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Thursday, April 28, 2022

GRICE E CERETTI: PASŒLOGICES SPECIMEN

 L'arte della parola è per noi assai più spirituale che non le  arti del disegno e della musica. La medesima contiene idee de-  finite come nell'arte del disegno, e medesimamente una succes-  sione temporanea come nella musica-, ma queste idee definite non  sono più astrattamente naturali come nell'arte del disegno (appari-  zione), nèuna successione temporanea di spirituali emozioni, corno  nella musica, ma piuttosto idee concrete (physir.fte e metaphysiche)  colle loro successicni definite di idee pensale non astrattamente  sentite.   Si crede comunemente che l'arte della parola sia la vera re-  sumzione del disegno e della musica; certamente essa può espri-  mere idee proprie, quali non potrebbero essere espresse da vermi  disegno e da veruna musica, ma questa proprietà non costituisce  una vera preminenza nel significato che a lei comunemente si  attribuisce. L'arte poetica riassume in se stessa ed esprime a  proprio modo certe idee, quali non potrebbero essere espresse da  quelle altre due arti, ma non potrebbe in verun modo essere so-  stituita alle prefate singole arti. La stessa può esprimere una suc-  cessione di pensieri, ma non una successione temporanea di emo-  zioni spirituali col prestigio proprio della musica; così pure può  esprimere definite rappresentazioni come le arti del disegno, ma  non può presentarle immediatamente e sensibilmente, al pari di  quella, la quale ripete il suo prestigio appunto da questa imme-  diala sensibile rappresentazione.   Cosi generalmente parlando l'arie poetica da una parte può  essere considerala come resumliva unità delle idee divorziale  nella musica e nel disegno, dall'altra però può essere considerala  come il germe inesplicito delle suddette arti, che esplicandosi  nelle loro astrazioni generano il disegno e la musica. Infatti se  l'arte poetica da una parte accompagna il massimo svolgimento  della civiltà, dall'altra parte è stata un'arte assai primitiva e forse  cosi primitiva come il disegno ed assai più che la musica; le idee     l'arte della parola     contenute in queste possono considerarsi come generate da una  astrazione ideale, che costituisce le suddette arti.   L'arte della parola si divide in tre periodi capitali:   1) L'arte poetica come esiste nella letteratura propriamente   delta;   2) L'arte prosaica, come esiste nelle discipline finite empi-  rico-matematiche;   3) L'arte speculativa, come esiste in tulle le cosi delle  p/iilosophie, non arrivale alla necessità logica del pensiero, cp-  pcrciò a quelle philosophie che devono persuadere o dimostrare  in qualche modo la propria verità.   Questi tre periodi costituiscono la concreta arie della parola,  ossia quella che si svolge come manifestazione della Coscienza  pensante. Noi tratteremo brevemente, ma categoricamente questi  tre periodi della parola, che realmente sono anche i periodi dello  spirilo parlante, prima del quale è l'esistenza meramente psychica  e istintiva delle bestie, e oltre il quale il pensiero va in un altro  systema che non è più quello che possa interessare lo spirilo  slesso.   Intendiamo arte della parola quell'arte che si svolge nel pen-  siero concreto, epperciò si manifesta sotto le forme concrete del  medesimo, non in qualche sua astrazione, come quelle del disegno  e della musica, le quali si manifestano nell'astratta forma del senso  intimo o del senso esteriore. Denominiamo arte della parola quella  che si svolge mediante una lingua letteraria, non quell'idioma po-  polare che nasce e si sviluppa islinlivamenle nel popolo, ed appar-  tiene alla natura piuttosto che allo spirilo pensante.   Quest'arte fu considerala astrattamente come lingua eslhelica,  ovvero poesia; ma essa prosegue il suo svolgimento anche nella  lingua prosaica (come nelle discipline finite), e nella lingua spe-  culativa, ossia in quella che si chiama comunemente phìlosophia.  Questo svolgimento appartiene all'arie della parola, e comprende  lo spirilo assoluto (lo spirilo, non la Coscienza assoluta). ZNello  spirilo giova osservare che le categorie devono essere gerarchica-  mente coordinate, e non si potrebbe concepire un'esistenza spi-  rituale che non possedesse vizi e virtù, buono e male, e cosi via.     121.» OPERE POSTUME ni PIETRO CERETTI   Perciò abbiamo dello che quella pura speculazione (dai theolo-  ganli meritamente chiamata abuso della speculazione) non appar-  tiene allo spirito come tale, ma piuttosto è l'atto caratteristico,  col quale lo spirito si svolge dal pensiero in altro systema. Questa  speculazione pura è manifesta dalla parola, ma è il suo esilo finale,  epperciò nella parola che va via dallo spirilo. Così pure quel pen-  siero che nasce e si svolge istintivamente nel popolo non appar-  tiene all'arte in discorso, ma piuttosto alla natura creatrice.   L'arte della parola suppone uno spirito positivamente formu-  lalo e muore colla morie dello slesso, epperciò la medesima  appartiene essenzialmente allo spirilo, non generalmente alla  Coscienza. Lo spirilo nasce dal non spirilo e muore nel non spi-  rilo, ossia è un momento storico nello svolgimento della Coscienza ;  epperciò consideriamo come un prodotto della natura (ossia di  un systema non ancora positivamente spirituale) quella lingua e  quel pensiero che nasce e si svolge istintivamente nel popolo. È  una lingua psychica, che progressivamente e lentamente si svolge  in una spirituale; perciò troviamo nelle lingue esordienti la  parola determinala col semplice elemento delle intonazioni, ed  inoltre che le nostre idee metaphysiche ebbero tutte nelle lingue  primitive un significalo di phenomeno sensibile, e anche oggidì  si trovano negli uomini naturali lingue che possono significare  individui, non generi e specie, caratteristico di quelle spirituali.  Nell'infimo popolo le idee metaphysiche sono ancora mollo equi-  voche; cosi per es. suppongono lo spirito non solo in un tempo  ed in un luogo (vale a dire nella natura), ma anche con un pos-  sesso caratteristico del pensiero humano ; questo non può risul-  tare che da uno spirilo in una forma necessariamente humana.   Così quest'arie della parola comprende la totalità dello spi-  rito (Coscienza pensante), ma esclude ogni altro systema della  Coscienza, che non sia quello dello spirilo. È questa la ragione  per la quale coll'arle medesima una verità si deve persuadere o  dimostrare; e quelle verità logicamente necessarie, che riescono  indifferenti a qualunque negazione o affermazione o dubitazione,  vale a dire si confermano con qualunque determinazione del  pensiero, non appartengono allo spirito, ma sono l'alto caratle-     i/arte poetica     1-27     rìstico per il quale la Coscienza si svolge dallo spirilo in un altro  syslema. Perciò nell'arie della parola non comprendiamo la spe-  culazione pura nelle sue verità logicamente necessarie.   Lo spirilo è contenuto entro i limili della Coscienza pensante;  olire questi limiti non è spirito veruno, ma semplicemente un  qualche altro syslema della Coscienza slessa. Perciò l'arie della  parola è quella che si svolge   1) Colle categorie del sentimento, verbigrazia colla per-  suasione, colla fede, coli' ispirazione, e cosi via;   2) Colle categorie dell' intelletto, verbigrazia colla dimo-  strazione assiomatica o empirica ;   3) Colle categorie di una facoltà concettiva infantile, ver-  bigrazia con quelle forme equivoche della pìdlosophia comune.   Una speculazione pura, che introduca le verità logicamente  necessarie (le quali differiscono essenzialmente dalle verità sue-  cennate), è il risultalo d'una facoltà concettiva adulta, la quale  conduce la Coscienza fuori dallo spirilo in un systema più horno-  geneo, perocché quello non potrebbe vivere con siffatte verità.     XXV.     1/ arte poetica.      L'arte poetica è l'esordio dell'arte della parola, e lo spirilo  poetò assai prima di parlare prosaicamente, perchè la poesia  appartiene al sentimento ed all'imaginazione, e la prosa all'in-  tellettualità riflessa.   Si dice che gli uomini primitivi sono essenzialmente poeti,  ed il loro linguaggio non esprime mai un' idea esalta, ma una  forma piuttosto oscillante nel sentimento e nell'imaginazione. È  vero che gli stessi parlavano un linguaggio non menomamente  formulato dalla riflessione, ma semplicemente dal sentimento c  dall'imaginazione, che sono però ben altro da quell'intimità  melaphysica che noi possediamo, ed è piuttosto il risultalo del-  l'opposizione d'una mente prosaica con una mente poetica. La  loro l'orma poetica era tuttavia profondamente immersa in un     128     OPERE POSTTJMB ni PIETRO CERETTI     elemento immediatamente sensibile, che noi potremmo difficil-  mente imaginare. È questa la somma difficoltà che noi proviamo  nel concepire chiaramente le antichissime forme della poesia,  come per es. quella dei Vedi ed anche della nostra Bibbia.   Originariamente si scrisse ogni cosa in una lingua poetica,  se qualche volta non rigorosamente metrica, almeno tale da suo-  nare all'orecchio con una qualche misura. Troviamo per es. i  salmi della nostra Bibbia scritti in una forma non esattamente  metrica, ma nullameno misurala. E ciò accadde perocché il pen-  siero era allora essenzialmente poetico; Hegel notò mollo assen-  natamente che il primo prosatore nel lernpo fu Aristotele, si scris-  sero bensì prima di lui molli pensieri in una lingua perfettamente  non metrica, ma essi, nonostante quest'apparenza prosaica, etano  tuttavia poetici; per es. gli scritti di Platone sono più poetici che  prosaici. Gli argomenti, che oggidì consideriamo come necessa-  riamente prosaici, erano trattali in poesia. Così presso gì' indiani  troviamo arylhmetiche, astronomie, vocabolari etc. distesi in una  lingua metrica , e si può dire generalmente che i primi popoli  civili non sapevano pensare e parlare se non poeticamente. Al-  cuni popoli, come gli as ia tici, ve rsano tuttavia in ques t'elemento  poetico che loro impossibilitò una sto ria.   La poesia, come esordio dell'arte della parola, si distingue in  tre momenti :   1) È poesia epica, ossia immersa in un elemento ogget-  tivo, in un'unità religiosa o elhnica ;   2) Poesia li/rica, ossia la soggellività che nasce e si svolge  da questa generalità;   3) La drammatica, ossia la poesia che oppone i vari sen-  timenti e le varie convinzioni, giusta le varie soggellività e le  varie oggettività cosliluile.   La poesia didattica veramente non è poesia, ma piuttosto una  riflessione legala nelle forme poetiche e misurale; è piuttosto una  vera dissonanza della riflessione colla sua forma, vale a dire, con  una forma che non è quella propria di lei, essenzialmente prosaica.   Generalmente parlando è poesia la forma del pensiero poetico,  il quale perciò reclama tale forma; e sluona lanlo una forma     l'arte POE l ICA     metrica con un pensiero prosaico, quanto un pensiero poetico con  una prosa libera, vale a dire, colla forma della riflessione; il lin-  guaggi o ed il pe nsiero devono con sonare in una sola forma, non  in d ue diverse e contra rie.   Chiamo poesia epica quell'essenzialità ideale generalmente  immersa in qualche astrazione objettiva di costituzione religiosa  o di nazionalità, non quell'astratto formalismo di un'epopea o di p  una lyrica. Cosi per es. gli inni di Pyndaro e quelli di Tirteo J* "*^*  appartengono all'epica, pero cché i lo ro soggetti non sono con - y^'^ wfs» '  centrati nella loro propria soggettività^ ma piuttosto immersi i n y*  un'obiettiva astrazione religiosa e nazionale. Possiamo dire clic     all'epopea appartengono tutte le co mposizioni in ossequio d'una  qualche costituzione religiosa, o d'una qualche nazionalità.. Cosi  per es. il Malia- bahrata è una splendida epopea, tuttoché non  contenga veruna idealità nazionale, il Shah-Nameh dei persiani lo  è pure, tuttoché differisca essenzialmente dal Maha-bahrata. La  Theogonia di llesiodo è pure un'epopea religiosa, e così la Divina  Commedia dell'Alighieri, ed il Paradiso perduto di Milton. Le  epopee prettamente nazionali sono Vlliade d'IIomero, YHeneide  di Virgilio, i Lusiadi di Camoens, e altre simili composizioni.   Generalmente nell'epopea si realizza una somma grandiosità  poetica , ma l'uomo sj^om nare, per cosi dire, ne l l'unità religiosa  o nazional e, a c e lebrare le _ quali è destinato .   All'epopea appartengono pure certe formule satyriche, come  per es. il Don Quijolte di Cervantes, e la Verdine d'Orleans s critta  da Voltaire, le quali veramente non sono destinale a celebrare il  sentimento religioso e l'heroismo nazionale, ma il loro argomento,  tuttoché salyrico, è pur sempre religioso e nazionale. Si deve  avvertire che l'epopea appartiene sempre ad u n'astrazione objet-  liva di costituzione religiosa o nazionale, ma differisce somma-     mente per i vari gradi della civiltà, nella quale è nata.   Il secondo momento della poesia è la lyrica propriamente  detta. Chiamiamo lyrica quella poesia del soggetto raccolto in se  stesso, o per lo meno, nella sua vita privata.   Gli asiatici generalmente sono troppo immersi nell'objellivilà  costituita religiosa o politica per conoscere una vera lyrica; si   9 — uebetti, Canaidcr. sul list, rftiier. JeUu spirilo.     I:MI     oim:iu5 postumi-: ni hktro ceretti     può diro che essa nacque la prima volla in Grecia ed in Roma  quando il soggetto principiava a sentire l'insufficienza di una  costituzione oggettiva ed i bisogni della sua propria soggettività.  Cosi non quelle forme che si chiamano comunemente lyriche,  come le Odi di Pyndaro, gl'inni religiosi eie, appartengono a una  vera lyrica, ma piuttosto quelle dedicate alla soggettività ; per es.  appartiene alla vera lyrica l'antica poesia di Museo litolata Eri  e Leandr o, le erotiche di Anacreonle, alcune di Horazio, come  anche quelle di Catullo nei suoi rapporti colla Jjilage scherzosa.   Oggidi la poesia lyrica è tuttavia persìstente, ma l'epica è  perfettamente abolita/yA questo genere, come nell' epopea, può  appartenere una poesia piuttosto umoristica, ironica e parodiaca,  perocché la lyrica non è menomamente vincolata alla serietà, ma  semplicemente alla soggettivazione. Il soggetto può poetare delle  varie cose seriamente o ironicamente, purché in essa varia o saly-  rica composizione lasci trapelare una qualche propria convinzione.   La transizione da questo genere alla drammatica è caratte-  rizzala da una poesia alquanto equivoca, nella quale il soggetto  tratta le varie cose ironicamente, parodiacamente eie, ma non  lascia trapelare veruna propria convinzione, così che le delle  poesie non contengono un'idea conclusionale; sono astrattamente  negative e non affermano cosa veruna. Queste poesie si realizzano  in un lempo mollo civile, e sostanzialmente vogliono dire che il  poeta rimane semplicemente spettatore , non attore delle cose  ironicamente ricordate. Comunemente si chiamano queste mani-  feslazioni quelle di un genio spossato e di una certa decadenza  della civiltà; la storia, come abbiamo detto, per proseguire la  sua vita ha bisogno di principii serii; la forma dei principii può  variarsi quanto si vuole, ma è necessario che la si fissi, vale a  dire, che si fìssi un qualche systema nel quale si svolga la storia  stessa. Ecco la ragione per la quale una rilassatezza di principii  è sempre giudicata un syntomo di .slorica decadenza; non si  avverte però che la rilassatezza di principii conosciuti è sem pre  la nascila vigoros a di principii nuovi e sconosciuti.   Il terzo momento della poesia abbiamo detto è la dramma tica.  Qui sono anlagoni o più soggetti di principii contrari, che si con-     l'arte poetica I :l   tendono Ira loro, e appurilo in questa conlesa le antagonc con-  vinzioni si neutralizzano, vale a dire, risulta la loro reciproca  insufficienza. L' un soggetto contende centra l' altro soggetto ^  avversario, e cosi amendue difendono la pr o pria convinzione, * '  Ques ta difesa si effettua mediante le ragioni che tornano favore -  voli a esse convinzioni, m a, siccome esse sono due o giù con-  tr arie, ciascheduna difendendo se stessa combatte la propria  avversaria. Non è certo una parte che preferisce un negativo  un positivo ( la quale preferenza sarebbe assurda) , ma amendue  ^che preferiscono un po sitivo a un negativo, cosi che in ultima     analysi amendue vogliono la stessa idea, ossia che il positivo pre-  ( domini sul neg ativo. C o ntestano semplicemente se questo sia il  (positivo e quello il negativo, o viceversa, epperciò disputan o,  circa una cosa phenomenale, non circa un oggetto o un' idea  concreta. Tulli i soggetti reclamano il positivo ed avversano il  negativo (sono due termini dell'opposizione), ma tale soggetto  vuole a come un positivo, ed avversa b come un negativo ; tal alito  soggetto vuole ed avversa inversamente. Giova osservare che  l chiamandosi a positivo e b negativo, quando siano invertiti si de-  vono chiamare inversamente: a, che phenomenalmentc hora  funziona come positivo ed hora come negativo, è un mero giuoco  di parole; perocché sono appunto quei rapporti essenziali che  sono stali mutali i quali cosliluiscono l'oggetto. Cosi la contesa  della drammatica, esaminala con un logico criticismo perderebbe  ogni drammatico interesse, perocché non è contesa seria, ma  semplicemente logomachia.   Nella drammatica però queste idee si contendono profonda-  mente involute nella for ma de jjsent imenlo e_d eH'imaginazione , e  appunto da questa profonda involuzione risulla ogni drammatico  prestigio. A vero dire in essa non si contendono mai le idee pura-  mente riflesse, ma piullosto quelle che possono grandeggiare nel  conflato del sentimento e dell'imaginazione. Infatti un interesse  drammatico non si potrebbe conseguire colla fredda e prosaica f v< -7— ^ t.'R'i  dimostrazione di un theorema matematico; questo vuol dire, m * m .% mm *40~—X*l L  che l e verità della riflessione non sono le verità^ del sentimento, K> H — cr-  u l'una è impolentissima a surrogare il posto dell'altra. Cosi pure   T-.— CU tir* ±a ru-HU*^ * E" — p+ifcjJU— r~ — -f^     132 OPERE POSTUME DI PIETRO CERETTI   una bella verità poetica, come sarebbe il conflato di un'azione  lieroica, non potrebbe interessare menomamente un Iheorema  malliemiitico e non potrebbe sostituirsi come dimostrazione.   La drammatica non insegna solamente che ogni ordine dello  spirilo ha le proprie verità, e la verità di un ordine non può  JCT*»**^**» essere q ue |] a di un altro, ma insegna altresì che certe convin-4   »>u^»*w^l« tìom sono così profondamente radicate nel soggetto, che non f   si lasciano sradicare da veruna eloquenza. Non consideriamo in *  quest'ordine i soggetti che persistono nelle proprie convinzioni  ^semplicemente perchè non le capiscono, nè possono capire altre  Sconvinzioni contrarie; que sj/opposizione non è spirit uale, e può  \ compararsi a quella della forza bruta la qual e dice; parlate come  volet e, via i o faccio co sì. I varii soggetti nella drammatica pos-  seggono le proprie convinzioni e le oppongono alle contrarie; da  quest'opposizione risulla una reciproca soppressione di verità,  ossia la prova drammatica (nel sentimento e nell'imaginazione)  che tali non sono verità, ma gravi errori. Da questa reciproca  soppressione di verità astratte risulla una verità neutralizzala ed  assai più concreta, che se non persuade i contendenti della scena  persuade l'uditorio.   Ma un'arle_(ìnissim a di far prevalere nella dispula una prò- i  pria idea preconcetta è quella che, nonostante la manifestazione  di tulle le ragioni favorevoli a una certa idea, lascia fortemente  trasparire il lato debole della medesima. L'avversario traila questo  lato debole con molla generosità, ma appunto con quesla gene-  rosità vince una causa che si 6 mostrata troppo impotente. I  personaggi delle scene molto incivilite non si trattano con colle-  riche invettive, ma piuttosto colla massima cortesia; è il diplo-  matico che accarezzando il proprio avversario gentilmente lo  strozza. L'arte soprafma non è quella di combattere viltoriosa-  mente le ragio ni dell'avversario , ma piuttosto di cond urre passo  passo l'avversario al proprio traviamento , cos icché sembri cadere  per_un suo proprio fallo, vale a dire, comballa contro se sless o.  Era questa l'arie finissima d'un antico philosopho, il quale non  contrariava mai le ragioni dell'avversario, ma lo raggirava cosi  che in ultima analysi questi contrariava se slesso. • '     l'arte prosaica     Q uesta drammatica nasce da una profonda riflessio ne, ma  può vestire forme del sentimento e dell'imaginazione, e risulia  assai più polente di quella nata da una mera imaginazione e da  un mero sentimento. Credete voi che Dante, Shakespeare e Goethe  fossero semplicemente poeti inspirali, piuttosto che rob usti pen -  satori ? Se fossero slati semplicemente poeti non avrebbero potuto  imaginare le composizioni così pregne di pensieri profondi, lo  non dico_clie i profondi pensatori, se si dedicano all'arte poetica ,  debbano riuscire necessariamente drammaturgi, ma dico sempli-  cemente che questa forma si presta maggiorm en te ad un larg o  svolgimento dell'idea . Goethe fu certamente un profondo pen-  satore e nullameno trattò non solo la drammatica , ma anche  Pepopea , la lyrica e d il ro manz o. Questo vuol dire, che il pen-  siero, il quale abbia subito un largo svolgimento, a qualunque  forma si dedichi, partorisce capolavori.     XXVI.  L'arte prosaica.   Varie prosaica è un secondo periodo nell'arie della parola,  il quale differisce essenzialmente dal primo periodo, ossia dal-  l'arte poetica, perocché quella si volge al sentimento ed all'ima--. . ^  ginazione, ma quesla si volge più particolarmente alla ri/h'ssint>i'.   Quest'arte si distingue pure essenzialmente da qualsivoglia  philosophica eloquenza, perocché quella è dimostrativa o persua-  siva secondo l'opportunità e comprende la totalità dello spirilo;  quesla è astrattamente prosaica e dimostrativa, epperció non può  mai riuscire come philosophia, nè acquistare un drammatico inte-  resse. Essa è destinala a creare piuttosto quelle tali verità che si  chiamano scientifiche, non a creare veruna concreta verilà dello  spirito.   L'arte prosaica esordisce come un mero opinalismo c nasce  dire ttamente dalla religiosità; i primi medici per es., i primi  astronomi, ed i primi chimici furono semplicemente sacerdoti, e  possedevano non una nozione di siffatte cose, ma semplicemente     134 OPERE POSTUME DI PIETRO CERETTI   un'inlima convinzione od un fallo esteriore Le discipline Lulle,  che bora versano nella riilessione, originariamente versavano in  una mera convinzione religiosa di un fallo intimo o esteriore.  Perciò noi vediamo che esse originariamente erano semplici pro-  fessioni, o più propriamente, semplici operazioni sacerdotali, le  quali riposavano sopra una fede dogmatica, non sopra veruna  empirica od assiomatica dimostrazione. Tulli sanno che la prima  medicina fu nei tempii, e che la malattia originariamente si con-  siderava come uno spirito maligno che invadesse l'ammalalo, vale  a dire, gli ammalali erano considerali come ossessi; tulli sanno che  originariamente si curava con semplici pratiche religiose, il cui  risultalo era dovuto alla fede. La reclamazione dell'intelligenza  riflessa non era nata, epperciò una simile medicina non conte-  neva veruna nozione analomica e physiologica, ma riposava sem-  plicemente sulla pubblica credenza e sulla pubblica ignoranza.  Nella civile babilonia gli ammalali si sponevano pubicamente  affinchè ciascheduno dicesse il proprio parere circa la loro ma-  lattia ed i medicamenti requisiti. Il sacerdote, come religioso,  doveva sempre curare con medicamenti prestabiliti e s'egli for-  viasse dalla cura prestabilita era castigalo colla morie, precisa-  mente come un herelico il quale non riconoscesse cerle verità  della fede. Allora non si conosceva cosa veruna e non era  naia veruna facoltà di dubilare, perocché tale facoltà appartiene  al criticismo della riflessione. Tutto era fede e religiosa con-  vinzione, la quale conseguentemente escludeva ogni possibile  incertezza; si trattavano le cose mediche press' a poco come noi  trattiamo le verità logicamente necessarie le quali non si pos-  sono in verun modo dubitare, ossia non si possono dubitare  cogitabilmenle.   Non dico che quelle verità primitive somigliassero a quelle  essenzialmente indubitabili delle mathematiche pure, perocché  queste reclamano una dimoslrazione e non sono indubitabili che  in questa loro mathematica dimostrazione. La riflessione neona-  ]&nét ìfent* scenle , che conduce progressivamente il secondo momenlo del-  l'arie prosaica, fu una semplice dimostrazione non intellettuale ,  come noi la consideriamo, ma una dimostrazione graphica per la     L'ARTE l'ROSAlCA 13,")   quale ceni phenomeni complessi si riducevano a presentazioni più  semplici, dalla cui unità risultavano i delti phenomeni complessi.  Così fu originalmente la dimostrazione mathematica, e noi sap-  piamo che una geometria graphica precedette per molli secoli  mia geometria analylica, e le stesse potenze uno, due eie, che  hora si considerano nella loro algebrica generalità, originaria-  mente si consideravano come linee, super fìci, e così via. Le  dimostrazioni mathematiche, come un risultalo della semplice  riflessione, non sono anche oggidì concepite dai molli nella loro  vera essenzialità. Cosi per es. gli uomini comuni considerano una  dimostrazione graphica come equivalente ad una puramente in-  tellettuale; giova osservare che la dimostrazione graphica è un  fatto sensibile, e si riferisce ad un dato problema presentabile  sensibilmente, ma la dimostrazione intellettuale si riferisce a un  fallo cogitabile, la quale riesce sempre irrefragabile anche per  quelle cose che non si possono presentare sensibilmente, purché  siano ridutlibili ad una tale equazione.   L'arte prosaica consiste nel trovare questa dimostrazione, e  nel fare che una verità non sia più semplicemente soggettiva. Le  verità apodittiche si distinguono dalle verità del primo momento  appunto perchè queste sono varie nei varii soggetti (varii soggetti  posseggono varie convinzioni), ma quelle sono identiche in tulli i  soggetti. Un soggetto può possedere una fede ed un altro sog-  getto può possederne una contraria, ma nessuno potrà pensare  che un theorema geometrico di Pithagora per es., non sia neces-  sariamente vero, perocché nessun soggetto può dubitare che a = a,  identità alla quale, come alla propria radice, si riducono lulle le  verità mathematiche.   Vi è una terza forma dell'arte prosaica, che è pure una forma  apodilhica, ma differisce essenzialmente dalla dimostrazione ma-  thematica, perocché quella è semplicemente un mezzo a cono-  scere qualche verità naturale o spirituale, questa non è sempli-  cemente un mezzo, ma è immanente al proprio scopo. Qui non  si tratta più di conseguire uno scopo con un mezzo adeguato, ma  si traila di conoscere una verità che ha in se stessa il proprio prin-  cipio, mezzo e scopo. L'osservazione esplora ciò clic sia il sog-     136 OPERE POSTUME DI PIETRO CERETTI   getlo in se stesso, e suppone che la verità di esso sia in lui recon-  dita e mediante l'osservazione si possa conoscere quello che e.  Le mathematiche pure contengono verità puramente intellettuali,  epperciò verità irrefragabili e necessarie; ma come tali non pos-  sono contenere verun scopo naturale o spirituale; debbono assu-  mere un elemento empirico, epperciò un'essenzialità contingente.  Le verità empiriche differiscono essenzialmente dalle mathema-  tiche, perocché quelle sono irrefragabili e necessarie, ma queste  essenzialmente controvertibili ; perciò nelle cose mathematiche  non si può avere una propria opinione, e si tratta solamente di  sapere se questa sia o non sia una verità mathematica, ossia una  verità mathematicamente dimostrata; nelle cose empiriche tutto  è conlroverlibile, epperciò i varii soggetti possono possedere varie  opinioni e varie convinzioni, ma queste verità controvertibili pos-  sono contenere una natuca concreta o uno spirilo concreto.   L'osservazione insegna esattamente quello che sia ogni ordine  finito, epperciò insegna che ogni ordine empirico versa in una  necessaria contingenza. Presumere di conoscere qualcosa defini-  tamente coll'osservazione è una presunzione puerile, perocché  tanto l'oggetto dell'osservazione, quanto l'osservazione stessa ver-  sano in una necessaria contingenza. Ogni ordine finito appartiene  alle discipline empirico-induttive o alle discipline mathematiche  empirico-induttive; perciò i cultori di queste discipline finite  dicono, non vi è verità assoluta, ma ogni verità è necessaria-  mente relativa. Questo è vero, perocché nelle discipline finite non  si può trattare se non la verità relativa, e quella verità assoluta  che possibilità la relazione non appartiene a delle discipline. Però  nelle medesime tutte le verità relative non sono identiche, ed esse  si coordinano gerarchicamente secondo il grado di relazione.  Cosi per es. nelle cose spirituali si distinguono verità puramente  soggettive dalle nazionali, e le nazionali dalle verità humanilarie,  e le humanilarie dalle mondiali.   Una verità positiva nell'ordine finito si chiama quella che  possiede rapporti più generali, cosi che possa essere poco affiena  dall'opinalilà soggettiva. Così per es. che i gravi cadano colle  leggi di Galileo è una verità empirica, ma essa è cosi generale e     l'arte speculativa     137     cosi costante sul nostro globo, che non può essere affetta da  veruna opinalilà soggettiva. La medesima è una verità puramente  empirica, perocché se una pietra non cadesse nello spazio libero  sulla terra non si troverebbe una ragione contraria assolutamente  necessitala da opporre al suddetto phenomeno; la pietra deve  cadere nello spazio perocché è sempre caduta; è un documento  costante dell'osservazione; ecco lutto; e questo lutto non si può  trascendere in verun modo dall'intelligenza riflessa senza cadere  in gratuite supposizioni. La riflessione non può opporre per es.  che siccome il centro e la peripheria si suppongono necessaria-  mente, cosi il corpo deve necessariamente procedere dal centro  alla peripheria, e viceversa per conseguire un'esistenza esteriore.  Questa cosa si capisce chiaramente dicendo, che una materia  centrale è necessariamente una materia caduta, ed una peripheria  è necessariamente una materia spostata dal suo centro; cosi una  materia è pure un'oscillazione necessaria fra il centro e la peri-  pheria, perocché la non si può supporre occupare due luoghi  nello spazio. Qui non si traila empiricamente di provare che  generalmente la materia debba essere attratta e respinta dal  centro alla peripheria e viceversa, ma semplicemente di provare  che questa tale materia hora e qui sia attratta o respinta, piut-  tosto che altrimenti.   Perciò l'osservazione non tratta le verità generali, ma sem-  plicemente quelle nel tempo e nello spazio; ed i cultori delle  discipline finite dicono saggiamente, che tutte le verità sono rela-  tive; s'intende che tulle le verità finite sono lali.(/J   XXVII.  L'arte speculativa.   L'arie prosaica è necessariamente un'arte che tratta il finito,  ed è prosaica perchè appartiene alla riflessione. L'arte specula-  tiva non è più tale, perocché si propone di conoscere non le  verità relative e finite, ma le verità generali, madri dì ogni  ordine finito. Quest' arie differisce essenzialmente lanlo dalla     1 i s U'ERE POSTUME DI PIETRO CERETTI   poetica quanto dalla prosaica, perocché aspira alla nozione,  e ad una nozione indipendente da ogni empirica autorità; sendo  tale, la non si può chiamare un' arte aslrallamente prosaica nè  astrattamente poetica, perocché contiene il suo argomento con-  creto, di cui la prosa e la poesia sono astratte manifestazioni.  Cosi lo spirilo generalmente parlando non è poetico astrattamente,  perchè anche prosaico, e non è prosaico aslrallamente perchè  anche poetico. Nell'eloquenza philosophica qualche volta si vuole  persuadere (cioè parlare all'imaginazione e al sentimento, come  la poesia); qualche volta però si vuole dimostrare (cioè parlare  alla riflessione, come la didattica finita); in concreto però lo spi-  rilo vuol insinuare la verità, non imporla se sotlo una forma  poetica o prosaica; vuole insinuare una verità concreta di cui la  forma poetica e la prosaica sono forme astraile; lo spirilo vuol  trasfondere lo spirilo, il quale è semplicemente l'attitudine a  costituirsi poetico o prosaico.   Quest'arte speculativa per conseguire il proprio scopo si svolse  caratteristicamente per tre momenti, che sono quelli della philo-  sophia comunemente della. Cosi prima è una s peculazione im-  mersa in un elemento poetico o religioso (come per es. l' ispira-  * zione e la fede). Poscia è una speculazione immersa in una  dimostrazione mathematica o empirica , cioè una verità generale  diesi vuol conseguire col melhodo delle verità finite. Finalmente  è una speculazione scettica che si rillettc in se stessa, e conchiude  che l'inlellellualilà riflessa è incompetente a conoscere l'assoluto.   La philosophia più o meno popolarizzata nei vari paesi civili  dell'Europa, appartiene sempre al primo momento, vale a dire,  è un sentimento od un'imaginazione più o meno philosophalc ;  non si aspira categoricamente alla nozione, ma semplicemente a  persuadere una certa verità generale. Questa persuasione non può  riposarsi se non in una fede nella cosa o nel dichiarante la cosa.  Perciò si fa sempre appello o a un senso comune (come la scuola  scozzese), o a una verità rivelata (come generalmente tutte le Iheo-  sophie, comprese anche quelle che si dicono speculative), o final-  mente a una ragione esplicita colla forza dell'eloquenza, vale a  dire, a una ragione diretta al sentimento. La philosophia co-     i/arie speculativa     1*1     mune della gente non può essere se non una philosophia più o  meno poetica, religiosa o irreligiosa; checché ne sia, le sue ra-  gioni non sono mai dirette a costituire la nozione, ma semplice-  mente a commuovere il sentimento , o _provocare l'imaginazione:  perciò quest'eloquenza philosophica non si può chiamare poetica  nè prosaica, ma semplicemente un'arte speculativa che persuade  o commuove secondo le varie circostanze. É la sola possibile  philosophia che si possa popolarizzare, perocché il sentimento e  l' imaginazione nella gente comune possono essere mediocremente  espliciti, ma la riflessione è sempre notevolmente debole.   In questo primo momento si dice, per es., che la philosophia  dev'essere nazionale, ovvero deve servire la Chiesa , ovvero lo  Stato, ovvero la civiltà, e così via; si vuol fare della philosophia  una disciplina finita con uno scopo finito. E veramente questa  manifestazione equivoca della mente humana non potrebbe tra-  scendere a una pura speculazione, e d'altronde non potrebbe co-  stituirsi una technica chiaramente professionale. Perciò quando?  udiamo che una persona ci risponde che il suo studio sono le)  mathematiche, la chimica, eie, sappiamo positivamente quelli*  ch'essa dice, ma se udiamo che la della persona si dedica alla)  philosophia, rimaniamo piuttosto perplessi. Si é talmente gene-(  r atizzato questo nome, che horamai non si sa più cosa si vogli a  dire ,, quando lo si pronuncia . Tra una philosophia dell'ordine  succcnnalo, ed una philosophia come speculazione pura corre  una differenza molto maggiore che non fra la botanica e la giu-  risprudenza.   Un secondo momento dell'arte speculativa è quello che, ab-  bandonando il campo della fede, si dedica alla dimostrazione  mathematica o empirica, vale a dire, a una philosophia che vuol  conseguire la propria verità col methodo d'una disciplina finita.  Cosi, per es., Spinoza trattò la sua etilica con un methodo rigo-  rosamente geometrico (proposizione, dimostrazione, corollario). Nel  secolo passato questa manìa d' imitare i malhemalici fu mollo  generale nei philosophi ; non avvertivano che le mathematiche  sono rigorosamente esatte, perocché versano in un'aslratla iden-  tità, vale a dire, si riducono alla loro assiomatica identità a = a,     OPERE POSTUME DI PIETRO CERETTI     locchè non potrebbe realizzarsi circa veruno scibile concreto, pe-  rocché esso scibile concreto deve contenere le categorie radicali  di qualsivoglia realtà, cioè la qualità e la quantità. Le mathema-  tiche sono appunto esalte perchè contengono una sola categoria  (la quantità), e le loro verità non sono mai il rapporto di una  all'altra categoria (il quale rapporto costituisce l'essenza di qual-  sivoglia verità); questa sola categoria è appunto incontroverlihile,  perocché si riferisce semplicemente a se stessa; perciò si è dello  che i theoremi malhemalici sono giusti, ma non sono veri, ap-  punto perchè non contengono la totale essenza di quella che noi  chiamiamo verità, o, per lo meno, le verità mathematiche hanno  un significalo altro da quello delle altre discipline. Cosi trattando  mathemalicamenle le materie philosophichesi sono dovute ridurre  a un'astratta identità affinchè riuscissero incontrovertibili come  le mathematiche. Spinoza, per es., poneva la massima cardinale  che due cose diverse non possono avere un rapporto fra loro,  perocché nella comunanza di esso rapporto elleno sarebbero iden-  tiche; di qui conchiuse una sostanza universale identica a se  slessa, la quale si manifesta nelle sue varie attribuzioni come la  spaziosità, la temporaneità, eie. ; considerava la Coscienza come  una mera attribuzione di essa sostan za. Non avvertiva 1° che  nulla può essere reale se non sia Coscienza e p perc iò la Coscienza  n on è un attributo ma la sostanza stess a di ogni cosa: 9° che  ja mede sim a non è u j^ realtà, ma piuttosto i nfinita attitudine  a realizz arsi^ epperciò non si può chiamare nè universale, nè  particolare, nè identica, nè differente; ri on si può predicarla in  verun modo finito.   - -- ■ -•   Vi ha pure un'altra forma della dimostrazione, che assai dif-  ferisce dalla mathematica. E la prova empirica, della quale ab-  biamo più sopra riferito il caratteristico essenziale. Nulla di più  ovvio che ascoltare cosi sconsideratamenle dai philosophanli che  la philosophia dev'essere utilitaria, e riposare sopra i documenti  positivi dell'osservazione. Questa proposizione presuppone una  perfettissima ignoranza delle verità puramente philosophiche.  Basta osservare che la philosophia, sendo il termine più generale  della scibilità, non può essere subordinala a uno scopo altro da     l'arte speculativa     141     se stessa; esso scopo suppone necessariamente che vi sia qual-  cosa più concreto della philosophia. Solamente con questa sup-  posizione si possono giudicare positive certe verità, alle quali   deve servire. .   Il terzo momento dell'eloquenza philosophica è, propriamente rnm«viAo  parlando, un'eloquenza scettic a. Si è scoperto che ogni idea consta  di due termini contrari, ma siccome la riflessione deve necessa- Se eìticìj  riamente affermare o negare, così s i conchiude che nè la ne iiiL-  zione nè l'afferma zione contengono le verit à. È questo lo scelti- 1 --r r ,.- 1 ^ \  cismo finale, al quale arrivò la speculazione greca. Negli ultimi V  tempi della philosophia greca apparvero tre syslemi, i quali,  benché non fossero prettamente sceltici, riuscirono perù pratica-  mente allo scetticismo. Così, per es., lo stoicismo (il quale non  era menomamente scettico, ed affermava che l'universo è il corpo  d'Iddio), conchiudeva che nel mondo non era cosa veruna pre- azjì^W- r . t- - > .v- V  feribile a un' allra, e così la vera beatitudine dell'uomo saggio , ^ (  non consiste nel conseguire certe cose ch'egli crede ottime, e f* 1 "* * f /""~  cansare certe altre eh egli crede grame; m a piuttosto nella piena * "  indifferenza ad ogni cosa monda na. Cosi pure i neoplatonici (i /Um. pO*.l~f3l ìfvy**  quali non erano menomamente scettici, lant'è che proclamavano  che l'assoluto è uno, epperciò non intelligibile, perocché l'intel-  ligenza suppone l'intelligente e l'oggetto dell'intelligenza, altro F.f te & \  dalla stessa), riuscivano praticamente all'estasi colla quale si ] z *iit' ,\t;c   astraevano da ogni senso esteriore. Gl i scettici propriamente delti e ,, _   ■ j „i : . ■ e- :i r M r,V     poi avendo conosciuto che ogni termine ha il suo contrario, aspi   ravano ad un giusto equilibrio (melriopatfna) dei termini con-   [rari, epperciò conchiudevano doversi speculare continuamente, H»* v "* M t^-' V*^*i  senza pronunciare giudizio veruno.   Vapathia o ataraxia degli stoici, Vestasi dei neoplatonici, la  mctriopathia degli sceltici, enunciano un solo fatto concreto, ossia   rijr.fimp fflp ny.il riffll' i pio Hifr»"™ h iimang n p.nrirqflire l'assolu to.   Gli stoici trovavano quest'incompetenza nell'assoluta unità del-  l'universo, cosicché affermavano che l' intelligenza non .polendo  essere se non dualistica, necessariamente non poteva concepire  l'assoluto, il quale è un'unità. I neoplatonici trovavano quest'in-  competenza nell'intelligenza, che presuppone un oggetto essen-     1 l'i OHSRK POSTUMI? 1)1 l'IKTRO CISKKTT1   zialmcnle altro dall'intelligente. Gli scettici finalmente trovavano  quest'incompetenza nell'assoluta contrarietà delle idee, dalla quale  arguivano l'assoluta incompatibilità di due idee contrarie.  ^w+fs^Jo" - L- — « - Sommariamente si può conchiudere che il sentimento c la  ~t~*f*tz£ i maginazio ne sono^cjjmpe tenti a concepire Tassoluto^ perocché  I ìvA*'tZ~ var j ano ne j var j soggetti; la riflessi one è pure incompetente a  t:|(*M,»*^. concepirlo, perocché deve supporre il suo oggetto essenzialmente   altro da se stessa, e trovando che ogni termine dell' idea ha il  suo contrario, conchiude necessariamente che una tale idea debba  essere un affermativo o un negativo, ma dappoiché non è astrat-  tamente nè l'uno né l'altro, ossia non è un astratto positivo  perché anche un negativo, e non è un astratto negativo perchè  anche un positivo, arguisce che l' intelletto è incompetente a  giudicare. Questo avviene perchè non si conosce quella facoltà,  7" -i— i t^-wr^ÈTche noi chiamiamo facoltà conceltiva , la quale differisce essen-  . elf talmente tanto dal sentimento come dalla riflessione. Il senli-   „tt >ui*. w*ft»*«* - mento affermo giustamente la propria incompetenza a costituirsi  ■- t&wtfc- ccìv^v p- un assoluto, l' intelligenza a ffermò pure la detta incompelcnza,  perocché capì che l'assolulo deve contenere anche la riflessione,  epperciò la riflessione non può giudicare quello che non può  essere un suo oggetto altro da se stessa.   Cosi l'arte della parola, svolgendosi nel sentimento artistico  e nella riflessione scientifica, arrivò a uno scetticismo philoso-  phico, e si giudicò generalmente incompetente a costituirsi un  C v - assoluto. Lo scetticismo è la necessaria conclusione d'ogni intel-   ' lettualilà, che abbia trasceso il sentimento, e non sappia trascen-   dere alla pura speculazione. 

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