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Wednesday, April 27, 2022

GRICE E CERONETTI: STORIA DELLA FILOSOFIA ROMANA

 "StgvvU        nni      EMILIO COSTA           Qti^/^     LA FILOSOFIA GRECA     NELLA     GIURISPRUDENZA ROMANA     PKOLUSIONE   A UN CORSO LIBERO D'ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO   nell'università di PARMA     LETTA IL XIT DICEMBRE MDCCCLXXXXI      PARMA     CASA EDITRICE LUIGI BATTEI     V -^ .y ->v_r^'--^ -.'%/*-''■ •^'"-'"^'-■-^ /-^^ /■ r* >• ,-     1892     ì ^ BIBLIOTECA LDCÌm"   3960     ■N        1.» d- «rd. /// /     -N V      ^h^vcH^t^     . *^y t^^     t^ì'y^     <>r%Y^        LA FILOSOFIA GRECA   NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA     Signori,   La mia parola augurale al corso libero d'istituzioni  di diritto romano, a cui oggi m' accingo, consentite che  sia, quale il sentimento vivo e sincero dell'anima la ri-  chiede. Sia d' omaggio a' miei Maestri, ai quali ritomo  qui con ossequio immutato; sia di saluto fraterno agli stu-  denti, a cui mi presento, e da cui mi bramo accolto, quale  compagno di studi, fiducioso di trar lena, pel compimento  del mio assunto, più che dall' ingegno troppo scarso ed  inesperto, dal loro consentimento amichevole, dallo scambio  fra noi , vivo e continuo, d' affetto fraterno. Da questo  scambio io trarrò buon augurio alla carriera d'insegnante,  verso la quale muovo oggi con trepidanza il primo passo,  e alla quale volsi e volgo ogni mio studio, guardando alla  meta con assiduità ferma di volere: del quale io non certo  dovrò dolermi, se, per debole ingegno o per avversa fortuna,  quella dovesse per avventura sfuggirmi. E però consentite  che, muovendo il primo passo per questa via, io qui ricordi  l'assidua e amorosa intelligenza di cure del Maestro illu-  stre che ad essa mi guidava, e di cui ognuno ricorda e  r alta vigoria del pensiero, nutrito da corredo mirabile di     8 LA FILOSOFIA GRECA     studi vari e profondi, e la bontà pura, ideale dell' anima,  onde qui, come ovunque, conquise d'affetto reverente maestri  e discepoli. Consentite che a Giuseppe Brini io mandi un  saluto, coU'affetto il più riconoscente e devoto di discepolo  e di fratello.   . Invoco ora, o Signori, la vostra attenzione indulgente  sopra un tema, che, per sé, non parmi inopportuno a trat-  tarsi al principio d'un corso d'istituzioni di diritto romano:  se e quanto abbiano avuto d'influenza sulla giurisprudenza  in Roma le scuole filosofiche greche. Perchè, come in tal  corso deve studiarsi per rapidi tratti tutto 1' organamento  del diritto privato e i singoli istituti di esso, così è con-  veniente ed opportuno esaminare e valutare quali elementi  sul delinearsi e conformarsi di quelli ebbero efficacia, e  quanto debba attribuirsene a ciascuno. La ricerca può tal-  volta, è vero, rasentare e quasi toccare il campo della  storia del diritto romano, che si volle dalle istituzioni dis-  giunta; ma tali contatti non fa duopo osservare come in  punti non pochi e non lievi siano inevitabili, per quanto  si voglia lasciare al corso d' istituzioni il carattere più  prettamente dommatico. Che invero troppo spesso non può  trascurarsi, per lo studio preciso e compiuto degli istituti  all'ultimo momento giustinianeo, uno sguardo alla loro ori-  gine e alla vita secolare che precede quel momento: origine  € vita di cui alla cattedra di storia vuoisi riserbata la ri-  cerca più diretta e diffusa.   n tema eh' io prescelgo è arduo ; di più esso entra  buon tratto in un campo che non è il mio , nel quale io  m' avanzo peritoso, con un corredo scarso di studi e invocando  l'indulgenza di chi coltivi di proposito la storia della filo-  sofia, e qui segnatamente del pensatore illustre, che è onore  di questa nostra Facoltà giuridica alla quale presiede (*).  AU'arduezza del tema se ne aggiunge la vastità: talché il     (*) Il Prof, Icilio Vanni. ^"^V     NELLA giurisprudenza: ROMANA . 9   tempo riserbato a discorrerne congiurerà colle deboli forze  del disserente a renderne imperfetta per più lati la tratta-  zione; la quale afifaticò in lavori appositi e in trattati ge-  nerali d' antichità e di diritto romano, uno stuolo nume-  roso di scrittori, fra cui non pochi valenti (1), dal Cujacio  in poi, e che fu pur di recente ripresa anche in Italia:  fra altri, da un uomo, il cui nome segna una gloria e un  lutto eterno perle scienze romanistiche: Guido Padelletti (2).  . Io non certo presumo esaurirla, ma solo mi propongo  riassumerla per larghi tratti, valendomi e delle altrui ri-  cerche e di quelle ch'io venni compiendo direttamente sulle  fonti, procedendo dunque con modestia d'intenti: d'una cosa  però sopra ogni altra curandomi: di quella serena impar-  zialità di giudizio, che in temi di questo genere, che toc-  cano da vicino le varie credenze filosofiche individuali, è  facile troppo lo smarrire. Che invero non ci mancheranno,  nel procedere in questo tema, esempi di aberrazioni stra-  nissime, a cui, privi di quella, uomini, pur valorosi, riu-  scirono. ^   E innanzi tutto vuoisi qui delineare per cenni la storia  delle varie scuole filosofiche che tennero in Roma il campo:  storia per verità ben nota ad ognuno; ma pure non inutile  forse a richiamarsi qui , in brevi tratti , perchè tosto se ne  colgano quegli elementi, che sono essenziali nella trattazione  del nostro tema (3). Solo però dall' epoca di Cicerone tali  cenni debbon prender le mosse. Che, se può accogliersi che  coi nomi di Socrate, e in ispecie di Platone e d'Aristotele,  giungesse già prima in Roma una qualche eco delle loro dot-  trine, questa dovè riuscir ben fievole e inefficace, mentre tanto  saldo e fiero durava tuttavia in Roma quello spirito anti-  filosofico, per cui va famoso Catone , e da cui fu destata  l'implacabile ironia di Ennio. Le dottrine filosofiche di Pla-  tone e d'Aristotele penetrano, benché solo frammentaria-  mente e indirettamente, coli' insegnamento di Panezio ; al  quale V aver abbracciato lo stoicismo non tolse di seguirle     10 LA FILOSOFIA GRECA     e propugnarle in taluni punti. Ma 1' efficacia di lui è però  come maestro di stoiche dottrine, nelle quali ebbe disce-  poli autorevoli e numerosi, e fra essi giureconsulti di grido:  corrispondendo quelle, pel largo svolgimento che davano  alla morale, con pratici e austeri intenti, .alla natura del  genio romano. Nel quale per contrario mal poteva svilup-  parsi il germe dell' elevato idealismo dei platonici; così  come non poteva averne favore la poca praticità diretta  delle dottrine peripatetiche, già entrate in Soma coi libri  di Aristotele arrecativi da Siila, colla diifusione curatane  da Andronico da Eodi e da Tirannione ; ne molto di più  potevano avervi efficacia le dottrine della nuova accademia,  propugnate da Filone di Larisse e da Antioco.   Cicerone, pur abbracciando sostanzialmente lo stoicismo,  coglie e assimila, secondo quella che fu pure la tendenza di  Panezio, e rimase tendenza della filosofia romana in generale,  quasi da ogni altra scuola taluni de' principii che meglio  vi corrispondessero al genio romano. Solo combatte in-  vece Tepicureisrao, forte allora, e ancor più poco appresso:  il quale dura buon tratto allato alla scuola stoica, fino a  che nel primo secolo dell' era cristiana, perde ten-eno ri-  spetto a questa, che sopra ogni altra in Roma ha vittoria  pressoché incontrastata. E, come Cicerone assimila principii  estranei allo stoicismo, altrettanto ne rigetta ciò eh' era in  questo di troppo rigido, e però praticamente ineffica<^e. Ptr  lui, ad esempio, contrariamente agli stoici, non è immeri-  tevole di pregio il moderato godimento {De sen.^ 14); se il  bene morale sta al disopra d'ogni altro, esso non è tuttavia  il solo bene possibile e apprezzabile ; se è vero che il do-  lore dev' essere dal saggio virilmente tollerato , non è per  questo men vero ch'esso sia un male (Tusc, II, 18; II, 13).   Per tal modo, con quest' opera e di assimilazione e  insieme di selezione. Cicerone procaccia il germe delle dot-  trine filosofiche elaborate più tardi. La distinzione dell' a-  nima e del corpo, il concetto sereno della morte come di     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 11   *■ ^ — m^ — ■ ■■ ■■^■■■-■■■^■^ -—■,■■- — ■-■■,■ ■ — ■■ -_■ — — ■■ ■ M ■■ .. — --- ■■ Il - l■■^■■ —   Hiiitamento e incominciamento d'una nuova vita, il legame  di origine e finalità comune che unisce tutti gli uomini e  che impone a tutti l'obbligo di fratellevole aiuto, che  trovano trattazione più diffusa negli scritti di Seneca, e  poi di Marco Aurelio, son già delineati, chiaramente in Ci-  cerone (cfr. De rep., VI, 17; Ttisc, I, SI; De off., Ili, 6;  De leg,, I, 23) (1). Dopo Cicerone, frammezzo alle lotte  combattute dagli epicurei, fra i quali risplende il genio  sovrano di Lucrezio, e mentre pure dalle file dei cinici  partono le satire aspre ed argute di Varrone, Q. Sestio  prosegue, benché intinto di pitagorismo, le tradizioni degli  stoici: raccolte poi da Fabiano e piti tardi da Attalo, a cui  die' gloria l'esser maestro di Seneca.   La tendenza eclettica, che si ha ognora in tutto  questo sviluppo, ci si presenta più che mai viva e spiccata  in Seneca, già inclinevolo al pitagorismo, ammiratore di  Platone, né sdegnoso di citare Demetrio cinico ed Epicuro.   E in punti sostanziali egli dissente dagli stoici. Signi-  ficantissimo é un esempio, che già da altri fu notato e il-  lustrato (6). Per gli stoici non può aversi diversità di  natura fra ciò che chiamasi anima e il corpo. Seneca se-  para i due elementi e finisce per creare una specie di an-  tagonismo, che spiega la vita. Il corpo é la prigione  dell' anima, un peso che la rattiene verso la terra. Finché  è unita al corpo, sta come avvinta in ceppi (Ep., 65, 22);  essa, per conservare la sua forza e la sua libertà, lotta di  continuo contro la carne (ibid.). Questa distinzione, così  precisa, del corpo e dell' anima é estranea al vero sistema  stoico e Seneca è indotto da questa a conseguenze che  anche più si allontanano dalle dottrine de' suoi maestri.  Secondo essi l'anima muore, dopo che il mondo sarà di-  strutto per mezzo del fuoco. Seneca, esitante su questo punto,  dopo aver detto a Marcia che tutto annienta e strugge la  morte ( Com, ad Marc, 19, 5 ), le descrive I' anima del  figlio, salente al cielo, a lato di Catone e dei Scipioni {ibid.,     12 Lk FILOSOFIA GRECA     25): e scrive altrove senz'altro esser T anima eterna e im-  mortale (Ep,, 57, 9). Distacco certo notevole, ma nel quale  troppo volle vedersi oltre il vero, col dar vita air omai  sfatata leggenda che Seneca si ascrivesse alle sette cri-  stiane (6).   Seneca riprende con nuova energia V indirizzo morale  di cui già erano i germi in Cicerone: a questo solo rivol-  gendo ogni suo sforzo. Egli non si cura delle discussioni  teoriche sul massimo bene, non formula dogmi; ma segna  le norme morali, fin pei rapporti più minuti della vita.   Dopo Seneca il movimento filosofico prosegue. E dopo  la nube che parve oscurare, sotto i regni di Vespasiano e  di Domiziano, la fortuna dei filosofi, questa rifulge poco  appresso più che mai splendida. Plutarco vien cogliendo  nella morale, anche con più ampia libertà eclettica le regole  sostanziali dello stoicismo, togliendo a questo però la rigi-  dità ch'era in Seneca: e benché inclinando verso il plato-  nismo, col far presiedere alla vi' a un Dio primo, sotto il  quale stanno Dei di secondo grado, a cui rimangon dietro,  a lor volta, i genii mediatori, giusta il concetto platonico,  fra Dio e gli umani.   E a quello che potè chiamarsi l'impero dei filosofi,  sotto Marco Aurelio, si gittano le basi nel regno d'Adriano.  È a questo tempo che la lotta secolare dell' ellenismo con-  tro il romanesimo finisce colla vittoria completa di quello.  Sì che a Eoma accorrono da ogni parte del mondo greco  filosofi e retori, desiderati ed onorati: e l'ateniese Demo-  nace può paragonare Apollonio, che muove co' suoi disce-  poli da Atene alla città eterna, ad un argonauta, che vola  al rapimento del vello d'oro (Luciano, Bem.y 31) (7). È  à quel tempo che la filosofia compie in Koma un passo  gigantesco con Epitteto. Questi prosegue la dottrina stoica,  benché con certa tendenza verso il cinismo: fissandovi es-  senzialmente il pensiero subbiettivo come principio e cri-  terio della verità, e però riducendo a formale il mondo e-     Vt     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 13   steriore. Non dunque dolori, ma fantasie di dolori; onde la  inalterabile fortezza e il disprezzo severo d' ogni bene u-  mano.   E il pensiero d' Epitteto, continuato e propugnato stre-  nuamente da Flavio Arriano, germoglia più tardi nel sereno  ingegno di Marco Aurelio, che, elevando come ad eccelso  ideale, il concetto della vita secondo natura, deducendone,  come conseguenze necessarie, le leggi più pure della carità  umana, chiude gloriosamente il ciclo degli stoici in Bonla.  Appressa solo qualche bagliore raro e scarso traluce fra le  tenebre che si vengono da ogni lato addensando. Lo stoi-  cismo non fa più un passo. Non vale la filosofia dei così  detti platonici eruditi, già prima coltivata, allato allo stoi-  cismo, da Favorino, da Massimo di Tiro e da Alcinoo, a git-  tare alcun germe fruttifero. E le dottrine troppo idealistiche  dei neoplatonici, formulate con nuovo vigore da Plotino, in  sul principio del terzo secolo, rimangono il culto inefficace  di qualche anima solitaria.   Già da questi cenni, benché così rapidi e incompleti,  traluce, o Signori, una singolare coincidenza. I momenti  essenziali per la storia della filosofia in Roma coincidono  coi momenti essenziali per la storia della giurisprudenza.  Il genio eclettico di Cicerone dà in Eoma inizio efficace  agli studi della filosofia, air incirca nel tempo, in cui  ( scorse tre generazioni da quando lo specchio di Gneo Flavio  sottraeva l'arte del diritto all'arcano monopolio pontificale e  l'insegnamento tentato dal pontefice plebeo Coruncanio of-  friva i germi, raccolti e rudemente elaborati da Sesto Elio)  Q. Mucio Scevola gitta pure co' suoi 18 libri iuris civilis  i fondamenti sistematici del diritto. E, al principio dell' e-  poca augustea, la filosofia, segnatamente stoica, fiorisce per  r insegnamento di Sestio , al tempo stesso in cui 1' ere-  dità gimidica, tramandata dall' era repubblicana è rac-  colta dall' intelletto sovrano di Labeone , che inizia per la  giurisprudenza 1' età delle sue glorie più fulgide e insupe-     14 LA FILOSOFIA GRECA     rate. Età che si continua, con isplendore ognor più vivo,  fino a Salvie Giuliano, che colla fissazione deir editto per-  petuo, compendia il tesoro elaborato con continuità mera-  vigliosa dal secolo d'Augusto al secolo d'Adriano; nel quale  appunto si vien preparando quello che si disse a buon  dritto rimpero dei filosofi.   Questa coincidenza di tempo non deve indurre in noi  nessun preconcetto che valga a sviarci dal sereno esame  del nostro tema. Ma noi dobbiamo tuttavia notarla, perchè  molto soccorso potrà veoin^ene per spiegazioni .e raffronti  nel seguito delle nostre ricerche.   Ed entrando omai neir esame del tema, ricerchiamo  se nei principii che regolano i vari istituti e rapporti v'abbia  alcuno degli elementi filosofici , che sommariamente siamo  venuti seguendo. Ne vi spiaccia clie sopra tutto e' intrat-  teniamo in quest' ufficio modesto e paziente di semplice  constatazione e che riserbiamo a più tardi alcune conside-  razioni d' ordine generale, che da questa potranno emer-  gere (8).   Consideriamo tosto i requisiti essenziali al soggetto  del diritto: V esistenza fisica e i tre status : essenzialmente  lo status di libertà.   Fra le regole spettanti all' esistenza fìsica V influenza  degli stoici ci si presenta spiccata nel concetto teorico di  cui è cenno specialmente in un testo d'Ulpiano, per cui si  considera il feto tuttora entro le viscere materne come  parte di queste ( mulieris portio vel viscerum: Ulp., fr. 1  § 1 D. 25, 4 e prima Papiniano, fr. 9 §. 1 D. 35, 2 —  homo non recte faisse dicitur). E però tosto da osser-  varsi come questa considerazione astratta, tolta manife-  stamente dagli stoici (Plut., Plac. pML, V, 14, 2: \iripoq  eivai Ttig x(X7Tpòq) rimanga in pratica lettera morta.   Perchè, logicamente, dal considerarsi il feto parte delle  viscere materne, verrebbe che, fino al momento del suo stac-  carsene e del suo passaggio ad esistenza di per sé stante,     v\     \     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 15   esso non dovesse dar luogo ad alcun apposito rapporto giu-  ridico; mentre, contrariamente, stan di fronte a tal concetto  la legge di Numa che proibisce di seppellire la donna  morta incinta, prima di averne estratto il feto (fr. 2 D.  12, 8), le pene contro il procurato aborto, il divieto di  Adriano di eseguire la sentenza di morte contro la con-  dannata incinta ( fr. 18 D. 1, 5), la tutela al ventre  pregnante, risalente fino a prima delle XII tavole , e la  honorum possessio , che a nome di quello potè chie-  dersi; istituti e rapporti intesi tutti alla protezione di un  soggetto di diritti sperato , e dentro altro soggetto. Onde  pure la risposta affermativa alla questione , che tut-  tavia parve necessario propoiTe : se il figlio, nato- dalla  madre exsecto venire , abbia diritto di succedere ad essa  (Ulp., fr. 1 §. 5 D. 38, 17 ) e il considerarsi come un  essere già esistente il feto entro lo viscere materne, benché  non ancora a sé stante: ciò secondo la verità eterna e pre-  cisa delle cose. ( Cfr. Giul., 37 dig,^ fr. 18 D. 36, 2: Is  cui ita legafum est, qìmndoque liberos habuerit, si prae-  gnatc uxore relieta decesserit, intelligitur expleta conditione  dccessisse et legatum valere, si tamcn posthuììius natus  fuerit; Ter. Clem., lib, 11 ad leg. lui. et Pap., fr. 153  D. 50, 16: IntellegendiiS est mortis tempore fuisse qui in  utero relictus est\ Celso, 16 dig.y fr. 187 D. 50, 17; Ulp.  19 ad Sab., fr. 20 D. 36,1).   Espressamente si fa risalire ad Ippocrate la regola che  assegna il tempo di 7 mesi, come termine minimo della  gestazione (Ulp., fr. 3 §. 12 D. 38,16; Paolo, fr. 1*2 D.  1, 5): Ma, per sé, la necessità di segnare un termine mi-  nimo, sufficiente di regola alla gestazione, si affermò per  motivi esclusivamente sociali e giuridici, e ne porse occasione  la legge Giulia : e la fissazione di quello ai 7 mesi, giusta  la teoria d' Ippocrate, ha un'importanza del tutto formale.   Più importante è per noi l'accoglimento della teoria  di Eraclito e degli stoici, che fissa a 14 anni la pubertà     ;     16 LA FILOSOFIA GRECA     (Plut., Flac, pML, V, 24,1; Macrobio, Somn. Scijp., G;  Saturn., VII, 7): accoglimento che ha una grande impor-  tanza pel suo significato giuridico. Esso invero segna un  passo verso quella precisione sicura di linee, onde il diritto,  progredendo, abbisogna, e, anche più, include un ricono-  scimento fine e delicato del diritto al pudore. Che ciò io  avverta qui, anziché più tardi, non maravigli; giacche non  posso veramente propormi un ordine rigoroso, e mi è forza  lasciare che il discorso trascorra a' vari punti, a cui le  fonti che man mano si offrono, gli porgono il destro.   Ne che tale felicissima alata della scuola dei Procu-  leiani, nella quale si volle ravvisare più precisa e più pro-  fonda rinfluenza dello stoicismo (9), sia dovuta veramente  a tale influenza, anziché alla considerazione obiettiva, spre-  giudicata delle necessità avanzantesi del diiitto (10), parmi  possa sostenersi con alcun serio argomento. Se influenza vi  si ebbe, essa fu tutta nella fissazione formale del termine  al quattordicesimo anno, anziché al dodicesimo o al quin-  dicesimo, come altrimenti avrebbe potuto aversi: ma roma-  namente giuridico fu il senso che fé* avvertire la necessità  di quella regola netta e certa e fé' accoglierla trionfalmente.   Proseguendo in tali traccie formali, l'influenza greca  parmi possa avvertirsi anche nella considerazione del parto  trigemino, in caso di gravidanza della madre (Plut., Pìcce.  pML^ V, 10,4), che ha gravi effetti per l'aspettativa dei  diritti spettanti ai possibili nascituri, fino all' avvenimento  del parto, e che nelle fonti ci si presenta risalente a Sa-  bino e a Cassio (Giul., fr. 8 §. 1() 1). 40, 7; Gaio, fr. 7  pr. D. 34,5; Paolo, fr. 28 §.4 D. 5,1; Id., fr. 3 D. 5,4).   Ma ben altra influenza, sostanziale e diretta, della fi-  losofla greca, si sostenne per un tema, che qui dovrà trat-  tenerci alquanto: la schiavitù. È da tale influenza che si  volle determinato l' affermarsi con moto continuo , dallo  scorcio della repubblica al secolo degli Antonini, di un' in-  tima contraddizione nel concetto di schiavo (11). E s' ad     I  i     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 17   _^ 1   duce la dichiarazione tradizionale dei giuristi di questo pe-  riodo essere la schiavitù contro natura, la protezione che  è accordiata man mano alla vita e air integrità personale  dello schiavo contro le eccessive sevizie dei padroni (Gellio,  Noci. Att, V, 14; Eliano, Be an,, VII, 48; Gaio, fr. 1  §. 2 D. 1,6; Ulp., fr. 2 D. eod, Modestino, fr. 11 §. 2  D. 48,8) al cui arbitrio lo schiavo è sottratto, per esser  sottoposto, in caso ch'egli delinqua, ad appositi magisti'ati,  e a procedimento, non sostanzialmente difforme da quello  che vale pei liberi (Pomp., fr. 15 D. 12,4; Ulp., fr. 12  D. 2,1; fr. 3 §. 1 D. 29,5; Venul., fr. 12 §. 3 D. 48,2),  r indipendente attività patrimoniale che si riconosce agli  schiavi col peculio, ( quasi patrimonium Uberi hominis:  Paolo, fr. 47 §. 6 D. 15,1); s' adduce il favor lihertatis^  che inspira in molteplici casi le larghezze con cui si risol-  vono le dubbie questioni di stato e s' effettuano i giudizi  liberali (Lege Iimia Petronia si dissonantes pares iudicum  existant sententiae prò libertate prommciari iussuni: Ermog.,  fr. 24 D. 40,1; e. d' Ant. Pio, presso Paolo, fr. 38 §. 1  D. 42,1; Ulp., fr. 3 §. 1 D. 2,12), s'eseguiscono le ma-  nomissioni, ordinate per atto d'ultima volontà (Giul., fr. 9  §. 1 D. 33,5; fr. 4 pr. D. 40,2; fr. 16 D. 40,4; fr. 17  §. 3 D. eod.; presso Paolo, fr. 20 §. 3 D. 40,7; Valente,  fr. 87, D. 35,1; Giavoleno, fr. 37 D. 31; Gaio, fr. 88  D. 35,1; S. C. sotto Adriano, in Scevola, fr. 83 (84)§. 1  D. 28,5; rescr. di M. Aurelio, in Marciano, fr. 51 pr. D.  28,5, e in Mod., fr. 45 D. 40,4, cost. dello stesso in Ulp.,  fr. 2 D. 40,5; Meciano, fr. 32 §. 5 I). 35,2; fr. 35 I).  40,5; Pomp., fr. 4 §. 2 D. 40,4; fr. 5 D. eod.; fr. 20 I).  50,17 ; Marcello, fr. 3 i. f. D. 28,4 ; fr. 34 D. 35,2;  Scevola, fr. 48 §. 1 D. 28,6; fr. 29 D. 40,4; presso Mar-  ciano, fr. 50 D. 40,5; Papin., fr. 23 pr. D. 40,5; Paolo,  fr. 28 D. 5,2; fr. 40 §. 1 D. 29,1; fr. 14 pr. D. 31; fr.  96 §. 1 I). 35,1 ; fr. 33 D. 35,2; fr. 36 pr. D. eod. ; fr.  10 §. 1 D. 40,4; fr. 179 D. 50,17; Ulp., fr. 711). 29,2;   9     18 LA FILOSOFIA GRECA     fr. 29 D. 29,4 ; fr. 1 D. 40,4 ; fr. 24 §. 10 D. 40,5) e  in ispecie per fedecommesso, alla cui esecuzione provveggono  già sotto Traiano, e poi sotto Adriano e Commodo, appositi  Senatoconsulti {SS. GC. Bubriano, Dasumiano^ Artici^  Ulano, Vitrasiano, Iunciano)\ s' adduce V ingenuità che si  vuole accordata al nato dalla schiava, che godette della  libertà fra il momento del concepimento e quello del parto  (Marciano, fr. 5 §. 3 D. 1,5), o che, ordinatane la libertà  per fedecommesso, non fu manomessa indebitamente, per  mora deirerede (rescr. di Marco Aurelio e Vero e di Ca-  RACALLA in Ulp., fr. 1 §. 1 D. 38,16; Ulp. fr. 1 §. 3 D.  38,17; fr. 2 §. 3 D. eod.; fr. 26 §. 1 D. 40,5; MARcaNO,  fr. 53 pr. D. eod.), fosse pure casuale (rescr. di Ant. Pio  e di Severo e Carac. in Ulp., fr. 26 §§. 1,2, 3D. 40,5;  MoDEST., fr. 13 D. 40,5); il concetto che afferma la libertà  inalienabile (Costantino, c. 6 C. 4,8) e la regola che nega  comprendersi nell'usufrutto il parto della schiava (Cic, De  fin., I, 4; Gaio, fr. 28 §. 1 D. 22,1: Ulp., fr. 68 pr. D.  7,1). Fermiamoci su quest'ultimo punto   È famosa la disputa, a cui quella regola die luogo ai  tempi di Cicerone, fra Scevola, Manilio e Bruto, ed è pur  notissimo come la propugnasse vittoriosamente quest'ultimo,  adducendo essere assurdo il computare fra i frutti l'uomo,  mentre ogni frutto che rechi la natura è destinato all'uomo.  La qual ragione è riferita da Gaio e da Ulpiano ( Gaio,  fr. 28 §. 1 D. 22,1; Ulp., fr. 68 pr. §. 1 D. 7,1), ed è  tratta genuinamente dalla teoria stoica, secondo la quale  l'uomo si considera come signore dell'universo (Cic, De off.,  I, 7; De nat. Deor., II, 62; De fin., Ili, 20). Ma altrove,  (fr. 27 pr. D. 5,3) Ulpiano stesso adduce a fondamento di  questa regola un motivo tutto economico: non valutarsi  come frutto il parto della schiava, perchè lo scopo econo-  mico, pel quale si tengon schiave, non è quello di procac-  ciarsene i parti « non temere ancillae eim rei causa com-  parantur ut pariant » , ossia perchè i parti della schiava  non costituiscono il frutto economicamente normale di essa.     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 19   • a^M^»^—— ^^ ■ w^iM ■— ii^. .1 ■ ■■■ I ■ ■ ■ ■ ■■■■■,■■■ ■ I ■ I ■ tf ■ ■ ■^^^^i^   E due fatti inducono a ritenere che sia appunto questa  la ragion vera che determinò quella regola : la mancanza,  cioè, di un'industria di allevamento di schiavi e la parifi-  cazione del parto della schiava ad ogni altro frutto, per  qualsivoglia rapporto, all' infuori delF usufrutto. Che la re-  gola, determinata da questa ragione economica, si volesse  poi anche giustificare con un concetto preso agli stoici,  non può recar maraviglia, quando si pensi come in altri  punti non pochi la vernice d'una forma filosofica copra un  rapporto determinato essenzialmente da principii tutt' altro  che filosofici.   E questa nostra osservazione si riconnette a un altro  lato importante del tema: al freno imposto alle sevizie dei  padroni: nel quale volle ravvisarsi pur tanto di stoica in-  fluenza. È essenziale la giustificazione datane da un noto  testo di Gaio: doversi inibire al padrone di far malo uso  delle cose sue, allo stesso modo che ciò si vieta al prodigo  {Inst^ I, 53): regola dunque che ci si presenta pure deter-  minata non da altro, che dalla considerazione tutta econo-  mica del regolare uso della proprietà.   Ed è parimente una necessità di natura economica,  di raflforzare, cioè, Y attività dello schiavo colla molla del  suo proprio interesse individuale, quella che determina il  riconoscimento del peculio, quale patrimonio di fatto del  servo, distinto dal patrimonio del padrone; la cui funzione  ha per ogni lato dell'evoluzione della schiavitù importanza  essenziale.   Però codesto elemento economico, che fu magistralmente  seguito dal Pernice nel suo classico libro su Labeone (12),  e che, pei lati che accennammo, resulta da attestazioni pre-  cise delle fonti, non basterebbe a spiegare per sé il ricono-  scimento graduale negli schiavi di altri molteplici diritti e  rapporti attinentisi alla personalità, e l' affermarsi di un  vero e proprio sistema giuridico che per essi si crea, del  tutto analogamente al sistema che regola istituti e rapporti     20 LA FILOSOFIA GRECA     fra liberi. Un altro elemento sostanziale concorre a dar  vita e riconoscimento positivo a quel sistema pei rapporti  più svariati. Questo elemento altro non è che la forza della  natura. Forza, che neirantica convivenza a famiglia regolava  nel fatto, quasi inconsciamente, i rapporti della schiavitù ;  ma che, più tardi, «comparsa la prisca semplice costituzione  della familia, ordinate quasi ad esercito, gerarchicamente,  le migliaia di schiavi tratti a Roma dai popoli vinti, fé'  assurgere e fissò a rapporto di diritto quello eh' era dap^  prima mero e tacito fatto: affermando nello schiavo la con-  trapposizione del concetto di uomo, di fronte a quello  di res.   Gli attributi nello schiavo di ente intelligente e con-  sciente s' impongono air organismo del diritto, pel quale lo  schiavo dovrebbe parificarsi a una res, ad una merx. Ul-  piano, trattando della prestazione dei legati imposti all' e-  rede, e dei casi in cui l' erede può essere ammesso a pre-  stare, invece della res legata, Vaestimatio di essa, distingue  il legato di una res da quello di uno schiavo, valuta i  motivi in cui più probabile in questo può riuscire la pre*  stazione dell' aestùnatio, ed esce coli' affermazione alia est  condicio ìiominum alia ceterarum rerum (Ulp., fr. 71 §. 4  D. 30). Quest'affermazione, o Signori, coglie e sintetizza  l'urto intimo e graduale, di cui la storia della schiavitù in  Eoma porge traccio continue ed eloquenti, e per cui pur riesce  infine ad imporsi nella coscienza giuridica e sociale il riconosci-  mento nello schiavo degli attributi essenziali della personalità  umana. Tali, l'efficacia del patto adietto alla vendita di una  schiava di non prostituirla : efficacia che include il ricono*  scimento del diritto all'onore (decr. di Vespas., presso Mod.,  fr. 7 pr. D. 37,14; Pomp., fr. 34 pr. D. 21,2; Papin., fr.  6 pr. D. 18,7 ; Paolo, fr. 7 D. 40,8 ; Aless. Sey., c. 1  C. 4,56); r azione d' ingiurie per offese allo schiavo, com^  misurata secondo il grado d' onorabilità di questo : ( Ulp.,  fr. 15 §. 44 D. 47,10); 1' ammissibilità di un giiidizio di      4     à     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 21     K     calunnia a cagione dello schiavo, che subì per fatto altrui  ingiusto giudizio (Papin., fr. 9 D. 3,6); la valutazione della  misericordia usata verso di esso, per misurare la responsa-  bilità di chi ebbe a procacciarne la fuga (Ulp., fr. 7 §. 7  D. 4,3) il riconoscimento della famiglia servile, nella quale  con sforzo di finzioni giuridiche si riesce a dar certa con-  figurazione a rapporti patrimoniali, a somiglianza di quelli  che intercedono nella famiglia dei liberi ( Ulp., fr. 39 \D.  23,3 ; Paolo., fr. 27 D. 16,3), e persino il riconoscimento  nello schiavo di rapporti d'indole religiosa (Labeone, presso  Ulp., fr. 13 §. 22 D. 19,1; Ulp., fr. 2 pr. D. 11,7).   Che pure sulle conquiste compiute dagli schiavi con-  tribuiscano considerazioni d' ordine pubblico e di sicurezza  pubblica (13) , son ben lungi dal negare : non par dubbio,  ad esempio, che sia determinata sopratutto da esse la legge  Petronia. !Aia questa pure (appena occorre avvertirlo) non  è che una conseguenza, benché coatta, dell 'affer man tesi per-  sonalità degli schiavi.   Ne tuttavia che le stesse dottrine stoiche, col loro e-  levato concetto della personalità umana, abbian per qualche  lato favorita o affrettata quell'evoluzione, non <\serei negare:  (nò può invero trascurarsi il fatto che il momento più in-  tenso di essa cade appunto sotto gli Antonini). Ciò che  parrai invece dover negare si è che quelle dottrine vi ab-  biano avuta una influenza immediata , essenziale ; talché  senza di esse si avesse ognora a disconoscere nello schiavo  ogni attributo della personalità.   Su altri istituti e rapporti attinenti alle persone non  ci abbisogna lungo discorso. Non occorre, per verità, confu-  tare lo strano concetto che influenza di stoicismo sia nel-  l'attenuamento della patria potestà, e nella liberazione delle  donne dalla tutela agnatizia (14); fatti determinati entrambi  dal trasmutarsi della funzione e natura politica della fa-  milia; trasmutarsi, che pure ci spiega Tavanzantesi preva-  lenza del vincolo di sangue sul rapporto civile d'agnazione;     1     »     22 LA FILOSOFIA GRECA     che ha poi eifetti importanti, in ispecie neir ordine delle  successioni; e pur ci spiega T evoluzione dell' essenza prisca  dell'eredità familiare (comprendente, cioè, il complesso di di-  ritti politici e religiosi inerenti alla domus familiaqtte)  verso r eredità patrimoniale. Concetto , che , accennato in  istudi recenti ed egregi (16), forse non si presenta tuttavia  immeritevole di trattazione nuova ed apposita e d' investi-  gazione minuta nelle fonti. Ne mi fermo su di un punto,  sul quale non si peritò d' insistere qualche sostenitore  deir influenza stoica sulla giurisprudenza romana: il puro  ed elevato concetto del matrimonio, tramandatoci dai giu-  reconsulti, e in ispecie esplicantesi nella tarda definizione  di Modestino (16).   Basta osservare che quel concetto è in Roma tradi-  zionale, fin dalla sua più antica e genuina costituzione e  che vi si esplica allora dalle stesse forme, con che il ma-  trimonio si compie, e che, inerente dapprima solo al ma-  trimonio curri manu, nel quale è veramente la divini et  Immani iuris cornunicatio, esso s'atteggiò poi, per forza di  tradizione sul matrimonio libero, prevalso su quello, e tra-  luce idealmente nei tempi stessi , in cui il matrimonio era  di fatto quale ce lo tratteggiano con foschi colori Giovenale  e Marziale.   Occorre qui invece, fra i diritti attinentisi alle persone,  accennare ad alcuni altri, nei quali si ravvisò V influenza  filosofica, e segnatamente dello stoicismo.   Che, per quanto tocca il diritto alla vita, e l'afferma-  zione negativa di questo, i romani non abbiano riguardato  con deciso isfavore il suicidio, come mezzo estremo di sal-  vaguardia a mali maggiori; e ciò molto innanzi al tempo  in cui la filosofia greca divenne nota in Roma, resulta  dalla natura del carattere romano e dell' ideale eh' esso  prefiggeva alla vita, dalla stessa aureola di gloria onde  fu recinta la memoria di Lucrezia, di Catone e di Bruto (17).  Né dunque può pensarsi ad alcuna influenza stoica, se ve-     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 23   ^ - - _ Il I I ' ■■ I I . . -^ ^   diamo i giuristi non considerar come dannata la memoria  del suicida. Ma singolarissima è poi la specialità contem-  plata nel testo che per consueto si adduce. In esso si ri-  feriscono rescritti di Adriano e d'Antonino Pio, i quali, consi-  derando il caso, in cui persona accusata di delitto capitale,  prima d' esser sottoposta al giudizio, ponga fine a' suoi  giorni taedio vifae vel doìoris impatientia, dichiarano non  incorsi con ciò nella confisca i beni di quella. Si ha poi  nel caso proposto ad Adriano che il suicida era accusato  d' aver ucciso il figlio; (^ Adriano, con sentimento delicata-  mente umano, dichiara doversi presumere che non per ti-  mor della pena , ma per dolore del figlio perduto, V accu-  sato sia volontariamente uscito di vita ( Marciano, fr. 3  §§. 4-5 D. 48,21); non potendosi ad ogni modo ritenere  per se il suicidio deir accusato equivalente a confessione di  reità a condanna : come poi Papiniano con lucidissima  veduta dichiarò e sostenne ( Ibid,, pr. ; cfr. fr. 29 pr. D.  29,1 ; Paolo, fr. 45 §. 2 D. 49,14 ). Mentre poi è  chiaro che, all' inversa, il suicidio che 1' accusato volle af-  frontare non per altro che per timor della pena e ob con-^  scientiam cnminis, non salva dalla confisca il patrimonio  di lui, che si considera quale dannato o confesso (Ulp., fr.  6 §. 7 D. 28,3; fr. 11 §. 3 D. 3, 2). Il che davvero  s'intende come logico sviluppo, senza che nulla v'appaia di  influenza o reminiscenza filosofica, se pure essa non voglia ve-  dersi nel ricordo ai filosofi, come a coloro che si uccidono  taedio vitae,,. vel iactationis (fr. 6 §. 7 D. 28,3).   E qui pure, a proposito del diritto naturale alla vita,  si avverte il riconoscimento di tal diritto nello schiavo, là  dove è detto da Ulpiano esser lecito etiam scrms fiatu-*  raliter in sunm corpus saevire (Ulp., fr. 9 §. 7 D. 15,1):  di fronte al qual diritto affermato perle schiavo, sta l'ob-  bligo in lui di rifondere col suo peculio al padrone le spese  che ha sostenute per curarlo dalle ferite infertesi tentando  d' uccidersi ; talché quel diritto si riduce praticamente ad  una curiosa ed amara irrisione.     24 LA FILOSOFIA GRECA     E tocco di un altro fra i diritti personali: quello alla  religiosità, al quale s'attiene lo sfavore con cui si riguardò  dai giuristi, conformemente agli stoici, il giuramento (Pa-  piN., fr. 25 §. 1 D. 13,5; Ulp., fr. 7 §. 16 D. 2,14),  e in ispecie la condicio iurisitirmidi, apposta a una libe-  ralità per atto mortis causa ( Labeone, in Giav., fr. 62  pr. D. 29,2 ; Giuliano, fr. 26 D. 28,7; Marcello, fr. 20  D. 35,1 ; Ulp., fr. 8 §. 5 D. 28,7). Il generale divieto  della condicio iurisiurandi è anteriore a Labeone e poste-  riore a Cicerone (18), e coincide per tempo col fiorire della  filosofia stoica. E F opinione ch'esso sia determinato da in-  fluenze di questa parrebbe tanto più attendibile, in quanto  siamo qui in tema di religiosità, dove l'istituzione filosofica  ebbe veramente, in sullo scorcio della repubblica e a' primi  tempi dell'impero, efficacia non lieve e assai diffusa. Se-  nonchè non so astenermi dal proporre una mia modesta  osservazione. Lo sfavore pel giuramento non è già soltanto  negli stoici, ma risale fino tra le scuole presocratiche, a  quella di Elea, e al fondatore stesso di essa, a Senocrate,  che nel giuramento ravvisava un riprovevole privilegio per  l'empietà (Arisi., Bhet, I, 15) (19). Forse quello sfavore,  che nello spirito greco si manifesta cosi da antico, era pure  in origine nello spirito romano , e durava nel patrimonio  d'idee e di tradizioni, che, specialmente in materia di reli-  gione, i due popoli ritrassero dal ceppo comune? Il che  solo accenno, pur non volendovi troppo insistere, perchè  non paia amor di sistema.   E, lasciando omai d' altri rapporti di minore impor-  tanza, pure del tutto formali, come, per ciò che attiensi  alla salute, la definizione del morbo, di habitus cor-  poris contra naturam (Sab., fr. 1 §. 9 D. 21,1 e in Gellio,  Noci. Att^lY, 2. cfr. fehris: Giul., fr. 60 D. 42,1) evi-  dentemente tolta dallo stoicismo; il concetto del furiosus,  che, come privo di mente, stoicamente è detto suus fion est  (Ulp., fr. 7 §. 9 D. 42,4), passiamo senz'altro alle cose e  ai diritti su di esse.     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 25     La triplico partizione delle cose, che ci riferisce Pom-  ponio nel lib. 30 ad Sah. (fr. 30 D. 41,3): F una com-  prendente quod contìnetur uno spirita, graece yivwjxsvov;  l'altra che abbraccia qiiod ex contingentihus hoc est j)ÌU'  rihus interse coherentibus constat, quod atiVTQjAjjievov, e una  terza dei corpora pUira non solata^ ma uni nomini su-  hiecta, resultanti ex disfantibiis, b T applicazione precisa e  genuina della distinzione stoica. Al frammento di Pomponio  fauno riscontro testi di Plutarco, Fraec. coniug., 34 ; di  Sesto Empirico, Adi\ Math,, VII, 102; IX, 7S; di Seneca  J^at. qiiaest., II, 2 ; Epist., 102,6 ; e di Achille Tazio,  Isag, in plten. Arati, 14 (20). Che dunque per essa i  giuristi abbiano formalmente attinto dai filosofi non v' ha  dubbio. Il ricordo formale dei filosofi si ha persino nella  esemplificazione consueta nei giuristi delle cose appartenenti  a ciascuna di quelle tre categorie.   Ma se ci facciamo a ricercarne le pratiche applicazioni,  tosto ci avvediamo come altri principi, del tutto indipen-  denti da essa, intei-vengano. E, invero, il diverso modo con  cui si ammette il possesso e l'usucapione, segnatamente per  le res comiexae e le universitates ex distantibus: la regola  che il possesso di una res connexa implica il possesso  delle cose singole da cui risulta composta, come parti, non  come cose a se stanti, e distinte individualmente, si spiega  col concetto tutto romano del requisito A^' animus nel  possesso. Il quale, dovendosi rivolgere alla res connexa  nella sua essenza, non si concepiva che contemporanea-  mente si rivolgesse alle parti singole di quella; onde ap-  punto la inammissibilità di un contemporaneo possesso del-  l' intiero e delle parti, e la impossibilità di acquistare un  diritto sulle parti, in forza del possesso della res conmxa  resultante dalla loro unione. Il che ha segnatamente ef-  fetti importanti per la teoria deirusucapione.   Mentre poi, per quanto tocca in ispecie le regole del  possesso e deirusucapione dei tigna onde resulta composto     26 lA FILOSOFIA GRECA   un edifizio, concorre anche il riguardo tutto civile che in-  spirava la lex (le Ugno iuncto (Venuleio, fr. 8 D. 43,24;  GiAVOLENO, fr. 23 pr. D. 41,3; Gaio, fr. 7 §. 11 D. 41,1;  Paolo, fr. 23 §. 7 D. 6,1; Ulp., fr. 7 §. 1 D. 10,4) (21).   Meno ancora può trarsi dalla distinzione fatta dai giu-  risti delle cose corporali e incorporali. Se per questa, fra il  concetto dei giuristi e quello dei filosofi, può esservi so-  miglianza, essa è del tutto apparente. Le cose incorporali  dei filosofi, come essenzialmente il tempo e il vacuo, non  hanno nulla di comune colle cose che son chiamate incor-  porali dai giuristi per la loro funzione sociale e giuridica,  e che hanno sempre in sé per contenuto cose corporali, e  ciò secondo un concetto che ci si presenta tradizionale e  risalente: in modo sopra tutto preciso e spiccato nella he-  reditas (Pomponio, fr. 37 D. 29,2; fr. 119 D. 50,16; Gaio,  Inst, II, 14; fr. 1 §. 1 D. 1,8; Apric, fr. 208 D. 50,16;  Papin., fr. 50 pr. D. 5,3; Ulp., fr. 178 §. 1 D. 50,16;  fr. 3 §. 1 D. 37,1; Paolo, fr. 4 D. 5,3): e segnatamente,  con mirabile evidenza, nel concetto e nelle regole delF^^t*-  capio prò herede (Gaio, II, 54).   E di questo concetto àeìVheredifas, res corporaUs, che  ha per contenuto normale appunto cose corporali, è assai  notevole come un filosofo stoico parli come di inutile sot-  tigliezza, deridendo i giuristi che raccolsero (Seneca, De h&n.  VI, 5): e offrendoci con ciò, come fu avvertito (22), ricordo  certo e perenne della differenza sostanziale che correva, a  proposito di quella partizione, fra il pensiero dei filosofi e  quello dei giuristi.   Certo, fra i cor para, la distinzione di quelli che ra-  tione vel anima carente da quelli che careni ratione non  anima o di entrambe, è rivestita di forma stoica : ma è  necessario ch'io soggiunga che sotto di essa sta un con-  cetto tanto primitivo, che davvero non occorreva rivestirlo  del lusso d' una veste filosofica ?   Un tema, sul quale insistettero con particolare predi-     y           NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 27   ■■ Il .-.^ M ■ -■■ ■ . .■■■■■■ ■-■ -*- -■---■ ■-— -..Il ■ — ^ — ■■^l■■■■■- ■ »   lezione tutti i sostenitori dell'influenza stoica, è quello che  riguarda, tra i modi d' acquisto della proprietà, la specifi-  cazione. L'opera diretta che qui esercitò, pel riconoscimento  del lavoro umano di fronte alla materia, la scuola dei Pro-  culeiaDÌ, porse pure argomento per ravvisare una partico-  lare inclinazione di quella verso lo stoicismo: in contrap-  posto anche qui alla scuola de' Sabioiani (23). Quasiché,  a spiegare il riconoscimento del lavoro umano non dovesse  bastare una considerazione positiva di natura tutta econo-  mica: la normale preminenza di valore della nuova specie  sopra la materia prima, preminenza che doveva imporsi al  concetto proculeiano, ognora così acuto e vivo e libero, di  fronte all'ossequio tradizionale della proprietà, che pur con-  tinuava un preminente riguardo al proprietario della materia.  Le fonti, a cui ci si richiama, pel rapporto inverso  alla specificazione, appunto la riduzione della species alla  materia, confortano questo concetto. Si riferiscono invero  per consueto due testi d'Ulpiano, nei quali questi asserisce  sembrar scomparsa la cosa, di cui sia mutata la forma,  benché ne duri la materia (fr. 13 §. 1 D. 50,16), e mu-  tata forma prope interemit suhsiantia rei (fr. 10 §. 9 D.  10,4): espressamente ciò giustificandosi da Ulpiano stesso,  proprio col criterio economico qmniam plerumque plus est  in manu prctio qtuim in re. E Paolo soggiunge, adducendo  r opinione e di Labeone e di Sabino, che abest la tabula  picta^ quando ne sia rasa la pittura, o il vestito quando è  scucito, perché appunto earuni rerum pretium non in sub-  stantia sed in arte sit positum (Paolo, fr. 14 pr. D. 50,16).  E, partendo da tal concetto, ben s'intende come, all'inversa,  si considerasse economicamente del tutto nuova la cosa for-  mata per mezzo del lavoro sopra materia già esistente, e  come Proculo e Nerva potesser dire, secondo quello che Gaio  ricorda, che dopo subita l'opera dello specificatore, essa non  potesse più considerarsi come appartenente al proprietario  della materia (Gaio, fr. 7 §. 7 D. 41,1; cfr. Paolo, fr. 3  §. 21 D. 41,2 (24).     28 LA FILOSOFIA GKKCA     Né in tema di materia o sabstantia e species, per  r efrore che intervenga su questa o su quella nel con-  tratto di compra vendita, parmi che molto si possa trarre  dalle fonti, per un'essenziale influenza dello stoicismo.  Nel noto passo d' Ulpiano ( fr. 9 §. 2 D. 18,1 ) si rife-  risce come Marcello ritenesse sussistente la compra vendita,  anche quando, per errore, si fosse dato aceto, invece del vino  dedotto in contratto e rame per oro e piombo per argento;  ciò giustificandosi da Marcello stesso colla ragione che sul  corpus intervenne il consenso, ed errore vi fu solo nella  materia. Ulpiano consente per V aceto, perchè qui la so-  stanza, r oùjta (appunto secondo il linguaggio stoico) è  quella dedotta in contratto ; mentre vi ha scambio sostan-  ziale di tale oùjt'a nel caso del rame dato per oro e del  piombo per argento. Talché la preoccupazione erronea che  nel concetto di Marcello sembra ingenerare la reminiscenza  stoica, scompare in Ulpiano, che ne prescinde recisamente,  applicando nel modo più concetto le regole sull' eiTore nel-  Toggetto del contratto, non importa poi ch'esso errore verta  in corpore o invece in stibstantia.   Lo stesso testo vivissimo d' Alfeno ( fr. 76 D. 5,1)  che riproduce, secondo la fisica e degli epicurei (Lucrezio,  Nat. rer. V) e degli stoici (Seneca, Ep. 58 ; Plut. Comm.  nat. 39; Antonino, II, 17; V, 33), la mutazione continua  della materia, ricordando come il corpo formato da questa  sia sempre lo stesso, per quanto si vengano ognora mu-  tando via via le particelle che lo compongono, e applica  questo principio air organismo di un jiidicium, che rimane  il medesimo col mutarsi de' suoi membri, ritrae in sostanza  un concetto eh' era genetico in Soma, essenzialmente per  la persona giuridica del populus. E la fisica stoica si ri-  duceva dunque solo ad illustrare con veste scientifica ciò  che ben prima s'era nella pratica ravvisato.   Influenza di stoicismo si sostenne in un preteso sfavore  alle usure, che si volle dedun-e da parole di Papiniano che     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 29   usura non natura pervenif ( fr. 62 pr. D. 6,1 ): quasiché  non fosse risalente e tradizionale il concetto che distiogue  dai frutti naturali i frutti civili, e in materia d'usura non  si avesse in Koma, fin da antico, un'assidua, quanto sterile  attività legislativa.   Ma basti ornai anche sul tema delle cose, intorno al  quale però non voglio astenermi dall' offrirvi esempio di  taluna di quelle aberrazioni, alle quali accennai essere per-  venuti scrittori egregi, per passione ch'essi posero nell'esame  di questo tema. Scelgo la teoria del Laferrière, secondo la  quale la regola che richiede i due requisiti dell' animus e  del corpus^ per l'acquisto del possesso e della proprietà per  occupazione, riuscirebbe determinata dal concetto fondamen-  tale degli stoici, che distingue nell' uomo 1' elemento spiri-  tuale dall' elemento corporeo: come analogapaente sarebbe  determinata da questo la necessità della tradizione pel tra-  sferimento della proprietà (25).   E d'altre taccio, già essendo queste esempio eloquente,  come presentantesi sotto un nome scientificamente onorato  e sotto l'insegna gloriosa dell'Istituto di Francia.   Dovrei ora, o Signori, accennarvi a tutto il sistema  romano delle obbligazioni, al mutamento eh' esso più spe-  cialmente subisce dal rigoroso formalesimo, verso 1' appli-  cazione più agile e diretta della volontà; mentre pur tutto  il diritto vien ravvivato da raffronti e adattamenti vitali  di elementi nuovi ed estranei coi prischi ed indigeni, e ri-  cordare come questo sia una conseguenza immediata de'  nuovi orizzonti' che omai ha la vita e il commercio di  Eoma e delle influenze straniere così continue e multiformi?  E come, a sua volta, il moto potente e continuo di Koma  verso l'universalità, e 1' alito vivificatore che ne deriva sul  diritto, consegua direttamente dalle nuove condizioni poli-  tiche ed economiche?   Che questo moto grandioso e continuo corrispondesse  alle dottrine stoiche, per le quali tutto il mondo è una     30 LA FILOSOFIA GRECA     grande città, non può negarsi. Che per quello riuscisse ad  esse più agevole l'aver diffusione è pur certo. Ne che per  tal modo esse abbiano anche cooperato con quello, talora  forse per via inconscia, allo svolgimento di taluni istituti  e l'apporti , come ad esempio della schiavitù , di rapporti  relativi alla religiosità e simili, non vorrei disdire.   Ma chi penserebbe sul serio, solo per un istante, che il  moto di Roma verso V universalità derivi dallo stoicismo,  da alcun'altra delle scuole filosofiche greche ? E che però  da filosofie greche consegua mediatamente tutta la trasfor-  mazione del diritto?   Non però se parmi di dover negare ogni influenza es-  senziale della filosofia greca , e in ispecie stoica, sullo svi-  luppo della giurisprudenza romana, air infuori di quelle in-  fluenze concomitanti con altri elementi che teste toccammo,  sopra singoli rapporti, e delle influenze formali che si ven-  nero annoverando sin qui , voglio io disdire 1' efficacia che  la conoscenza della filosofia greca ebbe dal secolo di Cice-  rone in poi, sempre formalmente, ma pur in campo più ge-  nerale e importante, nel dar struttura di ars al itis civile,  ( « quae rem dissolutam divulsamque conglutinaret et ra-  tione quadam constringeret »: Cic, de orat I, 42) (26):  imprimendo con ciò nuova forza e nuovo sviluppo a facoltà  e a tendenze ch'erano in Roma native.   11 che non tolse tuttavia che, ricevuto tale avviamento  nella costruzione logica, la giurisprudenza procedesse poi da  sé, indipendente dalla filosofia, elaborando essenzialmente  i rapporti pratici della vita, aborrente da ideali astrazioni.  E dove la reminiscenza filosofica, cessando d'essere formale  intacca la sostanza giuridica, si ha un fluttuar vago d'idee  incerte e confuse, un' indeterminatezza di linee, che fa e-  loquente contrasto colla precisione perfetta, sicura, ond'è in  Roma esempio mirabile tutto l'organismo del diritto.   Voi intendete, o Signori, ch'io accénno al im naturale.  Fra il concetto d'Ulpiano che lo designa emanazione della     NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 31   ragione diffusa neir universo, e quello di Paolo che vi rav-  visa un' ideale tendenza verso V aequwn bonum , o quello  di Gaio che lo riaccosta al ius gentium, quale dettato dalla  universa ratio; fra i più diversi significati ed applicazioni  di naturalis ratio, di naturalis, di ìiaturaìiter, che occorrono  nelle fonti, o connessi ad uno di quei tre concetti, od o-  scillanti fra Tuno e Taltro, o indipendenti da ognuno (27),  lo studioso procede incertamente.   Né certo sta a me, ne io presumo di portar giudizio  sulle varie costruzioni che modernamente si tentarono del  ifàs naturale, concepito, o conforme alle dottrine greche e-  laborate in Boma dalla filosofia accademico stoica, come  coscienza insita nella umana natura di un diritto uni-  versale, e però del tutto distinto dal ius geniium (28),  0, invece, obiettivamente, come ordine naturale contrapposto  airordine civile, come dettato dalla ratio (29), o, di nuovo  subbiettivamente, quale concezione dovuta all' idea greca  del diritto dettato dalla ragione naturale a tutto il genere  umano, atteggiatasi in Eoma sul ius gentium e fusasi  poi con esso, per esplicarsi poi praticamente n^Waequita^, che  è la forza che s'avanza via via nell'editto pretorio e gra-  datamente vi prevale (30); o invece senz' altro come deri-  vazione e sviluppo dello stesso ius gentium (31).   A me basta notare sol questo: quanto d'indeterminato  e d'incerto rimanga tuttavia in ciascuna di quelle costru-  zioni, e come, s' io non erro, non sia riuscito ad alcuno,  benché ingegni forti e coltissimi vi si accingessero (32), di  dimostrare che il concetto vago ed astratto del ius naturOfle  scese ad applicazioni pratiche e concrete.   Né certo maggior pregio di linee precise e spiccate o  d' importanza diretta e sostanziale per 1' organico sviluppo  del diritto ci presentano nel titolo de iustitia et iure le  definizioni astratte, tolte a prestito dagli stoici, di giustizia  e di giurisprudenza, e i tre famosi precetti del diritto.  L' artificiosa inutilità di tali concetti, tratti più o meno     !     32 LA FILOSOFIA GRECA     fedelmente dalla filosofìa greca, spicca in guisa vivissima  nelle definizioni di legge ; nelle quali, attraverso a vaghe  reminiscenze di Demostene e di Crisippo, ricompare il con  catto, romanamente vero, di coìnmwiìs rei ptiblicae sponsio. \   La gloria del diritto era dunque riserbata a Eoma;  la quale, per opera secolare ed esclusiva del suo genio, af-  fidava ai venturi, con eccellenza insuperata, le leggi eterne  dell'umana vita giuridica.   Se v' ha ricordo, o Signori, che debba infiammare e  scuotere i diretti continuatori del sangue e del pensiero la-  tino, è il ricordo di quella gloria. In questa Università che  ha tradizioni nobili e antiche, proseguite degnamente dal  maestro provetto, cui circonda qui da olti-e cinque lustri  reverenza aifettuosa di discepoli (*), e dall'altro insegnante  che coi lavori acuti e geniali, come coir insegnamento ef-  ficace, onora in Italia le discipline romanistiche (**), quella  gloria infiammi e riscuota noi pure, o compagni. E com'essa  ravviva e ravvivei-à ognora in me le deboli forze, altrettanto  sia come fuoco sacro ai vostri giovani e ardimentosi intel-  letti.      (*) Il Prof, Achille Cattanei.  (♦*) Il Prof. Silvio P erozzi.     NOTE.     (1) Un elenco molto accurato dei lavori appositi scritti sul nostro  tema trovasi nella classica opera deli' Hi ldenb band, Gesch. u. System  der Rechts und Siaatsphilos., Leipzig, 1860, I, §. 141, pag. 593,  D. 3. Lo riporto qui, con alcune aggiunte e avvertenze bibliografiche,  che contrassegno collocandole fra parentesi. Indico con asterisco i la-  vori che non potei procacciarmi:   Malquytius, De vera non simnìnL<i iurisc, phiL, Paris., 1626  [ristampalo nella Triga ìibelL rariss., Halae Magdeburg, 1727, pagg.  11 e segg.]; Paìjaninus Gaudextius, .2>^ j>/i27o«. ap. Bom. in. et progr.  Pisis, 1643, e. 42-3^ pagg. 104-6; | Buaxdes 7->e, vera non simulata  iurisc. phih, Francof. 1626; opuscolo che noto benché certamente privo  di valore, solo per amor di completezza, e seguendo in ciò V e-  sempio dello stesso Hildenbrand, che giustamente tien conto nel  suo elenco anche di lavori senza pregio, come p. e. quelli compresi  nella raccolta dello Slevogt] ; Scuilier, Manud. pliilos. moraliii  ad ver, nec simnl. pini., len., 1696;BonMER, Dephilos, iurisc, stoica^  Halle, 1701 [ristampato nel volume J)e sectis et philos. iurisc. opusc.^  coli, recogn. et praef. et elog. Ictor. rem. ac progr. de disp. fori  aiixit Slevootius, lenae, 1724]; Buddeus, De errar, stoic, negli  Anal. Imt. phiL, Hai., 170G; Voss, De falsis Ictor. ratiocin. ex  parte occas. philos. stoicae enntis, Harderov., 1709; Ev. Otto,  De stoica vet. Ictor. philos.: Id , De vera non simulata philosoph.  Ictor. j nel voi. cit. dello Slevogt; Herjng, De stoica velt. Roman,  philos., ibidem; [Kunholt, Semicenturid comparai, verae et simul.  iurisc. phil., Lipsiae, 1718, che trovo citato dall' Eckardt, Herm.  duriSj *Lips., 1750, cap. 4]; Slevogt, De sectis et philosophia Icfo-   3     34 NOTE   runif len., 1724; *£ggerde8. De stole, Ictor. roman. eìusqiie historia  et ratioìie, Kostoch, 1727: Hofscaxn, De diàUctica vett, Ictor., Francof.,  1735, ne' suoi Melemata ad pandectas; Schaumburg, De iurisprud.  ceti. Ictor. stoica tractatiis, hoc est succincta demotutr. iuriscon-  sultos roman. non vita solum sed etiam doc trina stoicam philoso-  phiam esse profes>ios, lenae, 1745; *Pauli, De utilitatibus quas  attulit philos. ad iurisprud. ronianani, Lips., 1753; Meister, De  plùìos. Ictor. Roman, stoica in doctrina de corpor. eorumque par-  tibus, Gott., 1756 [e neW Opusc. Syll., I, n, 10]; VanHoogwerf, De  car. tur. Boni, partibus stoam redolentibus, Traj ad Bhen., 1760,  e nell'OsLRiCH, Thes. noe. voi. Ili, tom. 2, pagg. 63 e segg. ; Boers^  De antropoì. Ictor. Roman, quatenus stoica est, Lugd. Bat. , 1766  [*Terpstra, De philos., cet. iurtsc, Francof., 1767, che trovo citato  dall*HoLT, Hist. tur. rom. lineam., Leod., 1830] *Ortloff, Ueber  den Eiufluss der stoischen Philosophie auf das rom.Recht.,^ìàng.,  1797; *Vax Vollenhoven, De exigua vi quam philosophia graeca  habuìt in effórmanda iurisprudentia romana, Amstelod., 1834; Ea-  TJEN, Hat die stoische Philos. bedeutenden Einfluss auf die rom.  juristischen Schriften gehabt? Kiel, 1839, ristampato nei lahrb. di  Sell, in, pagg. 66 e segg.; [Trevisani, Lo stoicismo coìisìderato in  relazione colla gìurisprud.'» roìnana, nella Gazzetta dei tribunali,  VI, 1851, pagg. 821 e segg.; VII, 1852, pagg. 7 e segg. ]; Voigt,  lus natur. bon. ti. Aequum, Leipzig, 1856-75, I '^§. 49-51 pagg.  250-66; [Xaferrière, Memoire concernant V influence du stoicisme  sur la doctrine des iurisc. romains, nelle Mevi. de V Acad. des  scienc. mor. et politiques, X, 1860, pagg. 579-685. Fra noi usciva nel  1876 il lavoro dottissimo del MoRIA^'I, La filosofia del diritto nel  pensiero dei giureconsulti romani, Firenze, 1876. Sono ancora a no-  tarsi, benché tocchino solo punti speciali del tema: Eherton, sulla  terminologia stoica nel dir. romano, nella Quaterly RevieWj III, n.  9, 1887, di cui dà un sunto G. Pacciiìoxj, néìV Ardi, ginr., XXXVTII,  fase. 1-2; Lecrivain, Le terme stoicien verecundia dans la langue  des Dig., nella Nouvelle revue hist. de droit frane, et drang., XIV,  1890, pagg. 487-9].   Trattano pure del nostro argomento, benché non di proposito, i  seguenti: [Hopperus, lur. civil. lib. sex, Lovan., 1555, pagg. 554 e  segg.] CuiAcio, Observ.y 56,40; Merillio, Obsero.,\, 8; Turnebo,  Advers., Aurei., 1604, Vili, 20, pag. 151; Lipsius, Manud. ad stoic.  philos..^ nelle Opera.^ Antverpiae, 1737, IV, 473; Io., Physiol. stoic.,  nelle Opera, IV, 542; Kamos, Tribonianus, Lugd. Bat., 1728, pag.  249 e segg. [Bodeus, Observat. et elem. phil. instrumentalis, Halae  Sax., 1732, cap. II §. 27, pag. 308, cap. IV g. 14, pag. 470]; Ma-     'Jìp:     NOTE 3   SCOTIO, De sectis Sahinian et Proculeian, in iure civili, [ Lipsiae^  1728], Alld., 1740; Eokhardt, Ilerm. luris, Lips., 1750, e. 4; Walch,  Opp.^ I, p. 237 [Gravina, De ortu et progr, iur. civ., Napoli, 1757,  I, 35-6; Brucker, Hist. crii, philos., Lipsiae, 1766, II, pagg. 15 e  segg.; G. B. Bon, praef. al Leibnitz, Opusc. ad iur. peri., nel Leib-  NiTZ, Oper«, Genevae, 1768, IV, p. d, pag. 5, n. 1; Eineccio, Antiq.  rom., Venet., 1792, lib. 2 e 3, pagg. 17, 30-1, 191 e segg.] ; Vico,  Scienza nova, cap. 4; *Welcker, Die letzten Grilnde von Recht  Staat u. Stafe, Giessen, 1813, pag. 492, 500, 522, 578; *Id., Uni-  versa! u. Jurist. poh Encyclopadie, Stuttgart, 1829, pagg. 70 e segg.,  556 e segg.; Veder, Hist, phil. jur. ap. veti,, 319; Zimmern, Gesch.  des rum. Privatr. I^ pagg. 23 e segg.; Pcchta, Cursus der Instit, 2 Aufl.,  pagg. 472 e segg.; Ahrens, Iur. Encyclop., pag. 303, n. 2; 360, n. 1;  [Girard, Hist, du droit rom., Paris Aix, 1841, pagg. 180 e segg.;  OzANAM, Il paganesimo e il cristianesimo nel quinto secolo, trad. Car-  raresi, Firenze, 1857, 1, pagg. 163 e segg.; Voigt, Aeìius und Sabinus-  sijst , pagg.' 19 e segg.; Ianet, Hist. de la science polit., 2 ed., Paris,  1872, I, pag. 281 ; Sumner Maine, Ancien droit, .trad. frane , Paris,  1874, cap. 3 pagg. 51-5, 64, cap. 4, pagg. 70 e sogg. ; Conti, Storia  della fdosofia^ Firenze, 1876, I, pagg. 401 e segg. ; Renan, Marc  Aurèle, 2 ed., Paris, 1882, pagg. 22-3 ; Gregorovius, Der Kaiser  Hadrian, 2 Aufl., Stuttgart, 1884, pagg. 296 e segg.; Hofmann, Der  Verfall der rom. Rechtswiss., nei Krit. stud. im róm. Bechte, Wien,  1885, pag. 9; Ferrini, Storia delle fonti del dir. rom., Milano, 1885,  pagg. 30-1, 100-1 ; Id., note al Gluck, trad. italiana, voi. I, pagg.  64-5. ; Krììgeii, Gesch. der Quell. u. Litteratur des rom. Rechts,  Leipzig, 1888, pagg. 45 e segg., 127 e segg.; Carle, La vita del di-  ritto, 2 ed., Torino, 1890, pagg. 153 e segg.].   (2) Padelletti^ Roma nella storta del diritto, neir Arch. gim\,  XII, nota 2 pagg. 210 e segg.   (3) Per la storia della filosofia in Roma, e per ciò che riguarda  in ispecie le sue attinenze al diritto, cfr. principalmente: Hildenbrand,  op. cit. I, pagg. 523 e segg.   (4) Cfr. sulla filosofia di Cicerone: Ritter, Hist. de la philos,  trad. frane. Tissot, IV, pagg. 121 e segg.; Hildenbrand, op. cit., I,  pagg. 537 e segg., Branbis, Gesch. der Entiv. der griech. Philos,  Berlin, 1862-4, II, pagg. 249 e segg ; Boissusr, La relig. romaine  d* Auguste aux Antonins, Paris, 1878, I, pagg. 4 e segg.   (5) BoissiER, op. cit., I, pagg. 14 e segg.   (6) Leggenda, alla quale porsero principale argomento i punti di  contatto che le dottrine di Seneca presentano con quelle cristiane, in,  ispecie Ruir immortalità dell' anima, sulla provvidenza, e sui doveri di     3^) NOTE   carità (punti toccati con molta diligenza da Fleury, S. Paul et Se-  nèque, Paris, 1853). Altro argomento estrinseco è la simpatia che mo-  strano per Seneca i Padri della chiesa: Seiuca noster: Tertull., De  ,an,, 20; Hieron., De vir. ili, 12; Io., Adv. lovin., 1,49; Lxct. , Inst.  div.y IV, 24. E S. Agostino nota che Seneca non nominò forse i cri-  stiani per non lodarli « cantra suae patriae veterem consuetudine tn »,  né riprenderli « cantra propriam forsan volunlatem »: Auc, De civ.  dei, VI, 11. Il tèrzo argomento dell' amicizia di Seneca con S. Paolo  si fondava sopra una grossolana falsificazione delle Kpistolae Senecae  ad Paullum.   Ricca è la letteratura riguardante questo argomento, che ha  un'importanza assai notevole pel tema che tocca direttamente dei rap-  porti della morale stoica colla cristiana. Cfr. principalmente, oltre Topera  or accennata del Fleury: Boissier, op. cit., II, pagg. 46 e segg., e  nella Revue des deux mondes, XCII (1871) pagg. 40-71; Aubkrtjn,  Senèque et Si. Paul^ Paris, 1869; Bau», Seneca ti, Paulus: das  VerMltn. des Stoiciwius zum Ghriat. n. den Schrift. Senecas, neWHe't-  delherg. Zeitschr. f. iviss. Theol, I, 1858 p. 161-246; 441-70; e Abh.  zur (reseli, d. alt. PhiL, heratisg. v. Zeller, Leipzig, 1876, pagg.  377-480; 'Westerburg, Der Ursprung der Saga das Seneca^ christì.  gewes. sei, Berlin 1881. Tutto il contrario si sostenne dall'EcKHARD in  un curioso opuscolo, di cui basta riportare il titolo perchè se ne com-  prenda lo scopo: Obserc. sistens L. A, Senecam in relig. Christian,  iniuriosum, mella Misceli. Lipsiens., Lipsiae, 1706-22, IX, p. 90-107.   (7) GuEGOROvius, op. cit j pagg. 315-7; Renan, op. cit., pag. 35.   (8) I rapporti che verrò enumerando furono notati, quali dall'uno  quali dall'altro degli scrittori che s'occuparono del nostro tema: quali  in uno quali in altro senso. Io non ho creduto di dover per ciascuno  di essi avvertire da chi fu notato, da chi omesso. Saiebbe inutile pel  lettore, al quale ciò che preme sopratutto si è di aver qui, come in  un quadro, il risultato complessivo delle questioni: quadro eh' io mi  studiai di delineare colla maggior cura e fedeltà che mi fu possibile.   (9) Otto a Boekelen, op. cit., pagg. 24 e segg. Contrariamente  Eckhard, op. cit.,; Merillio, obs. I, 27 pag. 260.   (10) Brini, Delle due sette dei giureconsulti romani^ Bologna,  1890, pag. 19.   (11) Malquytius, op. cit.y pagg. 54-5; Gibbon, Hist. de la dee. de  Temp. rom., I, pagg. 128-31; Eckhard, op, cit., pag. 245; Laperrière,  op. cit, pagg. 606-7; Renan, op. cit., pag. 605; Wjllelms, Droit pubi,  rom., 5 ed., Paris, 1884, pag. 136.   (12) Pernice, M. A. Labeo, Halle, 1873-8, I, pagg. 113 e segg.  Cfr. anche Padelletti noWArch. giur., XIF, pag. 213.     NOTE 37   (13) PucHTA, Inst. l 212, II, pag. 83.   (14) Lafehiuère, op. cit.t pagg. 613 e segg.   (15) Cfr. SciALOJA, nel Bull. deìVist. di dir. rom., 1890, III, pagg.  176-7; BoNFANTE, L'origine deìVìiereditas e dei legati nel dir. sìACcess.  romano, Del cit. Bullettino, IV, 1891, pagg. 97-144.   (16) Lafeuuièue, op. city pagg. 621-8.   (17) Il Trevisani, op. cit., nella Gazz. dei 2'rib., VI, 821 e segg.  sostiene che i romani ebbero ognora in gran sfavore il soicidio. Ri-  corda che costituiva vizio redibitorio per lo schiavo il suo tentativo  di suicidio, anteriore alla vendita; ma davvero non occorre osservare  come ciò sia spiegato chiaramente dalla considerazione economica  verso il padrone (fr. 1 l 1, fr. 23 l 3 D. 21,1). E il. tentativo di  suicidio punito per rescr. di Adriano nel soldato, non è spiegato ab-  bastanza da considerazioni di ordine pubblico e dalle necessità della  disciplina militare? Cfr. in questo senso: Ferii ini, Dir. pen. rom., nel  'Tratt. teor. prat. del Cogliolo, I, 18f^8, pagg. 28-9.   (18) Ferrini, Teoria dei leg. e fedecomm,, Milano, 1889, p. 346-9.   T:oiT(xioLi yi] T:XaYYjvat TrpoxaXijaiTO.   Cfr. Keller, Die philos. der Griechen in ihr. geschichll. En-  tivicklung, 4 Aufl., Leipzig, 1876-9, I, pag. 503.   (20) Ravaisson, Mem. sur le stoicisme, nelle Meni, des inst. imper.  de France ; Acad. des inscr. et beli, lettr.^ XXI, 1857, pag. 29 ;  GorpERT, Ueber einheitl. zusammeìvgesetz. u. gesammt. Sachen, Halle,  1871, pagg. 7-13.   (21) Fu oggetto di dispute gravi il fr. 30 §. 1 D. 41,3: Pomp.,  30 ad Sab.: Labeo lìbris epistularuui ait si is, cui ad tegularum vel  columnarum usucapionem decem dies superessent, in aedifìcium eas  coniecisset, nihilo minus cum usucapturum, si aedifìcium possedisset.  quid ergo in bis quae non quidem implicantur rebus soli, sed mobilia  permanent, ut in anulo gemma? in quo veruni est et aurum et gem-  mam possideri et usucapì, cum utrumque maneat integrum.   In esso alcuni scrittori ravvisarono un' eccezione utilitatis causa  alla regola generale formulata nei testi succitati, per la quale ecce-  zione si ammetterebbe il proseguimento deirusucapione delle tegole e  delle colonne, anche pel tempo in cui perdono la loro individua na-  tura, coir entrare a far parte della res connexa^ edifizio. Così Wind-  scheid, Pand , 6 Aufl., I §. 152, pag. 495, n. 6; Pampaloni, La legge  delle XII Tav. de tigno iunclo, Bologna, 1883, estr. dair^rc^. giur.,  pag. 162.     38 NOTE   ■ — ■- - ■ ^ - ■ ■ ■ ■ — ' — — ■ III II » .— — ■ - ■ ■ ^^   Altri, invece, si sforzò di ricercarvi lo stesso senso dei testi citati^  col dare al nihilominus il sifirnifìcato di non. Così Kjeiiulf, Civilr.,  pagg. 276 e segg ; Uxterholzxkii. Verjà'hrungfilehre hearh. v, Schirmer,  I, 153 »ì segg.; SINTE^'Is, uell' Arcìi, f. civiì, Prax., XX, pagg. 75 e  segg., e System, I, pagg. 449-52.   Altri ancora cercò in vario modo di togliere al testo valore sre-  nerale, limitandone la i)ortata alla specialità in esso contemplata. E  però, intese che vi si trattasse di tegole e di colonne non incorporato  ' solidamente alFedifìzio: (Savigny, Besitz, pag. 269; Randa, Besitz, pag.  429); che la regola formulata nel testo valesse soltanto pel caso in  cui l'incorporazione delle tegole e delle colonne nell'edifizio avvenisse  quando questo già era compiuto, quando cioè, per tal modo, Teventual^  distacco di esse non urta contro la ratio della legge de tigno iuncta  « ne urbe ruinis deformetur » (Scheurl, Ziir Lelire vom rum. B'e^  sitZf §. 23); oppure valesse solo trattandosi di mobili incorporati al-  Tedifizio, ma non parti essenziali di questo ( Ruggieri, Il possesso^  §. 196). Sempre in questa tendenza di limitare il valore del testo,  negando ad esso portata generale, altri scrittori intesero restrittiva-  mente il termine dei decem dies, in esso formulato, in applicazione  della massima romana di non tener conto dei minima ( Thibaut nel-  YArch, f. civ. Prax., VII, pagg. 79 e segg.; Puchta, KÌ, civ. Schrift.^  pagg. 422 e segg.; Pape, Zeitschr. f. CiviJr. ii, Proc. N. F. XIV,  p. 211); spiegarono la sentenza del testo colla impossibilità dell' ir-  surpatio dei materiali nei 10 giorni mancanti, per la ragione chf , oc-  correndo un termine di almeno 10 giorni dalla editio actionis per  giungere alla litis contestatio^ se si agiva qando mancavano 10 soli  giorni ad usucapire, la ì'ei vindicatio non serviva a rendere innocua  r usucapione ( Savigny, Besitz, pagg. 269 e segg. ; Eisele, lahrh. /I  Bogrn., N. F. XIII, pagg. 4*^0 e segg.); o finalmente intesero che nel  testo fosse contemplato il solo caso di unione delle tegole e delle co-  lonne ad un edificio incompiuto e che la legge de tigno iuncto non  impedisse di staccamele, per essere 1' unione recente di 10 giorni  (Meischeider, Besitz u. Besilzschntz, ?. 19).   Codeste varie interpretazioni e spiegazioni sono riassunte dal  WiNDSCHEiD, op. cit. 1. cit., c, più complctamento, dal Pe rozzi, Sui  possesso di parti di cosa^ negli Studi giur. e stor.per VVIII cenfen.  delV Università di Bologna, Roma, 1888, pagg. 275 e segg., il qualo  confuta ciascuna di esse, per giungere alla conclusione che le tegole  e le colonne incorporate all'edifizio sì posseggono e s'usucapiscono non  perse, a parte, ma solo in conseguenza del possesso e dell'usucapione  dell'intero, a differenza della gemma e dell' anello che si posseggono  e s'usucapiscono per se.     NOTE 39   ^ ■ ■■■ ■ — — n — ■ ■ • ' - ■ ■ ■■ ■   (23) Hering, op, cit, pag. 411; Eckhaud, op. cit , pag. 260; La-  rERiuÈRE, op. cit., pagg. 63-5; Moriani, op. cit., pagg. 54 e segg.   (24) Cfr. Trevisani, op. cit., nella Gazz. dei trib., VII, pag. 7.   (25) Laperrière, op. cit,, pagg. 635 e segg.   (26) DiRKSEN, Ueheì' Cicero' s unlergegangene Schri/t: De iure  civili in arte redigendo, nelle philol. u. Philos. Ahhandl. der k. Aka-  demie der Wissensch. zu Berlin, 1842, pagg. 177 e segg ; Hjljen-  BRAND, op. cit., %. 130, pagg. 556 e segg.; Voigt, Aelivs und Sa-  hinussìjst.., pagg- 19 e segg.   Si connette a questa influenza formale d' ordine generale la ri-  cerca delle etimologie, comune ai giuristi, segnatamente dopo Labeone.  Qui Timitazione degli stoici fu riconosciuta quasi da tutti che ebbero  ad occuparsi del nostro tema. Cfr. da ultimo Lersch, Die Sprach-  philosoph, der Alien, parte 3. Senonchè, nonostante gli sforzi di un re-  cente accurato lavoro (Ceci, Le etimologie dei' giureconsulti romani,  Torino, 1892 ) persisto nel credere che suU' indole e sul valore delle  ricerche etimologiche dei giuristi rimanga saldo tuttavia il giudizio  severo ch'ebbe a formularne il Pernice, M. A. Laheo, I, pag. 27.   (27) Si veggano i testi raccolti ed elaborati, non occorre dire con  quale diligenza- e acutezza, dal Voigt, Ius. natur, §. 49, I, pagg.  244 e segg.   (28) MoRiANi, op. cit., pagg. 80 e segg.   (29) Ratio derivazione dall'indiano rita e ratum, ordinamento  dell'universo e della natura terrestre, comprese le cose umane. Così  Leist, Civ. Stad., l, 1854, pag. 33; III, 1859, pagg. 3 e segg.; Ka-  turalis ratio und Natur der Saclie, 1860; Civ. Stud,, IV, 1877, pagg.  1 e segg.; Gracco ital. Rechtsgesch., Iena, 1884, g. 32, pagg. 199 e  seguenti.   (30) SuMNER Maine, Ancien droit, cap. 3, pagg. 45-46, 51-56;  Etudes sur Vane, droit., pagg. 162-3.   (31) HiLDENBRAND, op. Cit., §§. 1334, pagg. 566 e segg.   (32) Cfr. da ultimo l'acuta ricostruzione del Brini, Ius naturale,  Bologna, 1889.     FINE.     X     DEL MEDESIMO AUTORE:     La condizione patrimoniale del coniage superstite  nel diritto romano classico^ Bologna, Fava e Gara-  gnani, 1889 . . . , . - . . . L. 4   Il diritto privato romano nelle comedie di Plauto j   Torino, Fratelli Bocca, 1890 » 10   Le azioni exercitoria e institoria nel diritto romano,   Parma, Battei, 1892 » 3      l' . 

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