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Monday, April 11, 2022

GRICE E CONTI: LA SEMIOTICA DI CICERONE

 Cicerone affronta e sviluppa la problematica semiotica in due importanti ambiti della sua produzione teorica: (i) le opere di argomento retorico; (ii) le opere che parlano dei se- gni divinatori. Se prendiamo in considerazione il primo di questo ambi- to, possiamo osservare che l'interesse per i segni non è ugualmente centrale in tutti i testi. Infatti, da una parte, ci sono il De oratore, l'Orator, il Brutus, il De optimo genere oratorum che affrontano una problematica a carattere so- cio-politico, volta a definire la figura dell'oratore perfetto, il suo ruolo nella società romana, la sua posizione rispetto alla scuola attica e a quella di Pergamo; in queste opere tut- to ciò che costituisce l'apparato tecnico tradizionale della retorica (e con esso anche la problematica sui segni e sulle prove indiziarie) appare non tanto trascurato, quanto dato per scontato: esso si confi;:ura come un vasto campo di 9.2 CICERONE 209 competenza che rimane implicito sullo sfondo e affiora solo nei termini di un uso personalissimo che ne fa l'autore, in prima persona o attraverso i personaggi del dialogo. Dall'altra parte ci sono, poi, il De inventione, le Partitio- nes oratoriae e i Topica, opere molto diverse tra loro, ma accomunate dalla caratteristica di prendere in considerazio- ne e di sistematizzare la gran massa delle nozioni che com- pongono l'apparato tecnico della retorica. Un limite di que- ste opere, in generale, è rintracciabile nella minuziosità del procedimento classificatorio, che raggiunge talvolta il pa- rossismo, come nel De inventione, e che spesso non trova un'adeguijta giustificazione teoretica. Tuttavia è proprio ali'interno di queste opere che è dato rintracciare gli spunti e i documenti per la ricostruzione di una teoria ciceroniana del segno. 9.2.1 Il "De inventione" Il De inventione è un'opera giovanile di Cicerone e con- densa l'ampia tradizione retorica che da Aristotele giunge fino a Ermagora: è quindi naturale che al suo interno si tro- vino riprodotti alcuni aspetti della concezione del segno che in quell'ambito si era sedimentata. In particolare è presente la concezione del segno in forma proposizionale, come an- tecedente che permette di scoprire un conseguente. Viene poi confermata l'attenzione verso i segni involontari (l'im- pallidire, l'arrossire, il balbettare dell'imputato) come indi- zi di colpevolezza. Infine compare la classica divisione degli indizi secondo la loro relazione temporale con il fatto crimi- noso (anteriorità, contemporaneità, posteriorità). Questi i punti di contatto con la tradizione. Ma bisogna anche dire che la classificazione dei segni proposta da Cice- rone è in larga misura diversa da quelle precedenti. Essa ap- pare infatti all'interno della teoria della argumentatio (ar- gomentazione), cioè del procedimento attraverso il quale vengono addotte delle prove per confermare una certa tesi: "L'argomentazione sembra essere qualche cosa che si esco- gita da qualche genere e che rivela un'altra cosa in maniera probabile (probabiliter ostendens), o la dimostra in"un mo- do necessario (necessarie demonstrans)" (De inv., I, 44). Anche se non viene usato il normale lessico semiotico, ciò che è in gioco in questa definizione è proprio il meccanismo del segno: infatti, qualcosa che è stato trovato (un indizio che viene depositato nel dossier dell'avvocato) rinvia a qualcos'altro. Compare, a questo punto, la distinzione (già aristotelica) tra una forza argomentativa debole (probabili- ter ostendens) e un'inferenza necessaria (necessarie demon- strans). 9.2.1.1 Rinvio necessario e non necessario I segni necessari sono così definiti: "Viene dimostrato in modo necessario ciò che non può verificarsi né essere pro- vato diversamente da come viene detto" (ibidem). Ne sono esempi: "Se ha partorito, è stata con un uomo" (ibidem); "Se respira, è vivo", "Se è giorno, c'è luce" (De inv., I, 86). Come Cicerone spiega in un altro passo, in casi di questo genere l'antecedente e il conseguente sono legati da una re- lazione inscindibile (cum priore necessario posterius cohae- rere videtur, De inv., I. 86). Il rapporto di rinvio non necessario viene poi cosi defini- to: "Probabile è poi ciò che suole generalmente accadere, o che è basato sulla comune opinione, o che ha in sé qualche somiglianza con questa qualità, sia esso vero o sia falso" (De inv., I, 46). Con questa definizione Cicerone mette in evidenza due caratteri: (i) quello probabilistico e (ii) quello doxastico; il primo di questi era da Aristotele attribuito peculiarmente al1'eik6s (verisimile). E infatti i primi due esempi sono di un tipo che Aristotele avrebbe classificato come eik6s: "Se è madre, ama suo figlio", "Se è avido, non fa gran caso del giuramento" (De inv., I, 46). In essi compare anche il tipico rapporto di generalizzazio- ne che per Aristotele definisce il verosimile (Arist., Rhet., 1357a). C'è però un terzo esempio, "Se c'era molta polvere nei calzari, era sicuramente reduce da un viaggio" (De inv., 9.2 CICERONE 211 I, 47), che non sembra dello stesso tipo, ma è più vicino al semefon aristotelico. 9.2.1.2 L'indizio La categoria di signum, poi, compare come una sottopar- tizione dei segni non necessari, accanto al credibile (credibi- le), all'iudicatum (giudicato) e al comparabile (paragonabi- le). Se le ultime tre nozioni appaiono distinte in base a crite- ri estrinseci (e scompariranno nelle trattazioni successive), il signum corrisponde a una categoria di fenomeni abbastan- za particolare: "Segno è ciò che cade sotto qualcuno dei no- stri sensi e indica (significat) un qualcosa che sembra deri- vato dal fatto stesso, e che può essere verificato prima del fatto, durante il fatto, o può averlo seguito, e tuttavia ha bisogno di una prova e di una conferma più sicura" (De inv., I, 48). Ne sono esempi: "il sangue", "il pallore", "la fuga", "la polvere". Si tratta, come si vede, degli indizi, intesi come fenomeni percepibili, scarsamente codificati e generalmente non vo- lontari. Qui sono presentati in una forma non proposizio- nale; ma niente vieta che vengano sviluppati in proposizio- ni, come dimostra il caso dell'indizio "polvere": "Se c'era molta polvere nei calzari, era sicuramente reduce da un viaggio". Gli indizi, infine, vengono suddivisi secondo la nota relazione temporale con il fatto criminoso. Possiamo quindi schematizzare la classificazione propo- sta nel De inventione (cfr. p. 212). 9.2.2 "Partitiones oratoriae" Le Partitiones oratoriae sono un'opera della tarda matu- rità di Cicerone, nella quale la classificazione della materia semiotica presenta alcune differenze e peculiarità rispetto al trattato giovanile. Innanzitutto la terminologia si sgancia completamente da quella dei modelli greci e viene completa- mente latinizzata. In secondo luogo gli indizi (qui chiamati argumentatio~ Né questo è un caso isolato in ambito giuridico. Per quel che riguarda la cultura greca, si ricorderà L'orazione per l'uccisione di Erode, in cui Antifonte così si esprimeva: "Tutto quel che era provabile con indizi e testimonianze umane l'avete udito, ma in questo caso dovete votare dopo aver trattato indizi anche dai segni che vengono dagli dei" (V, 81; Lanza 1979: 105). 9.2.2.1 Il verisimile e il segno caratteristico I segni umani sono invece trattati tra gli argomenti intrin- seci, in particolare tra quelli che riguardano lo stato di cau- sa congetturale. Infatti la congettura può essere tratta da due tipi di segni: i verisimilia (verisimili) e le notae propriae rerum (segni caratteristici delle cose). Il verisimile, come dice Cicerone, è "ciò che accade per lo più" (Pari. or., 34), come a esempio "la gioventù è incline al piacere in modo particolare". Questo tipo di segno corri- sponde ali' eik6s aristotelico, di cui ha il carattere probabili- stico e generalizzante. La nata propria rei viene definita come "una prova che non si verifica mai direttamente e indica una cosa certa, co- me il fumo indica il fuoco" (Part. or., 34). Si tratta, evi- dentemente, del segno necessario, come è dimostrato anche dall'esempio e dall'uso dell'aggettivo proprius, che riman- da alla nozione di fdion semefon (segno proprio). Per Ari- stotele il segno proprio era la caratteristica specifica di un certo genere, come, ad esempio, il fatto che i leoni avessero grandi estremità, segno del coraggio (An. Pr., 70 b, 11-38). Per le scuole postaristoteliche il segno proprio aveva carat- tere di necessità e si definiva come quel segno che non può esistere se non esiste la cosa a cui rimanda (Philod., De si- gnis, I, 12-16). 9.2.2.2 Gli indizi di fatto Ci sono, poi, i vestigia facti (indizi di fatto), dei quali necessaria (•ea quae aliter ac discuntur nec fieri nec probari pos- sunt"I es.: ·se ha partorito, è stata con un uomo" probabilis (•quod !ere solet fieri aut quod in opi- nione μositum est") es.: ·se è madre, ama suo figlio" signum credibile indicatt.:m comparabile ("quod sub sensum aliquem cadit, et quiddam significat, quod ex ipso .!'rofectu.m .est"I. es.: sangue , fuga , "pallore", "polvere" vestigia facll) non compaiono più come sottopartizione di un'altra categoria, ma assumono ur.. ruolo autonomo. Infine viene accettata la distinzione aristotelica tra "luo- ghi estrinseci" (corrispondenti alle "prove extratecniche", titechno1) e "luoghi intrinseci" (corrispondenti alle "prove tecniche", éntechno1), che veniva criticata nel De inventione (Il, 47) e che invece sarà sviluppata nei Topica. È curioso notare come tra i luoghi estrinseci (sine arte) trovino posto, accanto alle testimonianze umane, anche quelle "divine": gli oracoli, gli auspici, i vaticini, i responsi sacri (di sacerdoti, aruspici, interpreti onirici) (Part. or., 6). Tutto ciò è sicuramente un residuo di una concezione orda- lica e antichissima dell'amministrazione della giustizia; tut- tavia è anche un indizio di un continuo riaffiorare del para- digma divinatorio all'interno dei fatti semiotici, anche quando ormai i segni si sono completamente laicizzati. Né questo è un caso isolato in ambito giuridico. Per quel che riguarda la cultura greca, si ricorderà L'orazione per l'uccisione di Erode, in cui Antifonte così si esprimeva: "Tutto quel che era provabile con indizi e testimonianze umane l'avete udito, ma in questo caso dovete votare dopo aver trattato indizi anche dai segni che vengono dagli dei" (V, 81; Lanza 1979: 105). 9.2.2.1 Il verisimile e il segno caratteristico I segni umani sono invece trattati tra gli argomenti intrin- seci, in particolare tra quelli che riguardano lo stato di cau- sa congetturale. Infatti la congettura può essere tratta da due tipi di segni: i verisimilia (verisimili) e le notae propriae rerum (segni caratteristici delle cose). Il verisimile, come dice Cicerone, è "ciò che accade per lo più" (Pari. or., 34), come a esempio "la gioventù è incline al piacere in modo particolare". Questo tipo di segno corri- sponde ali' eik6s aristotelico, di cui ha il carattere probabili- stico e generalizzante. La nata propria rei viene definita come "una prova che non si verifica mai direttamente e indica una cosa certa, co- me il fumo indica il fuoco" (Part. or., 34). Si tratta, evi- dentemente, del segno necessario, come è dimostrato anche dall'esempio e dall'uso dell'aggettivo proprius, che riman- da alla nozione di fdion semefon (segno proprio). Per Ari- stotele il segno proprio era la caratteristica specifica di un certo genere, come, ad esempio, il fatto che i leoni avessero grandi estremità, segno del coraggio (An. Pr., 70 b, 11-38). Per le scuole postaristoteliche il segno proprio aveva carat- tere di necessità e si definiva come quel segno che non può esistere se non esiste la cosa a cui rimanda (Philod., De si- gnis, I, 12-16). 9.2.2.2 Gli indizi di fatto Ci sono, poi, i vestigia facti (indizi di fatto), dei quali vengono dati questi esempi: "un'arma, macchie di sangue, grida, lamenti, imbarazzo, alterazione del colorito, discor- so contraddittorio, tremore [...]. gli indizi materiali della premeditazione, le confidenze sulle intenzioni delittuose, le risultanze visive, uditive, rivelate" (Part. or., 39). Cicerone non definisce qufsto tipo di segni, se non dicendo che si tratta di "fenomeni avvertibili con i sensi" (ibidem), caratte- ristica condivisa anche dai signa del De inventione (I, 48), in cui ricorrono esempi analoghi, e dagli argumenta di Cor- nificio (Rhet. ad Her., II, 8). I commentatori si sono chiesti se i vestigia f acti siano più in relazione con i segni necessari (notae propriae rerum) o con i verisimili (verisimile) (Crapis 1986: 61-62). In realtà questa sembra una categoria abbastanza autonoma non avendo la necessità dei primi, ma nemmeno le caratteristi- che degli ultimi. È plausibile che essa corrisponda alla cate- goria dei semefa aristotelici, diversi tanto dai tekméria quanto dagli eik6ta. Da un altro passo delle Partitiones oratoriae (114), dove ricorrono esempi analoghi, i vestigiafacti (chiamati lì anche signa) vengono definiti come consequentia, cioè inferenze che si traggono dal conseguente, caratteristica che definiva appunto, per Aristotele, i segni non necessari. Ma mentre Aristotele condannava i semefa da un punto di vista episte- mologico per la loro insicurezza, Cicerone è pronto a rico- noscerne l'efficacia qualora si presentino in gran numero (coacervata proficiunt, 40). Possiamo quindi schematizzare la classificazione cicero- niana nelle Partitiones oratoriae (cfr. p. 215). 9.2.3 Le opere sulla divinazione Molte cose collegano la retorica giudiziaria alla divina- zione. Innanzitutto il fatto che entrambe si avvalgano dei segni per arrivare alla conoscenza di fatti non direttamente accessibili alla percezione. In secondo luogo, in entrambe viene operata una distinzione tra aspetti che sono eminente- mente congetturali e altri aspetti che sono invece naturali o coniectura -------- I ------- vestigia facti osigna verisimili& notae propriae rerum c•quod plerumque ita r11·1 es.: ·adolescenza- incllnazione alla libidine· c•quod numquam aliter fit certumque declarat•) es.: ·tumo-fuoco· 1•sensu percipi potest") es.: ·sangue-uccisione• dati: alla dicotomia retorica tra prove tecniche (o congettu- rali) e prove extratecniche corrisponde la distinzione tra di- vinazione artificiale (basata sull'interpretazione e sulla con- gettura) e divinazione naturale. Infine, come Cicerone pole- micamente rileva (De div., Il, 55), i segni della divinazione sono talvolta interpretati in maniera diametralmente oppo- sta, proprio come avviene nel processo, in cui l'accusa e la difesa propongono dello stesso fatto due interpretazioni di- verse ed entrambe plausibili. Ma Cicerone apprezza i metodi dell'indagine giudiziaria, mentre nutre una diffidenza enorme nei confronti della di- vinazione. In linea, infatti, con un vasto gruppo di intellet- tuali della sua epoca, educati ai metodi di indagine della fi- losofia greca, a fondamento razionalistico, e contempora- neamente impegnato in politica, sente l'esigenza di operare una distinzione netta tra religione e superstizione, di cui la divinazione fa, per lui, parte. La religione appartiene alla più antica tradizione romana e, posta come è ai fondamenti dello stato, deve essere conservata, pena la disgregazione dello stato ste~so; la superstizione, invece, costituita dal coacervo degli elementi spuri che inquinano e rendono poco credibile la religione stessa, dev'essere respinta, anche per- ché non venga limitata la libertà del cittadino romano nel suo impegno di gestione della repubblica. Cicerone affronta questi argomenti nel De natura deo- rum, nel De fato e, soprattutto, nel De divinatione. Que- st'ultima opera è scritta in forma di dialogo tra l'autore e il fratello Quinto, il quale difende l'arte divinatoria basandosi sulle teorie storiche che legavano la divinazione all'esistenza degli dei. Le osservazioni di Cicerone contro la teoria soste- nuta da Quinto sono particolarmente interessanti perché costituiscono una vera e propria critica a un meccanismo semiotico settoriale e contribuiscono, in negativo, a una concezione generale del segno. 9.2.3.1 La divinazione "artificiale" Secondo la teoria di Quinto, gli dei si pongono come fon- te dell'informazione e come emittenti nei processi di comu- nicazione divinatoria, dei quali gli uomini sono i destinata- ri. Ma, a seconda dei due specifici tipi di divinazione, il pro- cesso comunicativo si struttura in modo differente. Il primo tipo è costituito dalla divinatio artificialis, in cui l'interpretazione dei segni è legata a un'ars, ovvero a una tecnica professionale di decriptazione, demandata a specia- listi, ciascuno esperto in un settore: extispices (esaminatori delle viscere), interpretes monstrorum et fu/gurum (inter- preti dei fatti prodigiosi e dei fulmini), augures (interpreti del volo degli uccelli), astrologi (interpreti delle stelle), in- terpretes sortium (interpreti delle combinazioni di tavolette mescolate in un'urna ed estratte a caso). In tale divinazione l'informazione proveniente dalla divinità si materializza prima di tutto in una sostanza espressiva percepibile, a cui l'ars permetterà di abbinare un contenuto semantico. I presupposti su cui si basano le interpretazioni di questo tipo sono dati dalla teoria, di origine stoica, secondo cui tutti i fenomeni sono legati tra di loro in una catena di cau- se ed effetti, senza soluzione di continuità. Questa catena che ha come fondamento primo il /6gos divino e costituisce il fato (heimarméne), non è conoscibile per intero da parte degli uomini, dato che l'onniscienza è prerogativa della sola divinità (De div., l, 125-127). Tuttavia viene prevista l'esistenza di un tempo ciclico che "può essere paragonato con lo srotolarsi di una gomena, in quanto non dà mai luogo a fatti nuovi, ma ripete sempre quanto prima è accaduto" (De div., I, 127). Questo fa sì che gli uomini, attraverso l'osservazione attenta, colgano il mo- do in cui gli eventi si ripetono e, pur non potendo conoscere direttamente le cause, possono però arrivare a coglierne gli indizi caratteristici (signa tame.1causarum et notas cernunt) (ibidem). Dato poi che è possibile tramandare memoria dalle con- nessioni passate, si crea un vero e proprio codice basato sul- la iteratività. Si può schematizzare così il processo: emittente divino-segni di cause-eventi futuri codice basato sulla iter attività 9.2.3.2 La divinazione "naturale" Il secondo tipo di divinazione è quello definito naturalis, in quanto indipendente da qualunque tecnica professionale, ma derivante piuttosto da una diretta ispirazione divina, senza passare attraverso la mediazione di un segno esterno. Fanno parte di questo tipo le forme di preveggenza derivan- ti da invasamento profetico, cioè le vaticinationes e quelle derivanti dai sogni. Il palinsesto filosofico ·a cui è legato questo secondo tipo di divinazione è quello delle teorie peri- patetiche (Dicearco e Cratippo vengono esplicitamente no- minati, De div., II, 100), secondo le quali l'anima, per il suo legame naturale con la divinità, una volta che sia spinta da una divina follia o sciolta, nel sonno, dai vincoli che la legano al corpo, partecipa direttamente della conoscenza del dio. Il ruolo del codice è in questo caso ridotto, se non addirittura sostituito da una parziale identificazione tra emittente e ricevente, secondo lo schema:   emittente divino - 9. RETORICA LATINA 9.3 QUINTILIANO 219 Ma ci sono altri gravi difetti che la divinazione presenta dal punto di vista semiotico: (i) le interpretazioni di uno stesso segno sono spesso diametralmente opposte (De div., II, 83); (ii) si verificano frequentemente fenomeni di falsa identificazione dell'antecedente, per cui un certo evento non è connesso a quello individuato come segno prodigio- so, ma a ben diverse cause naturali (De div., II, 62); (iii) l'interpretazione avviene a posteriori e così toglie ogni ne- cessità di rapporto tra antecedente e conseguente (De div., II, 66); (iv) in certi casi l'interpretazione è motivata da ra- gioni di faziosità politica e quindi è priva di oggettività (De div., II, 74).segno interno - evento futuro •➔ ricevente umano  9.2.3.3 Critiche "semiologiche" contro i segni divinatori Le obiezioni che Cicerone muove ai sostenitori della divi- nazione si basano su argomenti specificamente semiotici. La tesi generale, mediante la quale Cicerone nega valore alla divinazione, è che essa non abbia veramente carattere semiotico, e cioè che i fenomeni che essa interpreta come se- gni non siano veramente tali, ovvero che non si comportino veramente come degli antecedenti rispetto a dei conse- guenti. Per distinguere i segni veri rispetto a quelli presunti della divinazione, Cicerone istituisce un paragone tra le tecniche scientifiche (come la medicina, la meteorologia, la nautica, la tecnica previsionale del contadino e dell'astronomo) e la divinazione. In entrambi i casi è in gioco la predizione del futuro a partire da certi indizi; ma, mentre le pratiche pro- fessionali adottano una vera e propria metodologia che comporta "scienza (ars), ragionamento (ratio), esperienza (usus) e congettura (coniectura)" (De div., II, 14), le prati- che divinatorie si basano sul "capriccio della sorte, tanto che nemmeno la divinità sembra che possa avere, fra le sue prerogative, quella di sapere quali fatti il caso farà accade- re" (De div., II, 18). Questa opposizione tra ciò che, in definitiva, è il codice (anche se si tratta di legami naturali basati sulla frequenza statistica) 1 e il caso è del resto la stessa con cui i medici ip- pocratici tendevano a distinguere la propria scienza profes- sionale dalla divinazione e dalla medicina magica (Antica medicina, cap. XII). Cicerone poi si sbarazza in termini razionalistici della teoria secondo cui anche nel caso della divinazione tecnica si farebbe appello all'osservazione iterata delle coincidenze, ritenendola ridicola e insostenibile (De div., II, 28). Ma ci sono altri gravi difetti che la divinazione presenta dal punto di vista semiotico: (i) le interpretazioni di uno stesso segno sono spesso diametralmente opposte (De div., II, 83); (ii) si verificano frequentemente fenomeni di falsa identificazione dell'antecedente, per cui un certo evento non è connesso a quello individuato come segno prodigio- so, ma a ben diverse cause naturali (De div., II, 62); (iii) l'interpretazione avviene a posteriori e così toglie ogni ne- cessità di rapporto tra antecedente e conseguente (De div., II, 66); (iv) in certi casi l'interpretazione è motivata da ra- gioni di faziosità politica e quindi è priva di oggettività (De div., II, 74).

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