64] Prevedere per provvedere e prevenire.[fonte 202] Prima della morte non chiamare nessuno felice.[fonte 4] Prima di ammogliarsi bisogna fare il nido.[fonte 4] Prima di andare alla pesca esamina ben bene la tua rete.[fonte 8] Prima di domandare, pensa alla risposta.[fonte 203] Prima lusingare e poi graffiare, è arte dei gatti.[fonte 8] Prodigo e bevitor di vino, non fa né forno né mulino.[fonte 8] Pugliesi, cento per forca e un per paese.[fonte 8] Puoi ben drizzare il tenero virgulto, non l'albero già fatto adulto.[fonte 4] Putto in vino e donna in latino non fecero mai buon fine.[fonte 4] Q Qual proposta tal risposta.[fonte 1] Qualche intervallo il pazzo ha di saviezza, qualche intervallo il savio ha di stoltezza.[fonte 8] Qualche volta anche Omero sonnecchia.[fonte 204] Quale uccello, tale il nido.[fonte 205] Quand'anche si trapiantassero in paradiso, i cardi non porterebbero mai rose.[fonte 8] Quando arriva la gloria svanisce la memoria.[fonte 2] Quando c'è l'esercito, si trova anche il generale.[fonte 4] Quando c'è la salute c'è tutto.[fonte 57] Quando canta la rana, la pioggia non è lontana.[fonte 8] Quando ci sono molti galli a cantare non si fa mai giorno.[fonte 16] Quando è alta la passione, è bassa la ragione.[fonte 206] Quando è finito il raccolto dei datteri, ciascuno trova da ridire alla palma.[fonte 8] Quando fischia l'orecchio dritto, il cuore è afflitto; quando il manco, il cuore è franco.[fonte 8] Quando gli eretici si accapigliano, la chiesa ha pace.[fonte 4] Quando il colombo ha il gozzo pieno, le vecce gli sembrano amare.[fonte 8] Quando il culo è avvezzo al peto non si può tenerlo cheto.[fonte 2] Quando il fanciullo è satollo anche il miele non ha più gusto.[fonte 4] Quando il fanciullo ha sette anni, la ragione spunta in lui.[fonte 207] Quando il gatto lecca il pelo viene acqua giù dal cielo.[fonte 38] Quando il gatto non c'è i topi ballano.[fonte 1] Quando il gatto non può arrivare al lardo dice che è rancido.[fonte 8] Quando il gatto si lecca e si sfrega le orecchie con la zampina, pioverà prima che sia mattina.[fonte 8] Quando il gozzo è pieno, le ciliegie sono acerbe.[fonte 8] Quando il grano ricasca, il contadino si rizza.[fonte 57] Quando il grano va a male, bisogna ringraziare Dio per la paglia.[fonte 8] Quando il lardo è divorato, poco val cacciare il gatto.[fonte 8] Quando il mandorlo non frutta, la semente ci va tutta.[fonte 8] Quando il padrone zoppica, il servo non va diritto.[fonte 8] Quando il sole splende, non ti curar della luna.[fonte 8] Quando il tempo è chiaro in autunno, vento nell'inverno.[fonte 4] Quando in autunno sono grassi i tassi e le lepri, l'inverno è rigoroso.[fonte 4] Quando l'amore è a pezzi non c'è alcuna colla che lo riappiccichi.[fonte 8] Quando l'angelo diventa diavolo, non c'è peggior diavolo.[fonte 4] Quando l'avaro muore, il danaro respira.[fonte 4] Quando l'Italia suona la chitarra, la Spagna le nacchere, la Francia il liuto, l'Irlanda l'arpa, la Germania la tromba, l'Inghilterra il violino, l'Olanda il tamburo, nulla è uguale ad esse.[fonte 8] Quando la barba fa bianchino, lascia la donna e tienti al vino.[fonte 208] Quando la cicala canta in settembre, non comprare gran da vendere.[fonte 8] Quando la fame entra dalla porta, l'amore esce dalla finestra.[fonte 8] Quando la grazia di Dio è nel cuore, gli occhi nuotano nell'allegria.[fonte 4] Quando la guerra comincia s'apre l'inferno.[fonte 4] Quando la neve si scioglie si scopre la mondezza.[fonte 1] Quando la pera è matura casca da sé.[fonte 1] Quando la pera è matura bisogna che caschi.[fonte 16] Quando la radice è tagliata, le foglie se ne vanno.[fonte 8] Quando la ragione dorme, il cuore scappuccia.[fonte 8] Quando la luna è bianca il tempo è bello; se è rossa, vuole dire vento; se pallida, pioggia.[fonte 4] Quando la rana canta il tempo cambia.[fonte 8] Quando non dice niente, non è dal savio il pazzo differente.[fonte 8] Quando non sai, frequenta in domandare.[fonte 209] Quando piove col sole le vecchie fanno l'amore.[fonte 1] Quando piove col sole il diavolo fa l'amore.[fonte 1] Quando piove col sole le streghe fanno l'amore.[fonte 2] Quando piove col sole si marita la volpe.[65][fonte 2] Quando piove d'agosto, piove miele e mosto.[fonte 8] Quando si è in ballo bisogna ballare.[fonte 1] Quando si è patito si è inclini a compatire.[fonte 4] Quando si mangia non si parla.[fonte 57] Quando sono fidanzate hanno sette mani e una lingua, quando sono sposate hanno sette lingue e una mano.[fonte 8] Quando un amico chiede, non v'è domani.[fonte 210] Quando un povero dà al ricco, Dio ride in cielo.[fonte 8] Quando una cosa è accaduta, poco vale lamentarsi.[fonte 8] Quando viene la forza, il diritto è morto.[fonte 4] Quanto più è alto il monte, tanto più profonda la valle.[fonte 4] Quanto più la rana si gonfia, più presto crepa.[fonte 8] Quanto più se n'ha, tanto più se ne vorrebbe.[fonte 4] Quattro lumi non s'accendono.[fonte 2] Quattro nuove invenzioni vanta il mondo: scorticare senza coltello, arrostire senza fuoco, lavare senza sapone, e invece degli occhiali vedere attraverso le dita.[fonte 4] Quel ch'è innato per natura, si porta alla sepoltura.[fonte 8] Quel ch'è raro, è stimato.[fonte 8] Quel che con l'acqua mischia e guasta il vino, merita di bere il mare a capo chino.[fonte 8] Quel che è disposto in cielo, conviene che sia.[fonte 4] Quel, che è fatto, è fatto, e non si può fare, che fatto non sia.[fonte 211] Quel che è fatto è reso.[fonte 2] Quel che non può l'ìngegno, può spesso la fortuna.[fonte 4] Quel che non puoi pagare col denaro, pagalo almeno col ringraziamento.[fonte 8] Quel che è gioco per il forte per il debole è morte.[fonte 8] Quel che si dà al ricco, si ruba al povero.[fonte 8] Quel che si fa a fin di bene, non dispiace mai a Dio.[fonte 4] Quel che si fa all'oscuro, appare al sole.[fonte 4] Quel che supera il mio intelletto, lo lascio stare.[fonte 4] Quella bellezza l'uomo saggio apprezza che dura sempre, fino alla vecchiaia.[fonte 4] Quelli che hanno meno ingegno, ne hanno da vendere più degli altri.[fonte 4] Quello che abbaia è il cane sdentato.[fonte 4] Quello che deve durare per l'eternità non si deve scrivere con l'acqua.[fonte 4] Quello che è accaduto ieri, può accadere oggi.[fonte 4] Quello che è passato, è scordato.[fonte 4] Quello che ha da essere, sarà.[fonte 4] Quello che non avviene oggi, può avvenire domani.[fonte 4] Quello che non è stato può essere.[fonte 4] Quello che non può l'intelletto, può spesso il caso.[fonte 4] Quello che puoi fare oggi, non rimandarlo a domani.[fonte 4] Quello che si dice all'eco nel bosco, il bosco lo ripete.[fonte 4] Quello che si impara in gioventù, non si dimentica mai più.[fonte 4] Quello che si usa non si scusa.[fonte 212] Quello è mio zio, che vuole il bene mio.[fonte 4] Quello è un fanciullo accorto che conosce suo padre.[fonte 4] Questo devi sapere che la gelosia di un Arabo è la stessa gelosia.[fonte 4] Quieta non muovere.[fonte 16] R Raglio d'asino non giunse mai al cielo.[fonte 2] Rana di palude sempre si salva.[fonte 8] Rane, malsane.[fonte 8] Render nuovi benefici all'ingratitudine è la virtù di Dio e dei veri uomini grandi.[fonte 8] Ricchezza mal disposta a povertà s'accosta.[fonte 8] Ricchezze nell'India, sapere in Europa, e pompa fra gli ottomani.[fonte 8] Ricchi e poveri non portano che un lenzuolo all'altro mondo.[fonte 8] Ricco e grande fortuna potrà farti, ma mai il comune senso potrà darti.[fonte 4] Ricorda che il nemico può diventarti amico.[fonte 8] Ride ben chi ride ultimo.[fonte 2] Ride ben chi ride l'ultimo.[fonte 2] Roba calda il corpo non salda.[fonte 213] Roba d'altri, tutti scaltri.[fonte 4] Roma, a chi nulla in cent'anni, a chi molto in tre dì.[fonte 8] Roma non fu fatta in un giorno.[fonte 2] Roma santa, Aquila bella, Napoli galante.[fonte 214] Rosso di mattina, pioggia vicina.[fonte 215] Rosso di sera bel tempo si spera; rosso di mattina acqua vicina.[fonte 2] Rosso di sera, buon tempo si spera; rosso di mattina mal tempo si avvicina.[fonte 1] Rosso e giallaccio pare bello ad ogni faccia, verde e turchino si deve essere più che bellino.[fonte 216] Rovo, in buona terra covo.[fonte 169] S Salta chi può.[fonte 1] San Benedetto[66] la rondine sotto il tetto.[fonte 2] San Lorenzo dalla gran calura.[fonte 2] San Pietro abbracciato, Cristo negato.[fonte 4] San Silvestro [31 dicembre] l'oliva nel canestro.[fonte 2] Sangue giovane sempre spavaldo.[fonte 8] Sasso che rotola non fa muschio.[fonte 47] Pietra che rotola non fa muschio.[fonte 2] Sbagliando s'impara.[fonte 1] Scalda più l'amore che mille fuochi.[fonte 8] Scherza coi fanti e lascia stare i Santi.[fonte 1] Scherzando intorno al lume che t'invita, farfalla perderai l'ali e la vita.[fonte 65] Scherzo di mano, scherzo di villano.[fonte 1] Gioco di mano, gioco di villano.[fonte 1] Schiena di mulo, corso di barca, buon per chi n'accatta.[fonte 8] Scusa non richiesta, accusa manifesta.[67][fonte 217] Se ari male, peggio mieterai.[fonte 47] Se fossero buoni i nipoti non si leverebbero dalla vigna.[fonte 218] Se gioventù sapesse, se vecchiaia potesse.[fonte 167] Se i gatti sapessero volare, le beccacce sarebbero rare.[fonte 131] Se il coltivatore non è più forte della su' terra questa finisce per divorarlo.[fonte 47] Se il ladro lasciasse il suo rubare, non ci sarebbero più forche.[fonte 4] Se il giovane sapesse di quanto ha bisogno la vecchiaia, chiuderebbe spesso la borsa.[fonte 4] Se il padre di famiglia è miope, i servi sono ciechi.[fonte 8] Se il piede destro è zoppo, Dio rafforza il sinistro.[fonte 8] Se il poeta s'erige a oratore predicherà agli orecchi e non al cuore.[fonte 8] Se il primo bottone hai fatto essere secondo, tutti sbagliati saranno da cima a fondo.[fonte 4] Se il re sputa sopra un abete si chiama subito abete reale.[fonte 4] Se il ricco conoscesse la fame del povero, gli darebbe del suo pane.[fonte 8] Se il ringraziare costasse denaro, molti se lo terrebbero in tasca.[fonte 8] Se il tuo gatto è ladro non scacciarlo di casa.[fonte 8] Se il virtuoso è povero, il lodarlo non basta; il dovere primo è d'aiutarlo.[fonte 8] Se la pazzia fosse dolore, in ogni casa si sentirebbe stridere.[fonte 8] Se le lattughe lasci in guardia alle oche, al ritorno ne troverai ben poche.[fonte 219] Se ne vanno gli amori e restano i dolori.[fonte 4] Se nessuno sa quel che sai, a nulla serve il tuo sapere.[fonte 8] Se non è zuppa è pan bagnato.[fonte 1] Se non hai mai rubato, la parola ladro non è per te un'ingiuria.[fonte 4] Se occhio non mira, cuor non sospira.[fonte 8] Se ognun spazzasse da casa sua, tutta la città sarebbe netta.[fonte 220] Se piovesse oro, la gente si stancherebbe a raccoglierlo.[fonte 8] Se son rose fioriranno.[fonte 1] Se ti vuoi nutrire bene, fai ballare i trentadue.[fonte 8] Se un fratello compie un omicidio, gli altri non sono responsabili.[fonte 4] Se vuoi che t'ami, fa' che ti brami.[fonte 8] Se vuoi portare l'uomo a incretinire, fallo ingelosire.[fonte 4] Segui il filo e troverai il gomitolo.[fonte 4] Senza denari non canta un cieco.[fonte 1] Senza denari non si canta messa.[fonte 1] Senza umiltà tutte le virtù sono vizi.[fonte 8] Sempre ti graffierà chi nacque gatto.[fonte 8] Senza umanità non vi è né virtù, né vero coraggio, né gloria durevole.[fonte 8] Seren d'inverno e nuvolo d'estate, non ti fidare.[fonte 4] Sette in un colpo! disse quel sarto che aveva ammazzato sette mosche.[fonte 8] [wellerismo] Settembre, l'uva è fatta e il fico pende.[fonte 16] Si bacia il fanciullo a causa della madre, e la madre a causa del fanciullo.[fonte 4] Si deve alzare di buon'ora chi vuol contentare i suoi vicini.[fonte 8] Si dice il peccato, ma non il peccatore.[fonte 2] Si mantiene un esercito per mille giorni, e non se ne fa uso che per un momento.[fonte 4] Si parla del diavolo e spuntano le corna.[fonte 130] Si può conoscere la tua opinione dal tuo sbadigliare.[fonte 8] Si può vivere senza fratelli ma non senza amici.[68] Si stava meglio quando si stava peggio.[69][fonte 2] Sia l'astrologo che l'indovina ti portano alla rovina.[fonte 4] Sicuro come il pane.[fonte 4] Sin che si vive, s'impara sempre.[fonte 4] Sol gente di mal'affare, bestie e botte, van fuori di notte.[fonte 221] Son padrone del mondo oggi le donne e cedon toghe e spade a cuffie e gonne.[fonte 8] Sono meglio cento beffe che un danno.[fonte 4] Sono sempre gli stracci che vanno all'aria.[fonte 1] Sopra l'albero caduto ognuno corre a fare legna.[fonte 4] Sopra ogni vino, il greco è divino.[fonte 8] Sotto la neve pane, sotto l'acqua fame.[fonte 1] Spesso a chiaro mattino, v'è torbida sera.[fonte 222] Spesso chi commette un'ingiustizia, ne subisce una peggiore.[fonte 4] Spesso vince più l'umiltà che il ferro.[fonte 8] Sposa bagnata sposa fortunata.[fonte 223] Stretta la foglia, larga la via dite la vostra che ho detto la mia.[fonte 2] Larga la foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia.[fonte 2] Stringe più la camicia che la gonnella.[fonte 4] Studia non per sapere di più, ma per sapere meglio degli altri.[fonte 224] Studio in gioventù, onore alla vecchiaia.[fonte 4] Sulla pelle della serpe nessuno guarda alle macchie.[fonte 8] Superbia povera spiace anche al diavolo; umiltà ricca piace anche a Dio.[fonte 8] T T'annoia il tuo vicino? Prestagli uno zecchino.[fonte 4] Tagliare i capelli con la pentola.[fonte 225] Tagliarli male. Tal lascia l'arrosto che poi brama il fumo.[fonte 4] Tale padre, tale figlio.[70][fonte 2] Tanti galli a cantar non fa mai giorno.[fonte 1] Tanti idoli, tanti templi.[fonte 4] Tanti pochi fanno un assai.[fonte 226] Tanto fumo e poco arrosto.[fonte 2] Tanto l'amore quanto il fuoco devono essere attizzati.[fonte 8] Tanto l'amore quanto la minestra di fagioli vogliono uno sfogo.[fonte 8] Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.[fonte 1] Tempo chiaro e dolce a capodanno, assicura bel tempo tutto l'anno.[fonte 8] Tenga bene a mente un bugiardo quando mente.[fonte 4] Tentar non nuoce.[fonte 1] Terra assai, terra poca.[fonte 169] Terra bianca, tosto stanca.[fonte 227] Terra coltivata raccolta sperata.[fonte 2] Terra nera buon grano mena.[fonte 2] Testa di lucertola, collo di gru, gambe di ragno, pancia di vacca, groppa di baldracca.[fonte 8] Testa di pazzo non incanutisce mai.[fonte 8] Tinca di maggio e luccio di settembre.[fonte 8] Tinca in camicia, luccio in pelliccia.[fonte 8] Tira più un pelo di fica che cento paia di buoi.[fonte 2] Tira più un capello di donna che cento paia di buoi.[fonte 8] Tolta la causa, cessato l'effetto.[fonte 8] Tondi l'agnello e lascia il porcello.[fonte 8] Torinesi e Monferrini, pane, vino e tamburini.[fonte 8] Tra cani non si mordono.[fonte 1] Tra i due litiganti il terzo gode.[fonte 1] Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.[fonte 1] Tra l'incudine e il martello, mano non metta chi ha cervello.[fonte 4] Tra moglie e marito non mettere il dito.[fonte 1] Tradimento piace assai, traditor non piace mai.[fonte 148] Trattar male il povero è il disonor del ricco.[fonte 8] Tre cose cacciano l'uomo di casa: fumo, goccia e femmina arrabbiata.[fonte 4] Tre cose fanno l'uomo ammalato: amore, vino e bagno.[fonte 8] Tre cose simili: prete, avvocato e morte. Il prete toglie dal vivo e dal morto; l'avvocato vuol del diritto e del torto; e la morte vuole il debole e il forte.[fonte 142] Tre cose sono rare: un buon melone, un buon amico e una buona moglie.[fonte 8] Tre sono le meraviglie, Napoli, Roma e la faccia tua.[fonte 228] Trenta monaci e un abate non farebbero bere un asino per forza.[fonte 4] Triste e guai, chi crede troppo e chi non crede mai.[fonte 8] Triste quel cane che si lascia prendere la coda in mano.[fonte 8] Triste quell'estate, che ha saggina e rape.[fonte 8] Tromba di culo, sanità di corpo.[fonte 213] Troppa manna, nausea.[fonte 8] Troppa modestia è orgoglio mascherato.[fonte 8] Troppe soddisfazioni tolgono ogni voglia.[fonte 8] Troppi cuochi guastano la cucina.[fonte 1] Troppo povero e troppo ricco fa ugual disgrazia.[fonte 8] Tu scherzi col tuo gatto e l'accarezzi, ma so ben io qual fine avran quei vezzi.[fonte 8] Turchi e Tartari, flagelli dei popoli.[fonte 229] Tutta la strada non fallisce il saggio che, accortosi a metà, corregge il viaggio.[fonte 4] Tutte le cose sono difficili prima di diventar facili.[fonte 70] Tutte le strade portano a Roma.[fonte 1] Tutte le volpi si ritrovano in pellicceria.[fonte 2] Tutte le volpi si rivedono in pellicceria.[fonte 2] Tutte le volte che si ride si toglie un chiodo dalla cassa.[fonte 230] Tutti del pazzo tronco abbiamo un ramo.[fonte 8] Tutti i fiumi vanno al mare.[fonte 1] Tutti i giorni sono buoni per andare a caccia. ma non per prendere uccelli.[fonte 4] Tutti i guai son guai, ma il guaio senza pane è il più grosso.[fonte 1] Tutti i gusti son gusti.[fonte 1] Tutti i mestieri danno il pane.[fonte 231] Tutti i nodi vengono al pettine.[fonte 1] Tutti i peccati mortali sono femmine.[fonte 8] Tutti i salmi finiscono in gloria.[fonte 1] Tutti siamo figli di Adamo ed Eva.[fonte 190] Tutto ciò che dura a lungo annoia.[fonte 8] Tutto è bene quel che finisce bene.[71][fonte 1] Tutto il cervello non è in una testa.[fonte 4] Tutto il mondo è paese.[72][fonte 1] Tutto quello che è bianco non è farina.[fonte 4] Tutto s'accomoda fuorché l'osso del collo.[fonte 31] U Uccellin che mette coda vuol mangiare a tutte l'ore.[fonte 2] Uccello raro ha nido raro.[fonte 8] Ucci ucci, sento odor di cristianucci.[fonte 2] Umiltà e cortesia adornano più di una veste tessuta d'oro.[fonte 8] Un bel tacer non fu mai scritto.[73][fonte 2] Un'anima magnanima consulta le altre; un'anima volgare disprezza i consigli.[fonte 8] Un'oncia di allegria vale più di una libbra di tristezza.[fonte 232] Un'ora di contento sconta cent'anni di tormento.[fonte 233] Un abete non fa foresta.[fonte 4] Un bell'abito è una lettera di raccomandazione.[fonte 4] Un buon abate loda sempre il suo convento.[fonte 4] Un buon principio va sempre a buon fine.[fonte 4] Un cattivo libro ha spesso un buon titolo, ed una fronte onesta, un cervello ribaldo.[fonte 4] Un cuor magnanimo vuol sempre il bene, anche se il premio mai non ottiene.[fonte 8] Un esercito senza generale è come un corpo senz'anima.[fonte 4] Un fido amico, e ricchezze ben acquistate son due cose rare.[fonte 8] Un fratello aiuta l'altro.[fonte 4] Un granello fa traboccare la bilancia.[fonte 4] Un granello di polvere fa scoppiare tutta la bomba.[fonte 4] Un ladro non ruba sempre, ma bisogna guardarsi da lui.[fonte 4] Un lume è più presto spento che acceso.[fonte 4] Un male tira l'altro.[fonte 4] Un padre campa cento figli e cento figli non campano un padre.[fonte 2] Un pazzo ne fa cento.[fonte 8] Un piccolo buco fa affondare un gran bastimento.[fonte 8] Un povero virtuoso val più di un ricco vizioso.[fonte 8] Una bella barba e un cuor valente adornano l'uomo.[fonte 4] Una bella giornata non fa estate.[fonte 4] Una bella lacrima trova facilmente un fazzoletto che la asciughi.[fonte 4] Una bugia ha bisogno di sette bugie.[fonte 4] Una buona risata si trasforma tutta in buon sangue.[fonte 232] Una ciliegia tira l'altra.[fonte 2] Una cosa tira l'altra.[fonte 16] Una estate vale più di dieci inverni.[fonte 4] Una parola tira l'altra.[fonte 2] Una e buona.[fonte 16] Una ma buona.[fonte 16] Una fa, due stentano, ma a tre ci vuol la serva.[fonte 8] Una Fenice fra le donne è quella, che altra donna confessa essere bella.[fonte 8] Una mano lava l'altra e tutte e due lavano il viso.[fonte 1] Una mela al giorno leva il medico di torno.[fonte 2] Una ne paga cento.[fonte 1] Una ne paga tutte.[fonte 1] Una rondine non fa primavera.[fonte 1] Un fiore non fa giardino.[fonte 4] Un fiore non fa primavera.[fonte 4] Una volta corre il cane e una volta la lepre.[fonte 1] Una volta per uno non fa male a nessuno.[fonte 1] Uno semina, l'altro raccoglie.[fonte 72] Uno si fa la sorte da sé, l'altro la riceve bell'e fatta.[fonte 8] Uomo a cavallo, sepoltura aperta.[fonte 2] Uomo avvisato mezzo salvato.[fonte 1] Uomo da nessuno invidiato, è uomo non fortunato.[fonte 4] Uomo di vino, non vale un quattrino.[fonte 8] Uomo morto non fa più guerra.[fonte 234] Uomo senza quattrini è un morto che cammina.[fonte 2] Uomo solitario, o angelo o demone.[fonte 235] Uomo zelante, uomo amante.[fonte 4] L'uomo misero è un morto che cammina.[fonte 2] Uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, donna di quindici e amici di trent'anni.[fonte 8] V Va' in piazza vedi e odi, torna a casa bevi e godi.[fonte 236] Va più di un asino al mercato.[fonte 4] Val più un piacere da farsi che cento di quelli fatti.[fonte 8] Val più una messa in vita che cento in morte.[fonte 4] Vale più la pratica che la grammatica.[fonte 1] Vale più un fatto che cento parole.[fonte 237] Vale più un gusto che un casale.[fonte 1] Vale più un testimone di vista che cento d'udito.[fonte 2] Vale più uno a fare.[fonte 16] Vanga e zappa non vuol digiuno.[fonte 47] Vanga piatta poco attacca, vanga ritta terra ricca, vanga sotto ricca il doppio.[fonte 2] Vecchi doni vogliono nuovi ringraziamenti.[fonte 8] Vecchiaia d'aquila, giovinezza d'allodola.[fonte 4] Vedere e non toccare è una cosa da crepare.[fonte 2] Vedere per credere.[fonte 238] Vento fresco mare crespo.[fonte 239] Ventre pieno non crede a digiuno.[fonte 16] Ventre vuoto non sente ragioni.[fonte 16] Vesti un legno, pare un regno.[fonte 41] Vi sono dei matti savi, e dei savi matti.[fonte 8] Vicino alla chiesa lontano da Dio.[fonte 2] Vicino alla serpe c'è il biacco.[fonte 8] Vigna nel sasso e orto in terren grasso.[fonte 240] Vincere un ambo al lotto è un malefizio, che più accresce la speranza al vizio.[fonte 8] Vino amaro, tienilo caro.[fonte 8] Vino battezzato non vale un fiato.[fonte 8] Vino battezzato, non va al palato.[fonte 8] Vino dentro, senno fuori.[fonte 8] Vino di fiasco la sera buono e la mattina guasto.[fonte 8] Vino e sdegno fan palese ogni disegno.[fonte 8] Vino non è buono che non rallegra l'uomo.[fonte 8] Violenza non dura a lungo.[fonte 241] Vivi e lascia vivere.[fonte 1] Vizio di natura fino alla fossa dura.[fonte 2] Vizio di natura, fino alla morte dura.[fonte 242] Voglia di lavorar saltami addosso, lavora tu per me che io non posso.[fonte 243] Voglio piuttosto un asino che mi porti, che un cavallo che mi getti in terra.[fonte 4] Volpe che dorme, ebreo che giura, donna che piange, malizie sopraffine colle frange.[fonte 4] Note  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Matteo, 6, 34.  La locuzione latina gutta cavat lapidem (letteralmente "la goccia perfora la pietra") venne utilizzata da Tito Lucrezio Caro, Publio Ovidio Nasone e Albio Tibullo. Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Titolo di un'opera di Achille Campanile del 1930, passato a proverbio e modo di dire comune.  Cfr. Petrarca: «La vita el fin, e 'l dí loda la sera».  Cfr. Giacomo Leopardi: «Amore, | amor, di nostra vita ultimo inganno, | t'abbandonava».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Giovanni Verga, I Malavoglia.  Slogan pubblicitario degli anni Ottanta.  Cfr. Gesù, Discorso della Montagna: «Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova».  Cfr. Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Citato in Giovanni Battista Rossi, Conferenze popolari per gli uomini nel tempo degli esercizi spirituali, Tappi, Torino, 1896, p. 164.  Citato nel film Riso amaro.  Citato in Dizionario Italiano Olivetti, dizionario-italiano.it.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Libro di Osea: «E poiché hanno seminato vento | raccoglieranno tempesta».  Cfr. attribuite a Papa Bonifacio VIII: «Qui tacet, consentire videtur».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Cristoforo Poggiali, Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del popolo, 1821: «Chi dà a credenza, molte merci spaccia; | Ma un presto fallimento si procaccia».  Cfr. Appio Claudio Cieco, Sententiae: «Quisque faber fortunae suae.»  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  La frase è attribuita (Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine, II, 3; Giovanni Villani, Nuova Cronica, VI, 38) a Mosca dei Lamberti che, nel 1215, a Firenze, convinse così gli Amidei a uccidere Buondelmonte de' Buondelmonti; dal delitto nacquero le fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Citato anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri (Inferno, 28, 106-108): Gridò: "Ricordera' ti anche del Mosca, | che disse, lasso!, 'Capo ha cosa fatta', | che fu mal seme per la gente tosca". È possibile che Mosca dei Lamberti adattò al momento un proverbio già noto ai suoi tempi (Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921); secondo l'Accademia della Crusca (Dizionario della lingua italiana, 1827) corrisponderebbe al latino «Factum infectum fieri nequit».  Cfr. Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Philippe Néricault Destouches, Le Glorieux, atto II, scena V: «La critique est aisée, et l'art est difficile.».  Cfr. «Facta lex inventa fraus.»  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Riferito all'uso di numeri civici di colore nero per le abitazioni e rosso per gli esercizi commerciali.  Cfr. Michail Aleksandrovič Bakunin: «Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l'amore e caldo come l'inferno».  Cfr. Blaise Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Nei dialetti siciliani e nel napoletano l'arancia viene chiamata portogallo.  La spiegazione è in Strafforello, vol. III, p. 329.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Veste da lavoro usata, specialmente in Toscana, da contadini e operai.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Ippocrate: «La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile».  Citato in Dizionario Italiano, dizionario-italiano.it.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  itato in Dizionario Italiano Olivetti.  Cfr. Gesù, Vangelo secondo Luca: «Nessun profeta è ben accetto in patria».  Cfr. Etica della reciprocità.  Cfr. anche Salvator Rosa, iscrizione riportato su un autoritratto: «Aut tace | aut loquere meliora | silentio.».  Questo detto, ripreso dal Libro dell'Esodo («occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido»), è chiamato Legge del taglione.  Il proverbio compare in una novella del Decameron di Giovanni Boccaccio (la quarta della prima giornata). Cfr. Focus storia n. 49, novembre 2010, p. 74.  2 febbraio: in tale giorno la Chiesa cattolica celebra la presentazione al Tempio di Gesù (Luca 2,22-39), popolarmente chiamata festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l'usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Citato in Vocabolario degli accademici della Crusca, vol II, parte 2 , Tipografia Galileiana di M. Cellini e c., Firenze, 1863, p. 726.  Una leggenda simile esiste anche in Giappone: i demoni-volpe (le kitsune) preferirebbero celebrare i loro matrimoni sotto la pioggia mentre splende il sole; il regista Akira Kurosawa ne prese spunto per il primo episodio (Raggi di sole nella pioggia) del film Sogni (1990).  21 marzo, prima della riforma del calendario liturgico del 1969.  Cfr. Proverbio latino medievale: Excusatio non petita, accusatio manifesta.  Citato in Macfarlane, p. 256.  Attribuita a Francesco Domenico Guerrazzi.  Cfr. Libro di Ezechiele: «Ecco, ogni esperto di proverbi dovrà dire questo proverbio a tuo riguardo: Quale la madre, tale la figlia».  Titolo di una commedia di William Shakespeare, scritta fra il 1602 e il 1603.  Cfr. Petronio Arbitro, Satyricon, 45, 4.  Cfr. Iacopo Badoer: «Un bel tacer | mai scritto fu». Fonti  Citato ne Il nuovo Zingarelli.  Citato in Lapucci.  Citato in Carlo Volpini, 516 proverbi sul cavallo, Cisalpino-Goliardica, 1984.  Citato in Donato.  Citato in Max Pfister, Lessico etimologico italiano, vol. 3, Reichert, 1987.  Citato in Schwamenthal, § 14.  Citato in Schwamenthal, § 29.  Citato in Selene.  Citato in Marino Ferrini, I proverbi dei nonni, Il Leccio, 2002³.  Citato in Schwamenthal, § 52.  Citato in Schwamenthal, § 78.  Citato in Schwamenthal, § 85.  Citato in Schwamenthal, § 122.  Citato in Schwamenthal, § 123.  Citato in Schwamenthal, § 131.  Citato in Vocabolario della lingua italiana.  Citato in Schwamenthal, § 170.  Citato in Macfarlane, p. 118.  Citato in Schwamenthal, § 278.  Citato in Schwamenthal, § 235.  Citato in Schwamenthal, § 242.  Citato in Schwamenthal, § 243.  Citato in Schwamenthal, § 255.  Citato in Schwamenthal, § 281.  Citato in Schwamenthal, § 281.  Citato in Schwamenthal, § 288.  Citato in Schwamenthal, § 290.  Citato in Schwamenthal, § 290.  Citato in Castagna 1866, p. 137.  Citato in Schwamenthal, § 317.  Citato in Vezio Melegari, Manuale della barzelletta, Mondadori, Milano, 1976, p. 35.  Citato in Macfarlane, p. 352.  Citato in Francesco Protonotari, Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, volume settimo, Direzione della nuova antologia, Firenze, 1868, p. 454.  Citato in Grisi, p. 34.  Citato in Daniela Schembri Volpe, 101 perché sulla storia di Torino che non puoi non sapere, Newton Compton Editori, 2018, p. 121. ISBN 978-88-227-2521-9  Citato in Pescetti, p. 123.  Citato in Grisi, p. 254.  Citato in Paronuzzi, p. 68.  Citato in Schwamenthal, § 585.  Citato in Giulio Franceschi, Proverbi e modi proverbiali italiani, Hoepli, 1908.  Citato in Macfarlane, p. 83.  Citato in Grisi, p. 24.  Citato in Schwamenthal, § 768.  Citato in Schwamenthal, § 804.  Citato in Schwamenthal, § 805.  Citato in Volpini, p. 137.  Citato in Francesco Picchianti, Proverbi italiani, A. Salani, 1886.  Citato in Schwamenthal, § 848.  Citato in Schwamenthal, § 854.  Citato in Schwamenthal, § 878.  Citato in Schwamenthal, § 886.  Citato in Castagna 1866, p. 172.  Citato in Grisi, p. 113.  Citato in Schwamenthal, § 906.  Citato in Augusto Arthaber, Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali, Hoepli, 1972.  Citato in Macfarlane, p. 276.  Citato in Temistocle Franceschi, Atlante paremiologico italiano, Edizioni dell'Orso, 2000.  Citato in Macfarlane, p. 214.  Citato in Schwamenthal, § 1066.  Citato in Grisi, p. 11.  Citato in Macfarlane, p. 171.  Citato in Amadeus Voldben, Il giardino della saggezza, Amedeo Rotondi, 1967.  Citato in Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini, Dizionario della lingua italiana, 1872, Unione Tipografico-Editrice Torinese, vol. IV, p. 369.  Citato in Macfarlane, p. 281.  Citato in Grisi, p. 106.  Citato in Schwamenthal, § 1324.  Citato in Schwamenthal, § 1365.  Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 583.  Citato in Grisi, p. 247.  Citato in Macfarlane, p. 194.  Citato in Schwamenthal, § 1541.  Citato in Emanuel Strauss, Concise Dictionary of European Proverbs, Routledge, 2013.  Citato in Macfarlane, p. 112.  Citato in Giuseppe Giusti, Dizionario dei proverbi italiani.  Citato in Macfarlane, p. 364.  Citato in Macfarlane, p. 299.  Citato in Macfarlane, p. 122.  Citato in Schwamenthal, § 1742.  Citato in Schwamenthal, § 1744.  Citato in Schwamenthal, § 1753.  Citato in Schwamenthal, § 1754.  Citato in Schwamenthal, § 1762.  Citato in Schwamenthal, § 1788.  Citato in Schwamenthal, § 1796.  Citato in Filippo Moisè, Storia della Toscana dalla fondazione di Firenze fino ai nostri giorni, V. Batelli e compagni, 1848, p. 73  Citato in Schwamenthal, § 1821.  Citato in Macfarlane, p. 476.  Citato in Macfarlane, p. 399.  Citato in Schwamenthal, § 1933.  Citato in Alfani, p. 75.  Citato in Macfarlane, p. 103.  Citato in Schwamenthal, § 1994.  Citato in Schwamenthal, § 2034.  Citato in Schwamenthal, § 2035.  Citato in Schwamenthal, § 2047.  Citato in Castagna 1866, p. 56.  Citato in Schwamenthal, § 2142.  Citato in Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera, Il Grande dizionario dei proverbi italiani, Zanichelli, 2006.  Citato in Schwamenthal, § 2168.  Citato in Grisi, p. 145.  Citato in Schwamenthal, § 2245.  Citato in Schwamenthal, § 2253.  Citato in Valter Boggione, Chi dice donna, UTET, 2005.  Citato in Schwamenthal, § 2357.  Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, VII Grav - Ing, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1972, p. 331.  Citato in Macfarlane, p. 144.  Citato in Grisi, p. 62.  Citato in Donalda Feroldi, Elena Dal Pra, Dizionario analogico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2011. ISBN 9788808090898  Citato in Giuseppe Pittàno, Frase fatta capo ha. Dizionario dei modi di dire, proverbi e locuzioni, Zanichelli, 1992.  Citato in Schwamenthal, § 2610.  Citato in Piero Angela, Ti amerò per sempre: La scienza dell'amore, Mondadori, Milano, 2005, p. 68. ISBN 88-04-51490-6  Citato in Schwamenthal, § 2697.  Citato in Schwamenthal, § 2769.  Citato in Schwamenthal, § 2771.  Citato in Schwamenthal, § 2783.  Citato in Macfarlane, p. 231.  Citato in Macfarlane, p. 89.  Citato in Florio, lettera G.  Citato in Gutta cavat lapidem. Indagini fraseologiche e paremiologiche, a cura di Elena Dal Maso, Carmen Navarro, Universitas Studiorum, 2016, Mantova, p. 427.  Citato in Gustavo Strafforello, La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi, A.F. Negro, 1883, p.279.  Citato in Paronuzzi, p. 72.  Citato in Silvia Merialdo, Genova. Una guida, Odòs Libreria Editrice, Udine, p. 134. ISBN 9788896303559  Citato in Castagna 1869, p. 72.  Citato in Macfarlane, p. 230.  Citato in Castagna 1866, p. 178.  Citato in Schwamenthal, § 666.  Citato in Anna Fata, Lo zen e l'arte di cucinare, Edizioni Il Punto d'Incontro, Vicenza, 2010, p. 178. ISBN 978-88-8093-714-2  Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XII Orad - Pere, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1984, p. 1065.  Citato in Macfarlane, p. 389.  Citato in Dizionario di Italiano, corriere.it, diavolo.  Citato in Paronuzzi, p. 70.  Citato in Roberto Allegri, 1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto, Newton Compton, Roma, 2014, § 100. ISBN 978-88-541-6678-3  Citato in Brigitte Bulard-Cordeau, Il piccolo libro dei gatti, traduzione di Giovanni Zucca, Fabbri Editori, Milano, 2012, p. 40. ISBN 978-88-58-66237-3  Citato in Schwamenthal, § 2784.  Citato in Grisi, p. 11.  Citato in Schwamenthal, § 3037.  Citato in Castagna 1866, p. 151.  Citato in Schwamenthal, § 3266.  Citato in Schwamenthal, § 4058.  Citato in Schwamenthal, § 3274.  Citato in Macfarlane, p. 263.  Citato in Strafforello, vol. III, p. 329.  Citato in Grisi, p. 211.  Citato in Volpini, p. 47.  Citato in Schwamenthal, § 4901.  Citato in Schwamenthal, § 5487.  Citato in Castagna 1869, p. 291.  Citato in Macfarlane, p. 327.  Citato in Schwamenthal, § 211.  Citato in Paola Guazzotti, Maria Federica Oddera, Il grande dizionario dei proverbi italiani, in riga edizioni, Bologna, 2020. ISBN 9788893642057  Citato in Schwamenthal, § 440.  Citato in Paolo De Nardis, L'invidia. Un rompicapo per le scienze sociali, Meltemi Editore, 2000, p. 38. ISBN 8883530527  Citato in Schwamenthal, § 2555.  Citato in Macfarlane, p. 411.  Citato in Schwamenthal, § 2248.  Citato in Schwamenthal, § 2779.  Citato in Schwamenthal, § 2780.  Citato in Grisi, p. 130.  Citato in Luigi Pozzoli, Sul respiro di Dio. Commento alle letture festive. Anno B, Paoline, Milano, 1999, p. 14.  Citato in Schwamenthal, § 3129.  Citato in Grisi, p. 265.  Citato in Grisi, p. 270.  Citato in Macfarlane, p. 412.  Citato in Grisi, p. 303.  Citato in Macfarlane, p. 311.  Citato in Schwamenthal, § 2350.  Citato in Ann H. Swenson, Proverbi e modi proverbiali, Nerbini, 1931.  Citato in Grisi, p. 109.  Citato in Ugo Rossi-Ferrini, Proverbi agricoli, I Fermenti, 1931.  Citato in Grisi, p. 39.  Citato in Schwamenthal, § 3271.  Citato in Castagna 1866, p. 18.  Citato in Carlo Giuseppe Sisti, Agricoltura pratica della Lombardia, Milano, 1828, p. 99.  Citato in Schwamenthal, § 3296.  Citato in Schwamenthal, § 3528.  Citato in Florio, lettera N.  Citato in Schwamenthal, § 3566.  Citato in Schwamenthal, § 3630.  Citato in Castagna 1866, p. 75.  Citato in Paronuzzi, p. 66.  Citato in Schwamenthal, § 3674.  Citato in Pescetti, p. 105. Anche in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza della vita, Parenesi e massime, 29.  Citato in Schwamenthal, § 3691.  Citato in Schwamenthal, § 3723.  Citato in Grisi, p. 191.  Citato in Schwamenthal, § 3761.  Citato in Schwamenthal, § 3770.  Citato in Grisi, p. 270.  Citato in Schwamenthal, § 3952.  Citato in Macfarlane, p. 310.  Citato in Schwamenthal, § 3992.  Citato in Alfani, p. 102.  Citato in Schwamenthal, § 4019.  Citato in Schwamenthal, § 4130.  Citato in La scienza pratica: dizionario di proverbi e sentenze che a utile sociale raccolse il padre Lorenzo da Volturino, Quaracchi: Tipografia del Collegio di S.Bonaventura, Firenze, 1894, p. 457.  Citato in Focus storia n. 49, novembre 2010, p. 74.  Citato in Schwamenthal, § 4306.  Citato in Schwamenthal, § 4352.  Citato in Grisi, p. 197.  Citato in Schwamenthal, § 4498.  Citato in Schwamenthal, § 4499.  Citato in Piero Angela, A cosa serve la politica?, Mondadori, Milano, 2011, p. 145. ISBN 978-88-04-60776-2  Citato in Schwamenthal, § 4568.  Citato in Macfarlane, p. 95.  Citato in Schwamenthal, § 4615.  Citato in Macfarlane, p. 390.  Citato in Grisi, p. 224.  Citato in Schwamenthal, § 4698.  Citato in Schwamenthal, § 4757.  Citato in Macfarlane, p. 255.  Citato in Pescetti, p. 98.  Citato in Schwamenthal, § 4850.  Citato in Augusta Forconi, Le parole del corpo. Modi di dire, frasi proverbiali, proverbi antichi e moderni del corpo umano, SugarCo, 1987.  Citato in Castagna 1866, p. 136.  Citato in Castagna 1866, p. 35.  Citato in Castagna 1866, p. 24.  Citato in Schwamenthal, § 5051.  Citato in Castagna 1866, p. 8.  Citato in Grisi, p. 78.  Citato in Schwamenthal, § 5147.  Citato in Schwamenthal, § 5314.  Citato in Grisi, p. 254.  Citato in Schwamenthal, § 5385.  Citato in Grisi, p. 269.  Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XII Orad - Pere, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1984, p. 1065.  Citato in Schwamenthal, § 5454.  Citato in Schwamenthal, § 5513.  Citato in Castagna 1866, p. 73.  Citato in Gustavo Strafforello, La sapienza del mondo, ovvero, Dizionario universale dei proverbi, Volume III, A. F. Negro, 1883, p. 701.  Citato in Schwamenthal, § 5620.  Citato in Schwamenthal, § 5630.  Citato in Francesco Grisi, Il grande libro dei proverbi. Dall'antica saggezza popolare detti e massime per ogni occasione, Piemme, 1997, p. 12.  (EN) Citato in Jerzy Gluski, Proverbs. Proverbes. Sprichworter. Proverbi. Proverbios. Poslovitsy. A comparative book of English, French, German, Italian, Spanish and Russian proverbs with a Latin appendix, Elsevier Pub. Co., 1971, p. 114.  Citato in Schwamenthal, § 5721.  Citato in Macfarlane, p. 267.  Citato in Novo vocabolario della lingua italiana, vol. I-II, coi tipi di M. Cellini e C., 1870, p. 312.  Citato in Schwamenthal, § 5765.  Citato in Schwamenthal, § 5795.  Citato in Schwamenthal, § 5817.  Citato in Castagna 1866, p. 39.  Citato in Macfarlane, p. 138.  Citato in Schwamenthal, § 5924.  Citato in Schwamenthal, § 5932. Bibliografia Augusto Alfani, Proverbi e modi proverbiali, Tipografia e Libreria Salesiana, Torino, 1882. Niccola Castagna, Proverbi italiani, Antonio Metitiero, Napoli, 1866. Niccola Castagna, Proverbi italiani, pe' tipi del Commend. Gaetano Nobile, Napoli, 1869. Elena Donato, Gianni Palitta, Dizionario dei proverbi, L.I.BER. progetti editoriali, Genova, 1998. John Florio, Giardino di ricreatione, appresso Thomaso Woodcock, Londra, 1591. Francesco Grisi, Il grande libro dei proverbi, Piemme, 1997. ISBN 88-384-2710-0 Carlo Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, Mondadori, 2007. David Macfarlane, The Little Giant Encyclopedia of Proverbs, Sterling, New York, 2001. ISBN 0-08069-7489-3 Alessandro Paronuzzi, José e Renzo Kollmann, Non dire gatto..., Àncora Editrice, Milano, 2004. ISBN 88-514-0219-1 Orlando Pescetti, Proverbi italiani. Raccolti, e ridotti sotto a certi capi, e luoghi comuni per ordine d'alfabeto, Compagnia degli Aspiranti, Verona, 1603. Riccardo Schwamenthal e Michele L. Straniero, Dizionario dei proverbi italiani e dialettali, BUR, 2005. ISBN 978-88-58-65738-6 Annarosa Selene, Dizionario dei proverbi, Pan libri, 2004. ISBN 8872171903 Carlo Volpini, 516 proverbi sul cavallo, Ulrico Hoepli, Milano, 1896. Aa. Vv., Il nuovo Zingarelli, Zanichelli, 1983. Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli Editore, Bologna, 1973. Gustavo Strafforello, La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi di tutti i popoli,, vol. III, Augusto Federico Negro, Torino, stampa 1883. Voci correlate Modi di dire italiani Scioglilingua italiani Categoria: Proverbi dell'Italia. Massimo Baldini. Keywords: linguaggio, Campanellese, lingua utopica, fantaparola – phanta-parabola, il proverbio italiano, amici, implicatura proverbiale, proverbi romani, proverbi italiani, lezioni di filosofia del linguaggio, con D. Antiseri, indice, grice – filosofia analica, parte I: filosofia analitica Austin e Grice, parte II tipi di linguaggio.  baldini — implicatura proverbiale — i amici — das mystisch — filosofia italiana della moda maschile italiana — haircuts — journalese — journal of the Royal Association of Philosophy — lingua utopica — Campanellese — Empedocle filosofo poeta — Lucrezio filosofo poeta — Parmenide filosofo poeta — Eraclito l’oscuro — vallisneri — fantaparola — gargarismo — trabocchetta — rumore — ingorgo — aforismo — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baldini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790817480/in/dateposted-public/

 

Grice e Baldinotti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I like Baldinotti; Speranza thinks he is a Griceian, just to oppose to the Italian received view that he is Lockeian! But I say, he is MORE than either! Baldinotti can quote from  Rousseau, and the French authors that Locke never cared about! And most importantly, he can SIMPLIFY and need not appeal to Anglo-Saxonisms as Locke does (what does it mean that a ‘word’ STANDS for ‘an idea’?” --.” Grice: “In fact, as Speranza showed at Oxford, one can organize a tutorial on the philosophy of language (he won’t though – he hardly organises!)  just using Balidonotti’s rough Latin of first chapter of ‘De vocibus’!”  “All the material I rely on in my Oxford 1948 talk on ‘meaning’ for the Philosophical Society can be found there: ‘vox’ significat affectus animae artificialiter, lachrymal significat affectum animae naturaliter --.” Grice: “Unless she is a crocodile, as Speranza remarks!” --  Tutore di metafisica nel ginnasio di Mantova, pavia, padova. -- Altre opere: “De recta humanae mentis institutione”;  Historiae philosphica prima, et expeditissima adumbratio -- Operationum mentis analysis -- De elementis humanarum cognitionum -- de perceptione et ideas, earumque adnexis -- de idearum affectionibus, et in primis de realitate, abstractione, universalitate earumdem -- de simplicitate, compositione, relatione idearum -- de idearum clartitate, et distinctione, veritate, et perfectione -- DE VOCIBUS -- DE SYNONIMIS, ET INVERSIONIBUS -- DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM, ET IDEARUM IFLUXU -- DE USU, ET ABUSU VERBORUM -- DE VERBORUM INTERPRETATIONE -- DE MULTIPLICITI SCRIBENDI RATIONE. -- De humana cognitione -- Humana cognitionis analysis -- de PROPOSITIONIBUS -- de gradibus humana cognitionis -- De cognitione probabili -- De cognitionum realitate -- De extensione humanarum cognitionum -- De impedimentis humanarum cognitionum -- de humanarum cognitionum instrumentis --  De mentis magnitudine, et perspicacitate augenda -- De analysi, et definitione -- de ratiocinio et demonstratione -- De nonnullis argumentorum generibus -- De inductione et analogia -- De methodo generatim -- De methodo analytica -- De methodo synthetica -- De principiis -- De hypothesibus -- De ratione coniectandi probabilia -- De fontibus humanarum cognitionum -- de conscientia -- de ratione -- De concursu rationis, et revelationis -- De sensibus, deque recto eorum usu -- De cognitionibus, et erroribus sensuum -- De observatione, et experientia -- de auctoritate -- De testibus oculatis, et auritis -- De traditione et monumentis -- De historia -- De librorum authenticitate,sinceritate, suppositione, interpolatione, corruptione, et de interpretationibus -- de arte hermeneutica -- “Tentamen”; “De metaphysca generali liber unicum” De existente et possibili, et deiis, quae qua tenus tale est, ad utrumque pertinent -- De identitate, similitudine, distinctione -- De composito, simplici, uno -- De infinito -- De spatio -- De tempore -- De causa -- De non nullis impropriis causarum generibus -- APPENDIX: De Kantii philosophandi ratione et placitis, ut ad metaphysicam generalem referuntur. S. Gori Savellini, Cesare Baldinotti in "Dizionario Biografico degli Italiani", Istituto dell'Enciclpopedia Italiana, Roma. E. Troilo, Un maestro di Rosmini a Padova, Cesare Baldinotti in: "Memorie e documenti per la storia della Padova", Padova, 1922, v. 1,  427–441.  Cesare Baldinotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. DE VOCIBUS. Voces nostrum studium ,et operam expostulare,fuit iam suo loco (V. Introd.) observatum.Quae cum sint idearum nostrarum signa, horum tradenda prima divisio est', qua in naturalia, et artifi cialia distinguuntur. Signum naturale cum re significata habet nexum ex eius natura derivatum ; artificiale vero ex hominum institutione, et arbitrio aliquam rem significat: lacrymae sunt doloris signum naturale, voces signum idearum artificiale. Non erit porro alienum de naturalibus signis advertere, homines non raro ad errorem trahi, dum ex illisrem significatam inferunt: sunt enim haec signa, vel effectus, qui caussas, vel caussae quae effectus indicant,ut in signis rerum futurarum. Iidem autem effectus nunc ab una,nunc ab alia caussa oriun tur;neceadem caussa eosdem semper effectusgignit; sed multa sunt, quae causarum actionem determinant, suspendunt, et etiam omnino mutant. Non igitur necessario, et semper SIGNUM NATURALE rem certam innuit; sed a multi spendet, quod eo una potius,quam alia ostendatur. SIGNA AFFECTUUM ANIMI SUNT NATURALIA. Eos tamen non semper denotant,et ille in perpetuo errore versaretur, qui de affectibus ex eorum signis statueret. Sed ad voces revertamur, quarum origo, indoles, vis, in ideas et mentis operationes, influxus, usus, abusus, interpretatio leviter attingenda. Quin imo Reid Rech. sur. l'Entend. tom. I. p.147. arbitratur, eas, quas dicimus causas, esse tantum RERUM SIGNA.Videmus dumtaxat, quae dam hunc inter se nexum habere, ut si unum praecedat, aliud illico subsequatur. Id tantum statuere possumus; non vero in eo, quod prae cedit respectu illius, quod subsequitur, causalitatem, ut aiunt, inesse, cum haec nullaratione ostendatur. Inter eas quae non prorsus inutiliter attinguntur, commemorari possunt potissimum nominum divisiones, ad quarum normam nomen in enunciatione, vel est subiectum de quo aliquid effertur, vel est praedicatum quod effertur, vel est concretum , remque significat cum sua forma, vel est ab. Voces INSTITUTIONIS esse signa nempe ARTIFICIALIA, nec necessarium habere NEXUM CUM REBUS, ad evidentiam probantmuti, et linguarum varietas. Nam si haberent, organo tantum vocis impedito, sermonis nullus esset usus, et quae apud omnes eadem sunt, iis demetiam nominibus appellarentum. Mira autem est non rerum, sed verborum diversitas; et muti sunt ii, qui surditat elaborant. Nunc vero videamus, an facultates humanae vocibus AD RES SIGNIFICANDAS INSTITUENDIS sint pares. An videlicet possint homines linguam aliquam condere. Animi affectus, sensusque vividi doloris et voluptatis naturalibus quibusdam signis coniunguntur, iisdemque manifestantur: homines haec facile possunt artificialia reddere, sinempe observent affectus, quos indicant, nec ea tantum edant impellente natura, sed consulto, ut quae experiuntur, ceteris manifestent. Quae signa clamoribus non articulatis, habitu vultus, et gestibus continentur, atque actionis, quam vocant, linguam conficiunt. Usu autem constat facilem, expeditam secretam idearum COMMUNICATIONEM hac lingua non obtineri, distantia, et interposito corpore impediri. Sensim igitur ab ea recedere coguntur homines, ad eamque feruntur, quae vocis distinctionibus pititur. Hanc ut instituant clamores naturales in primis pro stractum solamque formam exprimit, vel est categorematicum quod solum et per se aliquid notat, vel est syncatagorematicum quod ab alio avulsum nihil certi repraesentat, vel categoricum quod rem categoria comprehensam obiicit. Sed de his satis, sapiens est non qui multa, sed qui utilia novit. Negat P. Lamy in Trat. de Ar. log.; et Rousseau disc. sur. l’ineg. parmi les Hom. parum abesse censet, quin demonstratum sit, fieri numquam posse, ut lingua ulla suam ab hominibus originem habeat. Ita etiam A. Encycl. A. lang. His e diametro se se oppouunt Epicurei, quorum hac super re doctrinam Lucretius l.5. de Nat. rerum exposuit. Diodorus Siculus lib. I. Bibl. quod nobis possibile, et hypotheticum est, factum habet, omnesque linguas humanum fuisse inventum putat. Nuperrime in Diss. de ling. orig. ab A. Berol. an. praemio donata Herder contendit linguas in universum non divinae, sed humanae prorsus esse institutionis. De hac lingua V. Condil. Gram. part. 1. lib. 1. Sinensium lingua hanc videtur originem habuisse, ea constat ex monosyllabis 328., quae pronunciationo variata otficiunt SIGNA, (V. Condil.    100 -- trahunt, et simul iungunt, rerum etiam externarum sonos referunt, et imitantur (1), unde voces oriuntur, quae elevatione et depressione multum distantes aliquo modo gestuum et clamorum vim exprimunt (2). Atque ita verborum dstinctioni consultum, quantum patitur vocis et auditus organum rude adhuc et inexercitatum. Subtilius, qui haec disputant, quorum etiam aures delicatiores, similitudinem quamdam inveniunt inter impressionem a rebus, et a verbis excitatam. Eamque prolatis ex. gr. vocibus "crux", "mel",  "vepres", "furens", "turbidus", "languidus" distincte sentiunt. Hinc multae voces (3). Multae etiam facultate, qua pollemus, per metaphoras sive transferentiam omnia explicandi, et associandi insensibiles ideas sensibilibus. Revera verba, quae res insensibiles referunt, metaphorica sive transrelata omnino sunt. Perpetuo autem usu nomina propria evasere, et vetustate multorum etymologia sensibilis ita evanuit, ut res pror sus in sua SPIRITUALITATE relinquant (4). Quin immo eadem verba solum confugiendo ad metaphoras sive transferentiam poterant fabricari. Externa namque forma carent, etsono res insensibiles, unde earum no mina desumantur. Ac certe per imagines solum et similitudines id, quod experimur, aliis, qui illud ipsum non experiuntur, possumus explicare. Traité des connois. hum. t. II.) Alii monosyllaba Sinensium numerant 330. Freret sur la lang, des Chin. 214., et signa inde componunt 54509. et 80000. Haec loquendi ratio supponit iudicium aurium subtilissimum .V. Soave Compendio di Lock. l. III. Ap. al c.I. Hoc facile sibi suadeat quisquis rerum , quae sonorae sunt, nomina advertat ex gr. "ululare", "hinnire", "sibilus", "tonitrus", "stridor", "murmur". Observat Warburthon Ess. sus les Hierogl. actionis lingua, inventis iam vocibus, homines usos fuisse, Orientales praesertim, quorum alacritas, et imaginatio vehemens hunc exitum etiam requirit. Atque exempla permulta ex historia tum sacra, tum profana hanc in rem profert. Ut recte nomina rebus IMPOSITA sint, quamdam esse debere rerum, et nominum convenientiam ex ipsa earumdem rerum natura ortam in Cratylo contendit Plato. Sunt enim, ait ipse, nomina IMITAMENTUM, quemadmodum etiam pictura, et qui rei speciem in litieras, ac syllabas referre nonnovit, is ineptus nominum opifexest. Erecentioribus Ioannes Baptista Vico, principii d'una scienza ec., de similitudine verborum cum forma rerum multis disseruit. Horum nominum exempla sint cogitatio, voluntas, desiderium, aliaque huiusmodi. V. Traité de la Formation mechan. etc. Ch.XII.  Quod vero homines, ut boc aliisque modis ad sermonem formandum aptisutantur, fortius incitat, indigentia est, maxima rerum omnium magistra. Sermonis etiam utilitas, atque necessitas vix paucis inventis vocibus sub oculos posita. Hinc multi conatus, ut verborum numerus augeatur, quos felices reddit cognitionum, et idearum COMMERCIUM homines inter initum. Haec enim se mutuo fovent, et,ut verba commercium illud amplificant, ita ex commercio novae vires additae, et nova suppeditata istrumenta, quibus ars faciendorum et deligendorum verborum perficiatur. Nec vero sunt verba hominum opus , in quo ipsi nihil aliud, quam arbitrium recte sequantur. Est enim illa analogia im pressionis, et soni imitatio, quam pulcherrime in fingendis vocibus sequimur. Est forma, et affectio orgaai vo eis, a qua earumdem elementa, literae praesertim vocales determinantnr. Sunt denique derivata, et voces artium, et technicae in hominum libertate haud repositae, cum illae derivationis naturam imitentur. Hac vero vim, et EFFECTUS RERUM SIGNIFICENT significent. Duo sunt, quae videntur iam asserta impugnare. Primum scilicet sermonis institutionem requirere, ut de significatu verborum conveniatur. Conveniri autem inter eos non posse, qui omni sermone destituti sunt. Quasi vero nulla alia praeter voces ratio suppetat. Qua explicetur quid ipsae SIGNIFICENT Percipi enim id. Modum transferendi verba necessitas genuit inopia coactaet augustiis, post autem delectatio iucunditasque celebravit. Cic. de Orat. III. 38. Notat et illuminat marime orationem tamquem stellis qui. busdam verbum translatum Idem ib. 48. Huc faciunt quae de linguarum analogia subtiliter disserunt Valcke naerius in observatt. academicis, Lennep inpraelett. academicis et Scheidius in orat. de linguarum analogia ex analogicis mentis actionibus probata. Sed est etiam unde moveantur homines ad res alias per multas metaphorice appellandas, eas scilicet quas primum obscure, et confuse percipiunt. Et enim has meditando earum quamdam similitudinem cum aliis distincte perceptis intelligunt, quorum proinde nomina ad illa transferunt. Atque in hoc mirifice dele ctantur luce, quae ex rebus claris, et distinctis in alias obscuras, et confusas diffunditur. potest ex circumstantiis, in quibus adhibentur, et ex gestibus, qui pronunciatis nominibus res indicarent. In eamdem etiam rem conferet illa imitatio, atque similitudo. Aliud vero erat huiusmodi. Summis viris difficultas maxima se semper obiecit in linguis ornandis, et perficiendis. Qui ergo fieri potuit, ut homines plane rudes, atque ferini, communione scilicet cum aliis non exculti ex integro sermonem con dant? Fieri istud quidem non posset, si de perfecto sermone contenderetur, in quo non tantum apte expressa, quae ad necessitatem pertinent, sed etiam, quae ad cultum vitae, et oblectationem. In quo multae orationis partes, multae leges syntaxis, et inflexionum, multa denique, ut numerus , et varietas obtineatur. Haec sermoni non absolute necessaria sunt, et vix nomina, utaiunt, substantiva, et signum aliquod numquam variatum ad verbum auxiliare sum exprimendum. Quae quidem hominis licet sylvestris facultates non superant. DE SYNONIMIS, ET INVERSIONIBUS. Multa in qualibet lingua videntur esse synonima, voces scilicet, quae unam , eamdemque ideam referunt. Dubitari autem iure potest, an revera sint. Quin potius statuerem ea, quae di cuntur synonima, eamdem ideam principalem reddere, accessoria vero differre plerumque. Atque hoc modo inter se differunt "amo", et "diligo"; "peto", et "postulo", "timeo", et "vereor" V. Condill. Gram. P. I. Ch. XIV. V. Traité de la form. mechan. du langage V. II. Ch. IX. et suiv. Condillac Traité des connois. hum. T. II. Grammaire P. I. Ch. I. II., Maupertuis Diss.sur les moyens etc. pour exprimer leurs idées; Sulzer de l'influence recipr. de la raison, etc. extat in Ac. Ber. et Vol. IV. opusc. Select. Mediol. Soave Comp. etc. L. III. Ap. al C.I. Receptum apud logicos novimus, ut nomina tribuant in synonima, quae secundum unam eamdem que rationem de pluribus usurpantur, et in homonyma quae rationem naturamque diversam in iis SIGNIFICANT, de quibus adhibentur, Iam vero homonyma alia dicuntur casu et citra rationem ac temere im. Synonima stricto sensu accepta, quae nulla idea accessoria differrent, linguae vitium indicarent. D'Alemb. Elem. de Phil. XIII. Hac de re notandum est, vocibus duplicem illam ideam  subesse. Et, ut praeteream exempla, quis est, qui non noverit, vocabula quaeque loco, et tempori, et generi s u scepto orationis non convenire? Quod profecto maxime oritur ex idea accessoria , quae non solum verba eamdem principalem exprimentia distinguit, sed eorum etiam opportunitatem deter minat. Quae ergo synonima habentur, ea profecto non iure; namque discrepant accessoriis illis ideis, quae rerum diversos aspectus, gradus, et relationes, et adiuncta exprimunt. Imperiti haec apprime synonima reputant, quorum levia discrimina lin guarum cultores notant. In eo frequenter peccant ex lexicis pene omnia , quae adolescentes, misere decipiunt. Duplex distinguitur ordo verborum, et conformatio, naturalis, et artificialis; seu inversa. Porro quem ordinem habent ideae, idem etiam verborum est: ordo autem idearum , fertur ad modum, quo in mente sibi succedunt, vel ad earum dependentiam mutuam ,ex qua fit, utaliaealias regant, et explicent, aliae explicentur, atque regantur. Si primum, ordo, quo exprimuntur ideae, naturalis erit, quando idem, ac ille, qui in earum successione servatur. Qui quidem in singulis diversus est. Si secundum, ut ordo sit naturalis , quae alias regunt, vel ab aliis explicantur praemittendae sunt. Quae reguntur, et alias explicant postponendae. Secus erit artificialis, seu inversus. Sed unde oritur, quod ordo inversus orationi vim addat,et siteius quasi lumen quoddam nosque voluptate perfundat? Scilicet posita , et alia dicuntur ratione , quod rebus tribuantur aliqua inter se similitudine cohaerentibus. Posteriora haec aptius vocantur analoga , sive attributionis, quum uni quidem rei primario conveniunt, reliquis secun dario,sive proportionis,quae pluribus rebus propter proportionem aliquam accommodantur. Ex  hoc fonte methaphorae pleraeque omnesdimanant. Nonnullarum rerum, atque actionum voces quaedam ex ideis hisce accessoriis inhonestae, et turpes evadunt; quae ideae si in aliis vocibus omittantur, vel mutentur,nulla amplius est turpitudo. Unde fit, quod eae. dem res, etverecunde, etobscoene dicifpossint,etquod ea,quae turpia re non sunt, nominibus, ac verbis flagitiosa ducamus. vel re. D'Alembert loc. cit. Traité de la form. mech. du lang. ch. IX n.161.  quia eum, quem Rethores MODUM appellant, et numerum parit; quia imaginationem exercet;quia ideas nimis disiunctas coniungit. Revera voces ordine inverso positas ad se mutuo referi m u s , ut postulat idearum ratio. Atque si in periodo multae sint ideae, quae a quadam principalipendeant, et exiis aliquaehuic praeponantur, postponantur vero aliae, arctius omnes cum ea coniunguntur. In quo nexu illud praesertim admirabile,quod uno verbo ad integram sententiam animus revocetur. ET IDEARUM INFLUXU. Varietatem linguarum,et nos ad confusionem Babylonicam referimus: simul autem liceat statuere,ex diverso hominum ingenio, et indole,eorumque externis circumstantiis oriri potuisse, et magna ex parte ortum esse,ut singulae suum -co lorem habeant. Ac ex confusione illa vocum origines potius , quam ipsaelinguae;quae perfici sensim debuerunt,etaugeri verborum copia, atque syntaxi, et inflexionibus moderari. Non una autem in hoc fuit omnium gentium ratio, quod multis causis tum physicis, cum moralibus tribuendum est. Atque inter eas recenserem caeli temperiem, non eamdem ubique faciem naturae, rerum aspectus multiplices, diversas opiniones sive ad civitatem sive ad religionem pertinentes , regiminis formam, educationem, mores denique et studia. Revera sermonis vis, copia,et harmonia , et inflexio nationum exprimit characterem ,ingenium,atque culturam ;ac eadem linguarum , et gentium fuere semper fata, et vicissitu dines. QUOD IN ROMANI IMPERII, ET LINGUAE LATINAE ORTU, progressu, et occasu velut sub oculos positum est. Iunctam, cohaerentem, levem, et aequabiliter fluentem orationem facit verborum collocatio. de Orat. II. 43. V. D'Alembert Eclair cis. S. X. Condill. Gram. P. II. ch. XXIV. Art.d'Ecrire L. I. Ch. I. II. V. Traité de la form. mechan. etc. Ch. IX.  INSTITUTIONE DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM. Sed ex iisdem quoque caussis fit, ut nationes singulae suas habeant idearum compositiones, et vocibus, quibus aliae carent, utantur. Inde in interpretando necessitas verborum circuitum saepius adhibendi, cum non semper verbum e verbo exprimi possit. Indeadeo difficile, libros ex una in aliam linguam convertere. Atque in hoc lice tomnis cura, et studium ponatur, adeo singulis linguis suum quoddam inest ingenium, ut nullae fere sint interpretationes, quae authographi vim, et elegantiam, et nativum splendorem nequaquam desiderent. Quae quidem eo nos adducunt, ut intelligamus, quem dam esse posse sermonem , edisci, et percipi omnino facilem. Quem si universalem veluti linguam cunctae gentes amplecterentur, eo possent mutuum idearum, et cognitionum commercium inire. Ac difficultas, qua ab hoc impediuntur, ex lin guarum varietate, et multitudine orta, alia etiam ratione vinci posset, characteristicam nempe aliquam linguam adhibendo, quae res ipsas, non rerum voces exprimeret. De bac sermo erit inferius. Interim cum nullus ex hisce modis adhuc suppetat. Nec ulla spes sit, ut in unum, V. Clericum Art. Crit. tom. I. part. II. cap. II JII.IV.  Linguarum varietas non leve incommodum affert societati, et progressui scientiarum. Nec enim consultum, ut facile edisci possent, sed casu magna ex parte conditae, et procurata copia, et ornatus. Sublatis declinationibus, coniugationibus, et generibus, si substantiva unam immutabilem terminationem haberent, suam adiectiva, et verba pariter, quae adverbiorum ope temporibus, et modis distinguerentur. Pullae superessent regulae grammaticorum, et solius lexici auxilio linguam quam libet perciperemus. Cumque insuper esset prima illa lingua absurda, et egestate, atque uniformitatis squalore sordesceret. Maxime erit optandum, ut LATINI SERMONIS USU conservetur. Locupletissimus namque est hic sermo, electissimis, et praeclaris verbis abundat, communis hactenus fere fuit omnium eruditorum ; qui eo abiecto, si suam singuli linguam in scribendo usurparent, iam, vel aliena omnia nescirent, vel in omnium gentium, quae doctrinae laude vel alium conveniant omnes. Splendescunt, perdiscendis linguis curam, et operam compellerentur insumere, quam ad rerum cognitionem adipiscendam con tulissent. Quae hactenus de vocibus dicta sunt, satis ostendunt , easabideis, et cogitandi modo non parum pendere. Sed magnus etiam est verborum in ideas, et mentis operationes influxus. Atque in psychologia, si fortasse ad veritatem plane non sua detur, nullas fere absque verborum usu nos exequi posse. Illud profecto demonstratur, eo foveri multum, et perfici. Quod probari nunc potest exemplo mutorum. Earum etiam gentium, quibus signa numerica pro maioribus quantitatibus deficiant, cetera sint nimis composita. Illi quidem multis omnino ideis destituuntur, mentisque facultates obtusas habent, nec ad operandum faciles et expeditas. Hae vero gentes in rebus ARITHMETICIS ne vix quidem progressae sunt. Tantum signa valent ad humanas cognitiones promovendas vel impediendas. Equidem arbitror, a veritate abesse longius , qui crederet verba communicationi cum aliis tantum inservire. Ea menti sistunt obiecta. Nimis composita dividunt. Si magnifica sint et nobilia, res amplificant, et extollunt. Si humilia , imminuunt , et deprimunt. V. Laur. Mosheim DISSERT. DE LINGUAE LATINAE CULTURA ET NECESSITATE V. etiam quae nuperrime Ferrius, et Tiraboschius, Alexander Gorius, et Clementinus Vannetti in eam habent Alamberti sententiam (Melang. tom. V.) statuentem bene LATINE scribi non posse, et LATINITATE abiecta studium omne ad patriam linguam transferentem. Refert Condaminius, quosdam Americae populos, cum ocesnume rorum supra ternarium non habeant, in hoc arithmeticam eorum consistere: certevix paucis huiusmodi signis utuntur, iisque ad modum compositis, ex quofit, ut maiores numeros mente haud comprehendant, et quem libet ultra vicesimu in indefinite concipiant, atque capillorum numero comparent.V. De la Condamine Voy. Paw Rech. sur les Americ. tom. II. ch. 27. Cogitatio, ait Plato in Theaeteto, est sermo,quem mens apud se volvit circa illa, quae considerat. Cum enim cogitat, secum ipsa disserit adeo, ut cogitatio sit sine strepitu vocis oratio, aut interior collocutio. Verba sunt veluti signa algebrica idearum. Brevitati proinde consulunt, multarum idearum comparationem faciliorem reddunt, mentenique sublevant in consideratione multarum rerum , atque compositarum : quae verborum utilitates maxime elucentin modorum mixtorum ideis, quas in nullo exemplari iunctas videmus, sed verbis exhibentur et comprehenduntur. Verba denique nexus inter ideas augent, eas facilius, et promptius exsuscitant, distinguunt, quae vix confuse percipe rentur. Sic technicae in arte pingendi voces omnia alicuius tabulae vitia, omnemque praestantiam indicant. Quae eos prorsus fugerent, qui illas voces nequaquam callerent. Quare scientiae, omnesque artes multum debent verborum inventoribus, ut Linnaeo Botanica; et Ontologia, licet nomenclatione tantum contineretur, non esset penitus contemnenda. DE USU, ET ABUSU VERBORUM. De verborum usu , et abusu haec fere a Lokio, aliisque melioris notae Logicis accepimus. In primis duplicem esse usum verborum. Vel enim eo cogitationes nobiscum cooferimus, vel aliis exprimimus. Illum jam attigimus capite superiore, in quo osten debam, maximas utilitates ex hoc interno sermone profluere. Cum aliis autem utimur verbis,aut in vitae civilis consuetudine,vel in studio Scientiarum. Inquo praesertim distinctioni, et perspicuitati. Ideae in primis connexae inter se sunt ex analogia rerum , et ex circumstantiis, in quibus acquiruntur. Sed insuper verbis etiam unae cum aliis colligantur. Quot ideas unum verbum saepius excitat? Atque ex verbis haec alia utilitas provenit, ut in ideiş revocandis, et disponendis ordini, quo a nobis comparatae fuere,non adstringamur, sed illum qui magis placeat, magisque conveniat iisdem tribuimus. V. Bonnet Ess. Analyt. ch. XV. V. Sulzer loc. iam citato, Micheaelis de l'influ. des opin. sur le lang. etc. Condil. Art. de penser. part. 1. ch. II. STELLINI OSSERVAZIONE SULLE LINGUE tom.V. Soave Comp. di Locke I. III. ap. al cap. XI.  Scilicet, si circa ideas maxime compositas,  sertim versemus, iisdem nomina, quibus appellantur, substituimus. Nimis enimesset operosum, eetiam impossibile, omnes ideas simplices illas componentes mente revolvere. Quod etiam confusionem afferret, et, ne idearum relationes viderentur, obstaret. Haec habitualis, non actualis distincta perceptio est idea coeca, et symbolica Leibnitii. circa notiones prae 1 litandum est, ne per se difficilia reddantur difficiliora. Et ne rerum INVESTIGATIONES in aeternas quaestiones de nomine abeant. Locutionis perspicuitas, atque distinctio maxime optanda idearum claritatem , et distinctionem desiderat: quomodo enim , quae confuse percipimus, aliis distincte explicarentur? ad eam confert brevitas, in qua tamen habendus modus ;nam ut nimia verborum copia res obruit, ita eorum egestas tenebras rebus offundit. Denique cum iis, qui loquuntur confuse, vitanda fa miliaritas est,qua nihil fortius ad idem vitium contrahendum. Ita autem verbis utamur,ut unicuique idea determinata re spondeat;dequo,sinobiscum tantum colloquimur, nos ipsos debemus interrogare; si vero cum aliis,et dubium sit, an verba ideas claras,etdistinctas in aliorum mentem immittant, tunc ea dilucide explicanda sunt. Id quidem de nominibus idea rum simplicium praestari potest (vix autem erit necesse), si observanda proponantur obiecta,quae significant,etmodus,et circumstantiae indicentur, in quibus eorum ideae acquiruntur. Nomina vero idearum , quae sint compositae, decla rantur earum obiectis exhibitis, et addita ipsorum definitione; nec enim omnia attributa patent sensibus , et multa indolem potentiae habent. Quod si haec obiecta non existant.Verborum universalium magnus est usus , et maxima utilitas; innumera enim individua una tantum voce comprehendi mus , quae esset impossibile omnia suis nominibus distinguere. Esset etiam inutile, quia necii , quibus cum loquimur , multoque minus illi, quibus aliquid scriptum relinquimus, eadem indivi dua agnoscunt.  ergo. Sed quae circa rectum verborum usum ,et eorum inter pretationem , de qua inferius, praecipienda sunt , separari vix possunt ab idearum doctrina iam tradita; utrisque enim idem finis, avocationempe ab erroribus. Inter eaetiam intimus nexus, quantus inter voces , et ideas. Nunc lum , quae propius ad verba pertinent, quaeque eo loci explicata non sunt. ne actum agam , so meratio idearum , quas simul reflexione, aut pro arbitrio con iunximus . fiat enu Vocibus demum abutimur, si quae incertam significa tionem habent , non definiantur ; si definitus sensus mutetur. Si in rebus scientiarum artes consectemur oratorias. Namque delectant, et movent , mentemque avertunt a philosophico rerum examine,quas non accurate,sed ad similitudinem exprimunt. In verborum sensu commutando peccarunt vehementer scholastici. V. Gassendum in Exerc. Arist. Exerc. I. Y2. Hic cum Logicis fere omnibus non praecipio, abstinendum esse a tropis atque figuris:rebus enim permultis vocabula metaphorica necessario imposita sunt, aliis utiliter, cum ex iis orationi splen dor accedere videatur.V. Condil. Art. d' écrire lib. II. ch.VI.VIII. Translationes propter similitudinem transferunt animos,etre. Neque vero minor utilitas ex verbis notionum ;.harum nullum archetypum extra nos invenitur iunctas exhibens ideas, ex quibus componuntur. Id vero praestant nomina , quae illas comprehendunt. Sunt denique voces , quas particulas appellant Grammatici ; his utimur , ut ideas , et periodi membra , et periodos ipsas interse coniungamus. Quisaneusus mirificus est, et ex eo maxime vis tota orationis derivat. Rectus erit,si m u tuam rerumdependentiam , et relationes diligenter consideremus.  Haecdeusu. Nunc de abusu,quirestat,dicendumest. Iam vero abutimur verbis, si iis, nullam ideam , aut obscuram associemus, adeo ut inania sint, et ambigua : in quo non rarum estlabi;etmaxime verba notionum virtutis,honoris,et simi lium multo pluribus sunt meri soni; obiectum namque non referunt, quod sensus moveat, nec illud quod referunt in in fantia, percipimus. Hinc ea absque ulla significatione usurpandi longam consuetudinem iam contraximus, a qua ut recedamus, reflexione vehementer nitendum est. Sed abusus verborum etiam ex ignorantia, et malitia. Scilicet, qui partium studio, vel anticipata opinione moventur. Qui vulgo avent imponere. Qui difficultatum pondere haerent et idearum defectu impediuntur. Tunc enim vero ii obscuritatem affectant, verbis inanibus se se involvunt, nova etiam fundunt, atque sesquipedalia. Optimum ergo erit, mentem parumper a verbis abstrabere, eamque in ideas intendere, ne verborum so nitu hallucinemur. DE VERBORUM INTERPRETATIONE. Ut verba recte interpretemur, advertendum in primis , notiones eius, a quo adhibentur,'significare. Non igitur suppo natur, omnes iisdem verbis adnectere easdem ideas, et ipsis rerum realitatem apprime respondere. Quae qui supponunt, de rebus perperam ex verbis iudicant, et ex propriis aliorum ideas non bene copiiciunt. Hisce per summa capita indicatis, advertam in primis , duplicem distingui sensum verborum ,proprium scilicet,et tran slatum ;namque verba,aut illam rem exprimunt,cui primum fuere assignata. Vel ex quadam similitudine cum re ipsis propria eadem verba ad aliam significandam transferimus. Quod si fiat, sensum habent translatum, secus autem proprium. Nisi quis sensum proprium alicuius vocabuli accurate perceperit, numquam fieri poterit, ut translatum assequatur ; hic siquidem ad illum refertur. Rerum praeterea conditionem inspiciet,ex qua oritur, ut quaedam voces potius, quam aliae, ad res sensu translato exprimendas , electae fuerint. Inde clarius is sensus patebit ferunt, ac movent huc , et illuc, qui motus cogitationis celeriter agi tatus per se ipse delectat. de Orat.III.39. Translatio est, cum verbum in quamdam rem transfertur ex alia; quod propter similitudinem recte videturposse transferri. Cic. ad Heren. IV. 34. V. D’Alembert Eclaircis., sur les Elém. de phil.S.IX.  Quam vero quisque vocibus notionem subiicit, arguere tuto possumus, si multa nobis nota sint , eaque invicem conferamus ; loquentis scilicet ingenium ,et characterem ; affectus, oris habitum; linguae, quautitur, vim, etindolem; rem,quam tractat; circumstantias, in quibus versatur ; opiniones , religionem , quam sequitur;demum popularium eiusmores, ritus, consuetudines. Haac enim omnia efficiunt, ut licet verba sint eadem , non tamen eumdem significatum , eamdemque vim habeant. Nunc vero singula verborum genera persequar, deque  Difficilius assequimur sensum verborum , quae notionibus respondent; siquidem praeter caussas nominibus rerum existentium communes, peculiares etiam concurrunt, ex quibus efficitur, ut singuli fere has ideas diverso modo componant. Nec eadem semper significatio est vocibus orationis par ticulas exprimentibus; loquentium igitur, vel scribentium affe ctus, et praecipue contextus consulatur,cum ex iis sit dedu cenda. De nominibus relativis, quid advertendum in praesen tiarum,ut recte explicentur? Porro id muneris iam explevi dum agebam de eiusdem generis ideis. Quid de nominibus uni versalibus,quod paritereoloci, traditum non sit? Illud subiungam,voces particulares,aliquis,quidem etc. obscuras esse et indeterminatas , nec denotare , quae , et quanta subiecta sint; universales vero aliquando particulariter esse sumendas , aliquando non omnia individua generum,sed individuorum omnia  siores esse , iisnonnulla admoneam ,ad quae semper in eorum interpretatione spectemus. Qualitatum sensibilium nomina, colorum nempe, saporum, aliarumque huiuscemodi, sensationum etiam doloris, et voluptatis, non ita accipienda sunt, quasi explicent id, quod est in rebus extranos positis. Nostras affectiones, sensationesque upice indicant, nec vero vim ,et quantitatem earumdem. Hanc experimur, non autem accurate possumus efferre. Fit autem sae pius,ut in singulis maior,vel minor multiplici gradu sit. Dubitari quidem potest,quin ipsae sensationes apud aliquos prorsus differant, licet omnes iisdem verbis utantur. Omnes arborum folia viridia appellant; sed adhuc videndum, utrum haec vox eamdem omnibus ideam excitet. Quam dubitationem ingerit di versa corporis temperies, et habitus, nec eadem omnino fabrica sensuum;unde certo oritur,affectiones easdem aliquibus inten aliis languidiores. Nomina idearum compositarum non idem apud omnes. Maxime si veteres cum recentioribus confe rantur.Ne eas igitur ex nostris notionibus interpretemur,sed ex illis quae ampliores fortasse, vel angustiores. Nominibus substantiarum easdem qualitates non omnes complectimur. Nulli essentiam primariam ,a qua eae nascuntur,et quam nemo novit.   genera significare. Quae quidem ex circumstantiis, linguarum indole , ingenio , loquendi consuetudine patent dilucide. His fere,quae adhuc de vocibus disserebam,continentur potiora,ex quibus Grammatica philosophica conficitur: linguarum singulae suam habent, eaque particularis Grammatica dicitur. Est vero etiam Grammatica universalis,quae principia constituit omnibus linguis communia.Notandum superest,syntaxim totam legibus concordantiae, et regiminis moderari. Illae principio identitatis, hae principio diversitatis innituntur. DE MULTIPLICI SCRIBENDI RATIONE. Verborum disputatio manca videretur, si de scribendi rationibus haudquaquam dissererem . Non igitur una fuit haec ratio apud omnes,nec omnibus temporibus;tamen in eo con veniebant, quod signis non ore,sed manu expressis,quae mente revolvimus , manifestarent. Ac , quae fuere adhibitae , pictura , symbolis allegoricis , denique signis arbitrariis continentur. Pictura , aut unam figuram , aut plures exhibet , signa arbitraria , aut ideas,aut syllabas,aut litteras verborum significant. Scripturae, licet ab ea, qua nunc omnes fere gentes utuntur, longe dissimilis,specimen aliquod hominibus innotuit per imagines, quae sui res exhibent, et quas conamur exprimere gestibus, et clamoribus, ut iis longinqua designemus. Ad has imagines adumbrandas urgebat necessitas communicandi cum absentibus, et praesentibus explicandi id, quod verbis efferri non poterat. Inde scripturae origo potius, quam ex cura committendi nostras cognitiones posteritati. Ac homines ex rerumimaginibusidconsiliicepisse,ut illas ad suos cogitationes enuntiandas delinearent, omnium pene De usu, abusu, interpretatione verborum videantur Locke Ess, etc. lib.III. Leibnitz Nouv.Ess,etc. lib.III. Ioannes Clericus art.crit. tom.I. pari.II. V., silubet, Du Marsais princip. de gram. Condillac gram. D'Alembert Elem .de Phil. XIII. et Eclaircis. sur les Elem. etc. S.X.  Hinc sensim crescere CONVENTIONIS SIGNA, etomniatan. dem huiusmodi evadere. Quae sola notiones reflexione perceptas possunt exprimere;quae ob multos rerum aspectus sunt neces saria. Namque notiones illae nullam imaginem praeseferunt, nec ulla imago diversas relationes comprehendit, sub quibus res, ut lubet, consideramus. Signa autem, quae ex CONVENTIONES sunt, optime quidem ab eo constituta fuissent, qui singula singulis ideis simplicibus destinasset, suaideis universalibus, aliademum determinationibus individua constituentibus. Enim vero simul iungendo, et apte componendo haec signa, res omnes possent distincte explicari. Hoc scribendi modo philosophus tantum uti potest, nempe ille solus, qui probe noverit, quaenam ideae simplices illas substantiarum , et notionum componant. Quique etiam adeo individua observaverit, ut ea possit plane describere. Illum Si  V. Paw Recher. sur les Americ. tom. I. part.V. sect.I. Quemadmodum artis typographicae occasio fuit ars caelatoria et sculptoria, ita occasio scripturae non inepte ex pictura derivatur. Praesertim quum non aliter pictura sit obiectorum in oculos incurrentium scriptura, quam scriptură sit obiectorum quae aures feriunt pictura. Videsis Augustum Heumannum in conspectu reipublicae literariae cap. III. Signa huiusmodi spectant ad linguae universalis institutionem. Alia ratio, qua ad eamdem possumus pervenire, indicata, vix est N. LXXII., LXXXII. V. Soave Comp. di Locke lib. III. cap. XI. append. II., qui etiam celebriores scriptores recenset, a quibus ea institutio suscepta fuit. V. Leibnitii historiam , et commend . characteristicae linguae univers. V. Traité de la Form.etc. ch. XII. XIII. Mémoires de l'Acad.de Berl., ibi Thiebault videtur succensere Michaelis, et non ita difficilem , nec vero inutilem, et multo minus perniciosam , quemadmodum ille, censet linguae universalis institutionem, quae primo illo modo conti. neretur. Sepositis iis,quae de universali lingua instituenda excogitari subti.  vetustarum nationum monumenta , et gentium sylvestrium usus confirmant. Quae scribendi ratio picturae affinis, cum auctis cogni tionibus , relationibus, et indigentiis ad omnia exprimenda non non satis esset apta , paulatim a signis discessum est rerum i m a ginem referentibus, et huius pars tantum depicta, et plures ideae uno signo manifestatae. nenses adhibent; proindeque mirum non est, si tanti apud illos sit literas scire. Quae difficultas effecit, ut nationes pene omnes eum scribendi m o d u m probaverint, quo non obiecta , non ideas , sed sonos verborum reddunt; ad quem duplici via perveniri posse declarabam liter possent, splendideque proponi; multo fuerit satius consilio adquie scere Ludovici Vivis, cuius haec sunt (De tradendis disciplinis lib.III. verba. Sacrarium est eruditionis lingua,et sive quid recondendum est,sive promendum velut proma quaedam conda.Et quando aerarium est eruditionis, ac instrumentum societatis hominum ,e re esset generis humani unam esse linguam , qua omnes nationes communiter ute rentur: si perfici hoc non posset, saltem qua gentes ac nationes plurimae, certe qua nos christiani initiati eisdem sacris, et ad commercia et ad peritiam rerumpropagandam. Peccati enim poenaesttot esse linguas. Eam vero ipsam linguam oporteret esse cum suavem , tum etiam doctam et facundam. Suavitas est in sono sivé simplicium verborum ac separatorum , sive coniunctorum . Doctrina est in apta proprietate appellandarum rerum . Facundia in verborum et formularum varietate ac copia. Quae omnia effi cerent, ut libenter ea loquerentur homines,et aptissime possent explicare quae sentirent, multumque per eam accresceret iudicii. Talis videtur mihi latina lingua ex iis certe quas homines usurpant, quaeque nobis sunt cognitae. Quod continuo diligenter, ostendit , eaque tradit quae merito cum disputatione componantur ab Aloisio Lanzio libris inscriptionum et carminum praefixa. Sinensium alphabetum Typographicum ex 50000. signis constat. V. Mémoir, concernant l'histoire etc. des Chinois parles mission. tom.X1., Mopertuis ius auget ad 80000. Iaponenses, licetomnino diversa linguautan tur, quae tamen Sinenses literis consignant,probe intelligunt; adeo verum est haec signa non rerum voces, sed earum conceptus delineare. V. Marpertuis loc. Iam. cit. Cesare Baldinotti. Keywords: signum, genere, segno, genere, segno naturale, lacrima, segno artificiale, ‘homo’, conventione, imposizione, idea, ideazionismo, ‘Locki’ – enciclopedismo, illuminismo, ‘discorso sulle lingue’, propositione, articulazione, logica, grammatica, forma logica, modus significandi, imitatmento, il Cratilo di Platone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baldinotti” – The Swimming-Pool Library.   https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51623117567/in/photolist-2mKwuhr-2mKRpod-2mDKYka

 

Grice e Balduino – il vestigio dell’angelo al  Campidoglio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Montesardo). Filosofo. Grice: “It is amusing that when we were lecturing with Sir Peter at Oxford on ‘Categoriae’ and ‘De Interpretatione,’ Girolamo Balduino had done precisely that – AGES before, in a beautiful beach town of Italy! ‘vir Montesardis,’ –“ Grice: “Strawson and I, following an advice by Paulello, drew a lot from Balduino’s commentary – especially of the Peri Hermeneias, the section on the ‘oratio,’ since we were looking for ordinary-language ways to render all the modal distinctions (indicative, imperative, optative, interrogative, vocative, …) that Balduino finds so easy to digest – but our Oxonian tutees didn’t!” --  Girolamo Balduino (Montesardo), filosofo.  Studiò all'Padova sotto Marco Antonio Passeri (detto il Genua) e Sperone Speroni, formandosi nell'eclettismo aristotelico proprio di quella scuola. Nell'anno 1528 insegnò sofistica in quello Studio; passò poi all'Salerno e all'Napoli.  Nella seconda metà del Cinquecento le sue opere furono occasione di vivaci dibattiti. Alle sue dottrine si oppose, in particolare, il filosofo padovano Jacopo Zabarella. Altre opere: “Perì hermeneias”, “De interpretation, “Dell’interpretazione”; “Quaesita tum naturalia, tum logicalia”.  Studi Giovanni Papuli, Girolamo Balduino: ricerche sulla logica della Scuola di Padova nel Rinascimento, Manduria, Lacaita, 1967. Giovanni Papuli, Girolamo Balduino e la logica scotistica, in « Acta Quarti Congressus Scotistici Internationalis », II, Roma, 1978.  257-264. Giovanni Papuli, Dal Balduino allo Zabarella e al giovane Galilei: scienza e dimostrazioni, in « Bollettino di storia e filosofia », 10, 1990-1992,  333-65.  Raffaele Colapietra, recensione di Ricerche sulla logica della scuola di Padova nel Rinascimento, Emeroteca della Provincia di Brindisi. Girolamo Balduino. “De signis” – It. segnare, notare, segnificare, notificare. Primum oportet ponere quid sit nomen et quiddam in proæmio, ut propositum suæ considerationis ante quid verbum cognovit et infra cap. 4. aborationibus rethoricis et poeticis, atque his quæ affe&us explicant, illam se legit. Item tes cum iste liber cum tota logicae undem modum cong ordine lint considerandæ quo, ex processu resolvente com, siderandi participet, qui ut ante monstrani est instrumen monstrat cum inquit primum b u m etc. vers tum seu organum notificandi. Quid inter hunc librum quid nomen quid alios differt? Respondetur. Id interesse et, inter diversos primum, non intentione, cum libros eandem rem eodem. Sed quod primo exequi instituimus dicit opor versa prædicata propria, de illa cognoscantur. Q dis eaq. præs cipia quæ ut deus, et prima in omni tempore, loco, et subiecto dicata ex fine libri facile inveniri possunt demostrationis prin sunt nes mus, extremum nam ut posuis cellaria. Sed suppositione in hoc libro et finis, rum conceptarum res et secundum quid. nam tuimus dicata quinq vocem SIGNIficativam stag are, ut toto, necessario tra verlrum etc. Hæc verbi, orationis, enunciationis nominis, nis.quibus eædem libro poeticorum est præceptionem tradere finiendo considerant alterum ut aspernetur et um metrum formandum , bi etc. ponere ergo sumetur non tanquam res dubia inquirendum sum, verum et constans ponendum primo mento magno exemplo explicatur artificum idem ligna ut lignum, sit sed ut per seno post.14. incos unus artifex statua malter, referet tæ, cum suo proprio monius inquiens est, ad metria positi oest. Ita que non nisi ut enunciativa. Sed de subiecto do post 27 secund infine. Regulem logicem ponuntur ut notæ 7 .orator & poeta enunciativa orationis codem modo ista des :ante & significativas intendit idenim definitionem nomini suer, sitione significantes tionis tantum urilitatem declarat apo demonstra, ad impossibile .primo prior.30. de tione simplici et hæc porest. Sed demonstratio viriali cuius, extranea autemquod licer hæc omnia demonstrationis Postremo scientiarum . ne viam atrium et iuxtaponitur uerbo. Quinto. Magentinus positionis modos modo considerantes est interpretario posis ab instituto, nomen, aim. Ponere seu constituere. Ammonius has tres particulas legit cum ergo sunt prædicata propria, affirmationis et negatio m u m ponendum constituat, alterum appetendum explicaretur oportet definire et fugiat. Poeta ad cocinnum Orator vero adornatum. Id, quasi istorum quid nominis ad efficiendam. Huic (quam retuli) rei confidera Averrois, definitio enim inquit Aristotele ingeo navem, alteradarcham considerandi modo, assentit, Amonius definitiones positiones in arte dicuntur. Sexto meta.primo .in hoc libro confiderari de oratione, 46.inmagnocóm. cuiusratio eft. primopoft.17 , quam per voces clariores m o prior. primo, syllogismus est pofitis et concessis et concesso, pri oratio in quaquibusdam attingit. Magentinus syllogism ducente hac tenus. Paul e re niam fiunt. Quos cis nunc. De utilitate dicimus ab anima, quæ facile opus suum inquitex proposito patet: ad de et ex inscriptione cepit ergo tertium  modorum quos Ammonius attulit. Su fubic&ti interpretationem refertur. Quam mitur enim gratia quæri retulimus. nam enunciatio ad ins ponere, primo prosupposito tendatur tet non simpliciter sic enunciatio in to, propositum quas per voces clariores NOTIFICARE nostrum esse, de oratione enunciatiua. Hic autem finis haberinó potest, nisi per hæc præ tertioait igitur de partibus tractandum est, quid nomen et quid verbum inquiens et Aristotele verba conne fit.ita res tractatæ alibi differunt. Requires et ens quia propositum Aristotele quam, necessario. Quona igitur modo feiungi simplicium essential cognoscenda differentia locus, tamen hic nomen quid ferme omnis explicatur ex proprio fine: quoniam et uerbum. Juult ergo cum cæteris ista considerat utg; syllogism parte sefficiantur logicus bus ponere sumendum fore pro definire et definit, ut verum ftrationi deseruiant ,Grammaticus vero voces tis compositas incongruum sermonem ex elemen, ut congruum, siue oportet ponere, id est definire et falsum declarant. Et novissime ut demons dissentio latina ac sensum accedens ab Ariftotele sidiceret. Sed ab his ad Aristotele verba græca et . nam committereturnugatio possunt? ideo dixit (primum est. Erfide hoc infra fit proprius considerandi oportet ponere  id est definire, magis ut iudico. Hæc ut bene Ammonius cognoscit. Ac .p fine propositis nullo modo tamen, ut omnia moveri commune commodum est .id muniter posito . primotop.nono.Tertio et concello quomodo sumitur procom de mente Ammonii attulimus gratia explicentur omnibus Aristotele. Quarto pro ea fine ratiocina, pro proprium est. Locis quos adverbio quod nibuscarentibus pro definitio positione fieri ex Heracliti sententia via relinquenda non est docentes, fine uia eius contemplationem medio. secundopofter.46. incommens damus, tenebrisan; circumfufi more feramur, est igitur enumerat: tray in incertum imperitorum via, illa quam toti logicæ Aristotele to magno est. coniung nomine et verbo. Pris .primo poft.2. secundo poft. & ratiocinatione ex hypothesi. Secundo supra retulimus. & hic accepit sed quem modum Aristotele hic fert. Ex hisitaque patet; Arit, resconsiderandas acceperit, verbum nullum proj (3 ea considerantur. Quod si orationem ante etiam posuit et tractavit, non nisi ut genus commune enunciationis, ad uerbum. O D iii 11   rum ordinem pofuisse) tanquam subie&ta & tertio prædi num triplex poteftelle consideratio: primo ut absolute Cara, quideorum, scilicet ponere sive constituere. Sed (ci G gnificant simplices conceptus. Ita in prædicamentis cons [citorcum primo post.42.in parva commentatione:scieny fiderantur. aliomodo secundum orationem, ut partes tiasitunius generis fubieéti, quçcúq; exprimis componitur, sunt enunciationis: f icadhuc librum spectabunt, propter & partes et PASSIONES horú sunt pse.igitur duo sunt per reaenim (inquit) traduntur sub rationem nominis: u et er se predicata, substantia sive essentia quæ per definitione, & biut significant cum tempore aut sine tempore, intulit accidens proprium, quod per demonlirarionem concluditur. etiam. & tradunturaliahuiuf modi, quæ ad dictionum secundo post.12. & 20. Inmagno commento.curtantum pertinentrationem, ut enunciationem conftituunt. sed quid iftorum proposuit? Ad hoc dicendum mihi uiden quam vistant iuiri ingenium & iudicium semper cum sum tur:ex primo poft.32.9 res quarüeifecf timperfe&um, & quafiinmente, non habentuere definitiones. Secundo ponendum quod supra documus, res logicas ut intrumen ta& organaartium &fcientiarum, ad proprios fines & quod satis probatum est supra cum a nobis Ammonius notitiam explicandam referri. His datis patet ad petitios eftr eprehensus. Præter eaut diximus nome et verbum nem responsio: namdum Aristotele quid prædi & orumponen simplicior asunt decem vocum conceptibus. Amplius dumpropofuit, & propriosfinesquiipsorumpropriafer rationoininis & ucrbi, & fi ut materia adorationemenun rendicuntur accidentia,anteposuilledicetur.sicenimora, ciatiuampertineant:tamencorumrationesfuntcommu cionem definiens (enunciatilia (inquiet) nonomnis: sedin nes,nonadorationem tantum contra &æ.ut prædicari de qua verum et falsum explicatur et nomen quod uoxfitfi vocibus simplicibus prædicamentorum non possint, licet significatrix. Requirit secundo Ammonius a quo Sancto Thommas cum divo Thomas in ultimo suo dicto contra Ammonii opis mas accepit. Side simpliciumuocum essentia in prædica; nionemconsentiam: nomina et uerba in hoc libro tracta mentistra & auit: cur hic iterum repetits respondet Ammonius. ri,ut cum tempore aut sine tempore significant, & non solu unum quod supra tanquam falsum reiecimus. Nam et fi hæc significare dicuntur, sed& alia huius modi quæperlig verum dicat. Ut robique easdem res subicto, rationetas nent ad rationem di&tionum. Licet ipse subinferat, utes mendifferentes finiri: nihilo minus differentia quamaddu nunciationem constituunt. Non solum affirmatigam enun cit est falsa. Dum inquitin prædicamentis voces (implis ciationem, ut Ammonius afferebat. Si autemista verba, ces considerariut indicativæ sunt rerum simplicium. quæ Sancto Thomas referret addi & tasuperius.utdiceret.qiftainhoc quandocumtemporismensurasignificant,uerba:quando libro traduntur sub ratione nominis et uerbi & aliahuius, finetemporecum articulisexplicant, nomina sunt dicen modi, scilicet tradunturquęadrationempertinent diction da. quandopars affirmationisuel negationis, dictio: cum num, tuncinternomen, & verbum et di&ionem distingue autempars syllogismi, terminus. Sed primum inassignay ret. Sed primum de mente sua verius credo. nam alii tadifferentiadubito: quarationeun quamfiet: ut subftan teridemdi& umforet contrasequodin, Ammoniumdie siaperleexistens significari possit cum motu ?maxime ximus. Postular Ammonius et Sancto Thomas curaliisoras cum prædicamentares sint completæina&tu.namquinto tionis partibus missis, solum nominis et verbi considen metaph.14. septimom et. septimo. primophysic.13.ens rationem præposuit? addituretiam. quialibropoetico, quod est, aut existeredicitur, indecemprimasres, seuuo cespartitur: quo ergo significari possunt cum tempore! nifi diceres ut sunt imperfe et cres, & in motu cum actione, et passione et generatione lubstantiæ alteratione qualitatis augumento quantitates et ex accidente mutatione eorum quem ut uo referuntur. Scundo nec dubium solue revidetur quod dicit. Sed falsum etiam est in prædicamentis rum orationis partes enumerans, inquit septem elle. Elementum, syllabam,coniun &ionem, nomen, uerbum, articulum, orationem. Ad hoc breviter respondent alig qui Aristotele omifisse quediximus, tanquam inutilia et ad rectum poetarum metrum spectancia hic solum mentioq nem fecisse nominis et verbi: pista sunt necessariæ pars tes enunciativæ orationis, inquo, Ammonio non aduery voces considerari,utadfimpliciúrerumcognitionédedu saturnecdiuo Thomas & fi oratio enunciativa quando que cunt. Sedinftantaliqui. In prædicamentis, Aristotele finiensin conftetexaliis, nonnecessario,simpliciter,omnitempore, quit. subftátiadicitur.sedquamuanèrefpondeantexAril. quintometa.14.& Alexandro Aphrodiseo exponente cognoscant, secundum se inquit vero dicuntur quæcunq; predicamenti figuras significant aut secundum Boethium quæcunque figuras predicationis significant. Itaq. Per Aphrodiseus quod a nomine, vel uerbo deducitur:lig verbum hoc dici et significare res simplices, prædicamen ca ad metaph. Non logicum pertinent: sed ut decemu04 ces, resmediis CONCEPTIBUS A POSITIONE SIGNIFICANT logie corum considerationi convenient.Tertio dubito& tan cuti et legendum, et navigandum alegere et navigareuer bo originem ducunt. Similia dici possunt de explicatione Alexandri. Quautitur Ammonius dum deuerboconsin dcrans Aristotele inquit. Verba autem secundum se dicta nomina sunt id est simplex habent significatum nominis86 eius simplicibus partibus simile, ex quibus constatoratio. itapro Alexandro dicendum. Aduerbia plurima ex parte quam vanam explicationem existimo, dictionem, fcili, cet affirmationis partem vocari. Nam quid interest dicere nomen et verbum vocem esse SIGNIFICATRICEM A PLACITO et afferere nomen et verbum dictionem esse ihuiusmay deduciauero nomine aut a parte orationis simpliciquæ nifestum indicium ex Aristotele sumitur. Qui ipsam orationem definiésait oratio est vox significatrix, cuius ex partibus aliqua separata significat ut di&tio, verum non ut affirma, tio) ergo idem est dictio, quod nomen. Ut habet translatio Magentini. Et uerbum. Ergo dictio, orationis communis pars erit, non affirmatione stantum. Nisi per appropriationem dicatillud. sed Sancto Thomas vidensuocesalo, gico consideratas non poffe decem simplicissimas resnis fime diis conceptibus explicare (itaenim secundo intely uim habeat nominis. Et ita si quando goriatura uerbo, nihil Alexandri et Aristotele sententiæ officit. Sed cur particis pium, quoquam se pissime in demonstratiuis scientiarum sermonibus utitur, tam hicquam poeticorum libro relis quit? Ammonius dicit, quia ad nomen et verbum reduciy tur. Aliiuero (quod idem sft) dicunt.quia pars comporis ta non simplex orationis dicitur. Quæ responsio magis perspicua et euidens iudicio meo est. Nam primo pos ter, secundo, præposuit dupliciter præ cognoscere oportere, leda siue secundæ intentiones dicentur, nonu tres linere alia någquiasuntprius opinari necesseest. alia vero quid lationibusdenotant. ad philosophiam naturalem spe&an eft quod dicitur intelligere oportet. sed cum duas propos tes& metaph.) aliteralseric, fimplicium(inquit)di&tion nerettresenumerauit. &adhocrespondet Auer,optertia ma ueneratione sanctitatis probarim :in hactamenre' sponsione dissentio: cum decemuocesnon solum limy plicesconceptus:sedresmediisconceptibusexplicent: loco,& subiecto :& non nifirefpe&uhorum .ut pronos men loco proprii nominis. Adverbium tam hic, quam in libro poeticorum relinquitur, uelquiautAmmonius ait, modum dicitquo prædicatum incit subiecto . aut ut  Грее   species compofitaeftexhis.dicasetiáoduaspræposuit necceffarias signum est q Aristotele dixit (dupliciter præcognoscere oportet :& quia lunt,opinari neceffe eft:& quid in telligereoportet.) ad tertiam vero præcognitionemder scendens,fineullonecessitatisuerboadditoait.(quædam autemutrag:) namcompofitaquæeffe&am tertiamnas turamnondicuntdistinctama componentibus,explicatis neceffariispartibus, coniunctimexhisexplicariintelligun tur:uerum quicquidsitdeArist. textu&rationequamdi xi: sufficiensrefponfiofit: qhicdefimplicibus partibus Aristotele loquitur,qualenonestparticipium. Coniuns &ionemomisit,nonquia inutilis,quoniam .infra(quod ipseconfirmat hic, & fupra contra Boethii opinionem adduxit) Arist. diuidet orationem enunciatiuam in unam simpliciter & coniunctione unam: quæ neceffarioconiun &tionemexpoftulat. Necexomisitut Ammonius et Sancto.Thomas quiapars orationis non est sedparsconne&ensatque coniungens. quoniam Aristotele coniunctionem poeticælos cutioniannumerauit,tanquam orationiselementum.Item incap.quarto Auerdicet,q Syllogismuscöditionaliseft unusperunam copulatiuam .Gifoloriturergodieseft. ficut predicatiuus est unus per medium terminum. sedhic medius terminus neceffaria est pars prædicatiui sive CATHEGORICI cay thegoricifyllogismi. ergoconiunétiosyllogismiexpofis tionefiuehypothetici.Hinc etiam contra eos fequetur inutilemconiun &ionemnonesse: sed hypotethicofyllor gisino necessariam: ut medium terminumprædicatiuo lyllogismo.Aliisentiunt proptereaconiun&ionemomiy filfe:9 de enuntiatione una simpliciter demonftrationi seruienti, nonconiun & ioneuna considerat. fed hanc reo sponsionem suprareiecimus: earationeq hicliberetiam ad librum priorum dirigitur,proximam syllogismo hypothetico positionem seu præmislamelargiens. Itemin hoclibro,capit.quarto,propofitamenunciationemab aliis oratoriisac poeticis seligens, in has duas partitur. itidemq; definitaoratione in libro poeticorum eam in hasdistribuit feudi uisit species. Dicendum igiturnobis uidetur, proptereahic relictamconiunctionemesse,quia facilis, &Arift. sufficienserateaparua cognitioquam tradidit in libropoeticorum. Aut secundodicasquor demonstrativa (cientia. Etsecundo poft.1oo. iuxta ordi niamhic propofitú est deuocibus neceffario SIGNIFICATRICI nemquem compositiuum aut componentem appellant, pri bus agere ad interpretationem per voces clariores efficie endam: quęoémorationemefficiant.namhiclibercom muniaprincipiaexplicat. Dic secundoq in libro poeticorum cap.septimo, coniunctio fignificationis est expers: quade causa definitioni, quæ perfectaoratio eft,nondeses Post eaquid eft negatio, o affirmatio:& Enunciatio, u Oratio, Deinde quidsitnegatio,a affirmatio,o enunciatio, oratio . mo genus,quid syllogismus,indespeciem, .demonstras tionemcollegit. Pręponens igitur hic ista duo tangfinem unum integrūperse ex genere & specie constitutum, primo ait enunciationem, deindeoratione, non ita per se intenta: nobis innato aminus communi ad communiora. Sed hæc responsio improbatur quia. Si ordinen obis innato, seu aminus communi & imperfe &oincipiendum est, cur latus ordo ex accidente euenit, ut quando gabimperfer &o furnatinitium . quia in libro de animal secundo, tex. tura Magentino cum universęres (quas universalia dicunt) singulis pr æferantur, cur hic non primum de oratione & genere, deindede enunciatione affirmatione & negatione exorsus fit Aris.sed primum a nomine & uerbo:namauta nobilior iinchoandumerat, aut aremagiscõi, utordone ceffariusseruaretur, non anobiliori,cum negationem affirmationi prætulerit. nonacommuniori, quiaoratiofuif setanteponenda. Responderipse. solerequandoq; Arist. hocfacere,&arecommunioriquæadfingulasresfpes &antincipere:quomodohicdicitanominefignificante substantiamfiueeflentiam&auerbofignificanteaction nem,seupassionem, Ariftot.inchoare:sedquareiftum fecundumneceffariumordinem internegationem& affir mationem,enunciationem & orationem nonferuauerit,ut Gbioccultumomifit. Præter ca enunciatio utfinishorum materialium principiorum prenstantior eft, ergo antepor nendafuisset. Amplius nomen et uerbum, nonideocom munioraeffedicimus,qfubftantiamautaccidensfignis ficaredicuntur,sedquoces fignificatiueapositionelunt, non substantiæ aut accidentis,ut naturæ terminatæ ,sed communiter omnium.ratio ergo eftfumpta a processu re foluente finem in causas & principia prima intra rem.itas quecum orationem nonomnem, sed inqua est verum et falsum, ideft enunciatiuam, ut finems peculetur, & hæcex nomine et uerbo, u tmateriis, constituatur necessario ers go primum dehis ponendum quidf snt: deindecóplebit reliquas partesprocessusresolutiui.sedlubieêtum,utto, tumpotentiaprimasspeciescontinens,cognofcinonpo teftfinesuis speciebus, ficuttotumconftarenonpotnifiex suis constituentibus principiismaterialibus:ergodeindede his quæ ad finem propriú diriguntur, dicendú, quid oratio et enunciatio, ut completes finisele&us habeatur:quiahęc in affirmationem & negationemdiuiditurincap.4.utpris mophy.intelligere&scire,ideftintelligerescientificum: quodAuer. finemrerumnaturaliūpofuit.Itemgenuscú principalisuaspecieunumfinéconstituit,aceaunoproce mio proponuntur& epilogocolliguntur:utprimoprio rumdesyllogismotradaturus, resoluentemprocessumef ficiensaprincipalifineinchoauit:dedemonftratione &  Propositis communibus, ut materia, principiis ,quæ per se significantiaomnem orationem conftituunt: nunc de coniun&tis ex hisprincipiis& conftitutis proponit.pri mumq; ait (Deinde, ut diximusex Ammonio, ordinem &urumproponitderebusomnibus:deindedeelemétis, denotatprincipiorumconftituentiumadresconstitutas. &deomnianimapriusquamhacautillaanimaratio ( Po f t e a (inquit) quid n e a t i o affirmati o &c Hic quæris igitur & causa ordinisa dnoscelatiestanotioribus nobis Diiii gationé affirmationi prætulerit. Ammonius ait priusnomenperfe&tiusposuit?Iteminsitus,& adnosre 66.asenfuuisusincepit.ut Auer.aitineodem libro.co. 77.& tertio, de anima de intelle&tu priusquamdesecuny. dum locúmotiuapotentia. fimilitersecundúaccidenseft ut a comunioribus fiue minus cómunibus procedamus. N a m de generatione confiderans de eageneratim sedin ruit: & fi per se non significat (utait Aristotele licet significa, demonftratio intéditurquamfyllogifmus.Etprimophy. tionemnonimpediat perfeadhunclibrumnon(per primofinemproponensrerum naturalium primum,dixit. &at,quietiampersesignificantiaprincipiautmateriasspe (quoniãintelligere&scirecótingit,)ideftrationemellen culari conftituit.quarenoninutilisquidemcõiun&tioerit: tiamacnaturamipfarum,indescientiamperdemonstras sednecneceffariaparsfignificans,orationiperse,ideft, tionemacquisitam ratione& eflentiapofita,& explicata omni conueniens.oratioautemdiuisainspeciesduas, perdefinitionem,infineexplicando,nobiliusexplicauit, quas monftrauimus, conjunétionem a poetica,uteiusparti acmagisintentum.Sedadhucdubiumremanetcurnes utilem ,mutuo accipit. fed ad enunciationem relatam .ut primo priorum ,prius TEX.BOETHII. ordine ad nos relato ,ab imperfecto ad perfectum procedit :&   tum.negatioenimdiuisionemcontinet,affirmatioautem in compofitione consistit.negationé igitur affirmationi præposuit, & magis ad partesaccedir,compositioautem ad totum .Sed(ueniatantiuirifitdi&um )negatiomagis composita dicitur quam affirmatio, cum additione negan cisparticulæ,affirmatio efficiatur negatio .Ad rationem orationem quatenus ex luis materialibus principiis cons harum alterutrapræferatur. Sedcontra dicimus,pris mo hic liberad demonstrationem dirigitur, utipsefal dem , fic nece æ de m voces . Quarum autem hæ primum notæ sunt, eædem omnibuspaßionesanimæfunt:& quas rum hæ fimilitudines, res etiam eædem . Sunt quidem ergo hæc in uoce,earum in anima paßios admodumnecliter&omnibuscædem,ficneceædemuoces. sentienscum Magentino) reprehenditura Sueffa. adiu mentum seu commodumin proæmio, nointra&tatupræ do) secondo phy.tertio.(natura est principium motus et quietis, per se et non secundum accidens) ita que ex his positissequiturnegationeminftrumentumexplicanscon fitioneformam eflentiamq;cognoscimus)hoceft.agen rium& dirigentiumadipsas.) oportetigiturantecogno! scereeaexquibusestdefinitio:proptereaq iftapræcogni tetur, quææternorumeftnonautemadeaquæpossunt ponitur. diceretenimilleutilitatemtotiuslibri&fubiecti esse et noneffe.Amplius&fiinuno,quoddepotens anteponenda, nonutilitatem cognitionis,perquampro tiaadactumeducitur, non effe prius fit eo, quodeft: pofitad eclarari, ac definiri possunt. meæ etiam rationi nontamen simpliciter inomni natura: cumea,quępoten responderet. In sequentitextu commodumqualefitex tia continentur, nonnisiaba&tu, aceoquoduereeftin plicari: sed quaminordinateacfinearteidfaciat,uides actumedantur.prætereacap.quartoenunciationemin rintalii, retamenidemcumAmmoniosentit.quiait Ari. hasduasspeciesdiuidensinquit.(Prima autem oratio docereuellenomen& uerbumquorumfinitionespromi enunciatiuaeftaffirmatio,deindenegatio)crgoanaloga, fit, voces significativas esse, quod ifferata uocibus nonli aut per rationem ad aliud nonç quediuifaparticipaturab gnificantibus, ut scindapfus:docetớ; quæ inprimis,ac utrii : feddehocfuolocodicemus. ficut Ammoniusdi proximeabipfisuocibusindicentur. conceptus, fcilicet durumpromittit: Mihiquodueriusprobaturiftudeft, primo: quorum interuenturesexplicantur.quæomnia, hic affirmationem et negationem numerariut plures species enunciationis, id est oppositionem contradictoriam erficientes. Quæinfinefectionis fecundæ,inhoccons fiftit.utaliquasedeiiciant,deftruant,abiiciant,atque ne gent; inhocautemefficiendopotissimam&inprimis uimhabetnegatio. Quade causaibiprimumabArift.nu meratur, utsecundodeanima.27.cum speciesfubie &ti fintplures,exenumerationeipsarumpręcognoscituresse, id uerum in demoftratione, itidemindefinitionemons quodanteponendumeft,priusquátra&atuscognitioaut definitiohabeatur . Secundo sciendum primo topic. ofta 10i2. Oppofita secundum contradi&ionemprotenfaals terumoppofitumexplicare.Et primopoft.o&auo.inan tiquacommentatione,(de omni eftquod non inquodam quidem fic,in quodam autem non. nec aliquando quis d e m sic, aliquando quidé non. Jitidem & tex. quinto (scire autem simpliciter opinamur: fednonfophifticomos nitionis: quafimplici conceptu fine assertioneseucompo iun&a & diuisa, notioremessequamaffirmationem.nam ta,adeamhabendamnosdiriguntatqzillamexpræno/ attenderefolemus diligentius ad contraria, ut nobisads uerlancia,quameaquæfuntnobisinnata. hæcautemafs firmatio, illa negatio explicat perexterna, explicantia tisefficiunt. Arif. igiturquoniamdixit(oportetnoscon ftituere, fiue ponerequidnomen, & uerbum &c.)&com muniterhæceruntuoces significatiuæpofitionealięfine quodammodoalterum.sedcumiplespeciesexpropriis very explicatione, alięcum vero.iccircoiftatriaantemani principiisinternisdefiniuntur,I uxtaipfarumnaturam, feftat: nesuedefinitionesfineratione&fineeaquamipse proprietatem, &utadcommunegenusproportionale tradiditarteponantur,at constituantur.Inhoctextu (euanalogumreferuntur,finiendasuntprimo,modohic inproæmio negatio præposita numeratur, ut inftrumeng uoces essesignificatiuas:quod Ammonilis exponens cum tumefthabensellenorius:secundoautemmodoinfrain Magentinoaitquattuoradhocutilia effe:rem,conceptú, tra&tatu& propria definition subsequitur.itainfra,intely uocem, &literas. Amm.autemait Aril.inchoare,nona le&usquandoplineueroeft& falso: circa compositio/ rebus,quæperse,necfimplicessuntneccompofitr:(id nemenimeftfalfum&uerum.Queruntnouissimecuruo enimhabentconceptus)sedauocibus,tr"finequibusdis cem omiserit.sedAris.infriadhocrespondebit:utsupra sciplina& præceptiofierinonpoteft aitą;nullamfacere etiãanobisfatiseftdi&ú.Proptereaadaliacótendamus. Aristotele de literis mentionem.gnulliusuifuntadproporto & fiuerafint, diminutetamen ponunturcum aliammay gis intentam differentiam (significare scilicet a positione, non natura) relinquat,quamtamenAlex.&Pfelliuspro sequuntur et in expositione tex. Ammonius A uer.ato aliinonomittunt.unumergo&idemcumhissentiens, eorumueritatem confirmo. Cumnominisdo&rina&dis sciplinaexantepositafiuepræexistentifiatcognicicne, ftretur,& testimonioAuer.confirmetur.primopost.ses cundo.& Arift.primoMetaph.48.& apudAlex.83.pri motop.quarto.(oportetenimaitArift.exquibuseftde finitiopræscire,fiueantecognoscere.)& Alex.inquit definitioperomnia nota & precognita procedit & Averroes primopost. secundo.fic.(etiamuerisimileefteffedispofi tionem fpecierum prænotionum conceptionis (ideftdefi unumeorumquædiximusexplicatur,nomen& uerbum  primo phy.fecundo.hec autem quandog imperfe&tiora, TEX. BOETHIL. Suntergoea,quæ funtinuoceearum,quesuntinanie quandoyperfectiora,minus communia autcõiora.Ma ma,paßionumnot&,o eaquæ fcribuntur,corum,que gentinusaitq cum euidentiadixerit,abhistanquáabdi tis&occultisabftinuit.S.Thomas dicit gquiaAril.cępitapar suntinuoce.Etquemadmodumnecliteræomnibuse&s tibusenumerare:ideo nunc procedit a partibusad tol adducam dicitur. aliudeffe dicere num note: O quæ fcribuntur eorum in voce . Et queme procedere,quiamagissensatasunt.3.deanima30.39. , inftrumentum ,seu Atat, essemagisminusuecompositam:aliudfinemhabes paßionesanimesunt,o quarumbæfimilitudines,res quoquecedem . reutalterumconiungicum altero,autfeiungiabaltero enunciet. secundum concedimus: sed exillo affirmatio nis naturam magis compositam esse, sequi negamus sed Magétinus dicitq enumeratis nomine,& uerbo,& aliis eorum definitionestradendæ erant,quas ponereconstis tuerat.SedhocAril.nonfacit:sedcaputproponit.quod nobisadiumentoerit:sedquodfitadiumentumnonexi plicat,necincrepandusame eritutHerminius(idem negationis potius. Secundorefpódetp in hisquę poffunt efleXnonefle,priuseftnoneffequodfignificatnegatio, quamefle,quodexplicataffirmatio:sedutspeciessunt æquegenusdiuidentes,suntfimulnatura,nihilgrefert Quorum tamenhæc primum notæfunt,eædemomnibus i ta con    lacontemplanda.Quod fiitaest. Curergo iftorum quat passiones seu conceptions esse omnibus.easdem :idest tuormeminic? Etsiinfralongioribus,nunctamenquod ellea natura: Expolitoresnonexplicant.quadecausa, ad rem pertinent dicamus,& brcuiter: finem huius libriin terpretationemesseut fuprapofuimus .hæc autem utlov gicum inftrumentum & organum cognoscendi,ad expli cationemrerumdirigitur,actanquamultimum & perfe netemere& fineullarationeiddrift.pofuiffedicamus. notandum ,sextotopi.14.inexplicandispartibus defini tionisoppofitorum ,nontantumopuseffeoppoftiscum negationepræpofita,fedetiamrebushuiufmodi,quiz intentumfinemrefertur.interpretatiouerorerumnon busdefinitiofeudefinitionisparstanquamhabituiconue fit nisi per uoces clariores significantes a positione , aut perl iteras (cum uoces defuerint) propter eanecresomi lit, sed tanquam fine multimum&inprimisintentumpor fuit.tertioenimmera.6.7.meta.23.nemodefineconsuls nit:nam persehabitusperpriuationesnoscuntur:licet quodammodo (ideftut Commentator primo pofter, 133.1nmagna commentauone & primorheto.cap.quin toinepitomatibus logicalibus) explicet alicuigeneriha minum priuatio, atqueoppofitum cum negationepræs posita,alterummanifeftet.quamobrem topicaloca con ftituunt.Qomnibus,autpluribusitauidentur.Cum igis turfupraexplicaffet,liocesfignaeffeapofitione,exappo fat:fedftatuitatq;ponit:sedquomodo& perquæisfinis eueniatde liberat.nam primo ethico septimo, fifinem tanquam exemplarhabuerimus,magisintelligemusquæ nobissuntbona.& feptimopoli.13.inprincipio:Duo funtinquibusomniscommendatiobeneagendiconsiy fitocumnegationepræmiffa,nunceademexplicatpary ftit.unumutpropofitum acfinisrecteagendisubiaceat: alterumuteasquæinillum sinemferantactionesinuenia mus, resigiturhic non relinquuntur sed tanquamfines explicandiponuntur. Nec literæ fruftraab Arift.nume ranturcumuocumfunganturofficio:hisq;principibus explicatis,& quæ scribunturapeririintelligimus.huius enimcaulaquæsuntinuoceconscribimus,utabsentis busuocibus,resconceptascertius,uberius,&firmius teneremus.quæ enim uox,totphilosophorum,anobis abfentium,sententiasunquáaperuitadquaseorumlibri nostam facilcdeduxerunt,utpossemusaliquandoquid ticulamexoppositopositiuo.passionesenim& respros prereaq eædemsuntomnibus,naturasunt,nonexarn bitrio,&pofitione.exoppositouoces,acscripiuræquia non sunteædem,apositione, no natura significant. Hinc etiam differentia vocum a positione et passionum siue conceptionum & rerum colligitur. & approbationem intelligat, ex græca particular aperitur. quædicitiwvwww quorumquidem. Quæparticulacausampropofiti expliscat, non controuerfiam . Quioaduerba, Ammonius pris mumobseruat.qcumdeuocibus&literisdiceret Arist. ait. quorumexsignasunt. sed passions similitudinesre senserinteorum scripta fæpiusrepetentesagnoscere: No rumuocauit. Quia simulacra rerum naturas,quoadlicet igiturut Ammonius dico nihilo pusesse scriptis.seddico, representant.utinpi&uristidetur.inquibusmutarefor magis fuisseconueniens Arift. nomen& uerbum &c.des mas præsentatas non licet.litin Socratepitto calvo, fi finireperuocesquæin disciplinis quasaliocertoduce mo,oculisprominentibus.signauero&notætotumha. perdiscimusfacile)primas tulerunt:quam perscripta: bentabimpofitione,& cogitationenoftra,utinmilitum quibus peritiocculta cognoscunt,& percepta declarant , signis,& notis diuerfisa; inftitutis conspicitur.Sedcong Nunc adliteramueniamus ea quæ in uocesunt,cons traquiasecundopriorum.27.deenthimematetractans. fi stunt,autcontinentur,suntfignaseunorę.ounebonorenim duo hæc fignificat.(earumpassionum ).i.eorum conces ptuum :quospatitur,ideft,utformisperficiturphantafia, mens, seuanima,ut Prelliusait.& quem scribuntur SIGNA ac NOTAE funt eorum quæ in uoce consistunt.Etquemadmo gnificans.quiaidemuerbum,lignum,&notauocatur. dum necliteræomnibusexdem ficneceædem uoces.} Explicata prima definitionis particula,núc ad fecundam accedit quoces a positione significant. Idqueapprobat Arifto.ratione fumptaex oppositocum negation prol tensa. Quodquodammodo notius, alterum palam facit. primo topic.o &auo, hinc facileconfirmatutexperimen 10 Arist. quodsupradenegationeantepositaaffirmationi docuimus ratione,fedoppofitumeiquod eftapositione elle,estelleanatura:quæ eadem omnibusineft.exops positoigiturratioinhuncmodum formetur. ad conclus fionem exfimilinotioriinlitterisinnuendam , idnatura effediceturquod eftomnibus idem ;naturaenim princiy piumeftperse& deomni:quæigiturnonsuntomnibus eadem ,nonnaturasuntautsignificant.anegatione proy Prætereasihæcdifferentiaueraesset,acillamAristot.ex his uerbis intenderet,his tantum nominibus pofitis fuffin cienterexplicasset,dum diceret. Propterea quòd uoces & literæ SIGNA ac NOTAE sunt, a positione significant: passiones uero & resquiafimilitudinessunt, a natura. Itain finiendo nomine& uerbo sufficeretsiduntaxatdixisset, nomen&uerbumestnota.nonigituraddendumquog cesfintapositionefignificantes.& hicomittendumfuils set,quòd uoces& literæsuntnotæfuesignanoneadem, neidem calu, actemere refricaret. Mihi ita sentiendum uidetur. Ovuboloy superior NOTAM (NOTARE, NOTIFICARE), SIGNUM (SIGNARE, SIGNIFICARE), VESTIGIUM dices re. quæ ita dicuntur. quiaut notiora exterius NOTIFICANT, ac ut VESTIGIA pedum significant. Hoera autem ,ideft passiones, sive conceptiones,  non ita: quanuis interius priæ definitionis ad negationem definiti.hęc propositio, similitudines rerum vocentur: rem tamen& fiinterius, quia perspicua, approbanda non eft:sed lumiper fenoi exterius non aperiunt.proptereaigitur uoces et literas fi, tam oportet, alibiquodammodo declarandam:Allumy gna& notasuocauit,& passionesfimilitudines:quiaille prio ,ideftminorpropositiointextuexoppofitocumne exterius, hæcinteriusmanifestant. Secundoexdictisfaz gatione præpofitanotioriinliteris.(&quemadmo! cilereprehenditursyllogismusquemSuellaformauitex dumnequeliteræomnibuseædem:ficneceædemuol litera.dum afferit Arifto.uelle probare uoces & literas ces) conclufioconsequetur. Igitur nec voces a natura sig quumeuarient,apositionehaberi,conceptionesuero& gnificant & nonomnibuseç demerunt. Quorumaux res, cumnoneuarient,naturaeffe. hoctotumuultelle tem.;Approbataminoripropofitioneexsimilinotiori præceptum& complexionem fiueconclufionemadqua inliteris,inquibusidemprædicatuminuenitur.nunc inferendamait Aristotele intexturatiocinari. Quæcung sunt aliaduo, conceptusfcilicet, seu passions & resmanis aliorum signa vel notæ, positione fehabent. uultdeinde festata naturaeffe:& ita ead emomnibus, inquit(ledpal, quòdassumptionem ,ideft minorem Arift.ponatibi.{funt Gones animæ) quarumhædi&æuoces.(primum)nuly quidemigiturquæsuntinuoce&c.}ideftfed nomina & lointeruentu,noræfunt(hæanimæpassionessuntcæs uerba. Et scripta suntf sgna et notæ. aliarum, voces, Ccili demomnibus:& resquarumhæpassionessuntfimilitus c et conceptionum ,& (criptauocum:sequiturcóclufiout dines,etiameædem funt.) Sed cuiusgratiamanifestat putatibi. (qaemadmodumnecliteræeædemficnecuos Aristot.ipfumdefiniensait,syllogismuseftimperfe&tus: exfignis.ubieodem uerboutituradexplicandum69 gnum naturale,& fignum apositionc.uana itidemerit, assignata differentia Magentini . non fita positione ceseædemerunt.} ubi(fic)ingræcononhaberiaffirmat: tur. Sed primær esponsionispartitio, feudiftinétio, quo quodmanifeftefalsumeftToosenim (sic) latine significat nammodo fituerainprimosuomembro,supralongios {&quemadmodum&c.}ait(&)uimhabereinferendifæ ribus disseruimus.cęteratáquamueraprobanus.Seddu pe consueuisse.Sed obiurgandus est Ammonius :qui lis gnum,& notam aitapprobationem,ideftprobationem bitabis Vox significatrix est per se genus nominis & uery bi: igitur vox erit gencris pars communis, per seunum constituens:duoigiturconsequuntur.primúnaturale,unā perseconftituerecum artificiali,&ensrealecúenteratio, nis:secundopartem efle intotoniinuscommuni:signifi care,scilicetapositione,effeinuoce,quæeftmagiscomo munis. Qui modus improprius dicitur eius, quod est in esse.q nomina,& uerb auoces, & scripta a positionef sgnificent:cum secondo priorum27. In Epiromatibus logica, libus,derhetoricaperfuafiua,& fyllogismo.cótradičoria fignaenthimematis& demonstrationis, & topica etiam,  non a positione significent. lignum ergo, et NOTA, commune est ad signum, quod EX ARBITRIO ET inftituto signifiy alioelle. quartophy.Adprimum&finihilhicneceffario cat,& signumnaturaconsistens.Secundopropriaeiusra tiocinatioconfutatur:nonenimunusestsyllogismus in textuquen suo arbitratu diuisit, sedduo. Vnusquonos minaAristot.&uerbauoceseffefignificatiuasdeclarat: quodamedi&um est Paulo antedum primum in textum hoc modo (quæ suntin voce sunt notæ et signa) scili, cet significantia exterius (earum quæ sunt in anima passionum.)  minor siue assumptio, utpofitiopersenota,ap Aris.dubitarem.reslogicasuthabentesesseimperfectum & quafiin cogitatione ut fubiecto:inuoceutfigno,aliam naturamullam sortitas non effe, quam eamquam anima probationis nonindigensponetur. Cum nomen & uers exarbitriofinxit: ut ad aliud fignificandumexteriusrefe bumdefiniet,fednomen&uerbum funtfignaseuuoces: ratur.ficutea,quæartificummanuseffingunt præterna itaq; maior, ergo &c.propofitioallumptaest,utperseno turæopis,lignum,scilicetæs,aurumue,nilreliquumha ta. Signum est illa græca particula (quidem igitur) quæ bent, nisi quodarsuerapersua inftrumenta hocuelillo uel executionisfitnota, uel fineulla approbationeexpro positis inferens,m e a m sententiam confirmabit id effe fine approbatione aliqua pofitum . ut communiter affertum abomnibus:Secundusfyllogismuseritibi.(Etquems admodum &c.) ut secunda pars definitionis ponatur, significare, scilicet a positione. Quod tanquam perfe notum, nondemonftrat, sed quia non omnino,cinealiy qua controuerfia eft confeffum.proptereaquodam modo ex opposito cum negatione præposita manifestat. Quod inscriptis eft manifestius, apofitionefint;& eui dentiuscóftantiusq;manifestent.Syllogismusigiturerit. quæ non omnibuseadem suntillanon a natura (quæ in omnibusuno modoinuenitur:perseidem inomnibus fimiliter operans ) sed a positione sunt ,& fignificant : minorintextu.(Etquemadmodum necliteræomnibus eædem , ficnecuoceseædem .}Itaquemaiorpropofitio fyllogismiSuessenonestadhanc inferendamconclufios nem ,quam nostra secundaratiocinatiointulit.& quæa Sueffaratiocinationisconclufio& complexiodicitur, no bisminorsecundisyllogismicumeiusapprobationeex simili literarum uiderur .nam fine ulla controuerfia ( ut bene animaduertitAmmonius)fcripturæ&literæapos fitione fignificant.licetquodammodo uertaturindus biumannomina& uerba,nátura,utPlatouideturassere re, anaconfilio, ut Arift.sentit,significaredicantur. hinc. perseunum conftituit cumuoce,naturaliopereanimaut fequetureum non aduerbaArift.nequefenfum dicere. dum infecundasuaexpofitione afferit, quam Alexandri & Afpafiieffe confirmat, hic Aristotele velle colligere similitudi singulare opus naturæ eft, fedutindiuiduumabartefor matum. Itaquenecprimum sequetur, naturalecumarti ficialiunum per se constituere: quianonutnaturale,sed néinterscripta et uoces. Sedqexhocpredicato,fignifica utarteeffectum, formatumcumsuacausaformaliperle reutnonidem,ideftapofitione:quodnorius,&firmiusin unum efficeredicitur: fimiliterres logicas et placitum f19 scriptis uidetur. Infertidemdeuocibussignificatiuis,tan uementisarbitriuminuocecontineri affirmamus:non quamgenereproximonominis& uerbi et omnium alio tamenutopusnaturæeft, per seunum genus conftituit, rum. Quæritsecundo Ammonius:cur Arift.nondixer fed tantumutapositione,&confilio, et cogitationefal cit. uoces sunt signac onceptionum. Sed eaquæ funtin &umeft ,utuoxadhocuelilludexplicandumponatur. Voce irespondet primum: cum triplexfitoratio,concel & ex communiimponentiumconfilioreferatur.Sica pra, inuoce; inscripto:desecundahicloquiturfecuny mentisrelatione,queinuocead fignificandum relinquis do respondet, voces naturae dimusficutuidere, audire: aliudeftergouocesesse,utopusnaturæ,aliudnomis na& uerbaapofitione& noftracogitatione,quæuoce utuntur,nam .quemadmodum ianua diciturlignum ,& nummusæsuelaurum ex arte, quæ imponitfiguras& tur,uocemnaturæopus ,artislogicæinftrumentum , & opusartificialeperleunum,& adalterumsignang dum relatum conftituitur. Ex hisadidquodsecuns do consequebaturpatet refponfio. non enim inconuer nienseftminuscommune,quodformam& a&umdig characteres:eodemmodo&uocesdicunturnomina, cit,contineriinaliomagiscommuniquodinpotentia cum alocutoria imagination fingunturacformantur, fie exiftensperficiacformariabaliopossitminuscommu; gna eorum ,quæ inanimouoluntantur,& talem sunt formamadeptæ:utex positionefignificent.signum est uoxmutorum articulata,quæquianonexcompofito& institutionealiorum eft,ideonomen& uerbumnondicis ni.utdeintelle&tu & cogitatiua Auer.opinaturdeanima altrice,sentiente& rationali.& ex Aristotele confirmaturses cundodeanima. 30. De forma artis in materia. Poftremo inuoce,perfe&ioplaciti,seuarbitrii,confilii,&pofitionis, effetdicendum.sedmetaphyfico& naturalihæcquæftio difficilisrelinquédaellerbonitatis,tamengratia,quambre uissime poterorefpódebo. Fed animaduertendumprimo modoeffigiantiaprogenuerit.Hoc,alterumcomitatur, easdem res logicas,utsecundo intellecta,ad logicam non ut scientiamsedartem spectare.namearuni,mentisare bitrium,utexternacausaefficiensassignatur.aquoeffig ciunturea,quæartium&sciétiarumexplicationiconuer niunt .& inuocibus,acaliisnotioribusregulis apponun tur.primopost.17. secundopofter.27. Tertioponens dum octauometaph.16.noneodemmodo,omnium unitatis per se causam requiri. Alia nanque, quæ matel riæconditionibusuacant,utintelligentiæ fiuementes,fta timens,& unum perse sunt:Aliaquæ ex materiis cons ftant,unum persefiunt:qhocidem,quodenspotentia erat;idem fita&u:efficientetantumeducentedepotens tiaina&um artificialiaperseunum conftituunt,secundo phy.13. secundode animao&tauo,non cum subie&tout naturæ indiuiduum eft,fed ut arte formatum , viue effigia tum est : artis,ac formæ artificialis esse recipiens . causa enimpropriacumsitars,& effe usartificialequiderit. Ficutcauf apropriaindiuidui& effe& in aturaliseftforma &fubftátia,effetumigitursubftantiaerit,itaproportione & fimilitudinequadam,quædeunitate& definitioneres rumartificialiumdictasunt:fereeademderebuslogicis, & uocesignificatriceapofitionedicendafunt.non enim quod inuoceexconfilio,& mentisarbitriopofitumest, quibus quibusuoxipsa, qualiformatur:& denominationeexo trin.ecussignificareapolitionedicitur,atque,utaiunt, per attributionem placiti ,ut formæ fpecialis, uoci , ut cantibus omnibus,nondefinitecontractisad110men,& uerbum :nam uoxfignificatiuapartem communitsimam generis nominis & uerbi & orationis conitituit non pros materiæ sive generi magis communi adsunt. Necincon prienomen&uerbumtantum: Differentiam aut eniliter ueniens modusellendiinalioeft,minuscommunisinma rarum abelcmentis quam Ammonius accepitaDionys giscommunifiueformæinmateria,utSuetreuidetur,quo fio,lumasabArist.inlibrocnim poeticorumait. Eles niamquartophy.23.Primus modusnumeraturpartisin mentumuocéeffeindiuuduam:ergoproprieinuoce.sed toto,tecundustotiusinpartibustertiusspecieiingenere, ad sensumpatetliterasparteseorumeflequæscribuntur. quartusgenerisinspecie,quintusspeciei,leuformęinmai Quæriturcurpassionesuocauit,&fimilitudinesuelfimu feria &c.NecualetfuaobiectiocontraPorphyrium: lacra. Ut Ammonius dicit. Sueffarespondet proptereafie fequeretur Arist. Intampaucis uerbis ambigue dicere. militudinesappellari,qarederiuaniur:passionesuero, utanimum ipfum perficiunt:conceptus,utprincipilim, & ratiointelligendi.Sedcontra,quiarecteAmmoniusin terpretatur,fimulacrarerumdicuntur,nonquiacausa, taarebusutphantafmatibus fiue sensu perceptis.sed quoniamrerumnaturas,quoadlicet,representant.utin picturisdemonftrat.in quibus mutare,ac transformare naturasreprefentatasnonlicet.Prætereaconceptus,nifi constituanturnouarumrerumuocabula,remiamconcer ptam& cognitam supponunt. Non igitur proprieprincis piumseuratiocognofcendidicentur:nisiutspecies& phantasma, ut obiectum alumina intellectusagéus,eftdes puratum, utaiunt, formatum et illustratum . Item non explicatquem animum passionesperficiant.quianon mentemperseimpatibilein,utAuer.opinatur.Sedani mam seumentem phantafticam,ideftexiftentem inphan tasia,utoprimePselliusexplicauit.attributiueenimmens quiadudicit.{eaquesuntinuoce. sumiturutparsminus communisintoto,ideftinmagiscommuni.cum uero fequitur,{funtfignaearumpassionumquæfuntinanima} nuncfumiturutaccidens& formainsubiecto.Sedcons traquiaæque ipfumin conueniens hoc fequetur: cumpla citum ,fiue confilium ,uoci non hæreat denominatione interna, ideftintrinfecus.sedaconfilioimponentiumaty tributú,utfigno:Placitumergofiuearbitrium,pactio,& mentiscogitatioeftinuoce utsigno.non cuiextraanis mæoperationeminhæreat:sedpassionesanimærationa liconueniuntutactueamformantesacperficientesetiam dum dormimus. Item proprius modus elrendi in alio maxime dicitur ultimus,utinlocoueluale.aliitrans lumptiue,ideftpertranslationem,utArift.& Commentator afirmant. Tertio queritur(quod primo loco quæren dun fuerat) anperuoce,ergoaliquidexpropofitisinfe rat, anexecutionisfitnota.S.Tho.aitexpræmissiscons cludere,hoc modo.quia Arift.dixit{oportetponere quidnomen8uerbum&c.}Shęcsuntuocessigniíicatii caduca&infirmapatibilis,&poftremoinhominesola mortalis.SedhicprimumquærocurfolumArift.passion num & fimilitudinum seusimulacrorum meminit:Respo deturcuprincipiointelletusfiuemensphantasticarerum qualiadumbratas intelligentias & fimilitudinesrecipit, his ut patiens i l lu f tratur u t patibilis intellectus. Hinc requistur, easfimilitudines,utanimam perficiuntphantafticam, passionesuocari,perficientes, acillustranteseamnuilo contrarioantecorrupro. hęmecfimilitudinesdicütur (ut oítendimusexAmmoniojurrerumnaturasquoadlicet representant.& conceptus,utabintelle&tupatibiliseu possibiliconcipiuntur,autiam suntconceptæ.Secundo ponendum intelle&tum patibilem ,idestpossibilem ad passiones & fimilitudines (cum easprimumcócipit) conferri, ut poteftateeftomniailla, tertiodeanima.14.17. quemadmodum tabulainquanihileftafcriptumfiuefir &um .Indeetiam sequiturtertio.intellectumsemperesse uerum.tertio de anima 21. ideft non errare .sed intelles Etussecundoprogressusultracomponitillaspassiones, utsimpliciaintelle&a:&họcquandoßuerequandog falsecompræhendit (ut infrasectionequintadatur opis nio falfa) ac apositione,confilio,fiuearbitrioopinatur. Buntur sunt notæ eorum quæ sunt in voce, nonautemdi dequibusAlexanderforteait.deeisdemrebusfæpe uæ:ergooportetuocumsignificationemexponere,seu rectiusponere.ContraplacetSueffecum græcisomnibus notam elleexecutionis:Sednecipsequicontradicitdiffi cilerefellitur,nóenimdiuusTho.afirmat(ergo aliquid supra  tra & tatum, seu, ut ipsia i u n t , colligere supra execustum, sed ex prædi&tisacpræceptisinferre,infraconfidei randaspræcognitiones.utnosetiam diximus.&itaes xecutionisest nota. proptereanonuniuersatimeftuer rum(quidemigitur)notam efleexecutionis,quæexan te positis no ntr a haturnam nomen definiens, nomen (in quitquidemigitureftuox&c.)definitioautem nominis exantecognitispartibusfequitur.fimilitersecundoprio rumdeenthimematetractans,declarato,& pofitoquidfis gnumdicatur,intulit(Enthimemaqudemigitureftfyllor gismusimperfe&us.) sedaliiarbitrantur,ornatuscaufaa græcisponi.ficanoftrislatinis(quidem enim ) adexory nandam orationem ponuntur : Mihi Arift.uerba & pro cellumconsideranci,quandoqueepilogi,quandoqexer cutionis, siue ornatus ellenota uidetur: quodfacileex fuperiore& inferior scriptura,ne ambigua çftimentur, perspicuum fiet. Quærit Ammonius cur dixerit.quçscri nosdiuersossensushabere.inquoMagentinusfruftraco natur,Alexandrum arguere.itaphisensusuarii(quos exuerisfimplicibuscognitis,& eifdem,acanaturacon dinonsuntliterę &elementasedhorumpartesisecundo fiftentibusintelle&usconiungit)nonomnibusiidem Xerit.literæ&elementasuntfignaeorum,quæinuoce: duobusmodisrespondet,primohicArif.denomine& uerbo,acaliispropositisinproæmiospeculari,cuiusmo aitq si'uerbumArisadomnemdi&ionemextenditur.lij teræ propric sub his continentur quem scribuntur ,elemens taueroquæ proprie in prolatione consistunt, subhisquę in uoce . Sed Arift. generatim loquitur de uocibus signifi catiuis ut pars definitioniseftomnium, quæinproæmio definireproposuit.Sed in libro poeticorum elementum definitur, quoxfitindiuidua:nonomnis,scilicetperse fignificans:sedexquaintelligibilisuoxfieripoteft.hic uero dixit(eaquæsuntinuoce).i.arbitrium,confilium, anpassionessimplicesquasdeipsishabemus,easdemres cognitio,intelligentiasuntfignafignificantia,& intelli fignificare dicantur: cum semperfintdistinguendeutdie gentiam conceptuun explicantia,nonigiturhiceftfers uerfasrescontinentes Respondeasaliudeiledicerepaso mopropriedeelementissxliteris,quæeademsuntre,li fiones primaseffefimilitudineseasdem,idefta natura cetratione quamdiximusdifferant,leddeuocibusfignifi constantes,aliudpassionesessenaturalesfimilitudines rempatibilem affirmamus.primodeanima65.66.tery tiodeanima 20.ratione phantasiæ,fiuecogitatiue.quæ funt,licetapositione&opinantiumconfiliopendeant. hispositis,patethorum duntaxat Arist.meminiffe,quia hæc sola sintuereomnibuseadem, adquæ animacons paraturutpotestaterecipiens:quamobrem passiones Arift.appellauit.aliiautemconceptus,autnon iidemdi cuntur,autadillas,quasdiximuspassiones& fimilitudi, nes,reducuntur.hæcdehisha&enusquætuncdocenda eruntcumdeanimadicemus.Deæquiuocisambigunt.    idestnaturaconsistenteshabebunt:quibuspluracognos scunt,& representant, acreferunt.licetuoces (quarum proprieambiguitasdicitur,nonnaturasinteædem feda positionesignificent:æquoca enim rem unam cominus nemnon habent: fedtantumuocem.&hçcresponsio,diz uiThomæ dictis,eftfuita.Sedobiicies utSuella contra Porphyriumubiuocesfunteædemaconfilio,pofitæ, easdemprimasconceptionesfineerroreautfalsosignifi, cant;nonergoambigueloquicontingeret,nequedifting bis.ubinaminAri.patet,similitudinesinprimisesseres rum simulacra& naturaliaficutresnatura eædem omnis bus sunt?Respondeasextertiodeanima.38.animam, quodammodo efficiomnia,cum omnium formas,aut sensu,autmentesuscipiat:&quiafingulorumformæper animam cognoscuntur,lapisautem noneftinanima ,sed species&formaeiusprimumlapidemrepresentans.Pri mumergosimilitudines,&speciesrem&lapidemrepre reautillicArist.dicit.Ad phantasmata intelle&usconfers tur,ut sensus ad fenfibilia:a quibus natura mouemur : atqueimpossibiledicitur,quinuisistangamur.Itemne celleArilair,intelligentcm phantasmara,idefteorumfis militudines,fpeculari tex.39.res autem o narura constent, tanquam omnibus perspicuum omittatur . Amnionius di de anima }ad poftremo relatum dixit .cæterum prodig tum de hiseflein'librisdeanima,fcilicettertio de anir TEX. BOETHIT. De hisueròdictumestinijs,quisuntdeanima,alte riusenimeftnegocij. eiufdemreiueldiuerfarum.namanaloga,utprimum offensioadarteriam,fidecófulto&compofitofiat,illac concipiuntur,diuersacontinent,ordine,comparatione quacommeatspiritusuoxeft:tussisuero,nonefteauox: seuproportioneadunum collata.tamen eorum primęin telligentiæfcuconceptioneseædemdicuntur,ideftnatur ranonarbitriouariæficutuoces:quxcomparatione,reu proportione dicta a positione significant.simili ratione ambigua, ideftæquiuoca,primasconceptioneseasdem, nus,quicumsignificationealiquaemittitur.)Sedpoftula quamuis per eadem loca,machinamenta proueniat.quia, scilicetnonexpropositoaccidit(namaitfinecogitatio neautconfiliouoxmissa,nonestuox.nam;hocomnino indefinitioneuociscollocandumeft.quoniamuox eftso in  guere differentes,qui satis ex notis locibus ,atque errore, conceptionibus conftituere poffent, quod fitads sentant, nam intellectus omnium ,de rebus fenfibilibus primum uenit,ex quibus uisa quædam & fimilitudines procreat.ad quasintelligensfeconuertit.& cum intelli uersariorum consilium ,aut quid ueline Dicas his disting dioneutiopusnoneffe,quibusitahæcnomina suntper {picua& communia,utquasidomi ab ipsorum pofitione nascantur. Sed his qui quasi modo nascentes de notissimis rebus atque nominibus hæsitant ,nihilq;ab aliisexplicar tum nouerunt:qua de causa,diftin&tio in bis nominibus fiet,quæ habentur dubia : quorum res abditæ & arbis trium confilium plurimarum rerum & conceptum non gie necesse estfimulphantasma aliquod speculari.phang ialmata enim,sicut sensibiliasunt:præterquam tertiode aninia 39.0 sunt sine materia. fecido natura constant fimi litudines:non exarbitriopendent:quiaadsimilitudines comparatur patibilis intellectus ,ut natura pure potentia autpoteftaterecipienstertiodeanima.17.14.innatura enimanimęeftunum naturaagens,alterúnaturapatiens ficutin omnialianaturamonftratur.17. tertii. Prætes perspicuuin dicitur . A d textum nunc redeamus . Ex uerbishiscollige.quod supradocuimus(uenforqui dem igitur)quandog ad exornandam orationem ab Ari. poni,uthic:nilenimexfupracognitisinfert,nequealia quid exequendum. seutractandumproponit.Queresab Arift.cur istorum naturam dillerere diligentius & proy prietates omittis ?quibusg ab animantibus instrumentis uocalibusproueniant:pulmone& asperaarteria,aquos ma.39.at conceptus dicit mentis primi,quid intererit quo minus fint phantasmata : Respordet an neque alii phantasmata sunt,uerum non finephantasmate tum in rum primo ,uocis materia aer præstatur.ab altero, voces graves et acutæeffigiemfumunt.& q articulatędicantur a lingua,palato labiis,ac dentibus ut animæ rationalis motionideseruiunt.curhçcitidemapositionc,alteraa naturaconfiftant.atquefimilitudinesrerumsintprimum fimulacra,uoces uero passionum ligna,ac notæ dicans tur:AdhæcomniaputoAristot.respondere.propterea abeo essereliâa o alteriusestpertra&ationis,ideftad aliumpertinentmodumconsiderandinaturalemdeani, ma:nampertra&arequanamrationeistaabaninia,acin ftrumentiseiusproueniant,anauoluntatependeant,ut operationes,adanimam,suumpropriumprincipiumres rumuocesprimoresgeneratimsignificare,fedlogicos feruntur,de quibus ut supra diximus,fecundo de anima . 87.88.89.90.differit.ubiuocem fignificatiuamex ima ginationeanimæ uoluntaria,Conum appellat:hinc ergo patetuocesessesignificatiuas.sicenimad interpretatio rum primo conceptus .quod ex definitione Platos nis(aquoGranımaticiacceperunt)confirmant.nomen nemdicunturconferretex.88.10.& apositionesignifica re. quia ab imaginatione significant et voluntate.ut Com mentator&Arist.asserunt.Arist.enimait(oportetanis matumeffeucrberans)& 90.(& cumimaginationeali qua,)ideituoluntaria.cuiusrationemadducens,inquit suntinaninia:& quarum pafsionum equoces primum 114 gnasunt&c.)sedcótra.quiaeodemmodonomendefini, tura logico, poeta, atque grammatico.id autem(utue rum fit) in definition nominis declarabimus .secundo fin nisharumuo cum eft idem eiadquemoratioenunciatiua refertur.hicautemeftinterpretatiorerumconceptarum, quæ idemsuntquod conceptus:Scotus uero quæstione secunda respondet.conceptus fignificarerem ,utfimilitu do & speciesrei,nonutaccidensanimædicitur,Sednon quæriturhoc,sed duntaxat,an uoces principaliter,seu uox enim eft quidam sonus fignificatiuus ,non naturali ter,ut significatiuus est fonus refpirati acris .sicuttussis: fed ab alio libero mouente hunc aerem ad arteriam.) Ing quit etiam Themiftius acute hunc locum perspiciens hus iusergoaeris(quem spirando reddimus) percussion & quibusimaginationem pafsiuiintellc tusnomine appels landamcensuit.tertiodeanima.20.primodeanima.6s. 66. ex quibus tam obscuris verbis non poteft concludi aliud,nifiquod poftremo deduximus.non enim uideo quid suadi&a sequatur,fiprimi& aliiaprimis concepti bus non sunt phantasmata,non tamen sine phantasmate, line quo nihil intelligit animam , nisi conceptus primo phantasmata representare & necesario : ut intulimus. Mihiautemuifumeft,fermonemArift.adomniasupra di& a potuisse referri,cuius uerifimile argumentum poteft esse. dixit{di&um eft,quidem ergo inhisquæ de ani ma,}ideftlibrisduobus secundo& tertio:utretulimus; non tertio solum ut Ammoniusopinatur.Etutfinemtan demquærendi faciamus.paucisadhæcadditis,poftres moquæramusnominafiueuocesanprimofignificent res,anconceptus?Quidamrespondent,grammaticos finientes quod subftantiam uel qualitatem significet. & hicArift.quæ inuoce,lignasuntearumpassionumquæ De his quidem igitur dicemus in hisquedeanimaalte. riusenim estnegocij: &um hocArift.{Dehisquidem di&um eftinhis,quæ   in primis res aut conceptiones significent. Propterea ues riusadrem,& fenfum accedés,refpódeo:& nobiscum,8C sinominibus non concinnat suella,re tamé idem affirmat cumAlexádro. primumpono,uoces,tanquamultimoin? Tentumfiné & principalius, mediatetamen, fignificareres. & extremum, uoces,an res ipsas significent {'in cótrariam partemArift.& Comment. (& quæfcribunturfigna& no iæsunteorumquæinuoce)&liuocesprimosignificant conceptus,&conceptusprimumres,scripturæergopris mum uocesdeclarant. sedcótrarium,leniuumteltimonio & experimentomonfiratur. quiascripturahominis& cei terarumrerumdequibusphilosophidifferunt,utimur,rey c u m ipfarum explicádarum caufa .præterea epiftola inuen fecundo autem minus principaliter,fed immediate,con ceptus.quæduoaffertaexemploasciemanifestanturnam ascia (utinftrumentum) efficitimmediatum .sed principay leseuprincepsefficiensestartificismanus.quoddeclar taaffirmatur,utcertioresfaciamusabsentes,siquidesset ransprimodeanimaoctauo.Themift.ait,qprincipaleac ultimo intentum cognosci & definiri, indiuiduum dicis tur:fedaliointermediocognito.formauerouniuersalis finealiomedio: ut tamen ad indiuiduum cognoscens dum refertur. Hæc di&ahisrationibusapprobantur.Id quodeosscireautnoftraautipsoruminteresset:igiturres poftremo, ut ultimü & finis,explicari intenduntur. Item fi quæscribunturfignasuntuocum,autearumquæextraani mam,quodimpossibileeft,autinanima:uocesautemin animaconceptusdicuntur,quosadrerumexplicationem inprimisuoces significant, adquodsignificandumnouos referriut sinem supraretulimus. Nunc ade aquæ adduce rumnominum inuentorim posuit.hic autem ad remexpli candamuoces consticuit.id.n. deuerboconsiderans Aril. & manifeftansuerbumfignificare,approbat,quiacóftituit intellectu. seduoxprolatahoministunc conftituit,&quie (cerefacitintelle&tum.noncumadcóceptum:sedadna turamhumanamdeducit.ergouoces,& nominatanguls timum fineminprimisintentumresexplicabunt.licetins termediisconceptibus:prætereaprimoelenchorumpris banturexArift.respondebo.nonfolumquerendumquid philofophusdicat. Sedquidcouenienterrationi& sententiæ suæ uere opinetur audiendum. Hunc enim in modum. Aristoteles Intelligimus (quæscribuntur, suntnotæeorumquç inuoce).i.confilii&arbitriiinuoce.quæsecundointelle &a& conceptusresexplicantesdicuntur.Sicinterpreteris quæ exArift.adducuntur.(quefcribuntursuntlignaeorü, quæinuoce).i.explicant(cum voces defuerint) ea, quçex plicantur per voces, quarumuice fungitur.immediateer go uoces,sednontanquamultimum &extremum,quod mo,uocum finemdeclaransArist.ait:quoniamresaddil serendumafferrenonpoffumus,utimurnominibusloco rerum :ad explicationem ergo rerum ,cófideratiouocum referturnonconceptuum,utfinemulcimum.Amplius.4. idemopusexercetcumeo, cuiusuicemgerit, utdeconsu metaph.28. ratioilliusrei,cuiusnomeneftfignum,defini tioeftuoxigiturreiperdefinitionemexplicatæ,fignum dicetur.Itemteftimoniofenfuum confirmatur:quorum clara& certaiudiciasunt, eorumquærationeetiamiudis cantur.Ad quidenimtam diu expectamus, flagitamusuo le, rege et pro-consule, siue proregein vollendiscontro uersiis perspicuum est. Scripta autem uocum uicem exercent. Idem ergoextremum significatum habebunt.expli cationem, scilicet, conceptarum rerum. Amplius literarum inuentor, ad rerum explicationem direxit, & Auer.ait(cri cum interpretationem: nisiueriinueniédigratiainrebus, pturassignificareuerba,ideftfinemedio&fignificatauer quascognoscere3[cireftatuimus:I denimuolumus& borum,cumforte uocesdefuerint,hæcdequestionibus ardemusdefideriotangextremum. Adhæc.ficonceptus suntinftrumentaipsarumuocum.utadrerumnotitiáme diisconceptibusducant.nó igitur ultimum & extremum que verum ad b u c est. Signum autem huius est, hır c o c e e ruus enim aliquid significat, fed non dumuerum aliquid, -uel falfum, finonuelese,uelnonesseaddatur,uclfine pliciter,uelfecundum tempus. Estautemquemadmodum inanimaaliquandoquidem o falfum . Nomina quidem igituripsa Q uerba consimi liafunteiintelligentiæque estsinecompositioneo diuie suimus,&rationibusacsensibus,rationemconfirmatibus fone,uthomouelalbum,quandononaliquidadditur:nes approbauimus.Pugnabispoftremo,fiuoces,mediiscon queenimfalfum,nequeuerumadhucest. signumautem ceptibusexplicationem rerum efficiunt:cum immediate bus ueritas& falfitas inuenitur, hæc autem cnceptus sunt, non res ipsę. respondeasuerum & falsum inconceptibus, ut in rerum fimilitudine inueniri :quæadipfarumuerará rerumcognitionemrefertur.ueruminrebuseft,utincau fa.inpoftprædicamentiscap.depriori& infinehuiuspri m i libri.itap attributiue.i.per attributioné & collationem adres,ueritasinconceptibuserit:uereautem,utincausa, inrebus. Dicespropterquodunúquodątale& illudma césrefertur,ueasciaadmanusartificum:quodsuprapor fignificatumnon ab organo sumi oportere:sedultimo explicare conftituunt.nam quod uicem alterius perficit, dum uerumaliquiduelfalfum;sinonuelesseuel noneffe  fatis , ac principale fignificatumuocum dicétur. Etfiobiicietati quidem intellectusfincuero,uelfalso,aliquandoautemcuiiam quisArift.textum,quemretulimus. uocesprimumsignis ficareconceptus:intelligasfinemedio alio.non tamen,ut necesseesthorumalterumineffe,ficetiaminuoce.Circa compofitionem.n.odiuifionem,eftuerum ,o falfum.No ultimum & extremum significatun. Nam uoces dicuntur significare conceptus, ut rerii sunt similitudines.utab ipsis rebus conceptus uenisse ad intelletum dicamus, quas nouissime, ut finem et ultimum intermedia sconceptibus per voces clariores NOSCAMUS. Nec secundum eorum argumentum concludet. Voces ea in primis ut finem significare in quis mina igitur ipsa et verba consimilia sunt ei, qui fine come gis. Si ergo voces, mediis conceptibus, explicantres, igitur uoces magis et inprimis conceptus, qresipsasaperient. Dic Aristoteles locum ualere in causa principe.i.principali non iuuante tanquam instrumento, quomodo conceptus aduo intellecus et cogitation fine ucrouel falso, aliquando autem cuiiam necesse estalterumhorum inesef, ic,etiam inuos ce.Circa compositionem enim et divisionem estuerum conceptus, ut accidentia denotent, nunquam substantiam explicabunt. Paucis, ut supra, respondeas,tocum propria addatur, uel simpliciter uel secundum tempus et extremo fine intent. Quod quandoq substantia quando g accidens appellatur. Huic veritati Alexander et Themistius ascribunt, etc. Ammonius non dissentit. Secundo quæs ritur, an scripturæ fiue quæ scribuntur, tanquamultimum Magentinus hunc in modum Aristotelis.textum cum præce denticonne&tit.cum duo sintinueftigata. Primiiquonam modo nominis & uerbi signification intelligenda ellerutrum TEX. BOETHII. Est autem, quem ad modum in anima, aliquando positione, divisione est, intellectui. Ut homo , uelale bum, quando non aliquid additur, neque enim falsum. Ne huius est, quia “hircocervus” aliquid significat sed none E   hæc duofineab Aristotele, pofita, caulam & finem curitapo ratiocinatur. Quem ad modum in anima intelle usquando fuerit, non declarant :ut.l. quid nominis partium definir tionis nominis,& uerbiorationis, enunciatiuæ tang præs cognitionesponag ntur. Alterum etiam secundodicúrey fello. Non et enim videoubiinueftigauerit Aristotele inquibus verum et falsum inveniretur. Quod nucquoginueftigare constituat. Itempugnantiacum Ammon. dicit. aitenim inanimaeftquandoquerumautfalfum.&itaprobatio Ammonius .per hæc utilitateinad inftitutæ commentatio , effet minorisibi. Circacain positionem. n.intellectus& di nis propositum tradi.cum. C. verum et falsum sit in mentis uifionemeftuerumautfalfum.}conclufioutclaratuncre concepribus&uocibusutsignificantibus,&quodnúcdo linqueretur.ergoitaeritinuoce.seduerearguitexhypo cetphilosophusnoninhisfimplicibus:sedcompofitisue theli, nonpotentiacathegoricosyllogismo.nam cumpos rum&falsumspectari.nonnominibus,nisiutperoratio fitionemquodammodoignotammanifestet,nonfyllogir n e m enunciatiuam a firmativam coniunctis, vel per negativ uam diuisis, ita gnó in quit hæc quæ diximus Aristotele docuif m o arguit. Ex quo aliud ignotum natura concluditur, sed ex hypothesi, ut diximus.& infradicemus. Prætereaut Commen & Ammonius asserunt.ibi{circacompofitionem enim & diuisionem}non minorem .sedapprobationem uniuspartisantecedentisapponit. aliquádointellectus cumuero&falsofit.signumestparticula{enim}quæcau sam propositidenotat,fcilicet quia uerum & falfum sunt circacompositionem, id est affirmatione,quaaliquid cum falsum in compofitione et divisione sequuntur intétiones se:sednuncdocere&inconceptibus&uocibusutsigni? ficatiuis,falsum & uerum fpe& ari,dum coniunguntur aut diuidunturnonpersesumptis.Addeex Amm.hæc Aris. nuncdocereutalteramorationispartemantecognoscat. DicesproMagentinoillaquædixit,ab Amm.ferèaduer bum fuperioritextusumpfife.cuminquit(cumhæcitaq percaquæ nuncdicunturtradentur.Iuocesessesignificati was rerum mediis conceptibus:tum uel maxime quibus in rebus quocunq; fuerit m o d o ueritatem ac falfitatem scruz tariconuenict)C.inhoctex. Addés ueroquçintextusupe intellectus.i. sunt in anima,sextometaph.8.ergoeruntin riori confideret ait.(de quibus in præsentia nobis perpen uocibus seu uerbis significantibus ipsas conceptiones ,ut fioest. Utrumin rebus anmentis conceptibus, an uocibus, Comen. animaduertit. Exhis declaratis etiam patet,q in aninquibufdam. harumduabus: anetiaminomnibus. telle&usfitaliquandofincueroautfalso,idq;tangexsuo fiinuocibusqualibushisscilicetcompofitis.nonnomine & uerbo& prædicamentis,itaincompositisconceptibus qui caufa funtlocum, noperleinsimplicibusneccompo! fitisrebus) Sed animaduerte quod dixerit(nobisperpésio uisionez.i.lineueroautfalso.hæcexemplomanifeftatsubs inprçsentiaeft)quod tamen inferius considerabit.neg dicitab Arifthæcquæ ipse perpendit,inueftigata.nec'ait InueftigasseAristan significationominis& uerbisolī,pen deatexuocetantum,anexintelligentiauelrebus:sedquo cunq;fueritmodo,inhisueritas& falfitaseft,utexplicátis businftrumétis.hacenimrationeresipfasabiecit.adquas famenutextremum&finemultimumexplicandas,uoces tere&nonadmittunt:ergonecdequominus:nistuery & conceptiones animæ referuntur, q siquispiamhęcquæ bum effeaffirmatum, aut non effe negatum addatur. fim eft fine uero aut falso, quando cuihorum alteruminesse necesse eft, ita& in uoce: hoctotumeftpropofitiomaior, affumptio&minoribi.circacompofitionemenim&diui rionemestuerum& falsum ,&noncircasimplicia,itaergo eritinuoce.Sedcótra:quiaminorhæceffedebuiflet:fed aliocomponisignificatur,autdiuifioné,idestnegationé, quaexplicaturprçdicatumasubie&todisiúgi.& uerum & oppositoperspicuúutcorolarium& cófequensposuitcū ait.{nominaquidemigituripsa& uerbaconsimiliasuntei intelligentięfiueintellectuiquiestfinecompositione& di ftantię& accidétis:hominis.C.&albi.utexhisomniaalia prædicamenta intelligatur. quando.n.his non aliquid ads ditur, fcilicetuerbumprædicatumalbumcumhomine suz biectoconiungens,nequefalfumnequeuerumadhuceft. Hoc denominehyrcoceruimanifeftat,nanquehuiusinor di compofita nomina uidentur uerum aut falsum admity  exvocetanti:m,autsolaintelligentin,anexresolumuos ex Anmonio dicimus non probarit, inutrunqzfitdi&tum. Cesitemper animi sensus rerum elleinterpretes.Secundo inquibusuerum &falum inuenireiur.quòdnunequoß idoftendendtiArist.proponit.fedutrunchiltorum reiicio. non eniinfuprainuestigauit.Sedpofuit,utpersenorum, S.Tho. dicitq postquam tradiditordinem significationis uocum, hicagitde diuersauocumfignificatione:quarum quædam uerum & falfumfignificant:quædam non.Sedli cetuerumdicatur,utdeAmmonioreiulinius:tamenfine nomina&uerbafignificatiuaefle,cxhocpeaquæsuntin cuiusgratiaistaponantur,fubricuit:Licédumigiturcum uocefuntfigna& notæsignificantespassionesnullomes diointerie&o,hisautem mediis, tanquam ultimui ,res explicare.prçterea non uideo ubi inuestigarit,an nominis & uerbifignificatiointelligendaessetexuocetantum,aut intelligentiatantum,autexresolum:fedhocposuit(funt uæ,quibusetiamdifferebantabaliis:nuncuelleconstitue quidem ergoquęfuntinuoce &c.utsignificatiofumatur non exuocetantum,nonintelligentia,fedarbitrio,cogni tione, et CONSILIO et  imponentium consensu, quem in uoce refeuantecognosceredifferétiam, quaoratiodiffertano mine&uerbo:&quaoratioenunciatiuaaboraroriis8C poeticisoptantibus&c.separatur.& quoniamquępones reoportet,& antecognoscere,utpersenota,nõnisialiquo facili instrument innuidebét.nullomodo demonstrari. proptereaexfimiliseuhypothefi,&cóceflo,acpofitotery expaétione& confilioreliquerunt.acuociperattributio nédederunt,atnullamentioeftfaétaderebus,anabeasu mendaefletsignificationominis,& uerbi,quoniammaxiy m u m esset ignorationis,ac inscitiæ in Arift.argumentum , firem tam perspicuam ,nec dubiain pro occulta quæliffet tiam definitionis partem & differentiam manifeftat.cũ inz quit.(esid..)ubi, ',proenim Magentinusuertit.utcaus sam hicassignareuelit.utAmmonius &.S.Thomas dixerút, acdubia.cuieniniuelrudi dubium uideretur,nomen & uerbum (quod ut organum & instrumentum significat)a- rebus,inftrumentisignificatiui&Organicognoscendialte rum ,significationem habere,cum tantü significentur,& nul lomodo significentine ignificare& explicare,utorgas num logicum uideantur?Item ea significatioerat nomio nis& uerbiponenda,quæutpræcognitiopartium defini tionisadeacognoscendadirigeret.hæcautem eftuoxa de quo nuncdifferemus.aitergo deantecedentesyllogiss miexposito.{ficutuelquemadmodumenimeftinanima intellectus cogitatio,intelligentia.(vóruceenim ifta signifie cat.)aliquandoquidemsineuerouelfallo:aliquandouer rocuinecesseesthorum alteruminesse.}Exhocposito & notioriantecedenteinfertquodammodoignotumin choantibusconsequens.(ficetiam& inuoce)utsignis& notis conceptuum erit,aliquando sine uero uel fallout in nominibus& uerbis,aliquandocuinecesseestiamhorum alterumineffe:utinorationeenunciatiua,Suellaueroita pofitione fignificans,non res tantum significata:a uoce er go& intelligentiainvocerelicta,8Ctributafiueattributa lignificationominis&uerbipident,noarebus.Amplius: Suela (nam licet fupra male textum Arist.declararit Sucr sa,nuncueritatecoaausidem dicitquodnosinexplicans do philofophodicebamus)pofitisduabus partibusdefini tioniscómunibusnomini& uerbo& orationienunciatis pliciter,  efle,quamartemutexemplar,adopuseffin latenus (incaliquiduocum: neceorumquæ in uoce,nout gendumexteriusafpicit,qopusexartenotioriinmates finis:cumconceptuspriorfituoce& ueritatequęinuoce confiftit:nonutagens.quiaresagensest,aquaoratioues taautfalsauocatur.sednondifficileestAmm.&.S.Tho. sententiam& opinionem ,aSuessæargumentisdefendere. primum, absurdumaffirmat. Conceptus non tangformam ficant: quiinvocetangartificialimateriarelinquütur:quo esseueriautfalliinuoce,cumnecaliquidfintvocum,nec cumuiuocessuntnotæ:Exhisrespondemus:rationem eorum quæsuntinuoce:Peroenimabeocumsupradixe ritArift.eaquæfuntinuoce&c.nonnifiarbitrium,&pla citum, cogitatiointelligitur: ut ipse metcum locum interpretans, opinatur: ergo conceptus est aliquid existens in voce, non utopus naturaleest,sed arte.i. uoluntate: confi&um . Itemipfeconfiteturuocemsignificatiuam,communeges nusnominisuerbi&orationisenunciatiuęuocari:nõuo lessuntsimilitudinesrerum.Seddicessecundomenunc cé,utnaturaleopus. ergoutacognitione, imaginatione pugnantiadicerecumhis,quæanteacontraAnimo.Boe uoluntariaeffi&taeft:utsignumfitadaliudextraexplican thium,& Scotum diximus: orationen dariinméte& no dum relatum:Etfecundodeanima90.Averroes et Themist. tioremesseea,quæinuoceconfiftit.Diximusadhçcartis fumentes ab Arift.asserunt:essentiamuocisinterpretatis inuentoribusueliaminuentamdocentibus,ineodem no efle percussionem aeris anhelati, ad membrum quod cana tioremesseartem, acconceptionescūuero& falsoinani dicitur,abexpulfioneanimæimaginatiuæuoluntariæ:& ma,quamexteriusopuseffictum:ficinpropofito,excong infraqinessendouocemnecesseestutpercutienshabeat ceptibus rationem coposuit, notioribusapositionesignifi animamimaginatiuam,8tuoluntatem:effentiaergouol catis:quiquodammodonotiores:utindu&ionesensata cispendet abipsoconceptu& placitoreliétoapositione patet.infraenim se&ionequintaexoppositionemaioriin inuoce,tangforma:&uox (uropusnaturæinterpretans mente, explicatitae! Tein uoce: Item placitum eft caufa, a placito) abanimaetiá ,tangagente, depédet:nam 87.& 90.secundo de anima.percussiorespiratiaerisad uocala arteriam ab anima (quæinhispartibus) uoxeftutefficien tecausa.hincCómen.inprincipiocómentiait.(oportet igiturutpercussioaerisanhelatiabanima,queestisismé præcognitionempartistertiędefinitionisratiocinatur:no brisadcannam, fitilludquodfacituoc@)&inmediocom igiturdemonftrationemeffecit.quæadnaturaliterignos menti:(primum enim mouensinuoce,estanima,imagina tiua& concupiscibilis:& ideouox eftsonusilliusprimi uolentis& mouentis.)Etq etiamdicipofsitquodammo dofinisuocum, perspicuum est ex his,quæ fupradocuio mus: fine muocum effè eriam res conceptas: namorgal na ad eorum opera ,tang finem & ultima,diriguntur.pris mo topic.9.cumnonpropterse,sedpropteralterum exo petantur:seduocesfignafunt& notæ conceptuú,adquos explicandosreferimus:finesergomedii,licetnon ultimi tumdir igitur. Secundo post.primo.necillam(utperitus ad rem per se nota efficere potuit. ne ipse suampręcogni tionum artem confirmaturusexperimentocontrarioinfir maret.Itidemminimeconsecurionem ualeredicimus:ra tioexcaufiseftnotioribus,ergodemóftrationempropter quid aut simpliciter constituereaffirmabitur.quoniam alte rum& pręcipuum demonftratiodi&arequirit.utadigno tum naturaliter dirigatur, non ad pręcognitionem ponendam, utpersenotam :nam primopofte.2.veręetiàdefis uocabuntur:Exhisfacileeiusrationibusrespondemus. nitiones,quidtantumnominisnonuerædefinitionisuim haberedicunturabAuer.utpræcognitionessunt:ita&fi hæc præcognitio ex caufamonftretur,nonutdemonstras tiua, fedutexfimiliaccepta,&uisa, &alibideclarata;pros ptereatopica potius,quàmdemonftransuocanda:noto pica,o fitdubia,autfalfa,immouera,sedhicacceptaalig biuisaphilosopho,& hicpofita,utcredita:dequo latius ressecundum feeffedicantur,nótamenapudeosquicon ceprus& res conceptas ignorant:adquarumexplication nem,utultimum,referuntur. Adtertiamdeagentedico: inquit)exAmmonioait. Primo quiahæcconfi&anomina rem , agensremotumuocari: aquo intelle&us phantasticus falsum significare uidentur: ut.S.Tho.ait.Sedcótra.quia fimilitudinéabftrahit:sedanima,utnaturaagens,uocem ab Aristotele dicitur (fed non dum uerum aut falsum signifi interpretantem (tang operationem propria mefficit, &lo cant. Nifi effe aut non effe addatur): ergoutrunquefignis gicotradit:cuilogicuspropriumconsiderandimodum ficareuidentur.Itemcausaassignandafuiffet,curexem attribuens,utinftrumentumsignificandi& explicandicon pliscöpositis (que uerum fignificare potius etiá uidentur) Ad primam ,utpatet, intelligentia,inuoceartecong fi&tareli&ta,eft,utaliquiduocis.i.forma.Ad secundam Q non fitfinis,nonualet,idpriuseft,ergonon finis:Deus enimeftpriormotu&creatura,quæadDeicognitionem deducunt,utsigna& effe&taadsuumfinemcognoscenda directa:fimiliterdicaturdeuocibus, & ficóceptusprio riaexternareli&um :manifeftumeftargumentumqdixit Arist.nonuoces:sedeaquæsuntinuoce,suntsignapass fionum&conceptuum,utnaturaliumsimulacrorú&res rum fimilitudinum.i.cóceptusapositione,(utratio)signi exfimilinotiori,& fuperiusabArif.pofito,exlibrisdeani maprocessisle: ficutinanima eftaliquandointelle us fineueroautfalso,aliquandocum horum altero:ita& in uoce:&deuero& falsoloquitur(utAlex.& Ammo.ac cæteriboniexpositoresaffirmant)orationisenunciatiuæ, & denominibusfignificantibusaplacito,nonutnaturas quamobremuocessignificantcúfiuntnotæ.Necproptes reao conceptusutcaufedicuntur.quosnomina& uoces tanquamfigna& effetusimitantur,afferendúeftArif.des monftrantem rationem efficere:namhich ypotheticèad Deoda nieprimotopic.dicemus. QuæruntcurArift.fis &aprotulitexemplapotiusquàmuera.Sueflasumens(ut  pliciter,quod præsentis efttemporis .aut secundum tome pus.i.præteritum& futurumutCom.explicauit. De Am moniiexpositionedicemustunc,cumaddubiaresponden bimus. QuæritprimúSuessa.qualisnam ratiocinatioAris. fuerit(quéadmodum inanimaquandoqintelligétiafine ueroautfallo,quandoquehorumalterumnecetleeft in esse.)respondet.S.Tho.& Ammo. intex.præcedenti,nes liderat,accognoscit: Respondendum ergoest(uteftdig &um )Arift.exhypothefileu positione,& ex fimili notion riprocedere: quod (quemadmodum) particuladenotat. dum asimili: sedacausaquamimitatureffe&us,proceder re.namAmmo.ait:circaenunciatiuamorationemquæ quæsupraetiam Aril.poluit:namproptereauoxfignum exillorumcomplexuefficitur, uerum et falsum spectari. &notaexteriusexplicansdicitur,qapositione&intellig ante voces quoq; hæccircaconceptuscósiderari.utqui causæ uocuinlunt,aquibusconceptusfimplicesfineueris tate, & compofiticum uero & falsodefignantur & declas tantur: Responsionem improbat Suelta: quia conceptus non causaueriautfalliinuocetangformasunt:cumnuls duftioncperspicuum eft(utAmnioniusanimaduertit)no tioremartem Seddices ratione inaliniilieffe&tamexignotisconcludes re,nanieaexquibushicratiocinatur,extertiodeanima 21. infrasumuntur:hæcautemtanquam ardua,& inchos antibus difficilia,utphilofophus,& relinquendasupra nosmonuit:Satishuicrationifaciendumarbitrorexhis, gentiaatqzarbitriopendet:ineo presertimartific equivoces impofuit: uel ab impositis et Gibi notis nominibus, regulas logicæ docet:in mente enim artificis& docétis ing E ii   quærimus, ad que causa hæc nondirigitur. Tertio dicit: ut quçinintelle&usuntfolo.sednefcioquçueritasdicipót, cuinihilextraresponderinre:cum infra& inpoftpredi camentisdicatur.abeoq resest,uelnoneftoratiodicitur uerauelf alla remota aūt causa et prima radice, ceterade ftruinec effe eft. Item Aristotele de vocibus loquitur. Propterea mihi hoc libet dicere. Hac de causa fiais exemplissuasen tentianicomproballe,o fi&aamer a positione significant: & ideo magisobuia& perspicuaacconsuetafuntadexpli candum: utquodámodonotiora,utmagisuulgata,exars omnemueritatem haberiin compofitione& diuisione.ne excludatur ueritas apud Platonem in intelligibilibus,& in telligentiisfiuemenubus,& apudArift.desimpliciuming telligentia et abstractis: fedeam que in pronunciatiuissubs est motibus, scilicet cum discursu: seu ratiocinatione: quæ perenunciatiuam fitorationem.&inniotibuspronuna ciatiuis,non invoce solum (intelligas) exiftentibus:fices nimtextuiArift.& eiusdillisaduersantiadiceret.sedetia ne&diuifionefalsum & uerumremouerineceffeeft:pro ptereaergodixit,(circacompositionem at causam noia ret:sed ad nomina in uoce descendens ait:(non significare uerum, aut falsum): significare enim proprium eftnomi num, quæinuoceacompositionesignificanteconfiftunt. PetitAmmonius quomodo uerum fit,circacomposicios innueretueritatem non in rebusreperiri:fedinhisetiam, nem et divisionenelle uerum et falsum. Responder non nonutitur: ficut utiturhis, quæ falsum significare maxime affirmantur. fecundam causam adducit: utinnueret, non solum nomina simplicia ad ueritatem explicanda indiges reuerbo sed etiam ipsa composite. Sed idem est dicendum de nominibus compositis ueris, nosautem de fictis proprie non  bitrio plurimorum: exhistamenfi&lisnominibus, aliaue ca intelligendasunt. exempla autem innotescendi gratia inuenta, exuulgatis& consuetistr ad endafunt et lificadi cantur: quibustaméuerum facilius inueniamus, autinuen tum facilius doceamus: Petit Suella cur Aristotele.dixerit conpositionem significare cum uero et falso, non autem significare uerum aut falsum i respondet, hoc differreinter significare uerum et significare cum uero:quias ignificare ueru potest uere in nomine simplici inueniri:u.g.hoc nomen uerum aut fallum, simplex verum significat.i. se ipsum: sed significare cum uero,eftfignificare cum uerbi complexu ut de uerbo dicetur, significare cum tempore, notempus: ut dies et annus sedlicethęc dubitatione relinquenda foret, cum id quærat,quodinArift.textunoneft:tamenneaus inmotibus pronunciatiuis, ideftquicaufafuntutper enung ciatiuam orationem pronuncientur,ueritasergoquacon ditorum ingenia, obuiriau&oritatem fallantur,ponere& cipitur,aut enunciatur aliquid ineffc alicui,folum circa con pofitionem & diuifionemeft,utspeciesorationisenuncia tiuæ.dixieam ueritatem circacompofitionem elle,quæ concipiturinmente ,uelexplicaturinuoce,& quaprædiy catuminesse subiectoaffirmatur:quoniam primotopic.4, loca accidentis propriè dicuntur,quibus potentes fumus concludere hæc alteriineile:& ideo locaeducentia uerum enunciative propofitionis dicuntur loca accidentis et veritatis qua aliquid alicui in esse concipitur vel explicatur:Sci scitatursecüdoAmmonius cur Aristotele dicens (nomina igitur et uerba consimiliaíunteiqui sine compositione et divisione est intelleclui exempla protulittantum nommun, non uerborum dicens, ut “homo” vel “album”. Respondet per hominem nomen: per “album” verbum fumpfiffe: non eata meninquitratione, qua verbum proprie inferius definitur. Sed quia Aristotele statuit, omnemvuocem quæt erminum prædicatum facit, verbum appellanda. Sed responsio hęc improbandauidetur:primum q Arift.nondieetinfraprę refellereconstitui:non.n.Aristotele dicit compositionem cum uero aut falso significare: sed ait circa.n. compositionem et divisionem elle veritatem et falsitatem. Item de “hircoscervi” nomine afferuit. “Chircocervus” aliquid significat, sed non dum uerum aut falsum) denominibusergoopposiy dicatumu erbum appellandum fore: quod fictiam dices tum dicit eiquod Suellafingebat: nomina non significare ret, exemplum albiquod posueratantea, adexplicandum uerum aut falsum, sed significare sine vero aut salso:Eiusery uere uerbum, inutile videretur:Aliter igitur responden, gore sponfioin textu Aristotele.infirmatur, cum denominibus dum. His exemplis dicta inchoantibus comprobandaque compositis neget significare verum aut fallum: differentia etiam abeo assignatauerbis Aristotele, adversatur Ampliu snec potuisset Aristotele dicere, compositionem et diuisionem verum significare, na in compositio.i.affirmatio et divisio.i.negay cumuerbonominibus:tamenutnotaprædicatumcuin ciosumerenturinuoce.quoinfradeorationeenunciatiua dubieto connectens, dubiumfaciunt, anuerum&failum dicetur. Litoratio significans verum vel falsum, &inqua fignificent, signum est. Ammoniusetiam tanquam duy eftuerum& falfumutinfignoexternosignificante:nam oratio in mente, non significate positione, ut hic intelli, bium quærit de uerbis primæ et secundæ personæ “ambulO”, “ambulaAS” et in quibus tertia persona et certas statuitur. Git signum est opde nominibus fimplicibu s& compofitis, line uerbo, intulit dicens nomina igitur ipsa auteur bacó similia sunt fine compositione et divisione intellecus. lt homo et album hircocervus quæ et si aliquid simplex significent, non dum tamen uerum aut falsum hæc autem nomini in voce sunt, noninmente: quiafiutinmēte essent, ut ningit. quæ veritatis et falsitatis videntur capacia. Licet nonperfe,fedcomplexuhorumuerborum cũcertispery fonis.nonitadubium eft de nominibus, dequibusinse acceptishæstat nemo, an veritatem significant aut falsitatem: Quærit nouissime Ammonius quid intellexerit Aristotele. Per simpliciter, uel secundum tempus cum ait. (hircocery considerentur, non dicerenturno significare uerum aut falsum et q effent fimilia intellectui fine compositione& diy uifione: quiaessentipseintelle&us,seuintelligentiafineue roautfallo:Dicédumigiturinquestionempotiusuerten dumcurdixerit.(circac compositionem.et divisionem, ut inmentesunt, est verum et falsumj denominibus autem in uocecorolarieinferens,ait:(fineuerbonondum uerum uusenim aliquidsignificat:fednondum uerumaliquid autfalsum,finon,ueleffeuelnonesseaddatur,uelfimpli citeruelfecúdumtempus.) respondet sermonem Arif.ad eadem referens verba, inquiens: nifi effe addatur fimplicis ter,ideftnisi effe addaturindefinite& indeterminate significans: ut “Fuit hircocervus” est, auterit. Non definiens, ac determinansan hodie, sero, anmane, perendie etc. vel aut falsum significare. Ad quod respondendum, quod fecundum tempus, ideftnifiaddatur cum aliqua determis propterea vox quando eftfineuero&fallo, quandoque natione tempori addita præsenti, præterito, uel futuro, cum his, quia circa compofitionem & divifionem intelle, sciliceterat,eft,erit,herianno superiori,hodie uel cras, & us eftuerum & falfum :ex quo intulit de nominibus in autsuccessiuotempore.quam tamenexplicationemaci uoce,gfintfine uero, X fallo ex eadem causa, pfimiliasing intellectui fine compofitione et divisione: circa quæuerum cipiens Magentinus uel in latinum vertens non intellexit: cumpereffef smpliciter et omnino, in,finitoacdetermi & falsum uersatur, ut caulam, quaposita, uerum aut falsum i ponitur. & hac remota (ut in nominibusfineaddito uery natotemporeintelligat. Ad tempus uero et in tempore infinito. tragelaphuserat, uel erit, hęc.n.infinitafunt: fed bouidetur, quæ fimiliasuntintelligentięfinecompositio eft presentist emporis, aitdefinitumelle:l iceteft,utdeDeo facilius conftitutamfententiamapprobant:uerbaautein (utdicetur)quandam compositionemsignificant,quam licetexsenonhabeant, sed exalio,ex compofitis,fcilicet dicitur infinitum significet: Idem.n.Deus,erat, &eft, sed in aliis rebus, tempore non definite utimurita. Hinc liquet, igitur erunt: quæ& fiacu& explicite uerbii, prædicatum et subiectum ut nomina non contineant, illatameneximigit, ergo& hic per tempusdimpliciter, tempus præsens, 8C per secundum tempus præteritum uel futurum: quæ pros ptereanuncupantur & lunt, quere tempus prælensciry cunstant, iuxtas; ipsum ponuntur: propterea dixit,(secun significat, quemadmodum in oratione quaestequus ferus. Ofitis & precognitis partibus definitionis nominis ac nunc ad definitione sponendas integrasactotas accedit: sed Ammonius quęrit cur primo de nomine äde verbo definis dumtempus) quodnonfimpliciter& ina&ueft. Sedquod .tionem assignet? respondet, proptere a nomen uerbo esse præteriit uel futurumest: solum præsens simpliciter & in actuest.utre&te. S.'Tho. exposuit: Nec Sueffe confutatio ualet,& quęliberdifferentiatemporisefttempussecundu quid:quoniamperaliquidabaliisdifferétiisdiffert:quod autemperpartemeft, fecundumquid, nonsimplicitertas antepositum , qnomen subftantiả.i. naturam et vim rerum significat: uerbum uero a&ionematqzaffetioné, quænel Cellario naturam acuimmouentem supponit. contraarguit Sueffa.substantianonnisiperaccidentiacognofcitur,prius ergouerbumdefiniendumqnomen:Ad instantiam,Am Icessedicetur: primoclenchorum.4. Sedĝfalla hæc fit monius facile diceret substantiam cognoscifinedescribir improbatio patet, quiaens, cuminsubftantiamens simplisciter diuidatur& accidens, inaĉtumfimpliciter,& potens tiam secundum quid, nequaquam uere diuideretur: quia per aliquid differ substantia ab accidente et potentia ab aétu, &fipropriedifferentiamnonhabeant.Itemratiofal lit.lihęcspeciesperaliquamdifferentiam (acuprecipue) differt, rrgo per partem.igitursecundum quid. accidentiautpofteriora.accidentiavero per substantias definiri, ut priores: fic.n.Aristotele primonaturam .2.phy.quá motumfiniuit,aquamotus,utperseprincipio,prouenit: & materiam primo phy.81.g formam .2.phy.2. quæ a materia cuiu nitur& datellelustentatur, Aliteripse respndet, proptere a nomen uerbo prætulisle, onotiuscft. Et iterbi feconuenireArift.affirmauit,fedenunciationitantu:erunt igitur enunciationes, cum enunciationispropriumopusef fignum.sedcópofitionemacueritatemcófignificatquan ficiant: Suellanouariis Sorticularumdi&tis& improbatis sententiis,hocuisumeft:literas& nominaquoadprima eorumimpo fitionem, non significarenifiincomplexum , neccum uero et falso: sedquòd quoadnouăimpositio, nem, fignificare poffunt cum vero et falso: proptereaqapo incópofitione explicarefineadditouer bonó possunt. Dis fitione sunt. Nung tamenerunt propositiones autenuncia cas Querbumetsi compositionem extremorum aétunon tiones: proptereanóualereait, a, significat cum uero aut dicat, a&tionemtamen, et affectionem significat, quæ causa fallo, ergoenunciatioerit.quoniáinquitoportetinantes eft, qpredicatumseuappositúsubie&ofiuesuppositocon cedenteaddere. fignificetexprimaimpofitione,nonau iungatur,uerbumergolempereftuniocóiungens(apritu temex noua institutione. Sed contrahancaddităconditio dinesaltem cum inpropofitionenóeft:fedcũsecundum nemexproprioarbitrio. Enúciatio primaimpofitionefis se, acpurúaccipitur: nominauerosunt composita, seu quæ significat propriecum vero et falso. Ego ubi est proprium apta sunt pera & tumuerbi coniungi, proptere a nominapen opus, necessario propriumerit inftrumentum: neq;enima dentauerbo, quasi formauniéte, & uerbiianoíequasimai nova aliqua institutione propriú opus a proprio inftrosen teria, qunici habetp uerbum. Ut materiaaŭt, tempore pre iungipoteft: proptereafi. a.b.c, etc.  novis aut antiquis concedit forma, & prius,utfacilius& ordinenecessitatisnos Giliis&pofitioneimpositasunt, ad verum et falsum,seu (ut menanteafiniendu. Verbú vero, quniédafunt, prçsuppo ipfi volunt) cum uero & falso significandú. enunciationes nés, pofterius ut ignotius & the posterius explicandú: quas quando secundū se, acpurumdicetur. Ipsum.n.sic purumi nullüueritatis et compositionis, aqua verum explicatur, est dam, nonperse, sed quam sine compofitis nominibus non est intelligere. Gi ergo hac de causa nomé præponit uerbo, q notitia verbi in compositione verū explicantis, non pont, intelligi sine nominibus compositis. Ita et nomina, uerum  illud, quod Ammonius, tempus simpliciter & omnino, ponentium CONSILIO coplcctuntur. Exemplo similiAmm sus ideftindetinite et indeterminate significans, appellabat, Ma, gentinus dicit esse tempus finitum et determinatum. Et parsticula, quam Ammo. adom né temporis differentiam rer pra, cum dicimus "curro", "curris", nin git, pluit, complexuhorūuer borum cúcertis intelle&is personis, cú vero et fallof sgnificant. ferebar, Magentinus ad solum præsens direxit. falsum igir. Keywords: il vestigio dell’angelo, Campidoglio Inv. # 334, donazione di papa Gregorio, logicalia, interpretatio, interpretazione, logica, signum, segno, nota, notare, notante, segnante, notificare, segnante, vestigio, il segno del’angelo, campidoglio, san michele, vestigo, etym. dub. ves-stigium, foot-print. – segno naturale – segno, genere e specie – genere: segno. Specie: segno naturale, vestigio, marca, nota.. segno artifiziae, segnar per posizione, arbitrio, a piacere, consilio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Balduino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790116833/in/dateposted-public/

 

Grice e Banfi – Eurialo e Niso; ovvero, la tradizione vichiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vimercati). Filosofo. Grice: “What I like about Banfi is that he is more ‘important’ than it seems, at least to Italians! He has written bunches, but my favourite are two: his ‘l’interpretazione’ (Banfi makes a distinction between ‘esegesi,’ ‘interpretazione’ and ‘TEORIA dell’interpretazione,’ in a slightly non-Griceian use of ‘teoria’ – and his essays on ‘eros e prassi,’ for indeed the second strand (eros e prassi) is the base for the former (interpretazione): unless you CARE, why interpret – which is indeed, a performance?!” -- Antonio Banfi seenatore della Repubblica Italiana LegislatureI, II Gruppo parlamentareComunista CircoscrizioneLombardia Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano Titolo di studioLaurea in Lettere UniversitàUniversità Humboldt di Berlino ProfessioneDocente. torico della filosofia, traduttore, accademico e politico italiano. Fu sostenitore di un razionalismo aperto e antidogmatico in grado di attraversare i vari settori dell'animo umano.  A lui è intitolato il Liceo Scientifico con Sezione Classica Aggregata del suo comune natale, Vimercate.   Antonio Banfi nacque a Vimercate, in provincia di Milano, in un ambiente familiare formatosi su principi cattolici e liberali della borghesia colta lombarda, nella quale da generazioni combaciavano una moderna e positiva idea del cattolicesimo e un razionale illuminismo tecnico-scientifico. La ricca e vasta biblioteca in possesso della famiglia diventò per il giovane grande stimolo di conoscenza nei suoi studi, quando da Mantova, dove frequentava il Liceo Virgilio, ritornava a Vimercate, dove assieme alla famiglia trascorreva le vacanze estive.  Nel 1904 incominciò a frequentare i corsi universitari alla facoltà di lettere della Regia Accademia scientifico-letteraria di Milano e ottenne, dopo quattro anni, la laurea con lode, discutendo (con il relatore Francesco Novati) una monografia su Francesco da Barberino.  Incominciò a insegnare all'Istituto Cavalli-Conti di Milano e contemporaneamente proseguì con grande determinazione gli studi di filosofia (con Giuseppe Zuccante per la storia della filosofia e Piero Martinetti per la teoretica); il 29 gennaio 1910 prese la seconda laurea in filosofia, discutendo con Martinetti una tesi intitolata "Saggi critici della filosofia della contingenza", contenente tre monografie sul pensiero di Boutroux, Renouvier e Bergson.  Con la borsa di studio attribuita dall'Istituto Franchetti di Mantova ai laureati meritevoli, Banfi decise di andare in Germania e iscriversi, con il suo amico Confucio Cotti, alla facoltà di filosofia della Friedrich Wilhelms Universität di Berlino, dove strinse amicizia con il socialista Andrea Caffi. Nella primavera del 1911 ritornò in Italia e partecipò a vari concorsi, ottenendo una supplenza di Filosofia prima a Lanciano, in seguito a Urbino; per molti anni assunse diversi incarichi in varie sedi scolastiche.  Banfi conobbe una ragazza, la contessa Daria Malaguzzi Valeri, con la quale dopo poco tempo, il 4 marzo 1916, si unì in matrimonio civile nel municipio di Bologna. Durante la guerra, già riformato al servizio di leva, si dedicò con senso di servizio e scrupolosa diligenza all'insegnamento e, per la penuria di insegnanti richiamati al fronte, oltre alla sua cattedra fu costretto a ricoprire altri incarichi; solo agli inizi dell'ultimo anno venne aggregato come soldato semplice all'ufficio annonario della Prefettura di Alessandria.  Nei primi anni del dopoguerra Banfi, pur non militando nel movimento socialista, assunse in modo molto deciso posizioni di sinistra e partecipò, come iscritto alla Camera del Lavoro, all'organizzazione della cultura popolare, diventando in poco tempo una delle personalità più in vista del mondo culturale democratico alessandrino; venne nominato anche direttore della biblioteca di Alessandria, da cui fu in seguito allontanato dal nascente squadrismo fascista. Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Nel 1931 Piero Martinetti, che era stato collocato a riposo d'autorità per aver rifiutato di giurare fedeltà al fascismo, lo propose come suo successore per l'insegnamento della Storia della Filosofia all'Università degli Studi di Milano, dove, a partire dal 1941, fu maestro di Rossana Rossanda.  Diresse la rivista Studi filosofici, pubblicata dal 1940 al 1949.  Nel secondo dopoguerra, con le elezioni politiche del 1948, fu eletto per le liste del Partito comunista,nel Senato della Repubblica. Il mandato fu confermato alle successive elezioni del 1953.  Il razionalismo critico Magnifying glass icon mgx2.svg Problematicismo. Antonio Banfi può essere considerato il maestro della corrente filosofica che in Italia si è denominata Razionalismo critico e che ha avuto anche derivazioni significative nel campo della pedagogia teoretica con il Problematicismo. In sostanza, usando il concetto kantiano di ragione, Banfi la considera come la facoltà di un discernimento critico, analitico, presupposto trascendentale che sistematizza l'esperienza, i dati empirici, non pervenendo a dogmi o a sistemi di sapere chiusi e assoluti. Il principio razionale permette di cogliere e comprendere la realtà nelle sue complesse determinazioni: senza questo principio, che va assunto appunto come trascendentale, la realtà sarebbe caotica e solo contingente ed esperienziale oppure interpretata secondo la Metafisica o sistemi di pensiero chiusi e non problematici come richiesto dalla scienza e in generale dalla complessa dinamica del mondo umano e naturale. L'apertura della ragione è talmente ampia che anche le filosofie assolutizzanti vengono poste come possibilità di verità, seppur parziali ("È bene tener presente che il pensiero non pensa mai il falso in modo assoluto"). La filosofia è lo strumento indispensabile per l'analisi critica del reale, non deve tendere a un sapere assoluto, ma porsi il tema privilegiato della coscienza, purché questa coscienza sia "coscienza della relatività, della problematicità, della viva dialettica del reale". Si sfugge al relativismo possibile seguendo le orme di Socrate: l'eticità prevale quando, non potendo esistere se non come tendenza verità assoluta, le verità relative sono assunte come problema, cioè come ricerca interrogante e incessante fondante l'intero processo conoscitivo. Le conclusioni sono, come nell'ambito scientifico (la scienza è lo strumento pragmatico della ragione, la filosofia lo strumento teoretico) non false ma possibili, non solo provvisorie, ma reali. Le categorie che Banfi propone per sintetizzare la sua proposta filosofica, sono quelle di "sistematica" del sapere, fondata su un significato antidogmatico della ragione, una "sistematica" aperta per il rinnovamento critico di tutte le strutture razionali e di un umanesimo nuovo, radicale, che ponga l'uomo al centro dell'indagine razionale e nella sua realtà storico-effettuale, che forma la sua coscienza concreta nel mondo reale: dunque critica alla metafisica ma necessità della filosofia, il sapere costruttivo garanzia di libertà e concretezza. Il confronto che Banfi predilige è con gli indirizzi filosofici della prima metà del Novecento, in particolare la Fenomenologia, il neokantismo di Marburgo, il neopositivismo, l'Esistenzialismo, ma negli ultimi anni orienta sempre più il suo interesse al Marxismo, di cui condivide gli assunti fondamentali leggendoli alla luce del suo razionalismo critico, come si evince dalla raccolta postuma Saggi sul marxismo editi nel 1960.  Archivio Si segnalano tre fondi archivistici del pensatore:  "Fondo Antonio Banfi" presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. L'archivio, insieme con la biblioteca personale di Banfi, dopo la morte del pensatore venne donato alla provincia di Reggio Emilia insieme con la costituzione del "Centro studi Antonio Banfi”. In seguito, il Centro si trasformerà in "Istituto Banfi", con sede a Reggio Emilia. Nel , l’archivio e la biblioteca personale del filosofo sono stati depositati alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, a seguito di un accordo tra Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna, Comune e Provincia di Reggio Emilia. La biblioteca conserva anche l'archivio di Daria Malaguzzi Valeri e l’archivio delle carte di Clelia Abate, segretaria del Fronte della Cultura e allieva di Banfi. Archivio "Antonio Banfi e Daria Malaguzzi Valeri" presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano. Il fondo archivistico contiene diverse centinaia di documenti conservati da Daria Malaguzzi Valeri, moglie del filosofo, e da lei usati nella stesura del libro Umanità, pubblicato nel 1967 per le Edizioni Franco di Reggio Emilia. I documenti del fondo coprono l'intero arco di vita di Antonio Banfi ma risultano particolarmente ben rappresentati gli anni giovanili; da segnalare soprattutto il ricco epistolario con la futura moglie, riferito agli anni compresi tra il 1911 e il 1916, e la corrispondenza con Piero Martinetti, durante la sua docenza presso la Regia Accademia Filosofico Letteraria di Milano e poi dal suo ritiro di Spineto. "Archivio privato familiare Antonio Banfi" conservato presso l'Università degli studi dell'Insubria. Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti, riunisce migliaia di lettere, biglietti, cartoline postali, plichi e buste, conservati in 33 raccoglitori a loro volta inseriti in 15 buste, per una consistenza di circa 1,5 mi. Gran parte dell'archivio è costituito dal carteggio tra Antonio Banfi e Daria Malaguzzi Valeri, sposatisi il 4 luglio 1916. Il rapporto epistolare con la moglie, infatti, non si limitò alla sfera affettiva e familiare, ma affronta spesso tematiche filosofiche (ad esempio, la frequentazione di G. Simmel durante il giovanile soggiorno a Berlino, nel 1909-1911, o la ricezione dell'opera e la personale conoscenza di E. Husserl) e di attualità, nella concretezza dei riferimenti a eventi e circostanze del presente e ai rapporti sociali coltivati da Banfi come pensatore, studioso, organizzatore culturale e uomo politico. Altre opere: “La filosofia e la vita spirituale” – lo spirito, l’animo, vita, animo vitale – (Milano, Isis); “Principi di una teoria della ragione” (Firenze, la Nuova Italia); “Pestalozzi, Firenze, Vallecchi); “Vita di Galileo Galilei” (Lanciano, R. Carabba); “Sommario di storia della pedagogia” (Milano, A. Mondadori); “I classici della pedagogia: Rousseau, Pestalozzi, Capponi, Gabelli, Gentile” (Milano, Mondadori); “Studi filosofici : rivista trimestrale di filosofia contemporanea” (Milano); “Saggio sul diritto e sullo Stato, Roma, Rivista internazionale di filosofia del diritto); “Per un razionalismo critico, Como, Marzorati); “Lezioni di estetica raccolte Maria Antonietta Fraschini e Ida Vergani, Milano, Istit. Edit. Cisalpino); “Vita dell'arte, Milano, Minuziano); “Galileo Galilei” (Milano, Ambrosiana); “L'uomo copernicano, Milano, A. Mondadori); “La crisi dell'uso dogmatico della ragione, Milano, Bocca); :La filosofia del settecento, Milano, La Goliardica); “La filosofia critica di Kant” (Milano, La Goliardica); “La filosofia degli ultimi cinquant'anni, Milano, La Goliardica); “La ricerca della realtà” (Firenze, Sansoni); “Saggi sul marxismo, Roma, Editori Riuniti); “Filosofia dell'arte” (Roma, Editori Riuniti). Note  "Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi, In questo senso ho scritto, richiesto da Castiglioni stesso, che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]"; Lettera n. 108 Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in Piero Martinetti Lettere (1919-1942), Firenze, ,  107-108.  Rossanda, Rossana, La ragazza del secolo scorso, Torino, Einaudi, 2005,  52 ss.,  9788806143756.  Vedi scheda del Senato della RepubblicaI Legislatura.  Vedi scheda del Senato della RepubblicaII Legislatura.  Cit. in "Il marxismo e la libertà di pensiero", (1954), pubblicato in "Saggi sul marxismo", Editori Riuniti, 1960, pag.152  A.Banfi, La mia prospettiva filosofica, in La ricerca della realtà (1959), pag.713  Fondo Banfi Antonio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 3 dicembre .  Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti per la filosofia, l'epistemologia, le scienze cognitive e la scienza delle scienze tecniche, su dicom.uninsubria. 3 dicembre .  G. M. Bertin, Banfi, Padova, CEDAM, 1943 E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari, Laterza,1955 G. M. Bertin, L'idea di ragione e il pensiero etico-pedagogico di Antonio Banfi, Roma, Armando, 1961. Fulvio Papi, Il pensiero di Antonio Banfi, Parenti, Firenze 1961. F. Papi, Banfi Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani,  5 (1963), Treccani. A. Erbetta, L'umanesimo critico di Antonio Banfi, Milano, Marzorati, 1978. Antonio Banfi tre generazioni dopo. Atti del convegno della Fondazione Corrente, Milano, maggio 1978 , Il Saggiatore, Milano 1980. Roselina Salemi,  banfiana, Parma, Pratiche, 1982. G. Scaramuzza, Antonio Banfi. La ragione e l'estetico, Padova, Cleup, 1984 Luciano Eletti, Il problema della persona in Antonio Banfi, La Nuova Italia, Firenze 1985. 1986. Centenario della nascita di Antonio Banfi, Reggio Emilia, Istituto Banfi, 1986. Livio Sichirollo, Attualità di Banfi, Urbino, QuattroVenti, 1986. Francesco Luciani, Incontro con Banfi, Cosenza, Presenze Editrice, 987. G. D. Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di Antonio Banfi, Napoli, Bibliopolis, 1988 F. Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Milano, Guerrini, 1990 Paolo Valore, Trascendentale e idea di ragione. Studi sulla fenomenologia banfiana, Firenze, La Nuova Italia, 1999. G. Scaramuzza, Crisi come rinnovamento. Scritti sull'estetica della scuola di Milano, Milano, Unicopli, 2000. Francesco Luciani, Polemiche della ragione. Gramsci, Banfi, Della Volpe, Cosenza, Arti Grafiche Barbieri, 2002. Giovambattista Trebisacce, Antonio Banfi e la pedagogia, Cosenza, Jonia editrice, 2005. F. Papi, Antonio Banfi e la pedagogia, Cosenza, Jonia editrice, 2005. S. ChiodoG. Scaramuzza (a cura), Ad Antonio Banfi cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, 2007. A. Vigorelli, La nostra inquetudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Milano, B. Mondadori, 2007 Giovambattista Trebisacce, La pedagogia tra razionalismo critico e marxismo, Roma, Anicia, 2008. D. Assael, Alle origini della scuola di Milano. Martinetti, Barié, Banfi, Milano, Guerrini, 2009. G. Sacaramuzza, Estetica come filosofia della musica nella scuola di Milano, Milano, CUEM, 2009. A. Di Miele, Antonio Banfi Enzo Paci. Crisi, eros, prassi, Milano, Mimesis, . M. Gisondi, Una fede filosofica. Antonio Banfi negli anni della sua formazione, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, . A. Crisanti , Banfi a Milano. L'università, l'editoria, il partito, Milano, Unicopli, .  Maria Corti Antonia Pozzi Luciano Anceschi Rossana Rossanda Pietro Bucalossi Piero Martinetti Scuola di Milano Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antonio Banfi  Antonio Banfi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Antonio Banfi, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Antonio Banfi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Antonio Banfi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Banfi. Antonio Banfi / Antonio Banfi (altra versione), su senato, Senato della Repubblica.  La morte a Milano del sen. Antonio Banfi articolo del quotidiano La Stampa, 23 luglio 19577, Archivio storico. Massimo Ferrari, Piero Martinetti e Antonio Banfi, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Marcello Gisondi, La formazione intellettuale e politica di Antonio Banfi. Tesi di dottorato discussa presso l’Università Federico II di Napoli (a.a. /) "Antonio Banfi a Milano", sito della mostra allestita dal 22 maggio al 13 giugno  presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano Filosofia Università  Università Filosofo del XX secoloStorici della filosofia italianiTraduttori italiani 1886 1957 30 settembre 22 luglio Vimercate MilanoAccademici italiani del XX secoloDirettori di periodici italianiPolitici italiani del XX secoloProfessori dell'Università degli Studi di MilanoAntifascisti italianiSenatori della I legislatura della Repubblica ItalianaSenatori della II legislatura della Repubblica ItalianaStudenti dell'Università Humboldt di BerlinoTraduttori all'italianoTraduttori dal franceseTraduttori dal greco all'italianoTraduttori dall'inglese all'italianoTraduttori dal latinoTraduttori dal tedesco all'italiano. Antonio Banfi. Keywords. Eurialo e Niso; ovvero, la tradizione vichiana; banfi — spirito vitale — storiografia filosofica — istituto di storia della filosofia — ragione e conversazione — criticismo — conversazione con hegel — personalismo — l’interpersonale — sovranità — lo stato italiano — lo stoicismo romano — enea e marc’aurelio — acerrima indago — diritto criminale — kantismo —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Banfi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790071803/in/dateposted-public/

 

Grice e Baratono – stilistica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like Baratono – especially his ‘stilistica italiana’ – if I were to offer an English stylistics I would not count as a philosopher – but that’s because ‘English’ is spoken by more than Englishmen, while Italian ain’t!” Grice: “Baratono thinks he is a sensist alla ‘Giovanni Locke,’ which he possibly is.” Grice: “In the typical Italian way, instead of focusing on the classics – Roman philosophy – he read sociology and psychology and came up, in a typically Italian way, with a ‘sintessi,’ ‘la psicologia del popolo’ alla Wundt.” Grice: “If Austin punned on sense and sensibility – Baratono takes ‘sensibilia’ VERY sensibly – as the basis for ‘aesthetics,’ seeing that ‘aesthetikos’ IS Ciceronian for ‘sensibile’.” – Grice: “Baratono is Griceian in his search for what he calls the ‘elementary’ – he applies ‘elementary’ to ‘fatto psichico’: judicativo e volitivo – both based on the ‘sensibile’ – or rather on probability and desirability – credibility and desirability --. His use of ‘sense’ does not quite fit the Oxonian ‘sense datum,’ since the will is involved in the sensibile – or, in his wording, it is the anima (or psyche) that searches for the corpus -- -- The compound is something like the hylemorphism – the form is sensible – and the volitive (prattica) and judicative (teoretica) components of the soul operate on this.” --  Fra i maggiori esponenti del Partito Socialista Italiano nel periodo fra le due guerre.  Vive sin dalla giovinezza a Genova, dove compie i suoi studi. Si laurea in filosofia. Insegna a Genova, Savona, Cagliari, Milano.  Baratono si iscrive al PSI subito dopo la fondazione e viene eletto consigliere comunale a Savona, aderendo all'ala intransigente in forte polemica con i riformisti. Entra nella Direzione nazionale del partito. Alcune battaglie politiche lo vedono emergere come figura di primo piano del socialismo italiano, come quella che Baratono porta avanti capeggiando la frazione comunista unitaria al Congresso di Livorno. L'accettazione con riserva dei 21 punti dell'Internazionale comunista di Mosca determina la clamorosa scissione e l'uscita dei comunisti dal Partito Socialista. Presenta al congresso la mozione massimalista. Diviene deputato. Confermato per la terza volta membro della Direzione socialista, mentre la maggioranza massimalista si orienta per la scissione dei riformisti, al Congresso di Roma sostiene fortemente l'unità, anche per il timore dell'affermarsi delle forze fasciste. Dopo il Congresso di Roma, aderisce al Partito Socialista Unitario e diviene un assiduo collaboratore di Critica Sociale. Collabora al “Quarto Stato”. Con il consolidamento del regime fascista, si dedica esclusivamente ai suoi studi filosofici.  Torna all'attività politica all'indomani della Liberazione, con collaborazioni sull'Avanti! riprendendo i suoi studi di critica marxista.  Note  «Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi, In questo senso ho scritto, richiesto da Castiglioni stesso, che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]». Lettera n. 108, Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in Piero Martinetti Lettere (1919-1942), Firenze, ,  107-108.  Fonti Vittorio Mathieu, «BARATONO, Adelchi» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 5, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1963. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Adelchi Baratono Collabora a Wikiquote Citazionio su Adelchi Baratono Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Adelchi Baratono  Adelchi Baratono, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Adelchi Baratono, su Liber Liber.  Opere di Adelchi Baratono, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Adelchi Baratono, .  Adelchi Baratono, su storia.camera, Camera dei deputati. Filosofi italiani del XX secoloPolitici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1875 1947Nati l'8 aprile 28 settembre Firenze GenovaPolitici del Partito Socialista ItalianoDeputati della XXVI legislatura del Regno d'ItaliaStudenti dell'Università degli Studi di GenovaProfessori dell'Università degli Studi di GenovaProfessori dell'Università degli Studi di CagliariProfessori dell'Università degli Studi di Milano. Critica dei valori ed estetica metafisica. Psicologia critica dei valori e metafisica estetica. Carissimo Groppali » Nella tuapubblicazionedaltitoloPsicologia socialeepsic.collettira, trovo rammentato un mio articolo (comparso nel quarto fascicolo del l'Archivio di Psic.coll.).con queste parole (pag.29):   RASSEGNA DI SOCIOLOGIA E SCIENZE AFFINI citato;non posso fare comequel buon figliuolo di Renzo Tramaglino, che, a sentir dire che la sua Lucia era una « bella baggiana »,per amor dell'epiteto lasciava passare il sostantivo. » Lasciami invece un po'brontolare contro la seconda parte del tuo giu dizio.E,quantunquein fatto di scoperte scientifichenessuno sipossa dire assolutamente il primo scopritore, permettimi di dare al Sighele quelch'èdiSighele,ea me quelchesembramio. » Perilnostrocaso,lascopertapiùimportante,acuisonogiunti questi autori, è la semplice constatazione del fatto, che gli atti estrin secanti la emozione d'un individuo riproducono in altri individui ana loghe emozioni ed atti volontari. » Ebbene:primaepiùcompletamentediquegliscienziati,loSpencer era pervenuto alla medesima legge con la sua teorica della simpatia ; e per di più aveva spiegato il fatto diquella suggestione con la ragione sociale, osservando che un atto emotivo non potrebbe suscitare nei pre senti un sentimento corrispondente se non vi fosse stata l'esperienza propria o atavica che avesse associato quell'atto all'emozione reale uni. tamente sofferta; trovandone perciò la genesi nella convivenza sociale, per essere gl'individui associati sottoposti alle medesime cause di pia cere e dolore. » Adunque io nel mio studio potevo passarmi di citare altre teorie, oltre quella spenceriana, quando ridussi il fenomeno collettivo a feno meno simpatetico. E fin quinon ho fatto,nè ho detto di fare,nessuna scoperta:ma soltantohoapplicatolaleggespencerianaaunnuovogruppo di fatti,da Ini non considerati specialmente.Ripeto: ionon ho sostenuto come mia scoperta, ma ho soltanto accettato e meglio dimostrato, che il fatto psichico del delirio collettivo ha per sostrato il giuoco delle emo zioni e rappresentazioni, cioè il fatto simpatetico. » A questa domanda non poteva rispondere nè il Sighele, che non è mai entrato nel campo della psicologia generale,nè,come si sa, lo Spen cer e gli associazionisti,che si contentavano di descrivere il fatto, ridu cendolo a uno schema associativo,ciòche,come spiegazione,ha ilvalore di una tautologia, senza svelarne il meccanismo, cioè il rapporto fra gli elementi;né imaterialisti,che nedavanouna ipoteticaspiegazioneana tomo-fisiologica, senza entrare nella pura psicologia. >Dall'altraparte,rispondereaquelledomande significatrovarele ragioni ultime e più generali del fenomeno collettivo ; vale a dire, ridurlo completamente . » Questo ho tentato io di fare; di qui comincia il mio studio genuino. Me ne sono vantato? ho soltanto asserito che tentavo di muovere un  » Il Sighele intui, che i fatti caratteristici della emozione di una folla si possono ridurre a qualcosa di più generale,ov'entri quella facoltà dell'imitazione, quella suggestione, con le quali altri avevano spiegato il contagio morale; perciò egli, se malnon ricordo,senza nulla aggiun gere diproprio, si riferì alle teorie di Bordère, Ebrard,Jolly,Tarde, Sergi, Espinas ecc. ecc. » Ho dunque accettata una legge,o,meglio,ladescrizione di un fatto generale,chesi potrebbe enunciare cosi: Negli individui associati,la percezione degli atticorrispondenti alle emozioni di alcuno destando in altri la rappresentazione di piaceri o dolori analoghi, suscita piaceri o dolori analoghi e gliatti corrispondenti. > In questo enunciato c'èqualcosa di mio.Ma non mi curo di metterlo in luce. Piuttosto ti rivolgo la domanda : osservato il fatto, lo Spencer ne ha trovato la ragione sociologica ; ma vi è qualcuno che ne abbia tro vato la ragione psicologica? Come una rappresentazione emotiva può diventare un'emozione attuale, condizione e stimolo di atti volontari ?  RASSEGNA DI SOCIOLOGIA E SCIENZE AFFINI passo nel cammino dellapsicologia collettiva:tu puoi scusarmene,perché conosci il tripudio di chi lavora per la scienza,che oggi è ancor l'unica nostra ricompensa. »Adunqueilrimanentestudio,larispostaaquelladomandaèmio: » 1.°Mio nelle premesse,che si riferiscono al libro Ifatti psichiri elementari, dove dimostravo che : « La legge più generale della psiche è data dalla serie dei fatti emotivo -conoscitivo -volitivo, quando si con sideri questa come l'espressione di un rapporto,per cui ilprimo termine rappresenta l'energia determinante degli altri »; » 3.° Mio nell'applicazione alfenomeno collettivo, dove le multiple rappresentazioni emotive devono agire sopra ognuno degli individui come altrettante emozioni reali attenuate, ma accumulate sulla prima; onde l'esaltazione propria della folla. » Tutte queste tesi sono diverse da quelle sostenute e dall'intellet tualismo e dal volontarismo. » Riepilogando: il Sighele giunse a ridurre il fenomeno collettivo a un fatto generale enunciato come legge ; e lo Spencer aveva dato la spie gazione sociologica di questo fatto : m a , perchè vi fosse una spiegazione psicologica, bisognava aver trovato non solo l'associazione,ma anche il rapporto tra gli elementi associati ;il quale rapporto di dipendenza, cioè di condizioneestimolo,doveva,perridurrecompletamentequel fenomeno, coincidere col rapporto o legge più generale della psiche. Questo ho cer cato difare: e, poi che in modo particolare avevo stabilita la serie dei fatti psichici veramente elementari e illoro rapporto,cioèla legge psi cologica generale, anche particolare doveva riuscire l'inferenza al fenomeno collettivo. » Non posso,egregio e carissimo amico, riassumere in poche pagine quelloche,agiudiziomio edaltrui.ègiàtroppostrettamenteriassunto ne'mieilavori.A te,che liconosci, eche possiedi un forteingegno intuitivo, basterà questo richiamo; e spero che ti persuaderai, che il Sighele restaugualmente uno de'nostri migliori scienziati,anche senza regalare a lui,che non ne ha bisegno,quelle due o tre pagine con le quali si termina il mio studio. » Spero ancora più fervidamente, che tu non mi dia del noioso e del l'immodesto per questa mia lettera,e che sempre mi creda il tuo.  BARATONO, Adelchi. - Nacque l'8 apr. 1875 a Firenze dove il padre, Alessandro, originario di Ivrea, si era stabilito dopo il trasferimento della capitale del regno da Torino. La madre, Ermelinda Rossi, era fiorentina. La famiglia si fissò definitivamente a Genova, e il B., compiuti gli studi classici, frequentò l'università, addottorandosi in lettere e in filosofia. Suo principale maestro fu A. Asturaro, del cui indirizzo sociologico il B. risentì nei suoi primi lavori (Sociologia estetica,Civitanova Marche 1899; Sul problema religioso,in Riv. ital. di sociol.,IV [1900], 4), così come, successivamente, subì l'influsso di E. Morselli e delle sue lezioni di psichiatria. Gli interessi psic0logici del B. sono documentati in questo periodo da numerose pubblicazioni (I fatti psichici elementari, Torino 1900; Sulla classificazione dei fatti psichici,Bologna 1900; Energia e psiche, in Riv. di filos. e scienze affini, IV[1902], pp. 27-47, 162-180). Psicologia e sociologia venivano, poi, naturalmente a fondersi in una wundtiana "psicologia dei popoli" (Sulla psicologia dei popoli, Genova 1901), permeata di una filosofia scientificamente concepita. Questo movimento culmina nei Fondamenti di psicologia sperimentale (Torino 1906), che risentono ancora dell'influsso positivistico, nella ricerca di una filosofia scientifica, ma cominciano, al tempo stesso, a rivelare l'originalità filosofica del Baratono.  Contemporaneamente il B. coltivava il proprio gusto estetico frequentando i circoli letterari, le mostre di pittura, i caffè degli artisti; a venticinque anni pubblicò un volumetto di versi (Sparvieri,Genova 1900, con acqueforti di Edoardo De Albertis), che sarà seguito da altre poesie (Lettera - Notturno - Congedo, 1908), articoli letterari e frammentarie commedie, comparsi generalmente in Riviera ligure.  Questo duplice interesse, psicologico, ed estetico, accompagnò il B. per tutta la vita, ma non senza trasformarsi radicalmente, dall'originario positivismo, in una personale forma di "sensismo", dove tornavano a incontrarsi il significato etimologico e il significato moderno della parola "estetica". Nel 1911 - l'anno del congresso internazionale di filosofia di Bologna, a cui il B. partecipò - egli, che l'anno prima aveva celebrato I funerali del positivismo italiano (in Lavoro nuovo,5 apr. 1910), pubblicò la Psicologia sintetica,in cui l'aspetto filosofico e quello scientifico-sperimentale della ricerca erano nettamente divisi, e la psicologia veniva assegnata al secondo.  Conseguita la libera docenza, il B. tenne corsi e conferenze all'università di Genova - oltre che all'università popolare - prendendo a interessarsi del problema pedagogico, strettamente congiunto con quello politico. QuattroDiscorsi sull'educazione furono da lui riuniti in un volumetto, e alcuni anni dopo uscì la sua opera fondamentale in materia: Critica e pedagogia dei valori (Palermo 1918).  Dalla politica il B. si era sentito attratto fin dalla prima giovinezza. Le sue convinzioni etiche lo indussero a militare nelle file del socialismo; tuttavia, anche nell'attività politica, egli conservò quell'atteggiamento aristocratico e leggermente distaccato che lo caratterizzava sul piano culturale, ciò che tolse mordente alla sua azione. Nell'aprile 1919, per le elezioni amministrative, redasse in collaborazione con E. Gennari un ordine del giorno, votato poi all'unanimità dal Consiglio nazionale del partito, dove si dichiarava che dei comuni ci si doveva impadronire per "parálizzare tutti i poteri e tutti i congegni dello Stato borghese, allo scopo... di accelerare la rivoluzione proletaria". Rispetto alla rivoluzione russa, il B. si pronunciò contro l'accettazione senza riserve delle ventuno condizioni poste da Mosca per l'adesione alla Terza Internazionale, ma fu messo in minoranza nella riunione della direzione del 28 sett. - 1° ott. 1920. Cercò inoltre di evitare ogni scissione a sinistra, anche a costo dell'espulsione dei riformisti, che rappresentavano l'ala destra del partito: questo suo punto di vista, sostenuto prima e durante il congresso di Livorno (gennaio 1921), trovò tuttavia la via sbarrata dal successo degli "unitari". Dalla sua dirittura morale il B. era portato all'intransigenza; era antimassone, respingeva l'anticlericalismo di maniera, auspicava la libertà dell'insegnamento. Turati ebbe a definirlo "il filosofo della direzione del partito". Eletto deputato nella XXVI legislatura, sedette al parlamento nel 1921-22, ma l'avvento deli fascismo lo costrinse ad abbandonare l'attività politica (nella quale rientrano anche scritti come Le due facce del marxismo taliano,Milano 1922, e Fatica senza fatica,Torino 1923).  Più fortunata divenne, a, questo punto, la carriera universitaria. Titolare a Cagliari dal 1924, il B. si occupò, tra l'altro, di Problemi universitari (Mediterranea,I[1927], 8) e vagheggiò un progetto Per la riforma della facoltà filos. (Atti della Società ital. per il progresso delle scienze,XX[1931]), che fu combattuto dal Gentile (Giorn. crit. d. filos. ital.,XI[1931], pp. 239 s.). Nel '32 il B. passò a Milano, sulla cattedra di P. Martinetti (che si era ritirato per non prestare giuramento) e nel ' 38 tornò all'amata Genova, stabilendosi sulla riviera di Sant'Ilario. Qui riceveva volentieri i suoi studenti e colti visitatori, attratti da una fama, che, specialmente dopo la pubblicazione di Arte e poesia (Milano 1945), si estese oltre la cerchia dei filosofi di professione. Riprese l'attività politica negli ultimi anni, soprattutto in forma di collaborazione a giornali e di rielaborazione di vecchi scritti di critica marxista. L'ultimo articolo, L'etica dell'economia marxista, uscì sull'Avanti! alla vigilia della morte, che avvenne il 28 sett. 1947. Al nome del B. è intitolato l'istituto universitario di magistero di Genova.  La prima formulazione pienamente matura della filosofia del B. può essere considerata il volume Il mondo sensibile, introduzione all'estetica (Messina 1934), preparato da alcuni degli scritti raccolti in Filosofia in margine (Roma 1930); in esso si vuol raggiungere la "prova esistenziale" della spiritualità del contenuto sensibile. Contro l'impostazione gnoseologica che soggettivizza il mondo, il B. propugna un'impostazione estetica che vede nel mondo sensibile, preso per se stesso, "la forma dell'esistenza". Tale dottrina fu chiamata dal B. "occasionalismo sensista", in una comunicazione alla sezione piemontese dell'Istituto di studi filosofici nella primavera del 1940 (Per un occasionalismo sensista, in Concetto e programma della filosofia d'oggi, Milano 1941, pp. 227-251). La denominazione esprime l'intento di "riflettere sulla pura forma invece di prenderla quale rappresentazione di altro (soggetto od oggetto) posto come un contenuto irreducibile a quella forma". L'esperienza estetica ci mostra che un'ide a pura esiste come forma pura, sensibilmente, e che questa forma sensibile vale per sé, in un rapporto formalmente sentito con certezza, che diciamo "verità". Ciò costituisce un valore sensibile direttamente, diverso sia dal valore del sensibile (che rappresenta il valore specificamente teoretico) sia dal valore del sentimento (che rappresenta il valore pratico). L'esserci sensibile interessa il pensatore o l'uomo pratico solo come ostacolo da superare, ma "riempe di meraviglia chi guarda il mondo con gli occhi spalancati sol per la gioia di vedere, e così ne può apprezzare la bellezza".  Queste idee sono esposte dal B. in Arte e poesia,e messe alla prova non solo a contatto con estetiche come quelle del Burke e del Focillon, a cui il B. scrisse introduzioni (Milano 1945), ma con la stessa opera poetica, per es. di un Verlaine, di cui il B. ripubblicò in Italia una raccolta di Poesie, conintroduzione (Milano 1946). Arte e poesia si conclude con una "apologia della forma", la quale sembra a torto imprigionare lo spirito e limitare il valore solo perché, in realtà, lo determina e lo realizza. Rovesciando l'istanza idealistica, secondo cui il valore sta in un'unità spirituale che si riduce a "un'esigenza puro-pratica, a una rappresentazione di ciò che non è", il B. dichiara che l'anima cerca il corpo, non viceversa, che lo spirito cerca la forma, la filosofia la poesia. Sicché il valore non appare più la premessa indimostrabile di ogni esistenza, ma il risultato intuitivo della stessa forma sensibile.   Bibl.: F. Della Corte, A. B., in Genova, XXVI (sett. 1949), pp. 26-29. Sul B. Ipolitico: F. Meda. Il Partito Socialista Italiano dalla Prima alla Terza Internazionale, Milano 1921, pp. 90-102; I deputati al Parlamento per la XXVI legislatura, Milano 1922; M. Carrea, Per una filosofia del socialismo, in Osservatorio, Genova 1946, n. 3; P. Nenni, Storia di quattro anni (1919-1922), Roma 1946, passim; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo. L'Italia dal 1918 al 1922, Firenze 1950, pp. 196 s., 361; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio. V: Dopoguerra e fascismo (1919-22), a cura di A. Schiavi, Torino 1953, vedi Indice. Inoltre per alcuni scritti del B., in Critica Sociale, degli anni 1923-24, vedi Critica Sociale, a cura di M. Spinella, A. Caracciolo, R. Amaduzzi, G. Petronio, III, Milano 1959, Indici, a cura di M. T. Lanza. Sul B. filosofo, oltre l'esposizione del proprio pensiero fatta da lui stesso in Il mio paradosso, in Filosofi ital. contemporanei, Como 1944 (2 ediz. Milano 1946), cfr. U. Spirito, L'idealismo ital. e i suoi critici, Firenze 1930, pp. 130-141; G. Della Volpe, Crisi dell'estetica romantica, Messina 1941, pp. 26-31; M. F. Sciacca, Il secolo XX, Milano 1942, pp. 218-223; G. Faggin, Il formalismo sensista di A. B.,in Riv. crit. di storia d. filos., I (1946), pp. 189-96; R. Assunto, B. e l'estetica moderna, in L'Italia che scrive, XXIX (1946), 3, pp. 50-52; G. M. Bertin, L'estetica di B.,in Studi filosofici,VIII(1947), pp. 136-38; G. Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia 1947, pp. 170-187, 254-56; C. Talenti, A. B., Torino 1957 (con bibl.). Adelchi Baratono. Keywords: stilistica, breviario di stilistica italiana, fatto psichico elementare, i fatti psichici eleentare, psicologia filosofica, illuminismo, implicatura luminaria, implicatura escataologica, politica ed etica, la filosofia al margine: gentile, croce, natura umana, esperienza, il mondo sensibile, estetica, il bello, il sublime, criticismo, assiologia, hume a Cremona e torino, spirito, animo, forma logica, l’eneide, riviera ligure, “Rivera Ligure”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baratono” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789912631/in/dateposted-public/

 

Grice e Barba – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gallipoli). Filosofo. Grice: “I like Barba, but then I like Gallipoli – and he was born and died there, at Villa Barba. His main interest was Roman philosophy, which he studied at Naples! – The Roman occupation in Southern Italy brought ‘a breath of fresh air,’ as Barba has it, to the old “Grecia Magna” tradition --.” Grice: “Barba is very clear: ‘Epigrafia filosofica latina,’ o ‘epigrafia filosofica romana’ surely ain’t Grecian!” --  Figlio di Ernesto, conduce gli studi a Gallipoli, per poi trasferirsi a Napoli presso il zio, Tommaso Barba. Tommaso Barba e presidente della Gran Corte. Studia grammatica e materie letterarie nella scuola di Puoti. Si laurea in Filosofia. Studiare nel R. Collegio Cerusico e divenne professore di anatomia umana comparata. Insegna scienze e lettere al ginnasio di Gallipoli e fu sovrintendente scolastico ed Assessore delegato alla Pubblica Istruzione.  Fu arrestato ed esiliato a causa delle resistenze al governo. I membri dell'Associazione Democratica posero una scritta: "Nato dal popolo, Per il popolo si adoperò". A lui fu intitolato il Museo civico di Gallipoli.  Note  AnxaEmanuele Barba, su anxa. 21 aprile  13 ottobre ).  Scheda sul sito del Museo Emanuele Barba. Filosofi. Emanuele Barba. Keywords. epigrafia latina, iscrizione latina, iscrizione greco-romana, la iscrizione di Platone sulla porta dell’academia, ageometretos medeis eisito, Delville pittore belga (Libert), a Italia crea ‘L’ecole de Platon,’ per la Sorbonna.  I vasi di Barba – gemelli, fratelli siamesi, ecc. Monete romana, Gallipoli, colonia romana, ‘Proverbi e motti del popolo gallipolino” – poesie di Barba sulla morte del re d’Italia, risorgimento – esilato, carcere – la filosofia di Barba, barba filosofo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barba” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688394612/in/photolist-2mKwwVs-2mKMcL9-2mKDQcp-2mKwqSL-2mKwwoA-2mPxhsE-2mKBEmt-2mKQW9n-2mKwuhr-2mKMJYE-2mKBLhJ-2mKG3XG-2mKT4G5-2mKQDQ5-2mKCdPg-2mKRfHn-2mKxzFL-2mKwv6q-2mKNdog-2mKC3nj-2mKMsLp-2mKH3ZR-2mKF6Rp-2mKArEy-2mKCnei-2mKDteh-2mKgN49-2mPHbXQ-2mKfeSA-2mJWMoD-2mJPC2N-2mJLMNt-2mJq2uE-2mJd7nN-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mGT6p1-2mEuJp2-ErqrPW-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-o3jP2q-nKqBVU-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4

No comments:

Post a Comment