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Wednesday, October 20, 2021

GRICE ITALICVS VII/X

 

 

CEREBOTANI (Lonato). Filosofo. Grice: “Ceere-botani is a genius, and I’m amused of his surname, since a linguistic botanisit he surely was! His ‘prontuario del periodare classico’ charmed everyone, including his ‘paesani’ of Brescia – the little bit on Lago di Garda! There’s a stadium in his name! He also played with Morse, which means he was a Griceian, since he was into the most efficient way of ‘transmit’ information! ‘quod-quod-libet, he called it, what Austin had as Symbolo!” Presentato da Marconi. Linceo. Altre opere: “L’organismo e l’estetica della lingua italiana classica” Inventa il teletopo-metro, l’auto-le-meteoro-metro, il tele-spiralo-grafo, ecc. Il pan-tele-grafo-cerobotani o tele-grafo fac-simile, cioè apparecchio a comunicare immediatamente e per via elettrica il movimento di una penna scrivente o disegnante ad altre comunque distanti.  Emise idee sulla tele-grafia multipla. Fonda il Club elettro-tecnico, coll’intervento della regia Legazione italiana. Inventa il tele-topo-metro, uno strumento che serve misurare la distanza tra due punti. Altre opere: 'La tachimetria senza stadia'. Fa costruire una stazione meteorological. Amico di Marconi. Riesce a trasmettere La Divina Commedia a 600 km di distanza. Nel settore della geodesia, inventa il teletopometro, un apparecchio che serve a misurare le distanze fra due punti che sperimenta sulla marina da guerra. Inventa il nefo-metro, per misurare le nubi. Costruzione di una stazione meteorologica automatizzata nelle montagne del Caucaso. Questa stazione e dotata di strumentazione in grado di comunicare le variazioni atmosferiche direttamente a Roma attraverso segnali a radiofrequenza, ed era alimentata elettricamente con delle batterie che si dovevano ricare ogni due o tre anni.  Il teletopometro serve a misurare la distanza tra un punto mobile ed un punto fisso. Il Santo Padre l’esegue la misura della distanza tra la cupola della basilica di San Pietro e le stanze papali. Il teletopometro fu usato a inizio secolo per eseguire i primi rilievi topografici in Liguria, ed è stato soppiantato poi dal telemetro monostatico.  Inventore di un telegrafo a caratteri, che fu sperimentato con successo tra Roma e Como. Inventa un ricevitore a caratteri senza filo, che rende più docile il Coherer.Inventa una serie di strumenti per le miscurazioni, come il autotelemetereografo e il tele-curvo-grafo. Inoltre, ha anche costruito un pantelegrafo, ed è stato il primo a tentare una trasmissione radio inter-continentale, esperimento che riuscì a Marconi. Il tele-autografo è uno strumento che sirve a trasmettere un segno (disegno o scritto) a distanza. Costruì un teleautografo che, con un penna, permetteva di comandare il moto di una penna ricevente, comandata elettricamente. Grazie al suo apparecchio, riuscì a trasmettere un segno a 600 chilometri di distanza. Il sistema di rilevazione della posizione del pennino, e di comando, è completamente diverso da quello del pantelegrafo Caselli. Nel settore della telefonia, inventa un selettore per una chiamata individuale, per centralini telefonici e telegrafici inseriti in un circuito; il 'Qui-Quo-Libet', oggi chiamato telegrafo stampante. il teletipografo, o telefono scrivente, o telegrafo stampante. Il teletipografo è una macchina da scrivere collegata ad un telegrafo, il quale a sua volta viene collegato ad una ruota, il 'tipo', sul quale sono impresse le lettere dell'abecedario.  In trasmissione, l'operatore scrive sulla macchina da scrivere, e il telegrafo invia una serie di impulsi elettrici che codificano il carattere inviato, come nel codice morse. In ricezione, il telegrafo riceve gli impulsi, e, in base al segno, comanda il 'tipo', con il quale viene stampato su carta il carattere ricevuto. Lo stesso apparecchio è utilizzabile sia in ricezione che in trasmissione, e sfrutta la normale linea telefonica.  Questo strumento permette di trasmettere un carattere alfanumerico ad una velocità di 450 segni al minuto (più di 90 parole, come una normale macchina da scrivere dell'epoca), e quindi tre volte superiore rispetto al codice morse.  Usato per le comunicazioni tra la Segreteria di Stato e gli uffici vaticani.  Inventa un orologio elettrico senza fili, capace di regolare il movimento di altri orologi collegati con la stessa fonte d'energia.  Studia la luce fredda. La lampadina ad incandescenza sfrutta l'energia della corrente elettrica per effetto Joule, mentre la luce fredda è luce generata sfruttando la corrente con dei condensatori, in modo tale da eliminare il calore. Questo tipo di illuminazione ha trovato impiego nelle lampade al neon. Lo stesso principio della luce fredda è anche alla base della tele-visione.  Altre opere: Direttorio e Prontuario della Lingua Italiana. Dizionario biografico degli italiani UN SAGGIO DELL’OPERA. Nervatura del periodare e dire classico italiano ( “I ( ) i. ABBOZZI E LINEE I ) I l N DIRETTORIO E PRONTUARIO DELLA LINGUA ITALIANA sI:( 1 ) NI ) ( ) ( i I, I S( H: I l 'I ( )1: I ANTICHI a) V 1, I ' ( ) N A “. 'I' AI;. 'I'I l'. Vl. I; l 'I l'IN EI. I , l E i FROENAIO  ( 'n i grande mov/r , l'archi: o c', ''a / ) a italiana - (, e mesi da V /i ) i o / /i, le gio. a m. ' - /Xivisione - . 1//a f, ggio in cem , l ’ abi/e, intangibile il valore dimo, fra l ' - l ' 7 de /fo di scrittori gratissimi e figure rºt/or he, le me/a/ore non sono la lingua - Voi : i stile senza la lingua - V)all'integrit. 1 del tessuto la psiche della lingua italiana - Via lingua italiana adopera al risveglio del sopito genio italiano - Prima demolire e poi riedificare - L'una e l'altra cosa dal Direttorio imp, ric a. miun senso da lingua, chi ct // ruga a ſe la c/o cuzione può essere cosa convenzionale e arbitraria - . I mularne un mom/i le//a ne va del /'intrinseco valore e della . ila importanza adunque e valore ancora didattico del DIRETTORIO. Opportunissimo ad ogni pemma e gra - devolissimo il PRONTUARIO l/aniera di  la S (17 ) a 62.  Sono agli sgoccioli della povera vita mia, e sarebbe gran peccato se mancando questo uomo mancasse anche quel po’ di bene che mi sono lavorato per la patria mia adorata.  sicura, un repertorio, l’archivio della sua bella lingua. Se niun’opera dell'uomo può essere mai si conipletº e perfettº che non sia anche suscettibile di modificazione e di ammenda, molto più devesi ciò affermare di un saggio che vorrebbe aver cerche tutte le innumerevoli regioni e più riposte di una lingua, e particolarmente di un saggio siffatto, il cui indirizzo. o dirò meglio il cui voto Sarebbe di somministrare ordinatamente e con la scorta di acconce riflessioni, le devizie, le grazie, e le pieghe tutre dell’italico idioma. Sarebbe quindi temerità, milanteria a dargli nome di opera perfetta e completa. Il modegi i.clo che per: in fronte, cioè, non altro che di semplice ABBOZZO E DI LINEE vuole adunque temperare il malsuone che farebbe dirlo alla scoperta: i) DIRETTORIO E PRONTUARIO. Uscito dall'aringo delle scuole, ove lo spirito comincia sanamente a vedere, e prende triove forme, ed è avido di nuove cose, ed agile e svelto si addestra ad imporare, lui tosto sollecito di lavorarmi mano maro una certa maniera di altre tanti 'dde-Aic, un quante le discipli te nelle quali l’ufficio mio portava che mi erudissi, e delle quali era vago. E così col decorrere degli anni mi vennero riempiti parecchi vade-mrcum, sia delle Sacre Scritture, sia della Morale e della dogmatica, e sia ancora delle cosidette scienze esatte, della storia, di alcune lingue moderne e finalmente di una maniera di scrivere dei nostri classici italiani, che mi º brava non solo diversa dalla comune e vol gare d’oggidi, ma che mi piaceva e mi andava all’animo che nulla più. Andò poi tanto nn , i 'anore, la delizia, la vigoria che veniva il sito spirito dailo strid e ibri di quei gloriosi dei 300 e 500 che mi misi alla dura di farini gia dentro terra, scandagliarne le ragioni ieg he, sapere dell’onde e perchè di questo notevolissimo, sostanzialissirio divario, e presi subito a sviscerarne tutti gli autori che quel l’Accademia slie il più bel fior ne coglie i propone si come maestri di ;ingua ed ai quali dà nome di “classici”. II l'ade-Meetini della linea italiana cresceva indi a dismisura, di che man in no che si accumulava il materiale, anche l’aculeo della me, e venivº ogrori più assottigliandosi, ghiotta come n'era, avi da vi più e brenese di elaborarsi sicuri, costanti criteri qual che la m sria e lo stile del saggio classico si fosse, mercè dei quali riconoscer ip os e I i s ! º º ci, sicuº, che giammai in n saggio volgare e moderno. Sgom:onto e in caſi piacciº insieme a ripensare le aspre fatiche Che con diuturnº i reità ho durate per anni ed ºnni, solo di vederla a purtg di ragione e chiarirmi di quel tanto encomiato ma non mai spiegato non so che. Stupendo, meraviglioso i tito quello che il lorno i.ll l I l CAN/ A  r ci lasciarono scritto un Varchi, un Bembo, un Cinonio, un Corticelli, e molti altri. Sottili le disanime di un Bartoli, amplissime le ricerche, gli si udi di un Gherardini, da sim fuor g . gr mi . Ai . le dissertazioni di un Padre Cesari, ma dopo tutto ciò, dello scrivere classico non si è porta e discussa altra cosa che gli accidenti e le apparenze dell’essere, non il suo vero essere vitale, quidditativo, sostanziale. L'essere. ia ma, ura dell’ELEGANZA si rii i ſino tuttavia og cilta, e cgili a loro hº e rºg, vi i ce .re ch: i ganzo è al postutto un non so che. Ma è appunto questo non so che che io voglio a tutt’uomo tor di mezzo, e farla intuire, non che sentire, l'essenza, la quiddità immanente di quello che dicesi : Il ci º N / A.E stimulato dall’ardore di questa idea tenacissima misi mano ad un lavoro arduo e faticoso quanto niun’altro: mettere cioè a riscontro di tutti quegli infiniti luoghi del 300 e 500 che più mi ferirono la medesima cosa detta mºdernar:ente. Riempiti poi che mi vennero per siffatta guisa ben cento e cento fascicoli, e pºstº luindi nenie a tute le più minuti circostanze del differire che fa il linguaggio º di riº: d l 'ic : classico, mettendo di ogni luogo in rilievo quelle voci, tutti quei momenti del logos, quelle curve, quelle pieghe, e quella maniera di costrurre che è sol proprietà di ogni scrittura antica e classica, di º cosa all’opposto niente cc:nsine º una cenna volgare e moderna mi notai da prima di ogni penna classica, e di ogni stile, il mantene e ripetersi inalterato, sia di un medesimo assetto e tornio periodale, sia di certe singolarissime  locuzioni: ci; mi sfuſi i denti qui.iti i s. a più i ngo e la virtù 2 e di 3 ti - , ingr. l Ti s. “I e investigandone ad un tempo, e quanto possibile acutamente, gli intimi rispetti e le più riposte correlazioni logiche, mi vennero a non molto veduti e costantemente confermati tre ordini distinti di quella cosa onde a mio senno di genera l’eleganza: e sono appunto le parti della prima sezione di questo saggio. Cose di indole organica e che più strettamente si rife riscotto al tessuto periodale: inversioni, separazioni, compagini, locuzioni elittiche ecc. Parole e forni e notevoli, e il cui retto uso adopera anche alla l'ila del DISCORSO e all'ossetto costruttivo.Verbi e alcune altre voci generalmente note, ma dal cui retto uso alla elocuzione garbo si deriva e vigoria.  E' in 'b e º ci reggi e 1 in to gº e sº ort che  - - - - - - : - 'n - 1 v altri studi, altre sollecitudini me ne impedivano, l’avrei già allora consegnato alle stampe, malgrado l’indole del tempo che abborrisce dal cosidetto purismo. Era naturale che, compenetrato come era di questo purismo, gli scritti che misi poi fuori intorno alle mie elucubrazioni scientifiche º v-vºno essi pire ris mire del 300 e 500. A vedere lo spirito al tutto singolare e diverso onde sono guidate le lettere d’oggidì, basti ricordare come siano mal capitati i miei manoscritti, e come gli inca ricari della stampa, non che loro andassero all’animo, ma neanche puº e re . p v. i) , c gion di ssinpio, aveva scritto che quel litogo era oscuro che nulla uscita vi si scorgea» (simile a : selle scura el la dii iita via era smarrita) per la stampa si volle ritoccare e completare: a quel luogo era tanto oscuro che.... ». E dove : i n sºn va che l in', se a condiscºndervi o se rimanerme ne » (simile a : non Sap 'a che farsi. Se su 'i salisse o se si stesse, l3ecc.) iº lo vidi inve: : : Inp. 1a così : non sapeva che cosa do vessi farc. Se vi dovessi accondiscendere ecc. ). Dove: « nè questo già ner sancr farmi sl, al viadon sss (tolto di peso dal Bartoli) si sta impò invece: nè questo già perchè egli vi adoperasse sapere darmi o li dove ancora affermava di avere fatto a una cosa a spasso », di « esserini pensato non so che di a arer cessato una mala ventura º, di giºcº l'aiiiino a checchessia » ecc. ecc., oimè, dolente mè! che invece mi freero dir el "vevo ! alla cosa al risseggio » che ci aveva pensato di noti so che , che la mala l’entura era ceS Sgla o che aveva un’arimo grande per ecc. . ! ! l: di questi pretesi titocchi ed ammende Sono Sconciamente straziati e snaturati i miei manoscritti che si pubblicarono cella mediazione di chi non aveva paia o di rivonica, i nº chi classici.E' quindi agevole immaginare lo si to del mio animo (ora che fi palmente mi accingo a pubblicarle queste mie fatiche giovanili) di frºnte all'indirizzo del mondo linguistico d’oggidì. Forse si griderà al retrogrado, al pedante, che vuole imporre cose vecchie e smesse, e rimettere sul mercato masserizie da rigattiere e da cassoni. Ma ad enta di tutto ciò tri pensiero già ſin d’ora mi sorregge e mi conforta, ed è che di questo saggio, quantunque in contrario sia per seguirne, col l’immensa copia di esempi tolti dai saggi mastri, e di ogni forma e di ogni stile, riun critico, per acre e spiacevole, potrà mai impugnarne il lato DlMOSTRATIVO, che cioè il Glamiera di Scrivere degli antichi è gitelia che ti si dimostre, ed è altra dalla comune e volgare dei mestri giorni. E qui lascio la parola a nomi autorevolissimi, e prima a quell’entusiasta che fu del 300 e 500, l’abate Giuberti, il quale pieno di sdegno verso lo scrivere moderno, lo dice, nel suo PRIMATO, senza una pietà al mondo. Pedestre, terragnuolo, ermafrodita, evirato, senza nervo e colore, di mezza temperatura, non si alza dal suolo e striscia per ordinario, allia e svolazza, non vola mai, una fosca meteora, non un astro che scintilla. E più avanti si rifà all'affrontata, e lo chiama scucito, sfibrato, spettinato, sregolato, scompaginato, rugginoso, diluto, cascante, floscio, gretto, goffo, deforme, un bastardume: un intruglio, un centone, un viluppo di brandelli, e ciarpe straniere, uno stile da fare stomaco, spirito francese camuffato alla nostra le ecc. ecc. ), mentre, tutto ammirazione e venerazione verso gli antichi prosegue e scrive: a Paiono talvolta ritrarre gli aculei sentenziosi dei proverbi e le folgori dei profeti. Quanta leggiadria e gentilezza non annidassero nel maschio petto di quegli uomini a cui la schifiltà moderna dà il nome di barbari! In quella era vera coltura Ciò che oggi chiamasi coltura è in molti piuttosto un'attillata barbarie. Anche il laconico ma forbitissimo Gozzi lamenta che l'Italia non sa più come parli e ognuno che scrive fa come vuole, una fiera dove corrono tutte le nazioni e dove tutti i linguaggi si sentono. S’impa racchi a II n a I l m g II a S m 0 I I i C a td e tr 0 Il Cd, S e Il I a a r red 0, S e n 1 a 0 n 0 re, St 0 p er di re S e Il I d l ibertà e dà quindi sulla voce agli scrittorelli senza studio e fatica necessaria ad acquistare un sicuro possedimento di quella lingua in cui si scrive, i quali scrittorelli non avendola per infingardaggine curata mai, atterriscono tutti col dire, che essa è inutile e col farsi beffe di chi vi li a p er d II t 0 d e II tr 0 gli 0 C C h i. Il melodico e terso Salvini deplora esso pure i traviamenti letterari dei suoi tempi, presagisce e nota. Guai alla lingua italiana, quando sarà perduta affatto a quei primi padri la riverenza! Darassi in una babilonia di stili e di favelle orribili, ognuno farà testo nella lingua, inonderanno i solecismi e si farà un gergo e un mescuglio barbarissimo. Chi non sa che il grande Davanzati, è una maestà, un portento in opera di lingua? Ma ecco come alloguisce coloro che già ai suoi tempi facevano a fidanza con lo studio e con l’uso della lingua. Fingete di vederla (la nostra antica favella) dinanzi a voi quì comparire in figura di nobilissima donna, maravigliosamente adornata, con la faccia in sè bella, quanto amorevole, ma ferita sconciamente, e travolta le sue fattezze e tutta laida di fango, e che ella vi dica piangendo e vergognando. Guai a me, che straziata sì m’hanno, come voi, quì mi vedete, quelle mani straniere.  Io vi chieggo mercè. E ora sia lecito anche a me, sotto l’egida e fra le trincee di questi valorosi, di dire brevemente quello che ne sento, ciò è a dire chiarirci di alcune idee, ed anche discorrere l’opportunità ed il valore non solo dimostrativo, ma anche didattico di questo DIRETTORIO. Asserendo che nei dettati alla moderna non vi sento quella leggiadria, quel garbo, quel candore, quel non so che di soprasensibile che regli antichi, non è già mia intenzione di censurarne le alte concezioni e menomarne comechessia il valore e la spigliatezza, e sia nella scelta e convenienza delle metafore e delle immagini, sia nella vivacità e pompa delle descrizioni, e sia in questa o quella cosa, che del resto, i cn è, vi , p v': c velli rs it:li no, ma che può essere comune e sº bene neiie in altre lingue. Se l’essere, il valore di una lingua dimorasse sol nei vocaboli e nelle figure rettoriche, cioè ièci traslati, nelle metafore e nelle immagini, non sarebbe l'idioma, e ne andrebbe del carattere non ch’altro e dell’estetica della lingua in quanto lingua le varie lingue tornerebbero ad una, e renderebbero immagine di III la sola cantilena che sia suonata ora con uno, ora così altro istrumento, differendo l’una dal l’altra solo quanto può differire il suon di una tromba da quello di : 1) : l ri: ti: .I e concezioni, il modo di pensare, la disposizione e l’ordine del le idee sono di una persona che ne ha la lingua, non altro che il suo stile, cioè un fatto suo individuale, una maniera di DISCORRERE secondo intende e sente. Come non può essere che un uomo si cessi la sua individualità e ne prenda un’altra, così sarebbe opera disperata chi si affidasse di pigliarsi lo stile d’altri. Ma la cosa che negli ameni dettati degli antichi si impone alla nostra ammirazione e vuol essere oggetto di considerazione e di stu si o, è l'intrinsec. e sei le ferma sostanziale, c S nip e la medesima, di qualsivoglia stile, dalla quale allo spirito più che al senso quella soavità viene cottel diletto che mal si cercherebbe nella materialità delle voci, è la grazia, quel vago ascoso e nudico onde ogni stile torna a quello che dicesi stile elegante: simile alla luce che, mentre senza di essa ogni cosa è spenta e al senso della vista non è solo che un suo raggio apparisca, la natura tutta subitamente risveglia, e alle molteplici individualità del visibile dà vita e vigoria di ghºzzo infinito, la lingua è rispetto allo stile quello che la luce, la forma sostanziale delle cose, rispetto alle individualità. Comr l’origine e l’essere di tutte le infinite individualità della luce, le quali sono perchè sono i sensi, è un solo, oltre la barriera dei sensi e fuori di cifra, fuori della ragion di quantità, fuori delle angustie delle individualità, e come al  -  tresì la sostanza delle cose è costantemente e universalmente una,  inaccessibile ai sensi, e, come che essa pure non sia ai sensi che per le sue individualità, cioè per quello che dicesi materia seconda, specie od accidenti, ell’è tuttavia ben altra cosa che le infinite sue individualità, così l’essenza della vera lingua non può essere che costantemente UNA, un “non so che” di soprasensibile, quantunque ai sensi svariatissima nelle sue individualità, che sono appunto quello che ha nome stile. Si parla di stile più o meno elegante, più o meno piacevole, ma non si pon mente alla ragione intrinseca di quel grato che per lo stile allo spirito si deriva, il quale, non nella materialità dello stile, ma bensì nell’intima vitalità della lingua essenzialmente dimora; simile al vago della bella natura, di cui più che il senso lo spirito nostro si diletta, e che non dal sensibile si genera e dagli accidenti, ma da quel l’occulto che ne è l’essenza vera, il principio di vita. E poichè ci venne dato nei veri della natura, notisi ancora una acutissima considerazione onde la natura stessa ci è maestra, che cioè come cosa qualsiasi non può essere individualità di una forma sostanziale ove ne manchi la sostanza (a cagion d’esempio individualità del l'oro, del legno. ove manchi la sostanza dell’uno e dell’altro, individualità di un essere sia vegetale che animale ove manchi la vita) così non solo non può essere lo stile di una lingua stile elegante, ma addirittura non ci può essere stile veruno ove manchi la lingua.l: ora si capirà anche meglio l’eff to di soc”:inzi. . he cioè la natura, la forma sostanziale di una lingua, e più che di ogni altra della nostra cara lingua italiana, nei cui visceri ogni cosa è vita, delizia, soa vità e pace, è ben altra cosa della materialità dei vocaboli, sia nel proprio che nel traslato, non altrimenti che di un ricamo, di un disegno il cui pregio agli occhi della mente nulla si muta mutandosene la materia. Che monta all’estetica, al valore architettonico, al concento delle linee di un monumento, di un edificio, l’essere costruito più tosto con una che con altra pietra? Siano pur preziose le parti organiche di un essere vivente quanto si vuole, che giova se vi manca la vita? Di Apelle si narra che, invitato da un giovane pittore a dare il suo giudi zio intorno all’effige della bella Elena, esclamasse. Non la hai saputo fare bella, l'hai fatta ricca. Metto pegno che chi discorre queste pagine e non ha colºu' º di lettere altro che moderna, gli nar di tre o mare, di sm morire, e poco si tiene che non mi mandi con Dio e mi dia anche nonne di esaltato e di sofisticone. Non meraviglio. Il medesimo sarebbe di chi è abituato alle cantilene da villanzoni o solo alle canzonette da piazza e da trivio e altri  volesse di punto in bianco ringentilire il suo udito volgare e bastardo, e recarlo per niun’altra via che tessendone gli elogi, a dilettarsi delle grazie vereconde di un Pergolese, delle profondità pottoniche di un Palestrina, di un Orlando di Lasso, dei portenti delle fughe di un Bach, delle poderosità melodiche di un Beethoven, di un Heyden, di un Haendel: od anche di chi non vede più là delle Sorde larve e Sozze di certe oleografie, più i degli imbratti di un pennello pedestre e terragnuolo, ed altri ne deplorasse la decadenza, lamentasse le turpitudini volgari e moderne a petto delle inarrivabili sublimità degli antichi in opera di pittura e di scultura. Ah! siamo sinceri, e confessiamo ch’è oggimai agonizzante la psiche del metafisico e dell’estetico, e non che sopito il senno antico, ma anche il senso del genio e del bello che irradia nelle opere dei nostri padri, è oggi a termini del più miserando languore. Che altro ci rimane adunque se non di por mano a tutti quei mezzi che adoperano, secondo scrivono l'8artoli, Costa, Casati, ed al tri molti, alla riforma, ad una sostanziale elaborazione del pensiero, ridestando e rivocando a vita l’originale candore, il sopito e per poco spento genio italiano è l’elaborato mentale, soggiunge a tal uopo Giuberti, è di sì intimo messo inoculato al linguaggio, che sarebbe violato e guasto il concetto, ove la parola mutasse, o l'ariasse un nonnulla. Nè altri opponga che se la bisogna sta come qui si afferma, e si tratti veramente di guasto vitale e sostanziale più che organico del l’umana intelligenza, vano sia per essere ed inefficace ogni umano conato, e che solo il miracolo di una nuova creazione potrebbe ripararvi. Ma non è così, ed è la cosa appunto che vuolsi ora sanamente ponderare. Non è vero che lo spirito eletto dei nostri padri, la mente italiana sia il tuttº esiint: e lo dimostrano i dettati e le opere più recenti di quei chiari nomi che sulle orme dei gloriosi antichi, e frutto di dittti i rime fºriche, riverberano il genio antico. O l’indole dei tempi, o i periodi delle invenzioni e delle macchine, che fanno del pensiero fantasia, o il grido della ribellione al soprasensibile, onde è incatenata la mente, l’ontologico dilegua, è in onore e si prende lo scettro del magistero didattico, la menzogna dell’essere, il mondo dei sensi, l’individuo, la materia, o questa o qual altra mai si fosse cagione, la mente nostra è oggimai avvizzita e recata a una ciarpa, a un intruglio, il senso del vero e dell’estetico sciancato, evirato, l’imaginativa incespicata, aggrovigliata, e non è quindi non solo a stupire, se la maestà e la virtù dell’italico idioma non è più sulle penne dei moderni dettatori, ma se è altresì e tal mente soffocato il senso del vero essere della lingua italiana, che ne è misconosciuta e recata a vilipendio l’alta virtù, ignorato vergognosamente il sublime lavorio che questa lingua privilegiata mirabilmente adopera negli aringhi della vita intellettuale. Con queste mie calde parole parmi di avere toccato dove veramente ci duole e penso che saranno poi tanto più autorevoli in quanto esse collimano coll’enfatico sentire di un Davanzati, di un Bartoli, di un Bembo, di un Varchi, di un Salvini, e ultimamente di un Mamiani, di un Giuberti, e perfino di quell’ammiratore delle nostre glorie letterarie, il grande Goethe. Non si pensi poi che con queste affermazioni io mi lusinghi di avere senza più conquistato il favore e l’omaggio di chi è fuori dell’orbita di queste ai suoi sensi inesplorate regioni. Nò, non ho altro in animo che di agitzzarne la voglio, e che si mett meno ti volt, quegli argomenti con cui inoltrarci, ed esplorarle queste opulentissime regioni.Considerando la profondità e la vastità dei miei studi in opera di lingua, ripensando le trite disamine di quanto trovasi scritto su questo materia e rifacendomi mi oi ist cei eri che mi sei elaborato intorno a quello che costituisce il fascino dell’eleganza, non mi perito di asserire che codesto mio DIRETTORIO sarà per essere appunto il saggio desiderato, quella scorta sicurº ed unica, quella palestra nella giale addestrerº: chi vi si ºccire con i i rivocare l'avito sentire, le occulte virtù dell’italico idioma. Con un terreno vergine e di fresco dissodato è agevol cosa farvi di buoni seminati, ed anche conseguire sana e coniosa messe. Ma se il terreno è stracco, illanguidito, e per male erbe che vi crebbero im bastardito. nulla giova il farvi ritrove seminagioni; gli è mestieri estir parne dapprima la zizania, ucciderne i parassiti e non prima riseminarvi in sulla vanga che non sia accuratamente purgato e risanato. Anche con un corpo ammalato di febbre maligna e male in essere di visceri e di stomaco nulla approderebbero, anzi guasterebbero, i corro boranti e le vivande, se mercè di opportuni farmaci non sia stato prima guarito di ogni male e tornato perfettamente sano. E così è di chi si disponesse a ricevere nuovi semi di quella lingua che egli non può nè sentire nè ipperire perchè il suo senso, rigoglioso tuttavia di cesti e mºssº bestardº, non può altro che sdegnare e ribellarsene, o di chi volesse nutrirsi di quei cibi prelibati che gli ammaniscono le letture antiche e classiche, essendone lo stomaco ricalcitrante, come quello che lº paciucche volgari e mederne hanno viziato e guasto. Sarà dunque opportuno, chi veramente vuole rigenerare e tornare t:sso e si misuoo Ioio top cluoulli, il lusi li op lºI033. Osloo lº ::.looue liuis o oltu l ' ºssige il gp o ti lº si p ºsòssi pilºp ºliº ºpei .l. It us el ' i' i ti - e ! ss outigui illuu.ioldsoul Oiesstv. Un li vº: i bl) ºl! Sº! ).le daiºlº slioni i euuuo5 oliomb u lius sºli o i M o duº lºop i silos gllep luo!. ilo Ao olloilo,S Ip lo33s o lo s ſ olt.loqt lº 0 ai i ti: osto o.lilt: uou o 55eniull ouuuun, Ilop ollos e o uuuoò il AS o ºlsiiqo. OI -toni civili lonn 'ouo; o il 9 AIR alloni si sn p op su o!! ). Il ti -Issºlº 3 atlº, lui: ºtti.lo ol olodlu o l illoulillº ºa so Qrº uviu :I  i poi il tt i tr. ss Lt: lº), ci uo:t., e o isoluo5 eu o optAn.. ui, oggi, i 'ti i ti: : ti io lº t:l lido su tre et 't i3: lIou 'Il 2005U )It is It ul it e sul i ti cieloiti i lili è il trilos i luopll S i tit il sot! ti) º il lo, st 3, 8 l.it, º t ti 3llit 8 º A  i el:  tlii lp 't ult: ulti del 9 l lu ti iº - il so, si s ... 'ti i .i. . . .lºli  i; ss ', ... ... i - i ! i ti&ui  o soli º in l It:ISS º o loti u -  Rutp li ºt toº , ti o, i poi tu º 3 lt è loM o.lgIl lli t..li) op. N..lo slp : 01S , clti, pu Sclip ci , i Ip º lossº t'il pº 'it:5 s : i isl il pºp OiiSAS º al! Se oè , si va 1 otIº tifos . º ºlio p : 0.it tios oso.I -05! A osio; op: i n.lip top t millus G, i tº o 3 As il il 3 osseti lap ei liti in el o Isoi cui il bis '09: loui.it o!!isso) ſi è is 'Glös tipicº -.10ul ti o º lill A i , 5 ti! Sii ! s ºu ( olis 10S il q.li i ſiti allº guas iA liliti Il ci º ! A O, 0i) (ſili) i lº!a il p iù.tvi336 | Il ſul SI, riu aus ottiliº I iosi pe.oſse.I l º d lp Girl: Iº tunio.lui uli olei è eluoul el gu: A è tºiplit ; o tiri uſi :p 3iiiiSpo otto i p up:I o Aoati olsanb Ip 3Juulo n.ISUS | E.li o illo5 luntti iiiis ol.Iodp e oilun W  o  S.- “Si - Si – s S. S - S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole organica e che più strettamente si riferiscono al tessuto periodale  Il grato e l’efficacia del dire dimora assai volte più che nel valore dei vocaboli e delle l gla o ini) tali lui,ppi: Rida A au ºi i tg ei p ..iiil I pil, ivi op oi il I attº cul.o, ind oilºni -lallagui gi! A p ! .lvi 5i A º 3 op.It: ci.vt mt! pſ. I; ii ti Iguas  sº Aoin:il nr. - i s Istºnli  a reput. 5 o islip i 51 o 3: Ss li Ili oipnlS ossenb oput ºss ºi i IIIess: lp Oliput ouvs 1: i su Ifil si al c. 5 i .In 15i giri i rp :5ucu. li odita, uno º Iovi ouault: sti: è o niti : ti; olio; Itzu Io ip a ol! Ilds OI aulluas Ip o piis lgido opuali ti OIAi() .L.: St | (l Gisonb Ip guided uso 'ofoni dr5 lui ig.it, i Jr. sp: l o , aiuougers -ued eua3del loo eliricituo3 oood : oSod il mio zn glpo. I p o puoizilouºp Ip riodo esami ottº oro:ni oirs e insis AIA e W  ologIpo o Soduco l oillouap bus Uieto n. . nip o Ies gipol.I riolle pº  oluopeA lap e Cisgiº Iap 5 i5sti p .s. p r , iº le p.It, i gol q  -uoo 'oullios opinismq Ons Iap oua.I.io II euil. Iddrp o Iri Ind otte! Ieri  i pure di vertiginosi cicli, e di un tempo oltre ogni misura, e di cui niun atto, niuna parte potrebbe mai mutare senza guastarne l’equilibrio, la Pace. Lungi da me la pazza ipotesi, la chimera del così detto equivalente meccanico, ma è pur cosa ſi afes iter d’ogni dubbio che la vita, il principio semplice di un corpo animale non è, e non può essere sorza i qualitative e ri e che gii è (are a ciò di si intimo nesso coll’integrità del tessuto organico, che tanto sol che intristisca questo f 12 f.f. º gt eii, i si.. i tiri i d . -, uf,3 giui tura o cosa qualsiasi anche minima, non solo ne soffre l’organismo, ma talora si spegne, è finita la vita stessa animale. E altrettale è appunto della bella, delicatissima lingua nostra italiana. Ne va del valore intrinseco e della vita non ch’altro, ove sia ignorato o male osservato il retto uso di certe articolazioni e particelle, o o sia a la siruttura e la curva sconciata, l’ordine dell’azione traviato, e l’occulto di certe voci previlegiate mal sentito od esso pure ignorato. E qui non accade ch’io ne dica di più, che con queste parole e coll’anzidetto ti è ora molto bene palese quello che il DIRETTORIO vuol darti, ed anche come usarne rettamente ed utilmente. Non dovremo poi starci contenti all’esserne soltanto risanati, del guasto sentire e dei torti appetiti, ma saremo anche vaghi di avere a nostro piacere e commando e avvenendo di trovarci sulla penna le grazie, le dovizie di questa lingua troppo cara e più che aitre efficacissima e poderosa. Ed ecco che a tal uopo ti verrà assai volte opportuno ed utilissimo il PRONTUARIO, che fa seguito al Dl RETTORIO, e col quale si completa l’ardito torneo di questa mia palestra. Mentre col DIRETTORIO, cioè collo studio assiduo sulle linee del medesimo, ti troverai la mente uscire gagliarda e serena dai vincigli di una morbosa rigidità, e la parola altresì più leggiadra nelle forme, e nei movimenti agile e destra, il PRONTUARIO sarà per ogni penna vuoi da ringhiera, vuoi da pergamo, vuoi da effemeridi, o che altro mai, fornitore, ove bisogni, di costrutti classici e di un corredo di lingua proprio di quella cosa che altri venisse ragionando. Ed ecco come ne userai. Ti farai a quella parola, verbo o sostantivo che hai sulla penna, ed anche al nome di quel tema, cosa, luogo, fatto, forza, passione, virtù, vizio, arte, disciplina onde prendi a ragionare, e il PRON TUARIO ti darà tutto quello che ti bisogna, cemento grammaticale e materiale di lingua. ii fornirà di ogni idea generale un copioso corredo di vocaboli e di modi di dire con brevi istruzioni ed esempi che  ti ammoniscano come e quando rettamente adoperarli. Ti dirà quale verbo o predicato sia proprio o meglio convenga a quel tal nome, cioè alla cosa di cui è nome, soggetto od oggetto che egli sia, quale attributo all’uno e all’altro, quali epiteti, aggettivi od avverbi deno tanti con proprietà di espressione la maniera o il grado di essere o di agire. Ed anche ti dirà i nomi delle parti componenti ciò che ha parti, cioè a dire come rettamente e con eletti vocaboli e propri denminare i componenti e le attinenze di cosa qualsiasi. Ti fornirà da ultimo o più veramente vorrebbe fornirti, e lo farà completamente quando sarà opera compiuta i vocaboli propri di quella tal arte o professione, e così di puro ingegno come altresì di mano, e degli affetti dell'animo, dell’esterno operare e del muoversi ed agire di checchessia, e in ciascun argomento i particolari e propri modi di ragionarne, usati nello scrivere che ne han fatto gli antichi, e dove questi ci mancano, presi da quel che ne abbiamo in voce viva adope rati da maestri di buona lingua. SAGGIO DIRETTORIO  cioè ritagli di alcuni vapitoli delle sue tre parti. S.- “Si - Si – s. S. S - S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole organica e che più strettamente si riferiscono al tessuto periodale. Il grato e l’efficacia del dire dimora assai volte più che nel valore dei vocaboli e delle frasi, in un certo spiro di virtù occulta, procedente vuoi da una singolare disposizione e collocamento delle parole, vuoi da una certa forma compaginativa, e vuoi finalmente da certi vezzi di finissimo intaglio, e di raſſilature e tagli a corona. Ed ecco tracciati i quattro capi che ci forniscono a larga mano il materiale di questa prima parte. Inversione e separazione. Particelle e compagini a foggia ed uso classico. Virtù organica di alcune altre voci. Locuzione elittica. Sel a aranzi o 1 , i cº II , N cºrsi o 1 , i  SEC.) NI) : ) ( ; I, I ANTI ('I I I SC'It I'l' To) RI E ('I, ASSI ("I  Intendiamoci, non è del I per lui lo ch i l' igi I lill e, ch' io voglia pur allegare esempi d’iperbuto. Non farei che ripeter quello che ne hanno scritto ii ( il lio, il l'1 l . ll ( 1 li !li, il Zilli il li, il Ct - il e tanti altri, i quali al postutto conchiudono che quegli soltanto può giudicarne e servirsene rettamente che ha l’orecchio educato alla scuola dei buoni scrittori. In opera di lettere e di estetica nè mi picco di superiorità, nè mi darebbe mai l’animo di prolierirne giudizi, e nè anche di elaborarne acute e sollili delinizioni con le ſa ad esempio il Tommaseo), e molto meno di porgerne teorie e Ilorine da seguire. Uscirei dall’indole e scopo di questo saggio, che è semplicemente quello di mostrare ordinatamente e con grande copia di esempi il dicario che ella il linguaggio così dello classico e quello di oggidi, ed anche di somministi al c. chi ne losse mai cugo, un modo opportunissimo, collo studio cioè degli esempi, di rieccitare nei nostri pelli lo spirito classico, e di tornare a quella forma di dire e di pensare che è la le penne di quei grandi. Siavi di 11 11 I po' balo, che a litrios 1 a 1 lo col vorrebbe prima far vedere come l'ordine inverso – L’INVERSIONE --, sia il diritto o questo l’inverso, raccolgo solto questo capitolo, e Ini diviso secondo un certo criterio buona copia di quel costrutti antichi, nei quali il collocamento delle parole e l’accozzamento delle parti è altro dal colgare e comune dei nostri giorni. Non è però il differire soltanto di un costrutto antico, e come che egli sia, dal moderno, che ciecamente Ini Imuove ad allegarlo e proporne lo studio, ma scelgo quelle maniere che sono più che altre frequenti e più in uso appo i classici, e nelle quali il singolare costrutto è qualità dirò così in lernet, e ormai al III sapore, ad il garbo che lº li a V l'elolo a pezzi il dili al dolo.  La sola TRASPOSIZIONE di questa o quella particella p. es. non vi essere, non lo vedere, non vi rimanere, ecc. - a e ne, la creslllla, per non o vi essere stata valevole gia sei anni che regnò ( doardo, la calca degli accorrenti allogava i vescovi e lav.: è necessario che tu per niente a non rispondessi a persona, ma sempre acessi vista di non li vedere e non ii udire l’irren: noi possiamo i ce le si avagali lettori di non le motteggiare (gli al ll il a niere? a non vi prosperare? a non vi proteggere? Segn.: si potrebbe a Ialun contenere di non se gli avventare egli stesso alla vita? º Scull.:  o una semplice inversione di parole umana cosa è aver compassione degli allilli. Zali. . e me anche quel tanto a loro il vello il fine, il li sono oggetto e materia di questo Caploio, ma quella trasposizionr e inversione, onde al periodo, come si è detto, viene talora vaghezza ed anche alla frase maggior forza e gravità: one che allore verullo, ch io mi sappia, le abbia ma da quindi addiello rilevate, e messe in Vislia siccome prerogativa dello scrivere antico e classico, lo è la cosa al punto che prendo io ora a dimostrare, ma senza apparato e pompa veruna d lunghe e trite discussioni, e in un forma semplice al possibile ed evidenlo. Ma prima di farmi a quest’opera mia e di mostrare queste separazioni e dulle le altre cose di questo saggio divisale in articoli, la mi di richiedere il le loro benevolo che gli piaccia di rimanersi da ogni commento e giudizi sopra i singoli articoli, che a guardarli lo singolo non sono allo che mini vie, ma di aver l’occhio a Illella gran massa d'oro, della quale ogni articolo non vuol essere che una imponderabile particella NON DER … CHE … MA in luogo di non perchè …ma … Ciò è a dire: il per disgiunto dal clie e frammessovi l’oggetto o predicato.  1. ignal, o poco pi illico irl cosl li e o per dar rassic , valido  V. gl’illel'11lare clic : non llll'olio cagione di ... lecchessia gl' Insulti e le Villalie che il ri limiti gli lanciasse, ma il suo procedere indecoroso cec. esporrebbe il silo a 11 ello solo sopra cosi: non pºi clie ei mi dicesse insulto o rillania, ma ecc.  L'esperto il 1vece, o chi ha e sente le maniere antiche e classiche disgilige il bell il l vigo assi Is e ci si non per insulto o rillania che ei mi i licesse, il t....  Pochi esempi e basteranno a farlerle assaporare il grato, ed anche inlerider e la relaliva il rip, rli - IliII1ento che niun articolo, per esiguo, è cosa di sì poco momento che, a conserto di mille e IIIille altre ond è forni ore codesto direttorio, non sia anch’esso un argomento di vita, per quali lo II il loscopico, un umile virgulto di quell’albero rigogliosissimo e poi il post che è il linguaggio classico.  Signor mio, io non vengo nella tua presenza per rendella ch’io attenda dell’ingiuria che nn è stata ſul lat... ma... o 13occaccio. Nè questo già per saper d ai mi ch’egli vi alopei disse che in quello s in arrimento non ci rimase al riso dai la milo.... . l li..... smarri, ma pur di nsi per l'ergogna che per animi o che gli bastasse a tanto, ſullosi cuore disse. Bartoli. Non opera ra per appello o propensione che si sentisse a questa ed a quella cosa, ma pure a guida della ragione e del placer di Ilio Cesari, Ed anche senza la correlazione di non e' mai può talora aver luogo si alla disgi Illzi 11. Standosi adunque l’uggieri nella camera, ed aspettando la donna, a rendo, o per la lice, durata o per cibo saluto che nel nulla lo stresse, o forse per usanza, una grandissimo sole, gli renne reali lui...... . I ; i carri . rispose che ben si ricordava che andalo era ad albergare con la fante del maestro Mazzèo nella camera della quale area bevuta acqua per gran se le ch'a rca a 13o crio.« e riponessegli l’anima sua sicuramente in mano, chè ben potea farlo, per l'uomo santo e lollo che sapere: lui 'Nsri e litrioli,Ed in generale, sempre che la cagione o non cagione. Il 1olivo, ocra sione di checchessia è l'oggetto stesso, non il rispellivo verbo, si pºne primieramente quello a guida di per per cagione, per motivo, quindi il relativo che e finalmente il verbo : sol per l'amore che io nutro per le , non perchè io nutro ec e per i lucia le mia ch'io porto » ecc. ecc. Nolisi da ultimo che la stessa forma per... che... può avere altresì forza di : per quiet n lo ch . Al, i ciò sara : i i ben altro e più rile V al I ri-Si liti nel [ . . lil. io il tv: i 1. ci zioni elillich r .  Cilf: pronome relativo di quello, questo, costui, tale, quanto, uno ecc. si disgiunge dalla voce cui si attiene posponendolo al verbo e appar  tenenza relativa al primo inciso.  a ... il sole è alto e la per lo i tignon, culi o cd ha tutte le pietre asciulle: perchè tali parola 'slo lo sci di p ii , le ri sono che la mi all in di tmzi li il solo l'abbia i ts ull, poi i n n . .. .. . I3oce. “ . Quanti leggiadri gorani, li quali, non l'alli , ma Gallieno, Ip poci di li' o li si illui puo di ri i no 1 li li all ' s NN, mi - la nullino lesinarono coi lor per l en ll, con poter mi col ct mi ci che lº , la sera i 1 nºn lo appresso nel l'alli o non lo conti on lli lo i passi li li a lo.e colui è più car o ai ril , e più la mis, i se si un ali signori onorato con pl e mi gi o nolissimi i cºsti letto, che poi il lom in roli parole dice, o a alli; 1 i cin (lo l i gogna , l rol, il l mondo pi esºn le ed argomento assai , rielen le che le rii li li la I l poi i lil si l anno nella leccia dei rizii i mise i rice'n li di blu nel nulli . I 3 c.La speranza del per loro si è data a chi lo ruolo: e colui l'ha per mio dono, che del suo peccato duole la l'odi.( nche di esse e il conlessore nello in poi i la penitenza discreto. ll e alcuna cosa pruolº la re o sos le me l'e' una persona, che non può l'alll rai o. IPassa V.Con questa melajora e somma bi erità diciamo: uno aver dipinto  1) Anche la lingua francese offre esempi di costruzione non guari dIsstmlle ; tel brllle au second rang qui s'éclypse au premier. che dello o lalto ha cosa calzante per l'appunto che non polea star me glio ». Davanzati. « Quando.... tal cosa verrà ben falla che non si pensa . Dav. « Qualche gran fallo dee esser costui che riballo mi putre o l?occ (coslui che.... dee essere. . .(Oggi si direbbe saper di guerra o ragion di stato che fa lecito ciò che e utile. Il popolo la direbbe un time in I)av. i gi ii) si | | il ll es .. si direbbe. E in colal guisa, non senza grandissima utilità, per presto accorgi mento, fece coloro, rimane e scherniti, che lui. Iogliendosi la penna, a rea il ('r('alli lo sch e l'm iro so. I3 cc . E quello essere che era s'in aginò l?arſ. a 1)issele: non isl in sti c. moglie mia, uomo tlcuno mai essere nostro amico, il quale la reggia on I ro il nos/ I o cuoi e o, IP: Indolfini.co Colui non fate citt e Neri i tio. che non rºtolo rirºre sul no e' lie / - di ilſilli. Quegli al bisogna di poco che poco desidera ». Albertano. a 1 ssai son di quegli che a capital pena son dannati, che non sono dai prigionieri con tanta guati liti sei riti . Rocc.a Indò per questa selra gridando e chiamando a tal'ora tornando indietro, che elli si crºllera in noi in zi di malare o lº scr.« E i ri si riduce rat no come a un porto, in perocchè saperano che ('hristo ri remira, e non gli polerano andare dietro in ogni luogo e ta lora crederano che fosse in un luogo, ch'egli era in un altro ma vener, do in Iº e la mia. Cav. Solo Iddio sa i nostri occulti ed il nostro fine, che il giudicio umano molto è fallace: che spesse volte tal cosa ci parrà buona ch'è ria, e tal uomo ci pare rio ch'è buono Cav.rispose che delle sue cose e ai nel suo rolere quel farne che più gli piacesse. Bocc. Propose di rolere andare al mostra lo luogo, e di redere se ciò fosse rero che nel sonno l'era pari lo . I3ore.a I)a Pietro martire a Solo quel lirario era che già S. ( toslino futc, ct da Futu sfo mi al nicheo, suo maestro, a S. ( n broſio: l'uno lullo fiori e legge rezze. l'altro frutti e saldezza , Dav.a l)i I)icembre dicono che nulla nasce che si semini, pur semina o i zo, o fare in su lui ranga. piselli e sul ri le fu mi . I)il V.a Quella potenza con ragione si stima maggiore d'ogni altra, la quale con sussidio di minori mezzi può conseguire più felice nºn lº il suo line o Segneri.a gitta l'ammo e tal pesce li rerrà pigliato che ralfa il tributo per lite » (esari. ARTICOLO (5  Due nomi, aggettivi od avverbi relativi ad un sol Soggetto 0 verb0 a) Si separano frapponendovi il verbo.  b) Anche il complemento indiretto disgiungesi talora dal rispettivo diretto, pure frapponendovi i verbo.  c) Gli aggettivi si trovano talvolta framezzati dal sostantivo.  \ l 1 g . . . . l sl e silli, i - i scolla la, l I l: - Il l  i pez, a il II iscir: \l: : : ' s ."  ;  i viaggi chi blo  s . . . . il liri . I sing il il suº pensi li stili e li - si si i . II . Il li sºlº lirli resi i vigli , sl 1 il II , Lici II l ' s  l; in ºsservazioni.  Vs sa sono li al rialli , ss nel s', i rºssi , . maestri s , l. I li alll I  castigatori . I 3 . l: ln i ritiri il ' , con i tiri , l isp, N . . ll delle sue cose era nel suº  i , lei e quel farne cºl pari ai li pºrti ss i \ ella quale gran parte i ipoti di un de sui soldati \ l .  i qui i rolli per chi mi ieri sono, nel n. ilio alle donne stanno cli, agli ucnini, in quanto, pii alle donne che ci il rion lui ii molto pati la rº e lungo, quando si n : a 'sso si mossa la si l: Nali,  lº si l ri'il miº l .l l ' i '', un fiero i nº , l un forte . I 3, i .  lº , i  Trori i no, in luogo, le loro i rom : mi stanchi. Il grossi piloti reni buoni .I)i ſanta ma i tiri lui e di cosi nuova in i pieni ..... l3 o . E l appresso, questo non si lanci le la rozza rocr' e rustica in con le il l e o il latili nel riclit NN, il ct oli canto lire' i no mi tr Nl l o r , li suono, e nel cui calcoli e nelle cose bellich cosi noti in come li lei i t. snc : lissim ſi l lira' il n. li mi rilici e, in grandissimi ti i pomerili e con presti aliula nel lit... . I 3 c'e' I n uomo di scellerata vita e di corrotta, il quale lui chiamato le lo il lla Alu Nsti e. lº ce.I' mi nella nostra città un grandioso in cui la nl e ricco . l ore. A piè di una bellissima fontana e chiara, che nel giardino era, a sluirsi se n'urnalò ». Bocc.  Voi ordineremo onorevole compagnia di buone donne, e anche di buoni uomini e forti, che li possano portare, e larci cessare la gente ulosso. Cavalca. e questo addicenne che quanto è maggiore la infermità e più puz zolenie, lanlo il medico, s' egli è buono, più s'appressa all'inlermo, e di più si studia di guarirlo losſo. Cavalca. e (in cort disse loro, il lil tulo come al rºssºro la re, e' eleggere atlcune buone persone e fedeli che rendessero queste cose, sicchè. Cavalca. Essendosi tutto il bianco vestimento e sottile loro appiccato alle ('t l'ni...... ». 13 ,:C.1ncora quegli rampolli che sono occhiuli di molte e grosse gen me e spesse, impe occhè dore sa di moltitudine delle gemme e spesse iri ſia l'abbondanza della genei a lira rili. Cresc.« .... oltre al credere di chi non lo uli presto pati la loro val ornato Giambillari.« Patira questo ignorante popolo e rozzo quelle lungherie, e parere rallen le chi altra ra l il ll , un ali di uli I e . l): I V ill.1 rera ad un'ora di sè stesso paura e della sua giovane la quale lullaria gli pur era di reale e o lui oi so o del lupo si rangolare ... I3 cc « e oggi se fiore ho di sapere e nome rie il più la rel si cl e lui gli ai 1 - ringhi, e roglio oggi mai rimane mene o. I)avaliz.a Tu che di nascosta ch'ella era ed impercettibile. la remule's li molti ' I rut / la bile il ricorut at i Neri Si.... , Stºgli.« Non prima dir parola le rolle di correzione che dileguato si foss' ogni accusa lorº. Sºgn.chi men riuſ ut I lui al lungo studio e sollecito da lui adoperarlo in lui piccolo a rincere ogni pazioncello e Cesari.a Belli sono i fiori e vezzosi; mi ai coni e dice il prorerbio, in mol no all In I l i non islam l), no ... Silvi! i.a I greci panegirici ancora non ci amo mica una pura oziosa lode, ed inutile ma..... . Salvini.a lalalore se questo spirito, di carità ma nca che insieme le leniſti ed unite le irre in bici di ('ris lo blu / le e in orle qui il li catal 'rc rºm ſono ut ſul rsi. S: il Villi.a lunque non li par questo luogo buono, lorº iò si gran copia di erbe e si saporite, un fiume che mena i più dolci pisciatelli di questi potesi ed assai, e alore non ci bazzica mollat gen I e che ci possa i tr lui il miº r. I 'i l'el l/. NON … PRIMA … CHE . . . . quando in luogo di : Il0ml . . . . prima che e quando a valore di : C0mle prima . . . . ; come . . . . così . . II0Il Si toSto . . . . che . . . .; appena . . . . che . il IIIala pcIld . . . . Che . . .  ;Non selzi il l ' 1 lo senso di co; il 'la li l' ' gl. , Inl \ 1 Il Sºl la colla illica l 'Inghi e prol di sci i tagli, il lis , rag olio logica, la Virli, il vigo e l'uso vario e rello di questa e di cento e cento alle singolarissime strutture, molto più che se vi sono per avventura esempi di una forli alcun poco diversa, sono questi, esempi di autori non alili hi, ma che solari lo hanno scritto sulle orme degli antichi Inºltre colle scril ( Il re del 300 e 500 colesto I)il el Iorio è veramente, e senza eccezione vertina, il sicuro Direttorio, e appena che vi si trovi un sol esempio, che colmi il III e con i radisca.  Mello ſui due periodoli di origine antica e classica, con parole quasi egli li SI 'I Il III non... prima... che... , ma che l' Illo e l'all si ass: il live si . e la sala si li va il rialli si sia Il pi IIs li sl : non.. primat. che.. , e sia l'on.le dell'ulio e dell'altro sigllili : l :  I - Non lo volle prima al suo cospello che egli si fosse pentito e avesse le testato il sile) fallo no.  Non venne prima al suo cospello che egli nel cuore con punse e sl , il sl 1 , ſtillo  Mentre il vago del primo periodello consiste manifestamente nella separazione dei due incisi della forma avverbiale demolante precedenza di tempo:  prima che:  lasciando cioè il che solo al posto suo e antiponendo il prima, cioè avanti il verbo del primo inciso ed accanto alla rispettiva negazione e parlicella negativa, non o nè che ella sia: nel secondo pe riodello la stessa forma : non... prima.. che.., indica invece simultaneità di azione, è ormai ci ripagilialiva che il lilli il ra lingua, e orna al 'il II ra: con e prima...; come... prima: come pill los lo..; poichè prima..., con '... così: ecc.  Noli Irli esſendo il considerazioni che, più che le mie parole, ſi darà materia di senſirle, non che di falle, il grillo, la spontaneità del costrutto, la morbidezza e soavità della curva, il velluto negli esempi che quì li allego. SSEM L'I DI UN : Il0Il . . . . prima . . . . Che . . . . ed anche senza la negazione, I)I UN : prima . . . che …in luogo della forma volgare : Il0m . . . prima che; oppure: . . . . prima che  Delºrm inò di non prima mi torri e a lui il riglia che egli gli arresse alloltrinali e costumi ali ai la licati e I), v. 12.perche' essa rc i goſ n. Nani e le lissº, si esse il piu' recel et lui ci al ogni suo comando: ma prima non potei e che l e onl , inola lo Iosse in Purgatorio ». Doce.Mouli, a cui rullo, col ti l'a 1 / i ti al cio: in prima all I o le c', che ella s in ſegnò li reale i lielli di tiro …dirò come una di queste sui ti 'ºssº, il cosi l mi 1 e si lil e si mostri - li , osse lui ll , il ſei no, l'unº su di lui ci ti i prima al N. nl I e il I moi ll rull: con dolla che i lioli di rºsse con sei il I .lasciano slal e i pensieri....... e gli e li : i in I so mi ci li. che prima siamo sli acchi, che i libici mi disposto, e apparecchio lo le cose oppo lui ne ( ('un l'ºliº e li ill ci , la r il .Prima prelerirebbe cioe' ini, l be tullo il mondo, che Idilio fosse lºslini onio di falsità pure in un primº lo Iºr (ii rel. a nè prima ri formò che il di s. gueul, 13oce. perchè messosi in cammino prima non si listelle che in Londra per rºmanº o. I 3 cc.« rolle non solo disporre, ma intera nºn le conchiudere il patrºn letali, nè prima reslò li lire che non utlisse: l'in l?elier cui ci ritmi le Segr. 13 Così coperse lui nuli di lell'utilull ºrti, di lui con lolla nel le mi pio, quando non prima di parola le rolle di correziose, che dileguato si fosse ogni accusa lo re ... Segri.« ('osì comerse la nudità della Santrilotti at. a lui sopraggiunta presso una fonte, quando non prima rimprororare la rolle di disonestà, che rili ralo si fosse ciascun apostolo . Segni. I 1 .« e rolera parlargli, se ne scusò Luigi per non arene licenza, nè prima lo rolle ascoltare che il generale l'a resse a ciò licenziato, di che il cardinale ne prese grandissima edificazione ». ( es.« Quiri riposatisi alquanto, non prima a larola andarono, che sei canzonette cºn tale furono o. I3o c. 15.a Prima sofferirebbe d'esser e squal lato che tal cosa contro l'onor del suo signore nè in sè nè in altri consentisse , Doce. ESEMPI DELLE FORMI E COMPAGINATIVE,  DIMOSTRANTI CONTEMI L’ORA NEITA I)I AZIONE  Il0II prima . . . . . l Il0Il . . . . . . I10Il Si toSto . . . . . che . . . ilppella il IIIilla perla . . . . .  EI) ANCII E DELLE EQUIVALENTI :  C0mle primiù . . . . ; C0mle . . . . prima . . . . ; come piuttosto  poichè prima . . . . ; come - . . . così . . .  slli il tille V lgi l'I e ci li Nlo che su bilo, che, ci . I . Non prima e libri al boillu lo il gºl in cesto in lei l a che la cugion, della noi lo lei mi isºli a mio n li a ppoi i re . I 3 .Il ct c'Ncat e 5 in bella , per ogni sorta di tici ll e non li di prima Nºli - di alo uno che gli li o I il sºlo se mio lo sta la a lola . Caro. l. Il ct: l tesle in tilt ne reni ſono i pi ppo, e il so il 1 l po'. Ne' non prima la l rila che gli l'ha . I lav …l doll, che sarà, io li promello cli gli non ne senti il prima l' al re', che lei riti liti e li isl il l il c . l 1 l' . Idilio. lisse, li Il 1 li lo i cui, e non elilu il n 1 l o di lirilli, lo che ſli si coni in tal il pil irli, e lº ri.e non elil, e li rile, l'intillnerali la mia sl i il che il reti lo si l irolse al l l . in on lui ma i Nplut mi, su bilo il n 1 l l .Non prima al talli lo ri mi li a mo di ril lo i ti noi, che lo slo, Nlton no ci ri li di lui. I l at col 1. se non lo sº e nelle di ''I I I nosissimi al ligut . Segl. Nè prima il rule o che pi ruppero in lullo da disperati, in gen il il ct o. Se gliL'isl, Nso ( io li ho li sui bocca in lesina lo conferma l'orch è mor prima , l lorº letto: \ un renis/is. el modo ricºnles plagotn mi rotn linells. che nel rersell seguente soggiunse su bilo: \ un quid dia i : a lei le mili il l cle su lislam lidi resl rat clona le mih l' . Segli. Inzi non prima r han con le rila una grazia alquanto spesiosi, ch'essi pretendono tosto che lui lo il dì roi li dobbiate e accompagnar ne' corteggi, e apportar ne' cocchi, e servire nelle anticamere ». Segn. \ on rel lissº io º non prima io roglio, cominciare a parlare, che il Santo P ofele I)a riele mi toglie le parole di bocca ». Se gli. Non prima riule ro ossequiosi sol lorni eIlersi i mari alle loro pianle'. e tributarie stemperarsi le murole ai loro palali: non prima sperimentarne a loro pro luminosa la molle, ombrato il giorno, rugiadose le pietre, fe conda la solitudine, non prima cominciarono a debellare i popoli con la forza o a premerli con l'impero, che si ribellarono arrogantemente dal culto del vero Dio ecc. . Segn. Non prima contemplò quiri assisa la forma pubblica di giudizio ap prestatosi a condannarlo, non prima i giudici apparsi nel tribunale, non prima gli (ircustlori uscesi sui l os/ri, nºn prima il popolo concorso (t)) ol lalamente a mirarlo, che non potendo più reggere alla rergogna, ristelle un poco, e di poi, tra lo furiosamente uno stile, si diº la mortr. Segn. Troppo indegna cosa è il reale e che non prima risolva usi quelli donna, quel cittadino, quel catrali, re, o ai rºslire con maggior sempli cità, o a con rersare con maggior riserbo, o di ricere con maggior rili ratezza, che subito cento male lingue si ci fu zzino al molleggiarli . Segli Non prima l'innocente colomba uscì fuor del nido, che diede fra le ugne di un rapace sparriere . Segn.IIa un ingegno diabolico e pronto, un proceder ſardo, un pati lar grare, un arriso subito, un ritratta i si in su l la II, che non gli c prima messo un lascio innanzi che r la I l o a lui la sua riſortolot o. Caro.  « Non si tosto poi la riſolse in mano, che la fece di sorpe ritornar gut ». Sºgli.  E appena ebbe letto le predelle parole, che li subito sopra di loro renne una luce con la n la chiarezza, che essendo il rore nelle oscuro e' si redeano innanzi chiaramente come di bello di chi ti o . Cavill a. ()uiri appena ) il che ecco l'ar male degli Areni, i quali quali lo pl in al riale ro i nostri, diede l o l u llo insieme in col mal e latin li li li . I 3: l'1. Appena egli posò il piede in terra, che mentre si mira col (l'ul ll ' 'n i . quiri l'inchiolarono.... . Si gn.E a mala pena e libe apri la la bocca, che gii , o rinò misert nºn le . l'iore 17.Ed appena erano le parole della sua risposta ſimile, che ella Nºn li il tempo del mar Iorire esser renulo o Docr'.a .... e'l figliuolo essendo andato per il n calino per lat (lolcit. appena era il ferro entrato nella carne un'oncia che il porco cominciò a gridare i Sacchi.« Appena si sollera ra un leggiero, diletica nºn lo di senso negli animi i di un lierna raſo, di un Franco, di un lemºdello, che in con lui nºn le I lilli ignuoli correrano chi ad allui)arsi nei ghiacci chi... . Segn.« Appena era comparsa nel campo la generose (iiudillo che l'atlli subito quasi alla risſa di un insolito, lune, rintser lilli incitmlali a si gran beltà ». Segn.Il ralen l'uomo senza più tranti andare, come prima chlie tempo questo racconlò.... ). I3cc ('.a riri sicuro che come prima addormenta lo ſi fossi saresti slalo (tm mazzalo) ». ROCC. a dore egli come prima ebbe agio fece al messere grandissima festa ». Docc. -. E in altro luogo ripel e il 13 cc. la stessissima frase: « Ella, come prima el be agio fece il Saladino, grandissima festa »..... la qual cosa come prima si udi per la Lombardia, lolse laul (li credi lo o, (iiamb.  “e promellendogli ancora largamente di levarsi in aiuto suo. come egli prima possº in campagna . (iianl).la cui poichè prima ne in lese, si son li prende i si. che…) . 3il 'l.  « L (quila come piuttosto di ciò s'accorso'. enl , è lui la sol lo sopra e così s'andò la (iiore, e con togli il caso, lo pregò che... ... l'iorenz. e quando egli ci sarà, io lo me è e come tu mi senti, cosi il ia en li ai r in questa cassa e se i ra i cl clen I ro . I3 cc. con le prima, lº sl he . Come lu gii, disceso cosi il lil o I russe . I 3 ('.Come ti ſei rola il sen li tono cosi se ne scese o alla sl 1 di lui lº ce Come ride corre e al pozzo. cosi ricorerò in casa e se i rossi le uli o 3 ) .... per le quali parole il mio marito incolla nºn le s'allo nºn lo e' ccme al lorni en la lo il set le cosi tipi e l'uscio e riense ne dem l'o, º slots si con m cco e questo non la lla mai e lº il S.Come io giunsi ed ecco sopi arreni, l'irl ro 13ore 19 NOte e Aggi U1 1 m te  all' articolo 8  12) Simile alla coes-ruzione tedesca: nicht eher... als.... Il luogo di ehe oppure bevor, che sta per l' itero prima che,13, Quel non, che li i lo I r . I s-li alti - Ilpi , a 1 lie della  sesso Segneri, è lorse scivolato di liti per il la ai valori e i Segneri, ai quale sapeva male, pensº io, o gli veniva del guasto e dello storp Io a dire : che udisse.  14, l'oni Ine!lte il lesto e i i pr . e le 11 e le 1 di . . . II, 'il:lo all'ait , si rassolini, li, i lle 11. Il perdori sl il 1. l)llº I – Il re 1 il ll li si , gol i .  15 Il Corticelli si l plico Ia, il il 1 , par. 1 , se qui con le e di ragione, imperocchè rilerenido, lo stesso - Impio, osserva che la par ticci la prima con la negativa ha la proprieta di significare talvolta infi nattanto che, e talvolta subito che. I - Il ll il 1 , si l: i 1ei la se conda parte di questo Inedesimo al tiroio S. Mia che li citato non prima fol mi da se S lo frase o modo avverbiale colli e vorrebbe e valga infin tanto che, non so cui possa Ilia I capire nella 'lini , che il grato sente e intende (lei II l 'ti er-e III l i lill 1. Il nel significato di infintanto che, lira Ilei la s partiz le due lil - la l l'avverbi , prima che, tra li l'11 | tendov -: o li e -il-sogllita o leve sllssegllire.  16 Qil - o prima 1 e 1 : :l'i; 1: de l eher li di piuttosto, più presto. Ma ad ogni modo, resta sempre il grafo della di sgiunzione e trasposizione dell'inciso che,  1, Binda che i ll'en III al clie fa r , ti ra questa o qllelia for Inti in coInfronto di un'altra clle III i dl o con i lille e volgare, non è In lo avviso che questa sia sempre lilello bilonia, e sia la sli: 1 ter addlr IIura. \ che i Inodi tos:o che, subito che non solo a ragi m d' s III pi - II: il 1 li che non ne usasse quando ben torni, anche il I recenti e cinque º to Simile a questo subito che, IIIa in Iorma piu gaia e pil ſorte è il da te si o ratto che: . . . . . . . ed r si lev o ratto Ch', la ci vide passarsi (l: V: l Int ( m.  18) Al che i Latini usarono ut i greci o snello stesso siglli  l'rim.1 di passare a l alti e altri tazi, i no: voglio qui rimanermi di ºsservare che (Il testº : come.... così..... è ben altra cosa della forma coin. parativa, p. es., del sieguente passo : nè sia chi ne stupisca , perche come l'uomo è vissuto cosi generalmente muore. Notisi però che di questa forili º comparativa ai buoni scrittori piu che il diretto: come... così...,  a: a Va assil I lll'ill Ilio l'assetto in V clso: cosi... come...; che cosi in alti e non come l'ho citato lo trovi questo inedesimo passo nel testo originale del pil dre Seglieri: li siti e li I tre still list il per le cosi l'ul, irlo lilllore generali Irelle, come è vissuto n.Assaporalo il grata di codesta lli versi rime anche negli eseIl pi se gllenti :Queste sono le operazioni (le l' ill: Ino: all III: estrº l e, a Irl III ollire ...., l - gli cosi Coni e lº, il 1 lt il ſil 1 l. - - - - - - e ce , aci per i re cosi lo III: i glie loro come lo Ilge gli ed intelligenza il ogli i sa, e pera º norevole I l Ill sa.... » l' 1:1 lo l Illi.Io potrei cercare lulla Siena e Ilol Ve ne troverei illmo, che cosi II i s.esse belle come il si .La li la dre, che le tl , l ire l: I 1:. ll ll l: I g il va Il ferirla, poi, le le seppe Il rito Il . dI S. l a no esco con lido che cosi or: la p 1 l el l e l'Isll st 11: l III , I | 1, come , Zi l', i Vrebbe potuto risal lia l' iller IIl l: illo . ll , cosi i ns, come gli 1 ll dal V a ntl gli si gel1 o 1 pl il 1, rot! S si III in id) , Il Irgli ». I3: l .« . . . . . . ll I II li assi. Il ril . ll I 1:1 e-1 r il pil  sapere di V ( I, cosi II slla l la legg . . I 1st a 1 il ss 1 vs 1 1,  come voi ora il I persl 1: i let ss. l la s. l ' . I 3: l . e … se li , V . - ti . . ll cosi !) il liti e In Il lidosi come il l V el'elil e la V il si , 13a l .« A Ilzi cosi il ssista Idcl I o il V revole il Il le :is eri come i 1:ì ll pil II: i n1 il Se tl.Se l'uomo la il sottil I geg. l lo i teli e lo chiali o, il salda me noria, loli se li puo e l'1, i re: le cosi - : S I lllll liti de Vizi, come li virtll , . lPass: l V .lº, il vero , li , cosi come lei, il ... - Illesi: da li ll. I l il l re i ti li . . -. I 3 , i .“ . - - - - il ilse la V I rl I si sa delle liti . . . . per le cosi come,  lisa V Vedula trielite : so - ei 1, si via tre il - i l: spegnere per o!: ºr  i li ll li i' l I l: il ct , lì 11 . - lo Il Vila : “i sa slla i livi gli in stra quella cosa la qual e egli ha più cara, a flernlando che se egli potesse, cosi come questo, ma lto pit volentieri gli mostreria il suo cuore », l?occ. “e che cosi fosse servita cosi ei come se sua propria moglie « I (lsse ». I3C) ( ('.« . . . . . rispose che così era il vero come quello Irti le aveva detto ». Fioretti.« E son certo che cosi a V verrebbe come voi dite, dove così a ndasse la e bisogna come avvisate ». I3 a .« Ma non illte:ldendº essa che questa fosse così l'ultima come era sta e ta la prima ». Bocc.e Sio Irli conoscessi cosi li pietre preziose, come i ini, sarei e buon gioielliere ». I.ib Motl.19; Ho annesso agli ani e li liti in li Il testo esempi di un come . . . . e...., e sì per mostrare l'allal - ia, mie a 1 he per rilevar e la diffe renza. A cenlla bellsl 1 il l Il s.o come. . . . e. . . . alla con impara nella di dlle atti, Ina Vi senti al che la relazione | 11:1 lo di: in quel mentre, in quella che... , precisamente al fora. . ., e qlla ido, di quando. . . , tanto. . . .; di che ti sia l all o p III , l i rili pari le lilli e si ra . , il 1 e l'allegato, gli esempi che seguono:e IO Ini leva diritto, e come i i vole: l IIIa ridare chi fosse, e che a Vesse, ed e . , Iri esser I.: Inler 1 1: v. I l sul l . 1 litot e 2 , 3oCome noi pro lia il e s II h , a e ge')till III: I mie!'e V ( Ing Il i : ll' ! ! li , , ( si ri.Come pili i vecchia la V . AV relIl mio tilt li in li iori - : l:di. l il bit. ll e pill ripostigli, e più si cerebb il le s II - , e come piti adoperate e liti per ferite e ! ti ve nio, poi io che si lo i come le vesciche, le quali come pili solo lo rientate, e pii - empiono ,. (.ar .()sserverai lili -1 e si pllo talora sotſi' il lil re, ti: nel I e  torni bene, e punto illlia n soffra il senso.  l'rima di uscire di questo come, cli i lili: lelli voci re Illonti sulle penne degli alti li, p la eliri per il III : il clii il 7 Zii e collettivita, di completare e mette e qui il Vppenali ll l a rigor di ordine s: rebbe materia del capit , i gli ºli, , , , il ll li - Il pi l'1 ol':i, sia di un semplice come, che, - : l li a lli I chi, lui ora Iorzi di siccome, poscia che, conci ossia che, subito che, li quale il . col. . . quale, precedute dalle voci modo, via ecc., e quali (lo di che, di finchè ed anche di quanto n 1 modi: come spesso, come presso?) e talora lillalrilen e di im, con, di qual maniera, guisa e simili, sia de 'I I riport come che, a valore quali ido, di avvegnache, I: I: Ido li in qualunque marie ra che, e talora anche di uli semplice come ( siccome. “e com'è Illisse di verilo e'l freddo gra il le, V eg. ) io l'ill l'e ll 11 di que” bacherozzoli o F, ronz.  a Come villan che egli era il canili, di lilltalli, gli illò della s lll'e a sulla testa sì piacevolmente che … Fier liz. I concia -si: chè egli  era villa li , cosi ſi celido come si lol la r llli Villa lì lì.  ti e come colui che pi col l lev:I | Il ra a V V a 9. l 3 ct'.  “.. . . . un giorno verso la sera elitrò li ei gia i dilio illi: gi valle hella e  vistosi, come quella che Ioriº ita era di vestiti riti di seta e d'argelli avea intorno le piu nuove ed is;uisite legge che si lisa-ser , (iozzi  a .... e com'e' vedeva i lºlirici in posi, novella illelite ridava all'arle º Bart. e dissegli che come nona sonasse il chiamasse» Bocca Come la donna udi ques.o levatasi in pie, comincio a dire....» Doce.  E dire il vero, com'e' l: rai, Ild ri. Illesla (til lido ilz:i di l)io il lin llc, l'e, è lllli il n. St gli...... e com'ei Ill iIII per li re, lei scaccia la... ft III l'il' li lllllg , si eliſ on I ); i V.a Questo animale, come sentirà l'odo e del pesce, ilscira fuori e con il a ciera a mi: ng la rsi di Ill peso 1 il ni , Fiºrenz.“ - - - - - - come pervennero alla città di Gaza li l iuoli inlerinarolio si gra veli elite d'ulio Inc. rilo e le el'a ll lisleri It I l ( il Val 1. Io voglio andare a trovar modo come il s 1 di qlla elitro » lº - e segretamente deliberero io che si dovesse trovare ogni via e ogni modo, come poi sistro la r 1:1 ril e (ies Il Cav.... e da quivi innanzi penso sempre modo e via come e glieli potesse  ll l':ll'e o li l el'. … che per certo se p ssibili fosse ad avere pi e ebbe come i il V esse » i 3 . li Il l . . . . . l Ebbe l: nuova come (ialobal era il is l il V . .... come ti se lui spesso ad Ira . . I3llon: i ferrilli!):l, come il cºlessi I ea voi? Vlessere, dlle tl):17 / :ll di ma lo » 13 . In Itlal I l 'lieri, i 11: il prezzo).Come è il V , si ro Il le? e il V I l come li, il 'll ? e lº quale, di ſlal lo fila . e . . . e di li a 1 lo come li - : -st :: Il  a I.:i giova:le, plai lig il , l ' s - . ll avev. a - la li paglia nei a selva sli tirrita, i ri . I come presso lo ss o il Vlag : :l, i cui I l bilo: ll il si se...... l3 e .  I ) Iss i llora l: i giova il lº come i l so io : l italizi presso di di ver il berga l' ? » I 3 i .Veduti e gli allegati i seri ini i lil 1 | li i lisi di tiri come il form la selm plice, passiamo ora agli esempi del collip - come che, in quell'lls , e val( il chilo (li: i rizi:  (*) Notale queste forme: come avete mom e ? com'è il vostro nome ? Vostro padre corn e ha nome ? Sono st m.lli alle tedesche ed inglesi: Wie heissen Sie ? Wi e ist der Name ? What is the name ? ecc.Usane anche tu, e la sera il francesismo : come vi chiamate? ecc. e simili. Si che l'ha anche il Boccaccio questo chiamarsi in significato di aver nome, ma ne us a tm maniera ben diversa e più leggiadra, che non fa il moderno. Esempio. « Domandò Giosefo un buon uomo, il quale a capo del ponte si sedea, come qui vi si chiamasse. Al quale il buon uom , rispose : M a sera qui si chiama il ponte all'oca ». I) al qual esempio ognuno intende che quel si non è particella pronominale riferita a quivi, qui, ma sta per gente, uomo, on, man th ey the people - e qui si chia:n a vuol dire: qui la gente dice, qui si dice, qui tutti chiamano, o cosa stmlle. Di esempi del modo aver nome in luogo di chiamarsi abbonda ogni libro classico : “ Beata Margherita fu fi gli uola d'uno ch'ebbe nome Teodosio, Il quale era Patriarca ed era gentile uomo e adorav gli Idoli . . . “ Cav. , ed io non Glan noto, ma Giuffredi ho nome Bocc. ec . - Nel tempo d'un Imperatore pietoso e santissimo, il quale ebbe nome Teodosio Iu un senatore della città di Roma, il quale ebbe nome An tigo no, uomo di grande affare, e molto congiunto al detto Imperatore . . . Tolse questi mog te, una donna, la quale ave a nome Eufrasia, donna religiosa, e molto temente l ddlo n. CaV. 33  a) L'avverbio come che non ha quel senso di perciocche nel quale tanto frequentemente è in bocca d'alcuno.  Il suo natural significato e d'avvegnache, ancora che, ben che (Bar toli). Notisi però che anche in questo senso trovasi il piu SOVC Ilte, l) Ull al principio del periodo, ma entro a questo acconciamente innestato. In testa al periodo prelerilai: quantunque, quantunque volte, benche, avve gnaCChe ecc.  « AVVisando che dell'acqua, come che ella gli piacesse poco, trovereb º be in ogni parte » Fierenz.  “ ......e sempre che presso gli veniva quinlo poica ( n mano, come e che poca forza l'avesse, la lontanaval o 13o .  " . . . .. . ed oltre a questo, come che io sia al titº, io sono inoltro, colite « gli altri, e con le voi vedete, io : io, i s a I r; i vec li a Lioce.  º . . . . . . il quale, come che II lotto - ingegnassi di pir, r , salito :ier,  º al flat ol' della fede e l'isi d l'1, i ra Ilon III . Il tono liv st 1. alore di hi a piena a V ºa la b rsa e li li rli dI - ii a lei le s III sse » l?occ. a Ella ll ( lilediCa Il li l' ', conne che li l s , il lit: i rito, se la ll I li « fallo llli crede. 1 e esser III , I » I 3 t .« L'ira in fervelllissili lo Il rore accenti si r.: ; e come che e questo -C Vento 1: egli iol 1, 1, 1 a VV 11: 1, 1: là con ni:: :: : : danni s'è nelle donne Veillllº º Bocc.  º . . . . . . si è adoperato i 111a Iliera di ri . . . , come cime inolfi il Liegano, a ( ( Il dann, a lido d'errore il dire.... » I3: l'I.  « ...... e come che gran moja nel cuor fi nis e, º eriza n. il tar viso, in braccio la pose al famigliare e dissegli: te . .... 13 cc.  « I Inalla cosa è aver rimp.issione d gli : Il Il ti; e ceme che il claso una a persona stea bene, a colori e mass III, III e 11 e 'I l ' st , ' quali.... » 13 r.  b) Anche per comunque, in qualunque maniera, e ad i era lui si desimo come che, scrive Il I al I l l', - lizia Illi. Il sospet lo d'errore.In questo caso pero e il come non il come che) l'avverbio risolv: toile lei sului (le111enti: in qualunque maniera, e ii che li e la rispettiva . giunzione o pronome realivo, congiuntivº: nella quale ecc. o Nuovi tormenti e nuovi torinºlltilt i Mli V gg , Ill. l'I1 , come che io, « mli Inuova, E come che lo li li V l il.... » l)a ille. « Come che questo sia stato o no.... o lorº. a Come che in processi di tempo s'avvelisso . Docc. « Come che loro venisse fatto » l?occ. « Ora come che la superbia si li renali, o per l'un modo, o per l'al.ro...» Passavanti.« Ma come ch'ella li governi e volga l?rili lavora per me non tol la « mai » Petrarca.  c) Notevole anche il come che dei seguenti esempi, nei quali sia il valore di un complice come i siccome,  « E come che il povero corvo fosse persona antica e di gran ripºrta « zione....., molti lo venivano a visitare, e come si usa, pil con le parole « che con fatti, ognuno gli profferiva e aiuto e favore ». l'iel'eliz.  3  - - - - - - m: disposi a non voler più la dimestichezza di lui e per non averne ragione, nè sua lettera, nè sula 1 Imbasciata più volli ricevere; come che io e l'elo, se li lu fosse perseverato,..... veggendolo io consu  « Illare, colli e si fa la neve al sole, il limito dll r , proponilla mt , si sarebbe a piegato » Boce.  I3mila però che il come che di questi ed allrl siiiiili esempi senza nu Intero, 11 , li si vuol leggere i dlli filo e pr . llllll iare con quell'accento che il comme che a valore il quantunque, benchè, che sarebbe imbra il o troppo rincrescevole e noi ne aver sti a lei in senso, ma profferirlo in guisa che il come risalti e recli egli solo l'impronta di siccome, im perocchè. La congiunzione che non ha qui a far nulla col come, nè sta ad al.ro ulfficio, oliº di semplice collg Illizione o nesso di puro OrnaIlento, e la portersene all'he l'Il rialle e', 'Irle appllll. , fece, tra l'altri, e assai si velli e il lºlere:lzuola. (AIPITI'() I,() I [..  Particelle e compagini a foggia ed uso classico;  avverloi, cioè, col ngiu 11 azioni e voci il n go - I nera n lo è o li in iu 11 i valore altro cl neº rela a tivo, 1 r) a tu ltto i 1 n t rii msec », i1 in in nea 1 nerì te Clirò cosi, e il nero 1 i te al costruutto, con i lcº il gran to del tcsst 1to l crio la ale, il va ago . lo il coro lit collega -  1T nel nto gli slo: nrtite i lec .  Ad alculle di sili. Il l Irella l. I li gi i tiri lici li nomine di 1 - pieno, e ci sono ce le colali particel. . . . ess, proprie della lingua toscana, le quali, oli e il 11 11 11 -si l i i s ll la III , il alla tela gl a - Intili: Ile, clie pi l'eblo sl. 1' st 117 -s . l II l' - I lil a cle aggli Ingallo a - l'orazione forza, grazil. ori a 111 mil . . . se li n . I ro. Il cerla maliva pr - prietà di linguaggio ... C. rl Icelli. CIl mio ed altri.  Ma vorrei qui rilevare che codesti autori fanno appunto oggetto di particolare osservazione le l ' Vlt i l (..l'.I l .E che non inati, o ti ifici o altro cile di ornamento e di ripieno; men .re le l ' V l l I ( I, I l l. e 4 t ) , il V º il N I, e le V ( ) ( 'I IN (i I, NIEI è VI ,E, di cui e parola in questo e in altri capitoli del I)II E I'l'ORl(), sono argomento di studio da quindi addietro al tutto igno rato e assai più rilevante che non sia cosa puramen le ori:arm2miale, come quello che adopera all'origitial candore e alia NEI VA I V del perio dare classic. NON SI (tanto) . . . CiiE NON . . .  Per squadernare che io faccia un libro, il derio di penna volgare o colta, a gran pena ch'io vi Irovi pure il periodo a lornia e sll'ulltila clie negli esempi che qui ſi allego. E dire ci clia è si bella, strella, evidente e di un garbo tutto ilaliano ! L'ebbero a grado assai ed usarolila di Irequente scrittori non pur del [recento ma e ti i cinquecento ed anche dei piu recenti, – di età cioè, non di sonno e di ullura, ch'ella è antica e non invecchia mai.  ltisport pressa poi al 11 sl 1 o : per quanto... lulla via..., e talora a 11 ne ai cori e tali vo: qui un lo... all.rellan lo.... Cili è però mestieri di ben altri, i lilo a 1 il ri: il lique suscellibile sia dell'uno che dell'altro 1 ggi il coinvºlte i Sy  Pochi esempi, ma quanto basti ad aguzzarlene l'appetito:  .... e le giustizial to a sioni in calesine in diverse lor pan li debbono  a re e al rei si nun li, nè si l ruora alcuno muri e o cosi bello e leggiadro, che ustio li', pur intenſe non luiuslidisca e generi sazietà . Varchi. E dunqu su penso che l'osse un re libero di carila, che non è si poco site noti avarizi, e , a lui pia, che li lle le cose ci colle, onde ella di mld l'a, più te, e l'uni, e in . ch ella non la ceca se medesima . Cavalca.  .... m. a e la loro si alla lo alla mia che una paroluzza si che la non  si può dire, che fiori si senta o. liocc.  ....pei e che mai uomo non mi vuol si sce, e lo parla e che egli non roglia la sia pari udu e, e se ci cruene che... i 13ove..... Mi ss, i disse la donna, il giovane con che alle il laccio non so, ma egli non e un casa uscio si serrate, che come egli il tlocca non s a lui a ... I c.percio, che egli non c alcun si o bito, al quale io non ardisca di da ciò cl, bisogna, ne si lui o o zolico che io non annoi bidisca l'ºnº r, il il di ciò che io cori di litrº.il in ii ...... ancora che egli non loss mollo chiuti o il dì, ed egli s ci sº in sso il cappuccio in util: li li occhi, non si seppe si , io ci o cali non posso prestamente conosciuto dalla donna - lº no: si p co che oltre a diecimila dobbre non calesse e lº ins, s. capelletto: Messer lo piale, non dil cosi, io non mi onirs se ne tatto e le nè si spesso, che i sempre non mi i colºssi i sa, i n i 'mente di lulli i miei in rili. che io mi ricordassi dal ci, ci e, a qui, in lino a quello che con lº stilo mi sºnº i 80 t . ve mai enti e così ci rendo cedrete coi, niuna spesa lalla si ſnºdº, è si s., lo sa, ne tanto magnifica, che ella non sia di molli, per molli mancatinenti, biasimarla l' º '.e 1,i, il re in guardi, che i cari sia le nulle si lº lui il li) con l rul 'lo alla fase a degli uomini quanto l'ºrº ristº: niuna è si chiut l'ut (' eccci fetil e in la quale non stia oscura, e sconosciutº sºlº l'u n'atrizia ». l', i licli il . - - E la chi potremo noi lidire' più il vero, che da voi, il quale si" riputato sion tanto spendente che in roi non slot onesta mºsso" " si le massaie, tale che non dobbiale ºsserº reputato liberale? ». andolº. si eli, a I, sperar mi ero cºſiº I)i quella ſera la gaietta pelle. ; del I n po , la dolce slogionº, Ma non si, che paura non mi dºssº La rista che mi apparre di un lºrº º l)ante. - - - - - i vini campo, fu mai si ben collirottº, che in esso º orticº ". o alcun primo non si l'orossº mescolato fra l'erbe migliori º l' iamme" « Non ci sarà tanto dolce la consolazinoe che prenderete del sºlire,.... che egli non vi debba altresì essere utilissimo il al re... C - sari. (29).« e dilellami di pensare di lei maggiormente, che reca maggio: virtù e maggior ſortezza: e so bene ch'io non potrei tanto mensa, che più non ci avesse da pensare a Caval a.«... e' l dimonio disse: Al mondo non è per cui lo si gr. 1 nel , che I, lali, non gli perdoni, se si converte, ma qualunque uomo si accal. . per I l pºnilºnso o per altro modo, se llio non gli ha misericordi, si e ci rius I., Cavalca. non è si aspra e malatgerole che alcun pur non la les, le i Cav.« non è si magro carallo che alla bietola non rigni in il 1 lo . . S º . . . . . con piacere inci 'dibile del mio stillin , che son d se la trº Sloi (), che per si la lo on i re non si l is 'n lor e il tr . . . . . ); . . .a Io ne ho parecchi esempi ma per dir crro, non son cos: i ſissini: che non possan ricevere latin lo accorcia in n 1 l in I pm la l . . . li « Qual luogo è si sui grossi nto, che i c. coli non ti tra il ct 1 nel 1 : insidie alla loro incut u lui one's là? , S gl, 30« un lento morire di dodici anni, per una penosissimi a : i riti iii: nè tanto leggiera, che quasi sempre non isl ess, in agonia. se tanto il re alle forze della sua carità, che sempi e non in licasse i sei zio di Dio e delle anime n. 13a l'I.« Non istelle o però sempre quiri in Tucuscima fermi si ciºe l'uno e l'altro non iscor esser tal rolla a seminatre e mielere il lle tll re isole di quel contorno ». Bart.« Che se non è mai tanto aspro dolore che il len per non lº distri li ed anco non lo annulli, perchè la prudenza e la costati ai rom l dr G almer in itigare? ». Caro.a Secolo non però tanto di rii li sterile che qualch . n e si ri; i non producesse ». Dav. - « Sicchè bisogna guarda i ri da animo delittº ºlo. perchè alla osti, nazione non è si difficile impresa che non riesca . Fiºr º.a V ero è nondimeno che in questa pati (e di nasconi, si tl riti º gli renne fatto di conseguirlo si interamente che ti º di quello, che fuor che agli occhi di Dio egli pensava essere occill I, r; l uſ gli atll ri . nºn si palesasse ». Dart. – 38 –  NOte  all clrticolo 7.  ?S) To II: Ilive e per i 1:1 1 : la . . . . . Il Not so. . . . but that.... Es.: I noi so but that I l l:lve g ancd at rva - sonº l'1: v. l . ll, Willls  ver not so Il 1 l v d . . . A cºl bu:i tinat i -li si stile  t : 2!) ( );: non si u, le motº. . . . . ! ! ( r -, , e al I li e ! ::i ll l: llll rºl , l tall  ll . . . . . . o si pºte:to... o tre.... vi il lla  - . v . l i non meno , , , cime VI, ina : qui li a l. egi 12 linette i'a, la cosa e i'altra; I l V i l IV V :) 11 egua i rincari e il pregio di virtù e in nuriero di lei le!. l . . . . ., l i i 30 ( ). li è in ſo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - ! i ; iprimo incis , l' ri: Ni: in It:ogo è si s - ::  cin e voi i pl: i non te ! , trici 1 e ti .  ARTICOLO 13  n0n Ciii . . . (anzi, ma . . .)  l' vi l' non rli slli gg ad Il col: il liso, ci chi si l i delle in circ venti li e ſi ha - - il l e per le  fornire e c i cl: ssi i : I l . E li ul: ssaggio dei  model i i non cli : « E vi la lo il tg ci li : . spicca il I l . non v li e'  viali ecc. il III il s lis . . l si gli e il solo  cile gialnili: li si riliv li i ll ' : 1' ll - : il lassiche,  | Non sº, l l: li lilai i ". I sici in l:il guisa, ma luitino, se  lingua a que” gloriosi.  l:s il de vi: il re ciò e ,i lire : si oln in he uscir de  condo pari a me, pole a riti per il che | Il il colport Isse, lanlo è diverso questo modo, non che dall'antico e lui si li l'ente sulla Appo i classici vale a dunque quando non solo, (Illando non solo non. Il Bartoli e parecchi altri sottili investigatori in opera di lingua appuntarono il Vocabolario che definì il non che : Particella e crersalir. e di negazione, e corressero aggiungendo: alcune role sì, alcune colte no ma e del si e del no niuna regola. Io non pretendo crear regole; rife risco l'Osservato e se altri fai assene regola, al sia di lui.Dico adunque che Dante. Doccaccio, Cavalca, 13a Ioli , di altri li grande autorità dànno al non che senso di non solo non quando regge in passato e talora anche il presente del modo congiuntivo: in altri casi vale sempre o quasi sempre non solo.Il Cesari però adopera l'un per l'altro. Forse ch'io inal , apponga o che il valoroso Cesari (lui sgarrasso? Non oserei asseverarlo. Il ma od anzi del secondo inciso ordinariamente non ha luogo di lando. vi è inversione di frase, e però il non che sussegue, non precede, come si farebbe direttamente. Nè per questo torna al non che moderno, che la relazione di non solo non e mai vi si sente ſul lavi, ed è lontano le mille miglia di assumere il torto significato di siccome anche e ancora ( C('.Senza inversione di frase può per altro il mal precedere l rrelativo non che, come fecero, Boccaccio. Partoli e tant'altri senza rimerci. Loggi e dimmi se vi ravvisi il non che moderno ! E' affare di ori ginal candore, integrità e vago non pur della frase, ma del peri do ancora, che i moderni non curano affaſ (c, lo bistrattano, e pare che i cciano a chi più lo strazia.(38).  Non che io faccia questo.... ma se roi mi dicesſe ch'io dirorassi nel fuoco, credendori io piacere, mi sarebbe diletto ». Borc.« Non che la mattina, ma qualora il sole era più alto..... ra si poteva (1 ntl (tre ). T30CC.a non che a roi ma a me han contristati gli occhi ! ! ». Bocc. « Di qua, di là, di giù, di su li mena. Nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena ». Dante.a Quanti leggiadri giovani, li quali non ch'altri, ma Gallieno, Ippo crate o Esculapio arrieno giudicati sanissimi ..... ». Bocc.« Ed oltre a questo non che alcuna donna, quando fu fatta (la legge ci prestasse giuramento, ma niuna ce ne fù mai chiamata ». Rocc. (30). « Ma non che punto giovasse a rimetterlo in miglior senno, che anzi ne riportò parole disconce e di non liere strapazzo ». Bart. 40'. «... e da questa tanto generosa e salda risposta rimase il buon capi tano si commosso e sì mutato nel cuore, che non che prunlo (tltro dicesse per isrolgere il santo dal suo stabile proponimento, ma egli medesimo determinò di rimanersi, e correr quella medesima fortuna che lui, nulla curando, nè la perdita della sua mare, nè il pericolo della vita ». Bari. « ... e non che il desse al ballesimo, ma da indi innanzi cominciò una sanguinosa persecuzione ». I2art.« Sostenne (Socrate, con grandissimo animo la porertà. intanto che, non che egli mai alcun richiedesse per bisogno il quale avesse ma ancora i doni da' grandi uomini offeritegli ricusò m. Rocc. (Comm. sopra la Co media di Dante).  « Li quali piaceri lauto all' una parte ed all'altra aggradirono, che non che l'un dall'alli o aspettasse l'essere in ritato a ciò, anzi a doverci essºre si lot e cct in nl ro l'un atll al! I o, in rilanci. . l occ.() la che il San lo ri in tre line di calci i giù a rompicollo in rati i temi pi di ſtuciulli e il mal dl mi ma che di ragione, ballendo sopra dei sassi a pil del nº iro, poi l' noi in all zza di reano º immaner imiranti, in ton che la ni avvenisse il lor che anzi non mi andarono pur leg gri li ul, li si ºr a nolo di Sai , i rol rol, della promessa, in risibile mi il lit ma il ct - sl n. 1 li s l alti i l . ll . I 3, l .Il Sult 1 io non che si mostrasse il till I N l li li , l . . o si ritirasse in sè i cd 'simi per non lo si ut e r , i ma, ma anzi con sembian Ie e modi d' ui a schiella ci ſia balili e il ct pi e l i tiri i tiri in li, lui lo aggradira, fino a bere per man loro ..... l?arl. - - « l' rciorch è c'illi era di sì l in Nsrl rilai, e li e non che egli l'ultrui on le con giustizia vendicasse, anzi in limite con valup eroli , illà a lui fattene Nosl e ne rai . I 3 cc.« .... e questo set persi sì con la meml, la e, che quasi mini no, non che il sapesse, ma nè suspicat, a o lº c.Ma con ciò non che li domasse che anzi maggio in ente gli inasprì : itl che.... ». I3:art.« Ma non che cessasse con ciò la l. 1 , in e la suoi i rallelli, che anzi maggiormente le crebbe a 13ari.a Le mie scrilure. e de nei passati, allora e poi le lemmi occulle rinchiuse, le quali non che ella potess lega re nè ancora rederle º, IP:ulldolf.« Ma, non che il corno nasca egli non se ne put e nº pedala nè ombra o. l 31 t ('.a ... se ce li rai in corte di lotti si e' reale la scellerata e lorda rila dº coi lipi, poi, non che , gli ºli ( il malco si juta la cris' il mio, ma s', gli lossº cºn i si tro la sen-a fell , giudeo si ritornerebbe l'oce.illiri o il rili , e scorallo, non che se ne adontasse. I remi il mulo lui il ſì dal tempio per nascondersi doc, chessia de Cristo che lo minacciava , (es. 41).e nessun alito di le ter, di luci costume, nè di sentimento, non che gentile ma nè un erno si è mai potuto appiccare in Intel srl rigºrio animo v ( s.  Il salarmino cielo, non che gli altri, piorera a noi ", il ſiorno ch'elli nacquero . Filoe. (ſ2.Non che polare è cosa perniciosissima salire sopra i lrulli e scull picciarli molli anazzosi, o auando è nebbia che gli fa sdºrnire º, l)av. (ppena el io a dissi di crederlo non che li scriverlo ». Bocr'. 13', si r, tutti di tingere a tale alle ot, ch' minali ali alberi non che a ritm-i le bicicl, o. Segn ( 1 ).« Tutto 'I I, in po di cita, che mi può dare ancor let maltra, ſia pocº a rammemorare, non che a rendere all'Accademici lo ſtraziº che io debbº ". T):) V.« I)i cosa, che egli roglia, ma io dico si' rolesse l'asin nostro, non ch' altro, non gli sia detto di no ». Bocc. (ſf).« Madonna, se voi mi date una camicia io mi ſtellerò nel fuoco non ch' altro ». BOCC. « .... e sfacciati più ancor dell'antico Cam non dubitate per beffa nudar chi dorme non che in ritare di molti a mirarne la nudità º ). Sogn. « .1 dunque, come ha rerun di roi gran premura di assicurare l'eterna sua salvazione, mentre passeranno i dì in lieri, non che le notti, senza che di ciò mai ri ricorra alla mente un leggier fantasma ? ». Segn. (46). « ... non sorrenendoli prima, per sommo loro dispregio neppur di un salmo, non che di alcun più onorevole funerale ». Segn.« ... al sentirsi rimbombare quellº ch m ! nella mente, Don Abbondio non che pensare a trasgredire una tal legge si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua ». Manzoni. (47).  NOte e Aggiunte  all'Articolo 13.  (38) Non sarai poi di si corta vista che non ti avvegga di equivoca zione, a volere, come fanno certuni, sempre e non altro vedere e inten dere che il ragionato modo non che, sol che si trovi un che accanto alla particella non. Il seguente esempio ſe ne chiarisca: « Come, disse il ge « loso, non dicesti così e cosi al prete che ti confesso? La donna disse: « Non che egli te l'abbia ridello, Irla ogli basterebbe se tu fossi stato « presente: Inai si che io gliele dissi: ». I3occ. Separa quel non dal che, intendilo nel senso di non già che ecc., o altro di simile, e la frase è chiarissima. Ma col senso (li nonche lì lì le cavi alcun costrutto.  (39) Traduci: non solamente niuna donna ci prestò giuramento. Ina. Poni mente costrutto egualissimo dol seguente esempio: « Il re udendo « questo e rendendosi certo che IRuggeri il ver disse, non solamente che « egli a peggio dover operare procedesse, ma di ciò che fatto avea gl'in crebbe ». I30 ('. cioè: non solamente non procedè a peggior operare, ma. . . . E chi dubitare a dunque che in costrutli si fatti il non che ha senso di non solamente che, e l'uno e l'altro, come che altra voce non segua che comunque il neghi, vaga e breve forma avversativa e di ne gazione? Osserva come in molti degli esempi (e potrei allegarne a centinaia) che fanno seguito a questo primo del Boccaccio il non che ha senso di non solo non, o come a tutti codesti non che risponde un'im perfetto o presente congiuntivo, il quale solo che al non che si sostituisca il non solo non, torna al passato o presente indicativo. Ma quanto è migliore quel costruito! Ammira stretta commessura e soavità di tornio! Traduci come sopra: non solo non giovò, e così nei seguenti esempi.41) In questo esempio del Cesari non vi senti forse quel vigore che nei precedenti. Vuoi saperlo? Manca il ma od il che anzi come suol fare il Bar (li. Inseriscilo il fatti ed oti leni subito un tornio COI'l'ettis simo, e al tutto col fornire a quello costan.emente adoperato dal Bartoli e dal I3Occaccio.(2) Non t'illuda la costruzione, il vertisei e trovi sempre il non che il discorso: o Non che gli altri, ma il saturnino cielo pioveva a InOre ». E di siffatti modi a migliaia ne troverai soluadernando i classici, di ogni età e di ogni sfile. (43) Inversione: non che di scriverlo ma nè di crederlo. 44) Invers, come sopra, e così negli esempi ( le seguono (5) Qui piacque al liocc. di esprimerlo il ma non ostante l'inver. sione. Noterai di quesio e del seguente esempio la naniera non ch'altro, la quale pare che andasse assai all'animo al nostro valente oratore I3arbieri. L'ha sempre sulla penna e ben dieci o dodici volte la trovi in una sola predica. Vale: non solo, checchessia d'altro che voi pensi nte, ma perfino. . . .(6) Se ti sorge dubbio intorno al senso di quel non che, non hai che a consultare il contes , e saprai subito se vale: siccome anche, oppure non solo, l'arla di coloro che neppur lesti si sentono una a sol volta rapire violentemente i pensieri a Dio ».(7) l'8occaccio, l)a Valnzali e lº arti li avrebbero 'se, coerentemento all'ossorvato, costruita la frase un po' diversamente. « Al sentirsi rim « bombaro (Illell'ehm' nella mente, l)on \bbondio, non che pensasse a « trasgredire una tal leg e ma si pentiva persino del'aver ciarlato con « IPerpetua ». I3ada veli' che non ho detto con ciò che sia errato o men bello il poriodo del Vlanzoni. l'olga il cielo ch'io a ridisca di censurare od appuntare comecchessia quelle troppo care, adora le pagine.  A RTICOLO 14.  SE NON SE NON CHE  SE NON FOSSE (che, giù)  forli e li dire costantemente risale dagli antichi e buoni scrittori, ed oggi invece s degli sani enl e neglelle e al lullo smesse, se non che ad alcuni oratori, specialmente da chiesa, pare di rammentarsene profferendo assai volle un solenne se non che, ma a grande sproposito, e insignificato di ma che non l' ha. (48;.40) Sulla penna a classici le dette forme hanno ben altro valore e vo gliono dire: se non fosse stato che, a meno che, lollo che, salvo se, salvo che, altrimenti che.  Il Bartoli ragionando di questa ed altre sorniglianti maniere, cui il periodo deve nesso, brevità e leggiadria | IIIa italiana, soggiunge: (( ( “ ( ) - Inuti Ilie poi abbiano a servirvi, o sol per cognizione o ancora, per uso ». Grazie dell'avvertimento, ma noi seguiremo più che le parole il suo e Sempio.  L' Asia del Bartoli è uno stupendo velluto contesto e lavorato ad opera di ricami, Irapunti e compassi di così fa la gioielli ,  º le sullò tali Nso e se non che ci lui lo sl 1 o, e ralsesi del calore, ella ne ſacerat mille pezzi . Fiorenz.º (i rotn cosa è slitta col slot. e se non che la lati della Iu, io non la ('re' le roi , . I 'i rel/.()nde non è lui in pºi lati e in sè a lijello il non di rerlo, nè di colpa (trerne l l'oppo; se non fosse già che atll li desse o all' uno o all'altro la cagione, la quale....? ... Passav« Il miglior piacere, e 'l più sano è il ſitcºre boccone, o quasi, peroc ch è tutte le menº brut clen I l o sl i rino, nel loro luogo : se non fosse già che la persont a resse losso o asmat. o altro in ſei mili, che lo facesse ambascia, o noja lo slar boccone . Passav.« E se non fosse che egli temera del Zeppa egli arrebbe della alla moglie una gran rillatnici così rinchiuso con e era ». I3oce.a e se non fosse ch'io non coglio mostratrº.... io direi che dimani...». I 3 co.a e se non fosse ch' egli era giovane, e sopra i remira il caldo, eſili arrebbe a rulo troppo a sostenere ». Dolci -.« E arrei gridato, se non che egli, che ancor dentro non era, mi chiese mercè per Dio e per roi ». Tocc.« E se non che di tutti un poco riene del caprino, troppo sarebbe più piacevole il pianto loro ». Rocc. (49.« Cosa che non fosse mai stata redula, non ri crederei io sapere in segnare, se ciò non fosser già starnuti ». Rocc. (traduci: a meno che si trattasso di....).« Era la terra per guastarsi se non fosserò i Lucchesi, che rennero in Firori: o yo. G. Vill.« Se non fosse il soccorso, che il nostro Comune ri mandò così Sit bito. la città di Rologna era perduta per la Chiesa . G. Vill.« Se non fosse il rifugio della terra, pochi ne sarebbero scampali ». ( ; Vill. (5ſ) .« E se non fosse che i Fiorentini ci mandarono inconta nºn le lorº ambasciatori, .... Iologna era l'ulta guasta ». M. Vill.« ... e niuno seppe mai il fallo suo, se non ch'ella il confessò in peni lenzia al prete, dicendo la cagione e 'l processo del sito isriamento, e la grazia ricevuta m. Passav.« Queste nuove cotanto felici fecero alzare al Saverio le mani al cielo, e piangere d'allegrezza, poichè gli giunsero agli orecchi colà nella costa di Comorin, dore laticara nelle opere che di sopra contammo: e se non che Tuiri (tre a presente alla mano una troppa gran messe d'anime che rac cogliera, sarebbe incontamente ilo a Celebes a farvi grande quella piccola cristiani di m. I3art.  º -..... baluardi non commessi come oggidi nelle nostre fortezze, con (tl di cortina fra mezzo, ma srelli e isolati, se non quanto cerli pomli vanno (i con il nicare il passo della gola dell'uno, a quella dell'altro ». Bart.  Era donna di gran nascimento e ricchissima, se non quanto i Bonzi l'acerano a poco a poco smunta fino a spolparla ». Bart. 51).  « E non sarebbe rimaso riro capo di loro, se non che gilardo l'armi e gridando mercè, rende ono i legni rinti e sè schiari ». I3art.  ( .... e l'arrebbon linito, se non che un di loro gridò che il serbassero (Il riscatto ». I3art.  º - - - - - -. ri diò in altra parte con la nla foga, che del tutto arenò : e se non che tagliarono tosto da piè l'albero della rela maestra, agli spessi e gran colpi che dara, coll'alzarsi e 'l calar della poppa mobile e ondeg giante, si aprira » lºart.  « Egli (un cerlo 13onzo tanto più infuriara e ne faceva con lulli alle peggiori: finchè il re il mandò cacciare come un ribaldo fuori di palagio. e disse: che se non che egli era in quell'abito di religioso, a poco si ter rebbe di fargli spiccar la testa dal busto ». I3art.  NOte  all'articolo 1 f.  (48). Quante vol. e si vedono questi ora Iori riprender fiato, mutar sembiante o proseguire, con vi quando più grave e quando più di messa, e lentamente, articolando un solenne: Se non che! lo non so di ninno scrittore antico e se del più recenti almeno puro e corre.to, che adoperasse mai il se non che in quella forma e senso che in certi dettati o a dir meglio imbratti moderni.(49). Da questi esempi del Boccaccio si vede che gli era tutt'uno il se non che e il se non fosse che, ed usava indifferentemente l'un per altro. (50). Pare che a G. Vill. sapesse meglio il costruito diretto e senza la congiunzione che, il quale sol che s'inverta o s'inserisca un verbo torlìa ( Vidolltelnonte all'anzidetto: « Se non fosse che 'l nostro Comune « Imandò così sul [o il Soccorso occº. ».(51). Nota bella elissi: se non fosse stato che i Bonzi la impoverirono a segno che . . . . oppure : a meno che ella s'impoverì di tanto di quanto potevano sul suo cuore i Bonzi i quali la smunsero fino a. . . . ARTICOLO 18.  NON  Stranissimo e fuor d'ogni regola positiva, come che di buona, anzi  ottima lega parve all'autorevolissimo Bartoli l'uso di questa particella. « Però che, dicº egli, considerandola secondo la natura e la forza che ha di negare e distruggere quello a che s'appicca, pare che contradica, dove talvolta, se nulla opera. Inaggiormente afferma; e sol un buon orecchio sa dirci quando vi stia bene e quando no ».  Così avvisa il Bartoli, e con lui ogni allro scrittore cui occorse di ragionarne. Ma io non m'acquelai e volli non per tanto esaminarla e stu diarvi dentro, e vederla a punta di ragione, intenderne cioè e discernerne il come, quando e perchè. E non fu fatica inutile, parini anzi averla colta che nulla più. Tre costantissime osservazioni mi vennero fatte che ogni caso comprendono del non che non nega.  Non oso erigerle a norma o regola di eleganza. Menzionerolle e me ne passo.  a). La congiunzione salvo, salvo se, salvo che, a meno che e simili,  e l'ammonizione altresì di guardia, cautela, accortezza, vigilanza che cosa non si faccia, non si dica o l avvenga, che poi dispiaccia o comunque metta male, è costantemente susseguita, –- simile al se garder dei Francesi – dalla particella non.  b, che, commessura di comparazione risolvibile nel suo equiva. lente: di quello che, è susseguito dal non sempre che nel primo inciso non vi abbia non od altra voce negativa o comunque avversativa. In caso contrario non ha mai non che vi aderisca. – Appunto come avviene del que dei Francesi, nesso comparativo or seguito or nò dal ne senza il pas. – (55).  c). L'inciso dipondente dai verbi: temere, dubitare, sospettare, suspi care, ed anche dalle voci: per timore, paura, e simili – espresse o sol tintese – il quale si governa comunemente a guida di che o che non, solº reggosi e sta elegantemente senza il che pure a nodo o tramezzo della particella non, ma sì che il soggetto tramezzi e l'una e l'altro.  Seguono gli esempi divisati, conformemente al ragionato, in tre dif ferenti gruppi.  « La casa mia non è troppo grande, e perciò esser non vi si potrebbe salvo chi non volesse starvi a modo di mulolo, senza far mollo o zillo alcuno ». BOCC.  « salvo se i Bonzi non levassero popolo e li ci allizzassero contro ». Bart. “ Una cosa vi ricordo, che cost, che io ei dica. voi vi guardiate di non dire ad alcuna persona . Iº occ.º l'irºgli da parte mia, che si guardi di non arer ll’oppo cre  - dilo o di non credere alle lavole di Giannotto ,  l3 cc. º l Ittºsto la rete, che coi diciate bene i desideri l' Nl li, e guardatevi che non ri renisse nominato un po' il n till I ..... . 13 , .  « e sta bene accorto che egli non li l'ºnºs le luci ni tdosso o locc.  º e lì la loro lo luna in quello che la olerano più la col e vole, che ('SSi medesimi non dimandavano , . 13,ce.“ Ma lullo al rinculi addicenne che ella arrivato non avea ». Boce. º tºndo più animo che a sci co non si appartenera , Bocc. º ... Se non ci chi è di rim alo e pli lori che non s no io o l?art. ( .... che io ho l'oro lo donna da molto piu che tu non se', che meglio mi ha conosciuto che tu non laces , 13( Compagni, non ci lui bale, l'opera sia altrimenti che voi non pen Sale ». DOcc.« Se io vi polºssi più esser la nu lui che a non sono, la ulo più ri strei, (1tl am lo più cara cosa, che non son io mi i sensi. I ne mi rende le m. 130ce. « rispose che per più spazio che non ha da l a iulino al cielo era fuoco ardente ». Passav.« Assai volte già ne potete aver recluta i clico, delli e di scacchi troppo più cari che io non sono . l o e... più assai ce n'erano, e li oppo più belle che queste non sono ». IB ) c.« Voi m'ono ale assai più che non docerale una persona non cono sciula e di sì poco alla re ci ne son io , ( aro.« Ma troppo altro gli incolse che non avere di risalo . Ces. « Perchè dunque sì rall risluti ri, che gli altri facciano la m lo bene di più che non ſale voi: e però inquiela, li deriderli, disturbarli ? ». Segn. « Ben conosco per me medesimo la grave: sa del mio pericolo mag giore ancor che non di le... ... Segm.« Forse a rete voi li rido il rosli o pello la più frequenti percolimenti di pietra, che non portare nel suo slam pali irolamo . Segn. l « Nelle donne è grandissimo tre alimento il set persi guardare del prendersi dello amore di maggio e uomo ch'ella non è o. Boce.  « Dubitando non ella confessasse cosa, per la quale.... ». lRocc. « .... temette non per isciagura gli renisse smarrita la via ». Boce. « I)i che egli prese sospetto non così fosse come era ». 13occ. « Chi vuol fa, e la cosa ancor non rielala, la fa con timore non ella si vieti ». Davanz.  "Forte temeva, non forse di questo alcun s'accorgesse ». Bocc. “ .... i quali dubitavan forte non Ser Giappelletto gl'inganasse ». Boce. “ Di che Alessandro si maravigliò ſorte e dubito non forse quegli da disonesto amore preso, si moresse a così l'attamente toccarlo ». Doce. « ... sospettando non Cesare gli togliesse lo stato ». Davanz.« Tenealo a bada (Cesare Ienea a bada il Cardinal Polo ch' era ancora al lago di Garda) perchè le nozze di Filippo si compiessero prima che ('gli arrivasse, temendo non la sua presenza le intorbidasse ». I)avanz. « La quale udendo questo, temendo non lorse le donne per troppa lrella tanto l'uscio sospignessero che s'aprisse..... ». I3occ.( 0r questo gli dava lroppo gran pena: conciossiachè egli temeva non lorse egli losse caduto in quella durezza di cuore.... ». Cesari. « tanto i santi sono teneri e sfiduciati d'ogni lor desiderio, non forse la natura ne gabelli qualche cosa sottº inteso: per timore che... o temendo mon....) ». Bart.« Ma gli parve di soprastare alcun poco non forse la troppa sua sollecitudine gli noiasse (tenendo non forse....) ». Cesari. « ... presso in che di letizia non morì ». Barl. « Io temo non colui m'abbia ris lo ). I 30cc. -  NOte  all'articolo 18,  (55). A prova di quanto atºserisco non basta si alleghino esempi col nom, questi confermano il primo caso, ma occorre anche mostrare come il che del secondo inciso allora soltanto va senza il non che nel primo inciso si trova un non o altra forma comunque avversativa.Eccone però un saggio: « ..tutti presti, tutti pronti ad ogni vostro « piacere verranno nè più (più tempo) staranno che a voi aggradi». Bocc. « Conservate il vostro, non ispendete più che portino le vostre facoltà» Pandolf« .... nè avete voi più desiderio di udirmi, che io ho di farvi mas Sai ». Pandolf.Alla parte 2. articolo 11 si ragiona tra l'altre cose anche di questo che a valore di : di quello che, e si allegano molti altri esempi con o senza non in conformità a quello che qui mi avviso. E' poi tanto vero che, in locuzioni si fatte, cotesto non l'una o l'altra volta ci deve essere, che ove al Boccaccio, non sapeva buono (come che di ragion ci stesse, ma per suono forse men grato che all'orecchio ne veniva) la seconda volta, no ! lasciava la prima avvegna che non ci avesse luogo: « E chi negherà questo i contorto ) quantunque egli si « sia, non molto più alle vaghe donne, che agli uomini, convenirsi dona « re?» (In cambio di: molto più alle vaghe donne che non agli uomini...)  CAPITOLO III.  Alcune altre voci  il cui valore ed uso vario secol ndo lo scriverc clegli arm tichi ed anche de 1 migliori nºn oderrni, reca a talora al l'assetto di nuove e vaghe fornme, così che al periodo non nel no che alla frase, e vicle I nza 1 ne vierne, garbo e sapore.  Nel precedente capitolo allegai ed illustrai maniere – particelle, compagini e tramezzi – di una forma e ragione tulla interna, coesiva  dirò così e inerente alla struttura e nervatura del periodo. Ora vuolsi invece studiare e prelibare il grato di tal'altre voci, le quali quantunque rechino un senso delerminato ed adoperino sull'esteriore soltanto del pe riodo, son però tali e tal collocale che a lasciarle, sostituirne altre o co munque tramutarle sconcerebbe e n'anderebbe di quel candore ed ele ganza che è sol retaggio della lingua antica.Dada neh ! che nel commendare che farò questa e quella maniera, non è mia intenzione che tu poi la usi a tutto pasto, come fanno certi scrittori i quali si danno l'aria di purissimi imitatori del trecento, dove non ne sono, a dir il vero, che odiosi conl raffattori e lo mettono così in discre dito anche ai meno avversi. Questi colali non sanno far alll'o che infar cire i loro dettati di maniere solo antiche e male accozzale.Tienlo ben mente, non è scrillo sì elegante che non sia anche semi plice e spontaneo, nè può esser mai bellezza quella che si distacca ed esce comechessia di euritmia.Più che la teoria siati adunque criterio e guida un buon orecchio, conformato però – mercè di lungo studio e severo - al ſorbito perio dare soavissimo e grave dei nostri classici.  ARTICOLO 4  MISSfil  Delle novità che ci venite a raccontare! Chi non sa degli italiani, per idiota che il vogliate, che la voce assai è altrettale che molto ? Con buona pace vostra, risponderei a chiunque fosse quel benigno che volesse mai censurarmi ed opporre ch'io ridico cose molissime, non è il valore  4 soltanto, ma l'uso altresì di alcune voci e particelle, anzi questo più che altro ch'io mi proposi di ragionare. Mai, sol rarissime volte, leggendo un qualunque moderno di mezza inta mi venne scontrato l'avverbio ed anche aggettivo assai al locato e si vago che negli esempi, fra mille e mille, che quivi appresso.Quale aumentativo (sehr, ti s. very di aggettivo e di avverbio, si che l'adopera e forse l roppo, anche il moderno, ma giammai, o quasi mai. accoppiato a sostantivo, o sostantivo egli medesimo in ogni genere e numero come che invarialbile.E quant'altri e più minuti scandagli restano tuttavia a fare prima che e siamo rivocale e ristorale le avite bellezze dell'italico periodare ! VIIro che piali e ciance! Sollecitiamo a che la via lunga ne sospinge ». (71).  E disse parole assai a Paganino le quali non montarono un frullo ». l 30 (”.Ed assai n'e' uno che nella strada pubblica o di dì o di molle lini a mo . l 3occº.senza le rostre parole, mi hanno gli effetti assai dimostrato delia ros rai bene colenza n. 13 cc. . . .Spero di tre e assai di buon lempo con le co . lioco. Entrati in ragionamento della valle delle donne, assai di bene e di lode ne dissero o. I 3 ' ('.... applicò subito l'animo a guadagna lo, e gli si dia a dire assai delle cose da farlo ra eredere della sua cecità lioco. Il I occotccio l'usò delle volte assai . I 3arl. « ... ed a Luigi non ebbe assai delle volte questo rispello riguardo) º. Cesari.« Minuzzatolo e messori di buone spezie assai, ne fece un manicº retto troppo buono ». Bocc.a La prima persecuzione ſu mossa alla Religione essendo anche tiri assai degli apostoli ». Ces.« Nè vi stelle guari che egli ride assai da discoslo ritornare il Car pignat con assai allegra faccia ». Fiorenz.In compagnia di assai numero di soldati per andare di danni il l live) lo . (iiamb.... la mia guardia ne prende, e si stretta la lenca, che forse assai sºn di quegli, che a capital pena son dannati, che non sono da prigionieri con lan la guardia serrati ». Bocr'. ()r chi sarebbe quella sì ci udele Ch'a rendo un damerino si d'assai, Non direntasse dolce come il miele ? ». Lorenzo de' Medici (73). E oltre a ciò rireggiamo (acciocch'io laccia, per mºno ºrgognº di noi, i ghiottoni, i tarermieri e gli altri di simile lordura disonesti uomini assai, i quali.... essendo buoni uomini repulati dagli ignoranti, (tl lim0mº di sì gran legno son posti ». Bocº. t. A rispondere, assai ragioni vengono prontissime ». Bocc. « ..... nel quale erano perle mai simili non vedute, con altre care pietre assai ). Bocc.« Assai sono li quali essendo stoltissimi, maestri si lanno degli altri e castigatori ». Bocc.« ... dove molti dei nostri irali e d'altre religioni trovai assai ). Bocc. « ... che assai faccenda ce ne troveremº tuttavia ). Ces.  NOte  all'articolo 4  (71) Della frase : essere assai a checchessia (per basilare a, . . .) che l'ha delle volte assai e il Boccaccio e il Cav. e loro più scelti imitatori, parlerassi ad altro luogo.  (72) Nota il genitivo. La voce assai non è qui avverbio Ina sostantivo oggetto, e va unito col complemento della vostra ecc. La forma obbligua assai di, del . . . . suona talora Ineglio che la diretta. Osservala negli  esempi seguenti. Conf.: tanto tanto di... alquanto di...). (73). Uomo d'assai significa valoroso.  ARTICOLO 9  NUIIIII, NIENTE NONNUlillſ, NUlill0, NIUN0 ecc.  Negli esempi che senza più qui allego – alcuni dei moltissimi che ho raccolto, e recanti ciascuno l'una o l'altra delle proposte voci – vuolsi singolarmente notare:  a) come le particelle negativo niente, nullo, nulla, niuno escano ta lora, ed anche elegantemente dai confini che il vocabolario loro inesora bilmente prescrive e si lasciano governare, sol che l'orecchio e la cosa il consenta, a maniera di aggettivo e sostantivo;  b) come in nostra lingua il niente e il nulla, oppure non nulla, (simili al rien dei francesi) si spendono per qualche cosa, e il niuno e il nulla pur vagliano per alcuno. Alcuni Grammatici ne fecero regola ch'io non so come a tanti e sì autorevoli esempi, che dimostrano il contrario, non sia mai stata impu gnata e ripudiata. « Quando si usano, scrive tra l'altri il Corticelli, per « via di dimandare, di ricercare, o di dubitare, oppure con la negazione « o particella senza, hanno senso affermativo ... Sì che alcuni esempi ve n ha, ma ve n'ha allresì in cui le delle voci affermano e tuttavia non negazione, non senza non dubbio o dimanda comechessia.  Leggili questi esempi, intendili, assaporali, e sii certo che come il senso avrai libero e sano, questo, più che niun'altra norma, ti guiderà sicuro alla scelta convenevole di questa o quella voce ed anche in quella forma e ragione che nei libri mastri di nostra lingua.  .... invincibili dicendo i romani cui nulla ſorza vincea ». Dav.  .... si stava così a spellando senza piegare a nulla parte ».  a Inall'ulfizio naturale delle nozze nulla ricerca impedimento all'eser cizio libero delle più nobili sue operazioni ». Bart.  « ... in tal modo che nullo più mai ardito fosse d'andare all'eremo Cav.  « Se nulla potenza a reste, bastava uno ad uccidermi ». Cav.  senza molti segni che si nolano, com' egli si ha niente indizio della cosa , l'iel'eliz.  .... di subito si rivolse al sasso brancolando con le mani se a cosa nessuna si potesse appigliare ». Cav.  1 llora disse la 13adessa : se tu hai a disporre niun luo l'alto, o l'ºro se ruoi pensa e nulla di questa tua fanciulla, pensanº losto, impercioc ch º.... ... (.av.  Quando la mia opinione resti denudata e senza ippoggio di ragion nessuna ...... o. Martelli.  Ed a ogni modo è, se non maggior brºne, minor male pendere in questo caso, anzi nel troppo che nel poco, acciò transi più tosto alcuna cosa che ne manchi nessuna e. Varchi.  non intendo però di quella lunghezza asiatica fastidiosa, della quale fu ripreso Galeno, ma di quella di Cicerone, al quale non si poteri aggiungere cosa nessuna, come a Demostene cosa nessuna lerare si po le ru m. Varchi.  Se nulla ri cal della nostra amicizia abbia le compassione alla mia miseria n. Fiorellº.  tssaggiare qua e là un nonnulla di... ». Bocc.  a ... alla quale (allezioncella) mi sento attaccato un nonnulla ». Ces. “ e se li hai nulla a lare con lei tornerai domani e non ci far questa Seccaggine stanotte ». Bocc. « Ciascuno che ha niente d'intendimento ». Passav. 82. « remuta meno l'acqua e gli uomini e il cammello, affogarano di sºlº, º cºrcando d' intorno se niente d'acqua trovassero, e non trovando t'enº, -1 mlonio..... ». Cav.“ Su bilanente corsi a cercarmi il lato se niente (qualche cosa) v'avessi ». Docc. « Potrebb'egli essere ch' io a ressi nulla ? o I3oce. “ Gli si fece incontro e salutandolo il domandò s'egli si sentisse niente ). I30cc.( Come noi facciam nulla nulla, e non hannº allro in bocca: quel l'allra lacera e quell'altra diceva.... ». Fier.º ... º forſe nºn lº ſa resistenza al nemico, giammai in niun modo acconsentendogli acciocchi il rinca, e poi del tuo sposo (G. c. possi essere coron (tl (1, peroco lº 'gli il nemico e le bole, come ſu uno, a chi ardita in en le se ne fa brile, e anche fori come leone a chi in nulla nulla gli con sente ». Cav.« Non perciò a me si mostra ragione che nulla basli a derogare l'autorità e la ſede o. I3ari.« ... e per sangue e per rilli d'animo superiore ad ogni interesse, che punto nulla sentisse del basso, non che, come questo dell'empio , Bart. « Mostrare se egli ralesse nulla ». I3occ.... ri potr questa scusa legittima, scusa sa ria, o non piuttosto una scusa che se vai nulla prorerebbe anche che non dovreste coltivare i ro stri poderi con lanta diligenza, che non... ». Segn.« al quale io debbo quel poco ch'io raglio nel predicare, se nulla raglio ». Segn.« Vecchi che, perdute le gambe, pare ram sempre pronti, chi nulla nulla gli aizasse. a digrignar le gengive ». Manz.« Se nulla può sull'animo rostro la voce della ragione, sia le religioso, perchè religione e ragione è tutt'uno ». Tomm.« per la qual cosa furono tutte le castella dei baroni tolte ad Ales sandro, nè alcun' altra rendita era che di niente gli rispondesse » Rocc. (83). « Ed arrisandosi che fatto non gli verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse.... ». Docc.« Trorossi in Milano niuno che contradicesse alla potestade ? ». No Vellino antico.« .... e se egli ce n'è niuno che voglia metter su una cena a doverla dare... ». Bocc.« ... ma se nessuno di quelli che, o si burlassero del fatto tito, o... ». Fier.« .... e dovunque sapeva che niuno cristiano adorasse Cristo, il fa ceva pigliare e mettere in prigione.... ». Cav.« egli sarebbe necessario che tu li guardassi da una cosa: e questo si è, che se nessuno ti domandasse di qualche cosa, che lui per niente non rispondessi a persona, ma... ». Bocc. (84). NOte  all'articolo 9  S?, voleva ci lir qualche cosa, alcun che di . . . . . e così il niente e nulla di tutti gli I tri es IIIp di Iu -! IIIedesimio gruppo S3). Il niente d quest, i del s ..: 1: es  n i  I Il tv l':la a in l'il llll tiltra II la lllera della si sºsi V , niente, ed i ll Il ..:ll (Ill. ll ilìtelis IV, di negazi rile, si inile all'avverbi , punto del N. edente. Torna sottoso pra alle forme; un menomc olle, in n in mo,do ive Iles Wegs, iIn gering S[.(ºll ( (''.E spaurita e sbig || 1o per le pelle e per gli gravi tormenti che e aveva veduti sostenere a per at ri nell'altra v .a, la rendogli i parenti  e gli amici carezze e le sta, non si ra! grava niente ». Pass. « ....il quale l'est e . Irle lº rili la si vide i pescatori adosso, salito  e a galla, senza Inlli versi niente, mostrando l'esser in ort , tu preso ». Fier'.« Niente avevano sonno o pensiero d'andarsi a riposare in sul « letto, niente , vevano voglia d'esser consola | I, quando vedevano, () a pensavano che la infinita carita di I) o aveva dato il suo figliuolo a a patire tante pene e tale morte senza niun peccatº o colpa sua». Cav  Si avverſa, si rive il Pil ti, che questo niente in sentimento di non) quando si usa senza il non si mette piu comunemente avanti il verbo, e quando si unisce col non si pospone al verbo.  (84). No.a anche qui la maniera per niente in quel senso che nella nota precedente.  ARTICOLO 21  IIITRI (che) – filiIR0 (che) – AllTRIMENTI (che)  Quan! inque il significato e l'impiego di queste tre voci a base di una medesima radice e a governo di un comune valore, poichè in ognuna vi senti con prevalenza l'allributo allro cioè altra persona, allra cosa, altro modo non sia cosa lanlo singolare e peregrina che anche una penna volgare talvolta non ne usi, tuttavia la maniera di usarne appo i classici è sì diversa e molteplice, e indi anche il vago e vario foggial' della frase sì notevole e commendevole, che credo ſarò cosa non meno grata che utile a dirne alcunchè partitamente, e profferirne di ciascuna e di ogni uso distintamente alcuni esempi.a). Altri o altrui (non altro, che è fallo) posto assolutamente è pronome, e suona quanto: allr'uomo, altra persona, un altro, uno, alcu mo, chicchessia. Si trova appo i classici tanto in caso retto che obliquo.  « Molto dee indurre a dolore o al dispiacere del peccalo, considerando che l'anima è lavata e purificata nel sangue di G. C'. e altri l'abbia im brattata e lorda nella bruttura dei peccati ». Passav.« Per non fidarmi ad altri, io medesimo tel son renulo a significare ». I30cc'.« Sentendo la reint, che lº milia della sua morella, s'era (le liberala, e' che ad altri non resta rai (t (lire .... ». I30cc. « Il che la donna non da lui, ma da altri sentì ). I30(''. « ... in tanto che a senno di minima persona rolea fati e alcuna cosa, nè altri far la colera a suo m. Bocc.« . ( ndiamo con esso lui a Itomai ad impetrare....: ma ciò non si ritolº con altrui ragionare ». Bocc. « Oh quanto a me tarda che altri qui giunga ! ». Dante. « Irrere pertugio dentro da la muda La qual per me ha 'l litol della fame. E 'n che con rien che ancor ch'altri si chiuda , Dante.« La confessione per la quale altri si rappresenta a quegli che... ». Passa V.a ... non solamente i peccati veniali, ma esiandio i mortali i quali altrui (tresse al lutto dimentica li ). Passa V.« Il secondo modo, come si dee studiare, e cercare la divina sciens(1. si è innocentemente, cioè a dire, che altrui riva santa mente ». L'assav. « Si restiemo una cotta, che non si potea reslire senza aiuto di altri . Vill.« Non hanno altro mestiere che di pescare altri perle, altri pesce p. 3a l't.a ... che per accorto e sottile intelletto che altri abbia mai non ne giunge al chiaro ». Bart.« Quanto altri più sa della lingua ben ripresa nelle sue radici lºnſo più va ritenuto in condannare ». Bari. ... nè teme punto ciò che altri di lei dirà . Segn. ... e partirane con quel disprezzo che altri fa delle cose sogge e della bruttura ». Ces.« Egli mi pare, che niuna persona, la quale abbia alcun polso, º dore possa andare, come noi abbiamo, ci sia rimast. altri che noi n. 13 del . Inverti e vi riconosci il ragionato altri: Egli mi pare che altri clº noi ci sia rimaso, il quale.... b). ll i clº, altro che vagliono entrambi fuor che, ma sì che altri che non si riferisce che a persone e torna al dire: altruomo, qualunque alla prºsolia che ..... ed altro che ad altra cosa qualsiasi. Questo altro, (illº che, in significato di altrimenti, in altra maniera... che , ecc., è una di quelle forme che andavano assai all'animo al valoroso Bartoli, e l'usa Spessissimo in Inel miracolo di facondia che è la Storia dell'Asia. Ma os serva come e con quanta grazia:  Io non so potersi dire di ... altro che bene o. E altrove: « Ma poichè º il videro felino di non conceder la disputa altro che a questi patti, sel presero in pazienza ed accellarono . Traduci: non in altra forma che. “ E ancora: « E perciocchè quivi non era per rimanere altro che inutil mente, gli ispirò al cuore di andarsene al Meaco o, ecc. ecc. che ad allegarli tutti codesti esempi non ne verrei a capo in parecchie centinaia di migliaia.  Al lllllo simile a questi luoghi del Bartoli è l'altro del Bocc. : « non º avendo avuto in quello convif [o) cosa altro che laudevole o : e altrove: ( AV ea grandissima vergogna, quando uno dei suoi strumenti fosse altro che falso Irovalo ». Nè guari dissimile quel del Davanzati: « Con gente « sì accagna, crudele e superba puoss'egli altro che mantener libertà o « morire ? ». ſar al Ira cosa).  Bammento l'intercalare non chi alti o, di cui si è ragionato al Capo Secondo - Articolo 13, e piacermi ancora menzionare il modo : senz'altro..., che opplre, e talvolta anche rileglio : senza... altro che : « senza amici altro che di mondo o invece di senza all i amici che... : « senza famiglia allro che bastarda o, o senza affelli altro che brutali o ecc. . IBart). Ed oltre a questo anche il seguente, gli alissimo: niuno, nessuno, reruno... altro che.... : « aspirando a niun fine all ro che nobile ». « Portatovi da mium stimolo di senso altro che puerile e rello o a...inteso a rerum lavoro altro che di mente ». « ... I rallenendosi con niuna femmina altro che onestissima ». I3ar[.. Segm. ecc. ecc. Nola qui l'allro a forma di averbio, mentre congiunto al senza, niuno, reruno ecc. sarebbe ad uſicio di ag gettivo. Chi legge e studia ne' classici le ritrae queste forme anche senza avvedersene. « II vietare con semplici parole, senza autorità altro che « privata non si direbbe propriamente divieto, ma sì quel di legge e di « decreto ». Tom.  c). Analoga a questº forma avverbiale altro che è l'altra, anche oggi nola e continissima non altrimenti che.« Noi dimoriamo qui, al parer mio, non altrimenti che se esser vo lessimo testimone di quanti corpi morti ci siano alla sepoltura recati ». Doco.« Non gli concedè che si ritornasse altrimenti che promettendo di ri « tornare altro volte a rivederlo ». I3art. (Cioè gli concedè... non in altro modo che promettendo, oppure sì reramente che promettesse. Conf. Cap. II. A rticolo 25).Ma nota da ultimo di questo altrimenti (altrimenti che) un uso ben diverso delle forme che qui sopra: come cioè la voce altrimenti in molte  guisa ad altre collegata e con un costrutto e commessura di ottima ra gione entro il periodo leggiadramente contesta, sia talora altresì sol orna mento e tramezzo, non mai inutile e superfluo, se pur non necessario, e non altro, a dirla col Corticelli, che pura proprietà di lingua. Rinforza la negazione e vale in nessun altro modo.  a Della sua pelle senza ſorarla altrimenti se ne sarebbe potuto fare un bel vaglio ». I30cc.« ... e pauroso della mercatanzia non s'impacciò d'investirne altri menti i suoi danari, ma..... ». I3oce.« recita fino a un punto il contenuto senza altramente leggerlo ». Caro. « I Siluri, oggi estinti, mostra Tacito nel suo Agricola, che ri renis sero già di Spagna, e al guiscelo da molti segni, che io non replico ora altrimenti non potendo per ria di quelli sapere quando e' ri siano venuti ». Giambulari..... il nostro bene, la nostra rera felicità non dipende altrimenti no, dall'amore che noi portiamo a persona, la quale all rºllan lo ne porti a noi, ..... ». I3arbieri.« E' dunque mestieri fermamente attenersi a quelle idee, a quelle speranze immutabili, che non sono l'opera dell' uomo, che non dipendono altrimenti, da una opinione passeggera, che rengono acconce a "ulli i bi sogni, che .... ». I3arbieri.« e senza tenere altrimenti conto della sua obbliga la ſede.... ». Giall bulari.« E tanto basti aver accennato di quelle, che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non può altramente che non sia troppo ». Ball « ... non aspettò altrimenti che il disegno si colorisse ». Giamb. « ... non arendo altrimenti che dargli si lerara il cornon da collo (iiamb.« Le sue cose e sè parimente, senza sapere altrimenti chi egli si fosse rimise nelle sue mani ». Bocc. un ful I e.tlsou e Iop olooos Ufonq lºp uomiios ilf ouuxupuoqqu o.luluud lp onloAuslp o toluetu ºttº º ſullº I I ouu Auuuulo ot ouo. I touo A olsenb ll I luttuº nId otor I allop luou ouulloAul lp ipotu itino le outleti oli elzºti l' º l.zzoIl fu A ip otl.) os º  trou olto.o un o o Iuliud lop el Aol I lol 55tui ti º º S otto it: i tºlsoni) cl ouol Ru.i uoo Illu) I tollo olios cui lu u uutti i litio o .ilto. llo i - lo tºllo Alun ottu.tellulos 'ortll lito.Ioll lui Ruo IV o op.otto: 1 o. ll 'llout Ill.I. “  Isopullios o Iosso otiosso i  “olu.opluuuuuuli ella A e allo Ip :lloti - lllllº º oil. Issi III, II F o ollo.o! I -.tuti o o luouo td 1 o olio A o .it: i sºli. Il 1 li tºlsl-º sonl) o o lo stºp ll out. I votolelu o il 'u Iso:) Il ) A LI - Ipotti i lotti e io lº otlos IA " .  eodo]uttlollo outsioloou otus olos : li titoli onl) Ip A o.Il ol Iso.IddV out Ao;iuniti o totu lo vos luo. I lºtti I I.) o, dt: ti Il plº o il uAInfioso oln) eo.lolol o eluuun oli l'illS º il ossImpo.Il tetto SIS Il l III euto ollo]Jo uono lº o lod os os , ou o alle p letti ossitto, ve º tº IV e void 1. ll il l e o la tollo un 1: Is ll It , looluu.Iou;il p o Iul e n.InsIl pl. I sei “I lumbs un.oltº otto puºiolli: Iduloso liuloop) Ied otto.III') ott o lo Isol.Ioli onl Ip ottil. Il od oil.Il leso, e il -ulououout outIoztto Vito e il p .olio III lo o .olio o.I l: \ Il “Il d | 12 | | Il sollia.osop o lou.oo Iuulio II lo ottoutele in lull l' "lº ºlotºs º o | II. Il -Iu.Iouoi ouopuolo.ld o Inddºl otto le vo .In lon.o utin o 55es e Ilillº.ilsotti lod o su Islenb uru lp otto voi o utili ulds ezilos essudiº.I | Il III ed l miº o ns o olios ouour pidui orie, o vo otlriori olio lord III trim opotu u onios eupulo, etil e oil.on. l oil o Ip olfettes oil.it il a ºsteo il o negli Ion A ou ouo olio in Ile e se il N . Ierio. In oiloti in love u “ouoduloo is opito illed ollop elziloti o le zut: sos ld Ilesse litolzltifo. ouuuiosi di lui os usul [.. etti e il Ip o | | | | | | | . ll tº o lo l.tolto) sod l) ouopzlullop el o optito. Io l ott e elliot II o II) ml. ll los o utopuoli, ) allo, Ao eI.Io.osolio.ol.i e lpini oil.o nello,osi Iloil oliolli. I ti o Atº III. Il N i lºl li Idl tioli o I.). Il luttoso oft: A otl.oltelloouoptIoonppe 'otiuillirio o ostili osti i millepitoli Itito. el.IIIIIIop olilout -eoplollo.I n.InfII e III: lo esonb o lo s oliº o In VoI o Iellios II, lo  (s) osogssu Io e Iuº pop.Ieo I o UUIpsspn U IUP55oIo,I -Iep eIes II e eu OIun Oo l-IoU I II epU IO “I UIop t Iu II5olo o IoA  -I.Ios OI Opuooos 'eooA u IIon I O unsenb pp e UIopssIULuo po  auloIllla Iuolzno oT sillessi, enalagge, anòfora, iperbate, tropi, metonimia, iperbole, prolipsi catacresi eutimema, epicherema e va discorrendo.Lessi e m'imparai i relativi saggi, assaporando a brevi tratti oi l'uno, or l'altro dei più celebrati componimenti. E qui vi ammirarsi la Pura semplicità del Villani, e là la nobile dolcezza del Giambulari e quando celebrarsi la faconda brevità del l)avanzali, quando la rigida su blimità del Machiavelli. E or questo or quello esaltarsi, e la severa ele ganza del Varchi, e l'abbondante gravità del Guicciardini.Ma dopo tutto ciò, venendo ai fatti. falliva ogni prova. In opera di eleganza, meno alcune frasi che a forza di udirle pil l' Ine ne ricordava e le inseriva sforzatamente, e anche le più volte a sproposito, tra le ciarpe di una dizione sempre mia e di un periodare sconveniente, avveniva di me quel che di un gastronomo, il quale senza impararne altrimenti il me stiere e nulla suppellettile avendo di cognizioni pratiche, pure al saggio di questo e quel manicarello e mercè di un buon corredo di nomi, a. cesse professione d'arte cucinaria.Quarle sconciature ! quanle ingrale dissonanze ! quanti piastricci rincrescevoli ed insipidi! E non se ne può altrimenti. Il commettere ordire di frasi e periodi più tosto ad una che ad altra foggia è cosa tutta soggettiva, è affar di sentimento e vigor mentale. Il quale se guasto o Inal composto, ed il linguaggio altresì. La ridice adunque, il midollo, non le foglie e i fiori si vuole medicare, riformare, ringentilire, a volere che l'albero di selvatico e malvagio risani, Trulli buoni renda e soavi. – Chiesto parecchie volle dai Tedeschi, Francesi ed Inglesi del modo ond'io mi resi lo studio di lor ſavelle proſi! Ievole a segno da reputarini si al parlare che allo scrivere un lor connazionale, diei risposta che fa ap punto pel caso nostro. Perare la mia mente, il mio pensiero ad eſligiarsi in delineamenti e forme straniere non importa appo me l'accostare alla 'nia l'altrui favella, mettere a riscontro l'una parola all'altra e violentare lue e più disparatissimi linguaggi, mercò di contusioni e scontorcimenti, a combaciarsi l'uno all'altro, fatica da farla i provetti ed investigatori delle ultime recondite ragioni filologiche, non via ad imparare lingue fo. restiere: sistema orſo, le diosissimo, lunghissimo e mal sici Iro. Il metodo delle sempiterno raduzioni è una bizzarria, un perditempo, tortura delle menti, inutile, anzi esiziale. E' sempre il linguaggio a conflitto col lin guaggio: non il concetto ad assisa dicevole e sua, e quindi il parlare e scri vere insipido, barbaresco, a urti, a stropiccio, a singhiozzi; indi il de turparsi della propria ed altrui favella; indi lo studiare che si fa ben otto anni la lingua latina ed uscirne appena balbuzienti, quando due anni – chi veramente slidiasse ed avesse alleli o da ciò – basterebbero a farne poco men che un Cicerone. A dunque il ripeto, recare il mio pen siero a riprodursi in effigie di altro idioma vale, a casa mia, legare imme diatamente la parola all'idea, suscitare, a forza di leggere, trascrivere e ripetere ad alta voce e pensatamente gl' idioſismi, le frasi più elette, i per riodi più caratteristici ed anche lunghi tratti, un senso, cioè a dire, im pressioni e senzazioni, pari alla natura ed indole di quel medesimo idioma. ma sì che facendomi a quel linguaggio, le risento e al risentirsi spontaneo scorre dalla lingua il linguaggio stesso. E' un fatto incontestabile. Io ho memoria assai tapina, ho studiato sempre solo e senza guida, non ho mai salto tradizioni, eppure, la mercè di un tal sistema, e a tirocinio di po chissimo tempo mi son reso signore di alire lingue.Egli è il dunque per convnizione di fatto ch'io dico e sostengo che ſilichè l' italiallo d'oggidì si contenta di vederla soltanto ed ammirarla l'eleganza e non è punto del mondo sollecito di recare a proprio sentire il caratteristico elegante e classico, non gli verrà mai fatto per fantasti gare, lambicare, comporre e travagliarsi ch ei faccia, di ritrarre il grato dei gloriosi antichi, ma il suo linguaggio sarà sempre suo, ritratto sempre del suo sentire, del suo pensare. Egli è mestiere di una radicale riforma. Noli erudi e dissertazioni, non indagini, non rile analisi o scrutini filolo gici. Troppo presto. Lo ſaremo sul nostro quando sapremo parlare. Ora lia li sll'o compito studiare accuratamente il magistero del favellare periodare classico; decomporne le parti e quegli elementi imprimerci che ne costituiscono il caratteristico e bello.I ritornando a d'ondo il giusto sdegno, mi trasviò, dico che ad apprendere con sicuro profilo ed anche usare convenientemente quella figura che si chiama con il nemici le elissi, ci bisogna prelibare assen natamente, e leggere, e poi rileggere ancora quegli esempi che in varie guisa la contengono, e ch' io li porgo, gentil lettore, schierati in due di sliIl le classi e solo : I. Voci e il dtsi che comporlot no , e licenza. II. l'articelle e il ct si cui si alliene il prete mi esso.  ("LASSE I.  Voci e frasi che comportano reticenza  l: previlegio di alcune voci o parole, che hanno luogo nel discorso, e luttavia non vi sono, di poterle, chiunque legge ed ascolta, agevolmente intendere, e sentire, e lorse più che non si otterrebbe esprimendole.  Molte di colali reticenze sono in uso anche oggidì, e le ha il popolº continuamente in bocca, e di queste non accade occupal selle.  Ma ne sono alcune che il moderno ordinariamente non usa, e solº pur quelle onde, a mio senno, vagamente si abbellano e prendono sa pore e forza gli ameni dellali dei migliori scrittori.  Te ne offro, caro lettore, che mi lusingo di averlene ogginai in vaghito, eletti e copiosi esempi, colli la maggior parte nell' Eden deli ziosissimo del trecento e cinquecento, e che mi parve di ordinare lº articoli recanti in fronte il segno di quella voce che secondo il sºntinº degli esperti in opera di lettere, in qualche modo si omette, e va Pº intesa. Torno a dire che non è l'assetto della collezione ch'io metto innanzi, e quello che io ne sento– che non mi dà niente noja se ad altri non piace o se ne facesse anche beffe – ma oggetto del mio lavoro è la Lingua degli antichi, e non altro che la lingua. cioè il costruire e fraseggiar clas sico in quanto differisce dal volgare e moderno, mostrato con esempi, e di tante e sì diverse forme, e di autori colali e in numero tanti !  ARTICOLO 1. Ifilif; IMIlMENTE: (si bene; in guisa ecc.)  L' omettersi a suo tempo e luogo l'una o l'altra di queste particelle dà alla frase un garbo che il profferirle non farebbe.Dove, quando e come te lo diranno assai chiaramente gli esempi. (101).  « ... e così dicendo, con le pugna le quali aveva che parevan di ferro tutto il viso gli ruppe ). Bocc. (Traduci: le quali aveva sì ialle).  « Di ciò che... so io grado alla ſottunu più che a voi, la quale ad ora vi colse in cammino che bisogno ci ſi di renire a casa mia ». tale) Docc.  « Diceva un chirie e un sanctus che pareva un asino che ragliasse ». BOCC.  (ad ora'  Alfermando sè, di spezial grazia da Dio, avere una donna per moglie, che lorse in Italia ne losse un'altra ». I3occ.« Parti egli d'aver fatta cosa che i moli ci abbian luogo? ». Bocc. « ... e andronno in parte, che mai nè a lui nè a te, di me perverrà alcuna novella ). I30 cc.« E messa in terra parte della lor gente, con balestra e bene armata, in parte la fecero andare, che...... ». Bari. (102)« E guardi bene colui che avendo l'autorità di prosciogliere della mag giore escomunicazione, assolvi altrui che non lasci della forma della chiesa niente; però che gravemente peccherebbe ». Pass. (ass. altrui in guisa che).« .... e tanto andò d'una in altra (parola), ch'egli si ſu accordato con lei, e seco nella sua cella ne la menò, che niuna persona s'accorse ». Bocc. (talmente - sì chetamente e furtivamente).« Costei è una bella giovane ed è qui che niuna persona del mondo il sa ». Bocc. (in tal luogo e maniera).  “ ... Sere, andiamocene qui nella capanna che non ci vien mai per Soma ». Bocc. (lal nascosta e sicura che,º pensando che in quelle contrade non area luogo dove egli potesse stare nascoso che non fosse conosciuto pensossi di iuggire ad alcuna isola rimola ». Cav. in guisa, sì perfettamente .“ ... con inciò a gillar le lagrime che pareano nocciuole ». Bocc. “ cºddº, l'ºppºsi la coscia e per lo dolor sentito, cominciò a mug ghiar che pareva un leone ». Lo c.“ Dirºmulo nel viso quale è la molto secca terra, e la scolorita co mºre ». Bocc. (103).« IIa roi adunque in parte la lortuna posto che in cui discernere pole le quello che ancora giani ma non potesſe vedere ... Bocc. E da indi innanzi penso sempre modo e via come ei glieli potesse lurare ». Fier. 104 .() h. non li ricordi della cosa dell'Aquila e dello Scarafaggio, che non lui moli la più bello rende la ' o Fierenz. Iale, sì bene ordita, che...). Egli allora con una superbia che mai la maggio e... ». Fierenz. (105). ... roi l'a re le colta che niente meglio ... Ces. talmente, sì bene che...), \ on gli bastando più l'animo di andare in procaccio, si condusse ad atto talora, che... m. Fiel'eliz.  (t ...  ... e conchiuso di appiallargli un bel figliuolo che non vedeva altro che lui n. Fiorenz un igliuolo, l'altrº ente bello e caro, che non vedeva... . « Guarda come ciascun membro se la rassomiglia, che egli non ne perde nulla . Fier. (in modo, il glisa, sì perfettamente . « Per ciò bestemmia, che non par suo fallo . Malin. Se ne scantona, che non par suo allo . Malm. - 1)ice le cose, che non par suo fatto o. I 3el ll. lilli. « Se non fosse lo scrivere, sarebbe un modo di vivere che non m'arrem mo bisogno, ed in rece sua serrirebbe il tener a mente ». Caro. (un modo di vivere tale che ..).« E questo pensiero la innamorara sì l'orte di Dio, che non si po - Irebbe dire, e ricrescevale l'odio di sè e della sua vita passata, che con - - grande empito si sarebbe molla, s'ella tresse credulo che piacesse a Dio o. º CaV.  « ... che se io fossi serrata e rinchiusa tullo di domane in prigione e tenuta ch' io non potessi andare a cercare di lui, penso mi che immansi  che fosse sera, io sarei trova la morla ». Cav. - « ... e andò la infermità montando che i medici il disfidaro (l'ebbero . per disperato). Cavalca.- a Giunse alla porta e con una verghella. L'aperse che non ebbe alcun - rilegno ». Dante (106), in modo, sì presto, sì facilmente. « Si reslieno una cotta che non si potra reslire senza aiulo d'allri ». - Vill. (Iale foggiata che...). NOte  all'articolo 1,  i101) Analizza un po' la frase nostra lombarda: egli è afflitto come mai, e mille altre di somiglianti, nelle quali vi senti oltre l'elissi di tale talmente, anche quella de verbo essere che regge la frase: la quale omis sione è, tra l'altre cose, oggetto di ossrvazione nel seguente articolo. (102) Guarda come ai valenti in itatori del Trecento uscissero della penna spontanee le frasi e maniere dei loro Inaestri.(103) Qui si è forse la voce quale che con leggiadria sta sola e cessa la corrispondenza di tale. Simile all'allegato è quel del Petrarca : « Piaceni a almen che i Iniei sospir sieni quali Spera il Tevere e l'Arno ». (caliz. 29). (104) cioè quel tal modo acconcio e sicuro ; non un, nè il, la cui onis sione dice assai piu che l'articolo non farebbe.(105) E' forma superlativa adoperata spessissimo dai buoni scrittori. (106) E cosi dovrebbesi intendere, a In 1o avviso, anche il secondo verso della Divina CUII, III edia: « Nel II mezzo del cali Iilin di nostra vita -- Mi « ritrovai per una selva oscura – Che la diritta via era sinarrita ». Cioè oscura tanto, a segno che.... E nºn dare a quel che, senso, chi di poichè, perchè (Tomm.) e chi di per dove i Cinomio ed altri). Con questo modo di sentire (tanto, si fattamente), è l'uomo che pervenuto all'età delle tumultuanti passioni si trova coine in una selva tale oscura che non ne vede più uscita, Inentre col chè, perchè ne risulta un senso al tutto  opposto; quello che è causa diventa effetto.  ARTICOLO 2.  flilSSI DI UN VERB0, quando in maniera subordinata  e quando a SS0luta  u). I no stesso verbo di due incisi o membri l'uno all'altro comunque copulati, l'una o l'altra volta, si lace, ove nol vieti pericolo di ambiguità o bisogno di precisione. (« Ti avrei rii a modo che alla Maddalena ». Fior. – che avvenne alla Maddalena). Si sopprime il più nell'inciso secondario, dipendente subsunto, il quale talvolta il primo luogo occupa e tal'altra il secondo. Assai vaga e commendabilissima è l'ommissione, non pur del verbo, ma e di sua appartenenza dopo un che pron.) nesso comparativo, il cui membro principale suona, espresso o sottinteso; tale, così...., in quel modo e grado, quel... che: ecc. (« avere in quell' onore che padre ». Bocc. – cioè nel quale si ha o si deve avere un padre . Si osservi di più che ornettesi talora tal verbo, che anche nel primo inciso è sottinteso (« Richiedersi un uomo del saper che il Padre Nugnez » . Bart. – cioè a dire che sia del sapere onde è il Padre Nugnez, opp.: fornito di quel... ond' è fornito).  b). Anche il verbo soggetto ad un che congiunzione (dass, als, ut, quam) ed al quale risponda un modo – qualità o grado di azione – che sia più che il verbo da avvertire e rilevare, si tralascia molte volte non senza leggiadria di frase e sapor di stile. Il vescovo rispose che vo lentieri ». Bocc. – cioè che il farebbe volentieri la qual cosa avviene non solo di un che a governo di altro verbo (es.: disse, rispose che...), ma altresì del che correlativo di tale, così, il più e « lºd egli con una Su perbia che mai la maggiore, Fier – che non ebbe o non fu mai la mag giore).  Gli esempi che li reco, disposti in quell'ordine che dianzi, non solo vogliono dirti che è veramente crisi, ma anche farlene sentire il grato e stimolarli allo studio assiduo ed elica e di questa e mille altre somi glianti venustà.  ... perchè egli chiama rimedii, quei che gli atlli i Ncellerat lesse o. l)av. quei che gli altri chiamano  a rate ciri, ha questa tarola della penitenzia da quello mºdº da cui la navicella dell'innocenza, cioè da Gesù Cristo e dallº Sltº Pº sione ». Passa V.  « E poichè non potevano sassi si colsero a gittar maledizioni e calun nie ». 13art. e poichè non potevano gilla' sassi.  ... se la faceva la maggior parte dell'anno, all'ºstºsº (lell'Indie, con riso; e quando più sontuosamente, con un pºco d'ºrlº condite sol di lor medesime n. 13arl. e... se la faceva tºll llli lº d'erbe...) º 107):  a punzecchiò un poco la donna e disse: ºdi l' quel ch' io? ». Bocc. (quel che odo io).  Io non so, disse... se a coi sia intervenuto quello che a me, che tutto il dormire di questa notte m'è andato in un sºgnº" continuo di...». Ces.  e però re intervenuto quello che (tll'eremila col suo con lo 0 n 0 º. lierell?.  « I)eh, non..., che redi che ho così rilla la ren Iurat les lè che non c'è persona ». lSocc. - -  « ... sforzandosi tutto di di non parere quei dessi che dianzi, tanti oltraggi gli dissero e così luidi : l)av.  ierata del parto e daranti di linº renula, quella reverenza gli fece che a Padre ». Bocc.  « ... i quali tenevano il Saverio in quell'amore che Padre, e in quella reverenza che santo ». Bart.  si tiene un santo).  º indicasso di ufficio e nei lºdºsini ierri che il re, inviato a... ». Barl. (ed essendo ºi medesimi ferri nei quali era stato il re ).  (nel quale si tiene un Padre..., nella quale  “ ... fare a modo che la madre al lº ºillo quando lo ſa bramare la pOppſl n. Fioretti.  « Ma di sè non curò punto più che se non bramasse di rivere, e non le messe di morire ». Bar . di vivere).  « ... stimerebbono le anime del l'ill galorio rose quel che noi Spine: chiamerebbono rugiade quel che noi solli . Segni.  ºi Iliello che avrebbe curato se non braInasse  “ ... trendosi a credere che Tºllo a lor si convenga e non disdica Che alle altre . I3occ. ... che si conviene e l 1 l I disdice alle altre..« E quelle medesime forse hanno in India l'iti li e gl'ingegni che in lºlºgna: e in quello medesimo pregio sono i lottolº roli costumi in Austro che in Aquilone » Bocc.« Come il Paragone l'oro, così l'arrersi di dimostra chi è amico ». I 3 c'e'. “ Ed intendi sanamente, Pietro, che io Non l'n minº, come l'alt e, ed ho voglia di quel che l'altre ; sì che l'ºrch º io non me ne l) l'ocutc''i non cºndonº da te, non è da di menº male , I3 cc'.“ - ºgli medesimo determinò di rimanersi e Correre quella medesima fortuna che lui, nulla curando me la pºi dila della sua mare, nè il pericol, della sua vita ». Bocc." Iº lº uomini della condizione che essi, maestri e promotori del l' idolatria, altro non era da (t Spell (Irsi ... I 3ar[.." l'Ili all'incontro era fermo di rimanersi al mi e lesimo rischio che ºsi, parendogli la r da mercenaio, non da buon poi sloi e', se at bbandonass la greggia... o. I3art. Se io piango ho di che o. I; rec. di che | Iilliger . “ La ſan le piangeva forte come colei che arera di che , Boce. “ Le quali ſcortesie, molti si sforzano di fare, che benchè abbian di che, sì mal far le sanno, che prima le l'anno assai più comperar che non ragliano che ſale l'abbiano . I loce. (di che doversi sforzare a farle, º Dirò quello ch' io avrò fatto e quel che no , Ifoc,« Voi l'avete colta che niente meglio ». (les in maniera che meglio non si poteva cogliere).“ Di certo non lu mai uomo innamorato così l'alcuna persona che ne facesse o sentisse quello che Luigi per amore di Dio  « Dice il Sere che gran mercè, e che... ». Il che vi tiene obbligo di gran mercè).  « E rispose a sè medesimo che mai no o l'assav.  “ ... e se di niente ri domandasse, non dite altro che quello che vi ho detto. Messer Lambertuccio disse che volentieri e tirato fuori il coltello... come la donna gl' impose così fece p. Bocc. -  « Tornali a Sacai, si ad una ono loro intorno tutti i cristiani a udire  voda Lorenzo che norelle recasse: ed egli a tutti, che felicissime: e contò...». I3: il 1.Prese una tal gentilezza e proprietà che mai la maggiore ». Ces. ... ri con cerrebbe a lui lornare e sarebbe più geloso che mai ». l3 ('.llli 2 di Giugno 1S33 lu incorona la 1 nn 13olena con la maggior pompa che lei ma mai o. I )av.Fracassata l'armalat. g) e mite le lilora di cadaveri, con più virtù e lierezza che mai quasi ci esciutti di numero.... Dav. 108). ... godendo che l'ossei o così vilipesi e br amando che peggio ». Fier. li e li avveri sso di peggio .Vli repliche il lorse... V e di mente che si, ma... . Caro. ! Il rint ºn li, come lo dimosissimo del noti li io, sarebbe quinci pus sotto dentro le l a a predica e ad l abi e a Persiani, con quella riuscita che pochi mesi aranti un lei ren le religioso dell'ordine di S. Francesco, e certi all il seco, li aliili con stelle e mo) li la saraceni . Bart.  N Ote  all' alrticolo 2.  10) , I, I.issi, a lui lo rigore, sarebbe anz doppia: e quando la faceva pI i sontuosame te, se la faceva con.Troppo ci sarebbe che dire se tutte si adducessero le reticenze vaghe parimenti e vigorose di questo potentissimo scrittore Guarda, per dirne pur qualche cosa, con quanta grazia . I 13artoli adoperasse un altra eissi simile a questa che abbiam tra Irlano e, non qualche volta soltanto, Irla soven , che due e tre la riscontri talora nella Imedesima pagina, cd e quei 1 di una proposizione al pit ve li recati ad un solo mercè di ll li V el'ho ( olillllle e generale, cioè in lire di valore lil delel'Illinato essere  fare, mettere, ecc.), che ! ., una sola volta ed a cui guida reggonsi le altre voci di riol: liti il che, come, dove e della diversa azione attri butiva: debboni prenderla alla scoperta contro de lºonzi, rivelare gli rrendi e le andi or vizi, e metterne gli insegnamenti in dispregio e i costi tini in abboninazione del popolo ». « Ciò farebbono levando  popolo in Funai come si era fatto in Amangucci, e mettendo le mer anzie de Pol togliesi in preda, la nave a fuoco, e quanti v'avea di loro al taglio delle scimitarre o invece dei gerundi predando, incendiando e tagliando) – I) in Sancio, come padre comune, a tutti dava albergo, ( a tutti largamente di che sustentarsi ».10s Simile il modo nostro lombardo: contento, allegro, tristo, afflit , come mai, che fu già menzionato alla nota 101. Anche la lingua te desca ci somministra esempi non guari dissimili, ARTICOLO 12.  I VERBI: VOIERE, DOVERE, p0IERE  (mögen, können. diirien)  comportano reticenza ove all'ombra di altra idea, verbo o qual altro sia si termine, sì leggiadrati len le riparano che più grata ed eſlicace torna la loro parte assenti, che non ſarebbero presenti.  Come e in quanlc guisa e li chiaris ono gli esempi. Non leggerli soltanto, ma studiali, assaporali e fil di prenderne dilello. Egli è in questa maniera che il pensare e, per conseguente, anche il dire prende a mano a mano quel tornio di azione, quelli Iorina al resi di eleganza che nei dettati dei migliori scrittori.  « E vede ra la bruttura dei peccati suoi, e i demoni d' intorno ag gravando queste parole in molti modi, vedendo ch ella non sapeva ancora che si rispondere ». Cav. che cosa dovesse o polesse rispondere. « Qui ha questa cena e non saria chi mangiarla ». Cav. chi potesse O volesse mangiarla). « Qui è buona cena e non è chi mangiarla ». I30cc. « ... ſecesi compagno..., per lasciar chi succedere ». Dav. « I)i tanta santili che li dei nomi non al re ritmo a cui entrar dentro o. Fiorelli. (non avevano persona in cui polessero entrare”.« Viene il demonio per sospignerlo quindi giuso. Di che S. Francesc non avendo dove fuggire si rivolse al sasso lo stucolando con le mani...». Cav. i non avendo luogo dove potesse filggire .« Allora disse la liadessa: ligliuola mia, e non ci ha dove tu dorma: ed ella disse: «lore coi dormi in ele, e io dormirò.... ». C: V.« ('h e la mia rila acerba, Lagrimi a nolo II o rasse ove acquietarsi ». Pelr. « Non sapiendo dove andarsi, se non come il suo ronzino stesso dore più gli parera ne la porta ro ». 13 cc.« Non sapeva nè che mi fare, nè che mi dire se non che l'rale Ri naldo nostro compare ci renne in quella ... I 3 t .« I)i Giusea, do ho io già meco preso partito che farne, ma di te stillo Iddio, che io non so che farmi . I 3 ('C'.« Imperocchè quello libro (l' ipocalisse è di grande solligliezza ad intenderlo ). I3ll I. Corn. l)all I e.« E redendosi il leone ingiurialo lanlo, e ſi rendo preso un ſolo slot di intra due, o dargli morte o perdonargli n. Volg. Es p. (se dovesse dargli morte....). º Tullº la rila sua acra spesa in lontanissimi pellegrinaggi, cer cºndo i luoghi santi del Giappone, doru nque e, a qualche idolo o cerimonia con che prosciogliersi dai peccati a Bari.ln lendi sºnº nºn lo, marito mio, che se io volessi far male, io tro l'ºri ben con cui : che egli ci sono le ben leggiadri che mi amano, e co gliomini bene l'oro con cui poterlo lare.Sr lossº un palagio, e l'osse e siandio lullo d'oro e d'argento e bello quanto pil polºsso essere, e non fosse chi l' abitare e non ci stesse per sonti, il n grande peccato sarebbe questo lº Giord.Perche ... chi saperlo? chi ride nel secreto di Dio il perchè di que sto gore i nutrsi così ' . Cesari.e l.odulo sia lalello, se io non ho in casa per cui mandare a dire che lui non si aspellato 13 non ho persona... per cui io possa mandare). E se ci losso chi farli, per lullo dolorosi pianti udiremmo o. Dav. Il loroso qui i lo mai alcun altro (19 .trasporta casi dove il vento... . Bari dove voleva il vento). (110). ( atlandrini ... pºi c'e' lissimo librº srco medesimo d'esser malato lilllo sºlo tra il latlo qli doni di nullò : Che fo ? l)isse lº uno: A me pare, che tu torni a casa, e i lilli in sul lello . I clie dello io il re ?... A me pare l'ori i ba riare a .. .V (Ilen l uomo, io ho la più persone in leso, che lui se sa essimo, º nelle cose al l si l i n olio e col nºi: e per ciò io saprei colentieri da le, I tale delle l e l'afgi l il repuli la cerace, o la giudaica o la saracena, o la cristiana loce. Vorrei sapereli a dalla per la sua presto a dore fare ciò ch'ella gli comandasse ». I 3 (''. | | | .Ella rimase lulla con lenta, pur e ch'ella polesse fa, e cosa che gia piacessº, e rimase a pensa e con queste cose si facessero più presto mm e mi l ' . ( il V : il n.\ 'il' atli Illes la dolorosa notal re lulli mori, e, e mirando or l' uno or l'altro, non saprei qui al primo si piangesse o Cav. si dovesse piangere. l?irollosi tutto a docet li orare modo come il giudeo il servisse, s' av risò di lot rºlli una forza d'alcuna ragion colo, alla s. Bocc.a 1 me pai rebbe che noi andassimo a cerca senza star più ». Bocc che noi li ll'emiro, dovremmo andare .Ma se alcuno si moresse e dicesse: perchè non fu questo rivelat , ad 1 ml mio innanzi che quel li atle morisse, che, come sorerenne all'uno, così avesse sovvenuto all' all I o ” . Cav. avesse potuto.... . E fallo questo, gli disse: quello che a me parrebbe che tu facessi sarebbe questo, che tu pigliassi di molti pesci e ponessegli l'um dopo l'altro dalla bocca di questa lana sino al buco della serpe.... ». Fierenz. a N on sapeva che farsi, se su vi salisse o se si stesse ». Botc. (che ci si dovesse fare, se dovesse...).« Io non so quale io mi dica ch' io faccia più, o il mio o il tuo pia cer, . I3, c. non saprei qual dei due io debba, o mella conto ch' io faccia, se il lilio o il lli i piacere.a Ond' io a lui: dimandal tu ancora Di quel che credi che a me satisfaccia: 'h'io non potrei, tanta pietà mi accordi ». Dante. (mi vogliº, ini debba, o mi abbia a sodisfare). « Nastagio udendo queste parole, tutto limido dire nulo.... cominciò ad aspettare quello che facesse il catraliere n. Docc.  « E perciò dunque proromper ('risto in eccessi a lui così disusati di maraviglia ? ». Segn. (volle, dovette Cristo prorompere).  NOte  all'articolo 12.  (109 ) Forma di grado superlativo, frequell Issillo -lilla penna i classici e con lume alla lingua tedesca e inglese.  (110) Negli esempi fin qui allegati avrai osserva lo clic e una delle voci: chi, cui, che, dove, onde, ove, se il soggetto, oggi 11 o o circost: i nz: principale cui - riferisce con il lique l'azione del III do elit Iro.  i 111) Gustalo, anche negli esempi che a questo film Ilo segui o, quel congiuntivo che cessa l'all l'o, veri o ill de si gllida. 'l'ori la loro is: I lente al : mögen, dirfen delle solite forme tedesche. E dire che si è scritto e di scusso tanto intorno a quei facessimo del l'assava iti. Non per opere « di giustizia che li oi facessimo » ( oè che noi potessimo Irlai fare V . - sione del testo di S. Iº:nolo : « non ex operibus ill-titi que facimus nos. E chi la disse scorrezion degli stampa [ori, che e il rilugio ordinario degli ostinati; chi licenza del traduttore e chi l'una e chi l'altra ( º belleria. Il Bartoli all'incontro, che se l'era il trecento tornato, per così dire, in natura, sente in quel facessimo non il fecimus e II è anche il face remus, che sta bene, dicegli, nell'italiano quel che nel la Inal sone. rebbe; ma un non so che di elittico, come sarebbe a dire: quantunque ne facessimo o altro di somigliarmi e. Vielle a dire in 1 nelllsi i le cºllº, i militi che lion lo dica e nessuno, ch'io sappia, l'abbia mai deti' , espressamente, in tale e simili costrutti vi è sempre clissi di uno dei verbi potere, volere, dovere.  ARTICOLO 13.  Il'INDEfINITO DI UN VERB0  obbligato ad uno dei verbi potere, role e, sapere, dovere, si trala scia alcune volte, con un sapore e con un garbo ſullo italiano. L'oppostº del ragionato all'articolo precedente: là questi verbi, non espressi, erano sottintesi in un altro verbo; qui sono appunto questi medesimi verbi che ne sottintendono un altro. Quando e come agli esempi.  “ Ti orºlli ( o di notti in ono onor quanti seppe ingegno e amore ». l3 cc. seppe o il mare e Irovare  Sºnº lºro non può l tono un cibo, ma desidera di variare ». Doce. (non può soffrire .  l: I tiri spesso rolle insicuri e si la cella rai no, ma più a ranli, per la  solenne guardia del geloso, non si poteva . I; ci ma di più non si po teva fare).º ... non c'n li tlc mi cco in preconi nè in prologhi. Quando volete cose  Che io possa, but N lui il m con lo ... ( il l' . lo era un asinaccio che non poteva la rila , Fiorenz. non poteva reggere).l'ºr la qual cosa ci ri unº, che ci e scendo in lei a mor con linuamente, ed una malinconici sopralli di aggiungendosi, la bella giovane, più non potendo, in fermò ed eridem le mente di giorno in giorno, come la neve al sole, si consumara o. I3 cc. pil non potendo reggere .Voi mi ſono aste e mi accarezza sle allo, a assai più che non dove vate una persona non conosciula e di sì poco a fare come son io o, Caro. che non doveva e onorare una persona, o fare con una... . ... Spatccia la mente si lerò e come il meglio seppe, si resti al buio...». I3 cc.« Il percosse Iddio in la parte che non potea meglio per isrergo (/n (trlo ». Cesari, che li in pole a fare, accadere meglio.... .lºra bassello di persona, e pieno e grasso quanto potea (quanto pol ea mai esserlo, divenirlo .E già tra per lo gridare, e per lo piangere e per la paura, e per lo lungo digiuno, era sì rinto che più a ranli non potea. ». Bocc. non po leva andare, reggere, sostenero).('on gen le sì laccagna, crudele e superba puoss' egli altro che man temere libertà o morire º v. l); V al 17.E tanto basti a rer accennato di quelle che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non può altrimenti che non sia troppo ». Bari (non può essere, non può fare).« Ma lulli erano a campar la vita, se potessero con la fuga o. Dav. (se potessero mai farlo con).« Ora con quante più dimostrazioni di riverenza sapevano, di nuovo l'imarbora ramo . I3art, la croce sapevano fare, esprimere, tributare). « Adorni il meglio che sapevano ». Rart.« La lena m'era del polmon sì munta Vell'andar su, ch'io non potea più oltre a Dante, Maniera comune ad altre lingue).« l 'ea finalmente preso sì allo grado di perfezione che non si potea più là ». Ces.« La natura della cosa porta così e non se ne può altro ». Ces. (dire. fare altro).  « ... se ne rennero in un pratello nel quale non vi poteva d' alcuna parte il sole ». Bocc. (non poteva avere azione... -- Nolalo anche negli esempi che seguono questo particolare uso del verbo potere, che è bello, forte e tutto italiano).  « La bottega dello speziale debbº essere posta in luogo, dove non possano l'ºn li e solo o. I): I V.  ( ... pendici boscose, per i venti di tramontana che molto vi possono smaltate di così duro ghiaccio... ». I;art. Segn.  « ... in paese di terren magro e sil restro, e in lornia la i là d'allis simi monti, onde il lreddo vi può eccessivamente: e pur r è caro di Ie gne ». Bart.  () [LASSE II.  Voci e frasi cui si attiene il pretermesso  Meritano all'enzione in modo particolare e studio quei costrulli che l'erario ad l Il senso che grammaticalmente non hanno, od è altro, e ! all le avanza il malural valore delle parti onde si compongono. La qual costi procede, io m'avviso, da un colal modo di significare, dirò così la lente e lºroprio soltanto di questa o quella voce, alla quale, in tale lal all ra forma ad perala e convenientemente collocata, viene una forza e indi alla mente un' idea che il senso e l'intelletto subitamente appren dono, ma il maniera assai più vaga ed evidente che non farebbe un se gno di valore letterale ed esplicito.  Le elissi della classe precedente erano quelle di certe voci mani festamente pretermesse ed alle tuttavia a sol lin[endere. Ora vuolsi al l' incontro allegare e proporre allo studio del giovane filologo molti esempi di quelle voci le quali, non che si tralascino, ma stanno per più altre dicono più assai che non faccia il material suono. ( ).  ( ) A me sembra, dirò col Gherardini, che, indirizzando la mente a ritrovar questi ascosi concetti, si abbia a ritrarre dalla lettura un diletto ignoto a chi non penetra più là dai lievi egni delle idee che l'autore intende risvegliare. PreVengo che per non isparlire, più che non l'isogni, la materta. pillºvelli di alcune menſi varle soltanto e rimandare il lettore ad altro capitolo di altre ragionarne anche oltre i lerimini dell'Articolo e dire di altri usi più notevoli.  ARTICoLo 1.  lascio le discussioni intorno alla natura di questa particella, se sia O possa essere, secoli l g' sci il lori, alla cosa che semplice preposizione, se si verili e il posto il luogo di altre voci, e se finalmente, i saldi si ad i Ilicic, che di semplice pi e posizione, si i lorº clip i cicli con i voti lolio, li a gli altri, il Ghe rardini, da lui le ho idea pl e le press e soliti esa, o sia dessa all' in con l'o, e così pare il mio, e lo ſcroll l: di Iroppe altre idee, torna a l lIn Se gli e la l li se il l il si l radl Il l'ebbe sull' rogando il re parole, la con i ponenti in ci o la sintesi e slenuandone Illindi il sapore e il vago di II li ascosa vi li Islà: e comincio subito co; - l' addii re, prima di lillo, esempi di un ct ad Iso ben diverso che di sem plice preposizione, e di un gol I loro, di rina belli, virli cd elicacia, che non si potrebbe a pezza con la lunque al ra v . e.  ( )sserver: li : il come l'essere una al parlicella ora articolata e ora no, iol è, con le dicono, allar di colli o di ſol ma sl l'iore soltanto, ma adopera sull'essenziale valore e quiddi là del liscorso. Le frasi, a cagion d'esempio: con lo scudo di pello: stendersi di un vento a poppa: pianura di mare: quardare al concupiscenza, ecc. ecc. si scollcierebbero e guaste rebbero non chi altro ad incorporare comunque l' articolo con un a co tale; laddove altre coll'articolo, p. es.: male allo al camminare: virer.' all' altrui mercede ecc. ecc., perderebbero lor sapore e forza sopprimen (l lo): lo) come assai sovente colesl a risveglia nell'animo un senso che torna pressº a poco ai modi: allo scopo, a fine di, ad elfello di, al hoe ul: in confronto, per rispello a..., al rispello di..: in forma di.., in modo di... a guisa di.., conforme, i clatira nºn le t... quanto d..: a lorsa di....ricorrendo a... con, col mezzo: dopo, di lì a., a distanza, ad inter rallo, della durata di..: intorno a: ecc. ecc.. e come talvolta li par che codosi a come acutamente osserva il Gherardini, si continui alle ideº sottintese: inducendosi, recandosi, nellendosi....... : guardando, ponendo mente: esposto, occupato, inteso, raccomandato, solo posto ecc.Dopo gli esempi di un a che mi avviso altra cosa che una semplice preposizione e voce cui si attiene evidentemente il pretermesso, porrò, quasi a complemento di quello che parmi doversi dire intorno all'uso antico e commendevole della particella a, altri esempi di un a che, se pur è segno di semplice preposizione, non però a quel modo comune e volgare d'oggidì.  Si leggano e rileggano colesti esempi, ma attentamente, assennata mente, ed ad alta voce, così cioè da gustarne il vago e sentirne proprio la forza, il peregrino che lor viene dalla particella a, e gioverà a render sene al tutto padroni, e ridirli e riſarne, occorrendo, de somiglianti, ma sì che appariscano cosa naturale e tua, non opera di studio e d'artificio, gioverà, dico, più assai che non ſarebbero vaghe teorie, mille sacciute definizioni e divisioni, che in materia di eleganza guastano talora, non  che n'aiutino lo studio, ciò è a dire il pratico profitto. (138)  « Mi metterò la roba mia dello scarlatto a vedere se la briga lui si roll legrerà n. 13 cc. tafline di... opp. e sarò vago di.. .a Che senza dolerlene ad alcun tuo parente, lasci fare a me a vedere se io posso raffrenare questo dia rolo scatena lo m. Bocc.« Vè caghezza di preda, nè odio ch' io abbia con ra di roi, mi i lºrº partir di Cipri a dovervi in mezzo mare con armata mano assali, c . lioccº, º allo scopo di... aſlinchè vi dovessi.... .() ne's la cosa º perdonare ai poreri quando errano, ed esot minuti e sè stessi a vedere se negli animi suoi alcuno diſello per arren litrº nascoso si stesse ! ». Casa, Uff.a ()ra ci raccomandiamo a questo Santo morello a vedere s' ('Ili lº niuna forza in mare che ci faccia riare e l'ancore nostre , V. SS Pad. « I ccise un suo mimico, e per camparsi dalle forze della Itaſſio nº si fuggì a franchigia in un monastero ». Barl.« ... disse che egli sarebbe a sepultura ricerulo in chiesa ». I3ocr'. « ... or mi bacia ben mille volte a vedere se lui di rºm o . I3o e'. «Spessissime volte io ho mangiato e bruto non a necessità, ma a volontà sensuale ». San Bern. Tral. Cosc. Cioè: ho mangiato e bevutº non a fine di soddisfare t....« Per quanto io posso, a guida mi l'accosto . l)alle. mi accompa gno pronto a esserli guida,a Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco: lo mi saprei lerar per l'aere a rolo . Dante. (a fine di pigliarini giuoco.« Se tu studi nella continenzia, fa di abitare non a diletto ma a sanº tade ». I)on Gio. Cell.« Leggi non solamente a consolazione e diletto degli orecchi, mi con pensamento, intelletto e fatica d'animo . lºsop. Cod. Fars. « onde se il frutto ti piace più che il fiore, cioè leggere il librº º trarne ammaestramento....... guarda al line che importano le parole ». Esop. Cod. Fars.E andando il leone, poco dopo queste cose, a diletto sprovveduta mente gli renne dato nel laccio del cacciatore ». Pass. 139. ... nondimeno a cautela si ordinò che.... ... Caro. « Io ro che l campo là do Sul (teini l omani a spasso andiamo a risilare ». I'illci Luig. Morg. (a scopo a titolo, a modo di... ). Caro figliuolo, se roi amarale avere a donna questa damigella. roi non lorº rotte le nºr bargagno -. Vill. M. destinandola a esser vostra moglie.l 'endo... una gru ammazza la.... quella mandò ad un suo buon cloco...... e sì gli mandò dicendo che a cena l'arrostisse o Bo, c. Federigo andò a V inezia, e gillossi a piedi del... Papa a miser - cordia , per ottenere, o implorando... Vill. G.Molle colle si conduce l'uomo a ben fare a speranza di merito, od altro suo rantaggio, più che per propria rirli o Nov. ant.« Chi potrebbe dire quanti già a diletto lasciarono le proprie sedie, e alloga romsi nell'altrui? ». I3oce.('osa ordinaria, dic 'egli, che chi è rivit lo dissolutamente a fidanza della divina misericordia, morendo ne sconlidi ». I3art. 140). Maledello è da l io ogni uomo che pecca a speranza ». Pass. (141). La speranza del perdono. Si è data a chi la ruole: E colui l'ha per mio dono. Che del suo peccato duole: \ on chi a speme peccar suole, Ch' io non faccia la rengianza la l'ond.Paolo, sepulto rilmente in terra, risusciterà con gloria : roi, coi sepolcri de ma mi ed esquisiti ed a trali, risusciterele a pena ». Vit. SS. IP: l d.Trasse di prigione la della ln per il rice, e isposolla a moglie nella e il là ali Patriot , Vill. (i. i trad. destillandola a esser moglie. E Maddalena, piena di contrizione, si seri è l'uscio dietro e spo gliossi alla disciplina, diessi a piatti nei e amarissimo mente i suoi peccati ». Caval.... e da rasi ne' piedi e nelle gambe, e da casi nelle braccia, e lo gliera la cintola sua spianata la fornita di spranghe, ch'ella solera por lare a vanità, e spogliarasi ignuda, e batte casi con essa tutta dal capo (il piò, sicchè ella filatra lilla san Ilie o, Caval.a I)i lui rimase uno figliuolo che ebbe non e' l rrigo, che 'l ſece eleſſ gere a Re de Vomani ». Vill. (i. 142).I)ormendo in sieme... nel suo lello piccolo a due, ma ben fornito ». Sacch. cioè fatto per servire a due persone),  Ed assai bene circonda la di donne e d'uomini, da tutti conforta la al negare . I3 # 1 (3).  a V elele com' io son gra ricciuola e male alla al camminare ». Fier.  a Rincorandolo al taglio ». I3occ. a soffrire, a volersi permettere il taglio. “ Chi adunque s'interporrà a che voi coll'anima non possiate a ro stri amici andare, e stare con loro, e ragionare, e rallegrarsi e dolersi ? ». Boce. (ad impedire che..., opp. con tale effetto che...):º 1 roi non sarebbe onore che vostro lignaggio andasse a pover tade ». Nov. ant. (a languire nella povertà).“ ... di poi sempre meco medesimo dedussi quei suoi deli, sentenz º ammonimenti a mio proposito ». Pand.« ... e molti altri che a narrar li saria fastidio ». Giamb. a volerli narrare, se si dovessero narrare, opp. facendosi a narrarli.« Vom prima decaduti ri mirano a ril fortuna che los lo suonano a ritirata, a raccolta, se non fors'anche a vergognosissima fuga . Segn. Sta ma nº, anzi che io qui renissi, io trovati con la donna mia ir casa una femmina a stretto consiglio ». I3 cc.« Chiamare, venire a parlamento.... o. I)av. – (osì dicesi : Suonare a capitolo dei fra i).« Il santo fra le fu insieme col priore del luogo, e fallo sonare a ca pitolo, alli irali raunali in quello mostrò Ser ('appellello essere stato un s(1n lo so. E la C.« ('ongiurarsi alla rovina, alla morte di... ». I3arl. (a conseguire la.. « ... e saranno solleciti a quello che da maggio i sa , i loro coman dalo ». Pand. (a far quello).  « I)i seta, d'oro e d'osli o era coperto E dipinto a bellissime figure Alaiml. Gir. (con ornamento di...).« Una coltre la corala a certi compassi di perle grossissime ». I3 cc. (a forma, il maniera di..., col...).« ('ollirare a campagne di seminali e giardini di delizie ». I3a (a modo..., in tal malliera... .« ('olesti luoi denti falli a bischeri n. 3 cc. (a guisa di... a simili! Il dine di...).« Volendo ciascuno la propria insegna, e ſu forza d'allargarsi in più colori, e quel medesimi in dirersi modi formare a doghe, a sbarre a traverse, a onde, a scacchi, ed in mille altre maniere o. I3orgh. V. « E quelle recchie loro col fazzoletto sul riso a saltero.... V e contº elle ci ſan gli occhiacci torti ! ». I3uon Fier. (144.« I pesci nolar redeam per lo lago a grandissime schiere ». Ioce. la modo di..., – schaaren Weise, Zll...).« Venite a me ispesso, ma non venite a troppi insieme che forse non sarebbe il meglio ». Sacch. (145).« ... renendo da me, non renile a molti, ma a due o tre o. I3ocr'. (non molti insieme, ma due o tre per volta).« E come gli parve tempo cominciò a mettere coperta nºn le ſanli in Faenza a pochi insieme o Vill. (i.a Il conte vedendo che la Chiesa non gli mandara da mari se non ti slenlo e a pochi insieme, le melle... ». Vill. (i.« Le gocciole del sudore del sangue di G. C. che per tullo il suo lº nero corpo a onde discorrevano in terra.... ». Med. Alb. Cr. ( Fºcerſili grande onore regnendogli incontro a processione con molli armeggiatori o Vill. (i.“ Come da più lelisia pinti e l ralli Alla liata quei che vanno a rºta, Lºran la voce e l'allegrano gli alli: Cos... ». Dante, vanno in modo simile a ruota,( 0r chi se lui che ruoi sedere a scranna? ». Dante. (sentenziare a lnodo che fa il (iiudice in tribunale .« La licina prese a vero la parola e incontamente la significò al Re di lºro ucit sito fra lello » (i Vill, per cosa simile, o conforme al vero). “ Se io parlassi a lingua d'angelo e a lingua d'uomo, e non avessi col rilà sì la I ei rom e la campana che si ball e o. (ir. S. Gir. in modo sº. mille a Illello che puo mai fare un angelo ecc.,li gli amando la nudità serrò la resle di (risto : voi, vestiti a seta, arcle perduto il reslimento di Cristo - Vit. SS Pad. (146). Vom scºrre mai se non a suo senno , I ): ille, Conv. 147 .  v  I na gioranº... bella li a lull e l'alli e... ma sopra ogni altra bizzarra, spiacevole e ril rosa intanto, che a senno di niuna persona voleva fare al c'll not cost, nd” (il tri ſul l lut role ra a suo , l 3 , .\ (ii resse l?omolo a senno suo. V una tecon ciò il popolo a Religione e Divinità , . I ): V.lo roglio del I e di costui che renne lui di, alel mio a mio senno, arri'. gnacchi non l'abbia merita lo . Pass, come mi pare e piace). ... fallo a ress' io a senno del mio cane figliuolo e non egli del rec chio padre ! . l)av.Dorma ri e da cantar l'usignuolo a suo senno liocc. quanto e col le V Il le .Ma non si arendo con quei pesci caratlo a suo senno la fame.... ». I I'.... l (t m lo c'h e a senno vostro io, lo debbo tre le l il 1 le pel contralatte no. (i il b.\ on ne corrò meno di li cºn l' ollo, come egli me ne prestò e jam mene questo piacere, perchè io gli misi a suo senno e l'occ. 1 (S). e in somma si pose in cuore di colei e io e contrario a tutte quelle cose. eh ella si dilella ra quando ella era rana: e questo lutto a senno e volontà del suo maestro, e con e ci lui piacesse Cav.... e atmcora pensatrano di domandati lo che modo e che rila t ressero a tenere, e ancora quello che dovessero fare delle cose corporali, impe rocchè ogni cosa volerano che fosse a suo senno e a sua volontà ». Cav. i 149).  ... tutto quel rimanente di pianura a mare n. 13art. 150). (posta vicina al mare, che si illiene al mare, e anche piana come il mare .  ('a mm e rut a tetto , ( la zzi.  I Ncio a strada . I3oe('.  ... e se la collut ne' loro luoghi a mare l ro raramo riso...., allora de lizia ramo ). I3arl.  ... incontra un rento che le si stende a poppa . l?art. I che sollia e spinge innanzi investendo soavemente la poppa).  « Portava a carne cilicio aspro . Cav. ſrad. a strazio di viva carne  “ ... faceva asprissima penitenza, portando a carne sacco asprissimo e di sopra un rozzo vestimento o. Cav.  “ ... negozi che non si fanno tutta ria col notaio a cintola, ma con fede e lealtà di semplice parola . liocc. (par che dica : col nolajo attaccato O appeso alla cintola .  ma con ballerano pianali, dove i nostri con iscudo a petto e spada  in pugno, sloccheggiarano quelle menº bront o. Dav.  « Messa si prestamente una delle robe del prete con un cappuccio grande a gote, ... si mise a sedere in coro ... I ce che arrivava fino alle... o da coprirsi le gole)  a La moglie ne lece piccolo lamento a ciò che ella dovea fare ». Vill. G. a petto, in confronto di... .« Ma io credo a rei rene dello pure assai. Aſſà sì, a quello che porla il tempo, non a quello che ſulla ria rimarrebbe n. Ces.« Troppo ci è da lungi a fatti miei, ma se più presso ci fosse.... .. Bocc. (per rispetto, relativamente a... .« Ciò che daranti dello ſtremo, poco è a quello che dire intendiamo ». I3 cc.« E tanto basti a rer accennato di quelle che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non può all rimenti che non sia lroppo ». Bart. « Che è questa pena a quello che merita sti? ». I3occ.« Ma che è a Dio la oll racola la superbia di un rerne ? ». Dav. « Dall' età di Demostene a questa ci corre 400 anni, o poco più, che alla frale vita nostra possono parere spazio lungo; ma alla natura de' secoli e all' eterno è un batter di ciglia ». I)av. (15 l .« V ent'anni ! che spazio son dessi all'eterno ? tu se' ma la merce tanlessa se ruoi ch' io li baralli a quello o. l)av. (1 o 2 .« Ma lasciamo andare questa comparazione e simili, le quali sono piccole all'altre spese, che si fanno soperchie ». Pandolf.« Le cacce, i parchi, le conigliere, le colombaie, i boschi e i giardini che ri sono già inviati, sono cose ordinarie, a quelle che si possono fare ». Caro.« Essendo conosciuta così allera, Che tullo il mondo a sè le pſ rºot vile ». Ariosto. (cioè : tutto il mondo, paragonato a sè, le parea vile). « Noi abbiam casa d'aranzo, alla famiglia che siamo ». Cecch.  « Domandò quanto egli dimorasse presso a Parigi : a che gli ill risposto che forse a sei miglia ad un suo luogo ». Bocc. (153). Ch'era presso alla città forse a due miglia ». Fioretti « Appresso delle sue terre a tre giornate ». Sacch. « ... io vi era presso a men di dieci braccia ». BOCC. Onde seguì a poco tempo che 'l predetto Irale non resse all'Ordine e lorn Ossi (al secolo ! ». Vit. SS. Pad.  “ Lo l'isloit rispose, a lui parere gran fatto, ma dovendosi a pochi di lorni (tre redrebbe chi di loro losse che dicesse il cero ». Sacch.  “ Egli è la fantasina, della quale io ho avuta a queste notti la maggior lºtti l'a che mi ti s'a rºsse o lºocc. (intorno a queste...., in una o alcune delle scorse notti. (154).Forse a otto dì alla sua promessa vicini . I3 cc. Fiam. lla nosli a lo desiderio grandissimo e in certo modo certezza d'ac col lo..., non ostanti le cose delle a questi giorni in contrario ». Caro. E a questo sci irri e toscano basta la lezione delli rostri tre primi l'atmlº, l'ºl rarcati e l'occaccio, e di certi buoni che hanno scritto a questi tempi ». Caro (circa, in lorno a questi tempi  « Il cui dilello a rendo il maestro redulo, disse a suoi parenti che dove un osso lracido, il quale area nella gamba, non gli si carasse, a costui si con renica del lullo o tagliare l’ulla la gamba o morire, ed a trargli l'osso potrebbe guarire ». Boc ricorrendo al mezzo di... appigliandosi al partito di...). (155).« A grave e crudel morte ti fa i ) morire o, Cav. di morte cagionata da grave e crudel supplizio).c ... in un suo orlo che egli la cort ra a sue mani , l?occ. A buone lanciate li ribullarano rovescioni giù dalle scale ». Bart. (a forza di..« ... aggrappandosi a mani e piedi su per greppi inaccessibili ». Bart. ... miun alti o di sua grandezza aver avuto due nipoli a un corpo : recandosi le cose ancor di fortuna a gloria ». Dav. (156).« Vi dico che 'l cui rallo è mul rilo a latte d'asint... Ed ln l'ennero clº il puledro ſu noi ricato a latte d'asina ». Nov. ant. 157).« Il Demonio tutto di pugne a coltello i peccatori, e non gridano, e non s'agitano, e non si difendono, e non se ne curano: ma lo sto sentiranno il duolo delle fedile, se non se ne medica no ». Fra Gior (cioè : « punge cacciando mano a coltello ». Gherardini).  « I rrecarci in collo un fascio di legne, e rende alo a pane ed ad altre cose da mangiare ». Fioretti. (gegen Brod., mediante permuta di...). a che parimente l' uman sangue, anzi il cristiano, e le dirime cose a danari e renderano e compra citno o l'80cc.« Qual colpa, qual giudicio, qual destino, Fastidire il vicino Porero, e le fortune alflitte e sparte Perseguire, e 'n disparte Cercar gente, e gradire Che sparga il sangue, e venda l'alma a prezzo ». Petrarca, Non per vendere poi la sua scienza a minuto, come molti fanno o. Bocc.  Schiacciara noci, e rendera i gusci a ritaglio ». I ;occ.  “ Vicere all'altrui mercede ». Giamb. (appoggiato, mercè dell'altrui.. . (158). -º 1 ndando un dì a vela relocissimamente la mare... ». I;occ. (cioè : la nave commessa a la vela. 159 .“ Malacca, tornata peggio che prima su gli sparenti e su la diffi. denza era tutta a popolo ed a romore , l art. 160,“ ... e mise il mare in così sforma la tempesta che quattro di e qual tro molti corsero perduti a fortuna, senz'altro miglior governo che... , Bart. abbandonati alla fortuna, in balia della.... ;  1 -  « Non è sì magro cavallo che alla biada non rigni un tratto ». Fie. renz. (che al Vedere la biada.« Non possiamo a certe stravaganze tenerci di non le motteggiare . Caro. « E molte volle al fatto il dir riem menu) p. I)alte. « Se tu non te ne al redessi ad altro, si le ne dei a rivedere a questo, che noi siam sempre apparecchiate a ciò , Bocc.ſt Ma dimmi: al tempo de dolci sospiri. A che e come concedette Amore Che conoscesſe i dubbiosi desiri? ». I)ante. al vedere che cosa, facendo attenzione a che cosa . « Conoscere all'abilo. alla furella , e simili.  « La città si reggeva a consoli o Vill. (i. (con governo di... . (161 . « La della città si resse gran tempo a governo e signoria degli Impe r(Ilori di Roma ». Vill. G.« Se li vorrai ricordare di qual patria lu sii nato, conoscerai che ella non si regge a popolo, come ſacera già quella degli Ateniesi, ma è gorer nata da un signore solo ». Varchi.« ("h e la città allora si reggesse a Consoli o con l'autorità del suo con  siglio o senato, lo dicono chiaramente gli scrittori nostri » Bargh. Vin.  Seguono altri esempi di un'a ad altro valore che di semplice pre posizione e di usi assai diversi, ed in parte anche noti. Non ne faccio serie distinte, che sarebbe troppo lungo, ma ne scelgo alcuni e li di spongo qui alla meglio, l' un dopo l'altro. " " º "gli º º º ninno che voglia metter su una cena a doverla dare a chi vince ». Bocc. la quale sia da darsi a chi  " : lº º l'"ºn lºrº in su un ronzino a vettura venendosene ». Docc. destinato a lirar la vel | I ra”.  “ ... con le note rele a chi più mi esalli , I; art. tale [llo, ad hoc: chi pil...).  Inler indire a morte o l'iel'eliz. º lº Iºsti a baldanza del Signore si il batteo rillanamente... ». Bocc con lº e' Illanti da compiacere all'ardire...).a l?ilo) ma ndo a d'onde mi era poi l'lilo... ... Fier eliz. (al luogo onde). 1 cc (sotti nel castello... vicinissimo a dove ºggi all blano 13asilea (iia il (al luogo dove.('on atmdò a pena della testa . I3 c. (bel Todesstrafe). 1 ml e pare essere a campo, tanto cento viene su questo letto » Sicch. Fr. esposto all'aria del campo.lº a mal rete in sino a Pisa a questi freddi i ... Cecchi, (cioè esposto a | Iesi freddi lo i diesel villeº la donna rimasti sola, racconciò il larselto da uomo a suo dorso , l30cc. (sì che facesse pel suo dorso (162).“ Qualunque altro trilla la resse, quantunque il tuo amore onest., slalo fosse, l'arrebbe egli a sè amata p) i loslo che a te . l oce. (cioè : l'avrebbe egli ama la destinandola a sè per sposa, piuttosto che cederla ti le o. (illerardilli .“ Ed il popolo tutto a grandi voci ringraziò ladio . Vi ss Pad. (163, l'ill d.In abito di peregrini ben forniti a denari e care gioie... ». Doec. cioè : il lallo, per quello che spella, relativamente.... .1 Firenze il luglio e l'agosto si sta male a pesce, perchè si arriva sempre i radicio e pazzolen le o. I Redi I e II. I 64 .l'ol re, in li a prendere q. c. ad istanza, ad indotta di alcuno o. I3oce. I ): I V . I 3:ll'1.  I tesla finalmente a mostrare come anche l' a copulativo e ad ufficio di semplice particella prepositiva venisse allora adoperato dagli autori classici il lima i maniera assai diversa che non si faccia comunemente e volgarmente col linguaggio di oggidì ed è pur degna di osservazione e di studio.  « lo estimo, ch'egli sia gran senno a pigliarsi del bene, quando Do menedio me manda altrui o. IBocc. (165).  c ('he cosa è a ſarellare ed a usar co' sa ri? ». I3oce.  lo dico che è cosa commendevolissima a mangiare e dormire con sobrieldì m. 13art.  Giunto (un cervo) a una stalla di buoi, entrò fra essi: de' qua'i buoi uno parlò al cerro lali parole: Questa è cosa nuova e disusata a star con noi ». I sop. Cod. Fars. « Misericordia si è a perdonare l'olese che sono fatte...., a consigliar chi dubilat, e ammaestrare chi non sa m. Fior. Virl. A. M.  « Mi si arricciano i capelli a ricordarmi di quella orrenda entrata, e sola vittoria di Gallia o. Dav. (166.  « ... ed ultimamente per renne l'anello) alle mani ad uno, il quale area figliuoli belli e virtuosi, e molto al padre loro obbedienti ». Bocc.  « 1 cciò che a mano di rile uomo la gentil giovane non renisse, si dee credere che quello che arrenne, Egli Iddio per sua benignità per mettesse ». Bocc. (167.  ... ed egli ricercò di more colmen le La basso che stesse contento a dazi ordinari, senza metter muore angherie , (iial b.  Ma siccome noi reggiano l' appetito degli uomini a miun termine star contento...». Bocc. (168.  « ... e len negli ſarella infino a vendemia . I3occ. (169.  « L'ora ju a sospetto; la cagione presa per colpa: e la procura la quiete le rò rumore ». DaV.  « Da lui le parti si allolla cano allo no a fidanza di sentirlo parlare . Bari.  « Non ti nara rigliar se io le dimesticamente ed a fidanza richiederò I3occ. (con conſidenza) (170.  « .....passalo a Mantova il cerno, il Padre lo tra millò a Casliglione a speranza che l'aria ma lira e la bella postura del luogo lo risanatsse di... S.  « Non pensando che li mandassero a processione cerli re rsi con l' gli han manda li p. Caro ( 17 l .  « Era fornito l' altare a bellissimo disegno e con molto splendore col (tlchè..... » IBarl.  « Gli parlava a capo scoperto ed occhi bassi ( es.  « Arregnacchè a sua colpa la naricella sia fracassata e rolla º l'assav.  « Il peccato nº ha quegli che 'l ja, perocchè l la a mala intenzione o I'l'. (iiol (l.  « In due maniere sono perdule l'orazioni dell'uomo: s'egli non le fot a buon cuore; o s'egli le fa, e non perdona a colui che natº lº ". (i l'. S. Gir.  a 1)unque loi lu ricordanza al Sere! Fo bolo a Dio che mi vien voglia di darli un sergozzone n. 13, c.  e Slot che lo : io li lai di medico re al mastro 13anco che è molto mi o (1 mlico . Sacch. i 2;.Signor mio, io son presto a contessori ci il vero, ma fatevi a ciascun che mi accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, ed io vi dirò quello cli e io ci ri ) la llo, e quel che no . 13 cc. (173.l'ulte queste cose in lesi io gia i ceti a 1 e a uno ricchissimo padre e lº la miglior rosli o di colo, l'alla loll.l clendo º l'ucidide l e lui e ad Erodoto le sue storie, s'accese cla  (I 'nº' Noi ci il bi: i ne' . Salvi i li. I 4 . e l not figliol lat.... non essendo ci slui ma, e udendo a molti cristiani.. -- mollo con nºi, la l e lui ci is list not leale.... . l oce.  i menduni o alibi due li fece pigliare a tre suoi servitori ». Bocc. ll fece prende e a' suoi uomini ». Sacch.chiunque per le circostanti parli passa ra rubar faceva a suoi soldati .. l) co.e appresso. Nè lece la rare e sl i picciare alle schiave ». Bocc. .... Può e deve per sè dei irare a tutti questi capi infiniti ed efficci - cissimi i corili rli , ( al . I 5 .a guisa che la veggiamo a questi palloni Francesi ». Bocc. a quella guisa che far veggiamo a coloro che per allogar sono, quatrº - clo prendono alcuna cosa . 13o .Mollo a reali le donne riso del cattivello di Calandrino, e più n ci - ri e libri ancora se slalo non fosse, che lo inci ebbe di vedergli torrº' ancora i rapponi a coloro che lollo gli avevano il porco . Docc. I. , ol, ndo la r e nè più nè meno che s'acesse ceduto fare al maestrº - ct tal, le .. . l i r.l mal ripo' a gillossi alla mano di Paolo: la qual cosa (per la un tal e si relendo quei ba) bat i prende e la mano di Paolo a quella bestia. - - - - alls Nero.... . A li apost. | | 6 .Sbigottiti per le pene e per li tra ci tormenti che avea veduti Sos tº 7 ti, a peccatori li l': il ril Vlli .. . l'assveggendosi guastati e a quelli che c'eran d'intorno... ». Boce. ... e ad infiniti ribaldi con l'occhio me l'ho ceduto straziare (il mai ») I 3 , ( -.. goira, di qui e beni che li reali gode) e a questi padri ». Ces : a ! Lasciarsi ingannare ad una rana e slolla speranza ». Pass. (177). Lasciarsi colgere al piacere all rui . Caro.Lasciarsi colge all'obbedienza del superiore , Ces. Lasciarsi rincor e' a questa gente , l?art.Lasciarsi occi pare e vince e alla paura, per forma che... ». C º Ed egli tutto fuoco lasciandosi tira e al suo usalo ferro e d'alletto. - -  - i .  - - -  -  - - - - - 1 Ed io roglio che lui gli conosca, acciocchè regga quanto discre º º men le tu li lasci agli impeti dell'ira trasportare ». 130cc.  t « V assene pregalo da suoi a Chiassi, quiri vede cacciare ad un ca valiere una giovane, ed ucciderla, e diroiarla da due cani o Doce. (178).  « ILa giovane sentendosi toccare a: - nºani di c li l il , il 1 le ella sor, i l tutte le cose amara..... senti i l la erº nell'a mm , quanto, se ios se stata in Paradiso ». Bocc. 179).  NO te e Aggiti inte  all'Articolo 1.  :138) Gli esempi che ti allego, divisati e ord. nati come meglio seppi, sono in numero Inolti e di Iliolte forme e baster: illo; ma son ben pochi del resto, anzi pochissimi a quelli che mi vennero a mano. Non ne ver rei a capo in parecchie centinaia di pagine se Illſ e prendessi a recitare le proprietà, i privilegi, le perogative, gli usi iroll eplici di cosi fatta particella, scandagliarne e discuterne le intime ragioni logiche, erigerne teorie e apprestarne criteri; fallica, del restº, di n. llli pro e per poco no civa. Ella è assai spesso elemento essenziale di Ip idiotismo, o maniera di dire leggiadra e propria della lingua italia tra es. fare a chi piu Iman gia, beve, grida, ecc., e come tali e non in par (Illi luogo da ragionarne, si come quella che d'Illi si intimo, lodo si lega, o per cosi dire si ſolide cogli altri elementi, che ad estrarla, appena la riconos i, e vi si però sell irrle, gustarne ed apprezza ; II e la fa , zii, il ll - da sè sola, Ina nel suo tutto; il che pili convenientemente ſaremo alla terza parte di questo I)irettorio.  I)i più l' a articolata ( III en , preti ess: a 1 in li od altre voci di II, la moltitudine sterminata di maniere avverbiali, nelle quali quella medesima preposizione a, che talora il lica spartiſamente disposizione: a uno a uno; a decine a decine ecc.; tal'altra del ta III do, Iorma: andare a piedi, a cavallo; fare checchessia alla buona, alla carlona; a poco a poco, a otta a otta; vesti a oro, drappo a fiorami ecc., e signi a 1:1, ora, quan-- do imitazione: vestire alla francese ecc., e quando fisica e morale disposi Ziolle: a viso aperto; a occhi chiusi; a malgrado ecc., lIiolti dei quali nodi, cioè i meno noti e pur degni da inci Ilcarsi, si addiirra:ino, corredati al solito di buona scelta di esempi, quando ratteremº degli avverbi o for me avverbiali in particolare,  (139). Nota il modo andare a diporto, a diletto cioè a scopo di diletto ecc. Simile anche l'altro del Passavanti: Guardare a concupiscenza cioè con appettito di rea concupiscenza. Cosi si dovrebbe intendere anche il modo (divenuto) Volgaro : andare a spasso, cioè non nel significato di an dare a passeggio, ma in quello di andare scrivere, leggere ecc.) al scopo di svago, di diletto, di passo. al 10,. Ti aſiuc.: ( ull'allino, col intelizione che confidando e ricorrendo alla livina il seriº rili: lle soglia poi la V V ed Incillo e perdono. I 1, l: la traduzione del molo luogo: maledictus homo qui peccat in spe. Ma Ilia lil , e lº iu vaga e lo I e la Irase italiana! Vi senti l'anilino 11 i - osl, illo e resi resi li ti so a ore, il cliale, Vinto dalla pas sic, Ile, Inti Illit do pur spel I li ai li la V Vt di Irle:lto e perdono continua Iel 1 , ne a 1 I test Illlarsi i pc .I ? Nota la rase: eleggere a re, a maestro, a direttore, cioè ad uf I l i , (il ... SIII il ricevere a servitore. l'elilella , che Griseida non I s se l'all 1' , ai loro presi, e per lui el' . ll v pendendo, ricevere mol \ -- a servidore .. . l 3 , l 'Il sl, avere a maestro, a padre, a si  giore , l Ne l il roll , il Sesil I allegri da poi che l'elobo lo a signore , l'av. S. Analoghi anche i modi: avere ad o more ad orrore: ..... ed s, il fr. ta lite nostre sord, de zze, ma n avrà  ad crrore d'esser da noi i co, da 11 Segn.; avere, tenere; a schifo, a vile; recarsi a vergogna; tenere, avere alcuno a savio, a folle: N Il tr es. i tu a molto folle e la l... » e c. Sell. l'Isl.: avere a tale: « Mlo - rand i poverta lolio Ila e l re r1 llezza l'eo, acciocchè noi il do vessli, i a tale avere. » (ill 111. l.eli .: avere checchessia a misfatto: « A non « minor misfatto aveano il lei e una pulce che un uomo » . Bart. avere a niente. Anni 1 -1 a i l’aut re che il luno, per lui sia in istato di gran polenza, prenda il dire di Villa il gelare e arrogantare i miseri e pic averli a niente.» l'isp. Cod. Fars.| 13, l. a. arti , lata Ilo, di questo e del seguenti esempi, dipendente lei il l l e V g . In - re: a portare, a dovere, a fare ecc. o in a 1 l di sol: Igli, l , , sia il il logº dell’ull o dell'altro verbo (vd : l'ast di Illi e ! ll I lil.S: il l V el sl at le porti li o le inonache. 115 C1 e fra l'era da cori veri e li molli alla volta. E' proprio il zii viel del I cd si li. Ed an li a due, a tre e si traduce zu zwei, zu drei e .I 6 Simile: Sopra vestito a bianco come neve , Vlirac. Madd., ed a 1 le l: i rinse notissimi la vestire a lutto, a bruno: E vedrai mella morte l ' Illi. Il I | 'ltte vestite a brum le li :lle l'el - , l'etrarca, \ mire - della quale si sedeva il la limatrona tutta piena di lagrime vestita a bruno. , l'i . e z! modo, secondo, rili e il senno suo. No alo anche lº : li es . I | i le segli no, lui e sto mollo: la re checchessia a suo senno, a seiºno altrui . . che è bello e proprio della Lingua italiana.1 - Si!! i :ll": lo misi a suo senno, a senno, a talento di..., è l'altra a sua posta, a suo avviso, a posta di....... cºli e lo ss 1 in do per il ri sultº all, pie o altri membri in sua volontà se iroli a posta d'altri. IPal d lf. Conf. Parte II, Cap. III, Serie 3: Modi avverbiali a governo di a.)l º Vl : si ro ( i valra pare che piu che il modo: a senno piacesse ta lo 1 l'altro: a senno e volontà.150 l 'a d (Illesti esempi ha alcun che di comune a tutti, ma non è - "Il pre il nº de into. Si infilo, gli slalo, che è evidente e di un sapore che lo: si potrebbe dire. (151) Ha ripetuto la nota frase di Dante: ....mill'all ni..., e l'Iti “tºo Sli zio all'eterno, che un muover di ciglia Al cerchio che più tai di ill e leio è tOrtO ». (152) Nota il costrutto: barattare a... Con il Premiº Ilari (153). Senza entrare in discussioni nulili a chi, noi la filos list della lingua, ma la lingua stessa si vuole ( Il racemente imparare, li II lºttº Illi alcuni esempi di un a che si riferisce allo spazio sia di 1 li luogo e torna press'a poco ai modi: indi, di li a, in capo a, Icntano, di stante tante ore, tanti metri ecc. Le frasi dell'uso: oggi a otto; lettera di cambio a sei mesi lida per sei mesi) e simili, sono modi di un a a quell'ilso e valore º il gli esempi che quivi arreco.(154) Questo a è somigliantissimo all' a dei precedenti esempi la to alla forma, non quanto al senso che manifesta Iriente è assai diverso. ( 155 ) Questi esempi recano una che par significhi col mezzo, mercè di, ricorrendo a ecc.(156) Nota qui anche la frase: recarsi a gloria. ( inf. V b . Recare, Parte III).(157) Così dicessi: Quadro a olio, ad acquarello e va dicendo. (158) L' a di questi eseIIIpi ha i rain (li: abbandonato a, appoggiato a, in balia di ecc.( 159 ) Crinf. sotto Nave IP ultitario) - VIa niere propri della Natiti a (160) Nota la bella frase: essere una città a popolo ed a rumore, cioè in rivoluzione, in balia del popolo ecc. – E piaceni (Illi II, il vantº le altre: andare a rumore Bart , levarsi a rumore, levar popolo Iº i rt., I)av. ecc. ecc.).(161) Mefferai a sacco anche questa frase: reggersi a re, a consoli, a popolo ecc.(162) Simile anche l'altro, pure del Boccaccio: La donna li fece a p. prestare panni stati del marito di lei, poco tempo davanti morto, li ciuali « come vestiti s'ebbe, a suo dosso fatti parevano ».(163) Dicesi anche, ed è notissimo. a bocca aperta, a struarcia gola, a braccia tese. « I)al sommo d'una rovina si vede Ina donn:i..., la quale « avendo il figliuolo in mano, lo geſta ad un suo... che sta nella strada « in punta di piedi a braccia tese per ricevere il fanciullº o Vasari. (164) Prima di passare ad altro ti piaccia altresì por In, nto, tra le altre molte che le son notissimo e non accade occuparsene, alle maniere : essere a studiare, a giocare, a desinare, a dormire, e nºn ho: trovare, ve dere, stare a giacere; porsi a sedere e simili; il cui a, si bev, rifl 'fi, e si è quella semplice preposizione di vincolo o relazioni o come: venire, andare, cominciare, disporsi a far checchessia, ma necenna attualità di azione ed implica il senso delle parole: nello stato di, occupato in, attento, inteso, dato, ridotto e simile. « Io mi credo che le Suore sien l'uffe a dormire ». Bocc.: « Che Venerdì che viene, voi facci:lto sì che M Iºa olo Trav orsari « e la moglie e la figliuola o tutte le don; e lor parenti, e il l'e . In A i a piacerà qui sieno a desinare moco ». Rocc.: . Venuta a dunque a con « fessarsi la donna allo abate, ed a piè posta glisi a sedere... » Bocc. : « Costoro avendola veduli'a a sedere e cucire.... o IBC) c.: . Altre stallino « a giacere, altre stanno ºrie », l)n mtc.; e Sfi:lmo :) Inc it :) veder l:i gli ri: a Inostra ». Petr. ; e Veduti gli alberelli de silli i colori, quale a giacere e quale sottº sopra, e penneli tutti git at qua e là e le figure tutte il Illbrattate e gli isl , -: i bit , p lisò... » Sa ll.: Si III osse correndo verso a la Cl re e trovandola a mungere e 1: i .... , ( a : « I); pinse un re a ( sedere coll ol'e lli lilli gli lss II e V dl ialli. - l am dei Incrdi: am Studie ren, am lesen, am spielen sein, e simili di alcune provincie della Ger II l: l Ilia, e appllini o l'a del c : la lol V e In altri casi l'a di un in finito soggetto a V el'lno, loli a m - Vlt ; tl , i dll re, la zu.165 , l 'a di questi esempi st: l'a rti oli per altra preposizione articolata e sappi ch'elli e V zzo 1, si a n a preporre talvolta all'infini, o,  a maniera di sostantivo e soggetto comunqil di una proposizione assolu ta o dipendente, la preposizione a live e dell'articolo, ecc. (166 . Trad. lel I l rilarini, e lui 'i gli 1 volta che mi avvenga il ricorda l'ini, so oft, quoties recordor ecc.167 i Venire alle mani; a mano di alcuno e anche Iriodo figurato i le significa: venire in potere d'alcuno.16S) Nota la frase: star contento a qualche cosa. Cont. Contento, l'arte II, Capo V.).169) Simili i modi andare a città Vo' in fino a città per alcuna « Irli:l vicelli la o lº si ... per Vai l'll lno illo, cle andava « a città , l o in illera el tº :ca e vale i nda, e per fatti suoi al capoluogo. Di un viaggiº (ore . ll e la sºsta di ll'i: in altri , iº fa e non dicessi che va a città; andare a santo; . . ll v . l t . ll li i possº andare a santo, e nè il niun bila il luogo ». Boc .; andare, recare a marito – . ... e questa Il l:nti ! nº ll e lo o ire a marito, e le festa bis lo fa a è apparecchiaio , Do ..: . . lo - a : a re dei di delle feste che io recai « a marito » l 30 ..: essere a riva di ... e l ' , a riva di Reno dllo est l' e citi » I), v.: menare a prigione l'a e il gºl al de ll cisiolle di ri e Illiri... che ella si illlllo ne menarono a prigione, ma tutti li misero al a taglio delle spade ». V ill. G. ecc. ecc.(170) Non lo scambiare con l'a fidanza del primo gruppo di questo medesimo numero. Lo stesso dicas del In lo seguente a speranza. i 17 1) I 'a di questi esempi sta evidentemente in luogo di una delle pre posizioni: con, per, in, da.17?) Coi verbi: fare, lasciare, vedere, udire e qualche altro simile, che reggono un'azione in infinito, il sol getto operante di questa, osserva assennatamen e il Fornaciari, si suole, per distinguerlo nettamolto dal l'oggetto, cºstruire collo preposizione a, che corrisponde all'accusativo a - gente melle locuzioni latine con jubeo, sino, video, andio ecc. – Messo to scalmanente si pone il soggetto colla preposizione da, riguardandolo come semplice causa dell'azione. Laddove a dire a esprimesi ancora il rispetto, l'ordine di moto, dirò così, a chicchessia o checchessia hin, her), l'atten zione, il concorso positivo della volontà, l'azione comunque diretta del soggetto principale verso l'agenl e, o, come dice il Fornaciari, verso il soggetto operante, cui egli ſa fare, od al cui ar o dire porge l'orecchio, volge lo sguardo ecc.Ed ora ritorna agli esempi e sappi s'egli è indifferente e affare di garbo soltanto, con lo molti asseriscono, e tra gli altri lo stesso IP. Cesari, il porre in sifatte locuzioni l'a per da o viceversa. Trattandosi poi di cosa  dicevolissima se pur non necessaria ed opportuna all'interezza e verità del discorso e tuttavia dai moderni niente osservata, parvelli di allegarle un buon numero, e ciò all'effetto di toglierne il mal vezzo se Inai bi sognasse di riformarne il gusto.(173) Ognuno sa che il fare dei modi: far portare, far lavorare, far medicare ecc. equivale ad ordin: re, coma Ildare che si porti e , altro di somigliante. Ora vuoi vedere se quell'a lla sua forza e il n vuºl essere scambiato col da: costruisci ( (il comandare, e il 1:1 l 'lie chessia : chicchessia, sarà nè piu nè meno di colmal, dare a chicchessia 'io di reatamente) che ei faccia ecce. quando il far fare che chi sia da l 1 es sia è comandare che si faccia da chi li essia e -- la fa ! (sia cioè che il comando venga da lui li et la III elte o - li sta r il till iſlie trasmesso).; 174) Se avesse detto: udendo da.... sal ebbe stata , l'horen 1 e O ll ricevere materiale involſrl)ti l'io, e aslla le cºlle a l' lel st sia che lo si ascolti, sia che llo, con l at Inzi - nzi ; Il lil I l e i leti , udendo a, volle precisamente significare l'an . zuhoren, l star o ce clio, tender l'11 di o, l'udire ( oli attenzione e concorso li vol ! 11a. 175) Cioè: dee fare che da 11 , l I questi capi si derivi Quel deri vare è qui adoperato a forma di verbo callsativo e sigla I a far deriva re (conf. parte II. Natura ed essere val o di alcuni verbi e(176) Tra (luci: volge:ldo la vista, gli ardi li do a Illella ln l lin, la ti: i le prendeva la mano di Paolo.177) Sostituisci l'al fine permettere e saprai li ferenza da a. (178) Questo esempio ci porge ma era di altre osservazio i cle non fanno qui. Conf. Natura ed essere vario di alcuni verbi ci l'arte II . (179) Il Gherardini spiega cosi: La giovane sentendosi ti recare venuta o pervenuta alle madri di colui occ.; pare al Gherardini di sentire il quell' alle mani, la voglia altresi che aveva di pervenire a...180) Nota differenza tra la frase: sentir dello scemo e l'altra: sentir di scemo in checchessia, cioè aver difetto, ecc. Conſ. Verbo Sentire, l': i e III).181) Nota la questa frase far del...., simile alla precede le sentire, ave re del...), che è Imaniera bellissima e nostro.º 182) E altrove: « Come state dello stomaco ? » cioè per rispetto in fatto di...., in quanto a...  A RTICOLO ! !  Cilf (cong.)  Prima di farmi all'oggetto da trattarsi, piaceni premettere cosa la quale non li verrà si strana e Irivola che non ſi sia anche il lile e a grado altresì d'averla udita. “ (lº è prontone, dice il vocabolario, ma è anche congiunzione di  frequentissimo uso dipendente di verbo, da avverlio, e da comparativi; º coll'accento sta per poiché, perchè -  l' “osi la pensano granai e filºlogi che l'urolio e che sono, nè sa  prei º solº cui cadesse in animo di contraddirvi. l' olga il cielo ch'io ººº º lilli di tenerla a leva, ma a censore di sì tillo, autorevole magistero º il falli , che in omaggio a al do Irina pongo qui il chº, S! " ºn liti il tonº, o il la sa cli, il ragionato estè. Ma se li pur in mia i a V , e  - - irº che questo che di frequentis sillo liso. I pendente ci v. l  - Si p. ssa :ili le intendere o sentire tuttavia pronone, cioè lº chº, nè più nè meno, del precendente numero A lizi, diro 'll 'i'i, lº sll sl tit , ti ma il rale di semplificare e vedere il lill lo tiri I l ss , ,  - i gºl . . . . l III di strano ch'io abbio di concepire, io non so e  A cdr e sentire nella voce che, adope , sola o al I e di altra voce, Se non il pl o non e' e non altro mai che il promonte, | Il lido in una, quando in altra forma.  l' essi i S  \ ºpi ilarli poi di questa ini era l' intendere e sentire, ti  Pºi lui appressº i monti e pon i no e l'intrinseco valore Virli sillclica di Irla i  - l\ ini: gli orsi, chi ben la consi deri, in altre voci pron nera' i ritmi le gi annuali ali:l'irroli cinque differenti manici e di un colal che cong.  | i l. I l a sla al riti il che vo non , sale . I3 cc.  2a Mio fratello è pil dello che pio .  :3a ... che vºli che li cosi rilla la ventilra che non è persona , Boc . ſa « Non era ancora arriva lo che io e gi i partito ..  ;)a lº si pensava che ingannando i l i crilin fosse appresso al tutto  signore n. Vill. (i.  Questi esempi reali, il che dei casi nellovati dal Vocabolario, e che ippo i Cirali ma ci addini in asi rigorosamente congiunzione. Ma se ci testo che la fa il resì, e li si sv: r al guisa, da pronome (v. numero precedente, e il qui il lice cilalo che comporta decomposizione in una ad altra gilisa dello stessº i rom ne, chi ini viola di riguardarlo, senza inello con le pronoln e sen| Irlie al suolo i rispellivi elementi? Il che del primo esempio lesla in me il senso dei modi: di quello che, di quella cosa la quale. Quel del secondo vale, a mio intendere, quanto le voci: di ciò di questa cosa il verbo del secondo incis , virtù di elissi, omesso . ll Ierzo lo riconosci agevolmente quale il che del numero precedente, solo che nell'avverbio così ſi intenda l'equivalente: in tal modo. Anche il quarlo lo ravvisi evidentemente pronome framellendovi la voce allora che va lui forse sol ſintesa, ed i cro che la frase torna subito all'altra: in quell'ora, in quel tempo nel quale ecc.  Più malagevole a concepirsi pronomi pare, a prima giunta, il che del quinto caso, nè mi basterebbe l'animo di asserirne la possibilità se testimonianze ai lorevolissime non li vi confortassero. Come infatti ri guardarlo questo, stesso che quale pari ella ad ollicio di pura e semplice  congiunzione e punto capace di virtù pronominale, se non vi è paro' a cui congiungersi, non un congiuntivo od indicativo che sia comunque obbligato al che, ma un indefinito? Eppure ant'è. Proprio il verbo del citato esempio, ch'io voltai al congiuntivo, il Villani e lo mette all'inde finito, ed eccolo nella sua originale integrità : « E si pensava che, in “ gannando i Fiorentini, e venendo della città al suo intendimento, es. sere appresso, al tutto Signore ».l'erchè parini da ragionarla così: Se quello stesso che, cui noi avremº Ilio obbligalo un congiuntivo od indicativo, sì come nodo, il ppoggio tramezzo di questo ed altro verbo, appio i classici rinviensi Ialora susse. guito dall' indefinito, che a nostro modo di intendere mol palirebbe a - solutamente, egli è pur gioco forza che quegli antichi, usando egualmente ol l'uno ol' l'altro modo, avessero di un colal che alla apprensione, allro senso che di semplice appoggio di tramezzo che si voglia.l) e molti esempi che, oltre l'allegato, mi vennero qua e la scontrati le tre poligo (Illi alcuni pochi. l eggili allentarne le e di rini se io mi li In apponga.« Manifesta cosa è che, come le cose temporali sono transitorio  nortali, così in sè e fuor di sè essere piene di noia . I3 cc. \ - giamo che poichè i buoi alcuna parte del giorno hanno faticato, solo il giogo ristrelli, quegli essere dal giogo alle viali , I3oce. -– a Si ve dova della sua speranza privare, nella quale portava che, se I lor  « misda non la prendeva, ſeriamente doverla avere egli n. Bocc. i E parendo loro che quanto più si stellava, venire il maggior indegna « zione dei Fiorentini.... ». Vill. – ( Proposto s'avea al lutto nell'animo che, se necessario caso l'avesse rilenillo, di rinunciare l'Iſlicio ... Vill. – « Seco deliberarono che, come prima tempo si vedessero, di rubarlo o Bocc. -– « Pirro per partito aveva preso che, se ella a lui ritornasse, ci fare altra risposta n. Bocc. – « .... la precedente novella ini lira a « dover simili nelle ragionare d'Il geloso, estimando che ciò che si a fa loro dalle lor donne, e massimamente quando senza cagione inge  «losiscono, esser bel ſalto m. I3 cc. – ecc. ecc. ecc. Costruzione stranissima, e al nostro orecchio per poco errata, quali lo a colesto che ogni altro flicio si disdica che di semplice congiunzione,  I 'allo invece pronorme, recalo - con inque si opponga il rigido gramina - tico – a valore di ciò, o questa cosa, e la sintassi è chiarissima, logico  il nesso, e l'orecchio pienamente soddisfatto. E quanti altri luoghi piani ci vengono ed evidenti mercè di sì fa II: interpretazione, senza la quale stranissimi li credi ed anche errali. Ti basti, per ogni altro, il seguente del Boccaccio: « E lui come po a rai mostrare questo che ſi affermi ? Disse lo Scalza: Che il mostrerò « per sì fatta ragione, che non che lui, ma costui che il niega dirà che i « dica il vero ». – E che ha mai qui a fare quel che se noi vale questo, questa cosa ?Ella è pur cosa degna di osservazione che altre lingue ancora a dir perano ad officio o valor di congiunzione quella stessa voce che è all'esi pronome, e pronome non pur relativo, ma anche dimostrativo, cioè: oi tos. quod, que, dass (anticamente anche das si scriveva dass , lh tl ecc. ecc. Talchè io mi figuro che quegli antichi della prima scuola, dicendo,  a cagion d'esempio: comandò ch'ei studiasse – er befahl, dass er sl il dieren sollte. – ecc., volessero dire, oppur suonasse loro quanto: collan lº  questa cosa (dasº: studiasse »: ed anche nei medi composti di che ed altra voce – ll'eposizione od altri i - intendessero tuttavia e vi sentissero  non altro le il proliome, orti relativo, ora dimostrativo. 239 . Neh! lo ripeto, è una mia opinione e resti lì.lº riprendendo ora il filo del nostro assunto, dico che il che cong.;  ha virtù dirò così concentrativa e Irovasi nei libri mastri di nostra lingua  assai solvente. - I di comparazione e recante senso di : di quello che - l . il significa di affinchè, sinchè, prima che, senza che, Ne m on, jlto i cºllº e sillili. . llpl calo a lil:inlera e valore dell'avverbio  di tempo: quando.... quando, alcuna rolla... alcuna rolla, di quando in  quando ch'è, ch'è ed anche parle.... ma le. Il che, per dacchè 210 , poichè, posciacchè, perchè 241 poi che (242)  è notissimo e comunissimo, nè porla il pregio di ragionarne.  \ iuno dice a trovarsi, il quale meglio nè più acconciamente ser risse al limit la rolul dl mi m signor e, che se i ri rut ella , l?occ  lo non coglio che lui ne I l a rl pii la coscienza che ne bisogni o. I 3 (' '.  \ orella non quali i meno di pericoli in sè contenente che la mar l a lui li I tu roll (t ). I 3 cc .  ... che io non so il no ben mesce e ch'io set ppia informare ». Bocc. lº migliori ol) e le dando che li sali non e' di no.... . lSocc. \ on le doti più dolore che la si abbia . l occ.  ( n si era la cosa cºn il lut ut lanto che non illi in en li si curatra degli uomini che morire no che ora si cui e're bbe di capre l occ.  \ on li molea renir molto più ni di doll in, nè di speranza, nè d'autorità, nè di gloria, che di già s'a rºsse acquista lo . Caro.  « I fallo i sono poco solleciti, e prima cercano l'utile loro che del padrone . Pandolf. che quello del.... .  a I)arano rista di non tener più con lo di lui, che si facessero cogli allri ». Ces.  ... io ri a cillà e poi lo queste cose a Se) lontcorri, che m' (tilli di non so che mi ha ſallo richiedere . I3 cc. allinchè mi aiuti a questo ggello ch'è.... .  (i uan da ra d'intorno dove porre si potesse che uddosso non gli mc rigasse ». Bocc.  « ... gli menarono innanzi una sua nipol e ch c'ra rimasta, di sºlli' anni, ch are rai nomi e Maria, e lasciatron gliela che egli la gol'ºrnd Ssº Comº gli paresse . Cav.  a ... recatasi per mano la slanga dell'uscio non restò di ballºrni che per isl racco la slanga le calde di mano o l'ierenz. (243).  ... precetto che non parlisse che non me lo pagasse ». Caro.  « ... juggì via e non riposò mai che egli ebbe ritrovato Riondello Bocc.  (( ...  nè mai ristette ch'ella ebbe tutto acconcio ed ordinato p). ROCC. - non si ricordò di dire alla fante che tanto aspettasse che Fede l g0 l'emisse ». Bocc.  ... si pensò di dovere per quello pertugio i tante volte gualare che ella redrebbe il giorane in atto di polergli parlare ». Docc. -  “ Ma fermamente lui non mi scapperai dalle mani, che io non ti paghi sì delle opere lue, che mai di niun uomo farai beife, che di me non ti ricordi ». Doce. 244;.  º sempre gli (al rilano mancherà qualche cosa mai ſi farellerà che non ti rechi spesa . I'and.  (( ...  “ Von posso passare per la strada che non mi regga additare o I;oce. “ ... e l 'nsò non potere alcuna di queste li e, più l' ma che l'altra lodarº, che il Saladino non a resse la sua intenzione ». Bocc.« Mai la sera non rimetterete a riposare che prima non abbiate fatto ſes(tmº della coscienza n. [3art.Giarda le adunque quelle grelole che sono sotto l'abbeveratoio della rostra gabbia, che per la molla acqua che ci si versa sopra sono im fradiciale in modo che voi non ri da rete su due roll e col becco che voi le spezzerete e farete una buca sì grande che re ne potrete andare a vostro bell'agio ». Fierenz.« ... non canterà stanotte il gallo due volte, che lui ben tre alla fila arrai negato di conoscermi ed esser de' miei o. ( es. 2 . .« E questo è il riro della fortezza al tutto inespugnabile ad ogni altra forza che d'assedio e di fame o filorchè, se non. I art.  « I)onolle che in gioie e che in ratsella nºn li d' o o e al di rien lo e che in danari, quello che ralse meglio d'altre decimila dobbre o. I3oce.  « Questo regnò anni trentaselle, che re dei lomani, e che impera loro n. I)a V.  « I'(Il li ch' è ch' è Ne m (t lo) l'i n. l): I V.  « Fu ascolto con giubilo unirersale e m' ebbe in ricompensat, che in danari e che in roba, un ricco presente ). I3art.  NOte  all'articolo 11,  239) Alle congiunzioni perchè, sicchè, fuorchè, affinchè, che se, poi chè, dopo che ecc. rispollidono le le lesclle lielle quali il che rendesi tra - dotto ora vo () was ed ora da 0 den – coll1 razioni ( riduzioni di was e das, e sono: warum, darum, so dass, ausserdem, damit wofern, nach dem. ecc. , 240). Dalla prima volta in poi che io risposi alla vostra non vi ho pIù Scrillo ». Calo. . Essendo limiti i due anni che Luigi era entrato « lella compagnia ». Ces.241 Nè solo per l'enim, etenim, mam, ma anche per l'eo quod, e cur; « Vlla prima giunta mi fece un cappello che io non l'avessi aspettato ». Caro.Disse: Beatrice, l da di l)io vero Chè non soccorri quei, che ti amò  alto Che Ilsi io per te della V o!gare s ll el l ' » - I), i lite. 242). Nota per o costruzione fuori della quale il che per poichè, dopo chè lì lì la lr 1:1 i lu go: tuttº si disarmo e cenato che egli ebbe se ne e andò a ripos lire ». Fier. - è poi che egli ebbe cenato - e ... ci condurrà alla stanza della serpe, dove condotto che sarà, io ti prometto ch'egli lloli ne sentirà prima l'od re, i lle da naturale istinto forzato, e le torrà la vita ». Fierenzuola. Ci si dl lano e compito ch'io ebbi; e gua rito ch'io fui; e letto ch'egli ebbe: e discesi cine noi fummo ecc. ecc. 243 Vlla pari e I V rti . S è par li di tl: la costruzione nolì guari dis simile a quella di questo e dei tre seguenti esempi; potendo differire l'una dall'altra solo in ciò: che, ve in quella la V ore prima è espressa, in que sta può essere soltintesa. Ma sia che quest , che si trovi ad ufficio di finchè, sia che si senta nel periodo l' omissione della voce prima, è sem pre vero che a questo che si attiene alcunchè di sentito e non espresso. 21 ). Il primo che vale: finchè, prima che; il second : senza che, Nota anche i tre seglie , nei quali il che ha evidentemente senso di senza che,2 (5). Fallo futuro presente il verbo reſto da' che e il costrutto è unum et idem che il pre edeinte del F. e enzuola. (illarda l' erenz: e non vi da rete su due volte col be , che voi le spezzeret ( n Ces N ºn canterà sta notte il gallo dlle volte che lui ben 1 l'e negllera 1 dl conosce l'Illi.  A RTICOLO 12  CHI  In questo e nel segui le n il loro li porgo una maniera di dire, che il lis; Izzo grammi, i lico (listi prova add ril lilla e se lendola se ne slrignº gli vien del concio e si con loro e, per il la col l?arloli, più che non fanno i cedri troll (Iula ndo sentono il tutor , Vla 1, il s o di lui. Chi -a all'epos lo e sente il ... , e la virtù che viene alla frase per l'elissi di alcune parti del dl scorso ci si allengono a certe voci ecc., non che intenderla questa In Iniera per l la ed in quel pregio che un vezzo assai grazioso Il ll garbo sl l' .E sappi alunque che anche la particella chi la quale bene adoperata, dice il Puoti, dà molta grazia al discorso – simile alla poch'anzi ragionata che, ha lal virtù sulla penna a valorosi nostri classici, ch. dice altro e più che non dica il letteral suono della voce. Tien luogo quando dei casi obliqui a vario rispetto, cioè senza il segnacaso di, a, da, per, con, che, e quando di chiunque, chicchessia, ed anche di se chicchessia, se all ri muti ecc.Mlal però si potrebbe stabilire quando il segnacaso e quando altra roce sia da sottintendersi, che le più volte l'una e l'altra spiegazione egualmente 1a. « I biloni cosl III li, scrive l'Alamanni, mal si ponno il 11 a parare chi troppo invecchia , ciò è a dire, soggiunge certo lale, da chi troppo invecchia. E son con lui. Ma chi mi vieta d'intenderla anche così : se altri, se l'uomo, o quando l'uomo l roppo invecchia, o in allra sì fatta guisa ? « Ma qualunque spiegazione piaccia, l'asta andar d' cordo su questo che il chi (son parole del Fornaciari per proprietà º i « lingua si usa spesso ed eleganlelneri le cosi in certi modo assoluto. « Di rado avverrà di potere le proprietà delle lingue in I lilli i luoghi « spiegare a puntino nel modo stesso ».Sentilo questo chi e gustalo negli esempi del Trecento ed anche del simpatico nostro Manzoni. o  « ... la casa mia non è troppo grande, e perciò essº non ci si por trebbe, salvo chi non volesse star a modo di mulolo, senso la r moll o zitto alcuno ». I30( C.« Molto da dolersene è e da piangerne... chi ha punto di sentimento, o di conoscimento, o zelo delle anime o. Passa V.« ... e con tutto ciò non si potevano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo: e per paura di questo lupo e cºn nºi o ſi lan lo che nºs suno era ardilo d'uscir fuori della terra n. Fiorelli.« E non è da farsene maraviglia, chi pensasse lo sterminato bene ch'elleno portavano alla persona sua . Cav.Sì come veder si può chi ben riguarda... ». Dante (CoirV. . « Quinci si van, chi vuol andar per pace ». Danle. potransi far più forti piantamenti, chi vorrà...». Cresc. « Sì come la candela luce, chi ben la cela ». I3 l'un. « Come pienamente si legge per Lucano Poeta, chi le storie 'orri cercare ». G. Vill.« Sì come per lo dello suo trallalo si può reale e', e intendo re, chi º di sottile intelletto ». G. Vill.« Furonri sventuratamente sconfitti, e così arrien e chi è in rºllº di fortuna ». G. Vill.« Da volar sopra 'I Ciel gli area dal'ali Per le cose mortali, lº son scala al Fattor, chi ben le slima ». Pelr. (per chi, a chi, se allli mai « Invoco lei (la SS. Vergine, che ben sempre rispose Chi la chitml ) con ſede ». Petr.« I quali trionfando degli animi dei pazzi cittadini, la misera città variamente lacerarono, con acerba ricordazione di quelli inlºlici secoli liſt con non minor gioia, chi queste cose andrà considerando, della tran (I lillità dei presenti ». Scipione Ammir. Stor ſior. - Le quali lui le cose sono esempi rarissimi di gran povertà, umiltà cd (in negamento di sè medesimo, chi pensa che talora per mantenere una di Iºsle loro ragioni, sogliono i mondani nellere a sbaraglio ogni aver loro, e la loro anche la vita un duello ... Ces.º V ºcchi che, perdule le zanne, parcram sempre pronti, chi nulla nulla gli dissasse, a digi ignar le gengive.....; o, Manzoni.('osì il lurore contro costui il ricario , che si sarebbe scatenato peggio, chi l'avesse preso con le brusche e non gli avesse voluto conce der nulla, o a con quella promessa di soddisfazione, con quell' osso in bocca s'acque la ra un poco e... ». Manz.  ARTICOLO 20  Sf (C0mg.)  Anche la particella se vuoi qual congiunzione sospensiva e condizio nale, vuoi qual desideraliva, è appo i classici una di quelle voci previ legiale sotto cºlli ripari in parole, ossia aggiunti, laciuli talora o non  completamente espressi. Il che avviene di un se. – a . recante senso :ì così, e in certa forma di gi Iran lenlo, volo e simili: lo esprimente ricerca, indagini ecc. soppresso e si linteso il verbo che lo precede: per ve:  dei e, per sentire, osservare e va dicendo.  Non misteri della lingua al dunque, non licenze degli scrittori come sano sentenziare alcuni (i rammatici dall'orecchio volgare e guasto, (246) | ma virtù e proprietà delle particelle, onde cioè la ragione intrinseca di cerle contrazioni e maniere si relle e vigorose, le quali sien pur strane e niente intese a pochi sperli, ma a chi sa di lingua, non altro sono, all'incontro, che vezzi e gioie.  l;oce. Così l dio mi dea bene, con l'egli è vero, ch'io mi veniva ...). Se Dio mi aiuti, io non l'utri ei mai credulo o. I 30cc'.a se m'aiuti Iddio, tu se' pore o, ma egli sarebbe mercè che tu fossi  | Se Dio mi dea bene, che io mi i re mira a slitr con le co un pezzo .  molto più o. l occ. a se Dio mi salvi, di così alle ſemine non si vorrebbe aver miseri  cordia ). I 3 cc'. « I), h, se Iddio ti dea buona ventura, diccelo come tu la guada  gnasti ». Bocc. « Subilamente corsi a cercarmi il lato se niente r'avessi ». (per sentire se). Bocc.« ... l'un degli asini, che grandissima se le arera, tratto il capo del capestro, era uscito della stalla ed ogni cosa andava fiutando, se forse trovasse dell'acqua ». Bocc.« ... s'egli è pur così, ruolsi realer ria, se noi sappiamo di riaverlo » Bocc.« Cercando d'intorno se niente d'acqua trovassero ». V. SS. PIP. « ... brancolando con le mani, se a cosa nessuna si potesse appi gliare ». (per vedere, per sentire se.... . Cav.« Corse per tutta la città se per centura la polesse trovare ». Cav. « Lesse come Libona area lallo gillar l'arte, se egli avrebbe mai tanti danari clie..., e colali scempiaggini e canità da increscere buona mente di lui ». (per sapere, scoprire se...). DaV.« Venite qua, guardate bene... Toccale i polsi se han molo tasta º  il cuore se palpita ». (per sentire...). Segn. (247).  NOte  all'articolo 20  (246). Uno di questi cotali poi ch'ebbe ragionato della sinchisi, con fusione di costruzione nel periodo e dell'anacoluthon, che è quando, lice egli, si pone qualche cosa in aria, e senza filo di costruzione, e intendeva appunto di parlare degli esempi di questo numero, del precedente e di al tri che ragioneremo, riprende fiato e soggiunge : a l)i queste figure non « mancano esempi e nei latini e le lorstri allt l'i, ma non si vogliallo a imitare, essendo anzi errori che mo. Sono | Igure, scrisse il valent'll In « inventate per iscusare i falli, nei quali sono talvolta incorsi per una la « fiacchezza anche i più celebri autori ». –- Cavalca, Boccaccio, Dante, l'e trarca ecc. ecc. ecc., che duraste gli alli e i decellºni in escogitare e ci Ill porre gl'immortali nostri libri, e vi si udiaste di l: rlo più chiaramente e leggiadramente che per voi si potesse, solleci'i, sopra tutto, di dare alla vaga, tersa precisa vostra lingua un tornio ed una forma facile ad un tempo, decorosa ed elegante, siatene pur grati agli acliti a sservatori della posterità che a guardarne noi poco sperti vostri lettori scopersero ne vorstri componimenti i solecisilli, le magagne, gli scerpelloni nei quali voi pure, e quel che più monta, tutti ad un modo, con tutto lo studio e saper vostra, portatevelo pur in pace, talvolta incorreste!....  (247) Alcune volte l'omissione di per vedere, per sapere e simili la luogo molto leggiadramente anche senza la soggiuntiva se. « Ed è lecito º il nrola d'usare queste sorte negli olſi i temporali a cui prima tocchi « la volta: come si fa degli ufficiali della città... ». Pass. cioè per sapere, per stabilire ecc.)  ARTICOLO 24  VENIRE  l)el Vario uso e valore così del verbo venire come di molti altri se n parlerà alla distesa nella III." Parle di questo Direttorio.  Quello che ora piacermi merilovare è una certa forma di dire, bella, brevissima ed evidente in cui il verbo reni e non è quell'ausiliare comu I missili o con le guidasi e lorº la passivº in qualsiasi verbo transitivo-attivo, e che tien luogo dell'ausilia e essere, ma è al arnese mercò cui l'azione transiliva-alliva volge ad altro rispello, prende un ordine, dirò così, in verso e ci fa l'effetto di cosa che dall'oggetto soppravvenga al soggetto o di azione emessa indipendente nelle dal concorso di mente e volontà del soggetto, sì che il sol parli ipio aiutato dal verbo venire semplifica e t duce ad una parola le voci: a crenire ad alcuno lo lui la mente, impensatla mente che.... (286i.  Intendila questa bella maniera nei pochi esempi che ti allego. E' tutta italiana e classica, nè so di altra lingua che ne appresti un'altret tale. Solo coi verbi così del li dei netti dei l alini, parmi di sentire alcun che di somigliante. Ma lasciamo ora questa cosa, che troppo vi sarebbe che dire, ed anche a ragionarlo e discuterne poco o nulla rimonterebbe; e passiamo subito agli esempi.  « ... e venutogli guardato là dove questo Messer sedea e... il renne considerando ». I3occ. e essendo avvenuto ch'egli vide... . « A queste la rete che coi diciale bene e pienamente i desideri ro stri: e guardatevi che non vi venisse nominato un per un altro: e come delli li arrete elle si parliranno o l'occ. (che per mala ventura non tv venisse di nominare).a Credetlimi, quando presi la penna, dovervi scrivere una convene role lettera : ed egli mi venne scritto presso che un libro ». Bocc. (ma trovo all'incontro di avervi scrillo.« ... spacciatamente si levò e, come il meglio seppe, si restì al buio, e credendosi tor certi veli piegati, li quali in capo portano, le venner tolte le brache (li.... m. 130cc.« La prima cosa che venne lor presa per cercare lu la bisaccia ». Bocc.  « ... le quali i bisaccie, son si somiglianti l'una all'altra che spesse volte mi vien presa l'una per l'altra ». Bocc.« Fornito il suo ragiona e disse a Simone: melliti più dentro mare, e gilla le reti a vedere se nulla ti venisse pigliato ». Ces.« V atti al mare, gilla l'anno, ti verrà pigliato un pesce sbarragli la bocca e ci troverai lal monela che raglia il tributo per due o. Ces. « ... così andando si venne scontrato in quei due suoi compagni ». I30 c.a ... facendovi qua e là nola, quelle bellezze nelle quali ci venisse scontrato ). ( ( S.« Perchè io entrando in ragionamento con lui delle cose di que paesi, per arrentura mi venne ricordato Lelio . Filoc.Fu un giorno al suo Padre lui lo ama ricalo d' un grave sospetto: cioè che cercando la propria coscienza con ogni possibile diligenza, non gli veniva trovato mai nulla che a suo parere, arrivasse a peccato re miale ... gianni mai avvertiva ch'egli sapesse miai trovare... . Ces.« ... gli venne per ventura posto il piè sopra una tavola, la quale dalla conti apposta parte scom)illa dal li a ricello, con lui insieme se n'andò quindi giuso ». (avvenne ch'egli perse per ventura il piè....). Bocc. « ... venne questa cosa sentita al Fontarrigo ». Bocc.« I ll imamente essendo ciascun sollecito venne al giovane veduta una ria da potere alla sua donna occultissimamente andare ». Bocc. a Mira lavoro di tribulazioni e d'affanni che ti dee venir adoperato nell'anima...». Bart, che ti avverà di dovere anche a tuo malgrado ado perare..... (287).  NOte  all'articolo 24  (286). IRecasi, la mercè di un sil fatto costruito, ogni verbo a quella cotal proprietà che è sol privilegio di alcuni, i quali senza mutarne altri menti la voce si trasformiano d'uno in altro es - ºre; e dresi p. es. perdere alcuno irreparabilmente fare che altri rovilli, spari-ra) e perdere, altre si, checchessia (cioè rimanerne privo, sì che il primo d ce azione diretta, il secondo quella che non dal sºggetto all'oggettº, ma oggettivamente in relazione al soggetto intervielle Conf. Natura e essere di alcuni verbi et . IParte II.).  (287)Che tu dei adoperare -offrire) non solo è inen bello e languido, Intl am(:lle inesatto e lìoll V ( l'O). N. ll Vi -(ºlti l'idea della le cessità dell'atto, indipendentemente dal concorso della volontà. : Tra. Dizioni e forme notevoli e il cui retto uso adopera anche alla vita e all'assetto C0Struttivo  Le cose che abbiamo vedute ſin qui sono senza dubbio gran parte di quello oride il costruirre classico è altro dal volgare e moderno. Ma non si starà contento a questo solo, chi desidera istruirsi davvero ed è veramente vago di riformare il suo dire e conformarlo a quello dei clas sici, recarlo cioè a quel candor di coricelli, Vigor di espressioni e tornio di periodo che è sol proprietà della lingua degli antichi.  E però, prima di passare alla Parte il I., la quale somministra ordi natamente il correlazi. I1 e coesione con certi verbi e voci previlegiate un copiosissimo corredo di lingua, e le dizioni più elette dell'italico idioma piaceni mentovare collettivamente alcuni altri capi nei quali il moderno non sempre s'accorda coll'antico º dai quali la costruzione italiana prende talora sapore e leggiadria.  Natura ecl essere vario «li alcu 11 n i vo rl ,i, suscettibili cioè di vario foggiare riflessivo o irriflessivo, coll'affisso o scenza, e capaci di Cloppia ragioi i ce li agire O Cli valore a cloppio orcli 1 ne cº rispetto, tra 1 1sitivo e il n transitivo, attivo e I neutro.  Intendo qui di offrirli, o mio le! I re, partite serie di esempi che i mostrino quasi in azione corle proprietà e passioni di alcuni verbi, negli accompagnamenti che prendono, nei casi che reggono e Irelle lalicelle che in cellano o rigellano 13arloli, e come essi prendano or un essere ed or un allro, e diventino quel che vuol siano chi gli ado pera, puri alliri o puri neutri, o neutri passivi o assoluti. Ho detto negli accompagnamenti che prendono, avuto cioè riguardo al vario ordine dell'azione, non al vario messo o rispello in che sta ogni verbo, e in ogni lingua, col suo corredo; chè non si vogliono qui riprodurre tutte quelle inſi nite categorie, classi, divisioni e suddivisioni che fecero e fanno tuttavia grammatici e linguisti: il lime, del resto, e in Filosofia utilissime, ma non mai a far di leggiadria, sapore ed eleganza. Di que verbi poi, il cui governo, sulla penna e lingua a classici, relativamente al loro oggetti, dipendenza e corredo si discosta come chessia, o è altro che il volgare e comune d'oggidì, ed anche dell'uso e valore vario di molti altri verbi, si dirà alla dislesa nella Parte III., ove, lra l'altre cose, si ragiona in proprio delle convenienze grammaticali e concordanze reciproche.NEUTR [ ASSOLUTI, CIO È VERBI coMUNQUE RECIPROCI o RIFLESSIVI – NEUTRI PASSIVI, ATTI V I PIt() NOMINA LI () TRANSITIVI PASSIVI – A IDOPERATI ASS() LUTAMENTE  Sono alcuni verbi che nelle menti e sulle penne de Imigliori nostri scrittori si trasformano assai voli e dallo esser loro comune e volgare e tornano di attivi prol li il trali, o trailsitivi passivi, neutri assoluti, liberi da ogni affisso o particella.  Piaceni fornirtene un elet o saggio: per lui del rest o, anzi pochissimi al gran numero che potrei allegare. Studiali, intendili e senti il garbo, il sapore, la forza che viene alla frase dall'uso dicevole e giusto di una tal malliera e striltli.  ACCIECARE - « In prima si commette in occulto, poi l'uomo accieca, in e tanto che pecca manifestamente e fa faccia, e non si vergogna » Cavalca.  Al)I)Ol.ORARE – « Or lorniamo a Maria Maddalena, ch'era illella ca a Imera e addolorava sopra i suoi peccati ». Cavalca.  Al FONDARE andare a fondo) – « E più galee delle sue affondarono in « Inare con le genti ». Vill.- - v. - - - - - - -  « ....più volte si videro su l'affondare, e poichè non potevano dar volta, « gran che fare ebbero a una litenersi e torcere finchè.... » Bart. AGGHIACCIARE – «Come fa l'uomo che spaventato agghiaccia » I)ante. « Ghiacciò il mare...., fu grande freddura e ghiacciò l'Arno » Vlil. ALZARE - ABBASSARE – « Ma già innalzando il solo, parve a tutti di « ritornare ». Bocc. – Simile al to rise degli inglesi -- il cui causativo to raise).SCInarido al continuo per la ci là tutte le campane delle chiese, infillo che non alzò l'acqua.. .. ». Vill.L'altezza del corso del fiume, che per lo detto ring rgamento era to nuta, abbassò e cesso la piena dell'acqua ». Vill. – Equivalente dl sinkem tedesco e to sink inglese – attivo senken, to sink).« Poichè il sole cornincia abbassare e allentare il caldo.... » Cresc. ANNEGARE - AFFOGARE – e Mescolansi le compagnie con l'acqua ora « a petto e ora a gola; perduto il fondo, sbaraglia i si, annegano » I)a V.« Mal credendo che un legno si lacero potesse esser sicuro, mentre  faceva tant'acqua e le pareva di continui annegare ». I3art.  « Alla guisa che far veggiamo a coloro che per affogare solº quan  « do prendºno alcuna cosa.... » Bocc. APPIGLIARE – e Sugano l'umor del campo, e non lasciano esser nu  « triti i sogni nè debitamente vivere e appigliare ». Cresc. APPRESSARE – « Più e più appressando in ver la sponda Fuggelni er  « ror ». I): lillte.  « Quando il cinquecentesimo anno appressa ». I)ante  APRIRE – « La terra aperse non molto da poi... – qui non ti conto con, e « la terra aperse ». I) il tam.ARRATBBIARE – « ..... per quanto ne arrabbiassero i demoni, mai però  a non ardirono più a valti che ... » Bart. « ...ed all'uscio della casa, la donna che arrabbiava, lato vi delle Ina lli, « il mallClò oltre.... » I20 cc. »« ...nel soddisfare alle loro passi il arrabbiano, sinºni: no, sono infe. « lici ». Cosa riASSALIRE – «Il fante di Rinaldo veggendolo assalire, come cattivo, mi ha « cosa al suo aiuto adoperò » Bocc. (cioè: veggendolo che era assalit , lui essere assalito).ASSII)ER ARE – « ...assiderarono tutta la notte, senza pallini la ascill « garsi, senza fuoco, ignudi, infranti ». I): v.ASSOTIGLIARE - INGROSSARE - - . Il collo digrada va sottile, e nel ven « tre ingrossava, e poi assotigliava, digradando con ragione ſino alla « punta della coda ». Vill. Parla di certa serpe di fuoco apparsa in  aria). ATTENERE – « .... lanciato da banda tutt'o ciò che attiene a costumi ».  Bart. ATTENTARE – « ... desidera ido e nº n attentando a fare imprese e ho  a non fanno, che non attentano di fare gli altri ». Bocc. BISOGNARE –- Questo verbo mi darà ina) eria da ragionare le più ava lli). « Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più avanti ». B c. – Il Bartoli guarda come l'ha egli pure identica la stessa frase . I  « Bonzi come riseppero di quel così vituperevole cacciamento, non « bisognò più avanti, perchè si inettessero tutti a rumore ». – E qui dagli ai puristi, ai trecentisti, quando un Bartoli non solo ne parlava con sommo rispetto, ma di loro da vizi e studiosamente si arricchiva.  CALMARE – « .... il vento calmò e un altro 1; e scosse e le dava alla nave « appunto per poppa ». Bal'.  COMPUNGERE – e Forte nel cuor per la pietà compunsi ». Dittain.  (.()NCIARE i maltrattare – E la fa Iligiia di casi vellendo costoro cosi  a conciare, corsero a (iesti cori gri a n pianto, e sl gli si inginº celli:ì rono « a piedi, e dissero: Signore, la Maddalena e caduta in terra e pare « limorta e... ». Cavalca.Il Puoti nota che li el vocabolario noi e registrato questo verbo in forma neutra, come ve lº si qui adoperato,  CONFONDERE – « .... onde se si messo nel pianto confondo, maraviglia non « è ». Dittam.  CONTIA ISTARE - Allora, vedendola la badessa e si contristare, disse « a lei : or che t'è addivenuto, figliu la mia Fufragia, perchè così a crudelinelli e piangi e contristi ? » ( avalca.  CONVERTIRE - Si prop, sero di convertire alla fede di Cristo ». Vill.  DEGNARE - «... nè v'è uomo, benchè povero, che degni far servizio della « sua persona ». Bari. Simile al daigner dei francesi).  I )EI,IZIARIE a .... e se talvolta le llloghi a mare trovava llo ad avere « un uovo di testuggini e alcun poco di pesce allora deliziavano ». Bari.  IDILETTA IXE - Vergognisi chi le reglia in virtude e diletta in lus « suria ». Nov. Ant.  DIMAGRARE - INGRASSARE - I primi quindici di dimagrano e negli a altri quindici di ingrassano ». Cresc. a Ingrassando e arricchendo indebitamente.... ». Vill.  I) ISFARE a E di vero inali ſul lis fatta nè disfarà in eterno, se non al di « del giudizio ». Vill.  DOLERE – . E cortamente di lui tanto dolsi quanto donna del far di « buon marito ». I)itta in« La speranza del perdono si è data a chi la vuole. E colui l'ha per a mio dono, Che del suo per rat, duole ». Jac. Tod.  ESALTARE – « Della detta pugna esaltò si esaltò il capitano di Mela a no, e il re Giovanni abbassò . Vill.a IDC lla sopra detta vittoria la città di Firenze esaltò molto ». Vill.  FENDERE - Vnche se ne fanno convenevolmente taglieri, e bossoli, « i quali radissime volte fendono ». Cresc.GLORIARE - – ... pensomi che l'ºmºnima sua fosse tratta a quella beata  a contemplazione di vedere Gesù, Figliuolo, suo carissimo, così gio a riare, attorniato dagli angeli suoi, i quali così volentieri gli face « vano festa con somma letizia ». Cav. Traduci: colmo, circondato di gloria).IMPICCARE - – Di questo verbo, otlre a molti altri di egual forma enatura, si è il senso passivo assoluto (non per riflessione si ggettiva cioè, ma d'altronde) di cui è capace, e senz'altrimenti variarla – simile al vapulo dei latini – la forma attiva. Pare però che solo l'infinito di tali verbi abbia il privilegio di ricevere un cotal senso passivo.« Fu condannato ad impiccare ». Vill. I cioè ad essere impiccato). « La battaglia fu ordinata, e le forche ritte, e 'l figliuolo messovisi a  « piè per impiccare ». Vill. – Conf. più avanti sbranare. INCHINARE (far riverenza a... } – « E voleseIni al Maestro, o quei mi fe  a segno Ch' io stessi cheto ed inchinassi ad esso ». Dante. INEBRIARE – « I)ando loro lle celli) a beccare, Sillbito inebriano e lloll  « possono volare ». Cresc. « Egli giuocava ed oltre a ciò inebriava alcuna volta ». Bocc. INERPICARE – « All'alba scassano i fossi, riempiendoli di fascine, inerpi « Cano Sll lo steccato.... » I)a VINFERMARE (anmmalare) – a.... E da questo discorse un uso che niuna « donna infermando, non curava d'avere a suoi servigi un uomo..... Ol Che.... » BOCC'.« Egli è alcuna persona, la quale ha in casa un suo servo, il quale inferma gravemente.... ». BOCc. « Avvenne che per soverchio di noia infermò . Bocc. « Avvenne che il detto Patriarca ammalò a Imorte ». Vill. « infermare, ammalare a morte ». Bocc. Vill. Caval ecc. « La povera donna cadde tramortita e ammalò gravemente ». Gozzi. INFINGARIDIRE – « Non badavano n.ITe faccende pubbliche, e insegna « vano a cavalieri Romani infingardire ». I)av. (Conf. Pigrizia Pron tuario).INFRACIDARE – « Infracidinsi l'ossa di quella persona che fa cose de « gne di confusione e di vergogna. Lo infradicidare dell'ossa signifl « Ca..... ». Passa V.« Il nutrimento dei frutti infracida leggermente, perocchè la natura « non l'ordinò, nè produsse ad altro fine, se non accio hè infracidas « se ». Cresc.INNAMORARE – « Concede alle anime che di lei innamorano agevolezza « di Volare in cielo ». Fioretti.  INVII,IRE - RINVELIRE – « Ma poichè si vide ferito invili sì forte... ». Part.« ....la quale (merce) allora appunto rinvili che egli non la voler ». Rart. « Il ladro surpreso nel fallo invilisce ». Vill. LAMENTARE – « Una donna in pianto scapigliata e scinta o forte ia « mentando.... ». NOV. Ant. e Giusto duol certo a lamentar mi mena ». Potrarca. LAVARE – « ... prestamonto lo menai a lavare ». Firenz. LEVARE – « Io sono costumato di levare a provedere le stelle ». Nov. aInt.  « Ma vedendolo furioso levare per batter e glie... » BC ( c.  º llll'altra volta la ino  MARAVIGLIARE – L'anime... maravigliando doventare sinorte ». Dante.  « Con tutto il maravigliare n'eran lietissimi Mll I,TI l?ILIC.ARE – « Mla cldo e l'a llie lìte :  « adosso in aggiore », lºore.  « I)ebb no alunque studiare i padri come  ». Fia Ill.  multiplichi  e con clue Iniestier ed uso s'allmeriti, e divenga fortunata  ſilli.  - . . . . . que rime 1tlti i cresce a io e moltip  Il lonte ». I)av. l'ENTIIAE – « SI cl, e pentendo e per lollando  l)allte.  « Assolver non si può li noli si sieme puossi ». l)ante. « (.lli (li trolls PROVARE -- La Marza car, vellla cert: quali a Inosca dello Iara ca l'ovello dl lilll'allle o lo Provan benissimo alla ril nei luoglli caldi Prontuario . I? AFFIXEI)I).ARE IN IS(..VI.l) \ I RIE ( tale a lui  a contro il Sallesi ». V Ill.  al s'affr, tti si s old fa di pentire ».  la calca gli multiplicava ognora  a ſalniglia, ! ». lPall.lol  licheranno llaraviglio -:1  fo, l'a ll vita  Ne pentire e  llSciIlllllo ».  V ,iere iil  l'laln.  la ll pero in sul nero  e - apore  ». l):) V. (. . ll  noso aleli f. Pianta -  a è quasi sempre d ' e a ed e leggieri a pesarla, e tosto raffredda e io sto riscalda . Cresc. « I Fiorentini si tennero forte gravati, e il riscaldarono nell'i gue: ra  IRIIP AI : AIRE L'inglese to repaire ( on I. lo stesso verbo, IParte Il I . « Nella quale Fiesole º gran parte riparavano dei suoi seguaci ». Amet. « Come vide correre al pozzo, corsi ricoverò in casa e sorrossi dentro ».  I30 ('.  « .... tutta la lla V e dis armi: i ta dalle opere in m te, mal  nu:i:a  e dalla tempesta, e.. aver bisogno di ricoverare a Mºnla ca e Iulvi  a sverl):n l'e ». 13:art.  ROVINARE - Piuttosto vuoi rovinar colla caparbietà tua, che esaltati a col buon consiglio di chi li vuol bene ». l 'ieronz.  a Mentre che io rovinava e li è col reva precipitosamente a fiacca collo)  o in basso loco, Dinanzi agli occhi mi si fu offerto Chi per lungo si  a lenzio parea fioco ». Dallite.  a L'altissima scimmia del tempio di S. lteparata ſu da un fulmino , il  a tanta furia percossa, le gran parte di quel  M:I ( Ini:n volli.  e Rovinò g il mister, mente da un lalzo della montagna ».  a l'asst, l' illla volta sull traileo che Il tº t. (A') fatto ». Segn.  pilona lo  rovino ).  l3,) i t.  rovinare... non è gradi  a lºietro aveva gia preso la china giù rovinando... se non che... »  Cesari. e Clio non rovini , lli vi i l i lil: r. :i bali: l'i slli trabocchetti, i 'l:º  a sopra saldisini p.I vini : i I, lov Ilie troverete ? . Segn.  SALI) AIRE - It.A MI Al AIR(i IN AIRI. I rite g randi non è mal trovato - e a saldino in ventiquattr'ore e che perfettamente rammarginino ». Red.  SBANI)ARE -- .... le ( -a coiiil ritte isselli iti, perchè al grido a del st ) Ve li sbandarono , l . . .  SI3I(r()TTI I º I. – La li ill:1 - 1/: pll'1 o sbigottire, con voce assai piace vele rie, ose.... » I3oce.  SRR.AN ARF - Illvii “i i sll Ille. la do iº la annata di lui ad un  e desinare, l: qual , v. d. ll -t: IIIedesima giovane sbranare ». B.)cc. Aggiungi i modi : mandare o menare chicchessia ad annegare, a uc cidere, e simili, ci e ad essere annegato, ucciso Indi a quattro dl, col ta:nto -piarne, scope, ta, fu mandata uccidere , I3a t. ccc., cliº li  son frequentissimi in tutti i lor li bilogia il guai del trecento e cinque ei to; e li segi :iti a bella cosa a vedere: dura a sof frire; – « Case vaghissime a vedere, comodissime ad abitare ». 3:1 rt. Demonia crribili a vedere ). V |!! - V si lt l'1, l'ille, elle mi racolo furono a riguardare ». I3 ... solº i maravigliose e pau rose a riguardare ». Vili. ... l: Il l: -:1 e l'il 1:1 i lt , il N' -  a stagio gravosa a comportare, che per lo loro piu' volte gli venne dosi dºri di ll 1 le; - l . I3 , . . . . . . . . Forl II ( ll dire che abbia Illo cºntinua in mt boscº 1, scrivi il 13 arioli, IIIa Il li sempre si agevoli e piare a intendere che i 1: pia in di . . . .i e, v. altri si av veng: i il : l II; 1 - il 1 l ' I - I riti l' ignII llo. I ' ' ncere poi di troppo ilt! - In ant III:I: 1 re, che amp ma , o creda po tersi mai trovare un verbo :itti, o chi in qui, sta o simile gui-, non siasi talora uscito a riche in significazione assolut: niente passiva. E s che i rutissimili (.ss e v. 11 ri . di lirl II i qual . In Forli' ciarl, .le .::i: dimi ed altri la intendono e - i ga: o l Iversalme , sarei tº itato il rigil:i ril: i re corri ti 'i : 1:1, li i leli iti :itti vi si getti : l II l de' verbi: fare, lasciare, vedere, udire. Ho veduto, udito, lasciato... a mare liare, biasimare... Tizio a Sempronio - rubare, prendere, por tare, lavorare e il na cosa a chicchessia o checchessia.Mlal, l . Io: Ilo il cli: no i lil I la 'ti i lil Il di al front i rili e Inl Itt e il :ì il tro: i :l ll 1 : i : li si . I l it ,Vli sia però lecito di osservare le villa di irolti esempi in cui il soggetto i porant e il preposizione a ion piò cssere l'i cells itivo a rentrº dei lati; li, e li : : lì il ve li vi ttiva, a tri menti che - orcendo e guar 1:1 dollo la sintassi: e bast, per tutti il - guente del Boern cio : Va -- e l og: 1o di suoi a Chiassi, qui ivi a vede cacciare i d uli i Vallicº: il nº . io va ti ucciderla e divorarla a da due cani ». Si di: • i :) I cacciare, 'l'uccidere e divorare che l'l1:ì. Il no di mi li ssi: -si V . , ( belle sta, il lil:) di scorretto: velt e-ser i: i ti li lì i rivali, il lill cavalli ºre ed eserla cioè: e la stessa essere ) u ( Isa e divorata da due cani. Qual'1 do invece s'oncordanza sarebbe e sconnessione troppo rincrescevole e male ancora si atterrebbero le parti al loro tutto, se si volesse riguar (lare il cacciare quale verbo di significazione, noi Imeno che di fur ma, attivo, il cui soggetto, cioe', cavalliere accusativo agente, ed og gettº , una giovane. Ed oltra ciò si ponga mente a quel che segue, che e appunto il suallegato esempio: Illvita i suoi parenti ecc. , Qiii è omessa o sottintesa la ra tisa dell'aziº alle o l a o da, e però lo sbranare di senso non altro che assoluto passivo. Ma e non e egli forse quel medesimo cacciare, uccidere e divorare del periodo precedente?  SI) IRI 'CIRE - « Esse Ildo essi li oli gular sopra Majolica, sentirono la nave a sdrucire » I30 ('.  SERIRARE rinchiudere ecc. , Olm! che dolore ti venne quando tu il vede sti serrare là dentro, fra le mani dei lupi rapaci, che desideravano di velldicarsi di lui ». Caval.E pensonni che questo ti fosse si gravide il dolore di vederlo così rinchiudere e con lui non potere essere alcuno di voi, che quello del la morte non fu maggiore. » Caval.Allora una delle suore, la quale vide visibilmiente gittare lnel poz  u  (  e zo, gridando forte.... » Cava! Tra due l: essere gittata (lal dellº - lli , nel pozzº ). SM V I, I'IRE - - « (..il iarolo a smaltire ». Cres .  STANCARE a E avvenendomi così piu volte, e io pure volendº mi me - a tere per entrare, stancai, sicchè io rimasi tutta rotta del corpo... ». Ca.Val.STRANGOLARE - Aveva ad un'ora di se stesso paura o della giovane, « la quale gli pare, vedere o da orso o da lupo strangolare. » Boce. TEI)IARE - Alquanti cominciarono a tediare e a dire.... » Fier. TIRARIRE i tirare) -- . E come a messagger che porta uliv . Tragge la gente « per udir novelle, E di calcar nessun si mostra schivo... » Dante. a () ( corso lor l'asilmondo, il quale con un gran last me in mano al « rumor traeva. » I30 ('C'.º . . . . . il topo che nelle sue branche era stato, riconosciuta la voce del « leone, trasse al suo rumore, e ricordandosi di tanta grazia ....» Voi gar. di Esopo. a Maravigliando pur trassi a lei. » I)ittani. « Vide ontrare un topo per la fenestrella, che trasse all'odore. » Nov. V nt.« E la fama di questa opera di santa Marta s'incominciò a spandore e per tutte le contrade d'intorno, e per tutta la Giudea di questo modo a ch'ella teneva, sicchè tutti gl'infermi e poveri traevano a Betania, « e chi non poteva venire si faceva recare, e vi si riducevano come a « un porto. » Cavalca.  e Un piovºnº i grillorando a scacchi, vincendo il compagno, suona a a martello per mostrare a chi trae come ha dato scaccontato, o quan ti do gli ºrde la casa i lillllo Vi trae. » Sacchi,« ... tutto quasi ad un fine tiravano assai crudele. » Bocc.  – Nota la questa frase: tirare ad un fine, per aver la mira ecc. Anche del vento del mare ecc. di cesi che tira, v. gr. violentissimamente a ll e beccio ». I3a 1 t.Per nº lì tornare a 1', dire le stesse cose, vi piaccia qui di por mente ad altre II1:ì il lere che si ill bllo: le e dell'ils . Tirare da uno e cioè sol Ili gliarlo); tirar via un lavoro, tirar giù un lavoro cioè non badare che a finirlo in fretta, anche st; pazza idol ; tirar giù di una persona (dirne male se, za Ibla discrezione al III ndo ,: tirare al peggiore: a Egli 1tlti io che ſi evin (i i lil I::lco tirava al peggiore ». Da V.; ecc.  « Ari ippò l'insegna e trasse : : - la il I grida 'I l ... » I)av. “ . . . . . . e scorrendo per le vie s'intoppano negli alimbasciatori, che udito « il l ril 1g ( 111 di (i e II, 1 lli , a llll traevano, e svillaneggianli...» I)a V « .... la vaghezza di ricolº oscere i gran personaggi, sicche in calca la « gelite - ll al trarre il vederli. , ( es. l ri. TI IRB.ARE – . Il cielo e lill!) io :i turbare. » Nov All. VERGOGNARE - SVERGOGNA IRE .... a qual cosa -oste no, per lui, li a sia il lo, temendo e vergognado ». 13ocr'.« Allor: il crav: lo tilt , svergrgnò ». I v. Esoi). Conf. Disonorare, svergognare – Prontuario).  V( )I,(iERE - V ( ) I, I AI? E . ()r volge, sign( l' In 1 , l'ill decimo allllo, Ch'io a fili sommessº, al di-.  go ». I'et: Noto e 'n ulso anche og  gi(lì, ma chi pensa e vi sento Ina i 'a fol'Irla assoluta ?) a Noril lan'lo III oltr a voiger pr . In queste ruote. , I)ante. « Il tifone voltò e preso altra via, la burrasca subito rallentò...» I3:art  SERI E I | I.  VERBI RIFILESSI VI o con L'AFFisso, AvveC NAcri è superfluo, o NoN NE CESSARIO ALL'INTEGRITA DEL SENSO,  L' posto di quello le si è vedi o lestè. Egli è un colal vezzo de gli scrittori, oggi rarissimo e per pc o smesso, render reciproci alcuni verli : he (li la III l'a ll l solo.  I 'alliss , mi li, ci, si. : Il paglia verbo si rive il Ft il naciari , a come forse meglio lirebbesi, riflessivo, ha virli al l'a di concenl ' ::: l'azione nel si ggello, quasi come quella sperie di cerbo medio greco che i grai lilli alici dicono sul biellivo .  Nella Serie IV seguente ragioni: Isi di alcuni verbi, il cui soggellº non è agente, ma causa dell'azione d'allronde. E come altretta i mi parer ble da riguardare i pronominali di questa serie: pensarsi, sedersi. cominciarsi, entrarsi, morirsi, ecc. ecc. volendosi esprimere azione che il soggetto non solo fa, ma si fa fare: e però, per esempio, mi penso, voler dire: faccio me o a me pensare, o faccio sì che io penso: mi vede, chec chessia, mi entro, mi comincio, mi muoio V. g. di cordoglio, di crepa cuore, ecc. ecc., significare: faccio mie vedere, entrare, cominciare, morire. e, che è lo stesso, faccio si che io vegg , entro ecc. E quanti più altri co. strutti e modi, che misteri della lingua si appellano, ci verrebbero piani e ne sentiremino la ragione intrinseca e logica, l'original candore, se l' genio studiassimo e l'indole della lingua, la natura cioè dei verbi, l'ordine dell'azione, il vero, non storto valore delle frasi ecc.! Sturdiali i seguenti  esempi, e saprai come e con quanta grazia.  V V EIASI Sapete ormai che a far vi avete se la sua vita vi è cara.» lo c. AVVIS ARSI – . .... la qual cosa veggendo, troppº s'avvisarono ciò che  « era e ..... » IBO ( ('. e perchè... s'avvisò troppo bene con lo dovesse fare a... » Boer, « Ma io vi ricordo che ella e piu malagevole cosa a fare che voi per avvelt Ilvo lli v'avvisate. » l Bo .CAMPARSI - - « Appena si campano le dºnne con gli occhi adosso; che a farebbero sdlmenti a te gli anni e quasi rimandate?» I)av.  ( ()NTINI AI? SI e ... liguarda ll do Emilia sembianti le fe”, che a grado li fossitº, che essa i coloro che detto a Veano, dicendo si continuasse». I3 cc. I) I BITARSI - « e saravvi, mi dubito, condannato in perpetuo. » Caro. EN'ITIRA IRSI «E grillingtºndo alla terra, in vendo l'entrata, senza uccision a vi S'entrarono o. Vill. a Ruperto vi s'entrò dentro. » Vill. l'SSERSI - « ... e messosi la via tra piedi non ristette, si fu a casa di «lei ed entrato disse.... » B i .Sempiterne si son le mºzzate, le ferite, i vermi crudi, le stati ran. « golose ecc. ) I):) Vanz.“ In ogni parte dov le noi ci siamo, con eguali leggi siamo dalla a lla tll ril trattati. » Boi ('.“ Io mi sono stato, da echè..., il più del tempo a Frascati. » Caro. l'AIRSI - e Che monta a te quello che i grandissimi re si facciamo?» Boce. “ Divano º sta di non tener più conto di lui che si facessero cogli nl « tiri. » (esari.MORIRSI – « Finalmente, dopo due anni, fra le lupo si mori di vecchiaia».  Fioretti. « ... e così morendosi in poco d'ora, mostrò quanto ciascun uomo sia « mal Infol InatO.....» SCglì.  NEGARSI – « E' il vero che l'amore, il quale io vi porto, è di tanti forzi « che io non so come io mi vi nieghi cosa. Tra luci: che io faccia al lile, « induca me a negare a voi cosa ecc. , che voi vogliate che io faccia º  BOCC. PARTIRSI (v. Dividere – IProntuario, – ... dell'isola non si parti ». I3ocr'. PENSARSI – (Conf. Pensare - IParte III,. – SoInigliantissimo il sich  denken dei tedeschi. – Pensarsi è una specie di pensiero, una fol'Inil  d'induzione, d'imaginazi lie, d'invenzi Ile. Nel pensarsi e sovellle ll il iImaginamento o supposizione non tutta conforme al vero; nel cre dersi è il silnile, Ina Ilon talnto. -- Solº parole del Tollll I laseo. Le Spa - lo per quel che valgono. Io dico che pensare viale formar giudizi, e pen sarsi, un imaginarsi pensando, un farsi o formarsi pellsieri relativa IIlente a checchessia.« Quale la vita loro in cattività si fosse ciascun sel può pensare ». BOCC.« La sera ripensandosi di quello che egli aveva fatto il dì... ». Fioretti « ...mi disse Parole per le quali io mi pensai Che qual Voi siete tal « gente venisse ». I)ante.“ . . . . . sappiellolo che nella casa, la quale era allato alla slla, a Veva « alcun giovane e bello e piacevole, si pensò (Traduci: si fece, si recò a pellsare, escºgitare) Se per lugio alcuno fosse nel Inllro...». Bocc. º . . . . . . e si pensò il buon uomo che ora era tempo d'andare .... ». Bocc. SPERARSI –- «... e sperandosi che di giorno in giorno tra il figliuolo e 'l « padre dovesse esser pace.... ». Bocc.USCIRSI – « ....io vi voglio mostrar la via per la quale voi possiate « uscirvi di prigione ». Fier.« S'usci di casa costei e venne dove usavano gli altri Inerendaliti ».  TBocc. SERIE IV. VERBI CAUSATIVI, cioè INTRANSITIVI o NEUTRI – siA si MPLICI, si A PASSIVI – I&I,CATI AID USO E FORZA TRANSITIVA.  Alcuni grammatici non la guardano tanto da presso e mettono in fascio liransitivi e intransitici, o transitivi di fallo e di apparenza soltanto, dando nome di attivi transitivi o di azione transitiva (imperfetta, come dicono essi) a certi verbi di lor natura neutri e però sempre intransitivaper Iliesto sol che loro risponde nell'oggetto in cui, per cui, su cui, od a ºi º è o si riferisce l'azione, non un caso obliquo, come vorrebbe il natura messo o rispello, ma, per certo lui il vezzo di lingua o tornio di frase, l'accusativo o caso rel.. - ll che avviene, vi i per elissi di I lº svela is o preposizione espri mente "in dell'azione, rispetto aila i stanza o termine cui si ri "sº, lº sºnº : . io h Fei io se stesso, e la sua donna comini  c'Io ct piange e . I 3 º li, o solº a se stesso...: .... cominciò º ſi correre il regno saccheggiando I; I. io è il dire pel regno:  (  Ma pure ingendo di non aver posto mente alle sue parole passeggiò º due o tre volte il giardino, sempre ril, inava (iozzi: « venivano il giorno cerli pescatori al lago di Ghiandaia per pescarlo ». Fier., º Tristo chi vi per cui rimando aliora le solita te libiche pianure ' . Stroc  chi; e ci si dicesi : nº l'11tri il liti in se', nel I e le scale, il monte, ecc.: rotſionati e discorre e un jail! ; liti ti un pº' irolo: andai e una riu. – ... la via che ad andare abbiamo . I ce. passati e il fiume: passare ll no con il coltello dare ad una donna in uno stocco per inezze il pelo e passarla dall'altra parte I, centi si, desinarsi qualche ºsº, ecc. ecc. , vuoi per rili li erla p i licelli, preposizione, o altro aderente al verbo con piani e ai per - con i re un paese: obe dire - ob - audire il padre, la madr : riandare un lavoro, la vita ecc. – (ili cominciò a spiana e quella grand'ella, qual gli pareva che fosse riandare l'ulta da capo la sua vita . I; il I. , n. ll per reva azione di  rella che dal soggello agente Irapassi all'oggetto paziente. Ma lo è di verbi si illi e li vuolsi o li ragionare. Nella Serie II. allegai ai verbi al liri-pi o nominali che sulla penna a classici ci si pre sellli II l ' il lillili il neutri se in plici, la cui azione, cioè transitiva e ri Ilessi sul soggello li a emoli si rel: il lasitiva, non più emessa. lira il rimanente e inerente al soggello. Qui invece mi pongo alcuni altri neitli i di lor nallira. In alli al sl 1 il lei e altresì il cagionars, altronde della rispelliva azi si rie, si gg i è riori : hi la fa, ma a chi la la lare. Nolissimo, a cagi li d'esempio, il doppio uso del verbo Non ci re. l)i esi: la campana, l'isl 1 lu meri lo suona, lila allresì e bene: io suono, ed anche: io suono la campana, il cembalo ecc. Il primo è neutro in Iran silivo: l'azione del sil riare, ni: ridar lu ri suono, aderente al seg. gello, del sogg l sogge! I ci: il si rondo e il lerzo invece non è verbo che dica azione chi si s Io, il cli: i ar . vale: io laccio sonare io faccio sì che un isl 1 Imen lo renda silon Vl tried sino modo spiegasi il III zionare al livo dei verbi qui soll shie ali: e il di p. es. cessare chec  chessia torna a questo : fare che una cosa essi, linisca.  (*) I, a lingua tedesca è ricca pi assai che l' Italiana, francese ed inglese di tal maniera neutri intransitivi. Lasciando stare il gran vantaggio che ha di collegare a nodo di una sol voce qualsivoglia verbo con la rispettiva dipendente preposizione sia dell'oggetto diretto che indiretto o complemento, gran numero di verbi neutri (che, spogli di ogni affisso, reggono un caso obbliquo, o l'accusatlvo con preposizione, e però d'ordine e rispetto indiretto relativamente al loro corredo) trasforma ad altro rispetto e indole quasi transitiva attiva, premettendo ed affigen dovi la particella be, Es : den Rath be folgen (den Rath folgen): dem Herrn bedienen (dem IIerrn dienen ; einen Freund beschenken ; don Feind bedrohen ; Etwas bezweifeln Etwas be sorgen; Jemand behelfen, beweisen, befallen, belasten ecc. ecc.Si che di alcuni anche il Vocabolario ne riconosce l'uso attivo, ma li pºne accanto tal altro verbo che risponde bensì al senso della cosa, ini non n è l'equivalente letterale e non ſi mostra come il suo valor ma lui l'ale, l'azione neutra resta lullaria, avveglia che dipendente e soggetta a chi la ſa fare. Dice p. es. che cessare, attivo, vale rimuovere, sospendere, sºlirſtrº ecc. e ne convengo quanto al senso, ma non quanto alla ra. gione intrinseca e letterale della parola, secondo la quale il cessare non è propriamente azion transitiva del soggetto che cessa, v. gr. un pericolo come sarebbe il dirsi rimuovere un pericolo ecc., ma egli è sempre azion leutra della cosa che cessa. Si è il pericolo che cessa, e il cessarlo non è, a rigor di frase, un rimuover! , che si Iacria, ma vale far sì che il pericolo, comunque non abbia più luogo. Il qual modo far fare, onde spiegasi la forza transitiva di cui è capace il verbo neutro, vuolsi applicato a qua lunque altro che comechessia il comporti.  NI3. – Si fa qui menzione di quei verbi soltanto il cui uso alliro - causaliro – il V Vegnachè ordinariamente assoluti o costruiti neutral mente – è virtù, è particolarità antica e classica. Di allri molli, dei quali una tal proprietà è tuttavia comune di generalmente nola, non accade or cuparcene. Nostro compito è richiamare a vita le smarrite o poco nole hellezze, proprietà, virtù e dovizie dell'avilo, italico idioma.  (*) Di tal fatta verbi è ricchissima fra tutte l'altre viventi) la lingua inglese. E per menzionartene alcuni eccoti : to fall (cadere e far cadere, to drop (cader giù, gocciolare e far cadere o gocciolare, to drink (ubriacarsi e far......), to fly (volare e far.....), to sink (calare, andar giù e far.....), to wave (ondeggiare e far.....), to fire, to well, to play, to please ecc. –. Nella lingua tedesca, invece, si è mercè di una piccola alterazione che il verbo di neutro si rende nel modo esposto attivo : Steigen (ascendere), steigern (far ascendere) ; folgen-folgern; nahen - nahern (e anche nahen cucire); sinken - se nicen ; trinken – tranken , dringen - drāngen; schwanken - schwänken ; erharten - erhärten ; erkranken - krānken; fallen - fallen , stiche In - stechen ; schwimmen - schwemmen ; springen - sprengen ; wiegen - wagen ; einschlafen - einschläfern ; liegen - legen ; sitzen - setzen ; stehen - stellen ; rauchen - rauchern ; abprallen - ab prelien ; fliessen - flössen ; schwallen - schwelten , lauten - làuten ; (es lautet so...., es wird geleutet) ecc. ecc.  Io non so di niun grammatico o filologo il quale parlasse mai od accennasse a coteste verbali analogie, rispetti e relazioni etimologiche. E quanti, a cagion d'esempio – non esclusi Ollendorf, Filippi e Fornaciarl –, s'ingegnano per molte altre vie e a tutto lor potere, e per dichiarazioni e per esempi, di mostrare e far capace il lor discepolo dell'uso e valore, l'un dal l'altro assai diverso, di clascuno dei surri feriti verbi stellen, setzen, legen, quando una parola soltanto basterebbe e farebbe più assai; dicendo cloè che ll son verbi causitivi : stellen di stehen, setzen di sitzen, e legen di liegen.  S'io lavorassi o dettassi comunque una grammatica, distinguerei quattro gran classi di verbi :  I.a – Attivi transitivi – lo anno. L'azione transitiva è mia. II.a – . Attivi causativi. – lo guariseo alcuno, io risano, io suono, io cesso  ecc. – Mio l'atto causativo, ma non gli l'azione stessa del guarire ecc.  III.a – Meutri relativi. – Io corro (una via), io piango (alcuno) ecc. (Conf Il ragionato testè).IV.a – Meutri assoluti. – io vivo, io dormo, ecc. Il dire: vivere una vita.  tranquilla, dormire un sonno dolce, placido ecc. non toglie al vivere, al dormire la sua forza neutra assoluta, ma é sol modo elegante che torna nè più nè meno all'altro: vivere, dor mire placidamente, e pºrò altro non è l' accusativo che un verbale o simile spiegativo dell'a zione o qualità del soggetto, non già vero accusativo od oggetto paziente. “ Dormito hai, bella donna, un breve sonno. , Petrarca.CESSARE – « ...da troppo più erano in lorze, ma il Saverio ne cessò ogni pericolo ». Bari.« ...e cominciò a sperare - e nza sia per clie, ed al quallo a cessare il desiderio (lell: l III olt . l 3o t .Così a dilnque, l la sua pr inta e si riazzevol risposta, Chichibio  cessò la mala ventura e la il 1 ossi col sito - . . . ». Bove. E se pure i liti e li rig . Vi volesse soprarſi lº  cessatelo con pazienza e sopp rti / i 'le. .. .. l'a ll dollini. Eglino si l vera lo sotto i rii il l i s'1-s . . . . . .it , livºr cessare  la neve e la notte e le sov l instil V a . l ore 11 i. Cristo pregò il lº; i dr . lle cessasse il calice le! l -- i il di lui ».  (  la Val. e l'el terna li slla voli e, lil cessossi e la lº tissi da FI l elize ». V ll I.: s cessarsi di q. c. 1 - lei tºls e, rilla nerselle. ( :) | Astenersi lº l'a lt 1 l:ì i l . La terra fu cessata dai livelli lº stilt la c. l .  « l'el cessare i pesi d llllo si, it : i cl l - e gli stessi , con la Illiato ».  ( es: ali. « Per cessare ogni vista di tiri, la gran le zza s. Cesari. CONVENIRE. - indi convenuto, le ini, e il dizi: io, che è participio non  del neutro, ma del call sativo ccn venire, e si n 1 l I a chi è fatto con venire o gli fu intimato di convenire« Questa (l'anima , dinanzi da sè, il Clti i lu lu parte del mondo, può a convenire chi le aggrada » (iitll .a Chi conviene altrui il giustizia di pi st Ilnolli ». (iiulo. « I)ilmalizi a gillsto gill di 1 , i : i - o sia le convenuto ». Bo c. cioè siate stato chi: Irlat , ( 1:111 o vi è lll' '.CIRESCERE - « Questo luovo tono di vita, crebbe in lui lo studio della Virtuſ ». Cesari.E indi a poche linee torna a in ora la stessa frase : . Questa piena de « di alzi alle crebbe il lui lo stll dio della Virt il il segno... ». « E crebbono assai l: l 'ilt: i (li tºis: l ... V Ill.E questo pellsiero la illlia Ino a va sì forte di l io: che lì lì si potrebbe a dire, e ricrescevale l'odio di sè e della sulla vita passata, che con grande empito si sarebbe morta s'ella avesse ci eduto che piacesse più a I)io». Ca Valca. Il testo li rincrescevale, ma niuno degli intelli gellti dubitò mai ch'egli sia altrº tale che ricrescevale, il quale sta qui non in significato neutro, come nota qualche espositore, ma cau  sativo retto da pensiero, il quale non solo la innamorava ecc. ma adoperava ad accrescere vie più l'odio di sè e c. Noterai qui anche l'altro causativo: si sarebbe morta. E chi dubitarne se da quel che segue chiaro, a parisce che per lei sola si rimase che d'odio non morì ? DERIVARE. - « .... cºme il giardino con fare il solco deriva l'acqua alle piante, così.... ». Segn.« ....che può e deve per sè, senza ch'io e litri in queste vane dispute, « derivare (il folgern dei tedeschi) a tutti questi capi infiniti ed effica cissimi con forti ». Caro.FALLIRE – « Ma il barbaro amore questa promessa falli ». Rart. « Guarda in che li fidi ! Risposi: nel Signor che mai fallito Non ha « promessa a clli si fida in llli ». IPetr.« Onori avevano grandissimi e sfolgorantissimi; come altresì fallendo il loro voto, erano seppellite vive ». Cesari.Nola qui le frasi: fallire il colpo, alli, e la ria. Fallire neutro, vale : li tallº all'e, V Cnil lilello - le lire e - V el sagi li ''I raro, commellere fallo,  andare a vuolo - si leiler n : - la debolezza vostra per conto della « carlie è maggiore che non crediale, ed a passi folli la lena vi fallirà o. Cesari. – « Sentendosi il marchese agli sll'eli e pallendogli tutti i pal a lili da scioglierne... . . ( es. \ i rolli: il falli la speranza ». I liv. Ml. (Conſ. Dilello ecc. Pi ritira iFINIRE –– a Per cessare il pericolo o finir la vergogna dell'essere sl Iriale sullla bºcca dei suoi 1 ratelli.... ». Bart.  « Chiedeva lo riposo per interce e di non morire in quelle fatiche, a Ina finire, con il pi di viver , si duro soldo o l)av.« Finite i peccati.... Io vi prega v. 1 che finiste le oscenità dei teatri ». Ceskani.« III camera dell'ill fºr III o, (Ill: Indo peggiori, gli albarelli e le alilpolle « Inoltiplicano e l'apuzzano e lui aggravano e finiscono». l)av. – IPoni niente triplice rispe:to o ti e differenti maniere del verbo finire: a) - a ... di sollecitarlo non finiva glanina i p. Bocc. – Finire di vivere O finire Selz'altro: a Mall vive il do 11 ll IIi erit:i Ilo di bell finire ). Passa V. b) - « Un lavoro di grande artista dagli altri si giudica terminato « quand'egli illon l'ha all ra finito a suo inodo ». Grassi,c) - Finire la vergogna, finire le oscenità, finire un infermo, come sopra. –- Nel primo modo è neutro, 11el secondo attivo tra lisitivo, nel terzo attivo ('allSativo.FUGGIRE – (Conf. Fuggire - Parte III. Chi avea cose rare o mercanzie « le fuggia in chiese e in luoghi religiosi si ll ' ». Vill.  MANCARE - « Questa asprezza delle grida era Imaggiore che dell'arme « per attrarre l'aiuto a quella parte di quei dentro, e mancarlo ov'era e l'agguato ». Vill.« Nè a lui basta l'avermi mancato la sua difensione e l'osserni il v - a cato, ch'egli rsi ride della Inia rovina ». Fiorenz« Mancare ad alcuno il proprio soccorso ». (iillb. A on f. ll - i vari di questo verbo - Parte III .  MONTAIRE a ..... e così in poco d'ora si mutò la falla co fortuna ai Fio. « rentini, che in prima con falso viso di felicità li avea lusingati e « montati in tanta pompa e vittoria ». Vill.Anche i francosi dà mmo nl loro il rallsitivo monter va l'il'e altresì i rall - sitivo. I tedeschi mutano steigen in steigern, e gli inglesi to rise I'm to raise.  MORIRE – Nei preteriti) a Messere, fammi diritto di quegli che a torto « m'ha morto lo figliuolo ». Bocc.« Tutti gli altri, coll'arme in mano, uccidendo, l'illmo presso dell'altro a furono morti ». Bart.)lss 13 rullo plaliani e ite: Velestlla? l?ispose Caliandrillº: oimè si! ella  m'ha morto o lº i .  - - - - - e ln , il i gl I l va 1, l. (.li la lill Il lesti nostri Pontefici e Sa cerlot, º hanno morto questo Gesù Nazzareno, per cui... » Cavalca. , Vedi un altrº º semplo dei Cava a s. ti o Crescere,.  Mista l'o di illma: la pel lidinº la super bla era il veleno che avea morto l'umana natura ». ( es.Fu incarcerato ed a ghiado di coltello, morto ». Dav.  Avendovi morto la ſua 11 l o elito | I solle .... » l)a V. Fra l III olti isl lel verbi, morire le ultra linelli e il toreno: e Morire di alcuno e lº i loro esser:le l'i: la morato, morire v. gr. d, uno scoglio, di una spiaggia i fili : I l a tºrto e lº iallo el'a lln  sentiero s gli Imbo. ( .li e in liesse il 1 l la n o della lacca Là ove piu . he a mezzo muore il lembo ». l)ante.l'ASS ARI. Conf. Passare - p.lli III. (i la Iri Irla i lioli fu qui ponte,  Il 1. lo si lui e passo slli li e spille Illit lillique... » e l'rego un ge:11: le li i portasse a a.ti a riva di un fiume. Quegli, , per natural cort sia, o per che pur gi a lesse dell'anima, volen e tieri il compla llli e passo llo ». Bart.I mi: rilla I e i soldat , , lire il v vien le lunghe navigaziºni passa vano il tempo e la noia giocando illrsieme alle carte ». Bart. - Passare il tempo, frase notissima e volgare, non vale adunque, rigo rosamente parlando, trascorrerlo zubringen) come comunemente si crede, Ina sì rimuoverlo, scacciarlo, farselo passare (sich die Zeit Ver tre ben , cioe parsa lo in senso causativo. Se così non fosse come il lig e vi: e la noia? I a noia non si trascorre, ma si rimuove di Zeit Ilind di I.: ll e W . Il vertreiben, non zul rilmgeilm), MI: il l?o, le o, moli e l'altri, con i fertili e la cla scudo al mio pensiero. ') po . . er detto che alla donna conviene talvolta di Inorrarsi in ma 'I: onla e gravi i 1:1, se questa la nuovi ragionamenti non è rimossa - :: - il l ' :: : il cli, degli innamorati il lilini i lorº avviene. Essi, se :I l il 1 : Irri li vezza il I l ' - I ' , gli i filigge, lì:almn Ino di , di illl :: 1:1 re a da passare quelle ». l 'r erni . .I )i , he lo n vedi che codesto passare e il rimuovere sopra detto.  I 'I l ? I)I.I E Tinete eum qui potest animi: In et corpus perdere in gehell ma li ig: tris , Vlath. : ' '| ... Il cui numero la loi , scritto essendo completo, ed egli tolse  di I lil : do e lo ebbe perduto senza riparo » Cesari, Perdidit I)eus II emoria III: Iddio ha perduta, cioè distrutta, la nº e Ilioria dei sll per l'i ll Illini ». l'assia V.  (!) È ben altra cosa il dire perdere checchessia – cioè rimanerne privo – e dire: perdere uno, perderne l'avere, la riputazione ecc.  Quì perdere denota azione diretta di volontà che fa che altri si perda, rovini; quando nel primo modo è cosa che, indipendentemente dalla mente e volontà del soggetto, al soggetto co me clessia avviene.  A gli esperti del Breviario romano ricordo la bella discussione di S. Agostino intorno al doppio senso dell'espressione: perdet eam del noto eflato di G. C.: qui amat animam suam perdet eam, cioè o l'uno, o l'altro: colui che ama veramente la sua anima, perchè sia beata l'IOVERE - NEVICARE - TONARE – Sue beltà piovon fiammelle di e fuoco alimate d'uno spirito gentile ». Dante (Convito).a .... e però dico che la belta di quella piove fiammelle di fuoco ». Dante altrove Conv.)« Il Saturnino cielo, non che gli altri, pioveva amore il giorno che a e ili nacquero ». Filocolo.Sospira e suda all'opra di Vulca 'lo, IPer rinfrescar l'aspre saette il Giove, Il quale , tuona, rnevica, or piove ». Petr.Questo e i precedenti esempi in strano chi la o non esser certi verbi, che si chiami lo illip I somali, si rigi il sili, elle lilli che non siano slali Ialora adoperati - e lo si può ſulla via anche a maniera di al livi, sia retti solamente Vegge il la cagi li che il lato priore ». l)ante: Innanzi che la ballaglia si comincli - si porre una piccola acqua ». Vill. Pio rele, o Jian ne, e li o in lei il voraci le possessioni . Segn.  Quando il giali (ii ve lona Pell. e par el l e il libe che squarciata « lona , l anti , sia reggeri li ricorsi il II Il caso. Nè pol rassi perciò mai lidariri i re di errore il dire come elletri e le till illegali : le stelle pio rono in luenze: i nu voli pio con sassi, e c.  SOLAZZARE - Non avvali pe: ne, Irla di pipistrello era lor inodo, e e quelle solazzava, - che ti venti si trovean da ello ». Dante  TIR.ASTI I,I. ARE e \l trastullare i fanciulli ill el le;l p. 13ocr'.  VENIRE - - - E l' ste detta fu quasi tutta se la raſsi e venuta al niente  senza colpa dei nermi. I n. Vill.  nell'eternità, darà opera che sia perduta, eloè resa inerme, la farà perdere nel tempo: oppure: colui che ama la sua anima nel tempo la perderà nell'eterno.Quanto all'uso di perdere a maniera assoluta ti è forse noto, ma non ti verrà discaro un qualche esempio: « . . . Essere tutto della persona perduto e rattratto » Bocc. « . . . e mise il mare in così sformata tempesta che quattro dì e qnattro notti corsero per « duti a fortuna senz'altro inlglior governo che . . . » Bart.“ Guarda come ciascun membro se le rassomiglia ch'egli non ne perde nulla , Fler. Nota ancora gli usi: andar perduto di checchessia o dietro a chicchessia i perdersi d'animo; amare perdutamente ecc. ecc.CAPITOLO III.  Voci e rnaniere il noleclinabili  Non sarà certo alcuno, per ignaro e poco sperto in opera di lingua - il quale leggendo e studiando nel clasisci non s'avvegga che anche nel l'uso di certe voci o maniere indeclinabili - oltre a quelle che ad altro oggetto l'agiolai ed illustra i più sopra - consiste talora il vago e l'effica cia del discorso, e vi è molte volte diversità tra l'antico e il model'In.. Anche a queste forme vuolsi adunque por mente, e farne oggetto di | esame e di studio. Le dispongo a ordine di classi o serie sol per divisarne comunque la materia, non per logica ragione che me ne richiegga. Assapora, studia e sappi quando e con le usarne, discretamente cioè e con lo senno, sì che alla frase lorni garbo e naturalezza, non mai al fetta la e l'ill ('l'eso e vole ricercatezza.Ti verranno anche qui, come al rove, scontrati esempi già addot.i. Se il ripetere lalora annoia, in opera di forma al tutto didattica torna anzi - utile e grato, e vale qui più che in altre discipline il noto proverbio: Re petita iuvant.  SERI E I.  MIA NIERE A VVER BIALI o I o RM : IN C: EN FIRA I, E Albo PERATE FREQUENTE M ENTE I) A I ( I, A Ssl ('I A I) Fs l' RIM l. 1: E l I, GI: A l M ( N ) ( E SU'PERLATIVO 1) I QU' ALITA, AzioNE, o Cosv Ql A LSI Asl.  Le quali tornano solo sopra alle volgari: immensamente: incompare: bilmente; inesprimibilmente, assoluta non le : onnina nºn lo nel modo mi. glio e, possibile ecc. ecc.  COMI E ME(il,I(); II, MIlGI.I () ('ll E. ....; CI IE NIENTE MEGLIO; CIll: NUl.l.A  l'III'; ECC. ECC. - – - Spacciatamente si levò e, come il meglio seppe, si a vestì al bllio ». 13 , c .« Senza liti, la cura e prestamente come si potè il meglio... » Boc .  . - “ . . . . . riprese animo, e cominciò come il meglio seppe..... » Bocc. . “ . . . . . . a dorni il meglio che sapevano m. Bart.“ . . . . . tutti pomposamente in armi dorate e in vestimenti i più ricchi  a e gai che per ciascun si possa ». Bart.AI,  « Voi l'avete colta che niente meglio» . Cos. « .... con quella modestia che io potea la maggiore ». Fierenz. Inv. costr. con quella maggior modestia ch'io potea. )  - -  POSSIBILE; QUANTO PUO' ESSERE; AL TI "ITO; IN TUTTO; ECC. « .... purissinra l'aria ed asciutta e secca al possibile ». Bocc.« Vi terrò sermone di nel quale io sarò parco al possibile ». Cesari, º . . . . . pregandolo di porgere, quanto per lui si potesse, alcuni subitº, « ed efficace l'ilno (lio ». Balt. e Luigi ne fu lieto quanto potea essere, ma.... . » Ces. « E però al tutto è da levarsi di qui ». Bocc. « () che il prete fosse al tutto ignorante, che non si pesse discernere i peccati. o fare l'assoluzione..... » Passav.a Fortezza al tutto illespugnabile ad ogni altra forza che d'assedio « () (li fa II le o. B:ì rt.« Si pose in cuore e determinò al tutto di visitarlo personalmente ». Fi , retti.a Malvagia femmina. io so ciò che tu gli dicesti, e convien del tutto l'io sappia...... » Boce.  “ . . . . . non ha bisogno delle 11 i lodi ſi è cll'io l'a lti le lodi slle e e però Inc le taccio in tutto ». i l IIll).  PIU' CHE ALTRA COSA; QUANTO NII N ALTIA(); ecc. « Assai più che  a altra femmina dolente, a casa se ne tornò ». I3o . e Lo scolare più che altro uomo lieto, al tempo impostogli andò alla a casa della donna.... » Boc ('.  “ . . . . . il che voi, meglio che altro uomo ch'io vidi mai, sapete fare con a Vostro sºllino e col V ( Stre ll ( Vello ». I30 ('.a Vergine madre, figlia del tuo Figlio, l'Ilile ed alta più che crea a tura, Te: Irlino fisso d'eterni i collisiglio.... » I)allte.« .... d'altezza d'allirno e di sottili avvedimenti quanto niun'altra dalla « I):ltº Ira dotata ». Bocc.« Più tosto si richiede onostà e modestia, la quale fu in lei quanto a in alcuna altra ». IPandolf.a ... la rendi (Malacca j, collo industrie della sua carita e coll la virtù e dei miracoli, illustre quanto mi un'altra ». Bart.  PER COS.A I)EI, MONI)(); C()I, AI, MIA (i (i I()R... l)EI, MONI)(); II, ME  GI,IO IDEL MONDO: PUNTO DEL MONI)(); SENZA.... AI, MONI)(); ecc. – a .... e quantulinque in contrario avesse della vita di lei udito, per a cosa del mondo nol volea credere ». lºoc ('. --- (Simile la fraso del l'uso : per tutto l'oro del mondo – nicht um die ganze Welt) « Alla maggior fatica del mondo rotta la calca, là pervennero dove... » Bo( ('.« Alla maggior fatica del mondo gliel trassero di mano, così rabbuf a fat () o mal concio d'Olm l' orº ». Fior.a Io gli ho ragionato di voi, e vuol vi il meglio del mondo ». Rocc.« Punto del mondo iron potea posare ne di, nè notte ». Bocc. « Ne la Inella Vano senza una fatica al mondo ». Fiel'enz.  A CHIEI)ERIE \ I, IN( il \: \I. I)I SC) I PR A: ( ( ) MIE I)I( ) VEI, I)ICA: ....E'  I N.A FAV ()I..A \ I)IIXE; Sl: NZ A VIISI IN A: ec . . . .... ed a chiedere « a lingua sapeva onorare cui nell'alimo gli capeva che il valesse ». l30 cc.  « Il popolazzi, . . asso, st L. e ti emend al di sopra, ridicolo, impau e rito ». I ): v.... un catarro che li accolla io questi gi il 'ni come Dio vel dica». Caro. « .... colle l'a II lilli , fierall 'i! te è una favola a dire . Flereinz. « La giovane, la quale senza misura della partita di Martuccio era stata dolente, ti derido illi e il li :iltri . sser. In rto, lungamente  pialise ». Doce.  SERIE II,  AVVERBI I) I TEMl PO Ass v I I REQUEN I I VI po I ( I. AssicI E D AI MoloERNI RARE VOI,TE EI) AN('l I E S (' ) N V ENI ENTF VI l .N l'F, A l)() l'ERATI.  Solº, e ben si vel . io il amezzi e talora anche vºi per sè insignIl lill. I l l sentire e del pensare rivelano assa i volle, chi li Is I l s , che di gentil e di fino. Ad intendere a che li gli oli | lesl Iraniere avverbiali siano cosa da non dove si l rais li tre pas e il por nelle alla sconve nienza di allre voci che venissero sul gale, per quanto equivalenti c  (lell'lls .  I , A I PI? I VI \ (.( )S \ \loid 'il: 1 o, e st . In tla prima cosa che faceva, clle dI va, che li l' I, le ill e I e I blie i . ( olf. Al llla si Sel ie . I - il I l I so: volte, i vi si va via , la prima cosa a visit to il corpo di l l lo so S. Z :lolo º lº i :li. ( n'egli era  a levati , la prima cosa spendº via il rile, i ora zione mentale . » l3: l 't. ( o s.VI.I. \ l'IRI MI V di primo in alto il prima giunti (.lle lisogli a sciolla Il 1 Se la l - i lrn 1. ll il I alla prima acconsentono º , l):n V ( in tilt to li alla prima ti sti lou, i l:t lizione ... o V ill I ) \ Iº lº I M.A ... Illando l'alto livlio Vl sse da prima quelle cose a bello. » I ): l.llto.« Lasso che male accorto lui da prima ! » l'elr. Parla dei primi istanti dell'amor sul .)IN PRIMA – « In prima si commette in occulto, poi l'uomo accieca in « tanto che pecca manifestamente ». Caval. « Io voglio in prima andare a Roma ». Bocc.  DI PRESENTE subitamente incontamente).  Matteo Villani elle questa forma di di e continuo alla penna, e per quanto a me ne paia, non mai usata a significare il ro che su bila mente: nel qual senso la rove ete nel primo libro della sua Cronica delle vol, allilelio cinquanta. I3artoli. Ma non inferire la ciò che sia inal Isa! anche il senso di : al presente. L'ha il Caro, il Lasca, il Segneri e noi,  altri: « Ma forse che di presente non v'è l'Ics Iso? Segn  di presente e gli cadde li Iurore ». I3ore. a ... tutte le Imadri che avessero fºr ll illlli ferirli gli o tav: l'1 , l . detto monastero e la badessa li piglia va e pi Vagli llel mezzo del a chiesa...., e di presente erano saniati d'ogni info, Irlita. , Cav. ... e poi le fece il segno della Santa Croce nella sua fronte. All ra « il demonio incominciò di presente a gridare e... » ( a V.Se l'andò di presente alla madre e contolle tutta l'ambasciatº. » Nov. Ant. Le illimicizie. In riali trascono di presente. » (ia la teo. a \ppena avvisato da lui questo peso l'intrepidimento, di presente º so ne riscosso ». CesI)I TIRATTO – a ...il domandò se..., ed egli di tratto rispo- di si. ( -. I) \ INI)I INNANZI – « E da indi innanzi si guardò di Inai piti. . » I3o: . a Chianrossi da indi innanzi non più... Ila.... » (iia lill).l'EIR INNANZI – « ....o tennero per innanzi Messer Betto sottile ed iniel: a dellte cavaliere. » Boicº a...o fatene per innanzi vºstro piacere. » Rocc. I).A ORA INNANZI - « ...da ora innanzi spenderemo la nostra diligenza « in cose... » Bart.  « In fede buona, discio, io voglio da ora innanzi credere come il re, e cioè in nulla ». Da V.– Così dicessi: da oggi a 20, 30 ....dì: Mi seguiterai da oggi a venti di º. Vit. S. Girol.DA QUELL'ORA INNANZI – . E da quell'ora innanzi gli pºrtò sempre « onore e river olza. » Fioret.  I) I MOLTI MESI INNANZI. . . . ... con le collli cl) o l or Ill ort , l':n ve: i rii a molti mesi inmanzi. » Rocc.DA QUINDI ADDIETRO. A te, corpo mio, sia pena e vergog vi e  « confusione la tua mala vita che ti hai fatta da quindi addietro, se a tu ci vivessi conto migliaia d'anni. » Cav.  DI POCO Inolfo) TEMPO VV VNTI. . . Di poco tempo avanti a marito a vomiltºn lº..... » IBoc ('.  DA POI IN QI A CIIE.... - - « Da poi in qua ch'io servo a stia Vltezza a non ebbi mai motivo di querelarmi. »  POI AD UN GRAN TEMPO per buona pozza di poi - , senza che  a poi ad un gran tempo non poteva mai andare per via che... » Fioret.- IPOS(.I.A A NON MIOLTO) : IP()SCIA \ I) l E, TRE... ANNI. – . ...benchè il « perfido, che convertito non dalla verita, lira dall'interesse, si era illdotto non ti d essere, lila a filigersi cristiano, poscia a non molto apostasse. » I3 irt.A lui al che si deve la conversione cleposcia a due anni si ſè di... e d'InCli: sllo forlin. o I 3: i rt.l'OI. – v. Poi in significato di poichè, congiunzione, Serio 5.) « tue giorni poi lo i lidir no rel: ma la detti (iialma. » I)a V.a Le mie scritture e dei miei passati allora e poi le tenni occulte, e  e l'inchillse, le quali non chi e la potesse leggere, nè anche vedere ». IPalld()|f.DI POI, I).AIPPOI postea, la liber. dal au I e - Il giorno di poi  a che Curiazio Materno lo sse il suo Cat ne... » I)av. Fecesi questo primo ufficio a mano e di poi se ne fù borsa. » Cron.  M () l'(ºll.  - S'arrende Cappiali , si lv ro a dappoi la rocca, -aivo - a l'avel e o V Ill.  l) A IPOI CI IE...: POI CIIE .. posi ea quan Ne furono assai allegri, « da poi che l'ebbe il signor Tav rit.  a E molti enºni , quasi me razionali, poi che pasciuti erano be; le e il giorno, la molte alle lor , a se, senza al il correggimento di pa store, si tornav: lo satolli. I3 ) .  r . « Quale i fioretti dal lot il no gelo , li lati e chiusi, poi che il sol r e l'imbianca si drizzi in tu! ti : pe: ti il loro stel . . » l)a nte.  - Poi che innalzai un co pit 'e riglia vidi il maestro di color che saillmo se dor tra la fil sofi a larniglia o l)ante.  IN QUEI, TANTO in quel frattempo i 17 w is henº « Quando -: ti o  a un colore e quando sotto un'altrº allungava sempre la cosa, e secre  e tamente in quel tanto attendeva a In tte, si in I tinto. , (iiaml). I F. I I I V () I TIC: \SS \ I I) ELI E V () I 'TE. Non a quella chiesa che.... a ma alla più vi in: le più volte il portavano. Doce. .... ed a Luigi non ebbe assai delle volte questo riguardo ». Cos. I N MIFIDESIMO. - Gelò in un medesimo per timore e avampò per a rabbia ». I3art.  IN  (*) Nota uso altro del comune d'oggidi. « Da poi o di poi, scrive il Bartoli, sono avverbi  | - « di tempo come il poste a dei lattni: non così dopo, che è preposizione e vale post, nè riceve « dopo sè la particella che, come i due primi. Perciò i professori di questa lingua condannano « chi stravolta e confonde l'uso di queste voci facendo valere l'avverbio per preposizione, e « questa per quello che è quando si dice : da poi desinare, o dopo che avrò destinato ; da poi  « la colonna, da poi mille anni, dovendosi dire dopo desinare, da poi che avrò desinato, - « dopo la colonna, dopo mille anni.. ... Due testi son prodotti da un osservatore in prova di  « quello ch'egli credette che in essi la particella dopo abbia forza d'avverbio di tempo: ma, « o 1o mal veggio, o egli in ciò non vide bene, però che poco dopo e picciolo spazio dopo, « che leggiam nel Filocolo (e ve ne ha d'altre opere esempi in moltitudine) sono altrettanto che « dire dopo poco e dopo picciolo spazio: nè perciò che dopo si posponga per leggiadria « perde il proprio suo essere di preposizione, cambiando natura solo perciò che muta luogo. » (Torto e diritto),TUTTO A UN TEMPO. –- Si vide egli una volta venire innanzi quel  « figliuolo scialaquatore che tutto a un tempo illil izzito di freddo e e smunto di farne, a gr. ll fatica poi i più reggere lo spirito lli sulle a labbra ». Segn.AI) I NA; AI) ( N () R V. - I. - lio, e il riº lite illl collo ad una le l gi che e l'azioliali . (iiillo.E fatto questo al padre - i ti e, con i ti o dino li avere ad un'ora a cio che in sei mesi gi loves - e dal re ». I3 cc.a Tu puoi quali lo ti vogli ad un'ora piacere a Dio ed al tuo signore ». l3a) ( .FII ad un'ora l: ti inta II: i r; V Igli, e il ti: i ta a rieg l'ezza solº l'appli - , ch, a pena sapeva che ſi rs dovesse Bar!.a S'io avessi mille cuori in corpo, credo, tutti scoppierebbero a e un'ora ». ( a vill.....e lo slle - rel. l: elie l l' il, clli ' lei i 'o che ella fosse spira 1:1, a un'ora piangevano i figlill lo e la IIIa - dl e o. (..i Val.AI) () IR.A: A TEVI IP() ZIl re e lit, Zeit, frilli - e il ' . .... il III la ll (lſ) ll ll (le' suoi quanto al ra i vos- li Illi. : I 'a via e se ad ora giunger e potesse d'elitro rvi . l?oce.Io so grado alla ſor . I: I: pi oi, la III: ll ad ora vi colse In a cammino che bis 2: o vi Ill di ve la mia piccola ci sa . Bocc. . – Quell'ad ora, se il il ring oliato al (.: p. Locuzioni e lillich e, pilò al 11 le sigllifici:'e': in u il trio mi cºn lo ſtile - e i l Zeit Ve! llia! 1 llissell.ALI,()R \, CI IE.... - MIo -s . ( r , l il all ora che - guardali do voi egli crederebbe º li voi sapete l'in - ll - ci , Bocc. - - Allora che e il coin: sto li ai l'ora che, cioe a quell'olti nella quale. Vu, i vederlo? « .... cominciò a rilere e disse: (iiot ſo a che ora, verº e il di qua allo 'n oltr i di noi in fo: - ti re, che mai voluto moll t'avesse, credi ti cºllo e gli ori (le -se che tu fo: - i il ln igli r di « pi:itore del miº endo, con le ti - \ clii (iioti o prestamen! e rispose: a Messore, e ved, i cllo e: i il ''t l 'oblio allora che.... . . ., col Ile sopri). AI.I,()R \ \ I, I.() R . . . . E allora allora ve: i cori in 1 il to a venire ill a torno alle gote il poco di lanuggine ». Fierenz. « Se la Irla il giò allora allora in sl1: pro - ilza ». Fiºr liz. « .... fil percosso da un accidente di filºiosissima gocciola, la quale allora allora i 'a in atto di sopraffarlo e co- Il lorº ndosi... ». Segn. CIII E' CHIE E'. a ... fatti ch'è ch'è solº l'1 t . . ri o. I ):) v.  CIIE..., CIIE parte.... parte () e - o re : ni) che re dei rom inni e che a imperatore ». Dav.QI ANDO..., QI VNI)(). Quando sotto lº col re prº testo e quando  a sotto il li filtro.... ». I3: i rt « Quando a piè, quando a cavallo, º eco il che il destrº gli vi lliva ». T30C ('.l'N POCO.... I N AI.TIRO (un po o orn, il poco di noi - Intanto ecco a (Illi, cianº i l un poco e ci:n nci i un altro..... noi siamo a .. ». Cos. I)I CORTO, DI POCO. I)I FIRESC( ) ( id) , l di corto si attºri il tv l e a quindi a mezzo anno seguì . I3art.« I più furono dei grandi, che di nuovo eran stati rubelli, rimessi in a Firenze di poco ». Vill.a ....mercecchè questo era timore di uno che aveva di poco cominciato « a peccare ». Segn.a .. . forma generica di teli fare che sul l usa l'e il demonio a riguada a gnarsi quei che l'ha di fresco lasciato per darsi a 1)io ». Segn. A (i IRANI)E ()IR.A. - . Va, figli la mira, e clla Ina queste mie suore, che a ti aiutillo, e fatelo buono assai l'unguento e domattina il lande ete a a grande ora, si colme tll la i detl () ». ( a V.Si parla dell'unguento col quale la Maddalena di ve:a ungere il corpo del Maestro suo nel . ionumento. E adunque fuori di dubbio ( le la frase a grande ora è altretta le cli a buon'ora. Ma il valoroso Cesari nota questo modo nei dia gli di S. (i regol io, e gli pare clie signi! Ichi anzi l'opposto, cioe' tardi, ad ora avanzata.I PRIMI A ( III: A (i I? AN VI \ I I IN( ) - ... ll e il colpagno prima che a a gran mattino, chiamandolo e scotendo o per farlo lisen Ire del sonno, se º le avviole». I 3:art.A I, I NOi ( ), V IP () (.() A NI) \ I I : I ) ( ) l ' ( ) I, I N ( , ( ) V Nl) \ IRI .. A V Vlsa: l.losi o cle a lungo andare o per lorº o per il litore le converrebbe venire a dovere i piaceri di Pericoli fare, con altezza d'animo seco pro  pose.... ». I3 cc. e .... (ºd In questo con 1 il tar lì , ll la lollo la pezza a vanti e le perso la se ne avvedesse l'ul e a lungo andare, essendo un giorno il Zeppa il casa, Spinelloccio venne a chiamarlo ». Borc.  Così si dilra fatica a difenderlo, ma spero che a lungo andare la verità verra pur sopra . Caro.« Chi si vergogna di apparire malvagio è facile a lungo andare che all ora si vergoglli di essere tale o. Segl).  I)ev'egli telider sull'uditorio le masse deila divina parola, senza restarsi per stanchezza di lati, che a lungo andare gli succeda, o sºlldol' di fronte.... ». Segn.e Dopo lungo andare, vincendo le naturali opportunità il mio piacere, soavemente m'a (ld l'Inel tai o, Borº.  Si dostò il silo mal illnore, e che a poco andare livelltò l'ov (ºllo, fl'e  lesia, rabbia ». Giuberti.  Non so però di millm altro scrittore e li ll sasse mai il modo a poco andare il luogo dell'altrº, a non lungo andare. V me pare di sentire nell'a lungo andare dei citati esempi non tanto il significato di dopo lungo tempo, quanto quello di continuando su quel tenore, andando avanti cosi, il quale significato mal si cercherebbe nel modo: a poco andare.IPrima di passare ad altro ti piaccia, o luon lettore, notare di questo andare un altro uso avverbiale bollissimo ad andare d'alcuno, e si gnifica: conforme alla durata del tempo che impiega quel tale a fare un determinato cammino a l)icosi che, ad andare di corrieri, sono  sel e ovvero otto giornate; ma elli vi peliaro ad andare più di due  mesi ». Mold. Vit G. C.  NON MOLTO STANTE; POCO STANTE. . . . . . perchè..... non molto stante partorì un bel figliuolo maschio ». Bocc.“ E il buon pastore vegliava sopra le pecore sue; e io nni stava allora “ presso a lui e piangeva di cuore, imperocchè io vedeva bene a che partito e ci conveniva venire. E poco stante e disse... ». Cav. “ ... dissº; e poco stante - e ne vide il buon esito ». Bart.IN POCO ID OR A -- E cosi in poco d'ora si mutò la fallace fortuna ». Vill. .... quandº le si coinil: i) a cambiare il sereno in torbido e 'l vento I'l'ospel'evole in coli'; il rio e si font , che in poco d'ora ruppe un'or ribile tempesta . Barte così i lorendosi in poco d'ora, irrostrò quanto ciascun uo, lo sia sempre Inal in Ioriato, di ciò che passi nell'intimo di se stesso ». Segn.  SEMPRE ( il E. , 2 ni , olta ch ....: per tutto il tempo che ...; - so . It als...:  so l' Ilge :ils . . sempre che p -so gli veniva, quanto poteri “ll In: i fo: zii li i vesse, la lont: in: va ». I 30  ....ti fa l'ſ, con il iº lira? I ra che tu io da uno li ricorderai. Sempre che l Il 'I viverili. (I e Il III lili , , lº e  - Add II e le forme avverbiali, bisognerebbe compi l'opera e porre Iri al mi allri modi di In li e costruire il to italiano, dai quali ap prendere le lo Izi li varie ri la livinnelli e il tempi , e corre cioè accell li: l' e il I e II limiti e il quando di un fallo, e con le esprimere la durata di checchessia. I cori e lo spazio di lempo decorso. o la decorrere da un prelisso le minº, e come gli aggiunti, le circostanze per rispello al pre semle, al passato e al ſul tiro, ecc. e c. Ma questo lo vedrai nel Prontuario s: II , la parola Tempo.  AVVERBI I I Morbo A : UII A Ioi A, oi: v. SEMPLICE E e RA AR ricolATA (*)  A I3U ()N.A FEI)E ( red 1. ll Il lllll III a buona fede llo la Cagioli della a ai 1 l' - Il I la lorº ita . ll I)1 , ». (.a V.  Di buona fede, con bucna fede in buona fede solo i nodi, loli si lo dl f.  ſei eliti dall' Ilegato, ma anche diversi fra di loro: Semplice uomo e di buona fede o V ill. Il pr, ritente ritrovisi in buona fede »  a 'I'utti gli il milli del boilo enti lorº porta i con buona fede ci è con le alta o. 'I Irl.  A ſ;I ()NA EQI ITA' -. il suº - gliore si ptio a buona equità lo le: ( o ri lilllari cari l ' s ll lo » lºt) ,Sill','': a buon diritto li lil I l di ragione; a Sotto  nome di Ghibellino occupa questo patrimonio, che di ragione s'a spetta il Guelfo ». Salv.  (*) Conf. Particella A, Cep. I v.A ROTTA – ... In zzando in un tratto il bel discorso di suo fratello, e si parti a rotta ». Fier. cioe pieno di mal talento, stizzito ,tutto veleno ecc).In tal guisa scrivendo a rotta se ne compilerebbero i grossi volumi.  ( es. Simili le frasi scrivere in borra, borrevolmente --- abboracciare un libro. I)av - Caro - Gillb. A I) ()V EIRE - ( osa fatta a dovere overnarsi a dovere » A FII) \NZA - Non ti maraviglia e se lo te dimesticamente ed a fidanza a rielli e del do o. IBoc .A FI RORE: A FURIA - Quando il rumore contro il re si levò nella  terra, il popolo a furore corse alla prigione a Bari. e Temevano gli uomni li lt il:giurio ed esso (i ('. lº sostoli ho gran dissime essendo dannato così ingiustamente ( a furore di popolo ». Cav. ci è abband intito, dato in preda... ) a Carlo v'andò coll'esſere to, a furia ». l, l'll i. A SI º V VIENI () .. . prende questo servo e quello per lo braccio: Te, ficcal qui. Fuggono a spavento, di lino nel luine: rimas() al blli ggiIrlai della morte, con due colpi si sventra ». Da V.A (.() I 'SO I. \ NCI VI'() .... volmita le sue bestemmie in una foga di ben nove versi a corso lanciato, senza il fiatar di mezzo ». Ces. \ SI, A SCI (): \ I 'I V ( ( A ( () I.I,() Cori ele, precipitarsi a slascio, a fiacca collo v. Correre, IProntuario).e due schiere di lenici a fiaccacollo, della selva nel piano e del a piano nella selva si fuggirono in intro a Dav.E gia so: i gialliti dove il fossi on firma l'resso alla terra, e la fin tanto forte. Ognilli a fiaccacollo VI ruina: Chè 'l ponte è alzato e si in chiuse le porte ». Bern.A SGORGO; A RIBOCCO . ... fonti... le quali doccia no a sgorgo per dar a bere e saziare a ribocco i slloi V ml: nfi di Villo dolce ». Medit. del | Vlb. (lollº ( l' ) ( (º  A ( IR AN I 'IN A a.... ll'el a tanta la grande gol to che vi veniva, che a a gran pena vi capeva » Cav.A (( i RAN) E ATIC V .... ( con le luci tanto confitte dentro di quelli  e occhi) che a fatica vi si vedevano ». (iiamb. a I)i cento mila, a gran fatica un solo ». Segn. Traduce il noto effato di S. (ii l'olio in co : Vix (lo con tull) l Il till I lolls lllllls ». )a Quel figliuolo scialacquatore che tutto a un tempo intirizzito di freddo e smunto di fame a gran fatica potea più reggere lo spirito in e sulle labbra ». Segn.a Quella povera vedova, la quale vi avea a gran fatica riposti due soli piccoli ... » Segm. duo minuta).  ... a fatica poterono le insegne campare dalle folate del vento ». Dav. ()ttone, contro alla dignità dello imperio, si rizzò in sul letto e con e preghi e lagrime gli raffronò a fatica ». Dav.« A fatica, risposi io, gli ha potuti per un grosso nuovo cacciar di a mail a un pescatore ». Fir. As.  \ MAI O STENTO a mala pena) - .... e a malo stento si tonno ch'ella nol a fe ( o o. Iº nt ('.A GRANDE AGIO -- a ... tanto che a grande agio vi potea metter la mano  « e il braccio ». Bocc.  A TORTO – « Messer, fa IIIIII diritto, di quegli che a torto In'ha morto  a lo figliuolo ». I30cc.  .A NI IN PARTITO; A NI UN IP. \ I Tt ) egli a niun partito s'indl Isse a coin  a piacermelo ». Dart. (Conf. Partito, parte III . « E certaIllelìte se ciò non fosse, il clitori, li li credo i già che Irli sarei « contentato a patto veruno (li comparire stamane su questo pulpito ». Segn.– Keilles Wegs, un keine il Preis. - Simile l'altro avverbio dell'uso e classico : per niun verso, per niente , v. Serie seguente).  A CREDENZA (senza proposito, non serialmente e daddovero) – . E'  a debbono essere da sei o sette anni che un brigante di quei lilli ha a tolto a litigar III eco a credienza e Vieille alla volta lnia ard Itamente ». Car().« Sicchè lion ( 1 edo far I)io bravate a credenza quandº i lºg 'i a fferma a che repentina succedera la morte ai mormoratori ». Segn.  A BALl).ANZA -- a ...e questi a baldanza del Signore si il batteo villana  III e ille.... » Bo(:('. – « Che a dirlo latilio, soggiunge il Cesari, non si direbbe più breve di a questo : I) Inini patrocini fretllesi .  A MAN SALVA senza tiri re di punizione o vendetta ecc.; impunemente)  a ....e quello con tutta la ciurma ebbero a man salva ). I3oce « Senza che al ll no, o marinaio o altri se l'acci orgesse, una galea di corsari sopra venne, la quale tutti a man salva gli prese ed andò a Via ». RO( ('.« E perchè tante diligenze ? non potea egli averlo a man salva ovun a que volesse? » Segn. (parla del fratricidio di Caino).  A MIA POSTA; A TI"A, A SI' A POSTA; ecc. – Somiglia all'altro mento  vato sotto A, Cap. IV: a suo senno; e significa gosì in disgrosso: con for Ine all'ordino posto, secºndo aggrada ecc.« Io non posso far caldo e freddo a mia posta, come tu forse vorresti». BOCC.« .... mi disse che tu avevi (Illinci una vignetta che tu tenevi a tua posta ).a ... Ma quell'altro magnanimo, a cui posta Restato In'era, non mutò aspetto ». Dante al cui ordine). Lascia pur dire il mondo a sua posta » Caro. aspettava solza mandarsi a lui dinunziando od entrare a sua posta, come avrebbe potuto ». Ces.... del resto se volesse andarsene, facesse pure a sua posta ». Ces. Il tempo è cosa nostra..., e a nostra posta sarà d'altrui, e quando Vorremo ritornerà nostra ». IPandolf. Farassi, disse Malerno, altra volta a tua posta ». Dav. Non si doe a posta d'alcuni milensi levare a mariti le loro consorti de beni e del mali, e lasciare questo fra le sesso scompagnato in preda alle vanità sue e alle voglie aliene ». Dav.« ... ma lascia dire e tien gli orecchi chiusi, Non ti piccar di ciò, sta pure al quia; Gracchi a sua posta, tu non le dar bere ». Malm.  (r  (l\  A  \  \  A  .A  V  - Oltre agli altri significati della V o posta, olre i son noti o del l'uso, nota anche quello di agguato, e però la frase: stare in posta. – Si pºsero il cuore di trovare quest'agnolo e di sapere se egli sa pesse Volare: e piu notti stettero in posta ». Doce.  MIIC), A SI () AVVISO zza e chiarita, che a suo º avviso a Vanzi va per sette a rili la bellezza del sole ». Cav. (il II).A – Vennono i Magi a guida della stella , V it. SS. PP.  " ... (Illi, l'alt alllll III e lo gliti li l'Israel a guida della colonna ». Vit. SS IPI .  SECOND A - Venendº giù a seconda di l iilline eri in un grosso al e bero attraversato il l leti o le! ! util, a ( -1)ITO: A MISNAI) ITO per i pp, li o Illiile ()Inbre Ilio e St l'OI Il Ill I e il Il l a dito ... I l liteINDOTTA - Scrive e in a indotta di un qualche amico ». Giub. TENI () NE; A RILEN l'() co. l l:: Fal e clle clessi:i,  opei a re, lavorare a tentone; il nºda , procedere a rilento. SI PI? () lº() SI 'I'( ) - Fra - della era te a sproposito, gramma t ( a 1 rbitraria... , Mla lizl3 Al RI)()SS(): \ BISI) ()SS( ) I .el l. Ville a cavallo senza sella e guarni Il lent : fig. alla peggio, alla buona, alla carlona.“ ... titlito è Irleglio, il dicit re lº tºga rozza e a bardosso che in cotta  las Iva da Irie reti I ce .. l): V. . . . . . tilt. I3rotier .... E ogni liofil Ill se le scolla, Veggendogli una cupola a bisdos « So )). Bll roll.I II)()SS() Non un sol l'eroerin º ome in l'annonia, nè soldati veg º gentisi pit | rti seri ti a ridosso, ma molti a viso aperto alzavan « le Voci ». l)a V .Ridosso, sost. vale: renaio lasciato il secco dalle acque. –- Cavalcare a ridosso è lo stesso che cavalcare a bisdosso.RANI) A \ RANDA (appresso, rasente, ed anche a mala pena, per l'ap punto). Dal tedesco Rand margine, orlo, estremità....« ... A randa a randa, cioè risente rasente la rena, coiè tanto at costo a e tanto rasente che non si poteva andar più là un minino che, a IBl1t.  « Quivi fermammo i piedi a randa a randa ». l)ante. « ...era apparita l'alba a randa a randa ». Morg. « ...e poi gli mise in bocca l'na gocciola d'acqua a randa a randa » Segr. Fior. IBACIO (al rozzo, all'uggia º contrario di: a solatio. « I susini simiani nelle orti, lungo i muri, a bacio fanno bene. Dav. (.()NTR VILI ,l ME (che ll ) m l'i( ove il llllll (º il dirittll l':ì \ Qlla dro a con trallume – faro che li ossi:ì a contrallume.  SPRAZZO (sparso di mil utissime macchie l'anºni a sprazzo, lavorati a sprazzo.SEST'A misuratamente, precisamente, per l'appunto) -- I)a sesta, com  passo. Nota il modo: colle seste. Parlare celle seste, cioè parlare cal colato, misurato, compassato.  « ...e menandogli un gran colpo che passò a sesta per la commettitura « dell'osso, gli spiccammo il braccio » Bocc.A SCHIANCIO – Da schiancire – schrag treffen, schief Schlagen. « Tagliandolo a schiancio in giu dall'urna parte, salvo il Imidollo... » Pallad. Fobbr.« Le sue pertiche del salcio, si ricidano rotondamente, o almeno li n « molto a schiancio ». Cl.A SGHEMBO: A SGIIIMBESCI() / di traverso, obliquamente, – «Sull'elirio a sgembo giunse il colpo crudo . Bern. Orl. « ...campi divisati Per piano, a pl Imbo, a sghembo ». Bllº lì. Fier. « Capito al pizzicagnol, chieggo un pezzo di salsiciotto, ed ei Inel ta grlia a sghembo ». Buon. Fiei'. « ... Se non che a sghembo la lancia lo prese ». Morg. « Pare ogni palco appunto un cataletti IRestato, come dire, in Iºlel a Galestro. Che la natura fece per l'Ispetto, Ed ogni tetto a sghimbescio « Il Il canestro... » Alleg. – Tagliare, lavorare, operare, camminare a sghimbescio. A MICCINO a poco a poco, a poco per volta) – Fare a miccino, collº all Imare con gran risparmio; dare a miccino; parlare a miccino.« ... E' un dare a miccin la ciccia a putt I, Vccio ch'ella moli fila cia poi « lor male ». Fil', rim.« ... Senza chè qui fra noi I)el buon si debbe far sempre a miccino ». Alleg.« Favellare a spizzico, a spilluzzico, a spicchio e a miccino a è dir poco e adagio per n In dir poco e male ». Varch.A GHIAIDO – « Fu incarcerato ed a ghiado morto » (cioè di coltello). l)a V. A M AI, OCCHIO – « Antonio, mirando quel dischetto a mal occhio, dice « va e pensa Va infrì sè stesso: ond'è... » Cº V. A SOLO A SOLO; A TU PER TU a quattrocchi, da solo a solo). « I)esidero di fa Vollare a solo a solo )). V. S. (i. l3. « ...mangiare un poco con lui a solo a solo ». Rini. Ant. « E' mio marito, e non è ragionevole ch'io Ini p inga a colitenderla a seco a tu per tu v. Varch.« A tu per tu d'ordinario indica, se non contesa, almeno un non s . che di lì (r)) amichevole o di riottoso ». Tomln).A IOSA – a Idiotismi lombardi a iosa, frasi adoperate a sproposito, « periodi sgangherati.... » Mlalz.– Simili: a ufo, a macco, a diluvio, a masse, a larga mano, ad usura, a oltranza, a gola, a buona misura ecc. e Iddio renderà al bonda lito a mente, a buona misura, tormento e pena a coloro che fanno la su  « perbia». Passav. – Retribuet abundanter facientibus superbiam. Sai:Il A GUISA CIIE...: A MODO CIIE..., DI... – « A guisa che far veggiamo a h a questi palloni francesi.... ». Rocc. i a ... schiccherare a guisa che fa la lumaca ». Bocc. ti « Fare a modo che la madre al fanciullo quando lo fa bramaro la  « poppa ». Fioretti.  « F: l'( a modo che alla Maddalol)a.... » Fioretti.  - - - - - entrò in una siepe molto folta, la quale molti pruni e arboscel « li avevano acconcio a modo d'un covacciolo o d'una capannetta ». Fior.A PEZZA: A GRAN PEZZA di gran lunga, di lunga mano, a dilungo )« Iddio la IIIa lì dato 1 elill, a lille desll'i: - i lol prendo, per avvell « tura S III lile a pezza li rl III i ti l'lleri ». lSucc. « Tu non la pareggi a gran pezza ». l 3 a ... che Villce a pezza le forze il ii il II alla natura ». Ces. « ... che a pezza li in poterono i no, l'1 :li a liostrº ». Giuli. ...al qual peso pollai e gli a gran pezza lo! I SI se lliva sufficien a te n. Ces. ET - A buona pezza, a pezza sia al 1 ora per: da un pezzo. Il Corticelli lo fa altresì avverbio di tempo a vu i tre, º io e a dire col significato di: a lungo andare , indi a gran tempo e . :: il l: l V a Illel lil - go della Nov. .º in cui il 13o a clo, il ricolllla lir di Tebaldo, l'e  putato uccisº dal 1. l re: ti sºlo i clie : l i vº: lo ſtesso, dice: l' 1. l e I edeva no all or I e II la lr e 11 , se i vi ebber iatto a pezza i in li e a lilolto l'Irl | o s, il 1 o l -se che lor e lì i rio « chi fosse stato l'll (iso .Pezza per tratto di teli e ti In e te l: il sito dai classici: ...a e le quali, quando a lei i i nip . . - rido e la buona pezza di mot  a te.... , l 3 , . \ V , l: do ss 1 di buona pezza di notte e il ogpl I lioli o il l ' Illi: e... l . . . . ed i: questo con I lilla rotto una buona pezza iva il l i soli: si ll il V . . desse º lº) . Erano a buona pezza pia . Il l ... » lº . A I) II, l'NG ( ) ...lila po . I sa – 1, piti il V ".go, a dilungo le pi Vinci e ill « gannò ». l)a V.A (..ATA FASCI () Fa cela di voi gli l a catafascio ». l 'a taff.  Io non fu mai. lle solo di gloria Vago, lº vivi , a raso e scrivo a Ca « tafascio ». Vlatt. Fraliz. l.ibli ( i rte a catafascio.  \ I,I, I S.ANZA ( )ltre i cliest . : se si lal::lo ba nelletti regali... ll !)  e inoln Ine: l'e, all'usanza (li (1:la, di co- e dl gla il valore, ll lì.... ». Calo. « .... se la faceva la maggi . parte le 'a nero, all'usanza dell'Indie, e con l'iso, e quando pit sontuosa ine:lie oil... » Bart.  ALI, I SAT(); AI, SOI, IT() .... lle resta V a dl di rilli all'usato di strane « tentel)llate ». Fiel'.« ... e ne rinfocola V a l'iberio, per ll è al solito lllllga lllente in lui a V a vampati, ne uscisse o saette il rov in se . l)av.“ . . . . . non ga e al solito, Irla cori tlc it to . .. e co; i visi, benchè a ce on e ci ai ln (stizia, pil V ( ralli elite cagles lli... . l):ì V.  AI, CONTINU ( ) Sonando al continuo, per la città tutte le campane. .. » V ill.  AI, TUTTO - Conf. Tutto, Cap. III e l'elisorili che Marta s'inginoc a chiò a piedi di lei e disse: Madre dolcissima, al tutto sono appa a recchiata d'ubbidire, chi io sento n. ll'admin la mia che l vostro par « lare Imi conforta ». (.a V.  AI, CERTO – - a Se....., al Certo i denloni ne farebbero, gran rumore ». Iºart.  AI.I.A SCOPERTA – . .... potè poi mettersi con lui alla scoperta in più a ragionamenti. » Bart.Al, DIRITTO – « Il Sole..... feriva alla scoperta ed al diritto sopra il te « nero e delicato colpo di costei. » Bocc.ALLA DISPERATA – « ....nnellare d'attorno bastonate alla disperata. » BaI l.ALLA SPIEGATA – « .... appunto culme la nave... sulla quale tornò non e potesse levar mille fasci di lettere, che dicessero alla spiegata quan a to egli veniva a raccontare. » Bart. ALLA SPICCIOLATA – . Tagliare a pezzi alla spicciolata. » l)av. – Andare alla spicciolata o spicciolati vale: andare pochi per volta e non ilì Ordinanza: l'O( o dopo si Inossero gli altri bravi e discesero « spicciolati, per non parere una compagnia. » Manz.ALLA SPARTITA – . Le varie scienze brancate non hanno più alcun « Vincolo coinline che insieme le c' III ponga e le organizzi; si no a ce « fali, vivono alla spartita e tenzonano fra di loro. iub. ALLA STAGI,IATA – Andare alla stagliata per la via più corta i : « .... E vanno giorno e inotte alla stagliata. Non creder sempre per la a calpestata ». Morg.ALLA DISTESA – « Ben è vero che quella grandine di concettini e di « figure non continua cosi alla distesa per tutta l'opera ». Manz. ALLA 1)IROTTA – Piovere alla dirotta. « Che lavorio non si pigli alla dirotta per alcuna cupidità, ma piut « tosto per servizio dello spirito ». Ca V.ALLA SCAPESTRATA senza ritegno, – « Ruzzando..... troppo alla sca « pestrata..... ». Bocc.a Correndo alla scapestrata e senza ordine niuno, cadono nell' ag a guato ». M. V. – Simili, all'impensata; all'improvviso; alla spensie rata; alla sciammanata – « Mi diletta oltre Imodo quel vostro scrivere a alla sciammanata cioè scomposto, se llcito, o, Caro; a fanfara – “ . . . . . non usavano i vecchi nostri far le cose a fanfara ». Allegri; alla carlona; alla rinfusa; alla sbracata; alla cieca; a mosca cieca; a chius'occhi – . Negligolza dc lettori che passa lo il vizio, a chius'occni» V ill. ecc. ecc.  ALL' AVVENANTE (a proporzione, a ragguaglio ... dispensavanº loro a oltrate all'avvenante ». DaV. a .... e fece fare... le monete dell'argento all'avvenante ». G. V.  ALLA MEN TRISTA (a farla bucina) – . Passato il quarto di, Lorenzo, se a condo il consertato, non ritornò; talcli è già altri il farºvano molti, « altri, alla men trista, prigione ». Bart.« Stava in gran dubbio di sè, certamente credendo che il re, alla men « trista, il disgrazierebbe ». I3art.  ALLA CIIINA – « ... i piaceri sono monti di ghiaccio, dove i giovani cor. « rOIlU alla china ». I)a V.  ALI,A BRUNA – « Uscire di casa, ritornare, il sene alla bruna , i di notte « tempo ).PA RTE TERZA  Verbi e alcune altre voci generalmente note, ma dal cui retto uso all'elocuzione garbo ne deriva e vigoria  (APITOLO I.  Verloi di particolare osserva , Aio1 ne  non quanto all'ordine dell'azione, che se ne è parlato alla Parte ll º Cap. 2º, ma quanto alla varia maniera di usarne, così cioè da risultarne ora un senso e ora un'altro, e quando una frase più che altra concellosa eſlicare e chiara, e quando Ina forma di dire piacevolis ima. In assello di espressioni elegantissime, nulla comuni ad altre lingue e al tutto con forini all'indole, all'original candore dell'italico litigliaggio.Uno dei capi che formano il carattere di una lingua è, senza dubbio, l'uso frequente e vario di certi verbi previleggiati, onde quel tal linguaggio prende una piega, una forma che lo distingue da ogni altro, reca un'im pronta decisa e sua, e rivela l'indole, la natura della nazione che lo parla I; sli a entra al to do, io ſo, lo gri, i sel. I pul, lo li arr, lo li hº to trill, lo shall ecc. ecc. degli inglesi: al bringen, Schlagen, selsºn, lath rºm ziehen, reissen, allen, hallen e er . l i l des hi: al lati e doti lºrº mºtivº quel gal dler, falloir, aller, ceni, e crc. d . I rili esi.Niuno per fermo potrà mai farsi a credere di saperlo l'inglese, il tedesco, il francese se non conosce appieno l'uso molteplice di cotali verbi. Ma e dovrà poi dirsi che noi italiani conosciamo l'italiano, lo par liano, lo scriviamo, quando molti usi e vaghissimi di alcuni verbi sºli º gli scrittori nostri del trecento e cinquecento e loro valenti imitatori, o ci sono al tutto ignoti, o non vi badiamo gran fallo, fuggono al sensº º quel ch'è peggio, non pigliano al rina ſatiri di apprenderli ?Mentre nel Prontuario trovarsi in diversi luoghi. “ioè quando sºlº una parola e quando sotto un'altra, l'uso e il significato altresì diversodi ognuno il ſitº si re bi, in questo Capitolo sono invece raccolti in pro prio, ci si il li del is fli e, iro, i molti sensi e gli usi inoll piici di questi si illli i crli. \' scopo poi il liv sarne in qualche non lo la I al ria,  i , li i di li 'il ſole e portata loro, due orditi (listi, ci :V ci li pi li, si incli di più ampia sv al l: VitaliiD. llli i cºrti non si li prºnti, il che anche di questi, cioè dei 'oro Ilso l g.gior grazia e vigoria. Il dis( ºr sor. -  S  1 º  Verbi più notevoli, ciò è a dire rigogliosi e fecondi di più ampia e svariata vitalità, e sono: andat e, dare, fare, prendere, levare, met tere, recare, portare. it jutlatre, sentire, stare, tornare, venire.  Arm ci are  Noli II l via di etill irli qll il I agioli alimenti e andarmene in discus si ti sul come e ind , che a fil e ass. I li II e i di ºrgan, a il più delle volte a lin, ia, gialli rina approda e laio a anche trilore; imperocchè allo si ling r . a p. l si la fatica con (edio e danno di chi legge e li in pro º cli il lr Iriesi e gli anni in istu diare, raccogliere, e vergar car lei e per passi di quanto scrisserº grammatici e il logi rh , e li arreco subito alcuni sempi colti li i migliori libri di Ilarsi i lingua, dai quali potrai di leg gieri a ndere l'uso vario e vagilissimi del vei bo andare: e metto anche pegno che pur leggendoli nel tendovi un po' di studio, saprai senza scandagliarne altrimenti le rip. ste ragioni il logiche, convenevolmente imitarli e rifarne, occorrerlo, d aitrella!.  ... e son cerlissimo che cosi a cre' l e blu conto coi dile, dove così andasse la bisogna come a risale: ma lla andrà all imenti . Boce. (410). Manda vanglisi di Ilona e d'Italia gli aguzzamenti dell'appelile; le poste correrano dall'uno all'altro mare: se n'andavano in banchetti i grandi delle città: rovinavansi esse cillà.... . Dav. ll .(neste cose belle dicerano in pubblico: ma in sè discorrera ciascuno: questa colonia in piano potersi pigliare con assalti e di molte col medesim , a dire e più licenza di rubare: aspettando il giorno se n'andrieno in ae cordi e lagrime: un poco di gloria rana e pietà pagherieno lor fatiche º sangite ». Da V.“ . Somiglianº si può dire anche il genio e la natura degli abitatori I tillo va in delizie e in piaceri di musiche e di odori e di n. 13al l “ Lo ingegno di Verone degli anni teneri se n'andò in di pignºre, in tagliare, cantare, cavalcare ». Dav.  “ .... lullo il dormire di questo molte m'è andato in un sognar continua di nomi, cerbi crc. ). ( es.  “ ... e per non andare in troppe parole ... Se in.  Che fama andrebbe al lui mi i secoli di ieri e I;a, 2 ... ºbbºlo per rili poi ci li ti resi nel l' u tutti e ne andò gran timore per lullo, il regno . I al I. I tempi vanno u mi irli , N ſi i St ! ! 1. l’ulla la città di isti i patiti ne andava a rumore I3. I 413 , ... la gen I e andò a fil di spada q io ti l ne volle l'ira e il giorno ... l ralosi il pool ogni cosa andava a ruba . (0 utndo questa cili, la l 'dei lgo in presa, andatoci a ruba ogni CoSa ... . . . . . . . .ln questi mutnici e si li sº quel luogo il quale andò a ruba ed a Sa CC0 . I .Ma º non crei propri iani e il liri i titoli I e il I il enci si che face rain , i monaci qualche li ha o di quelli in blio che, le quali miseramente anda vano a ruba T, il lil.  º mi ios li si i 'le, che li ci mi i ssis si incli il non irresi ſtiamº mai andando me la vita?In queste cose l'isogna andar cauto; ma lo si e va il capo cantis  sino.... \ :.  A chi con in el l e così i ti e mi isl 1 il ris va la vita pºi giustizia i  a ... e giudicò che e' lusse al pi p si andassene G che volesse dire che egli ci ſi presto al gni suo placer . Fi, l'.  ... vi andasse anche la vita, io sono e sarò si mpre al l ostro pit ( e re ... Ci s  a I', il lil, i cl e ne andrebbe dell'onor stuo ... . . . ( : l', n.  a E se n'andasse il collo, sempre il rero son per dir li Sacchi.  () ual delle due ri pa; lunque più con i nerole: che ne vada l'onor vostre, orrei o che ne vada l'onor divino? Si, si. r ho inteso : ne vada pur , (lile. ne ratula l'onor divino. pl i cli, sull' isl il nostro . Segli  a Sim il cosa diceran quel di Tci n. eh il pm a rosso le ren d'Ital e andrebbe a male se la V era si spirl issa'.... . I  ... ma in vano andaremo i pri, gli i? .  « Lo stral rolò: con lo sl rale un volo Subito mi sci. che vada il colpo  a vôto o l'iissi).Allora domanda consiglio di tua salute quando vedi le cose del mondo andarti molto prospere, e fa ragione che tu se' alto allora a sdruc. ciolare ». Mar lili. V es .  º I) il nulla º quando Ma io ride che li detti lei Sacerdole andavano a quel medesimo ch'egli intendea... Sal Isl.  Ortando la cosa fosse andata per lo contrario.... ... Fier. (416).  “ ( r se li tºsle i tgton son in mileste. Se le tocchi con mano, s' elle ti vanno, con chi intoli.... . I 3el ll .  i na circºla dirà: quell'uomo mi gol in una fanciulla saggia: quel l'uomo mi andrebbe. Son molte le cose che la bano al gusto e che non vanno (tl e il roll le re . l'orn Ill.  () irando tlcuno o non intende, o non ruol intende e alcuna ragio ne chi della gli Nict. Nuole dire : ella non mi va, non mi entra, non mi ralsa, non mi rape, non mi quadra, e il re parole così lalle o. Varchi.  ... l'ira e li cruccio, il 'nendo, andava disposto di lui li rituperosa mente morire 13 cc. (418).... ma non che la nl o di rivenisse di loro, che anzi non ne andarono  pur leggermente offesi ... I3arl. « Quanto all i più sa della lingua ben app s. nelle sue radici, lanto più va ritenuto in condannare ». Bart.... e da principio va ritenuto lipoi comincia a poco a poco ad arricinarsi alle pristino compagni. Si gri i 19« .... se prorar lo potesse, andrebbe asciolta ». Ariosto. a Le trecce d'or, che dorruen fare il sole. D'invidia molta ir pieno , IE A1 at li fre'don ne va poco contento IPull . Mi l' .« Perchè lal, che qui grande ha sugli Argiri Tutti possanza, e a cui l' (cheo s'inchina, N'andrà, per mio pensar, molto sdegnoso ». Monli. « ... nè però fu tale La pena, ch'al delitto andasse eguale ». Ariosto, « Si potrebbe indovinare che noi andassimo facendo e forse farlo essi all res) n. 130cc.« Concediamo che spendiale in Noren li con rili, in allegrie e, quel che anco conceduto non andrebbe in men che onesti amori o Menz. pros. () uesto ſarà il mestier come va fatto . Mtilln).a Le ragioni contrarie, a roler che sieno bene e pienamente rifiutate. vanno con chiarezza e con fedeltà esposte . Salv.e dunque non va segnato mai in principio d'alcuna parola quesi 3 segno . Salv.  a ... acciocchè resti si potesse e forni di cavalcatura cd andare orrevole . I 3 o . ( 20 .  ... o Nseri utili al loro i I3oluzi: con unº º l'andarsene rasi barba e ca pegli ». Bari « Von area cominciato nella religione ad andar dispetto e vilmente ». vestire alla buona, cienciosanielle . Fior. Ces.« ... perocchè il rigore toglie la con lidenza: e dove questa lor manchi andranno con voi copertamente, che appunto è quello di che il demonio si varrà m. Bart.  Con lor più lunga via con rien ch'io vada . Petr. (421 . « ... io vi porterò gran parte della ria, che ad andare abbiamo, a carallo . Bocr'.a ... ma la bestia voleva pur andare a suo cammino . Continuare, proseguire. Fier.« ... e dove..... da niuna parte il loro cammino a sè vietato sentono ii fiumi, riposa la mente le lor umide bellezze menando seco, pura º  cheta se ne vanno la lor via . I 3 : Illo. ... Lu (lor lco se n'andò al suo viaggio ... l' 1 r. ... Ma lasciandoli gridare balassi a ir pel fatto tuo v. Fior. 122,. ... ed ella colal salratichella, facendo rista di non avvedersene,  andava pur oltre in contegno ». Bocc.  « ... un vento sempre intavolato per poppa e così fresco che anda vano a più di cento miglia al giorno . Bart.  a Siale in procinto di rela, che non andrà a due anni che di costà chiamerò molli uli roi n. 13arl. (23 . - -« Tulli i cristiani di quel poi lo iurono intorno al l'. Cosimo, a pre garlo con lagrime che non frammettesse troppo a campar la vita, chè il perderla andava a momenti ... Ilari.a ... Ma poco tempo andrà che l'uoi ricini Faranno sì che lu potrai c'hiosarlo ... T)il rile.« ... e costoro si levarono tutti smar il talendo questa parola: poco andò che noi reulen mo....». (.av.« Essendo già la metà della notte andata, non s'era ancor potuto Telmullalo adultorm en la re . I30cc .« Ouesla notte che è andata, si sognai ciò che l'è apparito ». Stor. S. Ells [ach. « () uei area poco andare ad esser morto . Pelr.  Si notino Jin (il men le le ini (iniere : son..... anni e va per...... :  « Io la persi, son quattro anni finiti e va per cinque, quant'è da settembre in qua n. 13occ.  a Signor mio, son questi 1)ebili premi a chi l'ado di e cole? Che sola senza te già un anno resti, E e va per l'altro, e ancor non te ne duole? ». Ariosto.  Vada questo per quello:  « ... e non credo errare ad aggiugne di mio oi namenti e forze a'concetti di Cornelio alcune colte vada per quando io lo peggioro ». Dav. Andar del pari con... : 42.1 ..- - - - - ma i fatti non andaron del pari con le promesse o. Bocc. - Bart. Ncn andavano in lui del pari la gagliarda del corpo e la genero sità dello spirito . I3art. - Basti Germanico privilegiare che in consiglio dal senato, non un con le da giudice si conosca della sua morte, del resto vada del pari I)aV. Andare a chi più..... « .... perciò dove il fatto andava a chi più può in forze e in armi, i cristiani di quelle spiagge quasi sempre i rstarano al di sotto . Bart.  I t  425 . Note al verbo Andare  41() Similmente di resi con le vanno l la cellule? N lì so come vada questa cosa. Come va la sanita? Gli affari non vanno bene,  4 1 1 - - Nota la frase andarsene in chechessia, e io è a dire: distrug gersi dietro a cherchessia, perdersi, ma -sare il tempo, non far altro che....  i 12) - L'andare di qui sto e del seguenti i senipi e al ufficio pressa  poco di essere, correre, trovarsi, mettere, soggiacere e Ma è chiaro che -arebbe guasta la frase, non le andarne d l grato, a voler mettere un di questi verbi al luogo di andare.i 13) – Maniera bellissima. Simile le seguenti: andare a ferro, a fuoco, a sacco, a ruba; andare a fil di spada, e vale essere in preda, abbandonato a... ecc. Frasi, del rost, che a tradurle in altre lingue converrebbe dire: uccidere, consumare incendiando, rubando ecc. o che altro di somigliante, – « L' andare a ruba, osserva il Tommaseo, affermasi di tutte o quasi tutte « le cose in un luogo co; tenute, quando l'essere rubato può riferirsi ad a una o poche ( se tra moltissime ». Mi par di poter asserire con sicu rezza che ne anche il tedesco idi Ima si apprestarci un modo simile a questo andare a...., o altra frase che torni se ttosopra il medesimo. 11) – L'andare chechessia di questo e del seguenti esempi significa: trattarsi di ....; essere in pericolo, esposto a perdere; avvenire, seguire che chessia ecc. Leggili, intendili, che è maniera vaghissima e nostra. (415) - Ognuno vede che l'andare di questi esempi andare a male, andare a vuoto, andare in vano, andar bene, andare a chechessia, andare per lo contrario )val quanto: riuscire, battere, cogliere, tornare e simili. 416 – Significa: non riuscire, riuscire altrimenti che il concetto avviso, riuscire nel contrario. Bocc.417 – E' il Zusagen, anstehen affarsi dei tedeschi. Simile a questo andare è l'entrare dei modi: mi entra. ci entro; questo non mi entrerà mai, ecc. e significa, l'uno e l'altro: capacitare, appagare, sodisfare.  418 – Andare, coniugato con certi partecipi pass. Ovvero con certi ag gettivi, piglia talvolta il valore del verbo essere, conservando però seni pre l'idea di una cotale progressione e continuazione nella cosa di che Si tratta, (andar disposto di...; aridar ornato di...; andarne offeso, andar ne contento; andar metto da una colpa ecc.) e tal'altra fa l'ufficio del ge rundio passivo de' latini, e vale: dover essere, voler essere, doversi ecc. (Gheraldini); - - Quel tal delitto va punito; quell'atto caritatevole va pre  miato e Cc  419 – Nota la questa frase andar ritenuto, guarda i si da. . , proceder con riserbo ecc.120 – Anche l'andare di questi esempi, accompagnato da altra voce  agg. partic. o avverb.) che ne indica il modo, e ad ufficio del verbo essere, o meglio di contenersi, di portarsi, governarsi, procedere e va dicendo.421 – Pon mente costruzione o maniera di connettersi delle par le che si attengono a cotesto andare (andare una via, andare a suo cammi mo, andare oltre, andare a tante miglia ecc.) Il quale la senso di percor rere, proseguire, seguitare, il suo viaggio e simili,422 – I nbekil Inl Inert seilles VV egs gehell SI Inile a Illmina l'e al V lag gio suo: « Ma poichè i regni e gli stati camminano sempre al viaggio loro a e dove prima furono diritti indirizzati, non fla Inal li or an . Il a passo ». Giamb.423 – Andare, parlandosi di tempo, indica lo scorrere, il trapassare del tempo, e la durata del tempo impiegato in checchessia. Nota costruzione andare a ..... – Ricordo qui il modo avverbiale, affine a questa forma di dire, a lungo, a poco andare ecc. v. lProntuario, Tempo - avv.) Un altro lISO molº. In alto dissimile, di llll a ndare, cioè, il sºlliso di passare ecc., è quello della nota frase: « ma lasciamo ora andare questo: « quando e dove potrem noi essere insieme ?» Doce.424 – Questa maniera è simile all'altra già addotta: andar eguale, andar vilmente, copertamente ecc. ma è forma di un assetto singolare e va però notata a parte.425 – Chi non ha le belle ma Iliere italialle Ilon uscirebbe dalla forma comune: trattasi di ..... a perciò dove non trattavasi che di chi prevaleva in forze....... NoDare  Il suo valore, dirò così, naturale e comune all'equivalente di altre lin gue (dare - latino, geben, to give, donner ecc.) è quello di trasferire una cosa da sè in all'ul, consegnarla, renderla e simili. Ma poni mente va ghissimi altri usi ed efficacissimi di un colal verbo, assai diversi dall'or dinario di altre lingue, inoll plici e ſanti che appena se ne potrebbe rac C () l'l'( il mul) el' .  Gli esempi che allego contengono quei costi utli e quelle maniere, ch . mi parvero meno note oggidì ti volgari, cioè, e a poco sperti), ma opportu nissimi e ancora a sapersi, chi vuole impararla daddovvero la lingua ita liana e usarne l'el talmente  Metto prima alcuni esempi di un dare quasi assoluto, cioè adoperato. per elissi od altro, senza l'oggellº e il mal i ra di assoluto cec. Poi altri i un delel'inilla lo costrullo, egliali di lornia, non di significato i dare im, mel: dare del: dare per mezzo a ecc. Seguono undi alcune maniere di un dare ti forma transitiva, e inallelle all i nodi o Irasi antiche e dell'uso.  Il sole e alto e dà per lo Inugnone entro, ed ha tutte le pietre ra st it ltte- o lºo . . .37.  " . . . . . . Sono posti i primi, quando lo veggano li ella vernata già secco, a levar la scure e dargli alla cieca tra capo e collo, tra tronco e rami ». Segn.  “ . . . . . . e ancora raddoppia V. Il dolore e il piant e davasi nel petto e diceva: or II lisera.... ». (a V.  a l)icoti, Signore, ch'io loll lo virt tl da clò, e tll il sai. E davasi nel  petto e piangeva sì forte che pareva che il cuore se le spezzasse in corpo , ( :) V.“ . . . . . e gittato il cappuccio per le ra e dandogli tuttavia forte.... ». Boce.  « Un muletto di Libia avendo scorto nel fiume l'imagine del suo corpo e meravigliato di sua grandezza e bellezza, dati i crini al vento volle cor rore come il cavallo ». Adriani.  “ . . . . . ( con questa tenzone il porco, uscito lorº tra le brache, corre per ulo androne e l'altro porco dietroli, e dànno su per una scala.... Torello levatosi e 'l figliuolo dicono: o imiè! Inale in lobiamo fatto. Dànno su per la scala dietro ai porci, là dove il sangue per tutto zampillava. Giunti in sala, caccia di quà, caccia di là, e quello ferito dà in una scanceria (scº sinº tra bicchieri ed orciuoli per forma e per modo che pochi ve ne rimasero Salvi ». Sacc. (438).  a Su, andiamo, diss'ella, ma sei mi dà nelle unghie lo concerò io come ei merita ». I):) V.  « Non prima l'innocente colomba uscì fuori del mido, che diede fra le ugne di un rapace sparviero ». Segn.  e Poichè si diede nel sangue e che "a nominanza era rovina, si attese a cose più sagge ». Dav.a Lorenzo de' Medici a uno che voleva dar nel sangue, ricordò che gli agiamenti a Filenze si vuota: no di notte ». Da V.La prima e ben grailde II al I vigº.ia che dava loro negli occhi si era Che uomini di quel conto.... ». Bart.« .... raccogliere alla rintlls i ciò che dà alle mani ». Macchiav. E come e vedeva i nemici in posa, nuovamente ridava all'ar. Ino ». Bart.« Il colore del tuo abit dà che si fornaio ». Cav. 'Inostra, appalesa – verriith).Diamo che a casa vostra nulla deloba arrecare di pregiudizio l'iniIni cizia divina. Diamo che col malvagi conquistamenti voi la dobbiate eter 11are. Diamo i le le lobbiate a l escere credito, aggiuli:go le autorità, a qlli stare a dereilza: vi pal' però che vi torlli ( olllo di farlo? ». Segll. Coil ed la II 10, assentianro) t439 .« Per la qual cosa la confida:izi dentro le dava pe: lo fermi o li e la pure si convertirebbe . Cav. i 10« Non mi dà il cuore di venire il cilielli o con sl potlºrosi nellli i n. Segn. 441 .E vi dà il cuore di lasciarveli sta, e nel Purgatoriº piu lungamente?» egn « La mia coscienza non mi dà di piacere a Dio ». I3ari.  S  IVARE IN NEI.: a Essere venuti quatti quattº pe; tl a getto di mare per noi dare in chi gli pettoreggi. cacci e prema... . I)av. gerathen).Il sali o, facendo intramesse al ra . colito, dava in affettuose preglio re ». Bart. prorompeva .a Ma su, fingiamo che abbiate tiato in amici di lor natura piu libera li.... ». Sogindovrà egli dura una gr ali fatica per mandarla a live) o a r Inter e in uno scoglio, o ad arenar lolle secche, o a dare nei corsari ». Da V. « Allora Sonzio fece dar ma corni, nelle trombe: piantare scale, salire al bastione.... ». Giali) b.“ . . . . . i quali, quanto prima videro i nostri, diedero tutto insieme in corna e tamburi e grida disso! la ntissimi e all'usanza dei barbari ». B: rt. a l'erò qualvolta voi scorgerete alcune persone che volentieri in luo gli tali convengono a trastullarsi, dite pur senza rischio di dare in temerità, dite che ...... ». Segm.« Allora il Bonzo, dato in un rider sboccato, volse le spalle ai Padri C..... ». Barf. (442).  T).AIRE I)I l NA (()SA IN, PER..... : a ... e, dato dei remi in acqua, si rili se' , al ritornare ». BO . a ... comandò che de' remi dessero in acqua ed andasser via ». lRocc. a Se...., io gli darei tale talmente) di questo ciotto nelle calcagna,  che cgli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa, e il dir le parole  e l'aprirsi e 'l dar del ciotto nel calcagno a Calandrino fu tutt'uno ». Bocc.“ . . . . . e inginocchiavansegli dinanzi e dicevanº: Ave rex Judeorum, pro fetizza chi li percuote; e davangli delle canne in sul capo, tanto clie le Spille gli si ficcari no insino al cervello ». Cav.  « ... le dicevano l'altro suore: e verrà a 1 e Eufragia e daratti del ba stone. E in Illantille lite che la ll dl va ricordare Eufragia, cessava il dia Volo (li tol'Illentarla a. (.a V.  “ . . . . . poscia a se ne disino die di un coltello per niezzo il ventre e.... ». l)a V.  « Cielò ll llll Inedesimo per timore e avvampo per rabbia, e dato barba ramente di un'asta per mezzo il petto a quell'infelice lo squartò ». Bari.  « .... Si chè, (Itlillido venne l origine e diede della lancia per lo costato e si a perse il cuore del corpo di Cl isto, il s a ligu, li us i fuori tutto ». Cav. « ... vi possono dar su di spugna liberamente i pittori sopra un qua  dro, ». Segn. A 13.  |) \ IR PEIR A | EZZO) (l, li... (alla e mi l un ct, ct mi scot ciertt . - - - - - ond'è conseguentemente il dare che la lino per mezzo a tutte le l"il bill leriº ». Bari.  « .... le altre filsto dessero per mezzo delle nellll ll , il V Ve!ltandº i fuoclli e ſerell (lo (l'ast:) o (li Ill ( Selletta ». l 3ii l'1.“ . . . . . Inl egli la diede per mezzo alla si apestrata e senza ragione ». I):av.  • I) AIR V ( )I, I'E: a Tu dai tali volte per lo letto, che .... » lº i c dimen trsi . a Messa la chiave nella toppa, dandovi da quattro a cinque volte, l'aper se e....» (i Ozzi  I ) \ E SI () I RIPI E I) \ N NI IN... e simili Dava ilì ogni cosa storpi e danni al lilli li I); v. « Solo coſa li scioperati che noi: sanno la l' altro e le illeli:ì 'e la font ini, e  e dare storpi e danni nella fama altrui. » Ces.  l .Alt E I E SPALLE collar le spalle o I)all'aiuto di l)io e dal vostro, gentilissime don me, nel cluale io sperº.  armato, e di buona pazienza, con esso pro ederò avanti, dando le spalle a  questo vento (della mormoraziolie e lasciandol soffiare » Roce.  I) \ IRE STIR A MAZZATE : e .... i quali cavalli in quel terren il sangue loro e di loto molliccio. davano stramazzate e sprangavan calci. , Dav.  DARE PIRES\ a, di... (dal pretesto, motivo: dare appicco - reranlassen, « Vero e che queste osservazioni .... daranno presa al lettore svagato e  malevolo d'affibbiarmi un altro bottone che però non mi farà troppo noia avell (lo l'occhiello. » (iiub,DARE CARICA AD UNO DI Q. C. : «.....lo Volle seco...., lo colmo di onori e linalmente gli die carica di VI i eri. » Balt.  DAI BRIGA (sich michts aus Eturas muchen): « Ne anco Imi dà molta briga se, per compiacere a un amico, ho dato da dire u molti curiosi. » Caro.  I)AR NOIA A... Ed accordatisi insieme d'aver per giudice Piero Fiorentino, in casa cui  lano, ed andatiseme a lui e tutti gli altri appresso per vedere perdere lo  Scalza e dargli noia, ogni cosa detta gli raccontarono. » Boce.  DARE GRAN VISTA) (sich schòn, gul ausnehmen -- onde vistoso): « Tutto va in delizie, in piaceri di musiche e d'odori, di portar la Vita con grazia, di vestire abiti che dànno gran vista. » Part. appariscenti,  I) ARSI IN (ERIE(.(XIIESSIA, A ( III ( CHIESSI A (applicarsi, abbandonarsi  t...):  e Calalndrilio, Veggendo che.... si diede in sul bere. » Boce. . si diede allo studio e della filosofia e della teologia. » Bocc.  I ).AIRE NEL MIC), NEI TU ( ) In mein Fach einschlagen –- in casa mia, nella mia bev (t :a Voi date proprio nel mio : l entrare in discussione intorno a questo [ . lll tr. » ( es. - I 3:ì l'1. l3 .  I ) \RI ( III: IRII) I 13 E (da e male riut dal ridere : e Diè tanto che ridere a tutta la compagnia, che illlllo v'era a cui non di lessero le lnascelle. » Boi ('.  I) AIVE I MOLTO BENE I) A MANGIARE ecc. a A te sta ora darmi ben da mangiare, ed io darò a te ben da bere. » Bocc. a Dar molto ben da far colazione. » Fiel'.  I ) \ IX I ) I CC) LIP( ). I ) I CC)ZZ( ) (in... ('('('. : - - Si scagliano di anci , il verso lui e Vanillo a dar di colpo sopra i di rupi del fondo, dove s'infrangono. » Bart. “ . . . . . e V: Illasi a dar di cozzo in una ville. n Bart.  I).AIRE | ) I SIP.VI.I.A : º Adoperò la sua Madre, che già conosceva assai disposta, a dargli di spalla n. a S. Luigi per indurre il Padre a...). Ces. I) A IRE I)I SCI() (CC). I )l.I.I l IRIETICC) ecc.  l) Al l I)I IR E, l)| ( ( )NT E e il lilolo) di “ . . . . . Se mi avesse l'o (ld lIo so clic m'avrebber dato di sciocco il vulu l'e che l'oratore sia di necessità legista e filosofo ». I)av.benche gli tolgon ) ogni appiglio di darmi dell'eretico e del miscre dellte. » Giul).Non vi do di signorie, per le, quando scrivo a certi uomini che sono uomini daddovero, soglio sempre parlare piu voleliti ri a essi medesimi che a certe loro terze persone in astratto. » Caro.« Augusto si trovò questo vocabolo di sovranita per non darsi di re, nè di dittatore. e pur III ostrarsi con qualche nome il maggiore. » Da V.  I ) AIRE AI)l)| | | | | ( ) ( ilira si, in limorirsi, sbigollirsi Sich u b Schrecken a Vinti dal timor della morte, davano addietro e rinnegavano ». Bart.  I) AIA NE' IRI LI , l vale sulla e', i lazzare, r. Scherza) e, saltare, Prontuario): « Ora è ben tempo, soz I, I)a stare allegramente, E dar ne' rulli e saltare e cantare l'er questo rovinevolo accidente. Buon. l'ier  DARE VDOSSO VI I NO, VI) ( N V Cosv (investirlo con parole e con jalli - angrºijen, sich re g 1 e il n. 444 ) :  con le fa un ser it , che, vedendo l' - le sue l e al cosi il gulal dia. Colì a ver le bagaglie abbandonate, non quello investe ma dà adosso a quelle e fallì ( Sllo bolt Ill ( n. l)il V.  I ) \ IR E AI ) ( SSC) \ I ) ( N I \ V ( ) IR ) significa : alle mele ri con assiduità).  I ) \ I RI SI | .I.A V ( ) ( l V | ) \ I,( il N ( ) : Diasi pur sulla voce al presuntuoso che sale - ha o ha i ed io di... » IDa V. « Io conosco un auto e a cui per questo peccato si diede più volte sulla voce e, sventurata nel. e, n loro profilo. » (iiill).IIa i sentito come mi ha dato sulla voce, con le so avessi detto qualche sproposito? Io non ne n solo la tio caso punto ». Mlanz. – E' Vgnese l r r l  le ricorda a Lucia (lulei ripiglio sgarbato della signora i 15)  I) AIRE A VISI) EIR l, l) \ I l A ( IRI,I ) Il RI : « ....e dato a vedere al padre una domenica dopo mangiare, che andar  voleva alla perdonanza.... » Bocc. « Fra Alberto dà a vedere ad una donna che l'agnolo Gabriello è di lei  Innamorato ». Bocc. Conf Far vista, far sembiante, far veduto - sotto fare). 1)ARLA TRA CAPO E COLLO (sentenziare di chicchessia o checchessia senza pietà, senza alcun riguardo, con poco senno ecc.) –  l)Ali DI MANO, DAR DI PIGLIO :  « ... die di mano al coltello e sì l'uccise ». Pass.  “ Noi per questo, dato di mano alla rivestita ampolla, col marchio.... ce  l'andammo.... ». Alleg.  « Lo duca mio allor mi die di piglio, E con parole e con mani e con enni, Riverenti mi fà le gambe e il ciglio ». Dante.  « ... i più severi centurioni dànno di piglio all'armi, montano a cavallo... »  IDaV.  « Draghignozzo anch'ei volle dar di piglio ». I)ante.  DARE I TRATTI (essere allo stremo della vita: « .... braino che ella, che nelle sue mani dava i tratti e boccheggiava,  nelle mie basisse, spirasse e intrafatto perisse ». Dav. « ... e incominciò ad entrare nel passo della morte e dare i tratti ». Cav.  446). Note al verbo Dare 437 – ll dare di questi primi esempi torna sottosopra ai verbi: bat  lere, percuotere, arrivare, colpire, cogliere ecc. Prova, recalo in altre lingue, p. es. in tedesco, e non lo potrai far meglio che usando le voci proprie: schlagen, elnschlagen, klopfen, gera then ecc. ecc.  438 – Dànno su per una scala è lo stesso che: fuggono, si diſilano. Dare o darla è spesso verbo di moto, nota il Fornacciari, e ac cenna per lo più a un moto violento e quasi di urto.  439 – In questo caso anche il tedesco adopera il suo geben (zu geben); anzi è la forma di dire ordinaria questo: vir geben zu, per: concediamo, accordiamo ecc. 440) – E' appunto l'einreden ed anche l'eingeben dei tedeschi. 441) – Simile anche il modo: dar l'animo (Conf animo, Parte III). 442) – Aggiungi le maniere consimili: dare in vacillamenti, in ver  tigini, in frenesie (Segn.); lare in escandescenze; dar nelle gi relle, nei rulli; dar nel ge mio ecc.443 – Anche il modo: dar di morso a.... va annoverato qui: « E lu darai di morso al calcagno di lei io. Ces. (Et tu insidia beris...).  444 – « Dare adosso ad alcuno, figuratamente, vale anche nuocergli COi detti, co Cattivi il flizi ... (il) el'ardini. – Simile al detto: l'agliar le legne addosso ad uno. – « Tal ti loda in presenza  che lontano Di darti addosso bene spesso gode o. Leopardi. – Nota altri modi con questa voce addosso: andare addosso a mimici - I bav : l are un processo addosso ad alcuno (Bart. - DaV.) ecc.  445 – I)are sulla voce è un riprendere, biasimare, censurare, chia rnando all'ordine per vie indirette, per certi segni, avvisi, ml Ila/CCe GCC.  446) – Dicesi anche: fare i tratti, e pare che significhi, anche questo, dare i tralli; cioè agonizzare: ... e la Madre e tutte le altre stettero chete, in silenzio, mentre Gesù faceva i tratti e pas ( sava di questa vita o º av  Fare  Lascio le dissertazioni intorno a questo verbo, e mi faccio subito agli esempi, non trascritti dalla Crusca e d'altri Vocabolari, come fanno ecelli compilatori di grammatiche e dizionari dei quali tutti, quando presi a lavorare questo libro, io non avea nozione alcuna –, ma colti, al solito, nei migliori autori, lilli da me diligentemente cerchi e stu diosamente analizzali e sviscerali.  A maggior chiarezza di idee e ad agevolarne alche meglio lo studio.  distinguerello sei ordini liere di lare: la - che sta per quali il tre altro verbo dianzi menzionato. IIº - aggiunto ad un indefinito sì come vezzo od ornamento di frase (il pianger che faceva, che vede a fare ecc .IIIa - a valore di esse e o così che potrebbe stare anche essere (esser ll lile, esser buono eI Va - ad uso di varia significazione, cioè in luogo e forza di uno dei verbi: giudicare, ripulare, ottenere, conseguire, importare, fare in modo, passare, renire (parlandosi di piante).Va - pronominale farsi) e col significato di inoltrarsi, sporgersi, af facciarsi e simili.VIº - finalmente, ad usi diversi e come parte di questa e quella frase, cioè a connubio di altre voci e di un significato inseparabile dal medesimo. (449).  --- --  I. « ..... onde ella amava piu te e l'amore tuo, ch'ella non faceva sè me desitna. » CaV. (450)« l?el lo co.municare ille,iorire s'avventava ai suoi, loll all l'illelit I che fac cia il fut.co alle cose urtte. » l3o .- - - - - che io ho trovato dolllla (la III lto più che tu non se, che li leglio m'ha conosciuto che tu non facesti. » 130cc.« Il cuore non altrimenti che faccia la neve al sole, in acqua si risolves se.... ». Bocc. « .... le dice che se ne guardi; eila noi fa e avvienle. » I3 a « Quantunque quivi così muoiono i lavoratori come qui fanno i cittad.  (  Figliuolo, Messer (ieri non ti manda a me. Il che raffermando piu volte il falinigliare, nè potendo altra risposta a Vele, 1o 11 , in (ieri e sl gli li dis  se: – Tornavi e digli che si fo ci re: che ti mando . – Il lamigliare, torna a to, disse: –Cisti, per certo Messer (ieri mi manda pure a te. Al quale Ci - sti rispose: – Per certo, figliuol, non fa ci e, non mi ti manda, o Bocc.  « I)i spettacoli e d'ogni maniera divagamenti non potea pur patir di sen tirsene dir parola e partivane coli quel disprezzo che altri fa delle cose  Sozze e della Dl'll tll ra. » ( es. a .... e percio' che amore merita più tºsto diletto che afflizione a lungº  andare, con molto maggior piacere, della presente materia parlando, obbe dirò la Reina, che della precedente non feci il IRe. » Bocc.a non meno la grazia ( i a Inor del Soldano acquistò i l suo bene adope rare, che quella del (..italano avesse fatto, i 13 .'I'll ci il celll quasi coine se noi non conoscessimo I l 3 a 1 con i collle fac  ci tu. ) Bocc. a .... li quali per avventura voi non conoscete come fa egli. » Bocc. Itil V Vedeti oggi Ill:li e torna ll II 1 , coiile tll escº l' - le Vi, e non fa l' far  beffe di I e ti chi conosce i filo di tllo come fo io. , B º  a Tu diventerai molto migliore e piu costumirato e piti da bent la che qui  e non faresti. » Bocc.  a ... e nol credevano ancor fermamente, nè forse avrebbe fatto a pezza  (indi i lì0m molto), se ll : l caso a V Velllllo 11oIl 1 sse ch'e lor cllia l' elli fosse  stato l' ll cciso ». 130cc. e prega V: i lil. Inolf ( ll II, il III trite ch'ella di V -- andare il lil 1 l 'a  sua, com'ella prima faceva, e molto piu..... m ( il V. a Quivi pensò di trovare altra maniera al suo malvagio, ad perare, che  a fatto non avea il: altra parte. » Bocc.  Ed ecco venire in camicia il Fontarrigo, i quale per torre i panni come  a fatto avea i dalmari, veniva..... l3o a ... non v'è oggina , chi ad un amicº, terreno non creda pil di quello,  che faccia a I)io. » Segn. a I)avano vista di non tener più conto di lui, che si facessero degli al  a tri. » Balºt. Ces.  « Ma veggiamo forse che Tebaldo meritò questi cose? certo non fece: voi  medesimi già confessato l'avete. l 3o . a Niuna cosa è al mondo che a lui dispiaccia, colme fai tu. ) 13 r. 151 a .... ilſſuale non altrimenti gli lol corpi cali di li nascondeva che fareb  be una vermiglia rosa un softil vetro o Bocc. « Come suol far bene spesso molti altri, non m'ingannava. , Fier.  1t)Non potendo egli per le sue malattie intendere agii studi quanto face vano gli a Irl, º d egi I l Istora Va Illesi e il 'dite coll ..... » (.es.  a Dio tranquillasi assai piu ti sto che in li fan l'onde di turbata peschie a ra al posar (l, vei iti. » Salv.  a Amatemi coln, io fo Vol. (io/ zi. ) !  e Cosi l i poppavano colti i madre avrebber fatto ». lSocc.  S'io mi conoscessi così di lieti e preziose, ci rime io fo d'uomini, sarei blloli gioielliere. I ,il Vlati  II. Ed era si gri il de il percuotere che facevano il Sielli e le lololar, , che slavi, la V il 110 Il loro o il il iie l relli.Nel fuggir ch'egli Assi i lill ta faceva lie, una foltissi Irla sei vil, gii in cell le ll ' la g 1, l. 1 Isg, i Zl: 1. S - li.l'el Issa i cori e se li 1 , l su tv li intendere e del guardare, ch'egli i' leva ch'esso facesse le ,i di 1 min. 13 , .()n l'e ( olls gli ::. in l. ii dare che fanno per mezzº a tutte le ribal (l, l' e.....! I3: il t.Qlle rigoglio dal scperchiar che fanno le linesse de gli il ll ' ( ssell (lo 'll - I ll . ( ..:Per esaminar che facesse egli in desino, ogni azion sua..., con quella Sotlill-siIrla a ' ll ratezza º le farebbe ! l ... I l di pill roso e maie a milm:a  “ to........ !! ( sali 1,3;  -  Il III ore il plli ſi te e il martellar che faceva il povero cuor di l.u cia.! Mla liz.pero che tro) po lisa: il si logorava a disciplina del santo, la l'ecò il pit l i-erlo, si illo e Irl) Il lt , il battersi che facevano con alcune a discipi ille, o il de ci si ill si Vºle, tl a V a Ill quella dei santo.... Dari. a ... al Illale il saporito bere che a Cisti vedea fare, sete avea generato ». I 3 mcc.« I)a (Illel ol'l'el' che gli viddero fare il lla volta (ll ... I3:l rt. colll'elera il d a loro, per venir me: io dissecar che questo faccia, non perciò se lº svil I llia. . ll : :lzi... » 13 arb.I l piangere che lo l il re in teneriti fino alle la grini e vedevamo fare al mostro fratello, ci reco ad altri pensieri, e avremlino a condisceso, se non  clie.. .... a I3: l l'1. Ne I llli loro a spe, e ne vide i gli eletti, quando nel darsi che fecero per lo mezzo dei barbari, mist ro tale sp: vento... ». Iºart. il l. Il liv fa l la teli per atissima stagione di pri  Il l: i ver, l . . I 3: l ... . . . ll vi fa lin'. I l la derisi e greve º I ai t. )l re a ciò al spiaggia di Malacca fanno venti freschissimi, o l'art. l'etiche, a ragione di tr Inn ti che vi fanno spessi e gagliardi, esse « (case) non abbiano il mio volte sopra al chi. » l?art.a Ben so che per te farebbe di lasciare il vincoli e li poso della carne a e alrdarne a Cristo ». C: Vali. . io -il ebbe il lile).e Niente ha i sapor di biada e perciò tu non ti fai a me, nè io mi foa te ». Fav. Esop.« Non fa per te lo star tra gente allegra, Vedova sconsolata in veste negra ». Petr.Fanno pei gran disegni e mutazi e Ilori e da la dare ove la posa piu ti rovina clie la tern rità. » I)ava zMa perchè nell'acqua chiara ! ! - i lig lio la l et le ia V gg li : la torbida fà per chi gli vilol piglia ' , III: ng ſare. l)avanz.  Noli può fare li Ill re : I l e - - al 1ori la lol ( III il tal11:1. Sºg Il  ..-e egli dice , N 1 il por io può fare ch'ei rion si p it ,  e se n'esce ri le 'le, quell'avel tº Inlito gii accresce il dl! . » Da V. in quanto piu' alie d ' Iº che agli uomini, l' I, olto parlare e ling o  quando senza esso si possa fare si disdl Bo 155  l Ia' tll a Irli in olii o li or fan sedici anni, i l .. . ( l Slla V a 56  IV. a Suo cimitero di Illelia part la lino ( 1 Epi :ll'o ti 111 i su: i seglia -  e ci, (le l'anima col corpo morta fanno. » l)a 1; e I epili i go, suppongo io,  giII il 1 a 1 Ma il popolo che vuol ci ala e il faceva chiari at ali adozio e, a I) avanz « L'anſica III e Imoria fa il torri pi di icato dal... , I): v.a La tua loquela ti fa mi i lifesto manifesti rien! Di qui la riobi! pa tria nati. Alla quale lo sa lui troppo mio' si o I): inte . i s'ipno , ti appalesa – verráth dich.a I), Pietro in ritiro a Solo quel divario era oli e la S. Vg -tillo faceva da Fausto Manicheo si primo mi:i stro : S. \ mily g io. L'uno tilt 'tori e leggerezze, l'a lt) o frutti e -: il lezz' o I): V. Lc fo partito per di qltà ». Fier. a Dunque hai tu fatto lui bevit re. e V. , o di siti - 'e gli dai taccia) Colli i clie ha il ll ll gli fa l'i . . . . . . . 11: li l 3 , i ll l 1:1, Illeſ le co; to fa lrlestitºri E questo fa cli: i lio: e Itil, i ni li stili lo i libri li . ( s.  i Mla poi li è 11 11 si | lo fare i lic lºl - 1 , ' - ri - i l. 1 , , , l  a dio alcuno, nè posso - I gri e 'a e l' a i 'tr... ll ' Ina - - a ledir Cadmo e chiunque fosse altri di quelle teste matte che ritrovarono a questa maledizione dello scrivere . » Caro ottenere, fare a meno)  « Mentre che.... io non poteva fare ch'io non mi doleSSì almaramente. » Fieren.  rate che al nostro ritorno la cena sia in essere. » Caro fate in modo,  procurate) I)eh se vi cal di me, fate che noi se ne ineniamo una colassù di queste papere. » Borg.e perciò una canzone fa che tu ne dici qual più ti piace. » Bocc.  l'areva che non ti l'i sole, il la a Sinigaglia avesse fatto la state. » lºo: . passaio, trascorso (ono fatto fù ii (li chiaro verso la si dl lizzò. , Bocc. | - Il sul far della lotte e presso della torricella nascoso. » Bocc. 157)  l'altra urla de l'en li colli l?olna li.... Susilli non se lº cura; fanno per tutto, purchè grasso vi sia. » I)avanz. Colne ogni altro frutto tra  piantasi il noce : fa per tutto viene adagio: dura assai: appirasi agevole: la ombra nociva, onde egli lla il nome, o Da V. 458)  V . . Il quale come egli vide fattoglisi incontro gli die lel viso un gran punzone. » Boc i 150.  « Onde non è mai raviglia, che la llclo, la lit I anni al presso come si e det to, vider co'a ll no della compagli 1.1, gli si facesero tutti incontro a domall darlo del loro padre, e se v'era speranza di mai piu rivederlo ». Bartoli. « Chi volesse cimi ( 1 lt; lr sl lol a V i rl facessesi innanzi a l):ì V . « Ma ancora aspettano di dirle altro, e fannosi innanzi, e mettonle un cotale pensiero. » Caval.a e allora si leva rollo costoro, e il maledetto Giuda si fece innanzi, e ba (“iolla) e disse. » ( a val. a Ver me si fece ed io aver lui mi fei ». l)a lite, Non posso farmi nè ad uscio, nè a finestra nè uscir di casa, che egli incontamente non mi si pari innanzi ». Bocc.« in vista tutta sonnachiosa, fattasi alla fenestra, proverbiosamente disse: chi picchia laggiù? » Bocc.« Fattoni in capo della scala vidi e sentii tutto ciò che passò tra loro. » Bocc.« Spinelloccio è andato a disinare stamane con un suo amico, ed ha la a donna sua asciata sola, fatti alla fenestra, e chiamala, e dì che venga a « dosillal' coll (esso lì oi ». ROC Cº.« Fattosi alquanto per lo mare, il quale era tranquillo, e per gli capelli a presolo, con tutta la cassa il tirò in terra. » Boce,a li contemplava dalla riva in lotta con le onde, perchè da oli passion « Inosso fattosi alquanto per lo IImare, dopo Illolto affaticarsi, li l aggiullse, a li prese entrambi per le vesti e tirolli a terra. » Bart.  « Così senz'altro dire, la buona quaglia starnazzando l'ali per ia gabbia con più empito che poteva fece tanto rumore che il padrone senti, e fattosi e alla fenestra cacciò via lo sparviere. » Fi( l'enz.  « E facendomi dal primo dico.... ». Ces. 460).  a Fatevi con Dio, e di Iile non fate ragione. » Sarch. COllſ. l' 1 rte I. Ca po III.)  a Fannosi a credere, che da purita d'animo proceda il non saper tra le « dolllle, e co' valelnt'uomini favellare. » Bo -. 161« Il che se la natura avesse voluto, come elle si fanno a credere, per al tro Inodo in Vrebbe lorº limitato il cinguettare . Bocc.« facendosi a credere che quello a lºr si convenga e non di sºli a che al e le all re. » IBO(''.« I vestimenti, gli ol'namenti e le caliere piene di superflue delicatezze, le quali le donne si fanno a credere essere al ben vivere opportune o Bocc. « Ma questo io mi fo a credere che fu un giuoco, l'n tranello, un lavoro « l)i quel malvagio | risto!.... » Buonar.e Pognano il torto a tua gente, la quale molestando i paesi pacifici, si a fa ad uccidire uomini, bruciare templi, sparare donne, sforzare vergini!...» Lett. Pap. Nic. « Chiunque si farà a considerare quanto ..... !! , ( l'ulse: i « La vide in capo della scala farsi ad aspettarlo. ) Bocc.  VI. FARE COL SENNO, COLL' UMILTA' (e simili. 462). (rl lidogllerra ebbe morire ed in sua vita. Fece col senno assai e con la « spada. » IDante« Fd ella incontalmente lasciò quella risposta, e prese conforto e disse: e io farò come la Cananea, coll'umiltà e coll'improtitudine e colla perseve « ranza, pure per avere da lui misericordia, perocchè m'è detto ch'egli è tut « to benigno e misericordioso. » Cavalca.  F VIR SENNO (53). « Senno non fai se llor: lla i telli ſi gli Idi. » l)ittaln. « Meglio di beffare altri li Vi glla rderete, e fareste gran senno. Bocc.  Fl\l8 RAGIONE (che..., di..., con...I. Ma io fo ragione che i nessi tornassero tutti affrettati, e dissero: ve « duto abbiamo che questo maestro è testè passato per cotale contrada... » Cavalca i 464)« Allora domanda consiglio di tua salute quando vedi le cose del mondo « andarti molto prospere, e fa ragione che tu se' atto allora a sdrucciolare. » Martin Vesc.rai:  e Ora per non i petere.... io fo ragione di non tenere un disteso ragiona  lIlCl1to. » CCsari. « E peroc he.... fece seco ragione di rimandarmelo ». Ces. « Ma volentieri farei un poco ragione con esso teco, per saper di che tu e ti rammarichi. o lº intenderIileia con..,« E pero a te, siccome a Savio,... ti convien confortare, e far ragione che Inal ve lli: a 11 mln l'avessi, e lº si lalia a indare. » I30 c. 465)« E - I fate ragione, che pe: quellito egli potra, Sara Selmpre il primo a a rovesciare sopra di voi la sua colpa o Segn.lº co; i forni 1 e lo ch sll edette allo sventurato Saulle fate pur ragio « me, l tito:i, che avveni del bri a tutti i peccatori. » Segn.« E in esso luoco, fate ragione che il Signore venga a purificar quelle anime, quasi lentro un cro, illolo terribilissimo, finchè depongono tutta « l'antica storia. » Segn.E pensonni che Gesti i Marta disse: fa ragione che tu mi vedessi in a ferino, come si mo . -toro, hº giacciono qui entro, e in così gran Drsogno, « pensa quello che li fa resti a ine, e fa a loro ». Cav.« E però dico che i lutti l sua sollecitudine pose di far bene l'ufficio, che a le era dato di lui, il quai ella vedeva che tanto gli piaceva, che poneva in sè la p rsona e l'era se: vita. Ed ella cosi faceva ragione di non partirsi a da lui punto; e qua:ldo serviva il povero e l'infermo pareva a lei servire Cri e sto nella sua persona, o ( v. a E fa ragione ch'i' ti sia sempre allato ». l)ante.  \ V EI ) l I ( ) - – I VIR SEM1  I \ V IS I \ \ V IS | | | ) | --- l' A | 31.VN Tl. .... , ella a tal - i vitiche1ia, facendo vista di non avvedersene anda va i colti e in colite- io. Boa l l' allora fe vista di : andare a dire all'allergo che egli non fosse atteso a en I, p. I d p moltº ragionamenti, postisi a cena, e splendida In nte li riti , va i se viti, astutamente quella menò per lunga fila al l: il l - lll'a. » l oe l'appa ma i ti r; parevano molto religiosi e molto costumati, e gran vista facevano di cosi essere ». Cavalca (66).l'il, l'io li in voi i 1. ll scostarsi da Itolina, e ogni anno faceva le vi « sto li voler visit lº serviti e le provincie. Mettevasi a ordine. Ineve vasi, fermavasi, o, ivi in inet , orire la ti gallo, onde di evano gallopiè. »  l):n V:ll 17. a E fatto prima sembiante il sere la Ninetti messa in un sacco, doverla a qu . te t - il. 1. Inizzerare, se la rimeno alla sua sorel  a l:n. » i 3 t . E quando i s rso i litro fecero sembiante di meravigliarsi forte. » H3 ) .. Fatto adunque sembiante d' , li conoscerlo, gli si pose a sedere a pie a di. . I8o .« Quindi vicini di terzi levatosi, essendo gia l'uscio della casa aperto, a facendo sembiante gli vs si a' tr Inde se ne salì in casa e desinò. » Boceº -. ... e cosl ad Andreuccio fecero veduto l'avviso lol' . » Pocº. 'diedero a vedere, a conoscere) 467,  FARE AI L'AI TALENA, ALI ..\ IP.AI.I.A, A I.I.E (..AIRTE, AI .I E ( I ) I, TELLATE, A SASSI, AL MAGI IO, (e simili). a e per vilificarsi faceva al giudo dell'altalena. » Fioretti. « QuiVi si fa al pallone, alla pillotta. » Lippi 468) « Noi abbialno carte a fare alla basetta. » Cant. Carli. « IDicesi che c'era un tratto un certo tempione, che si trovava un paio di si gran tempiali, che facendo alle pugna con chiunque si fosse..., non si a poteva mai tanto riparare che ogni pugno non lo investisse nelle tempia. » Caro.« Siccome, se tu fossi nato ill (il e ia, dove e corrottºv le esercitar l'a rti a In e cora giocose, e gli Iddii ti avesſero fatto nerboruto coine Nicostrato, iº non « patirei che quei braccioni nati a combattere si perdessimo in fare a sassi a o al maglio, così ora dalle accademie e dalle scene ti richiaino a giudizi, e alle cause, alle vere battaglie . Dav.« E' facevano al tocco, per li avea a Inter: 1 primo di loro. IBllonerotti. (469)  FARE A CIII PIU'....: FAIRE A FARE CII ECCIIESSIA a gara – um die W ette). « i quali con altri magistrati fanno a chi più adula. » I)av. « Ma lldendosi allora ()tone e Vitelio, con iscellerate all'Illi, fare delle cose) umane a chi più tira.... ». I)a V.a che è quanto dire che più di mille e mille lingue fanno continuamen a te a chi più squarcia il buon noi, e degli innocenti. » Giul).« Vennero subito gran guantiere colme di dolci, che filro presentati pri « ma alla sposina, e dopo al parenti. Mentre alcune monache facevano a a rubarsela, e altre complimentavan la IIIadre, altre il principino, la bindes sa fece pregare il pricipe che..... Manz.  ſ'.ARE A FII) ANZA, V SI( U IRTA' con..... a perdonatemi s'io fo così a fidanza con voi. Bocc. « Coloro che fanno a sicurtà colle riputazioni e per sin colle vite, non solo (le” cittadini, ma.... » (iilib.  FARE ALLE PEGGIORI con i contenersi, governarsi nel modo peggiore) « Augusto senza dubbio inizio l'I: neilla a fare alle peggiori con Agrip  a pina. » Dav. « Egli tanto più il 1 furiava, e facea con tutti alle peggiori, fin lì è il re il  a Inandò cacciare come il Il ril):I l I liori li pii l:ì gi . » I3:urt.FARE A MICCINO : consumare, od altro, con gran risparmio. Miccino vale pochino e a muccino a poco a poco. 170)  FARE A SAPEI? E a crerti, e, ammonire e simili. « E quando tu la intenda altrimenti, io ti fo a sapere da parte sua ch'egli « Sala tanto (Illa Into e ispetta a Sua Maesta. » Fier.  FARE DEI. SAVIO, DEL SUPERBO - I)I.IL PAZZO -- DEL BUON COMPAGNO –- DELl. UOMO e simili da sl l'aria... den gelehrten spielen ecc).Allora il corvo, che tacea del savio e dell'astuto prese carico sopra di e - d'esserne (il re... o lº le reliz.« Il che udendo la testuggine e volendo far del superbo anzi del pazzo, « senza rico: darsi dei e aminionizioni datele, plena di vanagloria disse.. » Fier. « .. . . Volelrd , far dell'uomo essendo lo stie, Illalrdano llla e e rovinano « non stilainelli e. . » Fiel'.« Ho fatto tanto del buon compagno che me – il lio acquistati tutti. » Caro.  FARl, \, FARSEI, A CON contentarsi.... stai con lento a....). e Domandò come Silv: la facesse, quello che fosse della moglie e.. » Fier. « Se la faceva la miaggior parte dell'itino all'usanza dell'Indie con riso; e e quando piu sontuosamenie con in poi , d'erbe condite sol di ior mede « Sime. » I3art.  FAIRE I ,i ,( ) V . . l) il liut ) Ni lºrº in l. FARE ILE BELLE PAROLE e simili. « acconciarsi le parole in locca. » l80 parlare lorbito, in quinci e quin di ecc.)« Ed ella, facendo le belle parole, rispondeva che le era a grado assai, ma « la dimora, l'eta, l'ufficio.... e º no pur cose (la polmderarsi.. » Fier.  FAI? FORZA AI ) A I CI NO) – FAIR FC) I Z \ l)l Q. C. I 'ARE I)i FORZA ci avvisò di fargli una forza da al ll ma l agioli colorata. » Bocc. « Colnili ciò a gridar forte: Aiuto, aiuto, che conte d'Anguersa mi vuol far forza. » Bocc. , il « La reina faceva ai giudici forza dell'appello. » Dav. « sa tanto ben ciurmare che incorrendo in contumacia, turbando posses a sioni, e facendo di forza, la cagion gliene comporta.... » Bocc. F AR M1 T TO AI) ALCUNO (v. Parlare Proml.). 'FAR FALLO A abjallen). a donne le quali per denari a lor mariti facessero fallo. » Bocc.F A R CONTO DI... CHE (daraui gefasst sein, sich cturas u oill be mer ken – bedenken ecc.).« Si addestrino a vincere il demonio in altrui, trionfali dolo ill lor stessi,  a e faccian conto che i pericoli passati son minori di quelli che sopravver  « ranno. » Bart. e sappiamo che...., e sian prevenuti che....., e ponderino  bene che....) a Dunque dovrò starmene tutto l'inverno tra questi geli e durare si lun  « ga fatica...? Fa tuo conto. » Gozzi a Le saranno adunque, ripigliava il ragazzo, candele? Fa tuo conto, diceva  il padre, le sono appunto candele. » Gozzi.  FAR BISOGNO A. Q. C.  a e le nozze e ciò che a festa bisogno fa e apparecchiato. » Hocc.  FARE AI) ALCUNO SEI? VIZIO IDI SUE I3ISOGNA Bocc. I)av. I3art.,  I ARE CEFF ( ) .472 . a farebbe ceffo a questa fiorentilliera che cosi le propri la nostre appe.  con barbarisino goffo e sllo e cellsll rel'ebbe così. I a V .  l'ARE ACQUA a Cercar di al III la sorgente ove farvi buon acqua. I3art. Fier. a poi ripigliò: forse il dite perche quella nave qui una volta fè acqua. »  l3al rt. 473;  I AI? CARNIE : I n di ch'ella acquiia, era ita a far carne. » Fier. º e Ini venne veduto quell'iniquit so giovane colla spada ignuda per ogni canto far carne, e gia giacerne i suoi piedi tre, tutti imbrodolati di sangue, che ancor davano i trat ..... » Fierenz. |  FARF II. TOMC) Conf. Cadere Pront.. FAR CERA (da Kairen). “ lo indusse a....., a far gran cera. » I)av. FAR GREPPO quel raggrinzar la bocca che fanno i bambini quando vogliono cominciare a piangere) Crusca (474)FAR GESU' congiunger le mani in atto di preghiera – vive in Toscana FARCI II, CAP() .- FAI? E TANT ( )Farci il capo vale averci pensato tanto o pen-acchiato o provatosi di pensarci, che nºn se ne intenda più nulla, nè anco le cose chiare e che si vedevano alla bella prima.Fare tanto di capo vale sentirsi stordito o da pensieri noiosi o da mal CSS el'e o da rumori.M'avete fatto tanto di capo, dicesi ad un uomo parolajo ancor che ne in parli a voce alta, purchè coºfonda ed uggisca la mente. Così Tommaseo, Gherardini, ed altri. FARSI RELI.O:“ . . . . . . che se ne fa bello per aver tradito le tre legioni smembrate ». Dav. l'AIRSI LARGO allargarsi, agevolarsi la strada – avere i mezzi di farci rispettare e di avanzare presto nella via che prendiamo.) « Coloro che per le corti colla virtù e colla fedeltà si fanno far largo ». Iºierenz. « se non vi fate largo coi donare.... ». Cecchi. --- Farsi largo colle chiacchere, coll'ingegno. -- C'è chi llell'ultimo altrui si fa largo donando, chi domandando, chi piangendo, chi ridendo, chi co mandando, chi in Inacciando, chi lo dando e via Via. \ V ER A FARE CO)N..... I)I a bella donna con cui lo imperatore ebbe a fare ». Dav. che ho io a fare di tuo farsetto? » l8oce,  Note al verbo  Fare  449, – Non curo di molti altri usi, vi oi con uni ad altre lingue, vuoi notissimi e frequentissimi an ha oggi, p. es. far lare nel doppio significato di ordinare di fare, e di cagionare di fare  fare apparecchiare checchessia anferlingen lassen – fare all'l'ossire ullo – l'hre Arligkeiten mitchen mich erròthen –  Lessing.  fo0 Anche il to do degli Inglesi ha tra gli altri molli, un uso pres. sochè eguale. Es. The day techn J sau him ho looked belle lham he does nou'.  fol - Quel come lai lu sta per come dispiace a te. Nola inversione illicola di costrullo e dell'ordine l'azione.  4,2, (iozzi chiude parecchie volte le sire lettere così.  3 - Nola anche il secondo : che ſarebbe il fare cioè del primo gruppo com'egli stà per un verbo del primo inciso sottinteso adoperando..., che adopererebbe..... º, o per l'anzi detto esa m in tre: colla quale esaminerebbe ecc.  4 , Per dimolare lo slalo di essere del tempo, dell'aria, del mare sillili, o loperano i buoni scrillori assai sovente il verbo ſul re': come latino i francesi il loro laire. – Guarda come,  i , - Mlodo a lille l'altro antic e dell'uso far senza (una cosa) ci è pol el sºl le limitinº l'e - esser star bene senza.... ».  fºſi - I granimalici li apprestano indi la regola: « Fare stà per  lº minare, compire, rattandosi di Iempo, e ad esprimere quan lilì passa la lo mi trovo più semplice la formula che anche il Tuesto caso il verbo far fa pel verbo essere,157) – Nota di questo gruppo le maniere: lorº la state, l'autunno ecc. il farsi del dì, della notte ecc.  458) – Analoghi a questo fare sono i mºdi lar buona proºº, fa, gran prova, provare. Conſ. Pianta. Pront.  459, – Metti a serbo i modi: idr si incontro: larsi ºººoi farsi in nanzi...; larsi alla porta, alla fenestra: larsi a credere e simili.  460) – Simile: « E iatlosi dalla in attina venne lo raccontando... » Ces. - - - - - Dicesi anche: farsi dappiº, per cominciare dal primo prin cipio.  it:I – Pon mente al senso del pronominale farsi degli esempi an tecgdenti, e ti sarà agevole intendere come il modo farsi a credere non sia come melle qualche vocabolario, un credere a dirittura ma un accostarsi, recarsi, darsi, inclinare a credere. Simile anche l'altro: larsi a fare checchessia – cioè mettersi prendere a...  4( 2 – E' ingegnarsi, studiarsi, faticare ecc., adoperando il senno, l'umiltà ecc. – Far colla cosa sua . Non gli dar noia.... chè egli la colla cosa sua Cavalca pare che dica sempli cernente adoperar del suo.  463) – Vale operare saviamente, metter giudizio emendarsi. E' modo elittico, simile al precedente ma di significato assai più ristretto e talora diverso. s  464) – Traſduci : mi penso, mi arriso. Si adopera questo: far ragione che..., di..., a più altri usi e significa quando supporre, repu tare, e quando stimar bene, opportuno ecc.; mentre far ra gione con alcuno vale intendersela, fare i conti e simili.  465) – Far conto che, dicono i ...ombardi. Simile anche il seguente del Segneri.  466) – Far vista, far le viste di ecc. è altrettale che fingere, dare a vedere (v. Dare); sich stellem als ob....., Miene machem, sich den Anschein, das Aussehen ſi bem. Pilò però significare anche semplicemente sembrare, parere: « non facendo l'acqua alcuna a vista di dover ristare, presi dal N. N. in prestanza due mar lelli. » Bocc. Anche il nodo detr vista (conf. 1)are) è usato dal Sacch. e dal Cesari (e lorse anche da altri che non ricordo) : senso di lar rista, sich slellen ecc. « 1)avano vista di volervi « andare. » Sacc. « I)avano rista di non tener più conto di lui « che si facessero degli ºltri. » Ces.  468) – Nel traslato: fare alla palla dei quattrini vale spendere senza riguardo.Si fa alla palla di checchessia quando avendone a josa, non si bada a risparmio. Anche la frase: lare alla palla d'uno ha senso non guari dissimile e vale traslullarsene, dargli la balta, prenderne giuoco, fare a sicurlà de fatti suoi ecc.  467) – Questo modo far veduto pare che abbia un doppio senso, e si usi tanto a significare far si che altri pegga o gli paja di vedere, quanto dare a vedere, lar sembiante ecc. « le iè ve duto di uccldorli » BOCC.Così pure dicesi : « far vedulo di commettere, di perpetrare ecc. In questo senso usasi anche l'altro: far vedere. » venne un medico con un beverag 21, e lattogli reale e che per lotuſosta ICIulu. I « e lo 5 allop oddo.15 Un'; Iso, o IoitIt: otp lºp o  puqquI I ouuº ollo IS.It All I lºp olioIA os IOI o II.) BAIA ost.I I » – (3 li  - ll T. -uui uu.o Idl I « mhop Imi lood ºzuos e.lolu uluti ſoli al QuUIels e][0.Alu l ol[.) e Illo,I u Ip (IIIII O]UIelo.) ( UIII º II ) o, pullo Iod pm bam api Ip osn, I o IIIssItini il o, o od o lou il timbrº p Is.IopeAAO.Id Q olduioso 0.Illi, lot o I] Ioli manlaodm oil al pm b  uod mh.op, I le.I]tto toIIIUlis onl. I pi ln() eztl.).Io]Ilp eloN - - (gli  uol.opu or) p. I : ossa: I a 9.Iu 5IoA opotti lot ou. Il sopo I oddiº o IliioosLI o IIo N .  tºzuoloIA In I “uz.Io e Insn alu.I -oUoS UII eoUIuisis (olduttoso ottil III liop) pc lol lp o. Di opotti II un illup llp, mo:) Iols )llo, no!) loo oolpe, il Co, sopo II o II.) o | | Il I Isti.Il '.I]od ( OloA [oſ [0, oluooo IlS sopueSu lost Oiolo le prof pl.oool I o : OICI e ouuu è Iopulso.Id el ouo ez.Io] el º .it / l'Is Out oli ut: qui o ostº.I | Ip Ici.I e “o.IoSuII.ilso,o un N (Io.I I o Io ti uli Iso, JUIO )) o.Ioi II.I]s -oo Iap ouo o Iez loſs ottºz.it I lop Il pd to Il prato i pl II IIenb eplau ooo ufos « lama luo pm ns. oi ml III o uso o il n.IIIIGI ) dd SS IA ( o.llitt.top non lº pztof l l lo Io : l UIonios o Ilop mz.tol ) un loo ollopns Istº.Il flop “ps.iol pun o. pf pr.toi trof. II lod o e opuoguoo UION luppoI SS )IA ( mr lo? oso).to.) o un ll fiopuo.rmi o e o Iel 5ueu e olotto; Ind lºttout IIIonb oIopuolo.A » oso).Ioo o oIlluo3 opoUII UI! QUIolº II io.A.Al ' IoitII.I so,o un o.I(Ittios o po “pzuol asoluoo pun otni ollout: Qn i S o,oo I luoloIA o Inslui “o.Iol -od p osnque po osta,p o IoA).Ionº olle (Inp QoloIII ons IoToA In olrmu5epuniº o olio;iuti.Ilso,o ol.In pur o ooºoooº I top ellione ulu.5oIUe,I opuooos ole.A oum.o)p pm vs.tol pum olmi o pcaoſ 1D.I – Ily  outloollll D o 1 pp out.), lui lo o.tpll pd oII.) Ie IsooICI – () , luooo) glo e opuºluo, “l.It ds-p o lred as ou5oAtto II opu0.oos o elp mld o oun opuello 5  l Is o “eso.) eull UI! Il looo) lu o lº odopo.A o[U.A O.).ool / D olm, I – (6),  (o topo.to llbollmſ ollo ossols ol ooogl . lg olt, uouLIOppe otto “llens o lo)s QUI o loq ooo I lo! [5 e Aup OlogIS Ital Ip o luouaol Ili  iFrenciere (Pigliare)  sia lº cºsi di lºro - il mo: into a chi non ha mai o l: lingua italiana – quello che si è mola , sin 'I I. ( Il les (il n ad ( SS ( l' \ i re cosi di questo cori li ai ri veri tra loro - r. 1 ,ºrticolarità di della I i licli, e lassici, q o no in una º i il Zii, il colal girlo che non la clin a pezza , ali di si ! "i sanno che cosa voglia di e prende, ma i I l ' s ci ii, alla l' hissimi, che ne usano i d , e , l in A , is simo e i I i di classici del medesimi sono da Lilli il si e al ci a uno lors, ma li avºltº il peregrino. Chi lo intende, a cargoli d'ese p . Il valore, ma i le poli 1 ai linelli all'uso : bo i  l'rende e dilello, prende i mali con ri. p, i lorº con l i . . . . . . . .  consolazione: prendere p , i ti ; i mal . . . . . . . ) : i i 'ti li' li ti , prendler guardia. Sospello; lo : l ' s . . . . . . . - losi, i di qualcuno e .: pt ºutlc i l preso ad atleti no bene, ci pass . p pºi lº i dire: il fare clic li ssi, i pi nel I e il I i gio . . . . . . . . . . . . EpptI re li. Il sol li : V g: li e lode. I re. E ci l  si si | | | e cose. e prei I l i s 1 si lilire e maniera li i pir . - di  il Italo.  “ .... pil per istrazia, lo li, pr diletto pigliare i : l si  e Iſ) di Illesl e os º prendendo annni irazione. . . . . . il II l r chi alla toll :I n. I) ,li ( 1 . (. . .  a Ella d'altra parte o il I e - e clerlo ; o secondo l' ill Iorli; i vi , i i miglior tempo del  lo II e il -  mondi è mrendendo il li tl ( . Il li l , l . . . . . . . . . . si o di non avvedersi di qll st .  a Tu puoi di quindi v lere il 1 l - i N si - li l  Inattilla va tlitto solo, prendendo di porto i . (illata Hilaldo e I liv . ri .I l ril, 1 , E molta ammiarzio i seco prendea,  a Chè gli parea ognun fiero e gagli E \ - jardo » l'ulc. Luigi Morg. a Ed ella Maddale: 1: il corti. Il nte la s lo [Il ' , , , - -ti e prese confor. to e disse: io farò come la Callanea ». Caval l. a Laonde ( gli diceva : Se io (Il test gli dis, la di me e.... le mi metterà il odio, e cos l III li il l: l li , i « moll avrò ». Bocc.a Bergamino dopo il Illanti ril, li ! I vi - ge:Idosi il lil IIIa l'', li richie  a  - I prenderà g -dere a cosa, che a suo inestier partenesse, ed oilr a ciò consumarsi nell'al bergo co' suoi cavalli e o suoi fan incominciò a prendere malinconia:  r  ma pure aspettava, non la endogli lie: far li partirsl . Bocc. « ... e nondimeno di queste parole di Gesù presero un grande conforto nel . . ll or loro». (.a Valca.e Nol) Vi si l a 1 i lil l e la coinsolazione li vo: prenderete le! Seilt il' .... che egli non vi debba essere altresì utilissimo il vedere....». Cesari. Senza questo, i lus, ira vºi li i ogni fatica, che ci si prenda intorno » Borg. « La seconda cosa che e efll ace rimedio contro alla disperazione, si è la virtu deila e ilterza, che la prendono vigo osaliment.  col) folt:ì e sostit ss i v.  « Menagli questo cammielo e digli che ne prenda servizio ». Cavalca. a E voi appresso con III e o insieme quel partito ne prenderemo che vi pal rà il migliore ». Bo c.« Ora il n dl avendo gia lº l l: presa grande amistà con esso loro, il tanto che lui si la l util Vallº li l l'o, - zia 'liente per lì è Vedea no l el' fettamente in lei Cristo abitare; per la qual cosa di lei niuna guardia o sospetto prende anc..... » ( . I v.: 1.« Di che la donna avvedendosi, prese sdegno, e...» Bocc. « A \ onla I sta i presi - . 3 i ari. o Il re, o la -  sciarlo a B) c. 5? I  V edi, a noi e presa compassion di te » I 3o o??”. La buona Iellini il l Ill st V e del do, me le prese pietà ». 13o e. « ....subitamente il prese una vergogna tale che ella ebbe forza di fargli v II , il l l Il l3,Gran duolo mi prese al cor, quando io intesi ». Dante. a l 'Il cavaliere la domandò, se ella ne togliesse a fare un altro : rispose « che nò ; che non le era preso si ben di lei, che ella si dilettasse di farlo » IB() ('.« Con la piacevolezza sua aveva - la sua donna presa, che ella non tro « vava luogo....». Bocc. (fatto innamorare di sè).  Prenderete subito tiltti a Iuliilli il re i tº o di me... » l)a V, 'comince rete ,23).Il quale facendo rumore, che molte strade d'Italia eran rotte, e non abitevoli per misleanza dei conducenti e trascuranza dei magistrati, le prese a rassettare ». I)a V.sol per onore di lui prendeva a condurre quella, per altro troppo mai -  e gevole impresa ». I3art.  e voltosi al popolo prese a dire in questa guisa ». l'8art. - .... stabilito com'egli fu nel trono, pigliò di modo a preseguitare i Catto  « liri che.... » Segm.« Ed ecco che ella medesima prese a trattar di rimuovere dall'Imperio « Neron, suo figliuolo ». Segn.  « Anzi cred'io, che il rigetterebbe la se, ed in cambio di voler più protog e gerlo contro ogni altro, lo prenderebbe egli il primo a perseguitar » Segm.  E così in piedi, prima di deporre ancor gli abiti di campagna, prende a a fare una lunghissima dice ia.... o Seg .  Ti piaccia ancora di por niente ad alcune altre frasi nolevolissime oi verbo prendere ed anche i cerli usi del derivato Pi esa.  PI (ENI) Eli TERRA – di una mare, approdare, alle ra e PI ENI) Eli MIARE – PI º ENI) I.I è IP()IAT ( ).In quel ritorno g.i avv (-lili, di prender terra il C: la lorº. I3art. e così le rinaio, alle ore il ſos - Illor: li sta gioli , prese mare e navigo... » I3:ì l't.Erano i quattro d'ottobre, quando i nemici, preso terra, e ordinatisi in pit squarire, baldanz si | 1 o il 11ti -- lo ii il solº a li l e, si ill  via l'olio al il 1 l l'olta rsi St .... , l il l'1.  1 | | | NI) EI? (..AS.A SI' A NZ V ſe i nati e slanza, cºn l rai e ad albergo, slan zare,  I 'I? I.NI ) ERE I IP.ASSI o Nimili ). 4 a ci ritornò e presa casa nella via ... non vi li gitali di litorato le... »  Bocc. a colsero in gran numero chi a prendere i passi, e li ad avvisare di  lui per tutto il paese di cola fino al mare e l'art. a Floro s'ammacchiò; vedendosi poi presi i passi dell'uscita succise  Da V. « si spartirono chi quà chi là, e in un tratto presero i passi ». Fiorenz.  1 l ? l .N1) EIRE l'N SAI,T ( ). « e posta la mano sopra... prese un salto e lussi gittato da l'aitra parte Docc.  I RENDERE UN VOLTO, UN VSPETTO sereno, allegro, soltre, giocondo, grare, terribile ecc. UN MI \SCIIIO ARI)Itli e simili lari. ('('N. ecc...  l I (; LIAIA LA MIA LE - sbaglia r la struttlet.  « Ma io mi accapiglio teco, o Materno, che aver il ti la natura l'latitatº lº « su la rocca dell'eloquenza tu la pigli male, hai cons - uito il megliº º il « attieni al peggio ». l) V. 525. l'RENDERE Q. C. IN FESTA EI ) IN GABBC) – PIGLIARE A GABBO. « Inteso il motto, è quello in festa ed in gabbo preso, mise mano in al  a tre lnovelle ». HOC ('. « Che non è impresa da pigliare a gabbo Descriver fondo a tutto l'uni  “ Verso Nè da lingua che chiami Mamma o Babbo ». Dante.  I ]RENI)ERE SC)N NO. “ Aveano ciascuno per suo letto un ciliccio in terra ampio un gomito, e lungo ti e, e in questi cotale letto prendeano un poco di sonno ). Cavalca.  I 'RESA – Pretesto, molico, Anlass, V eranlassung) AVER PRESA, 13UON V PRES \ V DIRE A FARE – opportunità, ap picco, buon gitto o  l)Al? PRESA A...... r. l)ai e . a Sesto Pompejo con questo presa di minicare Marco Lepido lo disse da ! ! iellto, lmorto di fame, vergogna di casa sua....». I)aV.  FAR PRESA. a Sono imbarazzo da leva l V la colli e le centine e l'arma dura quando la r vòlta ha fatto presa ». l)a V.  Note al verbo  Prendere  520 – E' il to take degli inglesi nelle note forme: To take delight; to take pleasure; to take cold; to take a turn; to take airs; to take a run; to take ship; to be taken ill; to take up, ecc. ecc.  521 – Conf. voce Partito, Parte l Il.  522 – Notalo bene l'uso e costruzione singolarissima di questo prendere. Torna quanto al senso, pressapoco, all'appiglialºsi, apprendersi di una cosa ad un altra. « Amor che al cor gentile ratto s'apprende » Dante – « E veggio il meglio, ed al peggior m'appiglio ». Petr video meliora, proboque, deteriora se  quor). 523 – li alla lettera il fangen (an lungen dei tedeschi. 524 – lnvece di occupare ecc. Si dice anche « dell'occhio che prende un vasto ozzi onle ». Bart. –- l)i una sedia, di un posto ven  duto e simili, dicesi che è preso. 525 – Cioè in cambio di far l'ol'alore fai il poeta.ne rarr  Le vere  Ha molti vaghissimi usi, e voglio si principalmente notare i seguenti:  I ,EV AIRSI IN CONTI? ( ).....  . Ma vedendolo furioso levare la r battere un altra volta la moglie, leva º tiglisi allo incontro il ritennero, dicendo di queste cose niuna colpa aver la do Illna.» BUcc.  Coll dollnes a placevolezza levatiglisi incontro, prese a garrirne lo e.... » I30 ('.  “ La quale veggelidol venire, levatiglisi incontro, con grandissima festa il l'it'eVotte. » BO C'('.  LEV . A IRE I)I V. ANZI  « E non pareva potesse avere niti il 1 Imedi , pensando che quel corpo del Maestro suo le fosse levato dinanzi, ch'ella nol potesse vedere, nè toccare; e gri(lº Va..... » ('i Valt:a.  LEV AIRIE I)'INN ANZI V.....  .... Veduta la alterata, e poi dirotta nel pianto, parve da levarlesi d'in manzi e fare il rimanente per via di messaggio. » I)av.a Pensonni che Malia il 1 ori il ciava a ridere e a Caltare, e a levarsi loro dinanzi a quei clie la riprendevanº duramente, e non le stava a Illire, sicchè costoro riºna e Vallo con Vie n1:1ggior dolore.» Cavalca. 600).  I .I V VIRSI IN SU PI: I RI; I \, IN ( ( ) \ | IPI A | NZA I ) I l NA COSA (Bart. ( es. ! (50 l .  I ,EV VIXSI IN AI , I'( )  . ()h Imadre carissimi, noi ti levasti in alto, perchè tu lossi Inadre di cotale figliuolo, e per lui.... anzi quanto era inaggi ºre la prosperità, tanto piu ti profondasti in umiltà. Cavalca. 60? .  I,I V VIRSI A VI ( ) IR E I ,I \ AIR IR l VI ( )| è l I (50.3. LEVAR MoltMORIO bisbiglio ecc. d. q. c. I E VAR POPOLO (604)  « E ben liè.... alti esi non line o ani: Ived va le I' 1to l'lti l'll tºru si leverebbe a rumore. » l3:i l'1.leva losi il popolo a rumore, andava ogni cosa a l ulba o Giamb. il popolo della citta di Modena si levò a rumore gridando pace, e ('a ccia l'11e fuori la Signo; in e solº l: t . , V ill. (i.“ Alqualiti discepoli s'avallo e (i lilda, e l'elison che alcuno di loro lo riprende Vallo le iniglia lilelle, e ci lil e li aveva levato gran mormorio del l'unguento intra tutta Itl lla g it sºli e i tutto indegnato per la ver gogna e Ile a V ed i VllI:I ( I V: l' ipells lni le si levasse un gran bisgiglio i le genti, e molti gri di V le liti Illi e sa, e il ti? han:no In orto  (ies Il Nazza l'en lo . . . ( :) V: . Salvo S i lº 'lzi non levassero popolo, attizz: tssero contro. » I3a r . Ciò li rebl o I levando pc polo il Fuli Ine si era latto ill Arnull gucci, e il bel tendo le rile: il lizie d l'ortogliesi a ruba, l'1 nave a fuoco, e la li1 , V e allo li l al t.  LEVA IRI IN V VI \ | | | | VZI ( ) N E ſe i protra riq lui e  l'iello il palese illello, le . - -s . I lilt lil e i parvoli; e nel se greto rise! V: lui l' , lo l ss , levi in ammirazione l'altissimi e menti. » VI ) l'ill. S. (il'.  I l V V | | | | ( ( )N | | (50),  ll el l e levare i conti . lle : vev: i l)i V ( llll le ll ' o  sospiro.... , Dari  LEV VIRSI IN COLI le reti di lei la e meller sulle spalle  .... pastore, e li e o per la l a sti, il liti e riti o vandola, la si a Ievò in collo e le elle l 'i g! ea zii e les", l'ass: v.ti ovò un pover Iº e mio obbi lido lato, ed egli si levò in collo costui e portollo in lei in luogo, dove egli il servi sei mesi e lasciò la pace e la a quiet, sia per anno del prossimi » ( vale a  I ,lº V V | RSI I ) \ SI | )| | RI, I ) \ I ) ) I ? \l ll l ... l) \ I .l.(i (il l RE, l) \ SCIRI V l.IR l .. e simili.  . La quale non altrimenti lo se da dormir si levasse, soffiando inco  Inilli i .... a l?o .  LEV Alt SI \ COIAS \ rale nellersi a fuggire relocemente, ed è bel modo di nostra lingua .lº dicendo queste parole Antonio, quell'animale si levò a corsa, e fuggi.» ( il Villt':l.Piacermi finalmente inclilovare alcune altre maniere più notevoli a dell'ilso:  LEVARSI IN PUNT A l)I PIEI)I.  e e la madre guata va se fosse irreali, i fattori il suo dolce figliuºlo, e per  a chè ella non era molto grande, e levossi in punta di piedi, guatò in mez  « zo degli armati, e Vlde il dolce Maestro legato colle mani di dietro sic Irle l:1 di o,.... » C: Va a.  I ,EV Al? E l) \ I , SA ( IA ! ) l'() N | E l e il re e la l I e Nilm o U.EV \ I ? E \ I, S.V  (IR() I ()NTI: II. N ( ) \ | | | | I.... 13 ( I l (rli I .EV AI? SI I)EI , VIENT( ) ; I3art. – LEVARE LA PIAN I \ ali un edificio, di un terreno – I.E  V AR MI I LIZIE – J.E \ AI? LA LEPIRE – I E\ \ RSI AI ) IIRA, ecc. ecc.  Note al Verbo  Levare  600 - Questo le rarsi al in nanzi al l gli In vede, ma l' tirsi, andarsene ecc. I bicesi al che le reti si dannan si clicchessia, o levarsi checchessia dagli occhi e significa liberarsene, sgra varselle. lol'selo di dosso. . ( olle ( l'eslerà di darle, ella [ 1'0 verà sue scuse per le retrse lo d'innanzi. » Fier.Si inile: le rarsi dagli occhi checchessiat: le rare cl i dosso. « Si risolverono gli l'iorentini per bli . Inolo le rai si dagli occhi in alto e Iale ostacolo e per millma) gilisti più confortarlo. a Stol'. Sonniſ. –- I)i le rarlo mi l'ululosso Irli studiel'ò » L'occ.  (01 - Simile: salire in baldanza. « I)a si felice principio i litori salirono in tanta baldanza, come nulla potesse durare innanzi alle loro armi » Barl.  ( 2 - - ()sserva la correlazione (li le rarsi in alto -– hoch lalren – e profondarsi in umiltà.  603 -- Simile la frase: la r rumore di checchessia, indurre cioè a tu nullo. dare, da discorrere, prorompere il disdegno ecc. « Il quale facendo rumore che molte strade d'Italia erano rotte.... le prese a rasseſ are. » I)av.  604 Piaceini ricordare anche il nodo: essere a popolo, a rumore ec' ('.605 – Simile: « lerare le partite, p. es. della coscienza con Dio. » I3: i rt,N/lettere (Porre)  fili a quegli degli prºl e lo sel degli inglesi isº º lº gri, º l ' s ii del mettre dei fran i ' s I.  Al ii l ' - I - volgarissimi 629, nè la  li si l sl i  l  pi. Ma sono alcuni altri non corrono spedita reni e li - maniere poi di quo  l | laii ( i l I t . ! ! - l - l  - ss la gran lunatica, sa l' i crº, ci: ci - il - i e il vago della frase  il sisl ei s ci , il ss; li il sia, è ad ufficio e valol e  º il signi lº i - s porli il suo proprio let i r, i - : i i no del verbo con altre pa  i . \ I soli linelle, che anzi li li  ii considerazioni e all  is | | | i l !  l sl glº: i  \ | | | | | | | | | N A S. , VI A V , l SU ). ( All I I I I Rl, | N A | | | | | | | | | | | | | | | | V | V ( il l V l l ' Simili.  mise cinque mila fiorini d'oro contro  a mitic ' , i l . - , metter su una cena a lovella da re i .. . . l 3 -) : l l . . i . - i i lo s; i ti sul metter de'  pegni pegnº tra loro messo loro, I , nºtito pegno i - i ; . - i l: i nei i ore il collo a tagliare, e i : lessano che la Verità  l); i V.  : l l . , ( -.  il  \ | | | | | | | | | | ll piatti lº t' ('.  I mette ld , e più forte illli , Va' . ( I t si -  11: - , -1; I l - e mai il tronco avrebbe i l: mettere I l il 1 fi . . . . . . ( i  In li vere - i rii e assai lo il sull mettere e gel' moglia e o, Ces. 630)METTERE SIPAV EN I ( ) - VI I I I I I E \ N I \ I ( ) \ | | | | | | | | , A \ | | | | | . . AIETTERE A VIVIII RAZI( ) N . \ | | | | | | | | | | N SI El ' ( ) e Nilli lli.  Cadde e voltandosi i ra i ple li a 'a - e rite, messe tanto spavento e odio  le i soldati si li filº roi o li I ) : t: Ig it li , eſ . Quel giovane.... fu il primo a mettere in lino agli altri. I3e: 1. ( ell. I ri vo:aggia li, confortarliQuando Agricola mise animo a tre coorti Bavere e lui l ingi e di venire a alle Inalli con le spade ». Da V 63 Ali (III , i se mettevi l'amore tuo. F ( a Per la qual cosa, vedendola di tanta buona f riliezza, sommo amore l'avea posto ». Bocr'. « Con quei ti:lti lo avi In Irli d mirazione ». Salv. VI a ie . it - lo il I l s .  : :: I l lit: i mettono inella moltitudine am .  a me, miser pensiero, .lon gli voles - Il tel rili lpe, pari o all'alltica. l tirar « d ll rallle 11ttº ». I )d V.i diedero a pensare, fecero sospet e den Verdacht erregten 63?  \IETTIEIR AI.E MI ETTEI E r. g. Il PEI I; I \ N( \ | | TT | | | | V .. STIt II) A. muggli, i niggili. MI ETTEI MEZZI e simili.  l?el ſ to loos o il fiel ( il V al mette ale , l ' ll I, II ig. Vlorg.  (figura, a III, corre col gra il V el . it:  “ . . . . . . nel quale era e il ratto il diavolo, e -la s a costei legati colle catene le malli e i piedi, e giti vi . . sº i e ai lo schilli e strideva co' sl1 i denti, e crudeli mugghi e strida mettea, il 1: lit , che chiunque l'udiiva spa.  ve: lta Va ». Cavalca.  Allora qllella stridento , e mettendo grandi e crudeli ruggiti, lol telr1ente l'assilli.. . . » ( a Val n.  º il 'tli la milizia lioli nello che l'eta avea messo il pel bianco ». Bart.  .... per la qual cosa non gli valse il metter mezzi e pregare . Cesari.  \I ETTEI N E. VI V | E. \ | | | | | | | V | | ( i | | ( ) \ | | | | | | | ( ( ) NT ( ).  “ E (Ill si ciò fosse poco, come metteva bene al suo interesse, ci si faceva girls ligia, dando ragione a chi se la comperava . Bart. -L'esser bistrattato non e' in previlegio mio o....., ma di tutti univer. saliente se onlo che il farlo gli metteva bene ». Giub." l'elisa ggiInai e delibera a quale partito ti metta meglio appigliarti , ('esari.11on perhè alla l'epillollica mettesse conto patire mali cittadini ». l): v.  nè i figliuoli, ma i rovinati; sovvertendo i cavilli dei cercatori ogni casa ». DaV. \ | | | | | | | | | N N | ( ) M ET l'EItE IN ASSETTI , IN Alt NESE – MIET I ERE IN ESSERE di far q. e.  MIETTERE IN CAR I \ zu Pap er bringen nel tre par ècril – lo sel clou n .  e se l e la III e li e il Ille, i nto Ittendeva a mettersi in punto ». Giamb. il pll'esso (Ill sto lilli - misero in assetto di lar bella grande e lieta est: l . 13 , .l'ol le e- il ribe dato o lille con Colpo del colle e del quando ,e che e si luroli messi in arnese di cio che la eva l ' bisogno ». Fierenz. (si for I S il ('si il .... e – l llla la si metteva in essere di baſ taglia . l 31 lt. l)a V.Irli la bisogno mettere qui in carta ( o poi le ll leo I contorni delle co -1 l Ilia l'ille..... o l8al t.  V | | | | | | | | VV ( ) | , V \ | | | | | | | | V I \ V ( V.  lolla li l'al' e sl per ol li tºlti mettevan tavola il s si .ora che l'usato  si meteSser le tavole. .  \ | | | | | | | V S | ; N V ( \I | | | | | | | V l , A l' ( C ), Mll. l l'EIRE | N VV V | N | | | | V ,  l le 'il l Illia di Illesle lol o l'agielli soglio li , i li; li il mettere a sbaraglio le la Vita il , ( es. i vi G3 istelli, minacciava di met ierlc a ferro e a fuoco, - t , sto lioli i l V lo i prigl n. o l8al l. 635 l  lº sa e con lì io, e, a disposto a metter la vita in avventura, e lui e il venil - , al site Ina ri . l'8art. esporsi al  pe: i  per i volo li lo del l - l at si  \ | | | | | | | | V | , N | | N | | | \ | | | | | | | | V | | | | | | V \] | I'l'll è l: l"N I)l S( ( ) | | | )| | , I N SI | | | ( \ | | | V | | V , , Nim ili.  Se. ... I certo I (lelli rebl . . . . . . . . . . ll tiro e, e ogni forza use ; per metterla al niente. I 3. l .(), si va Il lino, si saprò mettervi a terra si reo pretesto. » Segn. N i letto i ri; 1 , l'a! di di l: i ve: Irle fù per mettere la repubblica, se I rsſ o ll -i ( V V in discordie C armi civili. l) a V.dols e si li. ... . ll e il V e il messo ( es al'e in su le cattiviià e risse. m l)a V.MIETTEIRIE (i UERRA, CONFLITTI. discordia. dissapore, e va dicendo, tra cristiani, amici ecc. l)av. Bari. Ces.  METTER Por giù r. g. I \ P Al IRA, L'ALTERIGIA, UN PENSIEIRO, UN AI3IT ( I )NE ecc. -  e tanto che, posta giù la paura del l e- e dei i atelli e lii - il colore in tal guisa si addimesticò cl io ne ma qui e son: le qu'il 1 l III I Voll. 13 ,  a Pon giù l'alterigia e studi:iti di prendere un viso ilare e gli vi e.» lº art  . Pon giù i ferventi amori e lascia i pensieri triatli o Bo  MI ETTEI RE IN N ( )N CALE \ | | | | | | | E IN I 3 ASS( ) - MIE I TI lº l: l N S( ) )() - MIE IT EIRE IN I ( ) IRSl - \ | | | | | | | I: IN IP AI ' ( )| .I.  Per lilla di lina ho messo E. ll 1 II lite in non cale ogli i l el-i ( . l ' ' 1 l'ill ('il.E chi, per esser salto virili solº rosso, Spel a 4 ellenza: e sol lº l Ill Sto brama Che 'l sia di sir grandezza il basso messo. 1)ante.« . .. mi par necessario definire prima e mettere in sodo il sostanziale valore di alcune espressioni.... » I3art.Chi farebbe i re votare i loro tesori, pr (Il ce ne Impi sotto la III i loro popoli, e mettere in forse la loro maestà, se questa spera la non fosse? I 30 .e in altro non volle prender e I - i nº di lover'a mettere in parole se lo  delle sue galli; la', e.... » I3o  MIETTERE IN V.JA con....  \li raftivella, cattivella, elia non sapeva ben, donne mie, che cosa è il mettere in aja con gli scolari.» I;  º cimentarsi, intrigarsi, avventurarsi a voltº la fa r , voler l' il cºlle agli scolari, misura le sue forze cogli -  METTER MI VNO A o per q. c.  “ .... e messo mano un di di noi per un tagliente coltello, e nella logli un gran colpo...., gli spicca inno il braccio. , Fiereni. e Messo mano ad un coltello, quellº apri nelle reni , Bo 3;I All. N l VI ( III ( S \ ( ) \ Q. C.  -  .... pose mente alla sl i 1: 1.  I s e, ponete mente le carni mostre e lui è stallino. » I3 n. 1:.  Ponete mente atroci spasimi, lil: se l: in lenti e divili la li l: i les li Se i 1.  Ponete mente effetto i li e le e il via il cºsi della lor debolezza. E  \ | | | | | | | | | | | | ,( ( | | | SSI \ A SI N N ( ) | ) l...... ( 3, ,  e gli misi a suo senno, e iroli  -  \ | | | | | | | S | A N \ :3S \ | | | | | | RSl Al, l'ACElAE – \ | | | | | | | SI SI | | NZ | ( ) \ | | | | | | RSI IN | A | è ( Il I ( C.llESSIA – MIET | | | RS | S ( | | | V ( ) | | | \ | | | | | | | SI l N V V | V.  dal si misero al ritornare.» Bocc. I rimisero al ritornare. l 3 al E mettiamoci ai ritorno. 4 , N -- li siti, si s Illal alle; te si posero al iacere. I 3: : 1. . . . . . . . i si metie siienzio. l 3 l: i . () il l  i VI inelli - la si mette al niego.» I ). l .le sia l i lliesto. Meini . S'era messo in prestare Scpra castella , l in tre loro entrate. »  netiersi sulle volte e lo i leggi i ve. » l?ari. cioè, tor isl l l: i veri il  si per la via, l No!:l, si mise. » l 3o .  \I E I I I I I I I I I I V \ I | A PEIR VI CI N ) da e la sua vita per Nell'all .  \ | | | | | | | | | | V \ I I V. I V S \ NI | V . I l . SOS I \ NZE ecc. Udas le ben  ('' . . ll l in 1 m., 'il bis. Nel ' ' li l: osi e se c'è bisogno, mettiamoci la vita. . ( i ll.(i e il ( ! ! ! , il III le pose la sua vita per la nostra redenzione.» ( : v. l ' :l.« .... e lui beato che fu il primo che ci mise la vita! » Cesari. « Però vi esorto a passarli travagli per il lodo , le no, ci mettiate della sanità. » Cal O.  MIETTERE SU UNC), c) MIETTERI AI , l' N I ( ).  « è istigare alcuno e stimul i r , a dov e dli o la r il il na Inglilia o V Il  a lania, dicendogli il modo, lil po-sd. ( del liti o lill la, o lil a. i litº , - - si chiama generalmente commettere male i l a 'ti i liolo e ! Iltro, . . . . r Inti o al Ilici che sia imo. Val li  Nola gli appellativi: commellinale, un teco meco : « d'uli con melli  a male, il quale sotto spezie d'amicizia vada la riferendo i testi, e ora a quelli si dice egli è un leco nero . Varchi.  METTERSI AL TIEIRZ( ) I ( C. I )] .I , ( il V | ) \ (iN ( ). e Andavano dotto letti sto i rieg Li, messi al terzo e alla metà ! ! gli: -  dagno, a cercar le case, e le var i ti Irer -- las, i  a o l'edità colltro alla legge, i l): I V.  Note al Verbo  Mettere - . 628 – Eccone un saggio : to set al monuſ li I linellere il niente : lo .. set ad usork (porre in opera : to sel on llame li eſtere a fuo- - co: lo sºt sail nel tere vela: lo set aside mettere da parte , - - " lo set one s self (imettersi a.... : so se lo m in l. ere giù -  lo se out (metter fuori, pubblica e lo pul dorn por gilt, nettere a terra : lo put in u riling In Ilere in isc l'illput in mind mettere in alti , ricordare i to put a question; lo put to death ecc. ecc.  269 – Mettere in abbandono: nelle e tulosso una cosa ecc., nellere le mani adosso, mettere sol lo l'armi; mette i si in tla i mº; mºl tersi a correre: mettersi, porsi in animo di 'jar checchessia: mettere in campo; ecc. ecc.  i30 – lndi l'appellativo messa, pallone o germoglio della pianta. « Quel rigòglio è pur vago. I rallo e l'odio dal soperchia che fanno le mºsse degli alberi, essendo il succhio ... Cesari.Analogo al mettere delle piante è l'altro modo: mettere pr - sona, cioè crescere di corporali Ira.  631 – Si dice anche, con valore di egual significato, dar animo. Il modo meltersi in animo di far 1. c. vale proporsi di farla ». (5:32  (5.3.3  (3  (53,  (5.3(5  (5:3,  io m'ho più volte messo in animo.... di volere con questo nu ſolo provare se così è p. Bocc. Conſ. avanti Voce Animo.  Neh! questo metter pensiero non.... è ben altra cosa che il mettere in pensiero. -  Avrai avvertito differenza i ra il meller tarola (a, e metter la tar'ola. Il primo è la r lanchetti, dal pranzi, il secondo ap parecchiar la tavola.  Sinile mettere a repentaglio - Giuberti adopera il verbo git lare ecc. • Pronto al meno no cenno di gillare ad ogni sba l'uti/lio o.  Noli ricol (lo si allo stesso modo e valore siasi mai usata la rnia nelle e al sacco: Giul), ed altri l'adoperano in senso dii ripio, 1 e, mette da parte, far tesoro. « Debbo saper grado al Padre Curci che non abbia sdegnato di mettere a sacco la lingua e lo stile delle mie opere . Giub.  Melte mano in checchessia o di lar checchessia significa co m in cicli di palla rue e c. Col I Muno (al). 2.  ( Se il m o l?a l'1 e I.  Al clersi al ritorno re, e simili, è il laniera elitica e vale accin gol si all'azione, all'ill, presa del..... Mettersi o porsi, in ge le tale, e la r q. c. è all rolla e che il cori linciare, apparecchiar si, porsi nello stato di farla. Si dice anche mettersi coll'anima e col col lo t... ( Si mºlle con l'anima e col corpo al dice al la r l ich '5 st . lºl'. (ii il d.Re care  Sil primo significato è il l di poi la e, si rire. Il talu, i (Illali cosi' io llllle di ſua coli n e o di votarne il recai ed holl 1 e ... 13oº'. e con il significa i resi in li lig Il al miele a recare d'una ill alil a liligi la v. ecc.  Mia poli III lil al li isl 1 l issi di quies era, e il I rili li alle 11 la Iliere: lº e' st e il no, una cosa ci l 'c li ºss lat, a far lecci es . sia, recarsi a....... liele Illilli il V e io i reati e sigilli, i ſilando condill re, ridurre, indul re, e quando i riliire. I l ...., il V ( l e va dicendo).  .. li Ille-t Il l: l ' 1 tl i i l: - i mini recasti. I3 o 20 I - I i ls ' il - l si l: recarsi a condizione di privato. a ( a s.  .... sol che esso si recasse a prender 11 glie. I3 . Vedi modo e sappi - , oli di l: parole il pil i recare al piacer mio. 13o . II lis- 5000 fiori il loro i litro a 1000. . ll e io la sll, di reche a rei a miei piaceri. I3o .il Vello già liledira: o gli animi d i s.it i baroni, e recatigli alla vo glia sua.» (riallil,I ti: l l'orri i- di 1. I l s. vel . l i r, casse la madre e prin cipi e..... a dover esser cori I lit '  ( 1 -  i Qllesti recando a suo proprio quel con il Villlierlo di I o Izi, a poco si 1611 le clle coll..... » I Bill'1. - -  l'eputaldo, considerando sullo la r pri .. . e Ne recava a prestigio i miracoli, e la santità ad ipocrisia. l?art. attribuiva, o aveva il conto di..... a recava la mia rettitudine ad ipocrisia. (iiil lill). . niun altro l'olila 11 , di sua grandezza il V e il V l Ito dlle lipot i il ll 1 i corpi, recandosi le cose ancor di Iori il la a gloria. Da V.« . .. lle v'è uomo che legni di fir se Vilio della slla persona che sel reche rebbono a viltà. » I3:1 rt.Mangiavanº i carne il venerdi e il sabato, e come cosa orali ai passata e in usanza e comune, nè a coscienza sel recavano, nè a vergogna. Bart. 52, « Non si recava a vergogna di fare, bisognandolo, l'arbitro con lo dal la belti.... » Balt.« E dicesi nella storia di Santa Marta che non sia niuno che creda ch'ella desse il corpo suo a ſanta vergogna: chè quello unoli lo sarebbesollel to, le ll I ratello cogli altri su i parenti e amici l'avrebbero e li al celata, impero, le se l'avrebbero recato a vergogna.» Cavalca (528) E vi sara cli per contrario se la rechi una carica a piacere, a premio, a riposo, e.... S - :).e generalmente o il lancio, il ril ci rechiamo ad un genere di empietà e offesa a qualsivogia a ilmale, quando egli non ci dà noia?» Segn. ll – e le : l le , Fi, al di l orlìa 1 di sl , ll la l'ott 1, e 11 in fillelllo d'in sse; li t. It con 1 l ils: l ' , no; i clle Vilì c'ere i - ilì molte haitaglie, ne recò a più alto principio la cagiona e oltre  - io ho veralmente era, i sse i ll , si era il V V ei lilli , il vi: ill, 'i . I l i pic lo es reit , del re doll i – l .  e/ se \ , Va. l .  ; le I) i l rist l li , a . l sei za niun risparmio,  N si | | | ( V.I RSI | N S .  il strelto alla 1 si sta i ltto in se mediesimo si recò, e con sembiante  1 a V e a 'e ll it l aºs i tre lisse l3, i li.  | R | ,( V | è SI IN VIA N ( ) | V | | Si VI \ N ( ) I RI ( AI SI IN ( ( ) l.I.t ) ( | | | ( ( II ESSIA  \ oi vi recherete in mano il vostro coltello ignudo, e con un malviso e tilt to tu balo V e l'anall et g ti per le sca', el a idrete dice: do; lo ſo lot , il l)i lle o il cog el'o . . . l ' ve. I 33llfli liti o recatosi in mano uno de' ciottoli elle 1 a volti a Vea, disse: l)el V ed si -se egli teste nelle l e lil a Calandrino, e : ... o I 31 . . .(olli e il li elobe Il., 1 , li lega i recatasi per mano la stanga dell'uscio, lioni e sto prima di latte. Il 1 le pel si la stanga le raddo di malmo.» I el l /.e recatosi suo sacco in collo riposo ni li che egli ehloe  vinto il ſolito.... 13: l'I.  l: I VIRSI CO) I I ESE teme le mani al petto, per riverenza, di rosione, piu'll .  i let: Illesi , e latto, recandosi cortese disse.... » Sacch.  | V | | | IN | ,l ( I  Iſetti, il gran tempo, sia i mas osi, ci appare chiamo a recare in a luce o all's Licht lo ingen). Giamb.r- a -  li ECARSI UBBIA DI.......  « Per dilungarsi dal morto, e Iliggi l'ubbia e le seri prº si recava le « Inolti.» Sacch.  IRECARSI A MIENTE (Itidui si a memoria, sorreni e .  a Và, e non volere oggi mai piu pecca e. Recati a mente, e vedrai che.... a I Passa V.Onde meglio è, sostenere la vergogna degli Iloii, Ini che quella di Dio, a recandoci a mente (Illello che dice la Sci Itt il ra 11 l lilol della « parlando in persona di coloro che il rollo di risori, cioe  Sapienza, is ll terril itoli le giusti; i (It.all.... » l?assa V.  IRECARE IN I N ) nellere insieme, a comunanza, in cui molo, la re un fascio ecc. ).  « Voi siete ricchissili, i giovani, li lello e le llo, i soli io: il ve voi vogliate a recare le vostre ricchezze in uno e in lar terzo possell: ore oli V oi insieme e di quelle...., senz'alcun fallo mi da il cuor di la , e, le.. . . Bocc.  l? EC.Alº:SELA (o anche recarsi assoluta non le maniera elettica e ralle offendersi, pigliare il traie, pigliare in offesa come falli a sè, o coll'a blatiro della persona, o coll'espression della cagione ecc.. e recaronsi che gli aretini avesso i loro rotta la pace, a V Ill. « Checchè egli l'abbia di III detto, io no, voglio, che il vi rechiate, e se 11oli corile da uno ubbriaco. o 13 , la consideria oli le c, fatta vi da un ubbriaco).  -in da 11 a V I  Nota al Verbo  Recare 526 – Simili i modi: recare a fine, a perfezione checchessia cioè ſi nirlo, perfezionarlo, recarsi a menſe, recare in uso ecc. V. il presso.527 – Nota qui la frase: recarsi checchessia a coscienza, ciºè lº ninrderne la conoscenza, e simili.52S – Così dicesi recarsi checchessia a noia, a onore, a Ilºil, º lº  rore ecc. cioè stimar nojos, ecc., reputa il “ Mi liº una grande ingiuria a stili , mi di si p o giudizio che ll il  mi debba ripulare a farore, che li esser N. N. si degli di stºri verini ». Cal' .F corta re  Al l lano i rili Is , elellico di portarsi per portar rici. Qui vogliº lisl rilenzi, il re alculli usi notevolissimi e ina niere assai fre le li sºllia per il la ai classici quello che li li fa il moder li e poco spello del pari tre latliano , cioè l'uso del verbo portare a va lore di esigere, richiedere, in prorla e, comportare, sopportare e simili; e le maniere: portati dolo e, poi, la r no a uli che chessia: portar osservan sot, onore, ricerca sa, l ispello a lui li sssia, portar amore; portar pena: portar per i lenza; portati pericolo di al'.... poi la r il pregio valer la pena : portar opinione. I rl ( es. porla in pace checchessia: portarsi d'ai il no e Val di elido  () i noli e gli ºri Ilde - i tizi ile , lollo prº sstuma oltre alla sua forza, e fa cia le imprese piu che non porta il sito potere? » l'assav. e lº sta che i polelli ssilli dispor di lei, e se non quanto porta e il dovere. » ( all'o.Nelle passioni l'a lliIl r. Il liti S.s: lite portar dov: ebhe la sua lla il ril, lIl l . . ll la V , º l?a l'lo.Il segreto della profondi - si lli: za di l) lo portava, che solamente dopo 10 secoli.... » Cers.a Vennero le due g lov il lette il dile giallo) e di zºld º do bellissime con due grandissimi piatelli d'argento in mano pieni di varii 1 litti secondo . lle il 1 l ... loli portava. o lºMla io credo IV e ne dett pil re assai. A |fe si a quello che porta il tempo, 11 le lilt:: via l il 1 l Ces.  I :i natura del l s i porta così e io, il - e lº può altro. » ( -. Non portavano quelle idee che egli dovesse avere presto un numero « o  d'i!) finite V i.... . » (' -. Conservate il vostro, lion spendete piu che portino le vostre facoltà,  fuggite i vizi, seguitate la virtù. » Pandolfini. .... questa volta parmi aver la cosa certa che il sogno portasse che... Ces.  a Portando egli di questi cosa grandissima noia, non sapendo che falsi,  propose di averne parere con mosse lo prele. » Bocc. So, i testimonio dell'amore ch'egli vi portava e dell'animo che le neva  di farvi grande. Caro.  l'ex donerà questa inia presunzione all'amore che le porto da fedel solº Vito l'e. » (art).  ... i quali del giovane portavano si gran dolore che... » loce. « E bene bisognava ch'egli li fortificasse, chè da ivi a pochi di avevano a a portare smisurato dolore. » Cavalca,« Di che il padre, e la madre del giovane portavano si gran dolore e malinconia, che in aggiore non si siria potuta portare.» 13o .« Ma Iddio, giusto riguardatore degli alti il merili, 'e mobile Iemmina  -  conoscendo, e senza colpa penitenza portar de l'al: ru pe cato, altra mente dispose. » Bocc.  -  « Percio' lì è quando io gli dissi l'amore il quale io a costui portava, e la dimestichezza che io aveva si o, Irli capo II li spaventa, (livelli loin l.... . I 3 , .  le all o!'  « E da quell'ora il li illzi gli pcrtò sempre onore e riverenza. » Fioret I.  E 11 lì è da falsene il raviglia. I lil pensisse lo sterminato bene ch'el leno portavano alla persona sia o C i va. a.  « E se il confessore lo riprendesse dei suoi vizi, porti lo pazientemente: chè sono inolti che, per essere tanto umili e gli isti, spesse volte si biasi  mano eglino stessi: ma se interviene, che altri gli riprenda, non lo portano pazientemente, ma iº degli I no.... » Passav.« ....porterà espresso pericolo di riceve e vergog :i e dal lillo. , (iia lill).  a Sfirmiamo che pcrti il pregio rilett : s tl dl Ill st luoghi. » Segn.  a ... lion portava il pregio ch V | V I rom pesi e il sonno per risponderº a III e, di cosa massimamente chi lilla II, II i V a l o  Ma sai che e' portatelo in pace. » I 3 . « So tu ti porterai bene d'altrui, convien cli altri si porti di te, e Fioretti.Ajutare  L'aiutare dei pochi esempi che qui arreco non è l'ordinario e comune di presta aiuto, socco so (ail lelen , ma si rassomiglia al to help degli inglesi, nei costruiti fig.li lo help forucard, lo help of the time, to help lo ecc. ecc., e dice cosa, in generale, che cresce altrui virtù, o dà I nodo d'operare. Noterai ancora i nodi aiuta, e alcuno, aiutarsi da chec chessia; aiutare uno di una cosa: aiuta, si al lar checchessia ecc.  “ .... e che l'Inilia cantasse il na . il Zone dal Lillto di l)ione aiutata. » Bocr'. (guidata, accompagnata .e Ritornò si notand piu da patira , le da forza aiutato. » Docc. sorret to, sospinto j.Fa Itisi tirare a paiiscalini ed aiutati dal mare, si accostarono al pic ciol legno. » Bocc. sorretti e sospinti .Ma quel povero Iritto, per aver a con le tar troppi vervelli, e di varie e mature, spacciata Iriente si inti e di l::i i : si iroli e forte aiutato di lavo a recci e di concime. l):tv.« Al lllla lolloni - e al 12a lo! ese, e il lile! :l ajutaio, lº rese nulov , con siglio. I 3 r . . . . . llQlle - le parti si posso lo aiutare e collo balillage e co.i soppalli.» Fierenz 571).E se Illesio può fare il senno per se Inedesimo, quanto maggiormente Il dee 1are chi dalla opportunita , intendi necessita e aiutato o sospinto.» l30 c.Ajutava le parole col piangere, col darsi delle mani nel viso e nel letto. Se n. aggiungeva Virtti alle parole .Ma se il lla pl o la par li a lia del celerino per via di medicina se ne a prenda, con lierà lo stomaco, e aiuterà la Virtu digestiva, e farà buono il lito. » Cl es . . ll orrera a rinforzare, a ravvivare, a promuovere). « Per fare ancora i vini piccanti, saporiti e dolci, aiuta assai, dopo la prima sera, che siell 1messi... i grappoli inel tino. Soder Vit. (gi va, adopera .  Tuttavia, se la pers, ma fece quel cle eila potè, e non ci commise ne e gligenza, e ledettesi a vel i- il mio confessore, la buona fede in questo caso l'aiuta, e 'l sommo sacerdote lidio compie quello che mancò nel de  fettuoso prele, o Passav.  A.IUTARE I) A CIll.CCIIESSIA, E ANCHE DI CIIECCHESSIA. « Vedi la bestia, per cui io mi volsi, Ajutami da lei, famoso saggio e Cln'ella mi fa tremar le vene e i polsi. » IDante,(difendimi da.... ()ppure maniera clittica: aiutami a fuggire a difendermi da loi).« Or ov'è 'l naso ch'avevi per odorare? Non ti potesſi dai vermi aiu « tare? » Jac. Tod.« Anche ::lolto è da col Sidlerare e da Il 1t la Vigliare che, essendo solo, tutti i 11 st.li idoli gittò il : tel l'a , e iº li ill la cosa gli poterono luocere, nè da lui aiutarsi. » Caval. (life! 1tlersi .  a Pero ('ll è : i Frances lli non atavano li Romani dalle ingiurie de I,OIII  e liardi e dei Toscani; ne il Pap 1, ne la Chiesa l ' tiranni che lo perse a guic 11t). » Vill. (i. 572 .  e lo fo voto a Dio, l'ajutarmene al Sindacato. ioe d'aiutarmi da que sta cosa al...., o di li, 1 l'ere, il ll'ajuto le l.... , Boc .Io vò infino a città per a illla m a Vi enda, e porto queste cose a Ser a l 3olla corri d' (i inestre, o, c le m'ajuti di non so che nn ha fatto richiedere per una comparigione.... il giull e del dificio. Bocc.a Sempre o poveri di Dio [ile!!o che lo giadagnato ho partito per  n  mezzo, la lilia Ineta col Veri e il l is tra Iletà dall do loro; e di ciò m'ha si il mio Creatore aiutato, che io ho sempre di loelle ill me - glio fatti i fil 11 l inici. n 130 .  e Alberſ o d'Arezzo era te ! 111 egio, le per delolto il quale gli era addolmandato e mitra ragione: onde e si ra Intl lido a S. Franco che di ciò il dovesse aiutare. » V ;1. SS. Tad.  A.I l I'.Al ' SI A......  a .... Ti o, ipo -olio rimasto dei lise le mie speranze: III lºt'e Voi, lìoll O sta inte si g l al lilot I V , di rai VV i dervi, il V e il test i pillttosto a prevaricare, e non vegognandovi, quasi clissi di al collo la lite ingorde, indisciplina e, le quali allora si aiutano a darsi bei tempo, era pola 11do per ogni piaggia, carola ndo per ogni prato, quando antivegg, no che gia sovrasta procella , Segn. s'ingegnano, pro iº lo trachten, tàchent).  Nota al Verbo  Aiutare 571 – Parla del seno delle donne che per parer più pieno si può.... . 572 – Così l'ediz. fior.; – La Cro Sca e La stampa delle Soc. tip .  Class. ital. leggono un po' diversalmente: lion atavano (aiutat vano, nè liberatrano i lio mani. S e ritire  \' illo solillo al Isi pi ii e in no comuni oggidì. Si ado lº' i ''l ct ''l Nºttso, il gºl l pprensione, coscienza, notizia di chec lºssli, li guardi come il latº glise. Nota i nodi: sentirsi, sentirsi (il capo...... ; Nºn li re dl il 1 l gelsi, avvertirlo , la r sentire ad alcuno; N. il lir (le'l gli e' cio, li ul, l'', l'a mia l o ecc scºni lir bene, mi alle di checchessia, e simili.  lo soli i ll ella sento di me. , Rocc. \ V e i tit Illa ira solº ai la lollia le quasi non si sentia. » Bocc. ll (Illi, le si alte: il letta ogni parte del corpo loro avea considerata, lls, el l -se deli a Illa, le chi ai? I n l'avesse pulito, non si sarebbe sen tºto. » Bo se al 1 o l'avesse punto mi li ne avrebbe avuto il senso). l) l'1 e le lla I d glli il test i e le ii senti al capo. » l3oce. I me ne sento alla borsa. ( ... ll I.  S. Bernardo di e li mi ni loro stupido e che non si sente, è più di  º  ll I ligi la lla Salt l' 1 ss. l 1 no li il senso li sè stessº, i. ( olli lel quale - la i vizio della super leia, e non si sente, cade nel  V Iz lo lella lissili la del' 1 a 1 ne, e I diio palese il suo peccato, acciocchè  la co . fusione e la nla li la lel peccato brutto lo fa la risentire, che prima  er: il sensibile , l ' s sv .  \ V e I talit ezza per l ' s lllite dell'allina, che della morte del si sentia niente. ti i.a Il rumore dell' 1 al 1 : :: van ls li a grande, e quello che più lor gr. l V il V a el . . ll e-- oteva no sapere, il l ossero stati coloro che i pita la V e vallo. VI: ( li, il l Illa 'e liti e le atl a il no altro ne calea li in aspettº i di li lov erlo in Ischia sentire, fatta armare una fregata, S I \ i ll lito. (. . . l 3o .  le: le [lli li elite, e con le addormentato il sente, cosi apre l'uscio e vi sene dentro. o lºo ('. \la poi che ella il senti tacer disse: o l?o « Non potrei sentir cosa alcu ma che mi osse più grata, che ierl'esser le!la slla lollolla gl azil. » ( asil.si mise in cuore, se alla giovane piacesse, di far che questa cosa avreb be per effetto; e per interpositi persona sentito che a grado l'era, con lei si col venire di doversi e in lui di IRoll la fuggire. » l'8o c. 529). IPer io hº se rigli' rdat , v'av: ssi, non ti sento di sì grosso imgegno clle tll essi Illella , oliosi ill to rose, che.... » l'80cc,I a giovane d'esser pil in terra che lº mare, niente sentiva. » IBoce. (530). (ollo il tavola il solitº l'olio, così se le scesero alla strada, o Doc C,e Senza farne alcuna cosa sentire al giov., III - III Ise o il via a Bocc. “ E col mandato alla lor fa nie, le opi : ' viº, per la quale quivi son trava, dimorasse, e gli 11 -e se a 1.1o v In Is-e, e loro il facesse sentire, tiltlc e sette sl si vogliarono i l ent: i l el laglietto. » I3o .\ Vvellº le 1:ll' 11 Ille cl, (.ri, e' o, ( Irlino al palo con un stio a Inico a ce la I e e fatto lo sentire i (i la l.lole, compose con lui, che quando un certo enno a esse, egli vi -- e troverebbe l'uscio aperto,  La fante d'altra parte lui nte di Ille- o si prend, fece sentire a Minghino clo (iia corilino l:ori vi . ilava e gli dissi » Bocc.  Venuſ o il dl si alleint e l -sendosi a Vl: ddi le ha 11 ovata morta, III rono alcuni clie per invidia e l dio h a l gli tto portavano, sul lita III ( )11 ( :il l)ll a l'ebbero fatto sentire. » le non si ppiendo per il I | tergli presta mia disposizion fargli sen tire più accornei:unc)lle cle per te. i ti collinettere la voglio 13o .  « Come il sapore del V Ilio vo clio, che per vecchiezza sente d'amaro....» Sollec. I Pist. 03.Non era nel bilono investigator. l i pieni a ve: la borsa, che di chi e di scemo nella fede sentisse. , I3o .a Io il quale sento dello scemo a 17 i che lui, lei vi debbo esser caro.» Bocc. « Ed oltr'a e io disse ti co- li questi - la bellezza, che lui un fa. s|ilio) ad Il dire. Fl'ite \ Il melt, li costei sentiva dello scemo. » Bocc. 531,.  Ttl st -:) Vissililo, e riel; e se li I)io senti molto avanti. » I3t) 5.3 ?). Vll'ill ontro chi, colli e tº. Sente si poco avanti lelle slle file desillo e se, che di se goli si ricorda, nè sa qual si vivesse sotto gl'innullerabili stati e che nel decorso dell'eternità ha mutati, segno è che.... » l' irrcllo morl) sente molto avanti nelle regi lli delle bilolle e l'eanze.» (i illlo.  a S. Greg. S. Agost., S. Ambr., S Girol., che sono i quattro i principali dottori (li Sa.'lta Chiesa, sentono tutti concordemente l'opposto. » Segn. e Cerf:n ci sa è, che nè lileno i suoi ni: i levoli stessi ne sentono si empia mente; anzi molti ancor de genili lo reputaron profeta di gran virtù.» Segui. a I Jacobiti sollo ( l'isti a 'li...., londillelli) male della fede cristiana Sen « tono. » IPºtl'. lloril. ill.e Della provvidenza degli Iddii niente mi pare che voi sentiate. » Bocc. « Allora udi: direttamente senti, Se bene intendi perchè la ripose Tra le sustanze. » Danſe (Par. 24.).e Ciascuno studias-e sopra la questioni della vision º de Santi, e faces a sene a lui relazione, secondo che ciascuno sentisse, o del pri) o del con a tro. » (i. Vill.a Del suo pelo del cavallo) diversi uomini diverse cose sentirono: Ima s pare a più. che baio scuro è da lodar sopra tutti. » Cresca Questo Inedesillo pare che senta Santo Agostino, quando parla della « l'esul'l'eziolle di Cristo. » Vled. Vit. (r.  e Virtù, dice, è diritta niente di Dio sentire e dirittamente tra gli uomini a vivere, e operare. » Caval.  Conferisca gli tutto quelio le ella sente, come farebbe a me proprio. » Casa.  Nota al Verbo  Sentire 2!) Il V el'inchineri dei tedeschi: Analoga l'altra frase (v. appresso): la c all rul sentire chi ce li ossia cioè operare fare in modo  che la non i via Venga il suo l'ecclli ecc.  lo 0 lo che li on s . Il ll grazie del 13 o accio ed altri), osservava qui il Valiolli, e ne sono del III to pl Ivo, avrei detto: « La gio valle non si accorgeva se fosse il lerra o in mal'e o, il che sarebbe dello gl . ss lallali e rile. Il lºoccaccio, invece di dire: non si accorgeva , dice : nien l Neri li ai clie è molo di dire più scello; e disponi le parole il selli e lo ſullo con molta mag gior vaghezza. Zali ell ' e io li a Lib. I.  53 | Noli e ulivo re: Senli, di scºm, o v. g. nella fede) vale nati l' aver diſello di..... ; e sentir dello scemo è aver poco senno,  aver la qualità di clil è scenio. Sentir dello scemo stà da sè. e senti di scemio è predica o di checchessia.  Analogo a questo sentire è il sostantivo sentiva della nota fra se sentita di guerra.  32  .... mia egli con miglior sen lite di guerra, si era posto in ag gilato dietro alle spalle di una montagna, per rammezzal loro la via, e cogliergli improvvisi. I 3art.Stare  Lascio le definizioni, le discussioni, lascio i numerazione di qlI clie cose che o tutti sanno o nulla montano – che uscirei del mio assunto, e troppo vi sarebbe che dire a voler anche sol accennare a lui ii i modi e forme particolari dell'uso di questo verbo - , e mi starò contento ad ilculli esempi lei quali il verbo slare è ad Iso, e ad Ilicio di un valore che lnai o quasi Inai nei costrulli di una locazione moderna, cioè di chi solo sente e pensa moderna li crite.  Noterai le forme: slare checchessia ad alcuno, per convenirgli, osser gli dicevole anstehen, zustehen, ed anche per costare: stare bene per com venire, meritarc. esser ben disposto: stai si, stare per astenersi, rimanersi: slare (di checchessia per alcuno, per non essere, non aver luogo per call sa di alcullo: slare uno, due giorni ecc., per indugiare: stati si bene, ma le ecc. per contenersi: slare, assolillimetile, per non mi i versi stati e di clie chessia, per essere il ſiles' , ei lo slalo, condizioni e cec.: slal e a lot I e cli ºcchessia, cioè il dicali e il l IIailili di azioli e le siglli ſi alo del Vello che seglie ecc. ecc.  I qui li II lotti per i clie oriev - olio i 't alle donne stanno che i gli uomini, il quarto pit . Il ti line e le agli il fil III l Iliolto par e la re e lui lg , si disdire. I3o .e E sev o volete essere di quella legge - se il loro, a voi sta: Ina a valli lle.... , I 3 s -1 el l 1 l el Ill 'le) l .Sillito la vo' veller', s' , la dovessi la r per III: li o lil II rini, che la a non mi stà. » I, rºll Zo di Mleclici. V el l l ll : l: l s;ì l II e Il non mi Sta. » I 3 , .  Bene non istà a lei il clillo. A | V era la III gel'' (la ril - il sil 1 e il il ti ( Il'io Sollo, '1 : iStà bene l'attelldere il d all1 , l' . » l 3 m . Frate, bene sta, io li e me li di roteste cos Ill: ... , l o '. Frate, bene sta; baste: ebbe se egli li avesse ricolta dal fallgo. » Do . S78. e Io non son ancilllla alla quale questi ill: la III o almeniti stiamo oggi mai bene. , Bocc. -i al ddi allo).2ssendo egli bianco º bi º 1 lo; e legg l'1 li o molto e standogli ben la V li il l30 ('.e io potrei cercare luita Sie:a, e non ve ne troverei uno che così ini a stesse bene e me quiesto. » Docc.« Avendo studiato a Parigi per saper la ragioli delle rose e la cagio: a di esse, il che sta bene il gentile lloli 1 . . l 3o .« At colleerò i fatti Vostri ( i miei il III: lliera e le Starà bene. » l'80 .  a La qualcosa veggendo Stecchi e Marchese cominciavano a dire che a la cosa stava male. » l'8o c.  a .... di che noi in ogni guisa stiam male se cosl li lilllore.... » Bor ri troviamo a mal pallito).dis- l' ill V: e se avviso lui Ilai non doversi la a veduto, avesse: ina pur niente perden a lov i Si Stette. si aste i: il liss 1, il rio - a listelmell I30 ('C'. N isl , li lev si stava. . l)av. N si s si s i s; i liss . . - Si stesse, e l'80 . lº l' 1: v. I l il sitº Il le stessero. V ... :lle cessassero, si fer  Il luss ( l ' , -- ero  (i a noi o non istette per questo che egli passati alquanti di, non gli r! Inovesse sin – li pirole l 3 .  Per me non iStara -: i sia. » I 3, cº.  l' egali dolo, l e se per lei stesse di non venire al suo contado, gliele  si li, ſi iss , l 3 , . S!), .  Senza troppo stare t a il lino e il territo visto gli rispose. » Bocc. - il 1 , sich lange besinnen).l ve: i IIIa pe: il nº te i ni ivi e no 1 po' Stare un giorno che li ssi . 3 ,Siette al quanti l i renz. l i no in Stara molto i l:ì l's il 1. , l lel . Stando pochi giorni.... l l as it giorni. Ne stette poi guari tempo e le si . la Iltale della Illin molte ful lieta is: l BtNè sta poi grande spazio le elli, si ni la Giustizia e la potenzia il I I ) I V - - , l sºl l e. . l 3 SS0'.  l I e Ilio - li - Il d. si iellza stavasi innocentemente. » Ca \ si. .. li o 1 i vasi . lº, e lo statti pianamente fino all'i nia tol nata. . liocc.  (.l, polendo stare, via, - ius o è he mal suo grado a terra : i l ier'.Compa il lato l'opera sta altrimenti che voi non pensate.» Bocc. L'opera sta pur cosi, ti i sa. I l Vtloi, stare il II; eglio del miº lido. » lºt ,E relet , porrete irrente le carni nostre come stanno.» Bocc.  Staremo a vedere , olle V i governel e le , Calo. Se volete chiarirvelle state ad udire. » Se n.«Che dunque mi state a dire non aver voi punto i rotta di convertirvi.» Segn. . « Non mi state a descriver di I lique il ll'Iliferi, caverne oscuro, schifezze -  º stomacose. » Segn. 881;. -  lºra i liolli all'i lli li col V e lo slal e' gran parte moli e dell' Is Ilo ſereno:  STARE CONTENTO A QUALCI E COSA con lei la serie -  ed egli rice! cò almorevolmente. La basso che stesse contento a dazi ordi  a mari. » (iiali. - e Ma siccome noi Veggiano l'appetito degli uomini a niun termine star  e contento. » Bo( C. « A me li li pare buono collli, il quale lo ista contento al suo pro  prio. » Palld.  STAIRE SOPRA SE In ne halten SS2,  a Alquanto sopra sè stette e cominciò a pensare quello che la dovesse o Bo) ,  Li Volse dire, senza pit | ns. vi clie e - e u ss (Il 1 l: proli: tt i Vl a guardandolo fis , nel volto, per V del e se egli diceva la V cro, le venner a Vedliti quegli occhi spal V n1 i ti...: stette sopra di se e li e però disse: l'otrebbe esser clic... Fierenz.  ST'.\ I º I, SU I,.... - - ST AIR E SI | , ( il V V | | | | | | | | | ( ( I ( ). ( sillli | | | 3 ( - ST AIRIE SU LA RIPI I \ZI( ) N E. SI I, IPI N I ( ) | | | | | A ( VV VI.I.E I? I A, I) EL ( ( )N V EN I V ( ) I .I . - SI' A | ' I SU I. ( VNI) E c'e'.  a Stavano sempre sul contradirsi e difendere la propria lt - i « Inigliore. » Bart. e Stalino Irti su la riputazione e gli ideg: « Messer lo corvo io lo paura che il vostro star sull'onorevole non vi a faccia lIlarcire in questa prigione. » Fierenz.a E stanno in ciò tanto sul punto della cavalleria che persona di Volgo « è Inai alm Inc.-- a loro col Vogli. » Bart.  : gli 1 il ri . , l3 l: i.  STAIRE A PETTO | ener fronte, reggere al paragone ,  « si scusò col dire che non ave: gente di stargli a petto. » (iia Ilil).  STAI? I, IN FIEI)E  a Pochi ne corruppe, gli altri stettero in fede. » l)av. SI \ RE IN SOLI ECI l'UI) INE V. g. de lalli altrui prendersi briga, es serne lui lo premi tra  SI \ It I A Ll.( ( il crisi liti, elorca, la II nella liti... reggersi secondo... ) l  Il e no, le tuito, stava a legge ma umettana, gli si ribellò... » Bart.  S I \ I Rl l?I l l N ( ) / e mi e' e la llo su di lui l Nilo partito – STAR BENE IN  (i \\llº E forſe da la persona SI \ RE IN CEIRV El.I ( ) (saldo alla pr 111 ss S I \ RE \ | I \ PIR ) \ A di Probe bestelen – STAR SEN E NEI.I. \ SENI ENZ V NO a lire al visi – STARE I).AI -  I 'OCCIII ( ) ( A | | | V ( ).  \la V to io, che gli stava dall'occhio cattivo, non lo volle udil e....» l'occ. S | V | | | | N N | | | | | SI' A | R| | N | | N | | N N l.  ( o la base del 1 al pil e quasi ai li o sta in puntelli il mondo.» Fier. si eI tto, le li se in esilio, p - e lo Io e il ti: i piè Inail o, stava in tentenne. o l: le ( liz  Si ponga nelle da li Ilio all'uso del sosta livo slanza per slare, tral le mº) sl. in lui ſia i c', lino e lo micilio e c.  (il voll:i li in lato veri pla, endogli la stanza, là g : i (oln e 1 I pia e in stanza in Ille ta i ltta? Fiel enz. E come le g . a V e li palesse il partire, pur tenendo moli la troppa stanza gli osse agio e di voli e l'avil o dilettº in tristizia, se n'andò. » l 31 .I ra gli alti Vlo i l o, cavaliere celebratissimo, e primo perso maggio nella dell'imperato e in petrò al padr e la stanza stabile nel . Mlea o, e per i o is reti ministri se ne spedire al regie patenti. » Bart. IPensando voler fare stanza il ga e continua fuor di Roma, e per la sei i re a l), il so solo ova rinai il consolato,... » l)a V.Note al Verbo .  Stare S7S – Questo bene sla è maniera in personale e orna all'altra: ( ) - ſimamente, sono con voi, siamo intesi, basta così ecc. ; oppure all'interiezione: capita, buono allè ecc. – Simile il modo del  l'uso : ben gli sta, cioè l'ha il ritata, e simili.  S79 – Conf. Rimanere – maniera eguale: rimane e per alcuno od - una cosa dipendere da....  SSO – Alialogo a codesto slare è il sigili il lo del trio(lo avverliale - poco slan le, non mollo slot n lº..... disse e poco slante se ne - vide il buon esito . I3a rI. , se li il climpo del pari orire ess torì un bel figliuolo maschi . I3 cc.  SSI – Simile lo slare dei modi: stare al campo è iè eſsser accani palo, – stare a buona spel al nsot. Pioli di compassione il  conforlò e gli disse che a buona speranza stesse, perciocchè se.... Iddio il riporrebbe li onde lorº lina l'avea gillalo o. 13ore.  ser venuto; perchè dalla ma di e ijilala non molto stante, par- - CC (”.  SS2 - - Esprime l'alto di chi si pone al pensiero, in dubbio, in so spetto. -- I tiri la nel libblos , sostene e, sopraslaT corri a re  Si lsi ci sia le molle per lo nare a essere, divenire, diventare, lor 1 (tre il 90S , pºi renire. ridurre, ripori e, iar ritornare, iar diventare lsali\ al lile. l iuscii , l i londa e ed anche per essere di nuovo ciò che alli i ſo alla cosa ci si innanzi ecc., finalmeno per andare a stare, prendere Nl ct mi s (t. ;)( ! ) .  l oggi, poli legali le lito, lo costruzione e l'ordine del l'azione, e lo si liri, clie lori ci ſi poi accadendo cosa tua.  lº a V v l It il il I e torna uomo Ine tll esser solevi, e lì Olì fal far l ' I l3 . . .l'alto i a | 11 he tutt , torno li sudole, e tutto trangosciava. » Ca valca 910,\ l spill 1, si rende l'ono alla Verità, e battez z.it tornarono non solamente cristiani, ma predicatori di Cristo. » IBart. . La nl IV Coletta - I lista e torna in aria. o Fr. Glord.l)el lle tornò in istatua di sale. » CeSari. I loro pompose botteghe tornano a orciuoli e zolfanelli. » Sacc. di v si liti il collo il l essere ... ..() il 1 ltra il ro lo ai la tornavano al buon ll mio forse tre e mezzo. » Sacc.? E il V V elli, colle del buon cotto che a mezzo torna. » CreSc. a S1, ll ' I g Ill la l effa iornò a vero. o l?art.a (i la , la Valle, le carni i listinte ... Egli era tornato ossa e pelle nuda. » ( es: l l'.La caduta di lºietro torno in fondamento piu solido del suo innalzarsi le lege poi. Ces.Ogni vizio puo in grandissima noia tornare di colui che l'usa. » (ri doll dare il.... l o C.A dunque le parole di Crist , tornavano a questa sentenza... » Cesari,  a tanto lo stropiccio on a qua calda che in lui ritornò lo smarrito colore ed alqua lte delle perdute forze, e le e rivivere) Boce.a inſer ma di gravissime ed i maldite infermità intanto che la purgatura del naso e le lagrime degli occhi e il fra ido Ilmore che le usciva dagli lui, cºn le lido: il terra in ontanelli e ritornava in vermini. » Cavalca. La qual cosa ti memdo l'aolo, fuggi al deserto e quivi aspettando la fine della persecuzione, con le piacque a l)io, che sa trarre d'ogni male belle, la necessità tornò in volontà, e incominciossi a dilettare dello stato dell'eremo per amor di Dio, dove prima era fuggito per paura mondana....»  (  l'avalca. I , lu go studio della volontaria servitude, la consuetudine avea tornata in natura. » Cavalca. º sel l'eca un inferno) a casa, e con gran sollecitudine, e con ispesa il torna nella prima Sanità. Io e.  e la quale ſia inina, rapida Ilente consiln io e tornò in cenere quel poco a che l'era rimasto, o ( es. le e divenir, .Ma il Si Verio tormolle all'abito e al ritirarmento.... . I 3:1 I t. io e le ſei e ritornare.“ Qil lio stesso ill, la I a bbona e Io e torno il vento in poppa. onde sall'ite l'ancore, ripiglia o! I l vi i gio. 13ari. Ie e tornare, .... e Sp 111a gli 1 11:1, V. , inza, i - II i cd 1 , tcrnò in amicizia i parenti i degli ammazzati. » l?il l di t-se il l....... e dei suoi zii - lli di II lo ristor. tornandogli in buono stato. Bocc. 911).a Tornato il re in istato e la città come era in tranquillo.... » Bocc. i -e fosse stato il piacere a Dio di tornarlo in istato, tutto .. s - si gulalaglia Va all i lede. » I 3art. No Il Solalilei 11, avea tornato l'uomo nel primo stato. Il la a V vantaggian (loit di 1 1 cippi pill dolli l'a Vea - Il bil II la .... (.esil loIII e di.... lIl lla nella memoria tornato una novella.... » I3o c. Tacitarmente il tornarono nell'ivello. , 13 , riposero a l'ill ('a la clle IIIali in casa tornatalaSi.... . I 30 .  lIn giorno di salvato se lei lo costo: il la 'nzi alia chiesa di S. ( i lill allo, a nella quale tornavano. I regim V allo I; ost l' V ( st Vo Nll II lo , Ca Valca. a lº fa venire Simone, il quale torna in casa di Simone coiaio. » Cavalca fatti Aspo-toli).a colmando il dile sll Zelli che il - Itassero, e consider: ss l' in quale albergo tornava il vescovo che i veri predirato a Cavalca.  Simile al ragioni lo è il tornare delle frasi: II, (.( )NT () T()IANA cioè non c'è errore i cl calici lo. I | Ierale: il collo si riproduce bene, risulta esalto, riviene 912 .  TORNAIR 13ENE esser utile, di piacere......  « Coloro i quali sono grati perchè torna loro bene cosi, non sono grati se a non quando e quanto torna ben loro. » Varchi.a Scrisse quello che a suoi i teressi tornava bene di far l'edere. Bill I. e fatela quando e come ben vi torna. , Bocc. l'( )lº N VIRE IN A ( ( ) N ( I ( ) \...... stal utile  lºlºsa che se a Dio fosse piaciuto di prosperarla, tornava mirabil mente in acconcio al desiderio del Palavi, e a grande utile alla Corona a dl l'ortogallo. , Bart.  l'( ) I N VI RE IN NI EN I E  lil liti º se assai, le ſtia li tutte in vento convertite tornarono in niente. . I ; ) -.  l' )| | N VIRl V (il l ()| | | ( ( I | | | )|  la Illal e sa tornandogli alle orecchie. , Fier. Il testo la r o' e tornate agli orecchi di.... » l?art.  l' N VI E \ I ) | | | | V | VIRI e c.  si pa rtl e tornosSi stare in Verona, e (ii:alm!  Note al Verbo  Tornare !)()S Sinile al tour ner dei francesi e più ancora al to turn degli in glesi: The milk, the beer, the urine, le cream, ere g thing li (ul lunn ed sour. l he jeu is going to turn christian. –  l'his young mall first intended to study Ihe lav, but after W :ards lle l urned Soldiel ecc. ecc.  909 l'illlo simile anche in ciò all'inglese: lo turn in an inn, e va dicendo.  9 () Nolalo questo modo: tornare in sudore, lornare in aria, tor mare in sangue e simili cioè diventare, convertirsi in....  !) | | Nola, la maniera : tornare alcuno in islalo, in vita etc. Co testo tornare tiene alcuanto della natura ed essere di quei ver lui che mi piadue di contrassegnare col nome di causativi (Par le 2. Cap. 2. Serie 4. Ma è l'uso e la forma al tutto singolare che vuolsi qui ancora notare.  912 – Tornar con lo simile a metter conto, metter bene, metter: me glio - è altra cosa: « Non li torna con lo recare all'anima tua  un minimo pregiudizio º Segn.Vernire  Olire alle cose delle alla parte I. Cap. IV Classe II, noterai di que sto verbo i seguelli usi:\ EN Il 3 E A.... V EN Il ' E IN.... : e il ct rich o V | N | | | | CI I IE( CIIESSI \ ecc., per dire nire, la rsi, rialli rsi di..... lo ruoli e c' Nini ill, sul Pil l'as tre rulen, su I l l'ots ka) mi mi ºn e le.  gli il II pe: a lo; i erano venuti a quattro, il le All - lls-ii e dtle ( e-il rl. , (iia lill). .... ades, a ndo i piti leggeri di cervello, il bril iati il danari, preci pitosi i ga bligli, venne a tale che.... l)a Valz .  e assile la Itosi.... a patire la la lire, il s II', sei , con tutti gli altri st Illi e disagil.clic ..., era gia venuto a un termine. lle il disagio non lo olfendeva e dell'agio noi si ci a V a (riali W e il briligen dass...., 11 - : dosi illeri, il venire a volte si furioso.... (i, allil, il (ſlale il tori, ea lilelli e il nºt e V a 1 il 1 l l li do a V e 1 - o ti il to Il sito altri 11 venuto in povertà, il ire gli il li ri . :) V:llieri, c . I I I I I I I 1 , divenne a tania triSiizia e mia iin coinia il si volev l l I-; e il l . » l' 1-- I v. desiderosi vennero il 1 I l l: V . . le; e.... , I 3 , « ... sino a tanto, he venuta discordia civile tra l ti: io e l'altro paese.... , (i 1,1 mil).« Tanto pili viene lor piacevole. Ili: i to li aggi e stata del salire e dello slli (olti ro la gri V. Zza. » Bo ('.  VIEN II? | IN ()| I. IN |) ISIPI,I VZ |() N l e Nili i li V | N | | | | IN S( I R].ZI () (.() N. . V | N | | | | | N | V \ | | (i i | V V | N | | | | V..... per renire, di l riraro.  venutasene in somno furore.... , l 3 , ('. calo il 1 alta trisi izia e il la; iia a irli: i - I ne vengo in dispe razione. » Fit , l'.Veilezia turbata li . Il testa per lita sarebbe venuta in qualche disor dine. » (ii: Il j).a M: la Belcolo: e venne in screzio col Sero, i telli e li fa Vella....» Boc . « Non ostante che tutti venuti fossero in famiglia, uniti che mai strabo -  - , le oltre le spel ea. » I3 ge.Chi mi sta pagatore l'Io venga a dimani. » Bart. Ces. Questa parola parve lol te olltraria alla donna, a quello a che di ve nire intendeva. I 3 , .  VENIRE AI) Al Ct N ) che che sia, conseguire, meritare. – VENIR | N ( ()N ( I ) \ ENIRE I 3 EN E ad ai tirio per riuscire. arrenir bene, al maltro all'attimo. VEN | | | V ( ( N SEI RT ( ) V l'Nllº I; l'()N PUNTO).  Nori gli potea venir molto polti tre li dottrina, ne di speranza, nè di autorita nè li gio! a s'avesse acquistal n. » C aro.( Il le veniva loro in concio di Il gere, ed essi ll facevano con lor sen e 11 . » I3: i rt.Col forte le 'la falli e la ali lo si levar l'assedio e tutto venne bene.» Dav. MI l'asciassero a pi: el e e bilo: empo per le foreste e discorrere a Irle ben mi venisse. l' el'el./partiamo d . ordo li la sto la soro, il to he ognuno possa fare della parte sua quello che ben gli viene. Fiorenz.ma per le ogni cosa gli venisse a conserto, appena fu in porto che s'incontrò il l.... o IX I l i.\ Iſili hè dove gl ii e venisse buon punto, al re lo mostrasse. » lºart  V ENIRE, VENIR A \ VN 'I per occo , e , v. occorrere, apparire, mo strarsi, affacciarsi. -  Aguzzato lo ingegno gli venne prestamente avanti quello che dir do a vessº. » I Bot ( .  « A rispondere assa glon vengono prontissime. » Bocc.  VIENIRE A l) ALCUN () ll. F AIR CIIECCHIESSIA (loccare, Jemand die lei le kommel,  . A te viene ora il dover dire. o Boct'.  VENIRE AI) ALCUNO DEI CENCIO VENIRE Pl ZZ0) – VENIRE DEl. CAPRINO e simili - ed anche solo venire per venir fuori uscirne  odore, esala l'e ecc.  E quando ella andava per via, sì forte le veniva del concio che altro che torcere il muso non faceva, quasi puzzo le venisse, di chiunque ve « desse o scontrasse. » Bot ('. 920).  E se non che di tutti un poco vien del caprino, troppo sarebbe più a piacevole il pianto loro. » Bove,  Dianzi io imbiancai miei veli col sulfo...., sì che ancora ne viene. » Lipp, \ ENIRE DELLE PIANTE per reni, su, mettere, crescere, « Quella che mezzaliani ente - lo iglia, a liglia e viene. Cresc.  VENIRE ALLA MIA, ALLA | UA..... a Venuto s'è alla tua di condurmi oltre Imonti. » Vill e da hin bringen  \ EN II? MI EN ) a chicchessia - gli ºli p. I l:i, i lobi o delle  promessº e simili)  \ niti il partito il 1 e il l via lo venir meno al debito delle loro promesse.  I)a V. Risl - , si il ve: a 'I 111 ssa : l' 1 si lill la le giova il 18 di:lli ,  al quale non intendeva venir meno. B si ti: 11 e 1 li della s la propria ssi ,  V EN II I \ ( ENI ) ( ). I ) I ( I,N | ) ( ) , .......  e tll (l: ll II il l:lti S1 ll verrete sostenendo. I 3 i '. e venutogli glia ridato la d . . . [ 1 - Vi - e se l a... ... il venne con siderando. , I3 . Fi: no alla porta a S. Galio, il vennero lapidando. , ( ovale, e fattosi dall, Illia! til:: venna lor raccontando.... ( - I ri. L'utilita dell'udi e le ville º si liti di ora in colloscere, e le nel venirli stirpando.» Cers.  la lo) l'o a salitificazioli ( poll istal Ile! llo!) il Vel difetti, l'Il  Note al Verbo  Venire  ecc. è, in Irli Is . Il li sll l'e 'oli  920 - - V oniro (lel cºncio ll - [llella spiace  storcimenti e con l'azioni di viso e di p l'Stllil, - - - volezza o nausca che al rila di ce:icio o cosa illilipsilica che gli verrisse vedi la. scillili, il lills il 1. : -) () s 2".  Altri verbi di particoiare osservazione, del cui retto uso si adorna il discorso, ed anche l'idea prende talora maggior grazia e vigoria; e sono: accadere, acconciare, adoperare, apporre, appostare, appuntare, avvisare, bastare, confortare, cercare, conoscere, correre, divisare, entrare, fitggire, guardare, investire, lasciare, mancare, mantenere, menare, mattare, occorrere, occºrpare, ordinare, passare, pensare, perdonare, procacciare, ragionare, rimanere, rispondere, riuscire, rompere, sapere scusare, spedire, studiare, tenere, toccare, togliere, usare, itscire, vedere, volere.  Accaci e re  Il suo significato con Ilie, e proprio, e lello di arrenire per caso, inopina la mente, in lei venire, seguire ecc. Il lorno a questo non accade esemplificare che e molissilio e dell'uso anche più che non bisogni. Mla gli all i classici : l i al dissi i vagano il l sless , verbo accadere, in un senso assai pil ial , o elill Icannelli e vario. Gli esempi li diranno come alcune vo' e si rii ti: con il lotto, con il corso, ed altre con cºn il '. venir in acconcio, caler a proposito, reni e ad uopo, loccare, di parlenere, e si ilsi anche a sigilli al e, ora la r di mestieri, bisognare ecc., ed ora preceduto dalla particella non non essere bisogno, nichl brauchem ecc. ( cc. Conſ. Pall. I. Cap. III . E in ende ai ancora come un sifalto acca dere si avvenga alla frase e acizi ci si direbbe sostituendo altra voce  o quello che egli pressapoco º similica.  IPerche io ho compero un podero e voglio o pagare, e fa ne ini, le altri a Iati i miei come accade, a Fiera Inz. come si l: Il tali e il costanze, o collis bell Illi Vielle, ( c'e'. .  lolina illo...., e iº gli risposi a ogni osa come gli accadeva. » Fier. i cioè colive.lientemente, adeguatamente, o come lui la V e ol)poi tullo',  e .... e accadendo ti serva di me, o l'iorenz. all'uopo, al bisogno).  Io potrei, per confortarla, venire per infinite alti e vie: ma non accade con una donna di tanto intelletto entrare a discorrere sopra luoghi volgoli e comuni della risoluzio. e. ( i ro, non ſa di mestieri, o Illegio, lo i è oli velici e, dicevole, opportuali, i c. .  Etl alla donna, a cui il  ll , lº i io li pi i lito, li : ()r elle s'aspetta? So correi qui non la grini accade. A io sto conviene, fa d'uopo . Ma dell'Ilso di Inett l'It gelift zio insieme, come nelle Real di Sl'ilari: I e di Ilioli i sigli i al rilan: e in alci e l'Italia si vede, essendo ti- , olt: a 111 inta no e 1 li l 11o-tri, a noi non accade tratta e o l?orgh. lon 1 . ( t, il gli si app:i: tiene a .... e a III e il rio cadesse il ri; e il vi  11e di ei, avendo rigi a: il che '.... , Bo .. t . . ss , - appar lesse,  , i so, li i i ll io V  Non dis-e: i a lizi (ſt 1: Io la r cadde lº do il le? , ( es. o o se, a V . Vell veli : .- . ll ii l' .... accada : il la di II lº - stieri..Fece cos e colla pr -: i o!!a spada che non accade adorna le di l: I: ( e, p Cirle.... , ( : l 'o. i liti e, iroli e le ossa ri . .Qll:) !ldo il rili di leit I e II li ſi l acca dcno altre ti -si l: azioni. . (ri, Zzi. lion , li li la d'ltopt di.... . E lic, chi i : istiani - li Iile ! I po a si'l citudine di sal º : : -i. ] il ce: i letti I l accade, Sia il I l II toi, le cºl ltsinglliaIlio . è lI::l 'life-ti- iII: , S. .. . .Ali, il non accade , i 1- I lii : i g male! » Sºgli. Iila: lor: i ti lit li lit.... .N li accadrà, - . -i, li d'oro il 1 l izi l: i i sta il listino giornal li le t in . i ! e col Salinis a.... l) ils IIiti in In.. Segm. non sara bi - Ogil ( ....Non accade per ta: to i lie i t II li' li -so di lui l'in - l'Ize. lol dl }ivi , i, l1 Il cli . . . . . ll 1: i ', - , Il li Sºg lì.Vi bast ri e ai la s; e iº li mi l britto a o che fu commesso, mln . . . il mio lo; e qlla ido, altri, il e o lo o ign ra lite. A olesse e spritri, o, avvis it, lo amorevolmente che non accade. Segn, non con vie: -i - Vie . l .Il qui e disse al detto Fed rigo: \ndate a trovare un certo giovane ore e fice che ha il III e le velluto: quello vi servira li ti belli e gel o non e gli accade II io disegno: ma poi li è voi non pen-iale che di tal piccola cosa io v e in fila giro l ' ſ tiche. Inolto v lentieri vi l'iro Il m po o di di a segno. » Bell Cell (non è bisogno che egli abbia, o io gli fa ria Il litio (lisegllo .A cc orm ciare  la ssi sºlº il ro - se e se li rai ii garbo e non so che di eletto, ll Viºli alla II se la Iso i si litio di questo verbo. Guarda come, e il lilli | is ssi I, elio che non là ordinariamente il Il 1 del'11 . Sgrill I l pl plio, acconi da e, assellare, disporre accon cui mi cºn le mºlle e in buon ordine al l inger, si richten, lo dress, allogare ssi i i ssa a conciati e le gambe, le braccia, la testa, ll il ct col Not, il luci col tr . (. ll 1 l. ll . . . . . di colecisti e cut ralli, uccelli, diamanti, l'ilari e ce : lesto verbo, costrutti e maniere leggi: i dri, e li ill sigli il l più aplo e figurato.  Acconcio le braccia i li, l l io l'. (.lle si s .... e, a da l idel e .. averla veduta quali lo s'acconciava la testa. (Illanta diligenza, con qualita il ll Iel: l i - - , l SI | o! | i ti va, la V Via Va, intreccia Va, ol' il via i l lil'Il sil i l i 11 il lo e le li li sappiamo acconciare le camere, ne lar, in olte , sa le a . . si lati: lo sta si richieggono.» Bocc. E e il tro i la si pe ll it lta, la quale molti pruni e al loscelli avevano acconcio il modo di iolo o d'una capillnet a. » l'ioret, Racconciava , i le , (.es.E' e all'il: ci lire i diamanti non si possa lo acconciar soli, i l':  i , il l: -- l tra l ' o. » l8ell. Cell. i vz: ezioli e le lezza elle e si veggo:lt il lili iE si acconci i lil, . . . . . . . . . i lor ronzini, e il lesse l ' va ige, e lº \ sl e I I I I se li ve : ero a F l'elize. I 3 r . ri è st l'illi, il ll(ili ni: elido . lle a vela l': i slis- gl tl , e g O\ el'll Ssel:ì bene. Chi libio, acconcia la grù, la II - a filoco, e col sollecitudine a cuo .VI esse l' . . . . . . preso, e per acconciar uccelli viene in notizia al - .Acconcia il tuo i i possº esser tolto....; se l:ai d. ll: acconciali per modo li si sappia sieno tuoi.... » Morell. ( 1. ( 1 , il\ vello a tu qll il Coni e il figliuolo e la figliuola acconci, pensò di più a li le cliniora e il l Inglilterra e lº allogati, i messi a posto”.  Seglioli al time parlicola i manici e usi diversi del verbo Vccon cia e conciare .ACCONCIARSI p. es. alla mensa. Fior.: ed anche in significato di porsi a sedere, mettersi a giacere acconcia mente, assellarsi ecc. .  Si acconciò gentil IIlell, e i ti voi: .  Egli verrà la 1 Voi il 11a bestia nera e o li liti,... (Illa ndo a costata vi  salà e Voi allora Vi Salil Salso. e colli e slls , vi siete acconcio, così a Irl) do e che se steste e ries . Vi rc II e IIiani a tito, se :iza piu o ai la bestia. »  I 30 ('.  \ ( ( ( )N ( I \ ItSi esser utcconcio ut, o li lati che ce li c'Nslal ciclot I lati si, russº  gnarsi, esser disposto. Il to, tppa i cech lato.....  Io lo :l po-so acconciarmi a l el I e re.... » l 3 , .  \ (livelli le li I): 111 .. . a pl i ro a ... - l'e. sospil i....  non pote; gli rendere la lei dili i donila: per i quali cosa oli | il pazienza s'acconciò a scstenere l'aver perduto la -la pl es Inza I 3 , .e Io non posso acconciarmi a perdere il fi l'io a file si cal . Cesari. « Io mi sono acconcio a biasimar to I 11 che Asp) , gli lotli. » I): I V.  Io sono acconcio a voler vincere Il -: i cºnti. » I 3 . E come io sarò acconcio, V -st ) e alla va º lº i .  Non è ia carli e acconcia di sostenere . r i ve l Fr. (ii in l.  Quanto più se puro, piti se acccncio di ricevere Iddio e Fr. Ci lo d. Quivi volti i navi in tiri ſia rico, in acconcio di lavorarvi. » Bali.  i la V l',1 : vi  m  a E ve le; do l' Argilla i in concio di cavalcare. 13o (disposto, appa  l' chi lt).... i  A( ( ( )N ( I \ RSI ctconciati e atlcino ( ( ) N ( I | I ( ( I l ESSI A conciliarsi, (te  cordarsi pacificatrsi .  \lla fine... s'acconciò col Fiore: il il li :lti i ( illelli (li l si allit,  to: Il ssi iI Vleli agli 1. o V ill. (i.  Lo e pri: la II :ito il ole, per racconciarlo con Messer :) lo li Valois. o Vill. (i.  ... col quale entrata in parole, con lui s'acconciò per servitore facen  a dosi elli: II; il r l: Fiºmille. » I 3 ( .  Nola questa forma singolare: acconciarsi con alcuno pºi se ritore.  \CCONCI \ ItSI NEI I VNIMI ) capacitarsi. I 'carsi a crede e persua tlersi. (ili ei trul. \lti Silli SI, V ii e ! :i 'li, l'Isalli, e ci sia  - acconciar nell'animo. ) aCCc: i ciar ine! l'aninno , l l3 - li V . I  distinzione e  \ ietti li ! I Ve!'l, l: (i iallllo. (ieil.  la melitoria e le |! l - , vi  E acconciare nel mio animo, e non ini parea lecita  - l - e--  l - lº s;  - li S liatori. » I 3: u. Lat.  \ ( C )N ( I \ A Nl VI \ / i pati si alla no le col ricevere  l Set 1 e mi cºn li li il ciliotti lº si con ll li ecc.  Vi es . ( acconciasse i fatti dell'anima  t: glla le, e l a li: il 1 e il  . . l l: l. sl a i (lisse 'lie egli susa, i l si che egli la voleva Z: eri Vil. SS.  I Pil (ll'.  v( ( ( ) N ( I \ | RS | | | | | | A N | VI \  il n. i da i falli dell'anima .  ct no io rsi in ciò che riguar N e ciate dell'anima  Il n al! Si  li: i  pilli ! sto cle vi accon - i lì piu al tempo,  V ( ( ( ) N ( I \ N ( ) \ V | N V | | | | | | (il ('c'e'.  F.1:  e volesse stare a ctl i l'u .  - I l a bottega. E Vi , l Acconcio con Maestro ,  la rasse  i . . . . l acconciateli  I tl. lillo , a io lì è inil \ l.  ( N ( I \ I tl. VI ( Il N ) pr millo. Il tra Ilia I l . l i nºn lati lo ecc. su l ich len.  \  ii  farò acconciare i l Illia lii º l i  si tr . . . . . lle tll ci vive: ai. » l 3o .  ... Aloi li . m'acconciò questi  ll e g le I); o V el li o, o ( a ri . Sll : il l lilli 1 , l is s'. ll I  Il 1 littl. I);l V.  lliti sei lili la ll !! ll glie lo concierò l'eli io  lº \ IR E. I ESSI A IN A ( C ) N ( I ) li.... in vantaggio..., facen do cioè se r , e checchè sia a suoi lini ecc.  l?erg: lilino i lor:i, senza pil nl o pensi e, quasi molto tempo pelsato a il V e -- e, subitamente in acconcio de' fatti suoi disse questa novella. » lºoct'. (  \l) Eli li reni e, lo ma, I N A l in 1 l propºsito, reni in luglio, rec. . Qui cade in acconcio , I , i : i S. l l si i lºrº di ioso voli in ... , se iTorna in acconcio l i - . I l S. , , , i Nºi voi i 11 - i  º se stiti - il re: il 1. º , a tra i -, z º di e, dal e più acconcio ci veniva,  i l ingrºssare il vo . Il V  Ad operare  Per poco che al li sappia di Lingua, si accorge ben osſo che il voi , di loperare dei seglie il I sei il pi è ai l i costi dei lorº il rio e con illo ad ºgni pelli volgare. - No ai soli a l I I I I : alopei a e bene, ma le o anche solo taloperai e, per lipo i lati si, gore, narsi, con le nei si; alope) tre, operare, la r opei a con alcuno li e..... l 'pri ti e', operati e che.... pºr lati sì, procacciatºre ci : e inali, il ciclopici ai ci ... per conferi e, esser utile, gioca c', o con lo si i e oggi lo on influire.  l eggi a Iuo prò e al dile o al resi.  V i lido col e si e-s, li iii , ol, i quaie avea l adoperato per le a slie III: li I. , I o el1 I (verrichtei). a ll re quariiunque adoperasse i º pr. a, an's Werk seizen). a Mi la V z1 : ve il nr ad operaio i  i il 1 il lil. . . 13:1 rl.  Ne ſilesi , gia ch'egli vi adici rosse. l - - -o sl 11:1, l'III e l11 Il 1:1 s ... , vis il l i | , , v – i V , 'l 1  l il 1 Isse, Irlett -- ed egli il pil ct, i vi l -i, iniorino ai i quali s'adoperava con l' it (... ss. (); il roli e il lil cli: a C0pera l.ene o y I l a co; i do ci i ri! tura il - ii Is Izia, - li l ad opera male e vizir - Viv | - li si diporta, Si ccntiene lº : 1 –- verfahri, vvandoli , iti).e .... li oli mi ero la gr. z ,: i Si - berte a deperare, che [ileia (i ( ri: la no tv e ! 1, governo di vita, ecc.)e il V , e le si illi, o il la il lili, la liene, virtuosi, troppo modesti, le belle adoperando i lileil lido - lo appregiati....» Dav. Col, iv. I l l ita 1! Il sºlfi . . niente ad opera malamente, tutto fa bene, ogni - le glova, e il s Salvani non agit perperamº. lo II el'o, il ri . . . . . . . . . . . - o, dove il confortar ti vogli, si adoperare, e il e . . . . . . l: -, redo re al novelle, le soli i lilli 1 º te ti -Cosi certante iº e Ari it – V ssc, adoperò colla famiglia. » ( i s. si \'.v)lli: li : Il la l o i ri: le tv l In- ll It ! ! a, e tali o col Re adope rarono. l'egi e 1 , il l / s la i3 (fecero sl, operarono in modo, procacciarono).i lil:n le li so il il vi: ti ſia di m 1, operò con l'apa Gregorio - , hº.... » (1 ialml). id.)ed egli, di e, operò talmente con Cesare, s . ll e li perdonato il 1 l id.E tº it , adoperarc no gial l V el:a che... o Bal t. ferirla ndo ll ma l operarono li, il 1 e Carlo, ripassata la Mosa si torllasse llel rºg il s; I ( - i.... .... e farebbe opera li . it la liri º la sc a lìoln n. » I) tv. id . Io vorrei che i 1, ne faceste opera di villa N .N. » Caro (vi adopera sl pressoºl li º il colle per a sua gracilità  Es ) vi il dl -: ma , in egli era il s ii ei cui i valta - at , di si' nza, di compagno, di  luogo, gli sempre adoperar tanto e S: il riori, ch ... » Cesari.  che dunque a soste itali: rito dell'onore adoperano le ricchezze, che la poverta non la ia molto piu i.lilalizi? Io :. il fluisce, conferisce, giova ,  « Ma loll di Ilent la ceV a, che poteva, per rientrarle lnell'allini : li la trielit parenti e li adoperare, si disperse, - Il 1 ne dove - sº, di par la rl esso stesso, lº giovane, effettuare, procacciare).  State alle li e di buona v glia; che molto più adopera il valore e l'ardire dei pochi che la inutilissimi i tumba ro, a, quando la fusse ben  t infinita. » (iiamb pro accia. . ol' 'Isre).  Si moli da ultimo la maniera: in opei a li.... i pel in fallo di.....)  lonio ( i lissimo e di gran traffi o in cpera di drapperie. » lºocº. e trovato le in opera di buon garbo, di de enza e di dottrina Vill  e va l'aspettativa, mi sentii i liar, al c il rilore. (i illh.App orre  Olll' ai valori e ieller. Il proprio i tggiungere, arroga e poi so pi di Sel, il re la confusione del polso e PI 11 cipio tu del mal della il tale, con le li N appi ne ........ l ( ) ll il l i lieti di appori e il 1 - i gi li - - iulo. , p e iº le : li ra i sl: i lig il ' . . . di ripula 1 e' accusa e, in colpare all riti di qualcosa, aldossati gliela, nel lase apporre ad uno una cosa: l li il 1 i v. l i - gi; ella follia | I l il 1ale : cippo i si  Imparano Is , c live , l ' gi! I lag esempi.  I rito 1 a l er . . . agi 1 -- lei, e ora apporle questo per i- usi li - e. . Bo , .E- ii e il V o cl II , l ' Irli i g IIIai sonº la mente io sven t 1 at ) ::: V , le la cui marie e apposta al mio marito, la quale luorte io l it ti: B . .E le appeni tu ad alcuni quello il 1 i il III col silio t'hai fatto e  iiii? , 13 ,  (r, i 'lo: i -- : ci t st: l) il che mi apponete di coolnestare | e e lil iio la c. 1, l Illa. . (i illl).E Ve; 111 e il rili lag ill: r. 1 lo si, e s'appose, ( l'eli t loss ( sua 'Iloglie, ei sºlo a l'i! ). » Mallia ! 11.  l'att i l 'sti 1, lis - e li, il dr. Ino. l la illg. elier asse non ti apporre sti a cento. . l):ì s'. Il 21 i liti, vi resti li li lilla i lorº le co; 1 o  Corsi di relli i quei gr. ll li il mini, i l io l .go per certo che si appor rebbcno. » - n. Inoli s': i galil; e) ebbe o  Nota al Verbo Apporre  5,3 I) a º nel segno. ragionando, è il pporsi, le collge lire, o forcare il lasſo e piglia e il nel bo della cosa. Var cºlli.App ostare  (Dar posta, star a posta)  ''sl - di chicchessia o  si illeso, cioè (lulalido si: s - , l .\ - è issa e il luogo e le tipo  s'. Il V : - s ci si s s' il ct ch ein dei tedeschi,  l suo pit ) e', e in quel luºgo | | | i rt (I sua posta, con I. Parte II ( I l . ll  i , i', º i apposio c;uando i lollio . si - i disse l'ogii quella  :I - le glali lint re è e....  l'. I l l - l'avea apposiaia | 1 g l'allo. , (i azi. Appostato il piu ienebroso tempo i l tacite, , lei , ioè nel quale il so: i s - l. : - , i lil a :. ll sell on clie:almente . ll . :is: i ... . . . . . . . . .... ( si ll e lo appostasse sull'ingresso del Campidoglio. ll mi - la al liri o di s in ital re, di frecce e l Segì).I :: dove aveva appostato, l et al pullm: o ill sul villf 3e; n. l va o, lis- llo, i retto il colpo).VI it l'ill si Is sennaio. Si sta, la Iat il asta illega vi lo, i . Apposta ove colpisca, on a o va l), l ' orlo tutto gli l'avvenuta I l o ( il l .\ v . . . l l ego lº appostar gli Austriaci, a . . . . . ti tasse il la a sul pi e-iudizio. » Botta te :I n lo lo i in loli - li alidati i ti.  le r data posta il l lie tiva e noi i vlt il cli'io il vi trovi a  Quel mal. Ieri in una siette due anni a posta d'un sold it . » lo c.App urntare  'A | | | | | | | | | Il lo si ' i loli - li ai i . riprei il l 'o r .  tippli il latre il ct cosa al di la uno. l'l'ov l' . ( ppm ti litri e li e .... ii.... l'i: il 1 III e appuntiti e un colp , e | illlo presi di illil: l. I gi  i - t ' ' ) - ! . . . . .  l; i si. -: i l fu appuntai o  V tº! :lli lo sono, i Padri - - , i : : : ' I in pirole. , I):ì v.  I  l . .. . I t'i .- I: - - I . , fi, i I l - I li. . I ): I V  , le liti, il li  il .... -; l - . . . l is -si l i - i l. S: 1' iot:  vi si appunterà l l i' 13 º 1. E di li a coloro la  II, il 1 , Ser Appuntini. , ( S.  S l it  1:  AppuntoSSi che s- i  t ... , I ) l V.  Appuntò coi detti l' 1 l i tutto ciò  l: 1:1 Vl: .  S. 11 , l appuntò un ci: Ip o l:  film inò il capit: o o | Ianti lo ci illavº i .  Avvisare  (Avvisarsi - a v vi sco)  Allego si ripi non del verbo il livo a rristi e  I tir e risapev. le. I vv . 1 i re,  I menſe, il quale in viso a chi og:  g:iela  i Il  lº 1 . . i.  s', i lice: i :l  I l il  altro, si al l o rimase agli sciope::lti l 3 l:  ali in lil ( :  I )i, ci si lti liasin i d il  il; ºlio rilli -  , , l ' il 's si t. e tt l'olarsi, ordilla) e tº .  i di l: colpire il  l' - . ! ! !:ì 1 -,  i ri'app lº ri: sv )  I s II, V a 1 , gl, \ si appuntar noi l - I  l ' ' il il i il  appuntare : eppur un apice, 'i  - e tutto appuntano, a  l -  i; - ! :) li ... la  isso il pari pt Ito, e noi  la r il riso, il vell ,  I tivvisi , e. l' Ili. .  issili i i -s ( l' i l'i: l' " Il liti i ligi ri . . loli l'illoleri. Ira del leill ro assoluto, o prono I l hº gli sli, le il valore simile al s'avis 1 e avis dei francesi li irri in tutina i si. I ti sei sl, la si a : ci lei e co., il cili i so, se ben in avviso,  I l si ggi ci si po spelli in opera di lingua ed è a  ' s i cli l'oli gli esser :ili le liti e il prelibar l  I  l: ! . I si li : al avigliosa gran  ! . . . . . . v avviº arcno : lei, i - in esser velenosa dive  I il avvisava li ss e passa r . » Bocc. sup  I l .. li-:i avvisando - - iº l e dissoluti. » I30 ('. - i l avviso il s.se; desso. » Bocc. lo avvisò i li i' alcuni luogo ebbro lo II : -i, si l e o lº .i l s ! I 1... ss, il ssetto, 1 ist e dolente se ne tornò ; s.l, avvisando - ti - r. -I:It i ... , Bo ,li-s, E e Seco avviso illi Illa, i no ll doversi I ve -- l 3o .avvisando i l e ella gii piacesse poco) trove s ii e lº .l I | tesi . ll e l: e avvisò il vocabo  l' . I ells  l'e li it , S'avvisò a coluso  ss e trova: e di ... l . . . l ' ' , | 2, . I atto e deliberò  I l e' s si s i vi e - ssi di vole sapere - : ! ed avvisossi del modo nel quale ciò gli i i l3, ... l , S  ( avvisati - - In che Illes o così ti faccia? Saccº. I .V -: i - . S'avviso il l li llll:n ſ l /a d'alt lº lì:a : i | . . . .E per ivi set s'avvisò troppo bene, come egli - V. - ll ' : i .Il pil) , io si à il lia, s'io ben m'avviso, rispetto ad un altra assai  Il l: si Se; ll .  Se gli al riso al ris di un sinificato  ill: i go sl , lº sllo di crisi i '. : i l'avviso , le ''I I I Ilia della sua bellezza il  V i 1 l in tºs , l  \l: :lli il II lili il . V e e l o il sallo avviso. l): \ « Nè fù lungi l'effel si o avviso. » B cc. « A cui 11 in era avviso , li fosse tempo da clan , l ier. e li è già per -: per l'ill Ie 'il' gli vi ad pe risse, ci il qll 'lo smarrimento non vi rimase avviso da tanto. » Bocc. 579, acc ol - rilentoe fatti suoi avvisi accettò la proposta. I3 po; id I a ta li li le e l'i cosa.siccoli le usanzi su l ess, le li fatti suoi avvisi, spedI. . 13 i fattl i s Il ri . al li, .I)omi: i lidò il pilot se vi era avviso del I a lisca il lº i rt s si s orgea  a Apple la avvisato da lui questo peso il il p . In 11 e-cºit se ne  riscosso a Ces: l'i.  Note al Verbo  Avvisare 5, S - Nola il linº al 1 al riso rsi li ti ma i sat. d i siti si il mal cosa, e vale la d ' a lei la pens. Il ct, i | I l s rie, ci - ci) ruſ e rsone'. I )i si ti li hº i risa e il noi cosa, per il rei tir lei, notarla. Appena arrisalo da lui questo peso di ieri di I e di presente se ne riscosso ( esari,579 – Quanto è vago o lorev | Iesſo il is gg si direbbe: Il -  | perocchè a tali strette, non vi fu empo li peli sare, escogitare, o che altro cli si limigliari i c.  E a stare  Polli menſo doppio sensº di basſati e le seg: lili o il violi: ()nte sl'arle basta a me , cioè in è sul lirielli e li li li i lis alli: iº basto a quest'arte ho mezzi e forza per..... le lili l: i lil, le liri, l' 17 e il livalho ad imprendere... La prima è comunissima e volgare, le tre le chiali con esempi. La seconda all'incontro è maniera eletti, e di quei pochi che sentono un po' avanti nelle rose della lingulil.  Anche il bastare della frase buts/a r l'animo o Se vi basta l'ulmino di far che in accelli offritenegli Caro Conf.. il Valli l nino - è al  purito il bastare di questa seconda lo ilzi lie, e indica pressa poi esser (l'animo da tanto, giungere, per renire (l'unino a tanto, e vi dicendo.i la ro: ra . al its bastiamo, a 13occ. 5S0). - i r re i al l i rbicati e cresciuti, i il bastiamo a stir  : l . bastere;li e. . 13 or sar hl) e ta . . . . . .  n . . . . . . risentirle una copia i ra i on v'avv a quivi dipintore, che a  ta, nto bastasse, I le dele (li. I 3; i 1.  Note al Verbo  Bastare  ) Sſ) l'id è lo stesso lº il ci l dll e il vece, con le diremmo noi, il si delle donne lo slot l'atl e l l'uso e l'arcolaio, non disse lui slot, Ilia è assai. il so, orsi e rifigio di quelle che ama  mio per i celi è all'all ssati l'atto e 'l luso e l'arcolaio il di l': i  Cercare  E il cristalli lil e I l nl 'l Nucl e il Salili i re, slidiare con il tenzione, I l is e, il laga l' , col sill' 11 lt ll ſi asi: ci ce l un libro, cercar le di se ci I citi una perso il ct - . l)i si il cc i col 1 e una città, una terra sigilli passa ossei validi . . ei clo, la co .  li oli al lilli e soli i pi:  ( )li le!'a il e lilli e, V agli illi: il litigo studio, e 'l grande cercar lo il volume. o l)il lte.i Lercol 3 al 1 , e , i li, li i e i buloi. » Caro (ricercare una persona sig: i ii a il l e 1 i lie i ': li .\ clotto) etti si -si il te: zo e alla metà del gua dagno, a cercar le case, e ieva l s : il 1:1, e, per trovar e li godesse lasci lita C, alla l):l V .I 'e'.rso li corcarne la divina voi omià i ll Zio, le altrui, o l'ior,  n iºgge.a Cli ben cerca tutto il vangelo forse non trovera che un siffatto acqui e sto di tanto pop lo il solo un tratto in esse mila i lle sue prediche (i (  (Ill:llito il Sola ( [llesi a breve ( r; i t . e S. Iºietro, a (..  º rivolse ogli diligenza - l' e di Illili i lile. ll i s loi a cercar della sa e nità. » Gianllo. Elissi: cercar : utti i mezzi. Inet r . - mi premi per ria - V el' .a Sillitti ,.a Augusto cercò di successore il rasa slla. l)a A allA. - 1; 1: o lio. Indigo per il Vere....  e si liliso coli - I li stili (l: iige: z a ricercare falda a falda della Velità. » Fiel'eliz  “ El a Ve lº io cerche molte provincie cristiane, - per Lolibardia , a º al rallelo, lei passare º I II: iti, i vs en le le ali da 1 lo di Melano a l'avia,  ed essendo gia Vespl o, si s litri l'olio in 1:1 e il il l Ilio. » Boc .  Mla poi li è tutto il ponente, i senza gia i ſalti :i, ebbe cercato, i 11  t l'ito il IIIa l'e s ile 1 : : 1() , i V ess: il n 13 , . .  « .... e pot; ei cercare tutta Siena, e io ve li troverei uno che... , Boc . a A Vell dol' cercata iutta 'a . li col e ssell gia stali o Ill l II li-i ill l'itori la re. o Fle: :lz.Tutta la vita si fa a sposa l'i loliti li-simi pellegrinaggi, cercando i luoghi santi del Giappone. I 3 art.« E con i grandi ravvolgime liti Filire i quali ora alla ti inontrº la , ed ora all'opposta parte si aggira ricercandola la terra, quasi per tutto..... » (iiil Illb.  C confortare  (sc e riferta re - Conf. D is sua ciere. Pront.)  (on)orla e alcuno a qualche cosa, che si faccia q. c. ecc. e pel sili derlo, so Iarlo, in arlo, spirig, l' i lil e . S ºf I larinel è l' p oslo. N i li  per i recari e alcuni esempi.  Ed issa i beni a impa - , I li la trie e il torri li da tutti confortata al li gire, la valuti il podesta V litta, il III lo col l Ilio Viso, e ce li saldi v e quello, che egli a iei dotina li lasse B  I 'oi del suo alti i lite ri o li li lo- i' (Ill: el: otto lil ( st 1, assa  preso di quivi, aveva in un io a ccnfortar Pietro che s'andasse a letto per io che tempo ne a o l'o .e primi i che di quivi si pr isson, a cio confortandogli il Podestà,  i mi odificarono il grillel statuto.... º lºFresco conforta la nipote che non si specchi, se gli spiacevoli, come ll e A 1 , e ti º 1 ) : Ve lei lo i si. l o .I testo ma i ti o confortati da lor parenti e amici, che riconosces se oli e voli ſessare. » G. Vill.V e il nero, il V a 11 , l Il 1 confortarmelo che ubbidisse al ri . o I): I V .Gcnforto tutti a lasciar . si sa – glie, l'orazioni e comunioni Zulin ::lli li , Il l i. l)a V.s confortandomi al tornarmene a casa. » Fiel' )nz. - I serio i silo il confortavano di temperarsi e di allentare l'in i siti il sil i alti ( 'esa ri.Se io vi -si p a le!! come tu mi conforti, l'anima mia a noi e le ai le li/ si e io ho dato la carne lli: i.... ( il V .\la verido , sto o portata l'. I bias ial a ad Ell fragia, e a ciò per molte l a io li confortata - l is - e s' i lisse i olte l'ag : ille, e coll a Inaro  pi: il Quai a voi li s oi . . he a cosi i lte cose m'inducete.... »  C o noscere  (FR i cc n cos cere)  ( o mosco i NI ci li tra i set. -il ii so se con noi il re de I cl.,  significa in l'ulci se il '. 'onosce il no , , , l 'ce lessic clu allro, è di s'ill il 1 I l , is . ('onosce e o riconosce e una grazia, un ja col e la .... è lov e la, il I l il lirla a ... i liti rare di averla da..... -  omose, e della morte e simili li il no, vale riconoscerlo, dichiararlo eo li..... l?iu' , il N . . . . . . . . . . l ' , l ' l?iconoscersi di una colpa, di un  è liſossal l .  s io mi conoscessi cosi di pietre preziose, II e io ſo d'uomini, sarei il i vi ! lle e º I, Il Matt.per quello ne mi dice lº ſietto che sa che si conosce cosi bene di q: lesti pallºni sbia vati, e lº r.o i ll (º non si conoscono  il l fſe 1 l  punto d'architettura.... » ( es.  \ , il donº la rispose: I o la o si: Iddio, se io non conosco ancora  lui da un altro. n l3 , l . V qui - unità si conosce dal mondano lo spirito di Gesù Cristo. » ( si ri. a Opera da dover far da Irlatti, il che si conoscon meglio le nere dalle bianche. » Boc .a .... perchè levati quelli, la plebe irrilla oserebbe: e riconosceriensi po scia i complici dagli amici, o l)av.  « Dal tuo I (rdere e dalla i i la lo! lla le Riconosce il grazi e l: i vi itti It . l):al 11 e .  “ Basti G e Inalli o privilegiare che in consiglio dal senato, non in corte º da giudice, si conosca della sua morte, el r . -t val del pari. l)av.  º .... e riconoscendosi dell'ingiuria atta a questi frati. » l'ioretti, e Allora egli riconoscendo la sua colpa, fece penitenza, e donandogli perdonº. » Vis. S. S. IPad.  Correre  (Disc correre)  I la molli e vari Isi e formarsi di belle maniere. Nota le principali linello e Iri III li le seguelli esel pi.  e I | rall cesi a ºltrati delit corserc la terra senza il loll col trasto. » Vill. 585). .... coli in id) :i correre il regno -a loggia il clo. » IBartoli. Illustre predicatore che corre i puipiti d'Italia fra gli applausi le do a voti » (iiillo.e I ( Ini di Ibi: o il r.) vi Il viate corsa questa preminenza. » ( a l o. «... assai mi aggrada d', ssere co ei clic corra il primo arringo. » Bocc. 5S6 . Me felice s potessi correre questo arringo i velido aiutato l'opo la del « Vangelo. » Cesari.....egli II le lesiIII , del I II lillò (li l'iri la liersi e correre la medesima for tuna che lui, nulla curando, nè la perdita della slla nave, nè il pericolo della slla Vita. » IBart.« Di sette lance che corse li rilppe cinqlle con allegrezza e meraviglia  (l'ogli tl 110. » ( 1 l'o. a .... queste ragioni mi conforta ono a correre anch'io la mia lancia in  questo al gºl nonto. » Cesari. a Lasserò correr questo campo della poesia a voi altri Academici che  siete giovani. » Caro affendere a quella, dal e opera alla medesima).· I l II o tempo correndo le luci la citt non perciò meno l sta inte . ontado. , Bo .si li live sale e contagiosa fù l'infezione che fra loro corse quel l'a ll 3a l'1.tra gli 11 corre un intezione di febbri di ... - I pessima ragione, ll ... ( i vzi. Nello st: 11 - che allora correva. (rilllo. I ) , l'eta di Demoste le : il testa ci corre 400 anni o poco più...» Dav. 587). \ : corresse spazio di un ora. l3 .Corre quest'isola in lungo sette miglia, e tre sole in largo. » Bart.  Pe o mezzo a l.it , l e sa l:ndia corre di itamente da Setten I una catena di monti, e le sl - a da Call caso e scende a... » l 3: il  I agii occhi gli corse a -- . I3o elle gli SS  E al cor mi corse ( ia i colli e persona ſr. I l . . . l): i .  ln - correva per l'animo e.... » IBart.  ( (  I il pericolo slle liner all tizie di gran avrebbo in corso in mare. 13:1 I 1 S)  ( N ( ) l) l. | 3 | | | ill). ( ( ) | | | | | | | | | N V | | ( ). I | Sl.lº \ l/l ( ) l) l....  In questo a so dove corre il servizio e l'invito d'un mio padrone. » Caro  i .  se son pi ve lo disco , cre, usato a significatº: cºn lº  ami e la scom e e, derira e ecc. si lelle che nelal.  Mii la- i ere e buon tempo per le foreste, e discorrere cc me mi venisse, l'it''.e da questo discorse un uso quasi davanti mai non usatº, che...» l'80C'e'. a io lo - i tiri la discorrimento per l'ulta la casa º Bart. - mi - nza discorrere il fine, si lan io subito alla scurre e misesi a pende, in li di quei ciuoli, o l e ºlz. Senza lºnsºlº al come sia l'elobe  : il data a lillire la cos:lº.Note al Verbo  Correre 585 - l' idoperato quasi al livamente, ma con significato più esteso, figurato, che non farebbe a pezza un equivalente al letterale ('O l 'Cºm'e'.5Si - Notilla Illesla frase: col rer l'arringo, e similmente le altre che  seguono: correr una lancia, con i ri il campo ecc. Si - Noli ſtesſo impersonali ci col re. I corre di questi sei ripi, è del tempo e del luogo che, fila si scorrendo, prende e traccia di ill pillo all'alli o dei lo spazio I: la determina la linea.5SS –- Qui con lei e e ad uſiiclo di occurre e venire andare. Nola e frasi correre al cuore, correr per l'animo, e simili.Sº Q1 slo Iriodo: cori ei pericolo è con uno a molte al re lingue alie (i clah r lui ieri, ecc.  Divisare  Senlio questo di risare nei pochi i serpi che ſi appresso: a signi irare ci è mai rai o dimalamente a uscinander scizen dispore con ordine, scomparti, e parli e ed i licli, pensati si arrivare ( cc.  li loro l'illi i i parlare i 'loli i c. v. gr., ho di risalo, mi son di risotto, per dillol: l' 'i la propos, o, deliberato, deciso, non ad esprimere, come ſarebbe chi selle e parla i alianamenſe, che si è pen safo, ha disegnato, arriserebbe che.....  a tenelidº, per la rino che la cosa -- e passa 1:1 con i giiela avea egli di visata. » Fiel eliz.a .... ed appresso ciò, che i la' e il V sse, il ritº e il silo reggimento due  rasse gli divisò » a useiirald , setzte . 13o e dagli scritti del salto trasse materia di comporre il sil: ingata Irla tel', la II Il libro, Ill e li cºl bel ' : dillº diviso | Iti: la tra i cia (leil;a l'olen  zione del II loli (lo. » I3:ll'1.  « .... ed e-sendo : -s: i feriali lente dalla donna ri vili , le disse che cosi la resse l'il la r la corre Melissa, divisasse. , l?o r.  a .... la donna.... 1 i clonna Ilula 1 e (iiosef Illello che vola via si la cessi da desinare. Egli il divisò, e poi Illand fil ora lo ri:lli, toltinianielli e gli a cosa, e secondo l'ordine dato, ti ovaron fatlo. , lo .Voi avete divisata la cosa assai bene, sicchè mi vi pare compresa tutta e a Ilatelia dell'eleganza, o disposta, ordinati . Ces.di ſilelle sole vivande divisò a sti i cuochi per lo convitto reale.» Bocc. a Verall I e II la i lill. ll ora per te, da avarizia assalito fui: ma io la via e o con gli el l istone, le tu li redesimo hai divisato.» m'hai fatto il pil e B . . .  Sl, ma i Ilie la sinagolarissili la differenza, ch'io sopra vi divisava.»  lei o lì a te il sito per le usa da vel un buon scrittore, e si Il bo a al volgo. ( sl se la divisavan Ilie doti, i quali.... » Ball. si elisavallo, avvisa vi 1 . .\l l'i mi diviso, le rimastis: Iuori quav dalla soglia, vi mirino filgl ill: :ld . Segli Ini figli l'o).si che io mi diviso che non a rilisse; o i miseri di alzar occhio, non li orli : l pil le.. Se gli.11 ilare un vocabolario d'un per il : Itti i vei bl, divisatevi le nature e le proprietà di ciascuno. » Bart. do- ni di tal ne trarrazione, se non che troppo a me lungo, e forse a li legge in si evole : ills in elole, divisar qui le tante dispute chi egli ebbe.» 3:ì nºi.vestiti superbamente all'usanza, d'abiti divisati a più maniere di colori, con i filisslilli - il milli ntl ... Bart.  Ermtrare  Notevoli di questo verbo le manie e bellissime  a ENTRARE. MI ENTI VIRE IN CIIECCIIESSIA, ENTRARE A...., per cominciare, prendere a latº e ecc.  lºrin la che tu m'entri in altro, dimmi, -oli io vivo o morto. » Sacch. Non m'entrate in preccnii, nè in prologhi. Quando volete (lualche cosa che io possa, basta un centro. (art.lira non a 1 le con una donna di tanto intelletto entrare e discorrere e sopra luoghi volgari e comuni della consolazione. » Caro.I) una in altra parola entrammo ne fatti della fanciulla.» Bocc.  poichè io entrando in ragionamento con un delle cºse di quei paesi,  per avv. tu a mi venne ricordato Lelio. » Filoc.  | EN l'It Ali E \ All.SS \, ENTI VIRE \ I \ Vol. V, ENTRARE A MENSA  c'Ca'.  La confessione generale che fa il prele quando entra a messa. » Pass.c ENTIRAI? E IN TIM ( )I? E, IN ESI | ) EIRI ( ), IN PI.NSI EIRC), IN SC)SIPI, l' I ( ), e c (t (lice nulo.  entrata in timore - sei o III. Il cap tº re Ba 1 t. IP re i 'clie a g, ilt i, \ l). go l'e . . . . . . l ... I mili: i le - -:llito Vivo: e º dell'ill ia 1 1 : era r . ll - I ldei prossimi, entrarono in desiderio ci si pre e, in ancora spo: desse li ll , l ' t”. tº ll tº si ri' o 1 .... 3 I l Iin una settii malizia entrato, i vo i es -  a l It I lilt il 1 e il -  d ENTIR ARl, ad alcuno Al Al I EV VI ( E per..... ed io v'entro mallevadore per lui li l e se è le. llla III It . Fi ..Chi entra mallevadore, entra pagatore. - - .: Ilss II: Il V  tº I,N | | è A | I, I | |}I; | Rl, I V | | è \ \ | ) \ | , l N ( ); | N I | | VI è E SA | VN I \. I; IRA \ I \ I ) I.....: - N | | | V | | | | N ( i | | ( ) SI \ e c. I ) | VI ( l N ( ) : EN V IRE NEI . ( VIP ) \ I ) \ I ( il Nº in cig in cui si, clarsi ad intendere, osti il dirsi (t ( red º l ' ,  Ils. ll lo) I | riti si illi -:1; Iz.l i i dis, 7 entrò una febbri cella, e l'inna se lei III omistero. . (la Valcº.  I , qui ii a o o in a . I riti animi entrò smania nel Ilici; ve a lolli eti, dl e Vil:1 . (li paz/ 1. l): i V.  per la qual cosa disse che gli entrò si gran paura º le calde il tºrº , e quasi tutto stupefatto, ſi angosciando e sud (lii n non Kyrie eleison. » Cavalra.  a Di che la Minetta accorgendosi, entro di lui in tanta gelosia che ce li  non poteva andare in pisso, l e ella non ri - -- , l al! --  º  )  l'ole e col cºl ll i lili ( : : 1 , il ... tl bol: Issº. I 3 a gli entrò nel capo li li dove li te: -- . . . lle e-s; il vos - 1 - liotalmente vivere nella lor povertà. e 13 , .  I, MI ENTRA CI ENTIRO. (ne son persuaso, mi capacita. m i quali (t. mi ra .Fuggire  l Is: s e il re il sito proprio di partirsi I l il si alla I - - llando di evitare una cosa, Nºn solº, º ssd i si la clie' ci essia, e sinii, e quando con forma tran si vi o il sito va si' al re di li alligare, la luggire, la r portar via ! I l sillili.  N Ss , le Ieggi il 1 l I fuggire.» I 3 . « Fuggendo la - i liz si i vas i: in entenne ºri e o Cavalca. N fuggire il i f. sse a l?o . ( l III a - l: le fuggia in chiesa e in luoghi di re I : gl - , il l V , il - ro c n una lettera che seco avea fuggita a quel  li s Il  \lo, lisl ( r , , lº; i l 1.  Si il paiolo, e vale l'ergiversare, cer  ir si l gi, scappa! Io, gelli e .  v le lis lo stilli - e o il modo di prendere il battesimo, egli con si t! lle astuzia se ne fuggiva in parole, il ia i ghe giallo con promesse, l'... a lºrº rt.  Guarciare  Pongo esempi di I guai dare ad al ro uso che il suo proprio di dirizzar la vista verso il ciggello . Significa quando preservare, difen le re li ulem, bel dilem , 'lalido cusl uli e, con sei retro', e lalora anche con siderati e poi non le , gli ai lati bene, sta r bene in guai clic prendre garde), pone le dire, in gri ma 1 si ecc.  Dal qual errore desidera il no di guardare quei che non hanno l'ngua la lilla.... n 13 . . .I lolio, il -- , ti guardi la bocca, e ebl e II lili, li dirgliel , che gli si con lic Io ad imputridire. , Bart. Dalla stanza poi l ddio le guardi a ni. » (..) l' . Dagli amici mi guardi Iddi , he da nemici mi guard'io.» , noto proverbio). Ill IIIesso l' 1 lgiolie e il III lilliga III si ria guardato. . º Te, rarissili lo I rate, Ille, l la guarda « diligelli e Illelite. » Fiol etiia li crisi fi, al IIIe: i la guardavano il ritta Vi elit  . Al fine di guardar la sua pºlvezza a l 'i:  e che guardasse molto bene l Llls 1, ii le leſi i [ll:  e bedie:lte. e fedele: e p. io guarda li: i I lilllla pel solla senta giallllli: . - sia II, il  si n. 13 , S : l | | | |  º io i ſoli posso credere, le lil - te lo i « per io guarda quello che ti la li: e se l'11 e l: 3 onsidera, poi i lr 1 lite . io lion ſarei a lili si alti guarda i  ti piti di sl latte cose in ragi, li I. I3 - li ii glia i  Non accade esemplificare il rito al moli li ll Is : (il Altl) Alt I.E FEST E cioe ossei reti e lui e quello oli e presº i il lo  ( il V ) \ I RI , V IN IP( ) ( | | | ( ) ( V | | | | | N | I l its e il I ti q. c. con sler lo tsl -  -  nºn lo si ecc'. ( il VI I ) \ I V S( ) I I I I VI IN | E c'Na mi in tl e con il l . (i l ' A IRI) \ I ? I. \ ( . \ VII.I ? \, e Nilm ili.  Nolerai da illlllllo il ſigilli il del s II lil e o si ri . . . . . . . . . . . . . . . . . . che guarda un all ra:  que!! piagge , le quali gt ai lava, l , l i b - lei li di qll illo, o, l rivestire  Il suo primo significa lo è quello di ill e il I ss di II la cal . d'uno slalo, d'un beneficio ecc. il cili, VIII l iris I/ l il so stalli ivo. In restitui a concessioni di dollli li \la di essi il li :  li ti in resli e il luindi 1 o, ( i l  i rili – : l in resti e il mio i gl ii li –: c in cºsti di liti i v .  a enti e, d. l , poi , i - l  – cioè adoperarlo in compere o si assalirlo, all'olitarlo (ali fallen, ali in uno scoglio, in una sceca – ci è 'i - gli sll'alidell, allf cilie Sand  i . : \ ( il suo in un anello investito, il c Valli era : 11 .... e i I os - ini; d) l'investira altrimenti i lo; dal I ri, Iii: gli tv va, dato  e  s, li ve:lli i l. it: l investire e il .  I li, e la i si l aº, li è per molto  l ,  li e li si - ll s: i gli i il tisse, si lº ric:a  li ai tanto i parti e le ore li li : l . Io investisse nelle tempia. » Caro,  « .... liles is a so di il l I e spiaggi (ii Zeila: d,  a dove investi e l II , e l3:ll  Lasciare  Lascio gli isi più contini 60i e poligo al solito alcune maniere fro quel ſenelle adopei al dai Classici, ma niente volgari e poco note oggidì.  | \ S( I \ V | R V | { l N ( l \S( I \ | | | | | | | VI ( U N ( )  tra lo i veri a lasciate far me con lui, che voglio conciarlo si Il riti e lº .l) Iss le , l io vi sºs l , lasciate far pur me, lì e con l'io la troverò,  os a bai ei , tanto bella e Vo: li  I \ S( I \ VN | ) \ | Rl, l. \SCI Vlt ST VIRE I a lasciati di dire, l'assare in silenzio. A on ne parla ro”. \ on lire ecc.( ) a di: se ... [llo da pozzi sono d [li, pull e, s lº elle lunga mate  ria. Lasciamo andare, l'air (Illesto e le ini, che, .. » Fr. (iiord. lºred. I rosl 1 Ile poi li e - le quai, lascio andare. . Fr. (, i ..Ma lasciamo andare questa corn parazic ne, ; -  al : i re si s . ll - il 1 i l Io lascio andare e li I, to! i i se' st - e il top ( ', - l l'oi. ll (lasciato andare - -- - lei la lr1 si rii i i li: i li: i I l g il 1 li :i re S e il se i - \li - - -- li tit. º Slº. - l.: don 1, lasciamo stare . . . . / es. a rl I 1. - se, o il piu' il 1 , i -: i in ' t :lti li' les. I titºs « Lasciamo stare, l . . . . . ll II, i : : . - l l: Iss, l' , ' di lt 11t . Il... » V ill.lo lascerò stare la rabbia : l . l s s i M. ss: -, lazio: i re : re. I 3 . Mla oli e - - Il ti il V 11 i Lasciaria sia re ciº'egi i t -to - a io | Il ! io. e. . l .... . . . .. .. ( ) 1: - - . Lasciamo stare continuo (li I) io li li' l zi, 11 - di e 1 , il il : il: il , par i ( s; I l i (50!) . - 1, V S( I \ I I \ N | ) \ | | | | N ( :( ) N S \ SS ( ). ( VI ( li si di lui i lo - e ( ) , . ll lo un man rc vescio antia r gli gi i.ascia l s - . . I) li ve li . I !, i i t - .  e lasciato andare, – i l ss (i li lasciai andare in paio di calci pi: l'i: l'. Vli lascio andare un si fatto tempi orie, ( li Il I p. e I3: il FI, r ,10.  I , VS ( I \ | RSI \ N | ) \ | | | | | | | V Sºs - - I V  con lisce nel 'I e a.... Ne' in luti e lei i son  ; - la si lasciava andare al motteggiare. l . . .  V ºsci ..  ire in dotaria il 1 : l ' il solº Irla li hit : l . . Il V l  ( il l. Il tir , . . . . . - : i  li' si lascian andare alle vogl e le liti i :  Segni, Arist IR Nota al Verbo  Lasciare  (it), Q Ielo per es., a ce lo valore elillico, di lasciar fare « Que s il 1 lili i dirlo io : liti Iddio non lo lascia. » Fr. (i:ord io di pl el', mollere, lasciar di lire ecc. t di di iroli scrivo se non la soli, rila: l'alli e parole la scio . l ' (il d . ed alle la li lasciar scritto nel testamento..... clie. .... e la I Cina lasciò che vi e' in non po\ esse lorro, moglie se del silo ligliaggio. VI il Pol. ecc. ecc.\ di lascia i colli o alcuno | rascurarlo, non promilo verlo lasciati si indiel I o al no si perarlo : lasciar di fare, ecc. ( il l . ( ''NN (I l ' ( ) mi e't le I e Iºl ll . soli , col nullissimi e del i ls e bassi era avelli a crel II l .  ( I ) S I l esso la I l : non che potesse.... oppure non clima molti i se s'ella poli's e..... ll l il..... In generale questo  lasciatmo sloti e che, lasciar stati e checchessia ecc. è quando ſolº il di livelli il che colliva i non clico, e quando significa mºlle', ', li atletsciuti e ecc., si li alll a lasciar andare.  ( I )!) \ ggiIl ligi alici e li slo: "li si ispiri lascia lo stare il cli de' pitler nos li l.... l o c.(, N , ivi , di ques'a ll'ast : la scia i trialo colpi, calci ecc. l .i  v s ital, e fa gr . Il colp .  N/1 arm care  I )ell'uso di mancati e', e similmente di allire a forma transaliva (man tr . I i l etillo, il soccorsº , Valli e all' ui la promessa ecc.) se n'è par la o alla I al I 2 Cap. 2 Seric .  Il mancare dei seguenti esempi equivale ai nodi venir meno, ſar di ſello di... l e star di lare, restar di essere e simili. Ma nota singolar for lira e costi illo di un sì al incotro che non so se alcun moderno, il p co sperto cioè ed ignaro delle occaille bellezze e proprietà di nostra li igili, l'Isasse lnai.  e anc , di questo lo endeva la Maddai e ma un grande conſolio, che la mi irta di Gesù s'indugia , a pill tempo: nelle era certa non poteva mancare che non morisse, ma quel chiavello, che l'era litto ºlel cºllo e suo, lui penso la faceva spesse vol e riscuotere, e gittar degli amari sospiri. » Cavalca (620) (Juan o a... vedete che il tempo mi e tolto, domani forse non mangherò ch'io vi soddisfaccia. » l 3o . . 621).a Io non potei mancare ai molti obblighi che li ti pareva avere con ºutta « la casa vostra. » Fiel ( liz venir Illello .a L'aquilla... se n'andò da Giove e lo pregò.... Giove che si teneva dae lei bell Sel Vit , nella [llisto il I (i:I lillili le, non le potè mancare. . I Z. Onile ancor sindusse a e rito, che per lui si po teva II!aggiore, pagandoli, i lile il - III - l I riti o 1 -: ni si evil, goli il e borsa di Dio che rilai non gli mancava di quanto v' - - riti a me a lºro sllo e l'alt l'lli. m I3a l't. non gli fa reva d fel! , li  Note al Verbo  Mancare ſi20 – Proprio l'aus bleiben dei cdeschi. Ma i la bell il 1 o governo e ci si l IIZl llº.621 – ( )sservo i li. di Illes , c del ese, il pi . l' Iso di ill  siſal o mancati e ai sbloiben) . I l personale.  N/i a nte nere  Si Ils. I 1 A il l si i li isºl V : l che è il ' , e ci li ulissillo, I la ill: le li soste il l ', i rºſſº' , si l' eſiſ, i c'; cli) e il clero e slm Ili. (i: la rla  i 'i ll ll 1'.  - manu e nitori di un altra g Cstra l': I l (.:I: . Mante:rere a pianta d'armi , i lil. a .... \ , - ri ) , l e l'i; e cli) , a mantenersi, I te , I ? I l . ragioni colle quali essi mantengono la ior causa. I3: r" non - ea mantenere sue ragicmi - ti li lo . . . . . i, li : l 't a r . e semplice ( r se I e ! - . . . . a .... e per chi l'inge o iv h e le la V [a fisica lo Tta mantener le proposizioni, i clie e gli 1, i i.  N/1 e ri a re  Ne ad Ilico gli usi e le maniere più cara. Ieristiche, frequietilissime  622,  tippo i classici. I lilello, il sile, V (ilga l'illelle. (ggiuli. \I EN VI I I VIA NI - All.N VIR I 3 VST ( N VTE – MI ENAIA COLPI e simili. ll 1: V e menava l is lo le mani.» Da V. i Imei far le mani le.... » (ii:lln), ( . I meitai :: in Ceip 3 , l ità ell .... Fi, Uilz.  ( l' - er tulla la casa, gii -- menanrio d'attorno bastonate alla l sperata, e ciò per rac i ' :: : l 'mena ti ma ceffata Il latita i lilla di mano I alla spada e menò un  fendente e lo tig iato un recellio. . l  i menandogli un gran colpo...  \ | | N , \! I N VI: 'I SCI di un lago, fiume...... – MENAIR \ N VI A [ . . . . . . \ l .N VI R | | | | | | | – Al I.N A | è \ I \ V N '' i; i nne. I vant 2 figli di eli. - ! . ! . I I li i. pia di ellite si - nema i piu dolci pesciatelli di questi paesi ed l . . ssa Iar danno. 2 , Fierenz. I : i i li l è l'ozze, alla I ºne man o cro. S i vii ! ..l. I l v . . . . . I menava tant'acqua :I pm i I l ergli o vetture e le quali neri ino V I - I menava vermini. . ( a val n. ll e illlia dell ' , o di fuori gliela  "; l ., i menando marcia e vermini, e un puzzo intol  l  si , il til - i lº': i  \ | | N V | | Vlt ) ( i | | | | (52 Iliesti nel sima festa, per . . . . . . . . . . . . . . l e, g i | tesse la l cha () rimis la i mera:ºsse incºglie, l' . ll di 1 l le (lulello lì ledesimo Parsin:unda menasse Efigenia, Ill o Ormisda menasse Cassandra ».  º . . . » lº ,  \ | | N V 2, i v 11, 1, 1 : i menarlo il Saverio) con c ss; 13 i : del pari. I 3' : Mlſ, N.VI è SMI-AN | E  lie il Viglil I | . . . . l - ne menava smanie, In il a il l: il  b  :ljat per poterla va le 13 c.  t 11: me itava smanie .  All.N.Al ' ( ) IR(i ( ) ( i LI ( ) ( li..  I) esi, it  , l . : 1 :: il l nenare  orgoglio. , I'l' se Fi  \ I f.N AIR E S | | | V ( i V | N A  -, l  lorº ! ! ! ! , i . nmenava ovu: ii qua si ragiº  e rovina, , ( 1:: Illi.  \ | | N A |  ( i il li. ( º 'N.  | 3 | ( ) N l i ce li ' NN / 1 - il lui lotto 1, per il miti i lui 'cr. l al 1 l.  A | | N VI , IN | V | | | | | | “ Il N V qui \] [ N \ ( il  . . ! . i : l ' : :l  IN | IM V Nl lemer a pari ole. I ciance ecc.  I nne maio il re i re giorni in parole i  I 3 l .  El! l  i  11 il pi meno per lunga ſino  I l .  i rmerava  d'oggi in dimani. B: i  (i:º:  (52  \1 l a li e on e o menava d'oggi in dimani. ( - i.  i lo si si, l' . I I Ili  Note al Verbo  Menare  S i li cias si i. i issili li e v . " I ri. E volgare, ed è a 11 le lis si , i lr 1 tl , mi e' mai rsu Il le , lilli il la la niglia e fa gli menar su . Si h.  Il menati e di questi li li. pare il re tale che produrre, tre I ecati e º sil I lili.  L'u rore mi dicere le; la lini. Si rile: I rail al giudicati e al l una sl 1 e qui . N. Il cice gi li all'  al i sii isl l'allerile cli li il . I l sse e qiuali, atto alla medesi ma stre'ſ ut , (iiill). N/lutare  Tra r utare, perrr utare)  S li li ma alle li e oggidì, sulla : i la il alla liturnelite, le maniere: p, i lati si o nº i lati e li ce li ssia lui il mi luogo, da una cosa cioè toglier via, 'I si po' mi i lati e ulio ed una cosa  al li li lu . I - ll 1, i  \ I) Iss l Suff: Inarco: ( )  1); 13 i bel veduto, se egii liol muta di là, i iS - opravvenga, replli o  i mutarci di qui e andarne e. 13o . il l e l'en veder lui  mºnti iava mai gli occhi da lui. m ( S. I s VI tramutò a Castiglione, a sp e .i , 1 'la, le col piedli nè con  i llla, ol' (luà, ol là si tra mutava piangendo, lº( - e il telº dove ci permutiamo? »  S - e si l ss e luoghi dove l'uomo si per  N tre chicchessia del suo proponimento, si l si º li ille, la Mlad l'o e la lºadessa si sse per lui un modo la pole lel suo pl o poi, in cºn l . ll li l la ll al re dal monastero .  t i vi l I  C c correre  e di bisognare, far i sli, i i i s I, - , il ll pal i lide si con i poli e ob, a Valli, incontro, e il 1 l ' ' , ci º l: in lei venire, il reen il ', reni e incontro a... –- vorkom men,  'n l I 'I ml , li mi cºn silli Ill.« Egli occorse al III si lillo il caso. I gol so se ne voglia piuttosto dire « cl'udele che strallo. » Fiel elz.« Nella prima apri lira di uº, il cccorse quei la parola ... » Flor. « Dopo molte parole occorse di villa e l' a Bart.« Occorrendo le AIII e igo viene il servil e V. E. In'è pirso, poi li è per so: la fida |a, scrivere.... » al V Vell :ldo . VI: I ti: I.teneva la V [lli b. I servito ne l'a lllisto di (ialli e no: gli occorrendo per allora luogo pit si  le lis- c. ll -- sl ful  (iioVe, e le si Ilierle. Inoli le liote Iria Il 1 : e, a cltro da porvi le ll v a -1 e ſa | | 0. » Fiel'eliz.  lli ll V e' ('il logli il lil, il to ,.  C c cup a re  E | 11 n . . . . i violsi : esse e occupato da un aſ  ſello, dalla rirti di cliccchessia.  « ... I l l da grandissimo sito pi qll st:  giovalle, occupato. I 3o . « .... (Illasi da alcuna i timosità (l, - occupato a V e so.  «... e l: la Virtti di II la bev: 1 la occupato... in lo ev ra Iliori , (iia Irl). Io lili Ss , il l)i , e l Il gla i ll I ssa Il II li  altra volta vi dissi, o il gi : : le pi e in molti i vi: occupato; ch'io  I lli sul pe: lo....» l': -- I v.  C rci in are  con leggi: iri. I l gli allori clas  prescrivere, nel loro in ordine III: il liclle li  (il lill li I o II l sici ti significa l'e ll ll st il colpº: il lill . cliecchessia ecc. colli e ſil, e li li si lal iil I Il lil del ll . sporre, s'abilire, di risati e, con l'ori e con clic li e ssia ali di mºlti l ', li ſu l e' N, la la ſi l'Irla : orolin (tre con atleti no, oralini rc in Nic mi e che, con l'  ('i .  (º 'C.l ordinarono V eg::leil I e tiltti e tre fos sero insieme, a e l: il l: st i ta.... lo . .... se crdinatc Cine dovessero fare e dire.... . I 3 , . E st e, con lui ordinò d'avere ad illl'ora rid) le si gli ºli , sOrdinò con lui, il V: i villi llles ( la li le lºssle le) e, Il ll lºE l evano stimola [o, e siccome  egl o avevano ordinato, i . Il 1 a 1 i lil a ze: \ are i suoi peccati....»  ( v. l . E crdinarcino insieme come elle love-sero uscire Il lo; i il 1/ Ca Val :i. E li si s . p le i s / iol la; e? I doperarli in corsº lle - e il l . crdinare che niuno di lo; o per la I lOrdinata il v lo s . I l Ilioto grigia : - tlil. » I) i v.  Fassare  Nella Sez Io l' 1 l ' 2 ( p. 2 Sel e 1, solo allegali esempi il Il passati e ai lo li li a usi il ct.  I soglielli in sl ratio al 1 li : l ' si e li alie e di questo verbo, note volissimo, e il I e Ilissili le s Illa pellia si classici.  lli : passa i tlc il no (t. «la banda di banda, puts sare olli e, passati e i lorni in i lisci la l le puts Noire d'uno in ali o luogo, passati al vino di bellezza, di sotp e, passa la bene, passar notissimi,  sola e simili. I l soli i pll'ic le solo alcli e oggi  (lell' Is .  I : l : vi l le passò tra loro.» I ti it)  Ml lit e passavanº il cºi si l: - lì la le!!:i  li ... o lº i.  E o tiſi into le It V, e passan le cose, o l'it  l (',! l /. te lo do per te li o l la cosa fosse passata colli e gliela aveva egli  divis: ta.. o l'iter l/.  Conto lo quanto avea passato col l e Fierenz.« Le quali tutte Ccse passano su Inza a V - Vellg 11o. . » l'ier Iz. Deside. I va in il caso passa. 13 , .  e - l III : : l - l si l sia  sempre mal i Irlato , il che passi , , ni III o li si s - . , Sog Il. ()g! li cos: passo al contrario. l . I V. 6 , lº,':ls , ci; e le CCSe il - passar bene. 13: 1.  si III dialie i cvelle ci passiamo. , s - I 3 i “. . i : -1 : l I l . I jel, lo ero il tie-t: -: i Ill 1: II i l: : se - ll Iss di passarserie adita niente | 3 ll , st 1, s. ll 1 ( - Iº, io - , si S sa: i lei | 1. l se ne passo. I 3 , ti i? I l bene passare. » ( : l V l. 1 :i. : l 'N. ll si It ... sll ( ! - I i s l e Ileli | , se ne passava. :I passo mene qui ora brievemente. Vi SS. l' .lo a V ! ! ! ! ! It , passarmi al tutto di muover parola.... (iiill . - Ma per che io ci , l ... - Za li Ire, mi pare di pc cr passare - al pr - li e, vi li : l la lierli lie) - Ss ('ll lo 'll C ( i 1: Il 1 so di volersi del fallo commesso » da lui mansue lamente passare. I 3.ei e li i 1: o li passandosi paziente. Fior. E - l: l'agglia - se, io , Ill. Il lo ! ! ! ! I V ( le , l si passava assai leggermente. -. l3 i .  Il II III: 1. ll bh , l' - rili i li li I e il ... Ma me ne voglio passare di leggieri. pe. ll 11 : - illili allilnali .... po; : quelli li ti  Nolti i ricorsi i lorº li : I ASS \ | | | | | | N ( ) IN VI , I E l va il l per passare ol: ti III lili. . . . B i I) v e il 1 l si passare in Toscana. Ci si ri. - - - - - p, e vedendo . . . . . . - ll I | , il de / Il l l io, s'ils - lli , del a - o e passò in una gora i lì e il 1 l Z. I lanieliti passarono in icmulto. » l) i v . Iº V SS \ I ? I, I ) I V l 'I V  S it | 11:1 - ss: li gli 1:1 c'evade s'inti, e le passavano in questa via; ma egli non gli all'anima di G. C.) si re -si l e. ( a V al :i.Comiso, 1 la tila doll i i [llai - mi 1 , lo le tu di questa vita passasti, stil a iº l ' , ill: l 3 a  Dopo non guai i spaz , passo delia presente vita. » I3 .  Note al verbo  Passare  () () Il passo re di Illesi i sei tipi e il rella le cle accadere, avvenire. in terreni e seguire ecc. Al: sserva particola le cosl l’ullo e for ll lt l.  (i Nola la testa litanie a passare al contrario, cioè non riuscire, avvenire col il rari Iliello - e il che la segue le passare bene', ci è l'illscire ('.  (i 12 () uesto passo rsi di una cosa si: il tal se passer de q. c. dei l'alicesi è di varia significa i me. Vaio nºn arne parola, Illasi lºol forli al sl a pal la no, lasciarlo correre, quasi lo fermarsi a pulirla: ora con le n la sene, li lasi non fermar si a ll lov e o lillicoili, e si lili un gelien, il bergehen ecc.)  (i 1:3 Scilli ilel passa, si mansu e la mente, paziente mente, le fermi cºn le e simili per non farne caso, proceder sen sul lig , l ' loli e il rall e il till ' , loll dal Selle fastidio bliga (('c).  (i i l'. Il ſilenlissimo l'uso di passati e per parlirsi, andarsene da  lIl 1 ll I go . . ll ti i lo ) q c'h ('ll.  Ferm sare  Cerlamelle che a definirlo sia, come la il Tommaseo, esercitare il pen sie o | Iasi clic il pensiero si alll : cosa del pensare - sia come ſe c'ero già il lolli al rililologi, esser conscio a sè delle proprie impressioni – quello che io mi dil ei più vera nelle coscienza, non pensare, – non è Ian , facile e il rarvici e intendere il colme dei diversi usi di questo ver bo. Deliniamolo all'incolillo con più semplicità, e quello che veramente è, ſa e cioè giudizi con la mente, ed è subito manifesto e piano (così pare a me il valore logico, la ragione il lº inseca dei modi:  a pensarla –- sinonimo di lenlellarla - , sovraslare inne hallen, ille si elen , rallenere cioè la mente il riflessioni e considerazioni, sen za conchillolere, risolvere o Vellire ad allo;  lo pensare una cosa, cioè indagarla, e Ncogitarla, cercarla e trovarla  pensando:c) pensarsi, immaginare pensando - fare sè o a sè pensare, ecc. – ed anche:  d) pensare, senza l'allisso e in modo assoluto, simile ai verbi della 2 Serie, Parte 2 Cap. 2.  Non parlo dei 111 di pari sa i cui l i na cosa, pensare sopra i na cosa,  di una cosa, che è l'uso ordinario del V b pelsare.  ... era li a lui la pensava, l ... l) , V. lº da il di illi i 21 pcnso sempre modo e via gli li p s- ll ril l'e. » Fiero lº y. e Con I liti o id) abbiamo pensato un rimedio.... l Z E siccome a Veduto loli, . p; estini i ebbe pensato quello che eri da  la ! e, e il Salil il llo il disse. l 8,  a pensò un suo nuovo tratto il: 1 st z:1. o C sa li. a Oil:ia e la Viſ n loro il c i i liv - I loss , . i: 1- li il Sel può pensare.» 13 , . E si pensò il bilo n uomo che era l'elipo, d i rid: si me alla B colore. » I3 . Mi disse parole, le qll al 1' mi pensai ( li II: il V oi i tal gelite e Vellisse. o l): l ' i te. « Pensossi di ener modo, il quale il ddl esse.... o loce. « Sla tanto li me che pensiamo sarà presto gilari o del Il lo. » Caro 533. a Illa 11 in si a Va - lo s ... Il la la III e, pen a Sando forse, che si ill a rl) , , lov e l'll el', e: Il lido, V ne sarebbe e quali l'un altro si vi -:ils pe:Isa: dosi, irrina - ni ndosi . Fiereliz.  Nota del verbo  Pensare  533 -- trir den kºn er l'ird balal tricole, gi / se in \1 dl , ( li lico come si è del [ . e sta per ci pensiamo.  Perci con a re  (C coro ci cori a re)  Solio liolevoli sopra illlo i modi: per donare la rila ad alcuno, cioè lasciargliela, non ſorgliella: perdonare, condonare ad alcuno di fare, cioè accordargli, per le lere ecc., perlonare al jeri o al luoco e simili, slarsi. rimanervi dal applicare il ferro, il fuoco ecc., e finalmente non perdonare a denaro, a lot lica od all ro, cioè il sarne più che si può, senza riguardo ecc. l o elli v - se perdonare la vita. o l'iere 12.  ll I po V e le dosi di III, lta p. egava il leone che lo la s Isse e perdonasse gli ia vita. V , l ' i' / II; di Es po.  N perciorasse pietosamente la vita a Roma già - Il l il I I I I I I e l Si l  Perde maie, i, pcrdonate il lil, alle ricchezze, le i:ì li all'ute,  e il l i -, i isl al lilia? e . Ed a 'e la in condonisi di recar lo ve / le pendenti agli a ol'eccl I. » Se ll.Che :lol V - si ill o il litri interessi unani, io li Vi perdono ciºe arrischiate la I loa, che avventulliate | lº ri lli: zio, il che li ss i sa , i ta, li l.. . » Segìn. -col e gli ... oi , illi, e le e' ſù perdonato al ferro e al fuoco. (ii:Tilti i 1, non perdonando a memorie, magnificenze, librerie, spi: i lito, l I e I do la V el - 1 , V . , – lla slal'e il nido. » I );l v .  se polesle. ., 1 l l i gia che perdonereste a denaro. . Segn. \ V e perdonato a fatiche a spese a industrie, ed avrebbe tollerato di veder l illa del tri: 1 il pe: i - se poi li fa render beata?»  Fºro cacciare  llo is o V al I e il I e il I l re di pi curarsi, o procu  1 a 1 e ad al Illo che chi essi, i licl il sels , VII l essere illeso anche il  I 1 (lo : di malati e il p o ti º lo gi la di più l'allino di andare il procaccio, si e' li Is simile a quello del  p, r'alizi l'agi li lo stilope ti e' piu' al '. Si gli assi lilla nelle fare in molo, ingegnarsi, inclusi i inti si o si riiii.  (il è per or | , se | -s,l, le to e ad i vi i procaccerebbe come i 'avesse.» l ' .frastaglia trieli: e vi dico, i lle i procaccerò s. viza la , che voi di nostra e brigata si ete. » I3 .Volla procacciar col papa che i voli llli d 1- elisasse. » l?o . « Il llla e Veggendo la nave, sul tallenta in Irlaginò ciò che era, e coa Ina ndò ad un de lalnigli, che si li/a. Il dilg 1 , procacciasse di su montarvi,  e e L, i lati . Itasse ciò che Vi 1 - - o lº .  r a )ra si procaccia Viati.i:i di avell are agli al s oli, ( ! elisol II: la Vellasse e loro IIIo o il milmente, e co., lilolte lag rili . (ilValca.« Procacciante in atto di mercatanzia. , lº . . ) - I tos , l l Ilsl rios , . a Procacciam di salir loria che si abiti: (.li gia lo si pollici se il dl Il : l iode. » Dalì e.gli venne illio va cile i litoria , i i' si della reli gione, si , ra ils it la', pro cacciava tornare al regno. ( i : i i. E pensolini che la lon:.: 11 1 1 l vi aveva del o i S. (iii) valli che - procacciasse d'andare i l leili, e Il 1:1 11  e disse loro, a dire i lic va ri-s . . . . . - il  i: i lila i lilla. E pensº irri ste e - 1 elle e - I sl11: rr, te.... procacciava di favellare loro. ( il via l . e º pe; soli i clie il vºltº il rii ( - si VI: i dolina, e li ci sse: Carissili. Ma il c. v ! le li li, V e lere chi e gli scril I e F: i sei procacceranno che questo corpo sia ben guardato, e  Irla. 1 ler: li li i di l: -- li si li li li sa l bl e 11est: i stanza li li l: - tra , ( . I v Sſare .Procacciando d'aver libri i -1: l silt: l o (.es: l'i..... e senili e procacciava in vero studio di accompagnarsi coi laici,  e c. l e perso le di l -si l III: (  Ragionare  Notevole l'uso di Illesi i verbo I I I I I I I I I rilisi iv livo, col caso l'ello ecc. 2, a val I e di disco , ci e, se il pli e il di pi la re, emersi parla di di checchessia ecc.  e t - , la e 1 l , i -; tiri . I ll zza . ll (iesti ila -s , e per ragionare con lui quello, lo delibe: il to Insiellº. , Cavalca, a IP Srla e le m'ebbe ragionato questo l i l: i grilla li do vr ilse; a Per liò mi i ferº, del veli il pil pro-lo. a l)a te.e forse mi sarebbe igev che ragionato m'avete, a che Iriella : il rili al V Ita el l Ila. » I 3 .« Come il di Ill venili o ella Inandò per Illi si sale e ragionato con lui a questo fatto. » Borc.« All (li:llmo 11oi coll e-st, il il lºonia ad Impellare che..., ma ciò non si a vuole con altrui ragionare. » lº cc.Collllll iarollo il ragionare di diverse novelle, o Bocc. - .... insieme con il rarono a ragionare delle virtù di diverse pietre.» Bocc.  E' stato ragionato quello che il maginato, avea di ragionare.» Bocc. Io gli ho gia ragionato di voi, e vlt lvi il meglio del mondo. » Bocc. “ Se io sentirò ragionar di venderla, io vi dirò si e torrolla per te.» Sacch.  Nola da ultimo i nodi : entra e in ragionamento v. Entrare: stare d'uno in all o ragiona nºn lo tre i tgionamento: cader nel ragionare, i sul l tgionali e ecc.  e .... e di questi ragionamenti in aitri stili sul ſua, lo caddero in sul ra e gionare delle orazioni li gl: i lori i l a l)io. » B cc.  Rinn a ro e re  Restare)  (ill: il da colli i lill li si l Ill li Ilsill', li , elillica nelle, il Voll)o rima nei '. I in nºi sl, per cessare, lasciati li la re ecc., ed anche dicevano ri li di me si, i 'sl di I Ni (li che lessi:i, il logo della folla ordinaria, asle lie selle, non la re ecc.e Valli il picchiar si rimane. » l'80cc. l'er g . I li, che nel e li li e di Ille, le i l onllo e le el o nido, si stoppal on i detti art firi per il lo, che si rimase il detto sucno. V Ill.Per voi non rimase, il st il dele, che egli non si il 1 les-e colle - lle 11 la Ili. l 36a Tull ti via In li vo che per questo rimanga che voi non li ne facciate il pia e vostro. 13 i n i VV e il 1. pl te! is a, si tl al msci).Per questo non rimanga che li per venil e il II lo al corpo sanlo tro Verò io le; l lodo. 13 , i .a Madonna, per questo non rimanga la r il na notte o per dile, intallo che i pensi.... » Doc .a IPercio hº, quando io gli dissi al collessore l'amore il quale io a a costi li portava.... mi ero un rullo e in apo che ancor mi spaventa, di condomi, se io non me ne rimanessi, io li'a il re in bocca del diavolo nel profondo de l'i nferno. o lº e'.quanto pochI - n 1 lei che rimangonsi dalle colpe! » Segn. . () il -. o è mal I atto, e dei tll egli ve ne convien rimanere. » loce. - - - - - ess idono da alcullio loda l rossiva e inos l'avallº tra i dolori, che, pure per non dargli quella lanta noia, si rimanevano dalle sue lodi.» ( es. r  .... e oggi se ſiore ho di sapere, e nome, vien più da Volsi che dalli al a ringhi e voglio oggiinai rimanermene; perchè que: codazzi, riverenze ea corteggi a me sono con i bronzi e io iIII il gilli, e li riti li Il cast : li o!' « contro a Illia voglia. o I)av.º per cinque anni era con Intlalileite nel pt at , e li pil re: che se a ne potesse rimanere. » ( es: ri.a sfolzil Vasi di oli dll l'1 e l: I); Vill: l 3 lit: i d i lilli olii i cºlori di - i lo a padre che restasse di più opporre imp, dillio Io.... , ( es. “ .... ei percossº. Il lin fascio di legno, e tratti ne II: il « e nocchieru o che vi fosse, non restò mai di battermi. » Fie A. 537  Note al Verbo  l?ipararsi o al clie ripara i º il so, il II lil in qualche luogo, è rill  Rimanere 536 – Maliera elillica e vuoi dire che i lu solo di peso da lui se la costi non ebbe effello, ma che per la ri', la da lui sarebbe anzi il V Venll : 1.537 – - Aggi Iligi la frase : l in an rsi con alcuno, cioè resi il l'accor d . « e cosi gli raccollò IIa lo si era rimasto col giudice .. lierellz. | | - Riparare  giarvisi, ricoverarvisi, prendervi stallizzi, il bergo o si riili. l ipoti e rsi la checchessia, prenderne riparo, e di lenale sene, schermi il seno ecc.  e lº co-l facendo, riparandosi in casa di lil I rate! l la li  (Illivi ad Isllr: prestavano e ili pe: I lil. I d' I, ss MIli ci: Vd io e Il rito, al V Vellino che (ºgli il [..'Irld). o I3 , ,« Nella quale , Fiesole, gran parte riparavano le sito soldati. Aln . « Nella corte del quale il conto alcuna vol 1, l gii ed il figliuolo, per a Ver (la Illa ligiare, molto si riparavano. » I3o . « .... e avendo ll dito il nuovo riparo preso da lui.... » I 3 c. « tempeste terribili con poco schermo dell'a! | a ripararsene, per cal gione dei grandi spezza Irnelli i che vi la line, le cellule. .. . I a r . FRispondere  Si lis: per l en le e, l ali che si appr. pria ad usci, finestre li ries si | I go ecc.Vi si st l'1, ed ali e loro entrate, , le quali di gran vantaggio bene gli rispondevano. l'8 c.E ,si i si l:n linzi li o gli rispon deva.... » I I.il rolliri to, di che gli rispondeva a stia p.'ol s olle, o Ces.  \ la ti tale sopra il maggior canal rispondea, e (Illindi s  ( si d . io, e - ta la io el l altra parle dell'andit , I Gime r spondeva nei cortile.. .. . Vl in 1/.  ( : :llo iella (.li es , e a tinto dal lato che rispendeva verso la casa parrocchiale , a in la I bitulo, il 1 bugi  a : il ii Il \ l: il la. Riuscire la I e di jiu il '..... in li le rispoliciere V. g., di una fi  I solº i di qualche logo.  il ri si il V lente a che il fatto riuscisse, l V e Illel inisero me li: i sliI l l: vi ll . e qui riusci la fede di Il sºlte. lti . . . » l al [.. 5.3S l . . . .. il che riusciva º ;; l'orto della sua casa. I leveliz. ! . . . ll le gabbia e gli altri o il certo I, li sl re d'un palazzo che riescono sopra una bella pescaia di dettº Villa. » l'itº l'eliz.E le 'tero a dove riuscire ad cdio e inimicizia Illani le 1:1, ed il ( s.  Note al Verbo  Riuscire  5:'S -- Nota anche il modo : riuscire nel contº aio (l?art. Fier. Ces: C' ('C'. IRorn pere  assolti alle il c. e di 1 , il I e pºi e' ipi di isl, scoppiati e, a Isbrerli li , re nir fuori, mosl riti Ni, renire al 1 ll il 1 ot, la nulli) , il ſuo Srl, il l i tic li e si il ( )sserva Colle.  spia º la r la e i d g romper nelle I):ì v. che il mare ſta il lo rompe la fortuna , si i º la ve .... » Bart. Ma :ì colm pass ºli d'ºl - lo d lo c . lI l a zato a rompere in questo lamento. » ( il .... Si V ) ll 11 e - I | Il ri - Ci10 ruppe la più Sfornata tempesta. .. » I3: it. . . . . ll si l il Iss ....... si ricco d'a ll sor, enti e pio a 'le. verno rompe, i cli è noli ha pºi il l si 3 l rt. Al romper de' primi alberi 13: e () li liseri e vili e le colle vele , il re i riposare, per lo irill ( o di veli! rompete l il sit I'' | il ti» li: il tragi , l)a 1! ( Convit.« IP:lrla il santo I)otlo e della penitenza, l silligli: il 7: che rcrmpono in mare . 5 (), IPass.  A 11aloghi al I o mi per e silciello, solo i lil (ii: l'olio di chi ce li ºssidi I l - , di risi) di cui i ne sfr millili e le alli: il ri: (ii Ili. l'uol li | redica o di persona e val lira hi:il di ogni vizi e delillo, si bilo il l'il': rollo palla e se l'I l ºrº al l (t poi i lil si al I olla e . A vizio di lussuria fui si rotta, ( ll iil I  I : i ( il bi' -ilm o ill che e' il ci li lo | 1:1 , . . ); I l ' e li o di po; con roito parlare disse a I io  - , i di loro chi sono pi posti a go . erno dei legni . li enz.  ! , si parti :: rotta ».  a MIozy Iºirellz. In t . . . .ti, i a crive a rotta. si 1, ero i rossi V lillili ». CCS.  Note al verbo  Rompere  , 4ſ) Quando il discorso non è di na Il giro e si vuol sare la so irriglianza del mal frigio si dice l o nº perc in m al '.Sapere  Nola il sale dei seguenli esempi, e osserva come sia usato a inves ce di conosce e, cioè il lal luogo e follia che penna volgare inon sapere di lole la conosce e lo elli in etile per saper lare, saper trovare, .. . . . . lill il sels l o spiacevoli e cagionato da checches si se pºi li rion Nat per lu nº, se per male, saper meglio,  peggio e o il  il I - sapeva ed il luogo della donna, e la  t o! : liss . 13 , .  V sapete bene il legnaiuolo, Il tale era l'area, dove noi I Ille- i le lel lmondo ».  ... si il gialli avi, le tl - e i llino da ni:aggiori miracoli, che lima losse, per ine sapevano bene la sua infermità di prima, e tutta la gas. s tripli di gelle ( i val.i ( o si º li elit: rl, impero che sapeva l'animo Stio ( a V alcºl.I ll (lº vi o li sapendo la mala volontà di Alberto , (ii:alml). l'er certi ti metti da campi che a gli sapea molto bene ». Balt. Non sapea aiIro bene o vantaggio che lolli li Ino; i do ». Cosa ri.  b) l urono oli ri quanti seppe ingegno e amore ». I o .Sappi s'ella :) : voi a 1 e e ingegliati di rilene) e la n. 13oce. Se e- l si, val lsi ve lel via, se noi sappiamo, di riaverlo ». l 3oce. \ li i: it : l . Il tº sappiate come stà ». I3 .V e li li io e sappi se con dolci parole il piloi recare al piacer mio a. l 31  \ lorni il meglio che sapevamo l?o l?art.  a 'l'empi rirs delle cose che sanno buono alla bocca » (che piacciono, il 1 ml, rano i gusto, vanno i versi, i l:llelli , l'iol'.  a Nell'all pero di chitidere o si arta la io, per riporlo, mi sapeva male e che una storia cosi bella dove - se l'Iliialle'e lllt la via sconoscilla ». Manzoni.Note al verbo  Sapere 5 (1 – Lascio i 111 di : super gi atolo .... e noi ve lº sappiamo grado quanto Dio vel dica ... Fierenz. --,saper di q. c. – ..... In li li perciò che li lo sappiamo « d'armi, sono punto rimane selli. Il prolili id arri, eggiar per poco. I3art. –, ed al ricli si generalmente noti ed all che usati. Sc usare Scusare ad alcuno checchessia significa lui e per..... rale rgli checcles  sia. Scusa i si da un incarico. di un onore è l'alleli nen dei ledeschi, dispen strNene, declinarlo.  gli Scusava altresi tavolino da scrivere , ( es. I) Io g! scusò  .... ll Il gi! io lli: It i li (. Il lun atto di III: rivºglio - a 11 in Ita . ll Ior- e la vi a  a la fortezza degli altri due , gli val-e, gli compe: so . I3: rt. :I III l st 1:1 - lli - , e o l il l:  N velli re º il l il  lii lutti, vo: ebbro piuttosto scusarsi . I) , l:iz. .... e vi va parla gli uli (a: di: 1 e se ne scuso I,  pe . . . li : l '  li enza. Iº e prima lo volle as lta: e cli .. . ( -.  Sp e dire  (Spacciare)  Dicesi | III o spedire che spacciati e negozi, alla ri e val - igarli, dar fine e in prestezza, dar loro crimine od eseguirne lo ecc.  I 'tillo e l'altro sti, per sbrigare. libera e mandati in orina, distrug gere: li la lida che spacciare in tal senso è piu forte ed incli e violente ed espresssivo talora più di spedil e.spot ist e il ses, i ve: id I e, esilare presto, agevolmente non  E spedirsi, all'incolillo, il senso di Irellarsi, sbrogliarsi, sarà tal \ l igliore di spacciati si.Sp li e lº si usi il ho io l in rial c. 1 | li la relole spacciare; sicci lire  - Il s s' , si e' li i  I ispedire erti legozi . lle gli erano assai l | 3: i t  ( ) s Vli - s III Ill: ll spacciare l'Imundò Lui l ( - l  a \ si essendo espediti, e partir dovendosi, Messer  ( I espedita; e le so, i1 il - ! i , i l 3 ,  lº 1, si l SI II il 1 e ia li e si inseparabili, li ! Si va per ispedirsene lo sv. Il relit tº ai assa la primo all'ultimo, N es 1 - oi i : Il mat . Seg Il. \ llllllll cosa, cioè alla dol. il pot, i ni spedire e mi spedirò brevissima e la pill dolce dell'I latina, tanto i vol a 1 e e V al cliI .. . . . In li spedito e "ri i colli li sa e la col vento in poppa, o  ll Illl), \ si vºli l e spedito in nel rito l'llo delle fatiche, V sgombro, libero, franco di  \ si lss 1 e 2 ti el: - S , ( Spacciato se ge il tº l l ) rls , l il s ol'l'eva. . » I): I V. spacciarsi la qua le briga. o liocc. E dello spacciatamente se a divise o tra loro. » l'ierenz. l est .l. I li : il li li di analoghi, con lo spaccia i nuove, ſandonie, chiac li c', ': spot cicli ll mi lit l . la sci: lil el l Spetcciarsi lºt' .......  si li util Napoli, il rils... . . . . . .  Stu ci ia re  Stu ci I co  N sl 1 la sl, slultati e di che ce li essa, il checchessia, le studia e clicci li essa, i cºsse V so, il lendervi con solle  Ilic, pigli, il si al cloro c.a e convolſolo per lo fa rig . I titti i panni i ' iosso gli stracciò : e sì a que sto fatto si studiava che pull e una volta, dalla prima innanzi, non gli pote, Bionde'lo, dire una pa! o 1, mi doll::l lavo ler, li è qll sto fa -se o. I3ore.  No:i lasciò il II la 11: i si studiava, - - ll il ei lidi i maggiori bo-coni ». Pass. Forto studiare il l re . ll - ll -si l ... I3 e “ Va (lo zel: i vezzosa li studi in ben parere, 1 A v . lI I ſi per il Ver nonni e pregio di ie lezzi, -se la gli ali a nſi an:ata: sper a chiati le molti mieli i pieni d'alloni : vi ss v.e Il campo - I: il c hene studiaio I l i il to - - ( il v; l' . No ! I V il r! - a te, ma studiate il passo , I): Il fe  Analogo a questo studiati e e il - si liv sl ulio le s - le I sei pi  Sta per cultura, affezione, indistria, premi di li solleci il ne.  I bassi , si per 'o litig , e , oli! studio, si ri-sezza dello el'r: i clivelli e le lissil II , e odori | ero III !E fi1g e 11 lo og Ili studio di V: la s i Z: st: si e n. ( il V: Il l.lº ! ) ll è lo studio il "l: V ( " , 11 l 'I:I - tll (le, 'il rolls il tt (line avea t riati il vo! I Si r I e II, l'i: 1. ll I-tri: l'si, lo si ll -  l3llo lo studio Vill. I l l'illll! ». lPl' , el'. lºrosſo si fa tl o studio di vita perfetta e I l lito, veline ogni l in questa « :i va ilzi 11(lo ..... r. C -a l'I.Questi pie: i l dicazione. ... crebbe r 'lii lo studio della vir' il n. Bart. Ma per le egli i il la ſi va in ai li sºlo - e io, conferi la corsa e l e s ii: i re, i quali i :ilm ira o di ſalito studio di perlezione, ne lo scoll fortd) ». ( es: l'i.(ollsidera , a studiosamente III: le V irti - -in a livelli e in larni il  | il il 'Si a.... .  i . i: l st il n; i ri'. Il te:i, ed il 1 st ) : -, il 1 l l il 1 a e santi invidia, dall'uno il riprende i : - il: zi, d ' 'ta, l o : la mi i suoi lidine di tie-fo, ed la carta li seguita l'o si sfu  diava ». ( a val.  1 bello slurli . in re o si riali , per ni. Slare di sl italio è ſl se elilli, il V ,le. - I li - ci del liti.......Term e re  ( Attero ere)  Se lº ritieni disco rere il conto e l'onde, che allo stringere va poi I che non per altro è così se non per l is si, il re sul lo alcuni esempi i più notevoli fra i molti i 'i ll il 1 di II lo nºi e vi gali ci o di operato e di varie significazioni - Il l l: i clivel st Iori e cosi lilzi ille.  N gli ese, il clie sogliolo:  lº I. I so di lenere per legge e, ritenere, in porta e portare, occupare, : lire, ci si r , si ri:ll.I terrebbe - - l:lza non l'attelluasse U al tutto ! -s ..... , l 3 l:\ e V : l l'ill: il la terrebbe llll esel - i l): I V .I le llll :lollo solo ne teneva mille di l . . . . Il il l lei sul i... (ii: Inl). stava di .....)I i s tengcno, le : l li vuol divenir beato  mo  Bo, ritengono, insegnano).  - , s. . . . . . . . . . . . . -: teneva i li , i liatura di quelli non si tor Ita 1 - lasse la lollo le arli ». l)av. (portava, il l , l . S S. ,' ' A ripagne che tengono gran i - i loTe', se -: i e letto a filo il lo ». l ' , SS. ) l\l I l emete li - i l: l 3oce. Te', si . 'ls ll' Illol te lº guarda Ito rov 1, appena gli amici ten riero I l l' ... I tl V .  º li I nel si e' isl e le st. a rl - la si river pillole di se ecc. E nctendosene tenere, subita il file con le braccia aperte gli corse .  N potendosene tenere, il dolla Il lo se li gliese losse o forestiera. »  Il lo il vide: o, ſemnersi, o Nºvell anl. I si tennero, si llll'olio in Inghilterra.» Bocc. (non sl arrestarono li : l .S - e li l silio, e si tiene e per il cosi è adulatore di sè ss . , V º l'eli,3º di Tenersi, allen ci si il.. . attaccato, legato, olbligato il  per l'e, .. al c. aver fode, esser a L'eredità s'aiteneva i mie, i lire pi stretto parente , Ambra. « I'( 'la, cals! e 1 , V s'a tiene il ... , l 3a lr . Ere le d'Il 1o, la lo; i t'atticºne quasi nulla Attenendosene S il li,  gellolt Ztl....).  Si vl it - : : l si . « E pure con esse si forte o d si gran colpo quell'albero e con tenersi a tante sarte, ll l'Int irli  E' pi 1 , la volta gl si caricano sopra bufere di vi 1! .... , l?art SS6, ſ" I e Irla Iliere:  i l: NEIt ( SCI(), IP ()I? I \ I.N | | | V I \, e si lill. l'ingresso, non sto con l'altro 'co'.  i ſicali e le per rielar  l' (Illa lo uscio ſi fù III' i l nut o? l . (. . Il lilli lo il 1 ll 1 i gli :iltri i l  ll il l Se Ml 17 Zeo vo) esse venire, a lui g a Iri Iri: i porta gli -se tenuta. S'i ll.  Lo Ialo a Illore delle cose. Il 1 la tiene la intrata della pelli tºllzil. » l3elti.  Simile: TENEI? FA \ El.I. \ per i sloti e di pali la I e cco  MI , l' 13e! oli e veri e I l Is rezIo coi Sere. . (ennegli ſavella illlino a V (“Il l'Ill III 1:1. » I3 r .  l'ISN EIRE. VI I I NIEI E I. \ IPI: All.SS \ e simili per  N S . I l ct i lui, mi e' lere in esecuzione, al lendere la cosa pi o mi essa.  E co-i v. illy i lo; p - attenuiC S :  MI i beni vi prego le vi ricordi il l: III e  l attenermi la promessa. I .  l'ENEI E I) \ N VI CI N ) per stare per alcuno, a lei il c ecc.. e anche l'ENI.IRE A I) \ I CI N . per esse gli diroto, allo zio ma lo e' ra dicendo. Chi stupis e, li gºlia. In sella ma li la e per tenere da chi vin cesse. n I):l V . a 'I'll .t: 'ls V - , cini | Cnea C 9 l l'uno,  V ed I ad un'altra donna tenere i s il 1 l (''le. » I 3 : .  ch, coll'altro , l 3 .  III, i ql el l . . . . I | Il t . Il  I | NIEIR ( IREI)| NZ V, Sl (il t El () il mat  cosa, poi oss . (la e il secreto di  ser lui i c. 1 li tr\la V e V ,i In 1 in la di tenerlomi credenza. » Bocc. Se lo ci º lº si le ti li tenessi credenza, io ti direi un pensiero che  l lo II v .. . . 3 . Il 1 s ii il va onle lo so tener segreto? » Boce.  l'ENEIR E I) I. I) El. per are le qualità di..... \li e l - - Fiesole ab in ritiro, E tiene ancor del mcnte del macigno, I si fi; a per tuo ben far nemico, o  I ): l ll ta”. Tenendo egli del semplice e molto spesso atto e piano de Laudesi.»  3 m .  I Per si s ZZ I l: l'ill orrore che tiene insieme del ri  tirato e del venerando, ( il ri .  | | N EI ) \ VI , l N ( ) | N \ ( ( ) SA, lu' i lat, i guardarla ('( ) )llº  dolla, procu i ctta la ecc.  Tengo da te lite o lei lo  'I EN EIR (i It VN I \ \l I (il I \ I loss leben. I anche di grand -- TENEIR SI (i N ( )| I \ S( ) | | | V. e sillili.  il il l'ono a spendere, tenendo gran  il l'I) leggiando.... »  - z: il l ll dissima famiglia.... . . ontinua in lite corle, di mando ed I 3 ) . Illelle e il laie, e tutti insieme li Ilenò se il gºl , l 'e ivi teneva signoria sopra di loro. ...» | | (ºl (': l/.  I EN EIt All NI E q c. S.Si Til lo) ll till al pl. I Tienlo ben mente. Clie di tu di lui? » IPass,  l'ENEIRE \ Vl Vlt | El I ( ) per i cºſtiere alla pi ora. Se o elillirill I - o d'a i to, lo Il varellol danaio, perciocchè  I lill I l: e le terrebbe a nnartello, o lº s .  Silll I | \ / solisti , cli, li i rilio a ppa: eliza di vero, e poi lo  reggono al martello. I renzo Vledici,  I | N | | | | V Iº Alì ( )] ,l. il grand slmo lolor punto, ve gelid si l ubare a costui, ed ora te  nersi a parole. » I3ore. SS8).TENEIRSI A POC ) CIIE o li... . per mancati e poco, a un polo che.....  l il pcco mi tengo e il 11 si l V : l ... l 3a rt. a poco si terrebbe di fargli sp a r i: esla dal busto. » I)av. e Tull lossi il giil l a poco si tenne che lol li la ndasse ill I)io. » I3ti l .Qll ('sli l' 1 l V il ll per lei l'8olizi a poco si tenne che non rompesse i trezzo le parole in bocca al re. » 13ari. e a po22 si tenne ll Il 'l g . . lIl l: ss e ll l: 1. ll lentº. » I3a l .\ III:il t 'ito si tenne , li ll i no! I lºo . po o II lancò che). e non so a quello che io mi tengo che io li sego le reni. o loce. S89)  Liis lo i titoli lelier: teme i campo disp. Il re , e nel parlamento; lemer cuslità: l 'ner con lo. le ne I e di metri les li tr. di matri simil N . . ed all 'i lllolli  le sollo I: fissilli ed il 1 l 'g: i 'li e le Isilli,  Note al verbo  Tenere  S85 - Si inile ſi ſti, slo, le nei c . ss it ella di Illi, Irla il clii : lento a dirvi. Ieri lo li | | | | | | | . . l ..., ecc. I r; I li prelie. l 'il pollai, li li sl i ti ci l e. Non voglio sollelizia I cle sia l al dlel' , Il si ſti e mi ero lei libri di il .  SS5º - Tè per lieni vasi spesso it is lil III e il liclio e classiche. Si ginifica : prendi prende le simile il lencz dei francesi.  SS6 Vlialogo è il modo : esser tenuto ad alcuno, per essergli obbli galo ecc. e di clic i sell e vi sat) ) le nu lo . I3 cc.  SS - E' lei il ra cosa che poi mi cºn le len ci ai miei le. Tener men le è la cli il lool e, ii l'l'ic loli -i. I li N le lui li I Na'im . ( sil I lili.  SSS -- Simile l'alli, lene e a piuolo e la spella lunganielle, ed a li che tener a bala, cioè il ... I per il lig , dal pascoli loil, lo parole ( t' '. ('.  S80 – I radici: lo si si il... o da qual cosa  i , sia | ralleli. Il . obblig: il , che il... E' il tenersi cl Ilia cos: ad un allla come sopra. Si si | or al l 'e ll il ', il l 'I l l e', tipº partºnº re, spettare, riguardare, con c'e' li l ', mi lui , l ' i', con il l ecc. (i II l la collo e il lido :  Nella lira e bri It i 'i: occo rit ... » Fie: enze. 892) e la \ e l'e lloln Inai in quelle cose che a lui non l occano. , all el l Z S9.3le leggi il mio esse: oliill ill, e l: tl e oli collºelntill lento di coloro, a cui toccano. . . . l. I 3 ) ,Qi lel il li illli le l mondo si spenga di fall le, si lle l . ll i non ne tocchi una. . l o . - TI (ccchera il va! ii , li ho perduto non hai. » Bocc. Eliorniti che li toccano il III | orsoli 1. Giul, che non riguarda lo) ( )iles o ti togli il tº it e toccò l'animo dello alate.» Bocc. Nill riso si v l .., liti ma les!: il tocca, niun giuoco. » Bembo. rili on le li rilate e tocche s on III te. l) avE pur i s l it toccavano i soliti dieci assi per un danario il giorno. » ve . . . . . . . l):ì V .  \ i le li si – li -se esser tocca. » rubata) BUcc.  Nola al re niti ie e ci si parlicola i del verbo loccare e suoi deri \ ai li : l occo, locco line  ( C VIRE I;l SSE, 13 VS N \ I l e simili, cioè ricererle, guadagnarsele. S!)  Si occo l: ve li e la sto male. » l'a! . l.llig. º l:Il quale, il V e ilo dal canto leg 'i Vitellesi una buona piccata toccato, l'Is - il l: i ti, , V al cell.I l toccarne il 1 , lº strappatella di fullle, e fa - e peggio il loro a. m I.: si  Stavano olle ſelleri li non toccar qualche tentennatº. » Lase. | ( )( ( V | | | | | , I ( )| S( ).  i tcccatogli il polso, i' 1 , V o li s. Il: le... » l'8art g l Il losſ o, egli non si risemi occandogli il polso e il settimº il lo trovandogli, tutti per costante ell ss ( lilor | o » l 30''.  I N A 13ESTI \ perchè cammini,  \ lid: V a ill: zi toccando l'asinello. , V S. ( , l .l'ARE AL TOCCO cioè cedere a chi tocchi Sºſ,  « E' facevano al tocco Per chi avea a morir prima di loro. » Buonerotti.  DARE UN TOCCO SOPRA UN ARGOMENTO dare un cenno e passa oltre).  I N A TOCCATINA I)I.....  « Rizzasi in più con gran prosopopea, Ed una toccatina di cappello.» Lippi.  l'( ) ( ( C) I )I.I.I.A (..AN II º VN V.  Che li cºlli pa 11: l'o, un toc co. » Vill  l: I I'( )( ( AIRE I N I VV ( )| ? ( ).  « Ne i pittori le sºno ritoccare il lavoro a fresco, quando è sec o. » Bor. glini.  Note al verbo  Toccare  892 – Si dico anche oggi, e col e gil: il forli la e sigilili : mi locci, gli toccò di redere ecc. ecc.  893 – Simile il modo volgare: tocca a me, locca e le ecc. No a dop  pio significato della maniera : tocca e al alcuno a la r che che sia. Vale cioè allo apparle nel si a lui il lati lo Quel che loc a cara allora a lare a ('alone nel Senato, e di che veniva pro « cisamente incaricato, si era la reiazione dell'operato da lui in Africa..... » Salvini , che essergli forza il farlo . Se così ſia toccheran ni a star e le Mlach. .306 . « Trovall a domi in prigione de l'Il cili, mi toccò a navigare sul quo e sſo Irla l'e . Magal. Va l'. () per il .  894 – Si costruisce non solo col caso olli | Io o l: l'ivo di chi le riceve - – toccare tal alcu no basl 1 i le ec . li l: i col l'ello e loInilia livo, cioè ad Iso e va' l' oli verbo neutro assolulo (Conf. Parte 2, Cap. 2 Serie 2 loccati e alcuno delle busse, simile all'esempio di sopra : l occati sconſille crc. - -: e dicesi anche elillicarnelle toccarne, se 17 il ro. (ili esempi che allego sono citati anche dal (il era l'elilli.  895 -- Si ſa gillando uno o più dita, e secondo, il convegno Se pari o dispari, contando a chi lo cehi.Togliere  (Torre)  Il sil prillo e volgare si gli ſcalo è ſuello di pigliare, le rar via. Ma guardi colli e le e vago I al I silli: i polli ai classici, e notevole l'uso il liche il lal senso.  Trovasi poi anche il lill glisi sa che pare significhi l'opposto li loglie i ri la I e lo gli hecclessia , e li on è altro, a mio  il vviso, ci Il loglie i re Isiliv , cioè la re che al rilolga ecc.  Ollil tit , il ... V e le cºlle il lempo m'è tolto; lo illa!)i 1orse non li lall, ll : il ch'io vi soddisfa la l 3 Sº)Ilena i logli i dosso Iliel poi, l'esercito, il l aggiunse a Marsiglia, togliendogli il tempo da.... , ( amb.No orre alcuno. » l)ante. (le il ſierº del li i tolse. » l): ll e. « . .. che pole! ( ll gli abbia N ' i torrà si endere questa roccia.» lº: i ll tºEl e o pit and: I mi tolse il rio, e lì in mi impedi, mi vietò Ma lui li do, io mi tolsi di soi o al letto .. . I levenz. 900 Togliersi dal sonno e dal letto, e lº renz.per lo miglior loro e Illrolio, lo zali a tormisi d'in su le spalle. » Fier. E per io hº il solo la so sl: i o non li aveva tolto, che egli non con - scesse, llle slo sllo e Irl , l e ss. r . ll rd venienza, si comio savio, a millno il palesava , 13o 90 |.... Irla I e il iv si dissº: l) il nullle toi tu ricordanza per no al Sere? Io boto a l)i che mi vien voglia di dirti un gran se - gozzole ». IB ) .e tolta buona licenza, se n. a do. Fier senza la li complimenti, si prese a liberta...Se vogliamo tor via che gente tillova i sopravvºlga reputo op portino di mill' arci li lill, ( and l: le altrove. B 90?) Itender enn , Ianto che app, ma il potea o, chio, torre. » l)ari e 903 e dal a rito il questa l'alti e toglien l'anda e la de e ratle. » I)ante.  si toglievano gli uni agli altri quel piccolo soccorso che loro polevano di re i silli, o l?: il 1. 00.... o ad Illbra li do il vose o ai proprio, o :i sperandovi con rili pro averi, o togliendovi il modo di fare un'alimenda onorevole. » (iilllmer. mise o el ºnn i molato Cirio: le pe: dè la sua liſl la lag iata, senza altro averle tolto, che alcun  “ In ci si fa la guisa i. e genia, poi, o dav:ì il i la llli gl bacio. » l?occ. (cioè dato)« perchè or che difender non ti potrai conven per certo clie così morta a e Irle tu se', io alcun bacio ti tolga. I 3 . . . io ti dia , Ili venga a Ito di darſi). 905)  Nola alla ora le bolle illalli, l ' :  TOGLIERE ( ) TOlt It E | I. \ la checchessia, cioè preferire, con len larsi di..... ,  e Tiberio tolse a comparire in le; so I , a ! !', e o , e di ndere.... » I) i V.  « Vinco io le battaglie pil pericolo e pil dire e per la giustizi:i tol « gono di morire. » I3: rt.  a MI:ì io sono illttavia il di Ir i l:I l orrei di bel patto a portare a i loro libri. » ( es. ll i.  si ripuli e ebbe o beati sº I ssa r , slie, l 1 l'ido io torrei di bel paſſo, d'esser qual s'e di loro il pil abietto e pov . . . » ( a r .  a Togliendo anzi per la sempre tra i - llai, e li rili : r per quali mille. » I30, c.  TOGLIERE A far che che sia, cioè cominciare, intraprendere.  « l Il cavalie e la donna idò e ella ne togliesse a fare un'altro: rispo e º che nºi le era preso si inen , l ui, ch', l: sl d let se li Ial lo.... , Sacch. a E debbono esser da ci o e i lini , l III lo igani e di quei film ha tolto a liiigar II le . ( recl, liz I e V , l: il lil V III in : l di alle 11 e o ( a ro. a ciascuno tolse a studiare l sprint re il e la parte del suo in e gigio. » (iiub.N il so, III: Cºstro l?ier, Ill r l)i I l st: In: lov i lilla Inalarl a collin, Ch'io ho tolto V ri-lotele a lodare, e l'8 l Il. r. 1 Il.Questo sci , o dello Sf i villa ha telto a voler vincere d'astuzia le volpi. » Cecch.  'I'( )| RSI | )'I N A ( ( )S \ T IRSI N V C s V, I) \ I PENSIEIRO.... rim (I morsi. Nn c / le re 90(5,  Si tolse del tilt to di comparire i .  a Cosi i miei avversari si terranno giù dal pensiero di più rispondermi e e dalla speranza di vincere. » (le-ari.T( )| | |? I | )I VITA -- 'I'( ) IR I)| | | | | | | V | | | | | | | | | | | | VI ( ) NI)() ll ('ciulo l'o,  a ()li re a cento inili , creatur il mare si redo per cerlo . sser stati di a vita tolti, o lo .  a Acciocchè una medesimi la ola togliesse di terra i dile amalli I ed il lor e figliuolo. » I30 .  Vle o immaginati di voi s' ingerla a formi del mondo.» Label. « vera niente io Illi fa i in V a Il , se i di terra mol tolgo. I 3 .  T()RSI I) AVANTI.  a l?oichè gli si fu tolto davanti, pieno di trial tal to n ebbe con gli altri a parole III olto disco lice.... » l?art. l' IRIRE I V F VME – I V SET E ToItNE UNA SATOLIA (907.  lei li l o, le i vi ve l e li la volta con esso te o, pur per veder fare il forli Ille: Irla il l' e tormene una satolla. » I3occ.  Note al verbo  (T cogliere,  S!)!) - Nola la lesia inti i ra: ii lempo m'è lollo: togliere il tempo (tel alle 11 il lui....  4)()() Tor I e, Torst, li dot... sigli ſi scostarsi dilungarsi levarsi.  901 - VI li ra e il lic . . bella tanto, la quale torna al dire: non gli  a reci ſolo l'uso dell'intelle lo si che egli non conoscesse...., od all' di s ti riglialle.  !) º I 'io lo l via, ma il varo, vedere pren loro modo e rut, ci si lal si ch .  903 - ci è ricco gel sole, i VV e li ' .  90 , cioè si prestavano.  !)(lo - l li libilarle? Parla di lilla slla alla la, ma non amalo, la Il le liti l'a si l): il re.  !)()(i lº pro isalire le ictu) gelo in lei l'edeschi. Simile il modo : p . I giù smettere Pon gli i ſervenli amori, lascia i pensieri in atti I3 cc.  007 - Si riii: una corpaccia la la ne, prenderne una buona  si ll: l. l 'iel el Z.  U sare  l sai e ad un luogo, ed anche usati e con alcuno, usare insieme'. Rollo nraniero buonissime, di frequentissimo uso nei migliori libri di nostra lingua. e sarebbe gran pc calo non farne conto e non volerne più usare, checchè ne dica il l'on il laser, il quale assel is e che non sono della lin gua parlata ecc. ecc. Significano i requentarlo, praticarvi, bazzicare, es ser solito a l ora i si, al csson e', o l e molare e Pilegen; l mgang mil Jº il, and pilºgan e .  Notevole anche il modo : esse usato, esse uso di fare, cioè aver l'a bil udine, esser solilo, non essere usatlo di checchessia, e simili.  (), a avvenne, che usando questa donna alla chiesa maggiore.... » l'80ct'. a S'uscì di casa costei, e venne dove la usavano gli altri mercadanti. » Bocc.« Le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri e usavagli. » Bocc.« ma pure accontatosi con una povera fon; Ili i clie molto nella casa usava, non potendola ad altro in li! : la 1; i ''i corruppe.... » Bocc. « .... io cercherei qui sta po- - ssi i li !. . . ciov e ne filmi, nè ruine di piove me li potassolio tv utº assortº iacircncelli, e l'el che rei che vi ſul - -. l':: : :) ) : l ' : - -  « In quel tempo usavano relia coi ti atia li. , Fioretti. « non colli e g ill', esse I, vi vi foc3e usato da molti anni. , l 3' r .  (ſ « Si (lio (le a Cl essi i gi ad usare « con coloro che ri !!i e ! , ; - i dile tt - « Vallo. » PO ( ('.« .... il quale il più del ' t com . . . . . . . . i usava. » Bocc. « Quanto più uso con voi. lii i l' .« Questi due giovani s II: usava: 2 insieme e pe tiello che ino « strassono, così - al vario, o pi iri li.... Ave id si « adunque quesi a pl ( III essi il litº, e l'insieme conti: uamente usando. » Bart.  « senza che, con le era usata di fare, li l -- : lì la lite. » Bo .  a º miglii , l'i oli 1 e (l'1 I l tº Sa: i erati 0. .  « In quella cav, i 1, dove di piangersi e dolersi era usa, si ra ornò » Bocr'. «Noi siano molto usati di far ria cr:::º, i s; » I30 .  « Della quº: l' orizi in e non era usato i ( -  a e que.li o n t e li ti o 1 : i e i piu « di tali servigi non usati. » l': i  Uscire (915)  (illal'da b l'1!si , e i ti: i usci) e di che che sia : ed aliche uscii e s e 7 il l '.  Uscir di mendicume – - Usai: cºi gaſ to selvatico –- Uscir de' Cenci – Uscir del manico (916) S  « Con la doſe - ll: il il l:. i usci de panni ve « dovili -si. I 2 c.  « Se io uscirò di mia natura . l re li li alcuno, sianni qui e perdonato ». Da V.e dilungandosi di veder costei olla gli usci dell'animo ». Bocc.  - E benchè quelle bastona : in avessero fatto uscir di passo, come a quegli che i trial, la rile: e li lti la illo, vi invea fatto il callo ». Fier. e Mla usciamo di Papa Urisi, io e All III: a un parti a clie mi diceste.» Tel'.l lo i tir i pi s v - e, si usci di lui.» (par issi, an dl -- elle . . cs:i l'1.. Questa lilla s'incon, in Il 1 lo ci Vi l ao e quando l'Aprile, ma in « Aprile finl- ed esce. » (i o d.Via ve: o l' rola v . . . esº, ere li | ra! ti ». Cosari. e uscito poi della furia.... , t , i fillo.  Nola alle ol a l: Il cosi la gºl l ' :  l S( | | | | | N ( VN V ( i N V (ii: l: l . l S( I | Rl, V | 3 V | | V ( V e si irrill  a Il [il 1 nº . . ! ! :: : sa: uscire non a bat e taglia, lo; i titi i ti i ) : ,  e filiali nell' l'all ss : :  I SCII? E al alcuno ( N I \ N VII I. \ NIE, CON IVAI313UFFI, ( ( )N I \I IPI si, il i.  a Ella m'usci con tºn ;, rºm r Gb: i to adesso ). BOCC.  Note al verbo  Uscire 915 – Collſ. I liuscire. 916 – disine Iere i cos vi: Irasandare i termini del proprio cº Silllll ( ( . t ('. N/ e clere  E' elegante l'uso del vello redere per gliardale, in luire, esaminare, scaldaglia e, investigal e, ( s.srl . . . . llle: « Pre il lo non dove ero li ' t . .  corsi stili alimente credere, senza « vederne altro. 13 , l l lle, l'indagi, li º ) «.... di che l'altra parte, che per avventura aveva più ragion che danaro, « fieramente sdegnata, volle vedarla a punta d'armi, e farsi da se giustizia « con le sue mani ». I3art.  « Vedere il vero e il falso l ' pt: 11 i ti : i3a t.  « Avvisato di vedere de' fatti dell'i: II. . . . . . . . - itti « e.... ». Bari.« .... Vola e Inill il 1 e a veder de' fatti dell'a inima sua e le  - - -  « in altra religione pil di gºla o li. I |.  « e vedi con lui insieme i fatti nostri ). I . « Vedi modo, e si ppi se con lo! I le , pli i a º il pi Inio».  BOCC. « Tosto pone la querela; propone di rili o le " I to I. vegga, l a. « mansi a furia i padr : per gl a Il cas . : : i I), i .  « S'egli è pur cosi, vuolsi veder via - 1 i sai io li lo.» I3 917.  Fra i molti altri usi di questo verlo . I l I e voi li ricorderò :  AVER VIST.A con ulla rislut (t l'ºut , li lli il 1 l 3 ) . FAR VISTA I AI R LI V ISTI, I A [ . \ EI ) ( I ) - I ) \ | R| V I STA – I)ARE A VEDERE I Vedi sopra l)arr, Fare  Note al verbo  Vedere  917 – Notale queste maniere, realer modo a ria se....: re ler l fatti dell'anima: senza reale, ne all ro; reale, il re o, il falso, vederla a punta d'armi di r i co .  Volere  Si usa a) per convenire, dore, si in vari modi, il più cºll'allisso ed impersonalmente, sì al singolare che il plurale - : b per essere per segui re una cosa, mancar poco che....: ( per opinati '. a rl'isti e'  Noterai da ultimo il modo voler bene. Il quale si adopera a siglliſi care tanto amare germ ha ben che sta lenº, o cosa simile. 922 .  « S'egli è pur così, vuolsi veder via se noi ºppºlinº (i li: i Veio. I 3 ( .  l  « E' opera si grande e malagevole che di io si vuole chiedere consiglio, º  Fior,« Andiam noi con esso lui a Roma ad impetrare dal santo Padre che..., « ma ciò non si vuole con altri ragionare ». Bocc.«Se I)i() mi salvi, di così fatte femmine non si vorrebbe aver misericordia». Rocc. (923). « Elle si vorrebbon vive vive mettel llel fuoco ». BOCC. « Al combattere si vucI l en uscir spedito, ma nel ritorno delle fatiche, a qual conforto più onesto che la moglie? » Dav.« Comlare, egli non si vuol dire». Bccc. nº n convien che si dica). « Questi lombardi cani non ci si vogliono più sostenere » Bocc. (non con « vien, noi dobbiamo sostenerli.« Il beneficio si vuol fare con faccia l'ela, non vi lana, nè dispettosa... ». IDa V.a .... e che insegnando egli la verita, e la da chiunque si porga, vuol a prendersi e profittarne e si vuol prendere Bart.a colme.... così l'animo quando è in lotta o o infetta, e di focose libidini arde e languisce, con altre tali rimedi ferro e fuoco si vuole attutare ». Segn.  « Per 'rattat de Tai rl'iti usciti d'Arezzo volle ossel tradito e tolto ai « Fiorentini il castello di Larel no . Vill, cioè fu per essere, a un pelo cho....).« Pietro, veggendosi quo la via impedita, per la quale sola si credeva « potere al suo desio pervenire, volte morir di dolore ». Doce. (In fondi: le fu sì dolente che per poco ci me lova la vita). « Gli volle dire che..... –- In:a.... ». Fiel'.  « Pitagora ed altri vollero che esse tutte procedessero dalle stelle ». Sacc. (a V Vista l'olio, ills e gla l'o; 1 ).  « Pa: ente nè attrico lascia o s'avea che ben gli volesse ». Doce.  « Vi vo' bene, perchè vo cli e il lla ln rinto Siele ». Bocc.  « V cali io voglio tutto il mio bene ». I3o .  « Tra lol' 11oli Ill lin: i lite o di ſe' liza. VI:ì d'accordo volevansi un ben « matto ». Malma lì i.  « Con le pugna ſul to il viso le ruppe, nè gli lasciò in capº un ca a pollo e le ben gli volesse » l  Note al verbo  Volere  922 –-. \nche il lo rill degli inglesi la usi pressoche eguali, oltre a molti altri che il nostro colei e non ha, fra i quali singola rissimo è quello di far l'ufficio di ausilia e alla formazione del tempo futuro di ogni altro i b – I rill come, oppure I shall come – secondo cli  l' –.923 – Come il verbo volere sia per lorere, così pare che anche il verbo dovere abbia alcune volle senso di colºre.« Richiese i chierici di là en! l'o che ad Abraaln (loressero dale « il ballesimo ». I30cc,« e con molta riverenza mandò lºro galido la Madre sita che le « dovesse piacere di veri e il tie l logo di ve egli era o. Ca valca.Trovo inolta analogia dell'uli ell'altro, di testi verbi, ado perali in questa follia, e il nigen dei tedeschi ed anche col to may degli inglesi, i quali veri si costruiscono in guisa che non sapresti se meglio radurli rolere o dove e.CAPITOLO II.  Uso va a rio di alcune altre voci  Olli i Verli di illzi l'ecilali, si o alcune altre voci (animo, argomen lo, talalosso, lui nolo, colpo, con lo iori und, l'onlc, latica, latto, mano, netto, pello, pºi i lio, pati lo stomaco, cerso.... il cui uso frequente e vario è par li i lili di elogi rii si rili il . Si lornali o con esse di molte e belle ma nici e e le viene al discorso quel gri lo sapore, quel colorito, quella pu I A /a (li - il cºllo e il la al telistica del linguaggio antico e classico.  \len Ire le palli elle e le voci in generale della Parte I. di questo Di i 'llo io, li li sono che si ni vaghi, e adoperano più che altro all'assetto tegli in mi collosi e non li alla si irl Il ct del lisco so, i vocaboli di que sla l'arte, ed il l cie: la p . l rile, sºlo per sè, e precipuamente, for me cloculi e, con l'icienti di lingua. Da quelle le compagini e la curva, da [lles e il salgle e la polpa.  Arm irro co  (illarla come e in tranſ e guisa ne usano i buoni scrittori. Suona press'a poco quando disposizione d'animo, condizione, slalo di essere mo rale, e quando intenzione 926 , voglia, mi a. lalento, inclinazione e simili. Son , poi nolev li i modi: a re e, anda) l'animo a...; patir l'animo; essere, anal 1 e all'animo, la stati l'inimo: nelle e animo, acconciarsi nel l'animo r. acconcia e Cap. pl cc : dole ne all'animo; dire l'animo ad uno di....: rivolger per l'utnino; ecc.  già d'e è di 16 a li, i veri l piu animo che a servo non s'apparteneva, l lo la villa della se: vi in lizio il ... » l 3o .... e se tu non li li cuell'animo che e tue parole dimostrano non mi  pas er di vana speranza ». l o .  se dicessimo per correzione e non per animo di disonorarlo ». Mae Struzzo.  « Son testimonio dell'amore ch'egli vi portava e dell'animo che teneva « di farvi grande.» Caro.« Con animo di ienersi le liti e li ſale : l it il venisse miglior « fortuna ». Gialnl).  « Il valente uomo ſe e 1 og: i...., che giurerebbe Con animo di ' on oss. l : r. cosa : .  « secondº, che lle.i'animo gli caºgai.  º . . . . . . parlit - i li fellone aniins r i pieno di mal i alCºllt ();.  « Così slibiti i la forza di « fargli Inllta: animo ». I .  « IParii-si a dillolti e i S : :i , . . . gra:idissimo animo, se « via gli durasse, e I - 1 , ; s , di fare a Il « ( ora non Ini: - se. I3 ) .  « Ed avendo l'animo al di v . . . . . . . . gli 1 il gione, ed « Ogni giustizia dal lilla delle i i ti. li li lo il suo lellsiel di « Spose.» IBO .« Non gli va l'animo ad 1 [ . a dre. » l' Issa V. « Consigliata a mari a 1 si ebbe l'animo a at o . . .ite di De « Voin, ma tols e Filippi, figlillo. , l: ( : V. , lº: V.« Tu badi ad l ? A lizi ho sempre l'animo a casi vostri, e sempre « mai ruguino cose... » Anibl. « Luigi non avea l'animo ch: a li, l i il i -. » ( es.  « Se pure questo vi è all'animo, i d a li. . r?S. Cesari.  « Ed a Ile liento. Il lei lo va all'animo (Ill si g ) della prima novella.» Cesari.  « Egli che sapeva, che io ero felimini, perchè per moglie mi prendeva, « se le femmine contro all'animo gli erano.? , lº .  « Se vi basta l'animo di ſei rail. l 'in . . . . . . Il 1 li li . ) !!) (.:ll' ). « Non gli bastando pºi l'animo di 1 i si Il dll -- e ad « atto talora....» l'itel ei 17.« E Irli basta l'animo di A ti . . .. . l ie . liz. « Vi basta l'animo di I l Il « atterrirvi?» Sog n.« E mi basta l'animo di 1 V il 1 ll - 1/.l il i 1. » Fiel'('ll Z. « A noi non dice l'animo di pa . . . . . i da! . di ti liti libri e si lolloni.» Cesari.a se avrete farne del'a paroli di Vill: il lidi : ) di potere, in que a sta Quaresima, ancor piac º v', in se i mi dà l'animo ». Segn.« Ma vi dà l'animo in Illi t Impo si lill, i . e 'I ! clie, è peggio si illl' « bolento e sì tetro, quale si è l'ultimo della Vila, apparecchia i vi con Csame a distinto a tal confessione....?» Se n.« nè di fare morire alcuno dei suoi lion gli pati mai l'animo ». DaV.Il Ina le è ce ne ſiu cic ai l'anim 2. o C s. Part.  Qì la - i i , ' ' nette 1 - 3 ::inno : : i ri. » I3( 11v. Cell Qll'il. ll - oscia chè così  e Irli se rintuzzato l'attinº 5 si'C is r r;o. . . . . 9.30 « Qlla lido, lili si rivolge per 3 a: rap ità ... » Fierenz. a rivoltandomi per l'animo i : i uli. o l'ierenz  Note alla voce  Animo 92C, Simile al n. inl degl ii i : la mind lo buy one. – IIa e yon di minal lo ti il 2 v 92i – cioè secondo le g, i l va. W i, es il m su Mulh ucur. 92S -- FsNel ct ll a 1, il ss. cc : i andar all'animo è sil lillio i : sè i ct g ci li chè a grado l'era, di lui facesse ndr ) e a sangue quand'el li a noi ci ss a sangue, io la voglio per disp. ll si o apacissimi di calun  liare i lolloni º il lor casi di reisi , Giub. , andare («Se l  [llesl e l'agl il sol li a Il slo, si troll ii ranno ». I3uonerotti ( ('('.  929 - - Sinili: Sich gel i due n; sici : u n t then: cs dal in brigen: se latire l'orl . . . . Vlt i ti li I l eguali sono le maniere: (la re', di e l'utilimio, il cui oi , i n i cldi il cuore di Venire a il meno con si p del si li ti I. S gli. « E vi dà il cuore di las, la veli slal e il l IP. Il gol l il lill gamelle? » Segn.); pali e l' animo, sentirsela. Il teleti si co . e la (ſuale – inten zi Il senza l'agi o vosli o n li li allilo di poter condurre » ( tiro a Se io non la riveggo i n n't li do di descrivere.» Caro, S affidano di poter brava e lilli e di vincerla colla provvi dellza . (iilll). .N 'isi singolare trasformia, i tre graduazione delicatissima" di significati: Chi dice mai basta l'otti in indica con ciò e di polere e di volere: chi dice non mi basta l'animo indica non già di non volere ma di lì in pole Vli dà l'animo, il cuore', suona a un di presso: il cºllº il ri: della, mi sento inclinato, avrei voglia, sarei vago ecc. l indoº l . Iuantunque suppo sla, dall'idea di potere; non mi dà l'animo, torna a : non mi sento punto inclinato, sento, provo i tignanza, avversione a fa re, a dire ecc. Che se questi ri: 'lalanza venisse da senti mento di delicata e ſuità o di colli issione, o di simile affet to e non per pura avversioni alla cosa stessa da fare, da di ro ecc., allora esprimerolla assai meglio, che non farei con l'una o l'altra di delle frasi, dicendo: non mi soffre l'animo, il cuòre (« Ad Adamo non patì il cuore di contristar la suadonna » Ces. – «nè di far in rii e alcuno dei suoi non gli pali mai l'animo ). Dav. – A on mi basta l'animo esprime adun que impotenza: non mi dà l' animo ripiglianza in generale; non mi solire il cuoi e lip glianza ri e del iva da un particolar Sentimento.930 – Itintuzzare è lett. rivolgere a pil: Isi, ripiegare il filo – stumpi m(tellºn, e il di la l lla in ſol :i, l in lui zzati l'anima , ci è di venire avverso. Ilijuſſi e l'animo è il 'ril e addirittura,  Argorn e nto  « Argomento è voce che ha molte significazioni, e tra esse quella « di istrumento d'invenzione, di modo, d'auto, di provvedimento e si « mili ». Pedi 931,  « Qllivi : i foli era chi con i (Ilia 1 l di l:1, argomento, le sn la r . a l'ile f. Ze l iv () : -- . » I3. . . .« I medici con grandiss mi argomenti e con presti aiutandolo, appena a dopo alquan ) di tempo il poter no di nervi gºla: ire ». B .« .... e fa la l la fra il l. 1, e gi. I l 'gli il i vi i suoi altri argomenti fºnt li fa re, Illas gli y olesse ... - III: I rila vita e il sentirne il o l'eV 0 0 l'e.... » I3 ('.« .... a zi, o che il natur :) del III:I e no! p . Iss e, o le la ig it anza de'  Inedicanº i non conosco -se di clie si in vesse, e poi consigli il debito  « argomento non vi prende- se non - li te pi h I gilarivano, i pizi.... a Bocc. o presi e li argomenti per 13 « con quali argomenti di fila li II lit: i sl il ... ? l): V.  « Gridò: fa ſi che le giºrno, chi ci li' Ecco l'angel di Dio! piega le na ri! ()Inai vedrai di si fatti uſi illi, V (li che sºlº gna gli argemcnti umi ini, Sì che remo non vi lol li è nll: o Velo, chi le ali slle tra liti sl lo : alli. » I)alit .  « E d'onde debbono prendere cagi no e argomento di non pill l urt, ed eglino più per callo.» l'assav.  « .... il quale fermamen e ''avrebl ero il riso, se un argomento non fosso  « stato, il quale il March se subit Ilmente prese..... » l . ll Il Illotivo, llli appicco.)Note alla voce  Argomento 931 – « Le malattie delle femmine, prosegue il Redi, di molti argo menti della fisica son bisognevoli. – Per lo che i medici han potuto dar generalmente nome d'argomento a tutte quante le loro medicine. – Può dul que esse avvenuto che essendo il  serviziale il più frequente di tutti i medicamenti, sia rimasto a esso serviziale il noir e di argomento. Può anche essere che sia slalo chiamato ci go onlo perchè il serviziale è un aiuto che per poterlo usa e vi è bisogno d'un argomento, cioè d'un istrumento, quale appai,lo il cannone dei serviziati».  Aci osso  (A ci cossa re)  Guarda come si unisca a molte idee e ne renda più evidente l'ordine dell'azione verso chicchessia o che cle sia s inili all'hin, her, hiniiber, hine in ecc. dei tedeschi .  « Escono i cani adosso al poverello ». I)ante,  « Ella m'uscì con un gran rabulff o adosso. » Boce.  « Entra il l)iavolo adosso ad alcuni, e per la lingua loro predice le cose « ch'egli sa.» Passa V. 933)  « fa che tll gli metti gli ul gli ioni adossº, sì che tu lo scuoi ». I)ante.  « Oll - io veggo porre mano adosso a tua persona senza riverenza, cer ta Inente il III io dole, le cºlore - col piera.... » ( a Valca.  « Non pensando che, se fosse chi adosso o indosso gliene ponesse, un « asino ne porterebbe 'roppo piu che alcuna di loro.» Doce. 1934)  « por gli occhi a dosso ». 13 i c.  « Stammi adosso (amore e lpoler ch'ha 'n voi raccolto.» Petrarca. (935)  « Recarsi sopra di sè, e no.n appoggiarsi adosso altrui.» Casa.  a 'I'll rarogli gli occhi, e a impeto gli corsono adosso colle pietre.» Cavalca.  « No .l, altrimenti che ad un c. n 1 l estiere tutti qui ,i della contrada « abbajano adosso.» B , c.  « Avrebbe avuto mal giuoco a darmi adosso mentre i padri mi levano « a cielo.» Giub.Gridare adosso ad uno Vil. di Cristo) – darla adosso – Gridar la croce adosso a uno – Dandir la croce adosso a uno (nodo vivo, cioè dirne il miglior male possibile, perseguitare. Formare, lare altrui un processo adosso. (Bocc.)  « Addossandosi a lei s'ella s'arresta. I)an e. « A Celso adossava gli el'l'oli alf rili. » I)a Val)Z.  Note alla voce  Adosso  933 – Così dicesi : avere il diavolo adosso Passav), andare, correre adosso ad alcuno. – «Gli corsono adosso con le pietre. » Ca Valca.  934 – Parla di soverchi ornamenti delle femmine.  935 – Stare adosso, in generale significa insistere, importunare.  E a ri ci co  (E a n ci i re)  Un pajo di esempi, che ti anni niscano del valore ed uso legittimo di questa voce.  « Mi rallegro che abbiate ricuperato il bando di casa vostra.» (decreto, pubblicità, ecc.). Caro« E per bando il popolo ammoni, non queste esequie come l'altre del « divino Giulio scompigliassero ». l)av.« fece ordinare bando la testa sopra chi fosse trovato reo di tanta bar « bara ( l'Uldeltà.» I3art.« v'avea colà strettissimo divieto e bando la testa o la prigione in vita, a a....» Bart.« Diede bando di male amministrata repubblica a....» DaV. (940)“ . . . . . i liò i S 1: a li i vºli lº s ...... II. l. 1 la lo bandire per coià ir,  lo, e al passato i tiri l o il si.... » B irl i : e- si io ev , e l.llis i in itine del fra  tello la bardi, e l l i. E 'lo, li - a, noi lo handiamo  a ti: l ':17  Bandire la croca adesso ad uno v addS80 .  Note alla voce  Bando  () () I )al band, gli che che sia al cicli uo, è condannarlo per giu dizio, caccia l da un lu go e porlo a morte se vi ritorna.  Testa (capo)  I sei i modi anche oggi con il missili:i e \ lgari ed accenno ai me ll , lsali (lal V. lgo  Far capo ad uno :) I lil I e i i ti to o : io » – Far capo in un luogo ai da quivi, º l'in visi, fa: mia ss 1 – Mctter capo di un ſi li le : 1) Inn l a t: o ti li(illi lava i tl, la la il li, e I ll (ill:belli la faceva capo a lui. » Giov. V lll.I fr: ti.... v. lllero a l'i: l e, suggellº) . dºtti, e fecer capo agli anziani del popolo. , (i. Vi!!.Così fa cia il l dl e della famiglia, distingua le sue cose, e tengale a i l II odo che a lui sclo faccia n capo, ed a lui i sien, ovdi l'ate....» l?andolfini, E l d -omi che quando il Sig 1 e era l, ella città, continuamente si a torºla in allergo il più delle volte a lima ig e qu' a era grande all'e « grezza e consolazione a tutti i suoi divoti, ch . vi facevano capo.» Cavalca. « E i... Firenze facevano e ai le dette fontane ad uno grande palagio, a che si cimiamava Termine, Caput aquae. » G. V.« Quelli, che per con rada non usata camminano, qualora essi a parte « venuti dove parimenti molte vie faccian capo, in qual più tosto sia da « mettersi, stanno sul piè dui bit si, e sospesi.» B( Imbo.  « Per lo fiulrle del Nilo, e li fa i c' a l) I lili i : l in Egil [o, e mette capo « nel nostro mare. » (i. Vill.  Fare di suo capo º 1 a slo, - sulo mi do . - - Dir.... far.... di miº, tuo, suo capo il 1 l il V , Iz« NCE, sapendo far d suo capo . In Illini i sa del mio, il lo. , A.le. « Ma questa cosa I)inni li li on li fece di suo capo, IIIa i- I is - e, i.i: la zi « al suo padre, e il suo p li dlel l i l: nza. » V it. Plth .« Affel'Int) non di mio capo, III.) di s .it: te de lla ll rati « ma d'alculli (le Teologi , li la vostra le lezza è lº l'aria delle cose celesti. » Riel'el)Z.  Farsi da capo. « Qui si dimostra che il ift: - si e' qua  « di riconfessarsi da capo. « Me-sala, qui si da capo rifai! csi, disse: " I)av.  l  la ci sonº e lenti a  Tirare a capo – Venire a capo ondulr a fi; e, v ir, illa e il si le.. « Tiriamo crmai a capo Gueata tela, o lº« Se io ve le vo! re, io non ne verrei a capo in parecchi  « Iniglia.» I3o e'. « Volendo e pil fla III It , i no - e e, o ve le , sa o di troppº fatica,  « e nº !) st 11 venire a capo. F: (iio: l: li . « Iº gli 11 Il si verrebbe a capo il 1 le tl1te le co. (..» La l).  Ccrrer per lo capo a llar pe: la fa ta sia Entrar nel capo il lilaginarsi, darsi ad intendere, sli, la rsi a credere, .  E qll si o libi o Ini corsero mille altre o per lo capo. Amle[.. a (i li entrò nel capo, ! , V : seve, lie - -; il V t's - o - I lie a famente vivere nella lod povertà o I3o .  Farci il capo - fare tanto di capo V. Verli, Fare ( ip. I pala l'. I – Venire in Capo arra (!. re, sll len e, illt ( ve : i re .“ Sicchè lene Inostrò e trovò vi o illel elle V | olio li aveva s pitt ,  a cioè che in b ºve l'ira di Dio gli verrebbe in capo. , Cav: a. « Mi lide ) d. l''i vos: a In te, e farò li ffe e sche, n. di voi, qui nn lo  a quello che ell: V . I vi verrà in capo. » l' issava il 1.A capo erto, a capo chino – Andar a capo chino, ecc. ecc.  Si usa tanto letteralmente che metaforicamente, cioè a indicare dipinta mente la franchezza, la baldanza o la umiliazione di alcuno. Ricordo da ultimo alcuni del ti proverbiali: Cosa fatta capo ha (Dante l loc. G. Vill.), Scambiare il capo pel rivagno, pigliare una cosa per un altra, Mangiare col capo nel sacco vivere senza darsi pensiero, o briga di cosa, alcuna).  Note alla voce Testa  941 – Di sua testa non pare il medesimo. Significa: giusta il suo proprio intendimento, senza altrui aiuto o consiglio.« Diedegli certe scritture di sua testa compilate ». M. Vill. « Io non ardirei rispondere di mia testa a sì grave quistio ( ne ». Dav.Non è da credere che scrivesse questo particolare di sua a testa o Fierenz.  A proposito di Ics'a lon sala inutile far osservare alcuni usi di que sta voce al cui luogo non ſarebbe capo. Sta a per persona: « Si levò una tramontana pericolosa che nelle secche di Barberia la galea) percosse, nè ne scampò lesta ». Iº c.; b per l'estremità della lunghezza di qua lunque si voglia cosa, con le : l'esta del ponte, della camera, della tavola, della tela e simili: ( Egli ha allo in lesla d'una sua gran pergola....» Caro; e per intelletto ingegno: o l'ira u no al suo tempo ripulato astuto e di buona testa . M. Vill. di buon capo farebbe ridere).  Dicesi finalmente: senza testa non senza capo: Gridare a testa (ad alta voce); Gridare in testa altrui garrirlo: fan e all' ui un gran rumore in testa (Doce); far lesla (fermarsi, resistere, difendersi); tener testa, rifar testa ». G. Vill. (v. I3attaglia, Prontuario).  Cornto  Sono noti e dell'uso i modi: Conto aperto (od acceso), conto spento, conto corrente, conto a parte, a buon conto, aver a conto una cosa, ricevere a conto, lar i conti con alcuno, la r conto di che che sia (farne stima, averlo in pregio, farne assegnamento, far capitale), domandarconto di una cosa, render conto, dar conto d'alcuna cosa (darne avviso, notizia, e anche render ragione dell'operato , arere in buon conto (in buon concetto), avere chi che sia o che che sia in conto di....., tener conto di checchessia, per averne cui i : « Non gli restarono altri ninnici che i suoi figliuoli ecc. da tenerne conto Sogli. Si r., ed anche per orenderne memoria, in Letraclit zieh en, il V e il considerazione : « senza tenere altrimenti conto della sua obbliga la fede . (iiallo. ecc. ecc.  Di molti altri usi di questa voce niente volgari o meno comuni oggidì piaceni menzionare i seguenti: Persona, uomo di conto ioè di stima, di 1 pillazione . « davagli in commende i conveni a uomini di conto. » Dav. « In verità che io non sapeva di essere un personaggio di tal contu, « che potessi turbare i sonni e stancar l'1 pelllia di un ministro.» Giul).  Far conto che.... ), pensatsi, in Imagina si, sal ersi, supporsi, darauf gefasst sein).« Si addestrino a vincere il demonio in altrui trionfandolo in loro stessi, « e faccian conto che i pericoli passati son minori di quelli che sopravver « rannO.» Bari.« Facciam conto, che in campo alla pastura Un oro, sia costui, o un a cavallo.» Malrn.« I)unque dovrò si armene tutto l'inverno tra questi geli, e durare sì « lunga fatica?.... Fa tuo conto. » (iozzi.« Le sar i rillo a dll nelll.', ripiglia via i ragazzi , i lidele? Fa tuo conto di a ceva il padre, le sono appunto candele. , (iozzi.  Metter conto, tornar conto es - or utio, tornar bene, zutreffen). « A Gel'Irla Ilico mise conto voltare.» I): I V. « Non perchè alla repubblica mettesse conto patire mali cittadini.» Dav. « In ragioli di Stato, il conto lo l iornar IIIa i -, li ti si fa con un solo »I)a V.  Levare i conti.  º nel cominciare a levare i conti che avea con Dio, cavò un lento sc « spiro.» Bart.Fortuna  liscio gli esempi nei quali questa voce è adoperata a significare ora condizione, stato, essere a Ahi quanto è misera la fortuna delle dollll .... lº . . col l'a tt con intento indeterminato, caso, avventura e lasciaio ai re a beneficio i fortuna ». Fierenz.), e quando ven tu rot, ct r r nini e il I , buono ed è talora anche l'opposto cioè disgrazia, av rom in n le calli ro ecc. e le n lo [ili alcuni di un uso men comune, ci è il sig li tre pi elle, lui asco di noti e, mare l'ortunoso e simili.  Si crt ti ma i ve: lt , A sì forte, e in petuoso, che - 1: Vili.l'ill st , s, il 1 l e gran fortuna di pioggia gli sorprese.» (i. Viil.a \ Ife, in lio, io l a cos . Il l tempestosa fortuna esser na º | :) » l . e Ond ei pi , e ne rive in fortuna, l): nte. I.: fcrtuna - i lob pople:ì. » B art. li ria: e ci I l lo rempe fortuna, si or endi colpi la batte (na V ('.... . I 3: l ' 1.e li i- e l' In ill , sl - , mi ata la nipes: elle qualtro di e quattro molli corsero perdutº a fortuna, senz' ' 'o miglior governo che....» Bart. N : \ e li coi reva a fortuna il t :: il e o IBari, 950) \ ndo si seni fortuneggiando con avvenimenti or prosperi or a V V e 'si. I 3a 1 t.I questo li lo si elli, la va a il 1 l iltà fortuneggiando.» G. Vil. I bella , li in azione lei - i to Iri Il re, quando più fortuneggia, per « alleggi: l' a la rca. » (oll. l'al'.  Note alla voce  Fortuna  !) ,( ) N Iala questa frase: correre a Fortuna correre perduto a for i una, l he la sc itelle lo i rineggiare che ha un uso e si niſi il lassi e giale, ci è ali birrasca, avventurarsi agli accidenti forlilli si del mare e li i lamente, essere tra civili empeste.Faccia (Fronte)  Adduco esempi di faccia o fronte in senso analogo ai derivati slac Ciato e sfrontato. I.i soli chiarissimili ed il e lell'uso.  « Pure di dal e il ci II la l1 lilli e li S. , . . . ll , l el taccia .  « Con qual faccia, s a ci: il I II , - l . Il lidi e « la fede?» (il lido (iiudl ('.  « Adunque con (. . I faccia « add Llcile? ». (iil I l .  a Ol' e il 1 - le fronte il il 1 : ' ' , i - . . . . . . . .  « Poi che l'uoli o si º le vi! ll 1 o, fa callo º iro iile, i - - - a ratamente a ogni In . » ( IV al a 95  « Hai | ll ll lla fronte cosi incallita, i lle ', il l i « di doverti call Il bial'e il el Vis ? S, - il.  . . . . l  « Con faccia tosta - e 17 i pi Va: ll 11 , Il). 9 , è « In prima si coniII e II in o Ill o. I l tanto che i  « manifeslainen e li faccia, e li ri . . « Quel che tu in, l): a l ha fa coia, ( i, li i ll v o Lasca. Rilne. 9) i . « UOII10 Senza faccia - Il v.i . . . . . . . . . . « Vede e 'a lliere: i iacul, e « rere Iſlale . , Fl'. (1 o l'il. « Don Roi Igo 11 , l avrà faccia l:  Note alla voce  Faccia Fronte  951 – Cioè diventa sfortunato, si ucciulo.... l on li ha poi mol [i al li Ilsi e lo; i s'eri le sco perla, cioè aver bilona fali i tºni i l I ( n le; Mostrare la fronte (slare al posto la r II on le pp rsi : a prima onl, ecc.  952 – Un ragazzo ha faccia tosta, lº li ha ſron le incalli lat.  953 – Far faccia vale prender il II e, a lei il pil i Far crlr facce di olio in Toscana per la ri . ligure, e poi , i a dover dire o far cose. Il li li llo ci livelli rili il l ' il .  954 – ci è chi noli la senso di ver: liti e di 1 ss ('.  955 – non si ardirà a far.......  16Fatica (Faticare)  Ricordo i modi poc'anzi addoti: senza una fatica al mondo, alle mag gio) i folliche del mondo, di tr fatica, prender latica intorno ad una cosa, a la lira il V V el l con ſali , i pºli , a gre , ai) alicarsi una cosa (cioè alla lira si per i lilisla la ed i gi o alcuni esempi di un altro uso men nol e mieille comune agli sci Il ri di oggi di cioè della voce fatica il sigilili lo li li a raglio, per il latino sostenuto o lato, e dell'analogo la licati e il no, una cosa, ciò è l raglia, lo, allige) lo tempestarlo alal, V e voll e, i l ligar .  E I: la turiſti e !). ll la ed ass: i n , e in riini della persona, per la fatica il Irla . . . . . . . . . . l pa evano le sue fattezze bel e is si lite , l ' , , , , , - ( il'er le . In le , i ai altro pensare che di lui, e ogni altra cosi le v 1 - a eva grandissima fatica e per dil 1 lite si l V a oli , il 1 l quali, essendo cia si - , i faticarono la nave, dove la donna era, e' marinariLa loro si el e , e faticatº o ezia radio gli ali inni de savi. » Amm. Ant. l ' Illal (iiii , e ora il mare, ora la terra, cra il cielo di paura fatica Ill lo II e il I l fatigat .» S. Agost. C. l).  PRT atto  Mi acio, i nodi dell'iso, che li li è fallo mio: si fallo (di tal fatta di tal maniera : li fallo e Te! ivan n[ 9:50): in fallo, in fatti: fatto sta che.....: in sul fallo in orielli- : iallo l'arme: uomo Vallo, cavallo jallo, il lilla, biale. o si lili, latte e 9 l . e piacenti porre alcuni esempi di un riso assai ſi ſui lil e il loro i cl siri e non comunemenie osservato oggidi. (ilar la II Il nle iel , l a che va a mente, si adoperi que sta voce alto il significa e il negozio, faccenda, affare, interesse, e ora torerno della p rs not n 1 micr, ii , ' i cliessia e Nolerai le frasi: dire ſare, esse e checchessia di lall prici, le falli suoi (cioè di me, di lui ecc): andatr pei falli sui ri; a 1 e i lalli su i non potrer suo fallo (non mo strar che si faccia a posſa essere fatto mio, fallo suo (cosa che appartie ne a me.... : disporre ordinati e i lorº li suoi: entra e nei fatti altrui ecc. Masopratutto porrai mente al vario uso del nodo gran fatto: non essere gran fatto che....; parere gran fallo che...... essere clicchessia o chec chessia un gran fatto ecc.  « Noi abbiamo de' fatti suoi pessimo parli o alle milani. » Borr.  « Ed in questa guisa Bruno e Dil falli la II o, « traevano de' fatti di Calandrino il III -  « E se non era il g ... l in 1:1 lit , il 1 l i de' fatti - Il l III !! a dire.» Berni.  « Mossi a col il pass oli del fatto suo.... l  « Come se egli - lo so , o de' fatti ric stri - I ' ' : l. i  l -  li i ll it , l . . .  « E mangiato, e bevuto, s'and: i pe' fatti loro, B « Egli sarebbe necessario che ti l . Ia la ss da il: cosa, e l: sto s « è, che se nessuno ſi domanda ss e di cosa , l ... , o la r . - del fatto iuo...,  a che tu per niente non rispoli il -si - . . . . . l: i si v; st: (ii  « non li vede l'e ( 11, Il li Ildil e. ll tº 1 - in 1 l 'i a ir pel « fatto ſuo. » Fiert':1z. « Non lili da r no] , e , a pe fati i tuoi. VI 'In. « Chi fa i fatti suoi non si ill, i ti:I l 11 , l s . « Perseguitava una val Int. a quia li i -  « giungerli, on.le la line - li illa non ve li : l rime tii a fatti suoi, l a - a comandò ad illlo scarafaggi l . . Flei ei 12.  « Senza che paresse lor fatto, li colli, i cono a lorº, i lit: qi, lu - « qll Csto Sllo Illari) o. » Fiere:la.  « Se ne sta ritorna, che non par suo fatto. Vi rili.  « Dice le cose, che non par suo fatto. I3 i  « Renzo al suo posto, senza che paresse suso fatto la il clo « Inessun altro.» Manzolli.  « Il padre si lamenta del ſigilli lo, e si rie e di pin egli il a fatto suo. , Cavalca.« Un solo anno stette e visse in questa º o , linellza ed avendo tutti i « suoi fatti di votamente disposti, con grande part se ne andò i (iesi ( ri « sto.» Cavalca.« Ed (rrdilla () in Egitto (ng li suo fatto, - i : il l ... » I3 . . « ID'ulna in altra parol. I entrammo ne' fatti dell' :« .... e sta bene accorto che egli non ti ponesse le mani adosso, per i « ch'egli ti darebbe il mal di ed avresti guasti i fatti miei. Bo, c.« Troppo ci è da lungi a fatti miei, ma se più presso ci fosse, bon tia dico che io vi verrei una volta con esso teco pur per vedere a fare il tomo a quei linac lei ogni e lo limºne una satolla o, Bocc.  « Non sarà gran fatto ch'egli getti qualche bottone, col qual io discopra il suo pens . ro.» Flei e la.- - - - - e 11 : -: la gran fatto . ll al ti: o ce le cincischi.» Da Van. e le per esse -il), A di I'll imo, non sarà forse gran fatto li a l loba l l ulmanità.» Segn. . .. . pe. indos I di -s non è gran fatto, che per livore o innato vi doig: vedere in alti io, li noli e conceduto acquistare a voi. Segn.« Pare a voi di tre gran fatie , l: i Cielo a voi debba costare qualche  leggie di s. l ' It , i lil II l S . In  cli I), o vi debba º si º gran fatto oll i- ato, per un ossequio che piu proi, il merile poi il re - l ni:il lil:i. Se n.e 11 il bis – il l gran ta! to : Vi l e a, per lº....» Bart. « Nè avi il gran fatto : ' ' , p s a h si rai slm litato dal pic a col le li , , l ' : l /Ed il la 1/ gran fatto in là, ella arrivò ad una  a certa ri; l:1. o lº .  I fior enti i : il : i a fiorini d'oro, senza a quelli li vi ii fit is ºn grati fa 11 o.» (i. V ill.( gras, a to - I l ini l e.» I3o . E I. e illliamolata di me cli, ti pal ei gran tetto, lº il l: i 1.1. I vig , l .( )il - , vi i : 1 - . . . sse, e cado: le gran  tolli, i loro i no , mºltº gra.: 1a!! 3. ( A , i tl ad. grandi e sanliº.  Note alla voce Fatto  !)(,() si ,s , li oi i pi si nºi il cli: li presente, sui biſamente, in mantinente si rii di 1, il calde nori o nella piana el' i l.  l'Iron , pi si..... e di fatto, e senza alcun soggiorno tutti fu  I no il pic i fi . Mi Vili. -  (i \nche allo per cosa falla. I rili, in pposizione a dello, è s illli bocc. di I lilli. - Che mille volte al ſal'o il lir vien meno . Dalle. « I fatti son maschi e le li role so' felimininº o ProV. ital.N/l a n co  E' Voce Ilsalissimi, si, i 11 . I pelle molle Il lamiere, gran parte volgi il s - che ad al lI'e lillgue 961 , si go, il 1 - I l guidi, quelle tavia sulla lingua del p ' . ( il 1. leggiadria od eccellenza di senſi nellº si i ... a no, la tale solo per certa analogia ila mano, avuto cioè riguardo ai vari lilli i ti che iene la mano, a quello che li, al per: per a signi  cioè che Ilon V elig l srli. I -, - i . . l'l'ono ll (  ficare potere, forza azione au il pri, tra i là di o l'uori lilli , soc corso, aiulo, banda, lutto ecc.  « Acciocche a mano di si', il ri . . . . . . . . . . . . . . non vertisse. I3o ('.  « Venendo a mano il it - - il II , le V elite e l'i « Stiano.» Vit. SS. I': l.  « Molti dei quali lug - I l . . . . . . . . . . . . . a mano de' nemici « uſ. Inini II lontani pervennero.  «I terno forte di II lilli i r . . . i t. 1, i ir: imam l lilllico. » l?et l'.  « La republic tilt i, in mano. Dav.  « La saliti del V sl l fi I l l i nº lla ntitº i l l3 ( '.  « E quale le an a -, i la mano a prestalica, io l'auto « rità dei prelati della sim mila ( li a. il 1 l: Ali - oli?» PasSV.  « Fare i voti in mano di.... , l 3:1 i t. Cºs  « Manda il la lizi una marmo l . .  « I entulli, Vlt telli, l .li ra: no ci º randi. I : l ..  « far guardare a mano di soldati. I  « rifiorir la calunnia coi li la mano ri: di doppiezza. » Giub.  « Carlo con potente mano v V on gi al quantità di gente a rinata .  « nè Inolo poi con piccola mano di armati V, il 1 , a S. Iplone.... a lºoce. (Lett.)  « Sopra i detti fili si da lol : ill. it e s'ilm  « ponga grossa i lile l'a lt 1 : : e io i Irella mano  « di terra, che s'è la [a di sotto. 13 Inv. ( e'!. () i « Andando egli per di la, molta mano l'Il III liri de la ri; in Iglia l'incon  « trarono.» Benibo. « ma.... fu loro adosso subitnmento una mano di ribaldi....» l?art.di lini .... l) o lo veggia, e porgami la sua rºmano, - 1, li, i - ca. » V il SS. IPad.  I is: i o, che tenevano mano al fatto, t e del mondo.» Bocc. 965) \ qi te li- , e tenienc mano molti baroni del Regno.» G. Vill.  ! . (ii i e Isolmi e le Gesù mise mano & i serrano ine li piu se e , più per ſette che mai avesse  I t . l . ti l a, fere cenno ch'esse (le pie i ! ! , l i º S rimise mano e disse que le parole che - il pi su ro, e colli e gli entrò l. Ili, soggiunse e di Sese).  VI: messo matto in Alberto da Siena seguirò di dire di lui ll o lº  I l ott . .. m Se ntano in altre novelle. , Bocc. 966). i :ili º di .oli perdere lo stato suo, mise  mano , l s ... Il miº l 'ils li a l e E da', e , Vit. S. Giov. Batta. I ss; Il li i lill I, il I . . ll mi venne a mano, l'infrascritta cosa.» Vit. SS I .(olis derare oltre. ll he primi i gli venisse a mano.» Bocc. (967) li li avendo il pri' il o la ello a mano lavorava con guinzagli di I l ( -: i ri.() la d [.li mi viene ai le mani al lli i giovanetta, che mi piaccia...» Bocc. I li pervenuta gli fosse. I 3 , > cade per mano, la gio ma no di cambi.» I3occ. lt 'e llla l' e il I dil e che li cation [ra mano.» Ces.  rss e il dover lol dire, con lo costoſi alle mani  Era il pi vo! Il no del mondo, e le più nuove novelle avea per le mani, o lº e'.l'o-se va le e lo ill, e pretºre dei sogni i qua l abbiamo fra le mani.» l', - li ttiallo). Se \ ( i, e li gli ha fra mano ». l) il tam. \ Inzi mi prego il cast lo l l se io m'avessi a cuno alle mani, e i la S . » l'8 eNoi abbiamo die ia | i sit i | -sino l'irtito alle mani.» Bocc. ( : e quelli, che lo li pi Ili, d minare hanno alle mani.» Galat.  S. ll p il sier in o o d'i: lur e o amichevolmente o levargli la mano, a e li, lo ſi l e , i sºli, Ina grado. » Nell. I. A. Com. (968)C 'i ll nini innamorati bisogna lar come coi polledri: con essi ci v((  la briglia, frusta e fil d'erba; o: i rile, i li, o a casfig  rli, a lusingarli;  « altrimenti, se ci piglian la rinano la si o ti noi quel che ben ioro torna.» Nelli. I. A. COnl.  ((  ((  ((  (t  « Non so...., nè a quale di i i il 1 l si ri le! V il gelo I.lligi dovesse  ceder la mano. » ( es.  « Boezio pruova, che l'll in pole, il II ci ha peggio, che l'uomo di bassa mano. » ( il V: il l.« Se tll II letti ll ! !: i lil :) il il l il bassa mano l . I (', o lì (vl) è mai per roba, che ella vi p . i, t : a Ilio. , (io l. Spor. « Anzi prova il va il V 'o sſ 1: laici e colle persone di bassa mano. Ci s.« Non sieno di vite i ro? ( d  alta, Ina - Ierio di vi . . . i mezza rilano. l'  « Ull chiassº lillo assai fuor di mano. l t. « Torrestela voi fuor di mano i ve lo i si V elido; lo più vili. » Pandorlf. « Luogo molto solingo e fuor di mano. I3) c.  « E quello con lui fa la ciurma ebbero a man salva. 13o c. sicuramente,  impuneInel1te).  ((  (t  (I  « Senza che al lillo , Iri: i i , ga e 1 di Col - sari sopravvenne, la Ilta e tu ti a man salva - I pl - e el andò via.» l?oce.  « E perchè tante diligenze? 11 i poteri e gli averlo a man salva ovunque volesse?.» Segn. parla del fratricidio di Cal no .  « Vedendo il caso Ill ! I limiti e li - . V - il era vinta della mano Nerone era spacciat . » I)av.« Tutti studiava lisi di Ig Il: i rl I se non vincerli della mano. » Cesari.  « e il buon Gesù Maestro utili per il pa le, e ilppelo, e così bene disse tulle le tavole, e lo ile dall'una mano e dall'altra a coloro che gli erano più presso. » (. . V: il 1. 9ti!)  « Va', gli disse dalla mano dritta d ' s dica, ed egii andò dalla mano sinistra. Iº, re  « Così tornava per 'o cerchio t. 4 r . Da ogni mano, all'apposito punto.»  Dante Inf. 7, 32 970)  « Così duo spirti, l'uno all'allro chili,  « Ragionava ll di Intº ivi a man dritta  « Poi fer li visi, per dirmi, supini.» Dante. l'urg. 14.'(o)upds popuSIs Inb) ooogI v'o.IlIO Qpunu II “lumi ollop paol pp “u Au ICICIe II º oul o uutlop tº | I nuovi ed estro el l - Il  -IV » - 'lue AoN « ossip o :ppp) Non ſi pl), li our il pl), l' op.elp outdooo!!) Iosso l\ » sslo I sl. Il l is o ollo llo, li eICI o zUIo, Iolel « OI.).otº. I | ottili Il 1 ls 5  -opupuotu o “ollo)lo. o) n. il film l u n t al I ti Ip (in on ott oss, il o » : IIus o otodlam oliil Ip le oumi in l 'oupu Inl. -0p3 uol.IIUISIS plssol.o.ool. III our li lp i pp o II. In po 'pso.o) on li  tod o p oumul lo), ti : opoit | o olistino ti il litis oi ri: - red o o Tupou Ituo) e olltils o u? o una o lo)). Il 2n ils . . . . N  (pupoIV) optio. Il sip I n. p oso.Iotti: o s -oI) Ip Isopu ellu.Il 'tele i cd in 51 | tell, il lil III o II l ' op opulooos II oz.Io un Ip Ipniri, il ti mid o Iod : II o II: il onpoque ouuoi luis oumu lp tou, l oum il trito.I  lollflot ſpum il : uoſol) l) lt 1) II l lº fu i pup II t, l. 1 , l ' ul, N li pill) I -.0 l 'll 30 l) il pul) lt.)() () 'l l : il 2 l. N S I. W N il p pli) II cºl l ’s  ..o): I.).o: ls o “al IpUIoA Ip o Ille.it | | | | | | te, Ip o netto e l our, il tool , pi). IOI QuoopUIo,oos Isso od li elil I un ul . l I, pp .I : ) « oupul pl oood un lap. tifi oil o sotto ll op.  pddos uoi o! Io e,op is , l lo -ſim :(usu ) « oum il plm lui o il  ulson lì Ip o] Iod o [op e ti º lo utI UIou ott.Ia:S Ip oso - It?, Ilo) dolo) olim il mo) molti i pl . ) : l o il lo ſi un lp : i -lad pl app :(Utlopl) oum lti li lui il 'lo. I pps : s i lo) -ulo plm luput ollo. Il N :ol n. ll o in lui lo pu Inl si .lol : :: - -souloootlo otIIIss.Io.A .Iod o letti i l o, on i lou , il miti il : msoo mun oumu to. I p.), o) , mi : ps spel up it I pi : oss. I lupu ol o toam :o)pſi.o) ll put , l . . ) :p) spel il lunni , l -IIu.IoqII o Insn pſ up) o umi p) , p : s e -ed IuI I] Iolod lp output pluti il 1 ol ss (I -od) oumtl ul .lo, m : In Ir) our li mi i nomi o l oil..I l 5, so uotp o[.Inq UIoN ) Tn1) o un mit ti , i no 1 o s - Ied II5o au » – ollu. I Il o v . Id e il pil un omone: i -oq IIosnI.I n el IIIquº plssolo. ,ol.) un omi piu pitono i p i ns o ai -nole uzUIos) olon lupul p : olio: rºns e o os “Il p . I ºIIe aolo) oum.olm,p ou put il o al piu . l) o is i  a i  ) I ll , , 1 ) N N, i : ls,  - TeInzza) ' uo) lupu opm o.lu, , , losso : ss s IlTOUI e ouput ul oumu lp o Ioi o is I, opIV -- o, epi in pu Intro3 o otto Inpulition i volti, oros Ip II o un p on pu p . “mIIadno nun III olio novo Iorio ſi o IIIod s our in un ou put np “oumtl p on pnti p : Io I Il tº - il vi:.) e p), il -issmu.out o Issoptions o I , Ill.) o 5 - -1)ll,9lll :(o)uo III el.oIII).In n our li in e ss « ouml5 ml o unl ſi u mu . . . . . . . . . . l IV fi , l ' li' in  :(IoI, I « IoIIIn IIfop oi 15 º oliº olpoul “olzIpn15 solo emb lp e los I, -on T ) : opcIt II e a 1. o un triplº : It: [.Ied ſoup oi lotte o lesn po o li li so I I I s | | | |  Oue IAI  eooA e le emoN  !): ſi  - (i  I :)(i967 – Questo venire a mano o alle mani significa capitare, occor rerº, scontrarsi, non renire in potere come negli esempi del primo gruppo.  968 – Lerare la mano ad alcuno significa sottrarsi all'obbedienza, usurparne l'autorità, comandare in sua vece. (Gherardini). In senso analogo dicesi pigliar la mano, cioè non curar più il fl'eno, ed anche guadagna la mano.  969 – Nola singolare costruzione, l 970 - Ci è tanto da destra che da sinistra. Dicesi anche (v. ap  l'ºssº e con egual sigili caſo, ad ogni mano, a mano de Sl r(t, a mano sinistra.  N etto  E' un agge livº e significa pulito, se ilza macchia o lordura ed anche buono, senza risio o magagna, leale, schietto. E però dicesi: coscenza nella. « () dignitosa coscienza, e nella Colle l'è picciol fallo amaro Inol'so! » I alle º I l'allava con nella coscienza ogni negoziuccio ». Fr. Giord. ; di mºlta rila a liv. M.: animo nello, ed intero ». M. V. ecc. Ma si usa altresì a modo di avverbio, e talora anche sostantivamente. Si notino tra l'altro, le forme seguenti:  Averla netta, andarne netto, passarla metta. « Non ebbono netta del tutto l'avventurosa vi torla.» M. Vil. « Niuno ne andò così netto che non piangesse qualcuno.» Dav.  Uscirne netto opp. uscirne al pullo, in do toscano – Farla netta 980) « Io mi credeva d'averla fatta netta di que la vesſa, e aveva la se... » Fiel'enz.  Coglierla netta. « Io non vo' che la colghino così netta », Ambr. Giuocar netto (cioè con lealta, senza frode, ed anche andar call'o, e simili) – Mettere in netto 981, --- Tagliar di netto, portar, gittar, saltar, far chec chessia di netto i cioè con precisi rie, interamente affatto, in un tratto), « E con -sa sospintolsi d'addosso, di netto col capo innanzi il gettò ». Bocc.« E rimessa la briglia al suo giannetto, Come un pardo, saltovvi su di « netto ». Malm.« Senza certa violenza pare non si possano recidere di netto certe grandi | « quistioni ». Tomm.  Il netto di una cosa il chiaro, il fatto preciso).  Note alla voce Netto  980 – Significa in generale fare un male con garbo senza farsi scor gere. l)icesi anche larla pulita, farle pulite.  981 – Meglio il modo lo scano: mettere al pulito.  Fetto  L'uso della voce petto nel traslato non è oggidì sì noto e comune che non sia profittevole proporne lo studio con alcuni esempi. E' dizione eletta e si adopera a denotare l'interno dell'animo, la regione del cuore, la stanza degli affetti e dei l ensieri, ed anche l'intero uomo, la sua persona, la sua corporatura quasi fortezza e baluardo del suo essere.  « Camminando adunque l'abate al quale nulove cose si volgean per lo « petto del veduto Alessandro ». I3o .« Non altrimenti che un giovanetto, quelle nel maturo petto ricevo te ». 20 cc.« ()nde dì e notte si rinversa Il gran desio, per isfogare l petto, Che for a Ina tien del variato aspetto ». lPetr.« Era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne' petti degli « uomini, e delle donne, che l'un fratello l'altro abbandonava ». Bocc. « ....benchè tu non se' savio nè fosti da quell'ora in quà, che tu ti la « Sciasti nel petto entrare il maligno spirito della gelosia ». Bocc. « Ogni indugio, ogni vità disgombri il vostro petto ». Fier. « E troppo mi dispiacciono alcuni mari'i, che si consigliano colle mo « gli, nè sanno serbarsi nel petto alcun secreto ». Pandolf.« Ma pria vorrei, che mettessi ad effetto Quella impresa per me, che, « come sai, Per comandarti In'ho serbata in petto ». Bern. Orl . (985)  « Se le prime novelle li petti delle vaghe donne avean contristati, questa « ultima di Dioneo le fece le tarili o ridere.... che » Boce,  « Le miserie degli infelici anni) l'i raccontate non che a Voi, donne, Ina « a me hanno già contristati gli occhi e 'i petto ». Bocc.  « Agli occhi miei ricominciò diletlo Tosto ch'i uscii fuor dell'aura morta  Che In'avea contristati gli occhi e 'l petto ». I)ante (986).  º . . . . . ma i loro petti empire di far là da poter disputare del bene... ». Da V. « Come innesterebbe principi di legge in petti che.....? » Bart.  « ... e luogo prestarvi da potere la sapienza dei vostri petti, e la dottrina « e l'eloquenza diffondere ». D: V. « Arnol di I) io, che avvampagli dentro al petto ». Seg Il. Avvampare il petto d'indignazi (rnº ». Seg Il. « Ammollire gl'iniqui petti ». Barl. « E voi Cristian I ll , Il avete petto (la la re un'egual protesta in 'Ocſe all « cora più scellerate, piu sozze, piu abbori inevoli? » Segn.  º ...... allora sì che Dio non potè contenere l'ira nel petto.... ». Ces.  « Ma son del cerchio, ove son gli occhi casti Di Marzia tua, che n Vista ancor ti prega, O santo petto, che per tua la tegni ». I)ante.  Si notino da ultimo lo seguenti li laniere , Stare a petto. « Stettono arringati l'una schiera a petto all'altra buona pezza ». G. Vill. « facilissimo a risentirsi di ogni emulo, che pretenda di stargli a petto ». Segn.« scusandosi col dire che non aveva gente di stargli a petto ». GiaInb.  Pigliare a petto checchessia (cioè impegnarsi in checchessia con prelnura) – Mettere a petto confron a re A petto dirimpetto, a paragone, a com parazione di). « ed avevanvi fatto a petto il Castello del Montale ». G. Vill. « Egli non ha in questa terra medico che s'intenda d'orina d'asino, a « petto a costui o. Boec. « Nè..... ma Volse a petto a lui se Inlorare un oro ». l)a V. « Ma tutte l'allegrezze furono nulla a petto a quando vide la fanciulla » Bocc.« Tutte le pene di questo mondo sono niente a petto che loro (i demoni) a vedere ». Vit. S. Girol. trad. a petto a questa cosa: vedere i demoni).Note alla voce Petto  985 – Il tedesco nel parlar famigliare adopera anch'esso la nostra voce petto e dice: Ich habe in petto ect. per esprimere anch'e gli che si serve in pello o in animo di far checchessia. 986 – Nola eglalissima dizione di I)anle e I3occaccio : Contristare gli occhi e 'l petto.  Fartito (sost)  Il significato dell'uso, secondo il quale cioè ques'a voce è sulla boc ca di tutti, è quello di palle, frazione ed anche di occasione parlandosi di matrimonio o cosa simile. Ma è il sala da buoni scrittori anche diver samente, a conserlo ci è di altre voci e ad esprimere molte altre idee, e piacemi di allegarne alcuni esempi non avendole queste forme, secondo pare a ine, il volgare linguaggio, e al che chi sa di lettere, non essendone per avventura ben sicuro, leggi e vedrai come alcune volte questa voce partito ha senso di modo, guisa, el al re di patto condizione, conven sione, accordo, stato, disposizione d'animo, e lalora denota risoluzione, determinazione, tal altra termine, pericolo, cimento ecc. ecc.  e biasimarongii forte ciò, che egli voleva fare; e d'altra parte fecero a dire a Giglinozzo Saullo, che a niun partito attendesse alle parole di Pie o tro, perciocchè sel facesse, ma per amico, nè per paren e l'avrebbe ». Boce.  a Parendogli in ogni altra cosa si del tutto esser divisato, che esser da « lei riconosciuta a niun partito credeva . Doce.  « Ma il mulo ora da questa parte della via, ed 'a da quella attraver « sandosi, e lalvolta indietro tornando, per niun partito passar volea.» Bocc.  “ . . . . . . . . . . ma egli a niun partito s'indusse a compiacerne io ». Bart. (990)  « In verita, madol, na, di vol in'incresce, che io vi veggio a questo partito a perder l'anima ». Boce. 991;  a Noi abbiamo da fatti suoi pessimo partito alle mani ». Bocc.  a....chè in verità vi dico che se ll dio mi mettesse al partito, piuttosto « elegger l la povera Ionica di Paolo e ' Ineriti suoi, che le porpore del re co' « redini suoi ». Cavalca (cioè mi desse la facolta di eleggere tra due cose l'uma). « Di S.Gregorio si legge, che posto al partito per un piccolo suo pec « cato, quale voleva innanzi, o essere sempre infermo o in avversità, o « stare tre dì in purgatorio, elesse piuttosto d'ossere sempre infermo ». Ca Valca.  « E così tra l sì, e 'l no vinse il partito, che non gliel darebbe ». Nov. anl. « Ma a cagi n che di questo li stro partito n li l'Inter venisse scandalo e alcuno, egli sarebbe liere - il 1 he tu ti guardassi da una cosa, che...» Fie renZ.« Laonde egli si delllier , il tutto e pi UI | o di pigliarvi su qualche « partito; ed ebbe : p ir, e con lIn – Imbe, o h el a dottore in legge.» Fierenz. « Ma dei piu cattivi parti bisogna pigliare il migliore ». Fierenz. « S'avvisò di voler prima vedere e li tosse, e p i prender partito ». Borr. « E pc:nsando seco lei in lo, prese per partito di volere quesì a morte ». Bocc.« Prese per partito di voler e in tempo e -se e appresso ad Alfonso Re « d'Ispagna ». Bocc. 99?« E sentivasi si forte il lo! ..e, l'e..a sl Imav i pure lnorile, e non sa peva la Maddalena che partito pigliarsi ». (..aval a.  a Adunque a cosi fatto partito il folle amore di Rest Ignolie e l'ira della Nilletta, se collº llls - el'o e il 1 ll 1 ll l n. 13 -.  ((  « Ora approssima in dosi Impo cle (i e su lov, a noi in e per la salute Il Ost l'ºl, e....... gli Srl ii) e F vedeva l'1-1 : mal partito, per blè 'll tta la « gente credeva a llli.... . ( il 1 l.  ſt  a .... dell'anno li . ll irl I e I e - il li fili l'a ll III lo. . lle al partito a m'ha recata che | Il lill V li ». l 3 993  º . . . . . ed essi tutti e tre a Firenze, il veli lo dirilenti, il to a qual partito gli a avesse lo sconcio spendere altra vi lta recati, non ostante che in famiglia a tutti venuti fossero piu le mai tralocchevolmente spendevano. » Bocc.  « Per io chè se io veli di al II li volessi, riglli ridando a che partito tll po a nesti l'anima Inia, la tua loli lili basterebbe ». Bo .  Si irolillo da Illino lº ſi rime: Mettere il partito (904) « Pilato termè, ma pur, vola i dol liberare, lo ritenne, e fece mettere il par e tito cui eglino volessero liberare in quella l'asqua, o (i sti o 13:ll'abba ch'era « ladro ». Cavalca.  Andare a partito Mandare a partito Mettere il cervello a partito. « E poi quel, che per i consiglio si vince - e, andava a partito ai consiglio « delle capitudini dell'alli maggiori ». G. Vill.« Con codesto tuo discorso tu II li hai messo il cervello a partito ». Fièrenz. « Coss oro han messomi il cervello a partito ». Amh. - - -Note alla voce Partito  990 – A miun partito, per nium pa tito è modo avverbiale di frequen tissimo uso, e vale in niun modo, per niun verso, a niun pat lo, keinesu egs, un keinem Preis.  991 – cioè: con questa maniera di agire, su questa ria, a tal termine, Slºtto, disposizione d'animo, e simili. Parla di una che si con fessa e non è punto disposta a cessare i peccati.  º2 - Nolale queste maniere: prendere partito, pigliarvi su qualche partito, prendere per partito. Coif. Verbo Prendere par. 1. Capitolo precedente. Simile quello del proverbio: «Preso il par tito cessato l'aſalino, Palafſ – a partito preso è forma av Verbiale e vale analogamello, le maniere sudelte, pensata mente, dele, minalamente. « Per cogliere i nostri a partito pre No, e a V alllaggio loro o, M. V ill.  993 - Era inferna.  994 – Non mi pare al lutto sino in dell'altro: mettere, mandare a partito, cioè porre in deliberazione,  Fºarte  Voglionsi notare di questa voce i nodi seguenti:  Salutare, dire, fare da parte di..., per parte di.... (995)  « Con lieto Vir-o salutatigli, lo ro a loro disposizione fe” malli Testa, e pre « gogli per parte di tutti che.... » Bocc.  « Signore, io mando a V. M. il signor Amalrile Rucella, perchè le faccia a reverenza da parte mia ». C sn.  « V. S. gli dica da parte mia, che se non si fa forza, diventerà ipondria e co ». Red. lett.  Dalla parte di.... - - Dalla parte mia, sua... v:ale dal conto mio, dal inio lato. Sono frasi quasi di modestia, o almeno di riserva. Tom.).  a Egli era dalla sua parte presſo i d V i), ch'ella irli comandasse ». I3', cº.« Perchè noi dalla parte nostra saremo sempre e pronti e presti». Cas. lett.  Lasciar da parte – Porre da parte « Si pone o si mette da parte per ripor itare, per serbare, per discernere , Tomm., ed anche per non farne conto, non farne cap ale . « Ma lasciando questo da parte se io ci elº -si...... » H (-Illb. 996 « Lasciando l' altre ragioni da parte una - la basti per tutte . Borgh. Tosr. A questo do . . I nn l r noi, posti da parte tu! l i t . In di 1, st i . Va: lli.  Trar da parte a pmi te – Ghia mar da parte – Star da parte in disp :te  – Tener, fare a parte,  Star da parte vale non confondersi con altri.  Tirar a parte è alline a lirar in disparte.  Si dirà : tener conto a parte, far cucina a parte ecc. e non altrimenti.  a Tratto Pirro da parte, quinto seppe il mie li , l' . IIIb:is glata gli fece di l a Slla donna ». Bo ,  « Chiamate i altre (lo! llle da una par c... »l 3o .  « Quello che già è passato si sta da parte tra le cose sicure ». Varchi.  a Tris - stando i in dispart ..... o I Piety'.  a Cl teneva il flz , li i parte , I3 r. ll ! Il.  Prendere pigliare, terra re in buona, in mala parte ecc. I) e lui lo :li e 1 : lt i tºv - '' i , ve: t 'i nt i presi in mala parte, e non in buon grado, dl-so un inti , li' gli gli porgeva colla le stri, l'a.tro colla  a sinistra prendeva gli o. Salv.  Note alla voce  Parte 995 – «Diremo: fategli una visita da parte mia, meglio che a nome mio .» Tommaseo.906 – E' inaliera simile all'altra : lasciar sta i c. V. Verloo Lasciare  « Lasciar da parte è più scelto di lasciar da banda . Tolim.Storna c co  E' voce usatissima anche nel famigliare linguaggio, e tanto nel pro prio che nel traslato, cioè per indignazione, commozione e simili.  Ricordo alcuni modi e l'asterà :  Dare di stomaco il cibo recello, i militarlo Fare, dire.... con istomaco. « Onde i veri padri con grande stormaco ricorrono al senato ». I)av. « (..he da Ine si noill Illi, noi con istomaco o. Call.  Fare stomaco, venire a stomaco, avere a stomaco. « I no stile da fare si omaco a tutti gli animi i livn contornati ». Giuber, 1. « Non si lesse il testamento, per le al popolo non facesse stonaco l'in a giuria e l'odio dell'aver i là ( p - o al ligliuolo il figliastro ». I) a V. « La sofisteria, e l'incivili a li quest'uomo è venuta a stomaco alla gente ». Caro.Fare sopra stomaco a male in cor) – Esser contra stomaco (contra voglia).« Io vi dò questa commissione in al volentieri perchè so che v'è contra « stomaco, come a me » (in o. n il vi v 1 a Versl .a Tengan per me e do i miuse, conte di Virgilio, tra quelle sagre om « bre e fontane, fuori di solle il l cul e e mi sta di far cose tutto di contra sto « maco, libero da ci rte lla e va ill: e Irla ». I), i Vanz.« Mi lascio trasporta a questa a Iv: us inza, ancora che gli voglia « Inale e lo faccia sopra stomaco ». ( il  NA erso  Tutti sanno che ci sa è il re so in poesia, il verso sciolto ecc., il verso degli uccelli Gli uccelli, su per gli verdi rami cantandº piacevoli versi, ne davano agli orecchi testimonianza , l'occ. « E gli augelli incominciar lor rersi .» Pelr. : ed è altresi comune ad ogni penna l'uso vario sia del la preposizione verso, verso di..... l' 'No ! ) ..... che del sostant. verso per banda o palle.  « Questa è la cagione che ſa che gli scrittori d'agricoltura concedono che per un verso le piante si pongono più presso che per altro .» Vatt, Colt). E così va intesa la forma pure dell'uso: pigliare una cosa per suo trerso.Verso per riga, linea, l'ha tra l'altri il Caro. « Scrivetemi solo un rerso clie le V, slle cose valli lelle .  Ma ciò non è tullo. La v e rcrso, ed è quella delle forme qui appres so, si adopera alcol a a sigllil: l'e : manici di modo, ria modus, ratio).  Per Cgni verso –- Per mium verso - andare per un medesimo, per un altro verso. \ niIn: ' di e tre i ri . 11,1 per cgn, mai verso . Iº lº I. (.: s. Ne pilò per verso alcun l era -i a el re li oi i to; a sfa l I mali . Varell. El'col.Andando la cosa Itta via per un medesimo verso gli Is g : va pe: lo; za li: rtir di lllel il 1 g . . . FI el'eliz. - e ( II), si vi: il 1 l'  II it : i 1, se vanno verso . (ia!. Si-t. l'er 1:1 r.- 'i . . v . . . . . . . . . . . . . . - verso i cui il non vi fu mai ». I 3 l': 1. () rl.  Trovar verso, ( ) ribe, II; s -. 1 ( orv . . . - se i trovai 9 verSc 1Z. I 11:) . mi ri . ll It - ir: - si rl: . Mutar verso. « I l in un li versa i Z.  Andare a verei andargli al versc.  Q). l io. ... ci segui i aridare ai versi, - l'ill Il '11 l . . . . . ll :: V . . . . .i i-silli i tii : il il 1 che lor non vannº a ver, i il lo  « S: si orz: v. li :: Isili andarle ai versa, e ! : I)1s, il l. - ir.A l?IPENI) ICE AI, CAPIT() ILO SECONDO  Di alcune parole ad uso e valore di voci e parti del periodo collegative e talora anche integrative.  E e n e – NA1 a 1 e  al 13 EN E. lasci º si va il riavvi i bio: giustamente, acconcia nºn le , con la mente, l'ulo non le , sicuramente e ecc., ed anche le no le Irasi: ben bene, il no per bene di garbo , la coro fallo per bene, or bene, bene sta, condurre a bene a lilot line ecc..., e mi piace di offrir li al II li esempi in cui bene e la cosa piu o meno riempiliva che l'ene il s. la sicci esce lo si e o , e tiene alcuni poco del tedesco  li li l. (5(i  Ma egli Iul bene, qui intlin [ue s elevatissili , proporzionato alla lama e Vita di Ill il s'e ll 11 l' e st . l l ): l 11/.Nel l bene i l . . a l In, io che | o-s, ! ». ! 3:1 t.MI,a con i ti I t'l spes- , a lirato? o, disse S 1 (i appelletto, contesto e vi dico io bene, che io lo tiroll o spesso la II l3 , r.a Egli e qua un trialv lo uomo, le trili i l: - l alo a l sa º il ben cento lior ºli d'olo a. lº . Ma se vi pi e, io o le insegnero bene tutta n. Boc . Voi - i pete bene il legnaiuolo, dirimpelto, al quale era l'area.» Bocr'. \ te sta ora dal ni ben da 11 g 1:1 re, ed io a te ben da bere». I 3 r. º lll gli da ra . Il mito lei e la la l la.Si le, e visti di tratta e lui - tra i 1. I l incn ill - I l n; l)av: 'lz. Bene i ll vel , che .... l o .Bene e vero, di vo tra Irle, se lº tibel i lido li nº i lorº liti o, ben è vero a che quella grandine di coli e lini e di li tir e il 1 o nlinua cosi alla distesa I r lil, a l'opie 1. ManzBene e il vel . . . he il l e le : :i riti - nte d'Illi: lo za sull e iol e, e la a ! :ilta, il ri il 1 e 1 il 1 l. I lirt 'nzi e, il vetl, i ver li ille, di lora a ple a rlo. , ( art.e e appresso gli dimorava una serpa, la quale bene spesso gli divorava i figliuoli poichè erano grandicelli ». Fi. I ciz.a vomita lo slla - Il perba lº stermini: i i ben il V e V el - i :n corso  a lanciato senza un l I l tar di II lezzo ». ( es.b. M.Al.E. – Tulli sanno che male è predi alo di tutto ciò che è coll trari, il bilono e al bene: in ſei mili, pena, Iorli, il , inisſallo, danno di sgrazia, lenſazi ne dolorosa e c... Si li e al ra e volgarissime le frasi : a rer a male, a malati e di male, a re e il malanno e l'uscio adosso (lina di sgrazia dopo l'all ecc. ecc. Via li li so . I rile dei moderni o volgari scril lo i c li si a la vo male, Isi Ina in ſilella forma, vuoi di aggettivo, vuoi di avverbio, che nei seguirli i esempi. Leggili, rileggili e fa di sentir - lie la forza e il l non so clie di vago e per gl II , che è il lilà di così d'arti l'isl ic . (li el II zi, le elegi Ssic li .  a .. . st V : l III mal conceito fuoco. I 3 . «.... :) . Il coll mal viso - Il l I am li ri- -e . l . « .... il rinai .. Se; (iappa letto i lic - i pm rai 1 , si , l ma le agiato el' 1 ( -a del II lo; lidº , o. I 3 ) .maie agiato l' –, li la a gil: i il .. 11 , l Inl , o male agiato esse, e male ,  pe . lli , a - io , e - : : : a male i:n bocca si ,  vitili era, o e , l 3:1 . I 1 A.  « c' 11 se l' ' , male : l e \ Il ..li , lili i lo nia? .... ( , l . Il n. volt': li la III , i mal piglio , l .ll è lie: \ e le colli e iº sº io - , il V rºtale lili, i . . » I el'eºlz.Il ragi la I ( l ai : le maie a lo)ia si convenesse . l . . .chi v e iilipov rito: chi vi : ini: i il a , l . . i: ti : ti l i male arrivati )). I .a do III', nd Indo pier lorº i val, l l' , l ' I mal degno n. 1 ss , loſ nig ill: I li .Voi sie ( o grilli vecchio ( pole le male durar fatica , l ' , di liri a III nte, l'8 ('.  e I, il III lo zi le : i riz liz li mai -; l I e  a :I III lil (i: /:1 e n. la t al I ): v. lll. “ . . . . . rip, ta io a lor lui gli le male accozzate i - V a essere male in essere di d . Il l ri, li -: li i l ' : . . l 3. l l'I. .... poi ho li ſu Io!Io avanti pre o di mal talento i lo! « parole molto lis o eo. 13ar [.. e .... tutto pe o, se male a me non ne pare .. l 3 l. e Onde pa , che male si a latino al vstro lº so , si fa i lma iº e d'ill « si fa ». Si li.a e finalmente la gatta gli pose la io a lica a iº -- , e non lo 's io i ri vare alla male abbandonata e sta ». ( i 22. Vi esort era il 10 al 1- e' di vi con più 1 ri') o quando ancor vi conosca a l male in gambe ». Si . n. 8s.  ( S : - I :ile i siti: il ma! - be il s . . i: e i nº, lo re  I ma le :nctiuisi o V i S:s lº i l: i  Note alle voci  Bene - Male  (iſ , 1 , di bello - con i | II e, e lipiello di forza, è noto e volgi si li esel i pi e me ne passo: l' ' belle sei il le li i l l'illmo all'allro ». 13 cc ( li l: ss e le liti in tv l' e la lle legare in anella e... I V l'elol) cli, l V ! ss . 13 o .Noi la frase: esse i lr me (ni le li alcuno: le pallel'elmo al i pi lo lingua  (i, II, i posſo in li si ma le ali a 1, del 13a l' oli, del Gozzi, e di tali li : ll is, del 13occaccio, e come i g, e l' ai c . Il riso le li ell'avili, la V eliti el'Iluissero sponta e dalla lingia e dalla per le lo; e inalier e del glorioso tre  i º  ( S Sla i bene, male in gambe è I l is li fissili ira, ma l'ho volli a poi le pol chè si vegga quali male si ali ngano certi autori di gi il nome, i rial: ci si ali i lalora certe frasi, l li trial lo scadille, snoss , alli e, siccome appunto il male il disco so, e il li s'avv goli che pur vivono nella lin gli col nulle.  N/I a i  l 'avverini , ma , el: vale più che il latino unque n. e li il cli, sia con il il S. liv e il l li, lui li i maestri di lin gli IPI Il v'ha del con la I - i : il 13 irl li, esempi, e non | . lli al clic so, ci li e la leg ai la lil loro e la non si sia rolla o.  lº si rip; il lilli. I il silio il I ti: le e, già gran lenipo, stral ci gidi (lelilli- e mai a V cl sels , l'in alcun len o, e d'in nessun empo; e lei l'uno o dell'all ' , cliave e indizio non solo I! I lil si le lilla legil'i; il cos! i le  Alti i basta ad ill riderlo il si mai e cºsì dicasi delle molle \ lo io e con i renda e allo studioso  l .  il li igil: clic ci velisso Inai si lill egli allori fonti e mae l | |  –– 281 –  stri di lingili ilaiii . Il II ci del e di averne senza più conseguito il 1 ello scultri, i si p . . si , Direttorio, al quale più  che le definizio i l sl 1: i il [.. assioli , lei relalvi e semi pi Ne li Ilo (ſi alcºli - anche di qlles la mi ai -, i lili li diranno in Irla: 'e vi gie li ti li l . . i li' ci li - Illia di II li ignaro delle classiche venisſà, lo si pel lo i c' rss , i indi, sia cli e Villga in al  cºn l 'mi pi . . . . ll il 'Nsui le nip . S . . . . . . . . . . . roll e li ll () . o per arren lui ci. i ! iº i l i cli, si mi, ti se il l i .  intellsivo della s . ssi ma mi tiro i si,  a Pe! l III list, 1 l g io, i tic, l l .  si mai nascesse. . I 3 , i . C. ll pill IIIa li e p. mai drappi ! -- dialli , IB, .  m  Coln in 1 il i i il mai ! : esse  MI, sl l'a ll  il Ver mai . I 3 , . .  “ . . . . . i isl - se mai i piaccia , ti con i le itto i pal.11 st: Il lit - . . . . più che mai i - a che VoIIIeri le spalle, a II . 13o . .E se egli avvi e che ti mai vi Il « che..... » I30 . e I)isse Fer Ildo: () li mai . ll Ill 2 a I)i - se il III lil SI, li Idilio V il . () Il l - - I l S I a mai, io sarò il III: gli 'Iri It , il l in I l . . 13 , .... l'av: elie | r in 1 e 3 - 1 r. ll più - che mai lº . E venivasi li rila lirlo ! ! oppo, i ve lº ſi tº e ! - ll gian: mai : , a connesse, e piang nel loi i riti , sop . . . . . . . . . . e sop a che n 1 - i poli ebbe dire . Cavill .  a... ma per certo i test i lia la sez/ i l che tu ci farai mai». . a Questo e i pili allo Stato li Itc 'igi ssi mai e lº I l . le quali fili o no e primi clie - , e le sei mai : l ill). Fl: assalti i al IIIa la... , l mai, i [.ra ti :lel cliore ». (iiil III l . e.... ed oli voi fel ci, il litori - e il -1 V , il lill a fa rii mai santi! . Sºgli. a Ed è possibil . che mai gli 11-: .  « . . quali lo In'a ci r. , ma andr: il 1 : : i pi che mai. - 1. « Mla l: Ve: i ti ti , i lil il gºl ! I mai e Cmpre.  « Se i II a i º  I)isse Nicostra [o: Maisi, i pizi - li lo i vi " lº i l II 30 U. a credeva, º ile - egli dieci anni Sempre mai ! ll - , a che ella mai :i cosi fatti novello : l il .  a Corne, disse Terondo, dunque so io, io in l ? Diss il 1 Mai31.  I 3 pt i'.  derili ti far sempre mai il i. I lil -Note alla voce IM ai  70 - Vive nei diale l'i: Come mai? ; è afflillo come mai, ecc.  ( li si voglia di si ill di gr. ss , ognun sel sa, ma gli esempi più che  le parole i cli, tris li rello so e vero significato della voce lia, a |iliale og  i è sl Irola o la le adolierala, che pur talvolta non sè ne abºsi o ti liori si lasci li il 1 orla non disdirebbe.  \li i e, : i fia l' - . / lia la tll ci ! ll li Ill'ai». l 3oni e . . I voi, il te: i ia questo ). l 'lei'.- - - - - | li i - li i si ve l fia il presente  º il tilli: i I  ! : )st l': l 'li l'tl  S. .. - 1:11 - I ll v;t , fin l v . . l 3o . .  le fia , 13 . Qui i fia ir: le l Sel lembre . Caro. l fia .... . I v .I! ! - , l ia suggel che ogni uomo sganni ». Ces. Dante) \ i li - lo ill go fia llº:i li fesl:i. , (iianl). ll ( : | | | l fia l e l'1 a 1 a:  perchè - º la piovana - . . n Il re deila t rra ». l)av. ! , lil: il - . . . . . . p le i, illi, e alle fia di loro, se  l' - I no ll v i l il 1 li i :''i . I l ' l  : i  .... le  St i t , i s .  i mi vo'il a sito dispe to lanni di chi fia la colpa? »  Se ll. V et cine e gli oli Illi i : l i tº  vi N ſia mai vero, il l .  Si i pil I: I: 1' i rp -  a io i vi prosperare? a non ºn l fia mai vero. » Segl). sul gio: li  l' osti i Ira d rupi scoscesi, che fia  iera ſºnº la nºn la l e in cima a titlei precipizii, a tracciare  sì belle prede . Segni.  non oltri , he pli il ... ma hi l - ve..a sino alla fine, quegli fia salvo ». Salviºli.N/1 e rc e  Non in senso di mercede, che se l'ha pur questo, ma in quello più co Illume e assai in list, il pp i classi, d'aiuto, di soccorsº, di grazia, di cor lesia, di merito, di pietà, misericordia, compassione ecc. vuolsi qui si diata la voce nei cº. I il quale non solo forma alla francese merci, o all'in glese mºrcy, 111 i clide e ci III , Illasi ad III in do si governa che nell'una e nell'all la lingua I e Iris a ragion d'esempio; merci, a la merci de.... se ne tre il la III er i cie.. : grand mri ci 1)ieu merci; o quest'altro: for mercy salvº': al lli e nºi ci o , e si o le medesime, cl e le Isale comune menſe dei nostri classici. Eccone alcuni esempi. 4.  a Marfe, lºro gridava mercè per Dio; e quanto poteva sa - il1stava: ma... ». HOC ('.“ . . . . . II e io ll li ll 'oi, i vostra mercè. lI loro de ll ' 'e volevate ». I30 ('. .... di e il Si r. le gran mercè, e che... ». Bocr'. ()r ecco clle veli le ( esil, e Lazzaro, gli andò incontro, e lil - sl tutto in to i ra, e ba io i sºli i pit li, dicendo e grida i lo: gli Into e, mercede a te ril: e º si ro, cli( ti - e' leg lì: i di V ( I lil alla casa dei servi Illo I. , ( a Valca 6; a Voi la vostra mercè a vel e il ' Il lili Vito ed io voglio oliora i vori. o I3 r. I Io pe ril o, il torn all i vostra mercè. , Borr. I 1 Dic mercè, e la vostra, io li io, che io il - i lel', i vi .... : la II o II a dosi a el l te, noi li per iniet e si i l i mercè di Dio, Irla consapevole della slia i degnita. » lº i rt.a .... io lli soli, condotto per tl, to il viaggio senza slo e felice le te. mercè del passo, dei sussidii, ecc. e , Caro.a E be: hi, quelle bastonato i fili o non Ini avessero fallo liscir di a passo, con quegli che oramai, la mercè di quel fanciullo, vi aveva fatto il callo. o Fierenz.« Non vi par che sarebbero stati auda i, presi Intuosi, protervi, e in dºg li a di quel perdono, che ri verono mercè la loro prontezza? Segiº.Questo e imbiò la in Egit o II il Vlosè di I l e --as-In, il divoto Illo « ma o, mercè di una sola predica dell'Ill lerno da lui - :llitti, Il lillitllll Ille « per accidente.» Sogli. a e gran mercè vostra che peggio non abbia fa ſto. » Bo . Chiede il 1o mercè a l)io per lo merito del pr omesso liberatore. Ces.Note alla voce  Mercè sserverai bella elissi, quand della preposizione per e quando del verbo essere – virtù del resto e proprietà non esclusiva  della V e nel cº, li la collllllle all ora ad altre, v. gl'. grazia, ne il o, col 1, sia e c. buona grazia costra : e tru vo, grazia d'Id duo, che io mi sono conserva lo ſtian lo più posso... » Pandolf.: merito l'assicIllita dei vostri stildi, ecc. ecc. – Conf. Elissi – IP: I l e l.N erai lili ancora come la c ligi inzione, notissima, merce chè, non è che un composto di mercè e di che. « Non pote lono essere preferiti, me cechº I ddio non si lascia adescar da doni . Seg.iti – Mercè a, ed anche nei cede a, è modo di ringraziare proprio del la litiglia italia, la.) - I fissi del segna as del non le I)i , dipendente da mercè ( tut I simile al francese I)i i merci . La qual omissione però i li ha pºi il luogo quando il no di l)io si posponga a mercè : Itri lire le velini dore ne è l'Iddio e di questa gentil don li scali Io sono . I3, c. I li li ho bisogno di sue cose, rei li la mercè di Ilio, e il l marito mio, io ho tante borse, e alle cillole, ch'io V e l'alloghel ei elillo ». l?occ.  Fºurnto  E sl il . e lui le avverlio viene la voce punto assai volte º : ri: i vi il ci ills e.  I e - n 11 lissili , lira gli eserº i pi li animi niscano quando e come me gli Ils: il tre, si ch il per i clo, lerivi grazia e buon sapore di eleganza. I pil con i col sos intivo soli : essere in punto in assello, in accon io il precipilo, in istalo. grado e nelle re in punto (cioè all'ordine: nellere al punto aizzare, cimentare con il lesia, l'uomro perchè fac cia.... in buon punto opportunali e le at buon punto: al mal punto; dare nel punto: di punto in bianco all'improvviso : di lui lo punto ecc. ecc.  I vverbio ci fornisce: a ln di che legano con maggior intelnsilà, li r es.: punto, punto; nè punlo nè poco; punto nulla e qui tiene alquan Io del point dei francesi); b) un certo grazioso riempitivo che torna ad a lui un lo; un nonnulla ecc. ecc. . . .  Le previsioni siano in punto a lor tempo.» Ci sa, Piuttosto tre cavalli buoni, grassi e in punto, che qui il tro affannati e a Inale forniti.» IPandolf.« Navi lornite di tutto punto, o Si Lerdonali.  « In mal punto si ori emino il mare ondoso.» Menzini.  “ Dunque, ripiglio I rail all' inte (i riso, messo cosi al punto.» Mla zoni,  « Cosi già in punto d'ogni cosa bisognevol a qil passaggio, prima di « Inettersi in mare, il dl IIIessa.» Bal'..  « Alcuni di essi, parte torchi di mia e, pari opp. e-si da, e ritiche, ſu « l'oil in punto di lasciarvi la vita. 13a I.  .... coli 11el (i imporre si sl:  e- si va in te sul punto da i convenevole.  ... e stalli , il ciò tintº sul punto della Cavaileria che.... , 9 , i 3 art. .... affinche', dove gli ne venisse Euan putil o al n o in strasse. o Bºri. º volea dire, secondo - i no 11 i 1 , , , li : soli iti e litta a ce ngiura « era in punto. l)av.« Cento e piu loliiiiii li quel lite, li i luro , i ti o al lav.o, e , Inque  « di le filsle e il Cat Ir furc no in punio di navigare i IlilitIero, o l a v. e Miille navi, lurono las, i voli lº stalli 1 e ! il. . . . in punto.» I)ava inz.  le Illali e se li ril s gloiro, altri li a gr . - era punto di rievolezza. Boce. « Punto Inoll I Il l: II le gital (ial s. i  «Qllegii che hº illio con il prat: 11 le li: Il to punto nè fiore. SI). Se n. l'ist. « Punto del mcndo il 11 poi ea posare il ll. Il li otto. o I i  I ti. « All re ragioni di non punto men grave il il 1 , lizi.» l?art.  a e lei si riglia e li rvirill d . I 1111, si lire, i 1. I tigli: il re - se le punto  « nulla sentisse del bar -o il 1 e il 1 olii Illesi , l 'empio. , 13 art.  a che punto ch'un tral, li. I o v sta a igi si trova in l.1 o ſu il lie la lite « in boc.  a. » Cal')  « Moltº è la plance. . .. . ll 1 11:1 punto di ieri interni o... l ' i -. « S Voi mi volete punto di bene, il 1 e il v; 1 . . . . . B . . . Sc Il legna illolo e punto abile. I ... Il D ... - il l .« Con l'e rabbuia punto, lo sl 1 l o il il i li. « Ma no: percio che ino:o -aio i lil i : li , sa p.ti, i 3 malteschi, le  « pronti il d urlneggia 1 e l - la li: i « a finire lº ll'Illia delle illa', o li co . . e. , li; . . . . . si l .l.i.« loli sara forse gl .lli la o, ll il Il l il 'cloro. Cili punta 1 I li le « d'umanità.» Seg ll.a El io 1 orno a dirvi co; i pl º tes, e del Si io che li punto confida « ll (ille Sile forza dov l'à ( il dere. » Stg , ()gni donna che punto bella 1 -se vol 1. l) I V. E nn la di ea. ch'e g: ai le pericolo a.i II, II, scprasſare punto nella « immaginazione, qua l.do gli vi .. li . a Ine: te l zza d'ill felillila, a pe: occhiº soprastandovi punte ri le volle a l livi rie, ch'ezi , i lio un'anima « molto in onda in castità, le ril ma ne per os - l II l i lilla.» ( 1 Valia. a (iò sarebbe, da re a discutere la Legge di crisi la ni a Sriali lasci dolo a e a Cicondono a quaii, ve ella pa in punti necevole al lo le pillol!: o a degi strati, agevolmen e riuscirà d'indurre il (.ali - a Irla a disdire al Vil a lela la grazia e col finarlo fuor del Giappone, a Bart.Note alla voce  Punto  i – Punlo, nullat, un non nulla, niente, sono talvolta perfetti si li lilli, e di till inedesillo, IIS , e ci si rilai ille. Conſ. Parle I. Cap. 3.7S Sinile: vesti di punto. I rili o di lui lo punto; armato (º ('tº.79 -– Nola il modo : stare sul pil n lo le l con rene role, dell'onorevole, della cui l'alleria ecc.St – ci è punto punto, li ill. ; II l Il significato di punto, niente, un non nulla ecc. Il 1 si il 1 , il ppo gli antichi, e ha sli la nota frase di Danie: Peli a orinai per le s'hai jior d'in gegno, Qual lo divenni! SIII le litel del Manzoni: Ma di che i julo gli p lesse esser il Ila o al l: che già brillo ricorre Va al fiasco per l'Irnell e i il cerv ello, il tale circostanza, chi la lio di se uno lo dica . E i lichi il sito quale intensivo di non : « I giovani e maggiori e le I compagni di Celso, non si s not guti o no ! io e, anzi li i più i dirali contro la plebe....» l.iv. M. \nche il mica dei Lombardi vuol essere qui menzio Ita' che li li è poi la lil I lilli: rido che li in fosse già sulle I rili e al recello. . V | lale l'ill , rispose: Signor mio non so gli nè mica, li è voi a che li li : ogni le, alzi vi dimenale ben si, che ... ... l occ. e Vale le ali le illla nica, un miccino, Il lanlio, l'idea, nè pun lo nè poco - a I greci panegirici ti l'ora li li el'alio mica una pill', i vi -a lode ed inutile!....... Sal Villi.SI – Tra di lei quel rialleschi: pl o lili il menar le mani. (schlagfertig,  Tutto  l'referisco qui le lole Iorme avverbiali: lull'uno, lullo da vero, al lullo, innanzi tullo, lui lo di, dai, per lullo, tu ll'ora ecc. ecc. il tui tut lo, aggettivo o sostantivo che si voglia, è il variabile e sempre di un ge nere e numero, e piaceni allegare esempi di un lullo avvel bio e pur de cliliabile o si scel libile di genere e lllllllel' .  Aggiunge energia, e vale interamente, oli minaliente ecc. ma non sì identici, che sostille dosi questo a quelli non ne soffra lalora il tornio e sconcio ne venga non meno alla Irase che al periodo. Tiene alquanto del toul dei Francesi, come che troppo diverso, che non è il francese, sia il governo ed uso del nostro lullo, e ben più vago. Polmi mente sopra lill t virlù sintetica dei modi: tull'orecchi: l’ullo gambe; tutto leggi: lullostoria; tutto musica ecc. e par che si dica: a tutta forza e vigore, non alllo illeso che... immerso in..., non d'altro occupato che..., anima e colpo abbandonato a... ecc. ecc. (85)  « Io conosco assai apertamente niun altra cosa che tutta buona dir po e t. 1 -i (li Illirlti li(Il 1 s'è l'Illi di costoro.» I3oce.a Qllel. e gge le fila li il carro di tl’amon[ana gla l'olava, e l'allo tutto e loost let Ii di Illo: Illoli, di frascilli....» I 30 cc.a delibera o li tollla! si ill It llia, tutto solotto si mise ll call Illillo. » l 3o '. « Il fallig', io trovò la gent. l giovane tutta [imida star las Stil. » I3(º . « Senza - I tal l' - , e sollecitata da suo , cosi tutta vaga cominciò a a parla ! e. . I3) .I)imo a lido il giov: in tutto solº nella . orle del suo palagio, una ſe II lillell'i . . i l lo lill sill: l. , IB ) . Tuito a piè fa - i loro il colli l o ! il 1 do disse.... » l 3 . o i lut . In te la II : sua la Ilte ne ſei a spiare. ( trovo che Verºl Incli e I giova e il 11 l'a trii n, dormiva tutto solo. , 86 Bocc. il qua e es-endo tutto leggi e tutto antichita... » Bari. ....i-1 l'1 lis, ( llella e la i i, il ll 1tl i) la l la ll illli, s v l'Ve i gli ill  le liri, tutto e il o li in soli ordia. Dal t. Chiamò Mosè, e qui si tutto dolente del suo fallire: Su diss'egli ch'io Il il 'l' Illi). , Se . ll.Io dovrei di file stamane esor farvi con grand'ardore ad essere tutti zelo; l sl? SC : : 1.\l di Iliori tuttº animo, tutti ardire, tutti baldanza, ma nel di dentro roll ovall-i o l'abb 1::. » Sºgli.a MI , oli qua e . l e Iron al ro sonº parimer: e. ch'a ffelli di un animo a tutt'orrore il quale per la 'pa già stimasi dato in preda a tutte le più  ſiel e ! Il re.» Sºgli.  Note alla voce Tutto  S, I ), ſu Io ci ligi Illzioli e il vv e glachi, ben cºlli, solo o elemento di all i spressione col lutto che, con tutto, tutto che, indeclinabi io o il rialliera di agge livo con lullo che mi sia le amico; con I tilt a lui costi (t a mi ci si darà ragione di parlarne più a V : Illi.Anche del modo elettico: tutto quanto, tutti quanti, e dell'altro con il missili o : lutti e due, lu lli e l re avremo occasione di ragio irare ad altro proposito.  86 -- Agiungi a questi esempi del Boccaccio, le frasi anche oggi in Irs lop late al rilie volte dai 'le si esso I;occaccio: esser tullo i , in Il lavoro: vino da bersi a lui lo pasto: essere i ullo della pr i soli i perdillo e rall rallo, e simili.U n tratto – Urna volta  Non credo alla liri erra' o asserendo esser oggi smessi, scordati e per | oro discº li si illi i lodi: un trillo, una volta in quella forma e valore cli negli esempi il si a i cii noi 'Iali a volersi prendere un tratto nel sigliific l una sola, e una colla spacciarlo per quel che su na sareb be sl la hit si e da il crescerne buona mente di chi sell liss si p vi 1, il i l di liligº la, e non ne vedesse più là. I modi  una colla, un l al lo le , i cser I i l n al di l l sch si : si h mail al n. Non mi 'mal her, guck 'mal hin, n un link in all ' . ( r .I e II si li primi o li allo; anzi ! : allo, d'un tratto, dare il tratto; dare i tratti di olz en Zi pensare un irrillo ecc. ecc. Si , non spettan quì,  - , li o lo così in di grosso l'ein  Ilù ſiti il presº il nosli a cui la li li igl lill ('.  N la non l gni un tratto.» Sacch. i u;3a volta li . ri che tu n'a Vesti. » l80cc. : i i Vo: 'rei una volta con esso i lì: lº; o li. » E ('. N un tratto a voi.... . I 3 , c.I un iratº o . Vol. sse il Vesl il il re. » Fiere Z. il lb t i d si facesse un tratto l'l V v tl le l V , e , le in: Va l'allino un tratto « non ci si va a il t.a E 11 i mill ! - ! i l l anno grazia e mer º o un tratto dal funesto letargo, il chav si g la lolla , i vv i, illuminato gli o chi ? lla loro mente....» Barbieri.  a cede per or . Fa1, del late che si sveg  Note alla voce  Un tratto - Una volta  S; - - e pensò un suo nuovo l rallo da lei il re la sua costanza» (I30cc. 3art. (es. cioè cercò un altro tell alivo, astuzia ecc. (Conſ. (.., p. 1. verbo Dare.Forte  Forte è sos la livo, agg IIIA ed avverbio. Oltre all'appellarsi forte un luogo qualunque for Il calo, di esi, e bene: il forte di una persona la capaci i maggiore della si essi , il Joi Ie di In'opera, di un componi niente, di un impresa, di II live in Illo, di checchessia, cioè il fiore, il lierlo, il III rl , ecc. . Il l io le lel (li 'al si e del lill loversi dei soldati ». ( esilli , ecc. Foi (e, e chi liol - , è predica al l esi di persona o cosa che ha lº rlezzal, gaglia. I clia, si l // , illle Isili, ecc.E fin III al I cºlli e Iri del I i l ero e se il III lilo. Ma non si gra dilo e si cornuti oggi li è il forte avverbio, assai li ute le sulla penna dei classici, in sºlis cioè di assai, lici a menſe, gaglia, la mente, profonda nel te'. role'n la mente, ln tºni sui mi cºn te, tal alla rocr', e clillo alle alicola ve . inenza d'animo, che lalillo anzi non lo disgrazi, 1: Il che sa per gli buono, e gridi all'anticaglia, se ad altri anche oggi piacesse mai di usarle. Per chè non ſi sia grave assaporarlo lic pochi esempi, fra i moltissimi, che IIIi a º plesso, r le id , lilei e il III al II a Telli, ci se, ed azioni il lamelle si convenga.a essendo assa i giova rie, e lelli, e lo I. I lei s'innamorò si forte e il Podesta del paese, che pill ſita le piu la non vedev . , 88 Bocr'. e Avell (lo V ( lll v . " ( il V ( , l: i re, is l'all: lui (º littº  « piacendogli, forte desiderava di aver , ma pur non s'att | I vi li do e Irl:ì ll l: l ' ( ). » I3 ) . a e saputosi il fat o forte fu biasimato.» Bocc. E biasimarongli ferte o li' gli voleva fare. » I3 Cornº che ci si liri o altro dormisse forte, ci illli cli . l 'i lei la stato era, a 11 mln (lo l'1Iliv:ì a 11 ol': 1. o lºa I ca li presa forte la giov i tre li ſi ill: lli. Bo . e ....o vede; dol dormir ſorte, di li rsa gli rasse (Illa: li egli avea. » I3o r. a \ ndl e il rio, go!) risponde dogli il la illl'o, cominciò più forte a chia a mare. » I3C) .commendolia forte, tanto nel suo desio a cellulºil (lo-i, (Illanto da più a i rovava essere la reilla che la sti i passatº - il la.... o I30 .  a I)i Alessand o si meravigliò forte, e illibitò noi foss ....» Bocc. E avendo la barba grande, o , ieri, e il vita, gli par si forte esser bello e piacevole ch'egli s': 1 . Vis:I.... » I30 .e.... e quando ella a ridiva per via si forte le veniva del cencio che allro llo t r ore il III Ilso l1 Il ſºl , Va.... » I3 . .a .... i quali dubitavan forte non S (ii i ppel º lo gº ingannasse.» I3 c. « Questa parola parve forte contraria alla donna, a quello a clie di ve  a lil e intende va. » Pocº. a .... e perchè mio marito non ci sia di che forſe mi grava, io ti saprò a b(an.... » I20 ('.  a .... per le quali - oso, messer o prete ne 'nvaghi si forte... l'occ a Forte nel cuor noi la pietà compunsi.» Dittani.a .... ma poichè si vide ferito invili si forte.» Bart. « ... Allora come a cose di sapore che pare a loro aver forte dell'agro....» Bart,  Note alla voce Forte  NN Il Cavalca idoi era anche l'avverbio fortemente e significa il gra su per la livº di illi: azione. « E in questo tempo slalido ci si, e I Zzaro, in je' m ) ſorte nºn le; [ueste due suore MI; il l: e Mlal a jo) le men le l'ut, al ramo, perch'egli era così buono e perchè sapevano che Gesù mollo l'amava».  Troppo  () lesta voce li rila alla memoria la pacifica contesa ch'io ebbi, or è già l'anno, e l'ol Si fra ello intollio al cone letteral li e si, e l el'e pi le del sacro leso : Mei ces tua magna gli is. Noli è il l al nimis che del basi qui li adurre, sentenziava egli. ( º lesto mi mis è Il lal V e// li Ill 'e lle lol la ad un massimo grado slip I lal V , che la llli gli i alla lia li li ha. A li io, che quali (lo si ll alla di vedere il V el a pillºla di Iagione, la voglio sempre spuntare nè nulla a Ilorilà si li li porti li al ere. Ials , falsissimo replicai. La lingua ila lialia l'ha sì bello e ſol le clic li il so se all ra lingua possa mai fornircene il III colale. Ed è appli l'e lliv le le italiano dello stesso minis, trop po onde forma si Vil: il cli Illi: i l: il V ( e un così fatto superlativo.  ln pero lì è la voce li oppo sulla pena al classici non significa soltanto  il lellera' e minimis Ilia il minis all resì lollo, assai – del citato luogo S9, a ch'io perciò li l'avviso non potersi meglio tradurre che colla Iorma troppo più grande, che ecc. Al Boccaccio e ai suoi valenti inni la Iori, andava all'animo assai la fºrma comparativa, la quale poi tor la mercè della V e troppo ad un massimo grado di comparazione, dirò così. superlativa.  Leggi e dilnini s'io mal in'a ppoliga  a \-l-ai volte già ne potete aver veduli i dico de li re di scacchi troppo « più cari che io non sono » Boce.« più assi li ve n'erano e troppo più belle che queste non sono.» Boce,"IIa colui è troppo più malvaggio che non t'avvisi.» Bocc.  « Non pensaldo che, los- e chi addosso o indo-c o glieli e polie-se, ull a: illo  ne porterebbe troppo più che alculla di lei. , 90, Bo e.  « IlliSe lIlano ad una Vlt. troppo più dura e rigida della menata pre  Sente.» E0cc.  « E se Inoll ('lle di tult i ll li lo o viene citi l aprillo, iroppo sarebbe più  piacevole il pianto loro. Bocc.  e Vi tl o V () la II , e tali ltto , le V a - troppo più cle tll la  la spesa. » Borg. Egli e' troppo più malvaggio e h - li ll s'a vvisa. » I 30 cc. E Annibale l il troppo più accei io a l .Allti e, lle a suoi Cartaginesi Stato il n era. E assai lostri con il i adill I si lio gla di troppo più splendida fama stati al presso le nazio; li esl 1 in nee e le app lºsso ioi. » I3, c. « .... a Badagi, che da troppo più erano in forze, numero e ardimento; Ina il Saverio la cesso ogni per i lio. » I 3. l'i.  « .... ed era la piu bella lei mi a, le si rov a -- I l II onl , silvo la  Vergine Maria, la quale era troppo più bella di lei senza niuna compara  zione, pill e cori raimlt ita'. » Cav al 1. e .... il giova il tilt o il 'li i lil III e col il III ( -s Si l' 11 le alle sºle Iila li; e lo II , li e il V e --, pill lo i soglio d'es s-it rs', mila anzi eg i pl egava lui a lioli a biorrirlo nè rifiut l 'lo, per occhè era troppo maggior pecca (cre che forse egli mcn credeva. I3: i rt. 91 , e Ma to li 1:1 tii, Signori, I il III , che troppo ancor più alto con via li le Val SI. o Segli.  III' troppo altro gi ill ols e le :lo I, a . . . . livi- i lo. , ( - a li.  a dimosti o che troppo più che alle pratiche e negoziati.... era da repliare  alle orazioni lºr Ille-to elietto da il latte a l)io. » ( s. a N in sol: III e il I e tornò i llo II lo nel primo lato, lil:i, a V Valit: - º in Indolo di troppo più doni, lo sll blin lo ... ( e il li.  Note alla voce  Troppo 8) –. Troppo, il re al significato di soverchiamente, vale anche mol lo, e questo significato s'incontra spessissimo ne buoni autori. ( orlicelli.90 – Parla dei soverchi ol'nalienti delle felillirile del suo tempo, 91 – L'ho preso questo esempio un po' più da lontano che non biso  gliasso al fallo nostro, come ho alſo gia più oltre volle assai, e ſarò sempre che ti potrà tornare non solo in utile ma ed in piace re. Qui, a cagion d'esempio, oltre a quello onde questo luogo vuol essere esempio, hassi al resì a gustare e quel non che...., ma anzi, e quel non –- non credera (di cui al Cap. 2 Part. I.).Là  ºggi si griderebbe l'affellazione, oh! oh! egli è il purista dàgli la bili e colali all'e ciance, chi alla Boccaccio e alla l)ante insegnasse mai rile all'oro, il cloro e all'onde sia lic volmente da premettere il correla livº li Illillo si voglia far emergere l'idea di colà, appunto colà, pro prio lino a quel luogo ecc.  l'icinsi clicccè si vogliano a me non dà l'animo di partirmi da una sºlola iroppo più aulorevole e veneranda che la moderna a pezza non è li potrai li li essere.  l Irisi: più là che bello: più la v. g. che l bruzzi ecc. ti mostrano corti e si governi, secondo sellire e sapore classico, il comparativo del l'avverbi di luogo, di slalo e di invio: là e quà. Non gia: più in là, più in quà. I ro: piu in là di ecc. Irra : pii là che ecc.  e in brieve grida lidosi a luogo, la logo, là pervennero ove il corp , di S. Ai 1 Igo el:a i -1o. 13 , .  (º A t'll il li ai lo cli, avanti ora di Inangiare pervenne là dove  l il bio: e el in. a i là onde r , il o se al povero non ritornasse.» l'80cc. E Il lesto letto, in Il l to a l . . . . . . - 11/a lista le colà pervenne ove Sep a leilltil a la la loli tra lº '.e coli lei il sieri e niti 11 o il 1 : vi o, e presero il rallini in verso Alagna, là e dove l'ietl o aveva certi anni , dei quali es - o mi l o si confidava.» Bocc. Vli rispingeva là dove il sol ti º lì l'ite.Chi (Illin l e gli scelse la ll mi e pianti, cotal si rilla ue subitamenſ e là onde l:i svolso. » I ): ll I e.lº fa l l'ill lento ordina ono ins II, con le elle dovessero uscire fuori anzi di, e a: la l e a Irio: il Calvario, là dov'era il mio lillimento. » Cavalca. vuolsi cosi colà dove si pllo: e ( io e le si vllo, e... » l)ante.a li de ella de sl 1 i lo, l III ell lo l'esser fedita; ma e ricordandº - i là dove era, tutti i lis . ss 1-1, tel o del luogo, di quel tal Illuogo). 13 ,  Di lei sil, la norò sì Iorſe che più quà nè più là non ve! va.» Boce, e l' (Ill: ll e II lig.i: ci li h? Maso is º I la elle pill dl millanta, che tutta e lotte tali a. l) is - e Cai: noi il 1 : I)lln Ills dee e ssel e più là che Abruzzi. Si  - lo, ine, rispose M - , si e avei ('. » lº . « avea preso -i alto grado di perfezion , he non si potea più là. o Cesari. e V vº: lo pl o ede: p in là, ci sia i cose , i veri :a il vedute che...» (.esi. .... . ll 1 più là li oli lo i possibile a ridare. » (. . .Quello  Il Boccaccio, il Passavi, il . il Pil dl Iſi, il ( il Vilca, ed il valentissimo Dal loli, il mila i d. l II mila serie di ira ori e discepoli della scuola  tallica, Ilsa l'olio assai , e i le stra, il guidi e poco grato al viziato nostro ore o il prosione dimostrativo quello posto a  glisi di 11 Il ro, ci si d . it -igi, i lic la lino Illul lI d  l Di esempi ve li ha a bizelle. Ne a I ero al ini e piaceri di aggiunge e  d in quello, in quella, pari alle lorni e avverl : i : in quel menti o, nel menti e, in quel momento ecc.  e si dis: quello li n. - - id . v . . . . . vi i e quello li vi - e' ii 1 e l'Il l il e io vi - ll 1 , v. . . . I3 .- : Itt - il 1 se. l ' a 1 il 1. l it ; l quello tl a Valli I e (lo V ess, lil ('. : l o .lutti ; - i fri lis . quello li da N i e:: si iro l'1 - , -1 . . » 3 ) .l'In/ li lis- I - - I, quel ch'io? » I3 . I - , quello le 1 , III -- il l sa io vi li essi. o lº ' . i 1:1 ! I, ve l i. -i potrei lo Viºla e quello che noi a id:assino ſ: o ll il . » I 30 t .  ... e io! I si, a quell cche io mi tengo l i le sc ( l ' e 'li.» I3 . 92. o Seguiti rolio, il sil, no, i ti l'e. sse) l da l . (III l 'o più a ll'Iva n ,  piu lui iro il lit . 2' l'1 e va e le , i di 1 e ven re a quello, al  quale dopo lo I - ra l III antila li -si, er . , FIl colo. Itispos, il III ), gua a lile. ll III i lII il 1 o quello clic pil III e il bis: - rizi - - I ..A questo II e les, il II, II - Il to si It , l e il q"1ello che è det o a lI - l ... l'a - sav 1:1ti.I, -era ril II- I 1 -i di quello che : ' ' Vt a la l .... » Fioretti.  E p. lito, ve li quello che i li' Inita col suo compagno »  'i e il v.  I :: v. i : quello che i lr che , è.... » ( ,s  In quella cli ... , l . E le IRillall stro, col il l e, c in quella. I 3 . .  QII, il q: le! Io o clic si s la fa in quella a Che il 1 l vi le  Cllº gir 1 m -:1, III: qlla - là saltelli, a Vil'i, lo Mill it: il ri . f: l' . . it: l'. . l): "ll . « In quel che si appiattò IIIi-ºr li denti« E quel di ace, il 1 o a b) allo a ll'ano  e Pol sen portar quelle membra dolenti. I pante. 93)  e con [aii ingegni...., che il ponte sarebbe mancato a lui sotto i piedi « In quello clie e gli pas . . a. . Ces.  Note alla voce Quello  !)2 () i la fa da relativo e ville: qual cosa: non so a quale cosa io mi le fa, o che è lo stesso, non sò qual cosa mai ini | l'attenga | lo li li lo se gli I e rolli ( ' Ill. V el'b , le nuºre .  93 – lº è) ssere che colesto in quel vaglia non in quel momento, ma nell'uno di quei due che col revano, il quale per istracco s'ap  cli i non le segli le relil ( Inl verbo le nei cº.  U Corn Co  (li li li si l - valol e del sostali livo il rio? Che ha a far lui l eleganza? I tagione e Il li se no e loli più là.  Eppure alche uomo è al V re sulla penna a classici che alcune volte, più che il l a essa pul e al grato velluto, al tornio e saper della II se. (lsserva quanto è vago quell'uomo in senso di un e ualunque uomo, di chicchessia, e in luogo della particella a verbo su. VIa avverli a ricola sul gills o governo, costruzione.  lº . . . . . ll III li ucnnc lo i ri: i V li  l: e cl’egli non voglia  “ . . . . . pl il l n t il to in ebbe con gli all i pm role irollo (lis once, e il l d'uomo . l 3 l i.e si e il II ll e uomo in:li in quel e cose che a lui l 7( t , lo uamo il l im . it - l'alcuna persona clie ne fa  cesse e sei a -- quello le Luigi per il mio e di I)io . Cesa l'i.  « E nel vero l' 1 , a: per lo I e uom dice he io lº blo essere a Imo:tº  giudiruto. io no! oli in Is I niti i r. 13 .“ Fra sè Inedesimo disse: ve mente è (Iliºli così magnifico comio uom  « dice ». Bocc. “ Non è rosa piu naturali ai li! I v.le e giusti e li Illel piacere e le  « uomo sente dall'esse; ama o la si oi ratelli . 94; Cesari.  Note alla voce  Uomo  94 – Che cosa è l'ou dei fr: il cesi - e li li Il collll al ci di home? ( il man dei [ d sch è altra cosa li ler Alain n il trio ? (ili inglesi poi dicon , they, I he people say ( [ . he loria al nostro : la gelle dice ecc.  Fers o n a  L' Iso odier 1 esſi voce è il rilalissili , e non si ado pera in milli a 'I ro -iglili clie di II lil il genere, o, a dirla coi fi losofi, d'essere si issisi e e rigi nev, le, ma si l rispello alla sua sussi s ente individi la fila, e lo scili del l s e ido, di s la essenza o la lira. Il male di elog: I: / Is e virili si che a ra vale colpo , e poi il ras e li li | Il l: il no irla eziandi tii animale, l o al significa I " Il li h Ss 1, c. ed il li inalmente ha senso di ver: i , n. ss II , il li do le app i ll'all cesi l'aurun, per Non ti c'.  )sservill e gli sla i li a presto.  I )elle frasi cl in 1: la III | I molte re persona crescere di corpora Ira : fare di e in persona di... () le lil del a | Iel primo superbo in persona di lulli gli allri, Isti: prolcl: : 1)i , isli in corde lilo e Passav. : far la persona di.... li l: lle spielen, sostenere la parte. «I di quie Por ogi si che ſce, a chi l il suo personaggio nella gloriosa e parsa la valli al I e I r!. 9, la la persona adosso ad alcuno, soperchiarlo 96 : mettere in persona di alcuno qualche cosa v. g. una r lidi :i, costi i lirl li di essi, 97 e .. ci sarà poi la cril  sio: e li i la rli id al l silo.  Iº, i cºl logli -s e II l bel fante della persona . l a IP o cle ella era lei a del c 'po, i giovane : 11 ol, issai, e destra a e atante della persona ». 13 , . . . . te, i bil 1 E le iclè ella fosse contraffatta della persona.» B ita', e .... essere tutto della persona perduto e rattratto.» loce, l'1 va: la lo- i mal disposto della persona, e le, la inelite lion molto sallo.» ( 11:llillo,\bbiati i cavalli i ve li lilli- al grande colpo, cioè persona.» V ol-: i rizzº / l':lli li .il se - ll o chi a losso, e con grandissima af lº ziº e la persona di lui, e i silo i siti mi onsiderand d'o culto alliore t . vt', ll tell it | º li li : ss e. . l 31 , ,la li e ti e i , till ia persona piglia e va i, senza lasciarle in capo - , i periti, o oss - so , li i n e -se. I 3 , . .ed i a º s', 1 e la piu role belle e ri che al dosso a l'una e ine, i viri della persona - i pareva che la giovanetta, la qll ' , a pl p - o li -: i B ,  l  stat 'i: si val.etta....)  S -- ti: . ss e i stesse persona, il 1 - si  l qll il il 1 1 1 o cava tv:ai. i cºllo persona se n'av v ( lº - e lº t.  Io li n .. .. . I , l l la ventura lestè, che non è pcrscina. 13  \ i i vi li Ilia i persona.» l'8oce.  Io e li ( s'o, che tu non facci liliale  le a lui ne a persona.» e al ll un altro Fio: etli. I la ll l'a cos l: e questo si è,  - - al lil. I - - - che se nessuno ti doni i -- 'I gira li cost, che lui per niente non ri  spondes ; a pcrscita, tra seri li essi vista di n. 1 l ele: è e noi li udire.»  l3 .  I | p. g v , se i persona come fosse ivi, edl li non v il giov, il sillo º l'io etli. Ed ho da mio at oli ed za, lº io lºn la possa dare a perscrma.» l'1 r, Ili.li i per ſuo - o il 1 : ini: 1. ll il a persona del In illo. , Bocc. « E ' il l - tira perso ia mi li, e ! i Zzo perdonato. » l 3o . I; rulli, a non salirà persona se : it 11  Note alla voce  Persona  ) , simili ma in tal caso spogliandosi il principiº la lºrsonº di principe, e mescolandosi egualmente coi titºli di sè, gºl l-l il tilar la gi al lezza, piglia un'altra grandezza, Castigl. Corle- giallo. «Mi pareva appunto di scherzare ſuttavia fra le conver sazioni soli e di Brusseles, e l'avia di far la persona di cor legiano il luogo di quella che mi conviene fare ora di viaggia lo l'eo. I3C Ill.  96 - Lo stesso che la re l'uomo adulosso al altrui, cioè cercar d'aſfe l'irl , col le minacce. E volendosene al non so che esecuzione il lido ſilio a S. Giovanni a Irovar mio fratello, e gli bastò l'animo di ſoli gli persona addosso, Illando egli meritava d'esserne casi i g: l ' . ( a l . .il Diil (iherardini. Voci e maniere . -  9' - l'orili, il francese sui la le te e il gosl o volgare in testa d'al  clino. (ili rilizio l'Abbadie per me lei le in persona d'un al ll o, Calo.  S e  lºro orie di terza persona d'arri lo i lilli neri e genitºri, che si riferisce  |  |  sempre al soggello del verbo, adoperandi si lui e lei negli altri casi. II o Irascritto di peso la definizione che ne da la Crusca, e basterà.  Come piacesse p i al Boccacci re di all i trolli. In colal sè in  In lo assolti, o e coll'i: definii , l gicli e Illasi si ºss , V edilo, di  con Io e mille che ve li ha, in ſilesti p. chi esempi.  a Per un cali o ambasciatori gli signifi ) sè i ssº; il l ogni sll ' Illall « dal Il (). » I30 .“ 'ostili... dir. se, sè con gli li ri ins me essere in questa opinione.» Iyoce. s “ Gli altri llitti, che alle tavole e rallo, illli I sienne dissero, sè elier a quello che da Nico, uccio era sta lo risp sto). Bo .Aiess. Il dr ) gli 'e il dè grazie del cori l to, i sè a l og: li sll , collandin - In li o di -se esser presto. Boce.e loro, che di queste co-a lui il rili, or -: van , , strillse a confes º - ll sè i sien: con Folco esser il la mo: del a Maddale, la colpevoli. » I3o . “ . . . . - e pel I i ll e le slla pit l il lill e liceva Ilo, sè aver a Vli, o e da lei, non essere incor, di tanto tempi gri , il 1, che | i leta potesse es  e Stºre la crea llra. o loce.  Questi e Quegli  Si che lo scrittore il derll , lo usa, e l'uno e l'all ' , posto assoluta nell le in senso di costui e colui. Ma non la iſo a colifortarli all'uso quanto a mostrarlene sil vero uso e legittimo piacermi riferirne qui alcuni esempi.oru I ond II o luotiIoluogtro vito ottimisti es lllo ollo ofunifiiu o pil minl -la.os mlnuto un olo luou l. In ott Insi non lº oALI sold o! Il lo Ieoo.A II I tuºi-Io v o ottussIssotti Ip ons e 1.Il 'lo s : l'impolli o lo I II Is v.ll st ..ol. Il “odſuo ul lui opeo li o outpur, ep li out optio o lo vº oppull o! Iº lº up.uºni; ios uº.In ln. ezzotti Ip e I potti o.I | Il los . I volo “ol I pm Ilio. I l'i: i) a luito o illu po olso outlolzilotti o esonl lo v Iloil Ip los il  I _ e ne»  \ :sºlº. I « opinpu u Aupututuop ou. 115amb Ip ) : IR il p to eve) op e idos il ci lop o oulo “ollomb o. : ), ond is oli otti. I l III II e III Is l'otti o solll V Aussu. I « usolt [..) Eleti o o si ) Il “1159mio l 'esoi II) l'Ilop º oluto tuupu euro. oI tod el IIes tddl - riti ei lod otto Iss o IIIo lº I so.I ) e il V Il 5 UI ,i. S ) : IIoII. 113enb Ip o Io , lui il di lui se li ti os o II. o Il s o II is º III o II , 1132mb VIII A 1) « ott zu.Il 113 onb I 'll A ) . l is tº lo 118omb e p . Io ſº i Is I V | o v N.« o in IRII ol o) toni tu III o l on tº il 118anº il - IV  l. 1: I 'l: i  sanò “I I V r) « e ſu di ni: I.I I I I Il 11;anb N N I I V l t, vi | l  'ItI A o « Us II . t: l ' I l. ) A l: II. 18anb º il l il l: li I “I: I l l i n . I I I . .I ) \ I ? i.) I  vi: - st , l III! - - I II -Issluti Inl o II oul o 1139mb p I ogI sl II-nd in euro a Ion A ott fops i samb 13 anò lIl ll o III ), i . I | III F III l st ) ) somb o-s II s l . I olti (I e ssa: Il sanò olII trOI s sono o sanò uºi In I tºl In A III o Noll - sanò  o il III : -nIossº o ollo.I costi. Il cºlson l olloni (i i l Is soulotte etti ln)soo “lm)o. Ind Itoli o in º.oo.A o allo l o oum. Il I I I I I I I I | 11: Il  i li osso il s II II l s  ri: o II. ii l' oil. ss I.) o VI i .I o III II . I |  anbuntuoo ºpttodsI.I 15 o infossils o Iod opilenlo “Il q o se ti o in  ouaq els ſolluſosutti - o Ielofuſs illionh outoo soo o illel e il pr i ] N sempre e come gli talenta, mercè che il saperne usare a dovere è già in dizio di buon gusto, e mostra altitudine al concepire classico, e indi lo scrivere che altri fa vago ed ornato.Ma usarne debitamente, e voglio di e il m a casaccio, storpiandone il senso, o il maniere e concelli orestieri che ne l comportano. Perchè  dirò della voce guari – che vale molto, assai ! III o l'opposto del francese ſuºre o fuºri's e il di il colllllllissimi i : non ha guarì, a significare non º gran tempo, ed è sempre precedIIIa da particella negativa - quello  che di ogni altra onde presi a rallare, che cioè il verº mezzo, il più efficace, il piu' sicuro, di rendersene veramente padroni, è quello di leggerne e rilegge le slli di saniell e i molli e sei ripi, e le belle maniere di uri si fa l guai . e cosi conseguirne un rello sentire, e riconoscervelo sì come palle del disco so non decol a lira soltanto ma ed in regrativa altresì.  a .... nè stette guari che addormi itato ill. » Bocc. 6 nè stette guari che si vider i frutti il rie- dei loro allorazzo. » Bari. inè vi stette guari ch'egli vi le as-: i la dis, sl , ' t ) l'11 l: Il Cil l' « piglia con assai a.legra fa e a.» I ierenz. .... non istette guari a tornare. » Fie: e ilz. e ...., il quale non istette guari che i rap issò mori ; o lo e .... ed essendosene entrati in cani ra, non istette guari che il Zeppa ornò, il (Illale con le a loli n. 1 - ell: l.... » I30 .ti e credendola acqua da bere, a li ce:i postal:usi, tutta la bevve: nè  a stette guari, che il lì gl al S. ll :lo il prese e Ills- I l ltdori nell' ato.» I30' ('. a ... ll è il ro i ti elideva, che da llli ( ssere richiesta: il che non guari « stette che avvenire; ed irisieli le fil rollo ed il ti: i Volta e l all 'a.» I30 ('.  « .... di paese non guari al suo lo litri :) . » I3:1 l'I.  a Ella non fu guari con Gualtieri di mcrata, che la ingr i vidò, ed al tempo « I rarº ori. » Bocc.  « Il quale non durò guari che, lavorando la povere, a costili venne un « sollllo sllbito e fiero llella testa. » I 3, c.  e Si mi isero in via nè guari più d'un miglio ſull'olio al 1 la i clie....» Bart.  e .... novella non guari meno di pericoli in se . . ll I e nel II e che la narrata e di I .allretti. » I30 .  « Dopo non guari di spazio,.... » Fier.  « .... nè guari tempo passò.... » I3 . a Fermila lire e, se tul il terrai guari in bocca, e gli ti gli asterà quelli che  : oli dallalo. o 6 , Bocc. « Essendo essi non guari sopra Majolica, seni l'ono, la nave sdrucire. » lo c.Note alla voce  Guari  ( - Nola II sto In lo leggiadro del I occaccio e suoi valenti imi il li: non isl le quali i clie.... per dire: non andò a lungo; non l' Iss po; e indi a I l in iſo, ecc.  iti - l' illo dei litri casi nei quali la voce guari non è a governo di ll ( ) ll t ) Il t '.  N/1 c r ) ci ci  li del non lo al mondo aggiunto ad altra voce qualsiasi, non le " "lilli ºli il III si p . I livi, è a nella livo e intensivo della stessa, " Sºlº sºlº sºpra all'allo, incomparabile, qual che si voglia minimo, ; il t N.Nll) l ('C'.  \li gli esempi soli si chiari ed i maestri di ogni età si autorevoli che rebbe superi il rallenervici a lungo, e discorrerne più che tanto. ºsserva l'ºl di II lire qualche cosa, a come l'occaccio, per esprimere il mirino, ed anche a singolarità e superiorità assoluta di oggetto o sa (ITalsiasi id per asse con più forza e più garbo che non farebbe un illi a V cc, la II lillici a : con persona.... del mondo, e come quel gran il lacsl lo i pera di lingua, che è l'eloquenlissimo 13artoli quasi lette l'alleli e lo imitasse: lo come a 13 ccaccio, a Fiorenzuola, per tacere di il ri molli, si possero i loro i nodi superalivi: punto del mondo, senza una la licet (tl mondo, alla maggior ottico del mondo, e va dicendo – il lilali alla lelleria dal Villellissillo ( esal I.  Senl e al lillo del l rall cese non le, in : le moins du monde, e simili. Ala non sarelli , sì vigliacchi di gridare per i lesi o al gallicismo: o lon dovremmo dire più lº slo cle toscanismi si illi, i nodi di I.inguadoca che i li oscilli si rass lirigliani ?  a .... e 1 litto in se ined sillo si rodea, lo l tell lo del barattiero cosa del mondo l'all ('. , l 3o t .a .... perchè Ferondo se stesso e la su i donna cominciò a piagnere, le più nuove cose del mondo dicendo.... l 3 , c .E quantunque in contrario avesse della vita di lei il dito buccinare, per cosa del mondo lol Vole: i creilere. » l3 .benchè i cittadini non abbiano a fare cosa del mondo a palagio.» I3'll [ .« Cominciò ad avere di lui il più bel tempo del mondo con sue novelle.»  3 ('.« Costei è una bella giovane, ed è qui, che niuna persona del mondo il « Sa.» I30 ( ('.a Io gli ho ragionato di voi e vuolvi il meglio del mondo.» Dart.  a Alla maggior fatica del mondo, l'otta la calca là pervennero dove...» Dori'. a Punto del mondo non potea posare nè di, li è noli e.» Fior« .... perciocchè io ebbi già un Ilio virillo, che al maggior torto del mondo, non facea al ro che batter la moglie, sì che.....a presero il volo e le l: Inen:I rollo senza una fatica al mondo.» Fier. a se li Inangio senza una discrezione al limondo, o Fier,  » I30 ('.  a gente che vuol conseguir la salute senza pigliarsi però un incomodo ill Inoli dC). » Seg Il.  « Alla maggior fatica del mondo gliel trassero di mano, si rabbuffato e lnal con o com'era. » Fier.  « Lo spirito di l)io il Irava si fortemente in quei pii affetti, e con ſale unzione il saziava di sè, che alla maggior fatica del mondo egli potea scol pir le parole e venirne al filo. , Cesari.  ſr  L'Opinione giornale , con la stessa serenita olimpica con cui sentenzia che il quart'alto della Cecilia è il pitt bel quar alto del teatro moderno, senza un riguardo al mondo a Cluel poveri drali li i clia il: i no I re a 1 | i soli, SIIIeltisce a Ilo izia. » Il Fanfulla del 1875 . !)!)  Note alla voce Mondo  99 – Leggeva allora il Fanfulla, solo per amor della lingua di quel giornale, che è buona, non bastarda come quella di molli al ri. | N T E R M E Z Z O  l)ETTI Sl:NTENZIE - - Bene è vero che così lo studio di cer ti detti e sentenze come anche la Retorica sono ben altra cosa delle intrinseche dovizie, degli scandagli linguistici di questa nuova palestra, ma avuto riguardo all'assetto singolarissimo di alcuni effati che, stu diando negli autori classici, più mi ferirono, e che non sono così ge nerici e acconci ad ogni linguaggio, come sono ad esempio le così dette figure retoriche, che non siano anche particolarità italiana e inerenti al carattere e alla natura della lingua italiana, non mi pare iuor di luogo di compiere l'opera e mettere qui alcuni di questi modi che, se con metafora, hanno anche nome di gerghi e proverbi.  l t . N. 1 l il miº cl. ii e il ct mi al buio.  l ' e' l lo sa il n 1 uct I tuolo li l'.  I l ' il mio cºnci li elolco'. Iº - appropria lo a uno che iene del semi I lice.  l'ut I lo i colle si sle la Nesla, allico sll lllllelo la misura.  Slc re e il m li se li diglllllare,  Vlcºl l'1 si in capo l'alcolaio gli ribizzare, fantasticare.  l'atl e il III milita in all 'cati si im sul qual mquam – darsi aria d'im li .  l . I cºllo l'e' in sul quat mi qua mi - col ridicola gl avità.  Spacciati e il quinque mi voler farsi lenere il gran fallo,  \ 'il tr le cellula ne alla les la Scilli si allera o da qualche impressio il 1, di dispei lo d'ali re ecc.  li mpri e la scopa l si a Vila disonesla.  lo son litigliato a questa misura Ambra - esser fatto così, di que s Iella la luna.  lisse'r la Ilio lo bene o male,  l'irla pºi punta di lo) chella con grande affelazione,  l'aitre e gracchiare come i cani e ranocchi alla luna. Giub. – gri  di I e il Vallo.  Trorarsi nelle secche a gola. Caro - esser povero. Mºller l'ali - a Tre Iarsi.Alzar le corna – il super bile. Restare sull'a mm allona lo – l'Illia nel poveri. - Stare in Apolline – Irlangiare lautamente inodo di lire del valo  da una stanza dedicata ad Apolline in cirl Lllo lillº laceva la illissili le celle.  Mangiare a ballisca i put - maligiare i piedi, il II elli. Esser al coniile mini – il punto d . Il 1 l le. l scire il jislolo da dosso tl i no 13 i . logiici si da il lalso sci  spetto, cessare di ang. Isi il gli ill li li il l i gilli il I, si spelli gri si ecc. E nodo basso.  (i li fanno afa i beccalichi e gli pizzo no i li, i i lati in to fai il l ll - calo, il fastidioso delle cose pit s ti Isile.  \ on Nat per cli Nº – Il ciglio del volgari esser li li (li si .  Esser nell'ol o di gola –- riccone, ricco di rili .  Esser innanzi con uno -- essergli il gri 7 , i vi Vlesser Al dighieri fu gi al ci ladino e molto innanzi con il tessel (i: Viscolli Saccl. e Fui figlill il di illi: i giallole e gelilli. I l lale e' il molto in mani si coll’ili per il I e . ( a V.  Torsi giù dal pensiero di fare . . .  ( o mi mettersi a... lasciò il cilli ri ma mi 'lendosi di I Dio e alla sua provvi le 12:1..... Civ.  ('ori e re boll len clo e II lilo cli, le legi , i l . ri ci , i Nº but I lemulo . I)av. Sillili: ballo e il gri sil. lo, il lersela.  Esser in pie' e plando ( alba era in piè lenne la col ſole . l)av.  1 rer l'alli più grandi clel nido illa / I s; l' Iss: li si illa col Cli/i 'le il cili si riac | Ie.  l'ut I e il loro o di ll (mc (l ci lidi ri . il II e il I l: cos: 1.  (iel I al I e il m (t mica , clic'I l o lut No il re i v . l il li Is I l iss . aggi. Il gel (lalli al clarin .  Mellere il pel bianco –- e il III la mia vi: il l' ii a V messo il pel bianco . 13arl.  Pagare di moneta senza comio spacciar Iole.  I , Ils, I)alle e il 1 l e I3 ccaccio rili lo II e la loro e i lli li li Il selli Vallo  si illl'allino che spesso ne fa les r , il III: Iggio elica li col l mali e il del sl1 , clile.  Tener a piuolo ( inf. tenere .  l otre all rili il lettino ſalgli il lates l' 1 all ss .  Promelter Itoma e Toma – più di ciò che si può ottenei e la mit le tel'. è luogo almeno.  1 mln usdtrº uno indovinarlo, conoscerlo per quel che è.  Fotr uno scilo m (l parlare a lungo per indurre alcun a la c o non ſi l'e.  Scoprir paese. Ma il 1/. veli al chiaro di talche cosa.  ('a calcare la capra in rerso il climo. I3 cc. Irovarsi in pericolo di  i l'l': l ' , l ' ('.  I malati sºnº col cºlei ci ſoio. I3 cc, palli fischiandosele.– fog --  'l): - ol,l DS . l.los 1)llop ).Im. I  “ollllooo oscio o il telos Oosol limp o idol pl Ivan, 'oooº I 'º elodlid oolIdillos Ip : l'ol e ope, too util plo) lo m olmpoli low up Au - In) on upl ls not o lo l cofi, li o plo) ul. D o plot lo. ol soli. ll u n t pel  lº lodo ! Il.I |llº, letto.Ils lod o luo5t. Il to All I lod ollo Ato. ll still s'o.Il... [Illel ore  -II All.) Iloio; il 2.It I.) II .Il lod o letto iu'. Ooli llli lo l opoli ll o, p. 1 , :los.lop 5 º ) - ol. I ti ll) 1)(l. p) ll . 1) / S ( p lo ) Spp uo.Iopul) olp lo) lo! I top oſ) p I loI – l.ool o l. Il ll o l.oo, o o l o I : 0.I |llº, olt IIS - olto, o l. Ill) ll ſi o p. ll l l ll olios o I Il d lºs o I o II ) : ossopu o il n. 1: s ).Ill) .Iod o O)tºllo..)Il 0 [.lli | Il so,oll) ol, o ol . l p ou puo ul l tool pd l olltilt il .lol - D) ll plcl . ) ol I. . . . ll N o Illy) li ll lo) lo IV  lUI.).llº A ( OIis Ol.top Is p Il l: sl) Ios il l o Il 7,top II (ls -l.I O ).IopUIodsl. I lli Iloit . . . . . . Ip ( o.lios III. Il l .Il vi:.) . I.).I.).) olt: Il II “olon.A ottenb Oulla pu o.llp o Il sºl l: Il 15 IS ) pl I.), m il plli) opos I DIS  o]llottle Illllio II o III o III: VI .Il Dl I.), p il 1. ll I – Dll.).))) ll plli) ledttii: s .l Il pl . . p il plp pso.o ol.) i pm b l l), I  l'Iss) I |.).)ol|.) In I e o luouletin).Iodi III oli ell. Ilos ll mi pm ossopp o Ispº) ll o p.l.loS pNN Il l)llo li lop il pil ll I Dsl (). I plo l pm N ))) I m, 0. I opomp l.) o, op o un ddl n. 1 p.).)o l “od.Ion Il solº tu e otto Issolo. Il le i ti ).Il 1. l is lº) io. I p. 1) I p.ll.I. elu.II) .I e o Ioli: mlpo il pil 1) l .I lo.tpllo3m ) ) ). ell.In letti e sulle op ten . lº ziios l: 1: lsi I l:, I 5 o II. I | | | | | | Isenb oso.) ol lº)lo.I e rozzo.Id | V : o il II o I pil V ol I., p. 1) 1) ll il d.ll' I pl uopo, il plss. . . . . ) I pu to.I o | Ioli -o AIIo,oul IIIfo e opotuli o luo.Id lo ve lo io l I l spl I lil Los ei leitilissi: prºo Impoutuo o senb epito o on I e II li .tel li olo il 1 l . . . . ll o.lo) lo IV popd ns addez ellop step (lo) . )))) il dl Nill o 1 pllo.). l e \ vi s o I e II º I - ºlns Il pl ſild ou. m. p I Isti, d (Ioli .I l o Io te stili npd a IA QIo III “o.I lº IIaq lp Isl: le ... ! I pun'I plio il pls ns il loI 'Ioi l occod ll o no) in olon. I loro l out o n pm olto toll I pm.op..) un supp loſioli os– uodlo)s upſilo N uomo io) ) – pnbon, p . ll lº un il dl pliol - - u, li updsfiniid uop lo) un molosſ) olci - lon) li supi il oi p. ll ' ºllº IV op) o il lou pm b.o) l i plso. I p.olpo i pl o od uto) ll oi pl). ſuo tolto a sp IV pun uoldo II - orodns ll Po o in l ' loI lod oliſmo lo pnh.o o lo) lo IVmlnpoolpo Intti epp An – mumpm10 in p.l lod ()) lo Il ll ).I.) p.l.' I oITuttI III ottonlaAu ozuos o InluoAAu In II.Iossº a Ip – mlmſ illolo, il sºlº ! "l.l (uoſ Dil pup)s.to.A up loſium IV) - m) lolloq Dl pudos ollo,lto. ll to, l' (uobollſ lnplV sul u Il uoqnm.L  uo uo) p.t lo 0 olp csmp 10 nml 0 1GI) – Dl-lod D p.). oil o oufi pspl ol implodsy tuorlos dou).top!) tunc MoogI uo(I) – 0dnl ll plp.tmnſ ul paoood pl oam (I o.It: Iso – onbop onp m. i tm)S  vo) lo I l Iolu .lnu 'ltoſi lotti lob.to IV) – o.pso.to pºllo,l o I.) olli), D.) Dlfium IV oiltiºp o eso(Is Uztlos o.IO.I.Io o oli; io  -tu! oil.olenb tºp Islu.loqll – mſn.o pllop ollo. ll tod ouapssmd o outlos. l mld (lm):) A o Iedd e osi lo I o lui ottio 5.It: III los IIIl regolº (Ideos e un  “o5 old I un o.In.Ao.I | – plo) o ſi o l.olmnb tod ll sn plo/v. ſi pl tm no. L i lums millim. ſi otto op Is tr.lo.) Iº puoti in ſqu;Il pells optIo :o.Io s.It:puntuonº.oe.I o II.) o sol) I d o III. I tessed Iod o . Il -opze.Ilslp lod Isoo Ilopulº)) eai luus lop o Id e out s Iseill) : 1.I.ood I.If I  “esInI ?lo Id utin lp e.I srl III o II: I – .ooo I o in l uld lp olio lpold l I m/) p.1:) .ooo! I ouolfim. plums lp o un atollm:I'ouoizu: un lp Is.Il luod – ottenso) osta Iop – oli luod und ll amfium IV  ro5.Ioi ole; o Inº Ilop osuos ll lpitI i lo! lo Io lop olzl.it: A1: os Izi Il sod o Iop e Iru.lo Iui ol . -It! - l oro,oo! I II e il III | Io e Aol 5 o [ tt . Ieri lo tel o - o.topro. of I lu um, -ol!) S ll plc) ſi mºllop plumnl muon pun uo. luput al lm Il m lou ſi )lo I l soIAtop lollipº I o il lossl.AA) - Iſſ.Il lº oil.oul e In.).ooo,oº o].Io.. n ...Iosso titill l'Ilodes - ppo. pl uali olo,amp ll o, op todps – outp) todms 'oliloti in lito – o.Il D opup.oul.Ilm mosul pl oulo. o impul loInbul “os III e IIIs a 5II o Im)um. pl/m opII , sotto lo v o 5 e I º plo) tnam.L - I topi.oon o o oddº. Io ottes.I:II .Ipaduti .Iopulo. In “of.In loIII: Ip o Ill.ols Ozzotti II (IIII!) “o.It:) ( p lo) um. m / mons ml opuo.oos ouons ll lao.Il II5 (lo olim on.ipenlis e III.Id nei rioti o Iſo.).on Ip e li s III3o Iod . I -Io(ſti IIA o noso etI - plo) una pl ons pl opuo.o, is ouons ll o un pm im o il (InIr) e ions IoIIII.oti Iq.lodins l oil.i ſi lod pu nu aºasi il Iollos ICI Iso:) o o Io od oris III olio.Ar - o unopm ofli ſi lod i puo IV i trie.Io Ifr I 5o. elos-.InI e o.non ſi ton eso.Il l'Iionſ la vi: - l I.),ol.) o, 1 m.)lum il tonº to, l' I.).Il V e lipo.oo ll ſi opt odm ou up il lun.olui ! :..Ip Ions Is II-latile.Il l I op e III ed otti).I ve IIoII o II o o olni sotto, oi i s .I. I o I.Ialoni ti:III a oIodde.Il l oilo o Ie.Il sotit .Iod » – i loro lºſ oliodm ouum lui.nu. I ouolfin.I n.Il .Iod o orifi-osICI o II love II li Io I o o lo IosnoLI a Io ns i 5o II.) eso.o Ip ol.I.) Io RI... ] I  III o Ip Iso. Il n o In.oso) opo III I – oliſm) l p los lop . () il 0.1 O) ſpi o N . I .IRSI Ind e J a o o-neidsip o II lºso. lei in oso III IoAn – onl.).oo tollou o ond pum o. p. lug  oosn IIIIIIo I. - a.Teit v -o oltratuo.IoluI e III o IIIIp mld a IIIqm IositiI nid IzIA Iop o In mezIo opleIII  “Iuotze.IouI.Iotti IlunoIptII Ipo IV » – ddl I on.o o mlfm) o lo pnfull pun a.taa V – III.Io:I – RIssoII o oli I.) e ossopp ouogo mi fi li “ou upd ll tml ſip.I  Izzotti In olnsuod Io Am mzttas nsa.IdIIII In e Is.Inpſ IIn – noo! I rollo osul ruos polmſ ul tolla IV  IIIo o Iop o Iaisund IsInp nziros editrua o estInIII Iulo Ip -– o opms lou odm o lo o imbum IVIpa e ansa – poi gere occasione – ansa lett. è maniglia, nel figurato  appicco, pretesto.  Arei mantello a ogni acqua – esser pronto al bene e al male, accu In dal si a togli 'osta. Arriluppar l rasche e riole – inventa e se lalse. Mentre il rasli ello - predare, saccheggiare. Gianl). Super di barcamenare – essere ac orto e destro nel condurre i negozi. Mangiare a bertolotto - senza darsi briga o pensiero di dover poi pagare. Il langiare a lla ecc.I?accoglie e i biocc . - ascoltare gli all rili discorsi per poi rappol largli - da bloccolo, particella di lana spiccata dal vello. iellar la broda adosso ad uno – Il colpa l'e. lºom per la cuccu ma li portuliare, alloial e. l?idere agli angeli - l idel e per chè i dolo gii all'1. l?idere sol lo rºm li o le ba)) sori dere di nascosº o con gioia li ali  ziosa di cosa che ad all ' , oli sia pia ere nè oliole e che palesa la tollell (le l'el)))e.  l'issi pissi ciò al lavato i pissi pissi d' A Iglisla . l)av. v Vo I rinata dallo sl repllo che l'anno e labbra di chi lavella piano perchè : il l 'i ll ll sell la . l)a V.  ('olo il c un disegno ed egli lon dal lido si sta al lina o indugio ai colorire il disegno suo . (ilan, b. : effel! lla e ſulello che si era progettato.  (''rcati e ai ſalula di ſalula V g. della verilà lorse da Fallen, piega – scandagliare, investigail e, indagare.  (''rc at ) e della Notn il dl rivolse ogni diligenza sua e dei medici suoi di cercati e della sanità ». l al .  l'utre un laccio ſolise di 'as dei l si compulo all'ingrosso,  slagliare il ci lil , al tribuire al lavoreccio, un valore così in massa senza calcolare per la inintità a ragion di elipo e ti tanti è, fai tutto un moni .lasciar alcuno sul latº metico v. g. di andar cercando... I3oce. I)ire a sor do .... ma se li la cavi di dosso io non li con i radico. Non disse a sordo, che di subito codesto povero gli cavò la tunica di «dosso ». Fiorelll.  Prendere, pigliare, cercar lingua di...... Qllesli andò e cercando lins gua di lui nella cillà....... » Bari. « Poscia mandalo da ogni parte a prender lingua del vero ». I3arl.Fare del buon compagno - fare bus na compagnia. IIo l'alto tanto del buon compagno, che ini gli ho guadagna i fulli o. CaroFa alti ui tornar sulla testa la loro la mei e le Isar I. - farla paga ('il l'il.Guardare, ridere sollecchi – di soppiatſo, alla sfuggita ecc. (V on der Stºile (tm) schielem Valo sbirciaro ).Scaponire - vincere l'altrui ostinazione. Dal pronominale incaponir si, osſimarsi in mºdo duro e goffo.Sgarare – le I. vincer la gara è affine a scaponire, nella frase  sgarare un ragazzo, vincere cioè a forza un suo capriccio. Non lo scam biare con sgarrare. (V. Errare - Pronſ). Sentire del guercio, sentir di scomo –- V . Sentire.'A1'CI 't Old nu duu! OIoolpI.1 'BI (los!p [u optioutod) w' los to Ossip o  'ozzl?IOdoºl H » - UZZou Ip u!A Q. o 110u 'ou JIt', o outu, o – los o ossm () ' 'I.).»r's P.) 12“IU10! (l)ou?uu0s O! (Iool2CI It: 'U.111]utoA tº II u – 1)oot.) m.)so nu m d.tv.).0n1; ) 'o IOIl.A IS JAOI) vr] [toUUlt'.lo(III uu?put! - 1) tilll!), m.) 1)/ .).t.) 1.to.)S 'ou01Zu? Iop1st 10.) t'ZUIJS - 0.o0.1.) .) op iſ.).Jo V '. D.)« » v, IBloJJIds 'd III) tºp tºt! Is to t's Is oilo o] |n) up - opont) tot 1 m/oy.).yoſis '001 un) nu 1 op 11.)sm -- Izzo.I III III Isr).»! 0.10||otils!D - - loud, op - Ool/l), los o//mſ lp orum.omputorit ºp ty.)s )  'old UU10 |su (I - Oulu pm ! tto.1 dl 11) 1.).), do. t/S  : 9IUA 'old U]SI115513.1 al.IU! 15u11:55 U.u oIJ U uit: Ids -- O.tn)so.) ./l 1 v.10.1/12/ 'o1.IU UIoo tº los.IUUI5 Upt?Inn - DSO.) Dun gs.tv.)./of/ '.I)! I 'Or]UJUI - putd] !! ) () [qtis 'out I tºp ! 11.1 | 11: o.11: oo. I - Out of tºub 12 1//s,ºf mun t mel 'OssOpt: " ) 1 ]sorbt u| | | |5.11:J 'ou!]1: | | | |11. | |lt: o.11:D - OUIL1. »It! |'t! ONN op D ! uit 1)(l ! ) to/ju1.1/S  0.1 n itt l! , 01.)sn,l D.1/ ).to/jult/N 'ZL11? IV 't PZ -11,0.1.11 .). O ! | 150 l 1! ) | | | | | | | | | | | | |ollo Z) |O 14 l 12t II 1.1) | 115. | | | | | | | | | |s. Lopo V | 911 01.10.11: | |Ilso 'Oum lll lll Cºlo/s.) 'tt |! o III) lous Is , 111 .) 'out? Ao A1 o II.) o.lolpIto.)  - 1:] oII. 12u011 | 0.11.11: o III 1.) [1: " 1:ssop:( te ) 0111) til lll (7/0)N.) til ll 1.)," ) Boſn.I 1: ).to | | III II) ( silos II! 0.)  -)))N ll o.1 l/1) 1:|ON |l 12% | | |1.1 ||1: o.IJ.Al? | | |) - O.).0ns ll l 1)/ '0.).) DN /l d 11)(I 'lol, | | | o IO It?.)sod III tº trul) lll lp u 1) 1.).nl).) t ss .In Ill lod I]11 |0 |  ol | | | | |rt | 1! » " - IIIIIIls ,, ! 11.01un.ºop 'L11:11 tºp 5 : \ ou nu ºp 1 m.).jp. »  'ſ al l ' ().II.'s 11.11 » II tºt 11op (9.11p 1112111 ºp tot 12 (11: 111 ºp : 1: Ao. Ip 1 o/m.to it, fi /.nl ). 1) 1.).)nds II,7 o | » -10 A ollllll tern Ill Vios tº \"An IIFo, t] too.” Ip 0115os! | 1 o Amº o.112.1 solid 1: Aolo.A » UIou oq.todns o]tiotulp.In 112u trio otl) 115 pal n i1.10 | '' ,,IL1 | 1: is 110II 1: Is -sor op Kotlon III o In Lied rºtti III?looſ) 11:d 11: Oslo.'s!) | . o IoTIII | |sol Istolov  rºzilos Is Irºn LICIs op: \ » - t/m 1.) nofi ol)ns in/s o In tomtof jod o I nl.) mods ', ' II, rs.It?,II). » 12ZI I. »s 't II II !! A  visso , 1110.) ost).) , 'I l ºp 11 f: [1: I. st: 1) u! iſ.) p/lp non I.nl ) , 11 pun inlosm'I  fjm/nl)S nu out. Inm noſ.nl / lo,n Z – 0,7 ml min 1) 10 l/10/0) dºn)' dat dpild tal  'nfin. 1.)s omp o omſifi.nl, un 1m / 'l.In: 4 | 't OLIII » -oji I n Ilsnq oilo oIodus onnºl oil tot 1 ol ozilot lop oIsº IIImºl orn: \ oIlonb Ip » nºu, IJ.).on III u?I nl)n1 m.tto) m osso1)oni o IptºcI ('lul'S II rtloulon.In IIIIIssIntlood » Ip 1: 1.) tºol IJ0 te]II nrub II (),) . ) IIIoI5n.I opIes lp '127 IOJ lenb IIO.) I( ) » 'I InfoS 't Olso] -ord ooit Is pito) m 1a io)jou oIdus oI - o - o Ioll nſ|(In: - 10.1 lol in dit ollo IV ooo optim: IIIA  olte illustr! 15u eIssoipolulo allodsa oInnoptieſ ºm - Onl In dtplosDT 'opond m tav ) I I I I Il.I. t: o Illaptto.) olttotill litio. I tºp - lo sl m puo.).opſ o un m oldm.o.).l ma l (IIII!)o.Ioppi lp elli. A olo.A : o od il plli ll o).olo, lo o ollo. Il rolli Ip oieA Iosso - tel.In I : o lui o li tºp - O.It:) o un.olm p o lui olfi ll o.tolo V so ) ( put.to, ll p .ll.osn ottetto) otI. Il tal. Il tº I otto. Isl: Ill o . I Is - bol oIloo tepul: Il 0.1 [ulos lui , o tu As o le volp lº lll.lo.llol) .ll.)N ) quel!) . .I RUIos Ilºp ou lost. prº.soood o oloA | otteAopuol o le los ti otitº.All. Iuºl , vi: II.os I e zz -UIG.Ii eulº tuo.I tº I o II.it I col eztloloIA :l 55o o II. I ll pp l Il pm.os . I tolti “ouolzuºu e un ostello e Aoi.Iod otto sou.lº 1: tos Il 15o lo os oil. I l -Uuoso Iliou ol! UIoS oleo, ill. Il II si ulltiltos o il tri .I potti il 15 III e III. ll: as op.Iool.I tioN o Ido. Ito. Ip oi lotti :p o .I I I I II, I l o I, lun. 'N Al ( I It:p los Iop 751.I . ile lugds up o A.Ied il 5 pp.to, plus p.).oo. pl o ibIII p opup Is e III Is o o..ot: -) e,l o.IeIddo,os Iod II ll losso - foltº.I s o II il 1 olt: \ l: p.lo. Iº | 12.I | | | | Il trooo.I] e [op o A n.) Il teo.oul º u.).ooo , pp.to, ºlns ul p.). o, pl o il S “.),oo! | Iliº AI.Iolo. I Is tº I. , l:. . . . . . . . .“olons n olons o I veti olioti opzitelli. Io li oi oil I II Is oillo. Io vi: pt. Il'eAlls (ossoI) ollo il Il po o l?.I s S olo ns m , lo s . l'Aopo.I.) Is o [.) o[[onl) Ip ( I. 1.I luo. Iº o II la V A : l I. A 1:( l .) lp Qss pd o ICI : onb.me l o lo us . Il No SN1). I -.). Il re I Il lp 1, 1, do il I so ) . l. (l -oud ul o e lied n.Io Illn e o intito. Il viso | | | | ol i do tal ul A l:( :s-oo e o.Iluo.o tutti i lopuloid lp muli, uo. Il pi is ulloII I llllº solo.Id I o Is.Imp.Io.. e o III o VII . il 1) il fi . ll o il l eso.o e o Ao.ol. oil. I l o A Il 5 o il - vi III i  -tito) Ip o Iniel Ip miss, loolII. Il . Is.I tºp IO.), lº ol n.), uo, pl) lim) I l /  es .) Il fo : III | o elle ol; poi li osto. Noi i pl in I  o.lui iuta il tºp .Io vu: toll o l..) .l. o loo.l.) I l I  o II lotti o I e II li. mld II l .lo I i v. ri II: I pn: I I I I I Il il tul.). Il vl'Ifo II:  ool.IntIo5 outot a o,opo – olº.Iotti: lui o Iosso pri uop uo, o, pil ll . . l oliºfolli: lo ol o elusi o II (1 ptt pil  “eIollo.II on.A mlnq – oſinod III e II o riſpºl u ntlmi il miº ll, i NN, i ll l  all I toulos popu o top li V – pu u m. pl tolo. Il ml) , l ' Ill) Il ll I m sl IV  (uopolosa oa si ſomus.o!) I. (I pillso i tm l lo o psso l'on. 'I l I.) ſuoqmaſoo run II tap ) foll pdl – ma lo u VI top / SI. IN DCI -  -und ll mys unb : osodsII el'uoloA elis e o Infioso e vo vop Is otto. Il 5 l.lo il  po “Ipnos Ip op IISIui Iod olose oilo elodi:) .II In lui: oddo l II ale.II Ionb e olinqII 'u ottIssluſo un ollo II ) , - o lund ll o Ippo) ln () arou alloo olmuuaſi l' opumnh (n.IlIn Iin Io o olibri.nlm.nl) nso.) oa pl pp m II ro.Ino o non limp out il l pts No I.).ool. o.tplli o  .IoI I II.).I l? \ .I - «I – pose II III opud Ip – otInoso) opoIV – ouol)fillo.mſ ul ott 1 V p impos 'vllob.ll, il ll Dul Ssn il lolill L uo(I) o lo pſipd D.lluo o.topm,tollmut pulu. ll.) looo.) o lito.t.too losso noti i plimd lp opuol losso lou I milſild l)  il dſ II o Il pl) il 5 il ril oi lotti lop plAtº t.I sotu ! ! Io l: - olso.it) o toplſ llli uou opolds llo.ool o lo opm ſi pull Dl Ippll llſ lou o tolto. llo.ool o lo upo )  Izzo!) o tool -ms ll o oli uos lp di qll ollllll lp od too ul pllio, ll plotto, un uld lp  l loll (I lo Spºl uo il lun. I tu n = bupl os I loli fini M to(I, 'odulo. ls oillſ plm o lo pnbop,l lod o lo tol ma o um,l lo! I lons ,oo Ilſi o llllllls ,o. lllullS  lo! I Dl.ol)lli p.t.to) m opp.lli ons ll li o l.) e olsn ſi pl, m. l opm. I m/s opuolod l 1 ) Iollfill, l .lo. I l II), noſ) | I l N.1 o V, D.ln / uo, plm tl pl.).om.) m. n.) Duom:I o l.los D. l Il p.) od tuoi olto i ton.) A eCI ) un lato i po.t o, ul, olpm Is u . I  (- Il n.ll l uo il lo)) SNI)| Dp Isl 1 I.)lli S I lil souloI Nm \\ - l 10 pl pluſ ml luo).om.I.L) - di pls lospl oa mi ps lou l I,) lo Iel lli),l o l.lo.) o I molfin. pl Dz.iol pl o il to,  Atº (l o utild lo, “ollo) Il D.l ol li Out o l)ssol l)lloli o topi). l) o. pplli) 0.ool.) ll opo, l I, A 'CI olfils to.) o I.) olod il l lulti ou up I l) li p.to il filºl!)o lotto) oil. Il 1 | Iloil polo lui) li o) p.) Il to il l.s lou lons ll pot l oi l I, ) ufos ll put o lon. ll piu ! I, 'oli.I e le lotti e liti tetti o I. pl ſi fiou.tp.) mlfi fio) sof l I, oliuls l.ol pol I ssop osso lo po. I u.osso M oum. ll u lp o o upd lllllll pol  lt lo l mm.it/ ol). 1. ll l / D I SI onl:) Nm p ... W i tons ) un I.iol 1 m. pl/mq uoq loss  o o d Il 5 o II o II.oni, ons lop Ile ond o Intini - l I. .)oufi mi spºt pms pl).op i pl Qnd un ufi ()  epº.I s I.).ol. II. o II. olio Alio. es . otI.), tºnfi le id o Ie Ip e lo IIIIIII.I Iloil III o o lu mſ plº (lm ollo, lo pſ lou l I, puo il m ollo il pilo.) p.). Dallon, o l.) Ollon h o, o la toil o lom p ll ſi o I.) ollonh lp pp roll l I.) m.).oo) ll ſi o lo onl) ps ls uoi p.).) o il o l uop pl pil in o I. ll I  “) lugl o I][..losO Ip III) -nlillotti e Iluotti lep mln out e tio.Ipel otrosso Joid lp o .I 'elopſ o 5o lp “m.i.a) oa l uop l.luc[.Ieq i lutti lop e tituli lod o .Iugl - p.t.to) O.I luop mld oluti.Ioli onp sulllo alle ol) optio.) ng » - o Imu o. I top m.llo) 0.I luo(I rooogI « allo Iod olionl uonq un lui li ott o) ups m oampum ossOd lo IIOII otlo olopo.A o II.) » – oln.) O.Iones li oli ed i pilo.Id – Olups o o ampu V roo nelll.) lens e lº slº.), i ti so I ep III lº Ions I l I sè.A o II o I z-utellIA In p oil.oun po 'oion lode. In lons illie od o Iupire ole.A o n.oI) Il n.roluntII I II..ms o epilo.o! A nſiti nunoIl lod p) Il p o V » .).oogI pl/lo . m l), m)pum OUI.) oll) Ollion | In AO.I] () otI.).oo!.).Iod » – p) ll. m o impuyChi ha terra ha guerra. Giamb. Volpe recchia non teme laccio. Fier. A buon intenditor poche parole – dal latino intelligenti pauca. Così le intelligenze equilibrate e l'ele. Ma il tedesco pedante: Gelehrten ist gul predigen. L'inglese fa lo spiritoso: rith a clerer one word. Al fran cese è troppo una parola: è un home d'esprit un lemi mot. Indi l'indole (ielle nazioni.Inran si pesca se l'ago non ha esca – , W e nicht gut schmierl, faehrt nich l ſul\ on è il più bel messo che se stesso. Selbst isl del Mann. \ iun bene senza pene. A cine Freud oline Leid).l'aga ben chi paga lo slo - VV e rasch giebl, giebl doppellº. \ on scherzare collo so se non ruoi essere morso. 'Mil grossen 11erren isl nich l ſul lv il Ncl en essen .() gni santo ruol la sua candela. Ehi e le m Eh re gebili rl). l dl ct sino al tiro but N lom tl i ro au) cinem gl o ben I lotz gehört e in I rober A e ill)i quel che non li cale non di nè ben nè male. W as ist nicht ucciss, match t mich nich I heiss . Il ledesco è limigliore dell'iltiliano.Più ricino è il mio dente che nessun parente, leder ist sich sclbst der \ aechsle Nell'italiano, senti l'uomo coscienle della individualità del Sll 'S.Stº l' .Dopo il bere ognun lice il suo parere. Del V e in lisl die Zunge). Pal ere e non essere si è come lila) e e non tessere.Chi di galla nasce, so ci piglia. Dic Ralze latess das Mausen nicht'. (cqua che la cerni mºna. (com). Menare Stille VV asser sind tie'ſ. () / mi legno ha il suo latº lo ogni ctgio ha il suo disagio. ('hi dell'altrui prende le sue liber là rende, ('hi ha dentro fiele non può spillar miele. Dopo il con len lo riene il lor men lo. ('hi parla semina, chi lace , accoglie vergogna! snellere questa sen lenza che è losſ 'a e ricullissima, e si sliluirvi la ledesca, malerialissima : Redeli isl Silber, Schweigheli isl (i old .l grande molle gi andi lan le ne (i rosse i bel erſo dern grosse Mittel). ('ol mollo non sta bene, col poco si sostiene. Mi riclem hatell man (tl N, mi il trºnig kon mi l man (tus).Morla la bestia, morto il veleno. Todle II und beiszt nicht mehr). E' meglio esser capo di gallo che coda di leone.Non si può cantare e portar la croce Gule Mirne zum bisen Spiel mi (tch e nº.Shºm (tco digiuno non spregia cibo alcuno. Il un ger ist der beste Koch . Giuoco che li oppo dura, di ren la seccatura.('hi li oppo l'assottiglia, la scarezza. Ill: uscha, i machl schartig). Chi è bella in rista spesso dentro è Irisla. Fier (Der schinste (piel li atl oil einem VV trim .La donna è come una castagna ch'è bella di fuori e ha dentro la ma il magnat. l oce. I quali ino a quattrino si fa il fiorino.Le fave nel nolaccio , il gran nel polveraccio. Dav. Chi è reo e buono è lenulo può fare il male e non è credulo. Bocc. ('hi ha allar con Tosco non ruol esser losco. Bocc.Alle giovani i buoni bocconi e alle vecchie gli strangulioni. Docc. strangulione lett. è angina, infiammazione delle tonsili. Chi lava la testa all'asino perde il ranno ed il sapone. Ciaballin rimanli al cuoio Schuster bleil bei deinen Leislen). Mal fan coloro che voglion far l'altrui mestiere. Fier. Qual guaina, tal coltello. Qual asino dà in parete, al licere – a chi ſe la fa, fagliele, o se ſu non puoi, tienloli a mente linchè lui possa, acciocchè qual asino dà in a parete la ricerca n. 13oce. Secondo la misura che lati, misura lo sarai. Paga e di tal nome la quali furono le derra le vendulº. Q ual proposta tal risposta. l?ender pan per focaccia - (i leiches mit (, leichem rergellºn . Chi la la, l'aspetti. Chi altri tribola, sè non posa. Chi offende s'offende. 1?l'overbi bellissimi, il [ichi e dell'Ilsci, « che, dice il Meini, giovel'ob be rallimentar sempre, e più a chi l'igne ha più lunghe ».A confortator non duole il capo – e dal confortare all'operare è gran (le diffel'eliza e distanza, e dove l'uno è molto agevole, l'allro è somma Inoli o malagevolo ). Bocc.Luigi Cerebotani. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerebotani” – The Swimming-Pool Library.

 

CERETTI (Intra). Filosofo. Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too! Ceretti distinguishes three stages in the development of a communication system. The first is very primitive, obviously, and avoids the reference to ‘io’ and ‘tu’ as metaphysical – ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he says may be all that some societies need – ‘green’ for this plant – The third stage involves the general concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed entity (animal) can refer to a plant or to an animal like himself or his companion – at this last stage, Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the affectations of the mind being what is communicated – if that’s not Griceian, I do not know what is!” -- I suoi genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di condizioni agiate, lo affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e successivamente ai docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo carattere refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole di disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i membri del gabinetto Vieusseux.  Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli altri.  Soggiorna nella villetta "La Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato alla stampe a Intra con lo pseudonimo di Alessandro Goreni. Trasferitosi alle Cascine a Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”. Adere all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi (Torino).  La sua opera è stata pressoché sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini della filosofia contemporanea in Italia” (‘Ceretti e la corruzione dell'hegelismo’). A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Piero Martinetti Pietro Ceretti. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata presso la UTET di Torino. Gentile. Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia, Milano, Vigorelli.  Dizionario biografico degli italiani,  Opera Omnia D'Ercole, 15 voll., Torino, Vittore Alemanni, Ceretti. L'uomo, il poeta, il filosofo, Hoepli, Pasquale D'Ercole, La filosofia della natura di Pietro Ceretti, UTET, Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia, Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti, in Verbanus, Vigorelli, Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere consideralo come l’ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione, e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum; e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce le specie “Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii. Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente manifeste, troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii individui pur differenti fra loro. Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò non si deve investigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini della specie, ossia nella variazione individuale del specimen. Questa variazione, tuttochè lentissima, modifica col volgere dei secoli le specie, così come la conchiglia microscopica, variando la propria natura, varia il terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva variazione sono di tre ordini, vale a dire: planetarii, psichici, e spirituali. Questi agenti sono progressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario modifica semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai lentamente, la facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p . es ., la natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione geografica e topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare elementare, perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e del suolo. L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente modificabile, appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo neutralizzarsi fra se in una ricca varietà di modificazione. L’agente del secondo ordine e psichico (e no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò più intimo nell’organismo, ossia più essenziale. Un agente psichico modifica l'animale nella sua intima facoltà, ossia una attitudine, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questo secondo agente e nella sua essenzialità un maggiore sviluppo del primo agente naturale plantario, epperciò si manifesta nella generazione susseguente come una profonda modificazione dell’organismo e dell’sstintualità. Questa modificazione non e più mera variazione giusta una astratta affinità, per le quale, p. es ., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifesta come una pura variazione quantitativa dell’istintualità. E una modificazione profonda che diventa la proprietà caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e qualche volta e affatto estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla facoltà della generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie (Homo sapiens) e venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà psichica si modifica sulla base di un istinto più svariato, il quale si neutralizza appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati. L’istinto dell’animali inferiore e tanto più fermo e rigido  quanto meno molteplice e svariato. Questa modificazione causata da un fattore psichico modifica il sistema anatomico e fisiologico, perocchè non e possibile una modificazione psichica sulla base d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E una modificazione profonde, la quale, se qualche volta poco modifica l'ordine anatomico-fisiologico sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto nell’elementi anatomico, nel così detto ordine istologico. La modificazione psichica non spetta, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde modificazioni dell’organismo e della corrispettiva istintualità. Essa rifletta piuttosto la mera individualità animale, epperciò e variabile indefinitamente. La condizione causale di questa modificazione e data dalla ciscostanza nella quale versa un certo individuo animale. Cosi non è solo la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche i varii vegetabili e animali con che vive; perocchè dette varia condizione e sufficiente a modificare l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia circostanza costringe un certo individuo a esercitare preferibilmente una certa facoltà psichica, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo sapiens”, questa facoltà variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi neutralizzato, ossia radicalmente variato, si trasmette alla generazione veniente; e cosi le condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima individuale, preparano il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore veramente spirituale. Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che appartene non alla specie, ma all'individuo animale, ed e un fattore che non più modifica l'anima senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante dell’animale. Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa) possegge un certo quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore. Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani. È questa la ragione per la quale l’animale non solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente giusta un certi statuto di un sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare della proprie osservazione; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al più giovane e trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della categoria istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La categoria spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria psichica (psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel suo amplo uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale, arriva all’esistenza come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente psichico; o come linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come linguaggio assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione proposizionale – la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo ed ultimo stadio, ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale, proprietà *esclusiva* (alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma solamente al primo stadio (psichico) e al secondo stadio (misto) del linguaggio che nasce e si sviluppa nell’animalità sub-umana, pre-razionale. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva nella spiritualità pensante proposizionale, è manifesto piuttosto dal linguaggio ‘muto’ o il gesto di una emozione del corpo e principalmente di quell’emozione della fisio-nomia. Quest’emozione formula un sistema comunicativo, in quantochè manifesta una definita emozione intima con una certa categoria, che, non essendo destinate alla mera soprevivenza o conservazione dello specimen o della specie, non si puo chiamare semplicemente psichica, ovverosia istintuale. L’animale sub-umano, p. es. , lussureggia per una mera sensualità erotica – omo-erotica, come Socrate ed Alcibiade --, la quale non può essere destinata in verun modo alla propagazione della specie dei Grecci! Così pure due specimen giovani di animale giocano (la lotta greco-romana) colla vivacità propria dell’età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all’educazione e destrezza corporale dell’individualità . Così il padre non solo alimenta il suo figlio, ma l’educa e disciplina ad una pratica operazione requisita dalla propria specie, locchè dimostra che l’ingenita istintualità non puo bastare, ed abbisogna dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che ha già vissuto praticamente nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente di questo o quello gesto, il quale segna non solo una definita emozione dell’animo, ma una certa anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio, mentare, mentire). Così, per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che altre volte fu nocivo, puo involuntariamente fuggire guaiolando. Il gesto segna naturalmente la paura. Qui certo v’ha una psichica emozione provocata da una simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere legata alla *memoria* della *sensazione* originaria, la quale memoria appunto costituisce una determinazione *equivoca*, mista, psichica o mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che incluse un svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante una modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola) non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo, assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole, animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età dell’animalità. Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla specie (una rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore,  non solo lo specimen si distingue dalla specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi, p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase, costituiscono l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale dell’animale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell’organismo dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo costituiscono. L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza; perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente, l’animale sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso; perocchè la co-scienza e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo” e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo” (pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*. Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon) ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce* soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la risposta ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione (la risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto (che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente, ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come memoria), epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo oggetto. Una terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha osservato. Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria, dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato, un numero imaginario) , tuttochè le semplici categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal “non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io (il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale, di piroti viventi e di pensanti , non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante, ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza. Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo, parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente . Cosi un soggetto è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso. Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente. In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non possiede, come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed insubordinabile al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del soggetto. Quest’idea prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è stata il primo germe del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non perchè sommamente ragionevole, ma perchè onnipotente. Nella religione spiritualmente più adulta rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l’attributo eminentissimo del sacro. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di essere stato lattante, di essere stato partorito, e cosi pure può sapere che OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre una certa mnassima età, ma morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa *che* il soggetto non solo nasce (si genera) e muore (corruption), ma può nascere in varie condizioni e morire in qualsivoglia momento della sua vita. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della co-scienza realizzato la prima volta che la co-scienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo (Adamo) prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non moriva, ed avendolo gustato dovrà morire. Veramente la co-scienza senziente non può sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione *trasmessa* (il trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero un'idea indotta dal fatto costante della morte. Questa crisi della co-scienza, ci manifesta che la co-scienza, dalla sensazione svolgendosi nella mentalità , procede in un sistema di distinzioni ideali o possibile o concettuali e astratte che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prototipicamente *imitatrice* o inconica della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la *forma logica* della sensazione stessa , che progressivamente si trasforma in quella del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche funzioni -- attenzione, memoria, ed imaginazione . Da queste tre prototipiche funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato temporaneo, e vive nella retrospettiva del passato, e nella prospettiva dell'avvenire. Questo conflato temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l’immediato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità inducibile dall'osservazione. Da quest’osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra. Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l’uomo nasce e muore, e finalmente che *io*, come uomo, ma no come persona, sono nato e devo morire. L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un’idea comunissima, è lungi dall'essere tale. La co-scienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte come un fatto costante. Ma, come la riſlessione, non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia necessario. Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l’uomo. Ma suppongono parimenti che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sfortunata accidentalità. La co-scienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione individuale. Ma proprie determinazioni non affettano un sistema generale della co-scienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della co-scienza è pienamente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comune in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato, ossia profetico, taumaturgico, e così via. Generalmente parlando, questa co-scienza trascendente subordina la comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità  romana ed etrusca. Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica contradittoria o contraria o opposta a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze generali della pratica oggettività, allora si dice che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso comune ( in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività naturale e spirituale (in questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza trascendentale, ossia la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza essenzialmente poetica, è il polo opposto della co-scienza dominata dalla sensazione, co-scienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità , a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della sua storia. La funzione più essenziale e più generale della mentalità è la comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio del trasmesso è l'uso di una radice designativa – de-segna – segna. Qui io non segno che una presentazione o un modo di una presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie dello spazio e del tempo. Il pronome personali non fu primitivamente io e tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua , ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and th’other, thatness, thisness), ecc. , categorie dello spazio. Un sistema di comunicazione che consta di radici semplicemente per la che io de-segno non può soddisfare alle esigenze più generali della mentalità , epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio consta della combinazione di una radice con la che de-segno con una radice pre-dicativa, ma tuttavia legate a una sensibile determinazione; cosi, p. es., per designare un oggetto , si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto, p.es., il verde per designar la pianta, il bianco per designer la neve. Quest’attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi o barbari, i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie o il genus o l’universale, ma semplicemente oggetti in certe sensibili condizioni . Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggelto; come, p . es . , define la pianta non l'individuo verde, ma l’individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende ogni pianta; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. Il gesto è posseduto da ogni animale come inezzo psichico di movimenti o di formalità; ma il gesto che caratterizza la soggettività è appunto il trasmesso psichico che si svolse nella spirituale. La prima radice segna una mera affezioni dell'anima e più tardi si svolse in un segnato meta-forico, per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale fisico *espresso* dall'anima e l'anima esprimente (segnante) è quello stesso rapporto, ma più complesso, per il quale un animale segna con un certo definite gesto certa definite affezione della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l’inezzo per segnarla, si conobbe come specie comune. Il primo sistema di comunicazione quasi naturale deve essere stato pressochè identico in ogni umano, come ogni pecora bela, ogni cani abbaia ed urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e trasmesso senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La communicazione è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato, infatti , in molte sue opere. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande opera, cioè  Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “Prolegomeni,, Torino, pag. 43 e ss. ( confr. anche ibid ., pag. 291 e susseguenti). Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale, pag. 26 e seg.; nella Introduzione alla cultura generale (facente parte del predetto vol.) , pag. 120 e seguenti. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite. L'uomo che possedette questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una aggregazione o società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degli altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità . Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio o barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario (il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite.  Nel 1884 mi furono mandati a casa, in Torino, dal benemerito libraio Loescher tre grossissimi volumi intitolati Paselogices Spe cimen Theoo editum . Intri, etc. Un filosofo di nome Teofilo Eleutero era a tutti ignoto ; e non fu poca la mia mera viglia nel vedere come un'opera filosofica così voluminosa, scritta e stampata in latino, avesse potuto sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda età , specialmente allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento filosofico . La curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse, mi fe' tosto gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di Prolegomena, e che, come subito vidi , era una Introduzione, o Propedeutica che voglia dirsi , a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle prime pagine del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del l'ammirazione: sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero entusiasmo. Io mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano di alto ingegno e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che quelli di una Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo stesso. Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il quale m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome Pietro Ceretti , dalla cui figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per prenderne conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo della figlia , essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che poco di poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la paralisi progressiva. Io continuai , naturalmente , a leggere e stu diare la preziosa opera , ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del filosofo , essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della posizione filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il ricordo, mi si conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa personalità . Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle poche notizie seguenti . Nato il 1823 , e assolti bene o male, anzi piuttosto male che bene, i primi elementi della sua istruzione, cominciò a trarre qualche profitto in un Collegio di Gesuiti a Novara , ove fu qualche tempo , uscendone il 1840. È una singo lare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' Gesuiti, avesse proprio da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto maggiore e un vero inizio di studi serii IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 29 furon da lui fatti a Firenze, ove si recò subito dopo, mettendosi in relazione cogli uomini del famoso Gabinetto Viessieux e con sacrandosi tutto agli studî' di lingue, lettere e scienze. Quanto a lingue, tra il tempo che fu a Firenze e gli anni che immediatamente seguirono , ne apprese parecchie tra antiche e moderne, allo scopo non solo di legger libri negli idiomi ori ginali, ma anche di viaggiare, per prender diretta notizia di uo mini e cose. Infatti, cominciò subito a viaggiare percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche la Svizzera, la Francia, la Germania , l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che fece nella prima giovinezza si allargarono e di vennero più intensi , quando dopo i viaggi si ritirò nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi cominciò anche a scrivere opere di vario genere, segnatamente filosofiche. Nella sua carriera di scrittore passò per varie fasi, che io ( nella mia opera intitolata Notizia degli scritti e del pensiero filo sofico di Pietro Ceretti) ho designate e descritte come fase poe tica , fase filosofica in genere ed hegeliana in ispecie, fase di tran sizione, fase utopistica e riformativa della società civile , e fase ultima del pensiero cerettiano, la quale è quella del così detto si stema contemplativo. Ad ognuna di queste fasi corrispondono opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del pensiero cerettiano gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali opere, se si consi dera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa addirittura ingente , che versa su tutte le parti dello scibile. Ceretti , infatti, fu un pensatore e scrittore veramente universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di scritti , ricor derò innanzi tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica, la quale gli scaldò tanto la mente ed il cuore, che gli fe ' dire : Cari poeti, voi dell'alma mia Foste il primo verissimo Messia . Ad essa appartengono le opere poetiche (di genere romantico ): Eleonora di Toledo ; il Prometeo ; il Pellegrinaggio in Italia ; le Poesie liriche : inoltre, queste altre (di genere giocoso, satirico e filosofico e scritte anche in tempo posteriore alla giovinezza) , le Avventure di Cecchino, e le Grullerie poetiche. A queste opere scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra scritta in prosa e pur facente parte di questa prima fase , cioè quella intitolata Ultime Lettere d'un profugo e costituente un romanzo sul genere del Werther di Goethe e del Jacopo Ortis di Foscolo. Questa prima fase nella quale la mente del Ceretti è ancora incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata dall'aspira zione di lui ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de' grandi uomini del suo tempo e di quello che immediatamente 30 COENOBIUM 1 lo precede. Il che egli stesso riepiloga ed esprime dicendo : « In giovinezza io fui innamorato e delirante alla Werther, patriota furibondo alla Jacopo Ortis, stravagante alla Byron , dolorante alla Leopardi , misantropico alla Rousseau , satanico alla Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente miserabile alla mia propria maniera » . Alla seconda fase, che contiene il pensiero filosofico più emi nente e più compiuto del Ceretti , appartiene -- oltre ad un primo abbozzo di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza — la grande opera latina predetta Pasælogices Specimen . Il pensiero filosofico di tal fase ha il fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi del pensier cerettiano costituiscono poi una ulteriore deviazione tanto dal pensiero hegeliano in genere, quanto dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed esposto in que st'ultima. Come prima deviazione e ad un tempo come transi zione alle fasi susseguenti si possono considerare la Sinossi del l'Enciclopedia speculativa ; le Considerazioni sul sistema della Na tura e dello Spirito ; l'Insegnamento filosofico : le quali opere hanno ancora spiccatamente il carattere di filosofia teoretica ed enciclopedica. La nota principale della suddetta deviazione è che al Logo assoluto, il quale nella grande opera latina diviene il principio cerettiano riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de terminatamente e accentuatamente sostituito il principio della Co scienza assoluta, Coscienza, che , a dir vero, era già apparsa nella stessa opera latina . Quale ulteriore deviazione , ma specificamente appartenenti alla fase utopistica riformativa della società civile , vanno ricordate le opere intitolate Sogni e favole e Proposta di una riforma civile . Oltre ad esse, vanno ricordate anche queste altre , le quali però sono scritte in forma di romanzi, cioè , i Viaggi utopistici ; l'Inconclu dente ; Don Simplicio ; Don Gregorio ; il Protagonista , e qualche altra . La deviazione massima è in quegli altri scritti , che rappre sentano più spiccatamente l'ultima fase , nella quale il Ceretti per viene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui designato, come è detto , col nome di sistema contemplativo. I pensieri di quest'ultima fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua vita , come per esempio, per nominarne alcuni , nella Vita di Caramella e nelle Memorie postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi , benchè già nuinerosi, non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, es sendovene una quantità ancora notevole , che possono esser nomi nati scritti varii ed ai quali appartengono: Biografie, Autobio grafie (tra queste , notevolissima, La mia Celebrità ), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato d'Astronomia e un Trattato di Medicina. Come vede il lettore , quella che io chiamava una ingente IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 31 massa di scritti , e versante sulla universalità dello scibile , non è una denominazione esagerata, ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea sommaria degli scritti del filosofo intrese . Per cio che concerne il filosofo propriamente detto , egli va considerato rispetto al corso della filosofia in genere ed al periodo filosofico idealistico tedesco in ispecie , nel qual periodo si riat tacca alla maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la hegeliana. Egli si apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno studio e conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello scibile, sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze positive e naturali d'ogni specie ; seconda mente, di quelle attinenti alla filosofia propriamente detta . Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera del nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle diverse età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana ) e in genere ne' testi originali de ' medesimi ne ha dato un saggio no tevolissimo egli stesso nel primo volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni. Ma nella Storia della filosofia uno de' periodi che egli più ha studiato e conosciuto è il predetto periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di essa, come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel , si ne' secondarii e pur importanti del medesimo, come Herbart, Schopenhauer ed altri . In questo periodo era naturale che quello che massimamente attraesse e legasse il suo spirito fosse Giorgo Hegel , siccome quello che compendia in sè, primamente la Storia filosofica generale e, in secondo luogo, lo stesso speciale periodo tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come quello che ha raggiunta la più alta forma di speculazione nella scienza filosofica, sopratutto nella disciplina logica . Considerando il filosofo tedesco in tal modo, è naturale che egli nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a lui . Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che voglian dirsi . In conseguenza di ciò egli si propose da una parte , di additare questi vizii , dall'altra, di correggerli . E la correzione, che costituiva per lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la filosofia cerettiana stessa , quale è conce pita ed esposta nella predetta grande opera latina. Ciò posto , seguiamo ora tal pensiero filosofico cerettiano ne suoi tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo come la predetta su prema manifestazione della coscienza filosofica, ei l'accoglie nel general fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che ven gono da lui riassunti ne' seguenti principii generali : 1 ° L'assoluto è l'Idea ; 2 ° l'Idea concreta è lo spirito ; 3° l'essenza concreta ed asso luta dello Spirito è l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea , nella quale evoluzione consiste il processo metodico di 32 CENOBIUM quest'ultima , avviene e deve avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto , come dice Hegel (dem Begriffe nach ). Rispetto a tali principii designati come hegeliani non che come veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va però osservato, che di essi non può essere ritenuto come schiettamente e veramente hegeliano il terzo ; giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito non è l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e semplice soltanto, e però immediata ed astratta , non ancora dialetticamente esplicata e , mediante l'espli cazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e concreta dello Spirito è per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente logica ( da Idea logica ) si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea naturale o Natura) , e, attraverso di questa , è giunta a coscienza di sè, ossia è divenuta spirituale , o, che vale lo stesso , è divenuta Spirito. In altri termini, l'essenza concreta assoluta dello Spirito è la Coscienza dell'Idea, ovvero è l'Idea conscia di sé, mentre l'Idea logica hegeliana è ancora inconscia. Per cio che concerne i mancamenti e vizii della dottrina he geliana, essi , secondo il Ceretti concernono l'evoluzione dialettica dell’Idea , o , che vale lo stesso, concernono l'Idea nel suo pro cesso ( esplicazione) dialettico. Un primo vizio generale in tale evoluzione è per lui quello che nella logica hegeliana concerne il Prius e il Risultato dell'Idea. Notoriamente per Hegel, benchè l'Idea sia , da una parte , il prin cipio universale assoluto, e, dall'altra il principio iniziale dell'evo luzione dialettica assoluta, principio iniziale che farebbe come il Prius ideale dialettico , pur non di meno pel filosofo tedesco il vero Prius dell'Idea non è questo iniziale , ma quello finale a cui l'Idea perviene come Risultato del processo dialettico , risultato finale che è propriamente lo Spirito, ossia l'Idea pervenuta a co scienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero Prius non è l'Idea logica, ossia l'Idea pura ed estratta , ma lo Spirito, che è l'Idea che col processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or questo Prius che Hegel pensa e pone come vero è invece dal Ceretti ritenuto falso, perchè pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico prestigioso e sconforme al vero ordine lo gico , che deve avere e seguire il Logo ( Logo che, come tosto si vedrà , è il principio specifico assoluto cerettiano sostituito alla Idea hegeliana) . Accanto a questo vizio generale , egli trova e addita vizii particolari affettanti l'Idea come logica naturale e spi rituale. I vizii spettanti all'Idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre e da lui stesso brevemente indicati come segue: Il primo è che nell'esplicazione dialettica dell'Idea logica la genesi di questa sia « una genesi della Nozione dalla Non-Nozione » . Il secondo è che l'esplicazione dialettica dell' Idena logica è piut tosto un'astratta esplicazione delle categorie, anzichè un concreto IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 33 un ri immanente processo di esplicazione ed implicazione. Il terzo è che il processo dialettico dell'Idea logica hegeliana è piuttosto un Logo astratto astrattamente esplicantesi e riassumentesi in sultato , anzichè la sanzione ( o affermazione) di sè stesso nella con creta immanente ed assoluta verificazione della propria posizione, dialettica e riassunzione ( 1 ) . Il primo de' tre vizii indicati, riproducendo il mentovato ge neral vizio del Prius, ei lo determina meglio designandolo come processo inconscio dell'Idea logica, processo che Hegel pensa appunto come inconscio ed il Ceretti pensa e vuole invece come conscio. E può dirsi che su tal coscienza dell'Idea logica poggia il punto cardinale della differenza dell'Idea hegeliana dal Logo cerettiano. Quanto al vizio concernente l'Idea naturale, esso è in grosso quello stesso dell'astrattezza, testè rilevato , o , che vale lo stesso , della non raggiunta realtà dell'Idea nel farsi naturale. Infatti, dice egli , l'Idea logica , estrinsecandosi e divenendo Natura, rimane in quello stato astratto e puramente e semplicemente ideale che ha come Idea logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice , cioè a farsi vera realtà naturale. E finalmente, quanto allo Spirito , od Idea hegeliana spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa prestigiosità speculativa ( speculativa prestigiositas ), che ha trovata e rilevata per la Logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio in nanzi mentovato dell'Idea hegeliana, che cioè essa sia un Risul tato, diviene più specifico nello Spirito, in quanto questo , conce pito da Hegel come l'Idea che dal suo Esser-altro ( cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa , ha appunto il carattere speciale di essere un Risultato e non una realtà , a dir cosi , ori ginaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti l'Idea nelle sue varie forme, logica , naturale e spirituale , ne rileva alcuni altri secondarii; ma noi , limitandoci alla indicazione de ' fonda mentali, passiamo ad indicare le corrispondenti emendazioni di essi . Preposto che alla Idea hegeliana egli in genere sostituisce il Logo, principio universale ed assoluto anch'esso, la prima generale emendazione, concernente il Prius ed il Risultato dell'Idea innanzi esposti , è fatta dal Ceretti nel senso che il Logo è oiginariamente conscio e non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii dell'Idea logica propone come emendazione ( 1 ) Mi piace di riferire colle stesse parole latine del Ceretti il predetto triplice vizio : cioè , « Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu prolegome norum designata , est primo, quatenus notionis a non-notione progenesis ; secundo, quatenus categoriarum abstracta explicativ, potiusquam concreta explicationis et implicationis immanens contraprocessuosilas ; tertio , quatenus abstractus er plicativce dialectica logus in abstracta resumptione, potiusquam in concreta positionis, dialectica et résumptionis immanente absoluta verificatione suun ipsum sanciens » . Pasael. Spec. vol . II , p. 6 . CENOBIUM , Vol. III, Anno II, Marzo - aprile 1908. 3 34 CENOBIUM e però riformazione, che il primo venga emendato mediante il principio della generale coscienza logica della Nozione od Idea hegeliana : il che importa che il Logo sia una Nozione ( Idea) che si genera dalla Nozione stessa e non già dalla Non-nozione ( No zione inconscia) . La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso anche colla generale emendazione predetta del Prius e del Risultato. La emendazione del secondo vizio è dal nostro filosofo otte nuta col propugnare ed effettuare che la genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un processo astratto di sola espli cazione , ma secondo un processo concreto di esplicazione ed im plicazione insieme : nel qual processo concreto i momenti astratti di esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò la loro unità . Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il Logo assoluto in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione ( risultato) , ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di tutto il corso esplicativo , costituendo così un processo e controprocesso, in cui ogni mo mento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi all'Idea naturale hegeliana , la emenda zione ( stata già implicitamente accennata nella critica fatta di essi ) consiste in quella che il Ceretti appella la naturazione del Logo. E cioè, mentre Hegel concepisce la Natura siccome l'Idea ritornante a sè stessa dal suo Esser- altro (dalla sua esternazione ed alterazione) , il Ceretti invece pensa che la Natura non è sol tanto ciò , ma è e dev'essere reale naturazione del Logo, ossia reale incarnazione ed obbiettivazione del medesimo. E da ultimo, quanto all'emendazione del vizio dell'Idea spi rituale, essa nel complesso è quella già rilevata nella critica fatta del vizio , e consiste nel concepir la medesima, ossia lo Spirito , siccome Logo originariamente conscio e non divenente tale per risultato d'un processo. Le predette generali e fondamentali emendazioni , accanto ad altre subordinate e secondarie , son quelle che nella esposizione ed esecuzione delle Idee filosofiche costituiscono la filosofia cerettiana riformativa della hegeliana , e filosofia riformativa che forma il contenuto della più volte mentovata grande opera del Ceretti , intitolata Saggio di Panlogica. Questo Saggio è un'opera veramente colossale ed è l'enciclo pedia filosofica cerettiana , modellata sulla nota corrispondente En ciclopedia hegeliana ( Encyclopädie der philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Il Ceretti concepì la propria Enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volumi : il primo (i prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia ; il secondo contenente ( col nome di Esologia ) l'e sposizione della Logica e Metafisica ; il terzo, il quarto , ed il una con un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 35 quinto ( col nome di Essologia ) costituenti la trattazione ed espo sizione della filosofia della Natura nelle sue tre parti della Mec canica, della Fisica e della Biologia (od Organica) ; il sesto, il settimo e l'ottavo (col nome di Sinautologia ) designati a trattare la Filosofia dello Spirito, distinta anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia, Antropopedeutica ed Antroposofia . Di questa vasta concezione ed esecuzione il principio fonda mentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in fondo alla Esologia, Essologia e Sinautologia : Logo che, come si è detto , in Ceretti piglia il posto e la generale significazione del l'Idea di Hegel. Il Logo Cerettiano, come quest'ultima, è l'uni versa ed assoluta realtà , e realtà con preminente carattere ideale , comprendente in sè la realtà logica, la naturale e la spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo ; tanto più veramente assoluto , in quanto , non meno e forse ancor più dell'hegeliano, abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di Idealismo apparse nel corso storico della filosofia, si in generale le antecedenti all'Idealismo tedesco , si in modo più speciale quelle di quest'ultimo , cioè gli Idealismi subbiettivi Kantiano e Fichtiano , l'Idealismo obbiettivo Schellinghiano , non che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano. Questo carattere di universalità ed assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una delle cose più spiccanti , più notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia filosofica del filosofo intrese. Quanto al principio assoluto del Logo , va parimenti rilevato , che , per la natura conscia del medesimo innanzi additata, esso vien dal Ceretti designato anche come puramente e semplicemente Coscienza : per modo che Coscienza e Logo ricorrono quasi pro miscuamente nella Enciclopedia cerettiana ed anche in altre opere posteriori) come espressive e determinative del principio assoluto. È bene , inoltre, rilevare che tal principio assoluto e dal nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto l'Assoluto, il quale corrisponde in tutto e per tutto al Logo e alla Coscienza consi derati come assoluti . Ciò fa intendere come pel Ceretti l'elemento conscio costitui sce il carattere essenziale del suo principio assoluto , ossia del suo Logo in tutto il suo ambito , mentre per Hegel l'elemento conscio è caratteristico e specifico dello Spirito propriamente detto, ossia dell'Idea giunta a coscienza di sé . Ciò farà, d'altra parte, pari menti intendere come il filosofo intrese ponga come riformativa dell'hegelianismo la proposizione : L'Assoluto è la Coscienza . Per cio che concerne la designazione del principio assoluto, rilevo ancora che, ad esprimere il predetto principio assoluto, egli adopera tante altre volte anche le parole Idea, Nozione, persin Pensiere , come Hegel. Ma, se le espressioni son varie, il senso e valore fondamentale del suo principio è quello del Logo pen sato come Logo conscio o Coscienza (assoluta). Conformemente a ciò ( e in grosso conformemente all'hegelia 36 CENOBIUM con nismo) il Logo vien pensato nella sua intrinseca natura e nel suo processo dialettico. Nella sua natura il Logo vien considerato in tre diverse forme di esistenza, cioè, quale è in sè, quale è per sè, e quale è in sè e per sè. La considerazione del Logo in sè stesso costituisce la predetta Esologia (da sis, és, dentro e hópos) , ossia la dottrina logico- metafisica del Logo ; quella del Logo fuori di sè costituisce la Essologia ( da few fuori, in latino Exologia) , ossia la dottrina ( filosofica ) della Natura ; e quella del Logo in sè e per sė, o come il Ceretti la dice , del Lago in sè e con sè, costituisce la Sinautologia ( da suv e autos, con stesso ), ossia la dottrina dello Spirito . Degno di rilievo è inoltre che il Logo in sè pel filosofo in trese è il Logo nella sua Subbiettività, il Logo fuori di sè è il Logo nella sua Obbiettività, e il Logo in sè e sè il Logo nella unità della sua Subbiettività e della sua Obbiettività, ossia è il Logo subbiettivobiettivo, che è poi il Logo assoluto. È bene parimenti rilevare che come il Logo per lui è per eccellenza il Logo conscio , il quale è poi lo Spirito o la Coscienza , così si de signano egualmente lo Spirito e la Coscienza nella loro Subbiettività, nella loro Obbiettività, e nell'unità della Subbiettività e dell'Ob biettività. Il predetto triplice modo di essere della natura del Logo soggiace ad un processo esplicativo , che costituisce il pro cesso dialettico , appellato anche metodo dialettico. Questo pro cesso metodico ha , tanto per Hegel quanto per Ceretti , tre mo menti anch'esso. Questi momenti, che il filosofo tedesco appella comunemente dell'in sè , del per sè e dell'in sè e per sè , dando loro il valore e significato di momento immediato o intellettivo ( della speculazione dell'Idea ), di momento mediato o razionale negativo , e di momento immediato e mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal Ceretti appellati ( nel complesso però con valore e significato simili a quelli di Hegel) momenti della Posizione, Riflessione e Concezione. La posizione , come la parola stessa indica, ha il valore e significato di quella che comunemente ( in Fichte , Schelling ed Hegel) , ricorre come tesi , mentre la ri flessione ha significato e valore di contraddizione ( opposizione, an titesi ) e la Concezione significato e valore di conciliazione degli opposti, sintesi della tesi e dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del Logo ( quelle di Eso Jogo , Essologo e Sinautologo con le corrispondenti dottrine di Esologia, Essologia e Sinantologia) costituisce per Ceretti i tre Cicli di quest'ultimo. Cicli che , mentre son tre , pur ne costitui solo sotto triplice forma : costituiscono cioè il Logo assoluto unitrino . Un altro punto pur degno di rilievo e caratteristico è il modo come Ceretti determina la considerazione filosofica o speculativa de tre Cicli . La considerazione del primo, ossia dell'Esologia , è per lui il pensiero del Pensiero ( cogitatio cogitationis) quella del scono un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 37 ma secondo o dell'Essologia è il Pensiero del Pensato ( cogitatio cogi tatis ), e quella del terzo, o della Sinautologia, è il Pensiero del Pensante ( cogitatio cogitantis ). Anche nell'hegelianismo il Pensiero assoluto è identificato col l'Idea assoluta, in quella guisa che il Ceretti identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo assoluto. Però nella espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un significato più specifico, e propriamente questo , che cioè l'Esologia è la considerazione del Pensiero in sè stesso , del pensiero puro hegeliano e potrei an che soggiungere, della ragion pura kantiana ; l'Essologia è la considerazione del Pensiero del Pensato , cioè del Pensiero non più in sè, puro ed astratto , del Pensiero estrinsecato ( fatto per sè ) , obbiettivato ; e la Sinautologia la considerazione del Pen siero del Pensante, cioè del pensiero come esistente ed esercitan tesi nel subbietto pensante. Potrei dire che la predetta triplice considerazione è quella del Pensiero puro e semplice, quella del Pensiero come obbietto di sè medesimo ( estrinsecatosi fuori di sè nella Natura ), e quella del Pensiero astratto ed operante come proprio subbietto ( nella Coscienza del pensiero stesso o nello Spirito ) . Dopo le antecedenti generalità , passiamo a considerare parte per parte il Logo nelle sue tre forme di esistenza nella logico metafisica ( Esogia) , nella naturale ( Essologia) e nella spirituale ( Sinautologia ). La dottrina logico -metafisica, conformemente alla hegeliana, è pur distinta in tre parti che anche per lui , come per Hegel , son quelle dell'Essere, dell’Essenza e del Concetto : solo che queste nel filosofo tedesco si susseguono nel modo indicato e nel filosofo intrese mutan posto , diventando primo il Concetto , secondo l'Es sere e terzo l’Essenza . Questo mutamento di posto nella serie porta poi naturalmente con sè un corrispondente mutamento nel processo dialettico. Le dottrine di queste tre parti così spostate hanno in Ceretti i nomi speciali di Prologia, Dialogia e Autologia . La prima con sidera il Logo esologico, o logico -metafisico, nella astratta iden tità del Pensiero , la seconda nella differenza di esso , e la terza nella unità sintetica dell'identità e della differenza del Pensiero stesso. Non credo che il nostro filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire l'ordine de' tre principii fondamentali predetti . Ma, checchè sia di ciò , è bene di allegare la ragione dell'invertimento da lui ritenuto razionale e necessario . La quale, a suo credere , è che per il Logo conscio, o che vale lo stesso, per la Coscienza il primo ( Prius) prologico ( cioè il primo con cui deve cominciar la logica) non dev'essere nè indeterminato , come sono l'Essere di Hegel e di Rosmini, nè determinato , come sono l'Io di Fichte e la predetta Ragione di Schelling , ma dev'essere lo stesso Prius, nel quale sieno implicitamente contenute tanto la indeterminazione 38 COENOBIUM quanto la determinazione. E un sì fatto Prius pel Ceretti è la Proposizione, che è il primo ed iniziale momento della sua Pro logia, il quale è più primitivo e più semplice del Giudizio che ne costituisce il secondo, al quale poi segue il terzo unitivo de' due primi, che è il Sillogismo. Quanto alla natura de suddetti momenti della Prologia, la Proposizione è la immediata ed indistinta coscienza logica, la quale , appunto per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva . Il Giudizio invece è la coscienza logica, che dalla indistinzione od indifferenza si esplica e passa nella subbiettività ed obbiettività di sè medesima. E da ultimo il Sillogismo è la subbiettività della coscienza logica , la cui attività consiste nell'e splicare se stessa , esplicazione di sè stessa , che in fondo è poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto generale de' momenti della Prologia , il nostro autore passa a considerare e determinar ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo metodico trico tomico della Posizione , della Riflessione e della Concezione. Conformemente a ciò , distingue la Proposizione in posta, ri flessa e concepita ; e in posto, riflesso e concepito, distingue e de termina parimenti sì il Giudizio che il Sillogismo. La trattazione ed esposizione di ciò è amplissima, specialmente quella del Sillogismo ; ed è non solo amplissima, ma anche note volissima per le molteplici determinazioni logiche ed ontologiche non che illustrazioni ed applicazioni d'ogni genere alle diverse parti dello scibile e della stessa realtà . La trattazione è di tanto interesse che è degnissima di esser presa da ognuno in considerazione anche oggi alla distanza di una sessantina d'anni, dacchè fu pensata ed esposta . Non potendo entrare nelle particolarità a far intendere il pensiero cerettiano sì nella concezione de' momenti della predetta Prologia sì nel passaggio da questa alla Dialogia, allegherò un luogo nel quale l'autore lo riepiloga, e che è questo . « Il pen siero prologico ( 1 ) , uscito (passato) dalla sua generalità formale ( cioè dalla proposizione) colla particolarità formale della sua gene ralità ( cioè col giudizio) nell'unità formale della sua generalità e della sua particolarità ( cioè nel sillogismo ), si concepisce come sistema metodico della razionalità, ossia come forma assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme pensabili insegna che il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è sistema all'in fuori del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non può essere fatto (posto ) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il sistema assoluto del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò l'Assoluto non può esser concepito altrimenti ( 1 ) Cosi a pag. 125 della Ragione Logica di tutte le cose , vol . II Esologia , nella versione dal Latino di Carlo Badini, Torino, 1890. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 39 che nella forma sillogistica ; questa concezione porta con sè la ne cessità logica di sè , poichè è la Nozione della Nozione. Il sillogi smo assoluto , come prologico , non è più che la formalità ( la forma assoluta del Logo, la quale invoca l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso . Quindi il sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua obbiettività im plicita assoluta ; questa obbiettività è la verità della subbiettività sillogistica assoluta » . Ciò posto , quella che ora effettua il passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dialogia, che per eccellenza è la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola , sono in grosso quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti queste parole del filosofo intrese : « La categoria , dic'egli ( 1 ), è propriamente la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come necessaria ; e la cate gorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della speculazione filo sofica e la più alta concezione dal Pensiere umano Nè meno im portanti in proposito sono gli additamenti ch'egli fa intorno alla evoluzione storica delle categorie presso i diversi filosofi e corri spondenti scuole che spiccano intorno ad esse . Per cio che concerne le categorie trattate e sviluppate nella Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere, dell’Essenza, e del l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per eccellenza ; e da queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti mo . menti subordinati, ma non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il Logo generale ed indeterminato (est Logus Conscentiæ generalis) , ma esso si particolarizza e de termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici. Per esem pio, si distingue e particolarizza come qualitativo, quantitativo e modale, sorgendo così le categorie della qualità, della quantità e della modalità (misura ). Ed inoltre l'Essere nella sua stessa gene rità ( innanzi alla predetta particolarizzazione dunque) è essere , non essere e divenire ( esse , non - esse , fieri); come, d'altra parte , le categorie della qualità, quantità e modalità alla lor volta si distin guono e particolarizzano in altre. Chi conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette ca tegorie cerettiane la simiglianza con le corrispondenti hegeliane ; ed è forse questa la parte , nella quale il Ceretti si tiene più da vicino a quello ; mentre in altre parti vi sono non poche dissi miglianze. ( 1 ) Nel predetto citato volume della Esologia , pag . 132 . 40 COENOBIUM ecc. Dall'Essere il processo dialogico conduce alla seconda cate goria fondamentale predetta, cioè alla Essenza la quale non è altro che la particolarizzazione dello stesso Essere ( Esse suam absolutam particolaritatem adeptum est Essentia ). Ciò che si è detto avvenire per la categoria fondamentale del l'Essere avviene anche per l’Essenza, che cioè anche questa , alla sua volta distinguendosi e particolarizzandosi in sè medesima, ne produce di ulteriori , come quelle del fondamento, della sostanza , della materia , ecc. E quanto alla terza categoria fondamentale, cioè l'Esistenza , essa è l'unità dell'Essere e dell'Essenza . Ognuno nella Existentia riconosce l'Esse come particolarizzato ; ma d'altra parte, nella particolarizzazione dell'Essere si specifica e manifesta anche l'E lemento dell'Essenza, per forma che l'Esistenza risulta siccome una manifestazione dell'Essenza ( Exsistentia est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza dà anch'essa origine ad altre categorie subordinate , come realtà, necessità , La terza parte della Logica ( o della Esologia ) cerettiana, cioè l'Autologia, si fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fon damentali, che son quelle di Sapere, Volere, Agire, ( Scire, Velle, Agere ), le quali sono in corrispondenza di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica hegeliana, e che sono l'Idea del conoscere (die Idee des Erkennens ), l'idea del bene ( die Idee des Guten ) e l'Idea assoluta ( die absolute Idee ). Va però osservato che il volere e l'agire che in Hegel si congiungono nella Idea del Bene , e costituiscono la Idea pratica , in Ceretti appariscono, al contrario , come momenti e categorie distinte . Questa terza parte della Logica del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di quelle in cui il Ceretti è come più originale e più indipendente da Hegel . Il modo rome il filosofo intrese vede la distinzione, la relazione e la unificazione del Sa pere, del Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stu pendo e di vero , e lo si vede più chiaramente e più determina tamente di quel che possa vedersi nel, pure grandissimo, filosofo tedesco . Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in Hegel sono come ancora implicati e inviluppati, in Ceretti ricorrono come più sviluppati e ad un tempo più sistemati . Il pensiero cerettiano dell'Autologia è ( secondo che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere filosofico del Ceretti) che « l'Assoluto è la Coscienza logica che si sistematizza in se stessa , per quindi sistemarsi fuori di sè ( 1 ) allo scopo finale di sistemarsi in sè e per sè come assoluta unità di sè stessa. L'Au tologia costituisce un sillogismo assoluto ( cioè una connessa tri plicità assoluta ), i cui termini sono i predetti di Sapere , Volere , Agire. Nella Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del Volere, ( 1 ) Nel Volere c'è , infatti, esterîorazione del Saputo. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 41 il volere è l'essenza del Sapere, l'agire è l'esistenza del Volere ; e tutti e tre insieme costituiscono l'unitrinità della Coscienza » . Anche le tre predette categorie si distinguono e particolariz zano in altre . Il Sapere si svolge ne ' momenti subordinati (i quali son categorie anch'essi) di Sapere immediato, mediato, assoluto ; il Volere si distingue e particolarizza alla sua volta nelle forme ca tegoriche di Volere subbiettivo , obbiettivo e assoluto ; e l'Agire nelle sue corrispondenti di Agire attuoso ( agire come atto puro e semplice ), Agire volonteroso e Agire concettuale ( 1 ). Questo è in breve il concetto e disegno della prima parte della grande opera enciclopedica del nostro filosofo . La seconda parte, quella del Logo fuori di sè o del Logo nella sua obbiettivazione , cioè la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione ; e trattazione in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed indipendente rispetto alla corri spondente parte della Enciclopedia hegeliana. Essa è per noi italiani tanto più importante, in quanto non vi è in Italia , neppure presso i nostri filosofi maggiori moderni, una sola opera che , prima di questa del Ceretti , meriti il nome di filosofia della Natura nel senso ampio, vero e moderno della parola. Io ho scritto su questa parte della grande opera cerettiana tre lunghissime Introduzioni ai tre volumi che vi si riferiscono, le quali, riunite insieme e pubblicate sotto il titolo di Filosofia della Natura di Pietro Ceretti, formano un'opera di ben 487 pagine; e in questa ho ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto ciò . Quanto al cenno che posso farne qui, specialmente a cagione della vastità di trattazione che ha nel Ceretti , esso non può con sistere in altro se non nella pura e semplice indicazione del di segno, della materia e dell'andamento della trattazione stessa . Premessa la determinazione della posizione e del concetto della filosofia della Natura nel Sistema panlogico , egli passa alla considerazione di un punto importantissimo, quello cioè della evo luzione storica della concezione filosofica della natura , evoluzione che, secondo lui , passa per tre gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica , la forma estetico-teologica ( o sentimentale) la forma empirico -matematica ( o intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta ( o concetturale) . E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste forme, giungendo all'ultima , ossia alla hegeliana, alla quale egli si riattacca, ulterior mente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di difettivo . Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura, dividendola come abbiam detto in Meccanica , Fisica e Biologia , conformemente alla Natura distinta in sè stessa in meccanica , fi ( 1 ) Queste tre azioni (o funzioni ) categoriche dell’Agire il Ceretti le designa come Agere actum, Agere voluntatem e Agere notionem . 42 CENOBIUM sica e biotica ( vivente ). Carattere costitutivo della Natura mecca nica è la quantità, della fisica la qualità, e della vivente l'unità della quantità e della qualità, la quale unità è poi la modalità o la misura della medesima. Quanto all'unità inscindibile delle tre parti distinte e de' corrispondenti tre ' caratteri della natura , sono notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese . Cioè : Il meccanismo é ove è la fisica ( la natura fisica ), e la fisica é ove è il meccanismo ; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura vivente » . Ad intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto filosofico delle predette tre parti e de ' tre predetti corrispondenti caratteri , il nostro filosofo arreca un esempio illustrativo , che è bene di riprodurre anche qui . « Il meccanismo, dic'egli , suppone necessariamente l'esteriorità reciproca dei suoi termini ; quando questa esteriorità , passata nella sua interiorità , nella sua unità in separabile, trascenda sé a sè esteriore, non versa più in un piano ( campo) meccanico, il quale ammetta per sè alcuna intrinsecazione qualitativa della esteriorità meccanica, ma versa propriamente nella natura fisica del meccanismo ( in mechanismi physi ), la quale è la quantità passata nella sua qualità che deve esplicarsi. Così , ad esempio, in qualunque modo supponiamo il ferro, diviso, figurato, posto in movimento, ecc. , esso non cessa di essere ferro. E quando per azioni esterne, come ad esempio, per l'ossidazione, cessi di essere ferro, non consideriamo tali azioni come meccaniche, perchè due modi della materia (l'ossigeno e il ferro) sono divenuti un solo modo (neutrale), il quale non ammette più alcuna coalterio rità esterna ( 1 ) di fattori (essenzialissima al meccanismo, ma è in sè l'unità qualificata de' quanti , la natura fisica del meccanismo » . La quale unità è poi la vita, ossia , quel « principio , com'ei dice , grazie al quale l'alteriorità meccanica si neutralizza fisicamente , e la neutralità fisica si alteriora ( si fa altra ) meccanicamente : il che , in quanto è nella circoscrizione essologica ( naturale) , è la vita » . Ciò posto , egli , concependo la natura meccanica o il « mec canismo come il sistema della quantità » , passa alla reale consi derazione e corrispondente sistemazione filosofica di tutti i prin cipii (detti anche categorie naturali ) della medesima come spazio , tempo, moto , ecc. Conformemente a ciò , concependo la natura fi sica parimenti come il sistema della qualità » , svolge i principii o categorie naturali di essa, come etere ( o materia eterea) , luce calore, magnetismo, elettricità ecc. E s'intende che ciò che è detto della natura meccanica e della fisica, va detto anche della natura sivente, della quale, come unità concreta delle due antecedenti, si vvolgono, determinano e sistematizzano i corrispondenti principii e momenti. Questi principii , coi relativi sistemi vitali , sono nella loro generalità e progressività evolutiva la vita cosmica od uranica, la vita geologica e la vita fito -zoologica. ( 1 ) Per questa intende la predetta reciproca esteriorità de' termini . IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 43 La vastità di conoscenza delle discipline naturali non che la forza speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e collocarne i prin cipii nel suo vasto disegno del Sistema pantologico sono tali da fare del Ceretti una delle menti filosofiche più vaste e più profonde del nostro paese. Col terzo volume della Filosofia della Natura, che è il quinto della grande opera panlogica, questa rimase interrotta ; però se rimase interrotta, la iattura non è stata nè intera nè irreparabile. Giacchè i cenni e relativi concetti riformativi anche della terza parte del sistema panlogico già delineati primamente ne' Prole gomeni, poscia qua e là considerati negli stessi quattro susseguenti volumi , son tali e tanti da potersi fare un concetto chiaro e de terminato anche di esso. Ma, per giunta ed ulteriore integrazione di questa, l'autore ha lasciato in italiano due opere (scritte dopo dell'opera latina) , che concernono proprio questa terza parte, cioè le due già mentovate intitolate , l'una, Considerazioni sopra il si stema generale dello spirito ecc. ( Torino 1885), l'altra , Sinossi del l'enciclopedia speculativa ( Torino 1890, da me pubblicata e con mie note ed introduzione) . Un brevissimo cenno anche di questa terza parte è il seguente: Quanto al concetto , obbietto e partizione di essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del Logo o della Coscienza assoluta , e la seconda la obbiettività , questa terza rappresenta l'assoluta unità delle medesime : assoluta unità , che vien cosi ad essere la Coscienza subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Co scienza obbiettiva subbiettivata. Or questa Coscienza risultata tale è ciò che il Ceretti ( conformemente ad Hegel) appella comune mente anche Spirito, il quale è appunto l'obbietto di questa parte da lui denominata Sinautologia. Intanto , siccome lo Spirito , benchè già sorgente nella stessa animalità , pur non giunge alla sua reale manifestazione, esistenza e verità (1 ) se non nella umanità , così divien questa lo speciale obbietto della Sinautologia. La quale perciò è dal nostro filosofo , designata come speculante l'Uomo, primamente nella Subbiettività secondamente nella Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolu tezza del medesimo : Assolutezza, che è l'unità della Subbiettività e dell'Obbiettività. Di questa triplice considerazione, o meglio speculazione, la prima costituisce ciò che egli chiama l'Antropolo gia, la seconda l'Antropopedeutica, la terza, l'Antroposofia. I lettori che conoscono la dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della dottrina cerettiana colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella di Spirito subbiettivo, spirito ob biettivo e Spirito assoluto . Senonché, se c'è simiglianza nella ge nerale concezione, c'è anche una notevole differenza nella partico ( 1 ) L'uomo, dice il Ceretti , è la concreta verità dello Spirito ( Homo est spiritus concreta veritas ) . 44 CENOBIUM lare trattazione della medesima. Per dire ancora qualche cosa della concezione e partizione cerettiana della predetta Sinautologia rileverò che l'Antropologia considera l'Uomo come Subbietto gene rale . E come tal Subbietto consiste dell'elemento fisico o corporeo e dell'elemento metafisico ( come il Ceretti lo chiama) ossia ani mico , così essa è primamente Psicofisiologia ; indi considera nel generale subbietto umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed è Noologia ; in terzo luogo , la mente, o l'attività teoretica , si realizza come attività pratica e allora l’An tropologia nel suo terzo momento è Prasseologia o dottrina del l'azione (spirituale) . La Psicofisiologia, la Noologia e la Prasseo logia hanno alla lor volta principii , ossia momenti subordinati , e vengono anche questi considerati , accolti e sistemati nella An tropologia L'Antropopedeutica, all'opposto della Antropologia che consi sidera l'Uomo subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella obbiettivazione della propria subbiettività : la quale obbiettivazione costituisce , primamente, la dialettica mondiale u mana e produce ciocchè si appella la Storia ; è in secondo luogo « il Logo sistematico della dialettica obbiettiva » , che in senso lato è ciocchè si appella la Didattica ; e in terzo luogo è la « stessa obbiettività sistemata nel Subbietto » , che è quella che si designa col nome di Diritto. Che anche queste tre parti dell'Antropopedeutica (Storia, Di dattica, Diritto ), si sviluppino, particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività , principii , ecc. , lo s'intende da sè ; e cosi viene assolta anche questa parte della Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di questa , cioè l'Antroposofia, la quale ha che fare coll'Uomo considerato nella sua assolutezza , ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua attività artistica , religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e produzione del bello, del buono e del vero me diante l'ispirazione estetica : la Religione e l'apprensione, rivela zione e culto del divino, e tramezza la manifestazione estetica e la concezione filosofica ; la Filosofia sviluppa la immediata ap prensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto. La triplice ed assoluta attività dello spirito , artistica , religiosa e filosofica costituisce l'ultimo e supremo sillogismo del Logo as soluto o della Coscienza assoluta , e con esso si chiude il Sistema panlogico. Tale è in nuce il vasto pensiere filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per ciò che è riferito in queste poche pagine rimando il let tore ai miei molteplici lavori intorno al Ceretti, specialmente alla « Notizia degli scritti e del pensiere filosofico » di Pietro Ceretti, non che alla « Filosofia della Natura » del medesimo. E sog giungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 45 ha occupato due decenni di studi della mia vita , son presso a finire l'ultima mia opera : opera che consiste in una estesa e par ticolareggiata esposizione di tutto intero il suo Sistema panlogico , compresa la Sinautologia. Ho forse speso intorno a lui più tempo di quel che conveniva per i miei propri studî e lavori ; ma non me ne pento, non solo perchè egli è stato di giovamento a questi stessi , ma specialmente perchè ho contribuito a far conoscere un uomo, che fa onore grandissimo alla filosofia in genere e alla filosofia italiana in ispecie. ‘Alessandro Goreni’. Pietro Ceretti. Keywords: communication, convention, homo sapiens, pirothood, inter-subjective, animality, animalness, soul, psichico, psychic, psychical versus psychological, progression, pirotological progression. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceretti” – The Swimming-Pool Library.

 

CERONETTI (Torino). Filosofo. Grice: “I like Ceronetti; he is a typicall Italaian philosopher; that is, a typically anti-Oxonian one; he thinks, like Croce and de Santis did, that philosophy is an infectious disease that some literary types catch! My favourite of his tracts is “Diognene’s torch”! Genial!” Per essere io morto all'Assoluto vivo come un innato parricida tra gente già di padre nata priva; pPer aver detto all'Inaccessibile addio da un cortiletto senza luce vergogna vorrei gridarmi ma resto muto. Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare di ruota senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo. Di vasta erudizione e di sensibilità umanistica, collabora con vari giornali. Tra le sue opere più significative vanno ricordate le prose di Un viaggio in Italia e Albergo Italia, due moderne descrizioni, moderne e direi dantesche, da cui vien fuori tutto l'orrore del disastro italiano, e le raccolte di aforismi e riflessioni Il silenzio del corpo e Pensieri del tè. Di rilievo la sua attività di saggista (Marziale, Catullo, Giovenale, Orazio). Diede vita al teatro dei Sensibili, allestendo in casa spettacoli di marionette. Le sue marionette esordivano su un piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano Laziale. Si consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele cotte." Nel corso degli anni vi assisterono personalità quali Montale,Piovene, e Fellini. Con la rappresentazione de La iena di San Giorgio, I Sensibili divenne pubblico e itinerante.  In Difesa della Luna, e altri argomenti di miseria terrestre, suo saggio d'esordio critica il programma spaziale da prospettive originali e poetiche. Il fondo Guido Ceronetti -- "il fondo senza fondo" -- raccoglie infatti un materiale ricchissimo e vario: opere edite e inedite, manoscritti, quaderni di poesie e traduzioni, lettere, appunti su svariate discipline, soggetti cinematografici e radiofonici. Vi si trovano, inoltre, numerosi disegni di artisti (anche per I Sensibili), opere grafiche, collage e cartoline. Con queste ultime fu allestita la mostra intitolata Dalla buca del tempo: la cartolina racconta.  Prese posizione a favore dell'eutanasia, con la poesia La ballata dell'angelo ferito. Beneficiario della legge Bacchelli, in quanto cittadino che ha illustrato la Patria e versante in condizioni di necessità economica. Robbe-Grillet, Moravia e Ceronetti al Premio letterario internazionale Mondello. Palermo Proposto dal controverso critico e politico Sgarbi come senatore a vita a Napolitano, declina subito l'invito. Attento alle tematiche ambientali, era noto per essere un acceso sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente frugale, quasi da moderno anacoreta.  Solo un vero vegetariano è capace di vedere le sardine come cadaveri e la loro scatola come una bara di latta. Un mangiatore di carne (non mi sento di scrivere un carnivoro perché l'uomo non è un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C'è come un velo sulla retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull'anima, che gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di carne o di pesce. Alcuni suoi articoli sull'immigrazione (disse che ha "un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa") e il Meridione, pubblicati sui quotidiani La Stampa e Il Foglio, furono tacciati di razzismo, così come scalpore fecero alcune posizioni da lui espresse sull'omosessualità maschile, accusate di omofobia. In precedenza sull'argomento si era attirato gli strali dei cattolici per aver descritto don Bosco come un omosessuale represso. Intervistato nel  per Radio Radicale Come articolista, principalmente su La Stampa e il Corriere della Sera, si occupava spesso di letteratura, arte, filosofia, costume e cronaca nera (ad esempio scrivendo sul caso del delitto di Novi Ligure), analizzando il problema del male nel mondo odierno in una prospettiva gnostica; al contrario giudicava noiosi i processi di mafia. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento giornalistico a difesa del capitano delle SS Erich Priebke (che visitò in carcere e con cui ebbe uno scambio epistolare), condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine ma che fu soltanto un mero funzionario esecutore, colpevole della "miseria di non essere un santo" (parafrasi del saggio di Bloy La tristezza di non essere santi), e creato Mostro delle Ardeatine, vittima di una giustizia dell'odio. Allo stesso modo, pur esprimendo sempre la sua simpatia per gli ebrei e per Israele, per convinzioni personali e la sua parentela acquisita con Giuliana Tedeschi, definì l'ergastolo inflitto a Hess, al processo di Norimberga, come un crimine politico. La sua posizione anticonformista pro-Priebke e pro-Hess fece scandalo essendo l'autore un noto filosemita, con moglie e suocera (superstite di Auschwitz) ebree nonché convinto filoisraeliano (scrisse articoli di fuoco contro Khomeini e il terrorismo palestinese).  Nel  fu insignito del premio "Inquieto dell'anno" a Finale Ligure. Ostile al fascismo nella seconda guerra mondiale e al comunismo poi, ma anche diffidente delle forme della democrazia, non prese mai parte politica attiva, a parte un brevissimo periodo in cui ebbe la tessera del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, fino al , quando intervenne al congresso dei Radicali Italiani, movimento liberale e libertario, e altre volte ai microfoni di Radio Radicale (era amico di Marco Pannella), anche se si considerava un "conservatore" e patriota del  Risorgimento (descrisse l'Italia come «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il verme totalitario, democristiano, comunista e sindacale»). Talvolta fu definito come un "reazionario postmoderno". «Sono sempre stato anticomunista. Il Mullah Omar e Osama Bin Laden sono modi dell'antiumano. Dietro di loro... l'ombra di Lenin, inviato della Tenebra, fondatore imitabile dell'universo concentrazionario, capostipite novecentesco di malvagie entità che non finiscono di manifestarsi.»  (Ti saluto mio secolo crudele) Nel  propose in un articolo su la Repubblica, ispirandosi al fenomeno delle assistenti sessuali per disabili, l'istituzione di un "servizio erotico volontario" rivolto agli anziani senza che dovessero rivolgersi a prostitute, per evitare "la barbarie di una vecchiaia senza sesso". Fece uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet Gayuk, il filosofo ignoto (riferimento a Louis Claude de Saint-Martin, filosofo così chiamato), Ugone di Certoit (quasi l'anagramma di Guido Ceronetti) e Geremia Cassandri.  Morì nella sua casa di Cetona (SI) dopo un breve ricovero a causa di broncopolmonite. Come da disposizione testamentaria, dopo tre giorni e una cerimonia religiosa a Cetona, fu sepolto sulle colline tra Torino e il Monferrato, in una tomba a terra situata nel cimitero di Andezeno (Torino), il paese di origine dei genitori.  Disposizione da prendere. Non voglio donne in calzoni ai miei funerali. Cacciatele via. Almeno in questa pur insignificante occasione, ma per amore, siano insottanate come le ho sognate sempre, nella vita.»  Altre opere: “Difesa della luna e altri argomenti di miseria terrestre” (Rusconi, Milano); “Aquilegia, illustrazioni di Erica Tedeschi, Rusconi, Milano, con il titolo Aquilegia. Favola sommersa, Einaudi, Torino); La carta è stanca” (Adelphi, Milano); La musa ulcerosa: scritti vari e inediti, Rusconi, Milano); Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina, Adelphi, Milano); La vita apparente, Adelphi, Milano); Un viaggio in Italia, Einaudi, Torino); Albergo Italia, Einaudi, Torino); Briciole di colonna. La Stampa, Torino); Pensieri del tè, Adelphi, Milano); L'occhiale malinconico, Adelphi, Milano); La pazienza dell'arrostito. Giornali e ricordi, Adelphi, Milano); D.D. Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Tra pensieri, Adelphi, Milano); Cara incertezza, Adelphi, Milano); Lo scrittore inesistente, La Stampa, Torino, Briciole di colonna. Inutilità di scrivere, La Stampa, Torino, La fragilità del pensare. Antologia filosofica personale Emanuela Muratori, BUR, Milano); La vera storia di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria, Einaudi, Torino, N.U.E.D.D. Nuovi Ultimi Esasperati Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Piccolo inferno torinese, Einaudi, Torino); Oltre Chiasso. Collaborazioni ai giornali della Svizzera italiana, Libreria dell'Orso, Pistoia, 2004, La lanterna del filosofo, Adelphi, Milano); Centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra editrice, Lavis); Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano); In un amore felice. Romanzo in lingua italiana, Adelphi, Milano, , Ti saluto mio secolo crudele. Mistero e sopravvivenza del XX secolo, illustrazioni Guido Ceronetti e Laura Fatini, Einaudi, Torino, , L'occhio del barbagianni, Adelphi, Milano, , Tragico tascabile, Adelphi, Milano, , Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano, , Per non dimenticare la memoria, Adelphi, Milano, , Regie immaginarie, Einaudi, Torino,   Guido Ceronetti, Poesia Nuovi salmi. Psalterium primum, Pacini Mariotti, Pisa); La ballata dell'infermiere, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Poesie, frammenti, poesie separate, Einaudi, Torino, 1968 Premio Viareggio; Opera Prima; Poesie: Corbo e Fiore, Venezia); Poesie per vivere e per non vivere, Einaudi, Torino, Storia d'amore ritrovata nella memoria e altri versi, illustrazioni di Mimmo Paladino, Castiglioni & Corubolo, Verona); Compassioni e disperazioni. Tutte le poesie, Einaudi, Torino, Disegnare poesia (con Carlo Cattaneo), San Marco dei Giustiniani, Genova, Scavi e segnali. Poesie inedited, Alberto Tallone, Alpignano, Andezeno, Alberto Tallone Editore, Alpignano, La distanza. Poesie, Edizione riveduta e aggiornata dall'Autore, BUR, Milano, Preghiera degli inclusi, Alberto Tallone Editore, Alpignano, senza data Francobollo, Alberto Tallone Editore, Alpignano (sotto lo pseudonimo Mehmet Gayuk), Il gineceo, Alberto Tallone, Alpignano, febbraio 1998; Adelphi, Milano, In memoriam di Emanuela Muratori, Alberto Tallone, Alpignano, Messia, Tallone, Alpignano, Adelphi, Milano, , [nella prima parte del libro] Tre ballate recuperate dalle carte di Lugano, Alberto Tallone, Alpignano, Tre ballate popolari per il Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano; Pensieri di calma a bordo di un aereo che sta precipitando, Alberto Tallone, Alpignano; A Roma davanti al Tulliano Notte del 3 dicembre 63 a. C., Alberto Tallone, Alpignano, Con l'armata dell'Ebro morire oggi, Alberto Tallone, Alpignano; Invocazione al Dottor Buddha perché venga e ci salvi, Alberto Tallone, Alpignano; Le ballate dell'angelo ferito, Il Notes magico, Padova, Poemi del Gineceo, Adelphi, Milano, , [riedizione de Il gineceo  con inediti e nuova prefazione] Sono fragile sparo poesia, Einaudi, Torino, , Drammaturgia Furori e poesia della Rivoluzione francese. Carte Segrete, Roma, Alcuni esperimenti di circo e varietà. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Spettacolo per marionette ideofore, ricordi figurativi di Giosetta Fioroni, Becco Giallo, Oderzo, 1988 Viaggia viaggia, Rimbaud!, Il melangolo, Genova, La iena di San Giorgio. Tragedia per marionette, Alberto Tallone, Einaudi, Torino); Il volto (Ansiktet), Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Le marionette del Teatro dei Sensibili, Aragno, Torino [contiene: I Misteri di Londra e Mystic Luna Park] Rosa Vercesi, un delitto a Torino negli anni Trenta, Teatro Strehler-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano, Rosa Vercesi, illustrazioni di Federico Maggioni, Edizioni Corraini, Mantova; Traduzioni e curatele Marziale, Epigrammi, introduzione di Concetto Marchesi, Einaudi, Torino, II ed. riveduta, Einaudi, Torino; nuova edizione con un saggio di G. Ceronetti, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta e nuova prefazione di G. Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, I Salmi, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta, Einaudi, Torino; col titolo Il Libro dei Salmi, Adelphi, Milano, 1985, Catullo, Le poesie, Einaudi, Torino, Adelphi, Milano, . Maurice Blanchot, Il libro a venire (Le Livre à venir), trad. G. Ceronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino; Il Saggiatore, Milano, . Qohelet o l'Ecclesiaste, Einaudi, Torino, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova traduzione ; Qohelet. Colui che prende la parola, Adelphi, Milano,  Decimo Giunio Giovenale, Le Satire, Einaudi, Torino, La Finestra Editrice, Trento, Il Libro di Giobbe, Adelphi, Milano, Premio Monselice di traduzione, nuova ed. riveduta, Adelphi, Milano, Cantico dei cantici, Adelphi, Milano, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova versione riveduta, . Il Libro del Profeta Isaia, Adelphi, Milano; nuova ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano, Come un talismano. Libro di traduzioni, Adelphi, Milano, 1986. Konstantinos Kavafis, Nel mese di Athir, Edizioni dell'elefante, Roma. Konstantinos Kavafis, Tombe, Edizioni dell'Elefante, Roma, Giovenale, Le donne. Satira sesta, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Nostradamus: annunciatore nel secolo 16. della Rivoluzione che durerà dal 1789 al 1999 / profezie estratte dalle Centurie di Michel de Nostredame, Alpignano, Alberto Tallone Editore, Tango delle capinere, Castiglioni & Corubolo, Verona. Due versioni inedite da Shakespeare e da Céline, Cursi, Pisa, Teatro dei sensibili, La rivoluzione sconosciuta. Pensieri in libertà per ricordare. Una scelta di testi Guido Ceronetti, Tallone, Alpignano, col titolo La rivoluzione sconosciuta, Adelphi, Milano, raccolta di 44 locandine teatrali a fogli sciolti dalla mostra-spettacolo di Dogliani] Henry d'Ideville, Oggi, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Constantinos Kavafis, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data Georges Séféris, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Sofocle, Edipo Tyrannos. Coro, Edizioni dell'Elefante, Roma (con Cristina Chaumont) Sura 99. Al Zalzala (Il tremito della terra) dal Corano, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Il Pater noster. Matteo 6, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza, con un saggio di G. Ceronetti, traduzione di Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Piccola Biblioteca n. 330, Adelphi, Milano, Giorni di Kavafis. Poesie di Constantinos Kavafis, Officina Chimerea, Verona, Messia, Alberto Tallone Editore, Alpignano; Adelphi, Milano, .nella seconda parte del libro, Siamo fragili, Spariamo poesia. i poeti delle letture pubbliche del Teatro dei Sensibili , Qiqajon, Magnano, 2003 Tito Lucrezio Caro, I terremoti. De Rerum Natura. Alberto Tallone, Alpignano, Constantinos Kavafis, Un'ombra fuggitiva di piacere, Adelphi, Milano, Trafitture di tenerezza. Poesia tradotta, Einaudi, Torino, François Villon, I rimpianti della bella Elmiera, Alberto Tallone Editore, Alpignano, . Orazio, Odi. Scelte e tradotte da Guido Ceronetti, Adelphi, Milano, . Epistolari Guido Ceronetti e Giosetta Fioroni, Amor di busta, Milano, Archinto, Due cuori una vigna. Lettere ad Arturo Bersano, Prefazione di Ernesto Ferrero, Padova, Il Notes Magico, Guido Ceronetti e Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere, Milano, Adelphi, . Spettacoli del Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Tragedia per marionette (allestito in appartamento), prodotto dal Teatro Stabile di Torino, con Ariella Beddini,  Simonetta Benozzo, Paola Roman e Manuela Tamietti, regia di Egon Paszfory (Guido Ceronetti), scene e costumi di Carlo Cattaneo Macbeth (spettacolo per marionette allestito in appartamento) Lo Smemorato di Collegno (anni '70, spettacolo per marionette allestito in appartamento) Diaboliche imprese, trionfi e cadute dell'ultimo Faust (spettacolo per marionette allestito in appartamento); Fu interpretato al Festival di Spoleto da Piera degli Esposti, Paolo Graziosi e Roberto Herlitzka, con la regia, scene e costumi di Enrico Job I misteri di Londra (allestito in appartamento); prodotto dal Teatro Stabile di Torino, regia di Manuela Tamietti, con Patrizia Da Rold (Artemisia), Luca Mauceri (Baruk), Valeria Sacco (Egeria), Erika Borroz (Remedios) e le marionette del Teatro dei Sensibili. Furori e poesia della rivoluzione francese. Tragedia per marionette (allestito in appartamento); al Teatro Flaiano di Roma con i burattini di Maria Signorelli Omaggio a Luis Buñuel prodotto dal Teatro Stabile di Torino, Mystic Luna Park (prodotto dal Teatro Stabile di Torino), spettacolo per marionette ideofore con Armida (Nicoletta Bertorelli), Demetrio (Guido Ceronetti), Irina (Laura Bottacci), Norma (Paola Roman), Yorick (Ciro Buttari) La rivoluzione sconosciuta, mostra-spettacolo all'ex-convento dei carmelitani a Dogliani Viaggia viaggia, Rimbaud! (prodotto dal Teatro Araldo di Torino, in occasione del centenario della morte di Arthur Rimbaud), regia di Jeremy Cassandri (Guido Ceronetti) con Melissa (Manuela Tamietti), Norma (Paola Roman), Francisco (Gian Ruggero Manzoni), Yorik (Ciro Bùttari) e Zelda (Roberta Fornier) Per un pugno di yogurt, collage di poesie Les papillons névrotiques (al Cafè Procope di Torino) con la partecipazione di Corallina De Maria La carcassa circense, spettacolo per marionette, azioni mimiche, cartelli, organo di Barberia con Rosanna Gentili e Bartolo Incoronato Il volto, dedicato a Ingmar Bergman in occasione dei suoi ottant'anni Ceronetti Circus ovvero Casse da vivo in esposizione pubblica, letture di poesia, azioni sceniche mimiche e intermezzi musicali con Elena Ubertalli e Giorgia Senesi M'illumino di tragico, collage di testi e pantomime liriche; in tournée anche con il titolo I colori del tragico Rosa Vercesi (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano), con Paola Roman, Simonetta Benozzo e Luca Mauceri Una mendicante cieca cantava l'amore (2006, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) con Cecilia Broggini, Luca Maceri, Elena Ubertali e Filippo Usellini Siamo fragili, spariamo poesia, collage di testi poetici, ballate e canzoni Strada Nostro Santuario (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) filastrocche, canzoni, ballate, azioni mimiche, happening e numeri di repertorio popolare La pedana impaziente (), repertorio di marionette e azioni sceniche mimiche Finale di teatro (, al Teatro Gobetti di Torino) con Fabio Banfo, Luca Mauceri, Valeria Sacco, Eleni Molos, Filippo Usellini Pesciolini fuor d'acqua (), con Luca Mauceri e Eleni Molos Quando il tiro si alzaIl sangue d'Europa (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in occasione del centenario della prima guerra mondiale) con Eleni Molos, Elisa Bartoli, Filippo Usellini, Luca Mauceri e Valeria Sacco Non solo Otello (al Teatro della Caduta di Torino) Novant'anni di solitudine (, a Cetona in occasione dei novant'anni dell'autore), con Luca Mauceri, Filippo Usellini, Eleni Molos, Valeria Sacco, Fabio Banfo, Salvatore Ragusa e Elisa Bartoli Ceronettiade. Deliri e visioni di Guido Ceronetti (, a Cetona in occasione dell'anniversario della nascita dell'autore), con Luca Mauceri, Eleni Molos, Valeria Sacco, Filippo Usellini Cataloghi di mostre L'Atelier dei Sensibili a Dogliani, Michela Pasquali, Dogliani, Biblioteca civica Einaudi, (catalogo della mostra nell'ex Convento dei Carmelitani a Dogliani). Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. I collages di cartoline d'epoca del Fondo Guido Ceronetti, cura di Diana Rüesch e Marco Franciolli, Archivi di cultura contemporanea, Museo Cantonale d'Arte Lugano, Poesia marionette e viaggi di Guido Ceronetti nelle visioni di Carlo Cattaneo, Paolo Tesi e Maurizio Vivarelli, Comune di Pistoia, Dare gioia è un mestiere duro: trent'anni più due di Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti, Andrea Busto e Paola Roman, fotografie di Mario Monge, Marcovaldo, Nella gola dell'Eone. Ti saluto mio secolo crudele. Immagini del XX secolo. Tutti i collages di immagini dedicati al ventesimo dell'era da Guido Ceronetti, Il melangolo, Genova, "Per le strade" di Guido Ceronetti, Omaggio allo scrittore, Diana Rüesch e Karin Stefanski, Cartevive, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini-Fondo Ceronetti, Lugano, Opere audiovisive su Guido Ceronetti I Misteri di Londra. Tragedia per marionette e attori, regia di Manuela Tamietti, Teatro Stabile di Torino (riprese videografiche dello spettacolo, Torino). Sulle rotte del sogno. Parole musiche storie, di Luca Mauceri (cd e vinile EMA Records, Firenze ). Guido Ceronetti. Il Filosofo Ignoto, film documentario di Francesco Fogliotti e Enrico Pertichini (Italia'), prodotto con la collaborazione del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti e dei Cinecircoli giovanili socioculturali. Guido Ceronetti nei mass-media Cura cinque Interviste Impossibili per la seconda rete radiofonica rai, in cui "intervistò" Attila (Carmelo Bene), Auguste e Louis Lumière (Alfredo Bianchini e Mario Scaccia), George Stephenson (Mario Scaccia), Jack Lo Squartatore (Carmelo Bene) e Pellegrino Artusi (Mario Scaccia). Il cantautore Vinicio Capossela, nella raccolta di brani dal vivo Nel niente sotto il soleGrand tour, ha inserito come incipit della seconda traccia (Non trattare)una registrazione di Guido Ceronetti che declama i primi versetti del Qoelet. Note  Ha usato per molti anni un sigillo con scritto "In esilio" : Capossela intervista Ceronetti. 6 febbraio .  Morto lo scrittore, in Corriere fiorentino, G. Ceronetti, Tra pensieri, Adelphi, Milano, p.11  Paolo Di Stefano, In morte. Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell'Italia perduta, Mondadori, Milano, .  Guido Ceronetti morto, ripubblichiamo la sua ultima intervista al Fatto: “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”  Nello Ajello, Ceronetti. Poesia in forma di marionette, La Repubblica, ricerca.repubblica/ repubblica/archivio/ repubblica ceronetti-poesia-in-forma-di-marionette.html  Samantha, lo spazio e il signor Freud  "Guido Ceronetti. L'inferno del corpo", in Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano,   "Oggi una quantità delle mie carte è partita per Lugano dove tutto entrerà a far partedegli archivi della Biblioteca Cantonale." Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,«Urlate urlate urlate urlate. / Non voglio lacrime. Urlate. Idolo e vittima di opachi riti/ Nutrita a forza in corpo che giace / Io Eluana grido per non darvi pace Diciassette di coma che m'impietra Gli anni di stupro mio che non ha fine. Con Decreto del Presidente della Repubblica (pubblicato nella G.U.) gli è stato infatti attribuito un assegno straordinario vitalizio ai sensi della legge, l'aiuto della legge Bacchellila Repubblica, in Archiviola Repubblica. Edizione, "Il nostro meridionale è attaccato alla propria famiglia e nient'altro, qualsiasi abbominio, qualsiasi sfacelo pubblico non arrivino a toccargli la Famiglia non gli faranno il minimo solletico. Sono popoli incapaci di amare disinteressatamente qualcosa perché bello, al di sopra dell'utile. La loro vera patria la loro nostalgia prenoachide è il deserto e faticano da ubriachi a ritrovarlo". La pazienza dell'arrostito, Adelphi, Milano,  (comedonchisciotte. Org forum/ index.php?p=/discussion/ ceronetti-dal-mare-il- pericolo-senza-nome lessiconaturale/ migranti-e-prediche/)  (ilfoglio/preservativi/news/il-grande-pan-e-vivo)  (ilfoglio/cultura/news/far-torto-o-patirlo)  (ilfoglio/ preservativi/news/ deutschland-pressappoco-uber-alle, Sugli sbarchi in Sicilia l'europeista Ceronetti dice, come altri non oserebbero, che “hanno ormai un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa", Ceronetti, nel dolore si nasconde una luce)  Mario Andrea Rigoni, Ma non bisogna confondere il nichilismo con il razzismo, Corriere della Sera, Guido Almansi, Le leggende di Ceronetti, la Repubblica, L'innocente Priebke L'invasione Africana; “Il male omosessuale” (Ceronetti dixit). Albergo Italia (Einaudi, Torino), capitolo "Elementi per una anti-agiografia",  Uno, cento, mille Ceronetti, Guido Ceronetti, Priebke. Alcune domande intorno a un ergastolo, la Stampa  Pietrangelo Buttafuoco, La pietas di Ceronetti per Priebke, il Foglio, Sono sempre stato anticomunista, sempre, Forse, subito dopo la guerra ho avuto una certa simpatia, però non mi sono iscritto al partito il giorno dopo aver visto La corazzata Potëmkin, come innumerevoli giovani. Antifascista non è neanche da dire, da quando ci si è risvegliati. Di quel periodo non ho voglia di parlarne, ero tra i soliti ragazzini stupidoni che andavano alle adunate, ma non c'è storia di anima o di pensiero o di famiglia che riguardi il fascismo. I miei non erano fascisti né antifascisti, erano bravi cittadini come tanti. (Corriere della sera). Si dice il responso delle urne. Come se un popolo di cretini potesse fornire oracoli (Per le strade della Vergine)  la mia America: “Un baluardo contro l’ideologia comunista”  XIII Congresso Radicali Italiani  ilfoglio/preservativi/ prttttt-in-una-sigla-tutto-pannella- impenitente-ottimista-e-visionario (corriere/ cultura/guido-ceronetti-in-un-amore-felice  Chi era, fustigatore dei vizi degli italiani  Riviste/ Su “Cartevive” omaggio, reazionario postmoderno  CERONETTI: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA VECCHIAIA SENZA SESSO: PER DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I VECCHI MASCHI SI MUOVERÀ MAI QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO VOLONTARIO PER GLI OVER 70! Abiterò per tre mesi al N. 4 di via Giolitti a Torino, per mettere in scena col Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Sulla porta metto quest'altro mio nome: Geremia Cassandri. La pazienza dell'arrostito. Giornale e ricordi, Milano, Adelphi, Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterario viareggiorepaci. I VINCITORI DEL PREMIO “MONSELICE” PER LA TRADUZIONE , su biblioteca monselice, Alberto Roncaccia, Guido Ceronetti. Critica e poetica (Bulzoni, Roma) Emil Cioran, Esercizi di ammirazione ( Adelphi, Milano, Guido Ceronetti. L'inferno del corpo) Giosetta Fioroni, Marionettista. Guido Ceronetti e il Teatro dei Sensibili secondo l'alchimia figurativa (Corraini, Mantova) Giovanni Marinangeli, Guido Ceronetti. Il veggente di Cetona (Fondazione Alce Nero, Isola del Piano) Fabrizio Ceccardi, Il Teatro dei Sensibili (Corraini, Mantova) Andrea De Alberti, Il Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti (Junior, Bergamo) Marco Albertazzi, Fiorenza Lipparini, La luce nella carne. La poesia (La Finestra Editrice, Lavis) Masetti, A. Scarsella, M. Vercesi , Pareti di carta. Scritti su Guido Ceronetti (Tre Lune, Mantova), Ortese, Le piccole persone (Adelphi, Milano). Lattuada, Frammenti di una luce incontaminata in Guido Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis,   Emil Cioran Gnosticismo moderno.  Ma io diffido dell'amore universale Guido Ceronetti, la Repubblica, Archivio. L’ultimo bardo gnostico che cantava il dolore per la bellezza perduta. Morto il più irregolare degli scrittori italiani. Ernesto Ferrero, La Stampa, V D M Vincitori del Premio Grinzane Cavour per la narrativa italiana V D M Vincitori del Premio "Città di Monselice" per la traduzione letteraria V D M Vincitori del Premio Flaiano per la narrative. Guido Ceronetti. Keywords: la lantern di Diogene, poesia latina, Catullo, Marziale, Orazio, Giovenale, il filosofo ignoto, la pazienza del … --. Aforismi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceronetti” – The Swimming-Pool Library.

 

CERRONI (Lodi). Filosofo. Grice: “I like Cerroni; he is very Italian: what other philosopher – surely not at Oxford – would philosoophise on the precocity of Italian identity? But his more general philosophical explorations may interest the Oxonian who is not into “Italian studies”! – My favourites are his “Logic and Society,” which reminds me of my “Logic and Conversation.” Then he has a ‘dialectiics of feelings,’ which is what all my philosophy of communication is about; he has also philosophised on anti-contractualist philosophers like Benjamin Constant --!” Studia a Roma con Albertelli e si laurea in Filosofia del diritto.  Ottenne la libera docenza in Filosofia del diritto e l'incarico di Storia delle dottrine economiche e di Storia delle dottrine politiche all'Lecce.  Divenne professore di ruolo di Filosofia della politica e ha insegnato a Salerno e all'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha insegnato per piùdi venti anni Scienza della politica nella Facoltà di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Sempre all'Università "La Sapienza" di Roma, era stato nominato professore emerito. Macerata gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze politiche. Altre opere: “Problemi attuali di storia dell'agricoltura dell'U.R.S.S.” (Milano : Ed. Centro Per La Storia Del Movimento Contadino); “Il sistema elettorale sovietico” (Roma: Tip. dell'Orso); “Legge sull'ordinamento giudiziario dell'U.R.S.S.” (Roma : Ed. Associazione Italia-U.R.S.S, sezione giuridica (Tip. Sagra, Soc. arti grafiche riproduzioni artistiche) Recenti studi sovietici su problemi di teoria del diritto” Bologna); Sul carattere dei movimenti contadini in Russia nei secoli 17. e 18.” (Milano : Movimento Operaio); Studi sovietici di diritto Internazionale : A cura della sezione giuridica della associazione Italia-urss. [presentazione di Umberto Cerroni, Roma : Tip. Martore e Rotolo); La dottrina sovietica e il nuovo codice penale dell'URSS / Umberto Cerroni.S.l. (Bologna : STEB) Poeti sovietici d'oggi, Roma : Tip. Studio Tipografico, Per lo sviluppo degli studi storici sulla Russia, Bologna : STEB); Diritto ed economia : rilevanza del concetto marxiano di lavoro per una teoria positiva del diritto / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Idealismo e statalismo nella moderna filosofia tedesca, Milano : Giuffrè); Individuo e persona nella democrazia / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); “Il problema politico nello Stato moderno / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Diritto e sociologia / Umberto Cerroni. Kelsen e Marx / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); L'etica dei solitari / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Lenin e il problema della democrazia moderna : saggi e studi (Roma : NAVA) Parlamento e società / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); La prospettiva del comunismo / K. Marx, F. Engels, V.I. Lenin Roma : Editori Riuniti); Ritorno di Jhering: Edizioni giuridiche del lavoro, (Città di Castello : Unione arti grafiche) Sulla storicità della distinzione tra diritto privato e diritto pubblico Milano : Giuffrè); La critica di Marx alla filosofia hegeliana del diritto pubblico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La filosofia politica di Giovanni Gentile / Umberto Cerroni. (Novara : Tip. Stella Alpina) La nuova codificazione penale sovietica / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); Concezione normativa e concezione sociologica del diritto moderno / Umberto Cerroni.S.l. : Edizioni giuridiche del lavoro); Diritto e rapporto economico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Kant e la fondazione della categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Marx e il diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Teorie sovietiche del diritto / Stucka ...(et al.) ; Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Saggi / Benjamin Constant ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Samonà e Savelli); Il diritto e la storia / Umberto Cerroni. Le origini del socialismo in Russia / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, 1966 Un ouvrage recent sur Marx et le droit : Umberto Cerroni , Marx e il diritto moderno, Rome, par Michel Villey.[Paris] : Sirey); Che cos'è la proprietà ?, o, Ricerche sul principio del diritto e del governo : prima memoria, Pierre-Joseph Proudhon ; prefazione, cronologia,  Umberto Cerroni.Bari : Laterza); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali : relazioni sugli aspetti generali / Umberto Cerroni.[Milano : Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale,  (Milano : Tipografia Ferrari) La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato” (Torino : Einaudi); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni” (Roma, Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau” (Bari : Laterza); La libertà dei moderni” (Bari : De Donato); Metodologia e scienza sociale” (Lecce : Milella); Problemi della legalità socialista nelle recenti discussioni sovietiche / Umberto Cerroni.Milano : A. Giuffrè); “Sulla natura della politica : utopia e compromesso” (Milano : Giuffrè); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali”; Il metodo dell'analisi sociale di Lenin” (Bari : Adriatica); Il pensiero giuridico sovietico” (Roma : Editori Riuniti);  La questione ebraica” (Roma : Editori Riuniti); La società industriale e la condizione dell'uomo” (Lecce : ITES); “Sul metodo delle scienze sociali: una risposta” (Milano : Giuffrè); Principi di politica / Benjamin Constant ; Roma : Editori Riuniti); Strade per la libertà” (Roma : Newton Compton); Tecnica e libertà : conferenza tenuta al Lions club di Bari (Padova : Grafiche Erredici) Tecnica e libertà / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Lavoro salariato e capitale / Appunti sul salario e appendice di F. Engels ; Introduzione, cura e note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton italiana,La societa industriale e le trasformazioni della famiglia / U. Cerroni.Milano : Giuffrè); Salario, prezzo e profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton italiana); Teoria della crisi sociale in Marx : Una reinterpretazione / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Strade per la libertà / Bertrand Russell ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton compton italiana); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau ; traduzione di Celestino E. Spada ; prefazione di Umberto Cerroni.Bari : Laterza); Caratteristiche del romanticismo economico / V. I. Lenin ; prefazione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Kant e la fondazione della categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La libertà dei moderni / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Marx e il diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero di Marx / Antologia Umberto Cerroni , con la collaborazione di Oreste Massari e Anna Maria Nassisi.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il Terzo stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Lo sviluppo del capitalismo in Russia; Lenin ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); In memoria del manifesto dei comunisti / Antonio Labriola ; Manifesto del partito comunista / Marx-Engels ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); La libertà dei moderni / Umberto Cerroni.2. ed.Bari : De Donato); Teoria politica e socialismo; Roma); Il pensiero di Marx / antologia Umberto Cerroni ; con la collaborazione di Oreste e Anna Maria Nassisi. 2. ed.Roma : Editori Riuniti); Teoria della crisi sociale in Marx : una reinterpretazione (Bari : De Donato); Teoria politica e socialismo” (Roma : Ed.Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Marx e il diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il marxismo e l'analisi del presente / Umberto Cerroni. Politica ed economia); Societa civile e stato politico in Hegel” (Bari : De Donato); Salario, prezzo e profitto” (Karl Marx” (Roma : Newton Compton italiana); Il lavoro di un anno : almanacco, Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Il pensiero di Marx / Karl Marx ; Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico : dalle origini ai nostri giorni” (Roma : Editori Riuniti); Il rapporto uomo-donna nella civiltà borghese, ed.Roma : Ed. Riuniti); Scienza e potere / scritti di U. Cerroni ... <et al.>.Milano : Feltrinelli); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin” (Roma : Newton Compton); Lo sviluppo del capitalismo in Russia” (Roma : Editori Riuniti); La teoria generale del diritto e il marxismo / Evgenij Bronislavovic Pasukanis ; con un saggio introduttivo di Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Introduzione alla scienza sociale, Roma : Editori Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton, Materialismo storico e scienza / Umberto Cerroni.Lecce : Milella); Il rapporto uomo-donna nella civilta borghese / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Salario, prezzo e profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Sulla storicità dell'eros : note metodologiche / Umberto Cerroni, Annarita Buttafuoco); Crisi ideale e transizione al socialismo / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Scritti economici / V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto Cerroni.- Roma : Newton Compton); Carte della crisi : taccuino politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Crisi del marxismo? / Umberto Cerroni ; intervista di Roberto Romani.Roma : Editori Riuniti); Critica al programma di Gotha e testi sulla tradizione democratica al socialismo / Karl Marx ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica / V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, In memoria del manifesto / Antonio Labriola ; introduzione di Umberto Cerroni.2. ed.Roma : Newton Compton Editori); Che cos'è la proprietà ? : o ricerche sul principio del diritto e del governo : prima memoria, Pierre-Joseph Proudhon ; prefazione, cronologia, biografia Umberto Cerroni. 3. ed.Roma ; Bari : Laterza, Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione ... di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Lessico gramsciano / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); La prospettiva del comunismo, K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori riuniti); La questione ebraica e altri scritti giovanili / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il terzo stato? Emmanuel-Joseph Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni : traduzione di Roberto Giannotti.Roma : Editori Riuniti, Strade per la liberta, Bertrand Russell ; introduzione di Umberto Cerroni ; traduzione di Pietro Stampa.Roma : Newton Compton); Teoria del partito politico (Roma : Editori Riuniti, I giovani e il socialismo, K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin, A. Gramsci ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Introduzione alla scienza sociale, Roma; Storia del marxismo / Predrag Vranicki ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Quasi una vita... e anche meno, poesie di Italo Evangelisti ; prefazione di Umberto Cerroni” (Milano ; Roma); “Che cosa fanno oggi i filosofi? Milano); “Logica e società : pensare dopo Marx” (Milano : Bompiani, La democrazia come problema della società di massa; Principi di politica” (Roma : Editori Riuniti); “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico” (Roma : Editori Riuniti); Il pensiero di Marx : antologia, con la collaborazione di Oreste Massari e Anna Maria Nassisi.III. ed. Roma : Editori Riuniti, Scritti economici” (Roma : Editori Riuniti); Teoria della società di massa” (Roma : Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina” (Roma : Editori riuniti, Politica : metodo, teorie, processi, soggetti, istituzioni e categorie / Umberto Cerroni.Roma : NIS); La politica post-classica : studi sulle teorie contemporanee” (Taviano : Lit. Graphosette) Urss e Cina : le riforme economiche” Centro studi paesi socialisti della Fondazione Gramsci.Milano : F. Angeli, stampa, Che cosa è il terzo stato con il Saggio sui privilege” (Roma : Editori Riuniti, Democrazia e riforma della politica : Lo Statuto del nuovo PCI / Umberto Cerroni.Roma : Partito Comunista Italiano, Regole e valori nella democrazia : stato di diritto, stato sociale, stato di cultura” Roma : Ed. Riuniti, La cultura della democrazia / Umberto Cerroni.Chieti : Metis, Che cosa e il Terzo Stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre ; Umberto Cerroni ; traduzione di Fabrizio Fabbrini; apparati biobibliografici di Grazia Farina.Pordenone : Studio Tesi, Manifesto del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di Antonio Labriola ; seguito da In memoria del manifesto dei comunisti di Antonio Labriola ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma: TEN,  Nazione/regione : i contributi regionali alla costruzione dell'identità nazionale / Andrea Battistini, Umberto Cerroni , Michele Prospero.Cesena : Il ponte vecchio, L'ambiente fra cultura tecnica e cultura umanistica : seminario svoltosi presso l'ANPA Umberto Cerroni ; A. Albanesi, M. Maggi e L. Sisti.Roma : Anpa, [Novecento : almanacco del ventesimo secolo, Cesena : Il ponte vecchio, Il pensiero politico italiano / Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton, Il pensiero politico del Novecento / Umberto Cerroni.Roma : Tascabili economici Newton); “Le regole del metodo sociologico” (Roma : Editori Riuniti, 1996 Regole e valori nella democrazia : Stato di diritto, Stato sociale, Stato di cultura / Umberto Cerroni.Roma: Editori Riuniti, L'identità civile degli italiani / Umberto Cerroni.Lecce : Manni, L'ulivo al governo : come cambia l'Italia / interventi di U. Cerroni; Paola Piciacchia.Roma: Philos, stampa Politica / Umberto Cerroni.Roma : Seam, Confronto italiano : atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni, Umberto Cerroni.Firenze : Ed. Regione Toscana, stampa (Firenze : Centro Stampa Giunta regionale); “L'identità civile degli italiani” (Lecce : Manni, Lo Stato democratico di diritto : modernità e politica / Umberto Cerroni.Roma : Philos, stampa, Habeas mentem : Scuola e vita civile :Umberto Cerroni.Rionero in Vulture (Pz) : Calice, Conoscenza e societa complessa : per una teoria generale del sensibile” (Roma : Philos, Ricordo di Marisa De Luca Cerroni / scritti di Umberto Cerroni ... et al.Lecce, stampa Confronto italiano : atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni (Firenze : Ed. Regione Toscana, stampa  (Centro Stampa Giunta Regionale) Taccuino politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Philos, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma : Meltemi, Taccuino politico-filosofico, Umberto Cerroni.Lecce : Manni, Le radici culturali dell'Europa, Umberto Cerroni.Lecce :Manni, Radici della civiltà europea, Lecce : Manni,Globalizzazione e democrazia, Lecce : Manni, Taccuino politico-filosofico, Lecce, Taccuino politico-filosofico Umberto Cerroni.San Cesario di Lecce : Manni, L'eretico della sinistra : Bruno Rizzi elitista democratico” (Milano : F. Angeli,  Taccuino politico-filosofico, Lecce; La scienza e una curiosita: scritti in onore di Umberto Cerroni / Cosimo Perrotta ; con la collaborazione di Mariarosa Greco” (San Cesario di Lecce : Manni, Manifesto del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di Antonio Labriola ; seguito da In memoria del Manifesto dei comunisti di Antonio Labriola” (Roma : Newton & Compton, Dialettica dei sentimenti : dialoghi di psicosociologia / Umberto Cerroni , Alberta Rinaldi.San Cesario di Lecce : Manni, [Taccuino politico-filosofico, Umberto Cerroni.[San Cesario di Lecce] : Manni, Ricordi e riflessioni : un dialogo con Giuseppe Vagaggini / Umberto Cerroni.Montepulciano : Le Balze. Umberto Cerroni. Keywords: categoria giuridica, Trasimacco, Kelsen. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerroni” – The Swimming-Pool Library.

 

CERTANI (Bologna). Filosofo. Grice: “I like Certani – but then in Italy they learn Hebrew at school, whereas we at Clifton separated Montefiore from the rest!” Grice: “Certani philosophised, like Kierkegaard later will, on ‘L’Abraamo,’ Insegna a Bologna. Opere: “Conclusioni di filosofia” e di teologia. Insegna a Cesena, Brescia, Milano e Bologna. Si laurea a Bologna. Altre opere: “Abramo: Caino ed Abele” (Venezia); “Francesco Saverio” (Bologna, Ferrosi); “La verità vendicata; cioè Bologna difesa dalle calunnie di Francesco Guicciardini. Osservazioni Istoriche dell'Abate Giacomo Certani Canonico Dott. Teologo Colleg. Filosofo, e nell'Bologna pubblico Professore di Filosofia morale. In Bologna per gli Eredi del Dozza); “Maria Vergine Coronata. Descrizione, e dichiarazione della divota Solennità fatta in Reggio per Prospero Vedrotti); “La Chiave del Paradiso; cioè, invito alla Penitenza alle Cavalieri” (Bologna per Giacomo Monti); “Il Gerione Politico, Riflessioni profittevoli alla vita civile, alle Repubbliche, e alle Monarchie” (Milano, Compagnini); “S. Patrizio Canonico Regolare Lateranense Apostolo, e Primate dell'Ibernia; descritta dall'Abate D. Giacomo Certani ec.” (Bologna nella Stamperia Camerale); “L'Isacco ed il Giacobbe” (Bologna, per il Monti); “La Santità Prodigiosa, Vita di S. Brigida Ibernese Canonichessa Regolare di S.Agostino Scritta dall'Ab. D. Giacomo Certani Canonico Regolare Lateranense Dott. Filosofo e Teologo Collegiato ec. per gli eredi di Antonio Pisarri); “La Susanna in versi, notata da Lorenzo Legati: nel suo museo Cospiano al fol.117 e la nota ancora Gregorio Leti nell'Italia Regnante parte III lib. II, pag. 118 ove parla di Questo soggetto. Oltre i sopraccennati ne parla ancora l'Orlandini negli Scrittori Bolognesi ec. Giacomo Cerretani. Jacopo Certani. Giacomo Certani. Keywords: Il cavaliere penitente; ossia, la chiave del paradiso, chastita, maschile. Christian masculinity, Percival, The Holy Grail, the knight-penant, cavalier penitente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Certani” – The Swimming-Pool Library.

 

CERUTI (Cremona). Filosofo. Grice: “Ceruti is a good one – he has philosophised on solidarity – and previously on altruism – these are VERY different concepts, as he notes – but also on ‘vinculum,’ a nice Latin word for what I’m into! – “A Griceian at heart!” --  Grice: “Only one T!”. Tra i filosofi protagonisti dell'elaborazione del pensiero complesso, è uno dei pionieri della ricerca contemporanea inter- e trans-disciplinare sui sistemi complessi.  La sua filosofia si produce all'intersezione di una pluralità di domini di ricerca: epistemologia (filosofia e storia della scienza, storia delle idee, noologia…), scienze della natura (fisica, biologia, cosmologia…), scienze dell'uomo (antropologia, sociologia, psicologia, storia…), scienze dell'organizzazione e del management. Si laurea in filosofia della scienza con Geymonat con “L'epistemologia genetica di Piaget” nella quale, attraverso l'analisi dell'epistemologia viene posto il problema del ruolo della biologia e delle scienze del vivente, nelle varie articolazioni disciplinari, come decisiva interfaccia fra le scienze fisico-chimiche e le scienze umane, in grado di favorire processi di circolazione concettuale e di traduzione reciproca fra vari e multiformi campi del sapere. Nei suoi studi ha affrontato le questioni del significato filosofico ed epistemologico delle maggiori rivoluzioni scientifiche del ventesimo secolo (teoria dei quanti, relatività, teoria dei sistemi, biologia molecolare) focalizzando le sue ricerche sui temi del cambiamento stilistico e delle relazioni fra stile e contenuto nella storia delle idee, nonché dello statuto conoscitivo dei risultati innovativi connessi alle rivoluzioni scientifiche. Una sintesi di queste ricerche è contenuta nell'opera Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica di Piaget. Assunto da Ginevra, presso la Facoltà di Psicologia e scienze dell'educazione fondata da Piaget, in qualità di assistant, svolgendo ricerche nel gruppo di lavoro coordinato da Munari. In questo periodo approfondisce le relazioni che connettono l'opera di Piaget a vari modelli e approcci del contesto scientifico a lui contemporaneo: alla termodinamica di non equilibrio di Prigogine, alle ricerche sul concetto e sui processi di auto-organizzazione e autopoiesi, all'embriologia di Waddington, ai nascenti dibattiti sul significato delle ricerche della biologia molecolare. Il tema chiave di queste convergenze disciplinari è la possibile delineazione di modelli generali del cambiamento, nonché del ruolo della discontinuità in questi modelli. L'approfondimento dei singoli filoni disciplinari gli consente di interrogarsi più estensivamente sul significato profondo e complessivo dei cambiamenti paradigmatici delle scienze alla fine del ventesimo secolo: dalla convergenza di varie discipline emerge la prospettiva di una scienza nuova, caratterizzata da precise assunzioni relativamente alla natura del cambiamento, alla relazione fra soggetto e mondo, al ruolo del tempo, della storia e della narrazione negli approcci scientifici. La nozione di complessità costituisce un'utile maniera sintetica di rapportarsi con tali assunzioni. Per ricostruire queste novità del contesto scientifico, imposta un programma di ricerca attorno al tema della epistemologia della complessità, parte integrante del quale è stata a partire l'organizzazione di convegni internazionali e di seminari, e la pubblicazione del volume La sfida della complessità. Ricercatore associato presso il Centre d'Etudes Transdisciplinaires, Sociolgie, Anthropologie, Politique diretto da Morin, centro di ricerca associato al CNRS e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, presso il quale dirige l'unità di ricerca di filosofia della scienza. In quegli anni approfondisce le problematiche dell'epistemologia genetica e della cibernetica, pubblicando Il vincolo e la possibilità e La danza che crea. Svolge inoltre ricerche sul ruolo giocato dalle scienze evolutive e dalla teoria dell'evoluzione di tradizione darwiniana nel più generale mutamento di prospettiva delle valenze cognitive e stilistiche del contesto scientifico, focalizzandosi sulle conseguenze epistemologiche e filosofiche dei modelli di cambiamento e delle relazioni fra continuità e discontinuità conseguenti alla teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge, ai dibattiti sulle estinzioni di massa e sulle testimonianze paleontologiche, alle nuove forme di collaborazione fra evoluzionismo e genetica, alle relazioni fra approcci storici e approcci nomotetici nelle scienze del vivente. Ne deriva una serie di ricerche compendiate nel volume Origini di storie, in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bio G. Bocchi, 1993), in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bioogia evolutiva, cosmologia, fisica del caos, antropologia e storia delle idee. Gli interrogativi sul modo in cui dallo studio del radicamento naturale delle società umane possano scaturire nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni sociali e culturali della nostra specie lo portano a entrare in contatto con le ricerche condotte in questi stessi anni dal Santa Fe Institute, volte all'individuazione di leggi generali della complessità e di modelli generali sul comportamento dei sistemi complessi. Una nuova linea di ricerca di filosofia della scienza, che approfondisce a partire dalla metà degli anni novanta, è lo studio dei modelli di cambiamento dell'evoluzione umana, in relazione alla teoria degli equilibri punteggiati, alla visione discontinuista della storia naturale, alle dinamiche ecologiche e ambientali. Una seconda linea di ricerca epistemologica, strettamente interrelata alla prima, è lo studio dell'importanza delle analisi genetiche per la ricostruzione dell'evoluzione e della storia umane, sia dei tempi lunghi della storia delle varie specie ominidi sia dei tempi medi della storia della nostra specie Homo sapiens. A partire da Solidarietà o barbarie. L'Europa delle diversità contro la pulizia etnica, imposta una serie di seminari e di ricerche di filosofia delle scienze biologiche, evoluzionistiche e storiche sul tema dei confini e sulle identità nazionali e culturali. Nel far ciò approfondisce una concezione evolutiva di tali identità, consonante con la prospettiva epistemologica costruttivistica, e convergente con i presupposti epistemologici, costruttivisti e antiessenzialisti propri della tradizione evoluzionistica darwiniana. In queste ricerche, viene affrontata anche la questione del significato della rivoluzione darwiniana nell'intera storia della tradizione scientifica occidentale. Un ulteriore studio dedicato a tali problematiche è il volume Educazione e globalizzazione, che traccia un bilancio epistemologico degli intrecci disciplinari fra storia, geografia, antropologia, scienze evolutive e naturali per comprendere il ruolo della diversità culturale nella storia della specie umana e le radici profonde degli attuali processi di globalizzazione. Insegna a Palermo, di Milano Bicocca, di Bergamo e a Milano, dove attualmente insegna e ricopre la carica di direttore del Dipartimento di Studi umanistici. Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Milano Bicocca. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Bergamo. Direttore del Centro di Ricerca sull'Antropologia e l'Epistemologia della Complessità che comprendeva la Scuola di dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità a Bergamo.  Principali tematiche presenti negli studi di Ceruti: Antropologia Bioetica costruttivismo (filosofia); Epistemologia; Epistemologia della complessità; Epistemologia genetica; Evoluzionismo; Globalizzazione; Scienze cognitive; Scienze della formazione; Teoria dei sistemi. Membro della Commissione Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nominato, dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, Presidente della Commissione incaricata di scrivere le nuove Indicazione per il Curricolo per la Scuola dell'Infanzia e per il Primo Ciclo di Istruzione. Partecipa alla fase di fondazione del Partito Democratico, venendo eletto all'Assemblea costituente del partito e assumendo l'incarico di relatore della Commissione incaricata di redigerne il Manifesto dei Valori.  Alle elezioni politiche italiane della XVI Legislatura eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito Democratico. È stato membro della Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali), della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Non si è ripresentato alle elezioni della XVII legislatura. Altre opere: “Il tempo della complessità” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “La fine dell'onniscienza” (Studium, Roma); “La nostra Europa” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Organizzare l'altruismo” (Laterza, Roma-Bari); “Una e molteplice: ripensare l'Europa” (Tropea, Milano); “Il vincolo e la possibilità” (Feltrinelli, Milano); “Origini di storie” (Feltrinelli, Milano); “La sfida della complessità” (Feltrinelli, Milano); “Le due paci. Cristianesimo e morte di Dio nel mondo globalizzato” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Formare alla complessità, Carocci, Roma); “Le origini della scrittura. Genealogie di un'invenzione, Bruno Mondadori Editore, Milano); “Le radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici” (Bruno Mondadori Editore, Milano); “Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Pensare la diversità. Per un'educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma); Evoluzione senza fondamenti” (Laterza, Roma-Bari); “Solidarietà o barbarie: l’Europa delle diversità contro la pulizia etnica” (Raffaello Cortina Editore, Milano, Prefazione di Edgar Morin, Il caso e la libertà, Laterza, Roma-Bari); Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo); “L'Europa nell'era planetaria” (Sperling & Kupfer, Milano); “Turbare il futuro: un nuovo inizio per la civiltà planetaria” (Moretti & Vitali, Bergamo); “Che cos'è la conoscenza, Roma-Bari); “La danza che crea. Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli, Milano, Prefazione di Francisco Varela, Lazlo E., Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano); Dopo Piaget. Aspetti teorici e prospettive per l'educazione, Edizioni Lavoro, Roma); Modi di pensare postdarwiniani: saggio sul pluralismo evolutivo” (Dedalo, Bari); L'altro Piaget. Strategie delle genesi, Emme Edizioni, Milano  Bocchi G., Ceruti M. Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica dell'opera di Jean Piaget, Feltrinelli, Milano. Direttore delle riviste scientifiche:  La Casa di Dedalo (Casa Editrice Maccari, Parma); Oikos (Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo); Pluriverso (Rcs, Milano). mauroceruti. Pagina nel sito del Senato, su senato. Ministero della Pubblica Istruzione, Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo, su pubblica.istruzione. Presidenza del Consiglio dei ministri, Comitato Nazionale di Bioetica, su governo. Mauro Ceruti. Keywords: dal semplice al complesso, complesso proposizionale, discover the simple elements, philosophy as deconstructing the complex, solidarity, altruism, solideratieta, altruismo, sistema complesso, sistema semplice, etimologia di ‘complesso’. Filosofia della solidarieta, solidarieta: il semplice della solidarieta, il semplice dell’altruismo, Butler, amore proprio, amore improprio, altruismo, egoismo, self-love, other-love, benevolence, organizzare l’altruismo, abitare la complessita, multiple e diverso, unico e multiple. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceruti” – The Swimming-Pool Library.

 

CERUTTI (Genova). Filosofo. Grice: “Cerutti is into politics, like Hobbes, and it’s not surprising he philosophised on ‘il leviatano,’ as the Italians call it – and represent as a tortoise ridden by Jacob --,” -- “La globalizzazione dei diritti umani dovrebbe avere il suo culmine con il riconoscimento del diritto che ha il Genere Umano alla sopravvivenza»  Insegna a Firenze. La sua filosofia verte principalmente sul marxismo occidentale e la "teoria critica" propria della Scuola di Francoforte da cui, tra l'altro proviene. Lavora sulla filosofia politica delle relazioni internazionali ed affari globali, seguendo due diverse tematiche: la teoria delle sfide globali (armi nucleari e riscaldamento globale), e la questione dell'identità “politica” (non sociale o culturale) degli europei in relazione con la legittimazione dell'unione europea. Da ricordare la sua amicizia con Bobbio del quale Cerutti stesso si ritiene allievo. Altre opere: “Storia e coscienza di classe” (Milano); “Totalità, bisogni e organizzazione” (Firenze); “Marxismo e politica. Saggi e interventi, Napoli); “Gli occhi sul mondo. Le relazioni internazionali in prospettiva interdisciplinare, a cura di, Roma); “Sfide globali per il Leviatano. Una filosofia politica delle armi nucleari e del riscaldamento globale” (Milano, Vita e pensiero). Furio Cerutti. Keywords: lotta di classe, Lukacks, Marx, unione europea, identita culturale, identita sociale, identita politica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerutti” – The Swimming-Pool Library.

 

CERVI

 

CESA

 

CESARINI (Genzano di Roma). Filosofo. Grice: “Cesarini was more of a warrior than a philosopher, but I also fought in the North-Atlantic – in Italy, war trumps philosophy! He wrote a philosophical story of the war of Velletri – and liked to dress up as one of his ducal ancestors – a gentleman!” -- There are many philosophers with the name Sforza Cesarini. Figlio del III duca Lorenzo Sforza Cesarini. Convinto sostenitore del nuovo Regno d'Italia tanto da nascondere le armi degli insorti nel suo palazzo. Per questo motivo, il papa confisca tutte le sua proprietà che vennero loro restituite da Vittorio Emanuele II dopo il suo ingresso a Roma, reso possibile dalla presa di Porta Pia, accompagnato dallo stesso filosofo in veste di consigliere del re. Grice: “My mother loved him; but then every Englishman loved the Kingdom of Italy, or rather, every Englishman hated the Pope!” – Grice: “Sforza Cesarini should never be confused with Cesarini Sforza: Sforza Cesarini is under “C”; Cesarini Sforza, the jurisprudential philosopher, is under “S”. IV duca Sforza Cesarini. Francesco II Sforza Cesarini. Francesco Sforza Cesarini. Sforza Cesarini. Cesarini. Keywords: “Letters of my father, kingdom of Italy, anti-Popish, Palazzo di Roma. Patria, patriotism, nazionalismo. Il nuovo regno d’Italia, Vittorio Emanuele II, Porta Pia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cesarini” – The Swimming-Pool Library.

 

CHERCHI. (Oschiri). Filosofo. Grice: “Cherchi demonstrates that Jersey exists – if a philosopher is from Jersey we wouldn’t call him English – neither would he! Cherchi is from ‘Sardinia,’ and he philosophises mainly about that – which is very fun! My favourite of his tracts is one on the circle and the ellipse as it relates to Vinci’s ‘homo vitruviano.’ Anda a scuola al liceo Siotto Pintor a Cagliari. Placido Cherchi studiò a Cagliari con Ernesto De Martino e Corrado Maltese, interessandosi contemporaneamente di studi e problemi etno-antropologici e storico artistici. Come autore di importanti lavori sul pensiero di Ernesto De Martino e sui problemi dell'identità e della cultura sarda, fu un membro attivo della Scuola antropologica di Cagliari, dovuta alla presenza all'Cagliari di maestri come Ernesto de Martino e Alberto Mario Cirese, come pure di loro allievi quali Clara Gallini, Giulio Angioni e lo stesso Cherchi.  Morì nel  all'età di 74 anni a causa di un'emorragia cerebrale. Altre opere: “Paul Klee teorico, De Donato, Bari); Sciola, percorsi materici, Stef, Cagliari); “Pittura e mito in Giovanni Nonnis, Alfa, Quartu S.E.); Nivola, Ilisso, Nuoro); “Placido Cherci,  Ernesto De Martino: dalla crisi della presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli); “Il signore del limite: tre variazioni critiche su Ernesto De Martino, Liguori, Napoli); “Il peso dell'ombra: l'etnocentrismo critico di Ernesto De Martino e il problema dell'autocoscienza culturale, Liguori, Napoli); “Etnos e apocalisse: mutamento e crisi nella cultura sarda e in altre culture periferiche, Zonza, Sestu); “Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo e della Confederazione politica dei circoli, organizzazione non-partitica dei sardi , coautori Francesco Masala ed Eliseo Spiga, Zonza , Sestu); “Il recupero del significato: dall'utopia all'identità nella cultura figurativa sarda, Zonza, Sestu); “Crais: su alcune pieghe profonde dell'identità, Zonza, Sestu); “Il cerchio e l’ellisse. Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche risolventi dell’autocritica, Aìsara); “La riscrittura oltrepassante, Calimera, Curumuny); “Per un’identità critica. Alcune incursioni auto-analitiche nel mondo identitario dei sardi” (Arkadia. Silvano Tagliagambe:   Giulio Angioni, Una scuola sarda di antropologia?, in  (Luciano Marrocu, Francesco Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi, processi culturali, Roma, Donzelli, , 649-663  Addio a Placido Cherchi, il ricordo di Giulio Angioni: "Fu ideologo del neo sardismo" Archiviato il 2 ottobre  in . Notizie.tiscali  È morto Placido Cherchi, vicepresidente della Fondazione Sardinia Fondazionesardinia.eu  Scuola antropologica di Cagliari Ernesto de Martino  Giulio Angioni, In morte di Placido Cherchi, sito "il manifesto sardo".il 6 ottobre . Roberto Carta, Che cosa è Placido Cherchi? Due o tre cose, per decidere di essere sardi Po arregordai a Placido CherchiEnrico Lobina, su enricolobina.org. Silvano Tagliagambe, L'eredità preziosa di Placido Cherchi. Placido Cherchi. Keywords: filosofia sarda, etnos, etnicicita italiana, sardegna non e parte d’Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerchi” – The Swimming-Pool Library.

 

CHIAPPELLI (Pistoia). Filosofo. Grice: “One of my most recent reflections is on the distinction and striking parallelisms I draw between the Athenian dialectic – best represented in Raffaello’s “La scuola di Atene” at Rome – and the Oxonian dialectic – but represented in those reeky meeting at the Philosophy Room at Merton – or better, my Saturday mornings at St. John’s with Austin! Chiappelli provides us with a most brilliant hermeneutic of the iconography in Raffaello’s painting – Strawson tried to emulate him with some caricatures of Austin, Grice, and the rest of the Play Group – but his doodlings ccouldn’t compare!” Figlio del fisiologo Francesco Chiappelli, zio del pittore omonimo, si laurea in lettere e filosofia all'istituto superiore di Firenze ed inizia la carriera universitaria a Napoli, dove è stato titolare della cattedra di storia della filosofia e incaricato dell'insegnamento di pedagogia e direttore dell'annesso museo. Ha inoltre insegnato storia delle chiese a Pisa, Bologna e Firenze. È stato membro della Società reale di Napoli, delle accademie dei Lincei di Roma, delle scienze di Torino, pontaniana di Napoli e della Crusca di Firenze. Consigliere comunale a Firenze è stato incaricato di una missione di ricerche e studi negli archivi e biblioteche di Firenze sull'arte fiorentina del Rinascimento e membro della commissione provinciale di Firenze per la conservazione dei monumenti e delle opere d'arte. Altre opere: “Della interpretazione panteistica di Platone, Firenze : Succ. Le Monnier); La dottrina della realtà del mondo esterno nella filosofia moderna prima di Kant” (Firenze, Tip. dell'arte della stampa); “Studi di antica letteratura cristiana, Torino, Loescher); “Darwinismo e socialismo, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato); Saggi e note critiche, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli); “Il socialismo e il pensiero moderno, Firenze, Succ. Le Monnier); “Giacomo Leopardi e la poesia della natura” (Roma, Società editrice Dante Alighieri); “Leggendo e meditando. Pagine critiche di arte, letteratura e scienza sociale, Roma, Società editrice Dante Alighieri); “Nuove pagine sul cristianesimo antico, Firenze : succ. Le Monnier); “Pagine d'antica arte fiorentina, Firenze, Lumachi); “Dalla critica al nuovo idealismo, Torino, Bocca); “Pagine di critica letteraria, Firenze, Le Monnier); “Idee e figure moderne, 2 voll., Ancona, G. Puccini e figli). Dizionario biografico degli italiani. Crusca. Alessandro Chiappelli. Keyword: Alcibiade, Gli Scipione, la dialettica romana, storia dela filosofia romana, Cicero, ambassiata Carneade, Kant, neo-Kantianismo, external world, internal world, the reality of the external world, iconography, detailed ecphrasis of “La scuola di Atene” – dialettica ateniense, dialettica romana. Grice: To Athens, via Rome.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiappelli” – The Swimming-Pool Library.

 

CHIAROMONTE (Rapolla). Filosofo. Grice: “Problem with Chiaramonte is that he let things influence him too much! My favourite is his tract on ‘silenzio e parola’ – where as he explains, ‘parabola,’ as used by the Greeks meant conversazione, because among primitive people, it is all about ‘comparison,’ and that is what a parabole is – by comparison we may think of miaow-miaow and the bow-bow theory of meaning!”. Esponente antifascista, appassionato di filosofia (fu discepolo di Andrea Caffi) e di teatro, fondò con Ignazio Silone la rivista culturale indipendente "Tempo Presente".   Nacque a Rapolla, in Basilicata, da Rocco e Anna Catarinella. Il padre, medico, si trasferì con la famiglia a Roma, Sin dall'età di vent'anni si votò all'antifascismo, dopo una breve parentesi fra le file fasciste, entrando a far parte della formazione Giustizia e libertà e finendo esule a Parigi per evitare l'arresto della polizia. Fu in Spagna, combattente repubblicano nella guerra civile spagnola contro le armate franchiste nella pattuglia aerea di André Malraux (la figura di Chiaromonte è adombrata in quella del personaggio dell'intellettuale Giovanni Scali, del romanzo L'Espoir), poi abbandonò il fronte per contrasto con i comunisti. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, in seguito all'invasione tedesca della Francia, riparò a New York, facendosi notare nel gruppo dei cosiddetti New York Intellectuals.  Fu propugnatore del socialismo libertario che contrappose alle spinte trotzkiste della rivista politics di Dwight Macdonald, a cui pure si legò in un sodalizio di amicizia e di frequentazione intellettuale. Ebbe legami d'amicizia con filosofi come Hannah Arendt e Albert Camus, e scrittori come George Orwell, e collaborò con Gaetano Salvemini al settimanale italiano a New York, Italia libera.  Tornato in Italia una prima volta e una seconda, si sentì esule in patria, anche per il suo rifiuto a sottostare ai compromessi che volevano la cultura strettamente legata ai partiti politici; per un periodo tenne una rubrica di critica teatrale sulla rivista Il Mondo fondata da Mario Pannunzio.  Nel 1956, assieme allo scrittore Ignazio Silone, fondò "Tempo presente", rivista culturale indipendente, esperienza innovativa nell'Italia dell'epoca che portò avanti, nonostante qualche dissapore con Silone, con grande attenzione agli autori di notevole spessore che riempivano le pagine del mensile.  Le sue posizioni furono improntate all'anticomunismo ma, a differenza di Silone, fu senz'altro più utopico; vicino alle posizioni di Albert Camus, teorizzò «la normalità dell'esistenza umana contro l'automatismo catastrofico della Storia».  Nel testo La guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti (Fazi editore) della storica e giornalista inglese Frances Stonor Saunders, si sostiene che la rivista Tempo presente sia stata finanziata dalla CIA: la Saunders ne individua i fondatori come personaggi di punta del Congress for Cultural Freedom e principali destinatari dei finanziamenti della CIA per attività culturali in Italia.  Dal gennaio 1967 e fino alla morte, intrattiene una fitta corrispondenza con Melanie von Nagel Mussayassul, amichevolmente chiamata Muska, una monaca benedettina, sul tema della verità.  Opere La situazione drammatica, Milano, Bompiani, The Paradox of History, Londra, Le Paradoxe de l'Histoire, prefazione di Adam Michnik, introduzione di Marco Bresciani, Cahiers de l'Hôtel de Galliffet,  Credere e non credere, Milano, Bompiani; Collana Intersezioni, Bologna, Il Mulino, Scritti sul teatro, Introduzione di Mary McCarthy, Miriam Chiaromonte, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Scritti politici e civili, Miriam Chiaromonte, Introduzione di Leo Valiani, con una testimonianza di Ignazio Silone, Milano, Bompiani, Il tarlo della coscienza (The Worm of Consciousness and Other Essays, Prefazione di Mary McCarthy), Miriam Chiaromonte, Collana Le occasioni, Bologna, Il Mulino, Silenzio e parole: scritti filosofici e letterari, Milano, Rizzoli, Che cosa rimane, Taccuini, Collana Saggi, Bologna, Il Mulino, Lettere agli amici di Bari, Schena, Le verità inutili, S. Fedele, L'ancora del Mediterraneo, La rivolta conformista. Scritti sui giovani e il 68, Una città, Forlì, Fra me e te la verità. Lettere a Muska, W. Karpinski e C. Panizza, Una città, Forlì, Il tempo della malafede e altri scritti, Vittorio Giacopini, Edizioni dell'Asino,  Albert Camus-Nicola Chiaromonte, Correspondance, Édition établie, présentée et annotée par Samantha Novello, Collection Blanche, Paris, Gallimard, Dizionario Biografico degli Italiani. Simone Turchetti, Libri: "Le attività culturali della Cia" Galileo, Cesare Panizza, Nicola Chiaromonte. Una biografia. Presentazione di Paolo Marzotto, prefazione di Paolo Soddu, Roma, Donzelli. Dizionario Biografico degli Italiani,  XXIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Filippo La Porta, Maestri irregolari, Bollati Boringhieri. Gino Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede, Lacaita, Manduria-Roma-Bari, Michele Strazza, Contro ogni conformismo. Nicola Chiaromonte, in "Storia e Futuro", Filippo La Porta, Eretico controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà, Bompiani. Bocca di Magra Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Nicola Chiaromonte  Nicola Chiaromonte, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Nicola Chiaromonte, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Nicola Chiaromonte, .  Fotografie e documenti di Nicola Chiaromonte La cultura politica azionista. "Nuovo Partito d'Azione". Il fondo librario Chiaromonte. Nicola Chiaromonte. Keywords: parola, parabola. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiaromonte” – The Swimming-Pool Library.

 

CHIAVACCI (Foiano della Chiana). Filosofo. Grice: “Chiavacci is a good one; Italians tend to identify him with Miichelstaedter, but surely there is more to Chiavacci than an exegesis of Michelstaedter (especially to refute Gentile’s) – my favourite tracts are three: his ‘critique of poetical reason’ – a critique we were lacking! --, his little treatise on ‘man’ – and his ‘reality’ and not appearance, as Bradley would have it, but ‘illusion,’ which is related to Latin ‘ludus,’ game – His ‘philosophical studies’ cap it all!” Partecipe della stagione neoidealista italiana, fu tra i più innovativi interpreti ed eredi dell'attualismo gentiliano.   Nato a Foiano in provincia di Arezzo da Enrico Chiavacci e Annunziata Doni, ricevette l'istruzione primaria a Cortona, e quella secondaria nel liceo di Iesi. Frequentò la facoltà di lettere del Regio Istituto di Studi Superiori a Firenze, dove fu allievo di Guido Mazzoni, e conobbe tra gli altri il poeta filosofo Carlo Michelstaedter, di cui divenne grande amico, insieme ad Arangio-Ruiz, Cecchi, De Robertis, Lamanna, Facibeni. Si laureò con una tesi sul Decameron di Boccaccio, e l'anno seguente ottenne una cattedra di insegnamento per il ginnasio inferiore.  Con l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale, Chiavacci combatté al fronte come capitano di artiglieria. Tornato all'insegnamento, nell'immediato dopoguerra vinse una cattedra per il ginnasio superiore, e iniziò nel contempo a frequentare la facoltà di filosofia a Roma, dove incontrò Giovanni Gentile, col quale si laureò con una tesi su Antonio Rosmini.  Dal 1924 cominciò a insegnare filosofia nei licei, e due anni dopo fu promosso a preside di varie scuole, tra cui Siena dove nacque suo figlio Enrico. Divenne professore universitario di pedagogia alla Scuola normale di Pisa, e insegnò filosofia teoretica a Firenze, anche la cattedra di estetica.  Entra a far parte dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Gli verranno quindi elargiti diversi altri titoli accademici e riconoscimenti, come la medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte. L'idealismo: tra Gentile e Michelstädter «Se mi domando [...] che cosa debba al pensiero filosofico di Gentile, quale mi sembri essere il nucleo più vitale della sua dottrina, non trovo, a voler tutto restringere in una parola, risposta più esatta di questa: la dottrina dell'atto puro.»  (Gaetano Chiavacci, L'eredità di Gentile, in «Giornale di metafisica». La filosofia di Chiavacci si muove tra l'idealismo attuale di Gentile da un lato, e l'anti-dialettica esistenziale di Carlo Michelstaedter dall'altro, conciliati in un'ottica spiritualista cristiana.  Dell'attualismo gentiliano egli intende rivalutare la portata atemporale dell'atto puro dello Spirito, a cui riconosce piena realtà, a differenza dell'attualità concepita come un presente situato storicamente tra un passato e un futuro illusori.  Riappropriandosi al contempo del criterio della persuasione di Michelstädter, Chiavacci ritiene che non si debba a sua volta fare dell'atto una teoria, una filosofia panlogista staccata dalla vita e dal suo stesso attuarsi, «perché deve essere essa la vita».  Gentile ha avuto il merito di elaborare una filosofia anti-intellettualistica che non si esaurisce nel concetto, ma è autoconcetto, mostrando come il mondo consista nell'autocoscienza dell'atto pensante, in cui vi è «assoluto possesso, realtà attuale immanente al suo farsi». Egli tuttavia non avrebbe compreso appieno le conseguenze di questo attuarsi dell'atto, e sarebbe rimasto a sua volta dentro un "concetto" dell'autoconcetto, cioè in una forma di mediazione logica, di costruzione intellettuale, in un logo astratto che supera e smarrisce la «fonte della verità».  L'atto invece, per Chiavacci, proprio perché non può essere ridotto a fatto, cioè ad oggetto, è un atto «che sfugge ad ogni metro di criterio preconcetto, e che, per comprenderlo, bisogna rivivere dal di dentro».  Tale consapevolezza interiore che «il soggetto ha di sè senza oggettivarsi», è per Chiavacci fondamentalmente un'intuizione, un sentimento, che permea la dialettica dell'atto pensante articolata nel soggetto e nell'oggetto. Essa bensì è anche un processo mediato, da cui risulta un logo "pensato" senza cui non si avrebbe coscienza formante della sua stessa origine intuitiva, ma un pensato che resterebbe vuota astrazione, «caput mortuum, se si distacca dalla sintesi di cui vuol rendere conto, da quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e sempre nuovo, e che è l'intuizione costitutiva dell'attualità dell'io e che forse meglio si potrebbe dire sensus sui».  Essa è infine, negli esiti religiosi dell'ultimo Chiavacci, essenzialmente fede.  Opere Tesi di laurea: La Commedia nel Decamerone (Iesi, tipografia Fiori) Il valore morale nel Rosmini (Firenze, Vallecchi) Illusione e realtà. Saggio di filosofia come educazione (Firenze, La Nuova Italia), concepita come una traduzione in forma propositiva del tema della «persuasione» che era stata esposta nell'opera di Michelstaedter in maniera indiretta e non sistematica come contrapposizione alla «rettorica». Saggio sulla natura dell'uomo (Firenze, Sansoni), dove il conflitto michelstädteriano tra illusione e realtà diventa quello tra natura e ragione umana, superato dalla dialettica dell'atto spirituale. La ragione poetica (Firenze, Sansoni), divisa in due parti: Il momento dell'Indifferenza, che affronta il problema della discordanza tra natura e intelletto, ovvero tra fatti e concetti, e tra questi e valori; e Il momento della libertà, che assegna alla libera creatività di una ragione non logica ma poetica il fondamento di quei valori, attraverso le dimensioni dell'arte e della religione. Chiavacci ha inoltre curato l'edizione delle Opere di Michelstaedter (Firenze, Sansoni), oltre a redigere, su richiesta di Gentile, la voce "Michelstaedter" per l'Enciclopedia Italiana.  A lui si devono poi altri due saggi sul Rosmini:  Filosofia e religione nella vita spirituale di A. Rosmini (Milano, Bocca), e La filosofia politica di A. Rosmini (Milano, Bocca). Postume Quid est veritas? Saggi filosofici, A.M. Chiavacci Leonardi, introduzione di Eugenio Garin, Firenze, Olschki, GentileChiavacci. Carteggio, Paolo Simoncelli, Firenze, Le Lettere. Roberto Grita, Gaetano Chiavacci, su treccani. Antonio Russo, Gaetano Chiavacci, interprete di Michelstaedter, Trieste. Così Chiavacci ricorderà il suo primo incontro con la figura di Gentile: «Leggendo per la prima volta la Teoria generale dello spirito, ebbi un lampo di luce, pel quale intravidi la possibilità di comprender la vita, di potervi trovare quel valore senza del quale ogni altra cosa non ha pregio» (da una lettera di Chiavacci a Gentile, cit. in Gentile-Chiavacci: CarteggioSimoncelli, Firenze).  Scheda su Gaetano Chiavacci [collegamento interrotto], su agiati.org.  Cit. anche in G. Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, A.M. Chiavacci Leonardi, Olschki. Gaetano Chiavacci, Il pensiero di Carlo Michelstaedter, articolo sul «Giornale critico della filosofia italiana». Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, in «Giornale critico della filosofia italiana», Gaetano Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, Gaetano Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, A. M. Chiavacci Leonardi, Olschki, Gaetano Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo, Gaetano Chiavacci interprete di Michelstaedter. Eugenio Garin, Introduzione a G. Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo, Gaetano Chiavacci interprete di Michelstaedter, Gaetano Chiavacci, su sapere.  Gaetano Chiavacci, Michelstaedter Carlo, in «Enciclopedia Italiana»,  Roma. Gustavo Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, La Scuola, Augusto Guzzo, Gaetano Chiavacci: la "Ragione poetica", in «Giornale di metafisica», Francesco Valentini, Recenti studi sull'attualismo, in «Rassegna di filosofia»,  Antonio Testa, Michelstaedter e i suoi critici, in «Rassegna di Filosofia», Gianfranco Morra, La scuola gentiliana e l'eredità dell'attualismo, in «Teoresi», Vito A. Bellezza, Gentile e l'attualismo nell'ultimo ventennio, in «Cultura e Scuola», Dario Faucci, L'«attualismo» di Gaetano Chiavacci, in «Filosofia»,  Antimo Negri, Giovanni Gentile: sviluppi e incidenza dell'attualismo, Firenze, La Nuova Italia, Antonio Russo, Gaetano Chiavacci (1886-1969) interprete di Michelstaedter, Sergio Campailla, in  La via della persuasione. Carlo Michelstaedter un secolo dopo, Venezia, Marsilio, Attualismo (filosofia) Giovanni Gentile Idealismo italiano Carlo Michelstaedter La Persuasione e la Rettorica Enrico Chiavacci  Gaetano Chiavacci, in Dizionario biografico degli italiani. Gaetano Chiavacci. Keyowords: critica della ragione poetica, illusion, allusion, ludo, la natura dell’uomo, carteggio con Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiavacci”.

 

CHIOCCHETTI (Moena). Filosofo. Grice: “I like Chiocchetti – a surname most Englishmen are unable to pronounce, but cf. Chumley! – For one, he exapanded, alla Croce on Vico as proposing ‘espressione’ as prior to ‘communicazione,’ as I do – but he went further – he studied the Latin-language author, and saint, Aquinas, and his ‘modi di significare’ – Lastly, he expanded on ‘pragmatism’ as the term of abuse it MUST be! Why are non-philosophers OBSESSED to keep miscalling me a ‘pragmaticist’ who is into ‘pragmatics’ – It’s totally anti-Oxonian – Oxford being the epitome of aestheticism – to do so! Chiocchetti also played with the abused term, ‘scolastic’: he thought there are two scolastics: the palaeo-scolastici, or scolastici simpiciter, and the ‘neo-scolastici,’ like his self! He wrote a little tract on Gentile, who ungently threw it onto the wastepaper basket!” --  Emilio Chiocchetti (Moena) filosofo. Nato a Moena, in Val di Fassa, vestì l'abito francescano nel 1896 e l'anno successivo concluse gli studi secondari a Rovereto. Durante il corso di teologia si appassionò agli studi biblici, anche se non gli venne concessa la possibilità di approfondirli presso l'Istituto biblico francescano di Gerusalemme e la Facoltà teologica di Vienna. Nel 1903 venne ordinato sacerdote.  Fino al 1908 studiò filosofia a Roma presso il Collegio internazionale di San Antonio. Tornò quindi a Rovereto per insegnare filosofia presso il liceo interno all'Ordine dei Minori e iniziò un'assidua collaborazione, su invito del padre Agostino Gemelli, alla Rivista di filosofia neoscolastica fin dalla sua fondazione (1909).  Tra il 1908 e il 1909 progettò uno studio sistematico sulla filosofia di Henri Bergson, interrompendolo definitivamente nel 1910 per approfondire ulteriormente la sua preparazione filosofica a Lovanio, centro degli studi neoscolastici. Subito dopo si recò in Germania, a Fulda, per ascoltare Konstantin Gutberlet, e successivamente a Vienna, dove frequentò come uditore le lezioni di psicologia di Wilhelm Wundt. Tornato all'insegnamento a Rovereto nel 1912, assunse la direzione della Rivista tridentina.  Note  Chiocchetti, Emilio, su siusa.archivi.beniculturali. 20 marzo .  G. Faustini, , Emilio Chiocchetti, Antonio Rosmini e la cultura trentina: un filosofo ladino tra Trentino ed Europa, Trento, Pancheri, 2008 G. Faustini, , Emilio Chiocchetti: un filosofo francescano di fronte alle sfide del Novecento: antologia, scritti di filosofia e cultura, Trento, Pancheri, 2006 Padre Emilio Chiocchetti un filosofo francescano tra il Trentino e l'Europa: atti del seminario di studio promosso dal Museo storico in Trento, svoltosi a Trento il 3 dicembre 2004, "Archivio Trentino", 1, 2005,  101–215 S. Pietroforte, Storia di un'amicizia filosofica tra neoscolastica, idealismo e modernismo: il carteggio Nardi-Chiocchetti (1911-1949), Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2004 R. Centi, Un filosofo francescanoEmilio Chiocchetti, Trento, Gruppo culturale Civis, C. Coen, Chiocchetti Emilio, in Dizionario biografico degli italiani,  25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1981 (Dizionario biografico degli italiani) G. Consolati, ,  diEmilio Chiocchetti filosofo trentino (Moena 1880-1951) rettore generale francescano e professore di storia della filosofia moderna alla Università cattolica del S. Cuore, Trento, Saturnia, Emilio Chiocchetti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Emilio Chiocchetti, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere di Emilio Chiocchetti, .   Pubblicazioni di Emilio Chiocchetti, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation. Emilio Chiocchetti. Keywords: Grice: “In Italy, just to know that a philosopher has a religion orientation disqualifies as a philosopher, and that is at it should. The keyword is: anti-Popish, Vico, Croce, estetica, Aquino, Gentile, Neo-Scolastica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiocchetti” – The Swimming-Pool Library.

 

CHIODI: Grice: “I like Chiodi; for one, he plays, somethings rather sneakily, with the Italian language as Heidegger played with the German language: Heidegger is able to play with Latinate versus Germanic words: tat (deed) versus fakt. The Italians only have ‘fatto’ and this leads Chiodi to restrict ‘fatto’ to ‘tat’ and invent ‘effetto’ for ‘fakt!’ – “But other than that he was a genius!” -- Pietro Chiodi (Corteno Golgi) filosofo.  Figlio di Annibale e Maria Romelli, frequentò le scuole elementari al paese natio e le medie inferiori e superiori a Sondrio sotto la guida del prof. Credaro, che lo avviò allo studio della filosofia. Dopo aver conseguito nel 1934 l'abilitazione magistrale si trasferì a Torino, dove si laureò il 27 giugno 1938 in pedagogia sotto la guida di Nicola Abbagnano. Nell'anno successivo ottenne la cattedra di storia e filosofia del liceo classico Giuseppe Govone di Alba, dove insegnò per 18 anni. Qui entrò in contatto col professore di lettere Leonardo Cocito, del quale divenne intimo amico, ed ebbe tra i suoi allievi lo scrittore Beppe Fenoglio. Questi ricorderà più volte nei suoi scritti i due insegnanti, con i loro nomi o con pseudonimi; Chiodi diventerà così, nel romanzo Il partigiano Johnny, il personaggio di Monti.  Grazie ai suoi contatti con Cocito, fervente comunista e antifascista, Chiodi entrò, Il 2 luglio 1944, a far parte di una formazione partigiana Giustizia e Libertà col nome di battaglia di “Piero”.  Il 18 agosto di quello stesso anno Chiodi venne catturato dalle SS italiane, assieme ai suoi compagni, e deportato in un campo di prigionia a Bolzano, quindi a Innsbruck. Aiutato dal comandante del lager e da un medico, ottenne il visto di rimpatrio. Il 30 settembre alle ore 07:30 era alla stazione di Innsbruck diretto a Verona. Il 3 ottobre, verso sera, giunse nell'albese. Qui riprese la sua attività di partigiano, ora sotto il nome di battaglia di Valerio, mettendosi a capo, nelle Langhe, di un battaglione della CIII Brigate Garibaldi intitolato al suo collega Cocito, impiccato dai tedeschi a Carignano (località pilone Virle) il 7 settembre 1944, insieme ad altri patrioti.  Nel 1946 narrò la propria esperienza di lotta, di prigionia e di guerra civile nel libro scritto in forma diaristica e pubblicato dall'ANPI, Banditi, uno dei primi memoriali di deportati politici italiani.  Dopo la liberazione di Torino nel 1945, Chiodi era tornato all'insegnamento ad Alba. Nel 1957 si trasferì come insegnante al Liceo di Chieri e poi al Liceo Vittorio Alfieri del capoluogo piemontese. Nel 1955 ottenne la libera docenza e dal 1963 fu incaricato e poi titolare della cattedra di Filosofia della storia alla Facoltà di Lettere e filosofia a Torino, insegnamento che ricoprì fino alla sua prematura morte nel 1970, affiancandolo all'incarico di Pedagogia. Nel 1961, l'Accademia Nazionale dei Lincei gli assegnò il premio del Ministero della Pubblica Istruzione per la filosofia e nel 1964 gli fu conferito il Premio Bologna.  Alla ristampa del 1961 di Banditi Chiodi premise questa avvertenza, poi conservata nelle edizioni successive: «La presente ristampa si rivolge particolarmente ai giovani, non già per far rivivere nel loro animo gli odi del passato, ma affinché, guardando consapevolmente ad esso, vengano in chiaro senza illusioni del futuro che li attende se per qualunque ragione permetteranno che alcuni valoricome la libertà nei rapporti politici, la giustizia nei rapporti economici e la tolleranza in tutti i rapportisiano ancora una volta manomessi subdolamente o violentemente da chicchessia».  Raccolse grande stima ed affetto tra suoi allievi, che ne conservano tuttora il ricordo di un grande Maestro, limpido esempio di tolleranza e serenità di giudizio.  Attività filosofica L'attività filosofica di Pietro Chiodi si concentrò specialmente sull'Esistenzialismo, riletto in chiave positiva. La maggior parte delle sue opere è dedicata a Martin Heidegger.  Egli fu il primo traduttore in Italiano di Essere e tempo, nel 1953, e il terzo in assoluto a realizzarne una versione in un'altra lingua, dopo il giapponese e lo spagnolo. Proprio a Chiodi si deve la definizione della terminologia heideggeriana in Italiano, divenuta poi abituale tra gli studiosi. Valga un caso per tutti: la traduzione del tedesco Dasein con l'italiano Esserci, capolavoro di sintesi ed efficacia, spesso e volentieri non ancora raggiuntain questo specifico casoin altre lingue. Al filosofo tedesco dedicò anche, ovviamente, diversi saggi: L'esistenzialismo di Heidegger (1947), L'ultimo Heidegger (1952), Esistenzialismo e fenomenologia (1963). Fu, inoltre, traduttore di L'essenza del fondamento (1952) e Sentieri interrotti (1968). A Immanuel Kant dedicò, invece, La deduzione nell'opera di Kant (1961) e ne tradusse nel 1967 la Critica della ragion pura e gli Scritti morali, usciti nella sua versione nel 1970. È infine da ricordare il suo interesse per Jean-Paul Sartre, del quale si occupò nel 1965 nell'opera Sartre e il marxismo.  L'esperienza partigiana rimase sempre una pagina fondamentale nella vita di Pietro Chiodi, per cui il valore della libertà occupò sempre il primo posto. Non è un caso che Fenoglio faccia rivolgere da parte di Monti, nel Partigiano Johnny, proprio questo ammonimento ai giovani partigiani di Alba: «Ragazziteniamo di vista la libertà». La sua breve e unica opera narrativa, Banditi, ricca di valore non solo storico e morale ma anche letterario, è stata definita da Davide Lajolo «Il libro più vivo, più semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana» (L'Unità, 10 ottobre 1946) e da Franco Fortini «quasi un capolavoro [...]. Ci sono dei tratti straordinari, nel tragico come nel comico».  Opere Chiodi Pietro, Banditi, con introduzione di Gian Luigi Beccaria, Torino, Einaudi, 2002 [1961],  978-88-06-16322-8. Chiodi Pietro, Esistenzialismo e filosofia contemporanea, Giuseppe Cambiano, Pisa, Edizioni della Normale, 2007,  88-7642-194-7. Note   Deportati Politici Italiani, su restellistoria.altervista.org. Chiodi, Banditi, Torino, Einaudi, 1975V.  , Conoscere la Resistenza, Milano, Unicopli, 1994132.  Resistenza italiana Deportati politici italiani Esistenzialismo Martin Heidegger Opere di Pietro Chiodi, .  Biografia di Chiodi nel sito dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, su anpi. Centro Studi 'Beppe Fenoglio'CHIODI Pietro, su centrostudibeppefenoglio. V D M Antifascismo (1919-1943) Filosofia Filosofo del XX secoloPartigiani italiani 1915 1970 2 luglio 22 settembre Corteno Golgi TorinoBrigate Giustizia e LibertàDeportati politici italiani. Keywords: nulla annhihila, Kant imperative, counsel of prudence, rule of ability, practical reason, existentialism, Heidegger, greatest philosopher, maxim universality, maxim universability.

 

CHITTI. (Citanova). Filosofo. Grice: “I like Chitti; not so much for what he philosophised about – law and law and law – but the way he corresponded with Say – a French philosopher – on the lack of an adequate philosophical vocabulary in Italian to express Aristotle’s principles of oeconomia!” Fervor, temperanza e, ingegno finissimo fanno di lui uno di quegli filosofi che sono atti egualmente alla filosofia ed all'azione.  Figlio di Giuseppe, avvocato e giudice alla Gran Corte Criminale di Reggio e di Saveria Barbaro, nativa di Napoli.  Partecipa a Napoli, col padre ed i fratelli, alla rivoluzione. In seguito alla capitolazione del Forte Castel Nuovo, ripara in Francia. A Parigi, termina gli studi giuridici e strinse amicizia con molti patrioti del tempo.   Ferdinando I delle Due Sicilie Tornato a Napoli, esercita in città la professione di avvocato e difese Casalnuovo (l'odierna Cittanova) contro la feudataria del luogo, Maria Grimaldi-Serra, ultima principessa di Gerace, davanti alla regia commissione feudale. Fattosi un nome come avvocato, dopo la restaurazione ebbe la nomina di segretario generale al Ministero di Grazia e Giustizia del Regno.  A Napoli sposa la figlia di Emanuele Hipman, un capo dipartimento di uno dei Ministeri del Regno. Fu coinvolto nella rivolta contro Ferdinando I organizzata dai sottotenenti Morelli e Silvati, fu quindi privato della carica ed esiliato. Passa un periodo a Londra, e tenta di ritornare a Napoli, ma ebbe l'inibizione ufficiale a rientrare nella capitale. Anda a Firenze e di lì a poco, chiamato da amici, si recò a Bruxelles.  In Belgio da lezioni di diritto pubblico e di economia sociale, ottenne la carica di segretario della Banca Fondiaria e si fece un nome. Il governo belga gli conferì la licenza di professare Economia Sociale, e tenne quattro letture pubbliche nel Museo di Bruxelles. Le sue quattro letture furono intitolate da lui stesso «Corso di Economia sociale», compendio delle sue vaste vedute e della sua non comune cultura sull'argomento. Pubblica altre opere ed in seguito alla fama acquisita, il governo belga gli conferì la carica di Professore alla facoltà di diritto dell'Bruxelles. In Belgio pubblica la maggior parte dei suoi lavori e strinse amicizia con Gioberti, che lo definirà valente economico. Nonostante la revoca dell'esilio, non torna a Napoli ma rimase in Belgio ancora per parecchi anni fino a quando partì per il nuovo mondo.  In America, tenta  varie imprese commerciali, ma difficoltà sopravvenute gli fecero abbandonare presto i suoi progetti e si stabilì a New York. Altre opere: “Trattato di economia politica o semplice esposizione del modo col quale si formano, si distribuiscono e si consumano le ricchezze; seguito da un'epitome dei principi fondamentali dell'economia politica di Giovanni Battista Say” (Napoli, Stamperia del Ministero della Segreteria di Stato). Ermenegildo Schiavo, Four centuries of Italian-American history, Vigo Press. The New York Herald morning edition mercoledì. New York Daily Times pag. 4  Daily Free Democrat. The American almanac and repository of useful knowledge, Center for Migration Studies Special Issue: Four Centuries of Italian American History Wiley Online Library  Vincenzo De Cristo, Prime notizie sulla vita e sulle opere di Chitti Economista, Prem. Tip. e Lib. Claudiana, Dizionario biografico degli italiani,  25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Chitti. Keywords: economia sociale, economia politica, l’economia filosofica d’Aristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chitti” – The Swimming-Pool Library.

 

Cicerone -- Ciceronian implicaturum: Grice: “One has to be careful: an Italian philosopher might argue that Cicerone ain’t Italian, but Roman! – so the keywords: ‘filosofo italiano’ ‘filosofo romano’ – matter!” Grice: “However, whatever the discussion, provided Cicerone IS discussed by this or that undeniable *Italian* philosopher is enough to provide us with some nice secondary literature!” – Grice: “As an example, I would mention the two-volume of the ‘Storia della filosofia’ – if you check for the “Roman chapter,” it’s mainly all about Cicerone – with some footnote to Lucrezio and Aurelio!” – Grice: “Recall that Roman-Roman philosophy is pretty recent: due to the embassy by the three Greek philosophers who arrived in Rome in 183 a. u. c., and – philosophy then became the pastime of the leisurely class, notably the Scipioni!” --  Marcus Tullius, Roman statesman, orator, essayist, and letter writer. He was important not so much for formulating individual philosophical arguments as for expositions of the doctrines of the major schools of Hellenistic philosophy, and for, as he put it, “teaching philosophy to speak Latin.” The significance of the latter can hardly be overestimated. Cicero’s coinages helped shape the philosophical vocabulary of the Latin-speaking West well into the early modern period. The most characteristic feature of Cicero’s thought is his attempt to unify philosophy and rhetoric. His first major trilogy, On the Orator, On the Republic, and On the Laws, presents a vision of wise statesmen-philosophers whose greatest achievement is guiding political affairs through rhetorical persuasion rather than violence. Philosophy, Cicero argues, needs rhetoric to effect its most important practical goals, while rhetoric is useless without the psychological, moral, and logical justification provided by philosophy. This combination of eloquence and philosophy constitutes what he calls humanitas  a coinage whose enduring influence is attested in later revivals of humanism  and it alone provides the foundation for constitutional governments; it is acquired, moreover, only through broad training in those subjects worthy of free citizens artes liberales. In philosophy of education, this Ciceronian conception of a humane education encompassing poetry, rhetoric, history, morals, and politics endured as an ideal, especially for those convinced that instruction in the liberal disciplines is essential for citizens if their rational autonomy is to be expressed in ways that are culturally and politically beneficial. A major aim of Cicero’s earlier works is to appropriate for Roman high culture one of Greece’s most distinctive products, philosophical theory, and to demonstrate Roman superiority. He thus insists that Rome’s laws and political institutions successfully embody the best in Grecian political theory, whereas the Grecians themselves were inadequate to the crucial task of putting their theories into practice. Taking over the Stoic conception of the universe as a rational whole, governed by divine reason, he argues that human societies must be grounded in natural law. For Cicero, nature’s law possesses the characteristics of a legal code; in particular, it is formulable in a comparatively extended set of rules against which existing societal institutions can be measured. Indeed, since they so closely mirror the requirements of nature, Roman laws and institutions furnish a nearly perfect paradigm for human societies. Cicero’s overall theory, if not its particular details, established a lasting framework for anti-positivist theories of law and morality, including those of Aquinas, Grotius, Suárez, and Locke. The final two years of his life saw the creation of a series of dialogue-treatises that provide an encyclopedic survey of Hellenistic philosophy. Cicero himself follows the moderate fallibilism of Philo of Larissa and the New Academy. Holding that philosophy is a method and not a set of dogmas, he endorses an attitude of systematic doubt. However, unlike Cartesian doubt, Cicero’s does not extend to the real world behind phenomena, since he does not envision the possibility of strict phenomenalism. Nor does he believe that systematic doubt leads to radical skepticism about knowledge. Although no infallible criterion for distinguishing true from false impressions is available, some impressions, he argues, are more “persuasive” probabile and can be relied on to guide action. In Academics he offers detailed accounts of Hellenistic epistemological debates, steering a middle course between dogmatism and radical skepticism. A similar strategy governs the rest of his later writings. Cicero presents the views of the major schools, submits them to criticism, and tentatively supports any positions he finds “persuasive.” Three connected works, On Divination, On Fate, and On the Nature of the Gods, survey Epicurean, Stoic, and Academic arguments about theology and natural philosophy. Much of the treatment of religious thought and practice is cool, witty, and skeptically detached  much in the manner of eighteenth-century philosophes who, along with Hume, found much in Cicero to emulate. However, he concedes that Stoic arguments for providence are “persuasive.” So too in ethics, he criticizes Epicurean, Stoic, and Peripatetic doctrines in On Ends 45 and their views on death, pain, irrational emotions, and happiChurch-Turing thesis Cicero, Marcus Tullius 143   143 ness in Tusculan Disputations 45. Yet, a final work, On Duties, offers a practical ethical system based on Stoic principles. Although sometimes dismissed as the eclecticism of an amateur, Cicero’s method of selectively choosing from what had become authoritative professional systems often displays considerable reflectiveness and originality.  “Cicero = Tully” Grice: “Actually, ‘Cicero’ and ‘Tully’ mean different things! ‘Cicero’ is more of a description than a name!” La morte di Cicerone. Cicero proscribed by the triumvirate. Cicero killed by Marco Antonio, one of the three ‘vires’, along with Ottaviano. Cicero offered his hands, with which he had written the Filippiche. His head and hands were displayed at the Senate. The Romans never quite liked him because he was only a provincial nobility and never displayed courage. Grice: “Most English gentlemen knew Cicero via the Macmillan’s Loeb Classical Library, a book fit for the gentleman’s pocket! One at a time, since there are quite a few volumes dedicated to Cicero! Mr Chips makes fun of the revised pronounciation, /kikero/!” Grice: “Austin liked Cicero because he made ordinary Latin into extraordinary philosophese!” Cicerone – Keywords: untranslatable, signans/signatum, signans, signatum. Cicerone, Cicero = Tully. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cicerone” – The Swimming-Pool Library.

 

cocconato: Grice: “I like Coconato – I used to say that the first task for the historian of Italian philosophy, unless you are a member of La Crusca, is to decide on the surname – I like Cocconato! He spent some time in London, as I did – and he shows that the average Italian philosopher is a nobleman, or vice versa!” – Grice: “Venturi revived Cocconato, as did the re-issuing of his “Moral Discourses”!” -- “Manhood and unbelief” -- Alberto Radicati, conte di Passerano e Cocconato (Torino), filosofo. Libero pensatore, fu il «primo illuminista della penisola», secondo una definizione di Piero Gobetti. Cocconato matura il suo pensiero anti-clericale nel clima dell'anticurialismo sabaudo ben presente in alcuni settori della corte di Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. S'ignora tutto della sua prima formazione, verosimilmente affidata a qualche ecclesiastico. Un infelice matrimonio precoce, combinato dalle famiglie, lo coinvolge ventenne, e già due volte padre, in una serie di penosi contrasti il cui significato travalica i conflitti coniugali. Mentre a prendere le parti della moglie si mobilita il partito devoto-clericale, Radicati trova sostegno a corte in chi appoggia il re sabaudo nei suoi conflitti giurisdizionali con la Curia romana.  Il grottesco-ironico racconto della sua «conversion pubblicato a Londra e ripubblicato con il titolo “A Comical and True Account of the Modern Cannibal's Religion” induce a datare intorno agli anni venti il precipitare della crisi della fede cattolica in cui il conte era stato cresciuto. Nell'opuscolo autobiografico presenta la sua personale vicenda come un caso emblematico di «uscita dalla minorità. Narra infatti come, a partire dal contrasto tra santoni bianchi e santoni neri monaci cistercensi e quelli agostinianisui presunti miracoli operati da un'immagine della Vergine, rinvenuta nel convento agostiniano, avesse cominciato a vacillare in lui la fede e come, verso i vent'anni, avesse cominciato anche in campo religioso “a far uso della mia ragione.”Importante per la sua ulteriore maturazione intellettuale è il viaggio compiuto nella Francia della "Reggenza" tin cui poté ampliare il raggio delle sue conoscenze e forse procurarsi testi libertine come La Sagesse di Charron, l'Hexameron rustique di Vayer o il Traité contre la Médisance di Brosse, in cui ricorrono motivi che troveranno eco e sviluppo nelle sue opere. Il suo scritto principaleI discorsi morali, storici e politici redatti su diretto incarico di Vittorio Amedeo II nel mutato clima conseguente alla ratifica del Concordato stipulato tra regno sabaudo e Benedetto XIII diverrà anche la ragione vera del suo esilio. Il conte, che da un riacquisito potere dell'Inquisizione a Torino deve temere per la sua libertà e per la sua stessa incolumità, lascia segretamente il Piemonte per dirigersi a Londra, dovendo poi subire per questa fuga non autorizzata dal sovrano il sequestro e la confisca dei beni.  A Londra pubblica con un discreto successo l'instant book che ricostruisce i retroscena della recente abdicazione di Vittorio Amedeo II mentre, al contempo, lavora alla stesura del più audace e radicale dei suoi scritti, “La Dissertazione filosofica sulla morte,” che, tradotta da JMorgan, uscirà dai torchi londinesi destando un enorme scandalo. Nella Dissertazione, che gli costa anche l'esperienza delle carceri della tollerante Inghilterra di Walpole, propugna il diritto al suicidio e all'eutanasia sullo sfondo di una esplicita filosofia materialistica che scorge nel Deus sive Natura spinoziano-tolandiano il suo unico grandioso orizzonte di senso. Nella sua meditazione sulla morte e sulla liceità del suicidio si inserisce in un dibattito che già Montesquieu aveva rilanciato nelle Lettere Persiane, riprendendo una discussione inaugurata nel Seicento da Donne con il suo Biothanatos. Interessato a proporre un progetto politico che esige come sua prima tappa essenziale una riforma radicale della cristianità occidentale, capace di affrancarla dal giogo clericale- o se si vuole, in termini più neutri dal potere pastorale- la scelta del tema del diritto individuale alla morte non è scelta casuale per quanto la meditazione sul suicidio non sia priva di elementi autobiografici. Le chiese cristiane di ogni confessione ritengono infatti un loro preciso dovere intervenire direttamente nella gestione del trapasso a quella che esse, in base alla loro fede, considerano la vera vita, quella ultraterrena. Del resto non solo il mondo cristiano, lo stesso ebraismo e l'islam, finendo con il recepire come un dogma l'interpretazione agostiniana del suicidio come omicidio di se stessi, per secoli hanno considerato la morte volontaria come il più grave e irreparabile dei peccati, suprema manifestazione di oltranza e ribellione alla volontà divina, mentre le autorità statali, dal canto loro, si distinguevano per la crudeltà inumana con cui trattavano i cadaveri dei suicidi e i beni dei loro eredi.  Se i Discorsi partivano dalla morale ricavata essenzialmente da una lettura pauperistico-comunistica dei Vangeli che faceva di Cristo, al pari di Licurgo, il grande critico dell'istituto familiare, nonché il fondatore di una democrazia perfetta in cui non esiste né il mio, né il tuo»per poi occuparsi di politica e concludersi in concrete proposte riformatrici, nella Dissertazione filosofica fornisce una risposta alla legittimità del suicidio muovendo da una concezione complessiva del mondo e dell'esistenza umana. Nonostante il suo titolo, la Dissertazione filosofica sulla morte non rinnega affatto l'istanza spinoziana che intende la filosofia quale gioiosa meditatio vitae, apertura mentale a una possibile transizione da una condizione di servitù a una condizione di più ampia libertà che è, simultaneamente, incremento della capacità del corpo di comporsi e ricomporsi con altri corpi per realizzare la sua potenza e ampliare la sua capacità di comprendere le cose.  Definisce l'individualità umana a partire dalle relazioni che essa intrattiene con il tutto. Per quanto grandezze infinitesimali noi siamo materia della materia che costituisce l'Universo nella sua indefinita immensità. La certezza che ci resta, quando ci liberiamo dall'ignoranza in cui nasciamo e dagli idola tribus, i pregiudizi con cui siamo allevati, è che noi siamo vicissitudini della materia. La materia a cui pensa tuttavia nel suo esilio londinese e poi olandese non è lo squalificato sostrato inerte che dai greci giunge fino a Cartesio che, limitandosi a identificare materia ed estensione, continua ad aspettarsi dal Dio creatore l'impulso motore e la creazione continua. Come per il Toland delle Lettere a Serena e del Pantheisticon, la materia pensata dal Radicati è la materia actuosa che reingloba nel meccanicismo moderno motivi provenienti dal naturalismo rinascimentale a cui ineriscono direttamente movimento e autoregolazione.  L'universo è un mondo infinito in perpetuo movimento: in esso nulla continua ad essere anche solo per un istante la stessa cosa. Le continue alterazioni, successioni, rivoluzioni e trasmutazioni della materia non incrementano né diminuiscono tuttavia il grande tutto, come nessuna lettera dell'alfabeto si aggiunge o si perde per le infinite combinazioni e trasposizioni di essa in tante diverse parole e linguaggi. La natura, mirabile architetta sa sempre come utilizzare anche il minimo dei suoi atomi. La fine della nostra individualità costituita dalla morte non è quindi fine assoluta, perché niente si annichila nella materia e il principio vitale che ci anima come non è nato con noi troverà sicuramente altre forme di esplicazione: come la nostra nascita non è avvenuta dal nulla, non sarà nel nulla che ci dissolveremo.-- è estranea ogni forma di lirismo e, tuttavia, una concezione non lontana dalla sua rifiorirà in una delle pagine finali di uno dei maggiori romanzi lirici della modernità, nell'Hyperion di Hölderlin che fa dire alla sua eroina, Diotima: “Noi moriamo per vivere: «Oh, certo, i miserabili che non conoscono se non il ciarpame arrabattato dalle loro mani, che sono esclusivamente servi del bisogno e disprezzano il genio e non ti venerano, o fanciullesca vita della natura, a ragione possono temere la morte. Il loro giogo è diventato il loro mondo, non conoscono niente di meglio della loro schiavitù: c'è forse da stupirsi che temano la libertà divina che ci offre la morte? Io no! Io l'ho sentita la vita della natura, più alta di tutti i pensierie anche se diverrò una pianta, sarà poi così grande il danno? Io sarò. Come potrei mai svanire dalla sfera della vita, in cui l'amore eterno che è partecipato a tutti, riunifica le nature? come potrei mai sciogliere il vincolo che riunisce tutti gli esseri?»  Opere Antologia di scritti, in Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed economisti del primo Settecento, tomo V, F. Venturi, Milano-Napoli, Ricciardi, Dodici discorsi morali, storici e politici, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, Dissertazione filosofica sulla morte, T. Cavallo, Pisa, Ets Vite parallele. Maometto e Mosè. Nazareno e Licurgo, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, Discorsi morali, istorici e politici. Il Nazareno e Licurgo messi in parallelo, introduzione di G. Ricuperati (check); edizione e commento di D. Canestri, Torino, Nino Aragno Editore, Dissertazione filosofica sulla morte, F. Ieva, Indiana, Milano  Piero Gobetti, Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero nel Risorgimento, Torino, anche in Opere completeSpriano, Torino, Einaudi Franco Venturi, Adalberto Radicati di Passerano, Torino, Einaudi,  Franco Venturi, Settecento riformatore, I, Torino, Einaudi,  Silvia Berti, Radicati in Olanda. Nuovi documenti sulla sua conversione e su alcuni suoi manoscritti inediti, in «Rivista Storica Italiana», S. Berti, Radicali ai margini: materialismo, libero pensiero e diritto al suicidio in Radicati di Passerano, in «Rivista Storica Italiana», J. I. Israel, Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity Oxford, Oxford University Press, passim Tomaso Cavallo, Introduzione a A. Radicati, Dissertazione filosofica sulla morte, Pisa, Ets, Tomaso Cavallo, Le divergenze parallele. Mosè, Maometto, Nazareno e Licurgo: impostori e legislatori nell'opera di Alberto Radicati, introduzione ad A. Radicati, Vite parallele. Maometto e Sosem. Nazareno e Licurgo, Sestri Levante, Gammarò, Vincenzo Sorella, Un partigiano della ragione umana, in «I Quaderni di Muscandia», G. Tarantino, “Alternative Hierarchies: Manhood and Unbelief in Early Modern Europe, in Governing Masculinities: Regulating Selves and Others in the Early Modern Period, ed. by S. Broomhall and Jacqueline Van Gent, Ashgate, ,TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere, M. Cappitti, Le Vite Parallele di Alberto Radicati su blog.carmillaonline. Se poca fortuna ebbe come uomo politico e consigliere di monarchi, non diversa fu la sua sorte di filosofo; e la sua filosofia che ha a tratti momenti di luce viva e che riuscirono a destare interessi e preoccupazioni persino nelli liberi circoli, giacquero come cose inanimate dopo la sua morte, come se questa le avesse private, come il loro autore, di quello spirito vitale che le fa palpitare. E l'oblio scese su di loro, crudele e inesorabile, facendo perdere la conoscenza di la sua filosofia. Infatti il Saraceno pubblicando il « Manifesto» e le due « Lettere » indirizzate, l'una a Vittorio Amedeo II, l'altra a Carlo Emanuele III e premettendo alla sua edizione alcune notizie di carattere biografico e bibliografico, limita, pur credendo di darne l'elenco completo la sua filosofia a quelli saggi da lui pubblicate e a quell'altre contenute nel Recueil edito a Rotterdam. Cat. del British Museum sotto il nome di Thomas Joseph Morgan, il suo traduttore. Più la “History” edita a Londra. Da quel momento, per quei pochissimi che del nostro s'interessarono, le parole del Saraceno furono vangelo, e la filosofia dimenticata scomparvero definitivamente, come non-esistente, dalla sua bibliografìa. La sensazione iniziale di una possibile lacuna nell’elenco della sua filosofia, divenuta certezza in seguito ad alcune notizie rinvenute nel carteggio diplomatico tra l’inviato piemontese a Londra e la Corte di Torino, in cui era fatta la sua parola, mi determinò alla ricerca di questa filosofia sperduta. Quasi del tutto infruttuose furono le ricerche in Italia -- due sole lettere rinvenni all'Ai-, di Stato di Torino --. Fortunate invece all'estero e precisamente alla Biblioteca Bodleiana di Oxford, al British Museum di Londra, ed alla Staats Preusische Bibliothek di Berlino, dimodoché tenendo conto dei nuovi materiali trovati, la sua filosofia risulta in una elencazione definitive. Manifesto di A. I. R. di P. (Archivio R. di P., Castello di Passerano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. Memoria rilasciata al Marchese d'Aix. Lettera scritta dal conte A. R. di P. a S. M. il Re Vittorio Amedeo lì inserviente di prefazione ai discorsi da lui compilati e che intendeva dedicare alla prelodata Maestà sua. (Ardi. Stat. di Tor., Storia della Real Casa, Cat. terza, Storie pari). Lettera alla Contes. di S. Sebastiano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. “Christianity set in a True Light” in “XII Discourses Political and Historical. By a pagan philosopher newly converted” (London. Printed for J. Peele at Lockes Head in Pater-noster-Row; and sold by the Booksellers of London and Westminster). “The History of the Abdication of Victor Amedeus II, Late King of Sardinia with his confinement in the Castle of Rivole, Shewing the real Motives, which indue'd that Prince to resign the Crown in Favour of his Son Charles Emanuel the present King, as also how be came to repent of his Resignation with the secret Reasons that urg’d him to attempt his Restauration. On a letter frorn the Marquis de T. . . a Piemonlais now at the Court of Poland; to the Count de C. in London. Printed and sold by A. Dodd without, Tempie-Bar; E. Mutt and E. Cooke, at the Royal. Dell'opera n. 9 ne fa recentemente parola il NATALI, Milano. Royal Exchange ; and by the Booksellers and Pamphletsellers of London and Westminster MDGCXXXII. “A phliosophical [sic] dissertation upon death composed for the consolation of the unhappy, by a friend to Truth” (London. Printed for and sold by W. Mears at the Lamb on Ludgate-Hill). Lettera a S. M. il Re Carlo Emanuele III0 colla quale supplica la prelodata S. M. di voler gradire la dedica della opera da lui composta e già presentata alla fu S. M. il Re Vittorio Amedeo IIC . (Arch. Slato Torino - Storia Real Casa - Cat. Ili - Storie particolari). Twelve discourses concerning Religion and Governement, Inscribed to all lovers of Truth and Liberty by Albert Comte de Passeran, Written by Royal Command, The second Edition” (London, printed for the Booksellers, and at the Pamplet shops in London ad Westminster). Recueuil de pieces curieuses sur les matieres les plus interessantes – Rotterdam, Chez la Veuve Thomas Johnson et Fils - contenente: Dedica a Don Carlos; Factum d'A. R. de P. parce quel on voit les motifs qui l'ont engagé a composer cet ouvrage. Douze Discours Moraux, historiques et politiques, preceduti da una Declaration de l'Auteur, Histoire abregée de la profession sacerdotal, ancienne et moderne a la tres illustre et tres celèbre secte des esprit-forts par un Free-Thinker Chrètien, Nazarenus et Licurgos mis en parallele par Lucius Sempronius neophyte, Epitre à l'Empereur Trayan Auguste, Recit fìdelle et comique de la religion des Cannibales modernes par Zelin Moslem, dans lequel l'auteur declare les motifs qu'il eut de quitter celte abominable Idolatrie, traduit de l'Arabe a Rome par M. Machiavel [sic] imprimeur de la Sacrée congregation de Propaganda fide, con prefazione dell'editore. Projet facile, équitable et modeste, pour rendre utile à la Nation un grand nombre de pauvres enfans, qui lui son maintenant fort à charhe, traduit de l'Anglois. Sermon perché [sic] dans la grande assamblé des Quakers par le fameux frere E. Elwall dit l'Inspirée, traduit de l'Anglois a Londres, au depens de la Compagnie. La religion Muhammedane comparée à la paienne de l'Indostan par Ali-Ebn-Ornar, Moslem epitre a C.inknin, Bramili de Visa - pour traduit de l'Arabe. A Londres au depens de la Compagnie. Notiamo, ora di queste opere le notizie e di caratteri più salienti. Fu edita dal Saraceno, nell'opera più volte citata. Il testo rimane nella sua grafia del tutto immutato, con le inconstanze di scrittura (et, ed; chino e hanno) caratteristiche del filosofo; alquanto mutata è invece la punteggiatura, e gli alinea, la prima più scorretta nel testo originale, i secondi inesistenti nel MS., che corre tutto di seguito. Questa lettera con la quale comunica a Vittorio Amedeo II il suo desiderio di fargli pervenire la cassetta e di cui abbiamo notizia sia dalla lett. del March. d'Aix, sia dalla risposta del March, del Borgo, che c'informa pure del suo contenuto, per quante ricerche abbia fatte all'Arch. di Stato di Torino, non mi è stata possibile trovarla. Questa Memoria inedita si trova all'Ardi, di Stato di Torino. Fu edita dal Saraceno ed è una copia della lettera originale andata perduta. Delle lettere comprese sotto questi due numeri abbiamo notizia da una lettera del Cav. Ossorio al March. Del Borgo e dalla risposta del Del Borgo. Ma non mi è stato possibile poterle rintracciare. Quest'operetta edita, in un elegante Vili0, dopo due anni di soggiorno in Inghilterra, doveva nella mente dell'Autore essere composta di dodici discorsi. Fu edita invece incompleta contenendo solamente un “Preliminary discourse in wich the Author gives a particular account of his conversion” e il Discourse I, “Of the Precepts and Life of Jesus Clirist”. Al primo di essi corrisponde alquanto mutato nella forma e nell'estensione il Recit, contenuto nel Recueil. Al secondo corrisponde invece esattamente il Discorso I. Cfr. Twelve Discourses riprodotto poi integralmente dal Discours, Des Preceptes et des Mrnurs de Jesus Christ, dei Douze Discours, moreaux ecc.editi nel Becueil „. Ritornando al Preliminary discourse abbiamo detto che questo discorso fu riprodotto nelle sue linee sostanziali dal Recit incluso nel Recueil, ma molte varianti, e alcune di valore capitale sussistono fra i due testi. Accenneremo, qui, da un punto di vista generale, le caratteristiche più salienti dei due testi, e la maggior importanza che può avere, da un punto di vista biografico, l'edizione inglese; e infatti, pur essendo quest'ultima mancante dell'introduzione che troviamo nel testo di Rotterdam. L'imprimeur au lecteur judicieux, e della apocrifa Bolla di Benedetto XtlI, le numerosissime note esplicative, che svelano luoghi, nomi e date, la rendono di una importanza capitale per la ricostruzione della vita del filosofo. Senza questa edizione, corredata di note e di avvertimenti, veramente preziosi, sarebbe stato impossibile, per qualsiasi biografo, fare risultare dal semplice testo le notizie importantissime documentanti la conversione del filosofo al calvinismo. L'assenza di note del Recit e l'espressione più attenuata, in taluni punti, del testo inglese costituiscono i caratteri differenziali fra le due edizioni. I titoli dei discorsi annunciati, ma non editi nellla Christianity sono i seguenti: Discourse II: Of the Doctrine and Manners of the Apostles and Primitive Christians. Discourse III: The Christian Religion to the Religion of Nature itself. Discourse IV: What were the Causes of the Corruption of the Christians. Discourse V. Of the Mischief done to Christianity by the great Number of Churches and Ecclesiasticks. Discours VI. By what Means the Bishop of Rome are become Souvereigns of that Capital of the world. Discourse VII: That neither the spiritual nor temporal power of priests is authorized by the Gospel. Discourse VIII. Of the claims, by which the Papal Monarchy has maintained, continues to maintain and will maintain itself, as long as it can make use of them. Discourse IX. Of the evils caused by priests to sovereigns and their states. Discourse X: Of Natural right: Of the origin ond Nature of Government. Discourse XI: Of Religion in General. That all authority Spiritual as well as Temporal belongs, de jure, to the Sovereign; and how Ecclesiastical Affair should be regulated. Discourse XII: Of the Advantage that will accrue to Sovereigns and States, from the Observance of the Rules. Come si può presumere dai titoli i discorsi mancanti non avrebbero dovuto essere altro che quelli contenuti nei “Twelve Discourses” come di fatto prova il primo discorso contenuto nella Christianity del  tutto analogo al primo di quelli contenut i nei “Twelve Discourses” cosa, del resto, ch e si può rilevar e facilmente confrontando rispettivamente i titoli delle due edizioni, che, pur essendo vi qualche tenue variante di espressione, sintettizzano reciprocamente un analogo contenuto. Copia di questa edizione l'ho trovata soltanto al British Museu m di Londra. Di quest’opera falsamente attribuita al Marchese Trivié o ad un certo Lamberti ma che già il Saraceno ed il Carutti avevan o rivendicat a al filosofo, furono fatte numerosissime edizioni. Citiamo quelle che abbiamo potuto rintracciare e confrontar e con l'edizione inglese che possediamo. Anecdotes de l'abdication du roy de Sardaigne Victor Amédée II, ou l'on trouve les vrais motifs qui ont engagé ce prince a resigner la couronne en faveur de son fils Charles-Emmanuel a présent roi de Sardaigne. Comment il s’en est repenti, avec les raisons et les intrigues secretes qui l'ont porte à entreprendre son rétablissement par le marquis de F*** piemontois, à present à la Gour de Pologne; en forme de lettres écrite au comte de G*** a Londres. S. 1. in Vili. Histoire de l'abdication de Victor Amédé e nel volumetto La politique des deux partis, ou Recueil de pièces traduites de l'anglois de Bolingbroke et des Frère s Walpole (la Haye). Con la stessa intitolazione: Génève contenente una seconda lettera da Ghambery, probabilmente pur essa de filosofo. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Paris, in 4°, erratament e attribuiti dall'Oettinger ad un Lamberti non meglio identificato. L'Oettinger dà una traduzione tedesca dell’Histoire edita a Francoforte. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne, et de sa detention au Ghateau de Rivoli. Où l'on voit les veritables motifs qui obligerent ce prince d'abdiquer la couronne en faveur de Charles-Emmanuel, son fils, et ceux qu'il eut ensuite de s'en repentir et de vouloir la reprendre. Lettre écrite au Conte de C*** a Londres, par le marquis de Trivié, qui est à présent à la Gour du roi de Pologne, edita nel " Recueil de pièces qui regardent le gouvernement du royaume d'Angleterre, et qui ont rapport aux affaires présentes de l'Europe, traduit de l'Anglois, la Haye. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Genève, pure attribuita dall'Oettinger al Lamberti. Cfr. OETTINGER, Bibliographie biographique universale, Paris. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne etc. de sa detention au Ghateau de Rivoli et des moyens qu'il s'est servi pour remonter sur le trone, à Turiu. De l'impremerie Royal. Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II,  Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II. Edita sotto il nome di Marchese di Fleury che il Qnerard ritiene pseudonimo di Marchese di Trivié. Histoire de l'abdication de Victor Amédée Roi de Sardaigne ecc. De sa detention au Ghateau de Rivole, et des moyens dont il s'est servi pour remonter sur le trone. Nouvelle édition sur celle de Turin de 1734-, a Londres, 1782. Non abbiamo creduto necessario per quanto il testo inglese rappresenti il testo originale redatto dal P. di annotare le poche varianti che esistono più di forma che di contenuto. N. 9 di questa operetta, che ho trovato solamente al British Museum, catalogata sotto il nome di Thomas Morgan (l'indicazione della bibliografia del B. M. è : " A philosophical dissertation upon Death - Composed for the consolation of the Unhappy (By A. Badicati Count di Passerano translated or edited by John, or rather Thomas Morgan? era data notizia tanto dal Cav. Ossorio, che ne espone in brevissime righe il contenuto e ci avverte che fu causa di prigionia per l'autore e il traduttore, quanto dal Lilienthals, dal Kahl e dall'Henke (1). Completamente dimenticata dai più recenti studiosi del R. compare citata dal Natali senza indicazione nè di data nè di luogo di stampa. Secondo quanto afferma l'Ossorio, l'operetta stesa in lingua italiana dal R. sarebbe stata tradotta da " un de ses compagnons „ " en bon Anglois „ e sotto il nome di questo traduttore, che si seppe più tardi essere, Thomas Morgan essa andò per alcun tempo. N. 10 fu edita dal Saraceno (4) ed è una copia della lettera originale andata smarrita. La scoperta di questa nuova edizione, ricordata in alcune opere Cfr. HENKE , op. cit. loco cit. LILIENTHALS , op. cit. loco cit. FREYTAG , op. cit. loco cit. VOGT , op. cit. loco cit. BAUER : op. cit. loco cit., WAHIUS , op. cit. loco cit. Cfr. NATALI: II settecento. Ove però compare come semplice elencazione bibliografica, senza indicazione nè di luogo di stampa, nè di data. quasi contemporanee, fa cadere l'affermazione che i " Discours „ siano stati stampati per la prima volta a Rotterdam nel " Recueil „, e che quindi sino al 1736 i " Discours „ medesimi siano rimasti manoscritti nelle mani del R. Risulta invece, (poiché posto che esista la primissima introvabile edizione in tutti i casi non la possiamo ammettere edita prima del 1733 per le ragioni stesse che giustificano l'edizione de! 1734) che il nostro si decise a dare alle stampe i " Discours „ dopo aver visto che non sarebbe mai riuscito a dedicarli a C. E. (3), e che di conseguenza dallo stampare o no quanto aveva inviato a V. A. non sarebbe più dipesa la possibilità di ritornare o meno in Piemonte. Comparve in tal modo l'edizione inglese dei " Discours „, la quale messa in confronto con quella di Rotterdam ha dato i seguenti risultati: Mancano nell'edizione inglese la " Dedica „ a Don Carlos (sedizione Rotterdam pag. Ili a pag. X) e il " Factum „ fonte di preziose notizie biografiche (edizione Rotterdam da pag. 1 a pag. 10). mentre che la Declaration de Vauteur „ contenente i motivi che hanno spinto alla compilazione dell'opera, e i criteri seguiti nel suo svolgimento, che nell'edizione londinese occupa dieci pagine (V-XV) e che sotto riproduciamo è ridotta nell'ediz. di Rot. ad una pagina e un terzo. TH E AUTHOR' S DECLARATION . Tho' prefaces are quite out of fashion, I yet hope the benevolent reader will forgive me for making a short declaration concerning the publication of this work , as follows. BAUMGARTEN : Narichten von einer Ilallischen Bibliothec, ENGEL : Bibliotheca selectissima seu catalogus librorum omni scientiarum genere rarissimorum - BERNAE, TRINIUS : Freydenken Lexicon. - Leipzig, und Bemberg, Erster Zugabe zu Freydenken Lexicon, Voi. I, pag. 1098 . MASCH I Beilriige zur Geschichte merkwiirdiger Biicher, Wismar, SCHROCK : Cristliche Kirchengeschichte seil deiReformation - Leipzig  SCHLEGELS : Kirchengeschichte des 18 Jahrunderts, Heidelberg. Il RENOUR D nel suo " Catalogne d'un Amateur  citato dal QUERARD. Les supercheries litteraires dévoillés, Paris, sotto il nome Ali-Ebn-Omar-Moslen) afferma parlando del P: Il n'existe de son Recueil que deux exemplaires sur grand papier, celui de la Bibliotheque du Roi, et le mien „ Di questa edizione, probabilmente in foglio o in 4° grande, (" sur grand papier „) non siamo però riusciti ad averne traccia nè notizia alcuna. Infatti la lettera indirizzata dal P. a CARLO EMMANUEI.E rimase senza risposta. Cfr. lettera, cit. In primis & ante omnia. I do declare that this Work was written at the Command of a great PRINCE, who would be plainly inform'd of all the matters contain'd in it : and as that PRINCE was then reputed to be one of the greatest Politicians of his Age, I was oblig'd to proportionate my Labour to his profound Capacity. So that if I have reveal'd some Religious or Civil Mystery, which had generally been conceal'd, I have methink given a suffìcient Reason for it: However, I have alter'd some Passages and soften'd some Expressions, to make them more intelligible and more agreeable to the Reader. I do solemnly declare, that in all this Work I had nothing in view but Truth, Equity, or Justice: In a word, the Good of Mankind in general; and I flatter my self that all who shall peruse it with candour, shall be convinced of the Rectitude of my Intentions. I do declare, that I have kept dos e throughout this Work to the Doctrine and Morality of our Saviour, occording to the best of my knowledge; and I hope I have not advanc'd anything without good authorities. I do protest before GOD and Men, that whatever is said in this Work concerning the Church or Clergy is to be understood of the Popish Church and Clergy only (who really have long since abandon'd and despis'd the most sacred Precepst of our Blessed LAWGIVER) and not of any other church whatsoever; whose Clergy and Prelates being very humble, vastly charitable, pious, and such utter Enemies to Grandeur and Riches; may justly be stiled the true and only Imitators of Crist's Disciples, and of those primitive good Prelates (*) instituted by the Apostles. (*) See the 54th page of this Book, and you will fìnd what their duty was, and with what Qualities they were endued. Item. I do declare, that I have not her e opposed the superstitious Tenets of the Popish Church ; for this has been so often done ever since the Reformation, and by so many Learned Divines, that it would be vain to attempt it. Besides, Popish Princes little regard at this time wha t is said against Transubstantiation, Purgatory, Confession, Invocation of Saints, and such like; as (pag. X ) things, which ways affect their temporal Interest : so, whethe r these opinions are well or ill-grounded ; whethe r they spring from Heaven, or from Huma n Malice, 'tis no matter. But wer e they to know how prejudicial the Popish Religion is to their AUTHORITY, and to the WELFARE of their several Countries; they then would undoubtedly think upon the proper Expedients to preserve themselves and their Subjects from Ruin ; and this is wha t I have endeavour'd (pag. XI ) to make evident in the ensuing Work . I tlierefore hope it will prove very beneficiai to such Princes, and even be of some service to this Country, particularly at this time, whe n " the Emissaries of Popery (as a worthy Divine (*) has observed) have increased their Diligence in gaining Proselytes, and are now more industriously employ'd in every Corner of our Metropolis than ha s been any time known in the present Age „. (*) Dr. Clarke' s Sermons, pag. 18,  LASTLY, ] declare that I have made use of ali the Reason and Understanding 1 ara master of, to discover (pag. XII ) the TRUTH S contained in the sacred Writings, so hidden and involv'd in Mysteries ; in order that by them TRUTH S I might procure my own Happiness and that of others. I presume I have found them, and for that reason 1 now publish them. But if I have unluckily fallen into any involuntary Error, as I know myself not to be infallible. I earnestly entreat ali the orthodox and eminent Divines of this happy Kingdom, to poiat them out to me, and to convince my Reason by Reason itself, that I may both retract and avoid them. (pag. XIII ) And I farther beg of our SPIRITUAL DIRECTORS that in case they, f'avour me with this salutary Advice, to do it not with Passion and Bitterness, but LAWGiVER ha s expressly commend (*). For nothing is paser, worlliy, and more scandalous; nay, mor e contrary to the very Principles of the Christian Religion, tlian to rad, calumniate, to load with odious Appellations, and persecute those who labour Day and Night to find out the TRUTH, buried as it is in the dark Abvss of Errors and Superstitions. (*) Matth, XVtlI, 21, ete. AFTER having made this plain Declaration, as I know myself to be wholly destituted of Freinds; I hope that the ALIGHTY GOD, whose Powe r is above ali Huma n Artifice and Malice, will protect me against those, that will certainly promote my Destruction, for having openly espoused the Cause of TRUTH and EQUITY. Il Discorso I (Ediz . lond . pag . 1-13 ; Ediz . Rot . pag . 15-26 ) è integralmente riprodotto nella edizione olandese: uniche varianti sono le seguenti : Pag . 2 - in not a Collins è qualificato : 0  great and goodman „ attribut i c h e mancan o nell'Ediz . de l 1736 . Pag . 11 - manc a la not a sul ministr o Jurie u ch e si trov a a pag . 2 4 dell'Edizion e di Rotterdam . Il Discors o II (Ediz . lond . pag . 14-25 ; Ediz . Rot . pag . 27-37 ) è pur e ess o integralment e riprodotto . Unich e varianti : pag . 21 - in not a su Bayl e (cfr. pag . 3 5 ediz . di Bot.) è aggiunt o " and 1 shall not be tought in the vrong for vanking him withe Heliogabalus „. Pag . 24-25 , nota , dop o le parol e " universally observed „ " généralement observées „ pag . 3 7 ediz . Rot.) ch e no n si trov a nell'edizion e del 1736 : " I say universally observed: for wer e there a Society or Republic, however great it might be, that should be inclined to observe the Laws of Gbrist, it would be obliged for their own preservation, to lay aside the laws of Christ, or suffer themselves to be destroyed by following them. - In a word, a Society of true Christians, wer e they as numerous as the whole Empire of China, could no more make head against a single Infide], who had a mind to plunder them, than a hundred thousand Rabbits could make head against a hungry  Lion, that should fall in among them. But if ali Men, without exception, were good Christians, it is most sure they would be exceding happy. For, being without Ambition, Envy and Revenge, nothing would be capable of di sturbing Iheir Quiet - Here on Gonsult - Bayle's Pensées diverses chap. 141 - continuation des Pensées - Ghap. 123 - 124 „. Il Discorso III (Ediz. lond. pag. 26-52 ; Ediz. Rot. pag. 38-60) ò invece del tutto diverso - Cfr. quindi il medesimo riportato in Appendice. Il Discorso IV (Ediz. lond. pag. 53 72; Ediz. Rot. pag. 61-76) è quasi del tutto riprodotto integralmente; però da pag. 63 (dopo le parole " le gouvernement de leur Eepublique „, pag. 69 dell'ediz. di Rot.) il testo prosegue con 2 pagine in più che qui appresso riproduciamo. But they wer e never practised, for, if we carni fully examine the Epistles of the Apostles, we shall find that in effect they ali agreed in acknowledging that the Christian Religion wa s the best, but differed excedingly as to the Principles of it For, Paul proposing to persuade Christians of the Trut h of that Religion, and shew them wherein it consisted, says expressly, and in so many words, that we ar e " not to boast of our good works, but of Faith alone in Jesus Ghrist, for that good works ncither justify, nor save (*); but to him, saith he, that worketh not, but believeth on him that justifieth the ungodly, his Faith is counted for Righteousness (**) and shall save him „. James, on the other hand, in a few words summing up the Essentials of Religion, and not amusing himself with vain disputes, as Paul did, tells us; that " Faith without good woorks will neither justify, nor save „ ; and gives us to' understand that " good works will save us independent of Faith”This Doctrine is highly just and reasonable, and more orthodox than Paul's. For wha t avails it for a man to bellieve that Ghrist dieci to save him, so long as he is cruel, covetous, revengful, and i*) Rom. IV. 5. (**) James II, etc. (***) Rom III. 26, 27, 28. See also Gal lì. 16 {pag. 64) proud? were he not better without that Belief, but good, charitable, and humble ? it is much better for a man to be a Christian in practice without speculation, than to be a Christian in speculation, without the practice; that is, it wer e better being a Savage, who. tho' without any Religion, stili practised the duties of a true Christian, who is resolved absolutely to obey none of the precepts of his Religion, tlio' he firmly believes in its mysterles. This notion, so agreeable to the Justice and Wisdom of God, and Intentions of Ghrist, would be of great advantage to Society, wer e it put in practice. Now it is indisputable that the Apostles, by building Religion upon various. and different foundations bave caused an infinite numbe r of Quarrels and Schisms to spring up in the Christian Gommon-wealth, by whieh it ha s been,  and will ever be tome asunder most assuredly, if it does not lay aside the mysterious, or incomprehensible speeulations of Divinity, and frx wholly to those most holy and simple Tenets, which Christ hath taught us, and are very easy to be observed, being the same as those of Nature, as he himself has told us, saying: " Come unto me, ali ye that labour, and are heavy laden, and I will give you Rest (*). Take my yoke upon you, and learn of me, for I am meek, and lowly in heart, and ye shall find rest unto (pag. 65) your Souls. For my yoke is easy, and my burden is light„, and not grievous and insupportable, like that of cruel and ambitious men. (*) Mat. Xt. 28, 29, 30. Il Discorso V (Ediz. lond. pag. 73-92; Ediz. Rot.) è riprodotto integralmente. Notiamo soltanto che a pag. 80, in nota su S. Cipriano dopo la parola " aucupari „, il testo segue: " Non in Sacerdotibus Religio Devota, non Ministris fides integra, non in operibns misericordia, non in moribus disciplina; sed ad decipienda corda simplicium callide fraudes, circumveniendis fratribus subdolae voluntates - Cyprian de Lapsis „, mentre è mutilo alla medesima parola “aucupari” nella Edizione di Rotterdam. Il Discorso VI (Ediz. lond. pag. 93-124; Ediz. Rot. pag. 95-123) è riprodotto nell'Edizione Olandese fedelmente. Il Discorso VII (Ediz. lond. ppg. 125-144; Ediz. Rot.) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono: Pag. 129 nota (dopo le parole " alors soni fausses „ pag. 128 Ediz. Rot.): " See what Bayle Says in his Pensées diverses, eh. 49, et Contin. des Pensées diverses eh. 47. in arder to shew how ridiculous it is lo enquire whant a thind is, before we have examined whether it really exist „. Pag. 138 manca la nota della pag. 136 ediz. Rot. la parola “religion” è tradotta nelle due ultime righe di pag. 139 dell'Edizione Rot. con " Superstition „. Il Discorso Vili (Ediz. lond. pag. 145-164; Ediz. Rot.) è riprodotto nell'Ediz. Olandese fedelmente. Il Discorso IX (Ediz. lond. pag. 165-188; Ediz. Rot) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono: Pag. 166 manca la nota Ediz. Rot. Pag. 186 manca la nota " cependant ces Emissaires „ di pag. 180 81 dell'Ediz. Rot. Il Discorso X (Ediz. lond.; Ediz. Rot.) ha subito una restrizione nelle pagine 189 a 200 ridotte nell'Ediz. Olandese a sole cinque; riproduciamo qui di seguito il testo inglese. By natural right (ius naturale), I mean the faculty given by nature to each individual, whereby each of them is forced or determined to act, according as he finds it necessary for the preservation of his own being. All animals are forced by nature to eat, drink, sleep, etc. Therefore it follows, that they eat, drink, and sleep of natural and absolute right, when they stand in need of them. In the same manner, fish being by nature determined to swim, and the greater to devour the smaller, consequently they enjoy water by natural right, and the greater by the same right devour the smaller. Thus, birds are determined by nature to fly, and by consequence possess the air by natural right, and birds of prey by the same right feed upon the tame. For it is most certain that Nature considered in the general, has an unlimited right over every part of herself: that is, this right extends as far as her power extends, so that every thing that she can do is lawful for her to do. For the power of nature is the very same as that of God, whose right is eternal, and consequently unalterable. Now as the power of nature is the same with that of every individual who make up that Nature, without exception, it follows, that the right of no one is limited, but extends as far as the strength and industry that nature has bestowed on them; and as it is a general law for all beings, that each of them in particular shall perpetuate his kind, as far as lies in his power, without regarding anything save his own preservation. it follows, that the natural right of every indivual is, to subsist and act to that end according to the power which nature has given him. In this state man is not to be distinguished from the rest of natural beings, no more than the words, reason, or wisdom, and folly; virtue, and vice; honest, and dishonest, just and unjust are, etc. Wherefore there is no difference between the wise and the foolish, the virtuous and vicious; for every individual has a right to act according to the laws of his constitution or organization. that is, according as he is determined by nature to such and such a thing, without being able to act otherwise. So that considering man under the empire of nature, as unacquainted with what philosophers call reason, or virtue; and not having acquired a habit of either, they have, I say, as much right to life in pursuing the dictates of their appetite, as they have that live according to the laws of reason, virtue, and justice, with which they have conneted their ideas. That is, that, as he who is called wise in society has a right to do any thing that is dictaded to him by reason, and to live according to the light of it; so the ignorant and foolish man in the state of nature has a right to every thing his appetite suggests, and to live according to its dictates. For, according to the apostle’s opinion before the law, or in the natural state of man, no man could sin. Rom. 4. V. 15.  It is not then the business of that reason, or justice, to regulate the right of nature, but of the desire or strength of every individual. For, so far is nature from determining us to live according to the law and rules of this reason, that, on the contrary, notwithstanding education, and the penalties appointed in order to natural impulses. Such is the power of nature. New as we are obliged, as far as in us lies, to preserve our natural being, so we cannot do it but by acting in obedience to the laws of appetite, since nature denies us the actual use of that reason, and none of us are more obliged to live according to the rules of good sense, introduced among us by the civilised part of mankind, than an ant is to live according to the nature of an elephant. From whence it follows that, in the state of mere nature, we have a lawful right (ius iudicatum) to all things whatever without exception, because nature has given all to every man, and may use it without a crime, if we can get it, whether by force, or cunning, by entreaties, or threats, so far as to look any one as enemy, who hinders, or endeavours to hinder us from satisfying our appetite. Therefore, by natural right, an animal may wish for whatever he pleases, and do whatever is in his power to support his own individual, or satisfy his inclination. However we are not to imagine that so unlimited a liberty can produce any great disorder amongst animals of the same kind, as many have thought, because nature has previded them necessaries in abundance; upon which foot, they can have none, no, not thel esst dissension among them, as I have Lions, Wolves with Wolves. Foxes with Foxes, Eagles with Eagles, and so all other species who are in the state of nature. It is to be owned indeed that *discord*, not con-cord, envy, and an implacable hatred reign between one species and another. And this would in reality be a great defect and imperfection in nature, if her wisdom consisted in making an animal happy for ever. For, upon such a supposition, the pidgeon would have reason to complain of nature for not bestowing upon him a sufficient strength to defend himself against the eagle. A hare mìght make the same complaint as to a wolf; and he again as to the lion. But each complaint would be unjust. For, Nature granted an animal his life but for a certain limited time, which is an effect of her infinite goodness, to the end that every being may succeed one another, and enjoy her benefits. Which could never be, if an animal, once alive, were to be immortal. Therefore, since he must necessarily die to make room for another, it imports little whether he dies in this or that manner. Nay more, I insist that a pidgeon that is the eagle's prey, and the wolf that is the lion’s, are happier than the eagle or lion that have devoured them. For his death is sudden, and his pain short, whereas the Eagle and Lion, languish and suffer long before they die, if they die a natural death. Besides, a Lion or an Eagle may at his death complain of nature's injustice, by making him the prey of innumerable and invisihle animals, that lodge in their bones, and throughout their whole bodies, which  feeding upon the best and finest substance in their blood, and wasting alt llieir animal spirit, kill him without mercy. For, those invisible animals that kill not only a lion, but a man too, and every beast that dies of a natural death has no more thought of the mischief they do in feeding upon their blood, than a lion or a man when he kills another animals for food without mercy, they having ali a power to do so by an absolute and natural right. An animal therefore, far from complaining, tough constantly to thank Nature for her infinite justice and goodnes to him, in giving them a limited life only. For, had she created him immortal, she had shewed herself exceeding cruel; considering we are all assured there is no condition of life, however happy, but what at last grows rneasy and burthensom. As we see by those, who having passed most of their time in the polite world, are desirous of retiring, and leading a private life in the country; so he that lives in solitude, often longs for the pleasures of the world; and lastly, he that has long enjoyed bolli, grows tired and out of humour with them, and wishes for a new life thro' death. Now since an animal is tired of life, he may be perpetually diversifying his pleasure, considering the short date of his life; what would it be, were they to live for ever, without ever varying the pleasures they (See the account of the Strulbrugs in Gulliver's Travels. Part 3) had tasted in the first fifty years of life? Nay, how justly might not they complain, who drag an uneasy languishiug life from the infirmities to which they are subjects, or who perpetually groan under the yoke of another animal, who makes himself no uneasiness in making him miserable, in order to gratifiy his appetite? Every animal therefore ought to look upon death as the most signal blessing he has received from the hands of Nature, and as the effect of her incomparable wisdom; Death putting an end to their pain, aud making them equal with his tyrant. What I have been now saying ought to surprise no man, since Nature is not confined within the bounds of reason, or the instinct of an animal; for the word Nature, of which an animal is but as so much a small point, means an infìnity of other things that relate to an eternal order, and that inviolable law, which gives being, life, and motion to all things. So that what seems ridiculous, unjust, or wicked to an animal, and above all to a man, appears such only because we know things but in part, and because we cannot have an exact idea of the ties and relations of nature, we not comprehending the immense extent of her wisdom and power. Whence it preceeds, that what reason sets before us as an evil, is far from it in regard to the order and laws of universal nature, but only in regard to those of our own. This supreme natural right, which every animal enjoy, exclude not moral good and evil, which is really to be found in the state of nature. I call “morally good” any action of an animal tending to the preservation and propagation of his own individual or his species, for he is then performing their duty, by aiming at the end, proposed by Nature in their Greation. On the contrary, I cali moral evil ali those actions of Animals, that are either in the whole, or in part contrary to those notions, or sensations that Nature has implanted in each of them, that they may perceive and know what is proper for their subsistance, and for perpetuating their Species as far as in them lies. Allwise Nature, the tender mother of ali Animals, not satisfied with impressing on their mind those notions, has always affixed a proporlional recompense to moral good, and a like punishment to moral evil, to the end that ali Animals may chuse the one, and avoid the other with pleasure. Not that she had any occasion to setlle such rewards and punishment in order lo be obeyed; for, as she is Almighty, she well knew she should be obeyed, as she is in fact by ali except one Species, which is Man. And it was for them se appointed them, because knowing they had several cavities in their brains fdled with animai spirits, which by a high fermentalion would so heat their imagination, as to make them fall into a sort of madness, on Delirium. Nature, I say, to bring them back from their wandring, has thought lil severely to punisti them, whenever they swerve from their duty and act agreeably to the false notions with whict that madnes inspires them, which notions tend to the destruction of their own individuai, and to make their Species unhappy. I will explain my self. It is well known, that ali Animals, except Man, act according to the notions infused into them by Nature, commonly called Instinct, for instance, knows its proper food, and the actions to be performed in order to live in health, and perpetuate its Species. Consequently to these notions it acts, by chusing at first such places as are agreable to it: some live in Marchs, some in the Fields, some in the Plains, and others on Hills; some swim, other crawl, and in short, some, called amphibious, live bo!h on Land, and in Water. Ali these Animals perceive what they are to do in order to subsist Wherefore they eat, drink, and make use of their females, when they have occasion ; mor did, or do, any one of them ever force itself to eat, or drilli or enjoy its females, when it was satisfied; nor did ever any of them ever voluntarily refuse to eat, drink, or make use of their females, whenever Nature required it; thus by denying themselves nothing necessary, and by never forcing themselves to do what is beyond their strength, they lead a healthy and a happy life. But this is not the case of Mankind. For, tho' they pretend to a greater share of wisdom and reason than other Animals, their actions shew they have less than the rest of them ; some thro' excessive folly eating and drinking when they are neither hungry, nor dry, so far as lo bring distemper upon  and kill Ihemselves; and forcing themselves upon venereal pleasure when they are exhausted, is so much as to destroy themselves : Others from a contrary madness, denying themselves meat, and drink, and the enjoyment o' Women, and dragging a miserable life, consume and pine away. Thus by not allowing Nature what she absolutely requires, or forcing her beyond her strength, they are guilty of real moral evil, from whence the Physical takes its rise, which cruelly torments them their whole life time. Anolher madness, to which Mankind are subject, is Avarice, which puts Men upon perpetually heaping up riches, without making any use of them, for fear of wanting; so that the Miser not only makes himself miserable, but greatly contributes to the misery of others. There is stili another kind of madness, called ambition, that lords it over Man, which puts most Men upon depriving themselves of what is really necessary to life, for Ghimeras, that are entirely useless and superfluous to them. The ili effects of this last folly have not stopped there, but produced the greatest disorders amongst Men, and made theme more unhappy than alt other Animals. For, it has happened, that some of them thinlcing themselves better than others, have endeavoured to get above them, appropriate to themselves what belonged to the rest by Naturai right, and make their companions their slaves. which by the opposition they have found, has occasioned tumults, and civil Wars. These different Phrensies that have taken possession of the minds of Men, and that have in ali times scattered trouble and confusion amongst the race of Men, have from time to time obliged wise Men (who made use of their reason in order to preserve themselves from falling into that sad and terrible Delirium to which they were liable) to admonish the rest with a view of reclaiming them from their errore ; and those admonitions had sometimes so good an effect, that a whole Nation perceiving anddetecting their Frenzy, voluntary submitted to the decisions of those wise Men, and each Man, renouncing and disclaiming his naturai right, promised obedience to them, upon condition that they on their side should always endeavour to make that Nalion happy. This was the rise and formation of Aristocratical Government. Da pag. 200 in poi (pag. 186 Ecliz. 1736) il test o corrispond e esattament e nelle du e edizioni; salvo le lievi differenz a qui sott o notate . Pag . 207 - i puntin i di quest a edizione son o son o sostituiti nell'edizione olandes e (pag. 102) " le coeur de Nobles en àrbitraire ou absolu „. Pag . 22 3 : mancano le ultime due righe del testo di pag. 20 6 ediz. Rol . 11 Discorso XI (Ediz. lond. pag . 224-248 ; Ediz . Rot.) Titolo : "Wherein it is proveci that religion was introduced into Society by legislatore, in order to give a sanction to their laivs; and that consequenty ali sacred and civil authority belong de jure to the Prince „.  Le pagine 224 e 236 costituiscono, in confronto dell'edizione olandese, una parte del tutto nuova, e corrispondente alla prima parte del titolo, che difatli non si trova nell'Ediz. Rot. Diamo un breve riassunto di queste pagine, che non parve necessario trascrivere integralmente. Il R. così comincia: My design then in this Discourse is to make Princes sensible that Religion was institued by legislators, in order to give strength and credit to their Laws, and that Sovereign Princes, having the administration of civil Laws, ought by consequence too have that of Religion; and thereby 1 propose tvvo benefits. Tho first to Princes, by joining the sacred and civil authority in one, and the second, to the People, by rescuing the from the Tiranny of Priests. This then is what the most celebrated Historians teli us concerning the Establishment of Religions „. A dimostrazione di questa tesi, l'intera pagina è dedicata ad una di citazione Diodoro Siculo, libr. I pag. 49, Ediz. Han.; l'inter pag. 227 ad una citazione di Strabone, Geograph. libr. 16 pag. 524, ecc.; indi dicendo di non voler citare anche Plutarco, Polibio, Erodoto e Livio, il R. procede a citare " a Zaeloux and Leavned Jew „ cioè Flav. Joseph, contra Appion. libr. 2, pag. 1071 - Edit. 1634, in fol., e " a very candid popish Priest „ (pag. 230-235) è cioè Gharron, of Widson, book 2 eh. 5. In nota a pag. 235, così meglio identifica il Gharron : " Ile was Canon and Master of the School of the Church of Bordeaux - He lived in Montagne's time, and ivas his intimate freind - See Bayle's Did. Artide, Charron „. E con tutte queste citazioni la dimostrazione è raggiunta: " Wherefore 1 may be allowed to say without any impietg, that lleligion might be subject to the Prince, to Religion „ (pag. 235). Dopo di che da pag. 236 a 248 continua con la seconda parte, che corrisposde all'intero Disc. XI dell'Ediz. Rot. Unica differenza è che la nota a pag. " See in the life of Peter, late Czar of Moscow how be wisely reduced the high Priest's exorbitant authority io his own power „ è estesa nel testo a pag. 211 dell'Ediz. di Rotterdam. " Enfin chacun fait toutes les autres nouveautéz „. Il Discorso XII (pag. 249-271 Ediz. lond.; Ediz. Rot. pag. 211-238) è riprodotto integralmente, ed unica differenza è data dalla mancanza a pag. 259 della esistente nell'Ediz. di Rot. a pag. 228. N. 12: Abbiamo già parlato a proposito del N. 11 degli scritti " a-b-c „ contenuti nel " Recueil „ ed a proposito del N. 7 dello scritto " f „ ed abbiamo notato come la loro prima comparsa, eccettuato per il " b „, sia avvenuta in lingua inglese, e quali cambiamenti abbiano subito nella loro ultima redazione francese.  Notiamo invece per le operette " d „, " e „ che il testo dato dal " Recueil „ deve presumibilmente essere l'unico lasciato dal P. ; nè infatti abbiamo trovato di esse ediz. inglesi, anteriori o posteriori al 1736, nè elementi o prove che suffraghino questa possibilità; potrebbe essere presumibile che queste operette scritte dal R. ancora in Inghilterra e forse già pronte per essere tradotte, siano rimaste a noi nel loro testo originale per la fuga del P. in Olanda, oppure che compossle in Olanda, non avendo più possibilità di trovare un traduttore, le abbia conservate e poi edite nella loro lingua originale. Lo scritto " g „ è la traduzione dell'operetta analoga dello Svvift: " A modest proposai for preventnig the children of poor people in Ireland from beìng a burden to their parents or country, and for making them beneficiai io the publick „ (1). Non esiste tra le due edizioni alcuna differenza, che possano mutare lo spirito del testo originale le due uniche varianti che abbiamo notato sono; l'introduzione a pag. 369 del " Recueil „ della parole: " Gastigat ridendo mores „ immediatamente dopo il titolo, e omesso dall'originale; e la sostitutuzione della parola " Spain „ del testo inglese, con la parola " Rome „ della versione del R. pure a pag. 369. Fu fatta nel 1749 a Londra una ristampa di tutto il N. 12 (" Recueil de pieces curieuses sur le matieres les plus interessantes par A. R. comte d. P. a Londre) ma dall'esame di questa nuova ediz. posseduta dalla Bib. Querini-Stampalia di Venezia, è risultata l'identità, persino negli errori di stampa coll'ediz. di Rotterdam. N. 13-14 formano nell'Ediz. originale un volume solo, senza titolo generale, con pagine numerate progressivamente (da 1 a 47 il testo n. 13, da 49 a 104 il testo n. 14). L'attribuzione di paternità al R. del primo di questi opuscoli, e convalidata non solo da quanto afferma il " Dictionary of National Uography „ edito dal Leslie Stephen, il Querard ed il Barbier, ma dalla rispondenza che questo opuscolo ha con il Discorso III dei " Twelve discours „. Notiamo le principali variati: Pag. 2: " peché originai „ manca la nota del testo ing. Pag. 4-, nota 2: manca la cit. del testo ingl. ; pag. 5, nota 1 e 3: manca il (1) Cfr. op. cit. in: The Works of Jonathan Swift, London MDCCLX, V, IV, pag. 66-77 . (2) Cfr. Dictionary of national biography, edited by LESLIE STEPHEN , sotto 'Elicali.’ Cfr . QUERAR D op . cit . Col . 1231 , T III. Cfr. BARBIER : Dictionaire des onorages anonymes etpseudonym.es - Paris, 1827 > T . III . N . 16186 .  commento e la cit. del testo ingl.; pag. 8, nota. 1, mancal a cit. del testo ingl.; pag. 10: " vòtre pere celeste „ manca la nota del testo ingl.; pag. 11, nota 2: manca la nota del testo ingl.; pag. 12 nota 1: manca il lungo commento del testo ingl.; pag. 17 " ces Docteurs „ il testo ingl. ha “our Priest” e nota 2: manca la cit. e il comrn. del testo ingl.; pag. 18 " vous dis-je mes Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 19 nota 1: manca la cit, del testo ingl.; pag. 21 nota 2: manca la spiegaz. esistente nel testo ingl.; pag. 22: "et comment auroit-il mieux „ manca la nota del testo ingl.; pag. 26: " Amerique „ manca la nota del testo ingl.; pag. 27 e 28 sino ad: " Enfiti temoin... „ mancano nel testo ingl.; pag. 32, nota 2: manca il lungo coni, del testo ingl.; pag. 24 nota 2; manca la citaz. del testo ingl.; pag. 35: " les hommes hereux „ manca nel testo ingl. la nota corrispondente; pag. 38 dopo le parole " ... leur dependence „ manca quasi l'intera pagina 47 del testo ingl.; pag. 40: " mes cheres Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 4 nota 2 : differisce dalla rispondente nel testo ingl.;: l'ultimo periodo (“l'esprit... vrais Quakers”) manca nel testo ingl. In merito al N. 14 l'attribuzione di esso al R., è affermata dal Querard (1) e dal Barbier (2) che svolgono lo pseudonimo Ali-EbnOmar con il nome del R., è confermata dal fatto che a pag. 100 dell'operetta in una nota l'autore citando se stesso rinvia al " Discorso Ili „ dei “Twelve Discourse” e tale attribuizione, per ambedue, N. 13 e 14, sostengono pure lo Henke, il Lihienlhals, il Freytag (3). Anzi a proposito di quest'ultimo che viene ad affermare che spesse volte l'opera n. 13 viene seguita dalla n. 14 con un seguirsi di pagine progressivamente numerate (tale è l'ediz. da noi esaminata), come facenti parli del " Recueil „ edito a Londra e Rotterdam nel 1736, facciamo rilevare come ciò non risponda a verità. A parte la confusione dell'ediz. londinese del “Recueil” con l'ediz. Olandese, tanto nell'una che nell'altra non troviamo stampate le operette di cui si tratta, nè infatti potevano essere incluse nell'ediz. del 1736 essendo venute alla luce la prima volta nè nell'ediz. del 1749, che riproduce esattamente la precedente, nè possiamo considerare questa ediz. dell'operette, che abbiamo esaminata, come stralciata dal volume del 0  Recueil „ stante la appariscente diversità dei caratteri di stampa. Come mai esse siano state edite a Londra, mentre già da quattro anni almeno si trovava in Olanda, non siamo in grado di dire: forse trovate fra le sue dopo la sua morte e fatte stampare da qualche suo amico nella capitale inglese? e allora non perchè a Rotterdam dove era già uscito per i tipi della Ved. Johnson il “Recueil” più volte citato? Sono questi tutti interrogativi che ci poniamo senza avere la possibilità di potere rispondere, per mancanza di documenti che giustifichino una ragione piuttosto che un'altra; e questa è un'altra lacuna nella perfetta conoscenza della vita del R. Cocconato. Keywords: implicature della morte. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cocconato” – The Swimming-Pool Library.

 

 

CILIBERTO (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Cilberto; he philosophised on Machiavelli – in an interesting way: confronting his ‘reason’ with the ‘irrational’; myself, I have not explored the irrational, too much – but I suppose Strawson might implicate that everything I say ON reason is an implicature on the irrational – Ciliberto uses the vernacular for the ‘irratinal,’ to wit: pazzia!” – Uno dei massimi esperti del pensiero di Bruno. Si laurea a Firenze sotto Garin con “Machiavelli”. “Lessico Intellettuale Europeo”. Insegna a Trieste, Pisa. Istituto di Studi sul Rinascimento, Firenze. Dal 1998 è presidente di I. R. I. S. A. Associazione di Biblioteche Storico-Artistiche e Umanistiche di Firenze. Lince. Al centro della sua filosofia sono tre problemi: il rinascimento con speciale attenzione a Bruno e Machiavelli, la ‘tradizione’ no-analitica, no-continntale, ma la ‘tradizione italiana’ (Gramsci, Croce, Gentile, Cantimori, Garin); e la filosofia politica e in maniera specifica la crisi della democrazia rappresentativa.  Altre opere: “Il rinascimento. Storia di un dibattito” (Firenze, La Nuova Italia); “Intellettuali e fascismo” (Bari, De Donato); “Lessico di Bruno” (Roma, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri); “Come lavora Gramsci. Varianti vichiane, Livorno); “Filosofia e politica nel Novecento italiano. Da Labriola a «Società», Bari, De Donato); “La ruota del tempo. Interpretazione di Bruno, Roma, Editori Riuniti); Bruno, Roma-Bari, Laterza); Bruno, Roma-Bari, Laterza); “Umbra profunda” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Implicatura in chiaroscuro” Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Il dialogo recitato” “Preliminari a una nuova edizione del Bruno volgare, Firenze, Olschki); “La morte di Atteone”(Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “I contrari”; “Disincanto e utopia nel Rinascimento” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Il teatro della vita” (Milano, Mondadori); “Il laico” “Il libero” dell'Italia moderna, Roma-Bari, Laterza); “Democrazia dispotica” – etimologia di dispotismo – (Roma-Bari, Laterza); “Intellettuale nel Novecento, Roma-Bari, Laterza), “Parola, immagine, concetto” (Edizioni della Normale, Pisa); “Croce e Gentile” “La cultura italiana e l'Europa, (direzione) Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, . Rinascimento, Pisa, Edizioni della Normale; Il nuovo Umanesimo, neo-classicismo, neo-umanesimo”, classicism, neo-classicismo come ironia” (Roma-Bari, Laterza); “Pazzia e ragione” (Roma-Bari, Laterza); “Il sapiente furore” (Collana gli Adelphi, Milano, Adelphi) Michele Ciliberto, Lessico di Giordano Bruno. Michele Ciliberto. Keywords: intelletuale fascista, lessico, lessico di Bruno, lessico di grice, lessico filosofico europeo, umbra profunda, implicatura in chiaroscuro, i contrari, il laico, il libero, despotismo, immagine e concetto, parola, immagine, e concetto, il pazzo, il ragionato, istituto su studi sul rinascimento, la tradizione italiana, la tradizione filosofica italiana, democrazia rappresentativa, concetto di rappresentazione, Grice e Ciliberto sulla rappresentazione. Il primo ministro britannico ripresenta suoi costituenti. Il barone della camera alta del parlamento, parlamento ed implicamento, il team di cricket rippresenta Inghilterra: fa per Inghilterra quello che Inghilterra non puo fare: gioccare cricket. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ciliberto” – The Swimming-Pool Library.

 

CIMATTI (Roma). Filosofo. Grice: “I like Cimatti – for one, he develops a biological semiotics, and he takes seriously the issue that man IS an animal -- -- and has thus philosophised on animality!” Si laureato sotto Mauro con “La communicazion animale” -- Insegna ad Arcavacata di Rende. Altre opere: “Linguaggio ed esperienza visive” (Rende, Centro Editoriale e Librario); “La scimmia che si parla. Linguaggio, autocoscienza e libertà nell'animale umano” (Bollati Boringhieri); “Nel segno del cerchio. L'ontologia semiotica di Giorgio Prodi, Manifestolibri La mente silenziosa. Come pensano gli animali non umani” (Editori Riuniti); “Mente e linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva” (Carocci); Il senso della mente. Per una critica del cognitivismo” (Bollati Boringhieri); “Mente, segno e vita. Elementi di filosofia per Scienze della comunicazione,Carocci); “Il volto e la parola. Per una psicologia dell'apparenza, Quodlibet,  Il possibile ed il reale. Il sacro dopo la morte di Dio” (Codice Edizioni); Bollettino Filosofico. Linguaggio ed emozioni” (Aracne); Lingue, corpo, pensiero: le ricerche contemporanee” (Carocci); Naturalmente comunisti. Politica, linguaggio ed economia” (Bruno Mondadori); “La vita che verrà. Biopolitica per Homo sapiens, , ombre corte, Filosofia della psicoanalisi. Un'introduzione in ventuno passi” (Quodlibet); Filosofia dell'animalità (Laterza); “Corpo, linguaggio e psicoanalisi” (Quodlibet); “A come Animale: voci per un bestiario dei sentimenti” (Bompiani); “Il taglio” “Linguaggio e pulsione di morte, Quodlibet);  Filosofia del linguaggio: storia, autore, concetto” (Carocci); “Psicoanimot, La psicoanalisi e l'animalità” (Graphe); “Lo sguardi animale” (Mimesis); “Per una filosofia del reale” (Bollati Boringhieri); “La vita estrinseca”; “Dopo il linguaggio” (Orthotes, Salerno); “Abbecedario del reale” (Quodlibet, Macerata); “La fabbrica del ricordo (Il Mulino). Grice: “I share a lot with Cimatti; we both believe that there’s a semiotic continuity, and more important that it’s psi-transmission that matters: a pirot perceives that the a is b, and communicates that the a is b to another pirot, who perceives the communicatum, ‘the a is b’ and comes to think that the other pirot thinks that the a is b – I use ‘think’ as dummy. ‘accept’ may do, to cover willing, since it’s willing that’s basic, though! Felice Cimatti. Keywords: homo sapiens, storia innaturale, animale, bestia, linguaggio, segno, vita, zoosemiotica, prodi, corpo, codice, mente, cognitivismo, comunicazione, animale, soglia semiotica, mentalismo, storia innaturale, comunicazione giovenile, fundamenti naturali della comunicazione, percezione e comunicazione, comunicazione come percezione trasferita, psi-transfer. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cimatti” – The Swimming-Pool Library.

 

CIONE (Napoli). Filosofo. Grice: “I love Cione; my favourite is “The age of Daedalus – which reminds me of Gilbert’s statuette and the Italian model who posed for him – the story of a failure!” Grice: “But Cione philosophised on various other subjects as well, such as Leibniz, and of course, Croce – in his case, first-hand knowledge! – and mysticism, and Mussolini, and the rest of them – He thinks there is a Neapolitan dialectic, and really is in love with his environs – his study of ‘romantic Naples’ reminds me of my rules of conversational etiquette! – especially the illustrations involving gentleman-lady interaction!” Di tendenze socialiste, e in un primo momento anti-fasciste, studia sotto Croce. Perseguitato della prima ora dal fascismo, viene rinchiuso nel campo di Colfiorito di Foligno e poi mandato al confino a Montemurro. Attratto dal nuovo indirizzo espresso dal Manifesto di Verona, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana. Chiede e ottiene il consenso di Mussolini (il quale si rende esplicitamente concorde) per la costituzione di una formazione politica indipendente dal Partito Fascista Repubblicano, denominata in un primo momento Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista e, in seguito, Partito Repubblicano Socialista Italiano. A tale formazione politica, su suggerimento dello stesso Mussolini, sarà concessa anche la pubblicazione di un quotidiano L'Italia del Popolo. Il Duce però non aveva nessuna fiducia né nell'uomo né nell'impresa, tanto che durante una conversazione con l'ambasciatore Rudolf Rahn preoccupato per una possibile apertura "a sinistra" del capo del fascismo ebbe a dichiarare:  «Per ingannare i nostri avversari ho lasciato, non appena ho pensato che il nuovo fascismo in Italia fosse abbastanza forte, che alcune contro-correnti dicessero la loro, tra l’altro ho permesso che si formasse un gruppo di opposizione sotto la guida di Cione. Non ha una gran testa, e non avrà successo. Ma la gente che ora sta cercando di crearsi un alibi si raccoglierà intorno a lui e quindi sarà perduta per il comitato di liberazione che è molto più pericoloso. Salvatosi dalle epurazioni partigiane nel dopoguerra, si costruirà una carriera politica nell’Italia repubblicana. Milita nel Fronte dell'Uomo Qualunque. Successivamente, quando il partito di Giannini si sciolse, entra nel Movimento Sociale Italiano e venne eletto consigliere e poi assessore della giunta di Achille Lauro. Si candida al Senato con la lista della fiamma nel colleggio di Afragola ma non fu eletto. Deluso dai missini, adiere alla democrazia cristiana, senza però svolgere una militanza attiva nel partito. Negli ultimi anni di vita cercò di conciliare il messaggio di papa Giovanni XXIII con le aperture di Nikita Kruscev oltre la cortina di ferro. Altre opere: “Valdés: la sua vita e il suo pensiero religioso con una completa  della sua opere e degli scritti intorno a lui” (Laterza editore); “Sanctis, Ed. Giuseppe Principato); “L'opera filosofica, coautore Franco Laterza, Laterza editore); “Napoli romantica” (Gruppo Editoriale Domus); “L'estetica di Sanctis” (Pennetti Casoni Editore); “Da Sanctis al Novecento” (Garzanti); “Nazionalismo sociale” “l'idea corporativa come interpretazione della storia” (Achille Celli Editore); “Napoli e Malaparte” (Editore Pellerano-Del Gaudio); “Storia della repubblica sociale italiana” (Ed. Latinità); “Croce, coll. "I Marmi", Longanesi); “Crociana” (Fratelli Bocca); “Sanctis” (Montanino); “Questa Europa” (M. Mele); “Fascino del mondo arabo: dal Marocco alla Persia, Cappelli Editore); “Croce” (Loganesi); “Fede e ragione nella storia: filosofia della religione e storia degli ideali religiosi dell'Occidente” (Cappelli Editore); “La Cina d'oggi, Filippine, Formosa, Giappone” (Ceschina); “Leibniz” (Libreria scientifica editrice); “Narrativa del Novecento, Istituto editoriale del Mezzogiorno); “L’eta di Dedalo”; “Un viaggio elettorale, Bompiani). Dizionario Biografico degli Italiani. Un ex allievo di Croce negli ultimi mesi di Salò crea un "partito contro" su suggerimento del ministro dell'Educazione Biggini di Silvio Bertoldi.Domenico Edmondo Cione. Keywords: l’idea corporativa, corporativismo, storia del nazionalismo sociale, icaro, la caduta d’icaro, icaro caduto, dedalo e la civilta greco-romana, corporativa, principio corporativo, principio cooperative, corpotivismo, corporatismo, corporativismo, ideale corporativo, conservative as corporativo, ugo spirito, “pocca testa”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cione” – The Swimming-Pool Library.

 

CIVITELLA (Montorio al Vomano). Filosofo. Delfico-de-Civitella (under Ser Marco). (Montorio al Vomano). Filosofo. Grice: “I love Delfico – while he wrote on Roman jurisprudence – Hart’s favourite summer read! – mine is his (Delfico’s, not Hart’s) little thing on the beautiful – we must remember that back in them days of Plato, ‘kallos, ‘pulchrum,’ or ‘bellum,’ is a diminutive of ‘bonus,,’ as in ‘bonello’ – the point is important for for Platonists, love (that makes the world go round) is desire for the ‘bello’ including the MORAL bello – so it is the key concept in philosophy – and not as Sibley and Scruton narrowly conceive it!” Civitella è giustamente ritenuto il Nestore della letteratura napoletano. Questo illustre autore di molte opere di storia e di una varietà di soggetti interessanti, unisce ad una vasta istruzione una accuratissima e profondissima conoscenza di ogni aspetto che interessa la sua terra; e possiede, ad un'età così avanzata, l'ancor più raro merito di saper comunicare le preziose esperienze acquisite con una amenità di maniere, una facilità e semplicità di espressione che le rendono più apprezzate a quelli che le ricevono. Figlio di Berardo e Margherita Civica, nacque nel castello feudale di Leognano, in provincia di Teramo. Le origini della sua famiglia risalivano almeno al secolo XVI quando Pir (o Pyr) Giovanni di Ser Marco, generalmente riconosciuto come il capostipite della famiglia, cambia il proprio cognome in “Delfico” e adotta il motto “eat in posteros Delphica Laurus”. Secondo alcuni, e tra questi Luigi Savorini, il cognome originario era “de Civitella”. All'interno della sua famiglia va individuato come Melchiorre III. Rimasto ben presto orfano di madre, fu dapprima affidato ad ecclesiastici ed in seguito inviato a Napoli,  per il completamento degli studi. Nella capitale del regno ebbe maestri insigni quali Genovesi per le materie filosofiche per l'economia, Rossi per le materie letterarie, Ferrigno per il diritto e Mazzocchi per l'archeologia.  Nella città partenopea si laureò in utroque iure sotto la direzione di Filangieri e redasse subito diverse memorie per il governo. Ha già indossato l'abito ecclesiastico, ma se ne spogliò subito per motivi di salute.  Nella prima parte della vita si dedica in particolare allo studio della giurisprudenza e dell'economia politica, scrivendo numerosi trattati che esercitarono un grande influsso nel miglioramento e l'abolizione di molti abusi.  Con il ritorno in patria si inizia un periodo fondamentale per la storia della città e dell'intero regno di Napoli. Intorno a loro si riunisce un importante gruppo di filosofi che crea le premesse per un profondo rinnovamento sociale, politico ed economico del territorio in cui agiscono. Tra questi troviamo Cicconi, Comi, Lattanzi, Nardi, Quartapelle, Tulli, Nolli, Orazio Delfico, il figlio di Giamberardino, che fu allievo di Volta e Spallanzani, e l'altro nipote, Michitelli, che fu architetto noto in tutto l'Abruzzo. Si appassiona al collezionismo, in particolare di libri antichi e monete di epoca romana e pre-romana. Nominato presidente del Consiglio Supremo di Pescara e poco dopo membro del governo provvisorio della Repubblica Partenopea.  Caduta la Repubblica Partenopea anda in esilio per sette anni nella Repubblica di San Marino che gli riconobbe la cittadinanza. Scrisse il saggio “Memorie storiche della Repubblica di San Marino”, prima storia organica dell'antica repubblica. La Repubblica del Titano ha emesso una serie di 12 francobolli e ha coniato una moneta d'argento dal valore nominale di 5 euro per commemorare il filosofo e ricordarne la permanenza sul proprio territorio.  Sotto Giuseppe Bonaparte, nominato re di Napoli, entra a far parte del Consiglio di Stato, ricoprendo varie cariche ministeriali.  Restaurato il governo borbonico, fu nominato presidente della commissione degli archivi e successivamente Presidente della Reale Accademia delle Scienze. Venne eletto deputato al Parlamento napoletano e fu chiamato alla presidenza della Giunta provvisoria di governo. Si stabilì definitivamente a Teramo. La famiglia di Melchiorre Delfico si estingue con Marina, sposata al conte Gregorio De Filippis di Longano, ando origine all'attuale famiglia dei conti De Filippis marchesi Delfico. La filosofia di Civitella si forge nel fermento culturale del Secolo dei Lumi e del diritto naturale, le cui idee gius-naturalistiche furono compiutamente esposte da un lato nell'opera di Locke, dall'altro in quella di Rousseau, nelle quali i principi del diritto naturale erano rappresentati dalle idee di libertà e di eguaglianza di tutti gli uomini. I fermenti culturali del periodo assunsero una valenza rivoluzionaria e contribuirono all'abbattimento di una struttura sociale logora ed invecchiata, che si reggeva ancora ai capricci bizantini dell'autorità invadente.  Proprio tali tesi gius-naturalistiche furono gli strumenti a cui si richiamò l'opera del Delfico, permeata dall'anti-curialismo, anti-Roma, dalla compressione della feudalità, dall'anti-fiscalismo e soprattutto dall'abbattimento del monopolio forense, ritenuto il baluardo principale del regime. Ciò che caratterizza la sua visione politica è una nuova concezione dello Stato, non più ispirato al predominio politico e svincolato dalle regole della morale corrente.  Come politico e come giurista, e eminentemente pratico, così da poter essere ricordato come uno dei più illuminati riformatori del suo tempo.  Al suo nome sono intitolati a Teramo il Convitto nazionale, il Liceo Classico e la Biblioteca provinciale che ha la propria sede nel Palazzo Delfico. Numerosi i comuni che hanno intitolato strade a filosofo. Altre a Teramo  e alla frazione di San Nicolò (nello stesso comune teramano), si segnalano Sant'Egidio alla Vibrata, Penna Sant'Andrea e Roseto degli Abruzzi in provincia di Teramo; Montesilvano, Pescara e Milano. È noto che esistono Logge massoniche intestate a Civittella, ma ci si chiedeva se lui stesso fosse stato massone.  Questo interrogativo è stato posto da parecchi storici ma non esisteva una risposta documentale. Esistono invece molte prove indiziarie relative alla sua appartenenza alla Massoneria, per le quali rimandiamo all'appendice del volume di Franco Eugeni, Carlo Forti, allievo di N. Fergola. I principali indizi si possono così riassumere:  I maestri ed amici di Civitella, come Genovesi, Pagano, Filangeri, furono tutti noti massoni;  In un diario del curato Crocetti di Mosciano appaiono notizie di una Loggia massonica esistente a Teramo. Assieme a Quartapelle, subisce due processi per miscredenza. Promuove un movimento culturale detto '’La Rinascenza'’ di chiaro stampo illuminista. Nella rinascenza militano tutti i filosofi del tempo: i Tulli, i Quartapelle, Comi, Pradowski ed altri; La poesia di Pradowski sembra proprio la descrizione di una Loggia. Manda il nipote Orazio Delfico, futuro Gran Maestro della Carboneria teramana, a studiare a Pavia da Spallanzani, Volta e Mascheroni, tre noti massoni del tempo.  Perrone pubblica un saggio basato sulla corrispondenza di Münter con noti massoni napoletani lo dà come sicuramente massone, anche se "il suo nome non s'incontra nelle logge razionaliste". Altre opere: “Saggio filosofico sul matrimonio” (s.n.tip. ma Teramo, Consorti e Felcini); Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie confinanti del regno” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); “Riflessioni su la vendita de’ feudi” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); “Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); Pensieri sulla Istoria e su l'incertezza ed inutilità della medesima, Forlì, dai torchi dipartimentali Roveri); “Nuove ricerche sul bello” (Napoli, presso Agnello Nobile); “Della antica numismatica della città di Atri nel Piceno con un discorso preliminare su le origini italiche” (Teramo, Angeletti).  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Il Palazzo Dèlfico, Edigrafita  Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, Giacinto Cantalamessa Carboni, Sulla vita e sugli scritti del commendatore Malchiorre de' Marchesi Delfico, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti,  Raffaele Liberatore, Melchiorre Delfico. Necrologia, in Annali civili del Regno delle Due Sicilie, Ristampato come Delfico (Melchiorre), in: De Tipaldo Biografia degli Italiani illustri, Venezia, Ferdinando Mozzetti, Degli studii, delle opere e delle virtù di Melchiorre Delfico, Teramo, Angeletti, Gregorio De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere, Teramo, Angeletti, Raffaele Aurini, Delfico Melchiorre, in: Dizionario bibliografico della gente d'Abruzzo,  ITeramo, Ars et Labor, ora in Nuova edizione, Colledara (Teramo), Andromeda editrice, Vincenzo Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, l'attività presso il Consiglio delle finanze, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Vincenzo Clemente, Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, Donatella Striglioni ne' Tori, L'inventario del Fondo Delfico. Archivio di Stato di Teramo, Teramo, Centro abruzzese di ricerche storiche, Gabriele Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, Pisa, Edizioni ETS,  Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio. Treccani. Il dritto romano e sempre incerto ed arbitrario. Tale il suo carattere, poichè sebbene non gli mancassero ancora degli altri nei, pure quelle sole qualità (incertezza e arbitrarieta) sono bastanti per renderlo mostruoso e deforme. E di esse specialmente imprendo a trattare, come quelle che portarono a luce la vantata giurisprudenza romana. Ed accio questo ordinatamente si vegga, fiaci opportuno il seguir la storia che della nascita e de felici progressi di essa ci somministra i lumi i più importanti. Fra gli innumerevoli doccumenti tal oggetto riguardanti, prescelgo quello di cui tutti gli i filosofi si servirono, quasi di testo alle loro ricerche e commenti. Già si vede che io parlo delle opera del giureconsulto Sesto Pomponio, della quale si avvalsero i compilatori del dritto giustinianeo, rapportando nel titolo dell’origine del dritto, tuttocid che il nomato giureconsulto aveva raccolto su tal oggetto nel suo Manuale. E poichè Pomponio incomincia la storia del dritto dai re di Roma, dello stesso momento conviene seguirlo. In questa prima epoca abbastanza oscura non vi sarà pero materia di dispute, poichè Sesto Pomponio parlando conformemente alla ragione ed alla storia dice che Roma da principio visse con incerte lege gi e con dritto incerto e tutto dal regio arbitrio e governato. Ciocchè si deve intendere per quella parte che appartene al capo dell’aristocrazia nella qual forma Roma ebbe il suo incominciamento. Quindi Pomponio si espresse nelle precise parole. Populus sine lege certa, sine jure cento primúm agere instituit. Ne altrimenti doveva avvenire, poichè quella prima associazione essendosi formata di gente malatta al vivere socievole, e non avendo ancora positiva forma di società, doveva essere piuttosto regolata dalla forza del comando che da un stabilimento positivo. Ciascuno sa che Romolo per accrescere il numero de primi suoi compagni, prese l’espediente di aprire un asilo da era retto ve s9 ) da che si puo comprendere quali fossero i primi fondatori di Roma. I di lui favoriti furono i più valorosi briganti, e questi divennero i padri della patria, i forti, i primi quiriti, e formarono il senato come una Dopo questi primi tratti caratteristici relativi al le leggi Pomponio siegue a raccontare tradizione, che essendo cresciuta in qualche modo la città, Romulo divise il popolo in tante parti chiamate curie e col voto di esse prende. 9 va cura delle pubbliche cose, e fece in seguito la legge che si chiama legge curiata, come no , fecero ancora i re successivi, e tutte furono, raccolte da Sesto Papirio, il quale visse al tempo di Tarquinio il superbo, e dal nome dell'autore quella raccolta fu chiamato “dritto papiriano”. Non m'impegnerà nelle dispute istoriche e critiche delle quali si occuparono gl' interpreti di Pomponio, ma osservero che sebbene da principio parli dello stato informe di Roma e dell’autorità regia non modificata dalle legge, fa dindi vedere come fu data una forma, non una costituzione alla città nascente, e come dai re fu promulgata la legge curiata. Per due secoli e mezzo in circirca; quanto duro la regia signori , Roma non ebbe dunque che questa o quella legge occasionale, e la società fu mantenuta più col governo che colle legge. Prima intanto di passar oltre, e per la migliore intelligenza de’ tempi seguenti, non sarà inutile il presentare in poche parole lo stato politico del popolo romano sotto l’epoca dei re, e quale fosse l’indole della legislazione per tutto quel tempo. E poichè di cose che non ebbero autori contemporanei o vicini, non è possibile il ragionare con precisione ed esattezza; percio scortato dalla natura delle circostanze e dalle tradizioni pervenutaci, m’ingegnero di esporle nell’aspetto il più ragionevole. Fra l’oscurità delle origini romane possiamo rilevare che quella società incomincia da un adu namento di persone appartenenti a vari popoli non solo italici, ma greci e celtici ancora. Codesta tumultuaria associazione avendo Romulo per capo visse da principio di prede e di rapine, gusto che fece il perpetuo carattere della nazione, trasformato poi in quello di conquiste, come gli avol toi comparsi a Romolo nel prendere gli auguri furono poscia nobilitati in aquile vincitrici. In tale stato di cose non vi fu da principio bisogno di leggi, la legge, poichè non vi era proprietà, essendochè Roma fu fondata come Livio si esprime in fondo alieno, e le piccole private dispute erano decise dalla volontà del capo, come presso tutti i popoli barbari, e nelle società de’ briganti è sempre ava venuto. Avviene similmente che nel formarsi tali associazioni, si gittino i fondamenti dell'aristocrazia , e così avvenne di Roma. Il palagio di Romolo fu una succida capanna: il di lui trono quattro zolle che lo rialzavano dal suolo. Il Senato fu la scelta de’ commilitoni o complici delle sue rapine. I patrizi quelli che poterono vantare certezza di natali e qualche superiorità di ricchezze; e tutto il resto fu vile plebe o volgo profano. Questa è la divisione naturale dell’aristocrazie nascente. ‘Padre,’ ‘patrizio,’ ‘patrone’ furono nomi di versi appartenenti alle stesse persone secondo i va. rj rapporti ne' quali erano considerati, o di Senato consultivo, o di corpo aristocratico, o di superiorità immediata su le divisioni della plebe, la quale che che ne dicano i tardi autori della storia non ebbe alcuna parte di potere nè costituzionale nè amministrativo. Gli stessi autori dai fatti fanno scorgere questa verità alla quale contrariano colle parole. Festo il quale aveva trascritto le notizie dagli antichi autori, parlando dell’origine delle clientele si esprime in termini rappresentativi della verità, cioè come d’una divisione di gregge piuttosto che d'un popolo. Patrocinia appellari capra sunt cum plebs distribuia est inter paires. Ne si devono contare per un ordine intermedio di citetadini quegli equiri o celeri o i fossuli nominati fin dai principi di Roma, poichè non appartenevano allo stato politico ma al stato militare. Non è possibile il seguire i naturali progressi di quella società nascente, e vedere come a poco a poco si andasse a consolidare in quella forma nella quale da principio era stata abbozzata. Sotto il re Numa vediamo i primi passi di qualche civilizzamento, lo stabilimento della proprietà territoriale: la prima legge relativa alla religione ed al delitto, lo stabilimento dei ministri e degli interpreti della divinità; ed in somma un principio di governo teocratico, pel quale pare che sieno passate tutte le nazioni prima di portare su le cose civili le considerazioni proprie della ragione. Ma quello che specialmente riflettere dobbiamo è che sotto quel re teosofo ebbero i primi principi le scienze ancora della legge e del politico governo. Non si dee durar gran fatica per trovare de’ rapporti religiosi in tutti gli atti umani e farli nascere ancora in un popolo quanto ignorante tanto superstizioso. Così par che facesse Numa o per idea propria o per imitare i stabilimenti della sua nazione o pel natural corso del sociale andamento; cosi gitid i veri fondamenti di quell’aristocrazia sommamente poderosa poichè combina nello stesso corpo gl’interessi del sacerdozio e dell’impero, o le due aristocrazie, politica e sacerdotale. Su questo piano Roma crebbe successivament sotto i re. L’aristocrazia fu sempre salda contro le regie intraprese, e la storia ci mostra con quali mezzi crudeli e sacri seppe sostenersi. Massacrarono Romolo e ne fecero un dio. (Cristo). Tale idea pero del primo governo di Roma è stata generalmente sconosciuta, ed il primo per quanto io sappia a darne l’idea fu il nostro Gian Battista Vico, il quale riunendo alla multiplicità delle filologiche cognizioni la filosofia indagatrice delle origini sociali, fra le tenebre della rimota antichità, e fra le favole e le ricordanze degli antichi costumi seppe scoprire come un principio naturale politico, che nel comune corso delle nazioni la società primitiva comincia sempre dall’aristocrazia, la quale deve nascere dalla qualità delle circostanze, dall’ignoranza de’ dritti, e della compagna superstizione. Le luminose tracce di Vico furono poi seguite dal Duni e fermatosi particolarmente a considerare il governo romano, dimostra che Roma nacque aristocratica, che il re none che il capo dell’aristocrazia, che i soli patrizi ebbero la quarta di cittadini che furono in perfetto stato di combinazione l’aristocrazia politica e l’aristocrazia sacerdotale, e che il nome di ‘popolo’ ne’ primi tempi ai soli patrizi appartenne, come quelli che soli godevano del dritto della cittadinanza (cives polis), i quali poi furono gradatamente dalla plebe acquistati. Egli concilia luminosamente la contradizione in cui par che cadesse il giureconsulto Pomponio e fa vedere che il re non ha che una parte del governo o dell’amministrazione, ma che la somma dell’autorità , la vera sovranità, il potere legislativo, il dritto della pace e della guerra risedevano nel corpo de’ patrizi, come anche il dritto di eliggersi il loro re o principe. Furono essi i depositari delle leggi e delle medesime i (Duni Orig. del Citted. Romano . 1) ministri ed interpreti: e siccome per un’eterna verità l’aristocrazia non si sostiene che sull’appoggio della superstizione. Cosi dal corpo aristocratico si sceglievano i vari sacerdozi, e fra essi il corpo de’ pontefici fu specialmente destinato a dar i giudici alle divine cose ed umane. Quindi la conoscenza della legge e l’amministrazione delle medesima fu un dritto esclusivo e divenne una dottrina arcana, conservata con tutta la gelosia del mistero, dispensata solo a modo d’oracoli e strettamente custodita nell’ordine de’ patrizi. Codesta emanazione della prima teocratica idea non solo si conserva per quanto ebbe di durata il governo del re ma per quanto visse la Roma. Una repubblica, colla sola differenza pero che come crebbero le cognizioni ed i necessari riflessi della ragione, e da essi nacquero i sentimenti di libertà e di eguaglianza, così quelle idee si andiedero a poco a poco estenuando, finchè non ne rimasero che i soli simboli commemorativi, o il nome senza la cosa, o le cose senz’alcuna effettiva in Auenza. E necessaria questa breve esposizione, per cogoscere quale fosse lo stato della legge, dell' am ministrazione giudiziaria e della giurisprudenza ne’ primi tempi di Roma; e senza impegnarci nella particolari legge sotto il re emanata dal senato regnante, possiamo con sicurezza affermare che la legge fu minima, eventuale ed incerta, e che l’interpretazione delle medesine essendo stato un dritto di corpo o di ordine affidato ad alcuni individui, possiamo dire ancora che la giurisprudenza fu incerta, irregolare, arbitraria, e quale ad una nazione anco sa ignorante e superstiziosa poteva solo convenire: e per conseguenza esser stato pur vero ciocchè Pomponio scrisse, che sotto i re sine lege Gerta , sine jure certo vissero i romani. Lascio agli ambiziosi di glorie filologiche legali l’andar raggruzzolando I pochi superstiti frammenti della legge regia, poichè i stessi antichi giure consulti ne fecero poco conto e le lasciarono finalmente perire. Chi volesse però riconoscerle, troverebbe in esse la conferma di quelle idea superstiziosa caratteristiche della prima aristocratiche associazione. Espulso il re si crede comunemente che il governo di Roma cangiasse d’aspetto e da quel momento si cominciano a contare gli eroi della libertà. Ma chi - giudica senza prevenzione non vi troverà che gli eroi dell’aristocrazia . Anche quessti parlano di libertà; della propria libera però non della liberta pubblica, e per servirmi delle parole di Dionisio, della libertà propria e del dominio su gli altri. Quindi Roma non vide alero cangiamento che di due re invece di uno e la legge e l’amministrazione politica e civile rimasero nella stessa condizione. L'incertezza fu seguita dell'incertezza; l’arbitrio dall’arbitrio, ciocchè ci dà manifestamente ad intendere Pomponio dicendo: Exactis deinde regibus . .ae . iterumque cæpic populus Romanus incerto magis jure & consuetudine ali quam per latam legem, idque prope sexaginta annis passus est. L’aristocrazia era stata alquanto abbassata dall;ultimo re, per cui ebbe fine il suo governo, ma dopo la sya espulsione ritorno presto nel pria miero vigore. Quindi gli effetti dovevano essere conseguenti, e tutta la storia è una pruova dimostrativa. Infatti si sa che dall’anno fatale ai Tarquini, fino al tempo della leggi decemvirale, il potere legislativo ed il potere giudiziario furono privativi del corpo aristocratico. Troppo lungo sarebbe ora il seguire tutta la serie de dibattimenti intervenuti fra i patrizi ed i plebei, quando questi già stanchi dell’incertezza della leggi civile, della forma esclusiva di governo, e della schiavitù nella quale erano tenuti, tentarono de’ mezzi per alleviarsi in qualche modo dalle gravezze ond’erano oppressi. Ottenuto il tribunato si avvidero ben presto che esso era troppo debole ostacolo contro la tirannia de patrizi, la quale efforcivamente era annidata dentro la stessa legge e fortificata dallo spirito di corpo (sprit du corps) , che fieramente la difende. L’insurrezione, la secessione, soli mezzi che può escogitare un popolo schiavo ancora dell'opinione, furono più volte ripetute; ma le loro domande erano incerte, le loro querele generali, ed i loro desideri si riducevano ad essere considerari come uomini e come cittadini: Ut hominum ut civium numero simus . In questo stato compassionevole compresero finalmente che niun mezzo vi poteva essere migliore per ottenere l’intento che quello di formarsi una legislazione generale, poichè la sola legge puo stabilire la libertà e l’uguaglianza civile, potevano esser riguardati come uomini cittadini. Strano ed arrogante sembra al patrizio il desiderio della plebe, e strano parrà sempre al possessore del potere arbitrario il desiderio del ristabilimento della legge e della giustizia. Quindi il patrizio non lascia mezzo intentato per frastornare il plebeo dalla lodevole intenzione e persuaderli che i patri costumi erano sufficienti e che di nuova legge non vi era bisogno; mores patrios observandos, le ges ferre non oportere. Furono intanto inutili le persuasioni , e lo stato infelice nel quale il plebeo si trovava detta suo questo solo espediente. Non altrimenti che l’oracolo consultato da Locresi sul modo di sedare le civiche discordie rispose loro: fatevi la legge; i Romani plebei sentirono l’oracolo della ragione e della infelicità nella qua Je gemevano. Vollero quindi la legge, ma ciascuno sa, come tutte le arti aristocratiche furono messe in uso per ingannare quel popolo che spesso riposava colla più buona fede sopra i suoi naturali e costanti nimici. Si sa come i deputati i quali dovevano mandarsi in Atene e nelle altre Città della Grecia e dell'Italia a raccorre la legge per la nascente regina del mondo, si occulta rono in qualche luogo d'Italia , e la legge poi fu tirata dalle arche pontificali  e perchè nulla mancasse di condimento aristocratico, si fecero poi impastare e disporre da quell’Ermodoro esiliato da Efeso dal partito popolare. La storia relativa E 3 alla moeten alla legge delle dodeci tavole se fosse trattata con quell’accuratezza che pur le converrebbe, sarebbe un articolo sommamente istruttivo; ma questa ricerca veramente politica è stata molto trascurata. Il popolo domanda una legge della quale il console si dovesse servire e che non dovessero aver più in luogo di una legge il capriccio o la privata autorità; non ipsos libidinem ac licentiam pro lege habituros. Il patrizio risponde che di una nuova legge non fa mestieri, e che bastavano la usanza, no la legge. Il popolo adduce ragioni, il patrizio face parlare la religione, e questa spesso parla per bocca de buoi e di altri animali, del linguaggio de quali si fa un merito d'essere interprete. I plebei volevano che la legge si facessero dal popolo legitimamente e liberamente congregato. Il patrizi sostiene che non vi sarebbero stata altra legge, che quelle ch'essi stesse avrebbero fatte: darurum legem neminem, nisi ex parribus ajebant. Il popolo vuole una legge di uguaglianza. Il patrizio le promette in parole; sicuro di non essere nel fatto obbligati a mantener. Finalmente dopo tante vicende le dieci tavole furono pubblicate e successivamente le altre due come ci fa sapere la storia. La storia ci dice ancora che con esse ogni diritto e resi uguali: omnibus summis infimisque jura æquasse: e ci dice ancora che il popolo la esamino e la approvó solennemente. Ma la storia stessa ci dice che quel bravo legislatore a anche più bravo tiranno; che sconvolsero tuttol'ordine pubblico e secondo Livio nihil juris in civitate reliquerant, che per quella legge ogni consuetudine aristocratica e conservata, che la vantata uguaglianza resiò in parole; e che al primo momento di paragone il popolo riconobbe d' essere stato ingannato. La favola dell’invio de’ deputati in Grecia è stata pienamente scoverta da molti autori e specialmente dal Vico, da Bonamy e da Duni: la favola d;essere state leggi di uguaglianza e di giustizia, la può scoprire facilmente ognuno che voglia leggere con critica la storia •gli avanzi di quelle leggi . La scovri ancora il E 4 po . (Vico : Scienza nuova; Bonamy, Memoir. de litterar. de l' Accad. de Paris. Tom . XVIII; Duni : Dėl Cittad. Rom) popolo , quando ritornato in cal ma dopo l’abolizione del decemvirato potè tranquillamente esaminar la legge, ed invece di vederne tali che classificasse la gente come uomini e come cittadini, non trova che una legge civile, una legge criminale, una legge funeraria e una legge religiose, che punto o poco l'interessavano. Per essere classificati per uomini o per cittadini vi bisognavano una legge costituzionale che avessero ragguagliati i dritti, che li avesse egualmente interessati alla cosa pubblica, che li avesse ammessi ai suffragi. Niente di tutto questo; e la plebe resto delusa della sua troppo malfondata speranza. Vedremo in seguito come seppe rinnovare le giu ste sue pretenzioni ; ed in tanto senza voler fare l'analisi di que’miseri frammenti delle leggi decein virali , è pur giusto portarvi uno sguardo generale per vedere almeno, se meritano tutti gli elogi de' quali sono state ciecamente onorate dagli antichi é da moderni ; ed osservare in seguito, se ne pro venissero quegli effetti felici, ai quali produrre era no state destinate. Cicerone in più luoghi esaltan dole sopra tutte le leggi conosciute , non è poi molto felice nel darne le pruove ; così condanna Solone , per non aver imposto pera al parricidio , supponendolo impossibile , o volendolo supporre talo tale per onore dell'umana natura; ed elèva la seviezza della Romana legislazione per aver saputo inventare una pena orribile e crudele. O singola , sem sapientiam ! esclama egli dopo aver lungamen: te ragionato con Logica forense. Tale fu la sa viezza di que’ legislatori ne' varj rami di quelle leggi ; poichè se si riguardano per la parte crimi nale esse furono Aristocratiche , ingiuste , severe , é crudeli. Se per la parte del dritto pubblico, del la quale poch’indizi ci sono restati, andavano al la conservazione dell ' Aristocrazia : se per quella della Religione e de' funerali, corrispondevano ai superstiziosi concepimenti del tempo: se per ciò che riguarda l'ordine giudiziario, dovevano esser ana loghe alle leggi ed all' usanze : se per la parte te stamentaria , è facile il vedere, ch' esse contene yano la massima ingiustizia politica , per conser vare in forza gli Aristocratici dritti : della stessa indole furono le indegne leggi relative alla patria potestà ed alle altre relazioni domestiche nelle quali sempre campeggia lo spirito di famiglia. In quanto al contratto, la legge furono pur sempli ci , come devono essere in un popolo barbaro con pochi rapporti civili; ma le usure d'ogni spe cie furono terribili. Chiunque vorrà esaminar quel te leggi in buona fede , e misurarle secondo i vem ri rapporti che le leggi devono avere colla natura e collo stato civile , troverà senza fallo ingiusti ed irragionevoli gli encomj alle medesime attribui. ti . Ma forse neppur in Roma si pensò tanto favo revolmente di esse, poichè col tempo par che fos - sero del tutte néglette e dimenticate. Cicerone stesso riferisce che al suo tempo neppure erano ben intese , e sebbene egli nell'infanzia le avesse ap prese a memoria , era poi passato di moda tal co stume : discebamus enim pueri XII. ut carmen ne cessarium , quas jam nemo discit. Ed in seguito al riferir di Gellio erano cadute . in tale disprezzo ed obbllo, ch' erano derise come fossero le leggi dei Fauni e degli Aborigeni . Si può trovar intanto qualche motivo, pel quale si possono difendere gli antichi panegiristi delle leggi decemvirali ; poichè per quanto fossero selvatiche quelle leggi , godevam no pur dei dritti che danno l'opinione e l' anti chità; e paragonata la giurisprudenz'antica a quel la degli ultimi tempi della Repubblica, il paragone risultava in favore della prima. Ma che i Giure consulti moderni , e quelli specialmente della setta degli eruditi riguardino ancora lo studio dei mi peri frammenti superstiti come il più interessante per MC 75 per la conoscenza del giusto, e rincariscano su gli elogj degli antichi, cið non può essere che l'effetto d'un Letterario fanatismo Se Livio chiamo le leggi delle XII tavole fonté ogni equità fu troppo credulo alle espressioni ed alle promesse degl’iniqui decemviri. Qual nie fu infatti l’utilità pel popolo Romano? La severa ed ingiusta costi tuzione non fu cangiata , e da quella vantata ugua glianza la plebe neppure ottenne di acquistar la condizione desiderata . Per quel principio Teocrático , di sopra accen nato , ciò che distingueva in tutti gli effetti civili tanto pubblici che privati , il patrizio dal plebeo , era il dritto degli Auspicj . Era questo dritto che dava la vera qualità di cittadino negli affari sacri e ne'civili ; ed incominciando dal primo vincolo sociale , cioè dalle nozze ' , con i soli auspicj si produceva il connubio o nozze solenni, dalle qua li derivava il carattere di padre di famiglia , la patria potestà , e la facoltà di testare ; e questa specie di nozze era de' soli patriz; ; poichè gli al tri ridotti al matrimonio civile o naturale senza prevj auspicj non potevano godere delle stesse prerogative. Gli auspicj e propriamente gli auspi cj maggiori poi erano i soli mezzi per aver drito 1 ( 76 ) alle Magistrature , e far parte dell'ordine regnante dello stato. Or niun cangiamento fu fatto da quel le vantate leggi su di un articolo tanto importante in quella costituzione nella quale tutto era sacro ; e la Storia c'insegna, quanto poi costasse di tran quillità alla Repubblica, il voler introdurre in qual che modo l'uguaglianza. Sebbene si vänti l ' Oratoria e la giurisprudenza de' tempi più antichi di Roma , pure si può asse rire , ch ' esse non avessero propriamente la loro origine che dopo la pubblicazione delle XII tavole . Si crederà intanto che quel prezioso codice avendo acquistata due qualità principali, cioè d'eso ser pubblico e generale, avesse resa ceria e stabia le la legislazione. Autorizzato dal popolo , fisso nel foro e delle curie , ciascuno doveva trovarvi la certezza de' giudizj , la sicurezza de'suoi dritti la legittimità de' suoi dominj; ma su questa con seguenza ci fanno nascer gran dubbj gli antichi Autori e molti fatti conosciuti. Convien sempre ricordare che il principal carac tere delle prische Aristocrazie fu la misteriosa cu stodia delle leggi o consuerudini, e della religione, ciocchè formava il privilegio esclusivo, o la pri yatiya di quella sola sapienza che gode del bujo & del ( 77. Det ZE = ; pro ice e della pubblica ignoranza . Ma codasta sapienza Romana era fondata parte su l’ingiustizia , parte su l'errore : su questo , perchè la loro scienza saa cra ed arcana non consisteva nel celare al volgo i misteri della natura , l'origine della cose, l'enera gia della forza motrice, la fecondazione dell’universo, ed altri tali idee nascoste ai profani presso le altre nazioni : la loro scienza arcana si raggira va sul cantare o cibarsi dei polli , sul volo degl uccelli, sull'andamento del fumo su i tremori delle viscere , e simili cose , alle quali non pud appartener mai il nobile titolo di scienza o sapien . ma quello solo di vane osservanze . L'errore poi lo facevano servire all' ingiustizia , poichè con tali mezzi si mantenevano nell'assoluta disposizio ne delle leggi , facendole servire alla conservazione del preteso dritto del più forte, cioè alla soy version ne di tutte le idee del giusto. Or poichè quelle leggi qualunque fossero erano pur pubblicate , una parte della scienza arcana e dell' aristocratico potere sarebbe andato a svanire , se non si fosse trovato un modo col quale si ae vesse potuto riparare una perdita si grave. Ques sto si effetrul col conservare il potere giudiziario Dell'ordine de' patrizj , e col rendere inutili le lege es za 7 bid SSO rvi ti chi Tale Cu ne, ori ujo el gi ( 78 )* gi; se non fossero state avvalorate dalla doro re condita sapienza . Essi dovevano spiegarne il sen so ; essi conoscere qual dritto nasceva da una tal legge ; qual era l'azione che ne proveniva , quale il modo o la formola di proporla, quale l'eccezione che poteva impedirla ; e finanche si arrogarono come un mistero sapere i giorni ne' quali si poteva amministrar la giustizia senza offendere i Numi . Ecco insomma la giurisprudenza , ossia il mezzo di rendere inutile anzi dannoso alla società il beneficio d'una Legislazione. Essa vanta un ori gine Aristocratica , un origine che si confonde coll' errore , colla malizia , e colla prepotenza . Sebbene dunque la giurisprudenza fosse nata su bito che vi furono leggi incerte ed arbitrarie ; pu re non si confermd , estese e stabilì nelle forme , che dopo la pubblicazione delle XII . tavole ; dopo questo prezioso compendio dei dritti degli uomini e degli Dei. Pomponio conferma le mie parole. Dopo pubblicate (egli dice) le leggi delle XII tavole, come naturalmente avvenir suole , s'incominciò a desiderare per l'interpretazione delle medesime l'autorità de' giurisprudenti , e le ne by cessarie dispute del foro. Tali dispute e tal drit » to non scritto composto dai giurisperiti non ha s pes, 79 ) 9 ji però un nome proprio come le altri parti del dritto , ma con pocabolo comune è chiamato dritto civile. Quasi nel tempo medesimo da „ quelle stesse leggi si fecero nascere le azioni, colle quali si doveva discettare a litigare : ed sacciò non fosse in libertà di ciascuno il farne uso, si pensò a farle essere certe e solenni ' ; e que „ sta parte del dritto fu denominata azioni della legge , o sia azioni legittime E cosi quasi ad - un tempo nacquero queste ' tre specie di dritto cioè leggi delle XII. tavole ; dritta çivile deriva „ to da esse; ed azioni della legge, composte su i s dritti antecedenti , La scienza poi tanto delle » leggi quanta dell'interpretazione , e delle azioni %, stesse era riservata al collegio de Pontefici, quali in ogni anno destinavano persona che pre sedesse ai privati affari o litigi ; e con questa , consuetudine visse il popolo per cento anni in » circa , „ Quale orribile contradizione ! Appena pubblieata una legislazione tanto vantata per la sua perfezione, fu trovata cosi insufficiente, ch'eb be immediato bisogno di sostegni e di interpreta zioni . E codesto fu il codice superiore a tutte le biblioteche de’ filosofi? Ogni parola di Pomponio contiene una contradizione alle idee di leggi e le gis 80 ) gislazione che somministra il buon senso il più comune. Il dritto civile tanto encomiato non fu altro dunque che il risultato delle interpretazioni de'Giu. risprudenti e delle dispute forensi ? E qual razza di prudenti erano mai quelli! Ciascuno sa che quella fu l’epoca della più crassa ignoranza; la spada, la zappa, i polli e le usure erano le sole idee che fiorivano in quelle teste leggislatrici . Ma poichè col progresso del tempo , e colla frequenza de' giudizi qualunque fosse stato quel dritto con suetudinario poteva pur ridursi in massime o in principj di giustizia , e cosi divenire di comune. intelligenza e di un uso generale; si pensò il mo. do onde questo non avvenisse , e si mantenessero sempre le leggi nel bujo e nell'incertezza . Ne cið era sicuramente per una vanità dottorale , ma per conservare un potere ed una leggislazione arbitra sia , qual era il grande scopo dell' ordine Aristo, cratico . L'unico mezzo che essi viddero il più opportu 80, fu quello d'inventare le azioni , cioè delle for mole colle quali non solo si doveva agire o ecce pire in giudizio , ma secondo le quali si doveva no regolare i contratti e gli altri atti civili , accið por ve far potessero avere un effetto legale. Non bastò loro di aver la privativa de' giudizj ; poichè colle leg gi certe difficilmente avrebbero potuto abusarne : bisogno dunque inventare un nuovo dritto di esso e della nuova pratica una nuova legis lazione da surrogare all'antica scienza mistica delle leggi, per tenerle sempre in quella severá cu stodia, colla quale prima delle XII. tavole teneva no le antiche consuetudini . E perchè non si man casse di venerazione a tale straordinario stabili . mento, i Pontefici ne furono fatti depositarj egual mente e disponitori . Chi' può trovare in questa specie di legistazione altro carattere che di una volontà arbitraria diret ta non a dispensar giustizia , ma a conservare ľ Aristocratico dispotismo , darà segno , di non aver avuto mai idea di ciocchè costituisce il carattere delle leggi. Ma non si trattava già di fac leggi , si trattava solo di tener il popolo in schia vitù : perchè se avendo già esso acquistato i drit ti di privata cittadinanza avesse potuto godere anche quello d'Isonomia , cioè dell' eguaglianza delle leggi , qual'era stato il suo intendimento nel promuovere una pubblica leggislazione , avrebhe fatto un gran passo verso quella libertà che tanto F ambiva , ma che più sentiva che conosceva . Escla . md esso sovente contro quella specie di occulta o privala legislazione , dicendo, che la sua condizio de ea in questo assai peggiore di quella dei po poli vinti ; essendogli negato il poter sapere cioc che riguardava i più comuni affari çivili , e fino i giorni legali e feriali, ciocchè agli altri non era Ignoto : segno sicuro che l'aristocrazia romana era inolto più feroce o severa di quella delle altre città o popoli vicini. Il dottissimo Vico con gran proprietà d' intelli genza penso che quel notissimo motto di Solone: conasciti, fu piuttosto un précetto politico che mo rale . Pieno l'animo di tutti i sentimenti della ve ra giustizia Solone ricorda va con quel motto all' oppresso popolo di riconoscer se stesso , cioè di riconoscersi per uomini ed uguali ip dritto a colo ro che li opprimevano. Il popolo Romano non eb be un Solone , che gli desse così utili ricordi ; ne forse ne aveva bisogno , poichè abbastanza si ri conosceva , ed agli insulti de'Patrizi rispondeva , che non erano fioalmente essi ne discendenti do’ Dei , nè venu i giù dall' Empireo . Avrebbe perd avuto bisogno di un Solone , per aver lidea d'una costituzione , senza la quale arrivo si a distruge gero gere la maggior parte degli abusi del potere Ari „ stocratico, ma non giunse mai a formare una pere ferta Repubblica, fondata su i veri rapporti sociali e su i dritti primitivi della Giustizia naturale e positiva : per cui se Roma corse rapidamente alla grandezza dell'impero e delle ricchezze, cadde an che presto nella voragine del disporismo . Ma ritornando a quella Giurisprudenza che suc cedè immediatamente alle XII tavole, e che diede nascita a quel nuovo dritto così stranamente am ministrato, dirò , che sebbene da quanto semplice mente espone Pomponio, se ne possa giustamente fare il carattere; pure ad esuberanza aggiungerd, che l’illustre Gravina , tuttochè pieno d' entusiasmo per la Romana Giurisprudenza, non seppe nascon dere , quanto fosse infelice quella de' tempi de'qua. li abbiamo ragionato. Antiqua jurisprudentia nun. cupatur quæ statim post latas leges XII. tabularum prodiit : aspera quidem illa tenebricosa & tristis non tam in æquitate quan in verborum superstitione fundata. Se il Gravina rinunciando ai pregiu dizj Filologici, avesse voluto mettersi in grado Gray. de Ortu Tur. Civ. cap. 46. F 2 di giudicare giustamente , come riconobbe per tenebrosa l'antica giurisprudenza , avrebbe ricono sciute per arbitrarie e maligne le successive giuris prudenze dette media e nuova , ed avrebbe discon * fessato gl ' inopportuni encomj , che in generale yolle ad esse tributare . Per quanto perd si è finora ragionato , non ho toccato che leggermente la nequizia della giuris prudenza e della giustizia sacerdotale ; ma chiun que per poco abbia di buon senso converrà meco, che una delle tristizie maggiori in fatto d' Ammi nistrazione è il sottrarre le leggi del pubblico uso e conoscenza , e ridurle per vile ambizione e su dicio interesse ad arcani misteriosi . Nascondere le leggi, è nascondere la luce civile ', è precipitar gli uomini ne' vizj e nella corruzione. Le leggi con molta proprietà e verità d'espressione si chiamano la ragion civile , onde il celarle, il corromperle , val lo stesso che privare gl'individui del corpo po litico di quella ragione che loro deve servir di guida in tuui gli affari sociali. I patrizj giurispru. denti non lasciarono mezzo per tenere il popolo nell'oscurità , poichè non solo coll' inventare le azioni e farsene' una privativa di ordine, occultaro no le leggi e le guastarono ; ma de' nuovi stabili men ( 85 ) menti anche s'impossessavano per poterne disporre a loro talento. Livio n'è amplissimo testimone di cendo : institutum etiam ab iisdem coss. ( cioè Lo Valerio e M. Orazio ) ut Senatusconsulta in ædem Cereris ad ædiles plebis deferrentur , quia ante ato. bitrio Consulum supprimebantur vitiabanturque. Non fu però sufficiente questa legge, come vedre mo in altro luogo , e i giurisperiti seguitarono ad essere veri Monopolisti delle leggi . Dobbiamo credere però che i più virtuosi Ro mani avessero a vile codesto mestiere d'ingan no e di soverchieria ; e perciò . la storia ci pre senta sempre con elogj coloro i quali quasi senz’intervallo tornando dai campi di Marte cambiava no coglistrumenti rurali gli arnesi guerrieri , o coronavano l'aratro di allori trionfali . Si sa che Roma allora e per alui secoli non presentava al cuna occupazione che potesse allettare alla vita cittadinesca , la quale dalle belle arti , dalle scien ze, e dal prodotto da, esse spirito sociale si rende solo piacevole ; perciò chi non amava l'intrigo, nè la vita oziosa soffriva , in vece di darsi alla cabalistica (Livio) e viziosa giurisprudenza , si riparava nella esercizio dell'agricoltura sempre preferibile ad una mestiere cosi pernicioso. Infatti la storia ci pudo istruire , mostrandoci , che la famiglia la più in festa allo Stato , la perpetua persecutrice della li bertà popolare e della Giustizia pubblica fu una famiglia di giurisprudenti. Tale fu la Claudia ; e sempre si è veduto che dove dottori e forensi 80 no, la discordia prende il luogo della pace e della naturale tranquillità . Ma ritorniamo a Pomponio . Egli ci dice che quella mistica giurisprudenza si sostenne quasi per un secolo : la storia pero a gli altri autori dicono , ch' ebbe una durata eguana le a quella della Repubblica , toltene alcune diffe renze dalle quali non fu alterato il fondo del la cosa · Seguita dindi Pomponio a racconta re , come quelle formole ed azioni , essendo ri , dotte in forma da Appio Claudio , cotal mistico libro gli fu involato da Gneo Flavio figlio d'un libertino e scriba dello stesso Claudio : ed aver . , dolo pubblicato e fattone un dono al popolo , » questo gli fu si grato , che lo fece pervenire ad » esser Tribuno della plebe , Senatore , ed Edile „ Questo libro contenente quelle azioni delle quali > si è già parlato , dal nome dell'editore fu deno ( 87 ) Si po , mitato drino civile Flaviano , benchè egli nulla » vi aggiungesse del suo. Nel crescere poi in Romi la popolazione e nel multiplicarsi gli affari maticando alcune specie di formole , Sesto Elio non » guari dopo compose nuove azioni e ne pubblico co un libro chiamato Dritto Eliano , . trebbe" ragionevolmente pensare , che pubblicate le leggi e resa publica la scienza arcana , il dritto cívile , le ' azioni, la pratica, e le leggi stesse diven cassero di pubblica ragione; e che il popolo illua minato su i principj legali , sulla condotta degli affari , sul modo di amministrar la giustizia , . sulle ordine giudiziario , non avesse più bisogno della maduduzione de' patriaj per distinguere il giusto , e sapere i mezzi d'ottenerlo . Ma tuu ' al trimenti andiede la bisogna į poichè non volendo i patrizj perdere per alcun modo la custodia e la dispensazione di quella scienz'arcana , che forma va la base principale del loro ingiusto potere, tro* varono il'modo , onde far rimaner il popolo de fuso . E come nelle sette se si vengono a scopris se i segni mistici destinati al riconoscimento, pres stamente si cangiano , e de ' nuovi si surrogano , onde sia salvo it mistero ; cost i bravi Giurispe siti eseguirono , cost posero in salvo i pretesi F drica, dritti dell' ordine , e conservarono il grande arcano della Giurisprudenza . Le formole e le azioni furono cangiate , e forse in maggiori cifre involute onde potessero rimanere ancora lungo tempo nascoste ed inintelligibili allo sguardo plebeo . Ma ascoltiamone, Cicerone, il qua le ce ne dà il più distinto divisamento ; Erant in In igna potentia qui consulebantur : a quibus etiam dies, tamquam a Chaldæis petebantur. Inventus est scriba quidam Gn. Flavius qui cornicum oculos con Fixerit , & singulis diebus ediscendos fastos populo proposuerit  & ab ipsis cauris jurisconsultis coruin sapientiam compilarit . Itaque irati llli , quod sunt, veriti , ne , dierum ratione, pervulgata & cognita șine sua opera lege posset agi . notas quasdam com posuerunt, ut omnibus in rebus ipsi inieresseni Non fu di alcun utile dunque l'aver trafitti gli oc chj a quelle cornacchie poichè in breve tempo seppero rinnovarli e renderli migliori. Per quanto quindi prosiegue , la Storia troviamo sempre costantemente e già pel corso di quattro secoli gli stessi sentimenti , gli stessi principj , la 2 stes (Cic. pro Mur.) cha stessa condotta". La Giurisprudenza fu latente , in çerta , arbitraria , ignota al popolo ,, e privativa del solo ordine paurizio sacerdotale, il quale lungi da quella virtù che sola consiste nella beneficenza » da quella sapienza che cerca il vero , per render lo di comune demanio ; da quella Giustizia trova i principj nella ragione, e gli espansivi sens țimenti nel cuore ; da quella naturale benevolenza e da quel sentimento di pietà, che distinguono l'uo mo civilizzato ; da'veri sentimenti di patriotismą che non può essere mai scompagnato dalla Giusti, zia ; , lungi dico da tutte queste qualità e gli Eroi del Campidoglio non sembra che provassero altri sentimenti che quelli dettati dallo spirito di corpo, sempre contrario, anzi distruttivo de' sentimenti so ciali , dal vile interesse personale e pecuniario Fros, duttore di tutti i vizj , e dall'abuso di un illegiti mo potere. E pure questi furono i patriarchi della giurisprudenza ! Seguitando quindi Pompopio ad esporre i fonti del dritto Romano ci accenna l'origine de' plebi. - . sciti e de' senatusconsulti, specie di leggi dettate dal popolo o dal Senato , e delle quali in appressa, vedremo gli effetti ee'l'l valore , e soggiunge , che » nel tempo stesso anche dai Magistrati nacque » un' 1 el gobierno un' altra specie di dritto s poichè , tecid saw pessero i cittadini , di qual dritto i Magistrati in si sarebbero serviti intorno ai varj oggetti di giudicatura , & perchè vi andassero premuniti, pubblicarono degli editri , da quali si costitui il » Dritto onorario , cost detto perchè proveniya dall'onor del Pretore , • E dopo aver parlato finalmente dell'altra parte del dritto che nacque delle costituzioni de' Principi , cost riepiloga tutti i fonti che costituiscono il 'dritto Romano . ,, Nel la nostra Città dunque dice egli ) la legisla os zione è costituita del dritto" o sia legge ; da » quello che propriamente si chiama Dritto civile , che non è scritto , è consiste nella sola interpre mtazione de' prudenti : dalle azioni della legge » le quali contengono le formole di agire; dai plebisciti che furono fatti senza l'autorità del » Senato , dagli edini de'Magistrati,da' quali nasce il dritto onorario ; dai Senatusconsulti costituiti dal Senato senza legge particolare ; e finalmente , dalle costituzioni de' Principi , Ecco tutta la Storia seguita , che Pomponio ci ha lasciata del dritto Romano, ed intorno alla quale presso a poco gli autori tunti convengono . Abbiamo finora voduto quale fosse il dritto é la C 91 ) fa giurisprudenza Romana prima è dopo dello leggi decemvirali , e quindi come per quattro secoat li e più le leggi e la Giurisprudenza avessero 1 caratteri d'irregolarità , d'incertezza e di arbitrio i é non ostanteche la ragion popolare andasse ac quistando qualche dritto su l'Aristocrazia , puro questa sostenuta dal Sacerdozio , qnantunque per Necessità cedesse in qualche cosa de’dritti pubblici, fece perð ogni sforzo per tener recondite le leggi , e sotto le chiavi del mistero tutto quello che ri guardava l'anministrazione della giustizia. Conoba bero ben essi che nei stati di qualunque sorte, quel If anno veramente il massimo di potere effettivo cho possono disporre a loro modo delle leggi e della giu stizia , e che tanto più diventa tale autorità effica cé , quanto più le leggi sono oscure incerte ed ar bitrarie . Ma per vedere come questo continuassets e come la Giurisprudenza seguitasse ad esser sem pre della stessa indole , prima di venir a ragionia re de' plebisciti e de' senatusconsulti ch' ebbero di yerse fasi, ci fermeremo ad esaminare quel dritto; cui si volle dare il titolo di onorario , ma che ves dremo' non essere stato degno di alcun onore. Se si volesse parlare del la ridevolezza di quelle vantate formole , che costituivano la Romana Giurisprudenza , ci porterebbe a perdita di tempo , ma se i Romani di buon senso e Cicerone stesso le. deridevano e tenevano in altissimo disprezzo , cre do che dopo due mille anni potremo far noi al- , trettanto , e chiunque non sia un’ vero divoto , e cieco adoratore della Romana antichità e giurispru-, denza. Rifletterà solamente , che quando di cose sem. , plicissime si vogliono far misteri , allora dovendo vi aver luogo l'arte d'imporre , le idee semplici si devono involgere in un numero di parole non necessarie , e surrogare impropriamente le imma gini e le finzioni alla semplicità e realità delle co se e delle idee : specie di geroglifici che deve ace: compagnar sempre il mistero, e l'impostura Siccome non è mio intendimento però di fare la Storia del governo civile di Roma, mà solo indicare il corso infelice delle leggi e della giurisprudenza, cosi non m'impegnerò nelle lunghe dispute e di bauimenti fra la plebe e i patrizi, quando quella per acquistare i dritti di cittadinanza , e questi per allontanarli , facevano tuttogiorno rimbombare de loro schiamazzi il foro Romano; ma accennerò so , lamente ciocchè importa , per passare all'origine del dritto onorario . La forza dell' opinione non aveva più molio. scevano valore contro la forza reale ed effettiva ; per cuti essendo riusciti i plebei a partecipare ad alcuni di quegli officj che fin allora erano stati privativi de patrizi , come fu quello della questura e de' tria buni militari , non parve foro di aversi assicuraii i sospirati dritti , se non ottenevano la massima delle Magistrature , vale a dire il Consolato . E poichè già per lunga e dolorosa esperienza cono che sempre col manto della Religio ne i patrizj cercavano coprire le loro pretese , o tependone lungi il volgo profano , ailontanara lo da tutte le magistrature che de' sacri auspicj abbisognayano ; così i plebei videro che per farsi strada al Consolato, si rendeva necessario l ' ardi mento di entrar ne' sacri pene trali , ed andar an che essi a studiare e consultare un poco i libri Sibillini. Quindi fra le rogazioni che fecero cor rendo alla fine il quarto secolo di Roma , furo no queste cose combinate ; cioè che invece de' Duumviri addetti alle cose sacre si facessero de De. cemviri , e che di questi cinqué patrizj fossero ed altrettanti plebei : e che nella nuova elezione de Consoli l'uno fosse del loro ordine , e l'altro pae trizio . Invano Appio Claudio montà in tribuna per fare non arringa ma una predica Teologica contro le 94 et le nuove idee filosofiche sorte negli animi della plebe Romana : invano ricorse alle idee teocrati che già fatte obsolete ; invano minacciò d anate ma quel popolo , che potea far a lui più reali mi nacce : Roma ( diceva egli ) fu fondata cogli au spicj: futiociò che vi è di pubblico , di privato , di sacro , di profano , in guerra , in pace , in cae sa e fuori , tutto doversi cogli auspicj trattare : che i soli patrirj in esclusione de' plebei per inveterato costuma godevano del dritto degli auspicj: che niun magistrato plebeo fu mai creato cogli auspicjse che in fine canto era il creare i Consoli dalla ple. be , quanto il rovesciare interamente la religione , ed incorrere nell'ultima indignazione degli dei. Non ostantino però tante e si gravi rimostranze Lucio Sestio nel 387. ottenne finalmente il conso lato . Se questo colpo fosse doloroso a sostenere per i patrizi, è facile l'immaginare ; ma al male già accaduto non potendo portare alcun riparo ef ficace , si rivolsero ad escogitare qualche rinfranco , per non perdere intieramente quel privativo potere che dipendeva dal consolato . Pensarono dunque sta ( 12 ) Lir. lib. YI. cap. 36 mabilire una nuova Magistratura, che potesse con servare nell'ordine patrizio l'amministrazione del da Giustizia, il potere giudiziario , e tuttociò che riguarda l'esecuzione delle leggi civili. Quindi col pretesto che i Consoli erano quasi sempre fuori di città alla testa degli eserciti , onde non poteva no adempire agli ufficj della giudicatura , proposent to di stabilire un nuovo magistrato che adempisse & questa parte dell'Amministrazione , e fu ordinato che si traesse dai patrizj e si chiamasse Pretore . La pretura dunque fu stabilita per conservare nell'ordine de' padri eutto il sistema giudiziario o forense del quale avevano facto fin allora uno scempio cosi crudele . Le leggi e la Giurispruden za seguitarono ad essere malversate , ma per poia chi anni durd privativamente nelle mani de' patri zj la Pretura . Eccoci intanto al tempo nel quale si pud fissare veramente l' epoca di quella Giuris prudenza che passo di mano in mano fino agli ul. timi tempi ne' quali ebbero qualche celebrità il no . me Romano e l'Impero . Questa parte del dritto , come testè ci ha insegnato Pomponio , nacque da gli editti , che emanavano į Pretori nell'entrare in esercizio della loro Magistratura , ed essa façeva il maggior latifondio della Scienza forense . L'im para the S6 ) portanza dunque della medesima ci merte nel do vere di portarvi sopra uno sguardo particolare , seguendola brevemente nel corso della Storia' , ve derne in qualche modo l' uso , il carattere ; e gli effetti , Dopo lo stabilimento della pretura e della comu nicazione a tat officio delle plebe , e più dopo ese guito il censo di Fabio Massimo il governo di Roo ma perde la forma Aristocratica , benchè non ne perdesse lo spirito ; ed io non ardirei dire col cos mune de' dotti , che si trasformasse mai in quella forma costituzionale che si chiama Democrazia: La libertà popolare fu molta , e qualche volta ecces siva a segno che degenerd' in licenza , poichè essa non era limitata dalla legge ; ed il dritto de' suf fraggj ed il potere legislativo non ebbero mai quel la regolarità ed uniformità , che può rendere nel tempo stesso un popolo regnante e tranquillo . E non fu mai tale il popolo Romano, poichè la for ma del suo governo non fu costituita su d'un pia no antecedentemente ragionato nel quale dalla considerazione de' varj rapporti sociali si fosse ri montato alla necessaria divisione del pubblico po tere , e questo ripartito in modo che le varie par ti non si potessero nuocere fra loro , e non si po tes. → toa 97 ) tessero riunire ; ma per un nesso naturale tutte coordinatamente contribuissero al grande scopo della perpetua conservazione sociale . Non avremo perciò quind' innanzi frequente oco casione di parlare dei disordini dell' Aristocrazia patrizia o sacerdotale , poichè gittati i semi del disordine e della corruzione , essi si moltiplicarono dovunque trovarono suolo adattato alla facile germi nazione. Llibertà produsse i suoi necessarj vantag ki , non però tutti quelli che sarebbeo nati da una vera e legittima costituzione. Ma passiamo final mente a vedere quale fosse stato il fato della Giu risprudenza in questo nuovo ordine di cose. Fra i Scrittori che di proposito e più accurata , mente trattarono degli editti pretorj sono da distin guere il celebre Giureconsulto Eineccio ed il Sig. Bouchaud dell'Accademia delle Iscrizioni, i quali per trattare il più compitamente che fosse possibile questo importantissimo articolo relativo alla Storia politica ed alla Giurisprudenza Romana, non tralasciarono ricerca alcuna conducente al loa G TO ( 1 ) Heinec. Hist. Edict. ( 12 ) Memor. de l'Accadem . des Inscr. com. 72. ma 98 ) ro scopo . Trovarono che in Roma e per l'Impe , so ancora non solo quelli che propriamente Man gistrati erano detti , ma diverse altre cariche ed officj ancora che non avevano tal carattere , ebbe To pure il dritto o il costume di fare degli edinti Quante che fossero adunque le divisioni e suddi visioni del potere esecutivo o giudiziario , ed in quanti diversi rapporti fossero esse costituite, pren dendo un tal dritto , ebbero l'uso e la facoltà di straordinariamente comandare. Cosi , incominciando dai Pontefici e dai Tribuni della plebe , nè gli uni nè gli altri Magistrati , e passando ai Consoli e Pretori fino ai menomi Magistrati Civici tutti vol. lero avere il dritto di far editti , e godere di quel. Ja parte di potere che in tale facoltà o prerogativa era compresa . Fra tanti Magistrati perd che eb bero o si arrogarono cotale autorità , gli editti di maggiore celebrità , e che contribuirono a creare una nuova Giurisprudenza furono quelli de'Pretori. Abbiamo già detto di sopra che dai patrizj fu inventata e fatia stabilire questa nuova Magistraa tura a consolazione ed indennizzamento della per dita che avevano fatta d'un Consolato passato al la plebe ; e quindi ottennero , che il Pretore dal loro ordine dovesse essere prescelto Non durd mol , ( 99 molto intanto questo, privilegio poichè la plebe veggendo di quale importanza fosse la Pretura , non molti anni dopo cioè nel 417. volle anche para tecipare a tal carica , mentre ancora era unica e non divisa nei due Pretori Urbano e Peregrino ; ciocchè' avvenne circa un secolo dopo , cioè nel anno 510. Coll’andar del tempo si multiplicarono maggiormente , ed oltre dei due mentovati e dei Pretori Provinciali altri ve ne furono nella Città , de' quali alcuni erano addetti a rami di cause para ticolari, Ricordandoci ora di ciocchè abbiamo detto del la origine della Pretura , ciocchè ci viene attesta 10 da Livio e da altri , cioè che essa fu surro gata al potere giudiziario, che i Consoli esercita vano , si dovrebbe naturalmente pensare , che se i Pretori cagionarono alterazione nell'antica Giu risprudenza , e ne fecero nascere una puova , çið essere accaduto per effetto delle loro decisioni o decreti o sentenze , le quali avessero per la loro giustizia meritata la conferma della pubblica auto rità , e passate quindi in dritto consuetudinario Ma non fu certamente per tal motivo , nè si po trebbe facilmente immaginare , che essi a priori fossero autori di un nuovo dritto e d'una nuova Giu. 3 . G 2 ( 100 ) Giurisprudenza . Eppure non fu altrimente : essen do essi semplici giudici o ministri di giustizia , colla facoltà di fare degli editti seppero per tal modo usurpare l'autorità Legislativa , che il dritto fu cangiato , e gli editti più che le leggi furono osservati , e maggior uso ed autorità ebbero nel Foro . Ma se i Pretori non erano altro che Giudici cioè Magistrati di Giustizia , il loro officio era solo di applicare .la legge al caso particolare , o sia ve der i rapporti fra la legge e ' l fatto del quale si di. sputava. Un Giudice non può creare un dritto col le sue sentenze , poiché esse altro non sono che la dichiarazione del dritto medesimo ; cioè che la legge nel caso proposto si verifica per la tale azio ne o d'eccezione dedotta in giudizio. E se decidendo , cioè esercitando l'attualità della Magistra tnra non può crear un dritto , molto meno dee cid poter fare per la sola qualità di Magistrato o in forza della Magistratura. Gli editti pretorii dunque per i quali si alteravano , si cangiavano le leggi , e se ne stabilivano delle altre temporarie , ci pre sentano degli atti di autorità arbitraria , tempora ria , ed incerta che non possono formar mai una parte del dritto , il quale può solo emanare dalla - potestà legislativa , e dev'essere certo generale o perpetuo , fino a che non sia abrogato dalla stessa autorità. Quando dunque in una carica siriuniscos no contro tutti i principi della ragion pubblica quelle facoltà , che devono essere divise da limiti insurmontabili , si può dire che tal carica contenga almeno in potenza (come dicevano i Scolastici) i principj del disporisano , e dispotico si può chia mar il Magistrato che l'esercita . Nel crearsi la Pretura io voglio supporre che non s'intese produrre un mostro di tal fatta , ma come codesta carica fu surrogata al potere giudi zionario che avevano prima i Consoli , il quale era riunito al potere esecutivo , cosi' e per questo per quel grado d'autorità che prendevano dall ' or dine da cui erano tratti , non fu difficile il farvi passare di tali abusi . A considerar dunque giusta mente la cosa non nacque nella Pretura tale abuso dal semplice potere giudiziario , ma da quello di far gli editti . In fatti se si va all'origine di que sto dritto , ne troveremo la ragione: Edicimus (dicevano gli antichi) quod jubemtis fieri : espres sione tanto generale , che potrebbe comprendere l'esecuzione di tutte le potestà non esclusa la le gislativa ; e perciò fiequentemente le parole di G leggi e di editti furono di uso promiscuo : Ma Papiniano è quello che più nettamente ci ha la sciata la vera idea del dritto pretorio dicendo che fu introdotto a pubblica utilità , per adjuvare supplire, e corriggere il drilio civile . Jus prætorium adjuvandi, vel supplendi , vel corrigendi juris gratia propter publicam utilitatem introducium : Ecco dunque la vera origine del drixco Pretorio, e propriamente di quello che proveniva dal fare gli editti . Ajutare intanto indica debolezza , supplire , mancanza, cor reggere , errori . Si dice ch'è nell' ordine naturale delle idee di amministrazione , che quando al caso non si trovi alcun stabilimento di dritto , alcuna legge scritta , la volontà del Magistrato o di colo ro che governano supplisca a questo difetto che il loro piacere tenga luogo di legge questa volontà sia giusta o ingiusta , utile o noci va alla Repubblica ( 13) . Ma che altro è mai il Dispotismo , l'odio de' popoli czualmente e de' buoni regnanti : Se le leggi mancano, bisogna far le , e non solo il Ministro di giustizia , ma niun Magistrato è mai autorizzato non dico a fare alcu > o che na (13) Bouchaud Memoir. cit. tom. 72. ( 103 11 0 7 I na legge , ma nè a soccorrerle cadenti , nè a sup plirle difettose , nè a correggerle erronee , nè ad interpretarle oscure · Lascio le tre prime condizio ni o circostanze delle leggi , sopra le quali non pud cadere alcun dubbio , che il restituirle in qualun que modo non possa spettare ad altri che al So vrano ; ma in quanto all' interpretarle , . sopra di cui il probabilismo forense pare che abbia stabia lita la sua autorità , rifletterò che l'interpetra re o interpatrare da principio fu in Roma del so to ordine del patrizi , quando tutti i poteri e spe cialmente il legislativo erano ristretti nell' ordine "Aristocratico . Essi dunque che facevano le lega gi erano i soli che potessero interpretarle , uno e l'altro potere era illegitimamente stabilico ed abusivamente amministrato . Quando una leg ge è oscura , non vuol dir altro , che il non sa persi precisamente , ciocchè essa comandi o pre scriva ; lo spiegarlo deve venir dunque dalla stes sa autorità , che l'ha emanata , sola interprete le girima di se stessa . Ne i giudici dunque nè i giurisperiti possono arrogarsi un autorità illegittima della quale è tan 10 facile l'abusare ; e percid gli ottimi legislatori e Giustiniano stesso ogn'interpretazione proibiro G 4 ma l i 10 . ( 104 ) no . Le leggi bisognose di sussidj ed interpretazio. ni indicano abbastanza i loro difetti , de' quali di sopra abbiamo accennato il rimedio , ed il maggior male da esse prodotto fu d' aver fatta nascere la Giurisprudenza , ed in seguito la corruzione della giustizia : nel qual fatto osserva l ' Eineccio , che i Romani furono cogli Ebrei sotto lo stesso paral lelo (14 ) Or l'autorità data ai Pretori cogli editti prova visibilmente due punti: il primo che le leggi era no così incomplete , come sono quelle dei popoli bara bari ; e che i Romani lo furono a tal segno , che non seppero conoscere, quanto il confondere le po testà , ed il lasciar il poter arbitrario ai Magistrati fosse contrario alla Giustizia ed ai principi di ogni buon governo . Scuserò i pretori se ne abusarono, ma come scusare quel modello delle Repubbliche, quella Repubblica stabilità su la virtù , e che con nobbe più delle altre la libercà e l'uguaglianza ? Non togliamo a Roma gli onori che merita. Essa fu la prima inventrice degli editti, essa fu la sola Re. Heinec. De prohib. a Justin. interpret. facult. Cros bertan Repubblica per quanto si sappia , che li avesse in costume. A vedere quale era il dritto Pretorie lungi dal dover credere i Pretori Magistrati giudiziarj , do vremmo anzi prenderli per riformatori o corret . tori delle leggi . Tali furono in fatti , ma non per uno stabilimento autorizzato dalla potestà le gislativa : lo furono solo per abuso , vergogno so ai costituenti di sì strana Magistratura , e fer nicioso sommamente al popolo soggetto. Se Roma avesse conosciuti i difetti delle sue leggi , e l'in congruenza nella quale dovevano essere per la dif ferenza de' tempi , e per i politici cangiamenti ; ed avesse voluto imitar veramente le leggi ed i sta bilimenti di Atene , avrebbe trovato più oppor tuno mezzo ' a correggere e modificare la sua bar bara legislazione . Ciascuno sa che in Atene vera un Magistrato detto de’ tesmoreti , il quale propo neva annualmente i cangiamenti o correzioni da farsi nelle leggi , e queste erano poi approvate o riggettate dal potere legislativo . Non deve farci intanto molta meraviglia che la pretura s' introducesse con tali abusi e tant' auto rità straordinaria , se rifletteremo che quella. Magi stratura fu da principio stabilita privativamente per l’ordine patrizio, il quale la conservò in suo potere per trent'anni . Per sapere poi come quell'abusivo potere si esercitasse , devo ricordare , che vi erano quattro specie di editti , cioè Repentina : perpetuæ jurisdi fionis caussa : translaticia : nova . E senz' andar esponendo il valore di ciascuno , ciocche fino alla sazietà da molti autori è stato eseguito , mi ri stringerò ad alquante osservazioni più importanti. E primamente dirò , che quelli editti i quali do vevano contenere il sistema giudiziario attuale del la pretura , furono quelli appunto , da'quali deri varono maggiori abusi , cioè quelli perpetuæ jufts dictionis causa , pei quali il Pretore esponeva nell' albo le formole delle azioni , delle cauzioni, delle eccezioni, secondo le quali avrebbe fatto giustizia. Or avendo veduto che la Giurisprudenza anzi il dritto civile de' Romani in tali formole era com preso, chi era autore delle formole, lo era in con seguenza del dritto medesimo. Chiunque nell'agire in giudizio mancava a quelle formole per qualun que causa , cadeva dall ' azione , o rimaneva con inutile eccezione cioè perdeva la lite anche che intrinsecamente avesse avuta dal canto suo la giustizia e la disposizione delle leggi. Ecco dunque il Magistrato div enuto legislatore , ed arbitrario it sistema di giudicare. Dobbiamo però credere , che tuttociò fosse fatto senza principj , e che non aven do idee certe e generali de' principj del driito , fa cessero gli editti ciascuno secondo le proprie co gnizioni ed idee: poichè come le ultime deriva zioni e ramificazioni delle leggi si possono ritrar tutte della retta ragione e dalle idee di giustizia universale, cosi se i loro editti fossero derivati da tali fonti , non sarebbero stati prescrizioni annua li , ma avrebbero avuta una continuazione o vera perpetuità. Nè ci faccia illusione il nome di perpetuæ jurisdictionis , poichè quella perpetuità era ristretta ad un sol anno . Il Pretore o Pretori che succede vano alla carica , avevano il dritto assoluto di proporre nel nuovo albo un nuovo sistema giudi ziario , e cangiare a lor grado la formola ed i principj ; e sebbene questo non si fosse fatto sem. pre nè in tutto, poichè spesso i succes'sori conser vavano integralmente o parzialmente gli edirii an tecedenti , ciocchè diede il nome di translatixj agli editti di tal indole , era sempre però in liber tà de' nuovi Magistrati di farne di nuovo co nio , che perciò portarono il titolo di nova. Se maggiori irregolarità , incertezze ; ed arbitrj . si possono portare nell' ordine giudiziario e ne ! dritto , lo lascio giudicare agli amici della Giu stizia e della ragione. La Giustizia dipendeva solo dal capriccio pretorio , e gli attori in giudizio do vevano essere ben intrigati in variar le loro fora mole , e su di esse disputare ed argumentare , per trarre le disposizioni o le opinioni legali al loro partito. Questo portò col tempo , che fossero mol te le azioni per lo stesso giudizio , ciocchè faceva un nuovo intrigo , ed accresceva l'arbitrio de’ magistrati . Più anche dovette crescere quando i Pre tori furono varj , e vi era in Roma quasi una po polazione di Magistrati , poichè ciascuno a suo modo proponendo gli editri , quel ch'era giusto pres. so di uno , si trovava ingiusto presso un altro . La morale pubblica e quella delle leggi particolara mente era dunque così incerta, che non aveva per regola che le opinioni o il capriccio, e si dilatava o ristringeva , allungava o accorciava secondo le sublimi Teorie del probabile , le quali sorgono sem . pre dall' arbitrio e dalla corruzione . Se il Pretore fosse stato uno solo , se l' Ammi nistrazione giudiziaria fosse stata ristretta ad una sola specie di Magistratura , non avrebbe potuto 1 dirs ( 109 ) diffondersi tanto l'incertezza della Giustizia e la forza dell' arbitrio : ma gli ammiratori o visionarj della Sapienza Romana , trovano ragioni sufficien ti per ogni disordine . Il progressivo accrescimento della Città o della Repubblica porto secondo essi multiplicità e varietà di affari , per cui si doveano coerentemente multiplicare e variare le Magistra ture e le Giurisdizioni . Esempio pur croppo fune stamente imitato nei vari stati di Europa '! Nel progresso delle Società si aumenta è vero la po polazione o il numero degl' individui; ma non per questo crescono i rapporti naturali e necessarj che essi hanno collo stato , col governo, e fra se stessi . Non crescendo i rapporui non devono multi plicarsi e variarsi le leggi , le quali ne sono I espressione ; ne devono quindi" crescere e di versificarsi in varj generi e classi i Magistrati che ne sono i Ministri o dispensatori . Possono crescere in numero bensi ed in divisioni , ma de vono essere costantemente della stessa specie e con i stessi nomi. Quindi il dividere i giudizj crimi nali e civili in tante varietà , giurisdizioni , e le gislazioni differenti è il produrre volontariamente una confusione , e multiplicare gli abusi dell'arbi crario potere : ciocchè però non accade quando si vedono nettamente e con precisione i rapporti deb cittadino . In questo caso, la legislazione sarà uni voca , generale, uniforme ; i limiti del potere giu diziario resteranno distintamente marcati ; e le giurisdizioni , e le Maggistrature non saranno sta bilite e divise sopra rapporti immaginarj e fattizj . Più , non nascerà pelle Magistrature quello spirito di corpo per cui sono in continua contesa o guer. ra fra loro, e , per conseguenza col governo o collo stato. Lo spirito di corpo è in ragion inver sa della grandezza del corpo medesimo , onde più saranno piccoli , più avranno i difetti della piccio lezza , più saranno capricciosi , irragionevoli , ed abuseranno della forza e dei momenti favorevoli : . Un gran corpo di Magistratura ben costituito e con venevolmente diviso , senza gelosia e senza inte- , ressi contrarj avrà la dignità che deve aver la Magistratura , ma non ne avrà le follie . Per quanto però fosse ampio ed esteso il dritto o potere che i Pretori esercitavano , non sembro loro ad ogni caso sufficiente ; e poichè delle cari che non limitate o mal circoscritte dalla legge si . passa facilmente da abusi in abuşi , essi non fu sono contenti dover osservare i loro stessi princi pį idee e sistemi per quella perpetuità annua , ma , pensarono d'abbreviarne il termine a loro piacere Fenomeni di tal natura sono forse del tutto nuo vi nella storia ! Una magistratura costituzional mente arbitraria , si arroga anche il dritto di can . giar quelle norme legali divenute leggi per mezzo della pubblicazione , e farne delle nuove senza pre, vio esame , come, un corpo leggislativo farebbe , ma di propria volontà e piacere come un Despota potrebbe fare . Questo pur si faceva nel foro Ro mano , e spesso durante l'anno della Pretura si vedeva quasi magicamente scomparir l'albo espo sto , ed un altro a quello sostituito . Pensi chi vuole , che fosse quella una sublimità di condos. ļa , o la surrogazione d' idee più giuste ed al paba blico vantaggiose; io penserò cogli antichi , che i pretori, nol fecero per altro che per favore , per interesse e per altre tali cagioni , stimate ferite mortali per la Giustizia . Cosi penso anche l'Ei neccio, il quale benchè impa stato di vecchia giu risprudenza , pure abominò il dritto pretorio ed i più illegali abusi de' Pretori . Si erano essi accom modati talmente a cotal giuoco, che portandolo, ormai all'eccesso , e facendo vero scempio della giustizia , si svegliò finalmente un'anima virtuo sa compassioneyole per la pubblica disgrazia, la qua la en le tentò d'apportarvi riparo. Come infatti si pud vedere lo strazio che della giustizia fanno gli stes si di lei sacerdoti , e non sentirsi l' animo com mosso da pietà egualmente e da 'nobile disdegno. Paulo Emilio nudrito nelle semplici idee di quella véra sapienza che accoppia i doveri alla beneficenza, e l'umanità alla virtù , vedeva con orrore l ' amministrazione della giustizia Romana tanto nel la Città quanto nelle più infelici provincie . Vede va condannati gl'innocenti , i deboli oppressi , ed i Magistrati impuniti ; e questo' nell'epoca la più memorevole della Romana virtù . Sdegnò egli (co me rapporta Plutarco ) i studii che la nobile gio venid coltivava ai suoi tempi per giungere alle cariche : quindi non comparve mai nel foro , o a piatire innanzi ai Magistrati , o ad umiliarsi al po polo per ambizione ; ma corse libero la strada del la gloria e superò tutti i suoi contemporanei in virtù ed in valore . Nè vi vuol meno d’un tal carattere per attaccare i pregiudizj potenti , gli abu. 81 interessati , ed i sistemi di corruzione . Essendo infani pervenuto al Consolato non fu tardo a proporre le sue idee ajutatrici, e quali che fossero le generali opposizioni trionfo su la pub- . blica corruttela , stabilendo, che i Pretori non potesssero cambiare più i loro Editri = V. K. Apria lis . Fasccs penes Æmilium S. C. factum est , uti prætores ex suis perpetuis edictis jus dice teni. Paulo Emilio fu in dovere di partir subi . to per la Macedonia , dove ebbe più durevoli trion fi su i lontani nimici , che quelli ottenuti su i ne mici che Roma aveva dentro delle sue mura. Que. sii fecero infatii rimaner invalida la legge ; e non è raro che i nimici del bene pubblico riescano con mezzi di vittoria più efficaci. Da quest'anno cha fu il 585 di Roma i Pretori seguirono ad imbal danzire alle spese della Giustizia , e di quell' equirà medesima , che tanto vantavano nei loro editri a nella loro giudicatura . La Repubblica sempre in disordini correva già al suo termine per i vizi della casuale costituzio ne ; ma tra i disordini , la Giurisprudenza pretoria era giunta ad un punto insopportabile . A nulla valevano le accuse contro de ' Magistrati , poiché i mezzi di salvarsi erano molto conosciuti . Quello però a cui un Console non potè riuscire con ef fetto susseguente , riuscì un virtuoso Tribuno della plebe, con tuttocchè fosse stato contrariato dai suoi compagni . Questi fu C. Cornelio Silla il quale o tocco dai stessi sentimenti di Paulo Emilio, o scan H 1drlezzato specialmente dalle depredazioni di Verre e de' simili a lui , fra le altre utili leggi , propose la rinnovazione del Senatoconsulto per moderare la smodata cupidigia de' Pretori. Livio e Dion Cassio ed altri autori ci attestano in que' tempi non solo la sfrenatezza pretoria , « ma il grand' interesse de nobili specialmente a conservarsene il possesso; per cui la proposta del Tribuno eccitd tumulto tale ne' Comizj , che i fasci Consolari andiedero in pezzi , ed i sassi facendosi sentire più delle vo ci , convenne dimettere, o posporre la lodevole im, presa ad altro tempo più tranquillo . Infatti secon do Asconio Pediano la legge passò = Multis 12 mon invitis quæ res tum gratiam ambitiosis Prætoribus, qui varie jus dicere assueverunt , sustit lit. Gli oppositori della legge non avendo potuto impedirla , rivolsero lo sdegno loro contro l'autore accusandolo di Fellonia , e Cornelio fu debitore della sua salvezza alla facondia di Cice. rone : Troppo tardi perd pel popolo Romano vena ne quel beneficio ; la Repubblica era già spirante i disordini irreparabili , ed apparecchiati i ferri per le Ascon . in Orat. pro Cond . le nuove catene . Roma non godè mai della liber ' tà , non seppe conoscerla , nè conobbe mai i moa menti favorevoli , ne' quali avrebbe potuta ren : derla eterna , Se colla Repubblica però fini la grande autorità de' Pretori , e se nuova Legislazione , nuova Giu risprudenza e nuovo metodo giu diziario furono introdotti dal Dispotismo; la legislazione, la Give risprudenza , l' ordine giadiziario restarono perd perpetuamente infetti dagli usi o d'abusi, che l'ar te Pretoria figlia della vecchia Giurisprudenza in trodotti y aveva . Nuove parole ' , nuove azioni , nuovi atti legittimi ingombrava no le leggi e la giurisprudenza ; ma quello che poi fu il colmo dell' abuso , ridicolo per se stesso, e tristo assai per gli effetti, fu l'aver inventato un nuovo metoda di considerar in giudizio gli oggetti , .i rapporti e le azioni ; in sostanza le finzioni legali : Anche questo bel ritrovato lo dobbiamo alla Romana intelligenza . Senz'averè molta perizia nella Giuris. prudenza , basta la più semplice ragione per ve dere , che tali invenzioni furono i sussidi dell'igno tanza ed i sostegni della ingiustizia. Si possono perdonare ai Romani ; ma come perdonare a que' moderni Giureconsuli , i quali ancora dalla Ro se 1 mulea feccia pretendono far sacri libamenti alla Giustizia? Tale fu l’Alteserra, il quale offerendo al Sig. de Lamoignon l'opera de Fictionibus Juris , così s'espresse = quid enim aliud istæ fictiones , quam juris remedia et jurisprudenium supulua IC , qui bus difficiliores casus expediuntur , et aurræ claves quibus Jurisprudentiæ secreta aperiuntur ? = e peg gio altrove . Tale fu l'Eineccio ancora il quale nel la Dissertazione, De Jurisprudentia Heuremarica versd gran copia d'erudizione per giustificare le finzioni legali , e farne vedere la bellezza e l'im portanza. Chi sarà vago di conoscere quelle auree chiavi della Giurisprudenza , potrà consultare i cita ti autori e la maggior parte de' Giureconsulti erų - diti . lo aggiungero soltanto , che esse ebbero ori gine da ignoranza o da malizia. Per la prima av. venne , che nei progressi della civilizzazione can giandosi gli antichị barbarựci modi de' tesçamen tị , de contratti , de’ litigj , credettero quasi che fosse cangiata la realità , e chiamarono finzioni i modi che a queli furono surrogati . Per la secon da, le finzioni s'introdussero in fraude delle leggi, per eludere le loro prescrizioni, e per estenderle a que'casi, de'quali non avevano espressamente par Jato. Origini entrambe poco degne della Giustizia dottissimo Vico portando le sue perspicaci osservazioni su quelle strane usanze e richiamando, le ai loro principi, chiamò il vecchio dritto . Roma- , no un Poema serio , poichè le immagini si erano Sosti uite alla realità , e non si erano trovate poi espressioni più semplici e più adattate . „ In con „, fum tà di tali nature ( dice il lodato autore ) l'antica Giurisprudenza tutia fu Poetica , la qua . le fingeva i farti non facii , i non fatti, fatti, na y ti gli non nati ancora , mori i viventi , i morti vivere nelle loro giacenti eredilà : introdusse tan , te maschere vane senza subjenti , che si dissero , » jura imaginaria ; ragioni favoleggiate da fanta e riponeva tutta la sua riputazione in rim „ trovare sì fatte favole , che alle leggi serbassero y la gravità , ed ai fatti somministrassero la ragio talche tutte le finzioni dell’antica Giurism prudenza furono verità mascherate, e le formo , s le colle quali parlavano le leggi , per le loro circoscrit te misure di tante e tali parole , nè più, nè meno, nè altre si dissero carmina. Ed altrove ragionando della Giurisprudenza Eroica ciod . H 3 bara sia : 99 he : (Vico Princ. della Scien. Nuo.) barbara de' Romani , la paragona a quella della se . conda barbarie , dicendo , Cost a tempi barbari ,, ritornati la riputazion de' dottori era di trovar , cautele intorno a contratti , o ultime volontà red in saper formare domande di ragioni ed ar ticoli, che era appunto il cavere e de jure respon . dere de’ romani giureconsulti. Da tuttociò si rileva, che sebbene la RomanaRepub . blica progredisse in quanto allo stato politico verso la libertà , ed in quanto ai costumi verso la civiliz zazione, in quanto alle leggi però ad alla Giurisprus , denza i Romani erano rimasti in quello stato poetico, o barbaro , che caracterizza i primi passi sociali o lo stato (dirò cost) di necessaria Aristocrazia. Se di ciò si voglia indagar la cagione , si troverà facilmente ne' tardi progressi che fecero i Romani nel perfezionamento dello spirito o della Ragione ; poichè da questo solo possono essere migliorate le : costituzioni , le leggi politiche , e le civili . Mi dispenso volentieri, è credo ragionevolmente, di andar ragionando di tutte le novità, che i Pre cori introdussero nel dritto , se da quanto si è detto finora , la Giurisprudenza pretoria resta ab bastanza caratterizzata ; e chi volesse meglio istruir sene , può ricorrere agli autori che ne favellano. Se qualcuno sarà preventivamente infatuato del'no me di Roma , vi troverà cose maravigliose e pelle grine , compiangerà l'attuale barbarie , e gemerà su le ruine del Campidoglio : ma se sarà una persona ragionevole e senza prevenzione , riderà di molte fole , compiangerà coloro che ne sono restati illu si , e farà voti sinceri, accið tali memorie indegno di uomini ragionevoli passino ' nell ' obblio . Volendo dunque giudicare con principi di ra gione non adombrata dall'ammirazione e dai pre giudizi della infanzia , dovremo dire , che i Preto - ri poterono essere buoni o cattivi , come in tuli gl ' impieghi sociali accader suole ; e che perciò molti di essi si servirono in bene delle loro pre rogative ', riducendo all' equità , o sia alla giusti zia accompagnata all'umanità , le leggi troppo se vere. o barbare che allora esistevano . Ma dall' al tra banda dovremo pur confessare , che la maggior parte de pretori si abbandonarono ciecamente ai nobili istinti di tesaurizzare e signoreggiare , per cui , più che ministri o sacerdoti furono conculca tori della Giustizia . Riconosceremo nel tempo stes 50 , che questo nacque , dal non essere stata limi ta e legittimamente circonscritta la di loro autori tà o potere ; e per questo d'ogni arbitrio abusan н 4 do 1 do resero l'ordine de' giudizj arbitrario , la Giurise prudenza equivoca ed incerta' , e fecero nascere una nuova specie di dritto , che tali qualità tutte in se comprendeva ; e sebbene non autenticato da alcun atto del potere legislativo , divenne . pure . un dritto consuetudinario più esteso e più usato delle leggi , e durò con perpetua continuità insiem . me colla Repubblica e coll' Impero Romano . Non ci lasciamo dunque illudere dalla tanto vantata eruiià pretoria : l'equià ve a fu solo de' buoni , e quella specie di equità può solo valutarsi do ve la legislazione non è nè rispettabile nè giusta. Considerando le antiche azioni della leg gé , gli atti legittimi , e le finzioni legali , ci com parirà molto giusto che Giustiniano le chiami favo le cioè azioni Drammariche, poichè in sostanza erano delle vere scene che si rappresentavano innan zi ai Magistrati . Cosi tutte le azioni che si face Justin . In proem instit. = ur liccat vom bis prima legum cunabula non ab antiquis fabulis discere , sed ab imperiali splendore appetere, A cotal intrinseco difetto della Romana Repub . blica non parmi che si pensasse gianımai a pora, tar un vero rimedio . , per cui la vantata libertà che senza leggi non nasce ,nè si può sostenere, non sedè mai lieta su le sponde del Tevere , e fuggi . finalmente di mezzo a un popolo , che non la co nobbe , e non fu mai degno d'adorarla . Il latte della lupa si perpetuò nelle vene de' Romani , ne quina 7 vano per æs & libram , le rivindicazioni, le cré zioni , le manomissioni , le nunciazioni di nuove opere , le usutpazioni , le licitazioni , le antestazio lé elezioni & c. non solo erano faite conceptis verbis , dalle quali non si poteva trascendere , me con azioni e rappresentanze particolari , che rende. vanò comiche le processure giudiziarie . Questo però non significa altro , se non che, nei tempi d'ignorana ga si sostituisce il linguaggio d'azione all' espres sione naturale delle idee e de sentimenti ; e percið i simboli , i geroglifici, le gesticolazioni furono nei tempi barbari il supplemento della lingua parlata é divennero poi il linguaggio rituale solenne e sacro ; in che principalmente consisteya la Giurisprudonza Romana quindi conobbero mai i sentimenti di sociabilità , i piaceri della società , le regole che all'adempimen to di essi prescrive la Natura . Perciò e per effet to della loro barbarie ed ignoranza , si disputò , si discusse , si combatte , si decise sempre sopra idee particolari, nè mai seppero elevarsi a generalizza re i principi , che la ragione ci mostra per la buo na' costituzione de corpi sociali, Dai campi ai Co. mizj era quasi continuo l alternativo passaggio maquanto furono felici colla forza o colla frode altrettanto infelici furono nell'uso della ragione . Essi non ebbero mai sentimenti univoci , e se la plebe fu qualche volta superiore di fatto, l’aristocrazia conservò sempre la sua condotta , ne seppero far cessare il nome di plebe , che vergo gnosamen te li caratterizzava , e distingueva pre giudizievolmente il cittadino dal cittadino . Dell uguaglianza non ebbero mai la vera idea , e quindi non poterono averla della libertà , che sola per quella sussiste , ed il vantato censo , non diro quello di Seryio Tullio , ma quello stesso della Res pubblica non fu una invenzione sublime. Se cotali riflessioni potranno sembrare ad alcuno superflue in rapporto al soggetto della Giurispru denza Romana , rispondero , che tali non sono poic ( 123. Det poichè quando si parla delle leggi , convien neces sariamente avere le giuste idee del popolo che ne fu l'autore , dei suoi sentimenti , e della forma e condizione del potere legislativo. Or potrà sembrare strano il dire , che Roma era formata quasi di due stati l'uno nell'altro , e che il potere legislativo fosse diviso in due corpi o anche in tre , e che poi quelle leggi fossero di un uso generale . E pure tal fu di Roma nel tempo in cui fu più celebre e risplendente . $' egli è vero, che nella undecima delle dodici tavole fosse contenuto il Dritto pubblico de' Ro mani , dobbiamo pur riconoscere che fu la più negletta e la meno rammentata , poichè i fram menti o le quisquilie che di essa ci rimangono sono le più meschine . E quantunque io sia nell' idea , che quella tavola non contenesse che i prin cipali dritti dell' Aristocrazia , qual' era appunto la legge de'cornubj, tanto detestata dalla plebe , e ro versciata vittoriosamente da Canulejo ; pure in un frammento rimastoci , troviamo quale avrebbe dovuto esser il vero stabilimento del dritto Legisla tivo , cioè QUOD POSTREMUM POPULUS JUSSIT ID JUS RATUM E $ TO. Ma se vogliamo seguire, la ragioneyole interpretazione del Vico e del Duni, la parola popolo non fu ivi presa nel senso proprio ; e nel significato generale, per esprimere la collezio ne di tutti gl'individui componenti lo stato , ma di quelli soli che godevano il dritto , e meritava no il vero nome di Cittadini , quali erano i soli Patrizj. Quando poi la plebe gradatamente venne a partecipare alle qualità civiche , la parola po . " polo divenne generale , e non essendovi più di visione privilegiata d'ordini nello stato , ma solo di classi , ciocchè la cennata legge prescriveva , passò ad essere nel suo vero uso e valore , cioè , a far , sì che legge si chiamasse , ctocchè l'intiero popolo avea prescritto e comandato . Se tale è però il principio costitutivo delle Rear pubbliche, e secondo il Gravina il più convenien te ancora alla natura umana , vi devono esse re delle regole , accið lespressione della volon tà generale sia certa legittima libera ed uguale , onde ciascun cittadino senta essere una parte in tegrante del Sovrano , dello Stato , e della Patria : Tali sono le leggi costitu zionali , che riguardano il dritto del suffragio , o la maniera di communi care la propria volontà al corpo sociale , e fare che la volontà pubblica sia realmente il risultato del. le volontà particolari. Il Dritto di suffragio costi tui yang tuisce dunque principalmente la qualità di cittadi. no , e il modo di darlo , forina quasi una misura di graduazione del Cittadino mede simo . cioè che tanto più si è Gittadino , quanto più il dritto del suffragio è libero ed uguale . Troppo lungi mi porterebbe l'andare esaminan do particolarinence colla Storia , come questo drit to si stabilisse in Roma: , cioè nella formazione casuale di quella Repubblica , alla quale contribul molto più la natura o il corso naturale delle sa cietà , che i priacipj d'intelligenza e di ragione . Dirò solo , che quel popolo sempre rozzo ed ignorante fu tanto lontano dal conoscere l'importanza di queste idee , che şi conteniò di essere con vocato al suon d'un corno di bue alle grandi Assemblee de' Çomizj; e mandra od ovile fu chiamato quel luogo, dove si radunava , per compir l'atto il più degno , il più glorioso p er un popolo , cioè il dar leggi a se stesso . Ma cotai nomi ed usanze erano avanzi dell'antico stato Aristocrațico ; e pa stori e mandre sono correlativi necessarj. Delle tre maniere intanto nelle quali si diedero į suf ( 18) Dionys. Antiqu. Romanarum lib. z. ( 126 e i suffragj, quella de' Comizj tributi si può dire che fondasse veramente la libertà o la potestà del po polo , giacchè i Comizj delle Curie furono obblia ti , nè ebbero in effetto il potere legislativo ; ed i Comizj centuriati davano la preferenza o la pre ponderanza alle ricchezze . Vi fu inoltre il Senato, il quale sebbene non avesse altro dritto , che di esaminare o consultare , si arrogo pure in parte il potere legislativo . O la Nazione dunque radu nata per Tribd , o essa stessa convocata per Cen turie , o il Senato ebbero o in dritto o in fatto l'esercizio del potere legislativo . Le risoluzioni per tribù dette plebisciti , non ottennero che dopo molte contese la vera for za di leggi , cioè di obbligare tutti i cittadi ni , giacchè da principio non obbligavano che la plebe soltanto . Tanto è vero che i Patrizi si cre devano un altro popolo un altra Nazione ; che quelle leggi nelle quali non avevano potuto far prevalere, le loro idee e le loro volontà , per mol to tempo non le fecero valere per leggi. L'auto rità de' Senatusconsulti fu meramente abusiva , poichè nè per le leggi Decemvirali ne per al cun stabilimento posteriore, il Senato da se solo aveva in alcun modo la potestà legislasiva. ( 127 ) el 3 2 tiva . Quelle risoluzioni però che portarono parti colarmente il nome proprio di leggi, furono le de cisioni dei Comizi centuriati , delle quali non oc corre ripetere nè il metodo nelle proposizioni , nè quello della convocazione , nè quello delle deci sioni . Tuttocið fu vario nel corso della Repubbli. ca , e si può trovare presso mille autori , che del governo Romano anno ragionato . Ho voluto solo ricordare queste poche notizia per mostrare , come il potere legislativo fu stabie lito in Roma sotto varie forme, le quali influivano di molto su la realità , e come il dritto di suffra . gio, non fu lo stesso nè uguale nei diversi comizi. Nei centuriati la qualità di Cittadino era misus rata su le ricchezze , e non si può dire , che fosa se la volontà del maggior numero de' cittadini , che rappresentasse la volontà generale , come don vrebb' essere per natura . Și sa ancora quanti abu si vi s'introdussero per farle essere le decisioni del minor numero , e spesso la quarta o quinta parte del popolo aveva già decretata la legge, men tre la volontà di tutti gli altri rimaneva inutile e , delusa . Che quello fosse un sistema meraviglioso lo potranno dir solamente gli Entusiasti , ma non chi nel giudicare suol prendere per guida la ragione : Dirò di più , e ciò fu contro i principi di ogni regolare amministrazione , che quei comizj oltre al potere legislativo si arrogarono ancora la facoltà governativa' , ed in molte occasioni simil mente il potere giudiziario ; ciocchè indica , qua le idea essi avessero di un vero ' e buon Politico sistema . Fu sicuramente un effetto delle distinzioni sco lastiche dell' antica Roma il dire , che i Tribuni del popolo non fossero Magistrati , perchè non avevano nè imperio nè dritto di vocazione, nè giu risdizione , nè auspicj , ma in verità se non erano magistrati nominali , lo erano in effetto , ed eser citavano un potere amplissimo su la plebe , sul Senato , e sopra tutta la Repubblica : ad es si apparteneva il convocare i comizj tributi i quali secondo me formavano il vero corpo le gislativo , se in essi il dritto del suffragio ap parteneva egualmente ed integralınente ad ogni . cittadino . Il Cittadino vi figurava come Citra dino libero , e non era il rango o la ricchezza , che davano la preponderanza . E pure questa par te della legislazione non meritò mai il nome di legge , come l'ebbero le risoluzioni de'Comizj cen turiati . lo non decido pai se al paragone le leggi Orno proposte dại Tribuni fossero più giuste ed utili allo stato , che quelle proposte nei Comizj centu riati dai Magistrati maggiori . Possiamo però ri Aettere , che tutte le leggi riguardanti la costitu zione politica , o relative alla libertà ed al lo stato popolare , le quali si possono chiamare leggi di Umanità e di Giustizia uni versale , furono tutte o quasi tutte proposte dai Tribuni . Nè si pud dubitare che esse fossero leggi necessarie, poi che erano le leggi naturali della libertà , e quindi necessarie e costituzionali per un popolo che voleva essere libero , Nè è da imputar loro che non fos sero migliori ; giacchè la mancanza d'idee e di buone cognizioni era comune ai patrizi ed ai ple bei . Lo stesso Cicerone contuttoche fosse Aristo cratichissimo , non potè far a meno , di con fessare , che se si avessero voluti annoverare i misfatti de' Consoli, non sarebbero stati pochi , ma che toline i due Gracchi , non si potevano contare altri Tribuni perniciosi. Infatti, e varj plebisci ti furono salutarissimi alla Repubbiica , e le leggi an. (Do Leg.)anche civili dai Tribuni promosse furono effettiva. mente a pubblico vantaggio . La maggior parte però delle leggi , dei plebisciti, e de' Senatusconsulti furono una specie di leggi volanti o temporarie , essendo per lo più pro mosse per occasioni particolari ; ¢ sebbene si procurasse di dare ad esse tutta l'autenticità so. lenne , non si riducevano però in un corpo , che avesse l'autorità d'un codice di legislazione ; ne io credo, che ad uso pubblico sempre s' incidesse ro in ' tavole o lamine di bronzo , come pur ci vo . gliono far credere alcuni autori antichi . Sono in dotto a pensar cosi da varie testimonianze , e spes cialmente da una di Cicerone . Possiamo da esse raccogliere , che quando le leggi furono una scienza arcana de' Patrizj e de' Pontefici , si conservaro no e custodirono con gelosia e con mistero, trat tandosi quasi della loro proprietà più preziosa , e proprietà come abbiamo veduto molto dispo nibile . Il tempio prima di Cerere par che fosa se a ciò destinato, e poi il pubblico Erario , accid i Consoli'o i Senatori non le corrompessero o in volassero; ma quando le leggi divennero di ragion pubblica , gli antichi curatori non le curarono più , e funne generalmente negletta la custodia Al ( 131 ) si . Almeno cosi ci attesta Cicerone , assicurandoci , che per saperle , o per conoscerle , bisognava far capo dai Portieri e dai Copisti = Legum custodiam nullam habemus : itaque hæ leges sunt , quæ apparia tores nostri volunt ; a librariis petimus ; pubblicis literis consignaram memoriam publicam nullam ha bemus . Græci hoc diligentius , apud quos xquaquaames creantur : nec hi solum literas ( nam id quidem een iam apud majores nostros erat , sed etiam facta hominùm obsesvabant , ad legesque revocabant. E la credė egli così necessaria , che nel suo Co dice , legislazione stabilisce appunto nell'Erario la conservazione o custodia pubblica delle leggi Forse però i Romani si avvidero, che le loro leggi non meritavano tale attenzione ed onore. Ho avver che Tacito caratterizzò con molto favore le leggi Decemvirali , non perchè meritas sero elogj di equità e di giustizia , ma perchè, al meno in apparenza , avevano avuta una certa re golarità di formazione e di pubblicazione ; ed a causa delle leggi posteriori , prive di tali qualità . Qualunque fossero in facti le regole per convocare I 2 i co tito di sopra , 1 (Cic. de leg.)i comizi, per dare i suffra gj, per creare le leggi oltre la viziosa costituzione , è da credere ancora , che il disordine e la confusione sempre vi avesse ro luogo , e spesso vi avesse parte la violenza, la cerruzione , e tutti quegl' inconvenienti soliti a nascere da personalità , da privato interesse , e da spirito di vendetta . Cosi di fatti c'indica Tacito dicendo compositæ duodecim tabulæ , finis omnis æqui juris : nam sequuræ leges , etsi aliquando in maleficos ex delicto , sæpius tamen dissentione ordi hun , et adipiscendi inlicitos honores, aut pe'len di claros viros, aliaque ob prava , per vim taie sunt . ( 20) Questo fatto finalmente mette il colmo, a quan to abbiamo detto della irregolarità ed incertezza di quelle Leggi, che meritarono tanti encomiatori . Le espressioni della volontà generale d ' un popolo libero e giusto , avrebbero veramente meritate P adorazione , e l'accettazione della posterità , se stabilite secondo i principj della Natura e della ra. gione ci avessero presentato un archetipo degno d'imitazione . Ma colla scorta della Storia , e sce vri (Tac. Annal.) ba ia di 10 18 tie 1 vri della infantile prevenzione tutt'altro abbia - mo trovato . Se Dionigi d' Alicarnasso ci presen " ta Romolo come un legislatore Filosofo , ed in struito della storia degli alui stati ; la storia vera ce lo presenta come capo di un' Aristocrazia pri mitiva , cioè barbara e feroce , la quale risorin - geva nel suo ordine, tutte le qualità di uomo e di cittadino : ma la storia del primo Regno e de gli alııi successivi è quasi tutta incerta simbolica e favolosa , come si potrebbe provare su le poche tracce , che non sfuggono ai critici indagatori del le origini civili . In tutto quel tratto di an ni altro non veggiamo in risultato , che dopo una prima aggregazione di forti e di deboli, senza altre leggi che le consuetudini Aristocratiche , si co minciò a dare una forma alla nascenie società. Il re videro , che il loro potere era un nulla , se invece di esser capi de'patrizj , nol divenivano del la plebe o del popolo ; ma Romulo scompar ve per diventar Quirino ne' cieli , Servio fu tru cidato , ed il secondo Tarquinio espulso . In tanta incertezza di cose , come i storici assai posteriori parlarono dei tempi passati colle idee dei tempi loro , così si aprì la strada a credere , che le stes. se parole corrispondessero alle stesse idee in epo che di is ble che assai differenti e lontane; quindi i scrittori suse seguenti si tormentarono prima lo spirito in tante ricerche , e poi si distillarono il cervello per con cordare le contradizioni, che ad ogni passo incon travano fra le idee prima formatesi , ed i fatti che poi trovavano nella Storia. Quindi tante ricerche e tante dispute inopportune e difficili per la man canza di monumenti , ed inutili affatto ai progres si della ragione. La legge regia però non meri tando alcuna particolare attenzione, importava so lo al nostro assunto il vedere , che l' incertezza delle leggi cominciò col nome Romano , e porta rono questa marca vergognosa in tutte le epoche, e in tutta la durata della Repubblica . Tali poi furono anche il dritto civile , le azioni legitime , gli Editri de' pretori o sia il dritto onorario, e finalmente le leggi propriamente dette , le quali sempre più confusero e resero incerto il drit , to e le leggi antecedenti. Parmi dunque poter drittamente dai fatti con chiudere , che le leggi e la Giurisprudenza Roma na furono immeritevoli di quelle lodi colle quali sono state esaltate , ed indegne di reggere un po polo qualunque , mancando di quelle qualità che poteyano renderle pregey oli e sacre , cioè collo stabilire la regola eterna della giustizia, render P urmo suddito di esse , e non dipendente dall' arbitrio; ciocchè positivamente distingue la libertà del dispotismo , qualunque sia del resto la forma o la costituzione sociale . Se le specolazioni de' politici si fossero fermate principalmente su quest'articolo , avrebbero facil mente ravvisato , che Roma non cadde oppressa della sua grandezza , poichè per gli edifici mate riali o politici è essa anzi una cagione di resi stenza e di durata. Cadde quella mole immensa per mancanza di base , e per difetto di Architettum ia . La base della Società è sempre la Giustizia tanto nella legge e nel principio, quanto dell'amministrazione ed esecuzicne di esse. Che poi l'ossa tura politica fosse mal congegnata ed un prodotto progressivo del caso , credo averlo di sopra abba stanza dichiarato. La giustizia di Roma fir in principio quale può essere nella barbarie; d'indi qua le suol' essere nell'amministrazione arbitraria; e fi nalmente quale dev'essere nell’anarchia , nella confusione della legge e nella generale corruzione. Dell' origine dell'idea che abbiamo della Bellezza. Il Bello della Natura. Il Bello dell'arte , ossia della imitazione e del Bello ideale. La grazia. Il sublime. Il bello morale. Il gusto. Il carattere del bello. L’espressione. Lo stile e la regola del bello. Opere complete (Teramo, Fabbri). Indizi di morale. Il metodo della morale. Il sentimento morale. L’origine del sentimento morale. Lo sviluppo del sentiment morale. Divisione della morale. La libertà civile. L’eguaglianza. La proprietà. Lo vviluppo della morale nella diada sociale. Il senso morale. Il dovere morale. L’obbligazione morale. L’amor proprio (l’amore proprio – Butler – self-love). La virtù. La benevolenza – la benevolenza conversazionale. La giustizia. L’educazione. La felicità. La passione. Note agli "Indizj di Morale" di G. Pannella Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana. La giurisprudenza romana dal tempo de' re fino all'estinzione della repubblica. Sequela dei carattere della giurisprudenza romana sotto gl'imperatori. I cultori della giurisprudenza. L’amministrazione della giustizia. Memorie storiche della Repubblica di S. Marino. La Situazione corografica della Repubblica di SAMMARINO e dei varii nomi dati successivamente al capoluogo dello Stato. L’origine della Repubblica di S. Marino, e prime sue memorie fino al secolo decimosecondo. Le memorie di S. Marino nel secolo decimosecondo, e nel seguente. Proseguimento delle memorie istoriche per tutto il secolo decimoquarto. Proseguimento delle memorie per rutto il secolo decimoquinto. Proseguimento delle memorie per tutto il secolo decimosesto. Proseguimento delle memorie pel secolo decimosettimo. Sequela del secolo decimottavo. Il governo politico della Repubblica di San Marino. Diplomi ed altri monumenti citati nell'opera. L’istoria, la sua incertezza ed inutilità. Ai dotti e agli studiosi delle scienze della natura. L’origine naturale della storia e dei progressi ed abusi della medesima. La storica incertezza. L’autorità degli storici contemporanei del cavalier Tiraboschi. L’inutilità della storia e dei pregiudizi derivati dalla medesima. Verificazione degli antecedenti principj con esempi tratti dalla storia della romana repubblica. I bello. Ai giovani educati. L'origine dell'idea che abbiamo del bello. Il bello della natura. Il bello dell'arte, ossia della imitazione e del bello ideale. La grazia. Il sublime. Il bello morale. Il gusto. Il carattere del bello. L’espressione. Lo stile e la regola del bello. L’antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con alcuni opuscoli su le origini italiche.  Alla reale accademia ercolanese di archeologia e a S. E. reverendissima monsignor Rosini presidente della medesima e della R. Società Borbonica di Napoli. Le origini italiche. Le antiche monete della città di Atri nel Piceno. I pelasgi e I tirreni. Rischiaramenti ed alcune osservazioni fatte sull' opera della Numismatica atriana. Lettera a S. E. il sig. conte D. Giuseppe Zurlo. Antologia di Firenze. Articolo di G. Micali. Biblioteca Italiana. La Numismatica atriana ed agli altri opuscoli. AL. Sorricchio. Saggio istorico delle ragioni dei sovrani di Napoli sopra la città di Ascoli d'Abruzzo oggi nella Marca. Saggio filosofico sul matrimonio. Lo stabilimento della milizia Provinciale. La coltivazione del riso nella Provincia di Teramo. Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi . Il tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle, provincie confinanti del regno. La necessità di rendere uniformi i pesi e le misure del regno. Il tavoliere di Puglia e su la necessità di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna temporanea riforma. La vendita dei feudi umiliate a S. R. M. La tassa fondiaria. L’istruzione pubblica. La sensibilità imitativa considerata come il principio fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli e delle nazioni lette nella Reale Accademia delle scienze. La perfettibilità organica considerata come il principio fisico dell’educazione con alcune vedute sulla medesima letta nella R. Borbonica Accademia delle scienze. La perfettibilità organica considerata come il Principio fisico dell'educazione letta nella Reale Accademia delle scienze. Alcuni mezzi economici per supplire agli attuali bisogni dello stato. L’importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche allo studio della filosofia intellettuale. Lo stabilimenti di umanità e di pubblica beneficenza. L’organizzazione dei tribunal. Un porto da costruirsi alla foce del fiume Pescara. A Berardo Quartapelle. A S. E. il sig. Duca di Cantalupo. Al Cav. sig. Pasquale Liberatore. Ai Capitani Reggenti la Repubblica di S. Marino. Al marchese Luigi Dragonetti (Aquila). Al signor Roberto Betti (Napoli). A Giacinto Cantalamessa Carboni in Ascoli. A Giuseppe M. Giovene (Molfetta). Ad Alberto Fortis. A Bernardino Delfico. Al Sig. Abate D. Cataldo Jannelli. Saggio di lettere indirizzate a Melchiorre Delfico Gaetano Filangieri a M. Delfico Pietro Borghesi a M. Delfico F. Neumann a monsieur l'Abbé Fortis. Spallanzani all'abate Fortis. Al medesimo Fortis in Napoli ..... pag. 138  Spallanzani a M. Delfico ..... pag. 140  Luigi Grimaldi a M. Delfico ..... pag. 141  Toaldo a M. Delfico ..... pag. 142  Spannocchi a M. Delfico ..... pag. 143  V. Comi a B. Q. [Berardo Quartapelle] ..... pag. 148  Michele Torcia a G. Berardino Delfico ..... pag. 148  Gaspare Mollo a M. Delfico ..... pag. 151  Alessandro Carli ..... pag. 152  F. Mùnter a M. Delfico ..... pag. 154  Mùnter a Delfico in Napoli ..... pag. 159  Mùnter a M. Delfico ..... pag. 160  Filippo Mazzocchi a M. Delfico ..... pag. 163  Gazola a M. Delfico ..... pag. 163  Giuseppe Micali a M. Delfico ..... pag. 170  L'abate Bertola a G. Bernardino Delfico ..... pag. 178  Il medesimo a M. Delfico ..... pag. 179  L. Brugnatelli a M. Delfico ..... pag. 179  Antonino Anutos a M. Delfico ..... pag. 180  Gio. Andrea Fontana a M. Delfico . Il Duca di Cantalupo a M. Delfico ..... pag. 183  Giuseppe Palmieri a M. Delfico ..... pag. 180  Tommaso Gargallo a M. Delfico in Teramo ..... pag. 190  Giuseppe M. Galante a M. Delfico ..... pag. 194  Giovanni C. Amaduzzi a M. Delfico ..... pag. 194  Mattia Ab. Zarillo a M. Delfico ..... pag. 195  Giuseppe M. Giovene a M. Delfico ..... pag. 197  C. Amoretti a M. Delfico . Francesco Soave a M. Delfico ..... pag. 203  Giovanni Acton a M. Delfico (Teramo) ..... pag. 205  Fortis a M. Delfico ..... pag. 205  Pietro Zannoni a M. Delfico ..... pag. 206  Bossi a M. Delfico ..... pag. 206  Tommaso Frantoni a M. Delfico ..... pag. 209  Daniele Felici a M. Delfico ..... pag. 209  G. Napoleone a. M. Delfico ..... pag. 212  G. Giacomo Trivulzio a M. Delfico ..... pag. 212  G. Melzi a M. Delfico ..... pag. 223  San Severino a M. Delfico ..... pag. 23  Il duca di Sant'Arpino a M Delfico ..... pag. 231  Tracy a M. Delfico . Antonio Canova a M. Delfico ..... pag. 240  Angelo Maria Ricci a M. Delfico ..... pag. 241  Donati Gioli a M. Delfico ..... pag. 243  Luigi Dragonetti a M. Delfico ..... pag. 243  Giuseppe Zurlo a M. Delfico ..... pag. 246  Michele Arditi a M. Delfico ..... pag. 249  Antonio Orsini a M. Delfico ..... pag. 250  G. M. Burini a M. Delfico ..... pag. 251  Taranto a M. Delfico ..... pag. 252  Francesco Sorricchio a Delfico ..... pag. 252  L. Cicognara a M. Delfico ..... pag. 258  F. Santangelo a M. Delfico ..... pag. 259  Sebastiano Ciampi a M. Delfico ..... pag. 260  Donato Tommasi a M. Delfico ..... pag. 261  Il Duca di Laurenzana a M. Delfico ..... pag. 262  Giuseppe Grimaldi a M. Delfico ..... pag. 264  N. Santangelo a M. Delfico ..... pag. 271  Lodovico Bianchini a M. D. ..... pag. 272  Carlo Filangieri a Melchiorre Delfico ..... pag. 272  G. B. Niccolini a M. Delfico ..... pag. 274  Giuseppe Rangone a M. Delfico ..... pag. 276  Leopoldo Pilla a M. Delfico ..... pag. 278  Il Duca di Gualtieri a M. Delfico ..... pag. 281  II Barone Poerio a M. Delfico ..... pag. 283  Leopoldo Armaroli a M. Delfico ..... pag. 283  G. Neroni a Leopoldo Armaroli ..... pag. 286  Francesco Fuoco a M. Delfico ..... pag. 287  Giuseppe Micali a Gregorio de Filippis ..... pag. 288  Aggiunta agli opuscoli. Fiera franca in Pescara ..... pag. 293  Al sig. Pasquale Borelli ..... pag. 307  Al sig. Antonio Orsini ..... pag. 313  Al sig. Conte Armaroli ..... pag. 315  Alessandro Volta a Orazio Delfico ..... pag. 317  Rapporto sull' Italia inviato a Napoleone, e attribuito a M. Delfico . Piemonte . Liguria . Regno D' Italia . Toscana ..... pag. 326  Stati Romani ..... pag. 327  Napoli . Memoria per la conservazione e riproduzione dei boschi nella provincia di Teramo ..... pag. 335  Discorso del Cav. Comm. Gian Berardino Delfico letto in occasione del solenne giuramento prestato a S. M. Giuseppe Napoleone Re di Napoli e Sicilia dalla Città e Provincia di Teramo ..... pag. 363  La famiglia e le opere di Melchiorre Delfico . I titoli nobiliari . Episodi della vita del Delfico . Opere ignorate del Delfico . Il contenuto delle opere . Catalogo per materia delle opere di M. Delfico . Lettere del Delfico e al Delfico . La Repubblica di S. Marino in onore di M. Delfico . M. Delfico a Gaspero Selvaggio . A Paolo D' Ambrosio M. Delfico. Il teramano Melchiorre Delfico (1744-1835) è uno dei più cosmopoliti e al tempo stesso dei più autenticamente provinciali tra i riformatori meridionali della seconda metà del Settecento (1). Durante il suo primo soggiorno a Napoli, interrotto dopo tredici anni nel 1768 perché malato di emottisi, il giovane intellettuale abruzzese segue le lezioni di Antonio Genovesi e frequenta il gruppo che si riunisce attorno alla cattedra dell'abate (2), che dal 1754 al 1769 costituisce il fulcro del movimento riformatore meridionale. Sarà questa scuola composta da Longano, Galanti, Palmieri, Grimaldi, Filangieri, Pagano ed altri, ad imprimere una «benefica scossa» (3) alla cultura napoletana e avviare negli anni successivi un serrato e articolato dibattito sui problemi più urgenti del Regno, suggerendo le linee di un possibile rinnovamento della società civile che non di rado contrasteranno con l'angusta politica del governo borbonico (4).  È soprattutto dalla rilettura del genovesiano Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze (5), considerato il manifesto dell'illuminismo napoletano, in cui viene rivendicato un uso pratico del sapere, che Delfico matura una nuova concezione della cultura e dell'intellettuale, la cui attività sia, come diceva Genovesi, «più pratica che teoria» (6), e la convinzione della necessità di un impegno politico più diretto. Un atteggiamento anticuriale e giurisdizionalistico, di ascendenza giannoniana (7) e di eredità genovesiana (8), egli manifesta nei due lavori, con i quali inaugura nel 1768 la sua attività di scrittore, in difesa dei diritti del Regno di Napoli sui territori di Benevento, dal 1077 sotto il dominio pontificio, e di Ascoli Piceno, anch'esso dal 1266 annesso allo Stato ecclesiastico (9). Nelle due Memorie denuncia le tendenze temporali dell'autorità ecclesiastica, dimostrando «false o insussistenti» le pretese giurisdizionali del pontefice su quei possedimenti, ottenuti non già per legittimi diritti di sovranità, ma con l'usurpazione, titolo «vergognoso» perché «prodotto per dolo o per frode» (10).  Sebbene notevole sia stata l'influenza di Genovesi sul movimento illuminista meridionale, non tutte le molteplici espressioni della cultura riformistica degli anni Settanta e Ottanta possono essere ricondotte alla sola riflessione del pensatore salernitano. Anche per i rappresentanti della corrente «più provinciale», «più tecnica e descrittiva»(11) della scuola genovesiana, l'insegnamento del Maestro non sempre costituirà l'unica matrice culturale. Lo stesso Delfico, sebbene riconosca il suo debito nei confronti dell'abate, non trova in lui il pensatore che la «propria ragione gli faceva desiderare» (12), bensì il pubblicista che ricerca e analizza i mali economici e sociali della sua terra. «La fortuna però - scriverà più tardi - avendomi fatto pervenir nelle mani le immortali opere di Loke [sic] e di Condillac, parve che il mio spirito prendesse una nuova modificazione, e quindi una inclinazione pel vero, ed un gusto particolare per i morali sentimenti» (13).  Già nel Saggio filosofico sul matrimonio, apparso a Teramo nel 1774, alcuni anni dopo il suo ritorno in provincia, s'intravede l'orientamento filosofico dello scrittore abruzzese basato su una visione tutta empiristica e sensistica dei rapporti umani, che indurrà la Congregazione del Sant'Uffizio a porre l'opuscolo nell'Index librorum prohibitorum il 19 gennaio 1776. L'opera è una vera e propria esaltazione sia dello stato coniugale che dell'amore, inteso come desiderio, come piacere fisico ma soprattutto morale. In polemica con Rousseau, Delfico considera il vincolo matrimoniale una fonte continua «di sensazioni e di sentimenti aggradevoli» (14) e sostiene, richiamandosi a Hume, che esso debba essere il più possibile completo e duraturo. La critica del celibato e più ancora del libertinaggio è l'occasione per un'attenta disamina della condizione della donna, di cui sostiene l'emancipazione e la rivalutazione nella famiglia e nella società, fino a rivendicare una legislazione sulla parità dei diritti e dei doveri fra i sessi.  Del 1775 sono gli Indizi di morale, interrotti per ordine dell'assessore Pietro Paolillo che ne dispone il sequestro mentre sono ancora in corso di stampa, i quali «svelano assai più a fondo e gl'ideali politici del Delfico e la sua cultura» (15). Sul piano filosofico infatti essi segnano una piena adesione all'empirismo e al sensismo di Locke e Condillac. Dalle idee filosofiche dei due pensatori il Teramano non si discosterà più, restando sino alla fine legato alla dottrina sensistica. Confesserà molti anni dopo ad un amico: «Dopoché il mio spirito soffrì la modificazione dal Trattato delle sensazioni, non l'ho turbato più perché mi vi sono trovato comodo, non trascurando però le successive osservazioni le quali hanno potuto migliorarlo» (16). Egli riconosce alla morale il fondamento empirico proprio delle scienze fisiche e riconduce l'origine dei sentimenti morali alle sensazioni. Poiché è nella società che gli uomini acquisiscono le prime nozioni di moralità e le loro azioni diventano utili o dannose, ne consegue che la sfera delle loro idee e con essa quella delle loro attività si dilatano soprattutto in quelle forme politiche in cui maggiormente cresce la possibilità di comprensione della qualità degli oggetti e gli individui sono messi nelle condizioni che meglio permettono la individuazione dell'amor proprio. «È nel passaggio dall'Aristocrazia allo stato popolare», scrive, che «le nazioni godono del colmo della virtù» e «nasce quella gara di Eroismo che è difficile a trovarsi nelle Monarchie» e che si verifica ogni qualvolta «l'interesse di tutti i particolari va a riunirsi col pubblico»(17) e i cittadini partecipano maggiormente alla sovranità e al potere.  L'affermazione non si concreta in una scelta della democrazia come forma di governo, né in una rivendicazione di ordinamenti politici alternativi a quelli in cui si incarna la monarchia borbonica. L'allusione alla repubblica resta in lui vaga, sottintesa e comunque priva di un reale contenuto politico-istituzionale, mentre egli non nasconde la propria simpatia per il despotisme éclairé (18). Vi è, da parte sua, una svalutazione della politica in quanto problema teorico, a favore di un impegno politico più immediatamente finalizzato alla soluzione di questioni politiche contingenti. Suo obiettivo principale è il perseguimento del bene pubblico, realizzato attraverso un'avveduta e coraggiosa politica di riforme. Un processo di trasformazione che miri innanzitutto all'uguaglianza politica e che non ha niente a che vedere con la «fatale» comunione dei beni, fomite di disordini e di eterne contese. Il problema dell'uguaglianza, di cui le garanzie politiche costituiscono una imprescindibile componente, consente a Delfico di condurre a fondo l'attacco contro la struttura feudale della società napoletana, in cui ancora assai diffusa e radicata è l'ineguaglianza sia essa generata dall'abuso del potere che da quello delle ricchezze. «Conosciuti i mali che provengono dall'ineguaglianza - afferma a conclusione del capitolo sulla proprietà - deve essere un canone politico quello di ravvicinare gli estremi, e non dar luogo ad altre ricompense che a quelle del merito personale e dell'industria» (19). Al contrario, il persistere dell'ineguaglianza non fa che produrre «lusso e corruzione» ed aggravare la già precaria condizione dei più miserevoli, privati della loro stessa dignità perché costretti a mercanteggiare persino «la vita, l'onore, la stima, la virtù, ed i più sacrosanti doveri» (20).  Dopo il sequestro degli Indizi di morale e la messa all'«Indice» del Saggio filosofico, Delfico incorre in un nuovo spiacevole episodio con le autorità provinciali. Soprattutto a causa del vescovo Pirelli e dell'assessore Giacinto Dragonetti, con cui pure aveva avuto rapporti di amicizia, è ingiustamente inquisito e condannato per la fuga di certe monache dal monastero di S. Matteo di Teramo (21). L'exequatur del Tribunale del capoluogo abruzzese (5 febbraio 1778) con il conseguente ordine di carcerazione, emesso nei confronti suoi e di altri «lajci seduttori» (22) presunti responsabili dell'insubordinazione, lo costringono ad allontanarsi dalla città e a recarsi a Napoli, dove rimarrà circa tre anni, fino alla conclusione della vicenda giudiziaria, giunta con l'indulto regio del 17 giugno 1780.  Questo secondo soggiorno partenopeo, avvenuto a dieci anni di distanza dalla fine del primo, si rivela assai fecondo per lo scrittore teramano che ha l'occasione di  rinsaldare i legami con gli ambienti riformatori della capitale e stringere rapporti con vari esponenti della cultura, quali tra gli altri i fratelli Di Gennaro e Grimaldi, Filangieri, Pagano, Torcia e Fortis. È anche il periodo in cui egli matura l'idea che la provincia possa imprimere, attraverso la denuncia dei mali prodotti dal sistema feudale, un nuovo e maggiore impulso alla politica governativa ed avverte la necessità di una ridefinizione del rapporto tra capitale e province, tra i centri periferici più sani e dinamici e quella Napoli corrotta ed inerte dalla quale tutti attendono una politica di riforme.  Ritornato a Teramo, Delfico pubblica nel 1782 il Discorso sullo stabilimento della milizia provinciale, che gli varrà, l'anno successivo (20 giugno 1783), la nomina ad Assessore militare della sua provincia. Lo scritto, dedicato all'amico Filangieri, inaugura un'intensa stagione che vede l'illuminista abruzzese farsi promotore di numerose riforme. Nel Discorso la questione militare acquista rilevanza politica, avendo intuito l'Autore l'importanza che una buona costituzione militare poteva assumere per la vita di uno Stato. Criticando lo «spirito di corpo» dei militari, quel «sentimento dissociale» che li porta a disprezzare la vita civile e che fa di loro una classe di privilegiati distinta dal corpo sociale, egli mira a riqualificare il ruolo del soldato all'interno della società, non soltanto in tema di sicurezza, ma anche, soprattutto, di progresso civile, riunendo, sull'esempio di Rousseau, la qualità di soldato a quella di cittadino (23), così che i due termini diventino sinonimi fra loro.  Ad alimentare la fiducia nei primi anni Ottanta che si potesse realizzare sul piano legislativo e amministrativo quanto si veniva sostenendo su quello dottrinario, contribuirono sia la istituzione della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere (che però tradì presto le attese suscitate) che quella del Supremo Consiglio delle Finanze. Sorto nel 1782, il Consiglio si prefiggeva di riformare gli antichi e perniciosi abusi del sistema e di restituire l'abbattuto vigore alla Nazione promuovendo i canali della ricchezza dei sudditi e dello Stato. Ad esso Delfico vorrebbe sottoporre la sua Memoria sulla coltivazione del riso nella provincia di Teramo, pubblicata a Napoli nel 1783. Considerato «forse il più limpido e ragionato» (24) dei numerosi suoi scritti economici di quegli anni, il testo è una dura requisitoria contro il persistere di pesanti imposizioni feudali e di certi abusi economici e politici, responsabili di mantenere tale coltivazione in uno stato di sottosviluppo (25). La risposta delficina è in favore di un ammodernamento della tecnica di produzione e della rimozione di tutti gli ostacoli, compresi i controlli e le restrizioni governative, che impediscono la realizzazione di un'economia di mercato.  Nell'estate dell'83 Delfico è di nuovo a Napoli, dove si fermerà fino alla fine dell'anno. Ma non sarà questa una permanenza piacevole. All'entusiasmo iniziale, infatti, subentrerà presto un sentimento di profonda amarezza per l'andamento della vita politica della capitale. Egli prende coscienza della incapacità dello Stato di dar vita ad un programma organico di risanamento dell'economia del Paese, messa di nuovo a dura prova dal terribile terremoto calabrese della primavera del 1783. La condotta della corte borbonica gli appare quanto mai improvvisata e piena di incertezze e di contraddizioni.  Ritornato a Teramo è raggiunto, nel febbraio del 1784, dalla notizia della scomparsa dell'amico Francescantonio Grimaldi, cui dedica, come ultimo tributo, un Elogio (26) che ne rievoca il pensiero e il valore. Dopo un rapido excursus delle opere giovanili (27), lo scrittore abruzzese si sofferma sulle Riflessioni sopra l'ineguaglianza tra gli uomini, pubblicate a Napoli in tre volumi tra il 1779 e il 1780. In esse l'Autore confuta le tesi roussoiane  sull'uguaglianza  tra  gli uomini,  correggendo quei «paradossi», scrive Delfico, che «fra molte vere e nobili osservazioni» (28) sono racchiusi nel Discours sur l'origine de l'inégalité. Contrariamente al Ginevrino, che ritiene l'ineguaglianza essere «presque nulle dans l'Etat de Nature» (29), Grimaldi ne afferma il principio dell'origine naturale, smentendo quanti sostenevano che gli uomini nascono eguali. Una particolare attenzione rivolge infine all'ultimo incompiuto lavoro di Grimaldi, gli Annali del Regno di Napoli. Sin da ora emerge chiara in lui l'idea di una storia non più concepita come piacevole passatempo per «gli oziosi e gli annojati», ma in funzione «d'un utile presente» (30) per l'umanità e, in particolare, per la nazione per la quale si scrive. Ciò che interessa non è più il nudo racconto di fatti isolati o di particolarità legate a circostanze del momento, bensì la conoscenza delle cause che stanno dietro i fenomeni e la vita morale delle nazioni.  Alla fine di giugno del 1785 Delfico si trasferisce di nuovo a Napoli, dove si trattiene, salvo una breve parentesi nella città natale nell'estate dell'86, fino alla metà del 1788. Risale a questo periodo l'incontro con il danese, di origine tedesca, Friedrich Münter, venuto in Italia nell'autunno del 1784 con l'incarico di propagandare l'Ordine degli Illuminati di Baviera (31). A Münter, con il quale visiterà assieme a Filangieri e allo storico tedesco Heeren le rovine di Pestum, egli si legherà da profonda amicizia, di cui è testimonianza una corrispondenza più che trentennale (32), accomunati dalla passione per l'archeologia e, soprattutto, per la numismatica.  A Napoli Delfico pubblica nel 1785 la Memoria sul Tribunal della Grascia (33), considerata, assieme a pochi altri testi, «il vangelo del liberismo napoletano» (34) dell'epoca. Lo scritto sferra un attacco contro il «terribile mostro» del Tribunale della Grascia, istituito lungo il confine tra l'Abruzzo e lo Stato pontificio e simile per alcuni versi a quello «più odioso dell'inquisizione», che impedisce ai due Stati pacifici di scambiarsi liberamente i prodotti, fomentando dovunque corruzione e violenza e lasciando quelle popolazioni in «un languore di dissoluzione» (35). Vi è nella Memoria l'affermazione del principio della libertà di commercio e dell'abolizione del sistema protezionistico, a proposito del quale vengono fatti i nomi di Verri, Genovesi, Filangieri e del celebre Smith, di cui il Teramano è uno dei primi in Italia a citare La ricchezza delle nazioni.  Nel 1788 vede la luce il Discorso sul Tavoliere di Puglia (36) in cui Delfico rivendica, dopo un'aspra requisitoria contro le concentrazioni latifondiste e il mantenimento delle rendite, la divisione di quelle terre in favore dei contadini e un diverso ruolo dell'agricoltura, non più limitata e subordinata alla pastorizia. In un Paese così «infelicemente» amministrato, dove regna una troppo marcata diseguaglianza e una «ripugnante ed infelice» contrapposizione tra ricchi e poveri, l'aumento dei proprietari è un obiettivo che risponde non soltanto a criteri di giustizia sociale, ma anche ad una necessità dello Stato. Tutti «i più savj governi - scrive - distinsero sempre la classe dei proprietarj, come quella che dava il vero carattere di cittadino» (37). La proprietà infatti è il primo e più saldo principio della società, poiché crea nei proprietari «sempre affezione» nei confronti dello Stato, a cui essi chiedono di riconoscere e tutelare i loro diritti, interessati come sono, più di ogni altra classe, al buon funzionamento delle sue istituzioni e alla corretta applicazione delle sue leggi. Della parte settentrionale della Puglia l'illuminista abruzzese si era occupato una prima volta nel 1784 nella pur breve ma incisiva ricognizione geografico-economica del tratto costiero «desolato» che va dal Fortore al Tronto (38), in cui denunciava le gravi «avarie» commesse dai governanti con la creazione di continue dogane che, ostacolando il libero scambio dei prodotti tra quelle popolazioni, finiva per immiserirle sempre più.  Si coglie in questi scritti non soltanto la totale adesione di Delfico al liberismo, ma anche la sua piena consapevolezza del ruolo che lo Stato è chiamato a svolgere in favore di un sistema economico imperniato sulla libertà di scambio. Un rapporto, quello tra Stato ed economia di mercato, che egli affronta anche nella Memoria sulla libertà di commercio della fine degli anni Ottanta (39), in cui esalta il principio del laissez-faire contro le regolamentazioni e i vincoli del sistema mercantile. Il rifiuto di «ogni coazione economica» si fonda sulla convinzione che la libertà (di produzione, di consumo, di commercio, di concorrenza) favorisca un progresso e uno sviluppo economico tali da recare benefici sia ai privati cittadini che allo Stato stesso. È solo attraverso la rimozione di tutti i controlli governativi che ostacolano l'allargamento del mercato e impediscono che le attività economiche si svolgano nei modi loro naturali che la scienza economica riesce a far fronte al suo duplice compito di mantenimento dello Stato e di accrescimento della ricchezza e del benessere individuali.  In quest'ultimo soggiorno napoletano prima dello scoppio della rivoluzione francese, Delfico si attiva non poco, presso le Segreterie della capitale, per sollecitare iniziative e soluzioni di problemi riguardanti le provincie del Regno. Ma le sue istanze non sempre trovano il riscontro desiderato (40). Ciò non fa che accrescere in lui un sentimento di sfiducia nell'azione riformatrice del governo. Un'insofferenza, quella nei confronti del potere politico partenopeo, che lo porterà nell'estate del 1788 ad allontanarsi da un ambiente dove gli era diventato penoso vivere, non prima però di aver presentato a Ferdinando IV il suo ultimo lavoro, Memoria per la vendita de' beni dello Stato d'Atri (41). Nello scritto condanna la giurisdizione feudale in nome dei principi roussoiani di indivisibilità e inalienabilità della sovranità fino a ritenere qualsiasi forma di alienazione o di usurpazione della sovranità stessa «non solo un atto nullo, ma anche ingiusto» (42).  La notizia della rivoluzione francese raggiunge Delfico lontano dal Regno napoletano, mentre si trova nel Nord Italia, dove si era recato nel novembre del 1788 per accompagnare a Pavia il nipote Orazio che studiava Scienze naturali sotto la guida di Volta e Spallanzani. Durante il suo soggiorno ha modo di frequentare gli ambienti riformatori milanesi ed entrare in contatto con Beccaria, il filosofo e pedagogista Francesco Soave, i fratelli Verri, Parini, il giurista senese Giovanni Bonaventura Spannocchi, lo studioso di scienze agrarie ed economiche Carlo Amoretti ed altri ancora, con alcuni dei quali manterrà un rapporto di amicizia. Sugli avvenimenti francesi non gli è difficile tenersi informato. È lecito credere anzi che, oltre a seguire, egli guardi con simpatia a quanto sta accadendo oltralpe. La rapidità e la determinazione con cui si conduce l'attacco contro l'Ancien Régime lo spingono a ritenere che la rivoluzione di Francia favorisca il progetto riformatore e rappresenti «un esempio favorevole per i Principi savj» (43) affinché non indugino più sulla strada delle riforme.  Rianimato da queste speranze, nel dicembre del 1789, dopo aver fatto da poco ritorno nella sua città natale (44), Delfico si trasferisce a Napoli, dove dà alle stampe, nell'estate del 1790, le Riflessioni su la vendita dei feudi (45) in cui, ispirandosi al dibattito costituzionale d'oltralpe, conduce un attacco più diretto ed esplicito contro il sistema feudale e la giurisdizione baronale in particolare. Nel 1791 pubblica le Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori (46), che rappresentano «la più forte manifestazione del pensiero illuministico italiano nei confronti del diritto romano» (47), cui viene negato ogni valore. Ad emergere è l'idea di un sistema legislativo nuovo, «uguale ed uniforme per tutti gl'individui» che, a differenza di quello vigente, troppo legato alla tradizione romana, risulti più inerente «all'indole delle nazioni e dei governi presenti» (48). Sull'esempio di quanto accade in Francia, lo scrittore abruzzese rivendica, accanto ad una legislazione stabile e regolare, una legittima costituzione che ne sia il presupposto e ne costituisca il necessario fondamento. Il sistema politico che egli predilige si fonda sull'uguaglianza delle leggi, sulla divisione dei poteri, sul conferimento dell'autorità legislativa al popolo, sulla rappresentanza politica senza restrizioni di rango o di censo e sul decentramento dell'amministrazione della giustizia attraverso lo stabilimento di magistrature locali e provinciali.  Da una soluzione di tipo monarchico-costituzionale Delfico non si allontanerà mai. Alla politica illuminata del sovrano restano per lui legate le condizioni di cambiamento della società meridionale. Nonostante tuttavia la sua predilezione per la monarchia, a partire dalla seconda metà del 1791 si ravvisa nel Teramano un conflitto tra l'ottimismo generato dalle vicende francesi, che lo spinge a credere ancora nell'intesa tra dinastia borbonica e intellettuali, e il crescente scetticismo nei confronti della volontà governativa di attuare un programma di rinnovamento. Deluso, decide di abbandonare la capitale dove si sorprende sempre più spesso «scontentissimo».  Il rientro a Teramo, nel dicembre del 1791, segna la fine di un periodo di grande impegno politico e letterario, al termine del quale egli vede svanire la possibilità che la rivoluzione francese imprima un nuovo impulso alla politica del governo napoletano. È, questo, un periodo di grande sconcerto e delusione per quanti, come Delfico, avvertono i limiti della politica ferdinandea. Alla fine del 1793 la consapevolezza che la grande stagione riformistica sia definitivamente conclusa è radicata nel suo animo. Essa segna l'inizio di una lunga interruzione della sua attività di scrittore, a conferma di come egli ritenesse allora non solo vano ma addirittura pericoloso farsi sostenitore di una politica di rinnovamento del Regno borbonico. La sfiducia diverrà pressoché totale durante il soggiorno nella capitale partenopea tra la primavera e l'autunno 1794. A Napoli s'imbatte in una città in preda alla più forte «agitazione». È l'epoca della scoperta della congiura giacobina che porta all'arresto e alla condanna di numerosi patrioti ed esponenti giacobini. Coinvolto è pure l'amico e concittadino Troiano Odazi (49) che egli considera innocente e spera invano venga presto scagionato.  L'accentuarsi del carattere reazionario della politica napoletana non determina tuttavia in Delfico, come in altri illuministi, il passaggio «da regalista in giacobino» (50) o repubblicano, anche perché egli, a differenza di molti di loro, non vede più nella Francia del '93-'94 concretarsi i suoi ideali riformistici. L'avversione per gli eccessi rivoluzionari lo porta ad anticipare un modulo storiografico che avrà fortuna negli anni successivi: la contrapposizione tra una prima fase della rivoluzione, l'89, con le sue idee di libertà e di uguaglianza, ed una fase successiva, il '93, caratterizzata da «tanti orrori».  Alla fine di ottobre del 1795 Delfico lascia di nuovo l'Abruzzo per compiere un secondo viaggio fuori del Regno, dapprima a Roma, restandovi per circa un mese, quindi in Toscana dove rimane fino alla primavera successiva ed ha modo di rivedere gli amici Giovanni Fantoni e Giuseppe Micali e legarsi al nobile fiorentino Neri Corsini e all'uomo di Stato francese André-François Miot (51). A spingerlo verso il Granducato è una certa simpatia politica per quello Stato, suscitata dalla mitezza del suo governo e dalla libertà che ancora vi regnava. Ritornato a Teramo agli inizi di maggio del 1796, lo raggiungono le notizie dell'avanzata francese in Piemonte e in Lombardia. Nessun dubbio nutre sulle mire espansionistiche di Napoleone, di cui disapprova non solo le condizioni gravose imposte alle città occupate, ma anche le innumerevoli requisizioni, ruberie e saccheggi dei suoi soldati.  Nella seconda metà del 1796 si riaccende nello scrittore teramano l'interesse per la Grande Nation, in quanto vede delinearsi nella vita politica del Direttorio la possibilità per la Francia di riprendere e consolidare quel processo di trasformazione avviato negli anni precedenti la parentesi giacobina; interesse che si manifesta anche attraverso il desiderio, mai realizzato, di compiere un viaggio transalpino (52). Ciò nonostante, appare poco probabile una sua partecipazione al concorso indetto dall'Amministrazione generale della Lombardia il 6 vendemmiaio anno V della Repubblica francese (27 settembre 1796) sul quesito Quale dei Governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia, di cui risulterà vincitore il piacentino Melchiorre Gioia (53).  Immutato è invece il giudizio sulla corte napoletana. Nonostante infatti nel corso del '97 egli accenni ad una ripresa di dialogo con il governo borbonico (54), non scorge alcun cambiamento nella sua politica. Sempre più, inoltre, dovrà guardarsi dalla gelosia dei suoi nemici, soprattutto nel 1798, quando verrà nominato portolano della città di Teramo, con responsabilità amministrative di rilievo. La situazione si aggraverà nell'estate di quell'anno, allorché alle trepidazioni per una probabile invasione straniera si uniranno quelle per il susseguirsi di infondate accuse di giacobinismo costruite ai suoi danni da parte di anonimi concittadini. Già nel 1793 era stato costretto a dare formale prova del suo lealismo monarchico in seguito a delazioni da parte di alcuni «malevoli di Napoli fra quali il Vescovo in unione colla magistratura» (55). Sempre più si alimenta il sospetto di una sua cospirazione antimonarchica, tanto che il 27 settembre 1798 è tratto in arresto, nel proprio palazzo, assieme a tutta la famiglia (56). Liberato l'11 dicembre successivo dall'arrivo a Teramo delle truppe francesi (57), è dapprima posto a capo della Municipalità della città e successivamente nominato presidente dell'Amministrazione Centrale dell'Alto Abruzzo. Il 12 gennaio 1799 è chiamato a presiedere a Pescara il Supremo Consiglio (58), l'organo politico più importante esistente in Abruzzo, che avrebbe dovuto fungere da raccordo tra il comando francese e i due nuovi organismi repubblicani - i Dipartimenti dell'Alto e del Basso Abruzzo - in cui il generale Duhesme, con il proclama del 28 dicembre 1798, aveva diviso il territorio regionale.  Non vi è dubbio che la collaborazione di Delfico con i Francesi, per quanto piena e convinta, vada vista come il tentativo di reinserirsi nel giro di quella politica attiva, nella quale egli da sempre confida. Tale partecipazione, tuttavia, non segna il passaggio dello scrittore teramano dalla prospettiva monarchico-riformistica a quella repubblicano-giacobina (59), dal momento che l'esperienza non provoca quella vera e propria «lacerazione» e «rottura» nella sua biografia intellettuale che è stata riscontrata invece nei riformisti meridionali passati alla rivoluzione (60). Tensioni ideali e finalità pratiche continuano ad essere, anche durante la parentesi repubblicana, le stesse che lo hanno animato in tante battaglie del passato. Persino il Piano di una amministrazione provvisoria di giustizia pei Tribunali dei Dipartimenti e Giudici dei Cantoni (61) del 24 piovoso anno VII (12 febbraio 1799), l'atto legislativo più importante del Consiglio Supremo pescarese col quale viene introdotto un nuovo ordinamento giudiziario e in cui maggiore è l'istanza egualitaria, non sembra discostarsi da certi suoi principi e aspirazioni precedentemente espressi. Il Piano, che si inserisce fra i provvedimenti di riforma del sistema giudiziario adottati dalla Repubblica napoletana, sanciva, in nome delle idee di libertà e di eguaglianza, il decentramento dell'autorità giudiziaria, prevedendo un giudice per ogni capoluogo di cantone e un tribunale per ogni capoluogo di dipartimento; l'amministrazione gratuita della giustizia e la corresponsione di uno stipendio ai giudici e a tutti coloro che collaboravano all'attività giudiziaria; l'assistenza gratuita ai poveri; la «prontezza» e «l'imparzialità» dei giudici nell'applicazione delle norme; l'abolizione della carcerazione per debiti, a meno che non venisse provata la «frode» del debitore; il controllo dell'attività giudiziaria nonché la possibilità di ricorrere in appello.  Volentieri egli si sarebbe portato nella capitale partenopea dove, il 23 gennaio 1799, era stato nominato membro del Governo Provvisorio dal comandante in capo Championnet. Ma a Napoli Delfico non potrà recarsi mai a causa delle insorgenze antifrancesi. Di qui il rammarico per non poter partecipare all'attività legislativa del Governo Provvisorio a cui muove l'accusa di aver non solo «abbandonato» ma addirittura «obliato» le province abruzzesi, lasciando che ovunque si verificassero «le più ferali tragedie» ad opera di briganti e di scorribande antifrancesi (62). Non è da escludere a questo punto che proprio durante il periodo pescarese Delfico abbia elaborato, secondo una prassi piuttosto diffusa in Italia nel triennio rivoluzionario, una Tavola dei Dritti e dei Doveri dell'uomo e del Cittadino (63). Il testo, che si ispira alle Dichiarazioni francesi dei diritti del 1789, del 1793 e del 1795, proclama l'uguaglianza davanti alla legge; riconosce i diritti inalienabili di libertà, sicurezza, proprietà, resistenza all'oppressione e i doveri inviolabili di subordinazione, benevolenza, giustizia e obbedienza alle leggi. Fa risiedere la sovranità nella Nazione, cui spetta, attraverso i suoi rappresentanti, emanare le leggi, stabilire le imposizioni, cambiare la costituzione e il governo. Ammette la possibilità di armarsi contro ogni forma di manifesta violenza e di tirannia e non esclude il ricorso all'insurrezione, ma solo in casi estremi, mentre condanna le rivolte e i perturbatori dell'ordine pubblico, per odio forse  delle sommosse che si stavano verificando agli inizi del '99 e di quanti sobillavano le masse contro le nuove istituzioni.  Il 28 aprile 1799, di fronte al crescente stato di abbandono delle province abruzzesi e alla partenza dei Francesi da Teramo, Delfico preferisce, prima ancora della caduta della Repubblica napoletana, lasciare Pescara e sotto il falso nome di Carlo Cauti riparare via mare nelle Marche, per poi raggiungere nel settembre successivo San Marino (64). Nella piccola Repubblica rimarrà fino al 1806, quando Giuseppe Bonaparte, divenuto re di Napoli, in giugno lo chiamerà al suo fianco con la carica di consigliere di Stato.  Durante il soggiorno sammarinese Delfico si interrogherà a lungo sulla «tempestosa crisi» di fine secolo di cui, come Cuoco (65), critica l'«immatura ed intempestiva» manifestazione, come pure il metodo rivoluzionario, ritenuto «distruttivo» (66). La confusione dei princìpi, l'eccesso di passioni assieme a mal fondati calcoli avevano fatto nascere delle idee politiche così «mostruose» che per i loro intrinseci difetti non avevano potuto a lungo sopravvivere. Fu la Francia, afferma, a far sorgere dei canoni politici «falsi e irregolari». L'Italia, «abbagliata ed attonita - scrive - non ebbe tempo a riflettere, che le confuse proclamazioni di libertà, benché le provenissero da quella nazione che aveva prodotti i più grandi filosofi politici del secolo, Montesquieu, Rousseau, Sieyès, pure non aveva mai essa veduta la libertà in propria casa, mai ne aveva avuta la pratica né la finezza del senso e il gusto per conoscerla, così non poteva avere le forze intellettuali e le qualità morali per effettuare una tale palingenesia» (67).  Dal ripensamento della vicenda rivoluzionaria Delfico trae l'indicazione della necessità di un recupero della tradizione storica nazionale: «Se si fosse consultata la storia d'Italia con qualche diligenza, si sarebbe trovato, che lo spirito di ragione e di moderazione fece dell'Italia il soggiorno o la sede della libertà nei secoli più remoti» (68). A questo senso di moderazione l'Italia deve continuamente richiamarsi e gli eventi recenti ed i fatti antichi devono persuaderla, che non vi è altro mezzo alla sua tranquillità e alla sua felicità. La critica delficina dell'esperienza rivoluzionaria si risolve, in definitiva, nella ricerca di una linea politica saggia e realistica che non miri alle magiche trasformazioni ma proceda per «proporzionate graduazioni» alla realizzazione di un programma costituzionale a cui è lecito aspirare. Tutta l'attenzione è rivolta alla individuazione di modi civili più adatti e convenienti all'umana convivenza i quali, più che nelle forme politiche stereotipe, egli ritiene realizzabili, riprendendo una definizione vichiana, nei governi umani, di cui proprio il piccolo Stato di San Marino, nonostante il suo processo di incivilimento avesse subìto arresti ed involuzioni, rappresentava un modello politico reale che, in modo non utopistico, «mostrava non essere impossibile alla specie umana una tal forma di società» (69).  Dalla piccola Repubblica Delfico uscirà diverse volte per riordinare la biblioteca pubblica della vicina Rimini, dove trascorrerà alcuni mesi nella casa del marchese Giovanni Maria Belmonte, la cui amicizia risaliva al 1784, o per andare a Bologna dal suo amico Alberto Fortis, in quel tempo prefetto della biblioteca nazionale della città. Da gennaio ad aprile del 1803 soggiornerà ad Ascoli Piceno dal fratello Giamberardino. Nel 1804 si porterà a Milano per seguire la stampa del suo libro sulla storia di San Marino. Nel capoluogo lombardo, dove sarà l'ispiratore della ristampa dei Principj della legislazione universale di Georg Ludwig Schmidt d'Avenstein, rivedrà Vincenzo Cuoco e stringerà nuove amicizie, tra cui quelle con Giuseppe Bossi, Pietro Custodi e Francesco Saverio Salfi. Ma, soprattutto, si legherà a Gian Giacomo Trivulzio, a Leopoldo Cicognara, grazie al quale entrerà in contatto con il celebre scultore Antonio Canova, e a sua moglie Massimiliana Cislago, donna assai colta e amica di Melchiorre Cesarotti, con il quale resterà, come con gli altri, in corrispondenza. Infine, dall'autunno all'inverno di quello stesso anno si fermerà di nuovo ad Ascoli, da suo fratello.  È, quello sammarinese, un periodo in cui Delfico, fuori dalla vita politica attiva, riprende gli studi e pubblica le Memorie storiche della Repubblica di S. Marino e l'opera sua più famosa, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima che, usciti a Forlì nel 1808, vedono in poco tempo altre due edizioni (70). Lo studio della storia in stretta relazione con la realtà presente, già ricorrente negli scritti giovanili, trova nelle Memorie storiche diretta applicazione. Nonostante, infatti, l'Autore dichiari, nelle battute iniziali della prefazione, di non essere nell'opinione di coloro i quali riguardano la storia come «maestra della vita e dispensatrice della civile sapienza» (71), in realtà poi egli, attraverso una ricerca diligente e vasta, scrive una vera storia. In essa indaga le ragioni del «mito» di San Marino, di come cioè un piccolo stato abbia mantenuto nel tempo la propria libertas e serbato l'antica e prediletta forma repubblicana, tanto da assurgere a modello politico agli inizi del Seicento con Traiano Boccalini, Lodovico Zuccolo e Matteo Valli. Sotto tale aspetto dunque scrivere la storia della piccola Repubblica era tutt'altro che inutile, perché essa avrebbe mostrato le vicende di un popolo che poteva costituire «un esempio degno d'imitazione» (72). Questa «rivalutazione» dell'esperienza storica (73) appare quanto meno strana in un pensatore considerato da alcuni l'espressione più radicale dell'antistoricismo italiano (74).  Nei Pensieri Delfico affronta il problema della conoscenza storica in tutta la sua interezza ed estensione, per stabilire «se la scienza di ciò che fu, debba preferirsi a quella dell'esistenza» (75). Con quest'opera esprime l'esigenza, già manifestata nell'Elogio al Grimaldi, di una storia utile, che indaghi e interroghi il passato in funzione del presente. Ma perché questo avvenga è necessario ideare un nuovo modo di fare storia. Alla tradizione storiografica, infatti, egli rimprovera l'uso di sistemi metodologici inadeguati e parziali che sarebbe la causa della mancata conoscenza del passato. Come e più di Fontenelle, Voltaire, d'Alembert, Rousseau, Condorcet, Volney, delle cui Leçons d'histoire (76) risente la stesura dei Pensieri (77), nega che le ricostruzioni dei fatti fino ad allora condotte siano state in grado di riprodurre fedelmente la verità storica. E se priva di certezza, la storia non presenta alcuna vera utilità per il genere umano. Egli si pone principalmente il problema della manière d'écrire l'histoire, proprio della storiografia illuministica. A tal fine, denuncia deficienze e manchevolezze che ancora permangono negli studi storici e lamenta che la proliferazione incontrollata degli stessi abbia dato luogo ad una loro stagnazione piuttosto che a un ripensamento critico dei principi e dei criteri della pratica storiografica. Occorre distogliere l'analisi storica dal proporre il «secco e nudo racconto» di pochi avvenimenti, per indurla a valutare le circostanze nel loro complesso, ad indicare i rapporti che intercorrono tra gli effetti e le loro cause. Essa dovrebbe consistere in un'esposizione analitica di fatti gli uni dipendenti dagli altri, per scorgere come dai primi e più semplici siamo gradatamente giunti alle attuali positive cognizioni, di modo che «mostrandoci i due estremi c'indicherebbe più facilmente la strada da percorrere, per andare in cerca delle altre verità desiderose di venire alla luce» (78). Così concepita, l'indagine storica permetterebbe di recuperare positivamente l'eredità del passato, che cesserebbe di appartenere alla memoria per divenire una componente integrante del processo storico contemporaneo. Una convinzione, questa, che trova conferma in un successivo scritto delficino del 1824, Discorso preliminare su le origini italiche (79), in cui viene ribadita l'opportunità di interrogare il passato e «registrare i fatti del tempo» in funzione dei bisogni presenti. Quest'azione di cerniera tra il tempo andato e quello avvenire rappresenta l'aspetto più interessante della storia. Essa la pone su un piano di parità con le altre scienze a cui l'accomuna il merito di protendere al miglioramento fisico e morale dell'uomo. Ma perché la ricerca storica possa adempiere a queste funzioni conoscitive si richiede che essa sia «qual non esiste», cioè una disciplina nuova, ancora intentata, che Delfico chiama anche «storia delle scienze». Le cognizioni storiche perdono allora il carattere di sterile nozionismo, che hanno sempre avuto, e acquistano un valore intrinseco: «Sobriamente conoscendo quel che fu», afferma a conclusione della sua opera, «potremo facilitarci la strada a saper ampiamente quel che è» (80).  Un atteggiamento polemico egli assume anche nei confronti delle mitologie la cui origine sarebbe dovuta a superstizione, ad ignoranza o ad incapacità di fornire una spiegazione razionale a fenomeni naturali. È il caso degli incantatori di serpenti e del loro presunto potere antiofidico, contro cui egli insorge in una Lettera di poche pagine, senza titolo, inserita a guisa di nota nel VI tomo degli Annali del Regno di Napoli di Francescantonio Grimaldi (81) e rimasta a lungo sconosciuta agli studiosi (82). La dissertazione, che si colloca nel filone della letteratura illuministica di confutazione delle superstizioni, è una dura requisitoria contro gli «impostori» serpari, i quali spacciano per miracoli e portenti ciò che in realtà non avrebbe nulla di prestigioso ma sarebbe solo il risultato o di una conoscenza particolare delle caratteristiche dei serpenti o di effetti naturali.  Una diversa considerazione, invece, egli ha dei cosiddetti «favoleggiatori». Come il «virtuoso» Socrate e il «divino» Platone, Delfico tiene in grande considerazione il racconto allegorico. Quando ancora lo spirito umano, afferma nel Discorso sulle favole esopiane del 1792 (83), non aveva maturato le sensazioni e le esperienze necessarie per poter generalizzare le idee ed esprimerle con precisione e proprietà di linguaggio, fu naturale che i primi pensieri morali, il sentimento di giustizia, le nozioni di bene e di male e molti altri concetti fossero acquisiti attraverso gli apologhi, che divennero così «la morale dell'infanzia dell'umanità». La loro utilità non verrebbe meno neppure nei tempi moderni dal momento che gli apologhi, se convenientemente scelti, possono giovare non soltanto ai giovani ma anche a quella parte del popolo che, ancora vittima dell'«errore» e del «pregiudizio», si trova in uno stato «più infelice» (84) di quello dei secoli remoti.  Il ritorno a Napoli dei Francesi, nel febbraio del 1806, viene salutato come l'inizio di una nuova stagione politica. Esso rappresenta per lo scrittore teramano quell'inversione di rotta che «era ormai tempo che si facesse» (85) e che lo induce a riportarsi, nel giugno di quell'anno, dopo sette anni di esilio sammarinese, nella capitale partenopea dove farà parte, per quasi un decennio, della nuova amministrazione francese. Nell'età napoleonica egli intravede la possibilità di un recupero di quello «spirito di ragione e di moderazione», a cui riteneva necessario ricondurre la politica dopo la crisi di fine secolo e che costituiva l'unica via possibile di sviluppo, sia contro gli eccessi dei rivoluzionari, sia contro le intemperanze dei reazionari.  Nominato da Giuseppe Bonaparte consigliere di Stato (3 giugno 1806), Delfico viene assegnato alla sezione delle Finanze, per poi passare nel 1809 alla presidenza della sezione dell'Interno, divenendo uno dei quattro presidenti del Consiglio di Stato. Regge più volte ad interim il ministero dell'Interno, facendo parte delle Commissioni per le lauree, per le pensioni, per le riforme del Codice civile, per la procedura delle cause feudali in Cassazione, per la riforma della pubblica istruzione, per la ripartizione dei demani, per la vendita dei beni dello Stato. Presidente della Commissione degli Archivi generali del Regno, nominato commendatore dell'ordine delle Due Sicilie, nel 1815 viene insignito da Gioacchino Murat del titolo di Barone (86).  I numerosi incarichi di responsabilità non lo distolgono dalla tensione intellettuale, tutta incentrata sullo studio della fisiologia e di altre fisiche cognizioni. Evidente appare il suo debito nei confronti di Pierre-Jean-Georges Cabanis (1757-1808), sostenitore della sensibilità fisica quale fondamento dell'attività umana. Delle teorie dei Rapports du physique et du moral de l'homme (1802), l'opera più importante del filosofo francese, risentono soprattutto le Ricerche su la sensibilità imitativa considerata come il principio fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli e delle Nazioni del 1813 (87) e la Memoria su la perfettibilità organica considerata come il principio fisico dell'educazione con alcune vedute sulla medesima del 1814, cui segue, l'anno successivo, la Seconda memoria (88). Del 1818 sono, infine, le Nuove ricerche sul Bello (89), pubblicate a Napoli da Agnello Nobile.  Con la restaurazione dei Borboni, nel 1815, Delfico dirada il suo impegno nella vita politica. Ciò nonostante, all'indomani dello scoppio insurrezionale del 1820, Ferdinando I gli affida l'incarico di tradurre la Costituzione spagnola del 1812 e subito dopo, il 9 luglio 1820, lo nomina (assieme ad altri 14) membro della Giunta provvisoria di governo, chiamata a sostituire il Parlamento fino al suo insediamento. Successivamente sarà uno degli 89 deputati di quel Parlamento che, costituitosi il 1° ottobre 1820, vivrà solo fino al marzo 1821, quando Ferdinando I chiederà l'intervento austriaco per porre fine all'esperienza costituzionale e dar vita ad un nuovo governo reazionario. Deluso, decide di allontanarsi definitivamente dagli ambienti governativi.  Dopo il crollo del dominio francese in Italia, egli teme non soltanto la rivalsa delle forze reazionarie ma anche (soprattutto) che si interrompa quel processo di sviluppo economico e di trasformazione sociale, avviato dai Napoleonidi (90), che lentamente stava facendo risorgere il Paese. Nell'azione di ripristino dell'antico, che si svolge all'insegna della ricomposizione della vecchia alleanza tra trono e altare, il Teramano vede profilarsi la minaccia di rendere il mondo «stazionario» se non addirittura di farlo a grandi passi o salti «retrogradare». Un'ipotesi resa, a suo avviso, ancora più probabile da letture ideologicamente distorte di grandi autori, non ultimo Niccolò Machiavelli, che alimentano l'esistenza di pregiudizi dei quali ci si serve per sostenere fini politici particolari. Questo clima è per Delfico l'occasione (o forse soltanto il pretesto) per una rilettura del «gran politico pensatore», di cui in gioventù aveva subìto qualche influenza. Scrive così, agli inizi degli anni venti dell'Ottocento, le Osservazioni sopra alcune dottrine politiche del Segretario fiorentino (91), nate dall'esigenza di confrontarsi con Machiavelli intorno ad alcuni temi, come la religione, la libertà, il problema costituzionale, l'uguaglianza, per smascherare alcuni pregiudizi che si sarebbero formati sotto la sua «potente autorità» (92), senza tuttavia tralasciare alcune sue verità che potrebbero risultare ancora utili per le civili società. Da questo confronto fuoriescono talora divergenze più o meno accentuate o giudizi critici, ma anche affinità e valutazioni positive.  Dell'«illustre autore» Delfico sottolinea il realismo politico e l'aderenza alla realtà effettuale. Egli guarda il Principe non come un'astratta speculazione politica, bensì come uno scritto d'occasione contenente una particolare proposta operativa, in relazione ad un obiettivo politico contingente, qual è la rigenerazione dell'Italia. Senza farne a tutti i costi un precorritore del Risorgimento o un assertore dell'unità nazionale, secondo un'interpretazione del Fiorentino allora assai diffusa, egli ammira in lui la «viva passione», la disperata ricerca di soluzioni politiche capaci di porre fine alla grave crisi della società italiana del Cinquecento. Ma la condizione di immobilismo e di decadenza politica e civile dell'Italia, per la quale Machiavelli suggerisce la soluzione del Valentino quale liberatore degli Stati italiani, non porta lo scrittore teramano a condividere interamente tutte le tesi del Segretario fiorentino: «Se si possono giustificare le sue intenzioni, e la persona» afferma «questo non vale per le sue dottrine» (93). Infatti, se da un lato egli comprende le preoccupazioni di Machiavelli e fa proprie le sue speranze di una prossima rigenerazione, attuabile quest'ultima solo attraverso mezzi eccezionali, dall'altro manifesta più di una perplessità di fronte al suo realismo politico, non riuscendo di fatto ad accettare la dissociazione machiavelliana tra etica e politica e il principio che «per regnar tutto lice» (94).  Divergenze emergono anche dal tentativo che Delfico in seguito compie di ricondurre il pensiero machiavelliano ai tempi presenti per poi valutarlo sulla base delle proprie convinzioni ed esperienze storiche, politiche e culturali maturate tra il XVIII e il XIX secolo. Molte sono tuttavia le idee del Fiorentino che considera ancora valide e attuali, come l'identificazione dell'origine dei conflitti sociali con l'ineguaglianza giuridica ed economica, l'assoluta inconciliabilità tra gli «umori» del popolo e quelli dei grandi (95) o la condanna del ruolo antisociale dei «gentiluomini», di quegli uomini cioè che, «oziosi», vivono dei proventi dei loro ingenti possedimenti (96). Ma, soprattutto, riconosce a Machiavelli il merito di aver legato la «questione militare» alla «questione politica», di aver ritenuto la soluzione dell'una imprescindibile da quella dell'altra. Tale correlazione presuppone ed implica un nuovo rapporto tra governanti e governati basato sul reciproco impegno, da parte del popolo, di assicurare la propria «affezione» allo Stato, così da garantirgli una maggiore stabilità; da parte dei governi, di soddisfare le aspirazioni dei sudditi, migliorandone le condizioni. Lo sviluppo di questo vincolo, che con assoluta originalità Delfico fa derivare dal nesso tra dimensione militare e dialettica politica, è concepito all'interno di una monarchia costituzionale, considerata la forma più «conveniente all'Umanità ed ai veri bisogni sociali», la giusta soluzione tra rivoluzione e reazione. L'emanazione di una carta costituzionale, di cui aveva manifestato l'esigenza sin dai primi anni della rivoluzione francese, risponde soprattutto all'esigenza di assicurare l'uguaglianza politica e la tutela dei diritti individuali dei cittadini, garantendo loro la sicurezza reale e personale.  Nel maggio del 1822 Delfico torna a Teramo, ma nell'autunno successivo si reca di nuovo a Napoli dove rimane per alcuni mesi, fino alla primavera del 1823, quando lascia la Capitale per non farvi più ritorno. Nel capoluogo abruzzese, dove trascorre il resto della sua vita, senza mai più allontanarsi, l'anziano scrittore continua a studiare e a scrivere. Fra i lavori di questi anni (alcuni dei quali ancora inediti e, di questi, molti non terminati o soltanto abbozzati e frammentari) ricordiamo la memoria Della importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche allo studio della filosofia intellettuale del 1823 (97), in cui ribadisce la sua concezione materialistica della conoscenza e concepisce la ragione come strumento critico e operativo, che non deve tuttavia ostinarsi ad indagare l'essenza delle cose e tutto ciò che non può realmente conoscere ma rivolgersi alle cose utili e necessarie al benessere e alla felicità del genere umano, e gli scritti sulla numismatica pubblicati a Teramo dai tipi Ubaldo Angeletti nel 1824 con il titolo Della antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con un discorso preliminare su le origini italiche (98).  Non verrà meno neppure il suo impegno riformatore che lo porterà ad interessarsi di Pescara in due scritti, dal titolo Fiera franca in Pescara del 1823 e Breve cenno sul progetto di un porto da costruirsi alla foce del fiume Pescara del 27 aprile 1825 (99), con i quali si prefigge di rivitalizzare le attività produttive in questa zona ancora poco sviluppata del Regno. Decisivo gli appare a tal proposito un rilancio del commercio, considerato «la sola sorgente inesausta della ricchezza e floridezza delle Provincie» (100), non senza però aver prima creato le condizioni e le strutture necessarie per facilitarlo. Una di queste potrebbe essere la realizzazione di un grande emporio o fiera franca, che non solo ridurrebbe sensibilmente le frodi e il contrabbando, ma assicurerebbe un notevole afflusso di merci, di provenienza anche straniera, senza l'imposizione di alcun dazio di importazione, che eviterebbe ai negozianti, ai mercanti e a molti proprietari abruzzesi di rivolgersi, non senza grave danno, ai mercati dello Stato pontificio di Fermo, di Ascoli o a quello più grande e lontano di Senigallia. Tutto ciò non farebbe che ripercuotersi favorevolmente sul commercio che potrebbe così finalmente «divenir attivo» (101) e moltiplicare i capitali e far nascere nuove attività economiche o migliorare e accrescere quelle esistenti.  La creazione di uno moderno scalo marittimo alla foce del fiume Pescara costituisce l'oggetto della riflessione che Delfico conduce nel Breve cenno. L'idea che il «mare anziché separare riavvicini le Nazioni fra loro» (102), permettendo infinite comunicazioni tra i popoli, costituisce la determinazione dalla quale lo scrittore teramano muove per sostenere l'utilità che la creazione di un porto sicuro per i naviganti rivestirebbe per l'incremento del commercio e per lo sviluppo economico in generale. La scelta di Pescara quale centro di scalo portuale trova giustificazione nel fatto di avere la cittadina adriatica il fiume con la foce più ampia e di essere «punto centrale nel litorale degli Abruzzi», crocevia delle tre principali strade, l'una diretta verso Napoli, le altre, entrambe costiere, in direzione la prima verso lo stato pontificio, la seconda verso le province meridionali. Non solo, ma sarebbe anche l'unico porto ad avvalersi di una «piazza forte» che renderebbe sicuro il trasporto e la conservazione delle merci. Così il porto di Pescara potrebbe riacquistare quell'importanza che aveva avuto un tempo quando era conosciuto con il nome di Ostia Aterni e gli imperatori romani vi avevano fatto confluire le tre strade, la Claudia, la Flaminia e la Frentana per agevolarne gli scambi commerciali (103).  A metà degli anni Venti un libro anonimo, dal titolo La vérité sur les cent jours, principalement par rapport à la renaissance projetée de l'Empire Romain, par un Citoyen de la Corse (H. Tarlier, Bruxelles 1825), di cui uscirà nel 1829 una traduzione italiana incompleta dal titolo Delle cause italiane nell'evasione dell'imperatore Napoleone dall'Elba, con la falsa indicazione del luogo e dell'editore del testo originale, riferisce di una congiura che sarebbe stata ordita nel 1814 da alcuni italiani per affidare la corona d'Italia a Napoleone Bonaparte. Dei presunti cospiratori, rimasti anonimi nel libro, l'Autore fa il nome soltanto del conte Luigi Corvetto (1756-1821), «justement regardé comme un des meilleurs jurisconsultes de Gênes» e di Melchiorre Delfico, «un des hommes les plus vertueux de l'Italie», ritenendoli, erroneamente, entrambi deceduti. Al Teramano viene anche attribuita la stesura di un Rapport adressé à S. M. l'empereur Napoléon à l'île d'Elbe, par le principal émissaire en Italie, datato Napoli 14 ottobre 1814 (104), sulle condizioni politiche e morali dei vari Stati italiani, che sarebbe dovuto servire all'imperatore francese per meglio valutare le possibilità di successo dell'impresa. Ma nessuna conferma in proposito è mai venuta dalle carte delficine, né da successive ricerche, per cui ancora oggi l'ipotesi di una partecipazione del Nostro al progetto resta legata a quest'unica notizia.   Nel 1829 Delfico pubblica la lettera Della preferenza de' sessi (105) alla contessa Chiara Mucciarelli Simonetti in cui riprende i temi della condizione ed emancipazione della donna affrontati in gioventù nel Saggio filosofico sul matrimonio. Trascorre gli ultimi anni della vita continuando a coltivare i suoi interessi intellettuali. A questo periodo risalgono i suoi studi sulla scienza medica testimoniati da numerose pagine, ancora inedite, conservate presso il «Fondo Delfico» della Biblioteca Provinciale di Teramo, e la stesura di alcuni manoscritti di cui uno dal titolo Sugli antichi confini del Regno e un altro dal titolo Sull'origine e i progressi delle Società civili che invia al marchese aquilano Luigi Dragonetti, il quale ne caldeggia la pubblicazione, ma invano perché il suo autore intende «rivederlo» (106). Nel 1832 riceve la visita di Ferdinando II, in giro per le regioni del Regno, e viene insignito, l'anno successivo, dell'onorificenza di Commendatore dell'Ordine di Francesco I. Nel capoluogo abruzzese Delfico muore il 21 giugno 1835.  Dopo la notorietà di cui aveva goduto in vita, alla sua morte Delfico cade in un lungo e ingiustificato oblio. Uscito grazie a Giovanni Gentile (107) dal ristretto ambito locale, che lo aveva reso per tutto l'Ottocento un autore sostanzialmente sconosciuto, e proiettato in una dimensione più ampia, nazionale, Delfico è oggetto di una diversa considerazione a partire dal secondo dopoguerra. Una rivalutazione che si determina in coincidenza con il rinnovato interesse storiografico per la cultura e la storia del Settecento e, in particolare, per alcune esperienze intellettuali e politiche significative dell'illuminismo italiano (108). Merito di questa storiografia è quello di aver ricondotto e legato il riformismo delficino all'esperienza e al fervore culturale del movimento riformatore napoletano della seconda metà del XVIII secolo. Una lettura che ha privilegiato il Delfico «riformatore», la sua fase riformistica, contrapponendosi alle rivisitazioni critiche precedenti, sia della storiografia neoidealistica che del ventennio fascista (109). Di recente, nuove linee interpretative stanno approfondendo altre fasi fondamentali della biografia intellettuale di Melchiorre Delfico (alcune delle quali scarsamente scandagliate), come quella relativa al decennio rivoluzionario 1789-1799 o quelle che contrassegnano la sua evoluzione, agli inizi dell'Ottocento e durante gli anni della Restaurazione, da riformatore nutrito dell'illuminismo napoletano a filosofo della storia e della politica.  _______________  (1) Era nato il 1° agosto 1744 in un paesino vicino Teramo, Leognano, dove i genitori, Berardo e Margherita Civico, si erano rifugiati durante l'invasione austriaca del Regno di Napoli. Morirà a Teramo il 21 giugno 1835, all'età di novantun anni. Per le notizie biografiche, la migliore fonte resta quella del nipote G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico. Libri due, Angeletti, Teramo 1836, arricchita di un'elencazione degli scritti editi ed inediti del Nostro (alcuni dei quali successivamente pubblicati), nonché di quelli non terminati e dei frammenti. Rimasta incompiuta, l'opera continuò sul «Giornale abruzzese di scienze lettere e arti», a. VI (1841), vol. XVIII, n. LIV, pp. 147-173  e  a. VII (1843), vol. XXI, n. LXIII, pp. 129-153, col titolo Notizie intorno alle opinioni filosofiche ed alle opere di Melchiorre Delfico e, sempre sulla stessa rivista, a. VII (1843), vol. XXII, n. LXVI, pp. 163-171, col titolo Notizie sulla vita e sulle opere di Melchiorre Delfico.  (2) Molti degli amici e dei discepoli del Genovesi furono abruzzesi. Fra loro ricordiamo, oltre ai fratelli Giamberardino, Gianfilippo e Melchiorre Delfico, il teatino Romualdo de Sterlich, Tommaso Maria Verri di Archi, Giuseppe De Sanctis di Penne, l'aquilano Giacinto Dragonetti, Giovanni Alò di Roccaraso, il teramano Giammichele Thaulero e Troiano Odazi di Atri, che nel 1781 successe al Maestro nella cattedra di economia. Sulla presenza anche in Abruzzo di quello che è stato definito il «partito genovesiano», cfr. G. De Lucia, Abruzzo  borbonico. Cultura, società, economia tra Sette e Ottocento, Cannarsa, Vasto 1984, pp. 23-31 e 46-49; U. Russo,  Studi sul Settecento in Abruzzo, Solfanelli, Chieti 1990, pp. 25-31 e 53-63.  (3) F. Diaz, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli, Il Mulino, Bologna 1986, p. 317.  (4) Sul riformismo borbonico, cfr. F. Valsecchi, Il riformismo borbonico in Italia, Bonacci, Roma 1990, pp. 103-155;  I Borbone di Napoli e i Borbone di Spagna, a cura di M. Di Pinto, Guida, Napoli 1985, vol. I; E. Chiosi, Il Regno dal 1734 al 1799, in Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Edizioni del Sole, Roma 1986, pp. 373-467, e la sintesi di a. M. Rao, Il riformismo borbonico a Napoli, in Storia della società italiana, vol. 12, Il secolo dei lumi e delle riforme, Teti, Milano 1989, pp. 215-290,  e la ricca bibliografia in essa contenuta.  (5) Lo scritto, dedicato a Bartolomeo Intieri e pubblicato assieme al Ragionamento sopra i mezzi più necessari per far rifiorire l'agricoltura dell'abate Ubaldo Montelatici colla Relazione dell'erba orobanche detta volgarmente succiamele e del modo di estirparla di Pier-Antonio Micheli, uscì a Napoli nel 1753.  (6) A. Genovesi, Lettere accademiche su la questione se sieno più felici gl'ignoranti che gli scienziati (Napoli 1764), Lettera XI, in Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di G. Savarese, Feltrinelli, Milano 1962, p. 497.  (7) Per una valutazione dell'influenza di Pietro Giannone sulla cultura napoletana del XVIII secolo oltre al lavoro sempre valido di L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento. Lo svolgimento della coscienza politica del ceto intellettuale del regno, Laterza, Bari 1950, cfr. G. Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano-Napoli 1970; Pietro Giannone e il suo tempo, a cura di R. Ajello, Jovene, Napoli 1980, 2 voll., sp. il contributo di E. Chiosi, La tradizione giannoniana nella seconda metà del Settecento, vol. II, pp. 744-780.  (8) Sulla posizione di Genovesi nei confronti dell'autorità temporale e dottrinale della Chiesa, cfr. E. Pii, Antonio Genovesi. Dalla politica economica alla «politica civile», Olschki, Firenze 1984, p. 158 sgg.; G. Galasso, La filosofia in soccorso de' governi. La cultura napoletana del Settecento, Guida, Napoli 1989, p. 383 sgg.  (9) Le due Memorie, dal titolo Intorno a' dritti sovrani di Napoli sulla città di Benevento e Saggio istorico delle ragioni dei Sovrani di Napoli sopra la città d'Ascoli d'Abruzzo oggi nella Marca, furono commissionate a Delfico dall'avvocato della Corona Ferdinando De Leon. Della prima, tuttora inedita, esiste una copia autografa presso l'Archivio di Stato di Teramo, «Fondo Delfico», b. 16, fasc. 178, dal titolo Del territorio beneventano. La seconda, invece, fu pubblicata la prima volta su «La Rivista abruzzese di scienze e lettere» nel 1890 (a. V, fasc. I, pp. 22-30; fasc. III-IV, pp. 142-168; fasc. V-VI, pp. 248-261; fasc. VII, pp. 305-322 e fasc. VIII, pp. 358-365), preceduta dalle Notizie di L. Volpicella sulle vicende del manoscritto. Il Saggio istorico è stato riedito nelle Opere complete, vol. III, Fabbri, Teramo 1903, pp. 9-80. La raccolta, che non esaurisce tutti gli scritti delficini (alcuni dei quali pubblicati successivamente, altri ancora inediti), esce a Teramo dal 1901 al 1904, in quattro volumi, a cura di G. Pannella e L. Savorini.  (10) M. Delfico, Del territorio beneventano, cit., p. 17.  (11) F. Venturi, Introduzione ai Riformatori napoletani, t. V degli Illuministi italiani, Ricciardi, Milano-Napoli 1962, p. XVI.  (12) G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 11.  (13) M. Delfico, Memoria autobiografica, inedita, conservata presso la Biblioteca Provinciale di Teramo, fondo «Manoscritti Delfico», Misc. 3, n. 846.  (14) M. Delfico, Saggio filosofico sul matrimonio, in  Opere complete, cit., vol. III,  p. 126.  (15) A. Garosci, San Marino. Mito e storiografia tra i libertini e il Carducci, Edizioni di Comunità, Milano 1967, p. 167.  (16) Lettera di Delfico a Luigi Dragonetti del 10 luglio 1826, in Spigolature nel carteggio letterario e politico del march. Luigi Dragonetti, a cura del marchese G. Dragonetti suo figlio, Uffizio della Rassegna Nazionale, Firenze 1886, p. 122. La lettera è stata riedita nelle Opere complete, cit., vol. IV, p. 54.  (17) M. Delfico, Indizi di morale, in Opere complete, cit., vol. I, p. 36.  (18) Sull'ambiguità concettuale di tale espressione cfr. M. Bazzoli, Il pensiero politico dell'assolutismo illuminato, La Nuova Italia, Firenze 1986, pp. 1-24; L. Guerci, L'Europa del Settecento. Permanenze e mutamenti, Utet, Torino 1988, pp. 501-508.  (19) M. Delfico, Indizi di morale, cit., pp. 48-49.  (20) Ivi, p. 47.  (21) Per una ricostruzione dell'intera vicenda rinvio a V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano (1777-1798). L'attività di Melchiorre Delfico presso il Consiglio delle Finanze, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1981, pp. 71-85.  (22) L'espressione è ricorrente nella Relazione di Mons. Luigi Pirelli alla Sacra Congregazione del Concilio del 14 febbraio 1778, in V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 86-99.  (23) Cfr. M. Delfico, Discorso sullo stabilimento della milizia provinciale, in Opere complete, cit., vol. III, pp. 164-165.  (24) F. Venturi, Nota introduttiva (a M. Delfico), in Riformatori napoletani, cit., p. 1168.  (25) Favorevole nel 1783 ad un più moderno sviluppo dell'attività risiera per una ripresa economica della sua provincia, Delfico assumerà alcuni anni più tardi un atteggiamento decisamente contrario alla risicoltura. Su tale mutamento, cfr. V. Clemente, Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: le risaie atriane (1734-1831), in «Itinerari», a. XXIV (1985), n. 1-2-3, pp. 21-154.  (26) M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, presso Vincenzo Orsino, Napoli 1784, in Opere complete, cit., vol. III, pp. 222-260.  (27) Delfico ammira soprattutto la Vita di Ansaldo Grimaldi (Napoli 1769), poiché in essa l'Autore era riuscito a saldare la vicenda dell'uomo di Stato genovese con la storia politica dello Stato stesso e a far vedere come la mancanza di costituzioni e di leggi fondamentali tenesse lo Stato «in continua rivoluzione» (Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 235).  (28) M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 245.  (29) J.-J. Rousseau, Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les hommes (1754), in Oeuvres complètes,  vol. III, Gallimard,  Paris 1964, p. 193.  (30) M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 253.  (31) Su tale associazione, fondata il 1° maggio 1776 ad Ingolstadt da Adam Weishaupt, cfr. C. Francovich, Gli Illuminati di Baviera, in Storia della massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. 309-334.  (32) Alcune lettere sono state pubblicate nel quarto volume delle Opere complete di Delfico, cit., pp. 154-162; altre sono apparse nel primo volume di Aus dem Briefwechsel Friedrich Münters. Europäische Beziehungen eines dänischen Gelehrten 1780-1830, herausgegeben von Ø. Andreasen, Erster Teil, P. Haasse, Kopenhagen-Leipzig 1944, pp. 215-220. Due di queste ultime sono state riprodotte in appendice al libro di A. Di Nardo, Storia e scienza in Melchiorre Delfico. (Studi e ricerche), Libera Università Abruzzese degli Studi «G. D'Annunzio», Facoltà di Lettere e Filosofia, Chieti 1978, pp. 154-155 e 157-160, il quale ha pubblicato altre lettere di Delfico a Münter, assieme ad alcune lettere di Delfico alla sorella del Danese Federica Brun (ivi, pp. 140-166). Altre, ancora inedite, sono conservate presso la Biblioteca Provinciale di Teramo.  (33) M. Delfico, Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie confinanti del Regno, Porcelli, Napoli 1785, ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 265-323.  (34) G. Solari, Studi su Francesco Mario Pagano, a cura di L. Firpo, Giappichelli, Torino 1963, p. 201. Sullo stesso piano l'Autore pone l'altro scritto di Delfico, Memoria sulla libertà del commercio, e l'opera sull'Annona di Domenico Di Gennaro, duca di Cantalupo, pubblicata anonima a Palermo nel 1783.  (35) M. Delfico, Memoria sul Tribunal della Grascia, cit., p. 279.  (36) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia e su la necessità di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna temporanea riforma, Napoli 1788, ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 359-396.  (37) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia, cit., p. 370.  (38) Il testo è stato pubblicato da L. Tossini, Una lettera inedita di Melchiorre Delfico a Michele Torcia, in «Nord e Sud», a. XXIV (1977), terza serie, n. 31-32, pp. 191-199. La lettera è datata Teramo, 7 ottobre 1784.  (39) Scritta tra il 1789 e il 1790, su invito dell'Accademia di Padova agli scrittori italiani di occuparsi del problema della libertà di commercio, la Memoria fu stampata la prima volta nel 1805 a Milano, presso Destefanis, nel t. XXXIX della raccolta Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi. L'opuscolo è stato recentemente riedito (De Petris, Teramo 1985) con un'introduzione di M. Finoia. Sul problema Delfico tornerà alcuni anni dopo con il Ragionamento su le carestie, in cui apporta alcune «modificazioni e moderazioni» al principio della libertà assoluta e illimitata di commercio, auspicando nel mercato l'intervento diretto dello Stato, cui riconosce il compito di prevenire il «terribile flagello» delle carestie e di altri simili avvenimenti. Il testo, letto il 1° dicembre 1818 nella Reale Accademia delle Scienze di Napoli e pubblicato nel 1825 negli Atti dell'Accademia stessa (vol. II, parte I, pp. 3-43), è stato riedito a Teramo nel 1985 assieme alla Memoria sulla libertà del commercio.  (40) Se, dopo varie insistenze, all'inizio del 1788 ottiene, come aveva richiesto due anni prima nella Memoria per il ristabilimento del Tribunale Collegiato nella Provincia di Teramo (in V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 255-257), il ripristino a Teramo di detto Tribunale, in luogo dei magistrati unici, più agevolmente portati all'abuso del potere, non altrettanta fortuna incontreranno invece le sue richieste sia di abolizione della servitù degli Stucchi, del 1786, sia di istituzione di una Università degli Studi a Teramo ad indirizzo «fisico» ed orientamento laico, avanzata agli inizi di maggio del 1788. Sugli sviluppi delle iniziative delficine si vedano R. Di Antonio, Stucchi e Doganelle nel teramano, Libera Università Abruzzese degli Studi «G. D'Annunzio», Facoltà di Scienze Politiche, Teramo 1978, pp. 7-24, la quale pubblica in appendice la Memoria sugli Stucchi e le Memorie su di un nuovo sistema per le Doganelle, e G. Carletti, Introduzione a M. Delfico, Una «piccola» Università a Teramo, Quaderni dell'Università di Teramo, Teramo 1999, n. 6, pp. 3-7.  (41) La Memoria è pubblicata in appendice al volume di a. M. Rao, L'«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione feudale a Napoli alla fine del '700, Guida, Napoli 1984, pp. 349-367.  (42) M. Delfico, Memoria per la vendita de' beni dello Stato d'Atri, cit., p. 354.  (43) Memoria delficina, rimasta interrotta e tuttora inedita, conservata presso la Biblioteca Provinciale di Teramo, fondo «Manoscritti Delfico», Ined., n. 402.  (44) In Lombardia Delfico si trattenne fino al mese di giugno del 1789 per poi trasferirsi prima a Verona, dove rimase due mesi, e in seguito a Vicenza, Padova, Venezia e Ferrara, finché nel novembre del 1789 rientrò in patria. Su questo viaggio e sui legami di amicizia che ebbe modo di stringere e di rinsaldare, cfr. G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 25 sgg.  (45) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 403-431.  (46) L'opera, che provocò subito «molto chiasso», sia per le reazioni della classe togata, sia per gli elogi che ricevette da più parti, fu pubblicata a Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, nel 1791 e fu ristampata a Firenze nel 1796 e una terza volta di nuovo a Napoli nel 1815.  (47) C. Ghisalberti, La giurisprudenza romana nel pensiero di Melchiorre Delfico, in «Rivista italiana per le scienze giuridiche», a. VIII (1954), vol. VII, parte II,  p. 432.  (48) M. Delfico, Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana, in Opere complete, cit., vol. I, pp. 225 e 105.  (49) Troiano Odazi (1741-94), nativo di Atri, in provincia di Teramo, fu tra i maggiori economisti napoletani della seconda metà del Settecento. Allievo del Genovesi, nel 1768 ne curò l'edizione milanese Delle lezioni di commercio o sia d'economia civile. Nominato nel 1779 professore di Etica nel Reale convitto della Nunziatella, nell'ottobre del 1781 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Economia e Commercio che era stata del Genovesi e rimasta vacante per diversi anni. Esponente della massoneria napoletana, fu coinvolto nel fatti del '94. Arrestato, morì suicida nelle carceri della Vicaria il 20 aprile di quell'anno. Sulla fine dell'Odazi, cfr. G. Beltrani, Don Trojano Odazi. La prima vittima del processo politico del 1794 in Napoli, in «Archivio storico per le province napoletane», a. XXI (1896), fasc. I, pp. 853-867.  (50) B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, Bari 19264, p. 24.  (51) Sulle tappe di questo viaggio, cfr. G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., pp. 38-46.  (52) Si veda la lettera di Delfico a Fortis del 9 gennaio 1797 da Teramo, in M.G. Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico, in «Rassegna della letteratura italiana», a. 87 (1983), serie VIII, n. 3, p. 419.  (53) L'ipotesi di una partecipazione al concorso origina da De Filippis-Delfico, il quale riporta tra le opere delficine «non-terminate» (cfr. Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 122), un opuscolo di 26 pagine privo di intestazione e da lui intitolato Sul quesito: Quale sia il miglior de' governi per l'Italia?, anche se poi nessuna notizia, sia in merito a questo testo sia relativa al concorso, fornisce nella ricostruzione biografica dell'Autore. Su questo aspetto si veda G. Carletti, A proposito di un'anonima dissertazione. Note sulla presunta partecipazione di Melchiorre Delfico al concorso del 1796, in «Trimestre», a. XXXII (1999), n. 3-4, in corso di pubblicazione.  (54) Sono del 1797 le delficine Memoria per la Decima imposta al Regno; Memoria intorno a' danni sofferti nella provincia di Teramo dalla cattiva monetazione dello Stato pontificio, e de' mezzi opportuni da ripararli ed infine Osservazioni su la nuova monetazione dello Stato papale per rapporto al commercio delle provincie confinanti del Regno, ancora tutte inedite.  (55) Lettera di Delfico a Fortis del 7 novembre 1793, in M.G. Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico, cit.,  pp. 415-416. Il vescovo a cui allude è Luigi Maria Pirelli (1740-1820), nobile di Ariano, religioso dell'Ordine dei Regolari teatini, vescovo di Teramo dal 1777 al 1804 e sin dal suo arrivo avverso alla famiglia Delfico. Nella Relazione risponsiva alle accuse, del 18 dicembre 1793 (pubblicata da L. Tossini, Autodifesa di un illuminista, in «Archivio storico per le province napoletane», terza serie, a. XVI (1977), pp. 86-97), egli era costretto a difendere la propria reputazione dinanzi al Supremo Consiglio a causa di «vaghe» e «calunniose imputazioni» di qualche delatore. La denuncia del '93, pur non avendo gravi conseguenze, riuscì tuttavia ad impedire che Delfico succedesse al fratello nella presidenza della Società Patriottica di Teramo. Nel 1794 una nuova denuncia anonima era stata all'origine del rifiuto del Supremo Consiglio di accogliere la richiesta del Teramano del titolo di conte. Non avrebbe ottenuto il titolo neppure in seguito, ma con decreto del 25 marzo 1815 Gioacchino Murat gli avrebbe conferito quello di barone.  (56) Il pretesto è fornito da alcune lettere «rivoluzionarie» sequestrate ad una loro domestica, da poco licenziata, mentre faceva ritorno ad Ascoli Piceno. Interrogata, la donna avrebbe affermato di averle ricevute da Alessio Tullj e da Eugenio Michitelli, entrambi frequentatori di casa Delfico. Si veda in proposito la Memoria della persecuzione subita dalla famiglia Delfico nel 1799, scritta presumibilmente da Giamberardino Delfico «allo scopo - è precisato in un'annotazione - di ottenere il dissequestro dei propri beni», dopo che, condannato dai Regi inquisitori nel processo contro «i rei di Stato» e trasferito nell'agosto del 1800 nei castelli di Puglia, era stato liberato in seguito all'indulto generale del 1° maggio 1801. Il testo è stato pubblicato da V. Clemente su «Storia e civiltà», a. IV (1988), n. 4, pp. 368-385 e a. V (1989), n. 1-2, pp. 39-56. L'episodio che portò all'arresto dei Delfico è a p. 375 sgg.  (57) I Francesi, al comando del generale Rusca, erano entrati in Abruzzo il 6 dicembre 1798. L'11 dicembre in 1500 arrivarono a Teramo. Messe in fuga dai rivoltosi, le truppe francesi riconquisteranno la città il 23 dicembre, per poi occupare Pescara, Sulmona e Penne il 24 e Chieti il 25. Per una ricostruzione di queste vicende, fondamentale resta l'opera di L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese negli Abruzzi, voll. I e II, Vecchioni, L'Aquila 1928, voll. III e IV, Tip. Consorzio Nazionale, Roma 1939. Sull'arrivo e sulla permanenza dei Francesi a Teramo cfr. anche le tre cronache del periodo rivoluzionario, A. De Jacobis, Cronaca degli avvenimenti in Teramo ed altri luoghi d'Abruzzo 1777-1822 (in L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese negli Abruzzi, cit., vol. III, pp. 38-440); G. Tullj, Minuta relazione dei fatti sanguinosi seguiti in Teramo dall'anno 1798 al 1814, con postille e con la continuazione del canonico Niccola Palma (pubblicata da V. Clemente col titolo Una cronaca inedita teramana (1798-1814), in «Storia e Civiltà», a. IX (1993), n. 3-4, pp. 269-285; a. X (1994), n. 1-2, pp. 93-116 e n. 3-4, pp. 148-172; a. XI (1995), n. 1-2, pp. 94-118 e n. 3-4, pp. 175-196; a. XII (1996), n. 1-2, pp. 58-86 e n. 3-4, pp. 171- 195); C. Januarii, Avvenimenti seguiti nel Teramano dal 1798 al 1809, Teramo 1999.  (58) Il Consiglio, di cui fecero parte, oltre a Delfico, i lancianesi Carlo Filippo De Berardinis e Antonio Madonna, entrò in funzione subito dopo e svolse la sua attività non oltre la fuga del suo presidente da Pescara avvenuta il 28 aprile successivo. Cfr., in proposito, M. Battaglini, Abruzzo 1798-1799. Una repubblica giacobina, in «Rassegna storica del Risorgimento», a. LXXV (1988), fasc. I, pp. 11-12, ora in La Repubblica napoletana. Origini, nascita, struttura, Bonacci, Roma 1992, pp. 188-189. Sull'esperienza pescarese di Delfico, cfr. anche F.  Masciangioli, Melchiorre Delfico e Pescara. Per una storia del rapporto tra intellettuali ed esperienze giacobine in Abruzzo, in «Trimestre», a. XX (1987), n. 1-2, pp. 41-69.  (59) Sullo spirito di moderazione di Delfico, interessato a trovare una mediazione tra eccessi rivoluzionari e intemperanze reazionarie, cfr. G. Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, ETS, Pisa 1996, p. 135 sgg.  (60) Cfr. G. Galasso, I giacobini meridionali, in «Rivista storica italiana», a XCVI (1984), fasc. I, p. 78 sgg., ora in La filosofia in soccorso de' governi, cit., p. 519  sgg.  (61) Il testo è stato pubblicato da R. Persiani, Alcuni ricordi politici nella massima parte abruzzesi al cadere del XVIII e principio del XIX secolo con documenti e note, in «Rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti», a. XVII (1902), fasc. VII-VIII, pp. 435-439. Senz'altro meno importante è l'altro atto a firma di Melchiorre Delfico, Proclama sulla sicurezza pubblica del 15 ventoso anno VII (5 marzo 1799), con il quale venivano fissate alcune disposizioni per combattere il vagabondaggio. (Ivi, pp. 441-442). I due testi sono stati recentemente riediti assieme ad altri scritti delficini da G. Carletti, La «Pescara» di Melchiorre Delfico, Edizioni Tracce, Pescara 1999, pp. 51-55 e 57-58.  (62) Cfr. la lettera di Delfico al Governo Provvisorio, da Pescara, datata 7 germile an. 7 Rep. (27 marzo 1799), in Il Monitore Napoletano 1799, a cura di M. Battaglini, Guida, Napoli 1974, pp. 695-696. Sulle insorgenze nella regione, cfr. R. Colapietra, Le insorgenze di massa nell'Abruzzo in età moderna, in «Storia e politica», a. XX (1981), fasc. 1, pp. 1-46, e il più recente volume Per una rilettura socio-antropologica dell'Abruzzo giacobino e sanfedista, Edizioni Città del Sole, Napoli 1995.  (63) Per il testo cfr. G. Carletti, Melchiorre Delfico, cit., pp. 138-139.  (64) Sulla permanenza del Teramano nella Repubblica sammarinese, cfr. F. Balsimelli, Melchiorre Delfico e la Repubblica di San Marino, Arti Grafiche Della Balda, San Marino 1935.  (65) Cfr. V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, II ed. con aggiunte dell'Autore, Dalla Tipografia di Francesco Sonzogno, Milano 1806, p. 96 sgg.  (66) Si veda l'ormai nota Prefazione alle Memorie storiche della Repubblica di S. Marino (Milano 1804), in Opere complete, cit., vol. I, pp. 249-250.  (67) Ivi, p. 472.  (68) Ibidem.  (69) Ivi, p. 250.  (70) Il libro, il cui titolo originale era Esame della Storia, e dei suoi vantati pregi, vide la luce due anni dopo che Delfico l'aveva consegnato alla stamperia Roveri e Casali. La seconda e la terza edizione uscirono a Napoli nel 1809 e nel 1814.  (71) M. Delfico, Memorie storiche della Repubblica di S. Marino, cit., p. 249.  (72) Ivi, p. 246.  (73) Cfr. M. Agrimi, La vicenda rivoluzionaria e le riflessioni sulla storia: Melchiorre Delfico, in «Itinerari», a. XXIII (1984), n. 3, p. 94.  (74) Cfr. G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, Edizioni della «Critica», Napoli 1903, p. 46 sgg., il quale afferma che nessuno prima di allora aveva negato la storia nel modo assoluto del Teramano. Un estremo radicalismo nell'«antistoricismo» delficino è stato rilevato anche da B. Croce, La storiografia in Italia dai cominciamenti del secolo decimonono ai giorni nostri: 1. Il «secolo della storia»  e  2. Il nuovo pensiero storiografico, in «La Critica», a. XIII (1915), rispettivamente fasc. I, pp. 16-18 e fasc. II, p. 95, poi rielaborati nel volume Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, Laterza, Bari 1921, e da G. De Ruggiero, Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Laterza, Bari 1921, pp. 158-165.    (75) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, in Opere complete, cit.,  vol. II, p. 11.  (76) Il titolo per esteso dell'opera è Leçons d'histoire, prononcées à l'École Normale en l'an III de la République française, par C.-F. Volney, chez J.A. Brosson, Paris an VIII.  (77) Sull'affinità di vedute dei due autori, cfr. C. Rosso, De Volney à Melchiorre Delfico: l'histoire, une discipline aussi inutile que dangereuse, in L'héritage des lumières: Volney et les idéologues, Presses de l'Université, Angers 1988, pp. 345-356.   (78) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, cit., p. 43.  (79) Ora in Opere complete, cit., vol. II, pp. 307-325.  (80) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, cit., p. 174.  (81) Porcelli, Napoli 1781, Epoca I, pp. 329-338. Grimaldi si era rivolto all'amico teramano per avere notizie sull'esistenza nella Marsica moderna di antiche costumanze di carattere ofidico e su eventuali relazioni tra queste e i rituali moderni. La Lettera delficina venne ricordata alle pp. 18-21 della recensione al volume di Grimaldi apparsa nel fascicolo del febbraio 1784 del «Nuovo Giornale enciclopedico» per mano, molto probabilmente, del suo principale estensore Alberto Fortis.  (82) Per un esame critico del testo, riprodotto in appendice, cfr. G. Profeta, Una ignorata dissertazione di Melchiorre Delfico sugli incantatori di serpenti, in «Lares», a. XLV (1979), n. 1, pp. 5-53, ora anche nel volume Lupari incantatori di serpenti e santi guaritori nella tradizione popolare abruzzese, Japadre, L'Aquila-Roma 1995, pp. 79-138.  (83) Lo scritto, ideato e posto come prefazione alle ancora inedite Favole morali di Alessio Tullj, è stato pubblicato da A. Marino, in «Aprutium», a. IV (1986), n. 3, pp. 32-48.  (84) M. Delfico, Discorso sulle favole esopiane, cit., pp. 39-40.  (85) Lettera di Delfico a Teresa Onofri del 21 marzo 1806, in F. Balsimelli, Epistolario di Melchiorre Delfico. Lettere sammarinesi, Arti  grafiche Della Balda, San Marino 1934, p. 53.  (86) Sull'attività del Teramano nell'amministrazione francese, cfr. G. Palmieri, Melchiorre Delfico e il decennio francese (1806-1815), Edizioni del Gallo Cedrone, L'Aquila 1986, il quale riproduce in appendice alcuni scritti delficini del periodo; R. Feola, La monarchia amministrativa. Il sistema del contenzioso nelle Sicilie, Jovene, Napoli 1985, pp. 125-135.   (87) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 471-497.  (88) Ora in Opere complete, cit., vol. III, rispettivamente pp. 501-528 e pp. 531-550.  (89) Ripubblicate nelle Opere complete, cit., vol. II, pp. 187-294, le Nuove ricerche sul Bello sono state recentemente riedite a cura di A. Marroni, Ediars, Pescara 1999.  (90) Per un quadro d'insieme dell'attività amministrativa e dell'opera legislativa dei Napoleonidi nel Regno napoletano, oltre al volume, notevolmente arricchito e ampliato rispetto alla prima edizione del 1941, di A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Einaudi, Torino 1976, pp. 231-332, cfr. P. Villani, Il decennio francese, in Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, cit., pp. 575-639. Spunti critici anche in Studi sul Regno di Napoli nel decennio francese (1806-1815), a cura di A. Lepre, Liguori, Napoli 1985.  (91) Rimasto inedito, il testo finale è tuttora irreperito ma di esso si conservano due stesure pubblicate da A. Marino, Scritti inediti di Melchiorre Delfico, Solfanelli, Chieti 1986, rispettivamente pp. 19-42 e 59-79.  (92) M. Delfico, Osservazioni sopra alcune dottrine politiche del Segretario fiorentino, cit., p. 20.  (93) Ivi, p. 67.  (94) Cfr. ivi, pp. 29 e 70.  (95) Cfr. N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli Cittadino e Segretario fiorentino, Italia 1813, vol. I, lib. II, cap. XII,  p. 79.  (96) Cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, in Opere, cit., vol. III, lib. I, cap. LV, p. 159.  (97) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 567-588.  (98) L'opera, notevolmente ampliata, fu ristampata a Napoli nel 1826, per i tipi di Angelo Trani, col titolo Dell'antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con alcuni opuscoli su le origini italiche, ora in Opere complete, cit., vol. II, pp. 299-505.  (99) Pubblicati nelle Opere complete, vol. IV, pp. 293-305 e vol. III, pp. 631-644, i due testi sono stati riediti da G. Carletti, La «Pescara» di Melchiorre Delfico, cit., rispettivamente pp. 23-36 e pp. 37-50.  (100) M. Delfico, Breve cenno, cit., p. 37.  (101) M. Delfico, Fiera franca in Pescara, cit., p. 32.  (102) M. Delfico, Breve cenno, cit., p. 38.  (103) Cfr. ivi, pp. 47-49.  (104) Ora, tradotto, in Opere complete, cit., vol. IV, pp. 325-333, col titolo Rapporto sull'Italia inviato a Napoleone e attribuito a M. Delfico.  (105) M. Delfico, Della preferenza de' sessi. Lettera all'ornatissima signora contessa Chiara Mucciarelli Simonetti del 12 marzo 1827, pubblicata a Siena nel 1829 ed ora in Opere complete, cit., vol. IV, pp. 31-45.  (106) Cfr. la lettera di Delfico a Dragonetti dell'8 marzo 1834, in Spigolature nel carteggio letterario e politico del march. Luigi Dragonetti, cit., p. 156.  (107) Cfr. G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, cit., pp. 18-87.  (108) Per un quadro d'insieme di queste esperienze, cfr. il volume di D. Carpanetto - G. Ricuperati, L'Italia del Settecento. Crisi, trasformazioni, lumi, Laterza, Roma-Bari 1993, e la ricca bibliografia in esso contenuta.  (109) Per una ricognizione degli studi delficini, cfr. G. Carletti, Recuperi, oblii e prospettive. Per una storia critica della storiografia delficina, in «Trimestre», a. XX (1987), n. 1-2, pp. 5-40. Il cavaliere Commendatore Melchiorre dei Marchesi Deflico. Melchiorre III Delfico de Civitella. Melchiorre Delfico. Civitella. Keywords: giurisprudenza romana, sul bello, estetico, sensus, il vero carattere della giurisprudenza romana, suoi cultore,  benevolanza conversazionale, giustizia conversazionale, il principio di sensibilita imitativa, l’estetico, l’imitazione della natura, l’espressione. La storia romana, incertezza e unitilita – la giurisprudenza romana fino alla caduta della repubblica, aristocrazia versus benevolenza, benevolenza conversazionale tra iguali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Civitella” – The Swimming-Pool Library.

 

 

COCO (Umbriaco). Filosofo. Grice: “Typically, while in the Italian North, Conte can play with words, in the Italian South, Coco must work for the workers! Is conversation a work? I think so – lavoro – In the ‘codice civile’ or rather the ‘codice’ of the civil laws – there is a section on ‘lavoro’, and a title on ‘co-operativa’, short for ‘cooperative society’ – This is all due to Coco – It sounds slightly fascist, and he did write a little tract with ‘fascist’ in the subtitle! – Coco is a performativist, so he understands that ius must ‘constitute’ and define: so he goes on to analyse what I’ve been analysing too – what is to cooperate – in a common task or ‘lavoro’ – what is ‘mutuality’ – what are the requirements for mutuality, and so on – It’s not as legalese and boring as it sounds! And it provides a framework for my pragmatics – since a lawyer, and especially a Griceian one, can be VERY SMART! Coco is!” --  Dal punto di vista sistematico molto vicino alla visione del grundnorm, teoria da Kelsen.  Si laurea a Napoli. Sostituto procuratore del Re a Cassino. La Regia Procura di Roma. Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Roma. Fondatore dell'Ufficio del Massimario. Insegna a Roma. Noto soprattutto per aver partecipato ai lavori di stesura del nuovo codice civile italiano nonché del codice di procedura civile, entrambi entrati in vigore nel 1942. Si occupa prevalentemente della stesura di leggi in materia del contratto, obbligazione, e diritto del lavoro. Altre opere: “Gli eclettismi contemporanei e le lezioni di filosofia del diritto” (Lagonegro, M. Tancredi & Figli); “La filosofia del diritto”; “Una quistione di diritto transitorio in tema di farmacie” (Milano, Società Editrice Libraria); “Sull'ultimo capoverso dell'art. 375 del codice penale” (Milano, Società Editrice Libraria); “Luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra” (Cassino, Soc. Tip. Ed. Meridionale); “Per la tradizione giuridica italiana” (Milano, Società Editrice Libraria); “Saggio filosofico sulla corporazione fascista” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Sulla costituzione di parte civile delle associazioni sindacali” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Corso di diritto inter-nazionale (recensita da Santi Romano, seconda edizione riveduta ed ampliata, Padova, CEDAM); “Intorno alla pre-giudiziale penale nel giudizio del lavoro” (Roma, U.S.I.L.A.); “Raffaele Garofalo” (Napoli, SIEM); “Il contratto collettivo di lavoro e la impresa cooperativa” (Roma); “Una inchiesta sulla criminalità” (Napoli, SIEM). Annuario Camera dei fasci e delle corporazioni. Rivista penale. Rassegna di dottrina, legislazione, giurisprudenza, Roma, Libreria del Littorio, Rivista di diritto pubblico. La giustizia amministrativa,  Roma, Società per la Rivista di diritto pubblico e la Giustizia amministrativa, Una vita per il Diritto Giusto, La giustizia penale. Rivista critica settimanale di giurisprudenza, dottrina e legislazione, Società editoriale del periodico La giustizia penale, Tale trasferimento avvenne per via di un suggerimento pervenutogli al Re dagli allora procuratori presso la Corte d'appello di Napoli Salvatore Pagliano e Giacomo Calabria.  La giustizia tributaria. Dottrina, giurisprudenza, legislazione, Città di Castello, Società tipografica Leonardo da Vinci. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, La scuola positiva. Rivista di diritto e procedura penale, Milano, Vallardi. Iniziò la sua carriera a 24 anni e nel 1906 fu nominato pretore di Lagonegro. Quattro anni dopo divenne pretore di Moliterno, per assumere in seguito le funzioni di sostituto procuratore a Cassino. Venne trasferito a Roma presso la Procura. Oltre vent’anni dopo, fu Presidente di sezione della Corte Suprema di Cassazione, oltre che Professore di Filosofia del diritto. Dotato di una solidissima dottrina e di un rigorosissimo lavoro applicativo,  partecipa ai lavori per la stesura del nuovo Codice Civile e del  Codice di Procedura Civile. Cura vari aspetti dell’allora nuova normativa: contratto, obbligazione, diritto del lavoro. Una delle sue grandi doti fu quella di riuscire a non farsi condizionare dal regime dell’epoca. Non accetta la candidatura in Parlamento offertagli dai suoi conterranei della Calabria.  “Una Vita per il diritto giusto” si lascia leggere con piacere, in diversi passaggi si incontreranno i tratti che lo hanno contraddistinto come uomo,  come magistrato e giurista, troveremo, inoltre, la sua attività di ricerca e di elaborazione teoretica, il tutto in un arco temporale di oltre quarant’anni. Sotto il profilo sistematico si accosta alla visione di Kelsen per quanto riguarda l’ordinamento e le codificazioni, nonché, proprio per la ricerca e per l’identificazione di una grande norma fondamentale (grundnorm). Dal punto di vista epistemologico, rappresenta la condanna dell’ideologia e della prassi delle scomposizioni in una galassia di frammenti superficialistici. Lo sguardo al pensiero Coco ci consente anche di sottolineare la sua analisi critica, egli non si ferma alla semplice stigmatizzazione della responsabilità oggettiva nei confronti del singolo. Prende spunto da queste aberrazioni per sottolineare come all’accanimento contro la condotta individuale della persona fisica non corrispondesse eguale severità verso gli atti illeciti e dannosi della pubblica amministrazione. Proprio negli anni ‘30 scrisse “la responsabilità della pubblica amministrazione”.  -- è stato anche filosofo e storico al tempo stesso. Un’uomo molto impegnato nel suo lavoro che ci sembra doveroso ricordare. Dal padre, persona di cultu­ra, ricevette  i primi  rudimenti  di storia, letteratura, e filosofia, che si ritroveranno, succes­sivamente, in taluni suoi saggi filo­sofici su Aquino. Iniziò la carriera giudiziaria a soli venti­quattro anni e ottenne la nomina a  Pretore di Lagonegro. Divenne Pretore di Moliterno, per assumere successivamente le funzioni di Sostituto Procuratore del Re a Cassino. Trasferito a Roma , presso quella Regia Procura , col viatico di rapporti ol­tremodo favorevoli e lusinghieri dei Procuratori Generali Pagliano  e Calabria  della Corte d’Appello  di Napoli,  dove  vi  permarrà per passare alla Procura Generale presso la Corte d’Appello. Ottenne  la nomina a Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello di Cagliari, ma non ne assumerà di fatto la titolarità. Chiamato, invece, a presiedere il Tribunale Supremo delle Acque, era Presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione. Il giornale  “Il  Tribunale”, pubblicazione mensile  edita a Roma, lo sa­luta a tale nomina. È della nostra famiglia, di quell’aristocratica famiglia giornalistica, alla quale non disdegna di apparte­nere, nonostante  l’altissimo  grado che ricopre nell’ordine giudiziario, oggi lieti di salutarlo, insieme con quello forense, Presidente di Sezione della Suprema Corte. Noi lo abbiamo visto nella Corte di Cassazione sin dagli anni ormai lon­tani della sua felice unificazione. E stato, infatti, tra i fondatori e promotori di quell’Ufficio del Massimario che raccoglie il vasto e prezioso materiale giurisprudenziale  della Suprema Corte. Non appena conseguita la promozione al grado IV°; ha ricoperto la carica di Consigliere, partecipando attivamente alla fun­zione giudiziaria di così eminente consesso. Ci asterremo, di proposito, da ogni aggettivazione che non sa­rebbe di buon gusto né riuscirebbe gradita al nostro Amico e collaborato­re; non possiamo, peraltro, esimerci dal ricordare fra le benemerenze e il titolo di Professore di Filosofia del Diritto nel­la  Scuola di Perfezionamento di Diritto Penale né l’altro, per  noi particolarmente  caro, di Redattore Capo della    Rivista di Diritto Pubblico. La  recente nomina, se indubbiamente  costituisce un nuo­vo riconoscimento dei meriti di così eletto Magistrato, rappresenta però un onere, che si aggiunge all’onore di così ambita carica. Ma l’accoglierà  di  buon  grado, assolvendo anche dal nuovo seggio presidenziale le delicate  funzioni giudiziarie, alle quali porta il va­lido contributo della sua competen­za, ma soprattutto una grande se­renità ed equanimità. Riguardo ai meriti  illustrati dall’articolo dell’epoca, c’è da dire che il suo cursus honorum non è stato caratterizzato soltanto da so­lidissima dottrina e da rigorosissi­mo lavoro applicativo, ma anche dalla partecipazione costante all’e­voluzione dell’ordine giudiziario, e tappa importante in tale attività, fu la Sua nomina a membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia dell’organo po­litico e politico-amministrativo, anche se in base alla legislazione dell’epoca il Consiglio Superiore della Magistratura non aveva ancora il potere e l’importanza che la Costituzione e la successi­va normativa di attuazione gli die­dero. Ancora, circa la indicata fondazione del Massimario civile della Corte di Cassazione Unificata va detto che Lui effettivamente fu tra i principali ideatori; era, quello, un periodo di grandi innovazioni, perchè all’atto dell’Unità d’Italia, oltre alla Corte di Cassazione di Torino esistevano quella di Firenze nonchè le due Corti Supreme di Giustizia di Napoli e di Palermo (che assunsero anch’esse la denomina­zione di Corte di Cassazione). Con la legge, vennero soppresse le Corti sopra indicate, mentre quella di Roma fu trasfor­mata in Corte di Cassazione del Regno. Fu titolare dell’insegnamento di Filosofia del Diritto presso la Scuola di Perfezionamento in Diritto Penale dell’Università di Roma “La Sapienza”. In questo ambito, svolse attività accademica per quel periodo che vide la Scuola annove­rare i più bei nomi della dottrina penalistica italiana, le cui teorie risultano, ancora oggi, alla base della trattatistica più importante. Altro aspetto rilevante della sua eccezionale figura di giurista, come si rileva da un saggio del nipote dell’alto Magistrato, che porta con orgoglio lo stesso nome, il Professore Nicola Coco, dell’Università di Roma “La Sapienza”, è costituito dal coerente ri­ferimento alla legalità, cioè allo stato e all’ordinamento giuridico quali unica garanzia di contratto sociale. Per questo, il periodo che va  dal  primo  dopoguerra all’ av­vento del fascismo, costituisce una parentesi temporale di efficace  e prorompente elaborazione delle basi di quel diritto del lavoro e sin­dacale, o “giuslavorismo”, costi­tuendo davvero una novità assolu­ta nelle scienze giuridiche del tem­po. Così, quando si verificheranno gravissime crisi socio0eco­nomiche che metteranno a rischio l’assetto della produzione, la poli­tica e i sindacati troveranno i loro punti d’incontro nel noto  Statuto del Lavoratori, una ri-edizione ag­giornata delle linee guida tracciate, agli inizi del “secolo breve”, dai primi “giuslavoristi”, tra i quali ap­punto Coco. Altro aspetto qualificante del giurista è l’aver concorso alla stesura del Codice Civile, ai cui lavori preparatori, dai Ministri Solmi e Grandi (che è il sottoscrittore anche del Codice di Procedura  Civile, emanato anch’esso, furono chiamate le più belle e fertili menti di magistrati e giuristi. Cura vari aspetti della normativa (il contratto, l’obbligazione, diritto del lavoro), tant’è, che nell’immi­nenza della promulgazione, il Ministro Dino Grandi gli inviò una lettera personale di ringraziamento per il prezioso contributo offerto per il Codice. L’ultima parte della sua vita coincide  con  l’immane  conflitto mondiale, con la guerra civile e con la scia di vendette e iniquità che ne conseguirono. Dopo la fuga del Re e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, viene invitato ad assumere la Presidenza della Corte di Cassazione trasferitasi a Brescia e fors’anche la carica di Ministro Guardasigilli, ma egli fermamente rifiuta. Ebbene, nono­stante tale ferma presa di posizione nei confronti del regime fascista, sulla base di taluni articoli che ave­va scritto su “Il Messaggero” di Pio Perrone, di commento a leggi e que­stioni giuridiche di alto livello, ovviamente di epoca fascista, l’occhiu­ta Commissione di epurazione, su decine di articoli scritti in una plu­ridecennale collaborazione, ne sco­va qualcuno che suona come apologetico del Fascismo. Nulla di più falso, quando era nota a tutti la dirittura morale del magistrato in­tegerrimo, del quale va appena ri­cordato, ammesso ve ne fosse biso­gno, che la sorella del Duce, Edvige Mussolini, gli fece pervenire solle­citazioni per una causa che la inte­ressava. Ebbene, Coco pro­cedette secondo coscienza, quindi non nel modo auspicato dalla sorella del Duce! L’epurazione ingiusta, nella quale probabilmente influirono anche motivazioni non occulte di gelosia e invidia da parte di taluni, soprattutto per il fatto che per me­riti poteva benissimo aspirare alle funzioni di Primo Presidente della Suprema Corte, ne mina rapida­mente le condizioni di salute. Negli ultimi mesi non volle proporre ri­corso contro i provvedimenti che lo avevano colpito e rifiuta cortese­mente anche una candidatura in Parlamento, per le elezioni, che i conterranei di Calabria gli avevano offerto con affetto e ri­conoscenza. Spira serenamente, non mancando nel suo testamento di perdonare cristiana­mente quanti gli avevano provocato tanto immeritato dolore. Codice Civile. Del Lavoro. Delle societa cooperative e della mutue assicuratrici, delle societa cooperative – disposizione generali – cooperative a mutualita prevalente. Articoli: societa cooperative; societa cooperative a mutualita prevalente, criterio per la definizione della prevalenza, requisiti delle cooperative a mutualita prevalente.  Del Lavoro. Nicola Coco. Keywords: cooperativa, impresa cooperativa, luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra, giurisprudenza romana, giurisprudenza italiana, eccletismi, filosofia dell’atto, corporazione, contratto e cooperazione, codice civile italiano, codice di procedura civile italiano, la tradizione giuridica italiana, associazione, sindaco, Kelsen, grundnorm, legalita, nipote: Nicola Coco, ordine giuridico, unica garanzia del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Coco” – The Swimming-Pool Library.

 

CODRONCHI – (Imola). Filosofo. Grice: “One would underestimate Codronchi if it were not for the fact that he wrote a smartest little tracts on the two ways I see conversation as: ‘game’ and ‘contract.’ In “Logic and conversation’ I do confess to having been attracted for a while to a ‘quasi-contractualist’ approach to conversation alla Grice (i. e., G. R. Grice) – and I’m not sure the reason I give there for rejecting the view is valid, or strong enough! As for ‘games’ – of course conversation is a game – but I never took that too seriously – perhaps because Austin was obsessed with games and rules of games – and the subject was worn out for me – when Hintikka came along all he did was talk about ‘dialogue games’! – I do use ‘game’ terminology – and cf. ‘contract bridge!” – such as ‘conversational move,’ ‘converaational rule’ of the ‘conversational game’ – and conversational ‘players’ – “Only this or that ‘move’ will be appropriate’, and so on.” Appartenente alla nobiltà, dopo la laurea prosegue gli studi approfondendo la filosofia spinto dal padre. In seguito entra alla corte del regno di Napoli, prima con Ferdinando I e poi con Giuseppe Bonaparte, da cui ottiene la nomina a consigliere di stato. Le sue saggi più celebri sono “Etica” e “Il contratto”, in cui affronta con semplicità l'argomento del calcolo delle probabilità. Distingue in tre classi di contratto. Contratto epistemico: C’e un contratto nel quale è noto il rapporto tra eventi favorevoli e contrari. Contratto empirico. C’e un secondo contrato nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario è fondato sull'esperienza. Contratto misto Finalmente, c’e un terzo tipo di contratto nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario si basa su una legge sicura e in parte sull'esperienza. For a time, I was attracted by the idea that observance of the CP and the maxims, in a talk exchange, could be thought of as a quasi-contractual matter, with parallels outside the realm of discourse. If you pass by when I am struggling with my stranded car, I no doubt have some degree of expectation that you will offer help, but once you join me in tinkering under the hood, my expectations become stronger and take more specific forms (in the absence of indications that you are merely an incompetent meddler); and talk exchanges seemed to me to exhibit, characteristically, certain features that jointly distinguish cooperative transactions: 1. The participants have some common immediate aim, like getting a car mended; their ultimate aims may, of course, be independent and even in conflict-each may want to get the car mended in order to drive off, leaving the other stranded. In characteristic talk exchanges, there is a common aim even if, as in an over-the-wall chat, it is a second-order one, namely, that each party should, for the time being, identify himself with the transitory conversational interests of the other. 2. The contributions of the participants .should be dovetailed, mutually dependent. 3. There is some sort of understanding (which may be explicit but which is often tacit) that, otl1er things being equal, the transaction should continue in appropriate style unless both parties are agreeable that it should terminate. You do not just shove off or start doing something else.  SAGGIO FILOSOFICO SUI CONTRATTI E GIOCHI D'AZZARDO DEL CAVALIERE NICCOLA CODRONCHI. Sor's incerta vagatur , Fertque refertque vices . Lucan. FIRENZE PER GAETANO CAMBIAGI STAMPATOR GRAND. CON APPROVAZIONE. ALL’ALTEZZA REALE DI PIETRO LEOPOLDO PRINCIPE REALE D'UNGHERIA E DI BOEMIA ARCIDUCA D'AUSTRIA GRANDUCA DI TOSCANA &c. &c. & c. 1 NICCOLA CODRONCHI. Questa operetta che sottopone il contratti d’azzardo o aleatorio all'esame della filosofia per fissare, quant'è possibile i I dati onde non discordino dalla giustizia, dovea bene essere umiliata, a VOI, che pieno del le verità della prima, avete consacrati tanti pensieri ad assi curare, e stabilir la seconda; onde può dirsi che il vostro trono è il punto più luminoso della loro unione, che sola può formare la felicità degli stati. Posta questa mia fatica, se non è degna dipresentarsi all'illuminatissima vostra mente, non dispiacere al vostro cuore, che non sdegnerà di riconoscere in esta una significazione dei sentimenti del mio, penetrato del la più viva gratitudine al vostro real patrocinio, e alle copiose beneficenze, auspici sotto de’ quali è nata, e condotta alla luce, e ai quali desidero con tutto lo spirito che sempre più raccomandi l'autore. Non avvi forſe negli uomini un sentimento più costante e universale del desiderio di arricchire. L'uomo tende incessantemente a procacciarsi, ed assicurarsi i mezzi necessari a sostenere e a rendere tranquilla e comoda la vita. La natura, che ha voluto che ciò concorra alla sua felicità alla quale con tanta forza lo stimola, gli ha inserito di sua mano nel petto questo vivissimo ardore; acciocchè se dalla propria industria riconosce egli il sostentamento e gli agi della vita, riconosca però dalle provvide mani di lei l'eccitamento e l'efficacia di questa industria medesima. Questa fiamma sempre operosa accende talvolta un cuore angusto che non ha altro oggetto che se medesimo, o un piccolo e ristretto sistema di persone. Talvolta pero trionfa sovranamente in un animo generoso, a che stima di se minori tutte le mire che non sian vaste e sublimi. Patria, nazione, pubblica felicità, interessi dell’uman genere ecco i grandi oggetti, che egli ha sempre davanti; ed ecco intorno a che si aggirano i lumi del politico pensatore; ecco ciò che forma le vigilie dell’uom’di stato. Quindi è che sempre nuove vie si spianano al commercio, nuovi mezzi si studiano per facilitarlo, nuovi metodi si ritrovano per dilatarlo. Questo ardore medesimo ha fatto sì, che gli uomini vadano sempre inventando un nuovo contratto, o ai ritrovati già prima diano nuove sempre e più estese forme. Chi avrebbe mai detto nei primi tempi delle nascenti civili società, quando altro contratto non conoscevasi che quello di dare i grassi capi dell’armento in cambio degli scelti frutti del campo, che vi sarebbero stati un giorno uomini, che avrebbero ridotte a contratto non solo una cosa esistente, sicura, e da esli ben conosciuta, ma la cosa non esistenti ancora, le incerta, la soggetta al caso, la sconosciute? O chi persuaderebbe alle numerose carovane dei mori che vanno nel fondo dell’Affrica a far coi negri il cambio del sale colla polvere d’or , che sonvi e lecici, e un vantaggioso contratto, che si appoggia solamente all’aleatorio pericoloso e al bizzarro capriccio della fortuna? Il moro che mette il suo sale in un mucchio e lo va sminuendo, se gli pare che il negro con cui commercia, non abbia ammassata in sufficiente quantità l'a preziosa polvere; riderà di coloro che si espongono a gravi perdite delle loro sostanze affidandole all'incertezza della sorte. Eppure, e vi e questo contratti aleatorio, e puo esser ridotti a quella uguaglianza che dopo determinati, o dalle leggi, o dalla consuetudine i prezzo della cosa è necessaria a render giusto qualunque contratto. A fissare il limite e il grado di uguaglianza in tale contratto aleatorio giova maravigliosamente quell’utilissima scienza che arditamente calcola le probabilità e si rende soggetti, per così dire, i sempre vari accidenti della fortuna. Questa scienza è stata chiamata finora aritmetica politica perchè è stata ordinata soltanto a ricercare l’utilità e la miglior sorte a 2 del commercio e di chi lo esercita, e ad apprestare dei nuovi dati a chi veglia alla pubblica felicità . Ma io crederò di potere con parità di ragione chiamarla “aritmetica del giusto” ed asserire che se il gran principio che fra il certo presente e l'incerto avvenire trovasi una vera proporzione è stato quel seme fecondo che ha germogliato al pubblico bene, è quello ancora che dee produr nulla meno la sicurezza e la tranquillità nell’animo di chi sulle tracce dell’onesto e del giusto voglia istituire tale contratto. Non farà però inutil cosa se io cercherò di spogliare della austerità e difficoltà del calcolo una sì vantaggiosa teoria e di ridurla a principi generali e semplici, facendo su di essi opportunamente alcune riflessioni ed applicandone le regole al contratto aleatorio, che verrò con la chiarezza e brevità maggiore che a me sia possibile investigando. Mi lusingherò quindi di aver sempre pronta una misura, più o meno esatta, a norma che eſli più o meno ne siano suscettibili, che ne determini l’uguaglianza, é una bilancia che ne pesi l'equità e la giustizia. Contratto aleatorio io chiamo quel contratto nel quale si fa acquisto di un diritto, o vogliam dire di una speranza (res sperata – emptio spei, emptio rei separatae), il buon esito della quale è affidato all’incertezza della sorte (cfr. Grice, “Intenzione e incertezza”). E quì si osservi che si può nel medesimo contratto considerare l’aleatorio relativamente ad ambedue i contraenti. (parola chiave: “ambedue i contraenti”). Quello, il quale talvolta per far guadagno di una tenue somma di denaro (a) ma certa, vende la speranza incerta di un gran guadagno, sottopone all'aleatorio tutto quel di più che avendo buon esito la ceduta speranza, supera la tenue somma in cui la cambio. L'uguaglianza che dopo fissato dalla legge o dalla consuetudine il prezzo della cosa ricercasa nel contratti perchè sia giusto, vi è ſempre, quando esaminata la cosa che ne forma l'oggetto, ritrovisi in (a). Vedasi più sotto ove si parla del contratto di alii curazione un vero senso egualmente pregevole ciò che danno nel contratto e reciprocamente ricevono ambedue i contraenti. Or chi non vede che l'avere un diritto o una speranza è molto più valutabile che il non averla? E se ciò è vero, è manifeſso che questa speranza puo dirsi avere un vero e real prezzo nel commercio degli uomini. Ma siccome tuttociò che ha prezzo pui avere un prezzo diverso, questa speranza ha anch'essa la sua diversita e puo per conseguen prezzo calcolarsi in guisa da poterne trovare il *rapporto* a quello per cui alcuno desideri di farne acquistom che è quanto dire potrà ridursi ad una vera uguaglianza. Stabiliscasi adunque l’incontrastabile fondamenza il suo tale TEOREMA. Nel contratto aleatorio vi puo essere essere quella uguaglianza, che gli caratterizzi per giusti . ng Too vorrei potere esporre con la maggior precisione e chiarezza la serie delle idee che conducono a fissare il canone per cui si puo in un contratto aleatorio rinvenire l'uguaglianza di cui si parla. Il soggetto è molto arduo e per esporlo nel dovuto lume e farne poi l'opportuna applicazione è neceſſario fare di tratto in tratto molte importanti osservazioni che o sviluppino il principio fondamentale o vagliano a dilucidarlo. E prima di tutto io intendo sempre per nome di prezzo tutto quello o sia certo e determinato, o sia incerto anch'esso o per l'evento la quantità che si espone per far l’acquisto di una speranza. Premio io chiamo quello per cui ottenere si espone il prezzo così definite. Conviene pero osservare che per nome di premio si può intendere , e l'oggetto solo a cui si aspira e il medeſimo più il prezzo che si è o esposto o sborsato per acquistarne la speranza. Ciò ben'inteso parmi che per rintracciare questa uguaglianza sia d'uopo conoscere i o per 8 la diversa speranza. Di due elementi viene egli composto. Tanto è più stimabile una speranza quanto ha un'oggetto più pregevole; e questo è ciò che io intendo per valore intrinseco; ma tanto anche è più stimabile per altra parte quanto è più probabile che ha un esito favorevole, e questo col nome di estrinseco valore vuolsi significare. La probabilità è maggiore o minore secondo che è maggiore o minore il numero di casi favorevoli all'evento rispetto al numero de' sinistri; di modo che se si facesse una tavola che gradatamente, e per serie e sprimeſle questi rapporti si avrebbe una vera tavola delle probabilità. Conſiderando però ciascun evento separatamente e senza rapporto ad altri; la probabilità che esso liegua, vien espressa dal *rapporto* del numero de’ casi a lui favorevoli alla somma dei favorevoli insieme e de’ contrari. Poichè se sianvi in un urna 10 palle bianche e 10 nere; per definire la probabilità dell'estrazione di una palla Bianca fa d' uopo conſiderare le 10 bianche in massa colle nere; giacchè in massa sono quando si fa l'estrazione dall'urna. L'istesso avviene di ciascun evento che sia l’oggetto di una speranza; giacchè deve distaccarsi dalla massa che è il cumulo degli eventi favorevoli e dei sinistri che stan raccolti nell’urna sovrana regolatrice della umana vicenda. Se dato un prezzo con cui si voglia fare acquisto di una speranza, il numero dei casi favorevoli al buon esito sia uguale a quello dei sinistri, è troppo chiaro che a volere la ricercata uguaglianza e necessario che il valore intrinseco della speranza o sia dell'oggetto della medesima, sia *doppio* del prezzo che si espone per acquistarlo; poichè in tal guisa la metà del valore intrinseco resta compensata dal prezzo che si è pagato; l'altra metà, che sola è un vero guadagno è uguale al prezzo medesimo che si è espoſto all'aleatorio; e così deve essere essendo nel caso nostro uguale la probabilità del buon esito e dell’infausto. E non altro appunto significa quella regola infallibile secondo la quale è sempre 10 il valore (a) dell’aspettativa, quando in ugual numero siano i casi favorevoli all’esito bramato e i sinistri. Che se si accresca il numero de’ casi sinistri; siccome scema percið il valore estrinſeco della speranza, converrà che si accresca *proporzionatamente* l’intrinseco accrescendo il valore dell’oggetto medesimo. Per maggior chiarezza di cio suppongasi il prezzo con cui si compra la speranza uguale ad un dato numero e suppongasi il numero dei casi favorevoli uguale a quello dei sinistri. In questo caso la probabilità del buon esito e uguale a quella dell'infausto e la speranza si elide col timore, e per conseguenza il suo valore estrinſeco puo considerarsi = 0; verrà dunque in confronto il solo prezzo col premio; che però queste due quantità dovranno eſſere uguali, benchè il valore intrinſeco della speranza, o sia il premio medesimo preso in una più estesa significazione 111 (a) L’aspettativa non è altro che il grado di probabilità che uno ha di ottenere un’intento fortuito. II sia doppio del prezzo, poichè una metà del premio medesimo non si può chiamare lucro, restando compensata col prezzo già sbor fato ed esposto all’aleatorio. Stabilito adunque questo caso, come per punto fisso dal quale si parte la serie dei valori, è chiaro ugualmente che se il numero dei sinistri casi sia maggiore o minore di quello dei favorevoli, di tanto la probabilità del buon esito a fronte della probabilità dell'infausto farà a proporzione maggiore o minore di zero nel formare il valore totale della speranza; lo che non altro significa, se non che ad avere l'uguaglianza necessaria converrà che a proporzione l'oggetto della speranza superi nel primo caso il prezzo con cui si acquista e nel secondo sia ad esso inferiore, e quindi li puo universalmente stabilire. Nel secondo teorema, i valori delle speranze sono in ragion composta del valore intrinseco dell’oggetto o cosa o reale sperato (res sperata), o dell’spettativa. Ne terzo teorema, nel contratto aleatorio allora visarà l'us 1. Il contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando il prezzo che espone uno de contraenti stia al premio, come il numero dei casi favorevoli a lui, alla ſomma dei favorevoli e dei contrari. Notisi che quì per premio s’intende non solo la porzione che si lucra, ma di più il prezzo istesso che si è aleatorio, aleatato. E siccome, per quanti siano i prezzi dei contraenti, deve verificarsi in ciascun prezzo questo rapporto al premio, ne verrà che i prezzi staranno fra di loro come il numero dei casi favorevoli ad uno dei contraenti di viso per la somma de favorevoli e de’ contrari al numero de favorevoli a quello con cui si istituisce il paragone, diviso anch’esso per la somma dei favorevoli e dei contrari: e così dicasi di quanti siano i contraenti. Da questo teorema si deduce il seguente corollario. Nel contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando i prezzi dei contraenti ſtiano fra di loro , come i numeri dei caſi ri ſpettivamente favorevoli . Dagli enunciati Teoremi chiaramente ap pariſce, che per bene applicarli agl' indivi dui caſi, è neceſſario eſaminare maturamente , qual ſia il vero valore del prezzo con cui ſi compra la ſperanza ; quali ſiano i veri caſi favorevoli, e ſiniſtri; e fiflarne il numero con quella eſattezza che convenga alla naturą del contratto in queſtione. Conſiderando at ; tentamente la natura e le leggi dei diverſi contratti di azzardo , mi è parſo che preſen tino una facile e natural diviſione , per la quale in tre ſeparate, e diſtinte claſſi li pof ſono comodamente diſtribuire. Imperciocchè dalla loro diverſa natura , e dalle diverſe leg gi che gli coſtituiſcono , ne naſce una diverſa maniera di fiſſare i rapporti del numero dei caſi favorevoli, a quello dei ſiniſtri . A tre fi poſſono in fatti ridurre i metodi per fillare 1 14 gli accennati rapporti, e quindi collocare in una di tre diſtinte claſli ciaſcun contratto di azzardo . Primo metodo è quello per mezzo del quale conſiderata la natura , e le leggi del contrat to rilevaſi il ricercato rapporto dal numero delle cauſe e delle ragioni, che poſſono in fluire ſul buon eſito della ſperanza , numero determinabile , e ragioni certe , e ſicure . Il ſecondo è quello nel quale per la natura del contratto , non ſi può fondare il rapporto , ſe non che ſulla ſperienza , e ſulle oſſerva zioni eſatte perd , e molte volte replicate ; e ſopra cagioni incerte , e variabiliffime per le quali il numero dei caſi favorevoli e dei fi niſtri, non può mai eſſer certo , determinato , e ſicuro . Terzo metodo è quello per cui ſi appoggia la indicata proporzione , parte alla conſiderazione di leggi certe e ſicure , e par te alla ſperienza del paſſato , e a circoſtanze incerte ', e di numero indefinito . Nei contratti adunque della prima fpecie , conoſciutene le leggi, fiffato il numero delle cauſe che poſſono influire ſull'oggetto del 1 4 13 contratto , ed eſaminate le diverſe maniere nelle quali poſſono combinarſi, ſi avrà un eſatta ed infallibile notizia del rapporto dei caſi favorevoli ai finiftri . La ſcienza delle combinazioni , e permu tazioni è ſtata nel noſtro ſecolo così illuſtra ta , e dall ’ Ugenio , e dal Bernullio , e dal Moivre, ed è così vaſta ed eſteſa , che vo lendo io trattarne a lungo, non potrei per l'una parte non oſcurare ciò che è ſtato detto con tanta preciſione, e ſicurezza, e non fa prei per l'altra accennar poche coſe , che non laſciaffero un neceffario deſiderio di molte più , intorno alle quali l'intertenermi , oltre paſſerebbe di gran lunga il fine, e l'idea di queſto faggio ; e tanto più , che ſenza la fe verità del calcolo più aſtruſo non ſi potreb bero per avventura trattare tutti i caſi par ticolari . Nel venire però eſaminando la na tura dei diverſi contratti, ed applicando ad effi li ſtabiliti Teoremi , ſi vedranno di trat to in tratto i principj di queſta ſcienza ſvi luppati , ed indicata la maniera di applicarli ad alcuni caſi particolari, ſiccome con l'uſo ! 16 rétto , e ſicuro del calcolo ſi poſſono adattare a tutti i caſi i più compoſti, ed aſtruſi . Il gioco di pura ſorte è certamente uno dei contratti che alla prima claſſe debbonſi riferire . Mi è noto quanto ha ſcritto il cele bre Giacomo Bernulli , per dare le regole ficure onde fiſſare nei giochi di fortuna il numero dei caſi favorevoli e dei contrari , i vantaggi reſpettivi dei giocatori , e il pre mio che può uno eligere, dopo incominciato il gioco per ritirarſi ſenza rinunziare alla miglior condizione , in cui l'hanno già poſto alcuni colpi favorevoli . So che eſſendo la probabilità , o ſemplice, o compoſta , ne ha queſto gran Matematico ridotta la miſura all'interſezione di una linea retta con una curva logaritmica , o di queſta con una pa rabolica , e così ſucceſſivamente aſcendendo alle curve dei gradi più alti . Ma laſciando da parte i profondi calcoli , e i miſteri della fublime Geometria , i quali però ben pene trati ſcuoprono il profondo e inventore in gegno di queſto grand' uomo , piacemi in quella vece di eſaminare ſemplicemente ſen 17 za di effi la natura e le leggi del gioco , per riconoſcere ſecondo l'accennato metodo , come ſi poſſa in eſſo e dare e ſcoprire l'u guaglianza fra i giocatori , e in tal guiſa applicare a queſto contratto gli enunciati univerſali Teoremi . Il gioco di pura ſorte è una ſpecie di con tratto , nel quale due o più perſone, dopo di aver convenuto di certe leggi, e condizio ni , ſi diſputano un premio , che ſi rilaſcia a chi ſarà più felice , per rapporto a certi acci denti l'effetto dei quali non dipende per ve run modo dalla loro induſtria . E quì cade in acconcio fare una rifleſſione comune a tutti i contratti di azzardo . Il dire che una coſa accada caſualmente , non altro ſignifica, ſe non che la cagione ne è a noi ſconoſciuta ; e che non vi abbiamo alcuna volontaria influenza . Per altro quan do fiegue in natura un determinato effetto , qualunque ſiaſi, è certo che neceſſariamente dovea ſeguire . Che due dadi gettati ſu di una tavola , ſcoprano piuttoſto un numero , che un altro ; noi ne ignoriamo la cagione b 18 nell'atto ſteſſo che ne ſegue per le noſtre mani medeſime il tratto . E perd ugualmente vero , che dato quel tal moto alla mano che gli getta , dato quel tal grado d'impeto , e non più nè meno , data la mole dei medefi mi , e il piano ſu cui ſi aggirano , devono neceſſariamente preſentar quel tal dato nu mero e non altro . Così dicaſi dei giochi di carte le combinazioni delle quali dipendono dalla diverſa maniera di meſcolarle , e di dividerle alzandone una parte di eſſe fovra il reſtante ; anzi pure non ſolo del gioco , ma dicaſi, come ſi avvertì di tutti i contratti di azzardo , e generalmente di qualunque evento fortuito ( a ), (a) Non ſolo ne' contratti ove ciò che ſi perde o che ſi guadagna è riducibile ad una miſura diſtinta in gradi coſtanti ed eſattamente marcati , ma anche in tutto il tenore di una vita diretta a un fine fpe rato ma incerto ha luogo il prezzo ed il premio . Le fatiche , gl'incomodi , le priyazioni dei piaceri formano il primo . Nella gloria , nell'autorità , negli onori , nelle ricchezze è ripoſto il ſecondo , che molte volte defrauda le meglio fondate ſperanze , o almeno ad effe perfettamente non corriſponde; onde può dirlig . 19 Varie ſono le ſpecie principali dei giochi di pura ſorte , ſiccome varie ſono le maniere di diſputarſi il premio.O due giocatori eſpon gono all'eſito della forte le loro reſpective porzioni di depoſito con la legge che deb baſi tutto a quello rilaſciare, il quale felice mente s'incontra prima dell'altro in un fa vorevole accidente , che ambi ſi ſono propoſti d'incontrare ; o a quello , che in ugual nu mero di faggi, ſotto le medeſime leggi , di pendentemente dalle medeſime condizioni , 6 2 che così in queſte ſecrete e non ftipulate aſpettative come in quelle per cui s'inſtituiſcono e ſi celebrano i contratti,domina ugualmente quella inſtabile divinità creata dall'ignoranza della conneſſione delle cagioni delle coſe , e del compleſſo delle circoſtanze necef ſarie ai fortuiti eventi , ma che in tutti i caſi ſuol chiamarſi ugualmente Saevo laeta negotio Et ludum inſolentem ludere pertinax . Biſogna però rammentarſi ſempre che le parole che eſprimono gli attributi della fortuna , o del caſo , quando ſono uſate dal Filoſofo , hanno un fenſo di verſo da quello in cui le uſa il Poeta che simboleg gia , e il volgo che non ragiona . << tro , così dire nega incontra quelle combinazioni che preſen tano una maggior ſomma di quegli elementi ond'è compoſto il gioco , e alla quale è at taccata la vincita del medeſimo. Oppure il contratto del gioco è tale che un ſolo dei giocatori s'impegna in un dato numero di ſaggi, e ſotto certe condizioni , d'incontrare un dato favorevole accidente o ſemplice ſia di altri ' compoſto , e quale non incontran do , la ſorte s'intende aver deciſo per l'al la ſperanza di cui per tiva , non ha altro oggetto che l'eſito infe lice delle mire dell'avverſario , non obbli gandoſi intanto a tentare poſitivamente ve run colpo di gioco . Nei priini due caſi egli è chiaro che devo no i giocatori azzardare una egual fomma, o prezzo , altrimenti reſterebbe manifeſtamente tolta di mezzo la neceſſaria uguaglianza . E' chiaro che allora il prezzo con cui ſi acquiſta la ſperanza è eguale alla metà del valore dell' oggetto ; poichè il primo altro non è che la porzione di depoſito di uno dei giocatori e il ſecondo è la ſomma delle due porzioni 2 1 uguali componenti il totaledepoſito .Ma co me trovare in queſto caſo il numero dei caſi favorevoli uguale a quello dei ſiniſtri come pure eſige la ſtabilita Teoria ? E certamente ſe fi conſiderino i caſi favorevoli , ei con trarj diſtintamente in ciaſcuno dei giocatori ; non ſi potrà fiſſare nè ragione di uguaglianza nè altra qualunque . E' queſta una evidente verità , ſe ben ſi conſiderino le leggi di queſto gioco , per le quali dipendendo la ſorte di un giocatore , non dai ſuoi colpi ſolamente ma da quelli ancora dell'avverſario , i ter mini della proporzione ſaranno ſempre rela tivi , e per conſeguenza variabili . Eſaminata però più maturamente la natura del gioco di cui ſi tratta , fi dee riflettere , che il nu mero dei caſi favorevoli a un giocatore , è compoſto non ſolo dei caſi propizi a lui di rettamente , ma dei caſi altresì all'avverſario contrarj ; e al contrario il numero dei finiſtri , altro non è che la ſomma degl'infauſti a lui , e dei favorevoli all'avverſario . Ma quando fi giochi con condizioni eguali , queſte due fomme fono eguali : dunque anche in queſto 22 caſo può reſtare verificato il canone della ſtabilita proporzione , e i prezzi ſtare fra loro come i caſi favorevoli ai finiſtri . Da ciò ne ſegue , che ſe due giocatori proponganſi di incontrare la medeſima favo revole combinazione o la medeſima ſomma di accidenti ; ma che uno voglia far più ſaggi del gioco , o cercar con più mezzi quelle combinazioni che preſentino maggior ſomma degli elementi del gioco , nella guiſa di ſopra accennata ; l'altro in tal caſo dovrà eſami nare di quanto il numero delle combinazioni a ſe favorevoli reſti fuperato dalle ſiniſtre , ed eligere che la porzione di depoſito dell' avverſario ſuperi in tal proporzione quella che egli conferiſce nel gioco . Sia concertato per eſempio , che abbia il premio del gioco quello che fa più numeri con i dadi , ed uno voglia gettarli più volte , o in ugual numero di volte gittarne un mag gior numero , è manifeſto , che dalla natura , e dalle leggi di queſto gioco , ſi potrà con le note regole delle combinazioni ricavare in che proporzione debba egli eſporre all'az 23 zardo ſomma maggiore . Che ſe poi trattiſi della ſeconda ſpecie di ſopra accennata , che è allor.quando uno ſolo dei giocatori ſi eſpone ad incontrare una o più favorevoli combinazioni , in un dato numero di faggi, e ſotto certe leggi , e l'altro guadagna full infauſto eſito dell'avverſario , ſenza tentare egli di per ſe alcuna forte di gioco , è più difficile allora , ed è più operoſo il fiſſare gli opportuni termini della noſtra proporzione . L'intenzione e l'oggetto dei giocatori in tal caſo può eſſere di eſporre all'azzardo una ugual porzione , o di eſporla diverſa . Nel primo caſo il giocatore che intraprende , e faminata la natura del gioco , e le leggi chę a lui propone l'avverſario , potrà ricavarne il numero dei caſi favorevoli e quello dei ſiniſtri, e dimandare quelle condizioni nelle quali queſti due numeri ſi uguaglino: nel ſe condo conviene che dimandi quelle condi zioni nelle quali , il numero dei favorevoli caſi, ſuperi tanto quello dei contrari , di quan to la ſua porzione di depoſito ſupera quella dell'altro , o al contrario . Intraprende uno 14 di gettare un dado in maniera che ſi ſcuopra la faccia la quale moſtra il numero 6. Se lo deve fare in una ſol volta , ſiccome ha cin que combinazioni contrarie , e una ſola fa vorevole , converrà , che l'altro azzardi una ſomma cinque volte maggiore , altrimente la proporzione reſta alterata . Che ſe trattiſi di azzardare una fomma eguale da entrambi i giocatori , e ſi voglia più volte ricominciare , erinovare il gioco , converrà oflervare quanti tratti di dado ſiano neceſſarj per fare che il numero dei caſi favorevoli , ſia uguale a quel lo dei contrarj , del che , e relativamente al noſtro addotto caſo , e ai fimili , ne da una eſtefa tavola il gran Bernulli alla propoſizio ne X. del libro primo del ſuo trattato inti tolato ars conje &tandi; ove dimoſtra un ingan no che in fiſſare queſta proporzione è facile a pigliarſi da chi eſamini queſta ſpecie di gioco ſulla prima apparenza , ſenza internarſi profondamente nelle fue leggi . Diffi, quan do fi voglia più volte ricominciare , e rino vare il gioco , per le ragioni addotte dal Ber nulli nel loco citato ; giacchè fe non ſi ri 25 novi ſucceſſivamente , egli è evidente che chi deve con un ſol dado ſcoprire la faccia del numero 6. per eſempio , ed azzardare una ſomma eguale a quella dell'avverſario , do vrà chiedere di gettare il dado tre volte ; e cid col patto che non s'intendano in queſto numero compreſe quelle volte in cui ſi vol taſſe di nuovo una medeſima faccia del dado già ſtata ſcoperta . Ciò che ſi è detto di due giocatori, dicaſi di più , e ſi conſiderino diſtintamente tutti i contratti che fa ciaſcuno dei giocatori , e l'azzardo a cui eſpone ciaſcuno la depoſitata porzione , e ſi vedrà che non reſta punto terata la noſtra teoria , benchè coll’eſporre una determinata ſomma ſi poſſa guadagnare la medeſima moltiplicata per il numero dei giocatori ( a ) . Anzi è regola univerſale in tutti i caſi compleſſi di gioco , ridurli ai ſem plici dei quali è compoſto , ed eſaminare in ciaſcuno di effi le ſovra ſtabilite maſſime. Dalle medeſime troppo chiaro appariſce (a) Vedi il Corollario del Teorema III . 26 che i vantaggi , che ha in alcuni giochi il banchiere , per eſempio nel faraone quello dei doppietti, quello dell'ultima carta , ed altri che ha ſecondo i vari uſi dei paeſi ove giocaſi tolgono l'uguaglianza , perchè tur bano la fiſſata da noi proporzione; poichè nei caſi medeſimi nei quali il premio che dà il banchiere è uguale alla ſomma azzardata dal puntatore, il numero dei caſi favorevoli al primo è maggiore del numero dei favo revoli al ſecondo ; o in ugual numero di caſi favorevoli il ſecondo azzarda più del primo . Si pretende nonoſtante , che ſe ſi conſideri, non la relazione che ha ciaſcun giocatore in particolare al banchiere ma bensì tutto il ſiſtema del gioco , vi ſiano molti rifleſſi che giuſtifichino queſto vantaggio di condizione . Una ſplendida ſomma ſottopone egli alla cie ca ſorte , e ſi obbliga di laſciarla ſempre in pericolo . Il puntatore per lo contrario può voltar le ſpalle ſdegnoſo a quella avverſa for tuna , che tenta in vano di placare ; o aven dola provata propizia può aſſicurare i ſuoi doni dalla capriccioſa ſua volubilità . Oltre 1 1 27 di ciò la ineguaglianza delle ſomme eſpoſte dai vari giocatori , delle quali alcune per dendo può il banchiere rimanere ftremo , ed eſauſto , ſenza ſperanza di tirar profitto dalla incoſtanza della fortuna ; le altre ſe vin ce appena gli recano un tenuiſſimo guada gno ; la non leggiere fatica per ultimo del banchiere medeſimo poſſono baſtevolmente render leciti i vantaggi che egli ha nel liſte ma del gioco . Io preſcindo dall' eſaminare quale , e quanta conſiderazione eſigano le accennate circoſtanze . Due coſe ſolo aſſeri ſco . E che alcune di queſte ſono quantità non già coſtanti ma variabiliſſime, eſſendo relative a circoſtanze facilmente alterabili; e che conſiderato il gioco in ciaſcuno a par te dei puntatori relativamente al banchiere , come par certamente debbaſi conſiderare, la alterazione della proporzione ſtabilita è mol to notabile in iſvantaggio dei primi , e in manifeſta utilità del ſecondo . Non voglio perd omettere , che eſſendo ſta ta eſaminata con eſatto calcolo la ſerie dei vantaggi del banchiere per ogni pofta fem 1 28 plice , cominciando dalla ſuppoſizione che vi ſiano 52. carte fino a quella che ve ne ſia no quattro due delle quali ſiano dell'iſteſſa figura, ſi è rilevato che la media , è il 5 . per 100. Ma in tutto un giro quando l'avi dità dei giocatori fa che per mezzo dei pa roli o delle paci la forza del gioco ſi traſporti almeno verſo l'ultime 24. carte , allora la media diventa il 9. incirca per 100. Ep pure le circoſtanze che eſigono compenſa zione non variano in modo da efigere que Ita differenza ( a ) . Non ſi ha dunque nell'attuale ſiſtema del faraone la vera maniera di trovare la com penſazione delli ſvantaggi del banchiere . Bi ſognerà dunque per ottenerla , o fiſſare il nu mero delle pofte: 0 por dei termini ſopra , e fotto de' quali non poſſa ſalire o ribaſſarſi la poſta : 0 tentar di fiſſare più che fia poſſibile una ſomma relativa alle diverſe poſte la quale (a) Si noti che il vantaggio di ſopra indicato del ban chiere ſi ripete tante volte quante poite fi fanno , onde ſi vede in un ſol giro quanto ſia enorme ed ecceffivo . 29 effendo un di più della poſta medeſima, ma conoſciuto , non altererà le giuſte proporzioni fra il prezzo ed il premio : o diſperare per ultimo di poter mai annoverare fra i con tratti giuſti il gioco del faraone. Sogliono comunemente dalle fagge leggi vietarſi i giochi di pura ſorte, come quelli che per una certa fatalità luſinghiera , ſi uſur pano il tempo dovuto alle pubbliche cure , alle dotte occupazioni , ed al domeſtico reg gimento delle famiglie , alle quali recano sì di frequente irreparabile ruina ; che non è già sì di rado, che una carta di gioco , o un ſol colpo di dado decida della defolazione, e dell' inopia di molti infelici . Si aggiunge a queſto , che la dura legge del biſogno , e la ſevera faccia dell'avverſa fortuna dettano all'inaſprito giocatore le arti meno oneſte , e i mezzi più indiretti nel gio co medeſimo ; talchè ſi verificano di troppo i celebri verſi di Madama Deshouliers . Le deſir de gagner qui nuit &jour occupe Eft un dangereux aiguillon ; 1 1 1 1 30 Souvent quoique l'eſprit, quoique le coeur foit bon , On commence paretre dupe , On finit par etre fripon . E quanto il gioco di pura ſorte ſia ſtato ſempre deteſtato lo conoſcerà chi oſſervi le Leggi Romane al tit. De aleatoribus , e nei digeſti, e nel codice , e legga i dotti commenti degl' interpreti sù i medeſimi, e vedrà che ſi è ſempre riguardata come oggetto di compal ſione e di orrore la miſera condizione di que gl’incauti quos praeceps alea nudat . Io però e nel gioco , e in tutti i contratti di azzardo eſamino la giuſtizia per rapporto ſoltanto alla ſovra eſpoſta neceſſaria ugua glianza , preſcindendo affatto da qualunque carattere che poſſa rendere i medeſimi, o conformi, o oppoſti alle provide leggi , e ai retti coſtumi. Similiſſima al gioco è un'altra ſpecie di contratti d'azzardo , che chiamaſi comune mente il lotto de go. numeri ; cinque dei quali ſi eſtraggono da un vaſo , e decidono della ſorte di chi ſulla ſperanza , che eſcano 31 dall'urna miniſtra della fortuna , azzarda una data ſomma di denaro . Troppo ſon note le leggi di queſto contratto , e troppo è facile il conoſcerne e combinarne gli accidenti , per poter francamente aſſerire che non vi è forſe contratto di azzardo nel quale , e più nota bilmente e più ſolennemente la ſtabilita pro porzione reſti alterata . Sempliciſſimi elemen ti formano il ſiſtema di queſto contratto , e una ſuperficialiſfima cognizione di calcolo è baſtevole per far conoſcere , che ſebbene una tenue ſomma di denaro può cambiarſi in una ſplendida maſſa di oro , pure a fronte di un caſo favorevole ve ne ſono tanti dei ſiniſtri, che rieſce aſſai più ſuperata la probabilità di gua dagnare da quella di perdere , che non la ſomma azzardata dal promeſſo premio per ricco e grande che poſſa parere . Per ſalvare la giuſtizia di queſto gioco , non giova il dire , che conſentendo i gioca tori con piena e perfetta libertà a queſta diſuguaglianza, queſto baſta per rendere le gitima quella convenzione , che ſarebbe al trimenti tanto leſiva . Queſto argomento pro * 32 verebbe troppo in genere di contratti , e per ciò deve conſiderarſi di neſſun vigore. Sareb be queſta maſſima l'appoggio di moltilli mi contratti ingiuſti, e la difeſa di infiniti illeciti guadagni . Oltre di ciò la maggior parte di quelli che giocano al lotto neppure ardiſce di ſoſpet tare , che ſiavi a loro ſvantaggio una sì di chiarata ſproporzione; anzi moltiſſimi rin graziano come generoſa e prodiga quella mano che premia i vincitori , come ſe foſſe un gratuito dono ciò che non è ſe non una piccola parte di un debito . Più ſolida difeſa potrebbe recarſi riflettendo doverſi in queſto contratto dal padrone del lotto impiegare molti miniſtri, e fare molte e gravi ſpeſe, per lo che può eſigere ragionevolmente un riſarcimento ; ma tutto ciò ancora non baſta a rendere giuſto queſto contratto fe ad altri termini e ad altre maſſime non ſia ridotto . Troppo anche più enorme era la diſugua glianza , prima che con lo ſtabilito aumento foſſe migliorata la condizione dei giocatori ; condizione però , che tuttora è aſſai inferio re a quella del padrone del lotto . / 33 Quì però fa d'uopo dileguare un inganno comune a moltiſſimi che hanno le vedute corte , e limitate dalla prima ſuperficie delle coſe . Altro è l'aſferire , che il lotto conſide rato ſemplicemente come un contratto è in giuſto ; altro è il dire che un Principe giuſto non poſſa ammetterlo nel ſuo ſtato , e debba toglierlo affatto , e ſradicarlo come un mal nato germe della rovina di tanti ſconſigliati . Il lotto può conſiderarſi come un tributo , che viene impoſto a chi ſpontaneamente con fente di pagarlo ; cangiandoſi così in vantag gioſo al pubblico , ciò che potrebbe eſſer tan to pernicioſo al privato . Non ſi può deſcri vere l'ardore che muove ciaſcuno a cercare in queſta guiſa un propizio ſguardo della for te ; nè ſi può immaginare quanto ſia pungen . te lo ſtimolo che ſpinge, e inquieta chi ri fiette che con una tenue ſomma di denaro , che azzardi , può guadagnare di che ſoſten tare una languente e numeroſa famiglia , o pur talora dilatare i confini del proprio luf ſo , o accreſcer anco tal volta un nuovo peſo agl’inoperoſi forzieri . Quindi è che tanti , e 34 tanti ſi affollano a tentare nel lotto la ſorte (a ). Penetrati dall'idea, e ſedotti dalla luſinga di ( a) Non può negarſi per altro , che riccome tutte le cofe hanno un grado di valore e di eſtimazione ri Spettiva che naſce dall' uſo che può o vuol farne chi ne è padrone : può conſiderarſi ſotto l'iſteſſo aſpetto anche il denaro . Oltre il ſuo valor generale che na. ſce dal rapporto che egli ha alla maſſa delle coſe che ſono in commercio , può dirſi che un altro egli ne abbia privato e ſpeſſo mutabile , che naſce dalla qualità e quantità deibiſogni, o reali , o di opinione che à nelle date particolari circoſtanze, chi lo poſſiede; Può darli adunque che ciò che ſi azzarda al lotto , levato da una gran quantità , fia una piccola por zione di eſſa , relativamente ſuperflua; onde il ſuo valore ſia ſtimato sì tenue a fronte di una ſomma ragguardevole che rappreſenta un gran numero di comodi e di piaceri benchè fperabile ſolo per un piccoliſſimo grado di probabilità , che detto valore nella eſtimazione di chi lo gioca ſia conſiderato come zero , o come una quantità più o meno ad eſſo approf. fimante , formandoſi perciò , per così dire , una nuova e riſpettiva proporzione, ſecondo la quale il vantaggio molte volte ſarebbe dalla ſua parte . Queſto ſe non baſta , come ognun yede manifeſtamente , a render giuſto il contratto ſerve a render qualche ragione del traſporto , che hanno a tentar la forte in queſto gioco tanti che pur ne fanno ben conoſcere le condizioni , e calcolar le ſperanze . 35 quel bene che ſperano , non penſano a mi. ſurare i gradi della ſperanza medeſima; e il molto oro che già poſſeggono col penſiero , getta ſugli occhi loro un lampo che abbaglia talvolta anche il più ſaggio filoſofo , e il più freddo calcolatore. Quindi un tale impeto non conoſce freno che poſſa reggerlo , e non legge che poſſa vincerlo . Se un Principe tol ga dal proprio ſtato queſto oggetto dei co muni voti , la ſconſigliata avidità ad onta delle più fagge leggi, e deludendo le più ve glianti ſollecitudini ſi precipiterà in altri ſtati, che ſi arricchiranno a ſpeſe di quello onde il lotto ſia proibito ed eſcluſo . Unſaggio Principe adunque che può far ar gine a queſto torrente , accid non sbocchi al di fuori; deve procurare che ſi ſcarichi tutto a pubblico vantaggio , e che quella porzione di ſoſtanze che fagrificano follemente alla loro avidità i membri del corpo di cui egli è il capo circoli per il medeſimo, e poichè i pri vati ſi eſpongono a riſentire dello ſvantaggio , neſſun nocumento però ne venga alla Repub blica . Così facendo il faggio Principe , e non 1 36 fi attira la taccia di ingiuſto , e merita tutta la lode di prudente , di politico , di difenſore e cuſtode della pubblica felicità . Di queſta verità ne conoſcono per una fe lice eſperienza il frutto in più ſpecial maniera quei popoli , che hanno la ſorte di eſſere go vernati da Principi umani e benefici, che per l'uſo che fanno del loro erario , anzichè pof ſeſſori , ſe ne moſtrano piuttoſto amminiſtra tori a pubblico e generale vantaggio . Havvi un'altra ſpecie di lotti nei quali non è un ſolo il premio , nè un ſolo il colpo fa vorevole della forte , ma molti ſono i premi , come molti e vari i caſi propizi ; e ſecondo l'ordine dell'eſtrazione dei numeri dall'ur na , o ſecondo altre leggi convenute in pri ma ſi decide del maggiore , o minor premio . Tale è il lotto che ſi è fatto in Spagna per la coſtruzione del canale di Murcia , nella quale occaſione ſiccome ha fatta luminoſa comparſa la vaſtità , e penetrazione di ſpirito di chi ha ideato il progetto della grand'ope ſi è diſtinta non meno la finezza , e il di ſcernimento di chi ha regolato il metodo di ra ; . 2 37 accumulare le gravi ſomme di denaro neceſ fario ad un sì grandioſo diſpendio . In queſto contratto come nei ſimili ad eſſo biſogna conſiderare , che varie ſono le ſperanze e molte , perchè vari e molti ſono i premi , e che la ſomma di tutti reſta come venduta a quelli che hanno comprati i viglietti . Sicco me queſti hanno sborſato un ugual prezzo , così devono avere fra loro ugual numero di caſi favorevoli e finiftri relativamente ai di verſi, o maggiori o minori premi ; quali eſſendo per lo più vitalizj, l'uguaglianza fra gli azionarj e il padron dell'impreſa dipen de dalle regole , ſecondo le quali ſi ſtabiliſce la giuſtiza dei vitalizj . Ma non ſi troverà mai eſatta queſta uguaglianza , poichè una parte notabile del denaro che contribuiſcono gli azionarj , non già nel numero o nel valore dei premi ſi impiega , ma ſi deſtina alle ſpeſe delle ideate opere ſontuoſe . In queſto di Murcia però così ſono ſtati bilanciati i di ritti degli azzionarj , e ſono ſtati così grada tamente formati i premi , e in tal numero , e così bene è ſtata regolata l'economia di 38 1 1 queſta sì grandioſa impreſa, che forſe non vi è ſtato mai un'altro lotto , in cui ſiaſi nel tempo iſteffo meglio aſſicurata la ſomma ne ceſſaria alla deſtinata opera , e ſia ſtata me no alterata la proporzione a ſvantaggio de gli azzionarj. Troppo ſon note le lotterie , che con al tro nome chiamanſi dai Franceſi Blanques perchè io impieghi molto tempo in eſami nare le qualità , e i caratteri di tale contrat to . Dall'economo del gioco ſi mette in un vaſo un certo numero di viglietti , dei quali alcuni ſon bianchi ed altri neri , e ſi vende il diritto di eſtrarne uno il quale ſe è nero apporta a chi lo eſtraſſe il guadagno di un premio del valore che è notato ful viglietto medefimo . Ognun vede , che accið ſiavi ugua glianza convien ricorrere alla regola mede ſima, che ſi è data pei lotti che ſi fanno per grandioſe opere pubbliche, avuta anche quì in conſiderazione la fatica , e il diſpendio dell'economo del gioco , e riflettendo che in queſto caſo i premi non ſono vitalizj. Queſto è un contratto della natura di quello che dai 39 Latini chiamavaſi olla fortunae . In fimil guiſa Auguſto dilettavaſi al riferir di Svetonio di compartir doni ai ſuoi cortigiani, chiaman do così la forte ad eſſer miniſtra della ſua beneficenza . Talora un ſolo è il premio che ſi diſputa fra quelli che giocano alla lotteria , e allora ſe il premio non è denaro ma un altra coſa qualunque che abbia prezzo , ſi giuſtifica più facilmente, giuſta l'opinione del Barbeirac , la notata diſuguaglianza : e l'economo del gioco può vendere non ſolo tanti viglietti quanti corriſpondono al valore del premio , ma ancora in maggior numero anche di quello che altronde eſiger pud e l'opera ſua , e il diſpendio , quando ve n'abbia . Queſti lotti fi riducono , dice il citato au tore ad una ſpecie di compra , che ſi fa in comune , a condizione che la ſorte decida a chi debba appartenere la coſa comprata . Se ſiavi adunque dell'alterazione nella propor zione , ſi potrà conſiderare come ſe fi foſſe comprata la coſa ad un prezzo un poco più alto del corrente ; penſando che ciaſcuno tra 40 1 ! fcuri queſto di più che in altra fpecie di con tratto gli parrebbe forſe notabile, ſulla ſpe ranza di guadagnare il premio più o meno fondata a proporzione che uno ha comprata maggiore , o minor quantità di viglietti . Queſta mallima, che non è certamente di ri goroſa giuſtizia , non ſi potrebbe eſtendere perfettamente a quei lotti nei quali , e molti e di vario prezzo ſono i viglierti, e molti e di vario valore i premi ; a tutti quelli in ſomma, nei quali non ſia aſſolutamente u guale la condizione dei ſingoli poſſeſſori di ciaſcun viglietto , benchè lo ſia riſpettiva mente . Prima di paſſare ad altri contratti giovami riflettere , che anche quando il padron del gioco , o qualunque altro che ne abbia di ritto pretende , che ſiano valutate le ſue fa tiche e il ſuo difpendio , non tanto ſi può dire che v'intervenga una compenſazione ; quanto che ſi verifica di fatto a tutto rigore la noſtra proporzione , giacchè quel di più che fi paga , non è a titolo di compra della ſperanza , ma bensì a titolo dell'altrui di 41 ſpendio , e fatica ; e per conſeguenza eſſendo una quantità eſtranea alla detta proporzione non la può in verun modo alterare . Si poſſono ridurre ad un contratto d'az zardo appartenente a queſta claſſe le ſorti ancora propriamente dette . La ſorte, dice l'elegantiſſimo ſcrittore della ſtoria degl'ora coli , è l'effetto dell'azzardo , e come la deci fione , o l'oracolo della fortuna ; ma le ſorti fono gli ſtrumenti di cui uno pud valerſi per ſapere qual ſia queſta deciſione . Le ſorti ſono ſtate in uſo preſſo i più antichi popoli ; e la forte s'interrogava , o col gettare i dadi colle proprie mani, o col gettarli da un urna : e ai caratteri , ed alle parole che ſu i dadi erano ſegnate, corriſpondevano alcune tavole che ne contenevano la ſpiegazione. Altre molte erano le maniere di tentare la ſorte , e di a ſcoltarne gli oracoli . E' incredibile poi quan iti , e quanto gravi affari ſi regolaſſero a ta lento di queſta cieca divinità . Baſta leggere gli autori che trattano dei voti che ſi offe rivano a Preneſte , e ad Anzio , e che parlano diffuſamente delle forti Omeriche , e Virgi 41 liane . I verſi dell'immortale Epico Greco , nei quali dipinge con sì vivi tratti l'impeto , e il furore dell'indomito Achille , ritrovati a caſo nell'aprire l'lliade, erano talvolta la fola innocente cagione della rovina delle più floride città , e della deſolazione d'intiere Provincie. E ſe per lo contrario , aprendo i libri della divina Eneide s'incontravano gli amabili colori coi quali ſi dipinge la man fuetudine e la pietà del figlio d' Anchiſe , gli animi tutti non reſpiravan che pace , e quei pochi verſi baſtavano per dar fine alle guerre più ſanguinoſe . Aleſſandro Severo , ſalito al foglio dei Ce fari , credette di averne avuto un preſagio , quando privato ancora , anzi odioſo all'Im peratore Eliogabalo , aprendo nel Tempio di Preneſte l'Eneide di Virgilio , s'incontrò in quel tratto , ove queſto gran Poeta eſalta le virtù e piange i'immatura morte di Marcel lo , e preciſamente gli ſi preſentarono quelle parole fi qua fata aſpera rumpas Tu Marcellus eris . Ma io non parlo propriamente di queſte forti, e confeſſo anzi eſſere le medeſime uno dei monumenti più ſolenni dell'umana fol lìa . Io quì parlo delle ſorti, che chiamanlı elettive , diviſorie , attributorie , e ſimili delle quali brevemente eſporrò la natura e le qua lità , ed applicherò alle medeſime i più volte enunciati Teoremi . Due , o più perſone han diritto ad una coſa medeſima; eſaminato il valore del lor diritto lo trovano uguale; non vogliono gettare , nè tempo , nè denaro in ſuſcitare queſtioni ; aſcoltano anzi ſentimenti più miti , e commettono alla ſorte la deci fione dell'affare, anzichè affidarlo alle lun ghe , e diſaſtroſe vie dei Tribunali . Conſe gnano i loro nomi all'urna diſpenſatrice della forte , e quello è giudicato favorito dalla me deſima, del quale vien eſtratto il nome; e vien dichiarato pacifico , e ſolo padrone di quella coſa alla quale avea con gli altri ugual diritto . Che ſia lecito commettere in talguiſa alla ſorte un affare dubbioſo o controverſo non v'ha dubbio alcuno , giacchè non vi è ra gione per cui non polfa uno obbligarſi ſotto una condizione tale , che il purificarſi la mede fima dipenda dall'incerto , e vario evento della forte . Ora ſe i diritti ſono uguali , ſe quanti fono i concorrenti tanti ſono i nomi che ſi conſegnano all'urna , ecco che i prezzi che vengono rappreſentati dai diritti che ſi az zardano , ſtaran fra loro come i numeri dei caſi favorevoli ad uno , al numero dei caſi favorevoli a ciaſcuno degli altri riſpettiva mente ; ed ecco ſalvata l'uguaglianza di pro porzione fra i favorevoli, e ſiniſtri caſi, e fra i riſpettivi prezzi della ſperanza , la ſomma dei quali è l'oggetto della medeſima nel caſo di cui ſi tratta . L'iſteſſo può dirſi a proporzione , quando uno abbia un diritto , per eſempio doppio di quello degli altri ; e baſterà che in tal caſo due volte ſi affidi il ſuo nome all' urna fata le ; e così dicaſi di altri ſimili caſi . E di fatto queſto contratto a farne una giuſta analiſi ſi riduce ad un gioco di pura forte, in cui molti depoſitando ugual por zione un ſolo guadagna tutte le porzioni de poſitate, del quale ſi è di ſopra parlato ; e ſi 45 è detto , che uno depoſitando maggior por zione , pud eſigere a proporzione condizioni più vantaggioſe . L'iſteſſe maſſime regolar denno le ſorti elettive che ſi uſano , quando molti avendo un privato diritto ad eſſere eletti a qualche onorifica o autorevole dignità, troncano ogni ſorgente di diſcordanza col tentare la forte , L'iſteſſo dicaſi delle ſorti diviſorie, e di quan te altre poſſono immaginarſi, che tutte ſi ap poggiano ai medeſimi fondamenti, e in tutte nel modo iſteſſo ſi trova la proporzione che coſtituiſce l'uguaglianza fra i contraenti , Fin quì fi è parlato di quei contratti che alla prima delle ſopra indicate claſſi appar tengono . In effi fra la ſperanza che ſi acqui ſta , e il prezzo con cui ſi acquiſta ſi può fif fare un eſatta , inalterabile , e matematica proporzione. Note fono tutte le cagioni che poſſono aver rapporto al favorevole o triſto evento della ſorte , ſi conoſcono tutti gli ele menti dei quali ſi formano le varie combi nazioni, e ſi fanno perfettamente tutti i modi 46 diverſi per mezzo dei quali queſte fi forma no . E' queſto forſe l'unico caſo al quale ſi poſſa applicare lo ſpiritoſo Emblema del ce lebre Moivre, rappreſentante la ruota della fortuna, e ſopra di eſla una ſemicirconferen za di cerchio , che con le ſue diviſioni ſerve a regolare quei capriccioſi giri , che ſono l'og getto di tanti voti, e la cagione di tante vi cende dei mortali . Chi intraprende queſti contratti pud , direi quafi, venire alle preſe con la ſorte , e conoſcendone la forza e l'ar mi bilanciare il deſtino della lotta fatale . Non è così certamente nei contratti che alla ſeconda claſſe ſi riferiſcono , ne' quali il rapporto neceſſario a formare l'uguaglianza fra i contraenti , ſi appoggia alla ſola ſperien za del paſſato, e a cagioni incerte , e varia : biliffime. lo ſo bene che ſi ſono pur trovati dei Filoſofi che hanno francamente aſſerite due coſe . La prima, che nelle umane vicen de che colpi chiamanſi della ſorte, e a noi pajono fortunoſi e irregolari, ſiavi un ordine coſtante , eun'originale diſegno per cui dirette da una provida mano che lor dà moto ſecon 47 1 do certe invariate leggi, eſcano a ſuo tempo ad agire in queſto sì ben congegnato ſiſtema del Mondo . La ſeconda , che l'irregolarità , che non agli eventi medeſimi e alle vicende , ma alle noſtre cortę vedute deveſi attribuire , ſcom parirà finalmente , e replicate l'eſperienze fi vedrà quella conneſſione che ora ci è inco gnita , e ſi conoſceranno i fottiliſſimi punti nei quali ſi uniſcono i tanti fili, che regolano con sì bella armonia l'intero univerſo . Da queſte due propoſizioni argomentano , che dunque dopo un dato tempo , ſiccome cre ſcendo il numero delle ſperienze, queſte ci danno regola per conoſcere ſempre più la probabilità di un evento , che anch'eſſa va ſempre aumentando a miſura che ſe ne co noſce la regolarità, arriverà un giorno queſta probabilità a cangiarſi in certezza . Ecco ciò che aſſeriſcono con molta ſicu rezza alcuni Filoſofi, alla teſta dei quali è l'incomparabile Moivre più altero di aver rintracciato ne' ſuoi intimi penetrali l'ordine della natura , e di averle ſtrappato queſto ſe 43 creto , che non fu già il ſuo celebre concit tadino di aver conoſciuti, e indicati i rego lari moti e le orbite dei pianeti per gl'im menſi ſpazi del cielo . Egli è veriſſimo che la gran macchina dell univerſo ricevè dalle mani creatrici quel grande impulſo , che poi la mantiene in moto coſtantemente , e dal quale come da prima cagione derivano tutti i più piccoli moti della medeſima , benchè immediatamente prodotti dalle ſottiliſſime e varie molle che la com pongono , e le dan forza . Ad eſſo ſi riferiſce ugualmente un'auretta leggiera che diſſipa per la ſelva poche aride foglie, e un procel loſo vento che ſull'immenſo Oceano di ſperde e rompe una flotta ſuperba di mille vele . Le grandi vedute di un politico illumi nato , che formano il ſoſtegno e la forza del Trono , non ſono agli occhi dell' Onni potente niente più luminoſe delle ignobili e ſconoſciute cure di un ſelvaggio , dirette ſoltanto a ſoſtentare la propria vita , e a difenderſi dall'ingiuria delle ſtagioni . Che poi l'Eterna mente che tutto sà e 49 za , o del tutto regola , abbia voluto che fra i varj eventi che inteflono la ſerie delle umane vicende , e che ſon chiamati in più ſtretto ſenſo fortunoſi ſiavi un rapporto più che un altro , un tal'ordine e non un altro , queſto è quello che io credo non poterſi ſcopriregiam mai . Che dopo un certo periodo ricompa riſca di nuovo l'iſteſſo evento , chedopo certe rivoluzioni torni l'iſteſla ſerie di coſe, ridon da egli forſe in maggior lode o della fapien potere eterno , e ſovrano ? Nell'immenſo vortice della divinità fi pers dono le idee , che noi abbiamo di ordine , e conneſſione . O non vi è relativamente agli occhi divini ordine e regola ; o non potiam noi conoſcere in che conſiſta ; o tutto deve dirſi averla ugualmente . Chi vede inſieme col preſente ſiſtema di coſe infiniti altri pof fibili , vede un punto che non è ſuſcettibile di quei rapporti, che ſono idee relative a vedute limitate e finite ; o ne vede infiniti altri , per cagion dei quali pud agli occhi ſuoi parer regolato tutto ciò che noi chiameremmo forſe diſordine, e confuſione, d 50 Ma non è forſe neppur vero eſſere più van taggioſo all'uomo che ſiavi di fatto nelle umane vicende queſta regolarità . Fra le infinite vedute , che l'occhio im menſo ha preſenti per il vantaggio delle ſue creature , chi ſaprà dire quale abbia fillata a preferenza dell'altre ? Se un Sovrano cela ai ſuoi popoli i diſegni che forma, e le impreſe che và maturando, queſta condotta è diretta a tenergli nella dovuta ſommiſſione , e ad allontanarne l'orgoglio : e ſe un padre , ben chè benefico fa l'iſteſſo co'propri figli, non lo fa ad altro oggetto , che ad animarne la cieca confidenza che è uno dei più vivaci alimenti di un reciproco amore . Non vi è dunque argomento che comprovi queſta preteſa regolarità degli eventi che ſi fogliono chiamare fortuiti , e caſuali. Ma ſe ancor foſſevi, io ben non veggo ſu che fondamento ſi aſſeriſca , che agli occhi mortali eziandío dovrà una volta comparir chiara , e ſvanire per conſeguenza quella ap parente irregolarità che alla ſcarſezza delle noſtre notizie , e alla mancanza di eſperien ze , in tale ipoteſi deveſi attribuire . SI Quando ſi vuol fiſſare la contingibilità di un evento , oſſervar dennoſi ogni volta ch ' ei compariſce , le circoſtanze che lo accom pagnano , e l'intervallo di tempo che paſſa fra le diverſe ſue apparizioni . Quanto più creſceranno di numero le oſſervazioni, tanto più potrà conoſcerſi in quali circoſtanze ed in qual tempo debba arrivare . Da queſto ap punto argomentano gl ' indicati filoſofi, che ciaſcuna ofſervazione è diretta a ſcemare un grado della diſtanza che corre fralla irrego larità dipendente a ſenſo loro dalle noſtre corte vedute , e la regolarità che eſiſte di fatti nell'originale diſegno, e lega inſieme ed u niſce ſotto certe leggi tutte le varie vicende . Replicando adunque le eſperienze , rinovan do le offervazioni, ſi potrà arrivare a render nulla affatto queſta diſtanza ; e a ſquarciare del tutto quel velo che cela ai noſtri occhi queſta bella regolarità . Di fatto ſoggiungono , che altro è la cer tezza ſe non un tutto di cui la probabilità è una parte ? Creſcendo adunque queſta per mezzo delle oſſervazioni, potrà arrivare al 1 گرí grado di confonderſi col ſuo tutto : ed ecco fiſſata la certezza di quegli eventi , che ſi fo no ſempre creduti giochi , e capricci di una irregolare fortuna . E' egli per altro evidente queſto diſcorſo ? Potrebb'egli un animo , che non voglia ar renderſi ad altra forza , che a quella della ve rità , dubitare ancora di ciò medeſimo che uomini di grande ingegno hanno tenuto per certo ? E prima di tutto nel formare la tavola dei tempi nei quali ricompariſce l'evento medeſimo , convien riflettere di non notare ſe non quelle volte , nelle quali ſi moſtra ri veſtito delle medeſime circoſtanze . Se così è , e ſe queſte ſono preſſo che infinite , e in finitamente variabili , ne verrà per conſeguen za che quella rivoluzione che dee ricondur l'iſteſſo evento farà sì vaſta , e il circolo che la rappreſenta sì ampio , che o non ſi potran no da chi oſſerva congiungere oſſervazioni sì diſparate e rimote , o sì poche ſe ne po tranno fare , e la probabilità creſcerà sì len tamente da non potere giammai arrivare al 53 grado di confonderſi con la certezza . Tra= laſcio di oſſervare che un evento può com parire a noi accompagnato dalle medeſime circoſtanze, ed eſſervi nulladimeno tanta va rietà , che ſe foſle da noi ben conoſciuta fa rebbe sì che a tutt'altra ſerie da quella di cui ſi fanno le oſſervazioni, dovrebbeſi ri chiamare . Si conſideri ora ſeriamente qua lunque di queſti eventi che fortuiti chiamat ſogliamo, da quante cauſe poſſa provenire , e queſte in quante maniere poſſano combi narſi ; e vedremo , ſe per quante ſi vogliano replicate ſperienze ſi potrà giammai arrivare ad argomentare dalle circoſtanze che altre volte fi videro accompagnare un evento , la eſiſtenza del medeſimo . Quelle ragioni medeſime che immediata mente influiſcono ſugli eventi fortuiti hanno conneſſione con vari ordini di cauſe più o meno rimote , che innumerabili ſono ancor eſſe , e capaci di innumerabili gradi di alte razione . E quì potrei ricorrere a tante fiſiche teorie , le quali dimoſtrano , che un gran fe nomeno può avere la ſua prima ſorgente , tam 54 lora sì rimota che per infiniti giri , e tortuoſi fentieri appena ſi può rintracciare ; talvolta sì piccola , che dopo averla conoſciuta , ap pena ſi può credere che da eſſa derivi . E la ragione , e la immaginazione vanno in queſto caſo d'accordo a preſentare al pen fiero l'enormiſſima ſproporzione che correrà ſempre fra un gran numero di offervazioni quali peraltro non potranno eſſere moltiſſi me , ( ſe vogliano porſi in calcolo quelle ſolo che fimiliſſime ſono , è relative ad oggetti ſimili ) e l'immenſo vortice fra cui fi aggi ra ľ apparente irregolarità . Di quì deriva , che a rigore parlando dubitar deveſi di quella maſſima , che la probabilità di queſti eventi arriverà una volta a cangiarſi in cer tezza . E quì fa d'uopo riflettere , che la proba bilità , e la certezza ſono due atti eſſenzial mente fra loro diverſi , come dicono i meta fiſici, e che fralla maſſima probabilità che arrivi un evento , e la certezza , vi è di mez zo una ſerie infinita di poflibili. Il timore di errare che ſi coinpone con la maſſiına pro . 55 babilità e viene eſcluſo dalla minima cer tezza , è una barriera inſuperabile, per cui non ſi poſſono giammai fra loro confon dere , ed è quello appunto che le rende ( ſia mi lecito uſare un termine di matematica trattando di una materia nella quale ſe n'è fatto uſo con tanto profitto ) quantità in commenſurabili . Le prime oſſervazioni che fi fanno intorno a un determinato evento , non poſſono dargli che un grado di pro babilità così piccolo riſpetto al vortice im menſo della irregolarità , e all' infinita ſe rie dei poſſibili dall'evento medeſimo di verſi , che queſto grado pud conſiderarſi co me un infiniteſimo . Siccome adunque per trasformare un infiniteſimo in una quantità finita deveſi queſto moltiplicare per l'in finito , così queſto grado di probabilità do vrebbe ricevere infiniti aumenti per mezzo di infinite oflervazioni, prima che ſi poſſa chiamare ridotto al carattere della cer tezza . Parlo di caſi nei quali la ſerie dei poſſibili, che è di mezzo fralla probabilità e la cer 56 2 ! tezza , è compoſta di cauſe , che ogn'uno fa eſſere non immaginate ma vere , e poterſi in infinite maniere combinare . Poche oſſervazioni baſtano al filoſofo per render certe , o almeno eſcludenti un pru dente dubbio , alcune ſempliciſſime leggi della natura , dove tanto è lontano che ſi co noſca effervi infinite altre cagioni poſſibili , che anzi per argomenti preſi dai principi delle ſcienze ſi deduce non eſſervi luogo a ſoſpettare che altre ve ne ſiano . E' ben diverſo il caſo noftro ove trattaſi degli eventi che danno occaſione ai contratti di azzardo ; e riguardo a quali ſi pretende ſolo di mettere in diffidenza la maſſima che promette che ſi abbia a cangiare in una aſſo luta e rigoroſa certezza , quella che è mera probabilità , e forſe capace di creſcer ſolo pochi gradi . Che non pud fare l'amor di ſiſtema ? Lo ſpirito calcolatore avvezzo a portar lume ai più aſtruſi miſteri della geometria , e ad ana lizzare le coſtanti leggi della natura col più felice ſucceſſo , ſi lancia ardito dal gabinetto $ 7 di un filoſofo , e prefume di porre in mano ai mortali un filo che ſegni la traccia co ſtante degli eventi più incerti , e di aſſoggets tare alla ſua eſattezza ed uniformità , quan to v'ha di più vario , e mutabile . Non ſolo hanno cercato alcuni di ſcoprire un'ordine conoſciuto dai naufragi, un'ordi ne riſpettato dai morbi , e dalla ineſorabil morte ; ma hanno fperato di poterlo tro vare anche in quegli eventi che più dipen dono da cauſe morali e libere , le quali agi ſcono certamente , non perchè così voglia un ordine e non un'altro , ma perchè così vo glion eſſe , e non altrimenti . Si è perfino tro vato chi ha propoſto le tavole degl'incendii , delle cadute fatali da un precipizio , e di molti altri ſimili fortunofi accidenti come ſe ſi poteſſe ſcuoprire anche in eſſi a ſuo tempo regola , ed ordine . Per quanto poſſa nei caſi dipendenti da fi fiche cauſe trovarſi una conneſſione fralle me deſime per lunga ſerie concatenate , in guiſa che debbano in un dato tempo produrre un effetto più che un'altro ; non ſi potrà mai dire 1 1 . $$ altrettanto quando vi abbia luogo una libera volontà che non ſiegue ordine , o conneſ fione , e che può produrre un'atto ſenza rap porto a verun' altro che abbia altre volte prodotto , o che ſia per produrre in appreſſo . E ſe è vero , che negli eventi , e nei caſi preſi in compleſſo di tutte le loro circoſtanze , e in quelli ſpecialmente che ſono il ſoggetto dei contratti di cui parliamo , qualche o più proſſima, o più rimota influenza vi hanno le cauſe morali ; che ſi può egli penſare di più ſtravagante che il volergli ridurre eſattamen te a regola e pretendere di cangiare la pro babilità in certezza ? E chi fu mai che tentaffe di ordinare le diſperſe, e confuſe foglie , che contenevano le riſpoſte ſull'avvenire, della fatidica Sacer dotella di Cuma ? Ma quand'anche gli argomenti da me ad dotti non provaſſero l'impoſſibilità di arriva re dopo un lunghiſſimo corſo di anni a can giare in qualche certezza la probabilità, pro vano almeno , che per noi , e per ben mol te generazioni queſta farà una ſterile ricer 59 ca ; giacchè per molti , e molti ſecoli, ( ac cordando anche più di quello certamente , che ſi può ) non ſi potrà vincere quel diſordi ne , e irregolarità almeno apparente , che of ſervaſi nelle umane vicende , e che in ſomma il limite delle medeſime è tanto diſcoſto , che pud conſiderarſi come infinitamente diſtante . Dal fin quì detto per altro non ſi può ra gionevolmente inferire , che dunque dal com mercio degli uomini ſi debbano eſcludere i contratti di azzardo che appartengono alla ſeconda delle ſopra indicate clafli . Per provare la verità di queſta aſſerzione convien fiſſare due maſſime conformi alla ragione , e che ſe non erro ſono il fonda mento al quale ſi appoggia la giuſtizia di queſti contratti. Queſta uguaglianza fra i contraenti che è sì neceſſaria a render giuſti i contratti è un termine vago , e che non ha affiffa alcuna idea , ſe allo ſtato di natura vogliam rimon tare . Il prezzo delle coſe introdotto o dalla legge , o dalla conſuetudine che imitatrice della legge la vince di autorità , ecco ciò che 60 ha chiamata l' uguaglianza a preſiedere ai contratti . Alla ſocietà dunque , e alle fire maſſime deveſi attribuire . Si eſamini pero lo ſpirito della ſocietà, e ſi vedrà che nelle ſue maſſime generali non ſi devono comprendere quei caſi che è dello ſpirito della medeſima l'eſcludergli, e l' eccettuarli . Si riduce al lora la queſtione, ad eſaminare ſe ſiano utili alla ſocietà i contratti in queſtione; e ſe nelle bilance del pubblico bene ſia di maggior mo mento il vantaggio che recano , o la preciſa offervanza di quella perfetta uguaglianza ne contratti, che è tanto neceſſaria generalmen te alla quiete , e felicità degli individui , e al buon ſiſtema, e conſervazione di queſto cor po morale , e politico . Pochi elementi , e poche idee ſciolgono il problema . Induſtria eccitata , commercio invigorito , circolazione ampliata . Vantaggi fono queſti generalmente procurati da tali contratti ben regolati , come ſi può ben co noſcere da chi ne eſamini lo ſpirito , e le conſeguenze . Daqueſto argomento riceve gran forza un 61 ſecondo rifleflo . In queſti contratti non ſi può avere fra i contraenti una perfetta ugua glianza di condizione , perchè non ſi può eſattamente miſurare la loro forte . Ma ciò che manca a queſta giuſta miſura è con une ad entrambi . Ad entrambi è egualme ite i gnoto per chi debba eſſere il vantaggio , e per chi il diſcapito , potendo ugualmente nel caſo noſtro , e l'uno , e l'altro a ciaſcun di loro arrivare ; e queſto medeſimo forma una ſpecie di ſorte uguale , la quale pud ſupplire a quanto manca alla perfetta uguaglianza . Diſli alla perfetta uguaglianza , perchè le maſſime ſopra eſpoſte ed impugnate , vacil lano ſoltanto , perchè oltrepaſſano certi li miti , dentro dei quali rinchiuſe provano moltiſſimo, rapporto alla uguaglianza che deve eſſere nei contratti della ſeconda claſſe . Inteſe le maſſime con la dovuta moderazio ne , è veriſſimo che eſtraendo da un'urna ove ſiano alla rinfufa molti viglietti bianchi e molti neri , quante più eſtrazioni fi anderan no facendo , tanto più creſcerà la conoſcen za del rapporto che hanno fra loro : è verif fimo che le oſſervazioni ſegnate in tavole danno ai giovani la prudenza dei vecchi : ed è incontraſtabile che quanto più ſpeſſo ac caderà in natura un evento , tanto più ſi po tranno attrappare le circoſtanze che lo ac compagnano , e farà meno irragionevole l'in duzione che dalla eſiſtenza di queſte, ſi farà della futura eſiſtenza di quello . Si potrà dun que avere un qualche dato per eſaminare la probabilità di un'evento , e proporzionargli il prezzo con cui ſe ne acquiſti la ſperanza . Per formare una ſerie dei diverſi gradi di tale probabilità gioverà eſaminare un qualche contratto in ſpecie, e fiffare i punti dai quali la ſerie ſi parte ; poichè non ſi potrebbe con tanta facilità fare una giuſta analiſi, o alme no egualmente chiara , ſe fi conſideraſſero le idee in aſtratto , e ſenza applicarle ad un de terminato ſoggetto . Fra tutti i contratti che ridur ſi poſſono a queſta ſeconda claſſe parmi che meriti di eſ ſere diſtintamente eſaminata l'aſſicurazione , Efla è un contratto per cui uno dei contraenti ſi obbliga a riparare tutti i danni che può un 63 . altro ſoffrire nelle ſue merci per naufragio , o altre convenute cagioni ; e queſti ſi obbli ga a pagarli una determinata mercede in com penſo del pericolo al quale volontariamente ſi eſpone. 1 Fiorentini che avendo già eſteſo il loro commercio per tutto il Levante aveano fatto conoſcere a tutto il mondo quello ſpirito di lo devole induſtria, e fagacità, che forma il nerbo e la floridezza di uno ſtato , e che fu ſempre del loro carattere , furon quelli che riduſſero a certe leggi queſto contratto, e gli diedero for ma e credito . Inſegnarono così alle altre na zioni commercianti a tirarne quel profitto , che il profondo , ed illuminato Melon aſſe riſce dover eſſere sì ampio per uno ſtato che abbondi di eſperti, ed avveduti aſſicuratori. Di fatto alla Repubblica Fiorentina deb bonſi i primi capitoli di aſſicurazione che furono diſteſi negli anni 1523. , e 1525. A queſti ſucceſſero negli anni 1563. , e 1570. le ordinazioni di Olanda . Non è ſtata queſta l'unica occafionein cui abbiano, gareggiato in fatto di commercio 64 queſte due nazioni , la prima delle quali ha faputo ſempre profittar pienamente delle fe lici fue circoſtanze , e la ſeconda compenſare ognora in mille modi i danni della infelice ſua ſituazione; e inſultar quaſi alla natura di ayerla in eſſa collocata . Gli ſcrittori che hanno trattato di queſto contratto lo diſtinguono in due ſpecie. La prima chiamano eſſi aſſicurazione propria mente detta , ed è quando le merci che ne ſono l'oggetto appartengono di fatto a quello che ne chiede l'aſſicurazione ; e queſto è ciò che intendono ſotto il nome di riſico dell' aſſicurato ; ed inoltre ſono eſſe realmente ſog gette a pericolo , o com'eſſi dicono a ſiniſtro . Per la validità di queſto contratto ricercaſi la coeſiſtenza del riſico , e del ſiniſtro ; ed è quanto dire , che l'aſſicuratore non deve pa gare la ſicurtà , nè l'aſſicurato la mercede , ſe le merci avean corſo già il loro deſtino quan do fi ftipulò il contratto , o ſe non apparten gono all'aſſicurato . Per maggior comodo poi , e dilatazione di commercio fu introdotto il contratto di affi 65 curazione ſulle merci o proprie , ma non nella ſomma che ſi afferiſce , e che cade ſotto l'aſſi curazione : o appartenenti affatto ad altra perſona . In queſto contratto il fondamento conſiſte nella fola eventualità dell'azione; e ſi può in eſſo ravviſare un'apparenza di Scommeſſa della quale però gli mancano ſe condo molti , alcuni caratteri . Anche in queſta ſeconda ſpecie comunemente ricer caſi, che le merci ſiano in pericolo ancora quando ſi fa il contratto ; benchè in alcune piazze ſi ſoſtenga anche nel caſo che le merci aveſſero già corſa la loro forte quando ſi ſti puld il contratto , purchè però queſto non foſſe a notizia dei contraenti . Per ridurre pertanto in qualche vero ſenſo il contratto di aſſicurazione alla Teoria ſopra eſpoſta regolatrice della uguaglianza neceſ faria nei contratti di azzardo , fa d'uopo con ſiderare due fatta di caufe che influir poſſono full'evento incerto , che ne forma l'oggetto . Altre ſono le cauſe fiſiche che per un puro meccanico impulſo della materia agiſcono in dipendentemente da qualunque libera deter 66 minazione di una cauſa ſeconda ; il mare cioè più o meno ſparſo di pericoli , agitato da vortici , terribile per gli ſcogli ; il vento che tormenta più un ſeno di mare che un altro , e domina più in una ſtagione, che in un altra ; la qualità del naviglio , più o me no capace di reſiſtere agli urti , e di inſul tare gli Aquiloni ; e finili altre che a que ſte ridur ſi ponno , anzi con queſte confon derſi . Più incerte affai, e più indocili all'eſat tezza del calcolo ſono quelle cagioni che mo rali ſi chiamano , perchè o conſiſtenti nella libera determinazione di un ente creato , o da quella dipendenti almeno mediatamente . La deſtrezza, e la buona fede del capitano : l'abilità dei marinari e dei piloti : il nume ro , e la gagliardìa dell'equipaggio : la mag giore o minor frequenza dei pirati che infi diano fraudolenti, e poi attaccano rapaci ; o dei nemici armatori che appoggiano le fan guinoſe loro infeſtazioni ai tremendi diritti della guerra , ſono o le uniche , o le più con ſiderabili di queſte cauſe morali . 67 i Se il fondare un calcolo eſatto ſulle fiſiche cagioni ſuaccennate è impoſſibile: il fondarlo che ſi accoſti all'eſattezza difficiliſſimo : lo ſarà molto più l'appoggiarlo alle cauſe morali che non agiſcono per una conneſſione di mo vimenti , e d'impulſi che l'un l'altro fiſie guano neceſſariamente; ma che operano per una mera libera determinazione , che per qualunque congettura la più apparentemente probabile non ſi può preſagire; poichè anche preſa può ſul momento abbandonarſi , per cangiarla in una affatto diverſa , e talora dia metralmente oppoſta, e contraria . Un canone perd univerſaliſſimo, e da non preterirſi giammai in queſto contratto , parmi quello di non conſiderare neſſuna cauſa , o fiſica , o morale , ſeparatamente o iſolata dalle altre ; ma di oſſervare l'influenza reci proca che hanno tutte le cauſe l'una ſopra dell'altra , e quella non meno che hanno ſulle morali ; e l'iſteſſo dicaſi di queſte rapporto alle fiſiche . Il momento di ciaſcuna cauſa ſi altera a miſura che diverſamente è combi nata , o temperata colle altre . e 2 68 Per conoſcere però quanto poſſano queſte cagioni , e ſingolarmente preſe , e in complef ſo , è neceſſaria una lunga ſperienza . In queſto contratto , per caſi ſiniſtri non ſi intendono già tutte quelle combinazioni , che realmente poſſono funeſtare l'aſſicuratore , e perder la nave , nè per favorevoli quelle che ſalva dai naufragi, e dalle oſtili violenze , la confe gnano al ſoſpirato porto . Fatta una tavola di accurate , e frequenti oſſervazioni , e conoſciuto quante volte in parità di circoſtanze ſiaſi perduta la nave , e quante ſia giunta felicemente al deſiato fuo termine ; la ſomma delle prime rappreſenta la ſomma dei caſi ſiniſtri ; e quella delle ſe conde ſi tiene per il numero dei favorevoli ; e ſu queſti dati ſi forma la proporzione da noi ſtabilita nel III. Teorema . Queſta è la ſpecifica differenza che paſſa fra i contratti del primo genere , e queſti che al ſecondo appartengono . Nei primi entrano in calcolo tutti quanti i poſſibili caſi e fini ſtri, e favorevoli, perchè ſi fanno tutti , e ſe ne conoſce perfettamente il numero ; noi 1 69 ſecondi fi calcolano quelli ſoltanto , che dopo una lunga ſperienza ſi ſono oſſervati ; reſtan done non compreſi nel calcolo tanti altri pof ſibili , i quali perd dopo molte e molte oſler vazioni fi fuppongono in proporzione di no tati . La proporzione ſi accoſta tanto più al vero , quanti più ſono i caſi oſſervati, come appunto accade nell'urna che contiene un ignoto numero di palle bianche e nere : delle quali con tanto minor pericolo di errore ſi può fiffare la proporzione , quanto più copioſa ſe ne è fatta l'eſtrazione. In una parola , nei primi è incerto l'eſito della ſorte ; nei ſecondi è incerto anche ciò che può determinarlo . Rariſſimi però ſono i caſi che ſieno riveſtiti perfettamente delle medefine circoſtanze . Fa d'uopo adunque per formare la propor zione ricorrere alle diverſe tavole , ove ſono notate le circoſtanze preſe ſeparatamente; e conſiderarle come tanti elementi dei quali ſono compoſti i dati della proporzione . Scioglie una nave dal Porto , e veleggia per un mare tranquillo , e placido ; queſta circoſtanza è un fondamento della propor 70 zione da ſtabilirſi fra il valor delle merci , e il prezzo dell'aſſicurazione; e la tavola delle navigazioni fatte in queſto mare lo additerà preciſamente. Ma fe queſta nave corra un pericolo di pirati , o di nemici che le altre navi facendo il medeſimo viaggio non avevan corſo giammai , nel formare la proporzione vi entra anche queſto elemento , la di cui forza ſi miſura dalla tavola di altre naviga zioni benchè fatte in altri mari , e ſi compone il minor pericolo che ha queſta veleggiando per un mare tranquillo ; col pericolo che cor ſer altre per la ſola oſtile infeſtazione. Vaglia queſto per eſempio delle proporzioni com poſte di varj elementi , il valor dei quali ſia regiſtrato in diverſe tavole , non obliando giammai nel combinarli la forza che acqui ſtano dalla reciproca loro influenza . Ma può talvolta non eſſervi l'eſperienza baſtante a far conoſcere i gradi di probabi lità dell'eſito lieto , o infauſto . Monta per la prima volta un vaſcello un Capitano, che non ha mai per l'avanti governato naviglio alcuno: infeſta i mari una turma di corſari 1 1 71 sbucati da qualche ſcoglio che alzava prima una barriera alla fanguinaria loro rapacità e dei quali ignoraſi per anco il numero , ed il valore , o a meglio dire la violenza della eſecrabile loro ſete dell'oro e del ſangue ; chi potrà miſurare i gradi dell'influenza che ha ſull'eſito felice la prụdenza e la deſtrezza del primo , e ſull’infauſto l'ardire , e la forza dei ſecondi ? In tal caſo per quanto vogliaſi dare un va lore anche a queſte circoſtanze nuove ; fon dandolo ſu qualche piuttoſto appreſa , che conoſciuta ſomiglianza ad altri caſi; egli è certo però che ſenza una più volte ripetu ta eſperienza, non può fiffarſi una propor zione di cui ſi calcolino i gradi , e ſi nume rino i valori ; e ſenza di eſſa non ſi può for mare una ſerie che ſerva di norma all'u guaglianza ricercata in tali contratti. Tutto alla fine ci conduce a riflettere , che una e fatta proporzione nei contratti del ſecondo genere non può ſperarſi giammai ; che in molti caſi ſi potrà avere meño lontana dall' eſattezza ; in altri ſi troverà dalla medeſima 72 più rimota , come dal fin qui detto chiara mente appariſce . Ma forſe gli aſſicuratori interrogano que ſte tavole , formano calcoli , e ſciolgon pro blemi ? Il filoſofo che ſcortato dalla ragione fino ai loro principi eſamina le azioni degli uomini e le bilancia , conoſce che queſti cal coli ſono neceſſarj a ridurre i contratti all' uguaglianza e comprende che queſta tanto più ſi otterrà facilmente , quanto più ſiano frequenti queſte tavole , e numeroſi i caſi che ad eſſe , come a indicatrici della ſorte ſono af fidati; l'aſſicuratore poi accorto ed illumi nato le conſulta , o le deſidera ; l'indotto , e meno avveduto ha preſente, almeno in con fuſo la maggiore , o minor frequenza de' fini ſtri nelle date circoſtanze ſeguiti , e ſu queſto implicito calcolo forma il ſuo giudicio più o meno eſatto , e non ſi affida totalmente alla cieca all'arbitrio dell'incerta forte . In queſto contratto il prezzo che eſpone l'aſſicuratore , è il valore delle merci , che egli ſi mette in azzardo di dover pagare all' aſſicurato ; quello dell'aſſicurato è la merce: 1 73 de che egli paga all'aſſicuratore in compenſo di queſto azzardo medeſimo . Ma ſiccome fatto il contratto di aſſicura zione , l'aſſicurato deve in qualunque evento pagare all'aſſicuratore la convenuta merce de , pare a prima viſta che per l'aſſicurato non ſiavi azzardo alcuno ; poichè dal punto dello ſtabilito contratto è deciſa la ſua forte ; o a dir meglio riguardo a lui nel ſuo con tratto non ha luogo alcuno la forte . Baſta però una giuſta rifleſſione ſulla natura di tal contratto , per vedere che anche per l'aſſicu rato vi è l'eſito favorevole della ſorte ſicco meancora l'infauſto . Caſo favorevole può chiamarſi quello che rende il contraente pago , e contento di aver fatto il contratto ; talmente che ſe aveſſe pre veduto l'eſito , conſultando ſolo il ſuo van taggio , l'avrebbe nonoſtante fatto , anzi con tanto maggiore alacrità . Per lo contrario infauſto può dirſi quello che in qualche modo gli dà occaſione di pentimento , in guiſa che ſe aveſſe previſto l'eſito avrebbe omeſſo di fare il contratto. Ora quantunque 74 l'aſſicurato , fatto il contratto ſia già ſicuro di dover pagare la mercede , qualunque ſia l'evento ; quando però la nave giunga a ſal vamento , è in caſo di pentirſi del ſuo con tratto ; poichè ſe non lo aveſſe fatto , e avreb be avuta ſalva la nave , e non avrebbe fof ferto il diſpendio della ſtabilita mercede . In queſto ſolo ſenſo , e non in altro , che ſareb be troppo contrario all'umanità , poichè ſi riſolverebbe in compiacerſi dell'altrui dan no , che neppur ridonda in proprio vantaggio , ſi pud intendere ſiniſtro per l'aſſicurato il caſo del ſalvamento della nave ; e in queſto ſolo può ridurſi il contratto al carattere di una vera ſcommeſſa , di cui è eſſenziale ſe condo alcuni , che l'avvenimento favorevole ad uno dei contraenti , ſia per l'altro infau ſto , e ſiniſtro . Conchiuſo il contratto , l'al ficurato che ha ſentimenti di umanità , deſi dera che ſi falvi la nave , ma falvata la nave vorrebbe non aver fatto il contratto . Quello che non ſi può in modo alcuno ri durre a calcolo , ſi è nella perdita di una na ve , la minore, o maggior quantità di merci , ! 75 che ritoglier ſi potranno all'ingordigia dell onde , e ritrarre al lido ; lo che ſuccede mol te volte , e fa che non debbanſi tutti i cafi ſiniſtri giudicare di un carattere egualmente dannoſo ; ma diverſi , a miſura , che più o meno delle aſſicurate merci , ſi perde , e ro vinafi . Il poter prevedere , e calcolare in a vanti tal quantità influirebbe molto a deter minare la mercede che l'aſſicurato promet te . Ma chi potrà mai calcolare le tante cauſe che poſſono influire ſopra un sì variabile ac cidente ? Forſe l'aſſicurato avrà all'ingroſſo preſente queſta varietà di combinazioni ; ma potrà egli dare ai loro effetti un giuſto valore ? I principj fin'ora eſpoſti regolatori di que Ito contratto , quando ha per oggetto merci affidate al pericoloſo traſporto di mare , pof ſono facilmente adattarſi alle merci traſpor tate per terra ; anzi alle merci , o ſituate nei magazzini , o in altra maniera cuſtodite . Tutto ciò che può eſſer ſoggetto ad un fatal accidente , e per quello perire , o deteriorarſi , fi fa eſſere oggetto di queſto contratto . Anzi il guaſto di un incendio divoratore , le ruine 70 di un turbine procellofo che abbatte caſe , porta la deſolazione per le campagne , la vio lenta incurſione di rapaci aſſaſſini, o le ru berie affidate al ſegreto e alle tenebre della notte dalle timide mani infidiatrici , ed altri pericoli di tal fatta , che a prevederli biſogne rebbe nulla meno che lo ſpirito di divinazio ne , ſomminiſtrano in alcuni paeſi occaſione di venire alle mani con la ſorte , ſenza che nè l'una parte nè l'altra poſſa mai, neppure all'in groſſo e colla maggiore ineſattezza , miſurarla . Un'altro contratto non meno intereſſante , e che appartiene a queſta ſeconda claſſe ſi è quello che chiamaſi vitalizio . Gli uomini non contenti di affidare la loro forte a tante , e sì varie combinazioni che alterano , e modificano sì ſtranamente gli ef Teri inanimati ; hanno voluto che ella dipen da anche dalla vita dei loro ſimili , ed hanno fatto sì che un uomo debba ftimarſi infelice ſe un altro gode per lungo tempo sì prezioſo dono del cielo . La vita iſteſſa è venuta tal volta in bilancia con un tenuiſſimo guadagno . Il vitalizio altro non è che l'annuo inte 77 ! reſſe di un capitale collocato a fondo per duto . Chi colloca in tal guiſa il ſuo capitale lo fa ad oggetto di ritrarne un profitto mag giore di quello che riſerbandoſene il dominio potea ſperare. Suol eſſere comune queſto con tratto e a coloro che non avendo perſone congiunte con ſtretto vincolo di ſangue o di amicizia , o che non curando le veci dell' uno , o dell' altra , non hanno nulla che gli ritragga dal provvederſi i mezzi di ſodisfare anche a quei biſogni che ſono figli del più molle, e faſtoſo luſſo ; e a quegl' infelici, che ſenza queſto compenſo condur dovrebbero i triſti loro giorni in ſeno all'inopia, e allo ſqual lore . Il vantaggio di liberarſi da tante fre quenti , e penoſe cure della domeſtica eco nomia luſinga molto , ed è talor neceſſario , a chi trovandoſi in un'età cadente , accom pagnata per lo più da una infaufta dote di mali, vedrebbe da mercenarie mani rapaci diſperſi, e lacerati i ſuoi fondi , rendergli un frutto di gran lunga inferiore a quello che potrebbe ritrarne perchè diviſo con tanci domeſtici fti pendiati uſurpatori. 78 Quello poi che ſi carica di pagare un frutto maggiore dell'ordinario ha per oggetto non folo di fare in un colpo l'acquiſto di una ragguardevole ſomma , ma di vedere la vita di quello a cui lo paga non oltrepaſſare un tal corſo di anni che la rendita ecceſſiva af forbiſca il capitale , e la ſomma degli inte reſſi ordinarj , che egli ne ha ritratti . Aipri mo arride la ſorte fe ſopravviva un tal nu mero di anni che fatta la ſomına delle an nuali rendite vitalizie , queſta ſuperi il fondo perduto e di più le rendite ordinarie del medeſimo . Favoriſce il ſecondo ſe la morte fi affretti a troncare prima di tal termine i giorni dell'altro . Ecco lo ſpirito di queſto contratto . Per rintracciare nel medeſimo la neceſſaria uguaglianza , e per verificare i noſtri teore mi è neceſſario riflettere , che sborſato il ca pitale che ſi perde , e fiſſata la rendita mag giore dell'ordinaria , vi ſarà un certo nume ro di anni , per il corſo dei quali ſopravi vendo , la ſomma degli ecceſſi della rendita vitalizia full' ordinaria uguaglierà il capita 6 79 le . Se quello adunque che perde il fondo foſſe ſicuro di ſopravivere un tal corſo d'an ni , non potrebbe eſiger di più di queſta de terminata rendita vitalizia . Ma ſiccome quel lo che dà a vitalizio non è ſicuro di vivere un determinato numero d'anni ; per poter rendere eguali le condizioni dei contraenti , è neceſſario fiſſare un tal numero d'anni , che la probabilità di ſopravivere ſia uguale a quella di premorire , e che al caſo che uno ſopraviva o due o tre anni , o qualunque altro numero , ſi poſſa con ugual probabilità contrapporre il caſo che muoja un egual nu, mero d'anni prima . Quando dunque ſi tratta di formare un vitalizio , conviene eſaminare quanto abbia ſopraviſſuto un gran numero di perſone , per eſempio mille , all'età di quello che vuol farlo . La ſomma di tutti gli anni che tali perſone hanno ſopraviſſuto di viſa per il numero delle medeſime , dà un numero , che ſi chiama l'età media . Trovato queſto , ſi ſuppone che chi fa il vitalizio deb ba ſopravivere fino a tal termine , e ſi fa il diſcorſo che ſi è detto di ſopra , quando ſi è 80 fatta l'ipoteſi che uno foſſe ſicuro di vivere nè più nè meno un determinato numero d'anni . Nel fiſſare la media ſi ſono conſide rati gli eventi che poſſono favorire il caſo della ſopravivenza eguali in numero a quelli che vi ſi oppongono ; uguaglianza che ſi ac coſterà tanto più al vero quanto ſarà mag giore il numero delle vite dalle quali ſi ri cava la media . Ecco dunque, come in queſto caſo la ſpe ranza può dirſi uguale al timore , e per con ſeguenza può aver luogo l'azzardo ſenza op porſi alla giuſtizia , ed ecco finalmente ridot to il contratto ai termini dei noſtri teore mi . La ſomma del capitale più le rendite ordinarie , che è il prezzo eſpoſto da chi perde il fondo , deve ſtare alla ſomma delle rendite vitalizie che formano il prezzo eſpoſto dall' altro contraente , come il numero dei cafi favorevoli al primo , al numero dei caſi fa vorevoli al ſecondo ; i quali ſupponendoſi moralmente uguali per l'accennata ragione , ne ſegue che la ſomma del capitale , e delle rendite vitalizie dovrà eſſere eguale alla fom 81 ma del capitale , e delle rendite ordinarie computando tal ſomma fino al termine del la vita media , che per ipoteſi ſi dà ſtabilito per l'indicato calcolo . Si ridurrà dunque l'uguaglianza di queſto contratto a diſtribui re per detto numero d'anni queſta ſomma ; o ſia a rendere anche più ſemplice l'eſpreſ fione , ſi tratterà di aggiungere alle annue rendite ordinarie il capitale diſtribuito per detto numero d'anni . E'evidente che per rendere in queſto contratto le condizioni più eguali convien pigliare un grandiſſimo nu mero di vite per formar la media . E quì ſi oſſervi che ſe poteſſe la probabilità della du rata di una vita fino a un dato numero d'an ni cangiarſi in certezza , ſarebbe tolto affatto l'uſo di queſto contratto : lo che dee dirſi di tutti i contratti di azzardo . Si penſa a can giare la probabilità degli eventi in certezza . Se queſto ſi otteneſſe ſarebbe affatto bandita quella cieca divinità alla quale ſi abbando nano gli uomini per formarne un ramo di commercio . Vogliamo adunque miſurar la forte , non eſpellerla . f 82 Tanto più farà facile in queſto contratto fiſſare la media , quanto più ſaranno ridotte a claſſi diſtinte le perſone delle quali ſi ſom mano le età . Qualità di profeſſione, carattere di temperamento , indole di clima , eligono ſeparate oſſervazioni . In fatti, ſiccome per cali favorevoli s'intendono quelli per i quali ſi prolungano le vite , per contrari quelli che le abbreviano ; e i ſecondi , nel fillarſi l'età media vengono conſiderati moralmente ugua li di numero ai primi ; queſta uguaglianza ſarà più vicina alla vera , quanto maggiore ſarà la parità di circoſtanze . Se abbiaſi però riguardo non ſolo alle an nue rendite vitalizie , ma al frutto delle me deſime, potendoſi eſſe, e il frutto loro cangia re ſucceſſivamente in forte fruttifera ; fic come quello che paga l'annua rendita vita lizia paga un frutto maggiore di quello che ritrae ; dovrà a proporzione ſcemarſi l'ecceſſo della rendita vitalizia ſull'ordinaria . Queſto però non ſi oppone alla verità del teorema terzo ; poichè in tal caſo il prezzo che eſpo ne quello che paga la rendita vitalizia non ܪ 83 farà più quell'ecceſſo della rendita vitalizia ſull' ordinaria , che naſcerebbe dalla fillata proporzione ; ma ſarà un ecceſſo tanto mino re , quanto è la differenza del frutto della rendita vitalizia conſiderato ſucceſſivamente , e per ferie cangiato in forte fruttifera , dal frutto della rendita ordinaria conſiderata nell'iſteſſa maniera , e così cangiandoſi pro porzionalmente le eſpreſſioni dei due prezzi , non ſi cangerà l'analogia . Non farà difficile il perſuaderſi dell'indi cata differenza fe fi conſideri, che chiamata la ſorte totale per eſempio A , e una di lei porzione C , alla quale corriſponda l'annuo frutto B , ſarà la ſerie delle annue rate d'in tereſſe o ſia di ciò che ſi deve ogni anno nella ipoteſi che il frutto ſi cangi in forte , eſpreſſa dalla ſeguente formola . (C + B ) A ,( B ) A ( C ( C + B С N o ſia eſprimendo per Nil numero degli anni ſcorſi dal primo (C + B) À laddove quando il N frutto non ſi cangia in ſorte fi avrà una ſe C_A f 2 84 rie aritmetica il di cui primo numero cor riſpondente al primo anno farà il capitale col frutto ; il ſecondo il capitale col doppio del primo frutto ; il terzo il capitale col tri plo del primo frutto . Il valore adunque del frutto del primo anno ſarà la differenza dei termini di queſta ſerie . Siccome poi nel caſo dell'ultima ipoteſi , tanto la rendita ordiną ria , quanto la vitalizia ſi cangiano in forte; fatte le due ſerie di potenze ſecondo la eſpo fta formula , e ridotte ai termini individui del caſo di cui ſi cerca , ſi conoſcerà il valore della ricercata differenza . Richiaminſi però a queſto contratto i prin cipj ſtabiliti in quello dell'aſſicurazione, e ſi abbia in viſta che per caſi favorevoli , altro non s'intende , che il numero di quelle per ſone che in parità di circoſtanze hanno ſo pravviſſuto un dato numero d'anni , per ſi niſtri poi il numero di quelle che ſono man cate prima ; che queſta parità di circoſtanze vien compoſta talora da molti elementi il valore de'quali dev'eſſere prima a parte no tato ; e che la vita dell'uomo dipendendo da 85 cagioni fiſiche e morali , fa di meſtieri riflet tere al diverſo loro carattere , e alla recipro ca influenza delle medeſime. Lodevolilimo però è l'uſo di far le tavole , o regiſtri, nei quali ſi notino la naſcita , la morte , e gli altri accidenti della vita umana ; poichè queſte ſole appreſtano il fondamento ſu cui ſi appoggiano tanti vantaggioſi con tratti ; ed elle ſole danno la miſura delle forti, e delle aſpettative dei contraenti . Sarebbe in conſeguenza deſiderabile che ciaſcun medico regiſtraſſe privatamente le qualità , e gli accidenti dellemalattie che egli tratta ; ſiccome quelle del temperamento di ciaſcun malato , che egli libera , o che non può ritrarre dalle prepotenti fauci di morte . Queſte ridotte in ſiſtema, e reſe pubbliche riſparmierebbero molte volte la pena di com binarne molte formate da indotti oſſervatori , anzi fovente farebbero neceſſarie ; poichè l'imperito regiſtratore omettendo tutte le circoſtanze , o alcuna almeno delle eſſenziali , rende inutili le ſue oſſervazioni, e appreſta piuttoſto occaſione all'altrui errore , o irri fleſſione . 86 Benchè e da quali tavole ſi potrà mai rica vare la giuſta miſura della vita d'un uomo ? Quot non ſunt caufae , dice S'graveſand intro duft. ad Phil. a quibus vita hominis pendet ? Una di queſte tavole forſe la più eccel lente , perchè ricavata da regiſtri d'interi regni e provincie , è quella di Pietro Süſmlich da lui intitolata : La divina providenza nelle vicende dell'umana ſpecie , dimoſtrata dall'or dine delle naſcite , morti e moltiplicazioni . Celebre è anche quella di Hocdſon fatta appunto per fillare le annue penſioni vitali žie , e dedotta dai cataloghi di mortalità di Londra . Gl’Italiani forſe ſono quelli che hanno traſcurato fin'ora più dell'altre nazioni queſti importanti regiſtri. Oh ſe lo ſpirito d'indu ſtria , e di curioſità , che non è l'ultimo pre gio di queſta nazione ſe l'intendeſſe ſempre con la vera , ed utile filoſofia ! Sono ſtate fatte oſſervazioni meteorologiche , ed ulti mamente l'aſtronomo di Padova il chiariſ fimo S: Toaldo ha dato alla luce un libro nel quale ſono regiſtrate le oſſervazioni fatte 87 í per un lungo corſo d'anni . Più palpabile però , per ſervirmi di una eſpreſſione di un fommo Filoſofo , e più immediata ſarebbe l'utilità delle tavole di cui ſi parla . Vi è tutta la ragione di aſpettarla grandiſſima, dalla aſſiduità , ed efficacia dei noſtri Italiani oſſervatori. Il preſagio comincia ad avve raríi felicemente . Già dai regiſtri delle na ſcite , che la noſtra fanta religione rende neceffari, ſonoſi ricavate delle conſeguenze ſull'articolo della popolazione : ficcome dalle oſſervazioni delle frequenti morti dei bambi ni , ſi è preſa occaſione di rintracciarne la cauſa , e d'indagare la maniera di ſalvare queſti teneri germi , che sì facilmente foc combono anche ad un leggiero urto , e ad una tenue ſcoſſa . Al genere dei vitalizj appartiene quella convenzione , che dal ſuo oggetto chiamaſi: la dote della figlia . Un provido padre sborfa una determinata ſomma di denaro con la condizione che fe una tal figlia di freſco natagli manchi prima dell'età nubile , la sborſata ſomma cada in 88 proprietà di quello che l'ha ricevuta ; ma ſe la figlia arrivi all'età nubile riceva eſſa da queſto una ſomma proporzionata agl'intereſſi decorſi del denaro , e al pericolo in cui ella è ſtata di morire in tal intervallo , e di per der così la ſomma dal padre sborſata . Dovrà in tal contratto rifletterſi che il prez zo , che sborſa il padre per la figlia è uguale alla fomma più le rendite ordinarie fino all anno prefiffo ; quello che azzarda l'altro è l'ecceſſo della dote ſopra la sborfata ſomma , e i frutti ordinari: ecceſſo che fi deve per l'incertezza della vita . Deve dunque come il numero dei caſi favorevoli alla vita della figlia fino alprefillo termine , ſta ai ſiniſtri (a) , o fia ai favorevoli all'altro ; così ſtare la ſom ma sborſata dal padre , più le rendite ordi narie , all'ecceſſo della dote che ſi dovrà alla figlia in caſo di ſopravvivenza ſulla ſomma sborſata più le rendite ordinarie . Havvi un'altro contratto per cui un par ticolare, che vuol comprare una conſidera ( a) Anche in queſto contratto i caſi favorevoli , e i finiftri s'intendono come fi dille parlando de' vitalizji 89 bile carica ; per non privare della ſomma ne ceſſaria a tal acquiſto una famiglia a lui ca ra che la ſua morte potrebbe mettere in braccio alla deſolazione, e all'inopia ; fi fa aſſicurare la propria vita per un dato corſo di anni , pagando , o una ſomma, o un'an nua penſione all'aſſicuratore , che ſi obbliga all'incontro di pagare agli eredi di lui la ſom ma ſpeſa nell'acquiſto della carica , ſe egli muoja prima del termine ſtabilito . La eva luazione della vita , si in queſto , come in tutti gli altri caſi ſi ricava dalle non mai ab baſtanza commendate tavole . Si oſſervi, che in queſto contratto quello che riceve la ſoin ma o l'annua penſione, trova vantaggio nella prolungazione della vita di chi la sborſa , al contrario di ciò che accade nei vitalizj , e negli altri contratti ad eſſi analoghi . Nel for mare adunque la proporzione cangian nome fra loro i caſi che nei vitalizj ſi chiamano favorevoli, o ſiniſtri; del reſto non vi è dif ferenza veruna . E' queſto un contratto di cui tanto meno importa trattenerſi ad eſami nare i dettagli quanto importa più alla feli 1 $ 1 1 1 1 1 go cità di uno ſtato che non poſſa mai trovarſi occaſione d'iſtituirlo . Diaſi però in quella vece una rapida oc chiata a quello che dal nome del ſuo inven tore chiamaſi Tontina . Non differiſce que fto dal vitalizio , ſe non in ciò che ove in quello la rendita annua ceſſa alla morte di colui , che collocò il ſuo capitale a fondo per duto ; in queſto ſi diſtribuiſce nei ſuperſtiti che appartengono alla medeſiına claſſe , e che hanno fatto un ſimile contratto col padro ne della tontina . L'ultimo però di ciaſcu na claſſe conſolida ſul ſuo capo tutte le ren dite che ſi pagavano a quegli che gli ſono premorti nella ſua claffe . A formare le diverſe claſli dà norma la diverſa età . E' celebre la Vedova di un Chirurgo di Parigi la quale morì in età di 90. anni , e godeva 35000, lire di annua penlione frutto di uno sborſo di 600, lire . Dalle tavole di mortalità ſi è ricavata la formula che eſprime in un dato numero di vite coetanee quanti anni ſia per durare la più lunga . Da ciò il padrone della tontina pud co 91 lui il pagare a o il noſcere per quanti anni dovrà pagare le ren dite ; poichè per il ſovra eſpoſto carattere di tal contratto , val lo ſteſſo per ciaſcuno la ſua penſione col diritto di ac creſcere , che hanno quelliche ſopravvivono , pagare la fomma di tutte a quella vita che durerà più dell'altre . Potrà per conſe guenza fiſſare il valore di queſte annue pen ſioni . Si è in oltre trovata la formola che eſpri me , dato qualunque numero di vite coetanee , il tempo in cui uno , o due , o più manche ranno , la formola per il caſo che più perſo ne comprino un annualità da dividerſi fra loro mentre vivono , da dividerſi poi dopo la mor te di qualcuno di loro ugualmente fra i ſo praviventi, e da ricadere finalmente tutta all'ultimo ſuperſtite da goderſi durante la ſua vita ; e queſta ancora dà lume agli azionari ſulla contribuzione che devono preſtare. E faminate queſte formole , ed avuto in conſi derazione il metodo tenuto nel fiſſare la pro porzione per i vitalizj , ſi ritrova facilmente la medeſima anche per le contine . 92 1 1 E' oltre ogni credere benemerito dell'u“ manità il gran inatematico Abramo Moivre , che ha trovate , e applicate le anzidette , e molte altre formole , che ſi trovano nella incomparabile ſua opera intitolata la dot trina degli azzardi . Io non le ho riportate perchè il far ciò e troppo lungo ſarebbe , e devierebbe dallo ſcopo fin da principio pro poſtomi. Benchè peraltro l'unico mio oggetto nell’ eſaminare i contratti d'azzardo ſia quello di fiſſare i principj sù cui ſi fonda l'uguaglianza perchè ſian giuſti ; voglio rammentare , che i più illuminati politici hanno deteſtato l'a buſo di queſte pubbliche rendite , come ap punto ſono le tontine , ed altre di fomi gliante natura . E' troppo chiaro che queſte tendono a ſoffocare i germi dell'induſtria , e ad appreſtare alla parte ozioſa , e indolente della ſocietà armi ſempre nuove per oppri inere la porzione che co'ſuoi ſudori dà moto , ed anima al ben eſſere dello ſtato ; oltre di che ſi oppongono alla propagazione , allet tando eſſe a ſituarſi in uno ſtato nel quale il 1 I 93 generar figli ſarebbe un'accreſcere il numero degl’infelici . En fin je ne me plaindrai plus De l'etoile qui me domine ; Il me reſte encore cent ecus Que je vais mettre a la Tontine : O la charmante invention ! Sans avoir du Dieu Mars eſſuyé le orages , Sans avoir fatiguè la cour de mes hom mages , Je ferai ſur l'etat , & j'aurai penſion . Così cantò un elegante Poeta Franceſe in tendendo così di far la ſatira delle tontine ; e pare di fatto che il Poeta potrebbe ora viver quieto ſu queſto articolo eſſendo eſſe molto ſcemate , e andate in diſuſo , benchè non così gli altri contratti del genere di cui parliamo . Ma d'altra parte eſſendo utiliſſimo, e tal volta neceſſario al ben dello ſtato il poter ſollecitamente raccogliere una grandioſa ſomma di denaro , ſenza imporre perciò nuo ve contribuzioni; ed effendovi talora molti cittadini , le circoſtanze dei quali rendono ad eſſi neceſſario il ſoccorſo di queſte pen 94 . fioni vitalizie ſi potrebbero forſe ritrovare provvedimenti opportuni , per fare un eſame regolato dell'età , e delle circoſtanze di quelli che doveſſero eſſere ammeſſi alla compra delle azioni , e con i neceſſari regolamentipreveni re gl ' inganni , che in queſto articolo intereſ fante poteſſero deludere le pubbliche vedute . 1 1 1 1 . 1 Per eſaminare i contratti della terza claſſe ne quali il rapporto su cui ſi fonda l ' ugua glianza fra i contraenti ſi appoggia in parte alla conſiderazione di leggi certe , e ſicure , e in parte alla ſperienza del paſſato , e a cir coſtanze incerte e di numero indeterminato , ſi ripigli l'eſempio dell'urna , nella quale ab biavi un determinato numero , per eſempio di go. palle . Se la ſperanza dell'eſito felice è affidata all'eſtrazione di una palla ; per la natura di tal contratto , o gioco che voglia chiamarſi, e per le ſue leggi, il numero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri farà come 1. 89,0 ſia chiamando il numero totale m farà il mu mero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri come 1 : m - 1 e per conſeguenza l'aſpettativa del buon'eſito farà = mo ſia -112 95 Ma ſe ſia vero che la palla alla quale è affidata la ſperanza eſca più frequentemente dall'urna che qualunque altra , e l'ecceſſo di tal frequenza ſu quella delle altre ſia Þ ; il numero dei caſi favorevoli non ſarà più i ma bensì 1 Xp ; e quello dei ſiniſtri eſſendo m = 1 , la probabilità della ſperata eſtrazione farà Xp L'addotto eſempio è la norma coſtante di tutti i contratti che poſſano mai cadere for to queſta terza claſſe , come comprendenti le condizioni che ne formano il carattere . Di fatti la probabilità dell'eſtrazione della palla fatale dipende dalle leggi del contratto certe , e ficure che danno il rapporto di e dalla ſperienza , ed oſſervazione delle fre quenti eſtrazioni della medeſima, che danno l'ecceſſo di p ſulla frequenza dell'eſtrazione dell'altre palle nell' urna rinchiuſe , la quale i XP fa che l'aſpettativa diventi I : m ; 112 Non è neceſſario che io offervi che per quanto ſiaſi oſſervato queſto ecceſſo p , non 96 dimeno non è ſicuro e certo che piuttoſto eſca tal palla , di quello che ne eſca un'al tra . E queſta è una di quelle circoſtanze che io chiamo incerte e variabili . Che ſe ſi trattaſſe di paragonare la pro babilità dell'eſtrazione fra due palle , ſicco rapporto che naſce dalle leggi certe e ſicure è lo ſteſſo per tutte due , eſſendo in me il I tutte due ſi dovrebbe attendere ſolamen in te la diverſa frequenza dell' eſtrazione di queſte due palle . A queſto eſempio ſi poſſono ridurre fpe cialmente le offervazioni dei giocatori di lotto , e di quelli che ſi travagliano in oſſer vare quali carte ſi moſtrino più ſovente, o quali facce del volubil dado , ad avvicendare nell'agitato cuore dei giocatori la gioja e la triſtezza. Ben' è vero però che per quanto fiano replicate le eſperienze , in moltiſſimi caſi non apparendo neppure in confuſo una minima conneſſione di tal frequenza con una vera cauſa da cui derivi , non potranno giam mai meritare che le abbia in viſta , chi ra 97 giona ſu dati veri , e non fa caſo di mere e vaganti accidentalità . Se ſi aveſſe a queſte riguardo , molti di quei contratti, che nella prima claſſe ho eſa minati , a queſta terza dovrebbonſi riferire . Ma io per le indicate ragioni , a quella ſola nei ſuoi veri termini inteſa giudico i mede ſimi appartenere . Anche in tali caſi perd vi ſono inolti che credono doverſi fare ſcrupo lofo conto dell'oſſervazioni, e per queſta ra gione ancora approverebbero la mia diviſio ne ; eſſendo queſta terza claſſe da me confi derata in modo che può , ſe vogliaſi, compren dere le medeſime, anche quando non appa riſca la ſopra indicata conneſſione . Che ſe il numero delle offervazioni ſia grande , e i riſultati coſtanti , ed abbiavi qual che conneſſione fra l'eſito della ſperanza , ed una cauſa dalla quale poſla derivare tal frequenza di oſſervazioni, allora non v'ha dubbio che ſiamo nel caſo che caratterizza queſta terza claſſe , e la diſtingue dalle altre . Vi ſono in fatti molti giochi , nei quali l'eſito fortunato dipende in parte dalla pro g . 98 pizia ſorte , e in parte deveſi alla propria in duſtria o deſtrezza nel combinare gli elemen ti del gioco , e rendergli coſpiranti al termi ne a cui ſta anneſſo il guadagno del premio deſiderato . L'induſtria però di un giocatore pud conſiſtere o nella ſola avvedutezza e pre ciſione nell'oſſervare l'eſito delle varie coin binazioni del gioco , che ſi vanno ſuccefliva mente preſentando , e la replicata ſperienza delle quali porge la norma ai caſi avvenire ; o nella deſtrezza maggiore di combinare gli accidenti medeſimi del gioco , di dedurre , di ſcuoprire gli artificj dell'avverſario ; e in qualſivoglia di queſti due aſpetti ſi ravviſi l'induſtria , è ſempre vero che i giochi che di effa , e della forte ſi chiamano miſli, hanno un filo non traſcurabile per cui ſi attengono alla terza clafle dei contratti di azzardo , In un gioco miſto è molto difficile che tornino per appunto le medeſime circoſtan ze ; e quindi è che le oſſervazioni ad e {To re lative ſono della natura di quelle dei con tratti alla ſeconda claſſe appartenenti ; in certe cioè , e incapaci di rendere indubitato 99 e ſicuro l'evento , ma fiſabili quanto baſta per formarne un calcolo che miſuri l ' ugua glianza , acciò il contratto ſia giuſto . Ma ſiccome in queſti giochi medeſimi vi ſono dati ſicuri dipendenti dalle loro leggi inva riabili ; quindi è che eſſi appartengono alla terza claſſe , perchè regolati in parte da tali leggi, e in parte da cagioni incerte e inde terminate , e dalla ſola ſperienza . Siccome però poſſono eſſere o molte o poche le com binazioni che conducono all'eſito medeſimo, a miſura che queſte ſono in maggiore o mi nor numero , prevale nei giochi miſti l'in duſtria o la ſorte . Inoltre la deſtrezza di combinare , di de durre , di rammentarſi gli elementi delle com binazioni che ſono uſcite ſucceſſivamente dalla malla totale delle medeſime nel decorſo del gioco , è variabile , come può ognuno of ſervare, quanto è variabile la tranquillità d'a nimo neceſſaria , la perfetta diſpoſizione di ſa lute , e per conſeguenza l'agilità degli ſpiriti, l'elaſticità delle fibre ; in una parola l'atti vità neceſſaria per ben riuſcire in qualunque 100 impreſa richiegga applicazione di mente , e attuazione di fantasia . Conſiderate queſte come cauſe incerte ed indeterminate , e che ſi poſſono ſoltanto dopo un lungo corſo di oſſervazioni fatte giocando col medeſimo avverſario ridurre a calcolo , e quanto alla loro frequenza , e quanto al grado d'influenza ſull'eſito del gioco ; ecco anche in ciò un motivo per cui il fiſſare l’u guaglianza fra i giocatori nei giochi miſti, dipende, e dalle invariate e ſicure leggi del gioco , e da circoſtanze incerte , e indeter minate , Certo è che nei giochi miſti l'induſtria sà tirar profitto dai colpi della ſorte , e il gioca tore avveduto , dice la Bruyere , imita in queſto un gran generale , e un abile politico . Al valore del primo , e alle vedute del ſe condo è miniſtra la forte . Arrivano entrambi francamente al loro intento per quelle ſtrade medeſime che aperſe il caſo ; e che là metton capo , ove forſe non gli avrebber condotti i mezzi più maturati , e i piùmeditatiprogetti . Nei giochi miſti deve farſi la rifleſſione IOI medeſima di cui ſi parlò trattando dei giochi di puro azzardo . O i giocatori tentano con eguali condizioni l'evento medeſimo ; o un folo tenta la ſorte del gioco , e l'altro ſta ozioſo ſpettatore , e riduce la ſua ſperanza unicamente all'infauſto eſito dell'avverſario . Nel primo caſo ſiccome il numero dei caſi favorevoli e dei ſiniſtri dipendente dalle leggi del gioco , è l'iſteſſo per ambidue , ſi riduce a calcolo l'eſperienza ed induſtria , la quale ſi oſſerva nelle medeſime circoſtanze quante volte abbia ſaputo ridurre a buon termine il gioco ; calcolo che ſi fonda ſopra oſſervazioni molto difficili, e incerte . Giacchè farebbe d' uopo che ſi foſſe ſempre giocato col mede fimo avverſario ; eſſendo la deſtrezza , e abi lità di un giocatore affatto relativa a quella dell'avverſario ; e potendoſi queſto rapporto variare ogni giorno , o reſtar coſtante ſecondo i progrelli , o uguali, o proporzionali , o di verſi, che l'uno , o l'altro facciano nel gio co . E' vero però non meno , che trattandoſi di rapporti , poſſono in qualche modo gio vare le offervazioni fatte dell'abilità di un 102 giocatore riſpetto ad un terzo all'induſtria del quale è noto qual proporzione abbia quella dell'avverſario . Nel ſecondo caſo poi l'induſtria non è più riſpettiva , ma aſſoluta ; e fi riduce a calcolo con l'offervare , nelle medeſime combina zioni , o in non molto diffimili per la natura del gioco , quante volte l'avverſario abbia ottenuto quell'intento che ſi era propoſto , fotto le date condizioni; e quante volte non abbia toccato il termine al quale per otte nere il premio dovea pervenire . Generalmente adunque ficcome il numero dei caſi favorevoli e de'ſiniſtri è dipendente in parte dalle leggi del gioco , in parte dalle oſſervazioni, che miſurano la riſpettiva , e afloluta induſtria , converrà diſtinguere , e calcolare queſti due elementi componenti la ſomma dei caſi favorevoli , e ſiniſtri; e formare poi la proporzione eſpoſta nel Teo rema III.', e nel Corollario . Se non due , ina più ſiano i giocatori , ſi rammenti la regola di ridurre i caſi compleſſi ai ſemplici componenti , e di eſaminare in 103 ciaſcuno a parte le ſtabilite maſſime. Sarebbe un ripetere il già detto ; ſe io voleſſi ram mentare i principj ſtabiliti nei contratti della prima claſſe , e in quelli della feconda . Bafli l'avvertire che in queſti della terza claſſe ove trattaſi dei caſi favorevoli o ſiniſtri, in quanto dipendono dalle leggi certe e ſicure del contratto , convien ricorrere ai priini ; ove poi fia queſtione di offervazioni , e di cauſe indeterminate , conviene eſaminare i ſecondi ; non omettendo mai di riflettere quanta alterazione poſſa produrre l'influenza degli uni , ſu gli altri , e la varia loro com binazione . Stabilite così le leggi ſulla ſcorta delle quali ſi giunge a fiſſare la ricercata ugua glianza in qualunque claſſe di contratti di azzardo ; non devo diffimulare , che uno dei più grandi Filoſofi il Signor d'Alembert ha preteſo di abbattere il calcolo delle pro babilità quanto alla ſua applicazione agli ac cidenti umani . Accid , dic ' egli , queſto cal colo foſſe applicabile , ſarebbe neceſſario , che tutti i caſi che ſono ugualmente poſlibili ma 104 tematicamente parlando, lo foſſero anche di fiſica poſſibilità. Sarebbe dunque neceſſario , che gettata infinite volte in alto una moneta , ſopra una faccia della quale vi ſia impreſſa una marca , per eſempio palle , e ſull' altra una diverſa , per eſempio croce , foſſe ugual mente poſſibile che ſi ſcopriſſe ſempre palle , o croce ; e che ſi ſcopriſſero alternativamente queſte due diverſe marche . Ma benchè ciò ſia ugualmente poſſibile matematicamente parlando , non lo è fiſicamente . E queſta di verſità appunto è quella che fa sì, che il cal colo matematico delle probabilità , non è applicabile ai caſi fiſici . Anzi non ſi potrà mai fiſſare il numero delle volte per il quale duri la poſſibilità fiſica di ſcoprirſi ſempre l'iſtella faccia della moneta , e il limite ol tre il quale non paſſi queſta fiſica poſlibilità , durante però ſempre oltre ogni limnite com'è certiſſimo , ed oltre qualunque aſſegnabile numero di getti , la matematica poſſibilità del continuo ſcoprirſi della medeſima faccia . : Lo prova con una inafſima che egli ſtabi liſce per certa : che non è in natura , che un 1 1 1 IOS 1 effetto ſia ſempre, e coſtantemente il mede fino ; ſiccome non è in natura che tutti gli alberi , ſi raſſomiglino fra loro . Queſta maf ſima lo induce ad argomentare che la pro babilità di una combinazione, nella quale il medeſimo effetto ſi ſuppone accader più vol te , in parità di circoſtanze è tanto più pic cola , quanto queſto numero di volte è più grande , di modo tale che quando queſto è maſſimo, la probabilità è aſſolutamente nulla , o quaſi nulla ; e all'incontro quando queſto numero è aſſai piccolo la probabilità non ne reſta che poco , o punto diminuita per queſto riguardo . Adduce egli moltiſſimi eſempi compro vanti la ſua aſſerzione, e conclude che i re ſultati della teoria dei probabili , quand'anche ſiano fuori di ogni queſtione nell'aftrazion geometrica , ſono ſuſcettibili di molta reſtri zione quando i medeſimi ſi applicano alla natura . Alle ragioni però ingegnoſiſſime di un si grand' uomo converrà adunque arrenderſi , e diſperare della cauſa del noſtro calcolo dei probabili ? 1 106 1 Parmi che ben'inteſi i noſtri principj co me ſono ſtati da noi ſtabiliti, o non ſiano at taccati da tali oppoſte difficoltà , o le mede fime reftino ſciolte . Prima di tutto ſi oflervi che noi trattiamo ſolo di calcolare i gradi di probabilità nei caſi nei quali ſi ſuppone po terſi efla rinvenire . Se diaſi dunque un caſo , che non cada in modo alcuno forto la cate goria dei fiſicamente poflibili , e che per con ſeguenza nè il minimo grado abbia di proba bilità ; io dirò che queſto non è oggetto delle mie teorie ; ma non concederò mai che per queſto non ſi poſſano eſſe applicare perfet tainente ai caſi , che ſiano di fatto filica mente poſſibili. Per conoſcere poi quali ſiano i caſi o le combinazioni fiſicamente poſſibili nel ſenſo del Sig. d'Alembert, è neceſſaria una fre quente e replicata oflervazione . Che ſia fiſicamente impoſibiie ( ſe pure ſi può uſar queſto termine ) che una moneta moſtri un inaſſimo o un infinito numero di volte la ſtella faccia , donde ſi ricava , fe non dall'avere offervato che una tale con 107 tinuazione dello ſcoprimento medeſimo non accade , ma che al contrario ſi vanno alter nando , e cangiando di tanto in tanto le facce della moneta ? Benchè non può dirſi a rigore fiſicamente impoſſibile il caſo in cui per un infinito numero di getti ſi paleſi ſempre l'iſteſſa fac cia , a meno che non vi ſia nella moneta qualche fiſica e meccanica cagione che ciò non permetta . Se ſi concedeſſe ancora ( benchè non ſo quanto ſia dimoſtrato ) che ſia fiſicamente impoſſibile, che ſi dia un albero perfetta mente ſimile ad un altro , non che , come fi contenta di dire il Sig. d'Alembert , che ſi raſſomiglino tutti gli alberi fra di loro ; non correrebbe la parità , per dedurne che nel caſo di un infinito numero di getti di una moneta , l'uniforme ſcoprimento di una fac cia della medeſima ſia fiſicamente impoſſi bile . Poichè vi corre una notabiliflima di ſparità . Tutte le combinazioni le quali fanno , che una coſa non ſia fimile all'altra , danno tanti ios riſultati fra loro diverſi. Dalle diverſe com binazioni infinite che faran caufa che l'ala bero A non ſia perfettamente ſimile all'albe+ ro B , naſceranno tanti alberi fra loro diverſi ; o altri corpi dei quali ſi conoſcerà la diffe renza . Ma dalle diverſe combinazioni che poſſono fare che non venga infinite volte di ſeguito la faccia palle della moneta ; non ne poſſono venire che riſultati affatto ſimili , cioè croce ; poichè ogni volta che non ſi ſcopra palle , ſi ſcoprirà croce . Queſto prova che le combinazioni che ſono contrarie alla per fetta ſomiglianza di due coſe , formano infi niti rapporti , infiniti riſultati dei medeſimi, infinite diverſe compoſizioni di parti dipen denti da infinite meccaniche direzioni delle particelle della materia di infinite poſſibili diverſe velocità , figure ec.: coſe tutte che nel caſo noftro non ſi verificano . Di fatto gli elementi che formano la com binazione , che per infinito numero di volte preſenta palle , ſono tutti ſimili fra di loro , ed hanno fra di loro un folo invariato rap porto . Di modo che ſe ſi ſupponeſſe mutato 109 l'ordine col quale eſce prima la infinita ſerie di palle, e ſi ricominciaſſe il getto , e ritor naſſe di nuovo a ſcuoprirſi infinite volte la faccia che preſenta palle , ne verrebbe un or dine fimiliſfimo al primo , potendoſi dire , che l'iſteſla relazione ha il primo ſcoprimento di palle al milleſimo, che ha il ſecondo al cen teſimo , e così dicaſi di tutti . Talmentechè a rigor parlando , non ſi può dire , che fra queſti getti vi ſia ordine che formi fra effi un rapporto piuttoſto che un altro . Non così degli elementi che formano un dato fiore , o albero ; eſſendo combinabili fra di loro con infinite varietà di ſopra ac cennate . Gli elementi fiſici adunque delle combinazioni nel caſo della moneta ſono ſempliciſſimi, laddove nell'eſempio addotto dal Sig. d'Alembert fono infiniti, dal che ne viene , che la parità non corre ; e dalla fiſica impoſſibilità ( ſe fi ammetta ) di trovare mol te , o anche due coſe fra loro ſimili ; non ne viene la fiſica impoſſibilità che una monetan gettata in aria infinite volte moſtri ſempre l' iſtefla faccia . 110 1 La diſparità compariſce più chiara , fe li rifletta che qualunque vedendo in un dato ſpazio tutte le particelle più minute compo nenti i corpi ; e riflettendo alle variazioni poſſibili della velocità , e della figura delle medeſime; e vedendone in un ſimile ſpazio un altro ſimile numero , avrebbe ſubito infe rita l'impoſſibilità di una combinazione ta le , che ne riſultaſſero due alberi ſimili . Laddove vedendo una moneta , e ſapendo che ſi deve gettare in aria infinite volte , non avrebbe avuta una fiſica ragione di preſagire che non ſi ſarebbe un infinito numero di volte ſcoperta l'iſteſſa faccia , e di credere tal combinazione fiſicamente impoſſibile , come la pretende , fondato ſulle addotte ri fleſſioni , il Sig. d'Alembert . In una parola della impoſſibilità ( ſe tal vo glia chiamarſi ) della ſomiglianza di due al beri ſe ne può addurre a colpo d'occhio una fiſica meccanica ragione ; lo che non può dirſi dello ſcoprimento della faccia di una moneta . Lo ſteſſo a proporzione dicaſi delle diverſe , III combinazioni delle lettere che formano la parola Conſtantinopolitanenfibus. Chi attribuirà al caſo , dice d'Alembert , che ſi combinino in modo tante lettere che formino queſta pa rola ? chi vorrà crederlo poſſibile ? Dunque conchiude egli ſarà ugualmente impoſſibile il continuo per infinite volte ſcoprimento della faccia medeſima di una moneta . Queſto eſempio è molto ſimile a quello dei due al beri fimili ; e ſi riſponde anche a queſto , che ciaſcuna lettera può variare rapporto a tutte le altre , e che ciaſcun riſultato ſarà diverſo . La Luna , aggiunge il Ch. Filoſofo , gira attorno al ſuo alle in un tempo preciſamente uguale a quello che ella impiega nel deſcri vere la ſua orbita intorno alla terra ; e queſta eguaglianza di tempo produce ammirazione , e ſi vuol cercare qual n'è la cagione . Se il rapporto dei due tempi foſſe quello di due numeri preſi all'azzardo , per eſempio di 21 : 33 , niſſuno non ne ſarebbe ſorpreſo , e non ſe ne ricercherebbe la cagione ; e pure il rap porto di uguaglianza è matematicamente و II2 parlando ugualmente poſſibile , che quello di 21:33 ; perchè dunque ſi cerca una cagione del primo , che non ſi cercherebbe del ſe condo ? Lo ſteſſo dicaſi della ſituazione dei pianeti e del rapporto che ha la zona nella quale fono rinchiuſe le orbite loro , alla sfera . Per chè ſi conchiude egli che queſto non è effet to del caſo ? perchè queſta combinazione , benchè matematicamente poſſibile al par dell'altre , ſi riguarda .come effetto di un diſegno , e di una regolarità ? E non ſi crederà poi , che il ſolo caſo non può pro durre quella combinazione per la quale la moneta ſcopra infinite volte di ſeguito fem pre palle; e non ſi crederà queſta fiſicamente impoſſibile , benchè abbia una matematica poſſibilità eguale a quella delle altre combi nazioni ? Ma io riſpondo , che di fatto le com binazioni dei citati eſempi hanno avuta una fiſica poſſibilità uguale a quella di tutte l'al tre combinazioni ; che non vi è forſe argo mento che provi che il caſo non le aveſle po tute produrre ; ma che anche ſe ſi vogliono LI3 fiſicamente impoſſibili al ſolo caſo ; ciò è per chè ſon compoſte di elementi infinitamente variabili ; lo che appariſce a chi ſi faccia di propofito a conſiderare le diverſe cagioni , e le diverſe poſſibili combinazioni, che poſſon far sì che i tempi dei due giri lunari non ſia no uguali ; e che la zona delle orbite plane tarie abbia alla sfera un rapporto diverſo da quello che ora ha infatti; cagioni tutte fi fiche , e meccaniche . Di più dico , che l'uguaglianza dei corſi della luna intanto a noi fa impreſſione, in quanto che il rapporto di uguaglianza è quello al quale ſi fogliono riferire tutti gli altri; e tutta la differenza che fra eſſo , e gli altri paffa , non è che metafiſica ; e nulla po ne di fiſico per cui tal combinazione debba eſſere più difficile dell'altre . Lo ſteſſo dicaſi della parola Coſtantinopoli tanenſibus . Queſta combinazione di lettere fa ſpecie a noi che intendiamo il ſenſo della parola , e che al ſuono della medeſima abbia mo legataunidea ; non così a un Turco idio ta il quale non col nome di Coſtantinopli b 114 ma con quello di Stamboul è avvezzo a no minare la ſuperba metropoli dell'Impero Ot tomano . Non contento Monſieur d'Alembert degli eſempi addotti in conferma della ſua aſſer zione , l'appoggia ad altre due rifleſſioni. Si fa che la durata media della vita di un uomo , contando dal giorno della ſua naſcita è all'incirca di 27 anni ; ſi è pure conoſciuto per mezzo delle oſſervazioni, che la durata media delle ſucceſſive generazioni più ome no è di 32 anni ; finalmente ſi è provato per tutte le liſte della durata dei regni di ciaſcu na parte d'Europa , che la durata media di ciaſcun regno è di circa a 20 in 22 anni . Si può dunque dic' egli , ſcoinmettere non ſolo con vantaggio ma a gioco ſicuro che 100. fanciulli nati nel medeſimo tempo non vive- , ranno che 27 anni l ' un' per l'altro; che 20 generazioni non dureranno più di 640 anni in circa ; che 20 Re ſucceſſivi non viveran no che intorno a 420 anni . Una combina zione adunque che non daſſe intorno a 27 . anni la durata media della vita dell'uomo, IIS pigliandone cento a eſaminare , o non dalle di 32 anni la durata media di 100 fuccef five generazioni ; oppure portaſſe che 20 Re ſucceſſivi regnaſſero , o molto più , o molto meno di 420 anni , non ſarebbe fiſicamente poſſibile ; eppure lo ſarebbe matematicamen te parlando . Dal che riſulta che vi ſono al cune combinazioni matematicamente pofli bili , che ſi denno eſcludere, quando eſſe fo no contrarie all'ordine coſtante della natu ra . Dunque la combinazione in cui , o infi nite volte , o un gran numero veniſſe ſcoperta ſempre la medeſima faccia della moneta , benchè di matematica poſſibilità uguale a quella di qualunque altra combinazione , dev’ eſſere rigettata . E' nell'ordine naturale , ché un banchiere di faraone , che ha dei caſi favorevoli più che dei ſiniſtri ſi arricchiſca coll'andar del tempo . Di fatti ſi oſſerva coſtantemente , che non vi è banchiere , che non accumuli groſſe fomme di denaro . Queſto prova , che quelle combinazioni , che hanno più caſi contrari che favorevoli , ſono alla fine di un certo b 2 116 tempo, meno fiſicamente poſſibili che le al tre ; quantunque matematicamente parlando tutte le combinazioni ſiano ugualmente pof ſibili . Dunque conclude egli , la combina zione , la quale preſenti ſucceſſivamente per un gran numero di volte ſempre la ſteſſa fac cia della moneta dev'eſſere eſcluſa . Per riſpondere a queſti due eſempi parmi che prima di tutto ſi poſſa negare la fiſica impoſſibilità , che con tanta franchezza ſi af feriſce della durata media della vita di un' uomo diverſa dallo ſpazio di circa 27 anni. Ed io ſono ben perſuaſo che eſaminando il caſo della vita di molte centinaja d' uomini ſe ne troveranno di quelle , o aſſai maggiori , o aiſai minori dello ſpazio di 27 anni ; dun que tale combinazione non fi deve ſcartare come fiſicamente impoſſibile. L'iſteſſo dicafi di quella , per cui un banchiere in vece di arricchire ſi vedeſſe dal gioco medeſimo ri dotto all' inopia ; caſo che non è poi sì in frequente ad accadere . Dicafi piuttoſto che l'una , e l'altra di queſte combinazioni con tenute nei due eſempi addotti dal chiarilli 117 mo d'Alemberţ ſono molto difficili, e tanto più , quanto l'ecceſſo dei caſi contrarj alle combinazioni medeſime ſupera il numero dei favorevoli ; lo che conviene appunto con li da me ſtabiliti principj . Venendo poi al caſo noſtro dico , che fo no varie , e moltiſſime in numero le cauſe vere , e fiſiche che influiſcono ſulla vita degli uomini . Ma trattandoſi del getto della mo neta , non vi ſono principj fiſici diverſi, e tali , che ſi debba in vigor deị medeſimi pre dire piuttoſto una , che l'altra delle combi nazioni , che a rigor parlando non ſono che due , come più ſopra ſi è offeryato . L'ordine delle umane coſe , e le fifiche qualità , e coſtituzioni dell'uomo, e delle ca gioni che lo poſſono privar di vita , ſon con ſultati nel primo caſo ; nel ſecondo nulla hav: vi di fiſico che ſi poſſa conſultare a formare il preſagio . Dunque fi pud predire , che ioo o maggior numero di uomini avranno preſi inſieme un corſo di vita uguale a quello di altri 100 uomini ; benchè prima di aver faţte le offervazioni non ſi poſſa cal corſo file 1 b 3 118 ſare; così prima di aver’anche fatte le oſſer vazioni, conoſciuto il ſiſtema del gioco del faraone ſi può predire che un numero molto maggiore farà quello dei banchieri che arric chiſcono , che non ſarà quello degli altri che ſi rovinano . E ciò perchè veramente vi ſono delle intrinſeche cagioni che portano a for mare queſto preſagio , e cagioni che naſcono dal ſiſtema del gioco . Ma chi sà dire qual fi fica ragione addur voglia uno , che vedendo gettarall'aria una moneta , aſſeriſca che è fiſicamente impoſſibile, che o per un maſſi mo , o anche infinito numero di volte , pre ſenti ſempre la ſteſſa faccia ? Varie poſſono eſſere le maniere di gettare in alto la moneta . Si può gettare a una gran de altezza , e a una piccola ; con poca forza , e con molta ; con tale direzione che la baſe faccia angolo retto con l'orizzonte ; o che lo faccia obliquo ; oppure in modo che ſia ad eſlo parallela . Si può anche gettare in ma niera che ſomigli quaſi il laſciarla cadere leggermente da un punto fiſſo . Fermiamoci ad eſaminare queſt' ultima ipoteſi; e ſi ve 1 1 119 1 drà , che laſciandola in tal modo cadere , ſpecialmente a piccola altezza , anche in finite volte , non vi è ragione di preſagire , che non poſſa eſſere coſtante lo ſcoprimen to della faccia medeſima . La impoffiſibilità di queſto uniforme ſcoprimento , la inten de egli il Signor d'Alembert in queſto ca ſo , o negli altri caſi ? Se la intende in queſto caſo , come dunque ſi verifica , che il ſolo or dine della natura renda impoſſibile queſto u niforme ſcoprimento ? Se poi non la intende in queſto caſo , come dunque ſi verifica uni verſalinente la ſua maſſima ? Ma io aſſeriſco eſſere più conforme allo ſpirito delle ragioni del Sig. d'Alembert , che anzi egli intenda di queſto ſolo caſo in cui non altro appunto , che un non sò quale fatal ordine della natu ra ,potrebbe cagionare la preteſa variazione . Che ſe pure ſi trattaſſe degli altri caſi , dico che nonoſtante la variabilità delle combina zionidell'impeto ,dell'altezza , della direzio ne ; queſte non poſſono valutarſi in modo da rendere fiſicamente impoſſibile l ' uniforme ſcoprimento; poichè gli effetti di queſte va 120 riabili combinazioni, non ſono che due ; o lo ſcoprimento di palle, o lo ſcoprimento di croce ; e non ogni variazione , e combinazione di tali cauſe influiſce a diverſificare gli ef fetti: come peraltro ſuccede negli eſempi ad dotti dal Sig. d'Alembert , nei quali trattan doſi di rapporto , o di diverſa conſociazione di parti , ognun vede , che ogni variazione influiſce a produrre un effetto diverſo . O ſi riſguardi adunque la diverſità negli effetti ; e negli addotti eſempi, queſti ſono in finiti, nel caſo noftro non ſon che due non potendoſi voltare , che palle , o croce ; o ſi ri guardi la diverſità nelle cagioni che tali ef fetti producono; e negli addotti eſempi, ſo no anch'eſſe infinite , giacchè ogni minima variazione influiſce come nuova cauſa ; nel caſo della moneta non è così , potendoſi dare moltiſſime combinazioni di forza , altezza , direzione, che producano ſempre l'iſteſſo effetto ; potendoſi anche dare che in infiniti getti , o in un numero aſſai grande , ſi man tenga l'iſteſſa direzione , benchè obliqua; l'iſteſſa altezza benchè grande; l'iſteſſo im 1 1 pero , benchè forte; oppure che fi muti ad ogni getto . Parmi adunque che e queſti ultimi e gli altri addotti eſempi, o non combinano con quello della moneta ; o al più provano una no tabile difficoltà nella combinazione che pre ſenti ſempre l ' ifteffa faccia della moneta ; verità che ſi accorda perfettamente con gli eſpoſti principj; poichè le oſſervazioni me deſime ce lo fanno conoſcere ,ed io ſuppon go nell' applicargli, il caſo probabile , e con la ſcorta dei medeſimi ne cerco il grado di probabilità ; dal che ne viene che la teo rìa non è applicabile ai caſi ove o neſſuna o quaſi neſſuna probabilità del buon eſito appariſca , per poterne formare la propor zione . . Quando poi cominci il numero in cui non ſia ſperabile un continuodiſcoprimento di una fola faccia della moneta , le oſſervazioni, e non altro , poſſono moſtrarlo ; quelle oſſer vazioni io dico , che io medeſimo ho prefe per ſcorta in moltiſſimi caſi appartenenti alla materia dei contratti di azzardo. 122 } E' poi tanto evidente che la propoſizione del Sig. d'Alembert non atterra l'uſo del calcolo delle probabilità , che anzi in qual che caſo ſe ne poſſono tirare delle conſeguen ze , che lo conferinano . Chi gettando un dado intraprende di ſcuo prire per eſempio il 6 non vorrà gettarlo una ſol volta , quando debba azzardare una fom ma eguale a quella che azzarda l'avverſario ; ma vorrà gettarlo più volte . La ſua ſperan za è ,che non voltandoſi ſempre l'iſtello nu mero che al primo tratto ſi ſcuopre, e che può non eſſere il 6 , arrivi in più volte a vol tarſi anche il 6 ; altrimenti ſe non fcopren doſi alla prima il 6 ſi doveſſe ſempre ſcopri re in tutti i tratti ſucceſſivi quel numero che ſi ſcopre il primo , la ſua perdita ſarebbe ſicura . La ſperanza dunque di queſto gio catore acquiſta tanto maggior fondamento quanto più è vero che ſia impoſſibile che ſi volti ſempre quel numero che alla prima fi ſcoprì; impoſſibilità , che reſta compreſa nel la impugnata opinione del Sig. d'Alembert . Stabiliti i principj regolatori dell' ugua 123 glianza nei contratti d'azzardo , e difeſane l'applicazione non reſta che a deſiderare , che uomini di ſublime ingegno , e di pro fondo ſapere ſi applichino in gran numero ad eſtendere ſempre più l'uſo di una dottri na sì utile . Quanto a me , mi pare di aver ottenuto il mio intento , ſe poſſo luſingarmi di aver formate ed eſpoſte idee giuſte, e chia in un articolo per una parte sì arduo , e per l'altra sì intereſſante.

CODRONCHI (NrcoLA), na cque in Imola il 2o aprile 1751 ed alla patria e al casato accrebbe lu stro e decoro: perchè già rapida-, mente corsi gli studii delle amene lettere e della eloquenza sotto la disciplina de' Gesuiti, e con pub blico saggio nelle materie di filo sofia sperimentatosi non ancora compiuti gli anni 16, potè dallo stesso genitore nelle matematiche, delle quali era egli peritissimo, essere ammaestrato. E col magi stero di quella scienza sublime, illuminando la mente già ordinata a diritti giudizii e scorto da pre cetti delibati dalla scuola non fal libile degli antichi esemplari, com formò la scrittura alla altezza del pensiero, alla cultura dello spirito ed al candore dell'animo : nè i gravi studii della giurisprudenza cui tennesi in Roma applicato (insegnatore monsignor Giovan nardi concittadino di lui, e fiore de giureconsulti) gli tolse di col tivare la poetica, alla quale senti vasi per tal guisa inclinato, che poco oltre il terzo lustro di età bastò a dettare alcuni componi menti i quali resi pubblici con le stampe trovarono grazia e lode somma ne cultissimi di quel tem pi, e sì pure in Arcadia alla cui accademia appartenne col nome pastorale di Cratino. E sono ne gli scritti di lui altri saggi in tal genere di lettere che a migliori poeti, onde la città di Santerno si onora, il pareggiano: che se come ne sono degni verranno presen tati al pubblico giudizio, ben si farà manifesto aver egli con arte maestra saputi attingere da cia scuno de più valenti Imolesi quei modi sceltissimi onde le loro ope re di bella luce risplendono mel l'italiano parnaso. Il carme in fat to robusto e nervoso tal come u sciva dalla penna di Antonio Zam pieri, e castigato ad un tempo ed elegante, quale il vedi in Camil lo, muove nel Codronchi con quella spontanea e nobile sempli cità che t'invaghisce nel Canti; 282 e si abbella di quelle grazie ed e leganze di che lo Zappi infioriva le soavi e dolci sue rime. Tornato in Imola venne decorato della cro ce di Santo Stefano, e nella Imole se accademia degli Industriosi di cui fu socio si mostrò erudito ed elegante oratore e poeta: d'indi a non molto passato per le caro vame a Pisa ebbe colà lezioni di pubblico diritto da quell'alto spi rito del Lampredi, che il tenne in istima d'ingegnoso e di colto, e che lo ebbe sempre carissimo. Quindi il magnanimo gran duca Leopoldo gli conferì la carica di ispettore delle carovane, e ad un tempo la cattedra di etica; intor no a che compose un trattato qua si corso di lezioni, degno per fer mo di essere fatto di pubblica ra gione: ed a quel principe intitolò il Codronchi una eloquente e dot ta Orazione composta eletta, per incarico da lui avutone, al capito lo de'cavalieri Circa l'origine, le leggi ed i fasti dell'ordine, che fu pubblicata il 1779, pel Cam biagi in Firenze, dai torchi del quale uscì nel seguente anno 1785 altro grave e prezioso libro col titolo di Saggio sui contratti e giochi d'azzardo, ove risplende la dottrina di pubblico economista e di filosofo; ed ove la materia gravissima, e che diresti poter so lo dimostrarsi col soccorso del cal colo, per la chiara sposizione pia ma e facile si mostra alla intelli genza comune, Corse intanto tal fama del sa pere di lui alla corte di Ferdinan. do di Napoli, che con reale decre to del 25 novembre 1787, il no minò membro del supremo consi glio di Finanze; nel qual tempo venne ad egual carica eletto quel sommo ingegno di Gaetano Filan gieri, cui il Codronchi fu poi sempre stretto con vincoli di re ciproca stima e di amicizia tene rissima. E ben di questo è prova il pa rere dal Filangieri proposto al re intorno all'enfiteusi del così no mato Tavoliere di Puglia che leg gesi negli opuscoli di lui pubbli cati pel Silvestri in Milano il 1818. ove egli da maestro discorre ciò che con grave senno e sapere a veva il suo collega consigliere Codronchi proposto , quando a questo fine per sovrano volere eb be a recarsi in queHa provincia. Del quale importantissimo servi gio ebbe onore da maestrati quivi preposti alla agraria economia che con parole di lode il provvedimen to del principe ed il nome del be nemerito consigliere in latina e pigrafe eternarono; e n'ebbe dal monarca eziandio meritato pre mio: imperciocchè gli di grado di consigliere effettivo con voto, e di sopraintendente alle dogane ed alle zecche del regno; nel che adoperò a maniera, che sommo vantaggio m'ebbe lo stato per la retta amministrazione di quegli ufficii, ed a lui vennero per mol te lettere di mano della stessa regnante Carolina onorevolissime lodi. Seguì il Codronchi la real corte a Palermo quando dovè colà ri fuggirsi nel 1798 : e con essa lei tornò al suo impiego in Napoli nel seguente anno 1799. Salito al trono il re Giuseppe, volse tosto gli sguardi ad esso lui come a spec chio di sapiente reggimento e di non comune interesse, e gli confe rì la carica di consiglier di stato, di cavaliere del nuovo ordine del le due Sicilie da esso lui istitui to: ma la mal ferma salute che gli vietò continuare a quel monarca i suoi servigi, e che il tolse a quel regno ove lasciò fama durabile del suo merito, procacciò alla patria il conforto di vederlo tornare fra' suoi concittadini de quali era de siderio e delizia : e ben l'ebbero eglino zelantissimo della pubblica 283 morale, e civile istruzione dei giovani a quali col più potente dei precetti, l'esempio, era di bel la guida e di stimolo; e per l'im portante buon regime delle acque operoso; e di quant'altro poteva interessare il pubblico vantaggio studiosissimo: nè mancavano ai mendici dalla mano benefica di lui generosi soccorsi i quali seppe providamente elargire, anzichè ad alimento dell'ozio, a meritato sollievo della vera indigenza. Illi bato del costume e per la esqui sita erudizione della quale era for nito nella sociale consuetudine piacentissimo, con la serena calma del giusto vide giungere l'ora e strema del vivere, che a suoi cari ed alla patria il rapì nel giorno 15 novembre 1818, in età di an mi 67: e della acerba morte di lui amaramente si dolse l'universale della città desolato per la perdita irreparabile di quest'uomo chia rissimo nel quale si ammirarono congiunte a sapere profondo in o gni maniera di scienze e di lette re, integrità di vita e dovizioso corredo di ogni bella virtù. Nicola Codronchi. Keywords: contratto, tre tipi di contratto, contratto epistemico, contratto empirico, contratto misto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Codronchi” – The Swimming-Pool Library.

 

COLAZZA: (Roma). Filosofo. Grice: “Having gone to Clifton, I love Colazza – he is into ‘iniziazione’ – specially in the equites of ancient Rome, but not much different from mine!” Di una famiglia dell'alta borghesia romana, e istruito agli studi umanistici e si laurea a Roma. Cultore dell'esoterismo e delle dottrine massoniche e teosofiche. Fonda il club antroposofico in Italia. Dall'incontro con l'antroposofia Colazza apprese l'esigenza di seguire pratiche spirituali di concentrazione adatte al contesto occidentale, coltivando in particolare la «via del pensiero cosciente».  Altre opere: Dell’iniziazione (Tilopa); La magia del noi di Ur (Edizioni Mediterranee). Evola e l'esperienza del Gruppo di Ur.  A strong anthroposophical influence came from Giovanni Colazza and Duke Giovanni Colonna di Cesard . Close to the group , which adopted the name UR , were Guiliano Kremmerz ( 1861-1939 ) , founder of the Fraternity of Myriam. Sedute spiritiche che si svolgevano in casa dell'amico Giovanni Colazza, e che talvolta si protraevano sino all'alba. SPUNTI DALLA CONFERENZA TENUTA IN ROMA CIRCA IL TEMA DELL’INIZIAZIONE. VENERAZIONE E CALMA INTERIORE”. Il saggio l’Iniziazione mi fu consigliato da Steiner in francese a Piazza Spagna, come un saggio importante, da tenere sempre presente come guida.  L’uomo così come nella vita quotidiana serve a poco o niente per il mondo dello spirito. Siguo Steiner più o meno il saggio, aggiungendo poi altri insegnamenti estremamente utili per ottenere reali risultati. La nostra persona, di cui siamo coscienti, è solo un riflesso del nostro ‘noi’. È molto utile per giungere alla conoscenza del nascosto ‘noi’, distinguere e separare in noi il pensare che p, il sentire che p e il volere che p. Cita l’aneddoto di Eurialo e Niso, che viveno nell’illusione di essere il suo ‘noi’ contingente. L’esoterismo e facile, se si conforta sempre donandoci personali indicazioni, circa gli esercizi e la pratica esoterica. Ma ora, invece dobbiamo cercare fedelmente e scrupolosamente quello che possiamo accogliere e applicare a noi stessi.   Si dice che è importantissimo cominciare sviluppando il sentimento di ‘venerare’. Non bisogna fraintendere il concetto di “venerazione” con uno stato di esaltazione interiore dovuto all’insegnamento che il tutor ci può dare e che noi accettiamo per co-ercizione intellettuale o sentimentale o per atto di fede: ma non è assolutamente questo. Il fatto da riconoscere è questo. Il calore dell’anima è vita stessa per l’anima. L’accogliere freddamente contenuti spirituali, ci riempie soltanto il ‘noi’ di nozioni, senza far penetrare la forza dello spirito. La venerazione e il calore di nostre anime sono l’attività di nostre anime stesse. Bisogna aprirsi a tali rivelazioni della psicologia filosofica come dottrina dell’anima, con atteggiamento di venerazione. I meravigliosi quadri circa l’evoluzione del cosmo devono risvegliare in noi ammirazione, meraviglia e riconoscenza per la gerarchia.  Tale stato di nostre anime destano in noi questo calore, la venerazione per co-esseri e fatti spirituali, ai quali siamo debitori.  Astenersi dalla critica e dal giudizio, cercare di cogliere nell’altro non il difetto, ma la qualità migliore, incoraggiare ciò che vi è di meglio. Il biasimo è energia perduta. Il sentimento positivo e buono e per le nostre anime come la qualità dell’aria che inspirando mettiamo in circolo nel corpo. Più è pura, più saremo sani. Il godimento rappresenta una lezione per l’uomo quanto il dolore, soltanto che è più difficile leggervi dentro. Non bisogna fermarsi alla sensazione del piacere, ma ricercare nel godimento il contenuto più elevato da cui promana, che ne è l’artefice e il senso, ma la sua essenza più intima. Occorre coltivare momenti di raccoglimento, lavorando sui ricordi: rievocare immagini mnemoniche di fatti passati, o della giornata trascorsa ricercando nelle nostre anime l’eco di ciò che aleggia in quelle passate percezioni. Bisogna passare in rassegna gli eventi con meticolosa analisi, oggettivarli, senza applicare alcuna speculazione né alcun giudizio; osservare tutte le concatenazioni, semplicemente contemplarle in modo neutro, lasciando che siano esse a svelarci qualcosa. Noi dobbiamo fare il silenzio. Tale lavoro equivale ad anticipare ciò che avviene nel sonno, quando la gerarchia penetrando nel nostro corpo astrale e nel ‘noi’, inseriscono i loro giudizi. L’impazienza è un perdere energie. Il tono generale della preparazione è quello di una ri-educazione su nuove basi, della vita di pensiero e di sentimento, tramite speciali esercizi. Bisogna entrare nel ritmo della ripetizione, senza lasciare che la nostra natura inferiore si ribelli, rifuggendo gli esercizi. La noia è un grande nemico. ESERCIZIO DELLA PIANTA CHE APPASSISCE. Bisogna osservare una pianta in pieno sviluppo afferrando tutti i dettagli; osservarla e riceverne una percezione così chiara che, chiudendo gli occhi, possa rimanere come chiara immagine interiore di fronte a noi. Esercitarsi con la forma esterna cercando ad occhi chiusi di ricordarla, visualizzandola. Quando si riceve un’esperienza non bisogna assolutamente tradurla in concetti con le parole: bensì mantenerla in sé e coltivarla. PREPARAZIONE E ILLUMINAZIONE. Altra cosa importante da fare è dirigere l’attenzione sul mondo dei suoni. Analizzare e realizzare la differenza fra i suoni di origine minerale immota, e quelli di natura vegetale o animale. Fra lo scroscio dell’acqua, il fruscio delle foglie nel vento, il rotolare di una pietra e il rumore di una macchina vi è una diversa manifestazione delle Forze cosmiche. Cessato il suono, dobbiamo prolungare in noi il suo effetto, ma non attraverso l’udito, ma tramite l’orecchio dell’anima, senza immaginare nulla: aspettare in Silenzio il sorgere di qualcosa. Le potenze spirituali non si trovano e si lasciano trovare come avviene nel mondo sensibile quando si va a monte di un effetto per ritrovarne la causa: sono Esse a decidere per loro deliberazione, se è lecito o no farsi percepire dal ricercatore. Sono Esse che devono e vogliono trovare l’uomo, solo se posto in un determinato stato di accoglimento interiore. Le percezioni immaginative si manifestano come impressioni interiori paragonabili ad impressioni suscitate in noi da un dato colore fisico; la percezione soprasensibile appare rivestita da un colore perché il suo contenuto animico è affine a ciò che quel dato colore equivale corrispondentemente come manifestazione animica. La percezione di un rosso osservato nel mondo fisico, genera in noi un particolare sentimento, contenente qualità animiche: l’Entità che ci appare immaginativamente se ha in sé del rosso, significa che contiene in lei delle qualità e dei contenuti animici affini a ciò che nel mondo fisico ci appare come rosso. E’ un grave errore ritenere che ci si deva attendere nel mondo spirituale come una “ripetizione” più sottile delle forme del mondo fisico. Lo spirituale ha qualità totalmente dissimili dal fisico. Bisogna sviluppare sempre più simpatia e compassione verso gli uomini e gli animali e sensibilità per la bellezza della natura. IL NON VEDERE RISULTATI DURANTE IL TIROCINIO. Spesso il discepolo non si avvede degli effetti e dei risultati derivanti dagli esercizi occulti. Ciò è dovuto al perché si tende a guardare fisso in una direzione, attendendosi di ricevere qualcosa solo da quella direzione, senza accorgersi che ciò che invece è arrivato, promanava a noi da un’altra direzione. Vi sono due gravi ostacoli nella percezione immaginativa: presupporre e attendersi in modo personale ciò deve avvenire; confondere le percezioni di colore con le sensazioni di colore fisico, quasi cercando con gli occhi all’esterno, ciò che invece può apparire solo interiormente. Le percezioni di colore o di forma, non promanano dall’ente osservato, ma sorgono in noi, nascendo dalla nostra interiorità. La conferma circa l’autenticità di aver avuto una vera esperienza spirituale è confermata dall’avvertire in sé il sentimento di aver come sperimentato uno stato già provato; non che l’immagine percepita ci è a noi nota, ma che il sentimento provato durante l’esperienza è un qualcosa di già vissuto, in un passato remotissimo (atlantideo o lemurico).  È un primo passo verso il riconoscere in coscienza il proprio primordiale passato, quando si era in completa unione con il mondo spirituale. ESERCIZIO DEL SEME. Osservare con gli occhi fisici un seme: forma, colore, peso, dimensioni, rapporti. Fatto ciò, occorre interiorizzare l’immagine, astraendosi dalla percezione fisica del seme, sforzandosi di visualizzarlo nel campo della propria coscienza, ad occhi chiusi. Si pensi che in esso è virtualmente presente in potenza l’intera pianta: vi è in lui un’Idea, una Legge naturale invisibile che lo governa, la quale manifesterà in un futuro sulla Terra la pianta in lui ora nascostamente contenuta. In lui dimora una potentissima forza vivente, che si cela alla nostra vista, invisibilmente. Rappresentarsi poi il processo temporale, di crescita in successione, nel triplice ritmo della sua costituzione: radice,  fusto, fogliame, fiori, frutto. Non è importante curare i dettagli, ma sentire la forza di questa manifestazione, la potenza creativa che si esprime nell’espansione dirompente delle forze insite nel seme. Quel che noi sentiremo come potenzialità espansiva è l’elemento invisibile del seme: la forza eterica. Il ritmo perenne del mondo vegetale trascende il seme stesso come dato immediatamente sensibile e percepibile. Ci si volga di nuovo al seme (aprendo gli occhi?) collegando ad esso l’intero processo immaginativo delle potenziali forme di crescita, dell’invisibile che è diventato visibile. La forza che ne risulterà si tradurrà in noi come facoltà di visione: una specie di nube luminosa, una specie di piccola fiamma di colore lilla-azzurro, aleggiante intorno al seme. Ciò è la vivente forza vitale che edificherà la pianta. ESERCIZIO DELLA PIANTA. Osservare una pianta in completo sviluppo, sforzandosi di vedere in essa immaginativamente l’attuarsi del ciclo seme-pianta-fiore-frutto seme, realizzando così un senso di perennità della vita vegetale, espressa nella sintesi della forma della pianta stessa.  In un certo senso, è come se dalla pianta-spazio momentanea, si estraesse la pianta-tempo, ossia l’Idea totale o Essere di specie vegetale a cui appartiene quella pianta. Pensare poi che vi sarà un tempo in cui questa pianta non esisterà più, sarà scomparsa. Questa pianta verrà annientata, ma non la sua specie: essa ha generato dei semi tramite i quali, l’Idea della specie continua l’esistenza in altre piante. Senza distogliersi dalla percezione spaziale fisica della pianta, bisogna sovrapporvi l’immagine di ciò che ella sarà nel futuro, che avvizzisce e che appassisce, disseccandosi, di quella realtà celata ai nostri occhi. La pianta morirà, ma non morirà l’idea o la legge che l’ha generata e fatta agglomerare. Questo trasportarsi nella dimensione delle potenzialità ora latenti, della pianta in oggetto, produrrà in noi la visione di una fiamma. Un’indicazione personale che voglio offrire, è di cercare di contemplare le forme, partendo da una diversa prospettiva rispetto quella usuale. Se si osserva una pianta, solitamente il fusto è perpendicolare all’asse degli occhi. Si provi a piegare la testa, in modo che esso diventi parallelo all’asse degli occhi. Il modificare il modo abituale di vedere, favorirà l’esperienza spirituale. L’obiettivo di questi esercizi è di trascendere l’oggetto percepito per arrivare al suo contenuto immaginativo. ESERCIZIO DELL’UOMO. Prendere in esame il ricordo di un evento in cui abbiamo assistito alla trasfigurazione nei movimenti e nei gesti di un individuo preda di un fortissimo desiderio. Sforzarsi di sentire in noi quel sentimento di brama o desiderio. Pur sorgendo, trasferendo in noi tale sentimento, esso deve rimanerci estraneo, tanto da poterlo osservare obiettivamente, senza parteciparvi con sentimenti e pensieri. Appariranno diverse gamme di sfumature di colori. Altro errore è di compiacersi inavvertitamente o di stupirsi nell’attimo in cui si ha un’esperienza spirituale: si genera difatti un’onda nel sentire che annega l’esperienza stessa. Altra qualità indispensabile da sviluppare è il coraggio o intrepidezza. Certe esperienze spirituali, dalle quali siamo ordinariamente protetti alla loro percezione, sono impossibili da sostenere senza tale qualità. Aver fiducia nelle potenze spirituali, è come aprire un varco ad esse verso di noi: se veramente desideriamo da loro un aiuto, attraverso la fiducia in esse verremo soccorsi e sostenuti. LA DIETA ESOTERICA. L’alcool è da evitare, anche durante i pasti e anche se assunto in piccole quantità: esso immette nel sangue un elemento anti-Io che si oppone all’autonomia dell’Io; una specie di neutralizzatore fisico dell’esperienza spirituale. L’alcool limita, distorce o impedisce la possibilità di giungere ad una percezione cosciente del mondo spirituale. Bisogna giungere a sentire spontaneamente ripugnanza, un naturale disgusto verso la carne; essa contiene sostanze che favoriscono l’irregolare autonomia di certe condizioni del corpo astrale. Inoltre essa paralizza le forze contenute nel ricambio, le quali sono di natura prettamente spirituale. I vegetali che si sviluppano sotto terra, senza la luce solare, come funghi, legumi, sono meno indicati di altri che si impregnano di luce solare, come i pomodori o le arance. GLI EFFETTI SUL CORPO FISICO SUSCITATI DAGLI ESERCIZI. Tutti gli esercizi antroposofici, tendono a realizzare una maggiore mobilità del corpo eterico: nell’antichità, per ottenere questo ci si aiutava attraverso particolari tecniche di respirazione. Oggigiorno, tali pratiche sono dannose: si realizzano difatti degli strappi fra l’eterico e il fisico; se tuttavia se si verificasse qualche esperienza spirituale, sarebbe priva di controllo, casuale. Le pratiche respiratorie sono sconsigliabili. A seguito degli esercizi antroposofici, la respirazione assume spontaneamente un nuovo ritmo. La mobilità del corpo eterico offre la possibilità di percepire il proprio corpo fisico come un elemento estraneo. Si possono, durante il tirocinio esoterico, avvertire delle trasformazioni che possono, ma non devono venir interpretate come anomalie patologiche. Si può avvertire, come non prima, il proprio sistema osseo interno come un peso. Un’altra sensazione è sperimentare i propri muscoli come percorsi da correnti; si sente scorrere qualcosa nel sistema muscolare, quale moto del corpo eterico. Si può poi avere la sensazione che la nostra coscienza sia distesa e diffusa non più solo nella testa, ma lungo tutto il sistema circolatorio, nel sangue ove vi è il nostro noi. Si avverte poi il il centro del proprio essere nel centro del cervello, mentre nella periferia di esso si percepisce la zona ove opera e agisce la memoria rappresentativa. Il sistema nervoso comincia a rendersi indipendente dalla corrente sanguigna. Si ha poi la percezione di avvertire l’indipendenza e l’individualità dei singoli organi interni. Ciò vale anche per gli organi di senso, che sembrano come “attaccati” al nostro essere. I SENSI. Il tatto non è un senso, ma un urto contro il mondo esterno; tramite gli altri sensi, evocando le relative percezioni di gusto, odore, suono e vista per poi cancellarle ispirativamente, è possibile ritrovare la loro origine spirituale. Il gusto è un organo di percezione dell’etere cosmico. L’olfatto fa percepire l’etere vitale. L’udito è l’involuzione di un organo dell’epoca lunare, allora predisposto per la percezione dell’armonia delle sfere. Il senso del calore ci rimanda all’antico Saturno. La vista ci permette di percepire la manifestazione dell’etere di luce. Un sintomo evidente dell’effetto degli esercizi è sulla memoria: essa viene man mano a perdersi, per venir sostituita da un’altra facoltà mnemonica non fondata come questa su ricordi visivi e uditivi, ma su ricordi o immaginazioni eteriche. Il vero serbatoio della memoria non è il cervello, ma il corpo eterico: qui ogni cosa viene registrata, racchiusa e conservata. Procedendo dal presente a ritroso, rievocando stati d’animo sperimentati, sarà possibile ritrovarvi eventi dimenticati. Nel sentire, si risveglia la memoria. Occorre sviluppare presenza di Spirito: abituarsi ad una grande autodeterminazione, imparando a decidere con immediatezza, senza esitazioni. Occorre poi di decidere responsabilmente di non tradire il mondo spirituale, una volta conseguite le facoltà iniziatiche. Il comunicare insegnamenti a qualcuno che non ne sia preparato, significa assumersi anche la responsabilità karmica delle eventuali conseguenze, circa il buono o cattivo uso che questi ne farà. Lo stare in segreto non deve significare darsi arie misteriose, ma solo non voler nuocere ad altri. Tutto ciò che ci porta alla nostalgia del nostro passato, è una tentazione luciferica. Bisogna cessare di contare i giorni, i mesi e gli anni trascorsi senza risultati nella disciplina. La parola chiave è “Pazienza”. L’impazienza rappresenta un ostacolo: il mondo spirituale per potersi rivelare, per aprirsi un varco, ha bisogno di trovare nel discepolo calma attesa, per potervisi riversare. MITEZZA E SILENZIO. Le potenze spirituali sono in continuo fermento, in perenne attesa per poter essere accolte dall’uomo, purché trovino le giuste condizioni che glielo consentano: esse, datrici di Amore eterno e altruista, trepidano nella fremente attesa di poter riabbracciare i loro fratelli minori. Più che anelare di muoversi incontro a loro, è più giusto intendere che la via giusta è sapersi aprire ad esse. Esse possono riversarsi in noi solo se trovano purezza interiore; esse sono sempre pronte, dai limiti della nostra coscienza, a connettersi con noi. Sono soltanto i veli della personalità soggettiva, l’irrequietezza, i timori, gli impulsi inferiori, a impedire loro di avvicinarsi. Ogni sforzo nel guardare o udire fisico, ogni reazione istintiva, paralizza i sensi spirituali. Bisogna rinunciare alla suscettibilità e alla collericità: tacitare le passioni e i desideri. Bisogna svincolarsi dalla forza del desiderio, che impedisce la percezione dello Spirito. Padronanza di sé: dominio dei sentimenti che sorgono spontaneamente in noi. È consigliabile nei rapporti con gli altri, non la durezza, ma la mitezza. La durezza erige una barriera invalicabile, spezzando un’ulteriore comunicazione. Mitezza e silenzio: positività e astensione dalla critica. Si consiglia di ritirarsi ogni tanto dall’ambiente della vita di tutti i giorni, per raccogliersi e meditare in mezzo alla Natura. Il rumore della vita quotidiana, può impedire il manifestarsi degli effetti degli esercizi. Il discepolo mano a mano si libera così della vita istintiva e dei caratteri ereditari della sua razza e famiglia: si svincola dall’azione delle entità spirituali corrispondenti. Occorre sempre chiedersi se si è degni di questa libertà interiore che si vuole conseguire e se si ritiene di avere le forze necessarie per sostenerla, affinché tale libertà agisca positivamente e correttamente. LE sette CONDIZIONI PER LA PREPARAZIONE ALLA VIA OCCULTA. La salute fisica è connessa al karma: molte volte occorre chiedersi se non vi sia qualche cosa nel campo morale che gravi sul fisico, da purificare o da espiare, che ne impedisca l’atteso miglioramento. Per la salute del corpo occorre sopratutto coltivare la chiarezza del pensare e del discernimento nelle impressioni ricevute dal mondo esterno. Prima di parlare o di esporre una propria considerazione o un’opinione, occorre stabilire con chiarezza il pensiero da formulare in immagini: non è bene difatti cercare a tutta prima le parole idonee, ma soprattutto la figura d’insieme da cui partire. È l’immagine che deve far scaturire l’espressione dialettica. Sentirsi un arto della vita universale, una parte di questa, superando ogni senso di separazione. La sostanza divina è solo apparentemente e necessariamente ripartita nel cosmo: lo scopo finale dell’evoluzione è comunque ricostituire un’unica entità spirituale. Bisogna aspirare ad essere ciò che si vorrebbe gli altri fossero. 3- Si deve divenire consapevoli che i pensieri e i sentimenti hanno la stessa valenza e importanza che le proprie azioni: il movimento del pensiero e dei sentimenti è altrettanto concreto quanto le azioni fisiche operate sul mondo esteriore. Ciò originerà responsabilità per il circostante ambiente animico e fisico. I pensieri permangono e si diffondono, comprendendo nei suoi effetti una moltitudine di esseri. Operare secondo i puri impulsi dell’Io superiore, non dell’Io inferiore. Si deve prendere coscienza che il corpo fisico, nel quale solitamente ci s’identifica, è solo uno specchio, un arto dell’interiorità. Educarsi al mantenimento di una decisione presa; il rinunciare è un cadere nel vuoto dell’incoerenza e dell’indeterminatezza: è mancanza di forza dell’Io. Non bisogna assolutamente mai, prendere decisioni o fissare regole, mentre ci si trova travolti dall’onda di un moto passionale o di un impulso emotivo. Occorre essere riconoscenti, grati al mondo esterno e allo Spirituale. Si deve ricordare che nell’era di Saturno, “Tutto era Uomo”, e che solo grazie al frutto del sacrificio di altri esseri spirituali e esseri fisici rimasti indietro nei regni inferiori, è stato possibile configurare l’umanità attuale. Ringraziare per il sostentamento giornaliero. Considerare la vita e agire in essa, secondo la direzione enunciata nelle precedenti condizioni: dare un’impronta unitaria ed equilibrata alla vita facendo in modo che le finalità delle proprie azioni siano determinate dalle attitudini sopra descritte. Molte cose devono essere abbandonate, e molte altre acquisite per porsi al servizio del divino. LA POSTURA NELLA MEDITAZIONE. La terra è percorsa perpendicolarmente e orizzontalmente da correnti, che possono favorire o ostacolare la meditazione. Le correnti perpendicolari favoriscono: occorre pertanto avere la colonna vertebrale verticale rispetto alla superficie terrestre. La posizione distesa, supina, invece accoglie le correnti orizzontali dirette alle specie animali, inducendo automaticamente ad un tipico stato semisognante. I FIORI DI LOTO. Il corpo eterico è percorso da innumerevoli correnti che muovono in senso longitudinale o circolare radiale. Durante la veglia, il corpo astrale rimane connesso spazialmente al corpo fisico; quando si apre nel discepolo la coscienza spirituale, il corpo astrale si espande in proporzione dello spazio che può essere percepito, ossia diviene grande quanto il suo campo di percezione. Non si parla diffusamente del loto a due petali, fra gli occhi, perché esso è connesso con il risveglio di forze che appartengono alla chiaroveggenza primitiva. Non vi è alcun cenno, per ragioni di sicurezza, del loto della zona basale “kundalini” e del loto”1000 petali”, sul capo.  In un lontano passato, i fiori di loto erano attivi; poi lentamente hanno cessato di funzionare. Attualmente solo la loro metà è attiva; con il lavoro interiore essi si ridestano, cominciando a muoversi e ad illuminarsi. I centri a sedici, (laringe) dodici (cuore)e dieci petali (stomaco), attivati, conferiscono la padronanza assoluta sull’Io inferiore. IL LOTO A SEDICI PETALI (laringe). Gli esercizi della preparazione e dell’illuminazione tendono ad attivare tale centro. Si tratta principalmente di lavorare nel campo delle idee, curando la moralità nell’uso delle parole e la qualità di buon fine delle proprie risoluzioni prese. Tale centro, attivato, conferisce la capacità di entrare in comunicazione con altri Esseri tramite il pensiero (telepatia). Le condizioni da realizzare sono otto, ciascuna equivalente ad ogni petalo dormiente: Formarsi rappresentazioni il più fedeli possibili del mondo esterno, prive di fantasia personale, eliminare l’impulsività, le reazioni dettate dall’emotività; le parole usate in un discorso devono essere sempre rigorosamente connesse all’argomento;  ogni gesto e atto deve essere sempre in piena coerenza alle idee e alle risoluzioni prese; organizzare, pianificare concretamente la propria vita; verificare la saldezza, la moralità e la giustezza delle proprie aspirazioni;  imparare ad osservare retrospettivamente gli eventi della vita;  la giornaliera meditazione per interrogarsi sulla propria fedeltà alla linea tracciata dalle sette condizioni precedenti. È di vitale importanza sviluppare la veridicità; dire sempre la verità promuovendo la perfetta corrispondenza fra mondo esteriore e mondo interiore.  A volte non è molto altruistico dire la verità, ma lo scopo morale non evita il senso di giustezza. Non mentire mai ai bambini e non fare loro mai promesse senza mantenerle. MORALITA’ E CONOSCENZA. Il loto a due petali, nel centro frontale, ha una particolarità: anziché ruotare come gli altri, una volta attivato, esplica la sua azione sporgendosi all’esterno, prolungandosi in direzione orizzontale in una forma a due rami, con il compito di “portare fuori” il corpo eterico. Per mezzo di tale centro, si formano sia le correnti eteriche che scendono verso la laringe e il cuore, sia quelle che muovendosi verso le mani, costituiranno il vero e proprio reticolo che renderà il corpo eterico, un intero organo di percezione.  Bisogna suscitare un rispettoso silenzio riguardo le proprie esperienze, sia con gli altri, sia con sé stessi: occorre accoglierle così come si presentano, senza tradurle in rappresentazioni.  Lo sviluppo dei Fiori di Loto tende a trasformare tutto quello che, nascendo come natura istintiva, si presenta incoerente e non ordinato in un volitivo campo d’azione per l’armonia delle forze spirituali. IL LOTO. A duodice PETALI (cuore). Tale loto conferisce la percezione delle “forme”.  Come gli altri, anche questo centro si sviluppa coltivando alcune qualità: le condizioni da realizzare sono sei (i sei esercizi fondamentali), ciascuna equivalente ad ogni petalo dormiente. Controllo del pensiero; connettere, partendo da un tema o da un oggetto comune, vari pensieri in modo logico e conseguente, distaccandosi così dall’usuale pensare automatico istintivo; in presenza di persone che parlano in modo automatico, superficiale o poco logico, bisogna non intervenire correggendole, ma comporre mentalmente la corrente dei pensieri deformi e correggerli dentro di sé, interiormente senza esporli fuori di sé. Controllo delle azioni; uniformare l’azione al pensiero, perdere l’automatismo dato dagli istinti, prestando attenzione ai propri gesti, alle posture, ai movimenti, in modo che non avvenga che le nostre azioni possano venire determinate da impulsi inconsci non passati al vaglio cosciente del nostro pensiero. Pratica della Perseveranza; perdere la volubilità, la lunaticità, compiendo e portando sempre a termine le decisioni, gli obiettivi, i metodi, gli esercizi o le determinazioni prese. Controllo della tolleranza; sviluppare la conoscenza dei motivi e dei limiti di chi sbaglia, per giungere alla comprensione degli errori altrui, onde sostituire l’istintivo impulso di criticare o giudicare; occorre far nascere in sé il desiderio di voler essere utili all’altro tramite consigli o considerazioni costruttive, non con giudizi che bloccano la sua evoluzione. Pratica dell’obiettività o spregiudicatezza; non respingere immediatamente qualcosa che ci venga detta, e parimenti non rifiutarsi di rivalutare o riconsiderare cose da noi già appianate e conosciute; Sviluppo dell’Imperturbabilità; equanimità, equilibrio degli esercizi sopracitati; esercitarsi a controllare o sospendere le normali reazioni emotive. Lo sviluppo dei fiori di Loto è una disciplina certamente difficile, ma non impossibile. ESERCIZIO CONTRO L’APPRENSIONE. Un buon esercizio è, durante la giornata, quando un pensiero particolarmente importante ci assilla, ci dà apprensione, divenire capaci di sostituirlo con un’altro pensiero completamente diverso, da noi prescelto. IL LOTO A diedici PETALI (Stomaco). Il risveglio di tale centro consente di percepire negli altri le potenzialità future e le capacità latenti di Esseri o Entità. Per il suo sviluppo non sono state predisposte qualità particolari da sviluppare, ma piuttosto si tratta di generare un equilibrio armonico, traendolo dall’intera condotta di Vita.  Occorre considerare la totalità del proprio mondo interiore: l’origine delle cosiddette idee spontanee, dei gusti personali, dei sentimenti di simpatia e antipatia. Per la coscienza ordinaria, l’Origine di tali suddette inclinazioni è ignota: esse risiedono nel corpo eterico, il quale registra molte impressioni che sfuggono alla nostra coscienza. Per divenire consapevoli delle cause che hanno originato tali inclinazioni occorre, riandando indietro nel tempo, risvegliare interiormente il ricordo di ciò che può averle determinate e sottilmente impresse in noi come tendenza del gusto, dell’istintività, dell’avversione o simpatia. In tal modo si produce anche un grande risveglio della memoria: ci si immette nella corrente della memoria eterica. IL LOTO A sei PETALI (all’interno dell’addome). Tramite esso, si può entrare in intimo contatto con esseri spirituali. Si sviluppa tramite l’armonica cooperazione di corpo, anima e spirito. Deve sorgere la spontaneità del pensare, del sentire e dell’agire immersi nello spirito: incedere senza combattere. Non è bene limitarsi e insistere nel lottare duramente contro una propria inclinazione o tendenza molto pronunciata; se tale difetto è così preponderante, a volte lo si può solo dominare o controllare, ma non annullarlo. Si consiglia piuttosto di nobilitare e sublimare le proprie passioni e istinti, anziché procedere con fustigazioni tendenti al voler tenerli a bada con lotte e rinunce. Occorre divenir capaci di sperimentare la gioia di servire nello spirito e per lo spirito. ALCUNE PARTICOLARITA’ SUL CORPO ETERICO E SUI CHAKRAS. L’intero corpo eterico è sempre in perenne movimento: è percorso da correnti che si muovono continuamente, seguendo la circolazione sanguigna. Il centro, o perno del corpo eterico è da localizzarsi nel Loto del Cuore: tramite esso tutti i processi si trasmettono agli altri centri, recando con sé ripercussioni della sua eventuale imperfezione. Esso è un organo di natura Solare. Nella zona centrale della testa vi è un punto specialissimo in cui corpo eterico e corpo fisico sono congiunti; qui inizialmente si formano le correnti del corpo eterico. Prima di rendere operativo il fiore a 12 petali, nel cuore, occorre predisporre un centro provvisorio nella testa, per rendere possibile uno sviluppo interiore condotto in piena coscienza. Successivamente, dopo aver raggiunto un giusto stadio di controllo cosciente delle attività di pensiero, tale centro dovrà venir trasferito nella sua vera sede, presso il Cuore. Gli esercizi di concentrazione e meditazione hanno lo scopo di attivare tale centro nella testa, per poi far discendere nella Laringe e poi nel Cuore l’attivazione. RIEPILOGO DELLE ESSENZIALI FACOLTA’ DA SVILUPPARE. Facoltà di discernere il vero dal falso. Capacità di valutare il giusto dallo sbagliato. I sei esercizi fondamentali. L’amore per la libertà interiore. CONSIDERAZIONI SULLA VIA INIZIATICA. Durante il cammino Iniziatico può capitare di avvertire una specie di senso di maturazione interiore, di compimento; sentire di essere pronti per qualche cosa.  E’ relativamente facile contemplare l’intero cammino iniziatico attraverso un libro, difficile però realizzarlo con la stessa continuità, puntualità, perseveranza e coerenza nella vita: nella vita non è come nel libro, dove un passo viene descritto uno dopo l’altro; a seconda delle occasioni e delle situazioni individuali ogni passo può svilupparsi prima o dopo, in modo assolutamente non conseguente. L’ESPERIENZA DELL’ NOI’ E LA “CONTINUITA’ DELLA COSCIENZA”. Il corpo eterico è di per sé, un principio spirituale: è connaturato con il tempo, è fatto di sostanza temporale. L’uomo non ha assolutamente alcun potere di interferire o di influenzare le forme pensiero, di sentimento, di desideri o passioni da lui generate. Una volta emanate, queste forme non possono più venire controllate. Durante lo sviluppo occulto, in un primo momento, il sé superiore si pone di fronte al proprio mondo inferiore, il suo Ego.  Si ha la percezione che tutto che era la nostra natura interiore, prende forme che tendono a venirci addosso, incontro dal di fuori. Si verifica un rovesciamento delle immagini, tipico del mondo astrale.  Il praticare esercizi in modo non corretto, disordinato o incosciente, senza essere sorretti da una solida base, potrebbe causare la percezione di queste forme pensiero in forme ossessionanti ed aggressive, quali animali o esseri orridi, traendone terrore e anche possessione. Ciò è la percezione della propria anima: tale evento è però indispensabile e necessario per la realizzazione del Sé superiore. E’ qui che comincia l’esperienza dell’Io. La vera realizzazione del Sé superiore comincia quando, si possa vedere la sua immagine. IL LOTO A due PETALI (Centro frontale). L’ esperienza immaginativa del Sé superiore viene attuata tramite il loto a 2 petali (fronte), il quale illumine gli enti e gli esseri spirituali.  Lo sviluppo del Loto a due petali si consegue tramite lo studio e la meditazione degli insegnamenti della scienza dello spirito, in particolar modo ciò che concerne la gerarchia. Tale facoltà rappresentativa, deve essere coltivata tramite l’immagine interiore dei quadri immaginativi forniti dall’Antroposofia, inerenti all’azione interattiva, passata, presente e futura della gerarchia nel cosmo, in tutto ciò che è rintracciabile come loro impronta. L’intero quadro cosmico dovrebbe venir sentito il più possibile come un panorama simultaneo. A poco a poco la realtà spirituale si sostituirà all’immagine, venendo da questa evocata, facendo apparire veri fatti e veri esseri spirituali. Tutti gli esercizi preparano nella coscienza la sede atta ad accogliere la realtà spirituale da raggiungere: costruiscono quasi la sua immagine, affinché questa possa poi diventare reale esperienza. Si arriva poi alla conoscenza delle proprie ripetute vite terrene: il karma. A questo punto l’anima si è congiunta con il Sè superiore, con la sorgente del proprio essere. Da questo momento il discepolo non torna più indietro perché, compenetrato dal Sé superiore, non sente più l’attrazione di quanto gli è inferiore. LE COMUNICAZIONI AL RISVEGLIO. Durante la vita di veglia, l’uomo si trova davanti ad un mondo incompleto, mentre durante il sonno ha la possibilità di vivere nel mondo delle cause, in una completezza. La coscienza di sonno senza sogni è una forma di conoscenza superiore; una facoltà percettiva corrispondente a quella uditiva. I primi messaggi di quel mondo si percepiscono come pronunciati da sé stessi a sé stessi. Si ha come la sensazione di parlare a sé stessi, di rispondersi, quando in realtà parlano in noi esseri spirituali. Tali sensazioni avvengono al mattino, nel risveglio: sono cenni del progresso spirituale. Prima si sperimenta solo l’impressione di aver ricevuto qualcosa, qualcosa che non si riesce a definire.  Poi, i rapporti con gli esseri spirituali assumono la caratteristica di domanda e risposta; si sente al risveglio una voce interna donante luce e chiarezza alla propria vita interiore e alla vita esteriore. Non è bene sforzarsi di ricordare le esperienze notturne di sogno, ma lasciarle sorgere spontaneamente. A poco a poco queste sensazioni al risveglio, questi messaggi diventeranno sempre più chiari, così da portare nella vita di veglia tutte le esperienze della vita spirituale vissuta durante la notte: si instaurerà la continuità fra lo stato di veglia e lo stato di sonno senza sogni. Una volta stabilita, tale continuità di coscienza verrà portata dal discepolo anche attraverso le porte della morte, e con essa la stessa pienezza del ricordo nella vita fra morte e nuova nascita. Condizione indispensabile per tale realizzazione è la pratica della concentrazione, meditazione e contemplazione. Il discepolo potrà porre delle domande in meditazione, durante lo stato di veglia: riceverà le risposte durante il sonno senza sogni: ciò è l’inizio di un colloquio fra esseri spirituali. Il vero scopo dell’Iniziazione consiste nell’instaurare la continuità della coscienza. Ciò è una mèta assai lontana, ma dirigendosi verso di essa si possono cogliere degli sprazzi di luce che indicano le tappe del cammino e ne danno la certezza. LA SEPARAZIONE DEL PENSARE, SENTIRE E VOLERE. Tale realizzazione pone il discepolo ad esperienze inevitabili, che sono dure e difficili; la liberazione delle tre facoltà umane è assolutamente necessaria per lo sviluppo degli organi spirituali. Sono tre i pericoli in cui si può incombere. Pericolo del Pensare: divenire astratti teorici pensanti, distaccati dalla vita, freddi e indifferenti nei confronti dell’esistenza, che trovano soddisfazione solo nel proprio pensare in solitudine; Pericolo del Sentire: una natura sensuale può sentirsi trasportata in un sentimento di devozione eccezionale, fanatica, in un estremo godimento del contenuto della propria coscienza mistica; Pericolo del Volere: divenire super-attivi, trovando appagamento solo nel modificare il mondo esteriore, lasciandosi dominare e trasportare da altri. LA LIBERTA’E L’INDIVIDUALISMO ETICO. Solitamente le tre forze dell’anima si esplicano in modo immediato, istintivo con un loro habitus personale; il discepolo deve distaccarsi da tale automatismo innato, predisposto in lui.  Il fatto di poter dominare le reazioni e i sentimenti conferisce a tutto l’essere un senso di forza e di stabilità, poiché le emozioni non hanno autorità sul suo equilibrio. L’equilibrio interiore si deve fondare su di una nuova personalità morale, il quale deve conferire al discepolo la coscienza di ciò che deve agli altri, di ciò che deve al mondo spirituale e a ciò a cui deve la ragione della propria esistenza. La Libertà prevede che si sia superato l’egoismo, che si sia raggiunto un tale grado di moralità e di equilibrio da poter cominciare a vivere non più per sé stessi, ma per l’umanità.Il discepolo diviene consapevole di dipendere dai mondi superiori, con la libera decisione di servire la Causa degli esseri spirituali. Solo in tal modo si può parlare di una Libertà pura e vera, che non porti danno a lui stesso e agli altri. IL GUARDIANO DELLA SOGLIA. Solo dopo aver liberato pensare, sentire e volere è possibile accedere all’esperienza del guardiano della soglia. LA SOGLIA. Il liberare le facoltà dell’anima significa assumersi direttamente la responsabilità delle proprie azioni. Avendo liberato il corpo eterico e il corpo astrale dagli automatismi del pensare, sentire e volere, si avvicina l’esperienza del guardiano della soglia: si rende obiettivamente visibile il grado a cui si è pervenuti attraverso gli esercizi. Il guardiano diviene un essere indipendente, al di fuori di noi. Mentre precedentemente si era intessuti con lui, ovvero con ciò che rappresenta cosmicamente il nostro essere, ora si presenta esteriormente la nostra interiorità. I propri moti interiori si traducono nella figura esteriore di questo essere. Il guardiano si presenta all’improvviso, appena i chakras cominciano ad attivarsi: è la prima esperienza soprasensibile. Tale esperienza, può suscitare terrore. Molti, al cospetto del guardiano, che palesa il grado di imperfezione e purezza da noi raggiunto sinora, riconoscono la propria inadeguatezza, la propria immaturità nel sopportarne la visione, quindi retrocedono. Si ravvisano le proprie limitazioni: i difetti assumono un carattere obiettivo. Solitamente questo essere si presenta per la prima volta al risveglio, la mattina, in un momento inaspettato, tanto da suscitare terrore. SIMILITUDINE FRA SPECCHIO E GUARDIANO. Supponiamo che un uomo con il viso deforme, pur sapendo di averlo non abbia mai potuto specchiarsi; quale sarà la sua reazione di fronte allo specchio, quando per la prima volta vedrà la sua deformità ? Prendere coscienza della propria figura interiore è l’incontro con il guardiano: egli è noi, che ci appariamo all’esterno. IL GUARDIANO E IL KARMA INDIVIDUALE. Nel guardiano appare il nostro karma; la sua figura riassume il nostro passato vivente con tutte le cause di dolore e gioia. Qualora si trovi la forza d’intrepidezza di guardare in volto il guardiano, da quel momento ci si assume coscientemente la responsabilità di pagare i propri debiti karmici, quasi andando incontro a questi. Ci si accorge che ogni tentativo di evadere o di rimandare il pagamento del proprio karma, provoca un disastro nell’ordinamento spirituale. Ogni mancanza si riflette assumendo forma demoniaca. Occorre assolutamente a cagion di ciò, quali discepoli, superare il sentimento della paura.  Il coraggio di affrontare il guardiano è contemporaneamente il coraggio di prendere il proprio destino nelle proprie mani: dare coscientemente a sé stessi anche ciò che può causare dolore, rinuncia, peso. Smettere di evitare la direzione di vita che offre minore resistenza, per muoversi coscientemente incontro a quanto vi è di più difficile e arduo. Rimandare significa sempre, ritrovare. Il guardiano muterà di forma in modo direttamente proporzionale al nostro adempimento karmico, sino ad assumere figure luminosissime nella misura in cui ci saremo purificati. Fino al momento dell’incontro con il guardiano si ignorano quali e quanti pesi portiamo nel nostro fardello karmico; dopo non si è più gli stessi di prima, dopo aver visto la vera realtà spirituale di sé stessi. Non è più possibile ingannare sé stessi. Finché non si vede e si conosce il proprio karma, non si può dire di essere liberi; solo dopo aver allontanato la guida delle Potenze del karma per prendere noi stessi la responsabile guida di tale compito, solo allora si comprendono le parole. Il Cristo ci ha reso liberi. Ora le forze del Cristo si sostituiscono a quelle del karma. LO SCOPO DELL’UOMO NEI CONFRONTI DELLE GERARCHIE. Bisogna prender coscienza della missione dello spirito di popolo nel quale si è intessuti, il quale conferisce stimoli e impulsi animici che condizionano la nostra vita. Rinnegare il proprio ambiente spirituale, nel quale si è scelto di vivere, è rinnegare la missione di un arcangelo. Il riconoscimento delle intenzioni del proprio Spirito di popolo, e del motivo che ci ha spinti ad incarnaci in tale atmosfera animica, deve portarci a scorgere nel giusto modo cosa vuole dirci la sua forza spirituale, per cogliere appieno la direzione verso la quale dobbiamo spingerci. L’amato deve associarsi a quelle potenze spirituali che guidano sulla terra, nelle nazioni, gli uomini inconsapevoli, verso la stessa mèta che egli cerca oggi lui stesso di conseguire. Il mondo soprasensibile potrà continuare la sua strada soltanto se vi saranno sulla terra esseri capaci di comprendere la direzione. La gerarchia attende qualcosa dall’uomo. E’ la gerarchia umana che deve portare il senso spirituale nella materia. Dopo la morte fisica tutto ciò che l’uomo ha sperimentato durante la sua vita, in seguito alla dissoluzione del corpo eterico e dell’astrale, viene consegnato al mondo spirituale: ciò diviene coscienza del mondo spirituale. (leggenda dell’uomo che dà i nomi alle cose e il nome di “Adonai” a Dio) L’uomo deve portare la coscienza al mondo spirituale, la forza risorgente. Il superamento del mondo sensibile dovrà avvenire, ma i frutti dell’esperienza e i risultati tramite essa conseguiti durante l’evoluzione dell’umano, saranno incorporati dalle Gerarchie nei mondi spirituali. L’uomo nascendo e morendo sulla Terra, genera i germi della vita dell’avvenire: offrendo un nutrimento spirituale al cosmo intero, in modo direttamente proporzionale alle sue azioni pure e feconde. IL GRANDE GUARDIANO DELLA SOGLIA. Tale incontro avviene solo quando il discepolo, dopo aver già sperimentato le regioni spirituali inferiori e stabilito una continuità della coscienza fra veglia e sonno, ha attuato in sé la generazione di nuovi organi del pensare, sentire e volere. L’oltrepassare la soglia del secondo guardiano significa stabilire la continuità della coscienza fra la vita, la morte e la rinascita. La vera libertà è conoscere il proprio karma senza alcun veloe adempiervi in coscienza. All’incontro con il secondo guardiano si palesa una grande tentazione: quella di abbandonarsi alla beatitudine e al godimento procurato dalla possibilità di accedere ai mondi spirituali.Tale tentazione, anche se non detto esplicitamente, sembra essere indotta dagli Asura.  L’unica cosa che può salvare l’uomo da tale seduzione è sentire il dolore del mondo, il silenzio degli esseri umani nel mondo spirituale. Questo tremendo dolore impedisce di accogliere il sentimento egoistico della beatitudine; perché la gioia che egli ora ha, non è condivisa da altri. Se si supera tale ostacolo la liberazione è completa: l’Iniziato partecipa ora attivamente all’opera delle Gerarchie, nella liberazione di tutti gli esseri sulla Terra. La decisione di collaborare con i mondi spirituali porta finalmente l’uomo ad un piano in cui si può dire che la sua volontà ha compiuto tutto ciò che le era stato prescritto dal Principio. Leo. Breno. Kur. Giovanni Colazza. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colazza” – The Swimming-Pool Library.

 

COLECCHI (Pescocostanzo). Filosofo. Grice: “What I love about Colecchi is that while he was a bad Kantian, he was an excellent Vicoian!” Studia ad Ortona, dove sube diverse perquisizioni da parte dell'Inquisizione per la sua tacita simpatia verso gli ideali rivoluzionari. Insegna alla Reale Accademia Militare della Nunziatella. Venne mandato in missione in Russia, dove si dedica alla filosofia speculative.Al ritorno, soggiorna a Königsberg, dove ebbe modo di conoscere l'opera di Kant. Fu uno dei primi filosofi italiani a studiare Kant.Rientrato in Italia, fonda a Napoli una scuola privata di filosofia ed ha tra i suoi allievi i fratelli Spaventa, Sanctis, Settembrini e Caracciolo. Il suo merito principale fu quello di essere, insieme a Galluppi, un assertore del criticismo kantiano in Italia.  Altre opere: “Se la sola analisi sia un mezzo d'invenzione, o s'inventi colla sintesi ancora?” La legge del pensiere; L’analisi e la sintesi; La legge morale, La legge della ragione; “Se il raziocinio sia essenzialmente diverso dalla intuizione”; “Se nell'invenzione eserciti maggior influenza la sintesi o l'analisi; “Se li giudizi necessari sieno solamente gli analitici”; “Se l’identità formale del raziocinio sia valevole a convertire il raziocinio empirico in raziocinio misto?”; “Il principio sul quale poggia il raziocinio quando classifica e quando istruisce”; “Quistioni ideologiche”; “Se diasi una logica pura, ed una logica mista”; “Se una idea soggettiva non altro sia che una idea di un rapporto, L’idea dello spazio e l’idea del tempo; Il primo problema di filosofia: se la sensazione sia esterna di sua natura, o tale diventa in forza del giudizio abituale? Alcune quistioni le più importanti della filosofia; Psicologia, Logica applicata, Ideologia, Frammento apologetico; in G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi. Ricerche storiche, Edizioni della Critica, Napoli, e in Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi,  Firenze;  Tip. «All'insegna di Aldo Manuzio», Napoli); a cura dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, con introd. di F. Tessitore, Procaccini, Napoli); E. Pessina, Quadro storico dei sistemi filosofici, Milano); Necrologia in “Poliorama pittoresco” “Elogio funebre”; Spaventa, Studi sopra la filosofia di Hegel, Torino; L. Settembrini, Lezioni di letteratura italiana, Napoli; F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura, filosofia e critica, Napoli; A. De Nino, Briciole letterarie, I, Lanciano; Sanctis, La lettereratura italiana nel secolo XIX, Napoli); Marchi, Il sistema filosofico di Ottavio Colecchi (Tip. Sociale di A. Eliseo, L'Aquila); F. Amodeo, Ottavio Colecchi, in «Atti della Accademia Pontaniana», Discussioni biografiche e documenti inediti, Ravenna); L'istruzione pubblica e privata nel Napoletano; Città di Castello, Colecchi filosofo e matematico: nuove notizie e nuovi documenti, in «Rassegna abruzzese di storia e d'arte», Gentile, Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi,  II, Milano); Pedagogisti ed educatori, Milano); Capograssi, Nuovi documenti sull'accusa di ateismo ad Ottavio Colecchi, in «Samnium», Romano, Un antagonista del Galluppi: Ottavio Colecchi, in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», A. Cristallini, Ottavio Colecchi, un filosofo da riscoprire, Padova, G. Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, Bari; E. Garin, Storia della filosofia italiana,  III, Torino; F. Tessitore, Colecchi e gli scettici, in Introduzione a Quistioni filosofiche, Napoli; G. Cacciatore, Vico e Kant nella filosofia di Ottavio Colecchi, Centro di studi vichiani; Io e Ottavio Colecchi. Narrazione biografica in forma di anamnesi, Japadre Editore, L'Aquila-Roma; Dizionario Biografico degli Italiani. Dalla tomba della setta italica, tenendo dietro alle ori gioi dell’antica lingua del Lazio – la lingua romana -- trasse fuori il Vico que ste divine idee; aveva lello forse Bruno ancora, perchè un’ombra d’idealismo copre spesso la sua filosofia, spezialmente nella “Scienza Nuova”, dove l’uomo passa suo malgrado dalle selve allo stato civile per la sola  opera di una lupa (la lupa capitolina). Se non che l’uomo di Vico rimane nello stesso stato in cui avealo lasciato Enea. Devono le divine idee rideslarsi all'occasione delle sensazioni; njun tentativo per ravvicinare la sensazione all’idea; dovrebbe ciò fare l’induzione, ma la ragione è sempre scontenta di quanto scopre l’induzione. Non ancora siera mostrato Kant per conciliar insieme la sensazione (sensus) e l'idea o concetto. Con questa filosofia, appoggiata all’induzione, si dispose Vico a crear il “diritto universale” della nazione del Lazio – la nazione romana. Ma preoccupalo sempre delle civili cose di Roma, brillando sempre nel suo spirito l'immagine di Roma, si risolse in fine di stabilire Roma come modello di civiltà. Il perchè nella storia, della mitologia, nelle lingue, nel Blasone, e pe’ feudi pur anche del medio evo deesi Roma ripelere,e la romana giurisprudenza diventar quel la di tutte le nazioni del mondo. E come i fatti hanno a servir di occasione per ridestare la idea, così il diritto di Roma, le XII Tavole, tutta la storia, tutta la mitologia concorrer devono a risvegliar le idee del vero, del giusto, a dir breve l’ideale dell’umanità per selta. Ond'è che metafisica, logica, morale, educazione, politica, geografia, astronomia si abbozzano prima della religione de’ padri in mezzo alle famiglie, e poscia in mezzo alla città di Roma; dove il senato si compone degli stessi primi padri, riuniti in Ordini, per reprimere le ribellioni degli ammutipali clienti. Di qui le lante critiche sulla storia positiva per distruggerla. Sesostri e Tanai sono due simboli. La sapienza del poeta vera immagine della sapienza o scienza del filosofo, L’Eneide confuse con la sapienza dei romani. E tutto questo per via di etimologie stirale, di mili forzati, di stranissime analogie. Egli è evidente che tal metodo d’interpretazione deesi ridurre in fine ad una tortura , per isforzare tutt’imonumenti della storia e delle favole a deporre in favore di un sistema. Siegue da questa osservazione che quanlunque tutta la storia, tutta l’erudizione, per la potente sintesi di Vico, pieghi sempre al modello di Roma, no di Koesingberga, e la sua civiltà a poco a poco siasi spenta, fino a che passato il medio evo, col risorgimento delle lettere e delle scienze, ricomioci il suo corso; può non pertanto rimaner il dubbio che il popolo romano altro forse non sia che un fatto isolato. Essendo si in effetto limitato il Vico al uomo del Lazio.Vico, dobbiamo pur dirlo a Gloria d'Italia,Vico è di gran lunga superiore ad Herder, il quale nella sua Storia dell'umanità ha parlato pur anche dell'origine e del progresso della civiltà de'popolo romano. Imperocchè se Herder, amico del sensismo, vede l’uomo del Lazio nella natura, e dalla formazione del cristallo, per una ben lunga scala, va sino all'uomo che è la corona dell'organizzazione. Vico, seguace di Platone e non d’Aristotele, con maggior discernimento del ministro protestante, l’uomo nell’uomo stesso contempla. E se l'analisi di Herder vivamente rallegra l'immaginazione, la sintesi di Vico sembra lalmente falla l'intelligenza per, che il lettore, in onla del suo linguaggio enigmalico e della strapezza delle analogie, viene attirato potentemente dalla magica forza della sua filosofia. Niuno più originale di Vico, e pare che l’originalità dell’italico ingegno siesi sventuratamente nel Vico spenta. De’ suoi principii intanlo, per quel che riguarda il nostro assunto, egli è facile di raccorre, che avendo le legge per iscopo di metter freno alla passione umana, e di render l'uomo migliore; ben possono per esse la *forza*, l’*avarizia* e l’*ambizione* che sono i tre vizi pe’ quali corre a trovarsi il genere umano, convertirsi in *valor militare*, *prudente mercatanzia* e *savio governo*. La legislazione dunque, considerando l’uomo qual é, se dirige ad usi migliori la passione, lo riforma e trasmuta in quello che esser deve. La massima di Vico pertanto, ben lunga dall’opporse alla legge morale, la conferm viemaggiormente e ne presuppone l'esistenza. E qui credo far cosa grata a miei lettori, se da Vico stesso tolgo le prove di questa mia assertiva. L’unico principio e fine del diritto è per Vico la virtù del vero. E'chiama virtù del vero l’umana ragione (la vernunft di Kant), la quale è virtù in quanto combatte con la cupidità -- è giustizia in quanto regola e pondera la utilità. La utilità non e per sè stesse ne onesta nè turpe; ma turpitudine è la sua ineguaglianza, onestà la sua eguaglianza. L’utilità privata di un singolare individuo, o anche nazione o popolo di due uomini, è labile, perchè finisce con l'individuo la diada dei due uomo o con la nazione; ma l’eguaglianza delle utilità, che è figlia dell’onestà, non è cosa caduca, è cosa immutabile ed eterna. Una cosa caduca non puo produrre l’immutabile, nè un corpo dar nascimeoto a ciò che li trascende. Il sistema dunque dei futilitari utilitari, con questi pochi molli del Vico, è distrutto. Ciò si conferma con quel celebre detto di Pedio presso Ulpiano: quante volte una od altra cosa venne con la legge introdotta è buona occasione supplire con la legge stessa le altre cose che tendono alla stessa utilità. Una buona occasione adunque e alla divina provvidenza l’umana debolezza e miseria, per le quali, secondo la loro stessa spontaneità, ritrasse gli uomini dallo stato ferino e bestiale ad essere socievoli, uguagliando tra loro le utilità, come chè ciò non avvenisse da principio per intera onestà, ma per una parte di onestà. Or, la società è una *comunione* di mutua utilità che interviene tra eguali. Si la socielà ineguale è tra un padre (superiore) e un figlio (inferiore); tra la potesta civile e di soggetti – l’eguale è tra fratelli Romolo e Remo o i dioscure – Castores (dual), o Eurialo e Niso, i due amici, tra due cittadini. Di qui due spezie di giustizia rellrice ed equatrice. L'eguaglianza delle utilità, con *geometrica* -- progressione geometrica -- misura determinata, è il subietto della giustizia rettrice, della giustizia *distributive*, la quale mira alla dignità delle due persone. L'eguaglianza poi delle utilità, fatta con *aritmetica* -- progression aritmetica -- misura, è materia della giustizia equatrice, volgarmente detta giustizia *commutativa*, la quale si rapporta al mio ed al tuo – al nostro -- --  ed ba luogo in ogni società eguale. Nè o s t a p u n t o ( come crede Grozio , il quale dital  L'occasione poi, per la quale una cosa accade, non è cagione della cosa stessa, il che Grozio non vide, trattando dell'origine del diritto; e pur doveva ia questa disamina por mente ad una osservazione tanto importante che ne è il cardine. L' utilità dunque non fu produttrice del diritto, come piacque al greco Epicuro, al etrusco Machiavelli, ad Obbes, i quali intesero per utilità la cessazione o del bisogno, o della violenza, o del timore; ma fu l'occasione, per la le gli uomini divisi, deboli, bisognosi tralti furono alla vita sociale. qua.   Siegue da ciò , che l'upa e l'altra giustizia la rellrice c l'equatrice hanno per fondamento l'onestà, e che non può avervi giustizia senza morale: conseguenza importautissima, dedotta dal Vico da vero suo priocipio, e sfuggita al positivista Carmignani, il quale fa della morale e del diritto due cose talmente distinte, quasi non avessero nulla di comune tra loro. Elementi del giusto diritto, per Vico, sono la prudenza, la temperanza, la fortezza. La prudenle deslioazione io falti delle utilità, fatta con ragione, von come della la cupidità, produce il dominio; il moderato uso delle cose utili genera la libertà. La potenza regolala dalla fortezza partorisce la incolpala tutela. La tutela de'seosi e la libertà degli affetti costituisce il diritto naturale, che gli antichi interpreti dicono primitive, e gli stoici appellano il principio della natura. Il dominio, la libertà, la tutela sono cose nalurali all’uomo, e oale per le occasioni. Così la libertà del diritto era prima della guerra; ma venne riconosciuta, ed ebb e il suo nome, introdoltasi, per la guerra, la schiavitu. Similmente con la divisione de'campi siammisero I dominii delle cose del suolo; ma il giure coosultodice: non essersii dominii introdotli:essersisolamente distinti con la divisione. Finalmente dalla potenza, tosto col nascere, proviene la difesa di sè stesso. distinzione siburlarche avendo più socii posto in comune parli disuguali di daparo, prendano parti di lucro con geometrica misura; perciocchè prendono parli di lucro con semplice misura, essendo il daparo,e non la dignita della persona che li agguaglia. Jo falli tanto ciascun socio ne toglie, quanto ne avrebbe preso, se solo a quel negozio posto avesse il daparo. Il dominio della ragione su iseosi e sugli affetti è il diritto naturale dagli stessi interpreti chiamalo secondario, e dagli Stoici conseguenti della natura. Rimontiamo col Vico all’origine di questa distinzione. Iddio di è all'uomo conlapolenza l'essere, con la sapienza il conoscere, con la bontà il volere. Questo divino benefizio deriva del diritto naturale: l’una con cui l'uomo vuole il suo essere, l’altra con cui vuole il suo conoscere: ood'è che l’uomo lalvolla più il sapere chel’essere agogna. Or, nella parte con cui l’uomo desidera il suo essere contengonsi quelli che gli stoici dicono principio della natura; imperocchè egli appreode col pascere, mercè le sensazioni presenti e vive del piacere e del dolore, a seguire le cose utili alla vita, a schivare le nocevoli, e se venga impedito nelle utili, e sospinto nelle nocevoli, nè possa altrimenti quelle con seguire,questeevitare;con la forza allontani la forza, pel diritto che ha di cooservar il suo essere. Questa parte del diritto naturale vien definita: diritto che la natura a ogni animale apprese, e da essa nasce il diritto di respingere da noi la violenza, quello della unione de’due sessi, della procreazione de'bgli e della educazione loro. Ma nella parle con che l'uomo vuole il suo conoscere, contengonsi quelle cose che gli stoici dicono conseguenti della natura, e vien essa definita: per tutto quello che la ragione naturale fra gli uomini stabili ed egualmente fra le genti tutte si osserva.Questa parte del diritto domina la prima: di guise che quando Pompeo, impedito dalla tempesta a partire, disse: è necessario il navigare, e non necessario il vivere, era siquesto suo dello uoa legge che la ragione a talli gli uomini impone è necessario cioè dioperar rellamente,e non necessario il vivere. Nella prima parte del diritto naturale la ragione non riprova, ma permette: nell'altra essa vieta o comanda, e quello che comanda o vieta è immutabile; che anzi per questa seconda parte è immutabile ancor la prima , non potendosi le cose lecite di lor natura vielar con le leggi , non essendo in potere di queste di far sì che non sieno permesse. Vedano ora imoderoi scriltori di diritto: se la distinzione del naturale diritto nel principio della natura, e ne' suoi conseguenti debbasi o no rigettare! Rimembro di averne lello più di uno che la crede inutile. Grozio aperlamente afferma :non esser ella di alcun uso , sen za avvedersi, dice il nostro filosofo e giureconsulto, che nell'egregio suo trattato della guerra e della pace egli stesso l'ammelte tacitamente ; perchè in questo appunto il suo uso consiste, che nella collisione dell'uno e dell'altro diritto, il secondo è da più del primo. Ma bisogna un Vico per rilevar il merito dell’antica giurisprudenza, e mostrare a Grozio spezialmente su quali salde basi ella si reggeva! Il diritto naturale primitivo è, secondo Vico, la materia di ogni diritto volontario; il diritto naturale secondario de costituisce la forma, la quale ove manchi, il diritto volontario è nullo. Perciò Ulpiano define il diritto civile: per quello che nè al tutto dal diritto naturale si diparte, nè inlullo adesso si uniforma; ma in parle viaggiugne, inparte vitoglie. Il perchè la mente della legge e la ragione della legge sono due cose distinte. Mente della legge è il legislatore; ragione dalla legge è l'uniformità della legge al fatto. Possono si mutarsi i fatti, e la mente della legge si muta; tutti può essa utilità riuscire tal fiata per altri iniqua. equa, La ragione della legge fa che ella sia vera; il certo della legge la fa vera in parte, e questa parte di vero sapno propria i legislatori, per ottenere con l’autorità ciò che dal semplice pudore degli uomini conseguir non possono; il che rende ragione della definizione del diritto civile, lestè data da Ulpiano. Ond’è che in ogni fiozione della legge, la quale si rapporta al diritto volontario, evvi due sono quindi i fonti della giurisprudenza: laragio ne e l’autorità. Il vero e della ragione, il certo dell’autorità; ma non può l'autorità opporsi in tutto alla ragione, altrimenti le leggi non sarebbero leggi, ma si mostri di leggi. È dunque inopportuna cosa cercar ragione dall'autorità, la qual , dettando una utilità per com ponesi l’autorità del dominio, della libertà e della tutela, che sono i tre fonti di lutti gli stati. Dalla conoscenza per la quale è l'uomo da più di ogni altra cosa mortale nasce il suodominio sopra tutta la natura; dal suo volere trae origine la libertà, dall’eccellenza del suo essere s’ingepera il diritto di tutela col quale contro tutta la natura mortale si difende. Se dunque il dominio, la libertà, latutela costituiscono l’autorità, seconda sorgente del diritto: se il dominio, la mal’uniformità della legge al fatto non si muta mai. Mutato il fatto cessa la ragione della legge; non però si muta o rivolge in contrario. La mente della legge riguarda l’utilità, la quale variando, fa variar la mente; ma la ragione della legge o l'uniformità della legge al fatto, riguarda l’onestà, e questa è immutabile sempre un certo aspello di vero , che rende certa la legge , m a non del tutto vera ; perchè qualche ragione non concede che ella interamente sia tale. Tetessa walela Sviela ile; laditt Jembro Grozio deon, siela o,sed che ezli cololalores mate il diritto naturale na ni Callo. muu Da una parte dell’autorità, e propriamente dalla tulela, nacque il diritto delle prime genti , che può dirsi ; Diritto della violenza. Divide Vico questo diritto in diritto delle genti maggiori e in diritto delle genti minori. Le genti maggiori furono prima che le città si fondasse, e si stabilissero le leggi : motivo per cui Saturno, Giove, Mercurio, Marte, egli altri numi della mitologia perchè antichissimi tra gli dei ripulali sichiamarono dei delle genti maggiori .Geoli minori si dissero quelle che furono dopo fondale la città e stabiliti i reami; ond’è che Dei minori si appellarono quelli che vennero dalle città consecrati, come Quirino, ed altri Eroi.ParealVicoche tale divisione imitassero in certa guisa i Romani, allor chè denominarono patriziï delle genti maggiori quelli che da' padri scelti da Romolo discesero, e patrizii delle gentiminori quelliche trassero origine da'padri coscritti. Il diritto delle genti maggioriè, come sidisse, il diritto della privata violenza, con che gli uomini, senz’alcun freno di legge , toglievano con la propria mano, ed usucapivano; con la forza si difendevano; il proprio uso o possesso rapivano, e con la privata forza ricupera vano. Perciò i mancipii erano cose in realtà per mano tolte; i debitori neri veramente legati; vere erano le mancipazioni, usucapioni, vindicazioni, usurpazioni, o gli usi ne’rapimenti del possesso, come le mogli usurarie che erano nel possesso, e non già nella potestà de’ mariti, usurpavano lo spazio di tre nolli, cioè libertà, la tutela ha origine dalla naturale disposizione dell'uomo, ed in ogni stato, come Vico sostiene, si manifestano sempre; vedano Hume e Romagnosi con quanta buona ragione asseriscano che genitrice del diritto è l'aggregazione sociale!  per tre nolti continue illoro uso a’mariti rapivano, accið con la usucapione di unannonon passassero in mano, o sia nella poteslà di essi. Si disse ianaozi costar il vero della ragione della legge, il certo dell'aulorità di essa, ed essere stale queste due cose cagione del diritto; imperocchè il dominio, la libertà, la tulela in qualunque stato dell’uomo si manifestano sempre. De esi però notare che il diritto, come che risulti sempre da questi tre elementi,fu non pertanto ne' Governi divini ed eroici più certo che vero; negli umani più vero che certo.Or siccome col Diritto delle genti m a g giori,senza alcun freno di legge, lecose, come testè dicemmo, si usu capivano, con l’uso e con la per pelua adesione del corpo si ollenevano, con la forza si riacquistavano, ed accadevano per questa violenza frequenta risse ed uccisione; si riunirono in ordini i padri di famiglia, e poco fidandosi, per la licenza che tra gli uomini regnava, del loro nalural pudore, conservarono per sè soli la forza, e posero termine ad ogni ulteriore disordine in avvenire. Da ciò nacque la potestà civile; la quale poche cose pubblicamente trallava con la forza: le punizioni cioè e le pene. Affinchè poi gli altri ad essa potestà soggetti, fossero nelle lor pretensioni tranquilli, introdusse certa corporea forma alla materia da lraltarsi in privato, e coosacrò certa formola di parola, alle quali uniformar dovessero la loro ipfioila e svariata volontà i cittadini. la forza di questa formola, di proposito e seriamente, non per frode o inganno, polevano essi acquistare diritti, conservare le proprietà o in altri trasferirle, con le quali tre cose ce lebrayasi ogni negozio di privato diritto. In tal guisa la civile potestà, rimossa ogni violenza, e tolla via ogni in certezza per la solennità de’ giudizi, riforma il costume, e distribui fra i cittadini la cosa certa e civile, che in buona ed in gran parte ricuperarono il vero ed il pudore, che sono i due perpetui aggiunti del diritto naturale. Da questa metamorfosi, per dir così, del dominio, della libertà e della tutela, per la quale il diritto da violento che era si trasmuta in moderato, ebbe origine il diritto civile; e la patura medesima delle cose insegna essere ciò avvenuto a ogni popolo, che dal diritto delle genti maggiori vennero sollo la potestà civile. Dopo dunque l’originaria acquisizione del diritto naturala all’uomo, dopo l’altra introdotta dal diritto delle genti maggiori, coo che il padre, posti i confini, distinsero il dominio delle terre, surse la terza acquisizione introdotta dal diritto civile. E qui sinotiche come il dominio, la libertà, la tutela costituiscono nella cosa pubblica l’autorità civile, il privato diritto del pari a questi tre sommi capi si riducono. Al dominio, col quale le cose che ci appartengono si vendicano, e contro qualunque possessore si ripetono; alla libertà, la quale ogni potere ed obbligazione comprende; all’azione, che allro non e suor chè tutela dalla legge prevedulc. Stabilita questa dottrine, volgiamo da ultimo un rapido sguardo sul diritto de’ romani Quiriti, e le vedremo mirabilmente confirmata. Chiama Vico il romano diritto un serioso poema dell’universale diritto delle genti, altese le tante Ginzioni, delle quali è ripieno. Il primo fondatore in fatto della romana repubblica muta il diritto delle genti maggiori io certe imitazioni di violenza, come sono le mancipazioni, con le quali quasi ogni atto legittimo si transige con la liberale tradizione del nodo, la úsucapione non era più la perpetua adesione del corpo al fondo occupato, ma il possesso con la volontà conservalo; la usurpazione non più consiste in una certa rapina d'uso, ma esprime col modesto significato di cilazione; l'obbligazione non più col nodo de’ corpi ,ma con certo legame della parole si denota; la vindicazione col Gin lo attacco delle mani con una paglia, dellaper. Ciòda Gellio festucaria.Pernon diral la fine di tanteal tre, l’azione personale chiamata condictio non più e l’andar unito il creditore al debitore, o alla cosa dovuta, ma face asi con la semplice denunzia. Le quali cose menano naturalmente a congetturare, che per talicagioni si crede il poeta il primo fondatore della città, come si è scritto di Orfeo e di Anfione vero. Ella è questa, secondo Vico, l'origine ed il progresso dell’universale diritto delle genti, il quale, tenendo fermo al principio di Vico stesso, in istretta amistà con la legge morale mostrasi perpetuamente. Parlando in fatti questo gran filosofo della giustizia universale afferma che siccome la virtù universale eccita la prudenza, la temperanza, la fortezza, perchè si oppongano alla cupidità; la giustizia universale del pari comanda alla prudenza, alla temperanza, alla fortezza, perchè dirigano le utilità. Impone alla prudenza, che ciascuno tratti avvisa la mente utili cose; alla temperanza di non appropriarsi l’altrui; alla forza di cautelar e difendere il proprio diritto. Per favole di tal natura è agevole di osservare, che quanto più il diritto civile da quello delle genti maggiori si allontana, o dalla verità della violenza; tanto maggiormeate al diritto naturale si avvicina, o al pudor della stessa giustizia rettrice ed equatrice, che come e per conoscer anche meglio l’accordo della filosofia di Vico con la legge morale, basta osservare che egli contempla l'uomo: primo nello slalo di solitudine; secondo in quello della famiglia; terzo nello stato aristocratico; quarto e finalmente nello speciali virtù si repulano, uopo è che sieno, secondo Vico,una sola virtù, e perciò universale virtù; la giustizia – il giure -- architettonica difatli, che Aristotele afferma cosi comandare alle inferiori virtù come l'architetto alle arti sue ministre, se risiede nell’animo della civile potestà, e comanda a latte la virtù che mena alla civile prosperità; risiede altre sì, come particolare virtù, nell'animo del sapienle , c regola gli uffizi di tutte le virtù per la privala tranquillilà della vita. E perchè ciò? perchè, risponde Vico, v'ha unica ragione che così della , unico vero bene, unica giustizia, e unico diritto. Ma una pruova luminosa, e senza replica, che melle d'accordo il principio di Vico con la legge morale si è la distinzione da esso lui adottata del diritto naturale primitivo e secondario. Se fa egli consistere il primo nella lu icla de’ sensi degli affetti, el'altro nel dominio della ragione: se quello solamente permette, e questo o vieta o comanda, e ciò che comanda o vieta è immutabile; chi osa negare che il diritto naturale secondario altra cosa non sia che la legge morale? Ne osta punto l’aver egli fatto sorgere il diritto civile dal diritto di violenza, che in tempi a noi remotissimi usa le genti maggiori; imperocchè tal diritto di violenza, non allra regola seguendo che quella del senso e dell’affetto, vero diritto non era, ma diritto certo, tullo proprio dicoloroche più tenevano all’istinto che alla riflessione. Il diritto però di violenza fu poscia l’occasione di far sorgere il vero diritto stato della repubblica e della monarchia. Or, nel primo stato non altra guida ha l’uomo che quella dell’istinto a cui ubbidisce come la pianta e l'animale; ma non è questo certamente il suo destino; la sua facoltà lo chiama ad un bene essenzialmente diverso da quello che dipender potrebbe dal solo istinto. Dev’egli per sè stesso crear questo bene, e passare perciò dalla servitù dell’istinto allo stato di libertà: a quella condizione cioè, per quale ubbidirebbe invariabilmenle alla legge morale, come sino a quel punto ubbidito aveva all’istinto. Deve l’uomo, a dir breve, diventar creatura libera, di automa trasformarsi in essere morale, ed un tal passaggio deve menar lo all’autocrazia la Sent il'uomo il bisogno di congiungersi condonna, e la nascita di un figlio, i suoi alimenti, la sua educazione, qualunque sia si ella stala, moltiplicarono I suoi doveri. Fin qui non conobbe egli con la compagna che un sol germe di amore, ma un nuovo oggetto fe’ nascere in entrambi una nuova relazione morale, un nuovo amore di spezie più pura del primo. La soddisfazione, il tenero interesse, la sollecitudine nella quale s’incontra per l’oggetto di questo AMORE apre in esso bellissimo tratto di morale, che resero il suo rapporto più dolce ed elevato: Ad un vincolo che da prima era semplicemente materiale si uni la stima e dall’amore interessato nacque l’amor coniugale che è sovranamente disinteressato. Ad un primo figlio un secondo ne seguì, un terzo ec, e fatti grandi questi figli, teneri legami di amicizia gli strinsero insensibilmente tra loro,e videsi nascere l'amor fraterno tra Romolo e Remo che non è punto interessato. Stretti altri uomini dal bisogno, palleggiarono con questa prima famiglia di prestar l'opera loro, a vantaggio lo tantocon l'avanzar de’lumitutt’il membro della citta si crede idoneo alle funzione che prima da’ soli padri si esercilavano, e sursero allora la repubblica e la monarchia, dove si ni in gran parte il certo dell’autorita,e comincia il vero della legge. S o l l o queste forme di governo l u l l a si spiega la moralità dell’azione, perchè si dissero azione della stessa, per una convenuta mercede. Surse allora la società tra padroni, dove il padre comanda al proprio figlio, a questi famoli ancora; e tale società dal nome de’ famoli si appellò famiglia. Dalla famiglia surse ben toslo un certo naturale governo. Stabilita l’autorità paterna sul figliuolo bisognoso di aiuto e sui famoli ha già il fanciullo contratto l’abito di rispettare la volontà del genitore. Quando fatto grande, il figlio divenne padre ancor esso, doveltero i di lui figli onorar colui verso il quale vedevano che gran rispetto porta il padre loro; supposero quindi nell’avo un’autorità superiore a quella del proprio padre. E perchè l’avo in ogni litigio pronunzia sempre in tuon definitivo, un taluso, per più a poi osservato, stabili finalmenle in sua persona un potere sovrano su tutt’i membri della famiglia. Ebbe di qui origine il governo patriarcale, che lungi dal puocere all’altrui libertà ed eguaglianza, dovelte anzi valere a garenlirla e consolidarla. Più famiglie particolari, per comune utilità riunite, costitusce la tribù; più tribù di Romolo la citta di Romo, dove i cittadini dovellero amarsi come I fratelli di una stessa famiglia, e prestare a Romolo, il capo delle tribù riunita la stessa ubbidienza che ogni membro della famiglia presta all'avo. E perchè questa ubbidienza proviene da sentimento di vera stima verso gli aozi del capo, dovelte essere perciò in supremo grado disinteressata.  Ma qui potrebbe dirsi che l'uomo, secondo Vico, nei quattro stati su indicati noo altro cerca che l’utile proprio. Nello stato di solitudine in fatti cerca egli semplicemente la sua salvezza. Presa moglie e fatti figliuoli ama la sua salvezza con quella della famiglia.Venuto a vita civile ama la sua salvezza con la salvezza della città. Distesi gl’imperi sopra altri popoli ama la sua salvezza con la salvezza dal paese. Uniti i paese per pace, alleanza, commercio, ama la sua salvezza con la salvezza del genere umano. L'uomo, conchiude Vico, in ogni circostanza cerca principalmente l'utile proprio.Il perchè non da altriche dalla provvidenza divina può esser guidato a celebrar con giustizia la familiare, l’eroica e finalmente l’umana fori morali quelle soltanto che si facevano nell’interesse della morale, senza domandare anticipatamente, seerano gradevoli. Ogni aspetto sotto il quale la moralità si manifesta si ridusse ne’ goverai umani ai due seguenti. O sono il senso che propongono farsi la tal cosa o non farsi, e la volontà ne decide dietro la legge della ragione, o è la ragione che prende l’iniziativa, e la volontà ubbidisce, senza consultare il senso. governo. Così è , diciamo pur noi, ma perchè l’utile che cerca l’uomo, tosto che si è reso superiore all’istinto, è subordinato ro a quello della famiglia; secondo a quello della città; terzo all’utile del paese; quarto all'utile di tutto il genere umano; l’utile che cerca l’uomo in ogni stato su m e o tovati non èl'utile variabile, ma quelloche è figlio dell’onestà, la quale, come Vico si esprime, talmente dirige e pondera le cose utili che a tutti giovano egualmente. ma di Ma perVico, si torna a dire, lulto questo è opera della provvidenza. Dalla provvidenza è vero. Fabbro però il diritto naturale del giurecosulto, di lunga mano di verso dal diritto naturale del filosofo che alla norma della ragione eterna lo agguagliano sempre. Ma essendo la repubblica degli ottimati quasi tutte ridotte in democrazia o principali, le qualidue forme di governo vengono regolate più secondo l’ordine naturale che secondo il civile; per queste cagioni venne a rallentarsi la custodia del diritto delle genti maggiori più antiche, sul quale diritto poggiavano sopratutto la re-pubblica degli ottimi, essendo propricla di quello stato la custodia delle palric consucludini. Vico della provvidenza è l'umano arbitrio, che ha per regola la sapienza volgare, la quale è il senso comune di ciascun popolo o nazione che dirige in società la nostra azione, sicchè facciano acconcezza con ciò che ne sentono tuttidi quell popolo o nazione. Quando poi le nazioni per commerci, per paci, per alleanze sono si conosciute, la convenienza del senso comune de’popoli o nazioni tra loro, è per Vico la sapienza del genere umano. Or, il senso comune di ogni popolo e di ogni nazione, il quale deve dirigere in società la nostre azione, acciò si accordion con tutto ciò che ne peosa il genere omano: che altro può esser mai se non è la legge morale? per perciò Vico seguendo Gaio chiama diritto civile comu. d e il diritto comune di ogni popolo; perchè Gaio, ove define il diritto civile, dice: Ogni popolo che e governato da una legge e da una consuetudine, in parte si serve del proprio diritto, in parte del comune diritto di lultigli uomini, e ció per la divina provvidenza, che secondo la stessa opportunità delle cose lo spiegò Ira la pazione separatamente, con la loro costumanza, per la tranquillilà di ciascun popolo o nazione. Tale diritto spiegato con la comune costumanza del popolo è dalla tutela, dal dominio, dalla libertà nacquero, secondo Vico, tre pure forme dello stato. Quella degli ottimati, la regia, e la libera. Fondamento dello stato degli ottimati è la tutela dell’ordine, con che venne da prima stabilito che i soli patrizî siabbiano gli auspicii, il campo, la gente, I connubî, i maestrati, gl’imperî , e presso legenti i sacerdoti. La regia risplende pel dominio di un solo, Romolo, e pel sommo e formisura libero arbitrio di esso solo in tutte le cose. La libera vien celebrata dall’eguaglianza de’suffragi, per la libertà delle opinioni, e per l’eguale adito a ogni onore, il quale adito è il censo. Imperocchè inciascuno di essi comanda un solo,o come vuole Tacito: uno essere il corpo della repubblica, e doversi governare con l'animo di un solo, o di piùa guisa di un solo. E però inciascun politico reggimento colui che è sommo è anche unico; perchè il sommo del pari che l’unico non si può moltiplicare. Ma queste tre forme pure di stati, benchè sieno da quelle particolari differenze teslè osservate, tra loro diverse; tultavolta allesa la loro origine, per virtù della quale la ragione, la volontà, il potere risiedono nell'uomo, sono strettamente tra lor collegale, e costituiscono irë parti di virtù fra loro commiste. L'ordine naturale per tanto è l’anima di ogni stato, perchè regna in quest’ordine il vero che all’ordine delle cose corrisponde, non a quello de’ nomi senza le cose, il quale non è ordine, ma sembianza di ordine. Quello dunque è l'ordine naturale dello stato, dove il prudente, il forte comanda e l’imprudente, l’imbecille ubbidisce: quali furono i primi principii dello stato, la famiglia, la clientela, gli antichissimi stati degli ottimati pur ordine civile quello che per volere della legge all’ordine naturale è frammesso, che può anche dirsi ordine politico, misto di civile e di nalurale, come nello stato degli ottimati il senato si compone de’ sapientissimi fra i patrizi; nello stato popolare il popolo viengo ver pato dall’autorità di un senato sapiente; nello stato regio il principe Romolo si vale del consiglio de’ sapienti. Quest’ordine misto può definirsi successione dell’onore, nella quale chi per una e chi per altra dole come per fede, diligenza, solerzia, valore, giustizia, vien riputato degno di ascendere ad onorale cariche, e dalle minori alle maggiori gradatamenle viene promosso: di guisa che i migliori sempre preseggano, e vigilino su I costumi degl’inferiori e li dirigano. Ma quando gli ottimati divennero nomi vani che li distinsero dalla plebe, all’ordine naturale successe il civile, ed al vero seguì il certo, il quale altro non è che la conformità all’ordine, non delle cose, ma della parola, da cui nasce la coscienza dal dubilar sicura . Imperoc chè I primi imperi degli ottimi o si manteonero ne’ loro discendenti, o in ogni popolo passarono, o a monarchici si ridussero. Perciò l'ordine civile o è nel lignaggio come nell’aristocrazia, o nel censo come nella democrazia, o nella casa regnante come nella monarchia. Ma de la nobiltà, né il patrimonio rende sapienti. Il nascer orincipe è cosa fortuita, dice Tacito, nè altra. Siccome però il certo è parte del vero, e la ragion civile nasce della stessa ragion naturale per le cause di certo Diritto, così l'ordine civile per natura sua fa parte dell’ordine naturale in quanto è esso cagione della pubblica sicurezza, ond'è che anche la citta la più corrolla da questo stesso civile ordine viene conservata. Ed è per quanto però la mente è più verace del discorso, altrellanto l’ordine e più stabili della legge; im pe rocchè la mente sempre una cosa detta al parlare, ma pel giudizio, o sia per la volontà, noi più volte falliamo, servendo spesso a ciò che dice il senso, senza ascoltar la mente. La parola in oltre non viene sempre con prontezza alla mente, spesso non esprime i suoi comcetto, mentre viene quella incessantemente spronala a raggiugnere  Ma questi ordini per la via della legge col timor delle pene, con la speranza de un premio, impongono al cittadino di rettamente comportarsi. Per la qual cosa l’ordine e più stabile dalla leggr: onde avviene che la legge ri posino sull’ordine, e che questi conserva la legge; im. perocchè l’ordine politico, il quale è misto di ordine naturale e di ordine civile, con maggior ragione di ciò che Aristotele della legge disse, è verameole una mente scevera di affetti. E come che la mente del popolo io generale sia scevera di affetti, pure questa mente stessa suole addivenir talvolta turbatissima, sopra tutto ove sia commossa da intestine turboleoze. Qual fu la mente del popolo di Atene, e quella del popolo romano sconvolta dal demagogo, che indussero l'uno e l'altro popolo, con particolare legge fuori l’ordine promulgate, a bandir dalla patria uomini di chiara virtù, per elevare ad amplissimi onori immerite volissimi cittadini. Vero, il la qual forza di vero altra cosa non è che la ragione. Or, la parola sovenli volte elude questa forza di vero, per la perversa volontà di chi ragiona. L'ordine perciò naturale e l'ordine misto è il solo che può con giustizia amministrar il diritto, e questo avviene quando uomini per sapienza e per virtù prestantissimi, giusta l’ordine naturale, e non secondo l'ordine concepu. Siegue da tullo ciò che il diritto chiamato da Grozio e Kelsen puro, e da Gaio diritto comune a tull ipopoli, altro non è ch e il diritto naturale , il quale h aperto della parola, o che torna lo stess , non secondo il certo della legge, ma giusta il vero della legge stessa, reggano gli stati. E perchè la leggr in moltissimi casi mancano ed è necessaria l’interpretazione che a la deficienza supplisca; può accader ancora che sollo la stessa autorità del diritto non solo qualche volta per ignoranza si erri, ma la stessa legge con frode si eludano. Più felice dunque e quello stato, nel quale il civile ordine e misto più secondo il naturale ordine o secondo l'ordine del vero che secondo l’ordine del certo. Quindi ove si conservino la legge imposta dall’ordine, e mollo più gli Ordini che le leggi si cuslodiscano, verranno gli Stati conservati. Ma se le leggi mancano, gli stati rovinano. Perciòsiamo servi della legge, diceva Tullio, per poter esser liberi. Convertendo dunque la massima si dirà pure con verità: se ci libereremo dalla legge, saremo naturalmenle servi. la legge morale; perchè, secondo Vico, non può darsi diritto senza morale. Iolanlo è da nolarsi diligentemente che Vico distingue il diritto io diritto vero, e diritto certo. Quello è per la ragione, questo per l'autorità. Il primo dirige l'uomo libero, il secondo l'uomo che più della liberlà segue l’istinto. Or cgli è evidente che negli stessi umani governi la più gran parte degli uomini, tenendo più all’istinto che alla libera elezione, si lascia più facilmente guidare dall’altrui autorità che dalla ragione. Di qui la necessità di un diritto misto, secondo le esigenze de’ popoli e le diverse forme di governo. Ma da ciò non segue che coloro i quali con la loro autorità oe fondamento impongodo a’ popoli, essendo essii più sapienti, i più prudenti, come vuole il Vico, non si propongano per i scopo il diritto vero e che non sieno al caso disco prirlo, senza darsi gran pena. La destinazione infalli del l'uomo non può dipendere dall’istinto, e tosto che l'uomo si conosce libero e la sua ragion consulta, questa gli ordina di conservarsi e di perfezionarsi: di essere cioè savio, moderato, prudente; di collivar l’intellelto, e nel tumulto de’ sensi e degli affetti di cautelare la volontà: nel che propriamente consiste la libertà dell'uomo interiore. E perchè egli scopre in altri esseri, a lui simiglianti, la stessa attività libera, gli considera tutti eguali, e tale scoperta fa nascere in lui l’obbligazione di lasciar i suoi simili nella loro indipendenza, ed è questa la tutela. A ppresso giudica di non aver diritto su di ciò che è stato da altri prima di lui occupalo, e ciò che ha egli occupato il primo, giudica che a lui spella solamente , nel che sla il dominio. Di qui reciprocità del diritto e del dovere; di qui l’origine della giustizia che gareolisce la proprietà. Tulli gli anzidelli del diritto e del dovere, perchè fondati sulla libertà, sul dominio, e sulla tutela, o che lorna lo stesso, sulla natura dell’uomo, stanno per sè, prima che l’uomo entri con altri in società. La legge non li creano, perchè già erano prima della legge. Questa non altro fanno che conservarlo. Lo stesso diritto e lo stesso dovere servono di fondamento alla società, che il legislatore non crea ma dirige, perchè la società già era, quando il governo non era ancora.  La  libertà del diritto, dice Vico, fuprim a ch e si conoscesse la servitù. Non s’introduce già il dominio con la divisione de’campi, furono solamenle distinti. Dalla polegza di operare infine nacque tosto la tutela o difesa di sè stesso. Se non che, ammellendo Vico nell’umana mente al cuni semi del vero che con l'andar del tempo si sviluppano in cognizioni distinte ed alcuni germi del giusto che tratto tratto si spiega la massima incontrastabile di giustizia; mostrasi egli in gran parte seguace di Platone intorno all’origine di quella verità che si dice necessaria. Or tale verita, essendo per noi di due spezie, una teoretiche ed una pratica, diciamo, che rispetto alla prima, la verita teorica, l’io il quale per un alto di spontaneità si conosce e si rivela dell'appercezione, appoggiato alle quattro idee necessarie di spazio,di tempo,di sostanza e di cagione, riduce all’unità tutto il vario della rappresentazione che a lui offer il senso. Riguardo poi alle verita pratica, essendo elleno legge pratica o comando di fare, si contiene in una massima universalisabile. Quando ti determini all’azione, esamina te stesso e vedi se la tua volontà sia di accordo con la volontà generale di ogni persona. Una tal massima universalisabile è la suprema legge della morale. Che che sia però della filosofia di Vico, a noi basta di aver provato che le due sue digoilà Vl*e VII“, ben lungi dall’opporsial la legge morale, la confermano mirabilmente. Dominio, libertà, tutela tre elementi del diritto; tre elementi che costituiscono l'uomo morale. Perchè non può avervi diritto senza morale. La filosofia perciò di Vico si accorda perfettamente con la morale. Grice: “Most of Colecchi’s essays are easily available, and it’s easy enough to check his references to other Italian philosophers – not just Vico, as I have done – but Rogmanosi, and even ancient Roman ones like Cicero – and perhaps more importantly his influence on the so-called Neapolitan Hegelians!” -- Ottavio Colecchi. Keywords: Vico, il Vico di Collecchi, Cacciatore, Macchiaveli, Lazio, Romolo e Remo, Kant, categoric imperative, massima, first-hand knowledge of Kant, Colecchi Kantiano, ma non aristotelico – il kantismo di Colecchi – l’italiano kantiano di Colecchi – il vocabolario kantiano in Colecchi – analitico – sintetico – sintetico a priori – giudizio necessario – Romolo e Remo, diritto naturale, lingua e nazione, Marte, Saturno, Giove, etimologia di Vico, il Lazio, il senato romano, ottimati, storia di Roma, diritto romano, psicologia razionale, psicologia filosofica, l'istinto, la passione, la ragione, la sensazione, l’intelletto, spazio-tempo, l’azione, l’agire como reame della morale, massima d’azione, la regola di oro – la rifutazione di Vico all’eudaimonismo di Aristotele e al utilitarismo di Bentham, lo caduco e lo no caduco, ius naturale, ius como la virtu unica, giustizia equittrice e rettrice, giustizia commutative e giustizia distritutiva, l’ordine aritmetico e l’ordine geometrio – la base matematica della filosofia di Colecchi, l’amore, amore interessato, amore disinteresatto, salvezza, uomo, padre e figlio, uomo come cittadino, il genere umano, la massima universalisabile, l’onesto, fortezza, prudenza, toleranza, virtu, vizio, il vero versus il certo, la nascita della morale dal ordine agglomerazione sociale, la potesta naturale, il dominio, la tutela, la liberta, libero arbitrio e passione, autorita e ragione, forza, autorita e raggione, l’ubbidenza che il figio mostra al padre, il ruolo dell’avo, la societa di equali, il modello della societa romana antica, la societa dell’amicizia, Eurialo e Niso, L’Enneada, la lingua del contratto come requisite del patto sociale, la parola e il concetto, la formola della parola, verbum/res, res pubblica, communita, diritto comune, bene comune, l’ordine: primo stato dell’uomo in solitudine, l’ordine della famiglia: societa di inequali, padre/figlio, terzo stadio: la tribu di Romolo, la citta di Romolo, il paese di Romolo, il genero umano, diritto universale di Vico e Kant, Hampshire on Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colecchi” – The Swimming-Pool Library.

 

COLLETTI (Roma). Filosofo. Grice: “I like Colletti – he takes political philosophy seriously unlike we of the Lit. Hum, not PPE school, at Oxford! But then he is a Roman and has all the Orazi and Curiazi traditions!” Si laurea sotto Volpe. Insegna a Roma. “Partito Socialista Italiano”. Altre opere: “Il marxismo e Hegel, in Lenin, Quaderni filosofici, Milano, Feltrinelli, 1958. Ideologia e società, Bari, Laterza, Il marxismo e Hegel, Bari, Laterza, Il futuro del capitalismo. Crollo o sviluppo?, e con Claudio Napoleoni, Bari, Laterza, Intervista politico-filosofica, con un saggio su Marxismo e dialettica, Roma-Bari, Laterza, Il marxismo e il "crollo" del capitalismo, a cura di, Roma-Bari, Laterza, Tra marxismo e no, Roma-Bari, Laterza, Tramonto dell'ideologia. [Le ideologie dal '68 a oggi; Dialettica e non-contraddizione; Kelsen e il marxismo], Roma-Bari, Laterza, 1980. Crisi delle ideologie. Intervista politico-filosofica, Il marxismo del XX secolo, Le ideologie dal '68 a oggi, Milano, Club degli editori, Pagine di filosofia e politica, Milano, Rizzoli, La logica di Benedetto Croce, Lungro di Cosenza, Marco, Fine della filosofia e altri saggi, Roma, Ideazione, Lezioni tedesche. Con Kant, alla ricerca di un'etica laica, Roma, Liberal, È morto Lucio Colletti voce "contro" di Forza Italia, su repubblica, Camera dei Deputati, Gruppo Parlamentare di Forza Italia, Ricordo di Lucio Colletti, Roma, Stampa e servizi, Orlando Tambosi, Perché il marxismo ha fallito Lucio Colletti e la storia di una grande illusione, Milano, Mondadori, 2001.  88-04-48844-1 Ministero per i beni e le attività culturali, Lucio Colletti: il cammino di un filosofo contemporaneo, Roma, Essetre, 2003 Pino Bongiorno, Aldo G. Ricci, Lucio Colletti scienza e libertà, Roma, Ideazione, Cristina Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Roma, Manifestolibri. Collétti, Lucio la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. il 20/07/ Lucio Colletti, su CameraXIII legislatura, Parlamento italiano. Lucio Colletti, su CameraXIV legislatura, Parlamento italiano. La storia di Lucio Colletti di Costanzo Preve, nel sito Kelebek Roma. Partito Comunista Italiano” Forza Italia”. Il saggio di Colletti Marxismo e dialettica fu scritto «a chiarimento di alcuni temi toccati» nell’intervista apparsa sulla “New Left Review” nel numero di luglio-agosto 1974, e pubblicato con la traduzione italiana dell’intervista. Più esattamente Colletti si propone di chiarire la «differenza tra “opposizione reale” (la Realopposition o Realrepugnanz di Kant) e “contraddizione dialettica”». Si tratta di opposizioni radicalmente diverse: la prima è «senza contraddizione (ohne Widerspruch)», la seconda è «per contraddizione (durch den Widerspruch)» (1974: 65). La opposizione dialettica (66-69) è espressa dalla formula «A non-A», nella quale ciascun opposto è solo la negazione dell’altro, ma non è niente in sé e per sé. I poli dell’opposizione sono cioè ambedue negativi, più esattamente ciascuno è la negazione dell’altro, ma solo all’interno dell’unità con l’altro. Quindi «entrambi gli opposti sono negativi, nel senso che sono ir-reali, non-cose (Undinge), ma idee». Ciascun opposto «ha la sua essenza fuori di sé» (67), nell’altro di cui è la negazione. L’origine dell’opposizione dialettica, e della stessa dialettica, è platonica: l’unità degli opposti è la koinona ton genon. L’opposizione reale (70-76) è espressa dalla formula «A e B», nella quale ciascun opposto sussiste di per sé, è positivo, e perciò è esclusivo dell’altro. La cosa più importante è che  Massimiliano Biscuso – Opposizione reale, contraddizione logica e contraddizione dialettica 4 «nell’opposizione reale o rapporto di contrarietà (Gegenverhältnis), gli estremi sono entrambi positivi, anche quando l’uno venga indicato come il contrario negativo dell’altro» (72). Questo accade ad esempio quando ci rappresentiamo due forze eguali che muovono due corpi in direzione contraria: il risultato è la quiete, cioè comunque qualcosa (ed essendo qualcosa possiamo rappresentarcelo). «In altre parole, nella relazione di contrarietà che è l’opposizione reale, vi è, sì, negazione, ma non nel senso che uno dei due termini possa essere considerato come negativo di per sé, cioè come non-essere» (74). Le opposizioni reali non minano, anzi confermano il pdnc, proprio perché sono «senza contraddizione» (dove è già implicito, come sarà confermato in seguito, che l’opposizione dialettica nega il pdnc). Il marxismo non ha mai avuto le idee chiare intorno a questi due diversissimi generi di opposizione, e non le ha avute anche perché non ha mai chiarito con sufficiente rigorosità il suo rapporto con la dialettica hegeliana. In Hegel la dialettica delle idee è al tempo stesso la dialettica della materia, nel senso preciso che è impossibile in Hegel separare le idee dalla materia: «Se si presta attenzione, si vede subito che il rapporto finito-infinito, essere-pensiero, segue il modello della contraddizione “A non-A”. Fuori l’uno dell’altro, cioè al di fuori dell’Unità, finito e infinito sono entrambi astratti, irreali» (80), e l’unità che include il finito e il falso infinito (falso perché altrettanto finito, in quanto limitato dalla sua opposizione al finito) è l’Idea, il vero infinito. Dunque, commenta Colletti, «dov’era la cosa è ora subentrata la contraddizione logica» (81 – si badi bene: contraddizione logica e non, come ci si attenderebbe, contraddizione dialettica). Ora, il «dramma del marxismo» è aver «ripreso alla lettera» la dialettica hegeliana della materia, scambiandola per una forma superiore di materialismo. Dramma, perché quella dialettica era volta: a) alla distruzione del finito, b) alla negazione del pdnc; cioè proprio a ciò a cui la scienza non può rinunciare, anzi da cui si deve necessariamente muovere (d’altronde la scienza, che si basa sul pdnc, «è il solo modo di apprendere la realtà, il solo modo di conoscere il mondo», 112). Avvertiti di questa difficoltà, negli anni Cinquanta alcuni marxisti polacchi e tedesco-orientali cercarono di mostrare che «ciò che i “materialisti dialettici” presentano come contraddizioni nella natura sono, in realtà, contrarietà, cioè opposizioni ohne Widerspruch; e che, dunque, il marxismo può benissimo continuare a parlare di conflitti e di opposizioni oggettive, senza, per questo, essere costretto a dichiarare guerra al principio di (non-)contraddizione e mettersi così in rotta con la scienza» (86). Tali risultati convergevano con quelli della ricerca di della Volpe: a costo di liquidare «gran parte dell’opera filosofica di Engels» (94) in quanto fonte del Diamat, sembrava però legittimarsi «l’aspirazione del marxismo a costituirsi come la fondazione delle scienze sociali, cioè come la scienza della società» (95). In realtà non era possibile ritenere che il Capitale non avesse nulla a che fare con Hegel: infatti «i processi di ipostatizzazione, la sostantificazione dell’astratto,  www.filosofia-italiana.net 5 l’inversione di soggetto e predicato, ecc., lungi dall’essere per Marx soltanto modi difettosi della logica di Hegel di riflettere la realtà, erano processi che egli ritrovava […] nella struttura e nel modo di funzionare della società capitalistica stessa» (97). Vi sono dunque «due Marx» (99): lo scienziato dell’economia politica e il critico dell’economia politica. Questo significa riconoscere i limiti della stessa lettura dellavolpiana, che condivide con molte altre letture marxiste il difetto di non cogliere le due facce del pensiero di Marx. «Quando il marxismo è una teoria scientifica del divenire sociale, è tutt’al più una “teoria del crollo”1, ma non una teoria della rivoluzione; quando, viceversa, è una teoria della rivoluzione, essendo solo una “critica dell’economia politica”, rischia di risultare il progetto di una soggettività utopica» (102). Dunque per lo stesso Marx le contraddizioni del capitalismo sono non opposizioni reali, bensì contraddizioni dialettiche nel senso pieno della parola. Da un passo delle Teorie sul plusvalore (la possibilità della crisi è la possibilità che momenti che sono inseparabili si separino e quindi vengano riuniti violentemente) Colletti conclude che i poli dell’opposizione, separandosi, si sono fatti reali, pur non essendolo veramente: «sono, in breve, un prodotto dell’alienazione, sono entità per sé irreali seppur reificate» (107). «Teoria dell’alienazione e teoria della contraddizione, dunque, come una sola e identica teoria» (109): la contraddizione nasce dal fatto che l’aspetto individuale e quello sociale del lavoro, pur essendo intimamente connessi, si danno un’esistenza separata. È la contraddizione di individuo e genere, di natura e cultura, già rilevata dai maggiori analisti della società civile borghese del Settecento. «La società moderna è la società della divisione (alienazione, contraddizione). Ciò che un tempo era unito, si è ora spezzato e separato. È rotta l’“unità originaria” dell’uomo con la natura e dell’uomo con l’uomo» (111), dove l’unità, essendo data, non deve essere spiegata, mentre è da spiegare la divisione. «Seppure modificato, riaffiora lo schema della filosofia della storia di Hegel. E questo, ci si scopre essere il secondo volto di Marx, accanto a quello dello scienziato, naturalista e empirico» (112). Georg Wilhelm Friedrich Hegel versuchte, um die von ihm vertretene Dialektik (im Sinne einer Lehre von den Gegensätzen in den Dingen) durchzusetzen, die Logik in einer Weise zu erweitern (sog. dialektische Logik), die den Satz vom Widerspruch außer Geltung setzt.[3] Damit versuchte Hegel, die Kantische Widerlegung des sogenannten 'Dogmatismus in der Metaphysik' zu umgehen. Der Wissenschaftstheoretiker Karl Popper kommentiert: „Diese Widerlegung [Kants] betrachtet Hegel als gültig nur für Systeme, die metaphysisch in seinem engeren Sinne sind, jedoch nicht für den dialektischen Rationalismus, der die Entwicklung der Vernunft berücksichtigt und deshalb Widersprüche nicht zu fürchten braucht. Indem Hegel die Kantische Kritik in dieser Weise umgeht, stürzt er sich in ein äußerst gefährliches Abenteuer, das zur Katastrophe führen muss; denn er argumentiert etwa folgendermaßen: ‚Kant widerlegte den Rationalismus durch die Feststellung, er müsse zu Widersprüchen führen. Dies gebe ich zu. Aber es ist klar, dass dieses Argument seine Stärke aus dem Gesetz vom Widerspruch ableitet: es widerlegt nur solche Systeme, die dieses Gesetz akzeptieren, also solche, die beabsichtigen, frei von Widersprüchen zu sein. Das Argument ist nicht gefährlich für ein System wie das meinige, das bereit ist, Widersprüche zu akzeptieren – d.h. für ein dialektisches System.‘ Es besteht kein Zweifel, dass Hegels Argument einen Dogmatismus von äußerst gefährlicher Art aufrichtet - einen Dogmatismus, der keinerlei Angriff mehr zu fürchten braucht [siehe Immunisierungsstrategie]. Denn jeder Angriff, jede Kritik irgendwelcher Theorie muß sich auf die Methode stützen, irgendwelche Widersprüche aufzuzeigen, entweder in einer Theorie selbst oder zwischen einer Theorie und irgendwelchen Fakten […].“[4]  Logisches Quadrat  Das logische Quadrat Unter der Voraussetzung, dass ihre Subjekte keine leeren Begriffe sind, bestehen zwischen den unterschiedlichen Aussagentypen verschiedene Beziehungen:  Zwei Aussagen bilden einen kontradiktorischen Gegensatz genau dann, wenn beide weder gleichzeitig wahr noch gleichzeitig falsch sein können, mit anderen Worten: Wenn beide unterschiedliche Wahrheitswerte haben müssen. Das wiederum ist genau dann der Fall, wenn die eine Aussage die Negation der anderen ist (und umgekehrt). Für die syllogistischen Aussagentypen trifft das kontradiktorische Verhältnis auf die Paare A–O und I–E zu. Zwei Aussagen bilden einen konträren Gegensatz genau dann, wenn sie zwar nicht beide zugleich wahr, wohl aber beide falsch sein können. In der Syllogistik steht nur das Aussagenpaar A–E in konträrem Gegensatz. Zwei Aussagen bilden einen subkonträren Gegensatz genau dann, wenn nicht beide zugleich falsch (wohl aber beide zugleich wahr) sein können. In der Syllogistik steht nur das Aussagenpaar I–O in subkonträrem Gegensatz. Zwischen den Aussagetypen A und I einerseits und E und O andererseits besteht ein Folgerungszusammenhang (traditionell wird dieser Folgerungszusammenhang im logischen Quadrat Subalternation genannt): Aus A folgt I, d. h., wenn alle S P sind, dann gibt es auch tatsächlich S, die P sind; und aus E folgt O, d. h., wenn keine S P sind, dann gibt es tatsächlich S, die nicht P sind. Diese Zusammenhänge werden oft in einem Schema, das unter dem Namen „Logisches Quadrat“ bekannt wurde, zusammengefasst (siehe Abbildung). Die älteste bekannte Niederschrift des logischen Quadrats stammt aus dem zweiten nachchristlichen Jahrhundert und wird Apuleius von Madauros zugeschrieben. Grice: “Colletti takes negation more seriously than Popper does. Colletti examines Hegel’s target, which is Kant’s distinction between ‘real opposition’ or ‘real repugnance’ and ‘dialectical contradiction.’ Both can combine. Hegel indeed wishes to go beyond the principle of non-contradiction instituted in Velia by Parmenides. The Italian language allows for some distinction that the English language doesn’t. There’s the opposto, which is combined of posto, posto is cognate with ponere, as in modus ponens, and it’s also the root for ‘positive’ (as opposed to negative, or strictly, togliere, tollere modus tollens – to deny). So the the posto, we have the opposto. On the other hand, there’s the ‘contra’, which translates Greek ‘anti’ – so that ‘apophasis’ becomes ‘contra-dictio’ where ‘dictio’ is cognate with ‘deixis,’ and so more to do with dictiveness and indicativeness than with ‘vocalisation’. The Germans deal with the widerspruch but that’s THEIR problem. So to the posto we have the opposto. But after Cicero, the use of ‘contrario’ becomes important. Il contrario and l’opposto then pretty much covered all I failed to see back with my ‘Negation and privation,’ and my later lectures on ‘Negation’ simpliciter. Both Kant, Hegel Colletti, and I, allow for ~ being all we need!” Lucio Colletti. Keywords: opposition, negazione, la contraddizione dialettica e la non-contraddizione – hegel – Oxford Hegelian, “Negation and Privation” “Negation” “Privation” “The Square of Opposition” Das Quadrat – contradictum – the deicticness of the dictum – contra – counter – anti – antithesis – apo-phasis – ob-positum – contrarium, il contrario, l’opposto, contra-dictio and contrario, il contrario, il contradditorio, dialettica ateniese, dialettica oxoniana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colletti” – The Swimming-Pool Library.

 

COLLI (Torino). Filosofo. Grice: “I love Colli – his ‘filosofia dell’espressione’ is much more serious than my ramblings, well meant, though, on Peirce! I was only trying to be fashionable! At Oxford, they loved my lecture on ‘meaning,’ which got me into ‘implying,’ and eventually, ‘expressing.’ – My unity developed – Colli was born with it!” Insegna a Pisa. Di una facoltosa famiglia, il padre amministra “La Stampa”, incarico dal quale fu poi estromesso all'indomani della marcia su Roma, su ordine di Mussolini. Studia a Torino, laureandosi sotto Solari con “Politicità ellenica e Platone”. Scorse nella tradizione filosofica classica greco-romana l'autentico "logos" a cui ritornare.  Lo stile di scrittura, profondo e costellato di aforismi taglienti, si caratterizza da un'attenzione maniacale alla musicalità del discorso. Questa dote musicale emerge con chiarezza dalle letture di alcuni passi di Colli recitati da Bene. Il suo saggio principale è “Filosofia dell'espressione” che fornisce, mediante una complessa teoria delle categorie e della deduzione, un'interpretazione della totalità della manifestazione come “espressione” di qualcosa (l'immediatezza) che sfugge alla presa della conoscenza. Comunque, ritiene che sia possibile riguadagnare il fondamento metafisico del mondo portando il discorso filosofico ai suoi estremi limiti e "(di)mostrando" la natura derivata del logos. Importante il suo contributo su i filosofi italici Gorgia, Zenone, e Girgentu, e le figure di Bacco ed Apollo, dismisura e misura. Al tentativo di interpretare gli enigmi di questi culti a-logici, fra i quali quelli oracolari, viene fatta risalire l'origine remota della dialettica. Altre opere: “Filosofia dell'espressione” (Adelphi, Milano); “Dopo Nietzsche” (Adelphi, Milano); “La nascita della filosofia. Adelphi, Milano); “La sapienza greca” “Dioniso, Apollo, Eleusi, Orfeo, Museo, Iperborei, Enigma” (Adelphi, Milano); “La sapienza greca” “Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro, Anassimene, Onomacrito” (Adelphi, Milano); “La sapienza greca”; “Eraclito” (Adelphi, Milano); “Nietzsche” (Adelphi, Milano); “La ragione errabonda” (Adelphi, Milano); “Per una enciclopedia di autori classici” (Adelphi, Milano); “La Natura ama nascondersi” (Adelphi, Milano); “Zenone di Velia” (Adelphi, Milano); “Gorgia e Parmenide” (Adelphi, Milano); “Introduzione a Osservazioni su Diofanto di Pierre de Fermat. Bollati Boringhieri, Torino); “Platone politico” (Adelphi, Milano); “Il sovro-umano” (Adelphi, Milano); “Apollineo e dionisiaco” (Adelphi, Milano); “Girgentu” (Adelphi, Milano); “Platone: la lotta dello spirito per la potenza, Einaudi, Torino); Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino); Organon, Einaudi, Torino); Critica della ragion pura, a cura e tr. di Giorgio Colli, Einaudi, Torino); “Simposio” (Adelphi, Milano); Parerga e paralipomena” (Adelphi, Milano); Nietzsche (Classici Adelphi)  Scritti giovanili; La nascita della tragedia; Considerazioni inattuali; La filosofia nell'epoca tragica dei Greci; Frammenti postumi; Wagner a Bayreuth; Considerazioni inattuali, Umano, troppo umano, Aurora; Idilli di Messina; Così parlò Zarathustra; Al di là del bene e del male; Genealogia della morale; Wagner; Crepuscolo degli idoli; L'anticristo; Ecce homo; Nietzsche contra Wagner, Ditirambi di Dioniso e Poesie postume; Epistolario (Adelphi, Milano); Sull'utilità e il danno della storia per la vita (Adelphi, Milano); Sull'avvenire delle nostre scuole” (Adelphi, Milano);  La mia vita (Adelphi, Milano); La nascita della tragedia” Adelphi, Milano); L'uomo di fede e lo scrittore, Adelphi, Milano); Schopenhauer come educatore, tr. di Mazzino Montinari, Adelphi, Milano); “Lettere da Torino” (Adelphi, Milano); “Il servizio divino dei greci” (Adelphi, Milano); Lo Specchio di Dioniso” (Dedalo, Bari); Dizionario biografico degli italiani,  Implicazioni estetiche in Colli; Misura e dismisura. Per una rappresentazione di Colli, ERGA, Genova); L’enigma greco; Apollineo e dionisiaco in Colli, in Clemente Tafuri e David Beronio, Teatro Akropolis. Testimonianze ricerca azioni, vol II, AkropolisLibri, Genova); I Greci: annotazioni su alcune traduzioni, in "Episteme", Mimesis Edizioni, Milano); Il Girgentu di Colli, Luca Sossella Editore, Roma. Giorgio Colli. Keywords: L’Apollo romano, L’appollo d’etruria, La mesura d’Apollo, la dismisura di Bacco; l’enigma filosofico, Bacco, Nietzsche, Girgentu, Velia, Crotone, Gorgia, Zenone di Velia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colli: l’implicatura di Bacco.”

 

COLLINI (Firenze). Filosofo. Grice: “If you love birds, you love Collini – he loved ‘pterodattili,’ though and made nice drawings of them, as they fought with ‘uomini’!” Discendente di una nobile famiglia, studia a Pisa. Si trasferì a Coira. Collini venne descritto come scontroso, spesso in litigio. A lui si deve la descrizione dello pterodactylus, un rettile volante, o pterosauro o pterodattilo. Denuncia il fanatismo durante le guerre rivoluzionarie francesi in Europa. Grice: “I often wondered why the conte would flee his family seat in lovely Tuscany for the darker landscapes of the North – till I found out the reason: he had helped one of his noble friends (Ottavio) to do some evil-act on a nobile gentildonna (Malspina): so he had no choice!”. Altro Italiano non ricordato dal Lucchesini, forse perchè assai più tardi aggregato all'Accademia, è Cosimo Alessandro Collini, nato a Firenze. Narra il Denina (1) che, mentre ea Pisa, aiuta a Domenico Eusebio Chelli, da famglia civile di Livorno, nel ratto della marchesa Gabbriella Malaspina, sicchè dovette fuggirsene (2). Dopo essersi fermato a Coira, va a Berlino raccomandato da una signora M. (egli stesso non ne dà che l’iniziale) abitante in Firenze, amica di famiglia e sorella della Barberina. Accolto da questa, ormai signora Coccei, con molta benevolenza, attesea studiare, e con baldanza, quando Voltaire venne a Berlino, si presenta a lui, che lo riceve amorevolmente dicendogli, la Toscana è stata una nuova Atene e i toscani sono stati i nostri maestri. Gli si raccomandò per trovare un'occupazione e n’ebbe lusinghiere promesse. Ma il tempo scorreva e il conte ha fretta, sicchè pensa di valersi, oltre che della ballerina, anche di una celebre cantante, l’Astrua, che gli ottenne il posto di segretario dello stesso Voltaire. Stette con lui copiando i suoi lavori e leggendogli la sera il Boccaccio e l'Ariosto – l’uno pienamente con tento dell'altro. “Mon secrétaire», scrive il Voltaire al Thiriot, “est un florentin, très-aimable, tres-bien né, et qui merite, mieux que moi, d'être de l'Académie della Crusca. Fu compagno al filosofo poeta anche nella sua fuga dalla Prussia e nelle sue pe regrinazioni e vicissitudini per la Germania, la Francia e la Svizzera. Ma nper una lettera nella quale scherzava su mad. Denis, si separa da Voltaire, che tuttavia continua a volergli bene e a corrisponder con lui; e sulle raccomandazioni del Voltaire passa al servizio dell'elettor palatino, che lo fece suo bibliotecario e segretario dell'Accademia di Mannheim. Scrive saggi sulla storia della Germania e su quella del Palatinato, ma più ch'altro di mineralogia. È lodato anche un suo volume di Lettres sur les Allemands, pubblicato anonimo a Mannheim nel 1784, cui un altro doveva seguirne sulla letteratura tedesca.E là dove aveva trovato una seconda patria e una onorevole residenza, mori nel 1806. All'Accademia,alla quale forse furono ascritti anche altri Ita liani oltre quelli ricordati qui e più addietro,e cui è da aggiun gere G. B. Morgagni (3), si riferisce questo brano di lettera del (2) Il COLLINI stesso nel suo libro Mon séjour auprès de Voltaire et Lettres inédites que m'écrivit cet homme célèbre,ecc.,Paris,Collin,1807, confessa (pag. 5) la fuga dalla patria e dalla famiglia, m a ne dà per m o tivo una giovanile vaghezza di conoscere il mondo e gli uomini. L'esemplare tipo dell'animale ora conosciuto come Pterodactylus antiquus è stato uno dei primi fossili di pterosauro scoperti e il primo ad essere identificato. Il primo esemplare di Pterodactylus fu descritto dallo scienziato italiano Cosimo Alessandro Collini, nel 1784, sulla base di un scheletro fossile, portato alla luce dai calcari di Solnhofen, di Baviera. Collini fu il curatore della "Naturalienkabinett", o "camera delle meraviglie" (l'antenato del moderno concetto di Museo di Storia Naturale), nel palazzo di Carlo Teodoro, elettore di Baviera, a Mannheim.[17] Il campione era stato affidato alla raccolta, dal conte Friedrich Ferdinand zu Pappenheim, probabilmente intorno al 1780, dopo essere stato recuperato da un calcare litografico nella cava di Eichstätt.[18] La data effettiva della scoperta e l'ingresso del campione nella collezione è sconosciuto. Non è stato menzionato in nessun catalogo della collezione, preso nel 1767 quindi deve essere stato acquistato tra il 1767 e il 1784, anno della descrizione di Collini. Ciò potrebbe rendere il fossile il primissimo pterosauro descritto; Nel 1779 fu descritto una seconda specie chiamata Pterodactylus micronyx (oggi conosciuto come Aurorazhdarcho micronyx) che però era stata inizialmente scambiata per un fossile di crostaceo.[19]   Ricostruzione di Wagler, del 1830, su uno stile di vita acquatico per Pterodactylus Collini, nella sua prima descrizione del campione di Mannheim, concluse che si trattava di un animale volante. In realtà, Collini non riusciva a capire di che tipo di animale si trattasse, ma lo accostò ad uccelli e pipistrelli, per via di alcun affinità anatomiche. Più avanti lo stesso Collini ipotizzò addirittura che potesse trattarsi di un animale acquatico. Tale ipotesi non venne avanzata su rigori scientifici ma su una supposizione di Collini che pensava che le profondità dell'oceano potevano ospitare animali stravaganti.[20][9] Nel 1830, l'idea che gli pterosauri fossero animali marini persisteva ancora in una minoranza di scienziati tra cui lo zoologo tedesco Johann Georg Wagler, che pubblicò nel suo testo intitolato "Anfibi", un articolo che vedeva gli pterosauri come animali marini con ali disegnate come pinne, ispirandosi ai moderni pinguini. Wagler si spinse fino a classificare lo Pterodactylus, insieme ad altri vertebrati acquatici (come plesiosauri, ittiosauri e monotremi), nella classe Gryphi, tra uccelli e mammiferi.[21]   Prima ricostruzione di uno pterosauro al mondo ad opera di Hermann, nel 1800 Fu lo scienziato francese/tedesco Johann Hermann che per primo dichiarò che il lungo quarto dito della mano dello Pterodactylus venisse usato per sostenere una membrana alare. Nel mese di marzo del 1800, Hermann fu allertato dallo scienziato francese George Cuvier dell'esistenza del fossile di Collini, che era stato catturato dagli eserciti di occupazione di Napoleone e inviato alle collezioni francesi a Parigi, come bottino di guerra; in seguito alcuni commissari politici francesi sequestrarono i tesori d'arte e gli oggetti di valore scientifico. Hermann in seguito inviò una lettera a Cuvier, dove vi era scritta la sua interpretazione del fossile (anche se lui non aveva esaminato personalmente), dichiarando che l'animale doveva trattarsi di un mammifero, e inviò anche una bozza di come doveva apparire in vita l'animale. Fu la prima ricostruzione artistica per uno pterosauro al mondo. Hermann disegnò l'animale con una membrana alare che si estendeva dalla fine del quarto dita fino alle caviglie e ricoperto da pelliccia,(all'epoca il fossile non presentava ne segni di membrana alare ne di pelliccia). Hermann nel suo schizzo aggiunse anche una membrana tra il collo ed il polso, come quella presente oggi nei pipistrelli. Cuvier d'accordo con questa interpretazione, e su suggerimento di Hermann, pubblicò questa nuova descrizione nel dicembre del 1800.[9] In uno scritto Cuvier dichiarò che, "Non è possibile mettere in dubbio che il lungo dito servisse a sostenere un membrana che, allungandosi all'estremità anteriore di questo animale, formava una buona ala."[22] Tuttavia, contrariamente a Hermann, Cuvier era convinto che l'animale fosse un rettile.  In realtà l'esemplare non era stato sequestrato dai francesi. Infatti, nel 1802, dopo la morte di Carlo Teodoro, il fossile fu portato a Monaco di Baviera, dove il barone Johann Paul von Carl Moll, aveva ottenuto un'esenzione generale della confisca per le collezioni bavaresi. Cuvier chiese a von Moll il permesso di studiare il fossile, ma fu informato che il pezzo non fu trovato. Nel 1809, Cuvier pubblicò una descrizione un po' più a lunga, in cui l'animale veniva chiamato "Ptero-dactyle" e confutava l'ipotesi di Johann Friedrich Blumenbach, che sosteneva che l'animale fosse un uccello marino.   Ricostruzione inesatta di P. brevirostris, da parte di Von Soemmerring, del 1817 Contrariamente a rapporto di von Moll, il fossile non è mancata; fu oggetto di studio da parte di Samuel Thomas von Sömmerring, che tenne una conferenza pubblica sul fossile il 27 dicembre 1810. Nel mese di gennaio del 1811, von Sömmerring scrisse una lettera al Cuvier deplorando il fatto che era da poco stato informato della richiesta di Cuvier per informazioni. La sua conferenza fu pubblicata nel 1812, e in essa von Sömmerring diede alla creatura il nome di Ornithocephalus antiquus.[23] Qui l'animale fu descritto come un mammifero simile ad un pipistrello ma con caratteristiche da uccello. Cuvier in disaccordo con tale descrizione, lo stesso anno fornì una lunga descrizione nella quale ricordò che l'animale era in realtà un rettile.[24] Nel 1817 fu rinvenuto un secondo esemplare di Pterodactylus, ancora una volta a Solnhofen. Questo esemplare rappresentato da un giovane fu descritto nuovamente da von Soemmerring, come Ornithocephalus brevirostris, per via del muso corto, avendo tuttavia capito che si trattava di un esemplare più giovane (oggi si sa che questo fossile appartiene ad un altro genere di pterosauro, probabilmente un Ctenochasma[3]). Von Sommerring fornì anche uno schizzo dello scheletro[9] che in seguito si rivelò essere sbagliato e impreciso, in quanto von Soemmerring aveva scambiando il metacarpo per le ossa del braccio inferiore, il braccio inferiore per l'omero, il braccio superiore per lo sterno e lo sterno per una scapola.[25] Tuttavia Soemmerring rimase per sempre fedele alla sua idea dello Pterodactylus. Lo avrebbe sempre immaginato come un animale simile ad un pipistrello, anche se a seguito di alcune ricerche nel 1860 ammise che l'animale era un rettile. Tuttavia l'immaginario collettivo dell'animale rimaneva quello di una creatura quadrupede, goffa a terra, ricoperta di pelo, a sangue caldo e con una membrana alare che si attaccava alle caviglie.[26] In epoca moderno (2015) alcuni di questi elementi sono stati confermati, alcuni smentiti, mentre altri rimangono ancora oggi in discussione.  Paleobiologia Classi d'età  Esemplare giovane di P. antiquus Come molti altri pterosauri (in particolare il Rhamphorhynchus), l'aspetto degli esemplari di Pterodactylus varia a seconda dell'età e in base al livello di maturità. Le proporzioni di entrambe le ossa degli arti, le dimensioni e la forma del cranio e le dimensioni e il numero dei denti possono stabilire a quale classe di età appartiene l'animale. In passato queste differenze morfologiche hanno portato a credere che si trattassero di specie distinte con caratteristiche anatomiche differenti. Recenti studi più dettagliati e che utilizzano nuovi metodi per misurare le curve di crescita degli esemplari noti, hanno stabilito che in realtà vi è un'unica specie di Pterodactylus ritenuta valida ossia, P. antiquus.[6]  Il più giovane e immaturo campione di P. antiquus (da alcuni interpretato come facente parte di una seconda specie chiamata Pterodactylus kochi) possiede pochi denti e i pochi che possiede hanno una base relativamente ampia.[4] I denti di altri esemplari di P. antiquus hanno denti più stretti e numerosi (fino a 90).[6]  Tutti i campioni di Pterodactylus possono essere suddivisi in due diverse classi di età. Nella prima classe, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una lunghezza complessiva che va dai 15 ai 45 millimetri di lunghezza. Nella seconda classe, invece, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una lunghezza complessiva che va dai 55 ai 95 millimetri di lunghezza, ma sono ancora immaturi. Questi due primi gruppi di dimensione erano a loro volta classificati come giovani e adulti della specie P. kochi, fino a che un nuovo studio ha dimostrato che anche quelli che si credevano "adulti" erano comunque esemplari immaturi, e probabilmente appartengono ad un genere distinto. Una terza classe è rappresentata da esemplari specie tipo P. antiquus, così come un paio di grandi esemLplari isolati, una volta assegnati a P. kochi che si sovrappongono P. antiquus per dimensioni. Tuttavia, tutti i campioni di questa terza classe mostrano anche segni di immaturità. L'aspetto degli esemplari completamente maturi di Pterodactylus esemplari rimane tuttora sconosciuto, oppure potrebbero essere stati erroneamente classificati come un genere diverso.[4]  Crescita e riproduzione  Bacino fossile di un grande esemplare, riferito alla dubbia specie P. grandipelvis Le classi di crescita degli esemplari di P. antiquus mostrano che questa specie, come il contemporaneo Rhamphorhynchus muensteri, probabilmente allevava i piccoli in determinate stagioni e questi crescevano costantemente durante tutta la vita. Quindi la riproduzione e il conseguente allevamento dei cuccioli avveniva ad intervalli regolari e probabilmente in ogni stagione.[4][27] Molto probabilmente poco dopo la nascita i cuccioli erano già in grado di volare ma dipendevano ancora dai genitori per la nutrizione. Questo modello di crescita è molto simile a quello dei moderni coccodrilli, piuttosto che alla rapida crescita dei moderni uccelli.[4]  Stile di vita Dal confronto tra gli anelli sclerali di P. antiquus con quelli di moderni uccelli e rettili si è scoperto che lo Pterodactylus aveva uno stile di vita diurno. Questo coinciderebbe con la sua nicchia ecologica, che lo vedrebbe come un predatore simile all'odierno gabbiano, evitando inoltre la competizione con altri pterosauri suoi contemporanei che in base agli anelli sclerali sono stati giudicati notturni, come il Ctenochasma e il Rhamphorhynchus.[28]  Paleoecologia Durante la fine del Giurassico, l'Europa era un arcipelago asciutto e tropicale ai margini del mare Tetide. Il calcare fine, in cui gli scheletri di Pterodactylus sono stati ritrovati, è stato formato dalla calcite delle conchiglie e degli organismi marini. Le varie aeree tedesche dove sono stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus erano lagune situate tra le spiagge e le barriere coralline delle isole europee Giurassiche nel Mare Tetide. I contemporanei di Pterodactylus, includono l'avialae Archaeopteryx lithographica, il compsognatide Compsognathus, svariati pterosauri come Rhamphorhynchus muensteri, Aerodactylus, Ardeadactylus, Aurorazhdarcho, Ctenochasma e Gnathosaurus, il teleosauride Steneosaurus sp., l'ittiosauro Aegirosaurus, e i metriorhynchidi Dakosaurus e Geosaurus. Gli stessi sedimenti in cui sono stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus hanno riportato alla luce anche diversi fossili di animali marini quali pesci, crostacei, echinodermi e molluschi marini, confermando l'habitat costiero di questo pterosauro. L'enorme biodiversità di pterosauri presenti nei Calcari di Solnhofen, indica che quest'ultimi si erano differenziati tra di loro occupando ogni possibili nicchia ecologica disponibile.[29]  Note ^ Fischer von Waldheim, J. G. 1813. Zoognosia tabulis synopticus illustrata, in usum praelectionum Academiae Imperialis Medico-Chirurgicae Mosquenis edita. 3rd edition, volume 1. 466 pages. ^ Schweigert, G., Ammonite biostratigraphy as a tool for dating Upper Jurassic lithographic limestones from South Germany – first results and open questions, in Neues Jahrbuch für Geologie und Paläontologie – Abhandlungen, vol. 245, n. 1, 2007, pp. 117–125, DOI:10.1127/0077-7749/2007/0245-0117.  Bennett, S. Christopher, New information on body size and cranial display structures of Pterodactylus antiquus, with a revision of the genus, in Paläontologische Zeitschrift, in press, 2013, DOI:10.1007/s12542-012-0159-8.  Bennett, S.C., Year-classes of pterosaurs from the Solnhofen Limestone of Germany: Taxonomic and Systematic Implications, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 16, n. 3, 1996, pp. 432–444, DOI:10.1080/02724634.1996.10011332.  Bennett, S.C., [0043:STPOTC2.0.CO;2 Soft tissue preservation of the cranial crest of the pterosaur Germanodactylus from Solnhofen], in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 22, n. 1, 2002, pp. 43–48, DOI:10.1671/0272-4634(2002)022[0043:STPOTC]2.0.CO;2, JSTOR 4524192.  Jouve, S., [0542:DOTSOA2.0.CO;2 Description of the skull of a Ctenochasma (Pterosauria) from the latest Jurassic of eastern France, with a taxonomic revision of European Tithonian Pterodactyloidea], in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 24, n. 3, 2004, pp. 542–554, DOI:10.1671/0272-4634(2004)024[0542:DOTSOA]2.0.CO;2. ^ Frey, E., and Martill, D.M., Soft tissue preservation in a specimen of Pterodactylus kochi (Wagner) from the Upper Jurassic of Germany, in Neues Jahrbuch für Geologie und Paläontologie, Abhandlungen, vol. 210, 1998, pp. 421–441. ^ Cuvier, G., Mémoire sur le squelette fossile d'un reptile volant des environs d'Aichstedt, que quelques naturalistes ont pris pour un oiseau, et dont nous formons un genre de Sauriens, sous le nom de Petro-Dactyle, in Annales du Muséum national d'Histoire Naturelle, Paris, vol. 13, 1809, pp. 424–437.  Taquet, P., and Padian, K., The earliest known restoration of a pterosaur and the philosophical origins of Cuvier's Ossemens Fossiles, in Comptes Rendus Palevol, vol. 3, n. 2, 2004, pp. 157–175, DOI:10.1016/j.crpv.2004.02.002. ^ Cuvier, G., 1819, (Pterodactylus longirostris) in Isis von Oken, 1126 und 1788, Jena ^ Kellner, A.W.A. 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Natural History Museum of Los Angeles County and University of Washington Press, Seattle and London ^ Wellnhofer, P. (1970). Die Pterodactyloidea (Pterosauria) der Oberjura-Plattenkalke Siiddeutschlands. Bayerische Akademie der Wissenschaften, Mathematisch-Wissenschaftlichen Klasse, Abhandlungen, 141: 133 pp. ^ Schmitz, L.; Motani, R., Nocturnality in Dinosaurs Inferred from Scleral Ring and Orbit Morphology, in Science, vol. 332, n. 6030, 2011, pp. 705–8, DOI:10.1126/science.1200043, PMID 21493820. ^ Weishampel, D.B., Dodson, P., Oslmolska, H. (2004). The Dinosauria (Second ed.). University of California Press. Biografia Steve Parcker John Malam, Dinosauri e altre creature preistoriche. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pterodactylus Collabora a Wikispecies Wikispecies contiene informazioni su Pterodactylus Collegamenti esterni (EN) Pterodactylus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (EN) Pterodactylus, su Fossilworks.org. Modifica su Wikidata Controllo di autorità. LCCN (EN) sh94002837 Biologia Portale Biologia Paleontologia Portale Paleontologia Rettili Portale Rettili Categoria: Pterosauri. Il conte Cosimo Alessandro Collini. Keywords: pterodattilo, filosofia, pisa, Firenze, nobilita, coira. Pterodattilo. Polemica filosofica, Domenico Eusebio Chelli, marchesa Gabbriella Malaspina, Voltaire e la Toscana, “Firenze come una nuove Atene”, Collini su Ariosto e Boccaccio, Collini makes fun of Voltaire’s daughter. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Collini” – The Swimming-Pool Library.

 

COLOMBE (Firenze). Filosofo. Grice: “If you love stars, as any philosopher must – vide Thales! – you LOVE Ludovico who refuted Kepler’s idea that the thing next to the serpentary’s foot was a ‘star,’ never mind ‘nova’!” Noto per essere stato uno strenuo avversario di Galilei.  Non si sa quasi nulla della sua vita, ma restano diverse sue saggi, nelle quali difende la dottrina aristotelica con un particolare disinteresse sia verso le nuove osservazioni sia verso la coerenza logica.  Scrisse un discorso sulla nuova stella apparsa sostenendo che si tratta di una stella non nuova, ma esistente da sempre. Scrisse un discorso Contro il moto della Terra.  Per conciliare le osservazioni di Galilei sulle irregolarità della superficie lunare con la concezione aristotelica della perfetta sfericità dei corpi celesti sostenne che le valli e gli spazi tra i monti della luna sono colmati da un materiale perfetto e invisibile. Contrario all’idrostatica archimedea recuperata da Galileo, nel suo Discorso apologetico, sostenne che il galleggiare o l’affondare dei corpi dipendesse dalla loro forma. Nella conclusione del discorso usa anche una metafora di questa teoria, affermando che le ragioni dell'avversario per essere troppo argute e sottili vanno a fondo senza speranza di ritornare a galla, mentre quelle di Aristotele, per essere di forma larga e quadrata, non possono affondare in nessun modo. Sono rimaste anche lettere tra il Delle Colombe e Galileoi che stimava pochissimo il suo avversario, che aveva soprannominato Pippione. Vari accenni a questo personaggio sono nella corrispondenza tra Galilei e i suoi amici. Dizionario Biografico degli Italiani, Amici e nemici di Galileo, Milano, Bompiani. Aristotelismo. Grice: “If I had to choose between Colombe-Aristotle to Galielei-Plato, I chose the former!” -- Colombo. Colombe. Ludovico delle Colombe. Ludovico Colombo. Keywords: the irregular surface of the moon is filled by an invisible substance, the earth does not move, the ‘nuova’ stella is a misnomer: it has always existed; bodies float or sink according to their shape. Aristotle’s reasons never sink because they are square. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colombe” – The Swimming-Pool Library.

 

COLOMBO (Milano). Filosofo. Grice: “I love Colombo as I love Wilde – I mean, the sponsor of the Wilde Lectures on Natural Religion! Colombo wonders, ‘can ‘theologian’ be written under ‘profession’? Surely, like me, Colombo distinguishes between theologian and philosophical theologian – if there is no such distinction, and I’m not sure there is – perhaps there shouldn’t be, Colombo would say, the ‘philosophical’ in my ‘philosophical eschatology’ is totally otiose and anti-Griceian!” Insegna a Milano. Si è occupato di antropologia, metafisica e la filosofia italiana -- Rosmini, Martinetti, Volpe, ad Aosta. Altre opere: “Senzo e atto” (Studium, Roma). La morale communitaria (CUSL, Milano); “Pietra angolare: l’chiesa d’Inghilterra” (CUSL-Centro Toniolo, Milano-Verona); “Antropologia” (Massimo, Milano), “L’immanente e il trascendente”; “La correttezza del nome nel Cratilo – il nome corretto -- in  L’origine del linguaggio (Celestian Milani), Demetra, Verona; Il ri-ordino dei cicli scolastici, in "Quaderno di Iter", “Filosofia come soteriologia: L'avventura di Piero Martinetti (Vita e Pensiero, Milano); “Il giusto prezzo della felicità, -- reasonable or rational? -- Edizioni ISU-Università Cattolica, Milano); “Antropologia ed etica (EDUCatt, Milano).  Forme e modelli del pensiero filosofico. Introdurre alla   comprensione e  uso   dei   linguaggi e  degli    strumenti specifici della    metafisica, dell’antropologia, dell’etica;- all’acquisizione di abilità critiche e analitiche per comprendere le dinamiche del vissuto, della società e della storia contemporanea dell’uomo occidentale. Salute     e  salvezza dell’uomo. Il  senso    della    cura   e  dell’educazione. Una   sfida    per   la ragione e per la fede.Valutazione critica    del   rapporto metafisica-antropologia-soteriologia in  tre  momenti della storia dell’Occidente. Il mondo antico-classico greco-romano. Il mondo nuovo Cristiano. Il mondo moderno e post-moderno.BIBLIOGRAFIA G. coLomBo, I Greci e l’amore incerto: grandezza e aporia dell’eros platonico: il Simposio, ISU-Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, S.    kierkeGaard, La malattia mortale (qualsiasi edizione, purché    completa): ai  fini   della   prova    d’esameè richiesta la conoscenza della sola Prima parte: La malattia mortale è la disperazione;J.   p. SarTre, L’esistenzialismo è un umanismo, Armando, Roma, 2006 (o altra edizione, purché completa).DIDATTICA DEL CORSOLezioni in aula, ricerche e percorsi personalizzati.METODO DI VALUTAZIONEEsame orale finale, valutazione di eventuali elaborati scritti o relazioni orali. 75AVVERTENZEIl docente è a disposizione degli studenti per ogni chiarimento didattico e contenutistico, per l’assegnazione delle tesi di laurea e l’assistenza necessaria alla loro elaborazione.Il docente riceve durante il periodo di lezione presso lo studio universitario, martedì e giovedì h. 10.00-11.30. Pausania, do not multiply loves beyond necessity – l’ambiguita di ‘amore’ – L’Afrodita celeste no participa della natura femmina, solo della natura ‘maschile’.  Pausania parla solo a maschi, ai maschi virili, al maschio virile. L’amante o amatore e maschio virile, l’amato o l’innamorato e maschio virile. L’amore celeste (ouranios) participa solo della natura maschile. Criterio d’amabilita, l’amabile. Giuseppe Colombo. Keywords: atto, attualismo, actualism, actum, senzo, sensus, sense, morale communitaria, pietra angolare, Chiesa d’Inghilterra, Cratilo, origine del linguaggio, glossogenia, glossotesi, gossogenetic, semio-genesi, il soteriologico, immanente/trascendente, aporia dell’amore platonico, eikesia, ‘Daddy wouldn’t buy be a wow wow’ true iff Daddy wouldn’t buy me a bow wow – correctness of iconicity of ‘daddy’ and ‘bow wow’ --.  Heteroerotismo – Il discorso di Alcibiade – analisi del simposio, l’elogio dell’eros. Il discorso di Pausania. Ero demone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colombo” – The Swimming-Pool Library.

 

 

COLONNA (Roma). Filosofo. There is already an entry for this; in Italian it is ‘Egidio Colonna’ --  giles di roma, Rome, original name, a member of the order of the Hermits of St. Augustine, he studied arts at Augustinian house and theology at the varsity in Paris but was censured by the theology faculty and denied a license to teach as tutor. Owing to the intervention of Pope Honorius IV, he later returned from Italy to Paris to teach theology, was appointed general of his order, and became archbishop of Bourges. Colonna both defends and criticizes views of Aquinas. He held that essence and existence are really distinct in creatures, but described them as “things”; that prime matter cannot exist without some substantial form; and, early in his career, that an eternally created world is possible. He defended only one substantial form in composites, including man. Grice adds: “Colonna supported Pope Boniface VIII in his quarrel with Philip IV of Franc eand that was a bad choice.” The Latin is EGIDIVS COLUMNA. The “Corriere” has an article as his book being a bestseller of the Low Middle Ages!” Cosnisder the claims here: ‘essence and existence are really distinct in creatures – and each is a thing – prime matter cannot exist without substantial forml – eternal and created world is not a contradiction – there is only ONE substantial form in compostes, including man.   Grice: “Must say I LOVE Colonna, or COLVMNA as the printing goes – of course the “Corriere della Sera” hastens to add that he wassn’t one! In any case, my favourite of his tracts is of course the one on Aristotle!”. Egidio Romano, O.E.S.A. arcivescovo della Chiesa cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di un codice medievale). Incarichi ricopertiArcivescovo di Bourges   Nato Roma Nominato arcivescovo Roma   Manuale Egidio Romano, latinizzato come Ægidius Romanus. Dopo la sua morte, gli furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps. Discepolo d'Aquino. Insegna filosofia. Fu inoltre il tutore di Filippo il Bello al quale dedica il saggio “De regimine principum”, sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di governo. Considerato tra i più autorevoli filosofi di ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita intellettuale e politica in un contesto culturale ed istituzionale travagliato da frequenti ed aspre polemiche sul problema del rapporto tra potere temporale e potere spirituale. Generalmente ricordato, insieme al prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per il contributo nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam di Papa Bonifacio VIII e per il ruolo significativo che assunse il Maestro degli Eremitani di Sant'Agostino quale autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico famoso e autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In Colonna rileviamo subito una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico. Infatti è possibile rintracciare, fra le opere giovanili, il “De regimine principum”, saggio dedicato a Filippo il Bello e di ispirazione aristotelico-tomista inerente alla naturalità dello stato, erigendola a difensore della potestas regale. Nel “De Ecclesiastica potestate”, invece, afferma la superiorità del “sacerdotium” rispetto al “rex” o “regnum”, distinguendosi quale rappresentante della teocrazia papale. In seguito alle condanne di Tempier, difende la tesi d’Aquino, per la sua qualifica di Baccalaureus formatus, ma, proprio a causa delle condanne stesse, viene sospeso dall'insegnamento. Gli avversari del papato trovano in Aristotele gli strumenti per svolgere un'analisi politica che metta in discussione la sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno, tipicamente medioevale, di compenetrazione fra stato e chiesa, all'interno del quale Agostino viene a giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto teorico del suo “De Civitate Dei” conduce a confusioni inevitabili fra il piano spirituale della “Civitas Dei Caelestis” e il piano temporale della vita terrena che è “Civitas Peregrina”), che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma la superiorità del sacerdotium rispetto al rex e regnum, costituendo un vero e proprio “partito del Papa”. Rivendica la plenitudo potestatis come proprietà costitutiva dell'auctoritas del Papa in quanto “homo spiritualis”. Sostituisce al concetto agostiniano di “ecclesia” quello di “regnum” al fine di estendere gli ambiti del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano ecclesiastico, il Papa, dove esercitare la sua sovranità anche sul potere temporale al fine di garantire l'ordine mediante una forma di “dominium” che coincide con la sua stessa missione spirituale. Atre opere: L'edizione critica dell'opera omnia è stata intrapresa, per Olschki (Aegidii Romani opera omnia, collana Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), da Punta.  “Quaestio de gradibus formarum” Ottaviano Scoto, Boneto Locatello. “In secundum librum sententiarum quaestiones” Francesco Ziletti); Opere, Antonio Blado; “In libros De physico auditu Aristotelis commentaria”; Ottaviano Scoto; Boneto Locatello, “De materia coeli” Girolamo Duranti,  “Quodlibeta”. Silvia Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio Romano, “Le opere prima”; “I commenti aristotelici”, "Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale", Dizionario biografico degli italiani. DEL GOVERNO DI SÈ. Del sommo bene. Quale è la maniera di parlare nella scienza de're e de' principi. Quale è l'ordinanza delle cose che si debbono dire in questo libro. Come grande utilitate ei re e' principi ånno in udire e in intendere e in sapere questo libro. Quante maniere sono di vivare e come l'uomo die méttare il sovrano bene di questa mortal vita in queste maniere di vivere. Com'è grande utilità e a' re ed ai principi che ellino conoscano il loro fine e'l loro sovrano bene di questa vita mortale. I re ne i principi, non debbano mettere il loro sovrano bene in diletto corporale. I  re ne i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere ricchezze. I  re ne i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere onori. I re ne i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere gloria o gran rinomo di bontà. Nè i re né i principi non debbono méttare il loro sovrano bene in avere forza di gente. I re ne i principi debbono méttare el loro sovrano bene nelle uopere della prudenzia cioé del senno. Come ei re e' principi debbono méttare el loro sovrano bene nelle opere della prudenza e del. Il prezzo e'l guidardone dei re e dei principi bene governanti il loro popolo, secondo legge e ragione, è molto grande. senno. Della virtù. Quante potenze à l’anima e in quali potenze e la virtù di una buona opera. Come la virtù di una buona opera e divisa nella volontà e nell’intendimento dell'uomo. Quante virtù di buone opere sono, come l'uomo die préndare il numero di esse. Delle buone disposizioni che l'uomo à, alcune sono virtů , alcune sono più degne che virtù, alcune altre sono apparigliate a virtù. Alcune virtú sono più degne d'alcune altre e più principali. Che cosa è la virtù dell’uomo ch'è chiamato senno, over prudenza, over sapere. Ai re ed ai prenzi conviene es sere savi. Quanto e quali cose conviene ai re e ai prenzi avere acciò che ellino siano savi. Come și re e i prenzi possano fare loro medesimi savi. Quante maniere sono di drittura ed in che cosa è drittura e come drittura è divisata dalie altre virtú. Senza drittura e senza iustizia ei reami non possono durare, nè nulla signoria di città. I re e i prenzi debbono intendere diligentemente acciò che essi siano dirilturieri e che drittura sia guardata nelle loro terre. La forza di coraggio e . e quali cose ella die essere , e come ei re e i prenzi le. possono avere. Quante maniere sono di forza e secondo la quale ei re e i prenzi debbono essere forti. Che cosa è la virtù che l'uomo chiama temperanza e in quali cose quella virtù die essere, quante parti a la temperanza, come noi la potemo acquistare. Ched elli é più disconvenevole cosa che l’uomo sia distemperato in seguire LI DILETTI DEL CORPO che in essere paurioso. Il principe debbe essere temperato nel diletto di suo corpo. La virtù che l'uomo chiama larghezza e'n quale cose cotale virtù de' essere, e come noi la potemo acquistare. Che a pena può essere el re o'l prenze folle largo e come è troppo sconvenevole' cosa che essi sieno avari e ch'ellino debbono essere larghi e liberali. Che cosa è una virtù che l’uomo cjiama magnificenzia e'n quali cose quella virtù die essere, e come noi potemo avere quella virtù. Come è cosa isconvenevole che i re e i prenzi sieno di piccola dispesa e di poco affare, e che maggiormente s'avviene a loro essere di grande spese e di grande affare. Che condizioni à l'uomo che è di grande spesa e di grande affare, e che conviene maggior mente averle ai re ed ai prenzi. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama magnanimità, cioè a dire virtù di grand'animo e in quali cose quella virtù di essere e come noi potemo essere di gran cuore. Quante condizioni à l'uomo che è di gran cuore, e che maggiormente si conviene ai prenzi d'averle. Come ei re e i prenzi debbono amare onore , o quale è la virtù che l'uomo chiama virtù d'amare opore . 68 Cap. XXV. Ca insegna che amare onore ed èssare umile possono essere insieme e che quelli che è di gran cuore e di grande animo non può essere senza umiltà. Che cosa é umiltà de la quale il filosafo parla e in quali cose ella die essere e che maggiormente conviene ai re ed ai prenzi essere umili. Che cosa è la virtù che l'uomo chiama dibuonairetà , ed in che cose la buonairetà die essere e che conviene ai re ed a i prenzi essere dibonarie. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama piacevolezza, cioè di sapere CONVERSARE PIACEVOLMENTE e in che cose la detta virtù die essere e che si conviene che i re e i preozi sieno piacevoli. Che cosa è verità e in che cosa ella die essere usata e come si conviene al principe ch'esse sia veritiero o sincero. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama sollazzevole, quasi dica di sapere sollazzare, e di essere allegro e gioioso, là ' ve si conviene , e per la quale ' l'uomo si sa avvenevolmente rallegrare nei sollazzi, come ei re e i prenzi debbono essere allegri e sollazze voli. Conviene al principe avere tutte le virtù, perciò che perfettamente l’uomo non ne può avere una senza le altre. Quante maniere sono di buoni e adi malvagi uomini e quale maniera di bontà ei re e i prenzi debbono avere. Delle passione. Quanti movimenti d'animo sono e donde essi vengono. Quali movimenti d'animo sono principali che gli altri e come essi sono ordinate. Come il principe debbe amare e quali cose debbe amare. Come il principle debbe desiderare e che cosa debbe desiderare. Come ei re e i prenzi si debbono portare ayvenevolmente in isperare e in disperare. Come avvenevolmente ei re si debbono portare in avere ardimento. Che differenza elli à intra corruccio e odio, e come ei te e i prenzi si debbono avvene volmente contenere nei corrucci e ne le di bonarietà. Come ei re e i prenzi si deb bono ayvenevolmente avere nei diletti. Come alcuni movimenti d'animo sono mantenuti e ritornano ad alcuni altri movimenti. Ched ei movimenti dell'animo alcuni sono da biasmare ed alcuni sono da lodare e come ei re e i prenzi si debbono conferire nei movimenti detti dinanzi. Della costume. Quale costume e quale maniere de giovani uomini fanno da lodare, e come il principe debbe avere essa costume ed essa maniera. Quali costumi e quali maniere dei giovani uomini fanno da biasmare , e come ei.re e i prenzi debbono ischiſare cotali maniere e cotali co stumi. Quali costumi e quali maniere dei uomini fanno da biasmare , come ei re e i prenzi ei debbono ischifare. Quali costumi e quali maniere dei uomini fanno da lodare. Che costume e che maniera ha il gentile uomo, e come il principe debbe avere. Che costumi e che maniere anno l’uomo ricco e come ei re e i prenzi ei debbono. Che modi e che maniere ánno coloro che sono possenti ed anno signorie , e come li re e li principi si debbono avere in verso la gente convenevolmente. Avere. DEL GOVERNO DELLA FAMIGLIA. Della moglie. L'uomo die naturalmente vivare in compagnia, e che i re i prenzi il debbono sapere. Che, acciò che la casa sia perfetta, si vi conviene avere quattro maniere di persone, e come e' conviene questo secondo libro divisare in tre parti. Quella casa è perfetta ove v'à assembramento di un uomo e di una femmina, un figliuolo, e servi. L'uomo naturalmente si die ammogliare e che quelli che non vogliono vivare in matrimonio, o elli posono bestia, o ellino sono migliori che l’uomo. Ciascuno uomo e ciascuna femmina , e medesimamente ei re e i prenzi che sono ammogliati, si debbono tenere in matrimonio senza partirsi o senza divídarsi. A ciascun uomo die bastare una femmina, e che i re e i prenzi e ciascun altro uomo si die tenere appagato a una femmina. Un uomo die bastare a una femmina , e che una femmina si die chiamare contenta d'un uomo. L’uomo non die prendare moglie la quale sia troppo presso a lui di parentato o di lignaggio. Come le moglie dei re e dei prenzi e di ciascuno altro uomo debbono avere abbondanza di beni temporali. Come nè i re né i prenzi, nė cia scuno altro uomo non debbe chiėdare solamente ei beni temporali delle loro mogli ma anco ei beni del CORPO e quelli dell'anima, e ciò e il bello e il casto. L’uomo non die governare nė tenere la moglie nella maniera ch'elli die tenere e governare il suo figliuolo. L’uomo non die tenere nė governare la moglie nella manera che l'uomo die tenere e governare e fanti. Che elli non si conviene nė ai re nè ai prenzi ned a nessuno altro uomo, ch'ellino usino il matrimonio in troppo giovano tempo. L’uomo die piuttosto fare l'opera del matrimonio nel verno che nella state. Come alcune cose sono nelle femmine che sono da biasmare. Come ei re e i prenzi e ciascuno altro uomo die avvenevolmente governare e addrizzare la moglie. Come gli uomini si debbono portare con le loro mogli. Come la femmina maritata deb bono convenevolmente adornare il loro corpo. Né I re ne i prenzi , nė li altri uomini , non debbano essere troppo gelosi delle loro mogli. Che cosa è ' l consiglio della femmina , e che 'l suo consiglio l'uomo non die credere se non in alcun tempo. Com’l’uomo non debbe dire il suo secreto alla sua moglie. Dei figli. Il padre die essere curioso di guardare il suo figliuolo. Che ciò s'avviene maggiormente ai re ed ai prenzi, cioè ch'ellino sieno guardatori e curiosi dei loro figliuoli. Il padre governa il suo figliuolo per L’AMORE ch'elli à in lui. L’AMORE NATURALE il quale die essere da padre a figliuolo prova sufficientemente che il padre debbe governare i suo figliuolo e il figliuolo debbe ubbidire il padre. Nel quale dice che i re e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine insegnare la fede ai loro figliuoli. I re e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine insegnare ed appréndare ei buoni costumi e le buone maniere ai loro figliuoli. Il figliuolo del gentile uomo debbe apprendere le scienze della chericia, ciò sono, morali, naturali e matematice. Quale arte il figliuolo di un gentile uomini debbe apprendere. Quale die ėssare il tutore del figliuolo di un gentile uomo. Il padre die insegnare al suo fanciullo a parlare e a vedere ed a udire. In quante maniere l'uomo puó peccare in mangiare e come il garzone si debbe contenere. Come il padre die insegnare al suo fanciullo acciò che si sappiano portar avvenevolmente nel bere e ne' diletto della femmina. Come il garzone si debbe contenere nel diletto del corpo. Come in giovanezza l'uomo die schifare le malvagie compagnie. Che guardia l’uomo die avere de' figliuoli da che sono nati, insino a’ sette anni. Che guardia l'uomo die avere de' fanciulli da sette anni fino a quattordici. Che guardia l'uomo die avere del figliuolo da quattordici anni innanzi. Che il padre non die insegnare al figliuolo uno medesimo travaglio di corpo. Della casa e dei servi. L'uomo die diterminare e parlare delle cose donde la vita umana può esser sostenuta, volendo governare la sua famiglia e la sua casa. Il casino della villa del’uomo , die esser fatto sottilmente ed in buon áire. Il casamento dei re e dei prenzi , e di ciascuno altro uomo, die esser fatto in luogo dove abbia abbondanza di buona acqua e di chiara. Naturalmente l’uomo die avere possessione in alcun modo e che quellino che rifiutano le possessioni, non vivono come uomini, anzi sono migliori che uomo. Elli è grande utilità alla vita umana, che l'uomo possa vivare della sua propria ricchezza. Come l'uomo die usare dei beni temporali, e quale maniera di vivare è buona e onesta. Nel quale dice che ciascuno uomo, e medesimamente ei re ei prenzi, non debbono desiderare troppo grande abbondanza di ricchezze ne di possessioni. Quante maniere elli sono di vendere e di comperare e perchè ei denari fuoro prima mente fatti e trovati. L'usura è generalmente malvagia , e ch'ei re ed i prenzi la debbono difendare ch’ella non sia fatta nella loro terra. Nel quale dice ch’ei sono diverse maniere di guadagnare denari e che alcuna di queste maniere è avve nevole ai re ed ai prenzi. Alcuna gente è serva per natura e ch'elli è loro utilità ch'ellino sieno suggetti ad altrui. Nel quale dice che alcune genti che sono servi per natura e per legge. Nel quale dice ch’ellino sono alcune genti le quali sono serve per prezzo ed alcuna gente che servono per l’amore ch’elli ánno ai suo signore. L'uomo die dare gli ufici ai suoi fanti nelle case dei re e dei prenzi. Come ei re e i prenzi debbono provvedere ai loro sergenti robe e vestimento. Che cosa é cortesia e ched e' conviene ai fanti dei re e dei prenzi ched ellino sia cortese Nel quale dice come ei re e i prenzi si debbono contenere inverso ei loro sergenti. Che quelli che servono e quelli che mangiano alla tavola dei re e dei prenzi , e generalmente che il gentile uomo non debbe molto favellare. DEL GOVERNO CIVILE. Detti dei filosofi nel governamento delle città. Nel quale dice che la villa e ordinata e stabilita per alcuno bene. Fu grande utilità alla vita umana che colla comunità della villa e delle città , li uomini ordinassero la comunità del reame. Nel quale dice ceme Platone e Socrate dissero che l’uomo dovea ordinare e governare le città. Nel quale insegna che i re e i prenzi debbono sapere che tutte le cose non debbono essere COMUNE siccome Platone e Socrate dissero. Nel quale dice quanti mali avverrebbero se il figliouolo fusse comune. Nel quale dice come la possessione debbe essere proprie, e come debbono essere comuni, secondo l'utilità delle ville e delle città. I re ei prenzi non debbono sofferire che una medesima gente duri sempre in una medesima signoria. Nel quale dice che l'uomo non die cosi ordinare la città come Socrate disse, che dovieno essere ordinate. Come l'uomo può trarre a buono intendimento le parole che Socrate disse , al governa mento delle città. Come un filósafo , ch'ebbe nome Fal lea , disse, che l'uomo dovea ordinare le città. Le possessioni non debbono essere eguali, siccome disse Fallea. Come quelli che signoreggia alcuna città, elli die più principalmente intendare a cessare le malvagie volontà e i malvagi desideri e convoitigine, ched elli non die intendere a cessare la disuguaglianza delle possessiono. Nel quale dice, come un filósafo ch'ebbe nome Ippodamo , disse che l’uomo dovea ordinare le città. Nel quale dice quali cose sono da riprendare in quello che Ippodamo disse del governamento della comunità. Della migliore maniera di governare le città. Il quale insegna come l’uomo die governare le città in tempo di pace, e quante cose l’uomo die guardare in cotale governamento. Quante maniere sono di signorie e quali sono buone e quali sono rie. Ched o' val meglio che le città e ' rea mi sieno governati e retti per un solo uomo che per molti e che quest' è la migliore signoria che sia quando un solo uomo signoreggia ed elli intende il bene comune. Nel quale dice per quali ragioni alcuna gente volsero provare ched e’ valeva meglio che le terre e le città fossero governale per molti uomini che per un solo e dice in questo capitolo ciò che si die rispóndare a cotali ragioni. Ched e' val meglio che le terre e le signorie e' reami vadano per redità per successione DEL FIGLIOUOLO che per elezione. Nel quale dice quali sono le cose ne le quali il re die sormontare gli altri, e che diversità elli à intra'l re 'e'l tiranno. Nel quale dice che la signoria del tiranno è la peggiore signoria che sia e che i re ei prenzi si debbono molto guardare ch'ellino non sieno tiranni. Quale dia esser l'ufficio dei re e dei prenzi, e com’essi si debbono contenere in governare le loro città e i loro reami. Quali sono le cose che’ l buono re die fare , le quali il tiranno mostra di fare ma non le fa nèmica. Nel quale dice per quante cautele il tiranno si sforza di guardare sė ne la sua signoria. Ched elli è molto isconvenevole cosa ai re ed ai prenzi ched ellino sieno tiranni, perciò che tutte le malizie che sono nell’altre malvagie signorie, sono ne là signoria del tiranno. Nel quale dice che i re e i prenzi debbono molto ischifare la compagnia del tiranno, perciò che per molte cose ei soggetti aguaitano ed assaliscono il loro signore quand’elli é tiranno. Nel quale dice quali cose guardano e salvano la signoria del re e ched e'conviene fare al re sed e' si vuole guardare ne la sua signoria e nel suo reame. Quali cose fanno a consigliare e di quali l'uomo die avere consiglio. Nel quale dice che cosa è consiglio, e come l'uomo die fare ei consigli. Nel quale dice che consiglieri ei re e i preozi debbono avere ai loro consigli. Nel quale dice quante cose conviene sapere a quellino che consigliano ei re e i prenzi e in quali cose l’uomo die préndare consiglio. Nel quale dice che tutte le cose donde l’uomo giudica, l'uomo die giudicare secondo le leggi e che l’uomo die fare pochi giudicamenti e dare poche sentenze per arbitrio o per credenza. Nel quale dice come l’uomo dic fare ei giudicamenti: e ch’e giudici debbono vetare che li uomini che piateggiano non dicano parole dinanzi al giudice che’l possa muovere ad amore nè ad odio contra ad alcuna de le parti. Nel quale dice quante cose conviene avere a’giudicatori a ciò ch’ellino giudichino bene e drittamente. Nel quale dice quante e quali cose conviene riguardare al giudice, acciò ch’elli perdoni e sia più di buonarie che crudele. Nel quale dice ched e’ sono diverse maniere di leggi e diverse maniere di giustizia e che al dritto natu rale ed al diritto iscritto tutti gli altri dritti sono ridotti e ramenali. Quali debbono esser le leggi umane e ched elli fu grande utilità ai reami ed a le città a fare cotali leggi. Nel quale dice che ciascuno non die némica istabilire nė ordinare le leggi; e ched e' conviene che le leggi sieno publicate é fạtte sapere acciò ch’ell’abbiano forza d’obbligare le genti. Quante opere e quali le leggi ch'ei re e i prenzi istabiliscono ed ordinano, debbono contenere. Nel quale dice quale vale meglio o che le città o i reami sieno governati per un buono re o per una buona legge. Nel quale dice che co la legge naturale e co la legge iscritta e' conviene che l’uomo abbia la legge di Dio e la legge del Vangelo. Come l’uomo può, si die guardare le leggi del paese e ch'elli non è utile ch'elle si rimutino ispesso. Nel quale dice che cosa è città e che cosa è reame e chénte die essere il popolo ch’è ne le città e ne' reami. Nel quale dice che allora è la città e’l reame trasbuono e 'l popolo trasbuono, quand’elli v’à molte di mezzane persone. Nel quale dice ched elli é grande utilità al popolo di portare grande riverenza al prenze ed al signore e ched ellino guardino diligentemente le leggi che i re e i prenzi ánno ordinate. Come il popolo e generalmente tutti quelli che dimorano nel reame, si debbono mante nere saviamente , acciò che’l re o’l prenze non abbia corruccio nė odio contra loro. Come ei re ei prenzi si deb bono mantenere , acciò ch'ellino sieno amati e temuti dal lor popolo. Ed insegna questo capitolo che tutto debbiano ei re ei prenzi esser amati e temuti dal lor popolo, ellino debbono maggiormente volere essere amati che temuti. Del governo in tempo di guerra. Che cosa è cavalleria e da ch'ella é ordinate. Nel quale insegna in quale terra sono e’migliori combattieri e quali l’uomo die iscegliere per combattere dell’uomini che debbono andare a la battaglia. In quale tempo l'uomo die acco stumare il fanciullo all' opere dela battaglia e per quali segni l'uomo può conosciare ei migliori battaglieri. Nel quale insegna quante cose e quali e' conviene avere a' buoni battaglieri, acciò ch'ellino si combattano bene e giustamente. Nel quale insegna quali sono migliori battaglieri o i gentili uomini , oi villani , o quellino che nel campo dimorano, ciò sono ei lavoratori. Nel quale insegna ch’elli è grande utilità ai baltaglieri chedellino sieno bene esercitati all'arme; e che l’uomo die ei battallieri apprendare a correre ed a saltare ed andare ordinatamente. Nel quate insegna ched e’si conviene appréndare ai battaglieri molte altre cose che quelle che sono dette, cioè a córrare ed assaltare ed andare ordinatamente. Nel quale insegna che l’uomo die fare nell’oste fossati e castelli. Ed insegna questo capitolo come l’uomo die fare ei castelli e quante cose l’uomo die guardare in farli. Nel quale dice quante cose l’uomo die guardare quand’elli vuole o die imprèndare battaglia comune. Nel quale dice ch’elli è grande utilità ne le battaglie di portare bandiere e gonfaloni: e che l’uomo die ordinare capitano e maggiore a ciascuna ischiera. E so - nemici migliantemente questo capitolo insegna quali debbono essere e banderari e i capitani di quelli a piè e di quelli a cavallo. Nel quale dice che avvedimenti die avere e che die fare il signore dell’oste acciò che la sua gente non possa essere gravata dai nemici per la via. Nelquale dice come l’uomo die ordinare le schiere e le battaglie, quando l’uomo si die combattere contra I Nel quale insegna che l'uomo die ferire il suo nemico nello battaglia di puntone e non di ramata. Nel quale dice quante cose fanno gli avversari più forte che quelli dell’oste é come l’uomo die assalire ei suoi nemici. Nel quale insegna come ei battallieri si debbono tenere quando vogliono ferire ei loro nemici, e com’ellino ei debbono inchinare e come l'uomo si die trarre in drieto quando la battaglia non porta utilità. Nel quale insegna quante maniere ei sono di battaglie; e in quanti modi l’uomo può prendare le città e le castella ed in che tempo l’uomo le die assediare. Come quelli dell'oste si debbono fornire e come l'uomo può vénciare le castella per cava. Come per l’ingegni del legno che l'uomo può menare al muro del castello, l’uomo lo può prendare. Come l’uomo può e die edificare le castella acciò ch'elle non sieno leggermente prese ně come l'uomo può e die guérnire le castella acciò ch'elle non possano esser prese. Nel quale dice come quelli che sono nel castello assiso possono e debbonsi difendersi da la cava e dai tra bocchi e dalli altri ingegni che quellino dell'oste vi fanno. Come l'uomo die fare le navi, e come l'uomo si die combattere nell'acqua o nel mare, da che cosa tutte le battaglie debbono essere ordinate assediate. Che cosa è una virtù che l’uomo chia ma piacevolezza, cioè di sapere CONVERSARE piacevolmente con le genti, e in che cose la detta virtù die essere, e che si conviene che i re e i prenzi sieno piacevoli. Appresso ciò che noi avemo detto che cosa è debonarietà, noi diremo d’un'altra virtù, che l’uomo chiama piacevolezza. E dovemo sapere che le opere e le parole dell'uomo sono ordinate a tre cose, si come ad avere piacevolezza e verità, ed avere diletti e giuochi nei solazzi e nelle allegrezze. LA PRIMA RAGIONE: E la piacevolezza si è, in SAPERE BENE CONVERSARE, unde quelli che sa onorare e riverire gli uomini convene volmente e secondo ragione, si à la virtù della piacevolezza. La SECONDA ragione si è , che le opere e le parole dell’uomo sono ordinate sie a verità che, per le opere e per le parole dell'uomo può l'altro uomo conosciare chi egli è (“Conversation maketh the man”). Donde, verità non è altro se non che l'uomo non sia vantatore e che nè per parole nè per fatti elli non dimostri maggior cosa in lui che vi sia, nè che l'uomo non si faccia ispiacevole nè per parole nè per fatti oltre quello che ragione insegna, perchè elli sia gabbato ne dispregiato. La TERZA RAGIONE a che l'opere e le parole dell'uomo sono ordinate, si è, acciò che l'uomo sia sollazzevole convenevolmente, e si sappia bene portare nei giochi, e nelle allegrezze e nei sollazzi . Donde, se l'uomo vuole CONVENEVOMENTE CONVERSARE e' die essere giochevole e piace vole e veritiere. E di queste tre virtù noi diremo partitamente, ma prima diremo della piacevolezza. E dovemo sapere che, NEL CONVERSARE, alcuni si mostrano troppo piacevoli, si come sono e lusinghieri, e quelli che’n ogne cosa vogliono piacere altrui, che acciò che piacciano altrui, si lo dano tutti ei fatti è tutti ei detti di ciascuno uomo. E alcuni sono, che anno troppo gran difalta NEL CONVERSARE co le genti, si come sono ei malvagi e quellino che sono battaglieri, e tenzonieri; e questi fanno contra a ragione. Chè neuno die volere essere si piacevole nè si compagnevole, ch’elli ne do venti o ne sia lusinghieri, e piacere a tutti gli uomini, nė neuno die essere si pieno di contenzione e di noia, che li con venga cessare della compagnia delli uomini, ma quelli è da lodare che si sa mezzanamente portare e secondo ragione, nel CONVERSARE. Donde la virtù che l’uomo chiama piacevolezza cessa la contenzione dell'uomo e tempera il lusingare, e quello per lo quale l'uomo vuole a tutti gli uomini piacere. E perciò che l'uomo è per natura compagnevole, si come dice il filosafo, si conviene dare una virtù per la quale ne le parole e nei fatti sappia CONVERSARE COOPERATIVAMENTE E convenevolmente e secondo ragione. E questa virtù che l'uomo chiama piacevolezza, tutto sie cosa che, tutti quelli che vogliono essere piacevoli e vivare in cooperazione, compagnia ed in comunità con l’altro, conviene ch'elli abbiano, acciò che siamo cortesi e piacevoli, non perciò debbiamo essere si cortesi ne si piacevoli ad uno come un altro: chè la dritta ragione insegna, che, secondo la diversità dei due conversatori, l'uomo si die portare in maniera appropriata con l’altro. E perciò che troppa amistà e troppa gran compagnia mostrare ad ogni uomo fa l’uomo ispiacevole e vile; il gentile uomo si debbe più alteramente contenere che l’altro, acció che l'uomo lor porti più onore e più reverenza, e che la dignità de la loro grandezza non sia abbassata nè avvilata. Donde il filosafo dice che i re e i prenzi debbono mostrare ch’ellino sieno persone degne d’onore e di reverenza. Chè si come noi vedemo che alcuna vianda fuôra soperchio a uno infermo che non basterebbe ad uno sano, cosi è nell'essere piacevole e cortese, che alcuna piacevolezza s’aviene a’re secondo ragione, che non s’aviene cosi ad un’altra persona comune. L’Enciclopedia italiana cura l’edizione critica del “Il regime del principe”,  testimoniato da nove manoscritti, tra cui il codice della Biblioteca di Firenze (sig, che si distingue sia per motivi cronologici (nell’explicit reca la data) sia per la veste linguistica, in prevalenza senese, verosimilmente molto vicina a quella dell’originale, ciò che lo rende un documento di lingua privilegiato rispetto alle coeve attestazioni di varietà toscane non fiorentine tra fine Due- e inizio Trecento. L’opera discende dal “Il regime del principe”, composto da Colonna filosofo tra i più autorevoli della sua epoca, nato a Roma. Dedicato a un principe, di cui Colonna fu tutore e ispirato alla Retorica, la Etica, e la Politica di Aristotele, esuddiviso in tre libri concernenti la “morale», ossia l’etica (disciplina dell’individuo), l’oeconomia (della casa), e la politica (della città o reame o villa) - è il più corposo trattato basso-medievale sul regime del ‘gentile uomo’ ed ebbe non solo una straordinaria fortuna in Italia fino a tutto il XV secolo come elogio della cavalleria. Esercita una notevole influenza sul Convivio, sul “De vulgari eloquentia” e sulla “Monarchia” di Alighieri. “E lasciando lo figurato che di questo diverso processo dell’etadi tiene Virgilio nello Eneida, e lasciando stare quello che Egidio eremita [il filosofo appartenne all’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino ne dice nella prima parte dello Regime del Gentile Uomo. L’ampia Introduzione, oltre a tracciare il profilo biografico di Egidio illustrando contenuto, fonti e storia della ricezione del suo capolavoro, esamina nei dettagli il debito di Alighieri, la fortuna figurative o iconografica del trattato (l’affresco giottesco della Cappella degli Scrovegni di Padova, precisamente nella Virtù; l’Allegoria ed Effetti del Buono Governo realizzata da Lorenzetti a Siena, specie nella particolare raffigurazione della giustizia commutativa e la giustizia distributiva alla sinistra dell’affresco -- i rapporti tra il De regime e il Livre dou gouvernement (una drastica riduzione non sempre perspicua, di cui sono noti trentasei manoscritti) e tra questo e il Livro del governamento, la prima traduzione, pur parziale, di opere che solo successivamente furono volgarizzate nella loro interezza, ad opera di un anonimo senese, come avevano già ipotizzato, tra gli altri, Segre e Castellani. Inoltre si auspica - e intanto s’imposta in modo acuto e pregnante - un commento dedicato alle fonti del “Regime”, ormai indispensabile alla luce della ri-valutazione della filosofia nel vernacolare tra Medioevo e Rinascimento portata avanti dalla bibliografia più recente. Grazie infatti agli studi degli ultimi due decenni, siamo oggi più informati sui modi in cui la cultura vernacolare interagì con quella antica, bolognese, tradizionalmente ritenuta ‘più alta’, e sul diverso pubblico, dichiarato o reale, cui si indirizzava la trattatistica filosofica dei secoli dal XIII-XIV in avanti. Infine, si passano in rassegna le altre versioni del De regimine (quella senese è bensì la più antica, ma non l’unica: se ne conoscono almeno altre cinque).  Nella parte prima della Nota al testo si dà conto della tradizione manoscritta dei testimoni completi e dei testimoni parziali (descrizione esterna, descrizione interna, bibliografia), offrendo dati preziosi sulla tradizione a stampa del De regimine e sulle edizioni del Governamento. Nella parte seconda si indicano i criterî di edizione e gli usi del copista.  L’appendice prima alla Nota al testo raccoglie le aggiunte inter-lineari e marginali al Governamento del manoscrito fiorentino, mentre in una seconda appendice si riportano alcune annotazioni sulle relazioni fra i testimoni del Governamento. La prima e fondamentale caratteristica della tradizione è che tutti i mss. paiono al tempo stesso testimoni molto vicini tra loro tanto che è dimostrabile la presenza di un archetipo a monte della tradizione, ma non per questo facilmente classificabili nei loro rapporti reciproci, principalmente perché spesso contaminati dal ricorso alla versione nella lingua antica. Il secondo volume è interamente dedicato allo spoglio linguistico sistematico sull’intero testo, tendente per quanto possibile «all’esaustività delle allegazioni per ciascuna forma»: grafia, fonetica, morfologia, sintassi.  Chiudono il volume un ricco repertorio bibliografico e gl’indici onomastico, toponomastico, dei nomi e dei manoscritti. Grice: “Poor Ockham is known as Ockham – god knows, but he is not telling, what his surname was, if any! On the other hand, the rather pompous Romans have Egidio as a ‘Colonna,’ even if,  as the Treccani notes, ‘the links with the Roman family are unclear’!” -- Romano: Egidio Romano,  arcivescovo della Chiesa cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di un codice medievale). Template-Archbishop.svg   Incarichi ricopertiArcivescovo di Bourges   Nato tra il 1243 e il 1247, Roma Nominato arcivescovo25 aprile 1295 Deceduto22 dicembre 1316, Roma. Egidio Romano, latinizzato come Ægidius Romanus, indicato anche come Egidio Colonna (Roma), filosofo. Generale dell'Ordine di Sant'Agostino. Dopo la sua morte, gli furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps.   Fu discepolo di San Tommaso d'Aquino all'Parigi, dove più tardi insegnò, prima di diventare generale degli agostiniani e arcivescovo di Bourges (1295). Fu inoltre il precettore di Filippo il Bello per il quale scrisse il trattato De regimine principum, sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di governo.  --  è considerato tra i più autorevoli teologi di ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita intellettuale e politica in un contesto culturale ed istituzionale travagliato da frequenti ed aspre polemiche sul problema del rapporto tra potere temporale e potere spirituale. Questo filosofo è generalmente ricordato, insieme al prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per il contributo nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam del 1302 di Papa Bonifacio VIII e per il ruolo significativo che assunse il Maestro degli Eremitani di Sant'Agostino quale autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico famoso e autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In Egidio Romano rileviamo subito una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico; infatti è possibile rintracciare, fra le opere giovanili, il De regimine principum, opera scritta per Filippo il Bello e di ispirazione aristotelico-tomista inerente alla naturalità dello Stato, erigendola a difensore della potestas regale. Nel De Ecclesiastica potestate, invece, Egidio Romano afferma la superiorità del sacerdotium rispetto al regnum, distinguendosi quale rappresentante della teocrazia papale.  La riscoperta di Aristotele e l'agostinismo politico In seguito alle condanne di Étienne Tempier. Colonna difende la tesi di Tommaso, per la sua qualifica di Baccalaureus formatus, ma, proprio a causa delle condanne stesse, viene sospeso dall'insegnamento. In quegli anni, gli avversari del papato trovano nel pensiero di Aristotele gli strumenti per svolgere un'analisi politica che metta in discussione la sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno, tipicamente medioevale, di compenetrazione fra Stato e Chiesa, all'interno del quale Agostino viene a giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto teorico del suo De Civitate Dei conduce a confusioni inevitabili fra il piano spirituale della Civitas Dei Caelestis e il piano temporale della vita terrena che è Civitas Peregrina), che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma la superiorità del sacerdotium rispetto al regnum, costituendo un vero e proprio “partito del Papa”.  Egidio rivendica la Plenitudo potestatis come proprietà costitutiva dell'auctoritas del Papa in quanto homo spiritualis. Egidio sostituisce al concetto agostiniano di ecclesia, quello di regnum al fine di estendere gli ambiti del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano ecclesiastico (il Papa) dovrebbe esercitare la sua sovranità anche sul potere temporale al fine di garantire l'ordine mediante una forma di dominium che coincida con la sua stessa missione spirituale.  Opere:Frontespizio delle In secundum librum sententiarum quaestiones L'edizione critica dell'opera omnia è stata intrapresa, per Leo S. Olschki, (Aegidii Romani opera omnia, collana Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), dal gruppo di ricerca di Francesco Del Punta.   Quaestio de gradibus formarum, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502.  In secundum librum sententiarum quaestiones,  1, Francesco Ziletti, 1581.  In secundum librum sententiarum quaestiones,  2, Francesco Ziletti, Opere, Antonio Blado, In libros De physico auditu Aristotelis commentaria, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502.  De materia coeli, Girolamo Duranti, Quodlibeta, Domenico de Lapi. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 3 dicembre . Roberto Lambertini, Giles of Rome, in Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Stanford, .  Charles F. Briggs e Peter S. Eardley , A Companion to Giles of Rome, Leiden, Brill, . Silvia Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio Romano: I. Le opere prima: I commenti aristotelici. "Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale", Gian Carlo Garfagnini, Egidio Romano, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Francesco Del Punta-S. Donati-C. Luna, Egidio Romano, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filippo Cancelli, Egidio Romano, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Papa Bonifacio VIII Teocrazia Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Egidio Romano Collabora a Wikiquote Citazionio su Egidio Romano Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Egidio Romano  Egidio Romano, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Mariani, Egidio Romano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Egidio Romano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. su ALCUIN, Ratisbona.  Opere di Egidio Romano, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. su Egidio Romano, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Egidio Romano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Egidio Romano, in Catholic Hierarchy. Roberto Lambertini, Giles of Rome, in Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Stanford. Biografia a cura dell'associazione storico-culturale S. Agostino, su cassiciaco. Predecessore Arcivescovo metropolita di BourgesSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Simone di Beaulie u25 aprile 1295 22 dicembre 1316 Raynaud de La Porte. Egidio Romano. Egidio Colonna. Keywords: conversazione cortese, conversazione gentile, padre/figlio, amore naturale, principe, cavalleria, cavaliere, cavalier attitude, cavalier implicature.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colonna” – The Swimming-Pool Library.

 

COLONNELLO (Benevento). Filosofo. Grice: “I like Colonnello; as a typical Italian philosopher, he has philosophised about ‘all,’ from, first, of course, Croce, to the ‘tedesci’! – But also about ‘guilt,’ and my favourite, the ‘transcendentale,’ which in Italian, for lack of ‘n’ becomes ‘trascendentale’ – how many? Colonnello thinks more than one, if the plural is of any guide!”  Insegna a Callabria. Privilegia l'arco tra criticismo trascendentale e fenomenologia, esistenza, ermeneutica di Pareyson, storicismo di Croce, Nicol, Dussel. La sua proposta è verificare l'interazione, in chiave storico-critica, del kantismo, della fenomenologia e la filosofia dell'esistenza.  Altre opere: “Esistenzialismo kantiano” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Croce e i vociani” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Tempo e necessità” (Japadre, L'Aquila-Roma); “Tra fenomenologia e filosofia dell'esistenza” (Morano, Napoli); “Ermeneutica esistenzialista del concetto di ‘colpa” (Loffredo, Napoli); “Percorsi di confine: esistenza e libertà” (Luciano, Napoli); Croce (Bibliopolis, Napoli); “Ragione e rivelazione” (Borla, Roma); “Melanconia ed esistenza” (Luciano, Napoli); “Storia esistenza liberta. Rileggendo Croce, Armando, Roma);  Martin Heidegger e Hannah Arendt, Guida, Napoli); “Orizzonte del trascendente e dell’immanente, Mimesis, Milano); “Inter-soggettivita riflessiva” L’itinerario dei corpi” (Mimesis, Milano).  Corpo, mondo, Fenomenologia (Mimesis, Milano); Fenomenologia e patografia del ricordo, Mimesis, Milano-Udine). Grice: “I used ‘body’ informally in my ‘Personal identity’, where I suggested, that “I fell down the stairs” could be replaced by “MY body fell down the stairs” – there is yet an essential indexical. Different if two wrestlers unison say, ‘Both our bodies are oiled” – where again the dual “both our” is used. We have not the second person but the FIRST PERSON dual. “Our bodies” “Both our bodies”. Pio Colonnello. Keywords: rivista La Voce, Croce e i vociani, patografia, German for ‘body’ Lieb, cognate with ‘life’ so that ‘Das Leib ohne Leben’ would be odd. The Anglo-Normans solved the problem with ‘corpse’, corpus, vita, corpore, vita, vivere, German ‘leben’, ‘live’ meaning with ‘remain’, creature construction, thing, living thing, living body, personal human living being. Bodily movement. Method in philosophical psychology, manifestation in behaviour, bodily behaviour, brain state, different from bodily movement --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colonnello” – The Swimming-Pool Library.

 

COLORNI:(Milano). Filosofo. Grice: “To understand the passion in Italian philosophy, as the passion I experienced with Austin in the postwar and with Hardie on the golfcourse in the good old days, one has to understand Colorni – he was a socialist, and thus an empiriociritic! He found opposition in the Gentileians. Oddly, Colroni’s main interest is the ‘monad,’ but he also explored what we would at Oxford call ‘science’ – rather than philosophy. Lay the blame on his tutor at Milano!”. Promotore del federalismo europeo. Mentre era confinato a Ventotene, su saggio, “Manifesto per un’Europa libera e unita”. Figlio di Alberto Colorni, di Mantova, e Clara Pontecorvo, milanese di famiglia pisana (zia di Pontecorvo, del regista Gillo, del genetista Guido e del giurista Tullio Ascarelli).  Studia al ginnasio di Milano. Si appassiona al Breviario di estetica di Croce. La sua formazione adolescenziale, come raccontò egli stesso nella “Malattia filosofica”, fu influenzata dal rapporto intrattenuto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, tutti più grandi di lui. Fu Enzo, che era un convinto socialista  ad esercitare su di lui una forte influenza ideale. Studia sotto Borgese e Martinetti. Si laurea sotto Martinetti con “Il concetto di individuo”. Strinse amicizia con Guido Piovene, che però verrà interrotta per via di certi articoli anti-semitici scritti da Piovene su L'Ambrosiano. Partecipa nel gruppo goliardico  per la libertà di Basso e Morandi. Saggio sull'estetica di Roberto Ardigò. Si accosta alla divisione milanese del “Giustizia e Libertà”. Collabora in seguito col nucleo giellista torinese, che fece capo prima a Ginzburg e poi a Foa.  Incontra Croce, con il quale conversa a lungo.  Saggi per Il Convegno, La Cultura, Civiltà Moderna, Solaria e la Rivista di filosofia di Martinetti, e presso la società editrice "La Cultura" di Milano, uno studio critico su L'estetica di Croce.  Saggio sulla monada e la diada, vinse il concorso per l'insegnamento di storia e filosofia nei licei. Dopo una prima assegnazione al liceo Grattoni di Voghera, ottenne la cattedra di filosofia a Trieste. Qui conobbe e frequentò, fra gli altri, Saba (ritratto poi in Un poeta) ed anche Gambini, Pincherle ed Curiel.  Nella collana scolastica che Giovanni Gentile diresse per Sansoni, pubblica “Diadologia”. La diadologia lo costrinse ad affrontare studi di logica e semantica. Riparte da Kant e dalla problematica kantiana, e medita sulle conseguenze che la fisica quantica e la psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche tradizionali. Quando, come si legge in Un poeta,Saba gli domanderà, ‘Perché fa filosofia?’, Colorni concluse che da quel giorno, ‘io non faccio più filosofia’. Non e la filosofia che rifiuta, ma un orientamento legato a quell'idealismo di cui erano seguaci Croce come Gentile e Martinetti. In occasione di un congresso di filosofia a Parigi, incontra Rosselli eTasca. In quanto ebreo e rinchiuso a Varese. I giornali pubblicarono la notizia con gran risalto, sottolineando che egli “di razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in Italia e all'estero”.  La sottolineatura sul “complotto ebraico” serviva a giustificare la legislazione anti-semita appena varata in Italia dal regime, per potersi così allineare alla linea politica seguita dagli alleati nazisti. Confinato a Ventotene, dove prosegue i suoi studi filosofici, e conversa intensamente con gli altri compagni confinati, Rossi, Doria e Spinelli. Un'eco fedele di quelle discussioni si ritrova in “Conversazioni di Commodo”. Risale a questo periodo la sua adesione alle idee federaliste europee, stesurando il Manifesto per un’Europa libera e unita. Saggio: Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il Manifesto ed altri scritti sul tema. Nella sua "Prefazione" al Manifesto, auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro “universalista”, come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe della guerra. In tale ottica, la creazione di una federazione di stati europei era da lui considerata come condizione indispensabile per un profondo rinnovamento sociale, anche per iniziativa popolare, che partendo dagli enti territoriali avrebbe coinvolto tutta l’Italia e, quindi, l’intera Europa.  Circa le dinamiche che portarono alla stesura del Manifesto, è generalmente ricondotto ai soli Spinelli e Rossi il contributo maggioritario del testo, sebbene, alcuni recenti studi storiografici, abbiano seriamente rivalutato il suo ruolo. Di trinità si tratta, e lo spirito santo della situazione è lui, che partecipa alle discussioni preparatorie alla stesura del Manifesto assieme a poche altre persone, ed ebbe una parte di rilievo, soprattutto nella funzione di stimolo e di critica, dal suo punto di vista di socialista autonomista, verso i due autori del documento, fino al suo trasferimento a Melfi, benché comunque i contatti non cessassero del tutto. Grazie anche all'intervento di Gentile, riusce ad essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante lo stretto controllo della polizia, riusce ad avere contatti con alcuni degli anti-fascisti locali.  Assieme con Geymonat, elabora il progetto di una rivista di metodologia scientifica.  Riuscì a fuggire da Melfi, rifugiandosi a Roma, dove visse da latitante.  Dopo la capitolazione di Mussolini si dedica all'organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nato dalla fusione del PSI col gruppo del Movimento di Unità Proletaria.  Partecipò, assieme a Spinelli, Rossi, Doria, Braccialarghe e Foa, in casa di Rollier a Milano, alla riunione che diede vita al Movimento Federalista Europeo. Il movimento adottò come proprio programma il "Manifesto di Ventotene". Svolse nella capitale un'intensissima attività nelle file della Resistenza. Prese parte alla direzione del PSIUP e s'impegna a fondo nella ricostruzione della Federazione Socialista Italiana e nella formazione partigiana della prima brigata Matteotti.  “Io ero da poco stato nominato segretario della Federazione Socialista per suggerimento e per decisione di Pertini, che era membro della segreteria del partito in quell'epoca. Avevamo organizzato una chiamiamola brigata, anche se era un gruppo armato che era comandato da Colorni che poi è  assassinata alla vigilia della liberazione di Roma. Fu redattore capo dell'Avanti! Clandestine. Così Pertini ricorda il suo impegno per la stampa del giornale socialista:  «Ricordare l'Avanti! clandestino di Roma vuol dire ricordare prima di tutto due nostri compagni che a forte ingegno unevano una fede purissima, entrambi caduti sotto il piombo fascista: Colorni e Fioretti. Ricordo come Colorni, mio indimenticabile fratello d'elezione, si prodiga per far sì che l'Avanti! uscisse regolarmente. Egli in persona, correndo rischi di ogni sorta, non solo scrive gli articoli principali, ma ne cura la stampa e la distribuzione, aiutato in questo da Fioretti, anima ardente e generoso apostolo del socialismo. A questo compito cui si sente particolarmente portato per la preparazione e la capacità della sua mente, Colorni dedica tutto se stesso, senza tuttavia tralasciare anche i più modesti incarichi nell'organizzazione politica e militare del nostro partito. Amava profondamente il giornale e sogna di dirigerne la redazione nostra a Liberazione avvenuta e se non fosse stato strappato dalla ferocia fascista, sarebbe stato il primo redattore capo dell'Avanti! in Roma liberata e oggi ne sarebbe il suo direttore, sorretto in questo suo compito non solo dal suo forte ingegno e dalla sua vasta cultura filosofica, ma anche dalla sua profonda onestà e da quel senso del giusto che ha sempre guidato le sue azioni. Per opera sua e di Fioretti, l'Avanti! era tra i giornali clandestini quello che aveva più mordente e che sapeva porre con più chiarezza i problemi riguardanti le masse lavoratrici. La sua pubblicazione veniva attesa con ansia e non solo da noi, ma da molti appartenenti ad altri partiti, i quali nell'Avanti! vedevano meglio interpretati i loro interessi. Nella Roma occupata dalle forze naziste, in una tipografia nascosta di Monte Mario, fece stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine intitolato Problemi della Federazione Europea, contenente il "Manifesto di Ventotene".  Il 28 maggio del 1944, pochi giorni prima della liberazione della capitale, venne fermato in via Livorno da una pattuglia di militi fascisti della famigerata banda Koch. Tenta di fuggire, ma fu raggiunto e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale San Giovanni, muore sotto l’identità di ‘Franco Tanzi’. Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell'impari gloriosa lotta. Tre lapidi esistenti, una, posta nel 1982 dalla III Circoscrizione del Comune di Roma è semilleggibile perché scurita dal tempo, un'altra, posta nel 1978 dal Partito Socialista Italiano, è spaccata in due e un'ultima, posta nel 2004 sempre dalla III Circoscrizione del Comune di Roma, contiene un errore.  Foto delle tre lapidi.  Altre opere: “Scritti, Norberto Bobbio, la Nuova Italia, Firenze); “Il coraggio dell'innocenza, Luca Meldolesi, La Città del Sole (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Napoli); “Un poeta” (Il Melangolo, Genova); “La malattia della metafisica” (Einaudi, Torino). Dizionario Biografico degli Italiani. L'itinerario politico di Eugenio Colorni, in Id., Il socialismo riformista tra politica e cultura, Il socialismo federalista di Eugenio Colorni, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, Anno Accademico, Gaetano Arfé, Eugenio Colorni, l'antifascista, l'europeista, in , Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché vivono, Franco Angeli, Milano, Sandro Gerbi, Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio Colorni, Einaudi, Torino e Hoepli, Milano, . Geri Cerchiai, L'itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di Storia della Filosofia», Stefano Miccolis, Colorni e Croce”. Talvolta non si distingue debitamente fra l’emergere originario di un testo nell’opera di un filosofo e il suo riemergere, o diffondersi, in altri tempi o contesti. In tal modo, proprio la tragedia del Novecento ha spostato spesso, rispetto alla composizione, la diffusione di scritti intrisi di attualità. Poche volte, come nel Novecento, è stato così vistoso il fenomeno delle letture differite. Ora, e al di là della nota di polemica che affiora da un montaggio tendenzioso fino al limite delle falsificazione – questo è quanto è all’incirca avvenuto per Colorni: scoperti (o riscoperti), dopo la morte dell’autore, in quel particolare contesto del quale si sono nutrite le due stesse riviste, “Analisi” e “Sigma” – che, insieme con «Aretusa», li hanno per prime pubblicati, a tale contesto sono rimasti giocoforza legati, venendo così ad essere proiettati all’interno di una tradizione e di un dialogo almeno parzialmente diverso dal loro, condotto in un altro linguaggio. Si è parlato, a proposito di tale linguaggio, dello spirito del ’45, e sovente si è visto in esso, da parte degli stessi animatori, una vera e propria prosecuzione, in campo culturale, delle istanze portate avanti dalla Liberazione. Alla “dittatura dell’idealismo”– il cui [Razionalismo e prassi a Milano: La cultura milanese vive profondamente quello “spirito del ’45” fatto anche di semplificazione e di attivismo, di fiducia ingenua nell’anno zero, nella svolta politico-sociale in corso, ma soprattutto di un nesso inscindibile con la liberazione e la Resistenza. La dittatura dell’idealismo è il titolo dato da Cantoni ad un articolo apparso sul Politecnico di Vittorini. Espressione di un comune sfondo sociale e di una comune struttura economica, le filosofie di Croce e Gentile si sarebbero unite, nella prospettiva di Cantoni, in una sorta di convergenza sociologica con il regime, riuscendo così a rimediare una posizione di singolare monopolio per la cultura idealista. Certamente, e una grossolanità speculativa e un errore storico identificare il destini del fascismo col destino dell’idealismo, anche se questa identificazione di fatto si verifica nella persona del maggior rappresentante filosofico dell’idealismo italiano, Gentile. In realtà, molti idealisti, dal Croce al De Ruggiero, staccarono, prima o dopo, le loro sorti da quelle del regime. Eppure, al di sotto della dichiarata e sincera avversione, un filo, inconscio spesso ma tenace, lega tra loro gli avversari e ne permetteva una, sia pure scomoda, convivenza. Questo filo era costituito dal loro comune, e inconfessato carattere *conservatore*. Lo spiritualismo idealista agì come una dittatura logica. Avendo in mano cattedre e riviste, gli idealisti facevano il bello e il cattivo tempo nella filosofia, facendo decadere al piano della non-filosofia gli avversari positivisti ed logico-empiristi. Alcune opinioni sul crocianesimo che, oltre ad essere meno drastiche, risultano per certi aspetti accostabili ad analoghi spunti della critica colorniana. Vale la pena di rimettersi a una revisione intelligente dell'idealismo italiano, rimanendo idealisti] filosofia viene assimilata alla sorte del regime – si è così tentato di opporre una filosofia più aperta al dibattito contemporaneo ed internazionale, fosse esso identificabile con le correnti fenomenologico-esistenziali o con quelle più strettamente epistemologiche ispirate al positivismo o empirismo logico del Circolo di Vienna. Quest’ultimo, d’altro canto, viene in Italia presentato da Geymonat con parole quanto mai indicative del clima che ne accoglieva i principi. L’indirizzo filosofico, che qui viene esposto difeso e sviluppato è e vuole essere un vero e proprio razionalismo, sebbene non attribuisca alla ragione un valore assoluto e dogmatico come gli antichi indirizzi che vantano il medesimo nome. Gli è che il razionalismo deve essere ben più agguerrito e penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli passati. Deve essere: critico, ossia capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la pura ragione dalla filosofia mistica e decadente; costruttivo, cioè in grado di soddisfare le esigenze di ri-costruzione e di logicità caratteristiche della nuova epoca; aperto, cioè capace di affrontare i problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi pongono innanzi allo spirito umano. Gli Studi per un nuovo razionalismo, che raccoglievano le ricerche di un intero ventennio (il testo più datato, Le idee direttive del neo-empirismo, era stato pubblica Ciò che si può apprezzare in Croce, da questo punto di vista, è il suo tentativo di sciogliere il pensiero dai legami colla filosofia metafisica per avvicinarsi a una filosofia intesa come chiarificazione dell’esperienza, intesa cioè come trapasso dalla metafisica alla metodologia. Croce si sarebbe in tal modo inserito nella corrente più viva della filosofia, non riuscendo tuttavia (e in questo consisterebbe il suo maggior limite) a rompere completamente i ponti con la metafisica specuativa. Croce non ha quindi tanto combattuto la metafisica speculativa quanto sostituito alla metafisica trascendente la metafisica immanente. Per una ricostruzione più esaustiva delle diverse posizioni di Cantoni su Croce, si rimanda a R. Franchini, Remo Cantoni critico di Croce, in C. Montaleone e C. Sini (a cura di), Remo Cantoni, filosofia a misura della vita, Milano, Guerini, Cfr. N. Bobbio, Introduzione, in E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova Italia. Tra il 1930 e il 1940 avviene la crisi dell’idealismo, cui segue la ricerca di nuove vie, proprio ad opera della generazione di Colorni. […] le vie battute per uscire dalla crisi sono soprattutto due: quella che passa attraverso una riflessione sulle trasformazioni avvenute in seno al sapere scientifico e che dà origine a una filosofia scientifica, risolutamente anti-metafisica, qual è il positivismo logico, cui aprono la strada gli studi di Ludovico Geymonat; e quella che passa attraverso l’esistenzialismo (Abbagnano, il primo Luporini)». 7 L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, Torino, Chiantore. Come ha fatto notare Mario Dal Pra, e a conferma di quanto si scriveva di sopra, l’accostamento in questo passaggio dei termini “ricostruzione” e “logicità” sembra diretto a far pensare che «l’avversione alla metafisica del neoempirismo e l’avversione alla dittatura fascista da parte del movimento di liberazione abbiano per Geymonat una comune radice» (M. Dal Pra, Il razionalismo critico, in A. Bausola, G. Bedeschi et al., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari, Laterza. Geri Cerchiai 4 to per la prima volta nel 1935 con il titolo Nuovi indirizzi della filosofia austriaca), fu significativamente fatto uscire, nel 1945, con la medesima data di stampa del giorno della Liberazione di Milano; e in quello stesso mese di aprile apparve il primo numero della rivista «Analisi» che, come si è accennato, contribuì fra le prime, con la pubblicazione del frammento intitolato Filosofia e scienza, alla diffusione dell’epistemologia colorniana9 . Ed è proprio da una lettura di «Analisi» e «Sigma» che è possibile sommariamente inquadrare il contorno di quel periodo storico al quale si deve la prima scoperta dell’epistemologia colorniana. Voluta da Giuseppe Fachini, «Analisi» fu stampata per cinque numeri fino al 1947, mutando il nome, nel corso delle pubblicazioni, in quello di «Analysis». L’«esperienza personale che io avevo fatto», racconta Fachini circa la nascita della rivista, mi aveva convinto della necessità di una piattaforma di incontro interdisciplinare. Allora in Italia mancava qualcosa di simile. La guerra spezzò agli inizi i miei tentativi. Gli eventi bellico-politici stessi, per conto loro, mi portarono […] a profonda solidarietà mentale con Livio Gratton. Nacque così l’idea di «Analysis»: con ambizioni editoriali infantilmente dissonanti col momento. Trovammo poi nel Buzzati-Traverso un biologo “fisicalista” […] ma aperto ad ogni esperienza. Tra i “filosofi” professionali (a formazione cioè tradizionalmente filosofico-letteraria) il Banfi, cui mi ero rivolto, mi indicò l’allievo suo Giulio Preti, come fornito di interessi e preparazione fisico-matematica, allora rara nel “filosofo”. Per inciso, ricordo i miei contatti con un altro giovane “filosofo” con preparazione e interessi analoghi: Eugenio Colorni10 . I temi portati avanti dalla rivista furono sostanzialmente due: l’interesse per la metodologia delle scienze – attraverso la quale indagare la possibilità di un fondamento comune alle diverse discipline – e la volontà di mantenersi all’interno di un’impostazione strettamente antimetafisica11. La collaborazione fra 8 In «Rivista di filosofia». Cfr. E. Colorni, Filosofia e scienza, in «Analisi». D’ora innanzi si indicheranno gli scritti raccolti in questa edizione col solo titolo seguito dal numero di pagina. Di «Analisi» e «Sigma», con specifico riferimento alla figura di Eugenio Colorni, si è occupato M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni nelle riviste del secondo dopoguerra. Gli scritti sulla relatività, in G. Cerchiai e G. Rota (a cura di), Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le due guerre, Manduria-Bari-Roma, Lacaita. “Analysis”: trent’anni dopo, testimonianza di Giuseppe Fachini, in Analisi. Milano, riletta da M. Quaranta, con testimonianze di G. Fachini, S. Ceccato, L. Geymonat, L. Gratton, E. Poli, Bologna, Arnaldo Forni Editore. Aggiunge Fachini, a proposito della sua formazione, che l’«impulso a uno sforzo collettivo interdisciplinare era sorto in me dai primi contatti con l’ambiente mentale del neopositivismo logico», ma che la «soluzione neopositivista, verso cui ero in un primo tempo quasi costretto, mi si rivelò presto insoddisfacente per l’irrigidimento formale, verso cui stava avviandosi. Il «periodico», si affermava nel Programma pubblicato sul primo numero, era «inteso ad offrire un luogo di libera discussione a quanti abbiano interesse ai problemi di metodologia e di critica della scienza, nello sforzo di purificare ed universalizzare il linguaggio  Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 5 scienziati e filosofi fu uno degli aspetti qualificanti della pubblicazione, ma fu anche d’impedimento ad un’armonica composizione delle sue diverse anime, concorrendo in definitiva alla conclusione dell’esperienza: «L’incontro con i fondatori e la rivista», racconta a questo proposito Silvio Ceccato, avvenne per chiamata gentile. Io mi trovavo in parabola neo-positivistica o logico-empiristica discendente. Il filone che cominciava ad interessarmi era ormai piuttosto quello di P.W. Bridgman e di H. Dingler, comunque un filone operativo. Questo difficilmente avrebbe permesso una intesa con i due filosofi del gruppo, L. Geymonat e G. Preti. Una collisione non poteva tardare anche con il più aperto filosofo ufficiale, Antonio Banfi, più storico, più umanista. Un certo divario di lavoro si venne a creare anche con gli scienziati in quanto per lo scienziato di discipline assestate e floride, come la fisica, la biologia, l’anatomo-fisiologia, etc., la metodologia si può aggiungere come ornamento, come divertimento. Ma non per me. Così terminate le pubblicazioni di «Analisi», la sua eredità venne raccolta, in quello stesso 1947, dalla rivista romana «Sigma», fondata da Vittorio Somenzi e Giuseppe Vaccarino13. Il periodico – che riportava il sottotitolo di «Conoscenza unitaria» – si proponeva di riunire, come si legge nella seconda di copertina, «una limitata quantità di elementi atti a determinare una concezione unica della conoscenza». La nota di presentazione della rivista precisava poi i confini all’interno dei quali si intendevano muovere i curatori: «si va facendo evidente che esaurire la scienza nel tecnicismo dello specialista è dannoso – non solo ai fini della costituzione di un sistema unitario della conoscenza scientifica, ma anche nei riguardi degli stessi progressi tecnici nei singoli settori»14. Da qui specialistico verso una comune impostazione dei modi fondamentali, pur essi comuni, con cui si edifica e modifica il sapere scientifico». Unico limite, in tal senso, era quello di non «travalicare di là dalla metodologia in una sistematica della scienza [per] fare della metafisica insaputa e inutile» (Il programma, in «Analisi»). 12 “Analysis”: trent’anni dopo, testimonianza di S. Ceccato, in Analisi. Milano 1945. In una lettera a Giuseppe Vaccarino del 3 maggio 1947, Vittorio Somenzi rilegge la storia di «Sigma» con le parole seguenti: «La rivista è nata con la modesta intenzione di pubblicare il vecchio materiale tuo, di Colorni e Cotone, mio. E di esaurirlo coi primi numeri. Poi si è visto che, se non altro dato il costo della carta e stampa, conveniva pubblicare un tentativo di sintesi organica, sia pure provvisoria, del tuo – e limitare quello dei due C. e mio a ciò che poteva avere ancora interesse dal punto di vista filosofico. Infine è sorta l’idea, con la crisi di Analisi, di prenderne il posto con il programma serio di Metodo. Già l’impostazione dei primi due numeri ci alienerà le simpatie dei Castelli, Blanc, Fantappié ecc., ma anche dei Filiasi e Geymonat (l’interessamento di quest’ultimo è condizionato alla possibilità di una nostra conversione al materialismo dialettico/razionalista tipo “La Pensée”). Attualmente spero solo nei Servadio e magari Spirito, Savinio e stop» (“Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 4, Collaborazione con Giuseppe Vaccarino, b. 1, Vaccarino, 1943-1948. Da ora in avanti, il Fondo sarà abbreviato con la sigla FS, seguita dall’indicazione dei riferimenti completi d’inventario). 14 La conoscenza unitaria, in «Sigma». Scriveva Giuseppe Vaccarino a Vittorio Somenzi il 14 ottobre 1946 riguardo a questa nota: «Rileggendo la tua edizione riveduta della Conoscenza unitaria penso che possa andare come presentazione anonima, specie se sarà da  Geri Cerchiai 6 avrebbe anche dovuto discendere il ruolo della ricerca metodologica, che – comprendendo un discorso più largamente critico-filosofico – avrebbe dovuto fissare le norme dirette ad unificare in sistema le scienze particolari o la conoscenza in genere. Come «Analisi», anche «Sigma» ebbe però vita breve, e dopo sei numeri una nota editoriale ne annunciava la confluenza nella rivista «Methodos». Questo fu dunque lo sfondo culturale che vide nascere l’interesse per la filosofia colorniana, un interesse che, attraverso la pubblicazione di alcuni testi del filosofo milanese, richiamava alla ricostruzione della filosofia empiristica italiana (come la proposta del ebraico-britannico Ayer a Oxford) come tradizione anti-metafisica e anti-idealistica e capace di attuare un profondo rinnovamento negli orientamenti teoretici nazionali. D’altra parte, che il pensiero di Colorni fosse in certa misura vicino alle posizioni espresse da «Analisi» e «Sigma» è testimoniato, oltre che dalle singole scelte di politica editoriale delle due riviste, da quanto raccontato dagli stessi protagonisti: «Ricordo con precisione», ha scritto ad esempio Fachini sul secondo numero di «Analisi», le conversazioni di quell’epoca: credo di poter affermare, per esperienza personale, che il Colorni, giovanissimo sia stato tra i primi italiani di preparazione filosofica a tentare di accogliere e di comprendere, in modo serio, le nuove affermazioni epistemologiche. La più gran parte del suo lavoro è inedita: molte pregevoli cose egli ha lasciato: e forse potrebbe indicarci vie nuove. Gli amici di «Analisi» auspicano di poter far conoscere in cerchio vasto il suo lavoro, a vantaggio della ricerca metodologica e in omaggio alla sua memoria Somenzi, a sua volta, scrivendo a Giuseppe Vaccarino della pubblicazione degli scritti colorniani su «Sigma», afferma: Per Sigma convinciti che i nostri scritti, incomprensibili per virtù proprie dalla maggioranza dei competenti, l’hanno irrimediabilmente “condannata” e che quelli di Colorni sono ancora i migliori che potessimo o possiamo esibire, oltre che i più vicini al nostro ordine di idee. “Fisica teorica e filosofia” di Colornimerita senz’altro la pubblicazione sul numero che spero di riuscire a dedicare a questo argomento19 . Rievocando poi il Progetto di una rivista di metodologia scientifica – da Colorni discusso fra gli altri con Ludovico Geymonat durante gli anni della guerra – ante ulteriormente ampliata. Effettivamente rileggendo il mo testo subito dopo averlo scritto non avevo avuto una buona impressione. Ma ora mi è piaciuto» (FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza scientifica, gen. 28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. 15 La conoscenza unitaria, cit., p. 4. 16 F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, G. Fachini, Eugenio Colorni, in «Analisi», I, 1945, 2, pp. 105-106. 18 Si tratta di E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica. 19 Lettera di Vittorio Somenzi a Giuseppe Vaccarino. Alcuni inediti riconducibili a tale progetto sono presentati in M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni, cit., cfr. in part. le pp. 126-130. Per i testi di FS destinati alla rivista metodologica. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 7 cora Somenzi ha sottolineato nel 1986 come esso corrispondesse «nella sostanza a molte realizzazioni degli ultimi quarant’anni, da riviste come “Analysis” a collane di volumi di filosofia della scienza e di storia della scienza quali quelle impostate a Milano e Torino [dallo stesso] Geymonat e da Paolo Rossi»21 . A partire da queste premesse, appare evidente come la storia della riscoperta colorniana nel dopoguerra possa concorrere a gettare luce su alcuni fondamentali aspetti dello stesso pensiero dell’autore; essa ne evidenzia difatti la novità di prospettiva e la conseguente, connaturata disposizione a dialogare coi più avanzati ambienti filosofico-culturali del nostro Paese. Ciò che tuttavia rende affatto esemplare la filosofia colorniana, concorrendo a fare di essa un importante «contributo alla comprensione del travaglio della filosofia italiana al momento del declino della preponderanza idealistica, non è soltanto la particolare modalità della sua ricezione nella seconda metà degli anni Quaranta, ma anche la complessiva parabola intellettuale seguita dal giovane studioso per giungere alle posizioni metodologiche degli ultimi anni. 2. Fonti e maestri Colorni fu allievo di Giuseppe Antonio Borgese e di Piero Martinetti alla Regia Università di Milano. Nel raccontare della formazione universitaria del giovane Eugenio, Enzo Tagliacozzo ha scritto a questo proposito: va ricordata l’influenza che sui suoi studenti ebbe allora una personalità come quella di Borgese, che Eugenio e compagni chiamavano scherzosamente G.A. Era uno di quei pochi professori che non disdegnavano allora di soffermarsi a discutere dopo la lezione con i propri studenti. Altra influenza determinante per i suoi studenti quella dell’austero Piero Martinetti che spiegava Kant alle otto del mattino. Martinetti avviava gli studenti al rigorismo dell’etica kantiana, mentre il brillante G.A., più alla mano, discuteva di estetica e letteratura comparata23 . I debiti con l’insegnamento di Borgese, d’altro canto, sono resi espliciti dallo stesso Colorni, che in un suo curriculum universitario afferma: Durante i miei studi mi sono occupato specialmente di problemi filosofici ed estetici e, sotto la direzione del Borgese, ho redatto lavori su L’estetica di Roberto Ardi21 V. Somenzi, Eugenio Colorni filosofo della scienza, in «Filosofia e società»,  N. Bobbio, Introduzione, cit., p. VI. 23 E. Tagliacozzo, L’uomo Colorni, in «Tempo presente». Prosegue poi Tagliacozzo nella pagina seguente: «Martinetti […] indusse [Eugenio] ad approfondire Kant, amò Spinoza dopo la prima infatuazione per l’idealismo italiano. E chi in quegli anni non lesse Croce e Gentile, ma specie Croce? […] Eugenio conobbe Hegel, ma non fu mai hegeliano. Studiò dal punto di vista filosofico Marx, ma non fu mai marxista. Dopo un’esercitazione sul positivismo – e si noti l’influenza borgesiana nell’approfondimento dei problemi estetici – si indirizzò verso Leibniz» (ivi, p. 54). Geri Cerchiai 8 gò e del positivismo italiano, L’estetica bergsoniana e L’estetica di Benedetto Croce. Quest’ultimo studio è stato pubblicato più tardi a Milano dalla casa editrice “La Cultura”24 . Più complesso, e forse maggiormente studiato, è il rapporto di Colorni con Piero Martinetti, col quale l’autore si laureò nel 1930 su Sviluppo e significato dell’individualismo leibniziano. Il primo, fondamentale impulso all’approfondimento di Leibniz25; l’introduzione alla filosofia di Kant26; il rifiuto del metodo dialettico27; l’urgenza di rinvenire una nuova, diversa organizzazione del nesso fra individuale ed universale, sono elementi che stringono Colorni al magistero martinettiano e che risultano fondamentali per la più generale formazione del filosofo milanese. Al di sotto di tutti è poi presente l’esigenza di individuare il corretto rapporto fra l’analisi della realtà e la sua organizzazione sistematica, esigenza il cui movimento e la cui parabola all’interno della propria maturazione intellettuale sono così descritte, ne La malattia filosofica, dallo stesso protagonista: 24 Curriculum vitae di Colorni, s.d., in Archivio Hirschmann, Roma, citato in S. Gerbi, Tempi di Malafede. Guido Piovene ed Eugenio Colorni. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra, nuova edizione Milano, Hoepli, pp. 41-42. Cfr.: E. Colorni, L’estetica di benedetto Croce. Studio critico, Milano, La Cultura; Id., Roberto Ardigò, in «Pietre», firmato con lo pseudonimo di Carlo Rosemberg; per una storia di questa pubblicazione rinvio ad A. Vigorelli, Antifascismo tra i giovani: il caso di “Pietre”, in Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura di G. Cerchiai e G. Rota, cit., pp. 251-266); lo scritto sul bergsonismo è tuttora inedito. È lo stesso Colorni, ne La malattia filosofica, a raccontare come si svolgevano, durante le lezioni di Borgese, le esercitazioni dalle quali è nato ad esempio lo studio su Croce: «All’università si dà continuamente battaglia contro Croce. Ogni settimana, uno studente sale sulla cattedra per discutere coi compagni e col professore […]. Salire anche lui su quella pedana, gli piacerebbe tanto: ma per che dire? Tenterà, ad ogni modo» (E. Colorni, La malattia filosofica, p. 26). Sul rapporto fra Colorni e Borgese rimando ad A. Riosa, Giuseppe Antonio Borgese ed Eugenio Colorni tra letteratura e politica, in G. Cerchiai e G. Rota (a cura di), Eugenio Colorni e la cultura italiana. Nello stesso periodo nel quale si laureava Colorni, altri due allievi di Martinetti, Giovanni Emanuele Barié e Carlo Emilio Gadda, venivano indirizzati dal maestro allo studio del filosofo di Lipsia. Si veda, a mero titolo di esempio, quanto lo stesso Martinetti scriveva nel 1926 a Gadda: «Se fra tre o quattro anni Ella potesse uscire con una bella esposizione di Leibniz (non tema d’avere concorrenti in questo argomento!) la via dell’università (per storia della filosofia) Le sarebbe aperta» (Lettera di Piero Martinetti a Carlo Emilio Gadda, 24 febbraio 1926; in P. Martinetti, Lettere a Carlo Emilio Gadda, a cura di G. Lucchini, in «I quaderni dell’ingegnere. Testi e studi gaddiani», Cfr. anche: G. Cerchiai, Due inediti di Giovanni Emanuele su Leibniz, in «Rivista di storia della filosofia», LIII, 1998, pp. 125-136; Id., Eugenio Colorni lettore di Leibniz, in Eugenio Colorni e la filosofia italiana, cit., pp. 159-176. 26 Si veda la testimonianza di Tagliacozzo riportata poco sopra. Per il clima nel quale poteva essere riletto Kant durante le lezioni martinettiane (con particolare riferimento alle vicende relative a Colorni), si rimanda a S. Gerbi, Tempi di malafede, cit., p. 39. 27 Una delle poche citazione dirette di Colorni presenti nel libro sull’estetica crociana rinvia proprio allo scritto di Martinetti intitolato Il metodo dialettico (in «Rivista di filosofia), là dove Colorni scrive: «perché, per quale forza o per quale principio questa implicazione dei contrari debba presentarsi quasi come una generazione dell’uno da parte dell’altro, è difficile a intendersi. Perché si deve dire che il Non-io, il quale è, per la sua stessa definizione, inseparabile dall’Io, sgorga, si svolge, si origina da esso? Che il particolare nasce dall’universale?» (E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit. p. 11). Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni. Il problema che lo occupa è sempre il posto, la collocazione delle facoltà nel mondo dello spirito. A un certo punto, gli balena la possibilità che questi elementi di cui cercava con tanto accanimento l’ordine e la collocazione, non patiscano alcun ordine: possano vivere così, separati, paralleli, autonomi. L’idea lo entusiasma. Gli sembra di avere ora fatto veramente un passo innanzi. E non pensa più tanto a definire e a ordinare, quanto a descrivere. Ma questo procedere dovrà pure avere una sua giustificazione teorica, dovrà pure inquadrarsi in una visione del mondo, avere un suo nome che termina in -ismo. Pierino [alter ego di Colorni] si butta sui pluralisti, sugli empiriocriticisti: studia Mach e Avenarius, si addentra nel labirinto di Leibniz. Su queste basi, si può dire che quello che altrove ho definito il “problema dell’ordine” divenga, talvolta anche solo per contrasto, uno dei fili conduttori dell’intera riflessione colorniana: impostato fin da L’estetica di Benedetto Croce, esso cercherà una prima, instabile sistemazione nella filosofia di Leibniz, per trovare poi nella rilettura metodologica ed epistemologica del criticismo kantiano una soluzione – o, come potrebbe dirsi: dissoluzione – affatto originale. Al fine di seguire il movimento del pensiero di Colorni da questo punto di vista, può essere utile rileggere le parole dell’autore stesso. E. Colorni, La malattia filosofica, p. 29; cfr. anche ibidem, n. 19 del curatore. Di Leibniz dirò in seguito, in questo stesso paragrafo. Per quanto riguarda l’accenno agli empiriocriticisti, si rimanda a quanto scritto da Luca Guzzardi nel 2011, il quale, esaminando precisamente la radice dei riferimenti colorniani a Mach, Avenarius e Schuppe, ne ha riconosciuto l’origine proprio nell’insegnamento di Martinetti: «Colorni», spiega Guzzardi, «aveva potuto trovare una valutazione positiva di questo pluralismo, nonché delle “filosofie dell’esperienza” di Schuppe, Avenarius e Mach, nell’Introduzione alla metafisica di Piero Martinetti. D’altra parte, ai primi del Novecento Martinetti aveva indirizzato allo studio di Mach, Avenarius e Schuppe, un giovane e promettente allievo, Aurelio Pelazza. Tali circostanze», secondo Guzzardi, «fanno ritenere», insieme con altre che dovrebbero essere approfondite, «che l’interesse originario di Colorni per l’empiriocriticismo sia da collegare a Martinetti e Pelazza» (L. Guzzardi, Lo specchio della natura. Colorni e la cultura scientifica del suo tempo, in Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura di G. Cerchiai e G. Rota, cit., pp. 177-195, pp. 188-189). Prosegue Guzzardi in queste stesse pagine: «Non solo Schuppe e Avenarius vengono citati da Colorni nella recensione all’Introduzione alla metafisica; qui si trova pure accennato fra i meriti di Martinetti “quel concetto di esperienza pura e obiettiva che egli sembra indicare come via di uscita dalle difficoltà in cui il pensiero moderno si trova impigliato” – e l’esperienza pura [reine Erfahrung], attorno a cui Pelazza aveva costruito la propria presentazione dell’empiriocriticismo, aveva costituito il punto d’approdo della filosofia di Avenarius» (ivi, p. 189). La recensione Sull’“Introduzione alla metafisica” di Piero Martinetti si trova ora alle pp. 52-57 dell’edizione Einaudi degli scritti colorniani. A tutto ciò si può aggiungere che Colorni accostò all’empiriocriticismo anche la filosofia di Benedetto Croce: «L’individualismo del Croce […] non è necessariamente in contrasto col suo idealismo: risolve piuttosto il principio dell’autocoscienza – che è essenziale all’idealismo – in una coscienza del pensiero nella effettualità del suo pensare; identifica il punto di partenza soggettivo col suo necessario correlato oggettivo, l’universale col particolare. In questo senso si avvicina piuttosto a forme di contingentismo e di empiriocriticismo; e in questo senso appunto è giustificabile il suo tenersi al dato e partire da esso: in quanto questo dato non può essere inteso che come uno stato d’animo, un’esperienza che debba essere vissuta intensamente, e da cui si debba trarre a volta a volta l’assoluto» (E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit., p. 6). 29 Cfr. G. Cerchiai, L’itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di storia della filosofia», Geri Cerchiai 10 Nel libretto su Croce, il problema dell’ordine è inquadrato a partire dalla questione del rapporto fra la «soprastruttura» 30 dialettica del sistema e l’effettivo valore delle singole osservazioni: «Ciò che sta sotto l’organizzazione esteriore», scrive Colorni, è nel crocianesimo il vero sistema, non ancora chiaro e formulato, ma agile e ricco di molteplici possibilità. Ricercare tale ricchezza sotto un’impalcatura in gran parte insoddisfacente è il compito che s’impone a chiunque viva quel pensiero come un’esperienza della propria vita. E seguirne la possibilità di sviluppo anche di là dalla forma che ha dato a se stessa, ci pare il miglior omaggio che si possa rendere a una filosofia31 . Se il “metodo individualistico” così identificato nella filosofia di Croce conduce Colorni a liberare le singole osservazioni «dall’interpretazione che il Croce stesso ne ha data allo scopo di adattarle ad un suo schema presupposto di organizzazione», per cercare di «renderle di nuovo pure» e «ravvisare» di conseguenza «in esse» un sistema «non imposto in precedenza, ma derivante e identico coi dati stessi forniti»32, non può stupire l’interesse teorico nutrito dal filosofo milanese per il secondo dei suoi “auttori”, ossia per il pensiero di Leibniz. Quest’ultimo, infatti, pare offrire precisamente la possibilità di chiudere in un circolo coerente l’analisi empirica del particolare e l’organizzazione sistematica del tutto. Scrive Colorni: Leibniz […] non parte mai con l’intento esplicito di costruire un sistema. La sua attività filosofica si presenta a tutta prima come una grande raccolta di prese di posizione particolari. Eppure il sistema non manca in esse: è anzi continuamente presente. I singoli problemi si mostrano a poco a poco connessi l’uno all’altro; le soluzioni convergono, si giustificano e confermano a vicenda […]. Il sistema non è una pura esteriorità, un concordanza sopravvenuta; è anzi l’anima di ciascuno osservazione, attraverso cui tutto si spiega e si giustifica33 . Per tali motivi, Leibniz rappresenta quasi il contraltare dello storicismo crociano o, meglio ancora, il rimedio alle sue lacune; «Leibniz», infatti, «differisce [proprio] in questo da altri pensatori, apparentemente più coerenti e organizzati, ma la cui ricchezza va cercata al di là del sistema, nelle varie formulazioni particolari»34: vi differisce cioè per il fatto che, come si è visto, il suo sistema si E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit. Scrive ancora Colorni: «chi parta dal mondo stesso e, rendendo eterno e universale ciascun dato di questo, voglia costruire una scienza delle forme possibili di questa universalizzazione e di qui giungere ad una visione complessiva dei modi eterni della realtà e delle loro reazioni reciproche, non pone il sistema all’inizio, come premessa della sua ricerca; ma ad esso giungerà al termine ideale del suo cammino. Colorni, Nota bio-bibliografica, in G. W. von Leibniz, La monadologia, preceduta da una esposizione antologica del sistema leibniziano, a cura di E. Colorni, Firenze, Sansoni. Il riferimento sembra rinviare precisamente alla critica della filosofia crociana. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 11 sviluppa spontaneamente dalle singole osservazioni e l’insieme si mostra nella sua completezza attraverso il complesso dei suoi aspetti. E tuttavia, lo scacco della prospettiva leibniziana giungerà a sua volta quando, muovendo da simili presupposti, Colorni dovrà constatare il carattere prettamente soggettivo del tentativo di sistematizzazione da quella realizzato: Leibniz, spiega così Colorni nel suo ultimo scritto sull’argomento, applica all’ordine spirituale quella continuità, quel passaggio ininterrotto, quel procedere da ogni legge ad una legge più vasta, che egli crede di scorgere come l’essenza più profonda del mondo naturale. Che questa stessa continuità e questo allargarsi sia, più che una legge della natura, un’esigenza dello spirito nella considerazione della natura stessa, egli non sospetta36 . L’insuccesso del punto di vista leibniziano consentirà però anche a Colorni di schiudere un più libero sguardo, sciolto ormai dai condizionamenti delle diverse scuole filosofiche, sul criticismo kantiano e sugli strumenti da questo forniti per lo studio dei meccanismi di funzionamento del pensiero. Già nel 1932, Colorni aveva anticipato le due linee – leibniziana e kantiana – della propria filosofia, là dove aveva scritto, in Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà, che la monade di Leibniz avrebbe dovuto completarsi con la dottrina kantiana, di modo che l’«universalità della monade, intesa come realtà cosciente, puo coincidere con la trascendentalità del conoscere, inteso come conoscenza reale»37. L’effettivo passaggio ad un più maturo kantismo segna tuttavia per Colorni un punto di svolta fondamentale o, come afferma l’autore stesso, una vera e propria «operazione di cataratta»38, capace di conquistare una diversa prospettiva sul mondo: esso, infatti, consente al giovane studioso di voltare le spalle alla “conoscenza filosofica” e di approdare infine a quella particolare metodica ch’egli presenta come conoscenza prettamente scientifica, intesa cioè come padronanza di un processo. La domanda impossibile (senza senso) della filosofia, spiega così Colorni, pur nella loro rigida formulazione teoretica, sono sempre espressione di qualche tendenza, di qualche profonda esigenza dell’animo. La risposta si dà dunque divenendo padroni del meccanismo psicologico mediante cui la domanda viene posta; essendo capaci di riprodurlo, di seguirlo nelle sue fasi, di variarlo all’infinto. Al problema della realtà, si risponde fabbricando animi per cui l’expressione “realtà” non ha senso. Alla domanda se esiste un mondo in sé in cui la somma degli angoli di un triangolo non sia uguale a due angoli retti, si risponde costruendo una geometria in cui tale somma sia effettivamente maggiore o minore di due retti, e mostrando che tale geometria non è né più né meno vera di quell’altra; ma è, rispetto all’altra, essenzialmente nuova E. Colorni, Libero arbitrio e grazia nel pensiero di Leibniz, E. Colorni, Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà. E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica, E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 237. 40 E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica, pp. 229-230. Geri Cerchiai 12 È in questo contesto, all’interno del quale Colorni ritiene di essere definitivamente guarito dalla sua «malattia filosofica»41, che vanno collocati i titoli di seguito trascritti e conservati presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi. Di tali scritti, e degli altri pubblicati dalle riviste «Aretusa», «Analisi» e «Sigma», è lo stesso Somenzi a raccontare la storia nel già citato testo su Eugenio Colorni filosofo della scienza. 3. La metodologia colorniana negli scritti del Fondo Somenzi «Nel 1945», scrive difatti Somenzi, comparve sulla rivista «Aretusa» un Ricordo di Colorni scritto dall’amico Guido Morpurgo-Tagliabue, accompagnato da due inediti stimolanti: Il bisogno dell’unità e Sul complesso di Edipo. Altri inediti mi pervennero attraverso la rivista «Analisi» […], e di questi una parte venne pubblicata su «Analisi» e sulla rivista romana «Sigma» che ad essa si affiancò per iniziativa di Giuseppe Vaccarino e mia. Dal carteggio fra Vaccarino e Somenzi emergono altre importanti informazioni sui dattiloscritti conservati in FS, che con ogni evidenza i due fondatori di «Sigma» si inviavano in reciproca lettura. Di quanto scriveva Somenzi a Vaccarino nel maggio del ’47 si è già reso conto nel § 1. Il 27 gennaio di quel medesimo anno, è Vaccarino a dire a Somenzi di sperare «tra qualche giorno di inviar[gli] i Colorni»; il giorno appresso, e quello successivo ancora, Vaccarino aggiunge poi quanto segue: Spero domani di inviarti i Colorni. Molto interessanti e brillanti. Comincerei con i dialoghi di “Commodo”, combinandoli in modo che abbiano tra di loro un certo legame. Ieri sera ho riletto i Colorni, che ti rimando tranne l’ultimo, che ti invierò tra qualche giorno. “I dialoghi” si potrebbero pubblicare in 3 puntate – (La seconda notevolmente più lunga delle altre 2) – Vi è una quarta puntata sull’economia, che mi piace meno. Nel testo ho cambiato qualche parola a matita (in modo che tu possa eventualmente ricorreggere). Ho creduto anche opportuno evitare il “dialogo nel dialogo” nel primo n°, introducendo invece del “fisico ribelle” il “Curiosus” del secondo n°. L’Apologo ed il Ritorno alla natura vanno anche benissimo. Forse si potrebbero pubblicare unitamente al terzo dialogo, che è molto breve. Le idee di Colorni mi sembrano meglio espresse nei dialoghi che nel capitolo sulla fisica, data la forma brillante 41 La malattia filosofica è per l’appunto il titolo che Colorni diede alla sua più completa biografia intellettuale, già qui ricordata nelle pagine precedenti. 42 V. Somenzi, Eugenio Colorni, cit., p. 79. Prosegue poi Somenzi citando di fatto alcuni dei titoli dei quali si sta qui discutendo: «La rivista doveva contenere articoli di fondo dedicati a problemi come: il concetto di esperienza, costanti universali e unità di misura, l’illusione finalistica nella fisica e nella biologia, l’illusione realistica nella fisica, geometria ed esperienza, l’assiomatica dei principi della meccanica, l’assiomatica della teoria della relatività e quella della meccanica quantistica, fisica puntuale e fisica di campo, il concetto di istinto, la polemica tra meccanicismo e vitalismo, la costruzione di una economia indipendente da premesse psicologiche» (ivi, p. 80). dell’espressione. In quanto alle opinioni espresse (l’io, la storia, l’amore, ecc.) non c’è coincidenza con la metaconoscenza, anzi piena opposizione43 . Su «Analisi», nel 1947, uscì Filosofia e scienza44, mentre – fra il 1947 e il 1948 – un più consistente numero di titoli apparve su «Sigma»; si trattava, in particolare, dei testi seguenti: Apologo su quattro modi di filosofare; Della lettura dei filosofi; Del finalismo nelle scienze; Dell’antropomorfismo nelle scienze; Sugli idoli della scienza fisica; Critica filosofica e fisica teorica; Il ritorno alla natura; Filosofi a congresso45 . Oltre a questi – e presumibilmente appartenenti al medesimo gruppo di testi del quale Somenzi afferma di aver pubblicato solo una parte – in FS sono conservati altri dattiloscritti, di cui sono qui trascritti quelli maggiormente compiuti46 . I primi tre scritti appartengono con ogni evidenza al gruppo di testi destinati dall’autore alla rivista di metodologia scientifica progettata con Ludovico Geymonat nel 194247. Questa, oltre a note di varietà, rassegne e recensioni, avrebbe infatti dovuto ospitare una sezione dedicata ad «Articoli e saggi», fra i cui titoli Colorni indica per l’appunto Geometria ed esperienza e Assiomatica delle leggi della meccanica. Il testo intitolato II: Relatività generale è, come mostrato dalla numerazione romana, il secondo paragrafo di Sull’assiomatica della teoria della relatività (anch’esso menzionato nel Progetto di una rivista di metodologia scientifica), il quale comincia proprio con l’indicazione di un paragrafo (I) La relatività ristretta. Tutti e tre i testi fanno riferimento al discorso intorno all’idea di esperienza che per Colorni discende dalla scoperta del carattere relativo delle categorie: «la coscienza che abbiamo acquistato della nostra possibilità di modificare [i] dati elementari»48 della conoscenza, infatti, costringe secondo Colorni sia a riformare i concetti di a priori e di a posteriori, sia a rivedere coerentemente la nozione di esperienza. «A priori», spiega così Colorni, «non significa più della ragione. A posteriori non significa più dei sensi. Sia i dati della ragione, sia i dati dei sensi, ap43 Lettere rispettivamente del 28 e del 29 gennaio 1947; quest’ultima è scritta di seguito all’epistola del giorno precedente, sul medesimo foglio. Il 17 gennaio 1947, Vaccarino aveva informato Somenzi del suo scritto sulla metaconoscenza, col quale confronta qui gli scritti colorniani: «Avevo preparato uno scritto sui rapporti tra la conoscenza e la religione, il quale in definitiva risultò troppo lungo ed infarcito di considerazioni metagnosologiche. Ho pensato perciò che è meglio direttamente attaccare la questione della metaconoscenza». Tutte le lettere sono in FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza scientifica, 1942-2003 gen. 28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. Il “fisico ribelle” è probabilmente il Fisico che Colorni inserisce quale interlocutore (appunto: quasi come dialogo nel dialogo) in Del finalismo nelle scienze, e che nella stampa definitiva su «Sigma» non viene poi effettivamente sostituito dal Curiosus interlocutore di Dell’antropomorfismo nelle scienze. 44 Cfr. supra, § 1, n. 9. Il testo comprende parzialmente anche: Sul concetto di esperienza e Intorno al principio di identità.  Cfr. infra, la Nota del curatore. 47 Cfr. supra, § 1 e la n. 20. 48 E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 241. Geri Cerchiai 14 paiono come elementi in cui il fattore soggettivo e quello oggettivo si presentano mescolati, ma di cui è in nostro potere, mediante un procedimento logico e psicologico insieme, modificare la struttura»49 . L’esperienza, a sua volta, «anziché rivelare leggi naturali», dovrà suggerire, secondo le contingenti necessità degli studiosi, «determinate forme di definizione e di misura»50, utili a proseguire nel lavoro di ricerca scientifica51 . Siamo qui di fronte a quel progetto di “liberazione” della fisica «dalle premesse realistiche-finalistiche» che deve per Colorni rappresentare non solo «uno degli scopi essenziali della rivista»52, ma anche il fine ultimo della sua stessa critica epistemologica. Di tale progetto il più lungo e strutturato Programma contribuisce a tracciare ulteriormente i contorni teorici. Il nucleo dello scritto ruota intorno alla considerazione secondo la quale la «filosofia odierna dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine. Criteri che, ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano radicalmente la realtà, operando una scelta che ci fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato». La constatazione del carattere condizionato della realtà diviene in tal modo, e nuovamente, il punto di partenza – tutto kantiano – della metodologia di Colorni. Il criticismo trascendentale, aggiunge però l’autore, «ha messo tutti sul chi vive», sì che «la curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta sempre più intensa»; sarà tuttavia soltanto la capacità della conoscenza scientifica di disubbidire all’«ammonimento di Kant» per trascurare «i limiti» da questo imposti che consentirà, ancora una volta, di compiere il secondo, decisivo passo lungo la strada già intrapresa dalla Critica della ragione pura: «La domanda da porsi», chiarisce Colorni in un passo cruciale di Critica filosofica e fisica teorica, Non [è]: “È il mondo del nostro pensiero, o non è, quello reale?”; bensì: “Come potrebbe essere conformato un mondo di pensiero diverso dal nostro?”. La prima domanda parte da quella esigenza di sicurezza e stabilità che è sempre collegata col pensiero del reale [e che appartiene all’atteggiamento filosofico]. La risposta che essa cerca è una risposta che assicuri tale sicurezza e stabilità in un modo qualsiasi; nel reale, o in qualche cosa che lo sostituisca. La seconda domanda [propria dell’atteggiamento scientifico] muove invece da una esigenza di novità […]. Si tratta qui del secondo passo della rivoluzione copernicana. Il primo era consistito nell’accorgersi che le leggi della realtà non sono che forme del nostro intelletto. Il secondo consiste nel domandarsi se queste forme siano proprio necessarie ed immutabili e irresolubili. Anzi, non 49 Ibid. A priori diviene perciò il «nostro potere di modificazione che si riferisce sia agli oggetti della nostra ragione, sia a quelli dei nostri sensi. Mentre poi «la geometria definisce gli oggetti su cui opera mediante i suoi assiomi, la fisica definisce quei medesimi oggetti mediante definizioni reali, cioè facendoli corrispondere a determinati fenomeni naturali. Mentre dunque la prima gode di una completa libertà nella scelta degli assiomi, la seconda è legata alle conseguenze implicite nella scelta di quelle particolari definizioni; libera però di mutare le definizioni, qualora le conseguenze non la soddisfacessero. E. Colorni, Sul concetto di esperienza, p. 251. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 15 nel domandarsi se siano irresolubili (domanda che presuppone l’uso di quelle forme stesse) ma nel tentare senz’altro di scioglierle53 . In tal modo, spiega Colorni al termine di Programma, è la conoscenza scientifica a raggiungere quell’“al di là” che alla prospettiva kantiana era negato, ma l’“al di là” al quale essa perviene «non è una negazione del “di qua”, non è un assoluto privo di categoria. È un mondo di nuove categorie», un mondo al quale si viene portati, in primo luogo, dalla consapevolezza che la «legge essenziale della natura è la ragione, e la ragione è pure la legge essenziale del mondo esterno, in quanto l’uomo non fa che proiettare fuori di sé l’essenza della propria natura»54 . L’ultimo testo qui trascritto, Commodo a Ritroso, appartiene ad un gruppo di dialoghi, noto come Dialoghi di Commodo, stesi a più mani durante il periodo del confino a Ventotene55. Commodo, come ha spiegato la moglie Ursula Hirschmann in occasione dei primi tentativi di pubblicazione integrale dei frammenti colorniani, è lo stesso Colorni; Ritroso è Ernesto Rossi56 . Lo scritto prende spunto da argomenti economici per chiarire alcune questioni che, venendo a teorizzare una sorta di “dilettantismo metodologico”, rendono conto della stessa natura dell’indagine colorniana. L’«appartenenza professionale», dice Colorni all’amico Ritroso/Rossi in uno dei dialoghi già 53 E. Colorni, Critica filosofica e fisica teorica, pp. 227-228. 54 Ivi, p. 234. 55 Racconta Altiero Spinelli nella sua autobiografia, ben descrivendo non solo la genesi dei Dialoghi di Commodo, ma anche l’atteggiamento di Colorni nelle discussioni: «Parlavamo ogni giorno delle cose più varie, di politica, di geometria non euclidea, di nostri compagni di confino, delle nostre letture, delle nostre storie personali, dei grandi della storia, ma sentivo che [Eugenio] stava sempre attento a scoprire un qualche mio coperto punto malato, che egli avrebbe messo in luce, curato e guarito – poiché la vocazione del guaritore d’anime l’aveva proprio nel sangue […]. Mi affascinava la precisione quasi infallibile con la quale scopriva il punto errato di un ragionamento, il punto equivoco di un atteggiamento, il momento retorico di un’espressione […]. Talvolta uno di noi, ripensando la sera alle parole scambiate durante il giorno, le proseguiva scrivendo un dialogo nel quale diceva la sua e immaginava quel che l’altro avrebbe risposto. Talvolta il dialogo aveva un seguito, scritto dall’altro, prima di terminare a voce» (A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Il Bologna, Mulino, 1988, pp. 299-300). 56 Gli pseudonimi principali utilizzati negli altri dialoghi sono i seguenti: Severo è Altiero Spinelli, Manlio Rossi-Doria è Modesto, Ursula Hirschmann è Ulpia. Così scriveva Ferruccio Rossi-Landi alla Hirschmann. Penso che  i tempi stiano maturando per un’edizione in volume degli scritti lasciati da Colorni: come sono maturati, dopo tanti decenni, per la ripresentazione ai lettori italiani di quelli di Giovanni Vailati, che fu studioso per tanti versi affine ad Eugenio e che, rimasto quasi sepolto fin da prima della Prima Guerra Mondiale, ricomparirà ora presso Laterza e presso Einaudi su mia iniziativa». RossiLandi faceva poi riferimento alle pubblicazioni di «Analisi» e «Sigma». Ho potuto prendere visione della corrispondenza relativa ai diversi tentativi di pubblicazione degli scritti filosofici di Colorni (prima presso l’editore Laterza e poi per la Feltrinelli) grazie alla cortesia di Renata Colorni, che ancora conserva una parte del carteggio e che qui debbo ringraziare per la sua disponibilità. 57 Esso va dunque letto insieme a Dello psicologismo in economia, pubblicato nella ed. Einaudi alle pp. 322-342. Per una più precisa contestualizzazione dei frammenti economici colorniani cfr infra, la Nota del curatore.  Geri Cerchiai 16 pubblicati da «Sigma» nell’immediato dopoguerra, «comporta un legame così stretto con la scienza e un interesse così diretto ai vari problemi particolari in cui la ricerca si articola momento per momento, che è difficile avere la possibilità di riprendere in esame i problemi iniziali e i principi fondamentali da cui si è partiti»58; proprio per questo, secondo Colorni, i «dilettanti e gli outsider», sono forse maggiormente in grado, attraverso l’esercizio di un «tranquillo, pacato, spregiudicato esame dei punti di partenza e delle definizioni iniziali»59, di «sconvolgere dalle fondamenta tutto l’edificio del proprio sapere»60. Certo, dovendo rispondere all’accusa di «presumere di rivedere i principî di tutte le scienze, senza averle mai praticate»61, lo stesso Colorni – che alla scienza è giunto passando per la filosofia62 – parla in qualche modo pro domo sua. E tuttavia, egli va anche a puntualizzare, in tal modo, il «carattere pragmatistico»63 del proprio pensiero, il quale deve giocoforza confrontarsi con le più differenti discipline scientifiche. In Commodo a Ritroso, Colorni riprende questi medesimi argomenti, insistendo però con maggior vigore su quello spirito d’indipendenza – indispensabile ad un proficuo sviluppo dell’opera scientifica e filosofica – il cui significato teorico è già stato indagato in Programma. Scrive Colorni: «Anziché accostarmi a grossi trattati con fare accogliente e passivo […], io parto con la lancia in resta, pieno di idee sbagliate e confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo […], desideroso di scontri e di battaglie». Emerge qui, accanto alla consapevolezza di un metodo teorico ormai chiaramente precisato, una componente particolare del carattere del giovane filosofo: quella irrequietezza, ironicamente descritta ne La malattia filosofica, che contribuisce a rendere conto della stessa, febbrile attività politica colorniana. Essa rivela una vivacità intellettuale che si mostrò sempre incapace di fermarsi ai risultati volta per volta raggiunti e che, trascorrendo dai primi studi storico-filosofici a quelli metodologici degli ultimi anni, viene a costituire l’anima, per così dire, anche dei dattiloscritti colorniani conservati nel Fondo Somenzi. 58 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Com’è noto, e a dispetto della sua formazione umanistica (lit. hum.), Colorni si cimenta direttamente nella ricerca fisica, con particolare attenzione alla teoria della relatività. Cfr. nello specifico i titoli seguenti: Unités de misure et relativité; Le trasformazioni di Lorentz come caso particolare e Deduzione del campo elettromagnetico di una carica in movimento rettilineo e uniforme. 63 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Nota del curatore I testi di Colorni in FS – tutti dattiloscritti – sono per lo più approntati per la composizione a stampa, spesso con indicazione del corpo e della impaginazione da utilizzarsi. Alcune correzioni e integrazioni, la segnalazione «a penna» talvolta riferita ai titoli o alla firma, i commenti a margine sulla opportunità o meno della pubblicazione, fanno supporre che ci si trovi per lo più di fronte a trascrizioni battute a macchina dagli originali. Salvo che dove diversamente segnalato (come ad esempio – per i motivi lì esposti a pié di pagina – in Programma), ci si è generalmente attenuti al criterio di integrare le eventuali sviste od errori ortografici direttamente nel testo, senza ulteriore indicazione. Ugualmente ci si è comportati per le correzioni e gli interventi a penna o a macchina. Il dattiloscritto di Programma presente in FS conserva la conclusione, che risulta invece assente nelle precedenti edizioni in volume. Oltre ai titoli qui riportati, e a quanto si dirà qui appresso, in FS sono conservati anche i testi seguenti: Il bisogno dell’unità; Sul complesso di Edipo; I primitivi e le categorie dello spirito; Filosofi a congresso; Sul concetto di esperienza; Costanti universali e unità di misura; Sull’assiomatica della teoria della relatività. I. Relatività ristretta, tutti già raccolti nelle diverse edizioni dei frammenti colorniani. A partire da Sul concetto di esperienza, le pagine sono numerate, a mano o a macchina, in sequenza, sì da creare un complesso unico comprendente anche: II. Relatività generale (da inserirsi dopo Relatività ristretta), e di seguito: Sull’assiomatica delle leggi della meccanica e Geometria ed esperienza. In FS sono inoltre presenti due ulteriori scritti di argomento economico: Batti, ma ascolta! e Ritroso a Commodo: meno compiuti degli altri, essi saranno da me trascritti in un volume di prossima uscita. Già nella nota introduttiva a Dello psicologismo in economia, pubblicato nella edizione Einaudi alle pp. 322-342, si ricostruiva, anche grazie agli elenchi dei titoli stesi da Ursula Hirschmann per Ferruccio Rossi-Landi, la genesi degli scritti economici colorniani, che qui ci si limiterà dunque ad integrare con quanto emerge dai titoli presenti in FS. Dello psicologismo in economia risulta composto da tre blocchi. Il primo, intitolato È possibile costruire una scienza economica indipendente da premesse psicologiche e sociologiche?, è citato anche nel Progetto di una rivista di metodologia scientifica fra i possibili «Articoli e saggi», e prosegue dall’inizio del dialogo fino al terzo capoverso: «[…] sarebbe una differenza di grado e non di natura. Del secondo (Robbins considera), che comincia subito dopo il primo e termina in ivi, E m’invita a prendere tutto l’argomento non troppo sul serio»), è conservato in FS il solo ultimo foglio, del quale così scriveva Silvio Ceccato a Somenzi il 5 febbraio del 1943: «Ho guardato fra le carte di Colorni. Spaiato trovo un foglio, numero 5, che mi sembra appartenere al dialogo fra Commodo e Severo [che in effetti è l’interlocutore di quella parte del dialogo]. Se vuoi te lo mando, o lo do a Vaccarino. Altro non c’è, mi sembra, che possa interessarti. Stampa pure. Quando hai ben deciso, fammelo però sapere, che, per cortesia, ne avvisi la sorella» (FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e progetti editoriali, 1, Sigma Analysis, b. 5, Analysis Methodos (Ceccato). Il terzo blocco, Vedo che riprendi (cfr. E. Colorni, Dello psicologismo in economia), rappresenta il nucleo centrale e la con- Geri Cerchiai 18 clusione del dialogo. Per quanto riguarda i titoli di FS: Ritroso a Commodo – come si evince dai numerosi riferimenti a Vedo che riprendi – prosegue il dialogo già iniziato in quest’ultima parte di Dello psicologismo in economia; Commodo a ritroso è la risposta a Vedo che riprendi; Batti ma ascolta è l’«accluso foglietto» menzionato in Commodo a Ritroso. Le note in calce ai testi sono tutte del curatore. Desidero Ringraziare Giovanni Battimelli, Responsabile del Fondo Vittorio Somenzi, e Maria Luisa Libutti, Direttrice della Biblioteca del Dipartimento di Fisica (“Sapienza” Università di Roma), per la disponibilità e cortesia che mi hanno dimostrato durante la consultazione dell’Archivio. G. C. Cinque scritti metodologici 19 II. Relatività generale1 Se vogliamo estendere quanto si è detto per la relatività ristretta3 al caso di sistemi in movimento qualsiasi4 , il problema della relatività generale diverrà quello di determinare le misure spazio-temporali per un osservatore in movimento qualsiasi rispetto ad un sistema inerziale nel quale valga la geometria euclidea. La determinazione di tali misure sarà fatta di nuovo assumendo come fissa la distanza fra due punti5 , e come costante la velocità della luce. In linea generale risulterà che la geometria tridimensionale del sistema in questione non sarà euclidea. Viceversa dovrebbe essere dimostrabile che se le misure assunte da un osservatore col metodo di cui sopra, danno luogo ad una geometria non euclidea, si potrà sempre trovare un sistema i cui punti siano mossi rispetto all’osservatore in questione in modo tale che la sua geometria sia euclidea. In tale sistema non vi sarà alcun campo gravitazionale. Una tale impostazione del problema differisce un poco da quella classica della relatività generale. Non si tratta qui di trovare una formulazione delle leggi di natura che sia invariante rispetto a trasformazioni qualsiasi, e quindi di attribuire ad ogni sistema la geometria richiesta dal campo gravitazionale in esso vigente, ma piuttosto di trovare le trasformazioni che permettono di passare da un sistema ad un altro qualsiasi6 , avendo assunte per tutti i sistemi determinate convenzioni7 riguardo alle misure spazio-temporali; e questo senza fare alcuna ipotesi riguardo alla forma delle leggi naturali. 1 FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e progetti editoriali, Sigma Analysis, b. 6, Articoli, Il titolo è cancellato nel dattiloscritto, così come è barrata la numerazione “5” (a penna) della pagina, numerazione che, insieme con quella romana, segnava il foglio come seguito di E. Colorni, Sull’assiomatica della teoria della relatività. I. Relatività ristretta (cfr. la Nota del curatore), del quale lo scritto è il secondo paragrafo. 2 All’inizio del dattiloscritto sono inserite a penna delle virgolette basse (chiuse al termine del terzo capoverso), che spiegano l’intervento del quale si rende conto infra, n. 4. 3 Il riferimento è a Sull’assiomatica della teoria della relatività, che infatti è numerato: La relatività ristretta. A penna è stato qui aggiunto: «prosegue Colorni». 5 Cfr. E. Colorni, Sull’assiomatica della teoria della relatività. Anziché assumere come unità di misura fondamentali una lunghezza […] o un intervallo di tempo […] per poi dedurne le altre grandezze cinematiche […], si potrebbe assumere come unità primitive la distanza fra due punti dati e la velocità di propagazione di un dato fenomeno». 6 Si tratta qui precisamente dell’idea di revisione del concetto di esperienza in relazione a quello di definizione che costituisce uno dei nuclei del programma metodologico colorniano. 7 Sono molti i riferimenti di Colorni al carattere convenzionale della scienza e delle sue definizioni. Riporto, per il suo carattere “generale”, quanto affermato nella Postilla al programma della rivista di metodologia scientifica (in M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni, cit., p. 130): «Si tratta, in breve, di partire da una concezione “convenzionalistica” o “idoenistica” della scienza; non limitandola però, come fa in sostanza la scuola di Vienna o anche il Gonseth, alla interpretazione filosofica dei fatti scientifici; applicandola invece ai concetti basilari su cui poggia l’edificio della scienza, e mostrando come un chiarimento rigoroso delle ipotesi che sono implicite nell’assunzione di tali concetti possa trasformare effettivamente e rendere più chiare molte formulazioni scientifiche, e forse risolvere alcuni dei problemi più scottanti della scienza moderna». Eugenio Colorni 20 Formulando in questo modo il problema, si giungerebbe probabilmente alle medesime conclusioni della relatività generale riguardo alla gravitazione; ma la nuova impostazione permetterebbe forse di aggredire in maniera diversa da quella consueta altri problemi (in particolare quello dell’elettromagnetismo). Non si tratterebbe più in questo caso di formulare le leggi del campo elettromagnetico in forma invariante rispetto a trasformazioni qualsiasi, ma di rendersi ragione della loro struttura, studiando sistematicamente il comportamento di cariche in movimento, mediante “Transformation auf Ruhe”. Questo saggio si riferisce a studi ancora in corso e ben lungi dalla conclusione8 ). 8 L’ultimo capoverso è barrato a penna nel dattiloscritto. L’inciso fra parentesi riprende quello analogo – non riportato nelle edizioni dei testi colorniani, ma presente nei dattiloscritti di FS – posto al termine di Sull’assiomatica della teoria della relatività. I.- Relatività ristretta, il quale recita nel modo seguente: «Questo saggio si riferisce ad un lavoro già terminato, in cui lo sviluppo qui descritto viene eseguito» (FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929-2000, 2, Scatole grigie 1942-2000, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993). Sull’assiomatica delle leggi della meccanica. Il principio d’inerzia è notoriamente una definizione camuffata. Esso definisce come non soggetto ad alcuna forza il corpo dotato di movimento uniforme; quindi come soggetto ad una forza il corpo dotato di movimento non uniforme. È possibile considerare i principi della conservazione della quantità di movimento e dell’energia come delle estensioni del principio d’inerzia, cioè anch’essi come delle implicite definizioni della forza? Crediamo di sì. Consideriamo infatti un sistema di due corpi. Diremo che il sistema non è stato sottoposto all’azione di alcuna forza, non solo quando i due corpi proseguono nel loro moto rettilineo ed uniforme, ma anche quando hanno modificato tale loro moto dopo essersi urtati. Ciò che dovrà essere rimasto immutato nel sistema non sarà dunque più il moto dei due corpi, ma una funzione di tale moto; funzione che si tratta di determinare, ponendole delle condizioni derivanti da esigenze plausibili. Anzitutto si può richiedere che il mutamento provocato dall’urto nello stato di moto di uno dei due corpi sia misurato dal mutamento provocato dal medesimo urto nell’altro corpo: cioè che ciò che rimane costante nel sistema sia la somma delle funzioni in questione riferite a ciascun corpo. Individuato poi ciascun corpo mediante una costante caratteristica di esso (la sua “massa”), si può richiedere che il cambiamento provocato in un corpo successivamente da due altri corpi di uguale massa e uguale velocità, sia identico al cambiamento provocato da un corpo di massa doppia e di uguale velocità: il che equivale a dire che la nostra funzione dovrà essere della forma mf(v). Si potrà poi osservare che la funzione in questione deve poter esprimere sia un mutamento nel valore assoluto della velocità di ciascun corpo, sia un mutamento nella sola direzione: le funzioni in questione devono cioè essere due, l’una vettoriale, l’altra scalare. Infine si osserverà che, poiché due corpi in movimento uniforme rispetto ad un sistema inerziale lo sono pure rispetto a qualsiasi altro sistema inerziale, la costanza delle nostre funzioni deve essere invariante rispetto a trasformazioni di Lorentz. Tutte queste condizioni limitano la scelta delle nostre funzioni in modo da determinarle univocamente; e ne risultano le espressioni relativistiche della quantità di movimento e dell’energia. Ciò è stato mostrato da Langevin2 , il quale parte però da premesse un po’ diverse. Gli sviluppi precedenti possono avere un’importanza per il seguente motivo: la teoria della relatività giunge alle sue espressioni dell’energia e della quantità di movimento, partendo dalle equazioni di Maxwell, che suppone assicurate dall’esperienza. Ma il controllo sperimentale di tali equazioni suppone che si 1 FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929- 2000, 2, Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, Nel dattiloscritto, le pagine riportano la numerazione, a penna in rosso, da 6 a 7 (cfr. supra, II. Relatività generale, n. 1, e la Nota del curatore). Langevin e un fisico francese che, non diversamente da Eddington – altro autore colorniano e griceiano – fu abile divulgatore scientifico. disponga di una definizione dell’energia e della quantità di moto. Inoltre, quando si siano definiti i principi fondamentali della meccanica indipendentemente dall’elettromagnetismo, rimane aperta la possibilità di dedurre le leggi stesse dell’elettromagnetismo servendosi di alcuni risultati della relatività, e raggiungendo così una più profonda comprensione di quelle leggi. (Anche questo articolo si riferisce a studi in corso, di cui la prima parte, riguardante la relatività ristretta e l’elettromagnetismo, è terminata; ma avrebbe carattere troppo tecnico per la rivista4 .) 3 Assente nel testo. 4 Per un’analisi degli scritti colorniani sulla teoria della relatività, si rinvia a M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni. Colorni sulla teoria della relatività, pp. 122-130. Per l’inciso fra parentesi, cfr. supra, II. Relatività generale. La rivista è la progettata rivista di metodologia scientifica, sulla quale si rimanda ancora a quanto scritto supra, § 3. Cinque scritti metodologici 23 Geometria ed esperienza1 Gli assiomi della geometria sono delle definizioni implicite, o meglio rappresentano delle limitazioni imposte alla nostra libertà di definire gli oggetti ai quali essi si riferiscono. Tali oggetti però possono essere di due tipi: o sono tali che per ottenerne una rappresentazione concreta è necessario immaginarli realizzati da un fenomeno fisico (p. es. la linea retta realizzata dalla traiettoria di un raggio luminoso nel vuoto); in tal caso la definizione implicita negli assiomi è una definizione “reale” (Zuordnungsdefinition2 ), e gli assiomi limitano il numero degli oggetti o dei fenomeni che possono essere assunti per realizzare fisicamente quel determinato ente geometrico. Oppure l’ente geometrico in questione è tale da poter essere definito mediante un’opportuna combinazione di altri enti precedentemente definiti (p. es. l’angolo uguale ad un angolo dato può essere definito senza ricorrere ad alcuna sovrapposizione, quando sia stata definita precedentemente la distanza fra due punti); e allora gli assiomi limitano il numero degli accorgimenti che noi possiamo usare per definire quel determinato ente geometrico. Agli scopi della costruzione fisica di un sistema galileiano, è opportuno distinguere questi due tipi di definizione; e può essere utile studiare da questo punto di vista le “Grundlagen” di Hilbert3 . Non è detto che si possa sempre trovare un insieme di fenomeni fisici capaci di realizzare contemporaneamente tutti gli assiomi di una geometria. Per esempio, se si vuol realizzare la geometria mediante raggi luminosi assunti co1 FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 2, Scatole grigie,1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993. Numerato a penna 8 (cfr. supra, II. Relatività generale, n. 1, e Nota del curatore). Il titolo è anch’esso sottolineato a penna con l’indicazione: a mano. A margine, scritto a matita in rosso e cancellato, alcune segnalazioni per il tipografo: «Corpo 10/10 tondo // Giustezza 27». Scrive Colorni in Filosofia e scienza. Ora, mentre la geometria definisce implicitamente gli oggetti di cui tratta, mediante gli assiomi, la fisica li definisce direttamente, mediante definizioni reali (Zuordnungsdefinitionen). Con queste parole, Colorni richiama il concetto reichenbachiano di Zuordnungsdefinition, per cui cfr. H. Reichenbach, Axiomatik der Raum-Zeit-Lehre, Braunschweig, Vieweg & Sohn Akt.-Ges., 1924; Id., Philosophie der Raum-Zeit-Lehre, Berlin- Leipzig, W. de Gruyter & Co. In una lettera firmata da Hirschmann (ma in realtà scritta da Colorni) e indirizzata a Geymonat per il tramite della moglie Virginia, l’autore afferma di possedere il primo dei due titoli, e a questo rinvia per la comprensione del proprio pensiero. Noi abbiamo qui l’importante saggio di Reichenbach, “Axiomatik der relativistischen Raum-Zeit-Lehre”, che mette le cose da un punto di vista molto affine a quello che Eugenio vorrebbe sviluppare. La lettera, conservata nel Fondo Geymonat presso la Biblioteca del Museo civico di storia naturale di Milano, è citata da M. Quaranta (La scoperta di Eugenio Colorni), il quale commenta: «Ora, se è rintracciabile in Kant una nozione rigida dell’a priori, letture kantiane sviluppate in quegli anni da Ernst Cassirer e Hans Reichenbach, in Italia da Giulio Preti, vanno nella direzione di accogliere la fecondità del “metodo trascendentale”; le indagini epistemologiche di Colorni si inseriscono in questa linea di ricerca. Questo capoverso, da Agli scopi fino a Hilbert, è cancellato a penna nel testo dattiloscritto. Il riferimento è ai Grundlagen der Geometrie (Fondamenti della geometria) di Hilbert. me rettilinei e di velocità di propagazione uniforme, non è detto che risulti verificato l’assioma di Euclide; e questo assioma, se è verificato per il sistema costruito da un determinato osservatore, necessariamente non è verificato per il sistema costruito da un altro osservatore, dotato rispetto al primo di movimento non uniforme. Cinque scritti metodologici Programma1 Supponiamo che l’uomo viva in un palazzo le cui porte sono tutte chiuse. Egli non ha le chiavi. Cioè egli ne possiede un mazzetto, ma non sa se esse si adattino alla serratura, né quale chiave a quale serratura. Prova, riprova, si costruisce nuove chiavi nella continua speranza di potere un giorno abitare tutto il palazzo. Lo scienziato è un uomo al quale è riuscito di aprire una porta. Una chiave, per sua fortuna, o per sua abilità, ha girato nella toppa. Egli apre, e trova nella camera immensi tesori, li utilizza3 , li mette a disposizione degli altri uomini che lo ringraziano ammirati. Da quel momento4 la camera è accessibile a tutti. Entusiasmato, lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte5 . La chiave comincia a diventare uno strumento pericoloso nelle sue mani. Egli la vuole usare dappertutto. Il risultato è che sfonda le serrature. Ci vorrà6 poi una gran fatica per accomodarle e per trovare o costruire una nuova chiave che permetta di aprirle (Fuor di metafora: p. es. la medicina è stata rovinata per secoli dall’ossessione del metodo meccanicistico, che aveva fatto meraviglie nel campo della fisica. E si è voluto risolvere tutto a base di anatomia, di rapporti e di modificazioni di tessuti. Nella maggioranza dei casi non si è cavato un ragno dal buco). Il filosofo, invece, cosa fa? Egli non ha avuto la fortuna o l’abilità di aprire una porta, ma anche lui è preso dall’ossessione di aprirle tutte. Con la chiave9 dello scienziato o con un’altra di sua fattura. La sua ossessione è forte, meno pericolosa10 che quella dello scien1 FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929- 2000, 2, Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b. 3, Colorni. Nel dattiloscritto un primo titolo, barrato, recita come segue: «SCIENZA E MATERIALISMO // È un caso che tutti gli scienziati tendano ad essere materialisti? // PROGRAMMA». A margine, scritto a penna, il titolo è fissato così: «SCIENZA E REALISMO». Un asterisco rimanda alla seguente nota manoscritta: «(V[edi]. l’“Apologo su quattro modi di filosofare”, altro inedito di Colorni, in Sigma. Sempre a margine, si ha l’indicazione di stampa, a penna: «Corpo 10 tondo 11 // giustezza – 10 su 12. Poiché lo scritto si discosta spesso – nella forma, mai nella sostanza – dalle precedenti edizioni (nelle quali esso risulta per altro incompiuto), è parso utile indicare in nota le differenze fra le diverse versioni. Per questo stesso motivo ho talvolta esplicitato le correzioni e gli interventi sul dattiloscritto. La sigla FS rimanda al testo presente fra le carte di Somenzi; la sigla E a quello dell’edizione Einaudi. Benché sia barrato, e per consentire una più chiara identificazione, si è preferito mantenere il titolo Programma. 2 per sua fortuna, o per sua abilità FS : per sua fortuna o per sua abilità E. 3 immensi tesori, li utilizza FS : immensi tesori. Li utilizza Di seguito nel testo di E. 5 lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte FS : lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte E. 6 le serrature. Ci vorrà FS : le serrature, ma ci vorrà E. 7 di aprirle (Fuor di metafora FS : di aprirle. (Fuor di metafora E 8 Il filosofo, invece, FS : Il filosofo invece, E aprirle tutte. Con la chiave FS : aprirla con la chiave E. 10 è forte, meno pericolosa FS : è forse meno pericolosa E. Eugenio Colorni ziato, ma più intensa. Per lo scienziato essa è necessaria accessoria11. Il massimo sforzo è già stato compiuto12 nel trovare la chiave. Il tentativo di allargamento è spesso solo abbozzato. Il filosofo, invece, è tutto fatto di questo bisogno. Egli è abbastanza accorto per avvedersi che il correre da una parte13 all’altra con la medesima chiave si risolve in un danno e in un disordine. Egli vuole soddisfare alla sua esigenza in un modo sistematico, che non lasci residui. La sua ossessione è che il palazzo sia completamente abitabile, aperto in tutte le camere, dai saloni ai ripostigli. Che cosa fa per soddisfarsi? Si costruisce un palazzo a suo uso e consumo, simile il più possibile a quello vero, in cui tutte le serrature siano apribili con una sola chiave, o con le varie chiavi che ha a sua disposizione. Lì si rinchiude; lì15 gli sembra di vivere tranquillo. Ma il palazzo è di cartapesta. In poco tempo crolla. Le camere sono identiche a quelle dell’altro palazzo, ma sono vuote. Il poterle aprire non dà all’uomo maggior ricchezza e maggior17 potenza. A volte avviene che nel lavoro di costruire, al filosofo venga fatto di scoprire o inventare una chiave nuova, che gli altri uomini possono usare, e provare nelle varie serrature. In questo caso egli sarà ammirato e studiato solo per questa invenzione fortuita o strumentale, che nelle sue intenzioni non doveva essere che un dettaglio del grande edificio. E il grande edificio scompare. Dopo un secolo nessuno ci crede più, nessuno può più abitarvi dentro. Lo si considera come un bel rudero, come l’interessante documento di un’epoca; lo si apprezza per un certo impulso che indirettamente, nei coi suoi contorni, ha dato alle lotte e alle ricerche dell’umanità. Gli storici, gli esegeti, cominciano a scuoterlo per vedere se, non potendosene più servire in blocco, non si trovi del buono fra il materiale della costruzione. E cominciano a distinguere “ciò che è vivo e ciò che è morto” e a manipolare il sistema ai propri fini. Ne risulta che ogni pensatore viene, di regola, apprezzato dai posteri per motivi che egli non avrebbe immaginato e che sono estranei alle sue intenzioni fondamentali. Quello che egli aveva creduto il suo vero apporto alla cultura e alla civiltà viene considerato inutile. Il dispendio di energie è enorme. Vediamo gli uomini più intelligenti dell’umanità dirigere tutti i loro sforzi per raggiungere mete che andranno poi completamente perdute; e 11 necessaria accessoria. FS : accessoria, sopraggiunta. E.  già stato compiuto FS : già compiuto E.  parte FS : porta E. 14 sola chiave, o con FS : sola chiave o con E. 15 Lì si rinchiude; lì FS : Là si rinchiude, là E. 16 di cartapesta. In poco tempo crolla. Le FS : di cartapesta, non di mattoni veri. In poco tempo crolla, si disfa. Le E. 17 ricchezza e maggior FS : ricchezza o maggior E. scoprire o inventare FS : trovare E. 19 possono usare, e provare nelle varie FS : possono usare nelle varie E. 20 rudero FS : rudere E. 21 nei coi suoi FS : nei suoi E.  scuoterlo FS : smontarlo E. ogni pensatore viene, di regola, apprezzato FS : ogni pensatore (come spesso anche ogni poeta) viene di regola apprezzato E. 24 immaginato e che FS : immaginato, e che E. Cinque scritti metodologici: 27 siamo costretti a racimolare con fatica alcuni residui del loro lavoro. Nella25 scienza le cose sembrano andar meglio. Siamo per lo meno nel palazzo vero, dove le camere sono piene di ricchezze; e là dove la chiave ha aperto la porta, la potenza dell’umanità ne è stata infinitamente aumentata. Ma se la porta non si apre? Dai Greci al Rinascimento, per duemila anni, gli uomini si sono affaccendati a costruir26 chiavi di tutti i generi e magnifici palazzi di cartapesta. Ma nessuna porta dell’edificio vero si è aperta ai loro sforzi. Da Galilei e Bacone27 in poi, alcune sembrano cedere. Una, quella28 del meccanicismo fisico si è addirittura spalancata. Ma quante restano ancora chiuse[!]?29 Quale sarà per esse la chiave giusta? L’abbiamo già in mano o dobbiamo ancora costruircela? E come sfuggire alla continua tentazione di usare per ogni porta quella che ha fatto una volta buona prova, col rischio di rovinare tutto? La filosofia odierna, anziché costruire bei palazzi di cartapesta, dovrebbe proporsi il compito di affacciarsi a questi problemi, e tentare di mettere un certo ordine, allo scopo di evitare sforzi inutili e raggiungere risultati il più possibile concreti. Dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine coi quali noi affrontiamo il reale e cerchiamo di renderlo utile ai nostri usi. Criteri che, ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano31 radicalmente la realtà, operando una scelta che ci fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato. Ciò che noi chiamiamo realtà è evidentemente condizionato non solo dai nostri sensi, ma da tutto l’insieme delle forme, delle categorie, dei criteri associativi e interpretativi senza dei quali non ci è possibile di pensare e di percepire alcunché. Criteri che noi potremo studiare, scomporre, modificare; senza però poter mai uscire dal campo di un’attività del soggetto costitutiva della realtà stessa. Noi34 non possediamo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, alcun nesso mezzo per eliminare il sole lato35 soggettivo della nostra nozione della realtà; anzi abbiamo seri elementi per propendere a ritenere che la nozione di una realtà oggettiva, da noi indipendente,36 sia un’ipostasi della nostra mente,37 do25 A capo in E. costruir FS : costruire E. Da Galilei e Bacone FS : Da Galileo a Bacone E. Una, quella FS : Quella E. 29 Chiuse[!]? FS : chiuse! E. 30 d’indagine a penna nel testo FS : ermeneutici E. che, ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano FS : che – ormai ciò è chiaro a tutti – trasformano E.  Queste righe, e quelle immediatamente successive, rappresentano una sorta di compendio della filosofia colorniana, ossia del ruolo essenzialmente critico-metodologioco che, muovendo «dalla grande scoperta kantiana» (E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 240), essa dovrebbe svolgere. A capo in E.Di seguito in E. alcun nesso mezzo per eliminare il sole lato a mano nel testo FS : alcun mezzo per eliminare il polo E. 36 oggettiva, da noi indipendente, FS : oggettiva da noi indipendente E. 37 mente, FS : mente E. Eugenio Colorni  vuta ad un nostro fondamentale bisogno di contrapporre alcunché a noi stessi, di urtarci contro qualche cosa, di polarizzare il contenuto della nostra coscienza in un passivo ed un attivo. Vedi Fichte (Trascendenza interna)38. Ciò che chiamiamo realtà non è dunque né l’oggetto né il soggetto39, ma alcunché nella costituzione del quale il soggetto, con i suoi criteri e le sue categorie, ha una gran parte e41 che noi, per comodità di studio, consideriamo per un istante come dato di fronte a noi, coscienti che con ciò noi poniamo di fronte a noi qualche cosa cui partecipiamo noi stessi. Ora questo “qualche cosa” gli uomini si sforzano di manipolarlo ai loro usi, di penetrare nella sua costituzione, di prevedere il suo divenire, di costruire in base alle previsioni. A seconda che si accentui il carattere oggettivo o soggettivo di questo lavoro, lo consideriamo un “penetrare nelle leggi della natura” oppure un estrarre dalla natura un certo numero di elementi regolari per usarli a loro vantaggio, un cedere alla natura” o un “farle violenza”, e si chiamano positivisti o pragmatisti. Ma questa distinzione riguarda il significato metafisico dell’attività umana, non la sua conformazione, i suoi procedimenti, il suo fine: che è ciò che c’interessa qui di indagare per contribuire al progresso dell’umanità46. Lo scienziato non conosce concretamente un problema del carattere pratico e teorico47 della sua attività. Egli non si domanda mai, seriamente, se ciò che lo spinge alla ricerca sia il “bisogno di sapere” inteso come fine a sé stesso, o la speranza che gli uomini possano ricavare un utile dalla sua scoperta. Egli si dedicherà secondo la sua attitudine ad un campo più vicino alla ricerca pura o più vicino alle applicazioni. Ma nella sua mente ricerca e applicazione costituiscono un tutto unico di cui solo per comodità di studio e per la necessità della divisione del lavoro egli scinde a volte le parti. La scoperta si considera come la naturale, evidente premessa dell’invenzione:51 l’invenzione come la conseguenza della scoperta. L’antitesi positivismo-pragmatismo non ha senso per lo scienziato, e non moVedi Fichte (Trascendenza interna) FS : (Vedi Fichte, Trascendenza interna) E. Su questo aspetto della metodologia colorniana, si legga quanto affermato da Ferruccio RossiLandi, che rileva fra l’altro, negli scritti colorniani, la presenza di «quel disimpegno dalla visione realistica del mondo […] che è merito della migliore critica idealistica, soprattutto negli sviluppi dell’attualismo» (Sugli scritti di Eugenio Colorni, in «Rivista critica di storia della filosofa né l’oggetto né il soggetto FS : né il soggetto né l’oggetto  il soggetto, a mano nel testo FS : l’uomo parte e FS : parte; e E. A capo in E. un estrarre dalla natura un certo numero di elementi regolari per usarli a loro vantaggio, FS : un “estrarre dalla natura un certo numero di elementi, regolarli per usarli a loro vantaggio”; E. 44 “un cedere FS : un “cedere E. 45 violenza”, e FS : violenza”. E E. 46 per contribuire al progresso dell’umanità FS : per raggiungere risultati utili e teorico FS : o teoretico sé FS : se E. 49 dedicherà secondo la sua attitudine ad FS : dedicherà, secondo le sue attitudini, ad E. Ma nella sua mente ricerca FS : Ma, nella sua mente, ricerca  dell’invenzione: dell’invenzione; E. Cinque scritti metodologici: difica in nulla il suo agire. Lo scienziato lavora insomma su qualche cosa che egli ha di fronte a sé e della quale sono elementi costituenti alcune “forme” e “categorie” che provengono dalla sua mente, incorniciano la realtà e gliela rendono comprensibile e afferrabile. Di queste forme o categorie egli ne considera alcune come appartenenti alla realtà, esistenti assolutamente al di fuori di sé. Quali sono? Sono quelle cui egli si sente necessariamente legato, di cui non può in alcun modo fare a meno, senza le quali gli sarebbe impossibile vedere e pensare. Kant ne ha elencato5 alcune: spazio, tempo, causalità, numero ecc. Egli ha riconosciuto sì che esse vengono imposte alle cose dallo spirito dell’uomo; ma col dare ad esse un carattere necessario ed a priori, ha ammonito gli uomini sulla impossibilità di uscire da esse. Infatti gli uomini comuni, senza preoccuparsi della loro provenienza e accontentandosi del fatto che di quelle categorie non si può fare a meno, le attribuiscono senz’altro alla realtà. Ma l’osservazione di Kant ha messo tutti sul chi vive; e la curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta sempre più intensa. Si può dire che la filosofia si sia scissa a questo proposito in due opposte direzioni, a seconda che l’ammonimento di Kant sia stato seguito o no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati60 hanno continuato a considerare le categorie come reali, e a lavorare in un mondo costruito sulla base di queste categorie, contentandosi a volte di mantenere nello sfondo l’ombra di un inconoscibile (Spencer, positivisti), oppure62 di acquisire coscienza della relatività dei loro sforzi, limitando63 il compito della scienza alla costruzione di ipotesi semplici e maneggevoli (Poincaré, pragmatisti). Su questa via essi hanno continuato ad ottenere un buon numero di successi, proseguendo quell’indagine e quello sfruttamento della natura che era cominciato con Galilei e Newton, e che consisteva nell’uso sistematico di quelle categorie che poi Kant elencò. Ma si ha già da qualche tempo l’impressione che il campo stia per esaurirsi e che non restino da fare in questa direzione se non scoperte particolari di importanza ristretta. I filosofi invece, insofferenti di qualsiasi dualismo o relativismo, e preoccupati di saldare l’unità del reale, preferiscono eliminare la tentazione del52 A capo in A capo in E. 54 impossibile FS : assolutamente impossibile E.  elencato FS : elencate E. spazio FS : Spazio E. numero ecc. FS : numero, ecc. E. A capo in E. filosofico FS : filosofico scientifico E. 60 no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati FS : no. (I) Fra quelli che l’hanno seguito (a) gli scienziati E. categorie, contentandosi FS : categorie; contentandosi  positivisti), oppure FS : positivisti); oppure E. sforzi, limitando FS : sforzi; limitando E. 64 Newton, e FS : Newton e  di FS : , di  I filosofi invece, FS : (b) I filosofi, invece, E. Eugenio Colorni 30 la “cosa in sé” col negarne addirittura l’esistenza; e attribuire realtà assoluta al pensiero nella sua forma universale68. In tal modo essi soddisfecero contemporaneamente all’esigenza Kantiana69 di non uscire dalle leggi del pensiero e al bisogno tipicamente filosofico di risolvere senza residui il problema della realtà; incuranti d’altronde se questo loro sistema li conducesse o no a un qualsiasi risultato apprezzabile che non si limitasse alla soddisfazione del loro bisogno di completezza. Coloro invece71 che “hanno disubbidito” sembrano a tutta prima disprezzare l’ammonimento di Kant e trascurare i limiti da lui posti: ma in realtà sono essi suoi figli molto più che gli ubbidienti. Quel limite, quella barriera appunto li ha eccitati ad andare al di là: ha indicato loro la direzione verso cui rivolgersi Cominciamo74 questa volta dai filosofi. a) - Il filosofo vuol gustare il frutto proibito. Ma egli sa oramai che non potrà mai raggiungerlo con le categorie, con75 le quali Kant gli ha indicato così chiaramente i limiti. Egli abbandona per sempre le illusioni della metafisica e della teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione; ed76 è alla continua ricerca di un altro strumento che gli permetta di raggiungere il suo scopo. Volontà, fede, intuizione, ispirazione: in una parola l’irrazionale è ciò cui egli si affida. Ad esso egli attribuisce tutte le possibilità che mancano alle categorie della ragione. Con esso egli afferma di poter aprire tutte le porte del palazzo. Ma che garanzie gli dà la nuova chiave? Semplicemente di non essere79 la vecchia. Ogni interpretazione irrazionalistica del mondo, là dove non consista in esplosioni di entusiasmo, è una polemica contro l’impotenza della ragione. Polemica spesso acuta e giusta, ma che non costituisce un motivo bastante per accettare come criterio definitivo tutto ciò che ragione non è. Le80 esplosioni d’entusiasmo81 , invece, sono a volte più interessanti e fruttifere. Esse ci permettono di penetrare, sia pure in modo confuso, nella costituzione interna di queste attività irrazionali; di conoscere un po’ meglio quali siano i loro procedimenti. Ciò che ha paralizzato però tale indagine e non le ha permesso di dare finora se non scar e FS : ed E. Evidente riferimento all’idealismo nei suoi diversi modelli. 69 Kantiana FS : kantiana E. 70 se FS : che E. 71 Coloro invece FS : (2) Coloro, invece, E. disubbidito” FS : disubbidito”, E. appunto FS : appunto, E. 74 Di seguito in E. 75 categorie, con FS : categorie delle E. 76 teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione; ed FS : teologia – cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione – ed E. 77 parola FS : parola, E. 78 A capo in E.  essere FS : esser E. A capo in E. d’entusiasmo FS : di entusiasmo E. Cinque scritti metodologici: 31 sissimi risultati,82 è che tali attività sono sempre state descritte appunto col presupposto e con l’esigenza di attribuire ad esse un valore assoluto, molto superiore a quello della ragione. Preconcetto il quale ha naturalmente deformato la descrizione ed ha impedito qualsiasi seria indagine sull’uso che di questi atteggiamenti si potrebbe eventualmente fare. Anche qui la fretta di chiudere il circolo e il bisogno filosofico di rinchiudersi in un edificio abitabile in tutte le sue parti ha impedito di compiere qualsiasi vero progresso. E le interpretazioni irrazionalistiche della realtà si sono succedute l’una all’altra senza condurre l’umanità ad alcuna conquista stabile. È questo un fenomeno che si ripete da secoli; ché la constatazione delle insufficienze della ragione e il tentativo di affidarsi ad attività irrazionali non data da Kant, ma è vecchio, si può dire, quanto la nostra civiltà. E la massa di esperienze che si è venuta raccogliendo è83, se non ordinata, pure imponente; e dà l’impressione di una grande miniera inesplorata85 in cui il materiale prezioso è unito con le scorie. Siamo qui ad uno stadio di evoluzione e di sfruttamento molto meno sviluppato che nel campo della ragione. Il materiale della ragione è stato esplorato a fondo, inventariato, ordinato dal pensiero greco e dalla scolastica. Con Galilei e Newton ha trovato il campo cui applicarsi, conducendo ai vastissimi risultati che conosciamo. Kant infine88 ne ha tracciato i limiti segnando insieme (forse un po’ in anticipo) l’esaurirsi della miniera dal89 quale esso traeva ricchezze. Il campo dell’irrazionale probabilmente comprende regioni infinitamente più vaste che quelle della ragione, contenenti materiale dal carattere più eterogeneo, atto agli usi più disparati. Il fatto solo che siamo abituati a classificarlo secondo la rubrica negativa del “non rientrare nella ragione” ci mostra lo stato disordinato delle nostre conoscenze al proposito. Ordinare questo mondo in modo che ci possa servire, analizzarlo con mente tranquilla e senza preconcetti entusiasmi od avversioni, liberarlo dal continuo incubo del confronto con la ragione ed infine tentare se alcuni dei dati così ottenuti ci possono90 servire come criterio per risolvere qualche problema, come chiave per aprire qualche porta: ecco il compito che s’impone oggi alla nostra indagine91 . Va92 da sé che i metodi da usarsi non saranno i medesimi che si sono usati per il mondo razionale: e che l’ordine ottenuto non assomiglierà neppure da lontano a quello che noi conosciamo nel campo logico-matematico. La parola 82 risultati, FS : risultati E. raccogliendo è, FS : raccogliendo, è, E. 84 imponente; FS : imponente: E. 85 inesplorata FS : inesplorata, E. 86 unito FS : misto E. 87 A capo in E. 88 Kant infine FS : Kant, infine, E. dal FS : dalla possono FS : possano Nietzsche», afferma Colorni in Critica filosofica e fisica teorica aveva indicato, con acredine iconoclasta, il cammino. Ci fu chi lo seguì col pacato distacco dell’indagatore, ove il riferimento è chiaramente al metodo psicoanalitico. Di seguito in E. Eugenio Colorni stessa “ordine” non vuole avere qui che un significato analogico. Si tratterà di attingere nel mondo stesso dell’irrazionale per trovare in esso dei punti intorno a cui quella materia possa coagularsi e offrirci dei punti di appiglio per essere da noi usata. Sarebbe assurdo e avventato dare qui direttive e indicazioni. La riuscita di questo lavoro dipenderà dalla fantasia e dal fiuto di chi lo compie, dalla sua capacità di servirsi liberamente di esperienze fatte in altri campi senza lasciarsene suggestionare, dalla mobilità e ricchezza della sua facoltà di combinazione. Il risultato massimo sarà di mettere l’umanità in possesso di una o più nuove chiavi capaci di scoprire nuove leggi del reale o, se preferite, di costruire nuovi sistemi di concordanze che si offrano al nostro uso e ci permettano di soddisfare alcuni nostri bisogni. b) - Lo scienziato che dalla messa a punto kantiana ha ricevuto l’impulso ad andare al di là delle categorie, non s’indugia però nella ricerca dell’irrazionale, che non offre, finora, alcuna presa ai suoi metodi. La sua mentalità è ancora imperniata completamente sul razionalismo logico-matematico, che ha permesso ai secoli scorsi di compiere le grandi scoperte di cui vive la nostra civiltà. Ed il superamento che egli vuol compiere non98 è un superamento di principio, trasportandosi di un salto in un mondo completamente diverso, ma graduale, volta a volta seguendo le esperienze che non sono giustificabili mediante le leggi finora conosciute. Egli non si domanda quale sia la realtà assoluta che si cela agli occhi degli uomini dietro il velo delle categorie; ma piuttosto come sia possibile apprendere e organizzare il materiale secondo categorie che siano diverse da quelle finora usate. In questo senso egli è molto meno realista che il del filosofo idealista o mistico o che lo dello scienziato positivista. E in questo senso si può quasi dire che egli porti una conferma sperimentale, se non alla necessità a priori delle categorie kantiane, almeno alla dottrina kantiana delle categorie. Lo scienziato di regola non ha letto Kant. dei FS : quei E.  campi senza FS : campi, senza E. concordanze FS : concordanza E. E. logico-matematico, che FS : logico-matematico che compiere non FS : compiere, non E.  di un FS: d’un E. e FS : ed E. che il del FS : che il E. 102 che lo dello FS : che lo E. Proprio in questo comune punto di arrivo», scrive Colorni in Critica filosofica e fisica teorica trattando delle diverse forme della filosofia e della epistemologia postkantiane, «in questa medesima esigenza, in questa eguale preoccupazione di raggiungere una base stabile cui si possa attribuire un valore obbiettivo, tali diversi modi di procedere riconoscono forse tra di sé quella parentela di premesse e di fini che permette loro di attribuirsi il nome comune di filosofia. La scienza, al contrario, e precisamente perché figlia della rivoluzione kantiana, rifiuterà al contrario di operare secondo il criterio delle affermazioni di verità per muoversi attraverso un procedimento di composizione e scomposizione della propria materia. sperimentale, se FS : sperimentale se E. 105 Kantiane FS : kantiane E. Kantiana FS : kantiana E. Cinque scritti metodologici. Ma l’atmosfera diffusa del Kantismo e la nozione stessa della categoricità del reale gli suggeriscono di porsi, di fronte ad una nuova esperienza inspiegabile, nell’atteggiamento di colui che attribuisce tale inesplicabilità alla violenza che le categorie tradizionali operano sulla ricerca organizzando ogni dato secondo le loro forme. Dal quale atteggiamento deriva direttamente il tentativo di modificare le categorie e provarle di nuovo, così modificate, sul metro della interpretazione scientifica. Modificare, ho detto, non abolire. Qui si mostra la modestia dello scienziato, il suo voler provare una dopo l’altra le chiavi, il suo volontario limitare il proprio orizzonte. Da quando egli si è accorto di usare delle categorie nella formulazione delle sue leggi, è continuamente tentato di provare che cosa avverrebbe se queste categorie fossero fatte altrimenti. Come si comporterebbero i fenomeni in uno spazio che non sia quello euclideo? Materia, energia, sostanza, causalità. Che aspetto avrebbe un mondo in cui queste categorie si presentassero con caratteri diversi da quelli che hanno finora avuto? L’elemento a priori del reale, divenuto cosciente nell’uomo, comincia ad eseguire un gioco di spostamenti, di retrocessioni, di modificazioni tale da trasformare completamente l’immagine della realtà sulla quale gli uomini lavorano: come un obbiettivo che abbia imparato ad aprirsi e a chiudersi, a mettersi a fuoco a seconda delle esigenze dell’oggetto da ritrarsi. E se da un lato si può dire che questo accomodamento delle categorie viene imposta dalle modalità della ricerca scientifica, cioè dalle esperienze e dalle osservazioni che non è possibile far rientrare nelle categorie finora usate (cioè quelle dell’universo newtoniano), d’altro lato è avvenuto forse che gli scienziati, tratti dalla vaga sensazione di essere sul punto di crearsi nuovi strumenti per l’apprensione del reale, fossero attratti appunto da quelle esperienze che dei nuovi strumenti potessero aver bisogno. L’esperienza non è mai evidentemente qualche cosa di puramente passivo, e vi è sempre un motivo perché lo sperimentatore raccolga la sua attenzione su di un fatto piuttosto che su di un altro108. Comunque se la conformazione delle singole categorie è stata fortemente modificata dalla scienza moderna, non è stata modificata, anzi è stata rafforzata la coscienza della categoricità del reale. Il filosofo può giungere con ragione alla conclusione che le nuove teorie fisiche non hanno intaccato la concezione Kantiana del mondo. Noi diremmo che esse hanno tratto da quella concezione le uniche conseguenze che aprono alla mente umana nuove indefinite prospettive di ricerca. Le quali non consistono in una vaga e problematica evasione dalle categorie, ma in una tranquilla accettazione del fatto che non è possibile prescindere da una “categoricità”. Accettazione che permetta però la continua revisione delle esistenti. Kantismo e la nozione stessa FS : kantismo e la nozione stessa E. Da questo punto comincia la conclusione assente nelle precedenti edizioni del testo. 108 Sulla revisione colorniana del concetto di esperienza, cfr. supra § 3. 109 Colorni non si astiene mai dal sottolineare, nei suoi scritti metodologici, «quanto vantaggio derivi alla scienza stessa dall’eliminazione del suo substrato metafisico-finalistico» (E. Colorni, Del finalismo nelle scienze, pp. Cfr. p.e. Id., Critica filosofica e fisica teorica. Non c’è miglior propaganda per un nuovo atteggiamento intellettuale e morale che il fatto che esso si dimostri una chiave capace di aprire molte porte nel campo della scienza e della conoscenza». Eugenio Colorni 34 categorie; cioè di quelle categorie dalle quali la mente umana al suo stato attuale non può prescindere. Non è forse inutile precisare che tale revisione non ha nulla a che fare con quelle discussioni sulle classificazioni delle categorie di cui i filosofi così spesso si dilettano. Non si tratta affatto di discutere se le categorie siano dodici o dieci, o quattro o una. Se il “finalismo” costituisca una categoria a sé o rientri in un’altra. Se l’“economico” e l’“estetico” siano modi autonomi o meno di considerare le cose. Non si tratta di organizzare le forme conosciute del pensiero, e accordarsi su quali si debbano considerare originarie, quali derivate. Il lavoro da compiersi è molto più profondo e creativo. Si tratta di dare allo spirito umano la possibilità di vedere le cose in modo completamente diverso da quello usato finora; di fornirlo di un nuovo senso, mediante il quale egli possa scoprire cose finora sconosciute, risolvere problemi finora insolubili. L’atteggiamento “critico” in senso Kantiano si mostra così come l’ultima fase di tutta un’epoca e di un modo di prendere contatto col reale. La scienza messa nella possibilità di prendere piena coscienza non solo dei propri metodi, ma delle premesse necessarie di ogni sua costruzione, riceve da ciò l’impulso a superare tale necessità ed a crearsi premesse nuove. Il lavoro che qui compie lo spirito non ha solo i caratteri di una ricerca intellettuale. Ne fanno parte alcuni atteggiamenti che possiamo raccogliere sotto il nome generico di morale. Si tratta di uno sforzo violento contro un modo di considerare le cose cui tutto ci tiene legati, di tendenze alla liberazione, di salti fuori dal mondo cui si apparteneva. Si cerca di rifarsi una “nuova mentalità”, di vedere le cose con occhi diversi, di ritornare semplici, di rifiutare le costruzioni già fatte. Ci si affida alla fantasia, all’invenzione, all’intuizione, per immaginarsi mondi diversi da quello che siamo abituati a vedere. Tutti questi movimenti di conversione dello spirito, che siamo abituati [ad] attribuire al mistico o all’uomo desideroso di purificazioni o di visio. È questo il tema affrontato fra l’altro nel dialogo di Commodo dedicato a Dell’antropomorfismo nelle scienze, là dove Colorni, stabilendo la necessità di rovesciare l’umana tendenza a ricreare una natura fatta a propria immagine e somiglianza, distingue due differenti forme di antropomorfismo, a seconda che si sia o meno consapevoli – e si sappia quindi controllarne i risultati – della nostra impossibilità di prescindere dalla “categoricità del reale”: il primo antropomorfismo è «una constatazione, o meglio una necessità, dalla quale non siamo riusciti a uscire, l’altro è invece una esigenza. Ora io odio le esigenze. Non ho nemmeno alcun motivo di amare le necessità, ma da queste non vedo alcun modo per liberarci, se non illusoriamente. Evidente riferimento allo storicismo crociano, su cui Si mostra qui, in tutta la sua originalità, il senso più profondo che Colorni attribuisce al kantismo all’interno della storia del pensiero filosofico e scientifico della modernità. E. Colorni, Critica filosofica e fisica teorica (p. 206), ove si sottolinea il carattere essenzialmente morale che caratterizza il primo impulso alla scoperta scientifica: «alla base di ogni grande scoperta, di ogni rivoluzione nel campo della scienza, c’è una conquista morale; l’abbattimento di un idolo saldamente insediato e abbarbicato fra le pieghe della nostra anima, di cui è estremamente difficile accorgersi, estremamente doloroso liberarsi; idolo fatto per lo più di un cieco ed infantile amore per noi stessi, di un bisogno di sentirsi circondati da forze a noi congeniali, di veder ripetuto nell’universo, nella realtà oggettiva, ciò che sperimentiamo nel nostro intimo». Cinque scritti metodologici: 35 ni, non devono essere stati estranei a chi si è sforzato per il primo di immaginare la terra rotonda anziché piana, o il sole immobile e non la terra in mezzo ai pianeti, o lo spazio a quattro e non a tre dimensioni. Solamente che mentre il mistico suole descrivere molto accuratamente il processo della conversione, ma si ferma solo ad esso e non ci dà alcuna garanzia quando comincia a parlare di ciò che egli trova “al di là”, lo scienziato invece compie la conversione silenziosamente, spesso quasi inconsciamente; ma giunto al di à, cioè al nuovo punto di vista, è sollecito ad occuparsi solo di ciò che sia non dico vero in senso assoluto, ma usabile, cioè organizzabile in un ordine, in una legge. E per giungere a ciò escogita esperimenti e controlli che gli diano la garanzia di camminare su un terreno sicuro, sul quale sia possibile ai suoi strumenti di far presa. L’“al di là” non è affatto una negazione del di qua, non è un assoluto privo di categoria. È un mondo di nuove categorie che pretendono di essere più vaste, di comprendere in sé anche le vecchie. Rotondo anziché piano, meccanismo anziché finalismo, probabilità statistica anziché determinazione causale. La validità delle nuove chiavi è determinata dal loro uso, cioè dalla maggiore o minore possibilità che esse offrano di spiegare fenomeni, di risolvere problemi, di formulare leggi. La maggiore difficoltà consiste nell’abituarsi al nuovo modo di vedere. Non esiste neppure un vocabolario che permetta di esprimere le cose nei termini delle nuove categorie, e si è comunemente costretti a ricorrere a metafore tratte dal mondo vecchio. Gran parte del lavoro, nei primi tempi, consiste nell’escogitare una formula di trasformazione che permetta di passare agevolmente dai termini delle vecchie categorie a quelli delle nuove. Come le leggi della prospettiva mi permettono di rappresentare su un piano ciò che ha un volume nello spazio, così le “trasformazioni di Lorentz” mi permettono di usare gli strumenti a mia disposizione (calcolo, misura, ecc.) nello spazio normale, per il nuovo spazio einsteniano; analogamente la psicanalisi tenta di tra Il dominio della natura è divenuto così il prezzo dell’incredulità. È come se la grazia venisse a toccare proprio colui che ha cessato di sperarla. Il coraggio di riconoscersi abbandonato da Dio, di rinunciare ad essere il centro e lo scopo dell’universo, apre immediatamente l’occhio agli uomini, li arricchisce d’un immenso patrimonio. A bella posta abbiamo espresso queste cose in un linguaggio mistico. Quando Kant parla di rivoluzioni dovute all’ardimento di un sol uomo, di illuminazioni subitanee, di vie improvvisamente aperte a chi brancolava alla cieca, c’è in lui sicuramente la coscienza che una vera grande conquista conoscitiva è sempre frutto – più che di uno sforzo logico o di uno sviluppo dialettico – di un capovolgimento affettivo e morale; di una inversione di valori, di una vittoria conquistata contro se stessi e contro ciò cui con più profondi e tenaci ed inconsci vincoli siamo legati. Chi compie per primo un capovolgimento deve anzitutto combattere nel suo intimo una lotta non molto diversa da quella che combatte l’uomo che voglia raggiungere lo stato di perfetta passività ed umiltà di fronte al suo dio. Molinos diceva che non bisogna chiedere nulla a Dio, neppure la propria salvazione. Lo scienziato deve pure rinunziare all’idolo di una natura che parli il suo medesimo linguaggio, di un mondo organizzato in vista dei suoi bisogni e dei suoi organi. Solo questa assoluta vuotezza e purità, questa mancanza di anticipazione gli permetterà di aprire gli occhi su se stesso e sul mondo». L’osservazione rientra pienamente nell’antirealismo della metodologia colorniana. D’altra parte, risulta di particolare interesse il tentativo di delineare le caratteristiche che dovrebbero assumere le nuove categorie rispetto a quelle che volta per volta si vanno ad abbandonare. Eugenio Colorni sformare in termini della coscienza ciò che è inconscio. Mediante tali trasformazioni si aiutano anche gli altri uomini a trasportarsi sul nuovo piano; si forniscono loro, per così dire, gli occhiali che permettono di vedere con la nuova illuminazione, finché non si sarà tanto avvezzi da poter fare a meno di occhiali, ed usare un linguaggio diretto. Ma il linguaggio appunto serba sempre le tracce di ciò, e le etimologie documentano spesso tali mutamenti di registro. Tale è, presso a poco, lo stato delle cose attualmente. Si veda, fra i riferimenti colorniani alla psicoanalisi e a mero titolo di esempio, quanto è dall’autore affermato nel dialogo intitolato Della lettura dei filosofi. La psicanalisi è una scienza ad uno stadio che corrisponde circa a quello dell’astronomia prima di Copernico, e dell’alchimia prima della chimica. Ha individuato in modo vago, mitico, pieno di pregiudizi e di troppo rapide generalizzazioni, delle relazioni e dei rapporti finora inosservati. Ha abbozzato una parvenza di metodo di ricerca: metodo talmente incerto e malsicuro che il più delle volte conduce a risultati opposti a quelli che si volevano ottenere. Ma insomma, si muove in un campo completamente sconosciuto, e il materiale che sta portando alla luce è di un tale interesse, che il rifiutarlo solo perché non è stato ancora capace di organizzarsi secondo gli aurei schemi del metodo scientifico mi sembra il colmo del filisteismo professorale». L’accenno alla possibilità di una condurre una vera e propria analisi categoriale attraverso lo studio del linguaggio è forse uno degli aspetti più interessanti ed originali di queste pagine Cinque scritti metodologici Commodo a Ritroso Vedo che non sei sazio di facili vittorie. Se il tuo scopo era di dimostrare che tu sai l’economia e io no, l’hai raggiunto pienamente, a tua perenne gloria e soddisfazione. Ma se io volessi ritorcere le tue intimazioni sulla mia abilità nelle scienze di cui mi occupo, ti direi che, con tutta la tua bravura, non sei stato neppure capace di chiarire il mio dubbio. Non te lo dico, perché sono sicuro che ci saresti riuscito facilmente, solo che ti fossi occupato di capire attraverso gli sbagli e le imprecisioni, quello che ho cercato di dire, anziché limitarti a sfogare a tua rabbia. Se un dilettante o un principiante di teoria della scienza mi viene a parlare di corpo rigido in un senso errato e diverso da quello usato dai fisici, io cerco di capire quale concetto egli cerchi di adombrare dietro al termine improprio; e mi guardo dal cedere alla meschina soddisfazione di prenderlo in castagna ad ogni parola. Il fare così, con tua buona pace, si chiama in italiano pignoleria. Io non voglio prendere sul serio questo tuo modo di discutere che è probabilmente solo una reazione alla mia aggressività, e il riflesso di arrabbiature prese non in questa ma in altre discussioni. E non ho ancora perso la speranza di trovare in te un esperto ed aperto iniziatore ai problemi dell’economia, anziché un geloso e gretto sacerdote del tempio della scienza. Questo metodo, hai ragione, è supremamente irritante e presuntuoso; ma a me è molto utile, perché mi permette, fra l’altro, di appropriarmi i concetti fondamentali con maggiore consapevolezza, senza subirli, e mantenendo rispetto alle scienze quel certo distacco che è pur necessario al critico e al metodologo. Una nozione si forma molto più salda nella mia mente, quando ha resistito vittoriosamente ai miei ripetuti attacchi, che quando l’ho dovuta imparare dalle pagine di un manuale. 1 FS, sez. 1, Carte personali, serie 2, Documenti diversi, b. 3, Inediti di Eugenio Colorni. Per la storia di questo scritto in relazione agli altri dialoghi economici colorniani, si rinvia alla Nota del curatore. Così si rivolge Commodo a Ritroso in E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Mi pare che tu sia un po’ troppo attaccato, o Ritroso, alle prerogative professionali. Sei proprio sicuro che l’aver frequentato una scuola ufficiale e aver letto molti trattati, e avere una lunga consuetudine coi ferri del mestiere, sia una condizione assolutamente necessaria per capire qualche cosa dei principî fondamentali di una scienza? Non vi è mai capitato di dover dire a una persona una di quelle cose scottanti, dopo le quali non si ha più il coraggio di guardarsi negli occhi? Ebbene, se voi scegliete il partito di prenderlo in disparte con tono mansueto e fraterno, mostrandogli comprensione ed affetto, e lo consolerete, e cercherete di addolcirgli in tutti i modi la pillola; se farete questo, siete dei volgari istrioni, innamorati di voi stessi, infatuati della vostra funzione, incapaci di comprendere e di amare l’amico. Voi vorreste assestargli il colpo che darà inizio per lui a una dolorosa lotta contro se medesimo, e in più avere la sua gratitudine, la sua ammirazione. Vorreste, nel momento in cui egli si sente basso e spregevole, apparirgli voi come l’arcangelo liberatore, il puro, il disinteressato, l’immacolato. Se vi prende a calci, è il meno che possa fare. Ditegli invece le medesime cose in un accesso di rabbia, in una lite violenta, in cui voi avrete almeno altrettanto torto quanto lui. Buttategli in faccia queste verità come veleno che schizzi dalla vostra lingua; dategli un appiglio per difendersi, un’occasione di odiarvi, di considerare tutto ciò che gli dite come falso e malvagio. Il vostro  Eugenio Colorni Non so se questo possa servire agli occhi tuoi da giustificazione. Non credere che questo metodo sia in me qualche cosa di cosciente e di voluto. Me ne accorgo oggi per la prima volta, cercando di analizzare perché le tue accuse mi colpiscono e insieme non mi colpiscono. Delle tue osservazioni incasso senz’altro la lezione sulla matematica; io non avevo avuto altra intenzione che di riinventare per conto mio quell’ombrello; e naturalmente l’ho inventato più brutto, più goffo e confuso di quello che c’è già. Il solo punto che non mi è ancora chiaro è quello indicato nell’accluso foglietto. Mi basta che tu risponda a monosillabi e credo che non ci perderai più di un quarto d’ora. PALINODIA COMMODO A RITROSO Da principio mi sono preso una solenne arrabbiatura, e ti avevo già risposto una lettera piena d’insolenze. Poi, nel rileggere tutto insieme a mente più calma, ho visto che in fin dei conti hai tutte le ragioni. Ma, poiché le tue accuse mi toccano solo in un certo speciale modo, vorrei spiegarti quanto segue a puro titolo di chiarimento personale: Da uno che si avvicina ad una scienza che non conosce è giusto di pretendere che lo faccia “con le ginocchia della mente inchine” pronto ad apprendere anziché a criticare. Gli s’impone, e ben a ragione, un lungo e silenzioso noviziato, solo finito il quale gli si potrà accordare voce in capitolo. Tutto questo è giusto (e lo dico senza la minima ironia). Ma il risultato è che un uomo, di solito, di questi noviziati ne fa uno solo, e vi resta legato per tutta la vita. Si specializza in una materia, e da essa non esce, salvo che per excursus curiosi e dilettanteschi. Ora a me questo non è concesso, giacché i miei interessi più specifici si rivolgono alla metodologia delle scienze. E dato che mi farebbe schifo risolvere il mio problema dall’alto, escogitando un paio di criteri filosofici e applicandoli poi come chiavi capaci di aprire tutte le porte6 ; sono costretto ad avvicinarmi a insegnamento allora penetrerà nel suo cuore in modo umano, lieve, benefico. Egli sarà libero di accoglierlo come cosa sua, e avrà modo di stimare se stesso per non avervi serbato rancore. Nella sua accettazione ci sarà il senso di fare una conquista, di costruire qualche cosa. Non vi temerà. Che sia questo il senso del mito di Nereo, l’indovino col quale bisognava azzuffarsi perché si decidesse a profetare?». Su questa immagine del mito di Nereo, rinvio ad A. Cavaglion, «Il mio poeta». Colorni, Saba e la psicoanalisi, in G. Cerchiai e G. Rota, Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le due guerre, Cfr. quanto spiegato nella Nota del curatore. Citazione a senso da Vergine bella, che di sol vestita, dal Canzoniere di Petrarca (CCCLXVI, v. 63). E. Colorni, Giustificazione, Colorni disprezza coloro che chiamano filosofia l’aver trovato una formula per interpretare il mondo. La metafora della chiave è spesso utilizzata da Colorni per indicare precisamente l’errore di scambiare la ricerca filosofico-scientifica con la scoperta di un criterio esplicativo unico ed onnicomprensivo. Su tale metafora cfr. anche Programma. ciascuna scienza, non per esserne genericamente informato, ma con l’impegno di osservarne con occhio critico gli interni meccanismi e cavarne conclusioni non genericamente filosofiche, ma che possono aiutare il procedere della scienza stessa. Se voglio far questo è chiaro che non posso pretendere di sfuggire al noviziato più severo, in ciascuna delle scienze cui mi avvicino. E non mi sogno di sfuggirvi. Posso però cercare di rendermelo più piacevole. Il metodo che, inconsciamente, ho trovato, è questo: Anziché accostarmi a grossi trattati con fare accogliente e passivo, pronto ad imparare e ad adagiarmi nell’ordine della loro esposizione, io parto con la lancia in resta, pieno di idee sballate e confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo, ed inventando ombrelli, desideroso di scontri e di battaglie. Da ogni scontro esco ammaccato e contuso (come da questo con te) ma con un’idea più chiara. Ogni knoch out subito mi fa fare un passo avanti nella comprensione della scienza. Così non evito naturalmente, lo studio; e della lettura dei trattati non posso certo fare a meno: ma mi riesce più piacevole leggerli come appassionati combattenti, piuttosto che come amorosi pedagoghi. A patto, s’intende, di non impuntarsi mai, e di essere pronto a riconoscere la sconfitta. Laboratorio dell’ISPF. Geri Cerchiai ISPF-CNR, Milano. Laboratorio dell’ISPF. Saggi di Colorni conservati presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi. In essi Colorni espone alcuni dei punti chiave della propria metodologia, delineando una proposta epistemologica destinata ad essere riscoperta e apprezzata dopo la caduta del regime fascista, nel secondo dopoguerra.  Carlo Rosenberg. ‘G. Rosenberg’. ‘Agostini’. ‘Franco Tanzi’. Eugenio Colorni. Parole chiave: diadologia, il concetto dell’individuo, l’idealismo filosofico como malatia, indice alla malatia metafisica, scritti filosofici curati da Bobbio, scienza unificata, ebreo-italiano, ebreo-britannico Ayer, circolo di Vienna, Reichenbach, Hilbert, Eddington. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colorni” – The Swimming-Pool Library.

 

CONTE (Pavia). Filosofo. Grice: “Must say I love Conte – he  has almost the same talent for linguistic coinage that I do! In Italy ‘filosofia del diritto’ is much more respectable a discipline that it is at Oxford! But Conte managed to keep it philosophically interesting for the philosopher’s philosopher that I am!” “Conte proves that moral philosophy is at the heart of philosopohy qua-uni-virtue – for the critique of reason must include the buletic – and that’s all that Conte dedicates his philosophy too! Into the bargain, he expands into concepts like sacrifice, punishment, ‘fiducia’ (my principle of conversational trust), and so much more!” “He plays with language the way only Heidegger did in German and I in English!” --  -- Grice: “Conte is what I – and Italians – would call a ‘Griceian conversationali pragmaticist.’” Studia a Pavia e Padova. Si laurea a Torino sotto Bobbio con “Ius naturale.” Insegna a Pavia. Si occupa della semiotica del performativo deontico o buletico, la regola eidetico-costitutive, validità buletica – desirabilita -- deontica, modo imperativo, prammatica conversazionale – alla Grice. In che cosa consiste quell’’impero’, dal quale il modo imperativo prende il nome. Altre opere: “Interpretazione analogica. Pavia, Tipografia del Libro, “Ius ed ordine” (Torino, Giappichelli). Primi argomenti per una critica del normativismo. Pavia, Tipografia del Libro, Ricerca d'un paradosso deontico” (Pavia, Tipografia del Libro); Nove studi sul linguaggio normativo. Torino, Giappichelli); Filosofia del linguaggio normativo. I. Studi; Torino, Giappichelli, Filosofia del linguaggio normativo. II. Studi; Con una nota di Bobbio. Torino, Giappichelli); Imperativo ed ordine. Studi Torino, Giappichelli); Filosofia del linguaggio normativo. III. Studi, Torino, Giappichelli); Filosofia del diritto” (Milano, Cortina); Ricerche di Filosofia del diritto” Torino, Giappichelli); “Res ex nomine” (Napoli, Editoriale Scientifica); “Sociologia filosofica del diritto. Torino, Giappichelli); “Adelaster. Il nome del vero” (Milano, LED). È inventore del genere da lui chiamato "eido-gramma" ed autore di numerosi eidogrammi, solo parzialmente éditi:  Nella parola. Osnago, Pulcino elefante, Kenningar. Bari, Adriatica. "Per una critica della ragione deontica" (introduzione alla Filosofia del linguaggio normativo).  Pragmatica. Filosofia del diritto Logica deontica Ontologia Performativo (atto verbale) Pragmatica Semiotica Semantica. Grice: “Conte quotes from Aristotle’s Soph. El. On the ‘homonimia’ of deon’ – “sometimes for the good, but sometimes for the bad.” Conte distinguishes between semantic ambiguity – surely ‘must’ or the imperative mode does not have TWO senses – and ambivalenza prammatica. Since Aristotle is refusing to use Frege’s idea of ‘Sinn’, and keep referring to ‘semeion’ (Latin segnare) rather, we may well conclude that Aristotle is just Greek Grice. Conte does not dwell much on the imperative mode. Modo imperativo is qualified. Modo is qualified as being modo verbale – the mode of the verb impero. But then the future in French has a ‘valore imperativo.’ Conte is more interested in the ‘must.’ But surely his quoting from Philippa Foot and his joint work with von Wright into Kant’s hypo versus cate is very Griceian! On top, Conte has a taste for local historical analysis and has discovered some gems in some jurisprudential philosophers of his ‘paese’!”  Amedeo Giovanni Conte. Keywords: the sorry story of deontic logic, fondatore della logica deontica al Ghislieri di Pavia, il giuridico, giudicare, giuridicare, impiego, employ (as noun), employ-ment, empiegamento, Conte e Wright – Wright cited by Grice, alethic --. Wright on change cited by Grice in “Actions and Events”, Mario Casotti, Volere, Grice, Volere --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conte” – The Swimming-Pool Library.

 

CONTESTABILE (Teano). Filosofo. Grice: “I love Contestabile; I love a philosopher with a sense of humour! At Oxford, it has become increasingly difficult to laugh at people’s surnames! But ‘grice’ means ‘pig,’ in Norwegian! – Anyway, Contestabile contests a revisionist account of Bruno’s life – “surely he wasn’t a coward – I know because of his links with the Campanella whom my family supported in his fight against the furriners!” Cacciato con una telefonata» Intervista di Dino Martirano, Corriere della sera. Con il Psi non ho ricoperto grandi incarichi ma ho avuto l'onore di essere stato amico di Craxi. Mi mancherà la politica ma non è una tragedia. Torno ai miei studi, alla filosofia medioevale. Mi mancheranno certi momenti. Io, che ero stato nel Psi fin quando nel '92 la procura della Repubblica lo ha sciolto, ricordo bene i mesi trascorsi al ministero della Giustizia: col ministro Biondi fummo i protagonisti del tentativo fallito, però generoso, di riportare la giustizia sui binari della normalità. Sciolto il partito [Psi], chi si è fatto maomettano, chi ebreo, chi cattolico. Però sempre socialisti siamo rimasti. Domenico Contestabile avvocato e politico italiano Lingua Segui Modifica Domenico Contestabile Sottosegretario di Stato del Ministero della Giustizia Durata mandato10 maggio 1994 – 17 gennaio 1995 PresidenteSilvio Berlusconi PredecessoreVincenzo Sorice SuccessoreAntonino Mirone Vicepresidente del Senato della Repubblica Durata mandato                                              16 maggio 1996 – 29 maggio 2001 PresidenteNicola Mancino Senatore della Repubblica Italiana LegislatureXII, XIII, XIV Gruppo parlamentareForza Italia CircoscrizioneLombardia CollegioCinisello Balsamo, Vigevano Incarichi parlamentari Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia Sito istituzionale Dati generali Partito politicoFI Titolo di studioLaurea in giurisprudenza Professioneavvocato Domenico Contestabile (Teano, 11 agosto 1937) è un avvocato e politico italiano.  BiografiaModifica Laureato in giurisprudenza, esercita la professione di avvocato. Entra in politica iscrivendosi al Partito Socialista Italiano (partito a cui è appartenuto fino agli eventi che hanno travolto tale formazione politica)[1]. In seguito aderisce a Forza Italia, affermando che in tale movimento politico l'area socialista era ben accolta e rappresentata[2]. Viene eletto senatore per la prima volta nel 1994 ed è rieletto anche nelle due successive legislature. Dal 16 maggio 1996 al 29 maggio 2001 è stato vicepresidente del Senato[3]  Incarichi parlamentariModifica Ha fatto parte delle seguenti commissioni parlamentari: Affari costituzionali e giustizia; Difesa. Membro, inoltre, della giunta per le elezioni e immunità parlamentari.  Sottosegretario di StatoModifica È stato sottosegretario di Stato per la Grazia e giustizia nel primo governo di Silvio Berlusconi (dal 13 maggio 1994 al 16 gennaio 1995).  NoteModifica ^ Tutti i figli e i figliastri del garofano[collegamento interrotto], su qn.quotidiano.net. ^ Adnkronos - Psi: Contestabile a De Michelis, noi stiamo bene in FI ^ Senato - XIII legislatura Voci correlate           Modifica Governo Berlusconi I Partito Socialista Italiano Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Domenico Contestabile Collegamenti esterniModifica Domenico Contestabile, su Senato.it - XII legislatura, Parlamento italiano. Domenico Contestabile, su Senato.it - XIII legislatura, Parlamento italiano. Domenico Contestabile, su Senato.it - XIV legislatura, Parlamento italiano. Biografie Portale Biografie Politica Portale Politica Socialismo Portale Socialismo Ultima modifica 3 anni fa di InternetArchiveBot PAGINE CORRELATE Fabrizio Cicchitto politico italiano  Giulio Maceratini politico e avvocato italiano  Gaetano Scamarcio politico italiano   Il contenuto è disponibile in base alla licenza CC BY-SA 3.0, se non diversamente specificato. Altre opere: Bruno: una revisione contestata” – La storia della filosofia è continua revisione, e non mi scandalizzo per il revisionismo bruniano. Mi sembra però che questi non colga nel segno. La vita diBruno, dalla fuga da S. Domenico Maggiore a Napoli fino al rogo di Campo dei Fiori a Roma, è di singolare coerenza. Fu una vita “contro”. L’accusa implicita di opportunism mi sembra perciò singolare. E’ vero che, durante il processo, ritratta molte sue tesi, e avrebbe avuto salva la vita se avesse continuato in questo atteggiamento. Alla fine però si stanca, e scelse lucidamente di morire.  E’ opportunista chi cerca solo di salvare la pelle, e poi decide di morire perché ritiene che il suoi giudice ha esagerato? In quanto alla tesi sul Bruno spia elisabettiana, essa non è, a mio giudizio, provata, anzi è smentita dalla comparazione tra la grafia di Bruno e quella dei biglietti di spionaggio. Infine, la tesi a proposito della relazione tra Campanella e Bruno non mi ha mai convinto. Campanella (la sua rivolta e finanziata dalla nobile famiglia Contestabile, come ricorda Firpo nel suo ottimo saggio sul processo a Campanella) vuole poi un regime “comunista”? A leggere “La città del sole” non si direbbe. Domenico Contestabile. Keywords: nobilita italiana, la famiglia Contestabile financia la rivolta di Campanella -- filosofia medioevale, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contestabile” – The Swimming-Pool Library.

 

CONTI (Roma). Filosofo. Grice: “Conti is a good one – he reminds me of Bosanquet and Pater – the decadents in Italy came AFTER them at Oxford! Conti philosophised on many aesthetic subjects, such as man, masculinity, and maleness --!” Di una famiglia originaria di Arpino, dove frequenta il locale liceo. Si ccupa di filosofia estetica. D'Annunzio lo cita nel “Giovanni episcopo” e si ispira a lui per ‘Daniele Glauro’ in “Il fuoco”. Insegna a Firenze presso la Galleria degli Uffizi ed a Venezia presso l'Accademia di Belle Arti. Saggio: “Zorzi; o Giorgione – l’estetica di Zorzi” -- Tornato a Firenze, “La beata riva”, raccolta di saggi che delineavano la sua concezione critica ed estetica, ispirata dichiaratamente a Platone, Kant e Schopenhauer. La prefazione fu curata d’Annunzio, il quale scrive di stimare molto Conti e di ammirare il suo “ascetismo” estetico.  Direttore delle Antichità di Roma. Direttore della Reggia di Capodimonte a Napoli. Si ispirò alla poetica del filosofo oxoniese Pater e Ruskin.  Altre opere: “Giorgione, Firenze, F.lli Alinari, “Catalogo raggionato delle regie gallerie di Venezia, Venezia, Tip. L. Merlo); La beata riva, Milano, F.lli Treves); Sul fiume del tempo, Napoli, R. Ricciardi); “Dopo il canto delle Sirene, Napoli, R. Ricciardi); Domenico Morelli, Napoli, Edizioni d'arte Renzo Ruggiero); “San Francesco, con un saggio di Giovanni Papini, Firenze, Vallecchi); “Virgilio dolcissimo padre, Napoli, R. Ricciardi). Praz nota che Parodi era solito leggere La beata riva di Conti prima di addormentarsi; quando morì, la lettura non era stata ancora terminata.  Dizionario Biografico degli Italiani, Forme del tragico nel teatro italiano. Modelli della tradizione e riscritture originali,Romantici, vittoriani, decadenti – filosofo decadente – decadentismo -- e museo dannunziano, in Bellezza e bizzarria – il bello e il bizzarro., Croce, La letteratura della nuova Italia, Marcello Carlino. A. Conti, Due conviti di Mattia Preti, Bollettino d'Arte.  Io vengo dal mare di Napoli e sono tornato qui a rivedere la primavera. Non c'è nessuna altra città in cui, come in questa, il rifiorire degli alberi e delle siepi si accordi con la giovinezza delle opere del genio umano, nessuna ove, come qui, la Primavera sembri rimanere per un istante velata, per poi riapparire pili fulgida e piìi lieta, al ritorno dei venti che spirano dalle colline e recano i nuovi fiori. Sono anche giunto fra voi, per parlarvi della pittura di Leonardo. Ma il mio compito, dopo la lettura deirillustre scrittore francese che m' ha preceduto, sarebbe oggi, non dico diffìcile, ma quasi vano, se le mie idee fossero affini alle sue ed egli fosse vicino al mio pensiero come io sono vicino al suo aff'etto per questa nobile terra toscana, ove l'arte ha continuato la grazia gentile e la pura bellezza della natura. Diversità di pensare e anche d'immaginare mi rendono oggi possibile esprimere qualche cosa a voi forse non detta, e combattere qualche affermazione troppo lontana dalla mia sicura fede. Leonardo è il discepolo del Vermocchio. Ora, che cosa poteva egli apprendere dal suo grande maestro? Non cer- 84 Angelo Conti, Leonardo pittore tamente l'arte, la quale non si apprende e non si insegna. Quale uomo, che sappia che cosa è l'arte, potrà mai pensare alla possibilità di creare con l'insegnamento un pittore, un musicista, un poeta? La natura sola genera gli artisti, e l'uomo al pili può aiutarli a trovare i mezzi d'esprimere la parola ch'essi son destinati a pronunziare nel mondo. Il maestro, al discepolo suo, nato artista, può dire : " Il tuo cuore è impaziente d'indugi, tu sei nato per il canto o per la espressione plastica o per la espressione mediante il colore della tua gioia o della tua amarezza; guarda, ecco il dizionario che contiene le parole di ogni umano discorso, ecco la tavolozza sulla quale io appresi a mescolare i colori che imitano la bellezza del cielo, della terra e del mare ; ecco in qual modo si modella la creta, affinchè dall'informe materia apparisca viva dinanzi a noi l' immagine dell'uomo. Questi sono i mezzi, che io ti posso indicare; ma il discorso, il canto, il soffio debbono essere tuoi, né io te li posso insegnare „. Ogni opera d'arte è, rispetto alle opere precedenti, una cosa diversa e nuova, nella quale, se pure sono entrati, alcuni elementi precedenti e preesistenti, hanno mutato natura, si sono trasformati in parti di quel tutto inatteso e prodigioso che si chiama la creazione artistica. Chi non sa che in Leonardo appare un' immagine del sorriso che si mostra appena accennato sulle labbra del giovinetto Davide del Verrocchio? Si, appare, ma è un riHesso che illumina un altro mondo ; poiché questo riso, ricomparendo dalle labbra dell'eroe adolescente sul viso e negli occhi della Gioconda, diviene il mistero della seduzione femminile, una grazia insidiosa e un periglio, un'armonia che nasce dal- Angelo Conti, Leonardo pittore 85 l'espressione d'iin volto, si diffonde verso il paese lontano e attira il contemplatore. Il sorriso verrocchiesco è in Leonardo come nn brano di Plutarco in Shakespeare. Or chi oserebbe dire che l'immortale tragico inglese derivi da Plutarco? Leonardo e il Yerrocchio sono due artisti assolutamente distinti, che parlano un linguaggio interamente diverso e che, se somigliano esteriormente in qualche cosa, hanno due anime quasi opposte, chiusa l'una nella sua idea di bellezza e di stile, l'altra aperta a tutte le manifestazioni della natura e della vita, in una continua ansietà di fissarne l'immagine mutevole con la semplicità del segno rivelatore. Noi viviamo pur troppo in un triste momento della vita, poiché la maggior parte degli uomini ai quali parliamo non sanno che cosa sia l'arte, e lo Stato crede a chi meno vede. Non è forse ancora possibile vincere una così detta scuola di critica scientifica, fondata sull' errore già accennato e chiusa nella rete del pregiudizio cronologico. A coloro che ancora credono alle influenze sugli spiriti geniali e alla necessità in arte di una classificazione come in botanica, noi possiamo trionfalmente rispondere con Leonardo che l'artista genera le sue opere qual fanno le cose. Egli deve creare come fa la natura, e le sue opere superare e cancelUxre i segni del tempo che passa. Un quadro, una statua, un edifizio debbono nascere come le selve e apparire come le albe. Or chi penserà all'epoca d'una primavera o d'un ciclo stellato? Non c'è opera d'arte geniale che venga per noi dal passato lontano, come non e' è indizio di vetustà nelle montagne e nella aerea architettura delle nubi. Dinanzi all'umanità che passa, il genio si ferma e rende eterna la 86 AxGELO Conti, Leonardo pittore sua traccia come è nel cielo il cammino delle stelle. Avete udito il canto dcirusignolo? Lo riudirete in tutte le primavere. Il genio vi farà sempre udire la sua voce fresca e giovanile come nella stagion nuova della terra il canto dell'usignolo. Aprite Virgilio: ecco, è l'alba e cantano le allodole, è una notte serena, e l'uomo si perde nella luce lunare. Aprite Dante, e siete nell'eternità della vita. Ivi nulla dilegua, nessuna cosa invecchia o perisce, e noi stessi, -accanto a quelle grandi anime, siamo per un istante fuori del tempo. Questo momento di liberazione provai per la prima volta alcuni anni or sono a Milano, trovandomi dinanzi alla Cena, nel convento di Santa Maria delle Grazie. Vidi il capolavoro nella medesima ora indicata dalla luce clie lo illumina dal fondo, tanto che mi fu d'un tratto facile superare i mille e piìi anni passati e trovarmi presente alla scena Gesù era seduto nel centro del convito e da poco avea prò nunziato le parole : qualcuno di voi mi tradira. I convitati a destra e a manca s'erano ritratti e aggruppati in tumulto lasciando nel mezzo Gesù solo, con la sua tristezza infinita La sala era piena di gesti concitati e di ansiose interrogazioni. Il Maestro solo era calmo e la sua figura, sul paese che gli s'apriva lontano alle spalle, era immobile. Ma qual dramma in quella immobilità ! Mentre la sua mano destra, lievemente contratta, esprimeva un istante di ribellione e come un istintivo moto d'ira, la sinistra nel momento successivo s'abbandonava col dorso poggiato sulla tavola e le Angelo Conti, Leonardo pittore 87 dita allungate, esprimendo la rassegnaziona e il perdono. Gli occhi abbassati non guardavano e non vedevano nulla di ciò che era presente, ma contemplavano internamente il grande spettacolo del dolore e della miseria umana, mentre la sua anima sembrava essersi già rifugiata in quel fondo di paese luminoso e lontano, dove abitavano una grande speranza e una eterna pace. Nessun uomo avevo veduto mai così solo come Gesù in mezzo a quel tumulto. Era un'isola in mezzo a un mare procelloso. Le onde fragorose del tempo, che travolgono^ uomini e cose, mi avevano forse spinto ad approdare ad una riva ove splendono i fiori eterni della vita? Mai infatti, come quel giorno, ebbi, per virtìi dell'arte, la visione della vita, in un oblio piti completo. Quando il custode del Cenacolo venne ad annunziarmi Fora della chiusura, io riudii nuovamente, dalla strada vicina, il rumore delle carrozze e il rombo dell'esistenza; e ritornai fra gli uomini. Pochi anni or sono Gabriele D'Annunzio scrisse una bella pagina di poesia per rimpiangere la rovina del Cenacolo. Voi infatti sapete, che, come della antica e celebrata pittura dei greci, fra pochi anni della Cena vinciana non resterà se non il ricordo ^ Il doloroso avvenimento non ^ Questo studio su Leonardo lìiitore era già stato scritto, quando fu compiuta in Milano dal pittore prof. Luigi Cavenaghi l'opera di ristauro del Cenacolo, salutata da tutti i cultori ed amatori d'arte con gioia e gratitudine. Il Cenacolo, compiuto da Leonardo nel 1497, cominciò ben presto a guastarsi; ì primi provvedimenti per salvare il capolavoro risalgono al cardinale Borromeo, poi nei secoli si susseguirono alternative di lunghi abbandoni, di fallaci rimedi empirici, di studii incompleti e riparazioni deturpatrici, fin che il prof. Cavenaghi fu nel 1904 incaricato delle ricerche scientifiche e tecniclie che, precisando le cause e l'entità dei guasti, portassero ai rimedii più efficaci. Egli trovò — sono sue parole riprodotte naìVIllustrazione Italiana, n. 41, dell'I 1 ottobre 1908 — che il dipinto, coperto da polvere di secoli, si screpolava e la crosta di colore si solle- ^rt Angelo Conti, Leonardo inttore poteva non commuovere e non far riapparire la visione tragica del fato clic incombe sui capolavori. Ma è forse una illusione. In realtà la natura non distrugge ne i fiori o le selve della terra ne le opere del genio : la Minerva criselefantina di Fidia è passata dall'avorio e dall'oro nelle pagine immortali dei poeti e nella eterna memoria degli uomini. Quando un capolavoro scompare, noi non dobbiamo pensare che il tempo lo abbia distrutto, ma semplicemente che si sia oscurato lo specchio che ci proiettava la sua imagine nel tempo e nello spazio. Nella profonda unità dell'anima umana, clie rende i poeti e i filosofi simili ai figli d'una madre sola, l'ispirazione da cui esso nacque riman pura e vivente come una forza della terra non ancor vestita della sua forma. Se avessi la virtù del canto, vorrei lodare e far comTava dall'intonaco, a squame di varia misura, di modo clie parecchie di quelle i grandi, accartocciandosi, formavano altrettante sacche che si riempivano con al- tre piccole squamette che vi cadevano dall'alto. Vuotare ad una ad una le sac- che senza scuoterle, senza quasi toccarle, mediante una pagliuzza resa attaccaticcia da una sostanza adatta, poi fare aderire le sacche e le croste all'intorno, togliendone, con un certo liquido dal Cavenaghi ideato, la polvere alla superficie, questo sostanzialmente fu il lavoro paziente, mirabile, nel quale, per più di due mesi durò il Cavenaghi, rendendo più tonica la fibra in isfacelo, facendole riac- quistare un po' di colorito, così che il dipinto non debba peggiorare e possa vi- vere ancora a lungo, con infiniti riguardi ed amorose cure. Ma — disse il Cavenaghi — sarà sempre un organismo precario, e per le condizioni sue, pieno come è di cicatrici, e per l'ambiente. Ad ogni modo questo del Cavenaghi è •stato pel Cenacolo Vinciano il ristauro essenziale, decisivo, nei secoli; e grandi manifestazioni di gratitudine ed ammirazione sono state tributate all'assoluto disinterewse, pari all'amore grande per l'arte, spiegati dal benemerito ristauratore, al quale Caravaggio, sua terra natia, ha consacrato una targa artistica a memoria del fatto; ed i cultori ed amatori d'arte, auspice Luca Beltrami, gli hanno conferita il 4 luglio 1909, davanti al capolavoro vinciano, una bellissima medaglia d'oro. Il prof. Cavenaghi inoltre è stato chiamato dal Papa, in sostituzione 4el defunto prof. Seitz, all'onorifico ufficio di direttore delle pinacoteche vaticane. Angelo Conti, Leonardo inttore 89 prendere la vita maravigliosa che il Cenacolo leonardesco chiude nella sua rovina. Come la rovina d'ogni cosa grande, essa equivale ad una purificazione e ad una apoteosi. Finche resterà un sol frammento della parete prodigiosa, finche un sol disegno, una sola stampa, una sola fotografia, custodiranno un riflesso lontano della sua bellezza, quella creazione del genio sarà per noi piìi potente che se il tempo e gli uomini l'avessero rispettata in tutte le sue parti caduche. E un errore credere che il tempo non rispetti i capolavori; e noi molto spesso parliamo, spinti dall'abitudine, contro l'eterna verità delle cose. Il tempo, artista maraviglioso, è il solo degno collaboratore del genio umano. Dove sembrava che l'opera geniale sì fermasse, egli la continua, mutilandola: dove appariva ciò che è chiuso e preciso, egli apre una via infinita all' imaginazione ; dov' era un aspetto freddo e muto della realtà, egli fa nascere i segni del mistero. Ciò che sembra una distruzione e invece una rivelazione e una consacrazione. E la natura che riprende l'umana opera interrotta, che fa apparire la sua forza dove la mano dell'uomo cadde stanca, e che, dove l'ispirazione di questo si oscurò e si confuse, fa cantare le sue eterne aspirazioni. Ma non bisogna lodare il tempo soltanto per le sue rovine ; è necessario esaltarlo anche per tutte le opere d'arte che, in compagnia del fato e della umana malvagità, ha impedito di compiere al genio umano. Alludo principalmente alle cosi dette sculture non finite di Michelangelo e ad un quadro, che è ancora considerato un abbozzo, di Leonardo. Come i capolavori in rovina appariscono vicini a rientrare Leonardo da Vinci. 12 90 Angelo Conti, Leonardo pittore nella iiuiversalitìi della vita, i capolavori incompiuti seml)rano usciti da poco dal seno stesso della natura. L'artista ne segnò l'imaginc non fra i tormenti del lavoro consapevole, ma come in sogno, obbedendo ad una volonth oscura che per qualche istante abolì la sua volontà individuale. Poche tracce di pentimenti in quei primi segni, ma l'espressione d'una beata obbedienza, come di chi si affidi al mare, e una ricchezza e una esuberanza di vita uguale a quella di cento uomini felici. * Mi limito a parlarvi del quadro di Leonardo, oggi nella Galleria degli Uffizi, e che rappresenta l'Adorazione dei Magi. La prima cosa che ci colpisce è il movimento. Noi sentiamo subito che il pittore ha voluto rappresentare un avvenimento straordinario, un grande fatto della natura e della vita. Quasi tutte le figure vanno, strisciano, accorrono verso la parte centrale della rappresentazione, ove si fermano prostrate e come atterrate dallo stupore e dalla maraviglia. Fra i gruppi in movimento, alcune figure stanno diritte e immobili a guardare la scena. Nel centro una calma assoluta. La Madonna vi appare seduta in una attitudine piena di grazia materna, e sulle sue ginocchia il bambino si china e protende una mano per toccare il 'dono che un vecchio genuflesso gli porge. Intorno si raccoglie e si concentra tutto ciò che nel quadro raggiunge la maggiore intensità d'espressione e la maggior forza di vita. Questi vecchi che vengono da lontano, guidati dal mistero, sono una A\GELO Conti, LeonarJo j)ittore 91 fra le più potenti creazioni del genio umano. Tutta la scena, piena della loro commozione e del loro sbigottimento, sembra irradiare come un vento di tempesta che, dall'anima dei vecchi, giunga sino ai punti piti lontani del quadro. Ed ecco che noi vediamo gli effetti dell'onda invisibile. Dietro il gruppo centrale è un accorrere disordinato di gente : uno ha le mani levate e grida come per un ignoto pericolo, un cavaliere non riesce a contenere lo spavento del suo cavallo, altri gruppi di cavalli nel fondo appariscono spinti dalla furia d'una battaglia; qua e là, sotto archi crollati, uomini che corrono e s'interrogano ansiosi, altri che salgono discendono a frotte e smarriti per una gradinata. Si sente che un grande avvenimento si compie, e per tutta l'ampia scena notturna è diffusa l'atmosfera del miracolo, come in un giorno sereno la luce del sole sulle campagne. E questa è appunto l'idea che Leonardo ha espressa nel suo quadro con una potenza e una eloquenza suprema. Mai infatti, sino a questi ultimi anni del quattrocento, 1481, la pittura aveva rappresentato il miracolo, mai lo stupore e il terrore di ciò che sembra turbare le leggi della natura e far presentire agli uomini un rinnovellamento del mondo, erano stati resi visibili nell'opera d'arte. Leonardo, con questa composizione sintetica, con questo semplice suo disegno a chiaroscuro, nel quale non un sol particolare h compiuto, è riuscito a rappresentare il miracolo come non sarebbe stato possibile con l'opera piìi meditata e più coscienziosamente finita. E la ragione mi sembra questa. Vi sono idee e sentimenti che le arti plastiche non possono rappresentare se non con mezzi somraarii, se non giovandosi di ciò che co- 92 Angelo Conti, Leonardo pittore miincmcnte si chiama V incomplitto. L' incompiuto è spesso un mezzo meraviglioso dì espressione per il genio umano; è, a rovescio, il mezzo stesso che la natura adopera per purificare e per consacrare nei secoli i capolavori degli uomini. In questi la natura procede per eliminazione, nell'opera rimasta incompiuta il genio lavora in uno stato di concentrazione suprema. Li^ Adorazione dei Magi non solo rappresenta un miracolo ; ma è essa stessa un'opera miracolosa. La notte che vi si addensa è piena di luce per l'anima umana. Fra tutti i quadri della Galleria degli Uffizi è il più vivo, il piìi drammatico e il più profondo per significazione. Continuando per voi la enumerazione delle opere pittoriche vinciane e per mostrarvi che, come allora mi fu possibile liberarmi dal tempo, posso anche oggi, e mi piace, spezzare le catene della cronologia, passerò a parlare della Gioconda. La vidi alcuni anni or sono, e feci, quasi per lei sola, il mio pellegrinaggio da Firenze a Parigi. Quando entrai nella pinacoteca del Louvre, la giornata era grigia e le sale quasi in una penombra. Nella sala dei capolavori gli occhi delle figure dipinte da Tiziano, da Raffaello, da Yelasquez mi guardavano fiso. Cercai la Gioconda, corsi verso di lei. Entro la fioca luce indovinai il sorriso e sentii il fascino dello sguardo ; vidi anche il candore del seno. Ogni altra cosa era indistinta. In una pinacoteca non è possibile abbandonarsi all'oblio, Angelo Coxti, Leonardo piUore 93 come in una chiesa o in nn cenacolo. Coloro che entrano a visitare le collezioni dei dipinti vanno per lo più a fare confronti, ad osservare particolari, a cercare note caratteristiche, e portano con sé libri e fotografie. Io, qnando mi dispongo ad andare o a tornare al cospetto d'nn capolavoro, m'affatico a togliermi di dosso ogni peso, affinchè mi sia dato procedere con passo leggero e mi trovi dinanzi all'opera geniale, con l'anima semplice e serena. Sono abituato a contemplare un quadro, come se fosse una costellazione. Nella notte ir cielo è pieno di silenzio e le stelle splendono armonizzando ciascuna il suo ritmo alla musica del cielo. Guardando gli occhi di Monna Lisa del Giocondo, li vidi palpitare in ritmo, in armonia con la musica del suo sorriso. Il quadro m'era ancora ignoto, e pensavo a Leonardo. Mi pareva vederlo, mentre nel suo studio fiorentino aspettava l'arrivo della sfinge ridente. Poco dopo ella entrava e si sedeva accanto alla finestra. In fondo apparivano le colline di Fiesole, Monte Morello, l'Appennino lontano, e l'Arno serpeggiava scintillando nel mattino, mentre le torri della città uscivano dalla nebbia al primo sole. Anch'egli si sedeva, e, presa la lira d'argento che s'era fabbricata con le sue mani, cominciava a cantare. La bella donna, udendo la laude melodiosa, sorrideva, mentre l'Arno da lungi diveniva più ricco di scintille. Poi cominciava a dipingere, e, dopo i primi tocchi una orchestra invisibile di liuti riprendeva la canzone interrotta. La donna sorrideva in una calma regale : i suoi istinti di conquista, di ferocia, tutta l'eredità delia specie, la volontà della seduzione e dell'agguato, la grazia dell'inganno, la bontà che cela un prò- 9i An'gelo Conti, Leomrdo pittore posito crudele, tutto ciò appariva alternativamente e scompariva dietro il velo ridente e si fondeva nel poema del suo sorriso. Per un momento usci un raggio di sole; ed io die m'ero allontanato dal prodigio, corsi e lo vidi intero. La donna era viva dinanzi a me, in tutta la sua vita reale e ideale. Buona e malvagia, crudele e compassionevole, graziosa e felina, ella rideva, e il suo riso si prolungava nel paese lontano e nell'anima mia; sino a darle l'oblio die viene dalla presenza delle cose immortali. Pochi istanti dopo, il sole scomparve e la penombra regnò nuovamente nella sala. Lì presso un sol quadro ardeva come una lampada e in esso cantava, non affievolita, la musica del colore. Era la Festa campestre : fra due donne nude, un suonatore di liuto svegliava alcuni accordi e pareva che la Gioconda ne sorridesse come quando Leonardo cantava, per rendere piìi intensa la sua vita e per tradurre col disegno la sua misteriosa bellezza. Questo ritratto non esprime soltanto ciò che l'occhio vede, ma è il riflesso d'una creatura amata da uno spirito che per oltre quattro anni si affaticò a penetrarne a rivelarne la vita. Come dinanzi alla Gioconda, Leonardo si pone dinanzi ad ogni cosa vivente col medesimo ardore di conoscenza, con la stessa ansiosa curiosità e lo stesso desiderio invincibile di fissarla con segni semplici e definitivi. Tutto questo poema della sua anima, questo dramma intimo che si chiude in una alternativa di tentativi d' espressione e di istanti di tregua contemplativa, di rapimenti e di lotte con la sorda materia, d' ansietà e scoramenti e di calma trionfale, è raccontato nei suoi disegni, che sono 1' imma- Angelo Coxti, Leonardo pittore 95 gine più completa della sua potenza non solo intuitiva ma creativa. Per lo scultore il disegno è appena un segno, uno scliema, un presentimento dell'opera futura. Lo chiamiamo disegno, perchè ijon abbiamo altre parole per significare le notazioni figurative degli scultori ; ma esso non è se non un appunta ideale, un mezzo per ricordare un sentimento. Ricordate i disegni di Michelangelo per le sue statue, ricordate gli odierni disegni di Rodin per i suoi gruppi e per i suoi monumenti. Qm^tì disegni, benché esprimano una visione di movimento, non sono pittura e non sono scultura perchè non illuminano una idea che potrà essere espressa, come chiaroscuro e come colore sopra una superficie e che sia per apparire come forma nello spazio. La scultura comincia soltanto col bozzetto in cera, in creta o in gesso, cioè a dire quando V idea, destinata a manifestarsi come forma nasce a somiglianza d'una cosa viva fra le altre cose viventi e sorge nello spazio, nell' aria e nella luce, sottoposta alle leggi del peso e chiusa nelle sue dimensioni. Per parlare con esattezza, la scultura non ha disegno. Nella pittura il disegno è tutto, è il primo segno che nota la visione ancora vaga sopra una superficie, ed è il chiaroscuro e il colore che pili tardi la renderanno eloquente, che le daranno una voce che parla e che canta, come in una musica e come in un poema. Per Leonardo, genio universale, il disegno non è soltanto linguaggio pittorico, ma è il mezzo adeguato d'espressione di tutto ciò che appare e che passa nel suo pensiero, nella sua memoria, nella sua imaginazione e nella sua fantasia. Tutti gli aspetti e tutti i momenti della multiforme ed ine- 96 Angelo Conti, Leonardo pittore saiiribilc attività del suo spirito trovano la loro espressione negli innumerevoli disegni che egli traccia in margine e fra le linee dei suoi manoscritti, la precedono e spesso la superano con la loro potenza di linea intuitiva e divinatoria. Mai come in Leonardo il disegno ha avuto la virtìi d'esprimere tante cose, dalle più athni alla pittura alle pili lontane, dalle pili concrete alle più astratte; mai come in Leonardo e giunto ad una cosi vasta e così intensa forza di analisi e di concentrazione. I disegni di Leonardo non sono solamente una testimonianza del suo amore per la natura, non sono soltanto un dialogo fra la sua anima e V anima delle cose, ma principalmente sono un mezzo di cui egli si è servito per conoscere l'universo. Invece di consultare i trattati scientifici ed i sistemi di filosofìa, Leonardo disegna. I disegni sono i suoi pensieri, le sue meditazioni, le sue osservazioni, le sue intuizioni, le sue scoperte. Ogni suo disegno contiene un segreto svelato, è una verità conquistata, è il segno d' un nuovo trionfo della indagine umana, è un lembo del mistero dell'universo sollevato dal genio umano. Dinanzi a ciò che noi chiamiamo il vero e può essere ugualmente chiamato il mistero, Leonardo ha lo sguardo limpido, sereno, nuovo, lo sguardo meravigliato del fanciullo, ha quella innocenza del genio, senza la quale, come afferma Bacone, non si può entrare ne nel regno della verità ne nel regno dei cieli. La differenza fra l'uomo di genio e l'uomo comune sta p principalmente in questo: dinanzi ai fatti e agli aspetti della natura e della vita V uomo comune si abitua e finisce con l'abolire in se il senso della maraviglia ; le sue impressioni, invece d'avere sempre un carattere loro proprio, invece d'es- Leonardo da Yisci Pai'ig;], Museo del Lonvie. J-'ot. X. LA GIOCONDA.  Angelo Conti, Leonardo j^^itore 97 sere sempre eccitatrici di sentimenti nuovi, gradatamente si attenuano, si affievoliscono ; finche si adattano e si sottopongono al modo di sentire individuale, finche si scolorano e muoiono davanti alla monotonia dei bisogni quotidiani. L'uomo guidato dalle abitudini è un addormentatore di se stesso, è uno schiavo di ciò che nel suo spirito è meno degno di comandare. Il genio invece è sempre libero, è sempre desto, e il sonno dell'abitudine non può far discendere un velo sui suoi grandi occhi puri. Leonardo è appunto della famiglia di coloro che non conoscono lo stato di sonno e d'indifferenza, ma che vivendo sempre in una ansiosa curiosità vedono il continuo apparire delle cose e l'infinito rinnovellarsi dei fenomeni, e che sembrano veramente nascere ogni mattina. In questo stato di attesa dell'ignoto e del nuovo, ogni osservazione è per Leonardo una visione, ogni analisi è una scoperta. Guarda un ramo con le sue foglie, ne cerca la vita col suo disegno, e gli appare la legge di filotassi ; canta accompagnandosi con la sua lira d' argento, e scopre la legge di risonanza delle corde negli accordi. In ogni fenomeno egli sente e vede una confessione fatta dalla natura al suo genio divinatore. I suoi disegni sono la traduzione grafica di queste confessioni fatte alla sua anima dall' anima delle cose. Ciascuno d'essi pili che studio dal vero è opera d' immaginazione, è figurazione intuitiva, destniata ad illuminare la realtà e a fare apparire, dietro ciò che passa, l'aspetto immutabile delle idee eterne e delle eterne verità. Ogni loro contorno e una ricerca, ogni linea una interrogazione, ogni luce un riflesso del vivente chiarore del mondo, ogni ombra Leoxakdo da Vixci. lii 98 AxGELO Conti, Leonardo pittore un'eco d'un vivente mistero; e tutta quella sua opera della penna, del carbone, della matita non è se non un mezzo potente da lui adoperato per stringere d' assedio la natura e per costringerla a rivelare il suo segreto. Sempre mediante le imagini, i paragoni e le analogie egli trova il cammino che deve condurlo verso la verità. Ricordate in un suo manoscritto e in un suo disegno il movimento dell'acqua veduto simile al movimento d' una capigliatura, ricordate in qual maniera i movimenti del nuoto lo aiutino a comprendere quelli del volo, in quel maraviglioso trattato che ha la virtìi di metterci in segreta comunicazione con 1' anima e con la forza delle creature volanti. In questo modo, sempre per mezzo di imagini e di indagini grafiche, di analogie, di forma e di movimento, osservando e studiando l'aria e l'acqua, il suono e la luce, e paragonando le loro proprietà essenziali, egli giunge ad intuire l'unità delle forze fisiche precorrendo Cartesio. E la sua conoscenza, alla quale appariscono come intuizioni le principali conquiste della scienza moderna, è figlia della sua imaginazione. Più ancora che nei suoi manoscritti è espresso nei suoi disegni il cammino fatto dalla sua conoscenza, guidata dall'amore e resa più profonda dalla sua infantile maraviglia. Chi non ricorda, fra gli altri innumerevoli, i suoi disegni di foglie e di fiori? Sono questi fra tutti gli altri, esclusi quelli solo che ritraggono la figura umana, i più precisi. Pure in questa precisione è l'infinito della vita. A prima giunta potete pensare o credere che quei segni corrispondano a qualche cosa di limitato e di esteriore ; poi sentiamo che ciascuno di essi ha la potenza di continuarsi in noi. La sua precisione non è il segno rigido e freddo fatto da Angelo Conti, Leonardo pittore S9 una mano abile, ma è la linea sicura del genio che ha trovato la vita. Però egli non trascura mai un solo particolare, non lascia mai nulla incompiuto e sembra dir tutto sino all'ultima parola. Infatti egli dice tutto ; ma il suo linguaggio è come il mare e come l'infinito, e, nelF udirlo, la nostra piccola anima sembra farsi vasta come 1' anima del mondo. In qua! modo ha potuto egli raggiungere questa potenza d'espressione? In un modo semplice e grande : imitando la natura. L'imitazione della natura è il principio che Leonardo proclama in tutti i suoi scritti e mette in pratica in tutte le sue opere. Ma che cosa significa imitar la natura? Ciò non vuol dire copiare le sue apparenze esteriori, come fanno oggi la maggior parte dei nostri artisti, ma imitarla nelle sue leggi di vita. Imitar la natura, per Leonardo come per tutti i geni dell'umanità, significa divenire come la natura, acquistando la potenza di creare 1' opera d' arte nel modo stesso nel quale la natura crea le sue vite innumerevoli: qual fanno le cose. Voi sapete benissimo che i disegni vinciani fanno parte dei manoscritti di Milano, di Parigi, di Londra, che sono aiizi un complemento, uno sviluppo e un'irradiazione del testo. Poiché dunque l' uno e 1' altro sono connessi intimamente, non m' è possibile, dopo parlato dei disegni, non dirvi due parole dei manoscritti e significarvi in tal modo tutto il mio pensiero. Voi sapete che nei manoscritti sono pagine di ogni scienza. Perchè ? Volle forse Leonardo coltivare r una dopo 1' altra le varie discipline scientifiche e contribuire al loro sviluppo? A questa domanda risponde Leonardo medesimo. L'uomo 100 Angelo Conti, Leonardo inttore non dev'essere " solo un sacco dove si riceva il cibo e donde esso esca „ , non deve essere soltanto un " transito di cibo „ e avere della specie umana la sola voce e la figura, e tutto il resto " essere assai manco che bestia „ . Il vero scopo della vita umana è per Leonardo il pensiero. Il pensiero, per conoscere il passato e la nostra dimora terrena; ecco il mezzo per vivere nobilmente liberandoci dalla illusione del piacere. Il tempo che fece piangere Elena allorché ^ guardandosi nello specchio, vide i primi segni della vecchiezza, il tempo non può colpire il pensiero. Il conoscere la sapienza degli antichi e la vivente realtà delle cose presenti, ecco il decoro e l' alimento degli spiriti umani. Ma perchè un tal desiderio di conoscere? Questo e per me il punto capitale, il vero nodo della questione. Il sapere perchè Leonardo ha voluto studiare tante forme ed ha cercato il segreto di tanti fatti della vita universale, ci farà conoscere la qualità essenziale del suo genio. Nella sua indagine instancabile d'ogni fenomeno del cielo e della terra, nel suo ininterrotto colloquio con la natura, Leonardo non è animato da curiosità puramente scientifica, non da vanità di dottrina, né dalla naturale tendenza d'un intelletto analitico cui l'esercizio delia osservazione doni la gioia più intensa. Spirito sostanzialmente intuitivo e sintetico, egli si sottopone in tutta la sua vita al rigore e spesso al martirio dell' analisi, per acquistare una conoscenza pili ricca, più vasta e piti profonda. Le sue innumerevoli osservazioni, i suoi continui esperimenti sono i gradini che debbono condurlo colà dove, entro una luce inestinguibile, appare l'eternità della vita. Soffrire la disciplina del ragionamento e dell'esperimento Angelo Conti, Leonardo piitore 101 per aver in fine, come premio, la visione della vita, non h forse una divina aspirazione? Più la sua conoscenza, nel quotidiano osservare e meditare, gli svelava nuove leggi e nuovi segreti, più cresceva in lui l'amore per tutta la natura ; ne vi fu mai al mondo, dopo l' umile frate d'Assisi, chi l'abbia amata d'amore più puro e più ardente. Chi più conosce 'pia ama^ sono le sue parole. In questo amore generato dalla conoscenza è tutto il segreto dell'opera di Leonardo, dai manoscritti e disegni alle pitture. Il suo realismo è un mezzo per giungere all'idea, è il modo ch'egli adopera per ricomporre ciò che prima ha scomposto, in maniera che la natura stessa sembri formarsi dinanzi a noi e farci assistere alla sua stessa creazione. Chi conosca i manoscritti di AYindsor, nei quali i disegni hanno un'importanza assai maggiore del testo, può convincersi agevolmente di questa verità e può anche comprendere (cosa che in questo momento deve particolarmente interessarci) che quando Leonardo parla di anatomia o di fisiologia, come nei così detti trattati che si vanno ora pubblicando, egli non è mai un anatomico vero e proprio, ne un vero fisiologo, ma è sempre prima d' ogni altra cosa e sopra ogni altra cosa pittore. Tutta la sua opera di scienza, tutti i suoi disegni d'anatomia, d'embriologia, di botanica, non ser- vono se non a rendere più vasta, più profonda e più ricca la sua visione pittorica dell'uomo e della natura. La scienza non è se non un mezzo d'espressione della sua visione del mondo, ed egli se ne giova per dare un carattere di precisa realtà agli ardimenti del suo sogno. Scopo del suo immenso lavoro e di giungere a creare ima- 102 Angelo Conti, Leonardo pittore g'ini clic sembrino nate con le stesse leggi con le quali la natura produce le sue forme : qual fanno le cose. E doloroso che nella sua vasta opera essenzialmente pittorica, nella quale " non fu impedito „ , come egli dice, " da avarizia o da negligenza, ma solo dal tempo „ , manchi irreparabilmente una fra le pagine piti vive e più grandi: La Battaglia d'Anghiarl. Scrivo queste parole vicino a Santa Maria Novella, a pochi passi dal luogo nel quale egli disegnò r opera maravigliosa. Le campane che suonano nel campanile roseo al primo sole del mattino, sembrano diffondere sul mio ricordo una voce dì pianto. Li pochi mesi il lavoro fu compiuto, e immediatamente cominciata la pittura a fresco per la sala del Consiglio in Palazzo Vecchio. Leonardo vi dipinse dal 1504 al 1506. Poi l'opera fu da lui abbandonata. Nel 1559 il cartone di Leonardo era ancora nella sala del Papa, mentre il cartone della Guerra di Pisa disegnato da Michelangelo era nel Palazzo dei Medici, l'uno e l'altro esposti all'ammirazione del mondo. Da queir anno manca ogni notizia. Della pittura incominciata in Palazzo Vecchio si sa soltanto che nel 1513 esisteva ancora, ma cadente a causa della cattiva preparazione dell'intonaco e dei colori. Cito, contro il mio solito, dati di fatto e date, perchè l' opera pur troppo manca. Se l'opera esistesse, il suo linguaggio renderebbe insostenibile la voce della cronologia ; ma poiché è perduta, ci è necessario contentarci delle parole di chiunque ce ne parli. I due tre ricordi pittorici rapidi e sommari dell' episodio centrale della battaglia, non bastano a dare un'idea di ciò che fece Leonardo. Angelo Conti, Leonardo irittore 103- Chi sa in qual modo maraviglioso e straordinario egli avrà rappresentato la mischia, la furia guerresca intorno allo stendardo, che sappiamo fosse nel centro, qnal prodigio di scorci, quale evidenza di movimenti, nobiltà ed impeto di gesti e quale perfezione di cavalli, dei quali egli conosceva la vita come nessuno dei suoi tempi ! Di tutto ciò nulla e rimasto. Io imagino che nell'anno in cui ogni traccia dell'opera scomparve, la natura, per compensare il mondo, dovè creare una primavera favolosa, non veduta mai. Poiché nel mondo nulla si perde, e quando una bellezza è distrutta, sia essa una selva che arda, un' isola che si sommerga, un capolavoro che cada in rovina, la natura provvida fa nascere nuovi germogli, suscita nuove bellezze e nuove energie, e la sua forza di creazione rimane intatta in virtii della sua maggiore attività : il mutamento. 

 

 

Doctor Mysticus. Angelo Conti. Keywords: decadente, decadenza, divina decadenza, filosofia decadente, filosofo decadente, decadentismo, divinely decadent – d’annunzio, museo d’annunziano, il bello e il bizzarro, il bello bizzarro, estetica, sensatio, senso, sensum, sentior, sentitum, perceived, perceptum – sense and sensibilia, estetico/noetico (nihil est in intellectu qui prior non fuerit in sensu), propieta estetica, proprieta di secondo grado, secondary quality, Grice, Sibley, Scruton, Platone, Kant, Schopenhauer, Ruskin, Pater, Antichita, antico e moderno, il fascino dell’antico, from the antique, from life, Uffizi, Accademia Venezia, RegieAccademiadiVenezia, Capodemonti, Napoli, Antichita Roma, il fiume d’Eraclito, Ulisse e il canto delle sirene, Morelli, Francesco, Virgilio, dolcissimo padre, ascetismo, ascecis, zorzi, riva beata, Pater, Essay on Style by Pater, Da Vinci, Morelli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.

 

Conti (Padova). Filosofo. Grice: “Conti is a good one; for one he is a ‘patrizio veneziano,’ for another he like Alexander Pope and detests Newton! (Italian temper there!) – My favourite are his “Dialoghi filosofici,’ full of implicata as they are!” Patrizio veneto, classicista, famoso per essere stato arbitro nella controversia tra Leibniz e Newton, circa l'invenzione del calcolo infinitesimale (keyword: infinito). Si lege in amicizia con  Fay, noto per gli esperimenti fisici che conduce all'Accademia delle Scienze. Di lui esiste una statua in Prato della Valle, fatta da Chiereghin. Scrive saggi riguardanti la struttura della tragedia, e nel “Trattato del fantasma poetico” discute la funzione del coro: monologo, dia-logo, coro (terza persona?). Tra le sue tragedie, la più significativa fu il “Giulio Cesare”. Ne scrive altre tre, tutte di soggetto romano: “Marco Bruto”, “Giunio Bruto”, e “Druso”. Altre opere: “Opere” (Venezia, presso Giambatista Pasquali); “Versioni poetiche” (Bari, Laterza). Dizionario biografico degli italiani. Della nascita del Conti sono r’ſuoi veri pu dj. Principio de’ suoi studi scritto da lui stero. Disputa col Nigrisoli e altre particolarità de’ suoi studi sono al primo viaggio di Francia. Primo viaggio in Francia. Primo viaggio in Inghilterra e prime conversazioni col Newtono. Mediazione tra il Newtono e il Leibnizio Studi e altre occupazioni di Conti a Londra. Suoi sudj di belle lettere. Viaggio d'Ollanda e d'Allemagna. Nuova dimora in Inghilterra. Ritorno in Francia nel 1718. e ſuoi pudi. Amicizie. e converſazioni in queſti anni in Francia. Querela col Newtono. Suo ritorno in Italia. Edizione del Cesare. Studi e commerzi. Edizione delle ſue Prose e Poesie. Sue Tragedie. Illustrazione del Parmenide di Velia di Platone; fima e onori di Conti. Traduzioni. Altri suoi fudi. Progetti di nuove opere. Ultimi ſtudi. Edizione del Druso ; ſua morte. Rifleli Jul carattere di Conti , e notizie particolari della ſua vita private. Relazione de’ Manoscritti lasciati da Conti. Dell' Imitazione. Del Fantasma Poetico. La Poesia Greca. Allegoria dell'Eneide di Virgilio. Illuſtrazione dello Scudo di Enea. Illustrazione del Poema di Catullo intitolato le Nozze di Teride e di Peleo. Dissertazione sopra la Tebaide di Stazio. Discorso ſopra la Italiana Poesia. Illustrazione del Dialogo di Fracastoro intitolato il Na. wagero, o fia della Poesia. Disertazione sopra la Ragion Poetica del Gravina. Della Potenza conoscitiva dell'Anima. Della Fantasia. Poesie Tradotte dall' Inglese. Al Sig. Marcheſe Manfredo Repeta sopra il Poema del Riccio Rapito. Il Riccio Rapito. Prose Franceſe Italiane a Monſieur Perel. Dialogue ſur la Nature de l' Amour. Lettre à Madame la Preſidente Ferrant. Lettera al Sig. Cavalier Vallisnieri. Al sig. Marcheſe Maffei. Al N. U. Sig. Benedetto Marcello. Al P. D. Bernardo Piſenti C. R. Somaſco.A Monſignor Cerarti. L’allegoria dell’Eneide di Virgilio propone una cosa per farne intender un'altra , che ſeco è in proporzione , se l’ “Eneide” per consenso di tutti i più abili commentatori é un panegirico *allegorico* d'Augusto, convien necessariamente che la cosa proposta sieno l’azione d’Enea (l’explicatura), e la cosa che deve intendersi ed è loro proporzionata, l’azione d'Augusto (implicatura) più memorabile e più degna di lode. Per çiò con una ſuccinca narrazione pone prima sotto gli occhi l’azione d'Enea, che e il primo termine (l’explicatura) su cui l’allegoria o metafora o implicatura (& fonda, o come l'originale del ritratto; indi fa il confronto dell’azione di Augusto . Nell'istoria d'Enea, basta quloſſervare l’oggetto dell’epica, e il carattere stoico dell'eroe. L'oggetto tutto tende alla nuova colonia di Roma o al Principato ch'Enea (via Ascanio e Romolo e Remo) ha da fondare nel Lazio e Italia. Questo gli predisse Creusa, Febo, i Penati; questo le Arpie, Eleno e la Sibilla; e perchè fi compisca l’oracolo della predeterminazione e del fatalismo stoico, Enea li salva dagl in incendi e dalla strage di Troja. Ettore lo dichiara Pontefice. I compagni lo eleggono Re. Avvisato o protetto schiva i tradimenti , gli scogli, i ciclopi; non è sommerso nelle tempeste, non trattenuto dall’africana Didone più pericolosa delle stesse tempeste. Finalmente arrivato in nel Lazio trova il re latino dispoſto a riceverlo per genero, Evandro e i toscani pronti a dargli soccorso; sebben abbia a fronte Torno, un nimico feroce e collegato coi vicini, lo vince e l'uccide. Gli oracoli fatalisti predeterminati stoichi dunque, i viaggi, e le guerre d’Enea non riguardano se non lo stabilimento d'un regno o principato. Il carattere poi d’Enea o dell'eroe si vede in tutta l'Eneide composto della *virtù* stoica convenevoli al capo e fondatore d'un regno. La virtu e pietà verso l’uomo e verso Diuspater, senno nel provvedere a’pericoli e prevederli, valore da soldato e da capitano. La pietà (o compasione) verso l’uomo e la carità – l’imperativo della carita conversazionale, verso Diuspater religione. Della carita o benevelonza o compasione, o compieta verso l’uomo Enea dà esempi illustri per tutto. Salva il padre Anchise dalle fiamme portandolo sulle spalle dirige sempre il viaggio secondo i di lui consigli, celebra il suo anniversario co'giochi conſiderati da’ pagani come una parte della eeligione, e per ubbidirlo discende fino all’inferno! Quanto è tenero per il figliuolo Ascanio, e sollecito e della salute e de gli avanzamenti di lui! E quando Creusa sua moglie si smarrisce, non va egli a ricercarla tra gl'incendi e le stragi? Che dirò della sua pietà, carita, compassione, compieta, benevolenza, verso il suo compagno (o d’Eurialo verso Niso), verso l’amico, e verso Torno, il nemico stesso? Nella tempesta più s’affligge della loro perdita che della propria, gli consola e gl’incoraggisce negli affanni, li provvede di cibo, li divertisce e premia co’giochi, fa l’esequie a Polidoro suo parente, a Miseno suo trombettiere, a Gaeta sua nutrice; piange la morte di Palinuro e più quella di Pallante (Patroclo), e ne manda il cadavere ad Evandro con magnificenza e con lutto degno di un re. Avendo ferito a morte Lauro che l’assalì, gli itende la destra, lo solleva, e lascia che a Mesenzio se ne porsi il corpo. Vuol perdonare a Turno, e non l’uccide *che* per vendicar suo amante Pallante; ciò ch'era un atto di carita. Verso Diuspater sempre fervida e pronta è la sua pietà. Come stoico perfetto e negatore del libre arbitrio, nulla intraprende senza consultare l’oracolo, e non comincia alcun’azione senza offrir un voto, una preghiera e sacri fizj, ch’egli offre egualmente al Diuspater propizio, che alle Diuspater nonpropizio o Giunone e Pallade. Per ubbidir Diuspater supera la passione che la strega Didone invoca, cede rispettoso alla sua collera nell'incendio di Troia; conosce Apollo per principal protettore; ascolta attento i cantici d'Ercole , e invoca Berecintia che l'allista nella nuova guerra. Alla sua pietà corrisponde il suo senno. Tosto ch'entra in un paese vuol conoscere i liti, i luoghi, e la gente che l'azbita; così fa in Affrica, e nel regno d'Evandro, e scoperto l'assaſlinio di Polinestore fugge il pericolo di cadervi: fa metter in aguato i soldati per lorprender l'Arpie; egli steſſo dirige la nave che manca di piloto; manda ambasciatori al re del Lazio; cerca soccorso nella guerra; ricevuto lo distribuisce in due corpi per più imbarazzare il nemico ciò ch'è una parte della virtu o prudenza militare, non meno che assediar la città mentre il nemico è sospeso. Questo o quello segno (manifestazione secondo Vitters) del valore poi non dà nell'attaccare i nimici, nel farne stragi di sua mano? uccide i più forti e tra gli altri Lauso, Mesenzio, lo stesso Turno. Più comparisce il valore d'Enea, se col P. Boſsù fi confronti con quello di Turno, antagonista, avversario, dell’epica, ardente, milantatore, prepotente e buono sol per la guerra che vuole giusta od ingiusta, ed in questa è incauto e senza direzione. Enea all'opposto grave – la gravita romana --, misurato e non peccatore o essecivo, parla poco, laconico, opera molto, sempre consigliato e forte colla gloria del consiglio e dell'esecuzione. Di questo o quello segno della virtu -- pietà, senno, e valore, c’e un intreccio mirabile, sicche comparisce Enea saggio e paziente capitano come Agamennone, valoroo vincitor del nimico come Achille, destro a maneggiar lo spirito ed a condur una negoziazione o consenso cooperative conversazionale come Nestore e Ulise: giugne a questa virtù una pietà sincera, una probità esatta che mai non ſi ſmente , una compassion tenera per il suo amico e il suo suddito. Enea è buon figlio, buon padre, buon amico, buon amante, e tutto ciò per motivi superiori di dovere e di ragione morale kantiana alla luce del stoicismo fatalism del predeterminismo. Sopra tutto pero domina la specie della virtù più convenevole d’ogni altra specie al fondatore della dinastia di Romolo, perchè per essa si merita la protezione di Deuspater, si rende l’amico o il popolo che deve ubbidire, l’alleato, ed il vicino con cui si deve patteggiare e con-federarsi in cooperazione conversazionale verso un fine comune. Vi sarebbero il carattere degli altri personaggi e dei dell'epica, ma essendo scritti di mano dell’autore sono come non scritti. Anche la seconda parte che riguarda le azione del primo imperatore romano, Ottavio detto l’augusto è molto imperfetta; eccone qualche confronto. Nella rovina di Troja li ravvisano la rovina della Roma repubblicana di Cesare ed Catone. Da questa rovina, Ottavio, come Enea era stato preservato dalla provvità, 1 videnza del fato, come dice Orazio nel Carmie Secolare. Enea porta in ispalla suo padre Anchiee; Ottavio prende la vendetta del suo padre addotivo Cesare. Enea e in Troja maricato a Creusa da cui ha Julo; Ottavio e maricato a Scribonia da cui ha Giulia. Ma Creusa per ordine de’ Fati è colia ad Enea, come Scribonia ad Ottavio; e nel dir che ad Enea si apparecchia moglie, da cui doveano discendere tanci Re, adula cacitamente Livia. Didone che s’oppone al disegno (de-segno – plannificazione) d’Enea magnifica e vana dell'impero ha del carattere superbo, impecuo lo, ed astuto di questa altra Africana, Cleopatra, che impiegò cutre l'arti femmini li per impegnar Ottavio. Ma v'è un tratto finissimo di lode nella comparazione che poteano i romani fare d’Enea e ďOttavio, perchè laddove Enea cesse alle lusinghe di Didone, e dopo averla posseduta l’abbandona scorteſemente in preda alla disperazione, biasmo da cui poco lo scusanu gli ordini degli Dei; quanto più dovea stimarli Ottavio che mai non si lasciò vincere dalle tante arti di Cleopatra? In Evandro, che accoglie Enea, si puo ravvisar Cicerone, che col suo credito e colla sua eloquenza reſe tanti servigj a Ottavio. L’epica, però per non rimproverargli la disgrazia di Cicerone, fa che non Evandro ma il figliuolo di lui resti ucciso da Turno, nel quale *senza dubbio* vien “simboleggiato” Marc’Antonio, valoroso bensì, ma imprudente, e che le in molte cose mostra fortezza d’animo chiaro ed eccellente, in molte altre, come Turno, li governa malissimo, e da quello o questo segno non meno di magnanimità che di pulsanimità. Nulla dimostra più la finezza cortigianesca di Orazio e di Virgilio come il loro non nominar mai Cicerone. S'astennero dal risvegliar in Ottavio un'idea che gli dava de’ rimorsi. All'incontro nominarono Giunio Bruto e Catone, per mostrare che Ottavio non ha usurpata la libertà, ma che anzi ne era il protettore, l’imperatore, come negli ultimi tempi lo volea Cromuvelo (Lord Protector) in Inghilterra. Antonio stesso molto si risparmia, esi può osservare in Orazio che mai non si parla d’Antonio senza congiungerlo a l’africana Cleopatra per far cadere in lei l’odio e la colpa; e cosi fa Virgilio fagacemente nella battaglia d’Azio , quando parla d’Antonio palesemente, e quando ne parla per allegoria, supprime quell vizio che avrebbero dispiaciuto ai suoi partigiani ch’erano molti, ed a’figliuoli elevati da Ottavio a sommi onori. Queſta è pur la ragione prammatica, per la qual Virgilio non dipinta le guerre che fece Ottavio con Bruto, Callio e cogli altri, che per modo di peregrinazioni, onde non offender quei ch’erano ancora del partito di questi ultimi difensori della pubblica libertà. Il re del Lazio, Latino, che ammonito dall’oracolo vuol dar la figliuola più ad Enea, che a Turno, è il vero ritratto del senato romano, che vecchio (senior, senatore) ed impotente non potendo più regolar la repubblica, benchè per ispirazione divina egl’inchini più a lasciarsi governare d’Ottavio che da Marc’Antonio, atterrito nondimeno dagli apparecchi di guerra, lascia disputar la vittoria a’ due rivali, come appunto il re Latino fuggendo lascia terminar la guerra a Turno ed Enea. In Mesenzio ed in Lauso si veggono Cassio e Giunio Bruto, e l'empietà data a Mezenzio e la virtù data a Lauso lo persuadono. Muore Laulo ed Enea lo compiagne, come Ottavio compianse Bruto, al dir di Plutarco. Quando Lauro combatceva, era Mesenzio con la persona appresso di un tronco per posarvi appoggiato, e gli stava intorno un cerchio de’ più eletti e de’ più fidi; e quando vide Lauso ucciso, comincia a disperarsi, e a lagnarsi, e andar incontro alla morte. Queſta deſcrizione concorda molto con quella che fa Plutarco di Cassio, allora che ritirato sul colle stava rimirando l’esercito di Bruto, e credendo ch’egli fosse rotto, disperato si confiſſe nel le reni la spade. Non occorre cercare rassomiglianza perfetta tra questo o quello accidente vero e questo o quello accidente finto. Baſta che uno si ravvif nell'altro. I ritratti della Poesia, e particolarmente epica, sono “simili” a quelli che i gran pittori introducono ne’ quadri istoriati; negli Dei, negli eroi , ne’ capitani ritengono le fattezze del volto de viventi che vogliono onorare ma variano le attitudini, o le velti per variare le imagini, e produr nello spettatore maggior maraviglia ed affetti più vivi. Con questa regola si pollono ritrovare molti altri confronti nelle cose dell'Eneide colla vita d’Ottavio. Nè par probabile che tanta corriſpondenza sia effetto del caso , attesa spezialmente la sagacità del poeta , e l'idea generale dell'opera. Parte di questa corriſpondenza fa vedere nello scudo d' Enea la seguente illuſtrazione, che si dà intera.   . g. v. 176 D. V.. ILLUSTRAZIONE DELLO SCUDO DI ENE A. . Ome nell'Iliade d'Omero Teti porge ad Achille unoScu do fabbricato da Vulcano così nell'Eneide di Virgilio Venere porge ad Enea uno Scudo fabbricato dallo ſteſſo Dio . Quì non s'intraprende d'illuſtrare ſe non ciò che appartie. ne allo Scudo d'Enea , oſſervando prima generalmente , qual ne foſſe la materia , la faldezza , la figura , l'intreccio e i colori , ed indi particolarmente l' ordine e' i fiti delle coſe ſcolpite, le loro ſtorie , cd allegorie . I'Ciclopi impiegarono nell'armatura d'Enea il rame, l'ac ciajo , l'oro , e l'argento , ma fecero che ivi abbondante più dell'uno o dell'altro metallo ove era biſogno di maggior die feſa , o di più raro ornamento . L'Elmo che dovea abbagliando minacciare i nimici , riſplen dea per la terſezza dell'acciajo , non altrimenti che ſe fiam . me ſpargeſſe . La Lorica era ſcabra per i rilievi del rame e del bronzo , che quanto più maſſicci'ſi fingono , ed incurva ii , tanto più le faette e le ſpade ſpuntavano . Ben è vero che per la miſtura degli altri metalli , i colori della Lorica ſi mi ſchiavano con quei del bronzo e dell'oro , ond'ella riſplende va come un Iride in faccia al Sole . Nell'aſta e nelle ſchinie re abbondava particolarmente l'elettro che è un compofto d ' oro e ' una quinta parte d'argento , ma purgato più volte da'Ciclopi ; l'oro nel foco avea ſvaporato l'argento, onde la compoſizione riuſciva più prezioſa , più denſa , ed impene. trabile . Nello Scudov'erano tutti e quattro i metalli tra loro op portunamente fuſi e temperati . I Ciclopi ne aveano appiana ta la maſſa in ſette piaſtre rotonde , che a guiſa dei ſette cuoi attorti dello Scudo d' Ajace implicarono l'une nell'altre , perchè lo Scudo refifteffe a tutte l'armi de' Latini . Miſterioſo era il numero di ſetre appreſſo gli Antichi per la relazione ch'egli avea al numero de Pianeti. Forſe credea no , che gli aſpetti di cucci e ſette influendo nella fabbrica d' uno Scudo gli deffero una tempra immortale . La figura dello Scudo d'Enea era ovale , nè a cid forſe an cora mancava il ſuo miſtero . Gli Scudi ancili chc fi fingea. no 177 no caduti dal Cielo a tempi di Numa , aveano la ſteſſa figura , Or lo Scudo d' Enea non era men celeſte di loro ; ed Enea , che doveva portarlo , non ſi fuppone men pio di Numa. I Ciclopi nel fabbricar lo Scudo avendo poſta in opera per comando di Vulcano tutta la loro arte maeſtra , collocarono , intrecciarono , limetrizzarono , e colorirono le figure ſcolpite in maniera , che lo Scudo emulava la reflicura di un arazzo . Nè queſta a mio credere è un'Iperbole poetica , ma un'imi tazione di quell'idee che Virgilio, avea vedute ne'baſi rilievi di Roma , ove ſoggiornava, ed in quelli delle Città della Gre cia , ove per profittarlı dello ſtudio delle bell'arti avea viag giato . A Roma nelle Biblioteche e ne' Tempj ſtavano appeli certi Scudi tutti ſtoriati , e tra gli altri Plinio racconta , che nel Tempio di Bellona Appio Claudio confacrò uno Scudo , ove in picciole figure era rappreſentata tutta la Genealogia dell'antica famiglia de' Claud) . Nel conveſſo dello Scudo di Minerva avea Fidia ſcolpita la battaglia delle Amazoni , e nel concavo la guerra degli Dei e de'Giganti . Offerva Plinio , che Fidia , volendo moſtrar l'arte nelle minimeparti , avea elpela ſo ne' Sandali della Dea la battaglia de' Lapiti e de'Centauri , e nella baſe della ſtatua la naſcita di Pandora con quella di trenia Dei. Ne'baſſi rilievi delle lamine che cingevano la ſe dia della fatura di Giove Olimpico , lo ſteſſo Fidia in oro ſcol pito avea , da una parte il sole che conduceva il cocchio , e dall'altra Giove e Giunone ; a lato di Giove v'era una delle Grazie , indi Mercurio e Veſta., Venere pareva, uſcir dal ma re , l'Amore l'accoglieva , e la Dea Pito la coronava . Nello ſteſſo baſſo rilievo li vedeva Apollo e Diana , Minerva ed Er; cole , e nel piedeſtallo da un canto Anfitrite e Nettuno , e dall'altro la Luna, che galoppaya ſopra un cavallo . Qual mol ticudine , qual varietà ed intreccio di figure in poco ſpazio ? Or è molto verifimile , che come lo Scudo d'Achille diede a Virgilio la prima idea dello Scudo d'Enea , così į baſli rilie vi da lui yeduti a Roma in Atene e in Olimpia gl'inſegnal ſero a perfezionarlo . Nella deſcrizione delle figure ben fi ſcor ge che l'artifizio dell'imitazione, non deriva dagli alerui fan tasmi , ma da un'acurata oſſervazione del ſenſo , che regold la fantaſia del Poeta fino · lo ſpingo oltre la conghiettura , e pretendo che alle figu. se veduce da Virgilio ſcolpite o nell’avorio , o nell'oro , od in altro metallo negli vi applicalle la forza e la leggiadrią Tomo II. 2 de' 3 178 ra 1 1 de colori da lui veduti nelle pitcure encauſtiche : Plioio ne annovera di tre fpezie , e non ſaprei fuggerirne una miglior idea che raſſomigliandole alle picture che vediamo, non dirò fulle porcellane di troppo fragil materia a confronto del me tallo , ma su fmali di più dura tempra , e su vaſi e ſulle cop pe antiche , ove la varietà del colore riſultò dal vario grado del foco , che lor fu dato nel fondere e nel tingere il metal lo. Difficile è proporzionare il grado del foco ad ogni colo re , ma difficiliſſimo ove i colori lieno per conſiſtenza e viva cità differenti , e ſi debba nello ſteſſo tempo abbrugiandoli laſciarli ſecondo il biſogno o floridi , od auſteri , ed a tutti imprimere quello fplendore che ſecondo Plinio non è lo ſtef To che il lume , ma di'mezzo tra il lume e l'ombra , ed è propriamente l'intenſione d'ogni colore nella ſua ſpezie. Il Sig. Abate Fraguier , la cui memoria mi ſarà ſempre ca. offerva , che nello Scudo d'Achille la terra fenduta in folco dall'aratro cangia in nero il color d'oro , che i grappo li d'uva ſono neri e la vigna d'oro , che le giovenche ſono rappreſentate al vivo col bianco e col giallo , cioè collo lta gno e con l'oro , e che veriſſimo è il langue trangugiato da due Leoni che lacerarono il bue. Da ciò inferiſce che l'arte encauſtica fioriva a'tempi d'Omero ; ma quando anche i Cro nologi che non convengono dell'età d'Omero glielo conce deffero , molto più debbono elli concedere , che nel tempo d' Omero quell'arte era molto imperfetta a paragone dell'eccel lenza a cui la portarono i Greci nel secolo d'Aleſſandro , e ne’ſuſſeguenti . Le picture de' più celebri artefici encauſtici e rano ſtate portate dalla Grecia a Roma da' Capitani Romani , é poſcia conſecrate ne! Tempi. Virgilio che avea ſotto gli oc chj de'modelli così perfecti , gli ha verifimilmente adombra ti ne ' colori del ſuo Scudo yine queſta ſpezie d'imitazione pud negarſi ad ua Poeta sì doito , e d'on guſto così eſquiſito in ogni genere d'arte • Per reftarne convinti bafta riflettere alla varietà ed armonia de? colori delle figure deſcritte j ai sfuma menti, 0 , come parla Plinio , alle commiſſure de culoriftel fi, ai fecreti più mirabili della perſpectiva introdotti negli ac» tidenti delle imagini, e finalmente all'efpreffione degli affec ti de coſtumidegli Uomini rappreſentation La varietà e larmonia de'colori appariſce nell'Oca d'ar gento che vola ne' portici d'oro , ne' flutti biancheggianti per lai fpuma ini un mare cerulco Larrei ſono i colli de'Galli , men. 1 1 179 mentre le loro chiome fon d'oro , e vergate d'oro le veſti ; il langue di Mezio è vermiglio e gocciola dalle ſpine che lo no verdi . Per gli sfumiamenti de colori , ed inſieme per l'eſpreſſione degli affetti e de' coſtumi , diverſi nell' arni e nelle veſti fo no i colori de' Barbari condotti in trionfo ; il limitar del Tem. pio d'Apollo è bianco come la neve , ma più bianco è lo ſteſſo Dio ; Cleopatra è pallida per la morte futura ; il Nilo al ſembiante ed al geſto moſtra la doglia che lo crucia e l' impazienza di ſalvare i fuggitivi ſuoi figli. Che dirò della forza della perſpectiva ? Parrafio dipinle , al dir di Plinio , il Demone degli Atenieſi vario , iracondo , in giuſto , incoſtante .. Virgilio rappreſenta Porſenna che nello Iteſſo tempo comanda , li ſdegna , e minaccia . Nel Portico a . vanti la Curia di Pompeo era dipinto , ſecondo lo ſteſſo Plinio , un Soldato che non ſi fapea ſe con lo Scudo aſcendeſſe o di Icenderſe . Virgilio fa che i bambini attaccati alle poppe del. la Lupa fieno da queſta alternaniente accarezzati ; ciò che il Tallo imirò nelle figure delle porte d'Armida ove Marcanto nio nel ſeguir Cleopatra che fugge , Mirava alternamente or la crudele Pugna ch'è in dubbio , or le fuggenti vele . Ma paſſando a coſe più particolari , io per far meglio in tender l'ordine , l'intreccio , ed i fici delle figure , divido in quattro parii lo Scudo . La prima contiene la diſcendenza d ' Enca fino alla Lupa incluſivamente . La copula o , cioè an cora dimoſtra che tutto era nello ſtello baſſo rilievo . La ſeconda parte contiene molte coſe memorabili fotto i Re e ſotto la Repubblica . La terza la battaglia d' Azio . La quarta i tre Trionfi d'Auguſto . Queſte parti, ſi fanno ſenſibili dividendo l'ovale in quattro altre ovali concentriche che io ſegnerò co'numeri 1. 2. 3. 4. Nello 1pazio ſegnato i . ch' è come l'orlo dello Scudo io pongo le figure che rappreſentano i diſcendenti d'Enea anno verati da Virgilio nel primo libro e nel ſeſto : queſti ſono A Scanio , Silvio padre di molci Re , Proca , Capi , Silvio , Enea, i due giovani coronati di quercia , Numitore , e la Lupa che allatra i due bambini . De quindici Re d'Alba , di cui parla 2 2 Dio 186 Dionigi d’Alicarnaſſo e Tito Livio , Virgilio non nomina che queſti , perchè, come egli accenna , furono fondatori di colo . nie , avendo edificato Nomento , Gabia , Fidene , Collazia full? állo d'una montagna , ed il caſtello d'Inuo o di Pane . Fon darono ancora Bola e Cora , e queſte ed altre nominate Cit rà eſſendo nel Paeſe de' Sabini e de' Volſci , avranno dato oc caſione alle guerre e battaglie nello Scudo eſpreſſe. Nel baf ſo rilievo d'Alcanio dev'egli rappreſentarſi a guiſa d’un Ca. pirano o d'un Re che comanda di fabbricare una Città qual era Alba lunga . Altri prendono gli ordini , ed altri gli eſegui ſcono, ed i Soldati ſtanno riguardando l'opra . La pittura d ' Aſcanio è ſulla cima dello Scudo ; nella parte oppofta , o nel ballo v'è la Lupa che allatta i bambini, e biſogna rappre ſentaría qual è in molte medaglie . Ne' lati dell'orlo dello Scudo toſto ſi vede un bambino in mano d'un paſtore ch' eſce da una ſelva ; lo ſiegue in Re circondato da molti bam bini coronati , indi un Ře che guida un eſercito , un altro che eſpugna una Città , un altro che è in mezzo a Sacerdo ti e a Veltali , molti giovani Re cinti il capo di quercia che combattono e fondano colonie , o su monti , o nelle pianu. se . Nè Tito Livio , nè Dionigi d'Alicarnaſſo parlano in par ticolare di queſte battaglie , onde ſi poſſono ſcolpire a fanta ſia , ma devono eſſer ſcolpice in medaglie appeſe a rami od alle foglie d'un albero genealogico che ſerpeggi nell'orlo. Nello ſpazio ſegnato 2. io pongo da una parte due baſſi ri lievi di forma ellittica , ma incaſtrati di varj fogliami che riempiono i vuoti . Elli rappreſentano il ratto delle Sabine , e la pace cra Romolo e Tazio . Pongo dall'altra parte altri rilievi della ſteſſa forma che rappreſentano Mezio ſquarciato da ' cavalli , e Porſenna che afledia Roma . Nel ſommo dell'ovale ſi vede nelle figure più rilevate il Campidoglio affalito da’Galli , e difeſo daManlio ; e nelle più lontane i Salj e le Matrone che eſulcano ; nella parte oppo. fta che è la più baſſa dello Scudo v'è il Tartaro con Catili na affiffo allo ſcoglio , e ſopra il ſotterraneo ( chiamato da Vir gilio la bocca profonda di Dite ) verdeggiano gli Elisj , ove Catone dà la legge all'anime pie . Le figure di queſto ſpazio ſono maggiori di quelle dell' orlo perchè le parti più vici ne al centro dello Scudo ove fi fogliono diriger i colpi, devo no eſſer più maſſiccie per più reliftere . Lo ſpazio è percid maggiore Nel i 81 5 Nello ſpazio ſegnato 3. v'è la battaglia d' Azio . Apollo ſaettante è ſul Promontorio , ove Auguſto gl’inalzò un Tem pio . Le navi d'Auguſto ſono alla deſtra ſchierate in arco ; nel deftro corno v'è Augufto colla ftella in fronte e co' Pe. nati in mano , nel finiftro Agrippa cinto le tempia della co rona roftrata . Dirimpetto vi fono le Navi torreggianti d'An tonio . Secondo Plutarco , Antonio con Publicola reggeva il corno deſtro , e Clelio il ſiniſtro . Cleopatra è nel mezzo in atto di percuotere il fiftro , ſtromento dedicato ad Ilide che Cleopatra voleva emulare in curto . Tra i due ſemicerchi del. le navi ve ne ſono alcune diſtaccate che tra loro combatto no . Soggiunge Plutarco , che Ceſare non ſolamente non or dina ferir le prode dure e ferrate d'Antonio , ma nè anco inveſtirle per fianco , perciò che gli ſproni facilmente ſi ve nivano a romper urtando nelle cravi quadre incaſtrate infie me col ferro : Era dunque queſta battaglia ( ſegue egli) mol to ſimile a una giornata per terra , anzi piuttoſto all'aſfalco d'una Cicà . Perciocchè tre o quattro navi di Ceſare com battevano intorno a una nave d'Antonio con partigiane , piche , e con fuoco . D'altra parte gli Antoniani ftando ſulle gabbie di legno traevano dardi e pietre contro i nimici . Così ap punto Virgilio rappreſenta le navi che combattono . Sulle navi di Cleopatra vi ſono i Dei moſtruoſi d'Egitto , in atto di ſaettar Neituno , Venere , Minerva , che ſtanno ſulle navi d'Auguſto , e contro alle quali egli diſſe al Senato che Antonio avea moſſo la guerra , non meno che contro al. la Patria . Marre è in  mezzo della batcaglia , la Diſcordia , e Bellona , ed in aria ſtanno le Furie . Tutto ciò è ſotto la fi. gura del Campidoglio o nella parte ſuperior dell'ovale , men tre a'lari ſono le navi ſchierate . Nella parte inferiore vi fo no le navi di Cleopatra che fuggono ſpinte dal vento Japiga , che ſoffia dal capo di Salentino ; non lungi è la figura del Nilo , che allargà la veſte , e chiama i vinci a ricovrarli ne? ſuoi naſcondigli : egli è d' una figura giganteſca appoggiato ſull'urna che verſa i ſette fiumi nel mediterraneo , nel reſto dello ſpazio ſi diffonde il mare coi delfini che ſcherzano . Le figure di quello ſpazio ſono maggiori per la ragione ſopraccen nata , ed è maggiore lo ſpazio ſteſſo . Nello ſpazio ſegnato 4. vi ſono eſpreſli i tre trionfi d'Au guſto . Egli trionfo , dice Svetonio , in tre giorni l'uno dietro all'alcro ; la prima volta per la vistoria Dalmacica , la ſecon da 4 182 1 da per l'Aziaca, e la terza per l'Aleſſandrina . Dione Caffio particolareggia i trionfi . Trionfo Ceſare , dic'egli , il primo giorno de' popoli Pannoni , Dalmatini , Japidi , ed altri loro circonvicini , e d'alcuni popoli della Gallia e della Germania ancora , perciocchè Cajo Carina avea già vinti e ſoggiogati i Morini e gli alıri popoli appreſſo , che nella ribellione da lo . Fo fatta gli erano ſtati compagni , ed oltre ciò avea dato una rolta a'Svevi , ed a quelli che aveano già paſſato il Reno ; laonde ed egli e Ceſare feco rappreſentò il Trionfo percioc chè la vittoria folevaſi attribuire ſempre all'Imperatore , e l' Imperatore era Ceſare , è teneva in mano il governo di tut, 10. Il ſecondo giorno Ceſare rappreſentò il Trionfo della bat taglia fatta al promontorio d' Azio nel mare . Il terzo poi dell'Egitto ſoggiogato . Le ſpoglie in queſte guerre acquiftare furono baſtanti ad ornar tutto l'apparato di que' Trionfi ; quel. Je però d'Egitto avvanzavano di gran lunga curti gli aliri ap parati d'ornamenti di ricchezza e di rarità ; tra l'altre coſe vi fi vedea Cleopatra fteſa ſopra una colore in alto di morire , onde in un cerio modo queſta Reina era condotta in trionfo cogli altri prigioni, tra'quali v'era Aleſſandro ſuo figliuolo , e Cleopatra fua figliuola chiamati da lei col nome del Sole e della Luna . Gl’interpreti fi vanno inutilmente affaricando a cercar le ragioni della qualità de'prigioni , e particolarmente perchè ne' cocchi ſi vedeſſe l'imagine dell' Eufrate e dell’A . raſſe fiumi dell'Armenia e della Meſopotamia non conquiſtati da Auguſto . Il P. Arduino nelle ſue rifleſioni fopra Virgilio non ritrovando queſte vittorie d'Auguſto ne trae degli argo menti diſavantaggioſi all'Eneide. Io non perderò inutilmente il tempo a riſpondergli in particolare . Ciò che poſſo dire a coloro che ammettono l'autorità di Dion Callio , è far loro oſſervare , che Antonio dopo aver chiamara Cleopatra Reina dei Re , Ceſarione Re dei Re , ed aggiunto alla loro giuriſdi. zione l’Egico , donò la Siria a Tolomeo , e lutte le Provin cie di quà dall'Eufrate fino all'Elleſponto ; donò l'Africa fino alla Cirenaica a Cleopatra , ed al fratello di coſtoro chiama to Aleflandro dond l'Armenia con tutto il rimanente del pae fe al di là dell'Eufrate Gno all'Indie . Or non è verifimile che Auguſto da cutti queſti Paeſi fcieglieſſe de' prigioni , che egli doveva aver fatti o nella battaglia d'Azio , o nella ſcon fiila data ad Antonio in Aleſſandria ? Quanto al Reno , Agrip pa l'avea paſſato nel 717. nė fi curò del Trionfo , ma egli è pro . 183 probabile che Auguſto voleſſe che Agrippa trionfare ſeco co me Cajo Carina . Non v'era. ſegno d'amicizia e d'onore che non gli deſſe , perciocchè oltre la corona roſtrata , con cui lo fregið dopo aver vinto Seſto Pompeo in Sicilia , volea ch'egli avelle una cenda e l'altre inſegne militari ſimili a quelle dell' Imperatore , e , come dall'Imperatore , da lui ſi prendeſſe il ſegno della milizia , ed egli era in forſe di dargli per moglie Giulia : canto grande , gli diſſe Mecenate , tu faceſti Agrippa , che o biſogna ucciderlo , o ch'egli ſia tuo Genero . Dopo il Trionfo Auguſto inalzò molti Tempj ; uno ad A. pollo ſecondo Svetonio ſul monte Palarino , al quale aggiun ſe una Loggia con una Biblioteca Greci e Latina ; un altro ne edificò a Marte vendicatore per il voto fatto nella guerra contro Bruto e Caſſio per vendicare il Padre , ed un altro a Giove Tonante nel Campidoglio . Secondo Dione egli ancora conſecrò il Tempio di Minerva , ornò il Tempio di Giulio ſuo Padre ſoſpendendovi molti e molti doni della preda por tata d'Egitco , e molti ne conſecrò ed offerſe a Giove Capi. tolino , a Giunone, a Minerva . Non è da traſcurare che po fe l'imagine della vittoria ſecondo Dione nel Tempio di Mi nerva , e ſecondo Plinio nel Tempio del Padre Celare , il qua le era nel Foro ; aggiunge Plinio , che vi poſe ancora i Ca ſtori che forſe ſimboleggiavano Auguſto ed Agrippa , nel pri mo libro aſſomigliati da Virgilio a Romolo ed a Remo , come interpreta Servio . Poſe ancora Augufto nel foro due quadri , uno della guerra , e l'altro del Trionfo ; e s’io non m'ingan doveano queſti rappreſentare coſe alluſive alla battaglia d' Azio , ed ai trionfi dello ſteſſo Ceſare . Comunque la coſa ſia , ove è il centro dello Scudo che è la parte più alta , io pongo la Cupola del Tempio d'Apollo , alle cui porte Augufto affig ge le corone d'oro che erano i doni offertigli da’ Popoli dalle Provincie confederate . Tutto all'intorno vi ſono le are e gl’incenſi colle vittime , e quindi la pompa e la lecizia del trionfo. In quel giorno che Auguſto entrò in Roma, dice Dio ne , gli fu conceduto un Arco nella Piazza di Roma , e in o nor di lui li celebrarono i giuochi quinquennali , e gli anda rono incontro le Vergini Veítali , il Senaco ed il Popolo , colle mogli , e il figliuoli: mi par ſoverchio ( ſoggiunge Dio. ne ) di raccontar i voti e le imagini ed altre coſe fatte per lui · La pompa del Trionfo conſiſte ne' prigioni Nomadi , o Numidi , Affricani , Lelegi , Cari popoli dell'Alia minore Ge no , e 184 Geloni ſpezie di Sciti , Morini popoli della Gallia Belgicà fi tuati verſo l' Oceano Britannico . Tra queſti vi ſono molti cocchi colle imagini dell'Eufrate, del Reno , e dell'Araffe col ponte che Auguſto vi fabbricò . Tali ſono i baſli rilievi e le figure di tutto lo Scudo ; elle s'ingrandiſcono a proporzione ch'egli ſi va rilevando , e le miniature devono render ſenſi bili i colori di cui ſono in Virgilio dipinte . I colori domi nanti ſono il giallo e il bianco che rappreſentano l' acciajo ed il rame . Marte però deve eſſer dipinto con un colore fer rigno , o fia di ferro , non raffinato in acciajo ; diverſi ſono i gradi de colori o floridi od auſteri che biſogna lumeggiare ed onibreggiare ; ma ſopra tutto convien dar alle figure lo ſplen dore , o ſia quel grado vigoroſo di colore di cui s'è parlato . Spiegato in queſta maniera ciò che concerne la parte ma teriale e ſtorica dello Scudo , egli è tempo di ragionare delle relazioni che le figure hanno ad Auguſto , al quale tutto il Poema è diretto , come a lungo eſpoſi nell'altra diſſertazione . Biſogna quì ricordarſi che l'adulazione , ingegnoſiſlima nelle fue compiacenze , or impiega le lodi dirette e manifeſte , or l'indirette ed occulte , ſecondo che l'une e l'altre per le cir coſtanze fono più grate a colui che fi loda . Lodar Augufto per la ſua ſtirpe , lodarlo per la vittoria che gli diede l'Imperio , e per i tre trionfi , ne' quali fece tanto riſplender la ſua pietà , erano lodi che Auguſto fonima mente defiderava che ſi pubblicaſſero , onde eſſo poteſſe ritrar: ne più venerazione ed ubbidienza . Conviene a parte a parte moſtrarlo . Giulio Ceſare nel far l'Orazione funebre in lode di Giulia ſua Zia: La firpe materna , diſſe , di Giulia mia Zia ha origi ne dai Re , é la paterna è congiunta cogli Dei immortali , im perciocchè da Anco Marzio derivano i Re Marxj del cui nom fu mia Madre , da Venere i Giulj della cui gente è la noſtra Fa miglia . Trovaſ dunque nel ceppo antico della caſa noſtra la fantità dei Re la quale appreſſo gli Uomini è di grandiflima autorità e la Religione degli Dii nella podeſtà de' quali ſono el Re . Sin quì Svetonio . Non potea dunque che molto pia. cere ad Augufto che Virgilio noftraſſe e nel primo enel ſe fto e nell'ottavo che nella ſua genealogia verano i Re , gli Dei , e gli Eroi . Virgilio dice nel primo libro: il giovine A ſcanio che porta oggidiil cognome di Giulio e che ſi chiamava Ilo, mentre Ilio era in piedi, governerà Lavinio per trent'anni 1 in. 185 intieri etraſporterà la sede del Regno in Alba lunga di cui faa rà una forte Città . Nel feſto egli dice: uſcirà dal ſangue Tro jano miſto all' Italico Silvio ſuo figlio poſtumo che perpetuerd in Alba il ſuo nome , e ſarà egli fello Re e padre di molti Re , . per lui la noſtra ftirpe dominerà in Alba . Virgilio ſcaltro nul la parla delle guerre che ſecondo Dionigi d'Alicarnaſſo vi fu rono tra Giulio figliuolo d'Aſcanio e Silvio , e molto meno che per i ſuffragj del popolo ſi deſſe a Silvio il Regno che apparteneva a ſua madre , ea Giulio per contentarlo la fo vranità ſulle coſe della Religione, per cui, ſoggiunge Dionigi , la Famiglia Giulia ha goduto fin al mio tempo del ſovrano Pontificato , e s'è chiamata Giulia a cagion d' Julo da cui u ſciva . Io non so accordar queſto paſſo di Dionigi d'Alicarnaſ ſo con quell'altro di Plutarco e di Svetonio , ove ſi vede che Giulio Ceſare non per dricco di ſangue , ma per i ſuffragidel popolo in competenza di Catulo ottenne il ſommo Pontifica to. Laſciando cid , baſta quì oſſervare , che Virgilio confonde Aſcanio con Silvio figliuolo di Lavinia e gli altri diſcendenci da lui, poichè dice , che v'era ſcolpita tutta la ftirpe d'Enea cominciando da Aſcanio . Io così interpreto quel Ab Aſcanio . Di tutti queſti Re e di queſti Eroi Virgilio nefa come del le imagini trionfali , che pone nell'orlo del ſuo Scudo , come negli atrj delle caſe de' Romani ſi poncano le imagini degli Avi loro, ſulle quali Giuvenale e Plinio fanno sì gravi riflet fioni intorno al biasmo ed alla lode de' diſcendenti . Ciò ba fi intorno la lode manifeſta della ftirpe d'Auguſto. Palliamo alle lodi indirette . Nelle medaglie , ove fi legge Reft. o reſtitui , ſi vede l'ima. gine o d'un Bruto, o d'un Coclite , o della libertà , o d'al tre coſe alluſive alle azioni celebri de' Romani antichi , che gl' Imperatori Romani aveano imitate o reftituite . Il P. Ar duino vuole che queſte allegorie nelle medaglie cominciaſſero ſotto Tito , di cui ſi contano fino 22. medaglie di queſta ſpe. zie e terminaſſero ſotto Trajano , di cui ſe ne contano 24. ma non , perchè queſte medaglie non ci reſtino , ſi può dedur che ſotto gli altri Imperatori e particolarmente ſottoAuguſto , che vantavafi d'effere il difenſore della libertà del Senato e dei popolo , l'adulazione non aveſſe inventate l'allegoric ; certo è almeno , che con queſt'ipoteſi ſi rileva il ſenſo del ratto del. le Sabine, e della pace ira Tazio e Romolo . Prima che Planco determinaffe il Senato a dar ad Occavio Tomo II. il 186 9 il nome d'Auguſto , molti volcano che ſi chiamafle Romolo . In fatti Auguſto l'imicava non ſolo nella fondazione d'un nuovo Impero , ma ancora in molte circoſtanze della ftella fon dazione . Come Romolo col ratto delle Sabine avea provvedu to al mantenimento della Città , così Auguito con la legge di maricar gli ordini che Orazio chiama legge Marita ; due ne fece Auguſto ., la prima nell' anno 736. e ſi chiamava legge Giulia , e l'altra dell'anno 762. e li chiamava legge Popea perchè fatta ſotto i Conſoli Sulpizio e Popeo. Con queſte leg. gi fi rinovarono l'antiche rammemorate da Cicerone e da Aulo Gellio , e Dion Caſſio merte in bocca d'Auguſto una lunga arringa su queſta materia al Senato , nella quale dopo d'aver cogli eſempj delle nozze degli Dei eſaltato il vantaggio e la giocondità de'figli , l'utile della Repubblica , e il biasmo di viver ſenza moglie , gli fa dire : Romolo autor noftro , e da cui diſcendiamo, non li ſdegnerà con tagione conſiderando il fuo naſcimento e i coftumi introdotti ? Orazio nel Carme ſecolare lodando per queſta legge il Se nato obliquamente loda Auguſto ; ma Virgilio nella lode obli. qua involge l'argomento del minore al maggiore come s'egli diceffe : fe tanta obbligazione hanno i Romani a Romolo che con una violenza provvide al mantenimento della Città , mol to maggior obbligazione i Romani hanno ad Auguſto che ſen . za danno de' vicini vi provvide con una legge si ſaggia. Romolo dopo le guerre con Tazio ai rapacificò ſolennemen. te con lui , e diviſe feco il Regno ; ed Auguſto dopo molte guerre con Marcantonio conciliatoſi ſeco per l'opera de' co muni amici diviſe l'Impero , del quale il termine ſecondo Plu tarco era il Mar Jonio . Tutta la parte , dic'egli , verfo Levan te fu conceſſa ad Antonio , e l'alira verſo Occidente a Ceſare . Pegno della pace fu Ottavia maritata ad Antonio , e certamente ella è rappreſeatata nella vittima che ſi ſcanna nella ceremo nia del giuramento tra Romolo e Tazio : ne deve far difficol tà il noine della vittima , poichè tutto ciò che li confacrava agli Dei era fanto , e la Scrofa è ſtata ad Enea d'indizio del paeſe che ricercava . La pittura di Mezio non è meno allegorica ; egli tradi Tul lo Oſtilio come Antonio tradì la Repubblica , e tradi Ottavio con la guerra che all'uno ed all'altra intimo per far piacere a Cleopatra . Mezio ne fu ſquarciato a viſta di Tullo; ed An. tonio fu coſtretto a darſi la morte quafi agli occhi d'Augufto. An 187 Antonio mentre s'incamminava al ſepolcro ove s'era rinchiuſa Cleopatra , andava verſando il ſangue per le Atrade come ap punto il corpo di Mezio per la ſelva . Non ſi potevano eſpri mer da Virgilio coſe sì delicate che in un quadro allegorico , Due volie , dice Svetonio , entrò Auguſto in Roma vitto rioſo e ſenza trionfare , una, poichè egli ebbe vinto Bruto e Caffio ne'campi Filippici, l'altra avendo vioto Seſto Pompeo in Sicilia ; il che moftra , qual foſſe la modeſtia politica d ' Auguſto ; queſta ſteſſa egli usò con Marcantonio del quale e gli non crionfo , ma di Cleopatra , come ſi può raccoglier dal Trionfo deſcrito da Dion Callio . Egli ſollevò i figliuoli d' Antonio alle prime dignità , nè col moſtrar odio e vendetta con Antonio dopo ch'egli era morto voleva offender Octavia a cui era ſempre grata la memoria del marito . Orazio e Vir gilio ben ſapendolo non mai parlarono di Marcantonio ſc non mettendolo in compagnia di Cleopatra su cui fecero ca der l'odio e la colpa ; ma nel tempo ſteſſo , conoſcendo forſe che Auguſto ſi compiaceva , che negli animi de' Romani non ſi ſmarriſſero l'idee di quanto avea fatto contra Marcantonio per la finta difeſa della libertà , eſli procurarono di maſcherar ne l'azioni con l'allegoria , della quale Auguſto poteva abba ſtanza intenderne il ſenſo , e non offenderſi i partigiani d'An tonio per le varie interpretazioni che poteano darle . Nelle mie note su l’Odi d'Orazio io ſpiego con ciò molte coſe in intelligibili ſenza queſta ſuppoſizione, nè ſarà diſcaro che ne moſtri l'uſo nelle ſtorie di Porſenna e di Manlio ſcolpite da Virgilio nella ſeconda ovale dello Scudo . Porſenna voleva riſtabilire in Roma la tirannia traſportan dovi i Tarquinj, e nonmeno Antonio voleva riſtabilirla tra ſportandovi Cleopatra . Se Antonio , dice Dione , foſſe ſtato ſuperiore e ſignore del tutto , era per dare a Cleopatra la Cit tà di Roma ; è poco dopo ſoggiunge , che Cleopatra era venu ta in ſperanza d'acquiſtar l'Impero Romano , e che quando al cuno le dimandava giuſtizia , ella riſpondeva che gliela fareb be in Campidoglio :al che pur allude Orazio nell'Ode 37. l . 1. dicendo ch'ella era ebbra di folli ſperanze non meno che di vino mareorico . Io non so ſe troppo raffini nel ritrovar in Clelia che ſi falva a nuoto , Ottavia che al dir di Plutarco eſce precipitoſamente dalla caſa d'Antonio ; ma certamente Coclite che rompe il ponte è un ſimbolo d'Agrippa che con la vittoria navale interrompe l'avvanzamento d'Antonio. AQ 2 Tito 188 Tito Manlio è difenſore della libertà del Campidoglio con tra i Galli , come Antonio fu difenſore della preteſa libertà contra Caſſio e Bruto e gli altri nimici di Giulio Ceſare. Non mancarono , dice Plinio , i fregi delle coſe militari in Manlio Capitolino , ſe non gli aveſſe perduti nell'eſito della vita ; e Tito Livio ſoggiunge , che lo ſteſſo luogo nell'Uomo ſteſſo fu un monumento e d'inſigne gloria e di ultima pena . Anto nio difeſe il popolo Romano ne' Campi Filippici , e il popo lo Romano in Azio ed in Aleſſandria l' inſeguì e fu cagione della ſua morte . I Salj ed i Luperci eſultano , e le matrone ne loro cocchi agiati conducono le coſe ſacre per la Città per dimoſtrare che non ſono ammeſſe in Roma le ſuperſtizio ni Egiziache , abborrite eſtremamente da' Romani ne'cempi d ' Auguſto e di Tiberio . Catilina tormentato nell' Inferno non moſtra egli le pene dovute a Marcantonio ? e per la ragion de contrarj quante lo di meritava Auguſto per la ſalvata libertà ? In grazia di que fta ſoffriva Augufto che fi lodaſſe Catone Uticenſe . Orazio nell’Ode 12. c. 1. lo mette tra gli Eroi di Roma . Loderò di Caton la nobil morte ? Il P. Catrou pretende , che il Catone che negli Elisj dello Scudo dà legge agli ſpiriti, non fia altrimenti Catune Uricen ſe , ch'era troppo odioſo a'Ceſari, ma Catone il Cenſore , di cui dice Seneca , che tanto giovo co'ſuoi coſtumi al popolo Romano , quanto Scipione colle ſue guerre . Il P. della Rue é per il Carone Uticenſe , ma non ne aſſegna la ragione , la quale è manifefta, ſe ſi riflette al paſſo di Taciro da me nell' alıra diſſertazione addotto e che qui ancora ſoggiongo , perchè cgli moſtra quanto Ottavio fi vantafle, come Cromuello fece a' noſtri tempi , di paſſar per difenſore della pubblica libertà . Tito Livio ( così fa dir Tacito a Cremuzio Cordo in Senato ) chiariffimo tra tutti gli Scrittori e per eloquenza e per fedel tà , celebrò con tante lodiGnco Pompeo che Auguſto lo chia mava Pompejano , nè perciò gli fu meno amico. Nelle Opere di Aſinio Pollione ( cui Virgilio dedicò l'Egloga terza ) li fa onoratiflima memoria di Callio e Bruto : Meffala Corvino pre dicava Caffio per ſuo Imperatore , e l'uno e l'altro viſſero lun. gamente pieni di ricchezze e d'onori, ed Auguſto , non ſi sa le con maggior lode di manſuetudine o di prudenza , laſciò 1 cor 189 correr le lettere d'Antonio , e l'orazioni di Bruto , che molto lo diſonoravano ; nel che forſe volle imitar Ceſare Dittatore che tollerò i verſi di Bibaculo e di Catullo , ed al libro di Marco Cicerone nel quale s' inalza Catone al Cielo , riſpoſe perorando come ſe foſse avanti i Giudici . Con queſto paſſo di Tacito ſi può dar la ragione per la quale Virgilio ed Ora zio non temerono , dedicando l'Opere loro ad Auguſto , di no. minar Giunio Bruto , Marco Bruto , e Callio , Catone, e Pom peo . Maquale ſcaltrezza cortigianeſca v'è in Virgilio nell' introdur Catone a dar legge agli ſpiriti ? Par, ch'egli accen ni , che Carone meritava ſolamente grado in quella Repubbli ca ideale di Platone , la quale ſecondo Cicerone egli cercava nella feccia di Romolo . Ed ecco ciò che dovea dirſi intorno alle lodi indirette ed allegoriche . Le figure del quarto e del quinto ſpazio contengono lodi di rette , perchè cuite ripiene delle coſe di cui si compiaceva Auguſto che i Romani continuamente acclamaffero . Egli ſteſ ſo , come ſi diffe , avea nel Foro di Ceſare conſecrata l'ima gine della battaglia , e del Trionfo , nè io dubito punto che Virgilio ne aveſſe eſpreſli i tratti della pittura nello Scudo in quella guila , che nel primo libro nel rappreſentar il Furore alliſo ſopra i trofei e con le mani annodate al tergo imita la pittura ch'era nel Tempio di Giano . Tutto poi nella deſcrizione e della battaglia , e del Trion fo , è diretto alla lode d'Auguſto. Nella battaglia , Auguſto è coi Padri , col Popolo , coi Penati , e co'magni Dei, ed ha in fronte la ſtella paterna ; ciò ſignifica , che la guerra era in trapreſa per la libertà del Popolo , del Senato e coll'alliſtenza di Giulio Ceſare già Deificato . All'incontro Antonio non ha ſeco che de' Barbari , ed un'effeminata Reina ; Auguſto è di feſo da Venere genitrice , da Minerva , e da Apollo , Dei del la prudenza e del conſiglio , e da Nettuno , che gli era ſtato favorevole nelle guerre in Sicilia contro Seſto . All'incontro Antonio non ha ſeco che Dei moſtruoſi ed odiati da' Romani . Quanto cgli deſcrive più feroce la pugna , tanto maggior mente eſalta il valore d'Auguſto e d' Agrippa , ch'egli ſempre accompagna per le ragioni di ſopra accennate . Le Furie e la Diſcordia con Bellona liriferiſcono a Cleo patra ; ma qual mai v'è ſagacità poetica nell'accennare la fu ga e la morte di queſta Reina ? Mentre ella ſuona il filtro non vede i due ſerpi che la minacciano alle ſpalle ; ella con fida iyo fida in vano nelle forze dell'Egitto , e in vano tenta di rifu . giarſi nelle più occulte ſpiagge delNilo . Tutto allude al .con higlio ed alle azioni di Cleopatra . Perchè poi Virgilio non nc introducefle nel Trionfo l'effigie , e tra i prigioni non poneſ ſe i figliuoli di lei , la cagione n'è forſe ſtata il timore d'ec citar nell'animo altrui con queſte imagini qualche grado di ammirazione e di compaffione , e perciò ſcemar in parte la lode d'Auguſto , e tra l'altre quella della pietà . Ne'gran Poe. ti biſogna egualmente riflettere e a quel che dicono e a quel che tacciono , onde molto male s'argomenta dalla Poeſia alla Storia , e dalla Storia alla Poeſia , quando non s'attende al fi ne a cui tutto vuol accomodare il Poeta . Il fine delle figure ſcolpite nei vari ſpazi dello Scudo ha relazione al fine gene rale dell'Eneide . Le figuredel ſecondo ſpazio riguardano il ſenno d'Auguſto , le figure del terzo il valore , le figure del quarto riguardano la ſua pierà . Queſte ſono le tre virtù do. minanti dell'Eneide . Dionigi d'Alicarnaſlo , che ſcriveva nel tempo d'Augufto , le ſtabiliſce come neceſſarie ai fondatori d ' un Impero , e Virgilio vi fabbrica ſovra l'Eneide . Molte altre coſe io potrei addurre intorno l'artifizio poeti. €0 , la chiarezza , e la brevità , colla quale Virgilio in sì po chi verſi eſprime tante coſe , nè mai per oftentazione o d’in. gegno o di dottrina o d'erudizione , maſempre relativamente al diſſegno del tutto e delle parti , ciò che deve ſervire a' Poe. ti moderni di precetto e d'eſempio. DISSERTAZIONE PRELIMINARE i ALL' ILLUSTRAZIONE DEL PARMENIDE DI PLATONE. atentat nesatentratata L A ſecca della Filoſofia Italica fondata da Pitcagora ebbe nome e ſede nella Magna Grecia , tra le cui Provincie fu per l'eccellenza de'Filoſofi, che vi fiorirono , celebre la Lucania , ed in queſta la Città di Velia , o d'Elea così denomi nata dal fiume che l'irrigava . Quivi Senofane di Colofone , Cit tà della Jonia nell'Alia minore , ſtabilì e perfezionò la fecta , che dalla Città d'Elea fi diffe Eleacica , e meritò d'avere tra gli al tri diſcepoli Parmenide nato di Pireto , e quel Filoſofo grave e venerabile , che con Zenone paſsò in Atene , ove tenne la con ferenza con Socrate eſpreſſa in queſto Dialogo . Ora avendomi propoſto io d'illuſtrarlo nella ſua parte ſtori ca e Filoſofica, credo diſoddisfar quanto baſta al mio impegno ſe prima tento d'accordar l'erà controverſa dei tre Filoſofi nomi nati, indi ſe della dottrina Eleatica ſpiego l'origine e l'effetto , o la Filoſofia Pittagorica , e la Platonica ; finalmente ſe mi fer punto che Platone in queſto Dialogo n'eſpoſe, e dichiaro l'artifizio filoſofico , e poetico dello ſteſſo Dialogo . lo difli , che Senofane ftabili , e perfezionò la ſecca Eleacica perchè Platone dice nel Sofiſta , la gente d ' Elea incomincia appref ſo di noi da Senofane, anzi da più antichi, i quali non poteano eller che Talete, o Pittagora , oi difcepoli loro ; non regnando, allora alıra Filoſofia nella Grecia , ſe non l'introdotta dai due fondatori, o profeſſata da i loro allievi . Alcuni però fecero Se nofane poſteriore a Talete , ma più antico di Pittagora, nè fo dove prendeſſero le loro congetture cronologiche , alle quali oltre l'autorità di Platone , s'oppongono le ſcoperte dei due Fi loſofi , e i viaggi loro . Taletecalcolo il primo l' eccliſli lunari , ma come poteva egli calcolarle ſenza conoſcere la propolizione , che Euclide poi fe ce la 47 del primo libro degli Elementi , e di cui s'aſcrive or dinariamente l'invenzione a Pitcagora ? I calcoli aſtronomici ſo mo ſul . no ( 4 ) no dedotti da trigonometrici, principio de' quali è il triangolo rettangolo miſura diſe ſteſſo , e de gli altri triangoli. Pittagora dunque, che l'invento , o fu contemporaneo di Talete , o fiori prima di lui . , Io credei , che queſta foſſe una dimoſtrazione in cronologia , finchè in Plutarco ( a ) ritrovai che gli Egizj ſimboleggiavano co ? tre lati del triangolo rettangolo miſurati da 3, 4 , e s le loro principali divinità Ilide, Oliride, ed Oro ; aſſegnando ad Oſiri de la perpendicolare, la baſe ad Ilide , e ad Oro l'ipotenuſa ; L'antichità del ſimbolo manifeſta quella della cognizione , tan to più che gli Egizi coltivarono l' aſtronomia da poi che eb bero inventato la geometria per miſurare i terreni, e non par veriſimile , che ſenza conoſcere il triangolo rettangolo , il pri mo e il più facile ad immaginarſi de gli altri, poteſſero riu ſcire nella pratica di queſte due ſcienze . V'aggiungo, che fe condo Platone ( 6.) noci erano, agli Egizi gl' incomenlurabili , la prima idea de' quali naſce dall' impoſſibilità di eſtrar la radice dal quadrato dell'ipotenuſa del triangolo ; I lati del retcangolo Pitta gorico ſono i numeri accennati , e queſta è la prova che dagli E giz lo toglieſſe Pittagora , e nello ſteſſo tempo o poco prima l' aveſſe colto Talete , benchè poi Talete ſi contentaffe di moſtrare all'Aſia minore l'ulo aſtronomico della propoſizione, e Pictagora ne deſſe alla Magna Grecia la dimoſtrazione Geometrica , ed è forſe quella regiſtrata da Euclide nel primo libro diverſa dalla 8 del libro 6 dedotta dalle proporzioni delle linee , e che nel progreſſo del tempo Eudoffo , che fiori nel tempo di Placone , portò dall' Egitto col s elemento . Or fe i gradi delle cognizioni dello fpirito umano ſono fema pre gli ftefli, dall'analogie dell' Epoche moderne ſi poſſono de durre le antiche , e particolarmente quelle che hanno relazione agl'inventori de' principjmatematici . Nel paſſato ſecolo ſi trova prima dal Toricelli la Cicloide , e l' Ugenio l'applicò a regola re il moto dell'orologio a pendulo ; il Newtono fi limitò all'altrace ta Teoria della luna , e l' Hallejo l'applico a correggere le Tavo le aſtronomiche . La ſeconda congettura della contemporaneità di Pitragora, e di Talete , ſi prende da coſe più facili . Vuol Jamblico , che Ta lete ſcriveſſe una lettera a Ferecide maeſtro di Pittagora, e gli legaſſe certi fcritti morendo , e par che Plinio convenga che i due Filoſofi foſſero ſtati in Egitto al tempo che regnava il Re Amaſi. La queſtione non cade più dunque ne ſu tutto il ſecolo , ne ( a) Trattato d'Ilide, ed Oſiride . ( 6 ) Nella Rep. e nelle leggi . ( 5 ) 1 4 ne ful mezzo ſecolo , ma su l'età dell'uno e dell'altro di pochi anni diſtante ; Talete par più vecchio ſe ſcriſſeuna lettera al maeſtro di Pittagora , machi sa poi ſe Pitragora non era allora in Egitto ? queſta lieve differenza non toglie però , che ſe Talete' fu più d'un ſecoloprima di Senofane, non lo foſſe ancora Pittagora : Io ritrovo bensì, che Senofane era contemporanco d'Epicar mo , e diEmpedocle. Secondo Timeo lo Storico , Senofane paſsò in Sicilia al tempo di Gerone , ſotto il cui Regno Epicarmo era illuſtre per le ſue commedie, e Plutarco (a) ci conſervò la memo ' ia d'una riſpoſta , che diede Senofane ad Empedocle . Non è facile il determinare , nè qui lo cerco , quanto Epicar mo , ed Empedocle foſſero diſtanti da Pittagora , e quindidà Ar chita Tarentino il vecchio , da Peritione , da Timeo di Locri , da Ocello Lucano , e da altri , che ſi dimandavano Piccagorei ( 6 ) perchè udirono Pittagora , a differenza deglialtri , che ſi chiamava no Pittagoriſti. Quando cominciò Senofane a ſtudiar la Filoſofia , quella di Ta lete era già diffuſa nella Jonia , e quella di Pittagora nella Magna Grecia ,e nella Sicilia ; su queſto fondamento altri fecero Seno fane diſcepolo di Anaſimandro , ed altri di Archelao diſcepolo di Anafagora , il quale avea il primo traſportata la Filoſofia dalla Jonia in Atene, ove paffato Senofane ftudiò ſotto ( c ) un certo Bottone Ateniere . Dalla povertà cacciato Senofane dalla Grecia , paſsò nella Sici lia e quà s'abbandono alle doctrine Pittagoriche , più delle Joniche conformi all'ingegno di lui acre , e profondo. Dalla Filoſofia Jo nica , e dall' Italica traſſe un nuovo liftema , è meritò ď' effer ca po della ſecta Eleatica primo fonte dell'Accademica , e della Pla tonica , delle quali poi furono rami lo ſcetticismo, e lo ſtoicismo, Nulla ancora s'è fatto , ſe non ſi dimoſtra accordarſi l'ecà di Senofane con quella di Parmenide , e queſta con quella di Socra te . Tralaſciare dunque molte epoche inverifimili, io m'arreſto a quella che aſſegna Timeo a Senofane , ed è che egli fiorille nell'olimpiade 76. Parmenide, ſecondo Laerzio ſeguito dallo Stan lejo , e da altri , fiorì nell' olimpiade 69 diſtante dalla 76 di 7 olimpiadi, che importano 28 anni, calcolando ogni olimpiade per 4 anni compiuti . La voce fiorire è molto vaga o ſteľa nel la Cronologia , perchè non ſempre moſtra , che un Filoſofo fof ſe nel punto più alto della ſua fama, ma che ſolo aveſſe un no meilluſtreacquiſtato . Il Newtono , che cosi rapidamente ſi per fezionò nelle matematiche, fioria del pari in Inghilterra nel 1662 quando ſcriſſe al Leibnizio la lettera in cui gli dichiarava lo ſvi luppo , ( a ) Plut. de vit.pud . ( 6) Patr. diſcuſs. prop . 1. 6. (c) Laerzio vit.di Sen. ( 6 ) 3 8 luppo , e l'uſo del Binomio eſaltato ad una potenza indetermi nata , e nell'anno 1716 in cui molte coſe aggiunſe al ſuo libro de' colori, e n'illuſtrò molte altre nei principj naturali della Fi loſofia matematica , Senofane, che lo Scaligero fa vivere 104 an ni , ed altri almeno fino a 100 , potea fiorire in olimpiadi mol to diftanti, perchè per la forza della ſua mente facilmente riu fcendo nelle fue applicazioni, in breve acquiſtava fama di lomme Filoſofo , e la ſua fama tanto più ſpargeali per le bocche degli Uomini , quanto egli abbelliva le ſue meditazioni filoſofiche con la Poelia per farle ricercare , e leggere con più d'avidità . Parmenide fece i ſuoi ftudi in Elea ( a ) ſotto Amenia , e Dio cheta Pictagorici , i quali lo riduſſero a laſciar le ricchezze , ecol tivar la vita privata, e darſi tutto alla Filoſofia . Biſogna dun que che in eſſa molto riuſciſſe , o la Filoſofia foſſe la paſſione , che più lo dominava, ſe nato de' più ricchi, e de’più nobili di Elea ebbe tale coraggio ; ma ciò molto applauſo dovea avergli acquiſtato appreſſo de'ſuoi Cittadini , ſe fin d'allora cominciarono a celebrarlo in guiſa , che al dir di Ermipo Empedocle l'emuld . Nulla vieta il ſupporre, che Empedocle avelTe molto ſoggiornato in Elea , e poi foſſe ritornato in Agrigento ſua Patria . In Elea era ſtato emulator di Parmenide doctiſſimo nelPittagoriſmo, e lo fu in Sicilia di Senofane , che lo profeſſava con qualche cangiamento', dopo gli anni 28 che è l'intervallo frappoſto tra l'olimpiade 69 e 76 . Paſso Senofane in Elea , ed ivi Parmenide conſecrato agli ſtudi corſe ad udir Senofane , come i giovani nobili , e ben educati ſo leano far nella Grecia , quando nelle loro Circà udiano entrar un Filoſofo illuſtre , e che potea inſtruirli in qualche nuovo liſte ma , del che chiari gli eſempi ne vediamo nel Protagora , nelGor gia , ed in altri Dialoghi di Platone . Quando Parmenide udi Se nofane, queſti poteva eſfer molto vecchio ; ma qualunque età dia ſi a Senofane, mi baſta , che nel pricipio dell' olimpiade 76Parme nide imparaſſe da lui il fiſtema dell'uno immobile , e non aveſſe allora che 36 , e ancor 40 anni , la ſteſſa età che avea Zenone quando diſputò con Socrate in Acene . Socrate nacque al fine dell'olimpiade 77 , ed avea 4 anni com piuti o 5 anni cominciati , quando nella noſtra ipoteſi Parmeni de ne avea 40. Se zo anni dopo ſi fuppone, che Parmenide con Ze none paſlaffe da Elea in Atene , come vuol Platone , non avea che 60 anni, e Socrate che 25 , onde era egli molto giovane relativa mente a Parmenide . Semplici, e al fommo veriſimili ſono queſte ipoteſi degli ſtudi, 1 e dei ( a ) Laerzio vita di Parmenide . 1 ( 7 ) e dei viaggi dei due Filoſofi , e ſe s'accordano facilmente con le olimpiadi , perchè oftinarſi a rigettarle , e rinunziare all'au corità di Platone , che potea molto meglio al fuo tempo cono fcere l'epoche dell'era filoſofica , che non ſi conobbero 6oo an ni dopo , e ben più ? Le circoſtanze , con cui Platone accompagna l'abboccamento di Socrate con Parmenide , accoppiano in guiſa alla verità del fatto la veriſimiglianza ſtorica del Dialogo , che pare non do ver laſciarſi alcun ſoſpetto . Io le eſtrarro dal Dialogo . Parmenide , e Zenone fuo diſcepolo favorito o fuo figlio a dottivo abitavano fuor delle mura di Atene in caſa di un cer to Pitidoro . Nelle ſolennità de grandi Panatenei , itofene So crate a ritrovar Parmenide , ritrovò folo in caſa Zenone , e comia cid a diſputar feco fu l'idee . Entrato poco dopo Parmenide in caſa con Pitidoro , ſi proſeguì la diſputa incominciata alla pre fenza di molti , tra' quali Ariſtotele non lo Stagirita , ma uno dei 30 Governatori , o Tiranni di Atene . Tali ſono le circo ftanze del luogo , del tempo , e dei teſtimoni della diſputa . Socrate non avea allora che 25 anni ; or eſſendo egli mor to nell'età di 72 anni, dall'abboccamento alla morte non vi fo no che 47 anni di diſtanza , e tanti appunto o pochi più dall' abboccamento al Dialogo , ſe Platone lo ſcriffe dopo la morte di Socrate : ma poniamo che l' aveſſe compoſto anche 20 anni dopo ; la memoria di un Uomo così illuſtre qual era Parmeni de non potea più ignorarli in Atene , di quel s'ignori ora a Parigi la dimora che vi fece il Leibnizio, e l'Ugenio , e le di fpute che ebbero nell' Accademia reale . Alle verilimiglianze ſtoriche s'aggiungono le poetiche necef ſarie all' ornamento del Dialogo , che è una ſpecie di Poeſia Dramatica : così lo teſse Platone. : Cefalo per bocca di Antifone ſuo fratello uterino , e figliuo lo di Pirilampo , racconta ad A dimanto , e Glaucone , tutto ciò che avea udito da Pitidoro fu la diſputa che ebbero Zenone pri ma , e poi Parmenide con Socrate . ' Antifone avea converſaco familiarmente con Pitidoro compagno di Zenone , ma poi laſcia ta la Filoſofia coltivava l'arte equeſtre , e quando Cefalo ad in ſtigazione de' compagni andd a ritrovarlo , egli dava certo fre no ad accomodare ad un fabro ; circoſtanza che io credo finta per dar rilievo al racconto , é fiffar la fantaſia del lettore con qualche coſa di ſtrano . Par toſto che Antifone occupato in un volgare eſercizio , non debba favellare ſe non di coſe volgari , nè mai s' aſpetta , che egli ſia per ſalire nell' ultime aſtrazio ni della metafiſica ; quindi il lettore reſta ſorpreſo dalla mera viglia ( 8 ) 1 > e di viglia , allora che egli racconta il principio della diſputa tra So crate e Zenone, e che poi s'interrompe alla venuta di Parme nide , che fattoſi pregar un poco la continua fino al fine. Quan te menzogne , ſe Socrate non parld mai con Parmenide ! All incontro qual arte fina di veriſimiglianza poetica , per dar or namento alla verità del fatto di cuiCefalo , Adimanto , e Glau cone vivendo poteano renderne teſtimonianza ? Come immagi narſi, che un Filoſofo il qual volea render accetta la lettura de ſuoi Dialoghi , cominciaſſe a diſguſtar il lettore con bugie le più sfacciate ? Ariſtotele, che calunnia il ſuo Maeſtro in tante parti dell'opere ſue fue , e che parld ſovente di Parmenide Socrate non attaccò mai Platone ſul loro abboccamento , e pur ne poteva trar degli argomenti, per renderne la dottrina ſoſpetta. Non ne parlano altri autori Greci più vicini a Platone , non gli autori Latini , che più ſtudiarono i Greci , e tra gli altri Cicerone e Plinio , che tante coſe ci conſervarono fu l' iſtoria ed Era Filoſofica . Non v'è che il ſolo Ateneo il qual viſſe a' tempi di Marco Aurelio , che vuol dir quaſi più di 600 anni dopo Platone . ( a ) Egli dice : Appena permette l' età che Socrate aveſe veduto , ed udito Parmenide , non dover però noi meravigliar ſene, perchè Platone ſuppoſe che Fedro vivere al tempo di Socrate ; che Paralo , e Zantippo figliuoli di Pericle , e morti nella peſtilenza , ragionaſſero nel Protagora , e che Gorgia diceſſe nel Dialogo del ſuo nome quel che mai s'era fognato di dire . Molte altre accuſe contro Platone vibra Ateneo , e s'affatica a dipingerlo tanto mordace , e maledico quanto bugiardo . Non so perchè i Cronologi attenti a peſare ogni minuzia de'te fti non oſfervino , che Ateneo nel dire vix ætas permittit dichiara , che poco intervallo di tempo v'era ſtato tra la morte di Parme nide, e l'età di Socrate , maqueſto vix qual ha poi forza cronologica poſto in bocca di Guriſconſulti, di Oratori, diPoeti , di Filologi, non di Cronologi, che avrebbono diminuito l'allegrezza del convito coi loro calcoli, e colle lor aſciutte illazioni ? Il Calaubono il qual nel ſuo comentario d'Ateneo in un'altro libro in foglio sfoga tanta eru dizione ſu l’erbe, ſu ipeſci, ſui coſtumidel convito , elu mille altre coſe inutiliffime a ſaperli nulla degna di dire ſu le accuſe colle qua li uno dei Dinnoſofiſti morde Platone . Io per me credo , che A teneo vedendoſi incapace d' emulare l'immenſità della dottrina Platonica , e l'arrificioſa maniera con cui l'eſpone Platone ne'ſuoi Dialoghi , teſſe lunga ſerie d'accuſe , e lo condanna di menzogne ro , e maledico per accreditar ſe non altro la veracità , e la mo deſtia colla quale caratterizza i ſuoi Dinnoſofiſti. Il buon Grama cico ( a ) Ateneo lib . 14. Sympt, 9 ) tico ne goda egli pure , e ſen ' applauda ; non per queſto io crede rò , che Parmenide non poteſſe ragionare con Socrate , e ſtard immobile nelle mie ipoteſi cronologiche , che a ben peſarle non vagliono meno di tante altre , che in queſto ſecolo fi ſpacciano, e fi difendono come i Teoremi diGeometria : Candidamente perd confeſſo , che io farò per ſacrificarle a colui , che all'autorità di Ateneo ne aggiungere qualchealtra più dimoſtrativa, e meno ſo fpecta ; finalmente malgrado le congetture eſpoſte io ſon perſua ſo , che ſe Platone tutto finſe , il Dialogo è più ammirabile per la menzogna poetica tutta opera della ſua fantaſia, che non è per la verità del fatto , di cui poteano farſi onore i men dotti . Platone fcriffe in Filoſofia più ditutti gli antichi che lo precede rono , e come da Eraclito le coſe fiſiche, da Socrate le morali , così tolle da' Pittagorici lemetafiſiche , le quali non ſi correffero che nel fecondo ſecolo della Religione , per le varie diſpuce che, nacquero tra iPlatonici , e tra i Criſtiani. Eſaminerò dunque prima d'ogni altra coſa la natura della difpu ta , dopo di cui proporrò generalmente l'antica Filoſofia , ed in di la particolareggierò in Pittagora , e ne'Pittagorici, tra'quali Se nofane e Parmenide, e la terminerò con Platone . A queſte due coſe io riduco l'origine, e l'effetto dell'Eleatiça Filoſofia .. Gli antichi Filoſofi , ſenza eccettuarne nè pur uno , convennero nel principio , che di nulla fi fa nulla , e ciò gl' impedì di poter conoſcere che Dio era un ente ſingolariſlimo, uno, onnipoten re , buono , e libero; in ſomma di tutte quelle perfezioni dotato le quali o per negazione , o per caſualità , o per eminenza gli at tribuirono i SS. Padri, e cuti'i Teologi . Era Dio ſtato ſempre con la materia ? Dunque altro non gli competea , che eſſer un modo di efla od un ente , che ſolo per preciſion di ragione dalla materia ſi diſtingueva ; era egli per metà uno , per metà onnipotente , fe dipendea da un principio , ſenza il quale operar non potea , non più che il Pitcore dalla tela e dai colori , e lo Scultore dal marmo. La diminuzione della potenza toglieva a Dio la bontà , perchè non poteva egli vincer in guiſa la contumacia della materia , che non regnaſſe a ſuo malgrado il male miſto col bene . Come dunque Mosè per opporſi al politeiſmo del ſuo tempo dalla creazione cominciò la ſtoria del mondo ; così per opporſi a tutti gli errori che derivarono dall'eternità della mate ria fi cominciò nel ſimbolo Apoftolico da Dio creatore , inſiſten do al dogma di S. Paolo , il quale nella Epiſtola agli Ebrei : In tendiamo ; ( a ) dice egli , per la fede eſſere ſtati connelli i ſecoli Tom . II. b dalla ( a ) Epiſt. agli Ebrei cap. 11. Fide intelligimus aptata eſſe ſecula ver bo Dei . ( 10 ) dalla parola di Dio . I Padri nelle loro diſpute co'Gentili lo dichia rarono. Noi , dice Atenagora ,Jepariam Diodalla materia , lamateria crediamo un ente diverſo ---- ( m ) Dio è uno , ed ingenito , ed eterno ; la materia è corruttibile ; e poi celebriamo tutti un Dio ſolo crea tore di tutte le coſe . - - .- la fua forza immenſa non poterono abbrac ciar coloro con l'animo, che la notizia di Dio non cercarono nello ſtef fo Dio, ma dentro fe fteſi . Taciano (6 ) pur dice : Dio non s'inſi nua nella materia e negli spiriti materiali e nelle forme , ma egli è artefice inviſibile ed intangibile di tutte le coſe . Teofilo d'Antiochia ( c) parlando ad Autolico, dice , ſe Dio è ingenito e la materia è pur tale , non è più Dio fabricatore e creatore di tutte le coſe . Queſti Pa dri viſfero tutti e tre nel ſecondo ſecolo non molto diftanti l' uno dall'altro . Gli errori de' Marcioniti , de' Valentiniani , de' Baſiliani , chefuronopur cutti e tre che in queſto ſecolo diedero occa fione a' Padri d'illuſtrare il lor zelo , dichiarando con la crea zione della materia il principio fondamentale della Religione Criſtiana . Anzi Taciano dimoſtro , che i Greci ne avevano ri cevute l'idee da'Barbari , ed i Barbari dagli Ebrei , benchè poi le aveſſero oſcurate e corrotse . Affaccendati gli altri Padri a purgarle , oſſervarono che Dio , autore del pari della Fede , che della ragione , non le avea ſeparate in un modo caliginoſo ed impenetrabile , ma le avea in maniera accordate , che dall'aurora dell'una fi potea paſſare al pieno giorno dell'altra , cogliendo però dalla ragione quanto e Platonici e Pittagorici e Stoici, ed Epicurei v aveano im preſſo col lor proprio carattere . Si compiacquero dunque della ſetta Eclerica , ed il primo che l'abbracciale fu Atenagora il primo de' Catechiſti d'Aleſſandria , poi S. Clemente ed Origene dal Veſcovo Uezio chiamato Pocamonico ( d ) anzichè Platoni ço , San Clemente ſpinſe tant'oltre la condiſcendenza , che pro poſe come poflibile un ſiſtema filoſofico, il quale raccoglieſſe tut te le verità ſcoperte dalla ragione umana fin dal principio del mondo , ed agevolaſſe il metodo di far ricever i dogmi della fede, e quello della creazione. Amonio Sacca conciliator di Ariſtotele e di Platone , ritrovando che in Ariſtotele l' eternità del mondo ſi conciliava con l'eter nità di Dio , ſe ben egli nulla ſcriveſſe , laſcid tuttavia a' ſuoi diſcepoli , onde ſtabilire tal dogma. Diſtinſe egli l' eternica in due gradi o in due ſegni , nell' uno dei quali poneva Dio, nell'altro le coſe bensì create , ma da lui dipendenti , come il raggio dalSole , o l'ombra dal corpo . S'accorſero i Padri, che iFi ( a ) Apologia pro Chriftianis . ( 6) Tat. allir, cont. Græc. ( c ) Teof. Aut, lib . 2. ( d ) Iftor. del Moeffenio nel finedelCuduortio . ( 11 ) e tras i Filoſofi mettendo con la creazione eterna una dipendenza tra la materia é tra Dio , coglievano a Dio la libertà , perché cacitamente fupponevano , che da Dio neceffariamente foſſe emanato il mondo come il raggio dal Sole e l'ombra dal corpo . Far di Dio un Agente neceſſario , è lo ſteſſo che farlo per metà Signore , per che ſe fi confeſſa da una parte , che da Dio dipenda la coſa che egli fa , fi nega dall' altra che da lui dipende il farla ed il non farla. La libertà è la maggiore delle perfezioni. Perchè dun que corla a un ente infinitamenteperfetto ? Lafcio S. Ireneo, S.Cirillo , ed altri, cheſoddisfarono ampia mente a tutte l' obbiezioni ; ma quello , che più degli altri le ſcDIonvolſe ed atterrò , è ſtato Lattanzio Firmiano , che con au reo ftile nel quarto ſecolo ſcriſe . In queſto ſecolo ancora ſcriffe ro Eufebio nella Preparazione evangelica , e poi S. Agoſtino nel la Città di Dio , l'uno ſegut l' ormeaccennace da Taziano , 1 alţro con erudizione più vigorofa , e più filoſofica ſcriffe contro l'eternità , l'animazione , la divinica del mondo , e l'immutabi lità del Fato . Apparve Proclo ( as nel príncípio del V1. fecolo fondendo nella ſua Teologia molto di quella de' nomiDivini at tribuita a S. Dionigi Areopagita , rinovd il fiſtema di Amonio Sacca riſtoro il Platoniſmo caduto . Nel fecolo dopo , Zac caria di Mitilene , ed Enea di Gaza , ſcriſſero' pure contro l'eter nità del Mondo. E da' loro fcritii ſi raccoglie , che l'idea di Dio, combinata col policeiſmo era un'idea nugatoria , non men di quel la del bilineo rettilineo , che rappreſenta alla mente una figura , é non è che una contraddizione . Il P. Balto , nel ſuo dotuiffimo libro contro il Platoniſmo ſvelato , lo dimoftra ; e dopo il Balto fe de fece dal Moeſfenio quella circoſtanziata iſtoria ſul Platonis la quale è nel fine dell' opere del Cuduortio , da lui tradotre dall' Ingleſe in Latino . lo nell’eſpor la doctrina de Filoſofi antichi non mi feryi rò dell'autorita de' Platonici recenti , non più , che fe non aveſ ſero mai ſcritto , ſalvo allora , che s'accordano cogli antichi, e ci confervano qualche circoſtanza ſtorica indifferente . Cercherò prima ne' teſti de' Filoſofi ftefli il ſenſo , che naturalmente preſen iano , e dove ſia queſto oſcuro , ed equivoco , ricorrerà all'in terpretazione o di Cicerone , o di Plutarco , o di Sefto Empirico , o di Laerzio Viſle Cicerone molti anni prima del Crifianeſimo , e Plutar co viffe a Roma ſotto Adriano, o Trajano , dopo d'aver ſtudiato in Egitto forro Amonio , diſcepolo di Potamone, e del quale egli b 2 par ( a ) Pachimero in Suida , Vedi Fabrizio Bibliot. art , Proclo . e mo , . ( 12 ) parla nella vita di Temiſtocle ed altrove. Laerzio e Seſto Empi rico , fiorirono in circa ſotto Severo , che vuol dire molto prima di Amonio Sacca , di Plotino , di Porfirio , e di molti alori nimici del nomeCriſtiano ; non rifiuterd dall'altro lato i ſoccorſi , che i Padri m'offrono allora particolarmente , che non hanno certa indulgenza alle opinioni filoſofiche , ſcrivendo agl’Imperatori, o non argomentano ad hominem contro coloro , che gl'inſultava no . La mecafiſica di Platone non è diverſa da quella de' Pittago rici , e ſe una volta io dimoſtro, che queſti e particolarmente Pitta gora , Senofane, e Parmenide conobbero bensì un principio intel ligente , ma non ſeparato dalla materia , anzi con effa non facen do che un tutto , avrò dimoſtrato , io mi perſuado, che queſto pur era il ſiſtema Platonico . Cominciero da Cicerone che in poche ma ſoſtanzioſe parole compendio tutto il ſiſtema de' primi Accademici o di Platone , e lo craſſe da' Pittagorici , come da Placone purtraſsero il loro gli Stoici, e i ſecondi e verzi Acca demici , poichè quanto a' Peripatetici ( a ) eli convenendo nelle cafe non differivano , che ne' nomi . Gli antichi , dice egli , divideano (b )lanatura in due coſe , l'una delle quali era efficiente, e l'altraad eſsa quafi preſtandoſi quella di cui ſi fa ceano le coſe.. Incid che facea riponevano la forza , in ciò di cui ſi fa cea , una certa materia , ma l'una e l'altra era nell' una e nell' altra perchè nè la materia può aver coerenza , ſe non ſia da qualche forza ritenuta , ne v'è la forza ſenza qualche materia , poichè nullo v'è che non fic in qualche luogo . . Se la forza e la materia erano indiviſibilmente unite , la fola mente le ſeparava , e perciò conſiderar l'una ſenza l'altra era un ?: aſtrazione , una preciſion della menee . Cid che riſulta ( c ) dall'uno e dall'altro , o ſia dall'accoppiamento , lo chiamavano corpo , e quafi certa qualità ...-- . Di queſte qualità al tre fono principali, ed altre derivate da queſte . Delle principali ſono ognuna ( a ) Cicer. Quæſt. Acad. 1. Peripateticos', & Academicos nominibus differentes , & re congruentes lib. 2. ( b ) De natura autem ita dicebant, ut eam dividerent in res duas , ut altera eſſet efficiens, altera autem quaſi huic fe præbens ea qua effi ceretur aliquid : in eo , quod efficeret vim eff: cenſebant ; in eo au tem quod efficeretur materiam quamdam : in utroque tamen utrum , que : neque enim materiam ipfam cohærere potuiſſe , ſi nulla vi contineretur ; neque vim line aliqua materia : nihil eft enim quod non alicubi eſſe cogatur. ( c ) Sed quod ex utroque id jam corpus , & quaſi q uandam qualitatem nominabanc Earum igitur qualitatum ſunt aliæ Principes , aliæ ex his ortæ . Principes ſunt uniuſmodi , & ſimplices , ex iis au tem ortæ variæ funt, & quafi multiformes : itaque aer quoque ( uti niur ( 13 ) ognuna della ſteſſa ſpecie , e ſemplici. Da queſte qualità , altre ne for no nate , e quaſi moltiformi. L'aere , il fuoco , l'acqua , ela terra for no primi , e da queſti nacquero le forme degli animali , e le altre coſe , che ſi generano dalla terra . Dunque que' principi , per tradurlo dal Greco, ſi dicono elementi , de' quali l' aria , il fuoco , banno la for za di muovere , e di fare , le altre parti di ricevere , e quaſi di pati re , l'acqua, dico , e la terra . La parola ſemplice quì non ſignifica indiviſibile , e Seſto ( a ) Em pirico pur la prende in queſto ſenſo . Vè un quinto genere , b )di cui ſono gli aſtri, e le menti ſingolari , ed Ariftotele lo pone diſimile dagli altri quattro . Se le menti ſono tratte dallo ſteſſo elemento , che gli altri , non ſon eſſe ſemplici nel ſenſo d'indiviſibile, ciò che Cicerone dice altrove . Teniamo noi che l'animo abbia tre parti , come piacque a Platone, o ſia ſemplice ed uno ; ſe ſemplice ſia egli come il foco , il fangue , l'anima , cioè il ſoffio . Queſte coſe conſtando di parti non ſono ſemplici. Continua Cicerone . ( c ) Ma penſano, che di tutte ſia ſoggetto una certa materia priva di ogni specie , e d ogni qualità , e da eui Butte le coſe ſono eſpreſſe e fatte , e che può ricever in sè tutte le coſe . Se la materia era prima d'ogni fpecie , d'ogni qualità , non cra corpo , e perciò conſiderata dalla mente , indipendentemen te dalla forza , ella era incorporea ; Selto Empirico chiama per . incorporei i punti, le linee , e le ſuperficie . .. Platone nel Timeo , la chiama difficile ed oſcura fpecie , e il recercacolo d'ogni generazione, e quali nutrice ; aggiunge , che ella non fi diparte mai dalla propria potenza , perciocchè tut te le coſe riceve , nè prende maiper alcun modo, alcuna forma a queſte fimile , e prova eller convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo quel. che ha in sè da ricever tisti'i generi, comequelli che hanno da fa re unguenti odorofi, l'umida materia , che vogliono di certo odore, cori dire di tal guiſa preparano ', che ella non abbia alcun proprio odore e colore eziandio , vogliono in materie molli imprimere alcune pgure , los niuna mur' n. pro latino ) ignis , & aqua , & terra prima ſunt. Ex iis au tem' orræ animantium formæ earumque rerum quæ gignantur è ter ras, ergo illa initia , ut è Greco vertam , elementa dicuntur ; è qui bus aer , & ignis movendi vim habent & efficiendi ; reliquæ par tes accipiendi & quafi patiendi, aquam dico & terram . a ) Contra Mathematicos. ( b ) Quintuin genus e quo eſſent aſtra mentesque ſingulares earum quatuor quæ ſupra dixi diſſimiles , Ariſtoteles quoddameſſe rebatur . ( 6 ) Sed Salicetam putant oinnibus fine ulla fpecie , atque carentem omni illa qualitate o ... materiam quandam ex qua omnia eſptela , atque effecta lipt qux'- tota omnia accipere pofito ( 14 ) 1 njuna figura affatto laſciano primieramente apparire in quelle , ma cer cano pria di renderle quantopoſſibil fra polite. Molte altre coſe aggiunge Placone , che Ariſtotele in una de finizione riduce , dicendo che la materia non è alcuna di quelle co fe , di cui l'ente fi determina , e tra l'altre coſe annovera la qua lica , e la quantità , che par Cicerone ridurre alla ſola qualità ; ma che l'idea del corpo , e della materia foffero diverſe ſecon do gli antichi , lo dimoſtrano le diverſe parole , con cui l'eſpri mevano , chiamando la materia ùns, ed il corpo owllde. Chi po ne un nome , dice Platone nel Sofiſta , dalla cofa diverſo , introdu ce veramente due coſe . La materia dunque, non eſſendo il corpo , ella era incorporea , ed incorporea la chiama in molti luoghi Sefto Empirico , e Plotino , la cui autorità qui è tanto più for te , quanto che egli ſteſo col nome d'incorporeo , non ſignifi cava la ſteſſa coſa che noi chiamšamo fpirituale . Stobeo ( a ) lo conferma col dire: Si nega effer corpo lamateria non tanto , perchè manchi degl'intervalli del corpo , o delle tre dimenſioni , quanto perchè ſia priva d'altre coſe appartenenti al corpo, figura, co lore , gravità , leggerezza, ed ogni altra qualità , e quantità . La materia pud ( b ) in tutti i modi mutarfi , ed in ogni parte non mai ridurſi al niente, ma ſolo in parti che poſsono all' infinito partir li, e dividerſi , nulla eſſendo di minimo in natura , che divider non fi pola. Le coſe poi che ſi movono tutte', moverſi con intervalli , che all'infinito ſi poſſono dividere , e cosi' movendoſi quella forza , cheab bian detta qualità ( cioè il corpo ) e di qud , e di là verſando per fano , che tutta affatto la materia fi muti , efi faccian le coſe, che chix miam quali, dalle cui nature coerenti, e continue in tutte le ſue parti è fatto il mondo , fuori di cui non v'è alcuna parte di materia , nè abas cun corpo . Quante coſe raduna Cicerone in poche parole ! Con la divi fibilità all'infinito della materia , eſclude gli atomi forſe ammeſ da Empedocle ne' minutiſſimi corpicelli , che componevano gli elementi, e da Eraclito nelle mondature piccioliflime , ed indivi fibi ( a ) Stobeo. I. 1. Egl. fil. cap . 14. 16 ) Omnibusque modismutare atque ex omni parte eoque etiam interi se non in nihilum ', ſed in ſuas partes quæ infinite lecari , atque di vidi pollint, cum ſit nihil omnino in rerum naturam minimum quod dividi nequeat : quæ autem moveantur omnia intervallis moveri; quzintervalla item infinite dividi poſfint, & cum ita moveatur il la vis , quam qualitatem effe diximus , & cum fic ultro citroque verfetur : & materiam ipfam totam penitus commutari putant , & ita effici quæ appellant qualia , e quibus in omninatura cohærente , & confirmata cum omnibus fuis partibus effectum elle mundunt, extra quem nulla pars materiæ fit nullumque corpus . ( 15 ) Ibili . Con la coerenza delle parti della materia , Cicerone eſclu de il vuoto negato da tutti , da Talece fino a Platone , onde dif ſe Empedocle: Nulla di vuoto vė , nulla che abbondi. Accenna pur Cicerone le leggi coſtanti che conſervano icore pi movendoſi, e nel dir che fi movono con certi intervalli , i quali all' infinito ſi poffon dividere , non applica egli le leggi del moto a' corpi minimi come a'fenfibili ? Le parti (a) del mondo effer tutte le coſe che fono in eso, e tutte occupate da una natura che ſente , e nella quale v'è una ragione per fetta , e la ſteſsa fempiterna , nulla effendovi di più forteche poſsa diſtruggerla , e la steſſadirfi mente , ſapienza perfetta , e chiamarfi Dio, ed eſer .quafi certaprudenza di tutte le coſe , cheprovede alle coſe celefti , ed a quelle che in terra appartengono agli uomini. Se queſto Dio degli antichi Filoſofi rifultava dalle nature coerenti e continue di tutte le parti del mondo , ſe egli era il ſenſo , la ragione perfetta, la ſapienza , la providenza che reg gea queſte parti , era egli altro che una modificazione della forza e della materia , giacchè non v'era forza ſenza materia , nè materia fenza forza , e non era egli ſeparatamente dalle co ſe conſiderato che un ente di ragione ? Qual relazione ha que fto Dio al noſtro , che è un ente ſingolariſtimo in sè, e fepa rato non per preciſion di ragione , ma realmente dalla forza e dalla materia , della quale egli è il Creatore ? Alle volte lochiamiamo ( b ) neceſſità , perchè null' altro pud farſi , ſe non ciò che da lei è coſtituito nella quafi fatale , e immutabile con tinuazione d'un ordine fempiterno ; alle volte poi lo chiamiamo fortu na , la qual fa molte coſe improvvife , nè da noi penſate per l'oſcuri. tà , ed ignoranza delle cagioni ; ed ecco Dio rappreſentato come agente neceſſario , o ſenza libertà ; ecco diſegnato l' ordine fa tale e ſempiterno delle coſe ; ecco come per la noſtra igno ranza non poſſiamo conoſcere la conneſſione , e le conſeguenze delle ( a ) Partes autem mundi effe omnia quæ infint in eo quæ natura ſentiente teneantur , in qua ratio perfecta inſit quæ fit eadem ſem piterna : nihil enim valentius eſſe a quo intereat , quam vim ani mam effe dicunt mundi eandemque effe mentem fapientiamque per fectam quem Deum appellant, omniumque rerum quæ ſunt ei fub jedtæ quafi prudentiam quandam procurantem cæleftia maxime dein de in terris , eaque pertinent ad homines . 16 ) Quam interdum neceſitatem appellant quia nihil aliter poſfit, at que ab ea conftitutum fit inter qual fatalem , &immutabilem conti nuationem ordinis fempiterni ; nonnunquam quidem eandem fortu nam , quod efficiat multa improviſa hæc nec optata nobis propter obſcuritatem ignorationemque cauſarum , ( 16 ) delle cagioni , e degli effetti loro . In ſomma l'antica Filoſofia aveva adotata l' eternità , l' animazione , la divinità del mondo , e l'immutabilità del Fato , le quattro coſe che Santo Agoſtino ha egregiamente combattute nella Città di Dio . Comparando il trattato d' Ilide , e d' Ogride di Plutarco col paſſo di Cicerone , non è difficile di raccogliere, che la Filoſo fia Egizia ne' principi eſſenziali non era diverſa dalla Greca , ſe non nella maniera di ſpiegarſi o ne' ſimboli . La materia , di cui parla Cicerone , era Ilide , la quale in ogni coſa potea tramu . tarſi, e di tutte le coſe eſer capace , della luce , delle tenebre , del giorno, della notte, della vita , della morte , del principio , e del fi ne . La forza è Oſiride , la cui veſte ſi facea ſenza ombra , e ſenza varietà , d'un color ſemplice , e rilucente ; perchè ella è il principio dalla noſtramente ſolo , intefo , puro, e ſincero, tutt' iſimbolicontrarj a quelli delle proprietà dipendenti dalle qualità de' corpi diſegnati per Oro . Riſultava queſti dall'accoppiamento d'Ilde , e d'Oſiride, e chiamavaſi parto o creatura , rappreſentandoſi per l'ipotenuſa del triangolo miſurata dal 5 ; per cui ſi chiamava con la voce Pente , da cui deriva Panta, o l'Univerſo , che gli Egizi penſavano eſſer la ſteſſa coſa con Dio , nel che, come egli dice , s'accordava Ma netone Sebenita con Ecateo Abderita . Diodoro di Sicilia nel principio della ſua Storia , ſcrive coſa pen {aſſero gli Egizj su la generazione del mondo , ſul principio del le coſe , ſul naſcimento dell'Uomo. Par che Euſebio afcriva a Tot , che è il Mercurio degli Egizj , quanto ſcriſſe Sanconiatone ſul caos, e ſulla formazione della Luna , delle Stelle , degli Elementi . La Teologia miſtica dei Fenici , che dagli Ebrei , ſecondo Euſebio ed altri Padri , ſi preſe , reftd in guila alterata e confuſa, che nel caos poſero prima i principj delle coſe, ed introduſſero poi l'arte fice o l'amore , per opra del quale ordinarono il caos , é fabbrica rono il mondo . Orfeo il primo la portò nella Grecia e L'Inno criſto canto del caos vetufto , E come agli elementi , e come al Cielo Origin deffe, ed alla vaſta terra , E alla profondità del mar Amore Antichiſſimo, e ſaggio . Il caos era la materia , l'amore , o la forma, ed i prodotti, i compoſti, ed i corpi, ed in queſte tre coſe conſiſtea la fiſica generale degli antichi . La ſcienza che n'eftraſſero o la metafi fica rappreſentandola in una maniera molto indeterminata , la ſciava infeparata la materia da Dio , e dai compoſti , ed era molto perciò differente dalla noſtra metafiſica, la quale nell' en te include eſſenzialmente le creature , nè s'eſtende che per un ' 9 1 5 ܗܳ ana ( 17 ) analogia molto lontana al Creatore . Io lo dimoſtrerò partita mente ne' liſtemi di Pittagora , di Senofane, e di Parmenide , e ſarà facile ad applicarne l'uſo a Platone . Pittagora e Platone ( a ) giudicano , che il mondo ſia ſtato fatto da Dio : dunque le Platone fece da Dio generar il mon do ordinando la materia fluctuante , egli imparò ciò da Pitta gora , che l'avea imparato dagli Egizi, da Orfeo , anzi dal pro prio maeſtro ( 6 ) Ferecide Sciro. Avea egli ſoſtenuto , che in tut ta l'eternità Giove , il tempo , e la terra erano ſtati. Facciali pur di Giove, la cagione di tutte le coſe , e gli ſi dia ſomma pruden za , e fomma ſapienza , egli non ſarà mai che la forza , e l'amore che eguaglieraffi al tempo , e alla terra ; vi ſi aggiunga , che poi chè Giove diede il premio alla terra ſi chiamò queſta Tellure, ( c ) non altro mai ſi concluderà , ſe non che prima la forza , e l'amo re temperaffe, digeriſſe , ed ornaſſe quella mole indigeſta , che chiamavali terra . Pittagora generò il mondo dal foco , e a guiſa di foco ſotti liſſimo ( d ) Iparſo, e rinchiuſo nel mondo , volea Placone , che foffe Dio . L'ornamento , ( e ) l'unione , l'ordine di tutte le coſe furono chiamate da Pittagora Coſmos, o il mondo, e diffe egli , che il mondo viſibile era Dio . Stimò il primo , dice Cicerone ( f) l'animo per tutta la natura delle coſe eſer diffuſo , e per la mente da cui gli animi noftri ſono tratti , ne vide per la detrazione di que fti diſtaccarſi , e ſquarciarſi Dio , e farſi miſera una parte di lui , mentre queſti ſoffrivano. Dio dunque era il mondo , e l'anime era no parti di Dio , effetto della Metempficoſi, ſe pur non era queſta una coſa affatto poetica, come Timeo di Locri lo dice . Virgilio eſpreſſe il ſentimento di Cicerone nelle Georgiche. * Della mente di Dio parci efſer l' api, E forfi eterei differo , che Dio Va per tutte le terre, e tutti i mari , E pel profondo Ciel ; quindi gli armenti, E le pecore , e gli Uomini, e ogni ftirpe Di fere, e ogni altra , che da se rimove La tenue vita allorchè naſce . Tomo II. E nell ( a ) Plut. de Ifid.& Ofir.car. 374. Franc. Edit. Vechel . ( 6 ) Laert. (C ) S. Clem . Aleſs. ( d ) San Giuſtino apolog. Ermia nel fine dell'opere di S. Giuſtino. ( e) Plut,plac.lib.2 . ( 1) De Natura Deor. I. 1 . Elle apibus partem divinæ mentis , & hauſtus Æthereos dixere : Deum namque iré per omnes Terrasque tractusque maris Columque profundum . Hinc pecudes , armenta , viros , genus omne ferarum Quemque fibi tenues naſcentem arceſſere vitas . 1.4. Georg. . C ( 18 ) E nell' Eneide , * Nel principio le terre , il Cielo , e i campi Liquidi, e della Luna lo fplendente Globo , e gli aſtri Titanj , interno fpirco Alimenta , ed infuſa in ogni membro Tutta la mole n'agica la mente E fi framiſchia nel gran corpo ; quindi E di pecore , e d'Uomini la ftirpe, De volanti la vita , e'l mar che i moftri Sorco la liſcia ſuperficie porta . no , Pittagora fu l'autor dell'idee ; (a ) oſervd il primo tra'Greci che la mente non potendo rappreſentarſi ſingolari, perchè ſono in numerabili nel compararli, ne traſfe igeneri, e le ſpecie , ne'qua li ſi ravviſano le coſe ſparſe . Così ravviſava tutti gli individui umani nell'animal ragionevole. Nel far queſti aſtratti ( 6 ) conſide rò , che la materia era mutabile , alterabile , Auflibile in ogni gui fa , ma che non vi ſono ſpecie , che s'accreſcano , o che perifca e perciò gli Uomini oſſervandole coſtantemente in tutti i tempi, e in tutti i Paeſi le credono eterne ed immutabili . La que ſtione era di rappreſentar queſt'idee. I numeri convengono all'Uomo , al cavallo , alla giuſtizia , al la caſa , e a che so io ; dunque i numeri ſono univerſali , perchè atti alla rappreſentazione de' molti. L'oſſervazione è d'Ariſtotele , ( c ) e molto più la ſtende Poſſidonio , riferito da Seſto Empirico , ( d ) il qual dimoſtra per i numeri aſſimigliarſi cutte le coſe , e ſen za queſti non poterſi intendere nè gli elementi, nè l'armonia , nè alcuna delle tre dimenſioni del corpo , nè ciò che riſulta da corpi uniti , coerenti , diftánti, nè tutti i calcoli delle quantità fùccef five, nè ciò che appartiene alla vita , ed all' arti fondate su propor zioni ſolo intelligibili per i numeri . Pitragora dunque ſi ſervì del numero , per dar un ſimbolo dei due principj delle coſe, la forza , e la materia , di cui chiamò l'una l'uno , e l'altra il due . L'unità , diceva egli , è Dio , ( e ) ed anche il bene che è di natura * Principio Coelum , ac terras camposque liquentes Lucentemque globum Lunæ Titaniaque altra Spiritus intus alit : totamque infuſa per artus Mens agitat molem , & magno ſe corpore miſcet. Inde hominum pecudumque genus vitæque volantum , Et quæ marmoreo fert monſtra ſub æquore pontus . ( a ) Plut. plac. Phil. l. 1. ( 6 ) Plut. ib . l. 1. c.9 . ( c ) Metaf . lib . 10. ( d ) Contra Logicos . ( e ) Plut. plac . Phil. lib. 2 . ( 19 ) un ſolo , e lo ſteſso intelletto , il due infinito , e genio triſto , d'inser torno il qual due ſi fa la quantità della materia . Chiamava uno la forza perchè noi la concepiamo a guiſa d'un non ſo che d'indi viſibile ; chiamava due la materia , perchè ella è fempre divil bile in due , Di queſti due principj, uno è quello del bene , e l'altro del male, già l'ha inſinuato Plutarco. Archelao Veſcovo ( a ) di Cara dice ; Širiano introduce la dualità contraria a ſe ſteffa , la quale egli preſe da Pittagora , ſiccome tutti gli altri ſettatori di tak dogma, ; quali difendono la dualità declinando dalla via retta della ſcrittura . Tutte in ſommal'ereſie , che vi ſono nel compendio della Filo fofia di Cicerone , che vuol dir l'eternità , l'animazione , la divis nità del mondo , Piccagora le raccolfe in un ſiſtema , ed in vano fi dice, che egli nulla fcriveſſe . Liſide diſcepolo ( b ) di Pittagora in una lettera fcnca ad Ip parco , dopo la morte del maeſtro ſignifica non voler comuni care ad alcuno i precetti, e dimoſtra che delle coſe , le quali di ceano i ſeguaci di Pitcagora , non ve n'era nè pur ombra. Por firio nella vita di Pittagora dice , che agli Uomini oppreſli da tale calamitat, ( cioè dalla morte di Piccagora ) : manca lo ſciens di lui , la quale arcana e recondita cuſtodida in petto , nè vi reftas fono che certe coſe difficili da intenderſi imparate a memoria dagli udi tori dell'eſterna Filoſofia, poichènon v'era alçun ſcritto di Pittagora ; ed aggiunge ,che dopo la morte di lui „ Lilide , Archippo ,ed altri furono folleciti , chei penſieridiPiccagora non ſi pubblicaffero , onde eutti gli arcani della ſua Filoſofia con lui perirono'. To dubito aſſai del la vericà della lettera di Liſide, la quale con quel che dice Porfirio pud eſſere ſtata finta ,perchè i Criſtiani nontraeſfero argomenti da quanto ci reſta diPitagora , in Cicerone, in Plutarco , in Laer zio : ma ſe non v'era coſa alcuna della Filoſofia di Pittagora ,.co me poi Jamblico poeea gloriarſi di riftabilirla ; e non è manifeſto che egli la riſtabili a fuo modo per combattere i Criſtiani de'quali fu accerbo' nimico ; lo ſteſſo Porfirio , che dice nulla aver fcric to Pittagora , come poi ebbe fronte d'afferire , che egli avea ſcrit to fu l'ente , il che Euſebio ( c ) riferiſce ? Diſcepoli di Pitcagora furono Archita Tarentino il vecchio , Pe ritione , Timeo di Locri, ed Epicarmo. Archita il vecchio ( d ) , che Simplicio confonde col giovine , fcriſſe delle dieci voci corriſpondenti ai dieci concetti dell'animo , i quali s'eſtendono a cutte le cole , potendoſi d' ognuna cercar la ( a ) Zaccagna collect. monumentorum veterum Eccleſiæ Græcæ , atque Latinæ . Archelai Epiſcopi acta . ( 6 ) Galeo . ( c ) Propof. Evang, lalg . (d ) Patrizia diſcuſ, Peripa,1 ( 20 ) la ſoſtanza , la quantità, la qualità , l'azione , e gli altri acciden ti regiſtrati a lungo da Ariſtotele nella ſua Logica , in cui copiò il trattato di Archita . Lo Stanlejo , che pretende di numerare tutte le donne Pitcago riche , omette Peritione, e pur eſser ella dovea la più celebre ,le da lei trafse Ariftotele ( a ) tutta l'idea della ſua metafiſica . Lo prova con molta erudizione il Patrizio , allegando la definizio ne della fapienza di Peritione , e comparandola con quella di Ariſtotele. Laſapienza , diceva ella , verſa in tutt'i generi degli en ti , perchè verſa intorno tutti gli enti , come la viſione intorno tutti i viſibili. Ariſtotele definì la metafiſica, per la ſcienza che contem pla l'ente , in quanto ente , e le coſe che per sè gli convengono . Peritione egregiamente ſpiegò gli accidenti dicendo : delle coſe che accadono agli enti , alcune univerſalmente accadono a tutti , alcu ne altre a molti di loro , e certe ad un ſolo , ma riguardar univerſal mente , e contemplar tutti gli accidenti appartiene alla ſcienza . Que. fte ed altre cole che ilPatrizio aggiunge, danno idea della preci fione , e nettezza di Peritione , e nel tempo ſtefso quanto tra' Pittagorici erano familiari l'idee Pittagoriche , ſe le donne ſtef ſe ne ſcriveano con tanta eleganza filoſofica · Non dobbiamo tuttavia meravigliarſene , di poi cheabbiam veduto ne’noftri gior ni Madama la Marcheſa di Chatelet , ſcrivere ſulla natura del. le monadi Leibniziane , queſtione molto più oſcura di quella dell'ente . Timeo di Locri nel ſuo ragionamento ſull'anima del mondo , in queſta univerlità di natura , dice egli , v'è un certo che, il qual rimane , ed è l intelligibile eſemplare delle coſe , che ſono in un fuſo perpetuo di mutazioni, e queſto nelle vicende delle coſe ſingolari , co ftante, e perpetuo eſemplare ſi chiama idea , ed è dalla mente compre fo . Nell'univerſità dunque delle coſe , che vuol dir dentro le coſe o in cutti i compoſti v'è quel non ſo che , che mai non cangia , e può dalla mente eſtrarli qual idolo . Le coſe ſenſibili eſser in un perpetuo fluſso lo diſsegnarono , al dir di Platone , nell'Omero , ed Eſiodo ſotto l'imagine dell'Oceano , e di Te ti , e di queſte non aſsegnarono fcienza i Pictagorici , ma ſolo di quelle , che nè col ſenſo , né coll' immaginazione ſi ravviſa no , e queſta fu la prima differenza tra la Filoſofia Jonica , e l'Italica . Epicarmo ſommo Poeta , come Omero al dir di Platone , so all' una grandezza d'un cubito ( diceva egli ) altra tu voglia aggiun gervi o ſottrarsi, non avrai mai certo la Nera miſura ; gli Uomini pa rimen ( a ) Patriz. l . 2. cap. 1. diſcuſ. Perip. ( 6) Ragion, ſu l'anima del Mondo . ( 21 ) rimente conſidera or accrefcere , ed or decreſcere , tutti ſoggiaciono ai cambiamenti del tempo . ( a ) Jeri tu fofti un altro , io pur vi fui, E un altro ſiamo in queſto tempo , e fieno Di nuovo gli altri , che non mai gli ſteſſi Noi ſiamo , come la ragion lo predica . Per l'Intelligibile così parlo : A. L'arte tibicinal è qualche coſa ? B. Perchè no . A. Forſe è l' Uom queſta tal arte ? B. Non mai A. Vediam , che coſa queſto ſia Tibicine B. Egli è un Uom ; non dico il vero ? A. Il ver ma ftimi che non debba diri Ciò pur del bene ? Io voglio dir che il bene Una coſa pur ſia , ma s'altri impari Ad effer buon ei già dirafli buono ; Il Tibicine è quegli che la tibia A ſuonar imparò. Quel che a ſaltare Salvatore , e ceſtor quegli che a teſſere Impararo , e così d'ogni altro l'arte Certamente non è , ma ben l'artefice . Nel dir Epicarmo , che il bene è una coſa come l'arte , e che nè il buono , nè l'arte ſono gli uomini che la partecipano, egli c ' inſegna a far le aſtrazioni della mente , la qual avendo comparato tra loro molti Uomini che fien buoni , molti tibicini , molti falcatori e teſtori , ne ha compoſto quell'idea , che poi convie ne a tutti . Queſt'idea reſtando ſempre la ſteſſa in tutti i tem pi , ed in tutti i caſi, per quanto variano i temperamenti, e le figure degli Uomini, li confidera ſempre nello Iteſſo modo , ed è principio del diſcorſo , o di ciò che nel Teeteto ſi chiamano analogie ſcoperte , le quali nel raccogliere le coſe col mezzo de' ſenli , le fanno comprendere la ragione. Epicarmo era contemporaneo di Senofane, come ſi diffe , ed eccoci a ' Filolofi più vicini a Socrate, ed indi a Platone , i qua li a poco preffo ſi trasfuſero le ſtelle idee non diverſificate , che dalla maniera d'eſporle, e di colorirle . Senofane, dice Euſebio , e quelli ( 6 ) che lo ſeguirono , moſfero così con ( a ) Laerzio Vita di Platone . ( 6 ) Lib. 11. cap. 1. Prep. Evang. ( 22 ) 1 . 1 contenzioſe ragioni , che piuttoſto arrecareno a' Filoſofanti confuſio ne , che ajuto . Pittagora volea che il mondo foffe eterno , benst come gli altri Filoſofi , quanto alla materia , ma non quanto alla forma, poichè credea che foſſe ſtato generato dal foco; Se nofane pofe il mondo non generato , ma eterno , 'aderendo ad Ocello Lucano , che fcriffe fu l'eternità del mondo prima d'A. riſtotele ; ecco la prima differenza tra Senofane, e Pittagora Un'altra più forte ve n' era ; Pittagora avea pofti per principj l'uno , e il due , Senofane riduſſe tutto all'uno , Senofane", dice Cicerone ( a ) , è più antico di Anafagora ; vuel che uno fieno tutte le coſe , nè queſto uno è mutabile , ed è Dio non mai nato , e ſempiter no , e di conglobata figura . Seſto Empirico ( b ) parlando per bocca di Timone foggiunge, che fecondo Senofane l' Univerſo era una fola coſa , che Dio eſiſteva in tutte le coſe , e che era di figura sfe rica , e di ragione dotato . Ad Empirico ſi conforma Laerzio ( c ) dicendo , che ſecondo Senofane , Dio nella materia tutto udiva tutto vedeva , ſebben non reſpirale, e che tutte le coſe inſieme erano la prudenza , la mente , l'eternità . Io dimando, ſe nel far Dio fparfo per tutte le coſe, e fen ſitivo, e prudente, e intelligente, differiva egli dall' opinione che Cicerone eſpoſe nel compendio della Filoſofia ? Non v'è che la figura sferica che gli aſſegna Senofane , e per cui non infinito , ma finito lo rende ; ma chi fa , fe nel concepir gli antichi la figu ra sferica , comela più ſemplice , intendeſſero ſimbolicamente d'ac tribuir a Dio tutte le perfezioni ? converrebbe faper fe Senofane fcriſſe ciò in profa, od in verſo , e ben eſaminare tutto il conte fto della fua dottrina . Non reſtandoci che conghietture , io m'at tengo a quella del ſimbolo per accordar Cicerone con ſe ſteſfo , il quale nella natura degli Dei combatte Senofane, che aggiunſe la mente all'infinito . Queſt'infinità era una conſeguenza del fuo ſiſtema , perchè ſup poſta l'eternità della materia cost argomentava : ( d ) Eterno è cid che è , se è eterno è infinito , fe infinito uno , ſe uno fimile a sèl . Di nuovo ſe l' uno è eterno e ſimile , egli è ancora immobile , fe immobile non ſi trasfigura per poſizioni, non ſi altera per forme, non ſi miſchia con altri . Ariſtocele elamina i ſoffiſmi contenuti in queſto ragio namento ; il principale è ; da ciò che il mondo è ecerno , infini to , uno , non ne fiegue che egli lia effettivamente immobile , per che le coſe eſiſtono nella maniera che poſfono eſiſtere, e la materia ſe ſteſſa il principio del moto non v'è contradizione a cont ( a ) Queſt. Acad. lib. 1 . ( 6 ) Lib . 1. dell'ipotipoſi . ( c ) Laert. lib. 9. idí Arift. contra Xenof, Zenon. & Gorgiam . eſſendo per i 2 ( 23 ) a concepire, che il moto ſia eterno come la materia . Coloro che ammettevano il caos eterno , davano eterno il moto , ſebben ſen za regola o forma . Non ſi cerca qui però , ſe concludeſſe l'argomento di Seno fane , ma ſolo qual foſſe la ſua ſentenza , e coſa egli ne dedu ceſse . Come poi accordarla colla ſua fifica? Ammetteva egli per principj ( a ) delle coſe naturali la terra , il foco , l'aria , e l' acqua , e dalle alterazioni di queſti elementi, rendea tutti i miſti a generazione, e corruzione ſoggetti. Grand uſo fece di quefte due coſe , perchè, ſecondo lui , conſiſteva il So le negl'ignicoli raccolti dall umida (6 ) eſalazione in una nuvola ignita , e la Luna in una nuvola coſtipata . Manon era poſſi bile decerminare il grado di verilimiglianza filoſofica ch'egli da va all'Ipoteli, poichè nelle ſentenze filiche di Senofane y' è mani. feſta contradizione . Poneva egli de' Soli innumerabili , e la Lu na abitata . I ſoli innumerabili erano quelli de' Pitcagorici , e di Orfeo ( C ) ; ma come abitar una nuvola ? La terra ( d ) la quale per immenſa profondicà fi ftendea di ſotto , era coſa ri pugnante alla sfera armillare che Anaſimandro forſe di lui, maeſtro avea inventata o propagata per cutta la Grecia . Cor revano allora tali dottrine, e Senofane , in Colofone, in Atene, in Sicilia , e in Elea le avea ſtudiate ; avea Talęce calcolate l'eccliffi del Sole, e della Luna , avea Pittagora applicare al liſtema celeſte le conſonanze Muſicali, e nella lira a lette corde determinato il pu mero , e le diſtanze de' Pianeti ; non è poſſibile , che Senofane in un tempo così illuminato voleſſe diſcredicare il ſuo ingegno con ipoteſi aſſurde e ad ogni ragione contrarie ; non erano dunque , che idoli fantaſtici, iperboli poetiche, o ſimiglianze groſſolane, in cui ſi deve più badare al color, che alla coſa . La grande difficoltà di Senofane era nel combinare il fiſico col metafiſico , o lo ſtato ideale con l'obiettivo . Avea già ſtabilito Pictagora , l'intelletto altro non eſſer che ( e ) mente , ſcienza , opi nione , ſenſo, da cui tutte l' arti, e le ſcienze nacquero. Egli diſse gnava la mente per l'uno , ciò che adeſſo noi chiamiamo lemplice intelligenza ; diſegnava la ſcienza pel due , poichè s'acquiſta la ſcienza deducendo una coſa da un'altra ; diſsegnava l'opinione per il tre , poichè nel trar la conſeguenza da un principio proba bile ſe ne riguarda nello ſteſſo tempo due , in uno de'quali v'èla ragion ſufficiente d'affermare, nell'altro di negar la coſa . I Pit 3 ta ( a ) Laert. vit. di Xen. Plut. plac. ( 6) Plutar. lib .... Origenes Philoſ. ( c ) Veggali Moefenio ſu l'eſiſtenza d'Orfee . Plutar. plac. de Fil. lib.i. ( d) Gregorii Aſtronomici Pref. ( c ) Plutar. lib. 1. de plac. ( 24 ) tagorici furono tutti dogmatici , o per dar credito alle ſentenze del ſuo maeſtro , o perchè pareſſe loro , che la fapienza non do veſſe mai eſſer miſtad'ignoranza , come accade nell' opinione milta dell' una , e dell' altra . Senofane fu il primo ad introdur il dubbio nella Filoſofia, e quindi l'opinione. ( a ) Chiaro l'Uomo non ſa , nè ſaprà mai Degli Dei coſa alcuna ed altre coſe Che da me dette fur , ſiaſi perfetto Pur quanto ei dice , tuttavia non fallo , E v'è opinion in tutte queſte coſe . Da queſti verſi Seſto Empirico inferiſce , che Senofane non to glica la comprenſione, ma ſolamente quella che dalla ſcienza de riva ; nel dire in tutte queſte coſe d'è opinione accenna il proba bile , e l'opinabile , onde conclude che Senofane deve porſi tra coloro , che negano darſi criterio della verità , e non tra gli ac cattalecici , che negavano alcuna coſa poterſi da noi compren dere . L'autorità di Selto Empirico è d'un gran peſo , ove ſi tratta di determinare i gradi della cognizione , ma non è da ſprezzar fi ciò che dice Cicerone ( b ) : Senofane e Parmenide quan tunque con non buoni verſi però con certi verſi accufano quaſi irati d'ignoranza coloro , che ofano dir di ſaper qualche coſa allo ra che nulla fanno . Chi dice nulla eſclude ogni ſcienza , ed ogni opinione . Senofane ſi diſtinſe per la Logica , ( c ) e ſecondo la Cro nologia di Euſebio , (d ) egli fu udito da Protagora , e da Nef ſa ; Metrodoro udi Nefra ; Diogene Metrodoro ; Anaſarco Diogene, e coſtui Pirro d' Elea , dal qual ebbero nome i Filo ſofi Scercici fino a Gorgia , il qual diceva : Non v'è nulla ; ,fe anche vi foſe qualche coſa , non ſi potrebbe comprendere , e ſe compren dere , non mai ſpiegare con le parole . Come inoltrarſi dopo tale raf finamento di dubbj ? Tra i diſcepoli però di Senofane il più illuſtre fu Parmeni de deſcritto da Platone nel Teeteto qual vecchio grave , e vene rabile e di una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire, ſe mal non m'appoogo , che egli nella diſputa non era oſtinato , ſu perbo , rozzo ed agreſte, come Ariſtotele ( e ) dipinge Senofane è Meliſſo . Socrate in quel Dialogo , ed in altri s'aſtiene quanto pud ( a) Xenoph. ap . Seſt. Emp, adv. Matem. ( 6 ) Queſt. Acad. l . 2. ic ) Eufeb.1.6 . C. 19. ( d ) Id. l . 12, c . 7. ( c ) Metaf. lib. ... ( 25 ) può di ragionare contro le ſentenze di Parmenide per la rive renza che ad eſſo portava . Euſebio ( a ) caratterizza la dottrina di Parmenide , qual via contraria a quella di Senofane . Ermia però , dice Parmenide in bei verſi, c'inſegna che queſto Univerſo è eterno, immobile , e ſempre ſimile a ſe ſtero . Lo ſteſſo Euſebio credeva, che ſecondo Parmeni de l'univerſo foſſe ſempiterno , ed immobile . Stobeo riferiſce , che Senofane, Parmenide, e Meliſſo colſero affatto la generazio ne , e la corruzione. In che dunque diſconvenia Parmenide da Se nofane , ( 6 ) Ariſtotele chiaramente lo ſpiega nell' accennar la dif ferenza che v'era tra Parmenide e Meliſſo , dicendo : volea Par menide, che tutto foſe uno ſecondo la ragione , e Meliſo ſecondo la materia , e da queſti due differiva Senofane, che chiaramente non dif ſe nè l'uno , nè l'altro . Eſer uno ſecondo la materia , è il medeſimo che ritrovar nell eſſenza della materia la ragion ſufficiente dell'unità della ſteſſa . Ed in fatti una è la materia , fe in tutte le parti e nel tutco e nella medeſima fpecie è omogenea , qual Cicerone la deſcrit ſe nel compendio della filoſofia , e l'ammiſero Platone , ed Ariſto tele . Cicerone rammemora ancora la forza , utrumque in utroque , ma conſiderando forſe Meliſſo , che gli effetti della forza, o ſieno le forme, ed i modi aggiunti ſucceſſivamente alla materia , non mai erano continuamente cangiando , gli eſcluſe dall'eſſenza , e in con ſeguenza dall'unità della materia ; ma ſe una era eſſenzialmente la materia , uno era il mondo o l'univerſo , che da eſſa riſultava e ſe uno in ſe ſteſſo indiviſibile , eterno , ed immutabile . Malgrado dunque le continue aggregazioni delle parti ne' loro tutti , e le continue diſſoluzioni de'tutti nelle lor parti , malgrado le altera zioni , le generazioni, e le corruzioni, contemplando Meliſo l' univerſo nella parte effenziale lo credeva uno , e immutabile in quella guiſa che è ilmare, non oſtante le continue agitazioni che foffre da innumerabili flutti . Se tal era la ſentenza di Meliſo, ella non è men empia ri ſpetto a noi, che ridicola preſo i Pagani , perchè la materia , fe condo lo ſteſſo Cicerone , non può aver coerenza , e in conſeguen Tomo II. d za ( a ) Cap. 5. l. t. Præp. Evang. ( 6 ) Parmenides unum fecundum rationem attigiffe videtur , Meliſſus vero fecundum materiam , quare id & ille quidem finitum , hic ve ro infinitum ait effe , Xenophanes autem quando prior iſtis unum poſuerat ( nam Parmenides hujus auditor fuiffe dicitur ) nihil tamen clarum dixit , & neutrius eorum naturam attigiſſe videtur , ſed ad folum coelum refpiciens ille unum ait effe Deum . Metaf, Arift. l . 1 . cap . 5. ediz, Parigi ( 20 ) 1 1 1 4 > za unità , ſe non è ritenuta da qualche forza , e la continua ſuccef fione delle forme conſiderata affolutamente in ſe ſteſſa , non è me no eſſenziale al mondo , che alla materia . Ragionava dunque più ſottilmente Parmenide ; dalla materia , e dalla forza , dalla ſoſtanza , e dall'accidente , avea coll'aſtra zione della mente dedotta l'idea dell'ente e dell'uno, e preten dea che l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo preſcindeffe da tutte le forme, e le differenze dell'ente ſteſſo . Il P. Maſtrio quali tre mille anni dopo ebbe una fimile idea , poichè egli vuole che l'en te in quanto tale preſcinda dal finito , e dall'infinito , da Dio , e dalle creature e la ſentenza è ſeguita da tutti gli Scotiſti . Qualunque ella fiali , certo è che come quella di Parmenide curta opera della ragione più raffinata , e che ben diſſe Arifto tele , che l'uno di Parmenide era tutto ſecondo la ragione, non che la ſentenza di Meliſſo ancor non lo foffe , ma egli nel fondarla tutta ſulla materia croppo s'accomodava ai pregiudizi del ſenſo . Da Parmenide , e da Meliſſo ſi diſtaccava Senofane, il quale ef ſendo il primo a ragionare dell'immobilità dell'ente e dell'uno , s'at tenne alla concluſione ſenza ſpiegar il metodo con cui la deduſſe. Ariſtotele ( a ) che avea diviſe le loro fentenze nella metafiſi ca , par che nella fiſica le confonda dove diffe', che altri di lo ro tolfero la generazione' , e la generazione , e la corruzione, i quali come ben dicano in altre coſe non ſi deve perd penſare che parlino da Fifici , poichè l'efervi alcuni enti immobili è più inſpezione di una ſcienza ſuperiore, che della Fiſica. Non condanna dunque Parme nide , e Meliffo , perchè aveſſero tratcato dell'unità , ed immo bilità dell'ente, ma perchè ne aveano fatto un punto di Fiſica , dalla quale egli eſclule il trattato delle coſe eterne , e immuta bili , onde credendo che il mondo , e il Cielo lo foffero , parte ne trattò nella ſteſſa metafiſica , e parte ne' libri del Cielo; na chi può credere che Parmenide non diſtingueffe queſte due ſcien ze , avendo aſſegnati due principi delle generazioni, il foco , e la terra ? e determinato che un foco ſottiliſſimo , o lia l'etere cingeſſe gli altri , e che movendoſi in vortice raffrenaffe colla ſua rotazione ſe ſteſſo , e le coſe contenute, ciò che è il principio de' più moderni Filoſofi. ( 6 ) Egli componeva il mondo di molte ghirlande tra loro teſſüste , una rara , e l'altra' denfa ; fra le ghirlan de ne poneva dell'altre meſcolate di tenebre , e di luce , e volea che la coſa la qual a guiſa di muro le circondava forje foda , e maliccia . Queſte ghirlande, e corone erano i vortici di Empedocle, dei qua li egli dice parlando de caſtighi de'genj. Quelli ( a ) Ariſt. Fiſic. lib. 1 , ( b ) Plut, lib. 2. cap. 7 . ( 17 ) ( * ) Quelli nel mar ſollicitante forza Dell' etere rifpinge , e fola ſpucali Ne’ſotterranei abimi, e nella lampada Dell'almo Sole dalla terra cacciali , E il Sole infaticabile tramandali Ne' wortici dell'etere . Accoppiando il paffo di Parmenide con quel di Empedocle, par che tutti due deſſero vortici alle Stelle , raffigurando Parinenide nella luce le fiffe , e nelle tenebre i Pianeti ; chi sa, che queſta coſa maf ſiccia non foſſe il moto del vortice tutto luminoſo , perchè tutto etereo , il quale impediffe con la ſua forza di rotazione lo sfaſcia mento del mondo viſibile ? il moto della Luna , dice Plutarco , ( a ) ol'impero con cui gira , l'impediſce di cadere in quella guiſa , che la fionda torta in giro dalbraccio impediſce la caduta del faffo . Vuol Favorino, che Parmenide primo ſcopriſſe, che la ſteſſa Stella pre cede il Sole la mattina , e lo fiegue la fera, o che il Veſpero è lo ſteſſo che il Fosforo . Plinio ne attribuiſce la ſcoperta a Piccago ra, il quale veriſimilmente la portò d'Egitto , col ſiſtema cele fte ; ma forſe Parmenide, nella Teoria di queſta ftella , più che gli altri Pittagorici ſi diſtinſe, come Filolao nel moto della ter ra . Filolao la facea gira r in cerchio intorno alSole , ed Ecfan to volea , che movendoſinon partiſſe dal proprio luogo , ma fer mata a guiſa di ruota , ſopra l'aſſe proprio intorno quello giraffe da Occidente in Oriente ; non (6 ) aderiva Parmenide , nè a Filo lao , nè ad Ecfanto , ma conſiderando la terra d'ogni intorno egualmente lontana dalCielo , la ponea in equilibrio , e voleva che ſenza eſſer fpinta da alcuna forza a queſto , o quell'altro verſo , ella fi ſquaſfaſe bensì , ma non ſi moveſſe . Parmenide feparò il primo le parti abitate della terra fuor de' cerchj fol ftiziali , indizio manifeſto , che egli avea proficcato delle teorie di Anaſimandro , di cui ſi ſuol far ignorante Senofane. Tal era : il ſiſtema aſtronomico di Parmenide : nel fiſico egli divinizzò la guerra , la difcordia , l'amore , e diffe : Di tutti gli altri Dei cauſa è l'amore . * Αιθέριον μεν γαρ σφεμένος πόντον δε διώκει , Πόντος δέσχθονος έδας απέπτυσε, γαία δ' εσαύθις Η'ελία ακαμαντος , ο δ αιθέρος εμβαλε δίνεις . Α'λος δ' εξ άλα δέχεται και συγένεσι δε πάντες . Plut. de Ifide , & Ofiride . ( a ) De facie Lunæ . 16 ) Plut,deplac . Phil. lib. 3. d 2 Cosi ( 28 ) 1 Così gli attribuiſce Simplizio , ed Ariſtofane colle da Par menide l'amore che ordina , e fabbrica le coſe nella commedia degli uccelli , gli altri Dei non erano, che gli elementi già di vinizzati da Parmenide. ( a ) Empedocle l' emulò , benchè egli quattro elementi poneſse , e due Parmenide , il foco , e la ter ra , principali architetti delle corruzioni, e delle generazioni, e che rarefatti, o condenſati , ſi cangiano in aria , ed in acqua . I principj, ſecondo Ariſtotele , devono eſser tra loro contrari , e nulla v'è di più contrario , che il caldo , e il freddo , a quali corriſpondono il raro , ee ilil denſo denſo,, ilil moto moto ,, e la quiete . Tutto queſto ſiſtema fiſico di Parmenide eſpreſse Platone nel Sofiſta . Le mu je Jadi, ele Siciliane, dice , a queſte poſterioriſtimaronocoſa più ſicura d'annodare le coſe inſieme , in modo che l'ente ſia molte coſe ed uno , e ſi tenga colla diſcordia , e colla concordia , perchè diſcordando ( 6 ) fem pre s'accoſta egli come dicono le più forti muſe , ma le più molli non hanno voluto , che ciò ſe ne ſia ſempre così, ma privatamente alcuna volta dicono che l'Univerſo ſia uno , ed amica per Venere, altra volta molte , e con sè per ſeco diſcordanſi con certa conteſa . S'io non m'in ganno , qui s'allude all'amicizia , e alla diſcordia , o all’amore , e alla lite, che Parmenide poſe come principj efficienti delle genera zioni , e corruzioni; molti Poeti ſtaccando ciò dalle Poeſie di Par menide, e di Empedocle , non ifpiegarono con la lite, e con l'ami cizia , ſe non alcunifenomeni particolari , come chi dalſiſtemadel Newtono , il quale poſe per principio univerſale l’ attrazione ; al tri ſolo la prendeſse per iſpiegare i fenomeni del magnetiſmo, e poi per iſpiegare l'eletricità , la gravità ec . fi valeſse d'altro prin cipio . Non può dirſi dunque , che Parmenide non foſse eccellente Fi fico , ſe egli allora penſava a ciò che il Newtono pensò tanti ſeco li dopo ; ſcriſſe in verſi il trattato della Natura , come Lucre zio , ma il Poema s'è perduto, e non ce ne reſta che il principio conſervatoci da Seſto Empirico . ( c ) Mi portano i deſtrier , e quant'io voglio Traſcorrono ; che già m'aveano tratto Nella celebre via del Genio ; via Di cui m'aveano ammaeſtrato appieno Gľ ( a ) Cicerone .... 6 ) Nel Gítema Newtoniano in tanto una parte di erta fugge da un' altra parte , in quanto ella è attratta con più forza da un altro corpo ; quindi dall'attrazione ſi deduce l'a repulfione. ( ) I verli ſono in Seſto Empirico contra Logicos. ( 29 ) 1 Gl'infigni coridori, e dalla fama. Correndo il cocchio ſquaſsano , cui Duce Le fanciulle precedono , ma l'aſſe Splende ſtridendo nell'eſtrema parce De' raggi tra due fiſso orbi torniti . Allorchè s'affrettaro le fanciulle Eliadi , e della notte abbandonando Le café tenebroſe oltrepaſsarle , Nella via della luce al fine entraro ; Da i ſpiragli rimoſsero le vele Con man robuſta dove ſon le porte Delle vie della notte , e della luce ; L'une e l'altre circonda un arco immenſo , E il pavimento tutto n'è di marmo ; Agiliffime corronvi, e s'appreſsano Colà dove tenea Dice le chiavi, L'ultrice Dea , che premj , e pene imparte . Con parole molcendola ottennero Le fanciulle , che all'uſcio ella fmoveſse L'interna leva . L'adattata chiave Spalancando le porte per immenſo Foro i chioſtri ſcoperfe , mentre l'affe Si rivolgeva , e l'orbita del cocchio , Facilmente reggean l'alme fanciulle , A cui ben pronti il cocchio , ed i cavalli Ubbidiro . La Dea liera m’accolfe , E per la deſtra preſomi usd meco Tali parole . Dio ti ſalvi , o figlio Dilecto figlio, che alla noſtra Řeggia Guidarono que' nobili deſtrieri Che hanno in forte di reggere il divino Cocchio , nè rea fortuna ti conduſse In tal via . Non è trita a paſſi umani Ma audacemente di pregare è d'uopo I Numi , onde ti laſcino le leggi Inveſtigar della natura , in grembo Di veritade , che a ubbidire è proſta , E de' mortali tu fuggir potrai Le opinion , di cui non vera fede , Ma tu rimovi il tuo penſier da queſta Via di ricerca , nè ti sforzi lunga Eſperienza delle coſe gli occhi Figgere accenti o pur aperte orecchie Ai ( 30 ) Ai dogmi che ragion non prova . Quello Che ti preſcrive eſperienza lunga La ſola mente dall'error corregge . Seſto Empirico , comentando queſti verſi oſſerva , che Parmeni de chiama gli appetiti dell'animo i cavalli , la ragione il genio , o demone , e gli occhi le fanciulle Eliadi ; tutto il reſto è fancaf ma poetico , e, comeSenofane , egli penſava intorno alla ricer ca del vero ; concludendo il giudizio appartener alla ragione , e non ai ſenſi , ſenza eccettuare i due delladifciplina , o l'udi to , e la viſta ; dogma che fu poi quello dell'accademia , come a lungo Cicerone lo prova . I verſi fe hanno per oggetto cofe fublimi, e leggiadramente accoppino l' allegoria all' imitazione , e all' armonia , foddisfanno in un tempo ſtesſo , al fenſo, alla fantaſia , e all'incellecco , ono de queſte potenze coſpirando inſieme a ben rappreſentarci le co fe cantase , a preſtano ſcambievolmente le loro cognizioni, affin chè troppo sfumando nelle aſtrazioni , non ſvaniſca l'idea , e le ſenſazioni, e i fantasmi non l'offuſchino , ma ſervino alla mente di ſpecchio per ben contemplarla. La grande arte è , che lo ſpec chio non abbia troppo d'aſprezze, le quali non diſpergano ſover chiamente , ed affortiglino il raggio , che turbaco non ci laſci diſcernere , dove è l'oggetto. Alla proſa dunque , ma proſa poe tica ricorre Platone volendo appagare tutte le potenze della anima . Ed eccoci finalmente a Platone, dopo d' aver eſaminato come Pittagora dall'eternità , divinità , animazione del mondo racco glieſe l'idee ; le divideſfero in certe claſſi generali i Pittagorici le diſtaccaſſero dal tutto , e ne faceſſero degli enti a parte ; come Senofane, il primo ricavaſſe la concluſione dell'ente uno ed im-. mobile , come Parmenide contemplaſse ſecondo la ragione queſt' idea , e nelle coſe fiſiche s'uniformaffe a Senofane , diſtinguendo ľ opinabile dal vero . Tutta queſta fabbrica era fondata ſu la maniera di penſar di Pictagora , maniera falla , e pienamente diſtrutta da Padri, che molto al di là del IV . fecolo non combatterono collo fteffo Pit tagora , ma con Platone , di cui ſi debbe adeſſo rintracciare qua li influenze aveſſero nel Dialogo la dottrina dell'idee , dell'uno immobile , e dello ſcetticismo , perchè egli vi parla , e dell'idee , e dell'uno , e tutto proponendo per iporeli nulla conclude. Prima però di ſviluppar queſte cofe l'ordine della doctrina ricerca , che favelliamo dello ſtile Platonico in generale . Profonda e delicata cognizione della lingua Greca ſi ricerca per ( 31 ) e per ben intendere la bellezza , la forza , e l'armonia dello ſti le poetico di Płacone ; l' Abbate Fraguier , che in tutto il cor ſo della ſua vita , l'avea con un ſpirito molto colto nella Poeſia Greca , e Latina , ed in ogni altro genere di belle lettere ſtu diato , ben eſaminando il ſuo ſtile , ritrovava che Platone avea trasfuſo ne' Dialoghi l' Epico , il Lirico , ed il Dramatico . Com parava egli la profopopea , colla quale Dio nel Timeo ra giona agli Dei inferiori 'all' ode più ſublime di Pindaro travedeva nelle narrazioni dello ſteíſo Timeo , e in alcune del la Repubblica , la magnificenza Epica dell'Iliade . Nel paſſo cita so di ' Ateneo ', Gorgia mal ſoddisfatto di quel Dialogo intito lato col ſuo nome , ci dice , che un giovane, e Lepido Archilo co regnava in Atene ; allude egli a Platone , che irritato con tro i Sofifti, non riſparmid le accucezze, ed i ſali contro di lo ro , ma i ſali di Platone non erano aſpri, ed ulcerofi , come quelli di Archiloco , e di Ariſtofane , ma eſtratti dallo ſteſſo mare , in cui nacque Venere. Così Plut arco dice di Menandro , e con non men di ragione io poſſo dirlo di Platone , che tut to comicamente condiſce con le grazie , e con le luſinghe della Poeſia di Omero , ed ingentiliſce in guiſa le accuſe de Sofiſti , che non mai gli affronta con quell' ingiurie , colle quali il Re de'Re alla preſenza dell'eſercito rinfaccia Achille . L' ironia di Socrate a ' è la chiave , ed ella è così ben maneggiata , che da alcuni ſi crede nel Menedemo ( a) lodarſi le orazioni funebri, e pure vi ſi condannano . L'allegoria è perpetua in tutti i Dialoghi; allegorici ſono i nu meri armonici, di cui teſſuta è l'anima del mondo ; allegoriche le Sirene degli orbi celeſti; allegorico il carro dell'anima, l'ali e il coc chiere; allegorici gli Androgini, la naſcita dell' amore, la gradazionedegli animali di Prometeo, e di Epimeteo, la guerra de gli Atenieſi contro i popoli del mar Atlantico , e quanto diſſe dell'Iſola Atlantica , e ſulle leggi, esu i coſtumidegli abitanti; tutto vi è finto per preparar l'idea della Repubblica , il cui modello cerca Platone nella fabbrica ſteſſa del mondo , ed ordiſce così la men zogna poetica, che molti s'affaticarono di ſpiegare ſtoricamente l'Iſola Atlantide, come il Ciro di Senofonte . Più s'occulta Pla tone in certe allegorie incluſe nelle frafi poetiche, per le qua li ſimboleggia molte coſe , e politiche, e morali, e metafiſiche, diſegnando l'ulcime con coſe colte , o dalla muſica, o dall'altro nomia, o dalla geometria ; tre ſcienze ( 6 ) nelle quali era fo mamente dorto al ſuo tempo . Certo è , che ſe giuſtamente non retro s'ap ( a ) Cicer, lib. 3. Acad. ( 6 ) Ab, Fleurì nella lode di Platone . ( 32 ) s'apprezzano le fraſi poetiche riducendole al ſenſo filoſofico , li corre riſchio di non intender mai , nè le parti , nè il tucco di un certo Dialogo , e ne vedremo nel Parmenide ſteſso gli eſempj. Ebbe dunque Platone comune la poeſia con Parmenide , ma molto egli l'accrebbe col Dialogo , modo più naturale per iftrui re , più comodo per illuminare , adoprato da Socrate , da Seno fonte , da Stilfone, daEuclide , da Glaucone , e al dire d'Ariſto tele da un certo Aleffamene inventato . S'imitano col Dialogo i ragionamenti degli Uomini , come ne? drami s'imitano le azioni . Platone che voleva emular in tutto la poeſia di Omero , ſi sforzo d'imitar le diſpute de Filoſofi , in quella guiſa che Omero avea imitate le azionidegli Eroi . Ciò che al Drama è la favola e l'epiſodio , è la queſtione al Dialogo , e la digreffione, e' nell'una , e nell'altra riuſcì egregiamente Plato ne . Non v'è Tragedia antica , che meglio eſprima il principio , la percurbazione, il ſcioglimento dell'azione, di quel che Platone proponga , diſcuta , termini la queſtione , in cui ſebben nulla concluda , però gli bafta d'aver conſumate le ragioni dall' una , e dall'altra parte. Nelle digreffioni comincia per lenti gradi ad allontanarſi dalla queſtione , poi ſpazia o nella Geometria nella muſica , od in altra ſcienza a fuo talento , e ſenza che il lettore fe ne accorga , il riconduce alla prima propoſizione non per ſalti , ma per gradi . Anche in cid imitd Omero , che al dir del Gravina ( a ) traſcorre tallora alſoverchio , tallora moſtra ď abbandonare , ma poi per altra ſtrada ſoccorre . Platone non imita meno Omero nel carattere degl'interlocu tori , e delle ſentenze ; io ravviſo in Alcibiade un non so che del carattere di Paride, l'uno e l'altro è milapcatore, fuperbo , e laſcivo ; il carattere di Neftore è trasfuſo in quella parte del carattere di Socrate , ove queſto conſiglia , ma Neſtore auto rizza i ſuoi diſcorſi con l'eſperienze acquiſtare nell'uſo della vita , e Socrate con l'impreſſioni del genio che il dominava . I caratteri de' Sofiſti ſono preli da quei dei Trojani, che ſenza ordine , e ſen za diſcipliita s'avanzano come le Gru ſchiamazzando , e poi reſta no ſconfitti da' Greci, il cui coraggio e valore era ſoſtenuto dalla ſapienza , e dal consiglio, e fino da Minerva . Molti . pretendono che Platone ſpieghi la ſua ſentenza nel far ragionare Socrate , Timeo , Parmenide, l'Oſpite Arepieſe , e l' Eleatico , due perſone anonime, e che gli faccia dire a Gorgia , a Traſimaco a Claride., a . Protagora , & Eucidemo , ciò che non approva e vuol rifiutare , ma coſtoro non avvertono , che nel ( 2 ) Ragion Poetica . ( 33 ) nel far Platone ſiſtematico lo fanno peſlimo Dialogiſta , e talor peffi moFiloſofo , perchè egli concraddice a ſe ſteſſo in diverſiDialoghi , o almeno le coſe vi ſono così ſconneſſe , che non ſi può raccoglierle , non più che le membra di Penteo ( a ) diſunite e sbranate. Tratto di cutte le parti della Filoſofia, or Logica , or Fiſica, or Metafiſica, accennomolte ſcoperte de' ſuoi tempiintorno alla mufica, all'aſtro nomia , all'ottica , ma imitando poi la ſetta Eleatica ne'dubbj, e nell'opinioni , tutto propoſe ſenza nulla concludere. Cicerone lo conſidera come il primo degli Accademici, o quel che diede ad Ar ceſilao , ed indi a Carneade il metodo di dubitare . Seſto Empirico ſenza altro lo pone tra' Pirronici nelle materie an cora più gravi , come in quelle dell'anima,del mondo , di Dio ; nè a ciò Cicerone ( 6) è contrario . Conveniamo dunque che Platone, co me nello ſtile poetico convenne colla ſcola Eleacica , così vi conven ne nel metodo di opinare,che egli col Dialogo reſe più problematico . Confideriamolo adeſſo nelle fentenze , e principalmente in quelle che riguardano l'idee ſulla Divinità , e ſulla materia. S'è già dimoſtrato , che i Pitcagorici riducevano tutto all'idee , ed ai numeri. Platone ſcielſe, e perfezionò ilmetodo dell'idee , econ duffe lo ſpirito alla cognizione del bene per l'idea del bene, della bellezza per l'idea della bellezza , e cosìfece del valore , della tem peranza, della ſcienza , e dell'altre virtù morali ed intellettuali , com ponendo tra loro l'idee n'eſtraffe l'idea della Repubblica , o l'idea del giuſto conſiderato nell'amminiſtrazione d'una Repubblicazimmagine di quella amminiſtrazione, che delle potenze dell'anima fa la ragione. Credevå egli , che ſpiegar le coſe particolari per le univerſali, fof ſe il metodo chela natura leguiva , allorchè procede dalle cagioniagli effecti. Parve ad Ariftotele, che foſſe più facile , e più ſendibile nelle inſegnar le ſcienze , ſeguir l'ordine dello ſpirito , chealla cagionevi per l'effetto. Non ſono più oppofti queſtimetoditra loro , che la ſin teſi, e l'analių , di cui l'una comincia dalle coſe generali , per difcen dere alle particolari, e l'altra dalle particolari, peraſcendere alle ge nerali ; l'uno e l'altro Filoſofo nell'inveſtigar l'idee delle coſe , adoprò il metodo ſteſſo di comparare i ſingolari,e di farnele aſtrazioni oppor. rune, e lo dimoſtrerd a lungo pel ragionamento dell'idee Placoniche. Cicerone riduce l'idea alla (c) terza parte della Filoſofia , che ver ſa nel difputare. Così l'idea trattavaſi dagli antichi , che ſebbene ac cordavano ella naſcer de ſenſi, però volevano che il giudizio nonfoſe ne fenſi , ma che la mente fore giudice delle coſe , ſtimandola ſola atta a di ſcopriril vero , perchèfola diſcopriva cid cheera ſemplice, della ſteſanas tura , o tal qual era , e queſto lo chiamavano idea già così nominata da Platone , e noi poſiamo ( conclude egli ) rettamente chiamarla la lpecie . Non erano perciò l'idee Platoniche , a ben comprenderle, che le fpe cie , eigeneri che noi facciamo , comparando ed altraendo , eche , Tom . II. ( a ) Eufeb.Prop.Evang. ( 6 ) De Natura Deorum . ( c ) Lib.1.Accad . 2 e come ( 34 ) 1 come ſi diffe , cappreſentavano i Pittagorici per l'unità, poichè la mente tutto va unificando per ſua natura . Una ſpiegazione sì facile , e breve dell'idee Platoniche, perfectamente s'accorda co' principi d'Ariſtotele. Egli tratta nella Merafilica l'idee Platoniche da metafc re poetiche , e queſto nome gli avrebbe pur dato Platone, se avelle dogmaticamente ſcritto come Ariſtotele', ma nel Dialogo ſpecie di Poelia Dramatica egli eguagliò la compoſizioneallo ſtile . Morco Platone, ed offeſo Ariſtocele di vederſi poſpoſto a Pfeufipo „ a lui tanto inferiore in ingegno , e in dotcrina vi oppoſe un'altra ſcuola di cui ſi fece capo , e per accreditarla cominciò a combattere le fentenze del ſuo antagoniſta , attaccandoſi alla parte più difficile , e più equivoca o alla quiſtionedell'idee , alle quali Preuſipo imitando .forſe il metodo di Platone dovea dar troppo di realità. Ariſtotele ſcriſe dunque contro l'idee ſeparate, ma Platone avendo già nel Par menide conſumato quanto potea dirli contro di loro , Ariftotele ne copiò gli argomenti dipeſo , ed al ſuo ſolito con brevica ed oſcurità di ſtile, fingendo di combatter Placone critico Preuſipo , ed i ſuoi di i fcepoli. Dital congettura è mallevadore il Patrizio nelle ſue diſcuſ fioni peripatetiche . S'elle ſon vere , non che verifimili , verifimile è pure che fin d'allora ſi ſpargeſſero i ſemi che prima Ammonio Sacca, ed indiPlotino , Porfirio coltivarono , e Jamblico , e Procloridul fero in regolato fiftema. S.Giuſtino , che avea più ſtudiatii Platoni ici , che Platone era perfuafo, che l'idee foſſero ſoſtanzeſeparate , collocate con Dio nella sfera più alta . S. Cirillo rifiuţa Giuliano A poſtaca, che credeva il Sole , la Luna, egli altrieller l'idee viſibili e comporre gli Dei. 11 P. Balto riferiſce a lungo ipaſſi di S. Ireneo , di S. Bafilio e d'altri , i quali impugnarono l'idee ſeparate , che introdu cendo il politeismo rovinavano ne'ſuoiprincipj la Religione Criſtia pa . Soſpetta il P. Balto , che Eufebio difendere l'idee Platoniche persè ſuffiftenţia pro dell'Arianismo da lui profeſfaco. Negli ultimi tempi il Clerico ne rinovd la ſentenza , e molto più l'anonimo Soci niano nel tuo Platonismo ſvelato , ove ſi confondono con l'idee di Platone , gli Eoni rami de'Seffirotii cabaliſtici adottati da' Valencia niani e da' Baſiliani, e de'quali nella concinuazione dell'iſtoria degli Ebrei parla a lungo il Basnage , I comentatori di Platone abbagliatidatante autorità , nè avendo forza di critica fufficiente per reliltervi, s'abbandonarono ai fantasmi di Proclo , e di Jamblico , anziche abbadarea'ceſti di Platone , ne s ' avviſarono di ben pelare le dottrine del Parmenide contro l'idee ſeparate aggiunte da Ariſtotele alla metafiſica. S. A goſtino è il primo de' Padri Latini, che non fepara l'idee Pla toniche da Dio ; dando a Dio la creazione del mondo non poteva egli non concepire nell' intelletto divino la ragione dell'ordine del le coſe create , e queſte appunto ſono l' idee su le quali poi San Tommaſo ſeguito da' Teologi , ne fece molti articoli , of. feryando che l'idee divine ſono univerſali, onon rappreſentano a Dio ( 35 ) 2 € Dio ſolo le ſpecie , ma ancora gl'individui , col rappreſentargli le coſe non quali noi per la limitazione della noſtra mente le veggiamo , ma quali ſono in fé ſteſſe. Il Padre Balco riprende a dritto su queſto punto il Dacier , che per difender malamen te Platone, cade non volendo in un errore . Ma fe Platone preſe da’ Pitragorici l' idee nel ſenſo , che le propoſero Pitcagora , ed Archira , pare che egli ancora come queſti ſentiſſe intorno la Divinità . S'è già dimoſtraco che dopo Pitcagora , Senofane e Parmenide conſideravano Dio non altrimenti, che l'anima del mondo. Lunga cofa , dice Ci cerone , ( a ) ſarebbe a dire dell'incoſtanza di Platone intorno a Dio ; nel Timeo nega , che porta nominarſi il Padre del mondo; nel libro delle leggi, ſtima non doverfa ricercar affatto coſa ſia Dio . Lo stesſo nel Timeo , e nelle leggi, dice eſſer Dio, il mondo , e gli altri e la terra , e gli animi , e gli altri Dei, che abbiamo ricevuti dagl' iftitu ti de' Maggiori . Il Padre Arduino raccolſe tutti i paffi , ove Pla tone parla degli Dei nel ſenſo ſtero . Dio nel Timeo ſi chiama bensì il Padre , e l'artefice del mondo , ma non mai il Signore , il Sovrano ; ſi chiamava il mondo un Dio generato , il quale ba una perfetta ſomiglianza con Dio ; figliuolo , e figliuolo unico di Dio ; un Dio completo , un Dio generato da un altro Dio , un Dio felice , im magine del Diointelligibile , perfetta copia d un originale perfetto Dio ottimo malimo, qual appunto i Romani doceano diGiove , per cui folo intendevano il deſtino inviſibile delle coſe . Molci alcri paſſi ſpiega l' Arduino , e da cutii ſi raccoglie , che Placone non co noſceva Dio , che come principio intelligente , qual lo conobbe Pittagora , Senofane, Parmenide, e cant alori , a' quali può ben applicarſi il pallo di S. Paolo , in un ſenſo filoſofico , che cono ſcendo Dio , non come Dio l'onorarono ( non ſeparandolo affacco dal la materia , o , ponendolo ad eſsa coeterno . ) Pitcagora avea generato il mondo , e lo generarono i Fenici, Orfeo , ed Eliodo . A queſt'idea poetica , Platone aggiunſe le Fi loſofiche accennate da Timeo di Locri nel fuo ragionamento della natura , e dell'anima del mondo , e ne compofe il Timeo , nel qual volea nell'ordine oſſervato dalla ſapienza nella fabbrica del mon do , dar un modello di quella Repubblica, che poſcia propoſe nel Dialogo del Giuſto . Ariſtocele pur comparava la coſtituzione del mondo ad una Repubblica, in queſta v'è il Principe , che comanda ai Magiſtrati militari , e civili , e nel mondo v'è Dio , che col miniſtero degli Dei inferiori, compie , conſerva, ed ordina cuc te le coſe . S'è © e di lo Lei li i e lo i e ( a ) D: Natura Deorum lib. I. 3 ( 36 ) s'è gia dimoſtrato , che i Platonici recenti nel divider in due punti, o ſegni, l'eternità , neaſſegnavano il primo ſegno a Dio , in quanto a Dio , ed il ſecondo a Dio creatore della materia la difficoltà è di ritrovare in Platone qualche coſa che s'av vicini a queſta dottrina . Teofilo ( a ) non ve la ritrovd altri menti dicendo , che Platone coi ſuoi ſeguaci poneva Dio , e la materia ingenita ; con che non venia a porre Dio , nè uno; nè ſolo . lo qui ſtenderò un lungo paſſo di Plutarco , perché fe 'ne giudichi . Il mondo , dice egli,è bensì ſtato fabbricato da Dio , perchè fra tutte le coſe è bellißimo il mondo e Dio fra le cagioni l'ottimo , ma la ſoſtanza , e la materia , della quale è ſtato formato , non eſſer mai nata , ma ſempre averſi trovata ſottopoſta ab Maeſtro , ed ubbidiente a ricever quell'ordine , e quella diſpoſizione , che fore in quanto ella potelle comportare a lui fimigliante , percbè il mondo non fu creato dinulla , ma di ciò che era privo , di bellezza , di leggiadria , e di perfezione , ſiccome la caſa , la veſte , la ſtatua, perciocchè tutte le cose , primache naſceſe il mondo , foffero confuſe , e diſordinate, nondimeno le coſe confuſe non erano ſenza corpo , ſenza fora ma , ſenza regola , moſle da movimento a caſo , e ſenza ragione. Que sto altro non era ; che la ſproporzione dell' anima, di ragione Spoglia ta , perciocchè Dio di coſa ſenza corpo non fece corpo , nè anima di coſa d'anima priva , nella maniera che noi vediamo , cbe il Maeſtro di muſica , e dell armonia , non fa egli la voce , bensì la voce acconcia , e il moto proporzionato ; così parimenti Dio non fece il corpo trattabile , e ſodo , nè l'anima atta a moverſi, ed in gannarſi, ma preſo l' uno , e l'altro principio , quello oſcuro e pienodi tenebre, queſto confuſo e pazzo, amendue più rozzi, e più difformidel convenevole ordinandoli ; e diſponendoli , e congiungendoli formd un animal beltiſſimo , e perfettiſſimo. Dunque la natura del corpo non è punto diverſa da quella natura , come dice Platone , che abbraccio il tutto , ed è fondamento e nutrice di tutte le coſe che naſcono ; non dimeno la natura delp anima fu da Platone nel Filebo nominata infini to , il quale non riceve numero , nè proporzione , nè vi ſi trova miſu ra, o termine alcuno di mancamento, di ſoverchio , di ſimiglianza, o di differenza. Così parla Plutarco ed è facile il dedurne , che ſecondo Pla tone eterna era bensì la materia del mondo , ma nuova la for ma , ( a ) Teophil. ad Autolicum 1.2 . Plato cum ſuis aſſeclis Deum quidem confitetur ingenitum , patrem præterea & conditorem hominum , at que deinde fubjicit , live ſupponit Deo materiam quoque ingenitam , quæ fimul cum Deo prodiderit five extiterit ; verum fi Deus cen ſetur ingenitus , & materia perhibetur ingenita , jam nec amplius Deus conditor & creator eſt hominum etiam fecundum Platonicos , nec quod unus & folus ſit ab his vere demonftratur . nè il moto , ma 1 1 ( 37 ) má , ed in queſto Platone differiva da Ariftotele, il quale , come s'accennd , fece ad un tempo eterne , e la materia , e la forma; Ariſtotele rimprovera perciò Platone , d' aver fuppofto , che la materia con cuiDio compoſe le coſe, foſſe in moto, e loda Anaf fagora, che la poſe in quiete . Vuole egli ignorare , che affatto poetico foſſe il Timeo ; pure non è credibile ,che egli non l'aveſſe udito dir più volte da Placone ſteſſo , che nel Dialogo finſe Socra te a favellar con Timeo di Locri contemporaneo forſe a Pittagora ; parla dell' abboccamento che Solone ebbe coi Sacerdoti d'Egitto , iutta ſpaccia la favola dell'Iſola Atlantide. , ſtempera in una taz za i numeri armonici dell'anima del mondo compoſta di cre ſo ftanze , ne ſparge le reliquie su le ſuperficie de glòbi', conſidera come coſa reale la mecemplicoſi , che Timem ( a ) nel ſuo ragiona. mento introduce come coſa politica . In ſomma ben eſaminan do tutte le frafi Platoniche e tutto il conteſto della dottrina Filoſofica poeticamente maſcherata , io ſon perſuaſo , che in Platone , comene Pictagorici , Dio vi s'introduca qual animadel mondo , o la ſteſſa mente , e ſapienza perfecta ſparſa per tutto ; allora perciò che dice Cicerone nella natura degli Dei, e quan do Platone fa Dio incorporeo ( b ) egli confonde Dio con la mate+ ria , la quale era incorporea , come ſi diffe , prima che da Dio ſe ne eſtraffero i corpi . Dall'alcra parte nell'ipateli, che Dio gli abbia eſtratti, fece Dio concepirſi" al di fuori della materia , co me l'architetto al Palagio , e lo ſcultore alla ſtatua . In vano dun que dall' opere di Platone, e degli altri Filoſofi antichi , i qua li ammifero la materia eterna , li cerca l'idea del Dio che ado. riamo ; egli è uno ſpirito infinito , nella di cui natura inviſibile ſono riunite cutte le perfezioni immaginabili , e poflibili ; onde gli ſcolaſtici lo chiamarono il cumulo delle perfezioni ; e i Cartuliani l'ente infinitamente perfecto . Sino a què l' ammet cevano gli ſtefli Pagani , ma la definizione non balta, ſe ad el fa non s? aggiunge , che Dio ha tratto dal niente l' Univerſo , e che è diltinto realmente , e ſoſtanzialmente da tutto ciò che ha creato . Tale definizione come ortodoſſa propoſe l' Abbate d'Oliveta ’ Filoſofi ( c ) dopo di aver eſpoſte tutte le loro fen tenze , tra le quali entra e Pittagora , é Senofane , e Parmeni de , e Platone Itello , Non (a . ) Nel fine. ( 6 ) Cicer. Natur. Deor. ( c ) Nel fine del Tomo 3. della traduzione della Natura degli Dei;. Par ce mot. Dieu , je veux dire un eſprit infini , dont la nature eſt indiviſible & incomunicable ; dans lequel font réunies toutes les perfections imaginables & poſsibles , ſans aucun mélange d' imperfe etion ; qui'a tiré du ndant l'univers, & qui eſt diſtinct réellement & ſubſtantiellement de tout ce qu'il a créé . 0 1 ( 38 ) o dell' Non è tuttavia , che debbano ſpregiarſi le dottrine di Placone , e rigettarle come inutili ; conobbe egli Dio ſotto un'idea con fuſa, come lo conobbe Ariſtotele , e in quella guiſa che S. Tom maſo da Ariſtotele tralle molti principi , e combinandoli coi rivelati propoſe molte concluſioni Teologiche , così può farſi di Platone ; S. Tommaſo dall' uno , e dall'altro traſfe l'eſiſtenza di Dio , impiegando i mori , le cagioni , l'ordine del mondo , i gra di più o meno perfetti delle coſe , ma non potè trarla dall' en te contingente e neceſſario , che Platone non conoſceva , ponen do ecerna la materia , e chiamandola neceſſità . Dimoſtrar il primo ente qual principio intelligente , per l'adequaca idea di Dio , non baſta le da eſſo non ti rimovono tutte le compoſizio ni , dimoſtrando , come fa S. Tommaſo , che in lui non ve n'ha nè di forma, nè di materia , e che non può ridurſi ad alcun genere , Nel Parmenide però non v'è biſogno d'alcuno di queſti ar tificj ; tutto vi fi' riduce all'idea metafiſica dellence uno . Convien dedurla da' ſuoi principj, od eſtrarla come fece Pittagora , e Peritione da tutti i compofti , ed eſaminarne le proprietà . Così San Tommaſo , ove tratta dell'unicà , e della bontà di Dio , prima ricerca , quanto la ragione, gli può per mettere , coſa ſia l' uno , e coſa ſia il buono , indi col princi pio rivelato cid combinando , dimoſtra la purità , e la bon tà di Dio. Io parimenti ricercherò con la ragione , fe si poſſa ben intendere l' uno del Parmenide , laſciando agli altri la fa rica di ſpiegarlo in un modo fublime , applicandovi le coſe Teologiche , delle quali non intendo d' attaccarne , o diftrug . gerne la minima . Io cratterò della dottrina del fine , indi del metodo del Dialogo. Gli antichi con ragione intitolarono queſto Dialogo , il Par menide o dell' idee , perchè Parmenide parla più degli altri , e tutti i ſuoi ragionamenti raggirano su l' idee , o per cercarle con le aſtrazioni della mente, o per diſtruggere le ſeparate , eſempli ficandone il caſo nell'idea dell' uno , la più ſemplice di tutte l'al tre , e a cutte l'altre comune . Supponevano i Pictagorici , che tutte le coſe imicaſſero , o par ticipaſſero l'idee , o le fpecie ; provacontro loro Parmenide , che le cofe non poſſono eſſer partecipi delle fpecie, nè ſecondo il tutto , nè ſecondo unaparte , indi col principio di contraddizione , col progreſſo all'infinito , e coll' ideaſteſſa delle perfezioni divine ; gli fteffi argomenti di cui ſono nel Parmenide i femi, fteſe Ariſto tele, ed è mirabile che i comentatori non abbiano penſato di con frontarlo nel ragionamento dell'idee con Placone , ciò che attri buiſco all'ipoceli da loro fiſsata , che in queſto Dialogo Parmenide, o Pla ( 39 ) o Platone confermi e non diſtrugga. l' idee ſeparate . Annullate tali idee in modo cheSocrate ne reſta convinto , Pare menide per non laſciarlo nell' imbarazzo gli moſtra la neceſſità che ha il Filoſofo d'ammettere certi principj fiſſi ed immutabili e tanto più difficili a comprendere , quanto che non fi poffono de terminare , nè co' ſenſi , nè colla fantaſia . Parmenide' nell'etem plificare il caſo del metodo propone l'idea dell'uno , e la con ūdera relativamente a ſe ſteſſa , indi all'ente , al fine , al non en te . Così un matematico trattando per eſempio del triangolo , lo conſidererebbe prima in ſe ſteſſo , poi per rapporto all'altre figure rettilinee o piane , ed al fine alle non rettilinee, od alcerchio . Definiſce Zenone l'uno per oppoſizione a molti , e chiama uno ciò che non è molti . Ariſtotele, nella metafiſica molto ap prova queſta definizione, perché i molti ſono più noti al ſenſo che l' uno ; prende Parmenide la definizione , e negando dellº uno tutto ciò che s'include in molti o li predica de' molti ; negà ch' egli fia cutro , parte , principio , mezzo , fine , figura moto , quiete , lo ſteſſo , diverſo , ſimile , diſſimile , eguale , mag giore , minore ; in oltre gli nega le differenze del tempo, pre lente , paſſato , futuro , l'eſſenza , la ſoſtanza , il nome, il ſen fo , la ſcienza , l'opinione. Parmenide prende ſempre l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo, nè men volendo che l'uno â conſideri per rapporto a ſe ſteſſo , perchè nel riferir l'uno a sè li concepireb be come due o come molti. La ſeconda quiſtione è , ſe l'uno ſia che accada all' uno , ed all'altre coſe ; qui l'uno fi ſuppone inſeparabile dall'ente , come rente dall' uno, onde tutto ciò che s' include o li predica dell' , pud predicarſi dell' uno ; quindi ſe nell' ente's include o dell'ente fi predica , la parte , il tutto , il finito , l'infinito , il principio , mezzo , il fine , la figura , il luogo , il moto , la quiete, il fimile , il diffimile , lo iteſto , il diverſo , l'eguale , il maggiore, il minore, il tempo paffato , preſente , e futuro , 1 eſſenza, o la ſoſtanza , la ſcienza , l'opinione , il ſenſo , tutte queſte coſe ſi predicheranno ancora dell'uno . Non ſi predicano però queſte coſe oppoſte dell' uno , e dell'ente. nel medelimo tempo, e ſecondo lo ſteſſo riſpetto , ma in varj te m pi o ſecondo diverſi riſpetti , e ciò fa che le contraddizioni non ſieno , che apparenti , o del genere di quei meraviglioſi , che de generano ſpiegandoſi in puerilità. Cosi penſa lo ſtelfo Platone nel Teeteto , maParmenide nel cercar qui ſe ſia l'uno , quali altre co fe ne fieguano , non cela all'uſo de Sofiſti , ma ſpiega come vero Filoſofo in termini ſemplici i miſteri , e queſta iola credo una nuova prova del liftema Parmenideo da me ſtabilito . In ente ( 40 ) In queſte due prime nozioni dell' uno non vi ſi framiſchiano le immaginarie', o poetiche ; mabensì ve ne fono nella terza , ove fi rapportal'uno al non ente , o al nulla , di cui non s'ha nozionereale', ma ſolamente immaginaria come dell'impoffibile . V'è un affioma Logico , il qual diceche , dall' impoflibile ogni coſa ſe ne deduce , pera che in lui fi complicano i contraddicorj, anzi il criterio per co nofcerlo è per mezzo dei contradditorj, e poichè l'uno è inſe párabile dall'ente ; fia lo ſteſſo dir il non uno, che il non en te , ma del non ente o dell'impoffibile fi dice che ha effenza , o che non l'ha , che è lo ſteſſo e diverſo , che è ſimile , e non fi mile , eguale , non eguale , cheſe genera e fi diſtrugge ec. Dun que le ſteſſe coſe che ſi predicheranno del non ente conveniran no ancora al non uno . Nell'attribuire il non uno all'altre coſe , fi trasformeranno queſte in fantasmi, o sogni d'eſtenſione , di mal fa , di moto e di quiete , ciò che rende il mondo più poetico del cabbaliftico . Platone o Parmenide maneggiano queſto argo mento con ſomma ſagacità , e delicatezza , e ben ſi vede quanto foſſe la loro Filoſofia profonda , e quanto utiliffima eller poſla , non cangiando il grado dell' aſtrazione , nè inneſtandovi opinioni affatto encufiaftiche, come fece il Ficino . I celebri Pittori , attenti ad oſſervare in ogni luogo tutto ciò che loro ſomminiſtra idee nuove d'atteggiamenti , di ſcorcii , di lineamenti , difigure , ſe mai su i muri più affumicati ritro. yano quelle ſtriſcie fortuite impreſſevi dalla caligine , le vanno combinando con la loro immaginazione , e creano delle figure leggiadramente fimecrizzate , e canto ſi rifcaldano nel vagheggiar opera loro , che le additano agli altri , come fe ivi foffero ,e ſi cruciano e fremono , e ingiuriano , quando queſti ſemplicemen te riſpondono di non ravvifare , che orme irregolari di fumo . I Filofofi, e particolarmente i comentatori hanno lo ſteſſo coſtu me , fiffi in un fiftema l'addatano a tutto ciò che incontrano nell' autore da loro accarezzato , e dove egli ancora parla nel modo più ſemplice , e naturale , e conveniente a'ſuoi principj, par loro di fargli torto , ſe non l'abiſfano nelle loro profonde ſpeculazioni , e lo dimoſtrano tanto più ammirabile , quanto nyono l'intendono , c quanto dagli altri è meno intefo . In tutti i Dialoghi s'è prefiſſo il Ficino, di far di Placone ( a ) un Teologo Criſtiano, ma non so come ritorni in queſto Dialogo al ( a ) Prima ex quinque ſuperioribus de uno fupremoque Deo dixerint quomodo procreat diſponitque deorum ſequentium ordines . Secunda de fingulis Deorum ordinibus , quo pacto ab ipſo Deo proficiſcuntur ec. argum. Marſ. Ficini Parm . vel de uño rerum principio , & de 9 ideis . ( 41 ) al Paganeſimo, e vi traſporti tutte le idee fimboliche del Timeo , e del Fedro ſenza biſogno , e profitto ; e che coſa ſon queſti Dei che ſeguono Dio nell'ordine loro , ed in qual parte del Parmeni de li ritrovo ? Annullò il Serano gli Dei, e vi ſoſtituì due ſorti d'idee ; Dio è la prima e principal idea , le ſeconde ſono le va . rie idee delle coſe create ; ma ſe Parmenide non diſtingueva Dia dal mondo ; coſe affatto poeriche non ſono le idee divine ? Non bado il Serano , che Parmenide toglie all'ente ſino il tem po' preſente, e le toglie ancora l'eſſenza. Si , ma intende il Se rano l'eſſenza delle coſe ſingolari , e quando Parmenide dice , che l'uno è molte coſe, vuol dire, che egli dà la forza d'elfte re alle coſe ſingolari . Or come ſi può includere nell'idea dell' uno , in quanto tale la forza? E come poteva Parmenide inclu derla nell' uno , ſenza concepirvi l' eſſenza , e nell' accoppiare l' eliftenza alla forza , e non concepir l' uno come molti contro l? ipoteſi? La prima idea , dice il Serano , fi diffonde in maniera ſulle coſe create', alle quali Dio dà la forza , e facoltà d ' eſiſtere , che ad ogni modo circoſcrive ne' determinati cancelli dell' uno , la feffa moltiplici, tà , e quaſi infinità delle coſe ſingolari . Queſta è la luce tenebroſa del Flud , chi può ſpiegarla ? Va il Serano peſcando le affezioni dell' idee ſeconde , e ne ri trova ſei , dopo le quali la ſua vena metafiſica , e teologica , ſi conſuma, o perde , ed in tutto il reſto del Dialogo immobil mente fiſto , ed eſtatico ſul ceſto Platonico , par uno di que' Chineſi, che per molti anni guardandoſi la punta del naſo s'im maginano di veder l'eſſenza divina; non batte egli palpebra tutto concentrato in sè , nè degna abbaſſarſi a ſoſtener con note margina li l'imbarazzato lettore . Io ſon ben lontano dal condannare le al tre note di queſto autore , colle quali negli altri Dialoghi eſpone la conneſſione, e callora le ragioni ſemplici del teſto , ma nel Par menide ſpiegando alto il volo per emular il Ficino , li dimentica del ſuo coſtume, e laſcia in aſciutco il leccore ; ma come è poſſi. bile , che avendo egli canto ſtudiaco Platone, e confrontati i teſti, nonabbia atteſo ad unpaſſo delFilebo , in cui li ſpiega il fine , che Platone ſi prefiſſe in queſto Dialogo ? Nel Filebo , che non ſenza ragione gli antichi faceano ſeguir al Parmenide , cosi ſi parla da Socrate a Protarco . Tu , o Protar dice Socrate , intorno l' uno ed i molti ai dette le coſe pubbliche dei meraviglioſi, le quali, per dir cosi , ſono concedute da tutti, che non fieno punto da toccarli, ejendone alcune puerili , e facili da conoſcerſi, e per nuocere maſſimamente a ragionamenti, fe alcun le ammetteſſe ; nè è Tom. II. f de ( 42 ) - 1 1 tal uno , da ſtimarſi coſa meraviglioſa , ſe alcun dividendo rolla ragione le mem-, bra d'alcuna coſa , e tutte quelle parti , confeſſando quella eſerne una ; di poi la confutalle , e ne prendeſe beffe quaſi sforzato a con . feſare coſe moſtruoſe , cioè che una ſola coſa ſia molte ed infinite, ele molte quaſi una ſola , E' quì da notarli quel dividere con la ragione le membra di alcuna coſa , formula che egli repplica ſovente nel Parmenide , in cui dice , ſeparar le coſe con l'intelligenza , e fino sbranarle ; indizio manifeſto che qui non ſi tratta , che d'aftrazione di ra gione, per cui nelle coſe più ſemplici fi diſtinguono , non le par ii, ma gli attributi , e le relazioni che le fan molte per rapporto alla mente ; or tutto ciò che dice nel Parmenide dell'ente, e dell' uno , non divien egli un di que' meraviglioſi puerili, de' quali par la Socrate , fe non s'averte , che le contraddizioniſono apparen . ti , o che nel medeſimo tempo , e ſecondo lo ſteſſo non s'aſcrive all'uno , il fimile e diffimile? Siegue Socrate : quando alcuno giovane pone l'uno , non eſſer alcu na di quelle coſe , le quali naſcono , e muojono , perciocchè quì un co come poco fa dicemmo, ſi è conceduto , che non ſi debba con futare . Parla quà Socrate della prudenza , della ſcienza , e della men te , di loro natura une, immortali, ed eterne nel ſiſtema Piccagori co , e delle quali , come d'eſſere reali , parla nel Sofiſta . Conclude Socrate : Ma quando ad affermare è altretto un fol Uo mo , un ſol bue, una coſa bella , ed una coſa buona , allora veramen. te in queſte, ed in cotali unità ſi rende ſollecito lo ſtudio , ed anche ſi fa ambiguala divifione. Primieramente ſe ſieno da ammetterſi certe uni tà sì farte, che fieno veramente ; di poi, in qualguiſa ſia de penſarſi, che ciaſcuna di quelle coſe ſia una , e la medeſima ſempre, nè fi pren da generazione, nè morte , ma ſe ne ſtia fermiſima nell' unità di lei ; finalmente ſe ſia da porſi alcuna coſa nelle coſe generate , od infinite, o partita , ed oggimaifatta moite coſe, o tutta eſa in diſparte da ſe medeſima, il che più di tutte l'altre coſe parrebbe impoſibile che uno , e lo dello ſi facele parimente in uno , ed in molti. Quefto è l'uno, ed i molti che ſi trovano intorno a cotali coſe , ma non quelli , o Protarco che non conceduti bene ſono cagione d'ogni dubitanza , ed ogni facilità ben conceduti . Manifeftiffimo è , che quì Socrate ripete le difficoltà ſull' idee ſeparate fattegli da Parmenide , e ſu le quali confeffa , che impoſſi bile è di scioglierle, indi fa attenzione al metodo inſegnato da Par menide, di cercar l'idee per via dell' aſtrazioni, con le quali ſi to glie ogni difficoltà intorno a'molti, e all'uno . Da ( 43 ) Da queſti palli io deduco , che il fine di Platone in queſto Dialogo altro non fu , che d'allontanarſi da quel meravigliolo e puerile, in cui facilmente fi cade, quando non ben li diftingua no i concerci della mente , o s'amia irasformare i concetti in ido li , ed a realizzarli poeticamente , come faceano i Pittagorici . Per compir queſto diſegno fcelle Platone il Filoſofo più ſpeculativo dell'antichità , e deſcritto da Socrate qual Uomograve, evenerabile , e d'una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire , ſe non erro , che egli nella ſua maniera d'argomentare franca , libera, ed inſie me profonda, nulla tenea del lopraciglio , e della vanità dei Sofi fi; Platone quimoſtra fin dove arrivar pud l'ultima analiſi , che i Pitcagorici faceano dell'idee , oltre le quali il procedere'era un eſporſi a pericolo di non più intender quello che ſi dicea , comepur trop ро è arrivato ad alcuni Scolaſtici , che fpingendo troppo , oltre le queſtioni oncologiche , ofarono ſin negare il principio di con traddizione , ed affermarono chel'infinito ſi raggruppaffe in un pun to . Nel Gorgia, nel Protagora , ed in altri Dialoghi contro iSo fifti , coll'arte dell'ironia Socratica , li dipinge a diritto Platone quali cacciatori mercenari d'uomini, mercatanti venditori, appal tatori di ſcienze , e diſcipline falſe ; ma chi può dire che Platone ebbe difegno di proporſi in queſto Dialogo Parmenide , qual mer catante venditore, ed appaltatore di bujo peſto , che così devono chiamarſi le quiſtioni tenebroſe , ed all'ambicate ; bujo peſto è quel lo di cui troppo liberalmente lo caricano il Ficino , ed il Sera no, non quel che combina la doctrina d' Ariſtotele , con quella di Platone ; dotcrina che curt " i Peripatetici , e gli Scolaſtici ab bracciarono e che ultimamente con tanta chiarezza e preci* fione , eſpoſe il Wolfio nella fua Ontologia . Queſto Dialogo è primieramente ontologico , e preſo in queſto ſenſo non ha in sè più di pericolo che la metafilica d' Ariſtocele , ma ridotta alla Dialeccica , L'antica Dialetica verſava fu i generi di tutte le coſe , attenca a compararli , a combinarli , per preparare' ed illuſtrare la quiſtio ne propoſta. S'ingegna lo Stanlejo di ridur a tre generi la Dialec tica de Piccagorici .1. Ai non ripugnanti , o ſia all'eſſenza delle coſe nelle quali ſi combinano, coſe tra loro non contradditcorie.. Così l'eſſenza del triangolo o del quadrato , è l'eſfer figure di cre o quattro linee , perchè non v'è ripugnanza , che il numero ter nario o quaternario , s'adatti o fi combini alle linee rette . 2. Ai differenti o alle coſe che tra loro ſi diverſificano nell'eſſenza , nc gli attributi , e ne' modi ; così il triangolo è differente dal qua drato , ed il quadrato dal cerchio . 3. Ai relativi a'quali ſi riduco if 2 no ( 44 ) no tutte le matematiche conſiderate dagli antichi , come il vero modello della diſciplina , ed a cui i moderni riduſſero l'arte dell' analogie filoſofiche, ed il calcolo de' probabili . Platone ſtabiliſce in molti luoghi non tre ma cinque generi del le coſe ; l'eſſenza o ciò che è , lo ſteſſo , il diverſo , il moto , e la quiere ; a queſte due ultime nozioni ſi riduceva tutta la fiſica antica , onde diſfe Ariſtotele , che ignorato il moto s'ignora la natura . Lo ſteſſo e il diverfo vaga per tutte le altre fcien ze ; onde Platone dello fteſſo , e del diverſo , compoſe l'anima del mondo , e la bellezza . Lo ſteſſo e il diverſo ſono relazioni dell' ente in genere , fi ſpargono ſulle relazioni dell'ente in ſpecie , il fimile, il diffi mile , Peguale , il maggiore, il minore , il nuovo , l'antico . Que fta era la ſcala de'generi ſuperiori, o quelle nozioni ontologi che aſtratte per l'acume della mente da' concreti , coſa ben di verſa dalla ſcala de' predicamenti d' Ariſtotele . Il Wolfio ( a ) fa propoſe per ultimo oggetto degli ſtudj fuoi, di perfezionar" la Icala de'generi , e con eſſa ſciogliere il problema dell' analiſ dell'idee , propoſta ma non trattata dal Leibnizio . I Pittagorici ne diedero i primi ſemi, e Placone più li ſviluppò , applican doli alla determinazione dell' idee , quindi è che nel Parmeni de tutti iſuoi argomenti ſi riducono alle relazioni dell'ente , in genere dell'ente , in ſpecie . Rinferrata ne' fuoi limiti la materia del Parmenide, il meto do che v’applica è quello del principio di contraddizione , che ci conduce all' aſſurdo ; metodo non tanto accetto a noi , per . chè ci dimoſtra la noftra impotenza , ma che ci sforza invin cibilmente all'faffenſo . In queſto metodo Platone ne aggruppa molti altri , il metodo d' eſcluſione è quello dell'analiſi geo metrica . Nel metodo d'eſclufione fi numerano tutti i caſi di una co ſa , e s'eſcludono o tutti per dinotare l'aſsurdità , o tutti men in cui fi cerca la ſoluzione del problema . Così Archi mede avendo dimoſtrato , che un dato poligono non è , nèmag giore , nè minore del cerchio , nel quale è inſcritto o circon Icritto , conclude che gli è eguale . Placone in molti caſi ado pra il metodo ſteſſo . Nel metodo dell'analili geometrica , fi aſſume ( 6 ) il quefito come conceffo , e per legitime conſeguenze s'inoltra fino ad un ve 1 uno , ro ( a ) Affumptio quæſiti tanquam conceſsi per ea quæ conſequentur ad verum conceffum . ( 6.) Wallis Il . dell’Algebra . ( 45 ) To conceſso , da cui riteſsendo il ragionamento ', li dimoſtra il quelito ; molti vogliono , che Platone ſia l'inventore di queſto metodo, e che abbia fatto il Parmenide per darne l'eſempio ; maqueſti attribuirono al tutto ciò che conviene adalcune parti, Utiliflime ſarebbono le metafiſiche de'moderni , fe i loro autori fi foſsero limitati all'ipoteſi, e ſi foſſero guardati di proporle in for ma di dogma , cagione d'eterni litigi non ſalvati , ne da ſtile elo quente , nè da calcoli algebraici. Il Carteſio ſegui nelle ſue medi tazioni ilmetodo analitico , ma diede occaſione a molti ſiſtemi più ſtrani de'ſogni, come quello degli Egoiſti, conſeguenza dello fpi nofismo fpirituale . Che dirò dell'arte del Dialogo , in cui s'è già dimoſtrato imi, tarſi i ragionamenti umani, come i Poeti Dramatici aveano imi tate le azioni umane . All'imitazione. ( a ) di queſte convien il palco , ed il verſo , non all'imitazione de' ragionamenti, la quale per ſua natura appartiene alla Dialettica : poco o nulla di leg giadria avrebbono i fillogismi, egli entimemi in verſo , e poco o nulla lor gioverebbe l'apparato della ſcena . Si è pur detto che la quiſtione, e la digreffione al Dialogo , è come la favola , e l' epiſodio al Drama . Nel Parmenide la quiſtione è intorno l'idee , ma non v'è digreſſione, ſe pur non fi voglia ridur a queſta , la preparazione alla diſputa con Par menide, incominciata tra Zenone, e Socrate . La differenza de' drami ſi prende dal diverſo modo dell'azio ne , la quale o è ſemplice, o compoſta, e la differenza de’ Dia loghi dal modo del ragionamento, nel quale , o s'inſegna, os inveſtiga da un ſolo , o s' inſegna , o s'inveſtiga da molti la quiftione propoſta . A quattro generi riduce il Taffo i Dialoghi , al dottrinale , al Dialettico , al tentativo , al contenzioſo . De’due primi generi è miſto il Parmenide, perchè dopo di aver egli diſputato con Socra te , quaſi ſolo favella, non contandoſi le riſpoſte d'Ariſtotele , approvazioni per lo più della concluſione , o preghiere d' eſpor più chiaramente la ragione accennata . Nel inlegnare qual fia la natura o l'idea dell'uno , qui non v'è tentativo , nè litigio , nè in queſto Dialogo v'è molto a ricercare , ſe ſia meglio adat cato all'inſegnamento che il maeſtro interroghi , od i diſcepo lo . , perchè appena termino la breve diſputa có Zenone , che Parmenide cominciò a interrogar Socrate , ed avendolo confu? lo , ed imbarazzato con una difficoltà cui non poteva riſpondere, Para ( a ). Torquato Taſſo diſc. ful Dialogo . ( 46 ) uno . Parmenide paſſa ſenza interrompimento alle tre poſizioni dell ' Vuol Torquato Tallo , che come una ſia l'azione nel Dra ma , così una fia la quiſtion nel Dialogo , la quale o è infini ta , per eſempio ſe deve apprezzarſi la virtù , o è finita , per eſempio che deggia far Socrate condannato a morte . La qui ftione del Parmenide è infinita , perchè fi tratta dell' idee di cui ſi cerca la natura e l'origine , la natura dimoſtrando che non ſono dalla noſtra mente feparate , l'origine dimoſtrando come per via delle ſuppoſizioni s'acquiſtano . Queſte due coſe ne fan no propriamente una , perché non ſi può intender la natura dell' idee ſenza prima determinarne l'origine . L'una e l' altra determina Parmenide , e rimove l' idee feparate per convertire il ragionamento al modo con cui la mente le acquiſta. Parme nide lo propone , non lo dimoſtra per non allontanarſi dal co ſtume della ſua fetta , che era di propor dubitando le coſe : Non è cutravia in ciò ſolamente che appariſce il coſtume di Par menide . Dimanda Socrate , che gli ſia dichiarata la quiſtione delle idee , ed intorno alle coſe che ſi veggono ,ed ancora intorno a quelle che ſi comprendono con la ragione . Parmenide , e Zenone attentamente lo aſcoltano , eſpero guardandoſi l'un l'altro fog ghignano quaſi di Socrate meravigliandofi . E queſta è quell'evi denza tanto neceſſaria al Dialogo , e di cui Platone diede si chiari eſempj neli' Ippia , e nel Fedone . Ella è qui ordinata a manife ſtare il coſtume d'un Filoſofo accento , e che colla triſtezza , e coi fogghigni accenna , ciò che nel diſcepolo non s'accorda con la ra gione . Un tratto poi del coſtume d'un Filoſofo attento , è do ve dice Parmenide o Socrate troppo per tempo , innanzi che tu ti eſerciti a parlare , ti sforzi di definire ciò che ſia il bello , il giu ſto, il buono , e qualunque dell' altre ſpecie . Perchè poco fa il con fiderai vedendoti diſputare con Ariſtotele . Per certo mi credi , que fto tuo fervore è bello è divino , il quale alla ragion ſi conduce , ma recati in ſe ſtello, ed eſercitati mentre ſei giovane in queſta fa coltà la quale a molti inutile , e ſi chiama dal volgo garruli tà , altrimenti ſi fuggiria da la veritade. Parmenide qui accenna la Dialectica in quanto vaga per cutti i generi , ſulla qual coſa poco dopo ſoggiunge conſervando il co ſtume divecchio venerabile . Sarebbe cofa ſconvenevole , cheſi trat tale maſſimamente da un vecchio certe coſe si fatte alla preſenza di molti , non ſapendo il volgo , che ſenza queſto vagare , e diſcerne re per tutte le coſeſia impoſſibile abbattendoſi nel vero acquiſtar men te . Ariſtotele e gli altri lo pregarono , e Parmenide riſpoſe con un apo 7 pare inutile ( 47 ) apologo : egli è neceſſario finalmente che s'ubbidiſca , tutto che mi è av viſo di tutto quello che patà il cavallo Ibico , cui Atleta e vecchio do vendo prendere la conteſa delle carrette , e per l'eſperienza iremando de' ſuccelli , alimigliando egli a ſe ſtello, dille cheegli già vecchio era coſtretto di ritornar agli amori . Nel medeſimo modo diſſe Parmeni. de , a me pare di temer malto , quando penſo in che guiſa cosè.d'età avanzata , io pola paſar a nuoto un mare cosi profondo di ragionda menti . Intorno la ſentenza , o ſia ciò che ſente il principale interlocu tore del Dialogo , ella è qual conveniva a un Dialettico eſperto , nel vagar per i generi delle coſe , e nell'argomentare , e ben de gno , che nelle coſe intellettuali Platone , Secondo il teſtimonio di Apulejo, lo preferiſſe agli altri Pitiagorici , e n'imitaſſe la ſotti gliezza , e nell' idee , e nel metodo di proporle . Nella Poelia. Epica , altro è che il Poeta imiti narrando un facto , altro che introduca un degli attori a narrarlo . Così nell' Odiſſea , aḥtre ſono le cofe che Omero direttamente narra accadute ad Uliffe , altre quelle che narra Ulife ſteſſo . S'in troducono ne' Poemi i racconti , per variar i modi dell' imita zione , ed ancora per accreſcerla ; ella è perciò doppia , quando nel Poema i perſonaggi imitati, imitano effi fteffi col loro rac conto . In queſto Dialogo , Pitidoro imita, narrando i diſcorſi che inteſe da Parmenide . I Dialoghi, benchè fpecie di Poeſia Dramatica , in ciò con vengono con l' Epica , e Platone , che nelle diſpute de'Filoſo fi volle imitare i combattimenti degli Eroi di Omero , emold anche queſto nel modo di rappreſentarli . Nel Filebo propone ſenza alcro la difputa chiaramente enunziata intorno la felici tà ed il piacere , nè premette alcuna circoſtanza ſtorica ai ra gionamenti dei tre interlocutori , Socrate , , Filebo e Protar co ; così fa nel Sofiſta , nell' Eutifrone nelle Leggi , e nella Repubblica , ma non cosi nel Convito , nel Fedone, e nel Par menide . Pitidoro vi narra ciò che ha udito da Antifone, e queſto è modo più artificioſo dell'altro , perchè vi ſi ricerca molta ſa gacità nel render neceffario il ragionamento, ed accompagnar lo di quelle circoſtanze che più mettano la coſa fotto gli oc chi , intereſſino il lettore ad aſcoltare i perſonaggi, e di tem po in tempo lo ricreino con opportune digreffioni , ma tutte convergenti alla quiſtione propoſta , ſenza che ſe ne accorga il lettore. Nel diſcorſo naturale noi pafliamo ſenza rifleſſo da una coſa all'altra , ma nel Dialogo , ſe ſi vuol imitando perfe zio ( 48 ) zionar la natura , nulla vi ſi deve introdurre ſenza ragion ſuf ficiente . La ſomma difficoltà dell' artificio del Dialogo è nell: interrogazioni, e nelle riſpoſte diftinte e preciſe , ma nel Par menide il dialettico s'accoppia col dottrinale e queſta è la parte dominante , perchè eſcluſe l' idee ſeparate , Parmenide ſem pre parla ſcorrendo per le ſuppoſizioni. ; 1 1 1 > ILLUSTRAZIONE D E L 1 PARMENIDE. . Tom . II. } , ( 51 ) ILLUSTRAZIONE D E L PARMENIDE. tertentanut Estates L A diſputa su l' idee fatta tra Parmenide, Zenone', Socra te , ed un certo Ariſtotele , viene a Glaucone , e ad Adi manto riferita da Cefalo per bocca d'Antifone, il quale avendo familiarmente converſato con Pitidoro compagno di Ze none', avea su queſta materia udito da lui le ragioni dei tre Fi loſofi. Reſtarono queſte cosi profondamente impreſſe nella me moria di Antifone allor giovanetto , che molti anni dopo ſeb ben diſtratto dagli eſercizi equeſtri , poté in tutte le loro cir coſtanze rappreſentarle nell' abboccamento , che egli ebbe con Cefalo , e coi compagni . Tofto Cefalo eſpone il motivo della diſpuca Parmenide ne Poemi avea detto che tutto è uno , e Zenone provato in uno ſcritto , che uno non è molti . Si comincia la Jercura dello ſcritto , e Socrate vi fa ſopra delle difficoltà a mi fura che ſi legge. Poco mancava' a' terminar la lettura , quan do Parmenide con Pitidoro , e Ariſtotele entrarono in caſa . Si leſſe di nuovo alla preſenza di Parmenide , e degli altri il pri moargomento , e fi difputò incidentemente su la differenza del le due definizioni parendo a Socrate , che il dire tutto è uno foffe lo ſteſſo che il dire , uno non è molti . Glielo concede Zenone , é lodaća la ſagacità di Socrate dichiara', che non per vanità o per 'arcano di Filoſofia egli ha' fcritto , ma per fo ftener l'orazion di Parmenide contro coloro che ſi sforzavano di ſchernirlo , perchè ſe molte contraddizioni degne di riſo pativa l' Orazion di Parmenide , molte altre di più ridicole ſe ne inferivano dalle ſuppoſizioni degli altri. Zenone ſcriſfe il : li bro nella ſua giovanezza , ma un certo avendoglielo rubato.fi pubblico . Si ricomincia la diſputa. Parmenide , e Zenone lafciano a So. crace eſpor tutta la ſua ſentenza su l'idee ſeparate, per le quali moſtrava la definizione dell'uno da Zenone affegnata non eſſer univerſale " . Accorcol Parmenide , che tutta la forza dell'argo mento ( 52 ) mento di Socrate fondavaſi su l’idee ſeparate , l'imbarazza co ftringendolo ad aſſegnarne alle coſe fiſiche. Non sa Socrate ri folvere la difficoltà. Parmenide fingendo di conceder l'idee ſe parate argomenta contro la loro participazione , contro il lo ro progreſo all' infinito , contro alla loro incomprenſibilità. So crate n'è molto curbato , credendo che annullate l ' idee ſepara te non vi fieno più principj per ben filoſofare . Ammira Par menide il fervor di Socrate , e lo conſiglia ad eſercitarſi nella Dialetica per ben inveſtigare l'idee . Pitidoro ed Ariftotele , pre gano Parmenide ad eſemplificar il metodo dell'inveſtigazione dell'Idee . Egli ſcieglie l'idea dell' uno , e col metodo delle ſup poſizioni la tratta. Orquattro ſono le quiſtioni che ſi poſſono eſtrar dal Parmeni de relativamente alla definizione di Zenone , che l'uno non è molti . La prima è quella dell'uno per rapporto all' idee feparate ; Ia ſeconda dell'uno per rapporto asé ; la terza dell'unc per rap porto all ' ente ; la quarta dell'uno per rapporto al non ente . Le tre ultime quiſtioni ſono propoſte per via d'ipoteſi : ſe l'uno ; ſe l ' uno è ; fe l'uno non è . Per non traſcurar nulla di ciò che agevola l'intelligenza del Dialogo , premetterò partitamente ad ogni quiſtione la Ipiegazio ne delle voci, e delle nozioni neceſſarie , ſtando più che mi ſia poſſibile attaccato alle parole del teſto quale Dardi Bembo il tra duffe ; mi par inutile di por tutto il Dialogo , perchè eſſendoſi ri ſtampato di freſco , tutti coloro i quali hanno vaghezza d inten derlo ſe ne faranno già proveduti ,per gli altri èinutile e vana ogni illuſtrazione . SEZIONE PRIM A. b. I. Enone defini l'uno ciò che non è molci . Approva Ariſto tele ( a ) queſta definizione, perchè in generale ogni defini zione , dovendoſi aſſegnare per le coſe più lenfibilia e più note, l'eſperienza di tutti i ſenſi ci moſtra , che i molti ci ſono più noti che l'uno ; i fanciulli più teneri nel coccare , nel vedere , e nell'udire pereepiſcono i molti , e la loro cognizione è imme là dove hanno biſogno , che la loro ragione fi maturi un poco per cominciare a dir uno , e quindi numerar su le I molti dunque eſſendo più noti dell' uno , negandoli di forma 6 ) Metaf. lib . 1o. diata ; dita . il ( 53 ) il concetto negativo dell'uno in quella guiſa , che negando le par ti ſi fa il concetto negativo del punto . Dall'uno G fa l'idea aſtratta dell'unità , come dall'idea dell'uomo l'idea aſtratta dell'umanità . Tre ſono le ſpecie dell'unità ; la Lo gica, la Matematica , la Metafifica. L'unità Logica ſono i generi , e le ſpecie, o certe idee univerſali atte a rappreſentar molti in uno; l'unità matematica è il principio compoſitivo de' numeri , o il prin cipio per cui fi numera ; principio differente dal zero , da cui ſi nuinera . L'unità metafiſica' è una proprietà traſcendentale dell' ente , o che conviene all'ente in quanto tale , poichè d'ogni ente fi predica l'uno , come fi predica il vero , e il buono , o ſia il perfetto , ma la verità , e la bontà , o la perfezione , inclu dendo ordine nella varietà ſuppone l' uno , onde tra le proprie tà dell'ente egli è la più univerſale ( a ). L'unità o l'uno nel ſuo concetto aſtrattiſſimo preſcinde da tutte le relazioni, potendoſi per l'aſtrazione della mente non riferire, nè alle coſe che rappreſenta , nè a' numeri che compone , nè a ciò cui conviene : In queſto ſenſo aftrattiflimo definiſce Zenone l' uno , opponendolo ai molti in genere . Contro queſta definizione cosi argomenta Socrate . Vi ſono idee ſeparate : dunque ogni idea eſſen do una in sè , e molti , nel participarſi a molti l'uno , eimolti poſſono accoppiarſi ; dunque non pud dirſi , che l'uno fia molti . Prima di ſviluppar l' argomento rifletterò su certe voci , e nozioni di Socrate. $. 2 . Suppone toſto Socrate, che vi fieno idee ſeparate. L'idea ſe condo l'etimologia della voce Greca , ſignifica propriamente com fa viſta , e per traslato ſignifica coſa inteſa , o ciò che s'inten de ; ma tallora ſignifica l'atto per cui s'intende , il qual però meglio ſi chiama nozione o concetto. Åleinoo defint l'idea , intelligenza per rapporto a Dio , pri mo intelligibile per rapporto anoi , miſura quanto alla mate ria , eſemplare quanto al mondo ſenſibile , effenza quanto a ſe ſteſſa . In tutti queſti ſenſi la prende or Socrate , ora Parmeni de ; ma la prima nozione dell' idea ſeparata è che ella fia il primo intelligibile . $. 3• ve ) Wolfo Metaf. ( 54 ) § . 3 . Socrate: oltre l' idee del bello , dell' oneſto , e del giufto , che Parmenide gli accorda , ammette ancora quelle del limile , del diffimile, del moto , della quiete , dell' uno , e de' molti . Queſte ultime idee ſono tra loro oppoſte e contrarie , come il caldo , il freddo , il bianco , ed il nero ; eſſendo contrarie , ciò che convie ne all'una , non conviene all' alira , e quindi ſecondo Socrate i ge neri, e le ſpecie , idee più o meno univerſali conſiderate in se non patiſcono paßioni contrarie , ma nulla vieta nell'ipoteſi di Socrate, che non poſſano participarſi dalle coſe. 1 S. 4 . Partecipare è propriamente ritener in sè una parte d'un cutto ;; così l'aria partecipa la luce ', poichè ogni particella d' aria ha in sè una particella di luce . In un ſenſo più ampio , la voce partici pare s'eſtende dalla quantità alla qualità , all'azione , all effenza Iteffa. ;. così ſi dice , che l'accidente partecipa della ſoſtanza', gli effetti delle cagioni, un figlio le virtù , eivizj.del padre : La par cipazione è quindi' più ampia della ſimiglianza limitata alla ſola convenienza delle qualità , e molto più dell'imitazione , che alla fimiglianza aggiunge la relazione tra il modello , e la copia ; due gemelli naſcendo saſlimigliano , e pur l'uno' non è la copia dell' altro . I Pittagorici' nel riferir le coſe all' idee ſeparate , come a loro modellidiceano', che participavano o imitavano l'idee , ma fecondo Ariſtotele ( a ) non mai filoſoficamente ſpiegarono le voci di participazione, e d'imitazione . S. 56 Cið fuppoſto , il primo argomento di Socrate tratto da queſti principj fi pud diſtinguer in due per maggior chiarezza . Ogni idea è una in sé , ed una in molti , dunque nel tempo ſteſſo , uno può efser molti . Cosi lo conferma , Benchè l' idee lieno tra loro con crarie , nondimeno poſsono eſserº nel tempo ſteſso participate da. molti , anzi dallo ſteſso ſecondo diverſi riguardi , ma in queſte participazioni ritengono la loro unità , dunque: ſon uno e molti. Così lo prova : oppoſte e contrarie ſono tra loro l’idee , del ſimile , del diſſimile', del moto', della quiete , dell’'uno; é dei molti ; dunque comenulla viera , che lo ſteſso poſsa aver more in ( a ) Metaf, lib. ( 55 ) in una parte , e quiete nell'altra ; eſfer fimile ad un altro in una parte, e diffimile nell'altra, così nulla vieta che ſia uno , e molti ; una Caſa ha molti legni , e molte pietre ; ogni . Uo mo è uno conſiderato in sè , ed è o ſeſto, o ſettimo conſide rato con altri . la un Uomo , altra è la deſtra , altra la fini ſtra , altre le parti dinanzi, altre di dietro , altre le ſupreme , al tre le infime. Nel Sofiſta egli dice ; noi chiamiamo un Uomo denominandolo con molti cognomi , mentre a lui attribuiamo i colori , le figure , le grandezze, le virtù , ed ivizi : nelle quali coſe tutte , ed in altre infinite , non ſolamente diciamo che egli fia Uomo, ma ancora buono , ed altre infinite coſe , e le altre fecondo la ſtella ragione . In cotal gui sa fupponendo noi qualunque coſa una , di nuovo l'appelliamo molte e con molti nomi ..... Onde ſi è da noi data occaſione di contraddi re , come jo penſo a' giovani , ed a ' vecchi di tardo ingegno : percioc che incontinente ci potrebbe chiunque far obbiezione che ſia coſa impos fibile, che molte sofe folero una , ed una molte . ( a ) Dunque uno può eſſer molti ; dunque non è generale la de finizione , che uno ſia non molti . La participazione dell' idea evidentemente lo manifeſta . 7 9. 6 . . Sciolto è l'argomento ſe fi nega l'ipoteſi dell' idee ſeparate perchè colte l'idee è colca la loro participazione. Parmenide ri gecta l'ipoteſi, come nè generale , nè chiara ; non generale .per chè non s'eſtende a cutti i cafi poflibili i ; non chiara . , 'perchè non pud fpiegarſi la participazione dell'idea. Cost :provo la pri ma parte non ſi debbonoaſſegnar idee delle coſe ſeparate, o aſſegnarſene di tutte le coſe '; che vuol dire , non baſta affe le .coſe morali , e matematiche , mabiſogna af. ſegnarne ancora per le fifiche : dunque non ſolamente vi ſono idee del giuſto , del bello , del buono , del grande , del fimile ec, ma dell'uomo, del foco, dell'acqua , e d' alcune coſe , che molti fimano per avventura ridicoloſe ; i peli, il fango, le macchie., ed altre coſe ignobili , e vili. Socrate toſto lo nega, perchè gli pare , che ammettere queſt' idee, ſarebbe coſa troppo diſconvenevole , poi can didamente confera, che alcuna volta queſto penſiero lo turbo , e che quando di là fi ferma ſe nefugge temendo di non corrompere la ſua mente , e fantaſia cadendo in ciancie ineſplicabili ., onde a quelle coſe ritornato ( cioè all'idee del giuſto , del bello , del buono, ed all idee 'matematiche ) verſa intorno a quelle . In ( a ) Sof, pag. 306 , ( 56.) In un caſo ſimile ſi ritrovò il P. Malebranchio ; ſentendo egli la difficoltà di ſpiegar chiaramente , come l'eſtenſione intelligibi- : le , eſſendo immobile in Dio , gli rappreſenti il moto , ove il luſtra queſto articolo dice nel fine : ( a ) Io non oso impegnarmi'. a trattar queſto ſoggetto a fondo , temendo di dir coſe, o troppo aftrat te , o troppo ſtravaganti, o ſe ſi vuole , per non azzardarmi a dir co ſe che non so , nè sono capace di diſcoprire. Queſto è il ripiego di Socrate . Ariſtotele ( do ) ove nella Metafiſica combatte l' idee ſeparate malamente attribuite a Platone , adduce tra l'altre coſe , che dandoſi idee ſeparate ſi dovrebbe darne de' ſingolari, de' corrut tibili ; egli non eſtendeche l'argomento da Parmenide eſemplifica to , e poida Alcinoo , che afferi non darſi nel fiſtema de' Platonici idee delle coſe arcifiziali ; uno ſcudo , una lira ec. ne delle co fe oltre natura la febbre , la bile non naturale ; non delle coſe ſingolari, Socrate , Placone; non delle vili, ed abbiecte ſozzure , paglie ec. donde traffero i Platonici dopo Ariſtotele, queſta di ſtinzione, ſe non dal Parmenide ? §. 7 . Propoſta che ha Parmenide un'obbiezione , che Socrate non può riſolvere , egli cangia l' argomento ad judicium in quello aid hominem , che vuol dire non argomenta più ſecondo i principi della ragione univerſale, ma ſecondo i principj del diſputante , e ne deduce la contraddizione . Suppone dunque che vi fieno idee ſeparate ", ma come poi date queſte idee lo ſpiegare che lieno participate dalle coſe Queſta participazione ſi fa , o ſecondo il tutto , o ſecondo la parte . Parmenide dimoſtra , che nèl'uno , nè l'altro può eſſere . Sia da una coſa participaca l'idea ſecondo il cutco , dunque tut ta l'idea è in ſe ſteſſa .; e tutta fuori di ſe ſteſſa ; dunque nel tempo ſteſſo eſiſte tutta in sè , e cutca fuori di sè . Siaľ idea conliderata in sè A , e participata fia B , C, D ec. generalmen te , o non A ; dunque nel tempo ſteſſo l'idea è A , e non A , ciò che è contraddittorio . Nè occor dire che un giorno è uno , e lo Steffo , ed inſieme in mola ti luoghi , e pur non è da ſesteso in diſparte . Il giorno non è che la luce del sole , diffuſa in tutto il noſtro emisfero . Or quel la parte di luce , che illumina me, non illumina il compagno ſebben mi lia vicino . Parmenide li ſerve dell'eſempio della ve la , ( a ) Ricerca della verità T. 4. pag. ... ( b ) Metaf. I. .... ( 57 ) la , la quale molti coprendo , non è perd una in molti , perchè la parte c he copre l'uno , non è la parte che copre l'altro . Reſta a dimoſtrare, che l'idea non è participata dalle coſe ſe condo una parte ; la dimoſtrazione è da se manifefta , perchè l'idea participata ſarebbe una , e non una ; una tutta in sè , e non una nelle coſe che ne hanno ſolo una parte . Queſto modo d'ar gomentare , è fondato ſul principio di contraddizione adoprato lovente da Platone, e ſtabilito da Ariſtotele , come il primo prin cipio in cui ſi riſolvono cutti gli altri . Eſperimentiamo noi cal eſſere la natura della noſtra mente , la qual mentre giudica che una coſa ſia , non può inſieme giudicare , che la ſteſſa non ſia . Parmenide eſemplifica l'impoſſibilità di queſta ipoteſi. 5. 8. La grandezza è ciò che è capace di più e di meno . Nel conce pir il più fi concepiſce il maggiore, nel concepir il meno fi conce piſce il minore , e nel concepir l'eguale non ſi concepiſce nè più , nè meno nelle quantità che ſi comparano. lo dico che li comparano , perchè nè il più , nè il meno, nè l' eguale concepir ſi poſſono ſenza riguardar una coſa nel tempo ſteſ to che l'altra o ſenza compararle , e in queſta comparazione pro priamente la grandezza confifte, la quale , come ben dice il Wol fio , non ſi può concepir ſenza un altro a differenza della quali tà . Tutto quindi l' effer della grandezza è relativo , od ha tut to l'eſſere in ordine ad un altro . Così Platone eſpreſſe la natu ra della relazione nel Politico , nel Simpoſio , nel Sofifta , e pri ma di lui Archita , ed Ocello , ( a ) i quali diviſero la relazio ne in quattro generi . Da queſti autori traſfe Ariſtotele ( 6 ) la definizione , che dà della relazione . Nulla perd vieta , come & proverà , che per compendiare i concetti non ſi concepiſca la gran dezza come qualche coſa di aſſoluto , a cui accade – eſſere mag giore , minore , ed eguale , e che di nuovo ſi concepiſcano il maggiore, o'l minore come aſſoluti, a' quali accada il più , o meno , o nè l'uno , nè l'altro . Suppoſto dunque , che fi dia l'idea della grandezza , e in conſeguenza del maggiore, del minore , dell' eguale, così argomenta Parmenide. Sia A l'idea del maggiore , B del minore , C dell' eguale ; ſi dividano tutte2 , e tre in parti ineguali : С poichè dunque una coſa in canto è maggiore , in quanto partecipa l'idea del maggiore , lia l'idea - B del maggiore A diviſa in parti ineguali, e la parte minore delmaggiore ſia participata, quello che la Tom . II. h par ( á ) Diſcuſ. Perip. Patriz ; T. 2. pag. 185. ( b ) Ad aliquid alia dicuntur quæcunque quod ipſa ſunt aliorum effe dicuntur. o il A ( 58 ) partecipa non ſarà egli nel tempo fefto , e maggiore , e mino re? Maggiore, perchè parcecipa l'idea del maggiore; minore per chè parcecipa la parte minor del maggiore. Così potrà dirli della participazione della parte più picciola dell'idea del minore, e dell' idea dell'eguale . Se'l idee dunque fi participano dalle coſe , ſe condo una parte loro non potrà mai effer quefta , una delle par ri ineguali. Parmenide non procede olore , maè facile l'aggiun-. gervi , che nè meno pud parcicipare delle parti eguali , perchè la parte .eguale del maggiore participata dalla coſa , la farebbe nel tempo ſteſſo eguale , e maggiore ; e così la parte eguale del mi nore , ſarebbe la coſa minore ed eguale. . 9. La noſtra mente , come per ſua natura non può concepiricon tradditrorj, così non pud frappaſſar l'infinito , biſogna che s'ar reſti ad un primo, o ad un ultimo , il qual è come Tuncino che ſoſtiene curri gli anelli della catena. Ariſtocele , e'ne'mori, e nel le cagioni, e ne'fini dimoſtra l' aſſurdità del progreſſo all' infini 10 , modo d' argomentare imparato dal Parmenide di Platone non men che l' altro del principio di contraddizione. Il Wolfo dimoſtròeffer impoſibile il progreſſo all'infinito rectilineo, e cir colare . g. 10 , . Poſta l'aſſurdità del progreſſo all'infinito , così argomenta Par menide : Tu ſtimi che qualunque ſpecie fia una , quando pare i te cbe certe , e molte coſe fieno grandi, parendoti per avventura in ris guardando a tutte le coſe , che ſia queſta una certa idea , onde tu penfi che il grande fia uno . Prima d'inoltrarſi è da oſſervare, che qui Platone inſegna, co me comparando le coſe , nel riflectere a quello in cui conven gono , ne riſulta un'altra idea , come prima avea inſegnato Epicarmo , Queſt' idea è ſempre una , perchè uno è l'atto della mente con cui ſi rifletre a ciò che le coſe hanno di commune . Continua Parmenide : Se'il grande, e l'altre coſe che ſono grandi nel medeſimo modo conſideralli per tutre le coſe , non apparirebbe egli da capo ceri' una coſa grande, onde farebbe neceſſario che queſte tutte pareffero grandi? Vuol dire che nel compararſi dalla mente di nuovo l'idea del grande con le grandezze participate , nè riſulta un'altra idea di grandezza , per la qual coſa concludeParmenide: apparirà di nuo po altra ſpecie di grandezza fuor do esſa grandezza , e di quelle che fono ! ( 59 ) fono partecipi di lei , e dopo tutte queſte , altra di nuovo con cui som rebbono queſte grandi, nè pide qualunqueſpecie fia una , ma piuttoſto di numero infinito . La ragione è , che l'idee della grandezza di nuovo aſtratte nella comparazione , eſſendo per loro natura re lative faranno fena pre di nuovo comparabili , e così all' infini to . Ariſtocele su queſto fondamento del Parmenide , e tutti i Platonici, e tra gli altri Alcinoo dillero , che non fu potea aver idee de relativi. $. 11. cioè per Dal modo con cui Parmenide comparando l'ideę , altre idee He deduffe , concluſe Socrate, che le ſpecie ſono' atti dell'intel fetto, i quali non riſiedono , che nell'animo . Gli concede Para menide, che ogni atto dell' intelletto è uno , ma gli fa confef fare , che queſt' acto ha un oggetto , ed è l' ente'; l'ente perd in quanto ſi concepiſce o s'intende', non s'immagina o ſente : prende egli qut l'idea , non per la nozione , o per il concetro' della mente 1 atto , ma per la relazione che ella ha ad un certo oggecto, e conſidera l'unità dell'idea' non relativa mente all'atto dell'intelletto , ma all' ente che la partecipa poichè ſecondo i principj di Socrate , ella è ſempre la ſteſa in tutte le coſe . Ne deduce per confeguenza , che ſe l'idee ſono' at: ti dell'intelletto , le coſe che partecipano della ſpezie', o deli? idea faranno tutte intellective, ed intelligibili . Vi riſponde So crace , che le coſe non partecipano' dell' idee , in quanto' queſte fono atti dell'intelletto , ma in quanto rappreſentano le coſe ; che vuol dire, in quanto l' idee Tono eſemplari , di cui le co fe fono limiglianze ; onde in tanto le coſe le partecipano', in quanto ad effe li fanno ſimili . Parmenide contro queſte fimi glianze dell' idee , argomenta coll' aſſurdità del progreſſo all' ip knito , come fece delle grandezze . $. 12 Supponiamo che' molte' coſé' fieno ſimili per la participazione dell' idee della ſimiglianza. Potendoſi dunque comparar dall'in telletto le ' fimiglianze' , e delle coſe , e dell' idee , Te' ne' eſtrar rà un'altra' idea di ſimiglianza , e queſta di nuovo comparando 1' idee con le coſe , darà un' altra idea di fimiglianza , e co sh all'infinito , cio' che è aſſurdo”. Cosi eſprime queſto argo mento Parmenide : non ſarebbe egli neceſſità grande , che' quel che è fimile al fimile' folle partecipe dell' uno , e della fleffa ſpecie ? Or hi 2 non ( 60 ) 5 non ſarà ciò la ſtessa ſpecie , di cui le fimili coſe rendendoſi partecipi fiano fimili ? Dunque non può alcuna coſa eller ſimile alla ſpecie, ne la ſpecie ad altrui, altrimenti oltre alla fpecie', altra ſpecie ſempre apparirebbe, che ſe ella folle fimile ad alcuna coſa altra dacapo' , ne cellerebbe mai queſto progreſo , che non ſi faceſſe ſempre nuova fpe cie , ſe ancora folle ſimile la ſpecie , a chi di lei ſi rendeſe partecipe : Ariſtotele propoſe lo ſteſſo argomento ſebben oſcuramente L'Uomo , dice , ſignifica non meno la ſoſtanza ſenſibile degli Uomini ſingolari, che la ſoſtanza intelligibile dell'Uomo per sè , o fia l'idea dell' Uomo . Or ſe queſt' idee convengono in una coſa comune , fi concepiſce comparandole un terzo Uomo, equin di un altro , e così all'infinit . Ariftotele creſce l'aſſurdità Socrate lingolare participando dell'Uomo univerſale partecipa , e dell'animale e dell'animale a due piedi , e d'altre coſe , ciod , quelle che ha comuni colle piance, colle pietre , ed altre innume rabili. Converrà dunque moltiplicare all'infinito l'idee, onde per una coſa ſenſibile converrà porne infinite; ſi può aggiungere che queſto numero di nuovo ſi moltiplicherà all'infinito am mettendoſi l' idee dei relativi, poichè ogni coſa che è nell'Uo mo , pud compararſi a turce l' idee delle coſe viſibili , ed invidia bili , o della ſteſſa, o di diverſa ſpecie. Ma l'Uomo ideale, diceano i Pittagorici , effendo incorrutti bile , ed univerſale non ſi può comparar a coſa ſingolare , e cor ruttibile , ed eſtrarne quindi nuova idea ? Ariſtotele vi riſponde : i binarj feparati ſono anche eſſi incorruttibili , e pur per conoſcer li biſogna dar un'idea comune di binario , in cui convenga il binario B , il binario C ec. In oltre l'idea di figura è comune al cerchio , al triangolo , ea tutte le figure piane e ſolide, onde ella , è propriamente ge nere relativamente alle ſpecie , ma chi può mai conoſcere una figura che non ſia , nè cerchio , nè triangolo , nè altra ſimile ? Intanto la concepiſce la figura in genere , in quanto la mente non s' applica , che ai limiti che circonſcrivono lo ſpazio , fen za far attenzione rifeffa , nè al modo , nè al numero , nè al fito dei limiti ſtelli . Spiegherd la coſa con un eſempio più fa cile . Egli è impoſſibile che io concepiſca un triangolo ſenza rappreſentarmi che egli fia , o Equilatero , o Iſollele , Sca leno ; altro è poi , che nel rappreſentarmi uno di queſti crian goli io non faccia determinata attenzione alle ſpecie dei tre lati . Noi non intendiamo le cofe , dice San Tommaſo , ſe non cona vertendoſi a' fantasmi loro . Ora a qual fantasma è anneſſa l' idea della figura ? Confuſamente a tutte le figure ; ma io non ne , con ( 01 ) conſidero diſtintamente alcuna , e ſolo attendo a ciò in cui cut te convengono , ed è d' eſſere uno ſpazio circonſcritto ; ma ſe nel concepire l' idee de' generi delle coſe matematiche v'è canta dif ficoltà ammettendo l' idee ſeparate , quale ve ne ſarà nell'idee metafiſiche ? Nell'ipoteſi Pitagorica ſi dovranno aſſegnar idee del poflibile , dell'ente , dell'atto , della potenza , della cagione , del principio , del modo , dell'attributo , del terminato , è dell ' indeterminato , del neceſſario , del contingente', del perfetto dell'imperfetto ec. nè ſolo di queſte coſe , ma del prima , del dopo , dell'inſieme , del ſeparato , e finalmente del genere in quanto genere, e della ſpecie in quanto ſpecie : coſe tuote af furdiffime nè abbaſtanza eſaminate da coloro che preteſero che noi vediamo le coſe in Dio , perchè ad ognuna di queſte coſe non men che all'eſtenſione , ed al numero dovrebbe aſſegnarſi un'idea , Ariſtotele con gran ragione v'aggiunſe, che neli ipo teſi dell' idee ſeparate, oltre l'idee de relativi converrebbe am mettere l'idee delle negazioni , e delle privazioni , o degli op pofti , cioè dei contraddittori dei contrarj ec. 9. 13. Dace l'idee , data la loro participazione, ed eſcluſa la compa razione a'ſenſibili, ricerca Parmenide fe debbonſi annoverare l'idee tra gli enti relativi; od aſfoluti . Vi fono delle coſe, di cui tutta l'eſſenza conſiſte nel riferir fi all'altre, e queſte ſono relative , ( 8. 8.) é ve ne ſon altre di cui l'eſſenza conliſte nella non ripugnanza dei predicari , che le coſtituiſcono , e queſte ſon le affolute ; Poichè tutto l'efferé de’ relativi è nel loro confronto , ( 5.8 . ) includono effi neceffaria. mente due termini tra loro oppoſti, il fondamento dei quali fo no le coſe affolute , che tra loro fi comparano ; quindi il fonda mento del relativo è sempre l' aſſoluto . Un Uomo fuffifte per sè , e ſe foſſe ſolo nel mondo , non farebbe nè Padrone , nè ſer-' vo , ma ſuppoſto che viva in una ſocietà , può eſſer l'uno , e l' altro, in guila però che non è ſervo in quanto Padrone, nè Pa drone in quanto ſervo , ma come Padrone ſi riferiſce a coloro cui comanda , come ſervo a coloro cui ubbidiſce, e l'uno , e l' altro gli accade in quanto è Uomo , ed a diverſi Uomini li ri . feriſce. Poichè dunque l'idee fi riferiſcono ai fimili che le par tecipano , biſogna che ſieno in ſe ſteſſe e parimenti perchè i ſimili che partecipano l'idee fi poffano riferir all’ idee, convie ne che fieno in ſe ſteſi. Biſogna in una parola , che l'idee, e le coſe che le partecipano abbiano un' eſſenza determinata . Con clude ( 62 ) 1 clude quindi Parmenide, che l'idee hanno tra loro, un ' eſſenza , ma che queſta non è un eſſenza tutta: relativa alle coſe che ſo no appreſſo di noi, o pure le coſe fi nominano ſimiglianze , o in altramaniera di cui facendoſi partecipi , noi la nominiamo con , qualunque di eſſe. ; . aggiunge parimenti, che le coſe che ſono in noi, non hanno la virtù ſua d'eſiſtere in verſo l' idee , ma fono quel che ſono relativamente a ſe ſteſſe . Parmenide quin di chiama le cofe. che ſono in . noi ,, e: in torno a noi: equivoche: all' idee .. Cagione equivoca: degli animali , delle piante , de metalli ec. diſero Ariſtocele , e gli Scolaſtici il Sole , perchè ſebben concorra alla loro generazione, non conviene con loro , 0 non gli aſſomi glia che nell'eſſere . Parmenide parlando ad bominem par che allu da all' opinione di Socrate , il quale nell' ammecter l' idee , come cagioni delle coſe , era sforzato ad ammetterle come cagioni equivoche ,, non potendo ammetterle, come cagioni eſemplari, il che: Ariſtotele così : dimoſtrò :-ſe quando l'Uomo fi genera da Socra te, eglis'alfomiglia all'idea , e non a Socrate , fi potrà generar: { mile all'idea , liavi o non ſiavi Socrate ;; ma ľ Uomo generandofia non s'aſſomiglia all'idea , ma a Socrate , come è manifeſto dall' eſperienza ; dunque Socrate , e non l'idea è l'eſemplare del generato: Poſto dunque che l' idee : influifcano nella generazion delle coſe, convien ſempre porle , come cagioni equivoche ; : ma da: chi Ariſtotile traffe cal idea , ſe non da Placone ? ' Or fe: l'idee non hanno relazioni alle coſe , o ſono diloro ca gioni equivoche, come poſſiamo conoſcerle? Se le piante , de pie tre ragionaſſero , . potrebbono mairappreſentarli ( rimirando ſe fteſ . ' fe , . ), che il Sole foſſe loro: tanto diſſimile ? che ebbe . tanta parte nella loro generazione . Le noſtre idee non ſono cagioniequivoche delle coſe , le quali noi produciamo affilandoſi ſul loro modello . Un Architeto uno Scultore, un Pitcore fanno la caſa , la ſtatua , . , l'immagine ſecondo l'idea che ne hanno formata , e perciò comparano l'effet to all' idea per miſurarla ,, e perfezionarla ; , nella combinazione dell'idée chiare , . e diſtinte conſiſtendo la ſcienza , l'oggetto del la noſtra ha ſempre proporzione all'idee che d'effo formiamo ;.. ma ſe l .idee : ſeparate come cagioni equivoche non hanno alcu na proporzione con le coſe che vediamo , non par poffibile di : riconoſcerle , e in conſeguenza aver- Scienza di loro . Delle co fe quindi rivelate , non abbiamo ſcienza ma fede; ſono certe , € infallibili , ma non a noi: chiare e diftinte .. g . 145. ( 63 ) S. 14 . Platone nel Filebo ſtabiliſce due generi di coſe; altre non 'han no avuto origine , nè finiranno giammai , perchè ſono immutabi li , e fempiterne ; altre non ſono perchè ſempre 'fi fanno ſono a generazione, & corruzzione ſoggette : À queſti due ge neri di coſe , ' fa corriſponder due generi di cognizione ; delle coſe immutabili , ed eterne ſi ha ſcienza , dell' altre non ſi ha che opinione. Le coſe di cui s' ha ſcienza ſono l'idee , perchè ſono ſempre nello ſteſſo ſtaro , nè ſi può ſapere ſe non ciò che è , ed è ſempre nel medeſimo modo ; le coſe di cui s' ha opinione fono le coſe ſenſibili, perchè continuamente fluendo , non ſono mai nello ſteſ fo ſtato . Come dunque Placone nel Tilebo , dà fcienza dell'idee , e nel Parmenide non la dà ? La riſpoſta generale è , che da cid che ſi dice in un Dialogo ,nulla deve inferirſi relativamente a cid che ſi dice nell'altro , perchè Platone non ragiona ſecondo la ſua ſentenza , come nelle lettere per eſempio , ma ſecondo le ſenten że altrui ; oltre a cid , Platone trattando nel Filebo della defini zione della ſcienza egli è manifeſto , che tratta ſolo della ſua pof fibilità relativamente all'oggetto ,ſenza poi procurarſi di cercare , ſe ſi dia o no tale ſcienza negli Uomini , I Matematici definiſco no il cerchio , e il triangolo in quanto è poffibile , nè fi curano ſe eſiſta o.no : quindi ben ' li definiſce la Filolofia , la Scienza dei poffibili in quanto tali ; nel Parmenide non della poſſibili tà , ma dell'attualità della ſcienza ſi tratta , e Parmenide mo ftra , che dandoſi l' idee ſeparate non poſſiamo aver 'ſcienza di effe , perchè non hanno alcuna proporzione con noi , e con le coſe .noſtre . 5. 15 . Ammettendo con S. Agoſtino , e S. Tommaſo , cheIddio ab bia idee , e molte idee , onde per eſſe conoſca i ſingolari , i fu turi , i contingenti, gli infiniti, non perciò poſſiamo dire , che abbiamo ſcienza dell' idee di Dio , o che poliamo conoſcere co me per queſt' ideeegli conoſca le coſe. Il Malebranchio , ed il Poiret, che lo tentarono , caderono ſecondo la fraſe di Socrate in ciancie ineſplicabili. 1 . 16 . ( 64 ) . S. '16. : s' inoltra Parmenide: La ſcienza in sè conliderata è un'idea , come la bontà , la bellezza ec. ma ſe queſt' idea della ſcienza , non ha alcuna proporzione alle ſcienze a noi note, non poßia mo conoſcerla , poichè le ſcienze intanto a noi ſono note in quanto verſano su noi , o su le coſe che ſono intorno a noi . Or non conoſcendo l'idea della ſcienza in quanto tale , nè men poſſiamo conoſcere ſcientificamente l'altre idee, perchè per aver ſcienza dell' altre idee convien participar dell'idea della ſcien za , ciò che è impoflibile : Parmenide par qui ſupporre che la noftra ſcienza paragonata all'idea della ſcienza ſia come il zero all' infinito ma ſe noi non participiamo dell'idea del la ſcienza , come potremo ſcientificamente , o chiaramente , e diſtintamente conoſcere il bello , l'oneſto , il giuſto , e l'altre idee ? Nulla a mio credere v'è di più acuto , e profondo che queſtº argomento , e quel d ' Ariſtotele non l'eguaglia , benchè per altro concluda contro l'ipoteſi dell' idee ſeparate . Oſservò egli che lº idee eſsendo immutabili per loro eſsenza , non ſi può per eſse ſpie gar il moto , dalla cui cognizione dipende quella della natura ; dunque l' idee ſono inutili alla ſcienza per cui furono introdotte . Coloro i quali amiſero con Eraclito , che le coſe ſenſibili ſono in un continuo fluſso , ricorſero all'idee ſeparate , le quali immutabili eſsendo , ſomminiſtravano a? Filoſofi dei principj immutabili del loro ſiſtema ; la difficoltà è come i Filolofi le conoſceſsero , ſe la lor mente , non nell' eſsere , ma nell operare dipende dagli organi del corpo umano , ſoggetto alle vicende dell'altre coſe fenfibili ? f. 17 . All' argomento tolto dal principio di contraddizione del pro greſſo all' infinito , Placone aggiunge l' altro tolto dalle perfer zioni Divine . Come il retto è la miſura di ſe ſteſſo , e del cur vo , così il cumulo di tutte le perfezioni che è in Dio ; ci ſer ve di miſura per giudicare, e delle perfezioni di Dio ſteſso , e di quelle dell'altre coſe . Per via del principio di contraddizio : ne del progreſso all'infinito ſi dimoſtra l'eſiſtenza di Dio , e per via , o di negazione , o di eminenza , o di caſualità , fi di moſtrano le infinite perfezioni di lui , onde ſe a qualche data ipoteſi conſegua l'annullazione di qualche perfezione divina , l'al ſur ( 65 ) ſurdo è maſſimo, perchè Dio nell' effer principio dell'eſiſtenza, è ancora principio di tale eſiſtenza , e nulla può eſiſtere ſe ri pugna alla natura Divina . Socrate non potea non conoſcer Dio comeprincipio intelli gente , dunque era neceſſario , che gli attribuiffè l' idee non me no convenevoli all'intelletto , che i tre lati ad un triangolo ; pur tace Socrate , quando Parmenide gli prova , che la perfec tiſſima ſcienza o P idea della ſcienza convenendo a Dio , egli per queſt' idea non poteva conoſcer le coſe , ciò che era con trario alla divina natura . Par dunque che Socrate ſupponeſſe l' idee ſeparate , ma dall'altra parte Ariſtocele dice chiaramen te , che Socrate noo ammetteva l' idee ſeparate ſe ben deffe gli univerſali . Non ſi ſoddisfarebbe in parte alla difficoltà , di cendoli che Platone , per bocca di Socrate , parlò dell' idee in fenfo poetico , per aver occaſione d'annullarle, e propor la doc trina che ha da lui copiato Ariſtotele , e della quale poi ſi ſervì contro que' diſcepoli di Platone , che realizzarono l' idee ſeparate . . 18. Annullate l' idee ſeparate , la voce idea nel progreſo del Dia logo , tutta fi riſtringe all' idee , che la mente aftrae comparan do le coſe . S'è già accennato ( $ . 8.) il modo, con cui deduſ fe Parmenide l'idea della grandezza , e de' ſimili , e li vedrà inoltrandoſi , che egli parlando dell' uno e dell'ente, proteſta di ſeparar le coſe con l'intelligenza , e con queſta fino sbra narle', che è quanto dire, diſtinguer i concetti o l' idee , ſecon do i rapporti delle coſe, foſſero ancora quefte ſempliciffime ; nulla v'è di più ſemplice dell'anima per ſua natura indiviſibi le , e pur in eſſa ſi diſtinguono varie potenze , ſecondo le rela zioni , che ai varj organi del corpo ella ha operando , onde fi dice che ella ſente , ë che ella immagina . Nella parte ancora intellettiva , ſi diſtinguono le facoltà che ella ha di comparare , e di aſtrarre , e di combinare e di , e di contemplare l' idee', onde ella dichiaraſi mente , e ingelletto, ( c ) voci non altrimenti fi nonime, poichè le loro etimologie di confrontano ai varj uffizj dell'anima ; tutte quindi le ſcienze ſono ſu l' aſtrazioni fonda te . La fiſica aftrae dalle coſe ſingolari, la matematica dalle ſen Tom . 11. i (a) Mens è detta a menfura , poichè l' anima compara , e miſura le coſe , Intellectus da intus legere , poichè intendendo ſcieglie , e deduce una cola da un' altra . fibili , ( 06 ) fibili , la metafiſica da ogni materia . Vuole il Patrizio , che come in una gran parte del Sofifta , čosi in tutto il Parmeni de non ſi tratti che di quella metafiſica , che Ariſtotele colſe da Placone , e di cui le prime idee ne diedero i Pitcagorici , e tra gli altri, Archira e Peritione; io v'aggiungo che la me cafifica avendo due parti , cioè l' ontologia , o la ſcienza , che tratta delle proprietà dell'ente , in quanto ente , e la Teolo gia naturale o la ſcienza , che tratta delle ſoſtanze ſeparate dal la materia , come Dio e l'anima , Parmenide ſi riſtringe in que ſto trattato all' ontologia , e manifefte ne faranno nel progreſo ſo le prove ; baſta accennar qui , che dovendofi dar un elem pio del modo con cui s acquiſtano l ' idee , ſcieglie Parmenide l'idea dell'uno , applicando ad efla il metodo delle fuppoſizio ni . Due coſe aggiunge alluſive all'analiſi , ed alla ſinteſi . La prima che ufficio e d' uomo ingegnoſo il poter apprendere , come ſi ritrovi il genere di qualunque coſa , ciò che ſi fa cominciando dall'analiſi , o dall'eſame delle coſe particolari , e per l'aſtra zione , elevandoſi agli univerſali ; la ſeconda , che ufficio è di uomo meraviglioſo inſegnar agli altri le coſe ritrovate , ciò che ſi fa per la ſinteſi , combinando l'idee generali, e quindi le lo ro combinazioni, da cui ſi deducono i problemi , e i teoremi , ed indi i corollari , e le annotazioni. Sommo acume di men te fi ricerca nel far le opportune aſtrazioni , e di nuovo da .quefte aftrarne altre, ſin che ” analiſi propoſta ſi riduca all' ul time idee , e ſomma fodezza , ritrovare l'idee , concatenarle in guifa che alcri con facilità , e prontezza le intendano, e l'uno , è l'altro dimoſtra Parmenide , o col luo nome Placone. SEZIONE SECONDA . Se l'uno che ne ſegua . b . I. Vuol Uole il Ficino , che queſta prima fuppoſizione debba inten derſi . Se l' uno , perchè il verbo è , o ſia la copula del predicato o del ſoggetto v'è pofta , non in grazia della coſa , ma dell' orazione . Nel legger la nota marginale del Ficino mi ricordai, che Licofrone ( a ) invecedi dire , il parete è bianco , di ceva il parete bianco , ed altri il parete biancheggia , quaſi che Platone non riprovaſſe nel Sofiſta l' orazion ſenza verbi , o che (a ) Ariſt. 1. Phil. 9 ( 07 ) che i verbi non foſſero ſtati inventati per compendiare i gius dizi ! Non è forſe lo ſteſſo il dire , io amo , che io ſono aman te é io biancheggio , che io fono biancheggiante ? La fuppofi zione dunque, je l' uno equivale all' orazione condizionata , ed implicità fé uno , nè così la propone Parmenide , ſe non per intimarci, che a null' altro fi deve badare nell'ipoteſi , che all uno preſo in un concetto aſtrattiflimo. Nella Geometria ſinteticamente ſi comincia dal punto prin cipio della linea ; nell'aritmetica, dall'uno principio del nume ro ; e nell' ontologia dall' uno traſcendentale , che conviene ad ogni noftra idea . Eſclude tutte le relazioni , perchè riferendofi l'uno per eſempio ad A , B , C ec. non è più uno , ma molti , in quanto in lui fi conſiderano le diverſe faccie che ſi riferi ſcono ai molti . Parmenide in queſta prima ipoteſi eſclude dall' uno cutte le relazioni, cioè quelle dell'ente in genere , e l'alore dell'ente in fpecie . Relazioni dell'ente in genere ſono l'identicà , e la di verſità , perchè non competono meno alla ſoſtanza , che alla quantità , qualità , ed agli altri predicamenti. Relazioni dell'en te in fpecie ſono , la limiglianza , la diſſimiglianza , Peguaglian za , l'ineguaglianza , l'antichità , la novità eco perchè competo no o alle fole qualità , o alle ſole quantità ec. * l une e l'altre intanto ſi dicono relazioni , in quanto non conſiderano le coſe in ſe ſtelle , ma relativamente tra loro : il diffimile , l'eguale ec. non li concepiſcono ſenza i due termini , che tra loro fi paragonano . Se l' uno in quanto tale non può compararſi ad alcuna coſa , biſogna eſcluder da lui tutte queſte relazioni , tan to più ſe nelle coſe riferite s'includono i molti. Parmenide comincia dall'eſcluſione delle relazioni più facili a conofcere', che ſono quelle della quantità ; paſſa alle relazioni della qualità , e ad alcre , e finalmente all'eſſenza ; nè di ciò con tento efclude le relazioni, che l'uno può aver all'opinione , al la ſcienza , é lino al nome. Se l'uno in queſto concetto aftrat tiſſimo fi nominalle , avendo ogni nome relazione al ſenſo , al la fantalia , od alla mente , e quindi a tutti gli uomini, che lo pronunziano o l'odono, l'uno con l'aggiunta di queſte relazio ni ſarebbe molti . Si ſente più che non s'eſprimequeſt' ultimo grado , ed abbiamo grande obbligazione a Platone , che in que Ro Dialogo , nel rappreſentarci la dottrina della fetta Eleatica , ci ha moſtrato l'uſo opportuno delle aſtrazioni. Egli di conten ta di non moltiplicarla , che fino ad un certo grado , a fine che l'idea coll' altrarla tanto non s'inlanguidifca , è sfumi; onde al fine la mente non poſſa più ravviſarla in quella guiſa , che i 2 l'im 708 ) l'immagine d'un oggetto riflettuta da uno ſpecchio ſucceflivamen te in molti altri , al fin diviene si ombratile , che ſvaniſce da. gli occhi . Frattanto era neceſſario dimoſtrare in un ſoggetto aſtrattiſſimo per sè , l'uſo dell'ultime aſtrazioni che può far la mente , non eſſendovi altro modo di accennare , come in ogni quiſtione s'arrivi a quell' ultima idea , in cui conviene che vi ci ripoſi , anco malgrado l'impeto innato , che inevitabilmente ci porta a ſempre più nelle cognizioni inoltrarci. Nell'inveſtigazione poi dell' idea vaga Parmenide per tutti i generi , come era in uſo nell'antica Dialetica, e fatta la ſuppoſizio ne determinata per via di comparazioni, ed eſcluſioni, egli ricava il punto preciſo della quiſtione propoſta. Con la chiarezza maggio re che io poſſa , procurerò deſprimer diſtintamente tutti i gra di tallor dell'analiſi, e callor della ſinteſi Parmenidea . Nel trat çar l'altra quiſtione meconvenne ſeguire le interrogazioni, e le riſpoſte degli Interlocutori ma quà folo Parmenide parla ; onde bafta ſolo ſeguendo l'ordine del Dialogo premetter le.co. ſe neceſſarie , eſtrar la propoſizione, e dimoſtrarla fe fi può cal metodo de' Geometri . L' uno non è molti . Abbiamo quanto baſta illuſtrata queſta definizione ; qui fo lo avverto , che come il Wolfio , dopo d'aver definito , che l'en te ſemplice è cid che non ha parti , da queſta definizione ne gativa egli deduſſe, che l'ente ſemplice non è ſteſo, non è diviſibi le , ſenza figura , ſenza grandezza, che non riempie ſpazio , che non ha moto inteſtino ec. Così Platone , da ciò che è l ' uno , dimoſtra le fteſſe coſe , e molt'altre che andremo partitamente, conſiderando , e deducendo dalle nozioni preme{le . g . 3 . 11 Wolfio defini il tutto ciò che è lo ſteſſo con molti ; per abbracciar in una definizione non ſolo il tutto integrale , che chiamaſi totum , ma ancora il potenziale che chiamali omne. Lo ſteſſo , come ſi vedrà fra poco , conviene non meno alle quantia tà , che alle qualità , ed alle ſoſtanze , e l'idea di molti è più univerſale , che quella delle parti , convenendo i molti e agli enti ſemplici, ed a' compoſti come a' quantitativi . Parmenide non definiſce qui , che il tutto integrale , raccogliendo inſieme le 1 ( 69 ) le parti , e limitandole in uno, a cui niente manca , ed è per fua natura indiviſibile; la nozione di molti è quindipiù aftratta della nozion delle parti , e in queſto ſenſo Ariſtotele diffe , che il tutto è prima delle parti, e non le parti del tutto , il che , ſe ſi crede al Patrizio , tolfe da Ippodamo Turio . ( a ) §. 4. L'uno non è nè tutto , nè parte di sè . Se l'uno è tutto non vi manca alcuna parte , ( $. 3. ) dunque ha parti ; dunque è molti contro la definizione dell' uno ( $. 2. ) Se l'uno è parte di sè , è un tutto riſpetto a sè , ma non pud eſser un tutto , come ſi dimoſtrò; dunque non è parte disè. COROLLARIO . L'uno non effendo nè tutto , né ſteſo , od è indiviſibile , o è ſemplice. parte , non è 8. S. Ogni cutto ha principio , mezzo , e fine . Cid vuol dire , che propoſtoſi un turco nel numerarne le parti fi comincia da quella che chiamaſi prima , e li progrediſce all' ultima paſſando per le intermedie . §. 6. L'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ol, Se l'aveſse ſarebbe un tutto ( $ . 5. ) il che è impoſſibile ( 8.4. ) Α Ν Ν Ο Τ Α Ζ Ι Ο Ν Ε . Speſre volte inſegnò Ariſtotele, che l'infinito è ſenza principio, ſenza fine ; offerva il Patrizio, che lo preſe dal Parmenide, ove ſi dice , che l'infinito ( o piuttoſto come io crederei l'indefinito ) non ha ne principio , nè fine, cioè non ſi sa in eſſo , nè dove comin , ciar la numerazione , ne dove terminarla . In queſto ſenſo una li nea non è propriamente infinita , o indefinita , le comincia da un punto , nè una ſuperficie, nè un corpo , ſe la ſuperficie comincia da una linea , e il corpo daunaſuperficie. A queſti infiniti måtema rici , che cominciano da un termine , non compere la definizione, che Platone aſſegna dell'infinito , da cui eſclude il principio , ed il fine . ( a ) Diſcuſ. perip. T. 2. p. 280. ܐ S. 2 : ( 70 ) S. 7. L ' uno è infinito . L'uno non ha principio, nè fine ( S. 6. ) Dunque è infinito . ( An. Si 6: ) 9. 8 . La figura è una parte dello ſpazio , o dell'eſtenſione circonſcrit ca da cerci limiti , o è retta come il quadrato , il cubo ec. o ro tonda , come il cerchio , la sfera , Pelifli , l'eliffoide ec. o miſta dell'uno , e dell'altro . Il principio della figura è dove i moder ni pongono il vertice , il fine dove pongono la baſe" , il mez zodove la figura fi divide per mecà . 8. 9 . L'uno non ha figura . Ogni figura, o recta , o rotonda ha principio , mezzo , o fine ( 8. 8. ) ma l'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ( $ . 6. ) Dunque non ha figura. COROLLAR10. L'uno è infigurabile. $. 10. Non lo può concepire' , che una coſa ſia in ſè ſteſſa ſenza il di 1 ſtinguere con la mente , che ella è comprendente e compreſa , cid che è concepirla due volte , o di uno far due . Non ſi può conce pire , che una coſa ſia in altrui , ſenza che ella ſia toccata in mol te parti. Il luogo abbraccia , o comprende la coſa in lui colloca ta · Eſer in alcrui , od effer in ſe ſtello ,, ſono due oppoſti ſenza. mezzo , come il moto , e la quiete . So IT . L'uno non è in luogo. O ſarebbe in sé , o in altrui ; ( $. 10. ) ſe in sè , egli ſarebbe a sè il ſuo luogo , onde abbracciando ſe ſteſſo ſarebbe nel tempo fteflo , e comprendente , e compreſo , cioè l' uno ſarebbe due co ſe o molti contro la definizione ( $. 2.) ſe foſſe in altrui, fareb be 1 1 1 1 ( 71 ) be toccato in molte parti, onde avrebbe molte parti contro la definizione. ( §. 2. COROL. L'unonon è circonſcritto da alcuna coſa , terra , Cielo , materia , ſpazio ec. ANNOT. Daqueſto argomento lice inferire , che Parmenide cob ſidera qui l'uno , in quanto è dalla mente aſtratto da corpi , che ſono in luogo ; s'è già oſſervato , che l'ontologia degli anti chi era fondata su l' idee aftratce dalla materia , dalla forma, dal compoſto, dagli accidenti ; onde queſt'uno aſtratto da corpi , e da loro dipendente non ha alcuna relazione a Dio , ch'è un ente per sè , in sè , infinito cc. . 12. Il moto alla ſoſtanza , ſecondo Ariſtotele , è quando una coſa , per eſempio una parte di terra ceſſa d'eſfer terra , e comincia ad eſſer pianta . Il moto alla quantità è quando una coſa , per eſempio un fanciullo creſce nella ſtatura , ed un vecchio decreſce . Il moto alla qualità è quando per eſempio la carne d unUomo fredda , dura , ed aſpra , li fa da sè calda , molle , liſcia . Preten deva Ariſtotele, che queſti tre moti dipendendo dalla forza in crinſeca , che facea cangiare alle coſe la ſoſtanza, e gli acciden ti loro , li diſtingueſſero dal moto locale , nel qual altro non ſi con ſidera , che il paſſaggio da un luogo all' altro : Parmenide , o Pla tone, benchè parli del moto di generazione, e d'alterazione, par ſolo far attenzione, ſecondo l'ulo de'moderni, all'accoppiamento delle parti , e quindi all aumento delle qualità , due coſe accom pagnate dal moto locale , o di traslazione. Lo conſidera egli in linea retta , oin cerchio , nel qual moto una parte della coſa & forma nel mezzo , e le altre parti fi rivolgono intorno al mezzo . Vuol poi , che tutto ciò che ſi genera ſi faccia in qualche luogo ſecondo il principio da lui in queſto Dialogo replicato più volte. Ciò che non è in alcun luogo è nulla . Platone nel Teeteto dice per bocca di Socrate : Se dimoſtran eli una ſpecie di moto , o due ſpecie , come a me pare , nondimeno io conſidero che cid non ſolamente appaja a me folo , mo ancora tu ne fii partecipe, acciocchè amendue parimenti patiamo qualunque coſa face cia meſtieri, ficchè mi di , cbiami tu forſe moverſi , quando alcune coſa fe mute da luogo a luogo, e nello steſo ſi raccoglie ? Teodoro glie lo concede. Socrate ſoggiugne : Dunque fiare una specie questa , ma quando fermandoſi alcuna coſa nello ſteffo luogo s'invecchia , o di bian , ca fi fa nera , o dara dimolle , e ſi altera da certa altra alterazione, son chiameremo noi meritamente queſt' altra ſpecie di movimenti ? ... Ora dico che fieno due le ſpecie del movimento cioè alterazione , la ( 72 ) la circonferenza. Egli dice circonferenza in luogo di traslazione in cerchio , per moſtrar che nel pieno ogni coſa va in giro. , Conſidera poi quì , che nel farſi una coſa vi la un accoppia mento , nel qual prima una parte fi congiunga a quella che li fa , mentre l'altra parte , che ſi deve aggiungere , è ancora fuori della coſa . 1 $. 13. L'uno non ha moto di alterazione , nè di generazione . Non di alterazione , perchè ſe ſi altera non è più uno , ac quiſtando nuove qualità ; ſe fi genera non è più uno, acquiſtan do nuove parti . Or nuove qualità , e nuove parti fanno molti ; dunque ſe l' uno o fi altera , o fi genera , è molti contro la de finizione . IN ALTRO MODO. Una coſa non può generarſi o farſi che in un' altra , perchè tutto ciò che è , o fi fa, è in qualche luogo , ma ſe l'uno non può effer in un altro ( S. 11. ) nè meno può farſi in eſſo . In ol tre ſe una coſa ſi fa in un altro , non ancora ella è ſe ſi fa . Or quando una coſa ſi fa, una parte è in lei , e una fuori di lei , perchè le parti fi vanno ſucceſſivamente aggiungendo , ma l'uno non avendo parti ( 5. 4. ) nè può eſſer nè tutto te in sè , nè tutto , nè parte fuori di sè . Dunque non può ge nerarſi . Corol. L' uno non è generabile , nè alterabile , nè par § . 14. L'uno non ha il moto di traslazione . L'uno non è in luogo ( 5. 11. ) ma la traslazione in linea ret . ta è una mutazione ſucceſſiva del luogo . Dunque l ' uno non eſſendo in luogo ( $ . 11. ) non può mutar il luogo , ſecondo la linea retta , ma nè meno pud mutarlo , ſecondo la linea circo lare, perchè deve raggirar nel mezzo , e tener fiffe le parti che fi rivolgono intorno al mezzo ; ma l'uno non ha nè mezzo , né parte , dunque non può rivolgerſi in cerchio'( . 13. ) Dunque le alluno non conviene nè l'uno , nè l'altro , non gli conviene il moto di traslazione . Q. 15 . 1 1 . 1 ( 73 ) g. isi Come ſi concepiſce il moto , nel concepire la traslazione fuc ceffiva del mobile , o ſia il rapporto continuamente vario della diſtanza del mobile a ' corpi contigui, così fi concepiſce la quie te nel concepir il rapporto coſtante di diſtanza a ' corpi conti gui ; quindi nel moto, il corpo va ſucceſſivamente occupan do diverſe parti dello ſpazio , e nella quiece occupa le ſteſſe par ti dello ſpazio . $. 16 . Luno non è nè in quiete , nè in moto . L'uno non è in sè , nè in altrui ( 9.11 . ) ma ciò che è in quiete , è ſempre nello ſteſſo , ciò che li move è ſempre in al trui . Dunque ſe l'uno non è in ſe ſteſſo , nè in altrui, non ſi ripoſa , nè ſi muove . $ 17 Platone ha ſin ora conſiderato l' uno per eſcluder da lui la ragion di tutto , di parte , di principio, di fine , di mezzo , di figura , di luogo , di moto , cioè per eſcluder dall' uno tutte le relazioni che appartengono alla quantità, come la più nota , e più facile. Senofane pur provava, che l' uno era infinito , im mobile , non ſi trasfigurava nella poſizione, non s'alterava nel la forma, non fi milchiava con alcri. Non è egli molto veri ſimile , che egli ne arecaffe le ſteſſe ragioni , che poi Parmeni de più fteſe , ed affottiglid ? Paſſa Parmenide ad eſcluder dall' uno le relazioni dell'ente che appartengono alla qualicà , di cui le prime ſono l'identità e la diverſità . Non premette Parmenide alcuna definizione dello ſteſſo , e del diverſo ; come fece del tutto ; dai Pittagorici ( a ) impard , al dir del Patrizio , che l'identità , e la diverſità non devono conſiderar fi come paſſioni dell' ente , ma come generi ſecondarj , i di cui primi ſono il moco e la quiere . Ariſtotele all'incontro riduce l' identità a una certa unità , e dichiara che ella come la diverſità appartiene alla ſuſtanza , poichè fteſse ſono quelle coſe che con vengono , o nella materia , o nella ſpecie , o nel numero , o nel Tomo II. k gene ( a ) Diſcuſ. Perip. T. 2. p. 207. ( 74.), genere di cui una è la ſoſtanza. Platone eſtende l'identità , e di verſità alle qualità , e da lui impårarono i matematici a dire , che le ragioni o proporzioni , che ſono le ſteſſe con una ſtella , ſo no le ſteſſe tra loro ; e non ſi dice pur tutto giorno lo lteſto grado di calore , di lume ec. e. parimente ragioni diverſe , di verſo grado di calore , di lume ec. Dunque non alla ſola fo ftanza , ma alla quantità , alla qualità , ed agli altri predicamen ti apparciene lo ſtello , e il diverſo . Inliftendo il Wolfio su le nozioni ſcolaſtiche , dà il criterio per diſtinguere lo ſteſſo dal diverſo . Quelle coſe , dice egli , fou no le stelle che ſi poſſono ſoftituire. ſcambievolmente ſalvo qua lunque predicato , che loro aſſolutamente , ſotto qualche con dizione convenga ; ſicchè fatta la fortituzione , la coſa reſta ta le , come ſe non foſſe ſtata ſoftituita . Se in una bilancia , in cui ſang equilibrati due peſi, in cambio di un peſo , d' una certa grandezza, io ne ſoſtituiſco un alıro, in modo che l'equilibrio Loro non lia tolto , queſti due peſi, in quanto peſi, nulla diſtin guendoli: ſi chiamano gli ſteſſi . Se nel peſo che è prima nella bilancia , vi foſſe una certa figura , ed un certo colore , eun cer to grado di calore , e di freddo , ed anche un certo odore , e tutto ciò appuntino ſi ritrovalle nel peſo che ſi ſoſtituiſce , que fti due peſi non diſtinguendoſi, e nel peſo , e nell' altre qualità li chiamano gli fteſi; Lo ſteffo in numero è ciò che ſi afferma di ſe ſteſſo , o cui ripugna d'efiftere due volte ; nel dirſi, queſto triangolo è que ſto triangoló , ' ſi predica lo ſteſſo triangolo di ſe ſteſſo , onde convenendo la ſtella eliſtenza al ſoggetto , e al predicato , egli è manifeſto , che il triangolo in quanto è nell' uno , e nell' altro non ha doppia eſiſtenza , mala ſteſſa, I diverſi poi ſono quelli , che ſcambievolinente non poſſono ſoſtituirfi , falvo ogni predicato che all' uno , o all' altro aſſo lacamente o condizionatamente convenga . Così nel caſo della ſoſtituzione de' peſi della bilancia, ſe un peſo nel ſoſtituirſi all' altro cangia d'equilibrio , il pelo ſofticuito è diverſo dal peſo , di cui preſe la vece ; egli è diverlo in ragion di peſo , benchè per altro poteſſe eller lo ſteſſo nella grandezza , nella figura nel calore , ed altre qualità . Poſſono dunque le coſe eſſer le ftel ſe in un predicato , e diverfe negli altri ; quindi ſi può diſtin guer lo ſteſſo , e il diverlo in affoluto , e in relativo ; ſono aſ loluti, ſe le coſe convengono in tutti i predicati, o diſconven gono falva però la loro eliſtenza ; ſono relativi le convengono in alcuni predicati, ma diſconvengono in altri . E'cid neceſſa rio di ben avvertire, perchè in queſto Dialogo fi prende lo ſteſ 1 1 ſo, 1 ( 75 ) fo , e. il diverſo in queſti due fenfi. Qul Parmenide perd pren de aſtrattamente la coſa , perchè a lui baſta, che l'identità , e la diverficà fiano affezioni, o generi delle coſe non preſe in sé , ma relativamente all'altre , baſtando queſta fola relazione per eſclu derle dall' uno ; quindi può facilmente dimoſtrarſi, che l'uno non è , nè a se , nd ad altrui lo ſteſſo , perchè nel ſuo concerto aſtrat tiffimo efclude ogni comparazione ; ma Parmenide in alcro modo lo dimoſtra , rappreſentandoſi alla mente per via d'una nozione immaginaria , che l' uno prima è uno, e poi per forza della com parazione egli è molti . Ciò ſi rende ſenſibile col diſegnar l'uno col ſimbolo aritmetico I , e poi aggiongendovi A , o qualche alera lettera , onde egli fia prima i , indi 1 + A. S. 78 L'uno non è lo ſteſſo , nè diverfo a sè , nè ad altri. Se l'uno foſſe da fé ſteffo diverfo , ſoſtituendoſi l'uno per l'uno dove prima della ſoſtituzione fi concepiva i , dopo della foftitu zione si concepirebbe 1 + A , dunque non più i contro l'ipoteſi. Se fia lo ſteſſo ad altrui egli farà quello , cioè 1 + A non cið che è , od uno , il che di nuovo è contro l'ipoteſi . . 19. L'uno non è diverſo , nè da altrui , ne da ſe ſteſſo . L'uno convenendo con tutte le coſe , perchè d'ogni coſa ſi dice , uno non è diverſo da effe , che in virtù di qualche predicato ; dun que in quanto non è più uno ; dunque non può eſſer diverſo dall' altre cofe . Non è la ſteſſa la natura dell' uno , e dello ſteſfo , perchè quando una coſa li fa la ſteſſa ad aleuna non ſi fa uno ; il colore di A per efempio ſia lo ſteſſo , che il colore di B , non perciò mai A è B , perchè le due coſe colorite comparandoſi, benchè con vengano nel colore , e in queſto fieno uno , non perd convengono nell ' çliſtenza , Se gli Itelli non ſi conofcono , che per la Toſti tuzione, gli ftelli convengono bene ne'predicati ; ma ſono fem pre due . Dunque quando una coſa ſi fa la ſteſſa con l'altra , di due non ſi få uno , ſe non inquanto ſi concepiſce, che con vengono , o nella quantità , o nella qualità ec. ma non perchè convengono non ſono due ; dunque o l' uno paragonato all' uno ſi fanno due , e cosi l'uno non è uno , o reſtando uno non k 2 ſi può ( 70 ) la pudfar ſoſtituzione . Dunque non pud dirſi , che l' uno fia lo ſteſſo a ſe ſteſſo . 20 . Parmenide paſſa a comparar l'uno coi fimili , e diffimili. Aris ftorele dice , che i ſimili ſono quelli che patiſcono lo ſteſſo , ei diffimili quei che pariſcono il diverſo ; de' primi una è la qualità, dei ſecondi è diverſa la qualità ,onde egli ripone i ſimili, e dilli mili ſotto l'identità , e diverſità , il che imparò da Platone nel Filebo ( a ) e più facilmente dal Parmenide , ove Platone defini ſce il ſimile, per ciò cui adiviene patir lo tego , il diffimile , ciò cui adiviene patir il diverſo. Conſidera quì Parmenide le.qualità , come attributi o modi che ſi ricevano nel ſoggetto , il quale nel riceverle in cerca guiſa paciſce; ſono queſte nozioni immaginarie, come quella della ſoſtanza . Su queſte orme Parmenidee , il Wol fio definiſce i fimili quelli , in cui le ſteſſe ſono le coſe, per le qua li doverebbono diſcernerſi , onde ſecondo lui , la fimiglianza è l' identità di quelle coſe per cui dovrebbono tra loro diftinguerli. Se in due volti per eſempio io ritrovo nelle parti gli ſteſſi linea menti , ne' lineamenti gli ſteſſi gradi de' colori ec. in fomma ſe io ritrovo , che le ftelle fieno tutte quelle qualità, per cui dovereb bono diſtinguerſi, i due volti ſono ſimili; diffimili all'incontro ſono quei volti , in cui diverſe ſi ricrovano le coſe per cui tra lo ro fi diſtinguono , che vuol dire i lineamenti delle parti, le figu la collocazione, le grandezze . Il Wolfio fi fece ſtrada con que ſta definizione a definir i ſimili matematici , ben oſſervando , che le loro proporzioni, benchè abbiano per fondamento ilquanto , fi riducono al quale . re , S. 21. L' uno non è fimile nè diffimile ad alcuno , o a se , o ad altrui. Simile a quello cui adivienelo feſto ( . 20. ) ma l' uno eſclu de lo ſteſſo ( S. 18. ) Dunque efclude il ſimile. L’uno ſe riceve alcuna coſa fuor di quello che è l' eſſer uno , pa tiſce d'eſſer più l'uno , perchè egli è l'uno , ed inſieme la coſa che pariſce , onde almeno egli è due o molti ; dunque non è più uno ; dunque ſe l’uno non paciſce d'effer lo ſteſſo , o loco , o con altri , non può eſſer a ſe ſteſſo , o ad alcri ſimile , ( a ) Patriz. Diſcuſ. perip. p.202. Il ( 77 ) Il dillimile è quel che pariſce diverſità ( 5. 20. ) ma l'uno non può parire diverſità , dunque non è , nè diverſo da lui, nèda altre coſe, altrimenti non ſarebbe più uno ; dunque l'uno non è diſli mile , nè a ſe ſteſſo , nè ad altrui . 1 l . 22 Concluſo che ha Parmenide non convenir all'uno , nè l'iden: tità, nè la diverſità, nè la ſimiglianza , nè la diffimiglianza, paſ fa a ricercare ſe gli convenga l'eguale o l'ineguale , due pro prietà delle grandezze comparate P une all' altre ; l'eguale im murabilmente ſta nel mezzo , da cui l' ineguale allontanandoſi per ecceſſo ſi chiama maggiore, e per difetto minore . L'egua le paragonato all'eguale ha le ſteſſe miſure , paragonato al mag giore ha meno miſure, e ne ha più paragonato al minore. Ra gionando Parmenide con Socrate ad bominem , fi ferve del ter mine di participare , che non è allegorico , ove ſi tratta di par ti . Offervo che non miſurandoli, ſecondo Platone, che con l'uni tà , e col numero, è manifeſto , che la miſura è ſecondo lui quan tità ; pur gli attribuiſce lo ſteſso , e il diverſo. g. 23 . L'uno non è , nè eguale , nè maggiore , nè minore . Non participando , nè dello ſteſso , nè del diverſo , non parte cipa mai, o le ſteſse , o le diverſe miſure , in conſeguenza non è nè eguale , nè maggiore , nè minore. 6. 24. Come ſi miſurano le grandezze permanenti , così ancora ſi mi ſurano le ſucceſſive , le quali paragonare l'une all' altre, compete loro lo ſteſso e il diverſo , cioè il più, e il meno . Si dice che due Uomini hanno la ſteſsa età , quando è miſurata per lo ſteſso nu mero di rivoluzioni ſolari, e che hanno maggiore o minor età le ella ſia miſurata per maggiori o minori rivoluzioni ſolari . L'antichità , la vetuftà , la novità ſono relazioni degli enti ſuc ceflivi per rapporto alla loro eſiſtenza fucceffiva ; antico ſi dice quello che da lungo intervallo di tempo e prima d'un altro ; nuo vo quel che ora è, e non fu che già poco tempo prima d'un al tro ; il giovane , il vecchio , ſono propriamente le differenze dell' età degli Uomini, mas'attribuiſcono per mecafora a curce le coſe . 9.25 . ( 78 ) f. 25. L'uno non è più vecchio , più giovane di ſe ſteſso , o dell' altre coſe . L ' uno non pud participare , oo delle ſteſse ,, o di maggiori o minori miſure degli enti ſucceflivi, perchè non può partici pare dello ſteſso , e del diverſo ; ma quel ch'è più vecchio , partecipa di maggiori miſure, quel che è più giovine di minori , dunque ec. g. 26 . Per ben intendere come uno nel farli più vecchio di fe fteſso o d'un altro ſi fa più giovane , mi è neceſsario trasferire alcu ne nozioni della ſeconda ipoteſi , ed aritmeticamente ſvilupparle . g . 27 6 3 5 4 Se il rapporto del maggiore al minore crefca per l'aggiun ta agli antecedenti, e a' conſeguenti d'una grandezza eguale , il rapporto ſempre decreſce . Sieno i numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , i quali ſucceſſivamen te creſcono per l'aggiunta dell'unità , èmanifeſto che ( a ) > 4 $ Si prendano i quozienti o valori delle ragioni . Il valore della ragione di = it ; il valore di = ito il valore di = i + . Or tal eſsendo la ragione qual è il fuo valore ſe I +1/2 > it it ec. come è mani 3 feſto fard > 5 ec. Or rappreſenti A C l' età d'un 3 fanciullo di 3 anni , e B D l'età d'un | fanciullo di due anni , s' aggiunga alla А С F prima età un anno , ciod ad " A C. s'ag giunga CF , e alla ſeconda età B D SA D G. aggiunga un altro anno o DG. Onde s' averà la ragione di } ; li vada aggiungendo ſucceſſivamente alle due età un'anno, ed indi un'anno, e li averanno le ragio ni di e di . Egli è manifeſto , che il fanciullo di tre anni è più vecchio di quello di due, ma nel creſcere all'uno , e all' al > 3 4 Ā 1 B tro ( a ) Il ſegno è quello del maggiore , Il ſegno di < del minore . Il ſegno è quello dell'eguale . ( 79 ) tro un' anno la ragione che ne riſulta di è minore dell'altra ; molto minore è quella di , e molto più minore quella di onde ſebben il primo fanciullo ſi faccia ſempre più vecchio dell'altro , contuttociò per l'accreſcimento dell'egual quantità ſi fa più gio vane relativamente , perché dove nella prima ragione la differen za era nella ſeconda è minore di 1 , e quindi , ſempre mi nore . Egli è vero dunque, che un fanciullo nel farli' più vecchio d'un altro li fa ancora più giovane. Se non ſi compari l'età di due fanciulli , ma ſi conſideri folo l' erà di uno , che ſempre riſpetto a ſe ſteſso creſce di un'anno , egli è manifeſto , che per queſto eguale accreſcimento , nel decreſcer ſempre le ragioni degli anni cra loro comparati , lo ſteſso fanciul lo nel farſi più vecchio di ſe ſtefso , fi fa ancora più giovane. Si vede quindi , che nel farſi il più vecchio dal più giovane , fi fa cid dal diverſo , e che non è diverſo , ma'ſi fa . Corol. Lo era , lo efser ſtato , il li faceva , ſignificano i modi del tempo paſsato ; il ſi farà , il ſarà , e ſarà per farſi, i modi del fucuro o dell'inanzi ; l'eſsere , il farſi, i modi del preſente. f. 28. L'uno non è in cempo . Se l'uno fofse in tempo participerebbe delle miſure del tempo ; dunque or ſarebbe più giovane, or più vecchio , ma queſto non pud eſsere , come s'è dimoſtrato ( 9. 25. Dunque ec, IN ALTRO MODO. Quel che è in tempo nel farſi più vecchio , ſi fa più giovane di ſe ſteſso , ( §. 27.) ma l'uno non può farſi più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſso , perchè non può farſi , nè una cola , nè l'altra ( 9.25. ) Dunque non è in tempo . Il più giovane che ſi fa dal più vecchio è diverſo da lui , e non è ma ſi fa , ma l'uno non può ricever il diverſo ( § . 18. ) Dunque non può farli dal più vecchio il più giovane ; dunque non è in tempo . Il più giovane non ſi fa dal più vecchio , nè in più lungo tem po , nè in più breve di fe fteſso, ma ſempre nell'egual tempo con le ſteſso , o fia , o ſia ſtato , o ſia per dover eſsere ; ( § . 27. ) mą l'uno non è ſuſcettibile dell'eguale ( § . 23. ) Dunque nè meno dell' egual tempo ; dunque non avendo le paſſioni del tempo non è in cempo . . 29. ( 80 ) S. 29. L'uno non partecipa , nè del preſente , ' nè del futuro nè del paſſato . L'uno non eſſendo in tempo non può partecipare del tem po , ma le paſſioni del tempo ſono , il preſente , il paſſato , il futuro . ( $ . 27. ) Dunque non le partecipa . Corol. Se l'uno non è partecipe di niun tempo , non fu mai , nè ſi faceva , nè era , nè ora è fatto , nè fi fa , nè farà . 8. 30. Ogni ente , o ciò che è partecipe di eſſenza , è , ſecondo Plato ne , o nel tempo preſente , o ſarà nel futuro , o fu nel paſſato . Nel Timeo egli dice , che Dio per far il tempo fluente nel numero , fece un'immagine dell'eternità . Dunque l'eternità fiſſa in ſe ſteſſa non contiene, che il preſente , e ciò pur dicono i Teolo gi nel diffinirla con Boezio , una poſſeſſione tutta inſieme di una vita interminabile . Negando dunque Parmenide, che il pre ſente competa all' uno , gli nega l'eternità , onde è egli evidente che non parla di Dio , ma ſolo d'un ente di ragione, dal quale per l' astrazion della mente eſclude tutto ciò che involve rela zione a qualche coſa , ed anche a lui ſteſo. Dall' altra parte , qui Parmenide non eſclude dall'uno , ſe non cid che appartie ne per lo più alle coſe corporee e viſibili, il tutto , le parti , il luogo , l'eguale , il maggiore , il minore, la generazione , la traslazione , le differenze del tempo ; e ciò che dice dello ſteſ. fo , e del diverſo , del fimile , e del diflimile , che pur conven gono alle coſe incorporee , lo ricava da ciò che ha negato ne' quanti. 1 . 31 . L'uno non è , o non ha eſſenza . L'uno non partecipa del preſente , del paſſato , del futuro ( 9.29. ) ma ciò che ha effenza partecipa dell'uno , o dell'altro ( $. 30. ) Dunque l'uno non ha eflenza . Annot. Dall'uno conſiderato preciſamente come uno , cioè a dire oppoſto amolti , ſi debbe eſcludere , oltre l'eſſenza attuale , an cor la poſſibile , perchè la poſſibilità come fonte, e principio del, la ( 81 ) la realità porta ſeco qualche relazione a cid che eſiſte , é dall' uno ogni relazione deve eſcluderſi.; molto più le relazioni dell' uno all'ente , di ragione che chiamali intellettuale qual è il Lo-. gico , il metafiſico , il matematico , e l'altre relazioni ancora ché aver poteſſe all'ente immaginario ancor chimerico . . §. 32 . tra coſa Primafi concepiſce la, non ripugnanza dei predicati delle co ſe , ed è l'eſſenza , e queſta non ſi dice d'altre coſe , o d'al tre eſſenze , ma bensì o gli attributi , i modi , e le relazioni fi dicono deſsa ; cal è la definizione logica , che Ariſtotele diede della ſoſtanza , chiamandola ciò che non ſi predica d'al ma che tutte le coſe ſi predicano d'eſsa . In que ſto ſenſo l'eſsenza nel ſuo concetto aſtratto , non differiſce dal la foſtanza , che in quanto queſta ſi riferiſce a ſe ſteſſa , ed agli aleri de' quali è ſoftegno , per il che ſi dice , che ella non ha contrario , e non è capace di più, e di meno . Se l' uno non può predicarſi dell'uno , o di le ſteſſo , per non radoppiarlo o farne due o molti , egli è manifeſto , che non è ſoſtanza to più ſe fi conſidera col Wolfio , che nella nozione della fo ſtanza, v'è qualche coſa d'immaginario, perchè ella fi rappre ſenca alla fantaſią , come un valo od altra coſa , che in sè ri. ceve gli accidenti . $. 33 L'uno non è ſoſtanza . L'uno non ha eſſenza . ( S. 31. ) Dunque non ha ſoſtanza ( $ . 32. ) ſ. 34. La ragione è propriamente quell'atto della mente , che da una coſa n'inferiſce un' alera , od è ancora ſe ſi vuole la con neſſione delle verità univerſali ; la ſcienza è la cognizione cer ta , ed evidente delle coſe, ed è tutta opera della ragione che deduce una coſa da un' altra . Nell' attribuire una coſa ad un altra , ſe li ha qualche cimore , che ad efla ſi poſſa attribuire l'op poſto, ſi ha della coſa opinione. Col ſenſo poi non ſi percepi Icono , che le coſe ſingolari , o determinate in ogni parte , e quindi compoſte di molti . Da queſte definizioni e manifeſto chenegli oggetti della ragione, della ſcienza, dell'opinione, del Tom . II. I fen ((82 ) . fénfo s } includono moki , çd - in oltre che ogni coſa , che .0.4 ſénte , o su cui di ragiona fcientificamente , od opinabilmente , ha un' eſſenza attuale o poflibile ; falfa o vera. 1 $. 356 Dell' uno non li ha ragione, ſcienza , opinione , ſenfo . Quefte coſe includono molti , e dipendono dall'ipoteſid' un eſſenza ( §. 34. ) ma l' uno non ha eſenza ( S. 31. ) e non in olude molti (.9.,2 . ) Dunque ec, g . 36 Non ſi dà nome ſe non alle coſe , della cui eſſenza , o per ragione, o per opinione, o per ſcienza , o per ſenſo ſi ha un ' idea o chiara , od ofcura, o diſtinta , o , confula , o miſta di que Ite differenze. S. 37 ... L'uno non ha nome. L'uno' non ha effetiza:( : 34:) Dunque l'uno non ha nome. 1 §. 38. Ragruppando in poco ciò che ſin ora ſi è detto , ſi può for mare tal fillogismo . Dal concetto aftrattiflimo dell' uno ſi de vono, eſcluder i molti di qualunque genere effi fieno ; ma cid che appatriene alla quantità , alla qualità ; alla refazione ec ? vi s'includono imolti ; dunque devono queſti eſcluderſi dal.concet to aſtrattilfino dell'uno , . ] Se fi diceffe , che così concludendo ſi confonde l'uno col nul la , manifeſto è l'inganno , poichè la definizione del nulla è , che egli non abbia nozione alcuna o poſitiva , o negativa , ciò che elclude dal nulla ogni realtà . Quando'io dico all'incontro, l'uno non é molti, non tolgo a lui ogni realtà , benchè eſplicitámen te io non vi rifletta. Io ſto più immobilmente che poſſo affil ſo su l'uno, in quanto s’oppone a molti , e in queſta conſide razione preſcindo più che poſſo dal conſiderar l' uno , o per rap porto all'ente, o per rapporto al mio penſiero ; noi poſſiamo, come accennai , più ſentire, che eſprimere queſte preciſionimen tali , e momentanoe, ma 'non laſciamo di fentirte, e le fencia ·mo ( 83 ) mo ſe poffiamo eſprimerle in qualche modo, e farle' intendered agli altri ; nè per altro la fcola Eleacica; ed indi Placone le pro poſe , che per addeſtrar la mente ad inveſtigar l'idee delle coſe. Era necelfario fciegliere per eſempio quell' idea , in cui la pre ciſione arriva all'ultimo grado , ove pofla mai giungere la men te umana. Non ſi conoſce mai bene la natura', ' ed'i precetti della arte , che l'imita , fe non ned maffimo . Io dimando al Lettore ; che legge attualmente il Parmenide di Platone, e lo confronta col mio comentario , fè altro faccio in effo , che ſviluppare il fenſo.ovvio det tefto : Abbia pur Pro clo , e gli altri Placonici , e Gentili , e Criſtiani confiderato queſto Dialogo , non come ontologico , ma come Teologico , io ril pettando , e la dottrina , e l'autorità loro', dirò che la mia Spiegazione ontologica non impediſce , che degli intelletti più fublimi del mio , teologicamente non l'inalzino a coſe maggio ri , come fece il Cardinal Befarione , applicando a queſto Dia logo la dotrrina del preceſo S. Dionigi Areopagita . Si può ri leggere avendo preſente tútra l'intiera ſeſſione , quanto ivi diſ fi appoggiandomi alla dottrina di S. Tommaſo : Dio'è un en te fingolariſfimo , e nell' applicarvi quel che conviene all' en te di ragione ; biſogna ftar attenti che non ſi confonda l' uno ton l'altro ; la merafíſica degli antichi è la ſteffa che la me tafifica dei moderni; mia nel riferir la prima ' alle coſe , queſte includevano Dio , che gli antichi non ſeparavano dalla mate ria , che per preciſionedi mente, là dove la ſeconda conſiderando fe coſe non ha a Dio , che un'analogia molco lontana, perchè fi diſtingue eſenzialmente , é realmente dalle ſteſſe . SEZIONE TERZA. Se l'uno è , quali coſe adivengono intorno ad eſſo . I. I. Nom On ſi ricerca ſe faecia meſtieri, che ſucceda- un cert' uno , ma ſe vi ſia l'uno ; o pure ſoſtituendo la nozione imma ginaria ſe l'uno partecipi l'eſfenza. Dall'ipoteſi così propoſta ne fiegue', che' l'uno non è la pro : pria 'eflenza , o che l' effenzà, e l' uno non ſono gli ſteſi con: cerci z chi dice elfenza , dice preciſamente la: non ripugnanza dei predicati, e chi dice uno , dice 'non molti . ; Nel cratcat queſta: ſuppoſizionë , Platone comincia a frami I 2 fchia ( 84 ) ſchiare all' aſtrazioni le nozioni immaginarie più che di ſopra Queſto fa ſovente l'oſcurità del teſto , perchè per intenderlo ci sforziamo toſto a concepire ciò , che non è che un' imaginazione ed imaginazione tallora falſa , da cui li deduce una contraddizio ne , nèſempre però vera , ma apparente , il che raddoppia l'ab baglio , ſe non vi s'attende; manifeſteranno gli eſempi ciò che io dico , in tanto mi ſia lecito di contraſegnare con due ſimboli diverſi , A , e B , i due concettidell'ente, e dell'uno . Nel farne il compleſſo A + B io rappreſento un tutto che ha due parti, che io tra loro ſeparo con la mente , per ragionarne più diſtintamente fi 2. Se l'uno è , ogni parte di queſto tutto ( uno è:) può dividerſi in infinite particelle . Si prenda la particella uno , e ſi concepiſca come ſeparata per un momento dall'altra particella ence , poichè per la fuppoſizio ne l'uno è , egli è manifeſto , che conſta di due particelle , uno ed ente . Di queſto nuovo compleffo ſi prenda la particella uno , e queſta per la ſteſſa ragione ſi dividerà in due altre , ente ed uno , e così all'infinito . Or ſi prenda l'altra particella ente, e poiché ogni ente è uno , ſi dividerà queſta particella in due altre, le quali di nuovo fi divideranno, e così all'infinito ; dunque ogni particel. la del cutto uno è , ovvero è l'uno , ſi divide in infinite particel le all' infinito . Così può ſenſibilmente rappreſentarſi . Ente uno А + B 1 Ente uno uno ente 2 a + 2b 2A + 2B ente uno uno | ente 3A ente , uno uno | ente 46 4A 4B 3. a 36 3B 1 uno , Come A + B rappreſenta il primo compleſſo immaginario della e dell'ente così 2a + 2b rappreſenta il ſecondo com pleſſo immaginario dell'uno , e dell'ence dedotto dall'ente , o da A , e parimenti 2A + 2B ſignifica il ſecondo compleſſo imma ginario dell'uno , e dell'ente dedotto da B. ANNOT. Qui Platone fuppone darli reciprocazione tra le due pror ( 85 ) propoſizioni l'uno è , è l'uno , nella prima delle quali l' uno è il loggetro , cliente è l'attributo , e nella ſeconda l'ente è il ſoggetto , e uno l'attributo. Perchè legitimamente ſia la reciprocazione del le propoſizioni, biſogna che il ſoggetto ſia tanto ampio , quanto l'attributo , onde può reciprocarſi la propoſizione . Il triangolo è una figura di tre lati; nell'altra ogni figura di tre lati è un trians golo , ma non già ſi reciproca la propoſizione, ogni ternario è nu. mero , perchè non ogni numero è ternario . Il non aver avvertita la legge della reciprocazione fece cader in molti parallogismi tallora i Geometri. Corol. Poichè ogni ente è uno , l'uno ſi moltiplicherà come l'ente , onde potrà dirſi, che l'uno è infinito, o che l'uno è mol ti . Queſta è la prima contraddizione di queſt' ipoteſi , ma è con traddizione immaginaria od apparente , perchè l'uno per sè non è molti , ma è molti per accidente , cioè perchè gli accade di mol tiplicarſi , ſecondo gli enti che lo partecipano , onde non predi candoſi dell'uno nel tempo ſteſſo , e ſecondo lo ſteſſo, gli oppoſti, non ha in sè vera contraddizione. g. 3 . Platone s'inoltra con le nozioni immaginarie . Conſiderando l? uno , in quanto partecipe di eſsenza , lo prende ſecondo ſe ſteſso con l'intelligenza , ſpartato da quello di cui diciamo che ſia par tecipe , cioè dell'eſsenza . Ciò vuol dire , che dell'ente , e dell'uno Platone fi fa quei due idoli caratterizzati per A , e per B. ANNOT. Nel dirli che li prende l'uno coll'intelligenza ſpar; tato dall'ente , s'allude manifeſtamente all'aſtrazioni della mente . $. 4. 1 L'eſsenza o l'ente , e l'uno ſono diverfi. Alcro è l'eſsenza , ed altro l'uno ( : 32. Sez. 2.) Dunque uno in quanto uno è dall'eſsenza diverſo , e l'eſsenza in quanto eſsenza è diverſa dall'ano ; dunque l'uno , e l'eſsenza ſono diverſi ; Co sì può illuſtrarſi tale ragionamento. L'ente o l'eſsenza in quanto eſsenza include la non ripugnan za dei predicati coſtitutivi ; l'uno in quanto uno include l'oppo Gizione ai molti , ma queſti due concetti tra loro non convengo no ; dunque ſono diverfi. 8. 5. ( 86 ) $ . s . L'eſsenza , l'uno , e il diverſo fanno tre concetti o tre coſe trx loro diverſe . S'è già dirnoftrato , che l'uno , el ente non termi nando lo ſteſso concetto ſono diverſi tra loro , ma il diverſo non includendo nel ſuo concetto , che la non convenienza , fa un concet to diverſo , ed in conſeguenza una coſa diverſa dall' altre due ; dunque l'eſsenza , l'uno , il diverſo fanno tre coſe diverſe. . 6 . Si rappreſenti l'uno per A , l'enre per B , e il diverſo per C ne riſultano quindi. Le combi- FA B7 In ogni combi-7 Tre poi eſsendo le combina nazioni di nazione vie zioni v'è ancora A , B ,CAC uno in due Erre volte uno? in ogni com uno in due tre volte due E binazione В С! uno in due tre volte tre Abbiamo dunque dedotto da A , B , C, o dall'ente , dall' uno e dal diverſo il 2.primo pari , il ' tre primo diſpari , dae volte 3 parimenti impari, 3 volce 3 imparimenti: impari. Sipuò an cora dedurre due volte due parimenti pari', e queſte ſono tutte le ſpecie dei numeri . Combinandoſi il 2 il 3 due volte, tre volte e fin quattro volte , ma non altre , ſi compongono tutti i numeri: fino al dieci . It 3* 2 + 2 = 4 2 + 3 2 + 6 = 3 ti 3 2 + 2 + 37 2 + 1 + 2 + 2 = 3 + 3 + 2 3 + 3 + = te : 2 + 2 + 2 +19 1 + 2 + 2 + + 3 = I + 2 + 3 + 4 = 10 II 10 è fatto dall'ı , e dal o , e ſignifica ', che il primo articolo dei numeri termina alla prima decina ; fe ſucceſſivamente alla de cina ſi aggiunge l'i , il 2 , il 3. ec. ſi arriva alla ſeconda decina , e collo ftelso metodo alla terza , alla quarta ec: fino al 100 , che è la decima decina da cui ſi va fino a 1000 , o 10 volte 1oo ec. I Pita ( 87 ) I Pittagorici chiamavanol yno il finito , come quello che li mitava l'infinito o l'indefinito ad una tal ſpecie o forma : dot trina , dice nel Eilebo Platone , la quale diſcende dagli Dei ; queſta è , the tutte le coſe tengono in loro fteſſe il termine, o l'infinito innato ; o piuctoſto l ' indefinito . Lo rappreſentavano nella materia i Pittagorici, e lo ſimboleggiavano nel 2 , o nel binario , poichè ogni coſa ſteſa è divit bile in due e ognuna delle parti in altre due , ; e così all'infinito . Quando a queſto infinito s'aggiungea luna , che vuol dir la forza o la forma ſe ne faceva il compoſto che era l'altro principio , di cui par la Platone; queſto compoſto dețerminato a una ſpecie dalla for ma componeva un tutto , in cui vera principio , mezzo , e fi në . Lo diffegnavano i Pictagorici per il 3 , e lo chiamavano numero perfecto , medio , e proporzione ; oſſervò S. Agoſtino che numerando fino al 3,, € rapportando prima il 2 all'1, ed indi al tre nel comporſi la proporzione continua , aritmetica fi forma per la replicazione del 2 il 4 , numero che immediata mente luccede al 3 , ciò che non ſi ha negli altri numeri, per chè cominciando la proporzione aritmetica dal.2 chi replica il 3 non fa il numero che immediatamente lo ſegue od il 5 ma il 6 ; nel continuare la proporzione con queſto metodo i numeri riſultanti ſempre più ſe n'allontanano . S. Agoſtino per ciò offerva co'.Pittagorici , che la perfezione dei numeri è ne quattro primi , in cui gli eftremi ſono intimamente uniti ai mezzi , e i mezzi agli eſtremi . Quindi le più perfecte conſo nanze muſicali, ſono fatte dei primi quattro numeri 2 3-4 , 1 ' 2'3 ? ſ. 7 . Se l'uno è , egli è ogni numero . Nella combinazione dell'uno , dell'ente , e del diverſo fi de ducono tutti i numeri ( 9. 6.), Dunque nell' uno , in quanto è , vi ſono tutti i numeri, ; Carol . Il numero eſſendo molti nell' uno , in quanto l'uno è . , egli contiene moltitudine, e perchè i numeri fono infiniti nell uno che è , vi farà una moltitudine infinita . COROL. 2. Il numero in moltitudine infinita , eſſendo inclu ſo nell'uno che è , farà egli partecipe d'eſſenza . Si prenda la ſerie naturale de numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 ec. fino al oo unità eterogenea alla prima, e da cui fi comincia l'alcra ferie 200 , 30, 40 , fino 200 = 60 altra unità eterogenea , da cui comin ( 88 ) . cominciali, un' altra ſerie 2 co ' , 300'ec. ſino a o , e cosi all' infinito . Se di queſte tre ſerie ſe ne fa una ſola ſi ha 1.2.3.4.5 ec . co ' ... 00 ? ... oo ... , fino ad in cui ſi potrebbe cominciar di nuovo la numerazione . Cominciando da uno , li può con le frazioni continuar la ſe . rie decreſcente con lo ſteſſo ordine che l'altra , onde 1 I 1 ec . • • ec. fino 3 4 5 I 1 I I I wec . 4 Combinando la ſerie dei finiti intieri , rotti , e degli infiniti matematici , e immaginarj , fi ha tutta la ſerie . ec. 1.2.3.4 ec. co oo oo ' ec. 0° 5 4 3 2 In queſte eſpreſſioni non v'è errore , purchè non s' attenda , che alla proporzione delle quantità , nè ſi realizzino i ſimboli . Ma non biſogna credere , che la numerazione ſia terminata , po tendoſi concepire , e tra gli intieri, e tra rotti , e tra gli infi . niti dei mezzi proporzionali, i quali ſono , come ben prova il Ba rovio , veri numeri ( ſe ben noi non poſſiamo eſprimerli ) perchè ſimboli di vere quantità, come i numeri , ointieri, orotti , e gli infinitamente grandi, egli infinitamente piccioli. Platone , al dir d'Ariſtotele , poſe i due infiniti ( a ) magnum & parvum , e queſti, come ben ancora lo riconobbe il P. Grandi , ſono gli infinita mente grandi , e gli infinitamente piccioli dei moderni Geome tri ; infiniti replico immaginarj , de' quali con tanta chiarezza trattò il Wolfio nell'Ontologia , ſgombrando tutte le difficoltà' che v'oppoſero coloro, che non ben inteſero queſte due ſpecie d'infiniti Platonici , caratterizzati da profondi Geometri con tan to utile della Geomecria , della Mecanica , ed altre parti delle Matematiche . Queſti due infiniti di Platone non ſono diverſi dai grandiflimi, e menomiſlimi , di cui qui parla . 8. 8 . In quanti luoghi è l' ente , in tanti è l'uno . Se l' uno è egli accompagna ſempre l'ente , ma non v'è ente , che non ſia in qual che luogo ( 9.12. Sez, 2. ) Dunque in quanti luoghi è l'ente , in tanti è l'uno . a ) Plato vero duo infinita magnum & parvum . Arift. 3.Phiſ. c .4 . § . 9: ( 89 ) g. 9. Se l' uno è , non ſolo ' egli è l'uno , ma un certo uno. Ogni ente ſingolare partecipa dell'ente , dunque dell'uno ; dunque come ogni ente ſingolare è un certo ente , ogni ente ſingolare è un certo uno . ČOROL. Si compartiſce dunque l'uno , non ſolo con le coſe in genere , ma con le coſe ſingolari , onde v'è l'uno , e il tal uno, e a queſto compete , come all'altro , eſfer molti , perchè vi ſono molti enti ſingolari , e compete loro il luogo degli enti ſingolari. g. 10 . Se l'uno è , egli è un uno che è uno , e cert' uno , e mol ci , e parti, e finito , e in moltitudine infinito . Egli è uno , e cert'uno, ſe accompagnando gli enti è in ogni ente, ed in ogni cal ente ; egli è tutto ſe ogni ente , in quan to è , egli è un tutto ; egli è párte , ſe ogni parte dell'ente è jina ; egli è finito , ſe ogni tutto ha i ſuoi limiti, e infinito le contiene in sè tutti i numeri . Annot. Queſte contraddizioni non ſono che apparenti. D. II . Se l'uno è , egli ha principio , mezzo , e fine . L'uno è finito , e tutto, e parte ( S. 10. Sez. 3. ) Dunque ha in sè limiti , perchè ogni una di queſte coſe ne ha ; dunque ha principio , mezzo , e fine. Corol. Dunque l' uno è partecipe di figura retta o roton da , o d'amendue miſta . ANNOT. Come l'uno , di cui quì parla Parmenide , pud effer Dio , o qualche idea divina , fe egli è circonſcritto da tutti i luoghi degli enti, ſe s'individua cogli enti ſingolari, ſe è tutto , parte , finito , figurato ec . 5 Tom . II. m 6. 12 . ( 20 ) Do ? 127 ** Se. l'uno è , egli è in ſe ſtello , e iş altrui ., Ciò che è tutto , comprende tutte le ſue parti ; ma l'uno com prende tutte le ſue parti , dunque l' uno è un tutto ; ma il tutto contien ſe ſteſſo , è l' uno è un turco . Dunque l'uno contiene ſe fteffa . ANNOT. La propoſizione è identica , e vuol dire : un tutto è. un tutto ; o iltutto è nel tucta ; non ſi faccia più attenzione al tutto , mamaall all'uno , e li concluderà , che l'uno è nell'uno . Si com bini poi l'uno, e il cucco , e ſi concluderà, che come il cutto è in ſe ſtello , così l'uno è in fe fteflo . Quel che è in ſe ſteſſo , egli è in ogni ſua parte , ed in tutte le parti, ma il cutto non può eſſer in niuna parte, perchè il più au conterebbe pel manco , nè meno il tutto può eſſer in tutte le par ti , perchè ſe in cutie, farebbe ancora tutto in ciaſcuna, dunque il tutto non è in ſe ſteſſo , ma l'uno è il cutto ; dunque non è in fe fteflo . Ogni coſa è in qualche luogo, perchè ciò chenon è in qualche kuogo è nulla ( S.12. Sez.2.) e quel che è in qualche luogo è in fe felio , o in altrui, perché non li dà mezzo ; mas'è dimoſtrato che ſe è l'uno egli non è in ſe ſteſſo , dunque è in altrui ; ma di ſopra s'era pur dimoſtrato, che egli era in le ſtello ; dunque è in ſe ſteſſo , ed in alcrui . ANNOT. Non v'è quì che contraddizione apparente , perchè quando ſi dimoſtra, che l'uno è in ſe ſteſſo , ſi conlidera che l'uno è un tutto le cui parti fon tutte inſieme, quando all'incontro fi confidera , che l'uno è in altrui, non ſi concepiſce il tutto con le párti pret inleme, ma come quello che non è in niuna delle ſue parti . S. 13. Se P upo è , egli fta , e ſi muove . Quel che ſta è ſempre in ſe ſteſſo, perchè da lui non mai & di parte ; ' ma l'uno eſſendo nell' uno , non ſi diparte mai da fe ftef ſo ; dunque è ſempre nello ſteſſo ; dunque fta. Quel che è ſempre in altri non è mai nello ſteſſo , e non eſsendo nello ſteſso mai non fta , e non ſtando ſi move , ma l' uno non è in ſe ſteſso , ma ſempre in altrui ; dunque ſempre fi move . ANNOT. Non è pur queſta , che contraddizione apparente . . 14. ( 91 ) $. 14. 1 e il Una coſa comparata all'altra , o è la ſteſsa , o diverſa , o è par te di quella coſa conliderata come tutto , od è tutto , conſiderata 1a cofa come parte . Così dice Platone, e par conſiderar lo ſteſso , e il diverſo relativamente alle qualità ſolamente, e la parte , cutto relativamente alla quantità. Se dunque fi dimoſtraſse , che una coſa relativamente a un' altra non foſse, nè tutto , ne pare ce , nè la Ateſsa, ne ſeguirebbe per il metodo d' eſcluſione, che ella fofse diyerſa . g . 15. Se l'uno è , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ed a ſe ſteſso diverſo . Se egli è in le ſteſso , e fta ſempre , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ſe egli è in altrui, e ſempre lr move , è da ſe ſteſso diverſo . L'uno non è parte di ſe ſteſso , nè tutto rifpetto a ſe ſteſso , nè l'uno è diverſo dall'uno; or s'è luppoſto , che una coſa compara ta ad un'altra , fe d'eſsa non è tutto , nè parce , nè diverſa ſarà la ſteſsa ; dunque l'uno ſarà lo ſteſso con ſeco ; ma ſe l'uno è in al trui non è ſempre lo ſteſso a ſe ſteſso ; dunque per l' eſcluſione Platonica ſarà egli da ſe ſteſso diverſo'. §. 16 . ne Per eſpor: l'argomento ſeguente in tutta la ſua forza , convie. ne particamente illuftrare i principj da cui dipende . Si ſuppo 1. Che l' uno è da sè diverfo , come da ente nell'ipo teſi, che egli ſia. 2. Che il diverſo e lo ſteſſo , effendo contra rj , uno non può mai eſser dell' altro . Cost lo ſpiego · Molci enti potendo efiftere , od eſiſtendo nel tempo ſteſso , lo ſteſso farebbe nel diverſo , ciò che è impoſſibile , non potendo i con trarj , cioè A , e non A ſtar inleme . Ben ſi vede che qui parla Platone del diverſo , e dello ſteſso aſsoluto , e non relati. vo , quale abbiamo fpiegato nel G. 17. Sez. 2. perchè nulla vie ta , che due coſe non poffino eſser diverſe' nell'eſsenza , nelle quantità , nelle azioni ec. ed intanto eſiſtere nel tempo ſteſso mi Iura eſtrinfeca delle coſe . Non è cosi conſiderando il diverſo aſsoluto , o l'idea del diverſo , e conſiderando lo ſteſso aſſoluto o l'idea dello ſteſso . ; l'uno non può mai ſtar nell'altro , e in conſeguenza la ſteſsa coſa non può mai partecipare nello ſteſso tempo di queſte due idee contrarie . Allude qui tacitamente Par m 2 meni ( 92 ) menide a ciò che ha già dimoſtrato , parlando della participazio ne dell'idee. L'argomento ha tanto maggior forza , quando fi conſiderano gli enti ſeparati dall' uno , poichè ſe foſsero diverfi , per ragion del diverſo participerebbono dell' idea del diverſo che è Tempre una , dal che deduce Parmenide , che non poten do eſser diverſi per la participazione dell'uno nell'ipoteſi di Socrate , non ſono diverſi tra loro . 3. Suppone che le coſe che non ſon uno , non fieno partecipi dell'uno , perchè non ſarebbono uno , ma uno in certo modo. Quì pur Parmenide parla dell'idea dell' uno , che participandofi dalle coſe non è più uno , ma uno con certe circoſtanze, od in certo modo, ma ſe non ſon uno nor faranno eziandio numero , perchè ogni numero è uno . 4. Le coſe che uno non ſono , nè aſsolutamente uno , non poſsono eſser parti dell'uno , poichè l' uno non può eſser parte delle co ſe che non fon uno , nè può eſser tutto , quafi comparato a par ricella. Parmenide alludetacitamente a ciò che diſse di ſopra, che idea non pud eſser participata , nè ſecondo la parte , nè ſecon do il tutto , dal che deduce , che le coſe che non ſon uno ne fono particelle dell' uno , nè ſono all' uno quaſi a particella . Ciò ſuppoſto così argomenta Parmenide col metodo d' eſcluſione . g. 17 . Se l'uno è , egli è diverſo , e lo ſteſso con altre cofe ; all'uno convien il diverſo , aſsolutamente in quanto diverſo , e non all” altre coſe, cui non conviene , che relativamente ( §. 18. ) Dun que l'uno è diverſo dall'altre coſe .; le altre coſe non ſono diper fe dall'uno , nè ſono parci , nè tutto riſpetto all' uno ; dunque fono le Aeſse con l'uno . F. 18. Chi proferiſce lo ſteſso pome una , e più volte ſenza riferirlo a più coſe, come ſi riferiſce nei nomi equivoci, ed analoghi, eſprime fempre lo ſteſso concetto ; dunque nel proferire la voce, diverſo ; applicandola all'uno , confiderato relativamente agli altri , e un' altra volta agli altri conſiderati relativamente all'uno , nell'ado prar lo ſteſso nome s'eſprime lo ſteſso concetto . Quindi dice Par: menide : quando diciamo eſſer gli altri diverſi dall' uno , e l'uno ef ſer dagli altri diverſo , non mai introduciamo il diverſo a figuificar altra coſa , che la natura di cui è proprio nome . $ . 19. ( 93 ) S. 19. s'è gia oſſervato , che fimile è quel che patiſce lo ſteffo ; difts mile quel che patiſce il diverſo ( 9. 20.Sez. 2.) Se l'uno è , egli è ſimile, e diſſimile a ſe ſteſſo , ed agli al tri . L'uno è diverſo dagli altri ( 9. 17. Sez. 3. ) Dunque l'altre coſe ſono diverfe dall' uno , ma non fono diverſe nè più né meno dall'uno , che l'uno dall' altre coſe ( S. 18. Sez. 3. ) e ſe nè più , nè meno, rimane che egualmente fia uno . In quanto adiviene alle uno l'effer diverſo daglialtri, e gli altri dall'uno, egli patiſce la ſteſſo per rapporto agli altri, e gli altri per rapporto a lui; ma ciò che patiſce lo ſteſſo è fimile , dunque l'uno e limile agli altri , e gli altri per la ſteſſa ragione fon fimili a lui . Il diverſo è contrario allo ſteſſo ; ma fi dimoſtro , che l'uno agli altri è lo ſteſſo , e diverſo , ( S. 17. Sez. 3. ) ed è contraria paffione effer lo ſteſſo agli altri, ed effer diverſo dagli altri ma in quanto diverſo parve fimigliante ; dunque in quanto lo Steffo fia diflimigliante , ſecondo la paſſione contraria . ANNOT. E' da notarſi, che l'uno è ſimile agli altri, in quan to diverſo , e diſſimile in quanto lo ſteſſo . S. 20 . Due coſe che ſi toccano ſono preſenti l'una all ' altra , nè tra effe vi ſi frammette un terzo , perchè in queſto caſo non più toccherebbono ſe ſteſſe , ma il terzo frappoſto . Ove due coſe fi toccano , due ſono le coſe , ed uno il contatto , ove tre li toc chino , tre ſono le coſe , e due i contatti ; in ſomma creſcen do i termini creſcono a proporzione i contatti , ſecondo il nu mero dei termini meno uno . Si tocchino tra loro due punti matematici, ' poichè nulla fra loro s'interpone, un punto per ragion del contatto coinciderà con l'altro ; fi facciano toccare da un terzo punto , queſto pu . re coinciderà , e quindi infiniti punti matematici non fanno che un punto , onde de liegue , che la linea non è compoſta di punti , o che i punti ſovrapofti gli uni agli altri non fanno grandezze. Ciò naſce , perchè tutti i punti ſono omogenei ſen za parti , ma ſe vi foſféro degli enti tra loro eterogenei, ben chè non eſteſi, o ſenza parti , nulladimeno poſti gli uni appreſ so gli altri , benchè non componeſſero grandezza , tuttavia fa rebbono più , come ben offervò Ariſtotele . Ciò diede occaſio ne al Leibnizio di compor l'eſtenſione di enti ſemplici , ma ete ( 94 ) eterogenei , o diverſi di ſpecie, che eſiſtendo ſcambievolmente gli uni fuori degli altri coeſiſtano in uno ; quindi per la no zione dell' eſtenſione , convien conſiderare , e più enti che eſi Atano fuori di sè , e che tra loro s'unifcano , e formino uno . Non fanno però un eſteſo ;, perchè fe ben inſieme eſiſtano, non ſono tuttavia tra loro uniti , come allora che liquefatti più me talli ſi confondono in una maſſa . Le partipoi indeterminate dell'eſteſo , conſiderate in aftratto , cioè ſenza far attenzione alla loro fpecie , non diferiſcono tra lo ro , che nel numero . Non ſarà inutile quefta offervazione nel progreſſo. Intanto ſi oſfervi, che l'uno eſcludendo nel ſuo con cetto i più , oi molti, per quanto l'uno ſi moltiplichi per ſe ſteſ fo è ſempre uno , onde egliè il ſuo quadrato , il fuo cubo , ed ogni altra potenza, foſſe anche ella di dimenſioni infinite , e non folo avete un eſponente, ma molti , come le quantità che ſi dicono eſponenziali. $. 21 . Se l'uno è , egli tocca ſe ſteſſo , e l'altre coſe . L'uno è in fe fteſſo , ed in altrui ( 5. 12. Sez. 3. ) In quanto è in fe fteſſo vien impedito di toccar l'altre coſe , dunque tocca fe Hello ; in quanto è in altrui , è nell'altre coſe ; dunque le coccherà . I N A L TRO MODO Una coſa nel coccar l'altra giace appreffo quella che tocca , ed occupa la ſede vicina ; ma ſe l'uno tocca ſe ſteſſo , giace appreſſo ſe steſſo , ed è quindi due coſe , il che non potendo effere, mani feſto è che non pud toccarſi. Le coſe diverſe dall'uno , non potendo effer numero , perchè .non partecipano l'uno, non pociamo mai con l'uno far due , ma nel contatto v'è ſempre almeno due ( 9. 19. Sez.-3 .) Dunque l'uno non toccherà l'altre coſe . : ANNOT. La contraddizione pur è qut apparente, e ſi fa l'ano corporeo nel fupporre , che ei tocchi . Nozione immaginaria . 22. Parmenide ragionando ad hominem con Socrate fuppone la par ticipazione dell'idee, combattuta nella prima parte ; conſidera quindi la grandezza , e la piccolezza, come due ſpecie ſeparate , tra ( 95 ) tra loro contrarie ; ben a cid s'avverta , perchè in queſto conſiſte la deſtrezza del Filoſofo , e la forza del ſuo ragionamento , S. 23 2 os' Se l'uno e , egli non è ně eguale , nè maggiore , në mi nore degli altri enti . Sia l'ente minore degli altri enti , egli dunque participerà dell ' idea della piccolezza , la qual è contraria alla ſpecie della gran dezza . Si concepiſca, che la piccolezza ſia nell' uno , o farà in tutto l'uno , o in alcuna parte di eſso ; fe in tutto l' uno , eftenderà per l'intiero uno tutto al di dentro , che vuol dire lo compenetrerà con la ſua ſoſtanza , o l'abbraccierà con eſtremi li. miti al di fuori, che vuol dire lo comprenderà ; ma ſe la picco lezza s'eſtende al di dentro di tutto l' uno gli è eguale " , e fe lo comprende gli è maggiore , onde la piccolezza ſarebbe nello ſteſ ſo tempo grande, ed eguale contro l'idea di lei . Se la piccolezza è una parte dell'uno , ne ſeguirà , che ella lia di nuovo in tutta la parte , o al di fuori , o ál di dentro quindi che ella fia eguale , o maggiore per le coſe dimoſtrare ; dunque non potendo eſser la piccolezza , nè in tutto l' uno , nè in parte dell'uno , non ſarà nell'uno , onde l'uno non farà pic colo, o minore degli altri enti . Corol. In alcuno degli enti per la ſteſsa ragione non po irà ritrovarſi la piccolezza, onde in queſta ipoteſi non v'è al tra cofa piccola , che la piccolezza ftetsa , ma dove non v'è il piccolo , non v'è neppur il grande, perchè l' uno non è che per riſpetto all'altro ; dunque non vi faranno coſe grandi , trartone la grandezza , e quindi I uno , e altre coſe ſaranno prive di grandezza , e di piccolezza. e S. 24. Se l'uno è , le altre coſe non ſono di eſso nè maggiori, nè minori, nè eguali . Le altre coſe aſsolutamente parlando ſono prive di grandezza, e di piccolezza , dunque, rifpetto alla uno , non fono nè piccole, ne grandi , e per la ſteſsa ragione , l'uno non è nè maggiore , nè minore dell'altre coſe , eſsendo privo di grandezza , e dipiccolezza . 5.125 . ( 26 ) S. 25. Se è l'uno egli farà eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe . Non è maggiore , nè minore dell'altre coſe , ma ſe l'uno non è , nè maggiore , nè minore dell' altre coſe , egli per la forza dell'eſcluſione ſarà eguale . §. 26. Se l'uno è , egli è eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe. Non avendo in sè, nè grandezza , nè piccolezza , nè eccede rà ſe ſteſſo , nè da ſe ſteſo farà ecceduto , dunque farà eguale a ſe ſteſſo . S. 27 . L'uno è maggiore , e minore di fe ſteſſo . Egli è in ſeſteſſo , dunque li comprende ; dunque èmag giore di ſe ſtello ; eſſendo in ſe ſteſſo, egli è da ſe ſteſſo com preſo , dunque è minore ; dunque è maggiore, e minore di ſe ſteffo . S. 28, Se l'uno è , le altre coſe ſono maggiori , minori ed eguali all' uno . Null'altro v'è , che l'uno , e l'altre coſe , non dandoſi mez zo , ( $ . 12. Sez. 2. ) Quel che è in una coſa è minore di eſſa ( S. 10. Sezione 2. ) e ciò che la contiene è maggiore ; dun que , poi che ogni coſa è in un luogo , ( . 12. Sezione 2. ) e che altro non v'è che l' uno , è l' altre coſe neceſſariamente ſono nell' uno , o l' uno nell'altre coſe ; ma ſe l' uno è nell' altre coſe , queſte ſono maggiori dell' uno , perchè lo conten gono ; l'uno è minore, perchè è contenuto ; dunque l'altre co le ſono maggiori , e - minori dell’uno : ma s'è dimoſtrato , che l' uno non eſſendo nè maggiore , nè minore dell' altre coſe, all' al tre coſe farà eguale ( §. 24. Sez. 3.) Dunque egli è eguale , mag giore , minore dell'altre coſe. Corol. Egli dunque può eſſere di miſure eguali , maggiori, e minori , riſpetto a sè, ed all' altre coſe. Quindi Ha 1 1 ! ( 97 ) Ha più miſure riſpetto alle coſe delle quali è maggiore , me no miſure riſpetto a quelle delle quali è minore , e pari miſu re riſpetto a quelle delle quali egli è eguale . 6. 29. 9 Paſſa a dimoſtrare Parmenide , che ſe l'uno è , egli è parce cipe del tempo , ed è , e ſi fa più giovane , e più vecchio di ſe fteſto , e degli altri , ed in contrario , e che non è , nè ſi fa nè più giovane, nè più vecchio di ſe ſtello , e degli altri par cicipanti il tempo . Per intendere adequatamente queſte propoſizioni, in cui s'af follano varj principi i biſogna prima ripaffare ciò che fi diſle nel ſ . 3. Sez. 3. 9. 27. Sez. 2. ove fi dimoſtrò . 1. Che chi partecipa dell' eſſenza , partecipa delle differenze del tempo . 2. Che cið che ſi fa più vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe, nel farſi più vecchio , li fa più giovane, e cið per eguali parti di tempo, ag giunte agli ineguali, il che abbiamo dimoſtrato coll' eſempio delle ragioni di e diſucceſſivamente accreſciute di 1. comparando percið le ragioni di į , e di abbiam veduto , che i loro va Iori i ti, eit ! + divengono ſempre minori . Altreſuppoſizioniegli fa ne' ſeguenti argomenti. 1. Il tempo è un fluſſo , da cui ſi fa progreſſo dal pallaco al preſente, e dal pre Tente al futuro , e dall'era all'è , è dall' è al ſarà . 2. Che una coſa che'ſi fa paſſa dal preſente ove è , nel futuro ove ſarà , e perciò nel farli è di mezzo cra l'uno , e l'altro , onde propria mente ciò che è nell' inftante , non ſi fa , ma è quello che è , o , come l'eſprime Platone , una coſa che ha fatto acquiſto del preſente cella di farſi , od è ciò che allora convien che fi faccia . 3. Il preſente è ſempre unito all'uno , perchè è ſempre unito all' ente, dal qual l'uno è inſeparabile . 4. Il diverſo , o l'idea del diverſo è la ſtella coſa ſecondo i principi di Socra te , e percid è ſempre uno, onde quello che non è uno , non può eſer il diverſo , o l'idea del diverſo, onde le coſe diverſe dall' uno , o che partecipano il diverſo, ſono più che l'uno , o hanno in sè moltitudine , e in conſeguenza numero o più . 5. Delle più ſono prima le poche , che le molte , e delle poche prima il pochiſſimo. 6. La coſa che prima li fa è la prima , e le dipoi ſono più giovani delle già fatte innanzi . 7. E' impof fibile', che una coſa ſi faccia oltre la natura , onde in una co ſa che ha principio , mezzo , e fine , prima li fa il principio , indi il mezzo, e poi il fine , che vuol dire , il fine ti fa i'ulti mo. 8. Quel che ſi fa ultimo è più giovane di quel che fi fa Tomo II. il a e ce I 21 S: i n ( 98 ) il primo . 9. Chi ſi fa con tutte le parti infieme d'un tutto ,, fi fa nello ſteſſo tempo inſieme col cutto .. 1 1 ſ. 30. Se l'uno è , egli è , e ſi fa , e non è , nè ſi fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo . Se l' uno è participando l'eſſenza , participa del tempo ( $. 3. Sez. 3. ) ma quel che è in tempo , è in un fluſſo continuo o pal ſa dal paſſato al preſente, o dal preſente al futuro ( S. 28. Sez: 3.) Dunque l'uno e continuamente in queſto paſſaggio . In quanto paſſadall'era all' è fi fa più vecchio di sè ;ma nel farſi più vec chio , ſi fa più giovane ( S. 26. Sez. 2. ) Dunque ſi fa più vec chio , e più giovane di ſe ſteſſo . Chi non oltrepaſſa il preſente , nel far progreſſo dal paſſato , nell'avvenire non ſi fa , ma è ciò che è ( $.22. Sez . 4. ) Dunque quando l ' uno tocca primieramente il preſente , non ſi fa allo ra vecchio , ma è vecchio oggimai, Nel toccar il preſente , co me ha prima di lui fatto acquiſto , cefla di farli , od è ancora ciò che avvien che ſi faccia i $. 28.Sez. 3.) Dunque l'uno , quan do fatto vecchio conſeguiſce il preſence , cella di farſi , od è allora più vecchio di ſe ſteſſo , di ciò che era toccando il pal fato ; ma l'uno è di quello più vecchio , onde fi faceva vec chio ; e facevali di ſe ſteſſo , ed il più vecchio è più vecchio del giovane ; dunque allora l' uno è più giovane di ſe ſteſſo quando fatto vecchio conſeguiſce il preſente , ma il preſente è fempre unito all'uno ; dunque l'uno, ed è ſempre, e li fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo ; ma facendoſi tale , od ef ſendo in tempo pari ritiene la ſteſſa età , e chi ritiene la ftel fa età , non è più vecchio , nè più giovane ; dunque l'uno eſ ſendo , e facendoli in tempo , non è più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſſo . g . 31 . Se l'uno è , egli è più vecchio dell'altre coſe , o l'altre coſe più giovani di lui . Nelle coſe diverſe , che hanno in sè moltitudine o numero , altre ſon fatte prima , altre dappoi ; ma il primo che ſi fa è pochifiimo, ( 9. 26. Sez. 3. ) e nei numeri l'uno è pochiſſimo , dunque l'uno è facco inanzi alle coſe che hanno numero , o che fono . 1 ( 99 ) fono diverſe dall'uno , o ſono gli altri ; ma il primo che ſi fa è più vecchio , le coſe che dipoi ſi fanno , ſono più giovani ; dunque l'uno è più vecchio dell'alcre coſe , e l'altre coſe più giovani. g . 32. Se l'uno è , egli è più giovane dell' altre coſe , e le altre coſe più vecchie dell' uno . L'uno non può farſi oltre la natura fua ( .9 .,26. Sez: 3. ) Dun que avendo parti, o principio , o mezzo, o fine, ſi fa ſecondo la natura del principio , del mezzo , e del fine , ma il princi pio fi fa il primo , è il fine ſi fa l'ultimo , ma l' ultimo fatto e più giovane dell' altre coſe , e l' altre coſe più vecchie dell' uno ( $. 26. Sez. 3. ) ; dunque l'uno è più giovane degli altri , e gli altri dell'uno . $. 33. Se l'uno è , egli non è più vecchio , nè più giovane dell' altre coſe.. Ogni parte dell' uno è una ; ogni parte del mezzo è una , ed uno è parimente il fine, od il tutto , onde fi farà l'uno , é colla prima coſa che fi fa , ed infieme colla ſeconda, colla ter za ec. onde percorrendo ſin all'eſtremo fi farà un tutto , o 1 uno non eſcluſo nella generazione dal mezzo , non dall' eftre mo , non dal primo, non da altro ; ma ſe l'uno ſi fa inſieme con tutte le parti d' un tutto ha la ſteſfa età con tutti gli al tri ; dunque ſe non è nato oltre la propria natura , non è fac to prima nè dopo l'altre coſe , ma inſieme e fecondo queſta ragione non è più vecchio , o più giovane degli altri , nè gli altri dell' uno . ſ. 34. Se l' uno è , egli ſi fa più giovane, più vecchio di ſe ſteſſo . Se alcuna coſa foſſe più vecchia d' altra , li farebbe ancora più vecchia di ſe ſteffa : A ſia più vecchio di B , nel creſcerfi gli anni ad A , egli & fa più vecchio di fe fteffo , e di B ; dun n 2 que ( 100 ) | 1 que l'uno nel farſi più vecchio dell' altre coſe ſi fa ancora più vecchio di sè ; manel farſi più vecchio , ſi fa ancora più gio vane per la ſteſſa ragione , che creſcendo tempi eguali, la ra gione decreſce ( 5.27. Sez. 2. ) Dunque l'uno li fa più giovane di ſe ſteſſo , ma s'era dimoſtrato , che ſi faceva più vecchio ( S. 30. Sezione 3. ) Dunque ſi fa più giovane , e più vecchio di ſe Iteffo . 1 f. 35 . Se l'uno è , egli non può farſi , nè più vecchio, nè più giovane dell'alere coſe . Ciò che fi fa più vecchio d'un altro , o più giovane, ſi fa più vecchio , e più giovane ancora riguardo a sè ( 1.37. Sez. 3.) ma l' uno non ſi fa , ma è , e più giovane , e più vecchio ri guardo a sè ; dunque non ſi fa , nè più giovane , nè più vec chio riguardo agli altri. Se l'uno è più vecchio , che le altre coſe , ha più lungo tem po dell'altre coſe, ma creſcendoſi il tempo, egli ſempre eccede meno, onde ſi fa più giovane riſpetto alle coſe, delle quali era innanzi più vecchio ; ma ſe egli ſi fa più giovane , quell' altre coſe ſi faranno più vecchie ; dunque le coſe che erano innanzi , e più giovani dell'uno , ſi fanno dell' uno più vecchie , cinè fi fanno più vecchie , riſpetto a quello che era più vecchio ; ma le coſe più vecchie non ſono , ma fi fanno ſempre , perchè la fanno più vecchie , mentre l'uno ſi fa più giovane ; dunque le coſe ſi fanno ſempre più vecchie dell'uno . Le coſe poi più vec chie , parimente ſi fanno più giovani dell' uno più giovane perchè l'uno , e l'altre coſe movendoli in contrario G fanno vi cendevolmente contrarie , cioè le coſe più giovani dell'uno , ſi fanno più vecchie dell'uno che è vecchio , ed all'incontro l'una più vecchio , li fa più giovane delle coſe più giovani ;, ma non, è poffibile che l' uno , e l' altre coſe fieno fatte nè più giova ni , nè più vecchie, perchè le cali foſſero , non più li farebbo no ; dunque le coſe , e l'uno tra loro ſi fanno più vecchie , e più giovani: l'uno li fa più giovane delle cofe , per quello che parve eſſer più vecchio , e prima fatto , l'altre coſe poi fi fanno più vecchie , per quello che ſono ſtate fatte dopo , e ſecondo la ſella ragione : l'altre coſe ancora ſe ne ſtanno riſpettivamente alla uno , come quelle che ſono ſtate più vecchie , e prima dell'uno . Dunque inquanto che nè l' uno , nè gli altri fi fanno , diſtan do 1 ( 101 ) $ do ſempre tra loro di un numero pari, non ſi farà nè l'uno più vecchio degli altri , nè gli altri dell' uno . Ma come decreſce ſempre la ragione dei tempi , o con minor particella ſempre tra loro differiſcono le coſe prime dall' ultime , e l'ultime dalle prime , così è neceſſario che l' altre coſe ſi facciano , e più vecchie più giovani dell'uno , e l'uno dell'altre coſe . Quinci aggruppando in uno tutte le propoſizioni, abbiamo di. moſtrato , che l'uno è , e li fa più vecchio , e più giovane degli altri, e di nuovo non è più vecchio , nè più giovane di ſe ſteſſo e degli altri . Corol. Perchè l' uno è partecipe del tempo , o ſi fa più vec chio , e più giovane , egli è partecipe del quando, del futuro , e del preſente . Dunque era l'uno, ed è , e ſarà , e ſi faceva , e fi fa , e li farà , e ſarà ancora alcuna coſa in lui , e di lui , ed è , ed era , e farà . COROL. 2. Perchè la ſcienza , l'opinione , il ſenſo , la defini zione , il nome , riguardando le coſe che ſono nelle differenze dei tempi , in quanto l'uno è capace di queſte differenze , è ancora fog getto di ſcienza , d'opinione , di fenſo , può definirli, e può no. minarſi . Annot. Qui Parmenide non dà ſcienza, e definizione, ſe non delle coſe ſoggette al tempo , il che biſogna accordare con ciò che diſke ( 9.16. Sez. 1. ) La ſcienza che appreſſo noi è ſcienza del le verità , che ſono a noi dintorno . 9. 36. Riſtringiamo adeſſo in poco , quanto Platone ha propoſto nella propoſizione condizionale, o ſia nell'ipoteſi ſe l'uno è . 1. Diftin le colla mente i due concetti dell'uno , e dell'ence ., 2. Ne com poſe un tutto intellectuale di due parti, o dei due concetçi dell' uno , e dell'ente. 3. Tra loro paragonandoli ne deduſſe il terzo concetto del diverlo . 4. Conclure che nell' uno o è una moltitu dine infinita di numeri , che dividono l' uno a proporzione dell' ente. 5. Che l'uno è tutto , e parte, e finiso , e infinito . 6. Da ciò che è un tutto finito , conſiderò in effo il principio , il mez-, 2o , il fine , e quindi la figura . 7. Da ciò che è un turto , e che il tutto è nel tutto , conclure che l'uno è nell' uno , ed in fe ftel 1o . 8. Da ciò che l'uno è comeparte nel tutto , conclure che è in altrui . 9. Che ſta , e ripoſa , ſe egli è in ſe ſteſſo . 10. Che ſi mo ve , le è in altrui . 11. Che è ſimile a sè in quanto l'uno , è lo ſteſſo che l'uno . 12. Simile agli altri , perchè paciſce d' eſſere co me gli altri . 13. Che è diffimile in quanto cert'uno , e certo ente . 14. ( 102 ) 14. Che è lo ſteſſo , poichè ekſte, ed eſiſtono glialtrienti nello ſteſſo tempo . 15. Che è diverſo , in quanto non ha in sè ciò che hanno gli altri enti. 16. Quindi fimile , e diffimile , perchè patiſce le ſteſſe cofe . 17. Che è maggiore , minore, ed ineguale , e non maggio re , minore, nè eguale dell'altre coſe . 18. Che è , e ſi fa più gio vane, e più vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe , e non è , e non fi fa , nè più vecchio , nè più giovane dell'altre coſe , e l'altre co fe di lui . 19. Finalmente, che dell'uno in quanto è li ha ſcienza ,, ſenſo , opinione , e può denominarſi , e definirſi. Si potrebbe più compendioſamente ridur in poco l'argomento di Parmenide, conſiderando che reciproche ſono queſte due pro polizioni : l'unoid , è l ' uno , per il che ſi può predicar dell'ente ciò che ſi predica dell' uno, e dell' uno ciò che ſi predica dell' en per ragione dei diverſi concetti formali, predicandoſi dell' ente , la parte , il finito , l'infinito , il principio , il mezzo , il fine , la figura , lo ſteſſo , il diverſo , la quiete , il mo to , il limile , il diſſimile , e il maggiore , l'eguale , il minore, it giovane , il vecchio ec. cutti queſti predicaricompereranno pari mente all'uno . Ben ſi vede , che qui non ſi parla che dell' en te corporeo , e degli enti particolari , a cui or compete una co fa , ed or un'altra. il tutto , S. 37: Ma perchè i predicati oppoſti, come il fimile , il diffimile, it maggiore , e il minore non poſſono competere nel tempo ſteſſo all' uno , ed all'ente ſenza contraddizione , Parmenide moſtra che queſti attributi contrari non gli competono nello ſteſſo tem po , ma in diverſi tempi ; tal è la natura di ogni ente finito : gli attributi, imodi, le relazioni, delle quali è capace, non hanno luo go in lui, che ſucceſſivamente a differenza dell'ente infinito , in cui tutte le perfezioni poſſibili , che attribuir gli ſi poſſono , .ftan no in lui tutte inſieme , onde non male con due parole molto energiche , ſebben barbare , ſi chiamò Dio dal Bulfingero , omni tudo compoſibilitatis . Gli Scolaſtici lo chiamarono atto puro , cioè atto ſenza alcuna miſtura di potenza , e quindi diametralmen te oppoſto alla materia che è pura potenza , e talmente pura, che al cuni degli ſcolaſtici la ſpogliano dell'atto entitativo , edell'eſiſtenza . $. 38 ( 103 ) go 38. Se l'uno è ; egli prende diverfi ſtati ſecondo le :: differenza dei tempi . Nel tempo ſteſſo non ſi può participare , e non participare dell'eſſenza , e delle coſe che conſeguono al non participarla , ed al participarla ; or il farli è renderſi partecipe dell' ellenza ; il rovinarli e privarſi dell' effenza ; dunque l'uno non può ne! tempo ſteſſo , e prender , c laſciar l'eſſenza . Dunque la pren de , e la laſcia in diverſi tempi , Quando ſi fa uno , egli perde l' eſfer molte coſe ; quando ſi fa molte coſe ceffa d'effer uno; nel farfi uno , e molte , li fepara , e fi congiunge , qualora ſi fa ſimile , e diffimile , ſi affimiglia , e diffimiglia ; quando ſi fa maggiore, minore , ed eguale , creſce , decreſce, e li pareggia ; quallora movendoſi fi ferma, e quallo ra fermandoſi li move . Or tutte queſte coſe , eſſendo tra loro contrarie , l ' uno non può averle nel tempo ſteſſo , dunque l'ha in tempi diverfi . 9 . 39 Non fi pud paſſar dalla quiete al moto , e dal møto alla quie te , ſenza cangiamento di itato . Un corpo che cangia fuccelli vamente la relazione di diſtanza , che egli ha ad altri corpi vi cini , ha uno ſtato diverſo da quello d'un corpo , che conſerya ſempre a ' corpi vicini la ſteſſa diſtanza. Queſto cangiamento di uno ſtato all' altro ſi fa in tempo ; ma conſidera Platone, che nel paſſaggio dal moto alla quiete, e dalla quiere al moro, v'è un non so che d'improvviſo , e di momentaneo , che ſi conce piſce nell'iſtante del paſſaggio , e non più appartiene al moto , che alla quiete ; non al moto , perchè la coſa ſi concepirebbe ancora in ripoſo ; non al ripoſo , perchè la coſa fi concepiſce ancora in moto , Conclude dunque Placone , che queſta natu ra improvviſa è quaſi ſconvenevole tra il moto , e la quiete ; che ella non è in verun tempo , e a queſta da queſta paſſan do fi muta nello ftato ciò che li move, e nel moto ciò che ſi ri pola . 8. 40. ( 104 ) .. § . 40. Se l'uno è , nell'atto che cangia ſtato , non gli competono più i predicati dell'ente . Nel paſsar l'uno dal moto alla quiete fi muta momentaneamen te , e all'improvviſo , o mutandoli egli non è in alcun tempo ; dunque non ſta nè fi move . Così quando paſsa dall'eſsere alla ro vina, o dal non eſsere al farſi , non è , nè ſi fa , nè fi diſtrugge . Parimente quando paſsa dall' uno in molti , e da molti in uno, non è , nè uno, nè molti , nè ſi congiunge , nè fi ſcongiunge , e paf fando dal ſimile al diſſimile , od al contrario , non è , nè affimi gliato , nè diſlimigliato , e paſsando dal piccolo al grande , ed all' eguale non creſce , nè decreſce , nè ſi pareggia. Annot. Da queſta dottrina ſebben metaforicamente da ' Plato ne eſpreſsa , imparò Ariſtotele ad introdurre tra i principj delle generazioni, la privazione mal a propoſito ſchernità da coloro , che non ne inteſero nè la forza , nè l'uſo . Quando una coſa ha perdute tutte le diſpoſizioni o determinazioni, che la rendevano tale , ella ceſsa d' eſsere la tal coſa , cioè reſta priva di tutto ciò che la coſtituiva , e diſtingueva dall'altre coſe , ma nell'atto ſteſ fo , in cui ceſsa d'eſsere quel che era , comincia ad eſsere ciò che non era , o paſsa dalla privazione alla forma contraria ; queſto ſtato di mezzo che è tra la forma , e la non forma, Platone chia ma natura mirabile , e momentanea , ed è certo , che ella nel fifa far i gradi della noſtra cognizione ci moſtra quelli della natura che non opera mai per falti. Nel Timeo dice : Dovendo eſer l'ef figie delle coſe diſtinta da ogni verità di forma , non fia mai prepa rato quel medeſimo grembo di tal formazione, ſe egli non farà informe di tutte quelle ſpecie , le quali è per ricever da qualche parte , percid che ſe egli faravvi alcuna di quelle coſe che in sé riceve fimiglianza , quando riceverà una natura contraria di quella di cui è ſimile , ovve ro un' altra , affatto malagevolmente la ſimiglianza , e l'effigie di quel la eſprimerà quando moſtrerà la ſua, però egli è convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo quello che ha in sè da ricevere tutti i generi . Siccomequelli che hanno da fare unguenti odoriferi, l'umida materia , la quale vogliono di certo odore condire , di tal guiſa preparano , che * ella non abbia alcun proprio odore . E coloro che vogliono in materie molli imprimerealcune figure, niuna figura affatto laſciano primiera mente apparire in quella , ma quelle cercano in prima di render qan to poſibil fia polite . Ciò ſi rende ſenſibile nelle quantità algebraiche poſitive , e ne gative , nelle quali non ſi paſsa dall'une all'altre ſenza paſsar per 1 1 1 il ( 105. ) o il zero , che non è nè negativo , ne poſitivo , ed è il vero fim bolo della privazione. Nella Geometria il punto matematico equi vale al zero , che è il principio negativo dell'eſtenſione , e dal quale fi comincia la miſura , come l'unità è il principio poſitivo , per cui fi comincia la ſteſſa miſura . Il punto è comune alla linea , che ceſsa per eſempio di eſsere alla ſiniſtra , e comincia ad eſsere alla deſtra , o che termina d' eſser in alto , e comincia ad eſser a baſso ; così egli non è deſtro , nè finiſtro , nè alto , nè baſso . Tut te queſte ſono eſpreſſioni utiliNime, e ſebben noicele rappreſen ciamo per fpecie aliene , come il niente , o l' impoflibile, tuttavia molto fervono a reggere i noſtri ragionamenti. L'origine, e la natura del calcolo delle fuſioni dipende dall'uſo della natura momentanea , ed ammirabile di Platone . In queſto calcolo non ſi cercano , ſecondo il Newtono , le quantità infinita mente piccole , chemainon poſsono determinarſi,ma la ragione del le quantità naſcenti, od evaneſcenti, cioè di quelle , le cui fuffio ni, o velocità nel naſcere, o nel ſvanire equivagliono al zero , il qual ſimboleggia il termine del ripoſo , e il principio del moto il termine del moto , ed il principio del ripoſo . Sieno nel preſen te momento le fluenti quantità y, x ; nel momento ſeguente di verranno ſecondo l' eſpreſſione Newtoniana y toy , ed xtoy, ove o y , od ox eſprimono i momenti delle velocità . Softituite queſte eſpreſſioni in un'equazione propoſta, per eſempio in quel la della parabola yy. =ax , quefta fi caogierà nell' equazione . yy + 2 oyy tooyy = oaxtoax o cancellando gli eguali 2oyy tooyy = oax , e cancellando il comune o 2 yyt oyy = ax Sin che la quantità efpreſsa per o reſta finita , non può mai de terminarli la ragione delle quantità che fluivano, ma nella ſup poſizione che ella s' annulli , come nel caſo dell' ultima o della prima velocità delle grandezze , ove o s'eguaglia a zero , fi ha 2 yy = ax , e ponendo l'equazione in analogia 2 y.a:: x.y ragione determinata , con cui le qualità cominciano o termic nano di Auire. Il Newcono ſpiega più a lungo queſte coſe nel ſuo trattato delle Curve, e lo ſpiega non chiarezza il Ditton nell'inſtituzione delle Auſſioni ; baſta a me d'averlo quì accennato , per moſtrare che agli antichi non man cavano quell' idee , che i moderni hanno poi ſviluppato , carat £ erizzandole con canta utilità delle ſcienze , e delle bell'arri . Tomo II. 5. 41, ( 106 ) S.' 41, 1 Platone preſuppone nel ſeguente argomento , che la partenon è parte nè di molti , nè di tutti , ma di cert'una idea , e di cert'uno che chiamiamo tutto , ed è un cutto fatto da tutte le parti , e in sè perfetto , Dalla parola idea lice argomentare , che qui non fi craica che dei concetti, con cui fi concepiicono i molti, e il tutto , e le parti . L'idea dei molti è l'idea dei più aſſolutamente preſi, e com prende egualmente le parti, ed i tutti , dicendoſi molte, o più parti, molti o più molti. L'idea del tutto è l'idea dell'uno più riſtretto in un certo numero , o riſtretto in cerci limiti ; idea della parte è l'idea d'uno incluſo in queſti più già ridoc ti. Non ſi pud quindi rigoroſamente parlando dire , che la par te ſia parte di molti , perchè conſiderandoli ſecondo la loro propria idea, non fanno ancora il tutto a cui ha immediata re lazione la parte , Nel dir dunque Platone , che la parte non è parte di mol ti , allude ai modi , o ai più vagamente preli , e nel dir che la parte è parte del tutto , allude ai più riſtretti ; ne' più , come s'accennd , vi ſono incluſe indifferentemente le parti , ei tutti, onde ſe la parte foſſe parte dei più , potrebbe eſſer parte di ſe Iteffa . Aggiunge Platone , che ogni parte non è parte di qualun que uno ma d'un cert' uno , cioè di un certo tutto . La par te del triangolo non è la parte del quadrato , nè un ſoldato che è una parce d' un eſercito , è parte di una proceſſione di Frati . Il tutto poi che è fatto di tutte le parti , o a cui non man ca alcuna parte, è perfetto . , Si oſſervi in oltre eſſer lo ſteſſo , il dir molti, o più d'uno ; che ogni coſa quindi o è uno , o più , cioè molci ; che una parte dell' eſtenlione cratca fuori di efla , o feparata da eſſa , eſſendo fteſa , contiene più, e ſe dinuovo ſi ſepa ra in due , una di queſte parti eſſendo di nuovo fteſa , ritiene ipiù . In altri termini ciò vuol dire, che non v'è parte dell'eſtenſione che non ſia diviſibile all'infinito, e come la prima divifione fi fa per 2 , ed indi per 2 i Pittagorici aſſegnavano il 2 , come il fim bolo dell'infinito . Prima che una parte fi ſeparaſſe da una certa eſtenſione , ella riteneva il nome di parte , ma quando è ſeparata , e che di nuovo ſi divide , ella non è più parte , ma tutto . Queſti nomi di tutto , e di parte ſono ſempre relativi ; coloro per ciò che definiſcono l' eſtenſione , ciò che ha parti fuori" di ? par ( 107 ) parti , null' altro dicono ſe non che l' eſtenſione è l'eſtenſione , perchè non ha parti ſe non ciò che è eſteſo . Molto peggio fan no coloro , che ſuppongono , che l' eſtenſione eſſendo compoſta di una infinità di parti fteſe , ſia compoſta d'una infinità di ſo . ſtanze tra loro tutte ſeparate , perchè l'idea dell'eſtenſione null hache di relativo , e ſuppone la coſa aſſoluta ,' o la ſoſtanza , su cui la relazione ſi fonda . Il corpo fiſico , e mecanico non ſono pura eſtenſione , come il geometrico, ; perchè nel corpo fiſico v'è la forza , o la for ma, e nel mecanico il peſo , origine delle proprietà , e dei lo ro fenomeni. . 8. 42. Se l'uno è , le parti in quanto parti ſono parti dell' uno , o partecipano dell'uno . Le parti non poſſono eſſer parti di le ſteſſe , nè di molti ( $. 40. Sezione 3. ) dunque dell' uno, il che è dire , che partecipano dell' uno . §. 43, Se l'uno è , il tutto in quanto tutto partecipa dell' uno . Il tutto cui nulla manca delle tre parti è uno ; dunque par tecipa dell'uno . Corol. Il tutto dunque , e le parti partecipano dell' uno , e ciò ſignifica un non so che di ſeparato da gli altri , ma eſiſten; te per sè , ſia egli qualunque coſa. ANNOT. Non par egli, che Parmenide nel dir , che queſt' uno ſia ſeparato dagli altri , e per sè eſiſtente , alluda all'idee feparatę che ha combattute nella prima ſeſſione '? Se non vuol ciò dirſi , come contrario alla profonda Filoſofia d'un sì grande Uomo, non ne liegue egli , che parlando qui con Socrate , parla bensi col fuo linguaggio , ma nel tempo fteffo incende di favellare fecondo le attrazioni della mente . 0 2 9.44. ( 108 ) 8. 44. Se l'uno è , le cofe che partecipano dell' uno fono altra coſa che l'uno . Niuna coſa può effer alcun uno fuor che lo ſteſſo uno ; dunque ſe le coſe partecipano dell'uno , che vuol dire , non ſono lo ſtes fo uno , bifogna che fieno un'altra coſa . COROL. Dunque le coſe che partecipano dell' uno fono de verſe dall'uno . S. 4.5. Se l' uno è , le coſe che partecipano dell'uno , ſono in moltitudine infinite . Se le coſe che partecipano l'uno ſono diverſe dall' uno , non ef fendo uno nè più d'uno non faranno niente ; ma non fon l'uno , dunque più d'ano , dunque ogni parte d'uno , include in eſſa i più, e queſti altri più , e così in infinito , dunque le coſe clre parteci pano l'uno , ſono infinite in moltitudine . COROL. Poichè il più include per fua natura la moltitudine in finita , ogni parte che d'eſſo ſi tragga fuori con l'intelligenza le ben piccoliflima rifpetto all'altre , ſarà in moltitudine infinita . ANNOT. Platone dice da quelle ( cioè dei molti ) trar fuori con r* intelligenza alcuna cofa piccoliffima . In qual altro modo pud egli meglio indicar l'aſtrazione della mente .? nel dir Platone , che confiderando la diverſa natura della fpecie fecondo ſe ſteſſa quanto di lei vediamo, fia egli infinito , e in moltitudine , altro non ſignifica con la diverſa natura , ſe non che ogni parte dell' eftenfione include in sè più , e queſti altri più , e infiniti in . moltitudine . 1 g. 46. Se l'uno è , la parre in quanto parte è diverſa dell' uno , per chè l'uno è per sè indiviſibile , e la parte per sè divifibile . 8. 47 ( 109 ) S. 47. Se l'uno è , le parti ſono più che l' uno . Le parti diverſe dell'uno , ſe non ſono uno , o più d'uno , nulla ſaranno , ma ogni cofa è uno o più ; dunque ſe le parti diverſe dall uno non ſon uno , ſaranno più che uno . S. 48. Se l'uno è , le parti che lo partecipano hanno termine tra loro , e riſpetto al tutto , e il tutto riſpetto alle parti . Ogni parte è una, ogni tutto è uno ; ſe l'uno e l'altro parte cipa l'uno ; ma quello che è fatto uno ha un termine . Dunque ec. Corol. All' altre coſe , che all' uno , avviene che partecipan do dell'uno , e di loro ſteſſe, ſi fanno in loro cert'altra coſa, il che dà loro il termine , ma la natura loro che include i più , è per eſſenza infinita in moltitudine; dunque le altre coſe che l'uno tutte ſecondo le particelle loro , ſono infinite in numero , e par tecipi di termini. g . 49. Se l'uno è , le coſe che partecipano l'uno , fono fimili, e dil ſimili, ſi movono , e ſi fermano , od hanno altre paſſioni con trarie , Le altre coſe che l'uno , ſono tutte infinite , o indefinite , fe condo la loro natura , onde tutte patiſcono lo ſteſſo, ed aven do cermini , e diverſi termini, patiſcono il diverſo , ma il limi le è quel che patiſce il ſimile , il diſſimile quel che patiſce il diverſo . Dunquele coſe , altre che l'uno , ſono ſimili, e diffimi li . Maſe patiſcono le ſtelle coſe , e diverſe , pariranno anche il moverſi , ed il fermarſi, l'eſſer maggiori , minori , ed eguali , l' eſſer più vecchie , più giovani ec. e 3. 50 Riepilogando le coſe dette , abbiam dimoſtrato che ſe l'uno che in quanto lo partecipano ſon d'ello parti. Che il tutto dal le parti riſultante partecipa pur dell' uno ; che le parti parte cipanti del tutto , è dell' uno ſono infinite in moltitudine, che han ( 110 ) . hanno termine tra loro , e rifpetto al tutto, come il tutto l'ha riſpetto alle parci, onde nel patir le coſe ſteſſe , e diverſe ſono ſimili, e diffimili , ſi moyono, e fi fermano . Paſſa a confiderar Parmenide nella ſuppoſizione , che sia l'uno , coſa adiviene alle coſe che non partecipano l'uno . g. 58 . Se l'uno è , e le altre coſe che non partecipano l'uno, non ſono nè tutto , nè parii , nè fimili, nè diffimili , nè le ſteſſe nè diverſe, non ſi movono , non fi fermano , non ſi fanno , non ſi diſtruggono, non ſono , nè maggiori , nè minori , nè eguali , nè vecchie , nè giovani . Si concepiſca l'uno ſeparato dall'altre coſe , cioè fi concepi ſca che le altre coſe non lo partecipano , non vi ſaranno mol ti , perchè ognun de molti è uno ; non vi ſarà numero , o mol titudine ordinata che principia dall’uno, il quale ſucceſſivamen te li va aggiungendo a ſe ſteſſo , e fa ogni numero uno nella fua fpecie ; non vi ſarà tutto , che è una moltitudine riſtretta in uño ; non vi ſaranno parti , ognuna delle quali è uno ordi nata ad un altro uno ; non vi ſaranno coſe limili, nè diffimi li, nè le ſteſſe , nè diverſe con l' uno , perchè ſe teneffero in se -ſimigliznza , ediffimiglianza , comprenderebbono in sè due ſpecie tra loro contrarie , onde non eſſendo partecipi di due , nemme no lo ſarebbono di due contrarj ; non poſſono eſſer quindi le coſe nè ſteſſe, nè diverfe , nè moverſi , nè formarſi , nè diftrug. gerſi, nè effer maggiori, giovani , e vecchie , perchè eſſendo ſem pre partecipi di due coſe contrarie ſarebbono partecipi di nu mero . ANNOT. Queſto è lo ſteſſo che concludere che l' uno traſcen dentale , eſſendo inſeparabile dall' ente , è lo ſteſſo tor dalle coſe l' uno , che l'ente , od annullarlo . g. 52. 1 Parmenide ha ultimamente conſiderato , coſa accaderebbe alle coſe, ſe non vi foſſe l'uno , che per ipoteſi ſtabili . Or cangia ipoteſi, e cerca , coſa accaderebbe alle cofe fe non vi foſse l'uno . Queſte due ipoteſi ſembrano diverſe , ma ricadono poi nello ſteſso , perchè canto è annullar le cote ſeparando da loro l' uno che è , od eſsere ſi concepiſce , quanto annuliarle ponendo le co ſe , e negando l'uno . SE ( 111 ) 1 SEZIONE QUARTA. B. I. Uando per eſempio fi dice grandezza, e non grandezza, QI si dicono due coſe oppoſte , e tra loro contrarie , poichè la non grandezza diſtrugge ciò che la grandezza pone o in natu ra , o nella mente ; le fi fanno quindi le due propoſizioni, la grandezza è la non grandezza non è , tutte e due ſono nega tive, ma l'una è d' un ſoggetto finito , e determinato , l'altra d'un ſoggetro infinito , e indeterminato. La grandezza é il ſog getto di decerminata ſignificazione , la non grandezza di ſignifica zione indeterminara, perchè non grande è il piccolo , non grande il punto , non grande l'unità ec. Or il determinato è contrario all indeterminato ; dunque, come ben oſservò Marſilio Ficino , le due propoſizioni, la grandezza è , la non grandezza non è , ſono con trarie , ſebben l’una , e l'alcra fieno negative . Lo ſteſso debbe dirſi delle due propoſizioni, l'uno non è , il non uno non è , egeneral mente della propoſizione A non è ; non A non è : nella pri ma ſi nega ad A l'eſere , nella ſeconda ad A che fi nega , ga l'effere . Negar ſemplicemente una coſa , e negare la nega zione, ſono coſe tra loro contrarie . La propoſizione all'incon. tro A non è , e l'altra non A è , ſono equivalenti , perchè nel la prima di A fi nega l' eſſere , nella ſeconda fi afferma , che ad A fia negato l' eſſere. Affermare la negazione è lo ſteſſo che negar la cola ; dunque equivalenti propoſizioni ſaranno, l'uno non è , il non uno è . E' poi da oſſervarli, che le negazioni, e pri vazioni ſi conoſcono per le loro realtà oppofte , la cecità per la vi fione , le tenebre per la luce , non A per A. ſi ne B. 2 . Se l'uno non è , nel pronunziar la propoſizione ai concepiſce chiaramente e diſtintamente , che l'uno non fia , o li ha fcien za di ciò che s'eſprime, e s'eſprime qualche coſa diverſa dall' altra , l'uno è . Le privazioni , e negazioni ſi concepiſcono chia ramente , e diſtintamente per le loro realtà oppoſte , dunque il non uno per l' uno ( J. 1. ) ma la propoſizione il non uno è , è, equivalente all'altra l' uno non è , dunque queſta propoſizione l' uno non è , fi concepiſce chiaramente e diſtintamente , o li ha ſcienza di lei . La propoſizione l'uno non è , è diverſa dall' altra , 3 uno ( 112 ) ! $ 1 1 uno è , e chiaramente , e diſtintamente ſi concepiſce la loro diver ſità ; dunque nel dir l' uno non è , ſi concepiſce qualche coſa di diverſo . Platone così lo dice : eſprime primieramente alcuna coſa che ſi può conoſcere, poſcia differente dall'altra , colui che dice uno , aggiungendovi l'eſfere, oil non eſſere , perciocchè non ſi conoſce meno , ciò che fia quel che ſi dice non ellere, e come ſia certa co fa differente dall'altra . Corol. Può dunque predicarſi dell' uno la ſcienza , e la di yerſità . S. 3 . Se non è l'uno, o ſe il non uno è , il non uno partecipa delle coſe che di lui ſi predicano , e non le partecipa . Del non uno è , ſi predica la ſcienza , e la diverſità ( Cor. ant. ) dunque partecipa di queſte coſe, mapoichè egli non è , non aven do eflenza , non può participarle , perchè il non ente non ha pro prietà , dunque non le partecipa ; dunque le partecipa , e non le partecipa . COROL. Così s'eſprime Platone : Il non ente è partecipe di sé , e d'alcuna coſa , e di queſta , e con queſta , e di queſta , e di cut te le coſe sì fatte; concioliachè non li direbbe uno , nè le diverſe coſe dell'uno , ne avrebbe egli alcuna coſa , nè alcuna coſa fi chia merebbe , ſe non foſſe partecipe di alcuna , nè di queſte altre nondimeno è impoſſibile che ſia l'uno , ſe egli non é , ma niuna cofa vieta , che non ſia partecipe di molte coſe, ed è neceſſario ancora ſe è quello l'uno , e non altro , ma ſe non è , nè l'uno , nè quello non ſarà egli ; non ſi dirà nulla di lui , ed il ragionamento farà d'altra cofa , ma ſe fi ſuppone che quello uno non ſia , è ne ceſſario che ſia partecipe di lui , e di molte altre coſe , . 4 . Se il non uno è , il non uno è ſimile a ſe ſteſſo , e diffimile all'altre coſe, ed al contrario . Il non uno convien col non uno , dunque con ſe ſteſſo ; dunque è ſimile a ſe ſtello . Il non uno è diverſo dall'altre coſe che parte cipano l'uno , dunque è diffimile dall'altre coſe ; ma il non uno non eſſendo , non può aver proprietà d'effer ſimile , nè diffimi le , dunque ec. 8. S. 1 ( 113 ) § . 5 . Se il non uno d , egli è eguale, ed ineguale all' altre coſe , e nel tempo ſteſo eguale , ed ineguale . Gli eguali ſono fimili nella quantità; ma il non uno non ha ſimiglianza con l'altre coſe, dunque non ha egualita ; ma ſe egli non è eguale agli altri, gli altri non ſono eguali a lui , dunque è loro ineguale ; ma gl' ineguali partecipano dell' ineguaglianza , cioè di grandezza, edi piccolezza ; dunque l'uno che non è , egli è grande , e piccolo ; ma tra il grande, e il piccolo ſi frammetter eguale , e chi ha grandezza , e piccolezza , pud ancora aver egua glianza; dunque l'uno che non è può participare di queſte coſe; ma s'è dimoſtrato , che non le partecipa, dunque ec. 5. 6. Se l'uno non è , ha in certo modo l'eſſere , o s'attri buiſcono a lui coſe che l'hanno.. -. Nel dire che l'iuno non è , ſi ha ſcienza di cid che ſi dice ; nel dir che è , diverſo dall' uno , che è , e dall'alcre coſe ; che è fimile , non fimile ; diſſimile , non diſſimile dall' altre coſe ; eguale , no eguale, fi profeſſa di concepire, e di pronunziare il vero , ma eſprimendoſi , e pronunciandoli queſte coſe a guiſa di enti , all'uno che non è s' attribuiſcono in queſto modo, onde egli ha in un certo modo l'eſſere . B. 70 Queſta propoſizione : il nulla è nulla , il nulla non è nulla , equivale a queſte altre due : il non ente è non ' ente ; il non ente non è non ente . La prima di elle è affirmativa, ed iden , tica , perchè fi afferma il nulla di ſe ſteſo, la ſeconda è nega tiva , perchè ſi nega il nulla del nulla , che vuol dir , ſi affer. ma qualche coſa , perche una negazione diſtruggendo l' altra elleno affermano . Nel dire il non ente , non ente , il non en te vien a participare in un certo modo dell effere , affine di ef ſer non ente .. Nel dire all'incontro il non ente non è non en te, il non ente per non eſſere non ente che vuol dir per eſ ſere , vien a partecipar del non eſſere . Così intendo Platone , Tomo II. P allor ( 114 ) 1 allor che dice : il non ente ad eller non ente ba il legame dei non eſſere , fe dee non eſſere, come lente tiene nella ſtella guiſa il legame deli eſere , perchè ei non ſia non ente , affinchè di nuovo ei fia perfettamente, e non ſiapartecipe il non ente delléſenza , del non eſſer non ente , ma dell'eſenza dell'eſer non ente , ſe il non ento fia perfettamente. $ Se l'uno non è , egli partecipa ; e non partecipa dell' eflenza 1 L'ente è partecipe del non eſſere , ed il non .ente dell'eſſe re ( $. 7. Sez. 4. ) ma ſe non è , l'uno é neceffario che ſia par tecipe del non eſſere , affinchè ei non ſia ; dunque appariſce , che l'eſſenza ſia nell' uno , ſe egli non è , e la non effenza ſé egli è . ANNOT. Tutti queſti ſono ſcherzi metafiſici , per dar luogo alle nozioni immaginarie , e quindi alle contraddizioni , che mo ſtrano le coſe impoſſibili ; ben deve oſſervarſi , che facilmente con effe fi cade in quel mirabile , che degenera in puerilità . Platone ſobriamente l' adopra , per dimoſtrare in quali raffina menti sfumavano le dottrine della ſetta Elearica . 9. 9. Se l'uno non è , ha mutamento , e in conſeguenza moto , e non ha moto, Šisru ! L'uno parve ente , e non ente , onde fta così , e non così , dunque fi muta paſſando dall' eſfér al non effer ; dunque ha moto . Ma fe l'uno non è , non è in alcun luogo , perchè ogni en té è in qualche luogo, ma non eſſendo mai in luogo non pudo paſſare da un luogo all'altro , dunque non percid fi move , per che non ſi traſmuta . . io. ( 115 ) : $ . io . Y Se l'uno non è , non ſi altera , e non alterandoli ne ſi muta , nè ſi move . L'uno non eſſendo , non può mai verſare in quello che non è , dunque non alterarſi , poichè ſe l'uno da ſe stello li alceral fe in alcun luogo , non ſi ragionerebbe più deil' uno , ma di cer ta altra coſa ; ma ſe non li altera non ſi rivolge in fe fteffo nè fi muta , nè ſi altera ; dunque ec . ļ $. Se l'uno non è , fta e ſi moồe , e fi altera , Quel che non ſi move ſe ne ſta in quiete , e ſi ferma que gli che in quiete ne fta ; dunque l'ano non effendo, comeapo pariſce ſta egli e li move , anzi movendoſi è neceſſario che ſi alteri, perchè in quanto alcuna coſa ſi move , incanto ſe ne ſta ella non nello ſteſſo modo , ma altrimenti; dunque l'uno mentre fi move ſi altera , e nondimeno non movendoſi in niun luogo in niuna guiſa ſi può alterare ; dunque in quanto fi move" , ciò che non è uno ſi altera ; ma in quanto non ti move , non fi alce ra , dunque l'uno non eſſendo ſi altera , e non ſi altera . $. 12 Se l'uno non è , egli è diverſo da quel che era prima, non ſi altera ; non fi fa , non ci muore , e di nuovo ſi fa , emuore . Cid che ſi alcera è neceſſario che ſi faccia diverſo da quel che era prima , ma quel che non fi altera , non ſi fa në muore ; dunque l'uno , non eſſendo mentre fi altera , e ſi fa , e periſce, ma non alterandoſi , non fi fa , nè muore , nè periſce , ed in do tal guiſa l' uno 'non effendo , li fa , e muore e di nuovo non fi fa , nè muore . §. 13 : Sin ora ha dimoſtrato Platone , che ſe l' uno non è , egli dà di sè fcienza, ed ha in sè diverlicà, che è partecipe, e non par tecipe di altre cole ; quindi lo ſteilo-, e non lo ſteſſo con ſe ſtel р . 2 ( 116 ) ſi move fteffo , ſimile e diffimile nè ſimile , nè diffimile , eguale , ed ineguale, non eguale , nè ineguale , partecipe d'eſſenza , e non partecipe , ſi muta , e non ſi muta e non ſi mo ve , fi altera , e non fi altera , ft fa , c periſce , e fi fa , e non periſce . Tutte queſte concluſioni derivano dalla poſizione, l' uno non è ; l'uno eſſendo inſeparabile dall'ente , ſe non v'è l'uno , nè pur v'è l'ente . OrPente non è , che il poflibile . Annullato dunque il poſſibile reſta l' impoffibile, da cui ſecondo l' Aflioma ſegue coſa , ex impoſſibile ſequitur quolibet , perchè nell'idea aſtrat ta dell'impoſſibile s'includono tutte le contraddizioni . Platone dal conſiderare , che l'uno non ha eſſenza , e non n'è capace , nega tutte le altre relazioni che pud avere . Premetto a ciò che quando diciamo, che alcuna coſa non ſia , nel proferire , queſto non è , fi fignifica ſemplicemente, che non è al tutto in niun modo , e non eſſendo in niun modo , non è capace in alcun modo di eſſenza ; dunque non potrà eſſere il non ente , ne in alcun modo farſi partecipe di eſsenza . §. 14. Se l'uno non è , non può farſi in alcun modo par tecipe d'eſsenza . Quel che non è , ſignifica ſemplicemente , che non è al tur 10 , in niun modo , o non è ſemplicemente capace di eſsenza , dunque fe l'uno non è , non può mai eſser capace d'eſsenza . . 15 : ne la per Se l'uno non è , non pud farſit , nd morire. Chi non è partecipe di eſsenza , non la riceve , nè la de . Dunque fe. L'uno non è , non pud nè ricever , nè acqui ftar l'eſsenza , perchè non n ' è capace ; dunque non periſce , nè fi fa . $. 16. Se l'uno nonè , non fi altera , nè fi move , nè ſe ne ſta , non ha grandezza , nè piccolezza , nè parità, né limiglianza, e dia , verlin ( 11 ) 3 onde eſsenza , non può aver ne grandezza , nèpic marfi. Se verſità riſpetto all' altre coſe , e a ſe ſteſso , nè gli conviene ale cun altro attributo Se l'uno non è , non ſi altera , perchè fi farebbe già , je pe rirebbe potendo queſto ; ſe non ſi alcera , nè men fi move, ſe come non ente , non eſsendo in alcun luogo , non pud ſtar lo ſteſso in alcuna coſa, nè in alcuna coſa fermarſi. Se non ha nè piccolezza , nè parità, eſser ſimile, o diverſo , o rifpetto all'altre coſe , o a ſe ſteſso, nè le altre coſe potranno eſser in lui in alcun modo, gli ſono , nè fimili , nè diffimili , nèle ſteſse , nè diverſe , nè pud ſtar ſeco , non ha il di lui, o ciò che ſi dice di alcuna coſa , o queſto , o di queſto , o d'altrui, o ad altrui , o alcuna volta , o dopo , o al preſente , o ſcienza, o opinione , o ſenſo , o fer mone, o nome, o qualunque altro degli enti . Annot. Sebben ſi oſserva , Platone al non uno toglie tutto quello che ha dato all'uno , conſiderato in ſe ſteſso nella prima Sezione , argomento evidente, che, quando tutti gli altri man caſsero, quì non ſi trarca che delle aſtrazioni della mente , fra miſchiate tallora con le nozioni immaginarie , quali ſono in que fta Sezione , e nel rimanente . Non ci reſta che l'ultima quiſtione, in cui ſi cerca ſe non è l'uno , che accada all'altre coſe . SEZIONE QUINTA,. $ . 1 . S'orser Oſservi tolto. 1. Che ciò che è , o è l' uno , o l'altre co ſe • 2. Che ſe queſte non foſsero ( almeno nella noſtra im-. maginazione , o nella noſtra mente ) di loro non ſi diſputereb be, perchè il nulla non ha proprierà . 3. Che ſe dell' altre li fa vella, l'altre ſono il diverſo , poichè l'altro , e il diverſo ſono fi nonimi', onde diciamo altro non eſser l'altro , che l'altro d'al tri , ed efser del diverſo diverſo , e che per far le coſe altre dalla uno , vi ſi debbe aggiungere qualche altra coſa , onde fieno per eſser altre , di cui ſaranno altre . 3 Tesni f. 2. ( 118 ) S. 2 .. Se l'uno non è , le coſe altre o diverſe dall'uno , non ſono altre. o diverſe , che per ragion di ſe ſteſse .. Nelle coſe altre dall' uno o diverſe dall'uno , vi's include' qual che altra coſa , per cui fieno altre , ma queſta coſa non pud ef ſer l'uno , perchè per ipoteſi egli non v'è. Dunque , poiché non v'è , che l' uno , e l'altre coſe , eſcluſo che altre coſe non fieno . altre per luno ne liegue che ſieno altre per ſe. ftelse , COROL.. Dunque: per ſe ſteſse. ſono ciò che ſono tra se .. , S: 3 Se: l'uno non v'è , le coſe altre dall' uno ſono tali per una moltitudine infinita . Non v'è che uno o i più , dunque le coſe altre o diverſe 1 dall’uno , non potendo eſser altre che l'uno , il quale non v'è per ipoteſi, non ſaranno altre che per i più , cioè per la mol: titudine ; ma il più , o la moltitudine eſsendo per le ſteſsa in finita '; le coſe. altre dall uno ,. ſono alore per una: moltitudine infinita .. COROLLAR . Qualunque mala dunque di loro appariſce in molti-. tudine infinita, e ſe alcuno ſi prenderà ciò che menomilimo pare co. me. Sogno , incontinente in vece di quello che pare uno , ſi fa innangi una moltitudine infinita , e in vece di quella chemenomilimopar ve, apparirebbe grandiſſimo già , ſe il pareggialli ad altre coſe in die Sparte da lui . Cosi: parla Platone : fia prefa qualunque parte d'eſtenſione, el la è diviſibile in due , ed inoi in due , e così all'infinito . Della di viſione di cui è capace il tutto , ſono capaci reſpettivamente le parti , nè v'è particella si minima, che le noi nell' ipotefi che non v'è uno , poteſſimo vedere con un microſcopio miracolo fo ,, non ci pareſse diviſa in una moltitudine infinita di parti , ma tali che nell' iſtante ſteſso , che noi vedeſſimo la parte , la vedremmo attualmente diviſa in altre parti infinite , e cosi all'in finito ; non è che io dir voglia , che vedremmo l'infinito at tuale , perchè non poſſiamo intenderlo , non che vederlo , nè so come il Leibnizio abbia poruto concepir nella più minima par 1 ( 119 ) parte di ciò che egli chiama 'materia , un numero attualmente infinito di monadi" ; biſogna prima provare , che noi concepia mo l'infinito attuale - , ed indi che vi ſieno queſte monadi ; ma ſe vi foſsero , il che io non l' ammetto , che come principio di co gnizione , e non di natura, in eſse , come l'eſprime il nome loro , v è un'unità , che è il fondamento di concepir nella monade innumerabili proprietà ; ma quì nell' eſtenlione Platonica , biſo gna rappreſentarfi ogni parte deſsa ſeparata dall' uno ; ' v'è in ciò contraddizione , ma appunto Platone - la ſuppone per de dur dall'aſsurdo i , l'impoſſibilità di ſeparar l' uno dall'ente . § . 4. Se non è l'uno in ogni maſsa apparente apparirà il numero , e le proprietà dei numeri , l'eguale , il mag giore , il minore. Tolto l' uno dalla maſsa , ci ſi fa come nel ſogno innanzi una moltitudine infinita , in cui ſe ſi vuol ordinar colla mente la moltitudine , vi ſi trova il numero ; quindi il pari, e l' impari ; il picciolo , il grande , il piccioliſſimo , il grandiſſimo., compa rando tra loro le maſse , in cui s'è diviſa la maſsa maggiore , e quindi l'eguale , perchè non ſi può paſsar dal maggiore al mino re ſenza paſsar per l'eguale , ma queſti ſaranno tutti fantasmi d' egualità , di maggiore, di minore, di pari, d'impari ec, come di numero , §. 5. Se non v'è l' uno , ogni maſsa apparente avendo termine appa rente , riſpetto all' altra non ha nè principio, nè mezzo , nè fine riſpetto a fe ftefsa . Si prenda alcuna delle maſse apparenti coll intelligenza , in nanzi al principio , ſe le fa ſempre innanzi altro principio , e dopo il fine, ſegue ſempre un altro fine , e nel mezzo altre coſe ſem pre più interne del mezzo , e ſempre minori , perchè non ſi può ricever in queſta alcun uno , non eſsendo l'uno . Annot. E ' da oſservarſi, che qui Platone dice , prender alcu na coſa con l'intelligenza , cioè aſtrattamente conliderarla í vi ag ( 120 ) aggiunge poi che potendoſi prender la maſsa ſenza l' uno , cioè fenza far aftrazione dall'uno, ſi sbrana qualunque coſa così pre ſa con l'intelligenza , che è quanto a dire con la mente fi* di vide in più parti, e queſte in altre , e così all'infinito . S. 6. Se l'uno non è , preſa qualunque maſſa a chi da lungi la mira groſſamente par uno, ma chi da preffo l'in tende è un infinito in moltitudine . Non potendo noi nulla concepir ſenza l' uno a prima viſta , e da lungi mirato ci par uno , ma da preſſo , e acutamente vedendolo , tolto l'uno, ci rappreſenciamo infiniti . COROL . Se dunque non v'è l'uno , ma l'altre coſe dall' uno , qualunque di eſſe è infinita , e con termine ed uno , e molci . Se non v'è l'uno le altre coſe ci pareranno , e ſimili, e diffi mili , e le ſteſſe , e le diverſe , e unire , e ſeparate , e moverſi, fermarſi ; nè potendo noi concepir le coſe ſenza l'uno le ve dremo , come adombrate da lunge, e patir lo ſteſſo , ed eſſere fimiglianci , mada preſſo molte , e diverſe , e per il fantasma della diverſità diverſe , e diflimiglianti tra loro ſteſſe e pari mente ci pareranno le maſſe ſimili, e diffimili , e da loro ſteſ ſe , e tra di sè , e le ſteſſe , e diverſe tra loro , e che tocchi no, e fieno ſeparate da loro ſteſſe , e fi movano con tutti i mo ti, e ſi facciano , e periſcano , e nell' una , e nell' altra manie e tutte le coſe sì fatte che li poſſono dedurre dalle coſe 7 ra , già dette . S. 7 . Ha dimoſtrato fin ora Parmenide 3 che adiviene alle coſe ſe non è l' uno , cerca poi che fieno gli altri che non ſon uno . 1 § . 8. ( 121 ) $. 8. Se non è l'uno, le alere coſe non ſon uno , ne molti . Non ſono uno , perchè non v'è l' uno ; non ſono molti perchè i molti preſuppongono l'uno . ital 18. s. Se non v'è l'uno , non vi ſarà nè opinione , nè fantasma , ne ſcienza dell'altre coſe. Le altre coſe non hanno alcun concetto con niuna di quel le che non ſono , nè alcuna di quelle che non ſono è appreſso ad alcuna dell'altre che ſono ; dunque appreſſo ad altri non v'è opinione, non v'è fantasma dell'ente , e quindi dell uno ; ma ſe non v'è l'uno , non effendo poſſibile il penſar a molte coſe fen za r uno , neppur èpoſſibile che ſi penſi che fieno uno , o mol ti le coſe . . 10 . Se non vè l' uno , le coſe non fono nè fimili , nè diffi mili , nè le ſteſſe , nè diverſe , nè ſi toccano , ne & ſeparano Non ſi poſſono concepir le coſe ſenza l'uno ; dunque ſe non vi è l'uno , non ſi poſſono concepire , nè ſimili , nè diffimili nè le fteffe , nè diverſe , nè unite, nd ſeparate . COROL. Dunque ſe non v' è l' uno nulla v'è , onde o ſia l' uno , o non fia , ed egli e l'altre coſe ancora ſono , e non ſo no ad ogni modo riſpetto a fe ftelle , e tra di loro , e appajo no , e non appajono . II . Riftringendo in poco tutto ciò che negli ultimi paragrafi s'è eſpoſto , egli è manifefto , che l' uno efiendo inſeparabile dall' ente, ove non v'è più uno , non v'è più d'ente , cioè v'è nul. la , ol'impoſſibile", da cui ſeguono tutti i contraddittorj, qual Tomo II. q Pla ( 122 ) Platone ci eſpoſe per via di nozioni affatto immaginarie ; egli ne fa veder i uſo , e moſtra nel tempo ſteſſo , quanto la fan taſia ſia diverſa dall' intelletto , poichè ella ci rappreſenta una coſa , mentre la mente ragionando ce ne fa concepire un'altra . Si conclude dunque , che Placone in queſto Dialogo non fi af fiffa che a moſtrar ſuſo dell'aſtrazioni della mente , nell' inve ſtigazione dell' idee . 1. Con le negazioni, come fece nel primo capo. 2. Con le analogie dell'altre idee aſtratte; finalmente con le cognizioni dell' idee , del ſenſo , della fantaſia , combinate a quelle della mente. L E T T E R A ALS I G. ABBATE SALIER Primo Cuſtode della Biblioteca DEL RE CRISTIANISSIMO . On dubitate che io ſia mai per dimenticarmi di voi , co N°me alcuni venuti ultimamente di Francia m' accufaro no da voſtra parte ; troppo m'è rimaſta impreſſa l'idea della bontà , e gentilezza voftra , troppo è ſtato vivo il piacere e ſodo il profitto , che io ricavai dalle converſazioni letterarie , che abbiamo fpeſſo avute inſieme , e tra l'altre su l'opere di Platone ; ce ne porgevano il motivo le ſaggie rifleſſioni, che leggevaci l'Ab bate Fraguier , or su l'ironia di Socrate , or ful carattere de'So fifti , or su la Repubblica , ed or su le Leggi, tutti oggetti delle belle diſſertazioni , che egli diede alla voſtra Accademia . Solo la Iciò egli intatto il Parmenide , o non aveſſe il tempo , o la voglia d' applicarſi a ſviluppare un Dialogo , che è il più malagevole di Platone, o temeſſe dioffendere la ſoavità del ſuo genio con l'idee troppo auftere , e filoſofiche , delle quali il Dialogo abbonda . Voi ben ſapete, che per voſtro conſiglio m' applicai a leggerlo con attenzione fin dall'anno 1725. e ne concepii quel fiſtema, di cui állor vi parlai . Venuto in Italia , e diftratto da graviſſimi intereſſi dimeſtici , ne interruppi l'eſame già cominciato, ſebbene negli intervalli io leggeſſi continuamente Platone ; e l'avrete ve duto nel Sogno del Globo di Venere , che il Signor Conte di Cai lus v avrà forſe dimoſtrato in lingua Franceſe tradotto . Di tem po intempo io parlai del Parmenide con gli amici , e mi fi fue gliò il deſiderio di compierne il ſiſtema da me abbozzato all'occa lione del Platone di Dardi Bembo , che ſtampali in Venezia , con P aggiunta delle note e degli argomenti del Serano letteralmente tradotti . Dalla Differtazione preliminare ritrarrete l'idea generale del la Filoſofia Eleatica così celebre per l'acurezza , e per la profon dità de' Filoſofi, come la Jonica per la fodezza dell'eſperienze , e l'Ita ( 124 ) 1 1 ľ Italica per la felice combinazione della Geometria , e dell'A ſtronomia alla Fiſica. Non è difficile ſcoprire, che la metafiſica do Ariſtotele è tratta in granparte in queſto Dialogo , in cui Plato ne abbandona quaſi l' artificio poetico adoprato negli altri , e ſi ſpiega nella maniera più ſemplice, e più preciſa . Nella prima Sef fione io v'oſſervai i tre fonti delle allurdità degli argomenti me tafiſici; il principio di contraddizione, il progreſſo all'infinito , el' annullazione fuppofta di qualche perfezione divina. GliEleatici , che forſe gli inventarono, riconoſceano i limiti dell'intelligenza uma na , e pur era queſta la minor parte della Dialectica loro , la qual vaga va per tutti i lommi generi delle coſe. La quiſtione dell'origine e della natura dell' idee v'è più che abbozzata , e la riſpoſta che so crare diede a Parmenide , su la maggior difficolcà dell' idee , è la ſteſſa che uso il Padre Malebranchio nel medeſimo caſo . Nell'al tre opere s' accuſa il Commentatore di dar troppo ſpirito al ſuo Filoſofo ; in queſta è cutto il contrario , poichè per quanto ſi ſpieghi Platone, vi reſta fempre molto a medicare , e la compa razione del reſto fa ſempre vergogna al commento . Il Ficino , e il Serano , che aſſegnarono al Dialogo un grado di ſublimità Teologica non convenevole , l'hanno sfigurato , e colto agli altri il profitto , che avrebbono potuto ricavare da una ſpe colazione così ben dedocta e conforta nè punto inteſa dai due Commentatori , i quali preteſero che in queſto Dialogo chiama to dell'idee , voleſſe Platone diſputare a pro delle feparate , quan do egli manifeſtamente le rifiuto , tutto riducendo all' Ontolo gia che è la più bella , e la più utile parte della metafiſica In molci errori cadè miſeramente il Carcelio , per averla ab bandonata, eſpregiata ; e non furono dal Leibnizio , ed indi dal Wolfio ridotti al ſuo vero lume i dogmi filoſofici, ſe non dopo che effi s' affaticarono a dimoſtrare , le nozioni Ontologiche eſſer quelle alle quali convien avertire prima d' inoltrarſi nella combinazione dell'idee, e quindineiſiſtemi. Tutti gli uomini pre veggono gli aſtratti ne' concreci, pochi hanno la forza di ſepa rarli, pochiſſimi quella di ridurli in teoria , ed è ſolo riſerva to a' ſommi Filoſofi il farne ſiſtema. Voi molto più vedete in Platone , che io poſſa eſprimere ; in canto vi prego a conſer varmi il voſtro affetto , ed eſſer certo che il mio farà ſempre inviolabile. Antonio Schinella Conti. Antonio Conti. Keywords: Corti’s French letters – Corti’s Scritti Filosofici, Dialoghi Filosofichi, about whether corpori celesti are inhabited -- l’infinito, self-referential, recursion, anti-sneak, regress, infinite regress in the analysis of communication, calcolo finitesimale, calcolo infinitesimale, Enea stoico, Ottavio Stoico, Cicerone stoico – allegoria dell’Eneide, scudo di Enea, Il Parmenide di Platone – assiomatico dell’essere – L’essere e. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.

 

CONTI (San Miniato). Filosofo. Grice: “Conti is a good one – a historian of philosophy, or rather a philosophical historian – I never know! – his chapter on the Greek embassy that brought philosophy to Rome is stimulating!” Studia a Siena e Pisa. Si laurea a Lucca. Insegna a Lucca, Pisa, Firenze. Filosofo del bello, che define stare fra il vero e il buono, e li collega come il mezzo tra il principio e fine. Altre opere: “Cose di storia e d'arte; Evidenza, amore e fede, o i criteri della filosofia, discorsi e dialoghi. Famiglia, patria, Dio, o i tre amori”; “I discorsi del tempo in un viaggio in Italia”. In ogni città coglie occasione per un insegnamento civile; a Venezia isulla religione, a Milano sullo stato, ecc.; “Il bello nel vero, o estetica”; “Il buono nel vero, o morale e diritto naturale”. “Illustrazione delle sculture e dei mosaici sulla facciata del Duomo di Firenze”; “Il vero nell'ordine, o ontologia e logica”; “L'armonia delle cose, o antropologia”. Cerca di costruire una metafisica fondata sulla relazione, l'armonia, l'ordine; Studia l’educazione religiosa, civile e private; “Letteratura e patria, collana di ricordi nazionali”; “Nuovi discorsi del tempo, o famiglia, Patria, Dio Religione ed arte, collana di ricordi nazionali”; “Storia della filosofia”, molto accreditata. “Sveglie dell'anima. Il Messia redentore vaticinato, uomo dei dolori, re della gloria. La mia corona del rosario. Ai figli del popolo, consigli. Giovanni Duprè o Dell'arte, 2 dialoghi. Evidenza, amore e fede o i criteri della filosofia” -- lezioni e dialoghi sulla filosofia cristiana; lavoro scientifico e popolare, e discorsi sulla storia della filosofia, accordo della filosofia con la tradizione; discussione sulla filosofia e la fede. La filosofia di Dante. “Il bello qual mezzo”. Dizionario Biografico degli Italiani. Armonie ideali nell'opere belle. L'artista deve tendere al più alto se gno ideale. Ordine dell'idea chiaro che include giudizj e ragionamenti. 4. Dialettica dell'arte , o dialettica rappre sentativa . – 5. L'idea è universale , - 6. talchè i parti colari dell'arte non debbono mai ecclissare o escludere l'uni versalità del concetto ; 7. perché , altrimenti , arte bella non c'è . – 8. L ' ordine ideale porge alle immagini formo sità -- 9. eletta , che manifestasi o per cose straordinarie . 10. o per l'eccellenza de'modi , o per tutto ciò ad un tem po , ma ſuggendo le ampollosità . 11. L'ordine ideale si determina ne sezni . 12. onde s' origina l'armonia de'con trapposti. 13. Armonia dell'ordine ideale con la natura , 14. legge di corrispondenza e di contrapposto anche in ció. – 15. Armonia col divino per natura . 16. Conclu . sione. e - CAP. XXVII. Il gusto del Bello ... 19 1. Regola prossima è il gusto . - 2. Sentimento di verità , di bellezza , e di bene . - 3. Che cosa è il gusto ? . 4. Ana logie del gusto intellettivo col gusto sensitivo . – 5. Urficj del gusto ; sanità e infermità ; abiti buoni , o vizinsi . 6 . S'esamina gli ufficj del gusto intellettivo della bellezza . 7. Effetto del gusto . 8. Il gusto non può mancare a ' veri artisti , e avvertenze io giudicare il gusto loro dall' opere . 9. Quattro gradi del gusto . - 10. Aiuto che il gusto del bello riceve dal sentimento logico e dalla morale coscienza . 11. Stato di sanità o di malattia , cioè buona o rea edu cazione. 12 E empj. 13. Stato d' abiti buoni o vizio . si . 14. Esempj. - 15. Conclusione. 16. Come si può guarire o correggere il gusto falso . CAP. XXVIII. Le leggi del gusto ... 1. Argomento . 2. Che cosa presuppone l'esame ch'uno faccia del proprio gusto, 3. affinchè possa regolarci un gusto buono e rettificarsi un gusto cattivo , 4. e primiera mente il derivato da falsa educazione. 5. Studio perciò di buoni esemplari . 6. Esame degli abiti viziosi, e quanto alla verità – 7. e quanto a ' fini dell'arte . - 8. Il gusto deve 36 454 INDICE DEL VOLUME SECONDO . mostrarci il modo e il quando dell'operare . 9. Elevazione del sentimento. 10. Verosimiglianza . 11. Esempj. 12. Equazione di tutti gli elementi dell'arte con l'idea . 13. Gusto de' limiti . 14. Esempj. 15. I limiti massi. mamente ne segni esteriori . 16. Conclusione . CAP. XXIX . I Pedanti e i Licenziosi .... Pag. 53 1. Argomento . 2. Che sieno i Pedanti e i Licenziosi . 5. Significato più generale di questi vocaboli . 4. Si gnificato più proprio e stretto . 5. Errori contrarj e vizj comuni . - 6. La pedanteria va fuori di natura . 7. Esem pj. 8. Va fuor di natura la licenza . 9. Esempj. 10 . Non comprendono l'universalità i Pedanti . - 11. Esempj. 12. Nė la comprendono Licenziosi . 13. Esempj. 14. Non hanno vera nobiltà i Pedanti , 15. e la licenza è ignobilità . - 16. Talchè gli uni e gli altri non consegui scono fama durevole . CAP 70 . XXX. Estro . Leggi dell'ordine immaginato .. 1. Argomento . — 2. Immaginazione . Rinnovazione di fan tasmi , 3. e innovazione o invenzione. 4. Queste per tre modi , spontaneo. pensato , meditato . — 5. Legge univer sale della fantasia e sede di quella nell'intelletto . 6. Gradi dell'invenzione immaginativa . Primo ; mutamento di alcune cose percepite . 7. Secondo ; immagini di cose reali non percepite . Terzo ; novità d'imma.ini fra percezioni oscure . 8. Quarto ; un ordine di verosimiglianze relativo a un or dine di cose reali determinato . 9. Quinto ; relativo a no tizie vaghe. 10. Sesto ; relativo ad astratte generalità. 11. Settimo ; fantasmi di cose semplici, spirituali , divine. 12. Ultimo ; armonia universale di fantasmi e loro elevazione . 13. Perché l'estro abbia tal nome. - 14. Origini sue misteriose. 15. Estro fallace o vuoto , e vero o fecondo . 16. Conclusione . CAP. XXXI. Armonia interna delle Immagini....... 87 1. Argomento . — 2. Sceltezza e vita delle immagini , Scel. tezza rispetto all'arti diverse ; 3. e rispetto ai componi menti speciali d'un' arte ; e rispetto agli argomenti. 4 . Sceltezza per la qualità e per la quantità . 5. Vita delle immagini , 6. come le figure d'affetto nell'arte del dire. -7. Unione del sensibile con l'ideale . Allegoria , e 8 . allegorie speciali , 9. e vizj dell'allegoria . 10. L'im magine deve ritrarre l'idea intera ; e quindi bisogna imma ginar l'opera innanzi di farla . - 11. e che rispondano i par ticolari al lutto , 12. e l'e - trinseco venga dall'intrinseco , e gli accessorj dal principale . 13. Spiritualità delle im magini. 14. e vizj opposti . 15. Relazione specificata delle immagini co' segni . 16. Conclusione . INDICE DEL VOLUME SECONDO . 455 Cap. XXXII . Armonie di verosimiglianza in generale . Pag. 106 1. Argomento e legge universale di corrispondenza e di con trapposto , e come si rifletta nelle immagini dell'arte. 2 . Questa legge apparisce nella qualità, quantità , tempo e spa zio . 3. Relazioni. 4. Esempj antichi di letteratura . 5. Esempj dell'éra nostra , - 6. Drammatica e lirica 7 . Figure di confronto ne'linguaggi. – 8. Esempi del disegno e della musica . 9. Analogia del corporeo e dello spiritua le . 10. Loro diversità ; – 11. e contrapposto nella na tura e nell'arte . 12. Verosimile immaginoso , che differi sce dal reale , benchè gli somigli. 13. Quello trascende . Poesia e architettura . 14. Scultura , pittura , musica , e arti ausiliari . - 15. Com'accade ciò . 16. Conclusione . 124 10 , e Cap . XXXIII. Armonie con la natura corporea . 1. Argomento. -- 2. Legge naturale di simetria . 5. Vi sta e udito porgono immediati all'arte bella i sensibili rap presentati , - 4. Il lalto remotamente, il gusto e l'odorato indirettamente forniscono all'arte cose immaginabili, salvo la poesia ch'è universale. -- 5. Legge naturale di simetria ne ' visibili aspetti , - 6. e ne' suoni. - 7. Legge corrispon dente nell'arte bella . 8. Simetria di quantità nel grado. 9. Simetria di quantità nel numero de' suoni , delle cose visibili . 11. Simetria naturale dello spazio . 12. Simetria nell'arti , quanto a’limiti . 13. Simetria di limiti anche nell'unione di più cose . — 14. Simetria di luo ghi . 15. Simetria di tempo misuratore , e di tempo rap presentato. - 16. Conclusione . CAP. XXXIV. Armonie con la natura spirituale .... 1. Gli affetti . 2. Somiglianza loro ; 3. varietà ; 4 . contrapposto . 5. Personificazione immaginosa dell'unmo, 6. e della socievolezza ; - 7. che dall'arti non prò mai scompagnarsi . - 8. Personificazione immaginosa del mondo materiale per tre modi . 9. Idem . · 10. Il Materialismo non può spiegarla . 11. Person i ſicazione immaginosa del soprannaturale ; 12. presa sostanzialmente da simboli e miti di credenze religiose ; 13. ma trasformate dal . l'estro . 14. La personificazione , ritraendo l'uomo , ac cenna lo stato degli artisti e de' tempi loro . Grecia , Roma, 15. Italia ; suo scadimento ; letterature straniere . . 16 . Anche nell' altre arti avviene lo stesso . 141 Cap. XXXV. Immaginazioni tragiche e comiche 158 ....... 1. Argomento . 2. Può l'ottimo essere argomento del l'arte bella ? 3. Può il pessimo ? — 15. Immaginazioni tragiche e comiche . - 5. Quando mai nasce l'immagina zione tragica più specialmente ? 6. Quando la comica ? 7. Condizioni dell'una , - 8. e dell' altra . - 9. La morte immaginata nell'arte , 10. eidolori del senso , tragica mente ; - 11. 0 comicamente . 12. Deformità fisiche nel 456 INDICE DEL VOLUME SECONDO . rispetto tragico ; 13. e nel comico . - 14. Le mostruosità nell'un rispetto , · 15. e nell'altro , e come in ciò facilmente si trasmodi. 16. Conclusione . CAP. XXXVI. Ordine de' Segni . Stile . Pag. 176 1. Argomento. 2. Nozione generica dello stile . - 3. Nozione meno generica . - 4. Nozione determinata . 5. Ne cessità di meditare lo stile . 6. Idem . 7. Ordine dello stile . Unità . - 8. proprietà , evidenza , 9. vivezza , for . mosità . 10. verosimiglianza. Legge sua universale . - 11 . L'unione di dette qualità forma il decoro . 12. Esempio di essa , - 13. Esempio del contrario . 14. La misura nello stile . 15. Sunto. 16. Conclusione, 193 CAP. XXXVII. Armonia intrinseca dello stile e co ' propri segni .. 1. Argomento . - 2.Unità del bello stile . 3. Si riscon tra nell'arte del dire ; ne'proverbj e rispetti , · 4. nelle sentenze , 5. nel periodo , 6. nell'armonia e nell'unione del discorso . 7. Si riscontra nell' arti del disegno ; nel l'architettura , 8. ch'è un discorso anch'essa ; - 9. nella scultura e nella pittura, 10. simili pur esse al discorso ; - 11. e nella inusica ; 12. che ha disegno perfetto , o unione d'armonia e di melodia . - 13. Proprietà de' se gni ; e come segni adoperino l'arte del dire , la musica , 14. l'architettura , e l'arti figurative ; 15. onde viene la proprietà dello stile . 16. Conclusione. CAP. XXXVIII. Armonia dello stile col pensiero .. 1. Argomento . 2. In che consiste l'evidenza. -3. Dee rispondere lo stile a integrità del pensiero ; 4. e a varietà d'argomenti ; - 5. abbracciando l'universalità dell' argo mento , proprio , 6. e distinguendolo , per poi bene com porlo . 7. Mancamento d'arte o di volontà impedisce tal perfezione . 8. Vivezza di stile , o moto , 9. nell'arte del dire , 10. nella pittura e scultura , 11. nell'archi tettor3 , 12. nella musica . 13, Formosità , - 14. anche nello stile grande, e nel sublime. 15. Onde procede la deformità ? 10. Concrusione . 211 CAP. X.XXIX . Armonia dello stile con la natura ..... 228 1. Argomento . 2. Il bello stile corrisponde alla natura dell'artista e a quella degli oggetti . 3. Non si possono separare le due relazioni senz'errore e deformità . – 4. Avvi una parte relativa all'artista ; 5. e una parte relativa agli oggetti , e danno armonia . 6. La legge di corrispondenza e di contrapposto ſa nascere le diverso specie del bello stile in quei gradi che l'ordine ha varj nella natura. 7. Idem . 8. Nello stile tenue an prevalenza i simili, 9. Qua lità principale di esso è la venusià. 10. Nello stile mez. zano han prevalenza i diversi . 11. Qualità principale di INDICE DEL VOLUME SECONDO , 457 esso è la naluralezza , 12. Nello stile grande han preva lenza i contrarj. 13. Qualità principale di esso è la pe regrinità . 14. Nello stile sublime han prevalenza i contrapposli supremi. 15. Qualità principale di esso è l ' ammirabilità. 16. Conclusione . LIBRO QUARTO. Arti del Bello speciali. Cap. XL. Come si originarono le Arti speciali del Bello. Pag. 249 1. Argomento . — 2. Due generi supremi dell'arte bella , cioè arti di suono e arti di prospettiva. 3. Arte de' suoni parlati , e arte de' suoni armonizzati. 4. Arti prospettive di spazio , e arti prospettive di figura. -- 5. Arti prospettive distinte in arti di spazio imitato e di spazio naturale ; in arti di figure imitate e di figure naturali . 6. Onde l'arti del disegno son distinte dall'arti di naturale amenità e dalla mimica e danza , le quali sono arti secondarie . 7. Arti ansiliari dell'arti principali e delle secondarie. 8. Diver sità di segni sensibili determinò diversità del significato, quanto al mondo esteriore , 9. e quanto al mondo interio . re . 10. Stato implicito dell'arti : poesia ; 11. arti del disegno e musica. 12. Poi si distinsero l'arti del Bello fra loro ; e s'esamina per la poesia , per l'architettura , 13. per l'arti figurative , 14. e per l'arte musicale . Di stinzione di ogni specie in ispecie minori . 15. Conclu sione. 16. L'arte bella fa quasi un mondo novello. 266 Cap. XLI . Ordine fra l’ Arti speciali del Bello ...... 1. argomento . 2. Criterio per giudicare i gradi dell'arti belle . 3. Segni supremamente ideali della poesia . L'ordine loro è una invenzione distinta dall'altra delle im magini . 5. Perfezione suprema de' significati poetici . 6 Ma questa precedenza rende difficile al sommo il poetare buopo. 7. In che la poesia verso l'altre arti sia inferiore. 8. Architettạra , e perfezione ideale del suo disegno . 9. Perfezione del suo significato. -- 10. In che cosa l'archi tettura è vinta dall'altre due arti del disegno . 11. Pit tura e scultura ; disputa di quale fra loro primeggj, antica . - 12. S' esamina quanto a ' segni , 13. e quanto al signi ficato di queste arti . 14. Musica ; in che sta un suo sin golare pregio , 15. da cui procede la potenza musicale ; benche in altro rispetto la musica resti- superata . - 16. Con clusione . A. CONTI . II . 30 458 INDICE DEL VOLUME SECONDO . CAP. XLII. Della Poesia .... Pag. 283 1. Argomento ; definizione della poesia . -2. Come la poe sia somigli la filosofia . 3. Consentono tutti nel divario fra considerare direttamente i sensibili esterni e il conside rarne l'altinenza con l'anima . 4. Però l'idea che regola i poeti , si è l'idea dell'uomo interiore , avvivata d'immagibi . Si riscontra ciò ne' sensibili esterni , comuni alla musica e al segno e alla poesia ; – 5 , ne' sensibili esterni , propri solo alle rappresentazioni poetiche ; - 6. ne' sensibili inter ni , che la sola poesia può prendere per oggetto immediato ; - 7. e poi , nelle cose di pura intelligibilità . 8. Tanto è più alta la poesia , quanto più rende viva immagine del . l'uomo interiore ; - 9. e , inoltre , quanto più rende imma gine di ciò che l'uomo dev'essere ; 10. perchè il poeta tende alle più élette forme dell'anima ; 11. e indi cerca immaginativamente di risolvere in armonia le contraddizioni del mondo ; 12. come si riscontra ne' poeti veri del tempo antico e del nuovo , - 13. e anche ne' poeti scettici , ov'essi han vera poesia ; 14. talché , quest' arte rappresenta in immagini l'universalità dell'intelletto . 15. E ogni ge nere perciò di componimenti nell'arte del dire può parteci - pare di poesia . 16. Conclusione . CAP. XLIII . Le specie della Poesia ...... 1. Argomento . 2. Tre modi principali della poesia : espositivo , 3. narrativo , - 4. dialogico . sia par talora non essere imitativa nè inventiva, se cade in soggetto reale . 6. Si scioglie la difficoltà , distinguendo al . lora il soggetto reale dalla rappresentazione immaginosa. 7. Indi è varia l ' attinenza fra la poetica rappresentazione ed il soggetto. — 8. Idem . – 9. Indi anco è vario lo stile figu rato nella poesia espositiva , 10. o nella narrativa , - 11 . o nella dialogica . 12. Anche il numero musicale dello stile diversifica . 13. Idem . 14. Diversifica pure l'ori . gine de' tre modi principali di poesia , l'espositivo prece dendo a tutti, 15. e poi al drammatico il narrativo . • 16. Conclusione. 302 5. La poe 320 CAP. XLIV. Dell'idioma, 1. Argomento. - 2. Lingua , in significato generale , è unità parlata della morale unità d'un popolo ; 3. e che mai non manca di segni per cose antiche, 4. nè ha sino nimi perfetti. 5. Le Parlate . 6. I Dialetti . - 7. Le Lingue. 8. Scelta fra le tarlate. 9. Scelta fra' Dialetti . 10. Distinzione d'una lingua da ogni altra lingua . 11 . Uso di lingua parlata , e uso di lingua scritta ; 12. iden tici nell'essenza , e in che diversi, 13. Come uso di buoni scrittori giova , 14. e come giova uso di ben parlanti. 15. Realismo e Idealismo nell' usare l'idioma . 10. Con clusione . INDICE DEL VOLUME SECONDO . 459 CAP. XLV. Arti del disegno. Pag 338 . 1. Che cosa sono l'arti del disegno - 2. Il disegno è fon damento alle tre arti particolari. . 3. Doppia significazione del vocabolo disegno. -- 4. Ogni qualità sensibile de' corpi ha relazione con la lor forma ; 5. e può risguardarsi per natura , e per l'arti del disegno , quasi accessoria . - 6. La forma ci palesa l'unità ; 7. ch' esterna dipende dall ' in terno delle cose , si per natura e si per arte . 8. Esempj di ciò ; e in che dunque consiste l'ordine ideato comune al l ' arti del disegno. – 9. Per acquistare il disegno, ci oc corre abito astrallivo degli occhi, - 10. fantasia ferma e viva in ritenere la linea pura , 11. e intelletto esercitato a distinguere, paragonare , comprendere i contorni; 12. nè basta vedere , ma bisogna saper vedere o guardare ; 13. e in ciò sta il cosi detto giudizio degli occhi . - 14. Come si faccia l'esercizio nel disegnare. 15. Una regola princi . pale per l'arti secondarie . 16. Conclusione. CAP. XLVI. Architettura .... 1. Che cosa è l'architettura . 2. Si originò dal convi . vere umano. - 3. Si distinse dall'ingegneria per fine di bel lezza , 4. ritraendo l'immagine formosa del consorzio umano, 5. Questa idea perció la rende inventiva ; 6 . e indi l'architettura prende significato a ' suoi disegni , 7 . e anche la loro unità ; 8. ehe si palesa nelle proporzioni della massa , nel congiungimento delle linee , 9. e anche negli ornamenti. – 10. Com'espressione del consorzio uma no , quest' arte abbraccia le altre arti del disegno ; – 11 . s' accorda co' luoghi abitati dall ' uomo, e a sė li conforma; 12. imprime la bellezza sua nelle città intere, - 13. nel l'intera patria d'una nazione , — 14. per ogni luogo di es sa ; 15. e si distende a tutta la terra civile , com' efligie inica dell'incivilimento . 16. Conclusione. 357 CAP. XL I. S ulura ..... 376 1. Che cosa è la scultura . - 2. Principale soggetto al l'arti figurative si è l'aspetto umano. - 3. Più proprio della scultura è la relazione de' lineamenti con la vita interiore , anziché dell'uomo con la natura . -- 4. Indi all'arte sculto . ria il colorito e accidentale , ec . - 5. Nè la scultura di tutto rilievo ha paesaggj, che ristretti son' anche nel bassorilievo : - 6. è limitata nel figurare animali ; --- 7. e anche ne'gruppi di ligure umane. - 8. Soggetto più proprio alla scultura ė la bellezza umana del corpo, e in essa si comprende la fisio. logica e la fisica . 9. E perché si dica ciò della scultura piucchè della pittura , distinguendo tra figura e forma. - 10 . L'unità intera della immagine umana comparisce nella scule tura solamente. 11. Divario i'ra le due arti nel nudo e ne' panneggiamenti . 12. Limiti posti dal pudore. 13 . Qual sia -dunque l'idea esemplare dell'arte scultoria , 14 . E come bisogni evitare ia essa , piucché nella pittura , il freddo 460 INDICE DEL VOLUME SECONDO , ed il generico ; -- 15. ma senza cascare nei vizj opposti , 16. Conclusione . CAP. XLVIII. Pittura .... Pag. 395 1. Che cosa è la pittura. – 2. Idea che serve d' esemplare alle immagini ed a'segni di quest'arte, cioè armonia fra l'uomo e la natura esteriore , come rilevasi dal colorito ; 3. e perciò dalla figura colorata e dal prospetto aereo . - 4 . Magistero essenziale della pittura è il colorito ; – 5. ma non contraſfacendo i rilievi della scultura , 6. nè gareggiando con le cose reali pe' colorie per gli splendori , 7. nė pe' se goi di vitalità ; gareggiamento impossibile, - 8. e dannoso ; 9. bensi eleggendo que' segni che sveglino i sentimenti nell'anima nostra , come le cose di natura sogliono . 10. La pittura è visione di fantasia . 11. che splende in gen tilezze d' ornamenti , e in paesaggj . 12. e ne segni del con • versare umano , 13. e nell'unione verosimile di più tempi e luoghi , 14. e nel simboleggiare affetti sovrammondani . 15. Conclusione. 16. Utilità di tutte l' arti del dia segno . CAP. XLIX. Musica ...... 415 1. Che cosa è la musica . 2. Qual n'è l'idea regolatri ce . Relazione de' suoni col sentimento umano . 3. Ragione anche fisiologica di tale attinenza . 4. E indi attinenza principale di quest'arte con la voce umana . 5. Ma la relazione de' suoni col sentimento é indefinita , 6. e però la musica può indefinitamente significare ogni affetto . 7. Esprime e incita direttamente l' esaltazione degli af. fetti, 8. e viene usata per significare più vivo l'esalta. mento comune alla poesia ed all' arti del disegno . 9. Ciò apparisce altresi dal significato universale d'armonia . 10 . Però idea suprema e reggitrice della musica è , ch' essa renda immagine dell' esaltazione di ogni affetto umano. La quale idea si determina nel concetto de' componimenti varj. 11 . onde nasce la musicale unità , – 12. e l'invenzione di una frase principale, 13. che si svolge. - 14. Errori sulla na. tura della musica . Sensisti e Positivisti assoluti , - 15. Sen timentali , Aritmeticanti, Retoricanti . 16. Conclusione. CAP. L. Unione fra tutte l’ Arti del Bello ... 434 1. Danni del separare l' Arti, e argomento . 2. Unità d' obbietto , di soggetto e di potenza prevalente nell' Arti del Bello . 3. Perfezionamenti loro successivi , e legge di que sta successione. - 4. Si risolve una difficoltà . 5. Prima si perfezionò la poesia ; 6. indi l'architettura ; - 7. poi la scultura , e poi la pittura ; — 8. Apalmente la musica . 9. Aiuto che si porgono l'Arti ; quale la poesia ? – 10. quale l'architettura , 11. l'arti figurative, - 12. la musica ? 13. Si conferma l'unità essenziale dell'Arti fra loro . -- 14. Ri torno del pensiero alle cose ragionate ; 15 e 16. indi con clusione generale. DIALETTICA.  INDICE DEL VOLUME PRIMO.. INTRODUZIONE CUI SI RACCOMANDA DI LEGGERE ...... Pag . 1-881X LIBRO PRIMO . La Filosofia e i Concetti universali. Cap. I. Idea della Filosofia ...... Pag. 3 1. Che cosa è la Filosofia ? – 2. È scienza del pensiero ; 3. ma del pensiero in atto di vita , e non soltanto delle leggi lo giche astratte ; 4. e però è Scienza della coscienza e dello spirito . - 5. Scienza degli oggetti connaturali al pensiero , e però di Dio , dell'universo e dell'uomo ; - 6. Scienza, per tanto , delle somme cause , dell'ultime ragioni e de' primi prin cipj ; -- 7. Scienza , poi , della conoscenza , della scienza e della verità. – 8. Perciò nell'idea di relazione s ' appuntano i quesiti tutti della Filosofia ; - 9. e ivi troviamo la sua più alta verità . 10. Talchè la Filosofia e Scienza di Dio , del mondo e del l'uomo nell'ordine loro uoiversale ; o , più breve, Scienza delle relazioni upiversali; e siccome queste forman l' ordine , dunque altresì Scienza dell'ordine universale . - 11. Come in ogni altra Scienza , cosi nella Filosofia si ha perfezionamento, levandosi a un'idea superiore. - 12. Questa è l'idea di relazione. - 13 . Ciò richiede la tendenza e il bisogoo de' postri tempi . – 14.Im portanza della Filosofia ; danni d'una Filosofia separativa . — 15, Vantaggj d’una Filosofia comprensiva. 16. Sunto. CAP. II . La Verità .... 1. Perché dobbiamo esaminare l'idea universale di verità . 2. La verità è sempre entità conosciuta . – 5. La verità è ordine d'entità conosciuto. - 4. Si procede relazione in relazione. 5. L'unità dell'oggetto conosciuto si comprende , si distingue , 6. si riupisce di nuovo. - 7. Però gli Antichi dissero che la verità è pei giudizj. - 8. L'errore perciò sta nel vedere l'oggetto da una parte sola , e quindi nel travedere, 9. come si rileva degli errori metafisici ; - 10. nello Scet ticismo medesimo , e negli errori morali e delle Scienze fisiche . 11. Sicchè l'errore confonde, separa , nega. 12. Jadi spieghiamo il progresso della scienza e della civiltà, 13. o il regresso ; 14. le invenzioni e le scoperte. – 15 . esame dell'idea di verità ci mostra il costrutto semplice degli Univer sali , presupposto da ogni conoscenza . 16. Conclusione. 22 536 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 42 - - 64 CAP. III . L'Entità . Pag. 1. Si comincia dalla nozione d'entità. — 2. Che cosa sono gli universali , - 3. Tre ordini d'universali: gli analogici , 4. gli attributi metafisici , e le condizioni universali del creato . - 5. L'uoiversale si è in ogni cosa e presentasi all'intelletto . - 6. L'idea d' entità primeggia fra gli universali. La esami Darono gli Antichi , – 7. i Padri, il Medioevo , e la Filosofia moderoa. 8. Non possono farne a meno anche gli Scettici e i Soggettivisti . 9. Questa idea non può pegarsi. 10. Ma esaminandola , bisogna evitare tre difetti. - 11. Si tripartisce : idea dell'essere comunissimo , - 12. idea d'essenza , - 13. idea d'esistenza ; – 14. com' apparisce anche da' linguaggi, 15. e dall'antica dottrina sull'essere e sulla possibilità , ch'è di tre specie . - 16. Conclusione. CAP. IV . L'Ordine dell'entità .... t . L'idea d'ordine si distingue nell'idea di relazione , d'atto della relazione e di correlazione . 2. Che cosa è la relazione ? L'esperienza ce la mostra ovunque. 3. Ogoi en tità è un tutto di relazioni , benchè, quando si tratta di cosa fioita , non essenziali . Ciò si rileva dal concetto d' essere , - 4 . d'essenza e d'esistenza . – 5. La relazione poi è , o intrinseca , - 6. od estrinseca ( cioè ad intra , o ad extra ). – 7. Ogni relazione si è atlo ; anche le attineoze ideali o di ragione. - 8 . Conie si procedè per giungere a questa universalità dell'idea d'allo . Gli Italioti , gl’lonici , Platone; 9. Aristotele ; 10. i Padri, gli Scolastici, e il Cartesio ; 11. il Leiboitz e la Fisica nioderna. 12. Correlazioni . Unità e triplicità in ogoi cosa . -- 13. Dottrine aptiche su ciò . - 14. Il Dogma cristiano della Trinità . - 15. Le correlazioni spiegano la legge universale de' simili e de' contrapposti, 16. Conclusione. CAP . V. Il conoscimento dell'Ordine .. 1. Nel conoscimento dell'ordine si distingue il Vero, il Bello ed il Buono , distinta la triplice relazione della Verità col l'intelletto , benchè io significato generalissimo ogoi relazione col nostro conoscimento sia Verità . 2. L'universalità del Vero corrisponde ai gradi dell' essere ; e come li notarono già i Filosofi . - 3. Cose non animate ; 4. cose animate ; 5 . gl'intelletti , ove la presenza dell'entità è manifesta . 6. La verità è relazione dell'entità con gl’intelletti , cioè intelligibi lità . – 7. Che cosa è la Bellezza , cioè l'ammirabilitd , con trapposta al Vero. Suoi gradi , 8. ne' corpi non animati , Degli animati e negl'intelletti. 9. Che cosa è il Bene , cioè l'amabilità . Suoi gradi , — 10. ne' corpi , negli animali e nella mente , 11. Assioma che deriva dall'esame degli universali , - 12. e loro convertibilità mutua ; – 13. la quale si manifesta nella scieoza, nell'arte e nella vita , perché il Buono conduce al Vero ed al Bello , - 14. e il Bello conduce al Vero e al Buono. -15. Nell'esame degli universali analogici abbiamo riscontrato le distinzioni già fatte dai Filosofi antichi e recenti . - 16 . Conclusione , e come il Bello morale sia l'accordo del Vero , del Bello e del Buono . 84 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 537 CAP. VI. Attributi metafisici correlativi e Idea di Dio. Pag. 101 1. Esamedegli attributi metafisici , al quale ci porta l'esame degli universali analogici. — 2. Che cosa s'intende per attri buti correlativi metafisici. 3. Idee di questi attributi, tro vate nell'idea d'entitd ; 4. trovate nell'idea d'ordine dela Ľentità ; - 5. trovate nell'idea di conoscimento dell'ordine. - 6. L'idee degli attributi metafisici correlativi , e l'idea di Dio , non sono correlazioni astratte ; - 7. nè limiti soggettivi; - 8. nè un ideale soggettivo ; 9. nè , d'altra parte , sigoi ficano che Dio sia il grado supremo degli esseri ; – 10. nè la parte o il tutto ; 1. nè Pessenza o la sostanza delle cose contingenti . – 12. La correlazione degli attributi metafisici viene rappreseotata dall'idea del possibile fra l'idea d'Eote e l'idea d'esistente , o dall'idea d ' indefinito fra quelle d'Infinito e di finito. - 13. La correlazione stessa fu pure significata dal Gen tilesimo , 14. da' simboli suoi più notevoli , 15. e dalla simbologia naturale. - 16. Conclusione. Cap. VII . Idea di Creazione .... 121 1. Possibilità razionale della creazione. - 2. Vi ha nel pensiero umano questa idea dell'atto creativo , cioè di Causa prima. — 3. L'idea di causa si distingue dall'idea di sostanza ; 4. e si riferisce ad un che , il quale comincia dal nulla quanto all'esistenza , benchè non quanto alla potenza ; 5. si riferisce , poi , ad un termine distinto essenzialmente dalla cau sa , o ad extra . - 6. Più vera e più potente fra tutte le cagioni è l'intellettiva . 7. La Causa creatrice si distingue dalle cause naturali, perchè alla totalità delle cose preesiste la pos 8. perchè il soggetto , cioè la sostanza , si produce ad estra ; 9. e perchè avvi efficienza intellettuale assoluta : - 10. opde la Causa creatrice fu chiamata Verbo ia tutte le Tradizioni sacre , e il mondo è arte di Dio ; -11. la quale produce una somigliaoza divina nell'universo , mentre Dio non somiglia i finiti e li trascende . - 12. Gli errori e i dubbj sul dogma razionale di creazione nascono dalla fantasia , - 13 . e dallo sdegoare il mistero , comune ad ogni causalita ; 14 . sicchè gli errori provocarono lo svolgimento del Teismo nell'età de' Padri e de' Dottori , 15. e dell'età della Riforma e del Rinnovamento. - 16. L'idea di creazione ba tanta importanza , sibilità pura ; - perchè risguarda la Causa universale. CAP. VIII . Idee relative all'Entità della Natura ....... 143 1. Argomento ; le condizioni dell' entità : Prima condizione della natura , per l'essere suo , il quanto ; 2. che si distia . gue nell'unità , 3. nel numero 4. ( che non può essere infinito), 5. e pella unione delle unità . 6. Condizione seconda per l'essenza , il quale; - 7. che si distingue nella varietà , 8. nella contrarietà , 9. e nella somiglianza ; . 10. più notevoli dove la oatura è più alta . - 11. Terza condizione per l'esistenza , il quando ; 12. che si distingue nel momento , -13. nella successione, - 14. e nella durata ; - 15. non predicabili dell' Eternità . 16. Conclusione. C 538 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 462 C il pine. - CAP. IX. Idee relative all'Ordine della Natura ....... Pag. 1. L'ordine della natura viene dall' attinenza della crea zione , 2. La relazione delle cose create ci dà la dipendenza, o derivazione; 3. ossia la sostanza , - 4. la causa , 5. e l'essenza reale . - 6. L'Atto delle cose ci dà il come (quomodo); – 7. ossia il principio , 8. il mezzo , 9. e 10. Le correlazioni delle cose ci dàono il dove , che può essere correlazione ancointellettiva , 11 , e correle zione materiale ; - 12. ossia il punto , - 13. Y estensione particolare, 14. e lo spazio , 15, che non può essere infinito , ma è nell'infinito ; 16. e il sublime si origina da cið . Cap. X. Condizioni naturali del conoscimento ...... 1. Criterio della conoscenza ; ove si riscontrado : l'oggetto ideale , – 3.6. l'idea, - 4. che ci fa conoscere il si mile per ilsimile , 5. (onde si spiega la formazione dell'idee universali , e la conoscenza delle cose esteriori , 6. di noi stessi , degli altri uomini , - 7. e di Dio) , - 8. c . il senti mento , in relazione del quale ogoi cosa dicesi un fatto , ed esso medesimo ha questo pome . 9. Forma del bellezza ; - 10. e qui si riscontrano : la cosa formata , 11. l'idea esem plare , 12. e il gusto . - 13. Legge del bene , ove si ri scontra il bene oggettivo , - 14. la felicità , - 15. e l'utilitd . - 16. Conclusione. 182 . 2. a. - LIBRO SECONDO. Divisione della Filosofia e Arte dialettica. 207 . CAP. XI. L'Enciclopedia .... 1. Per determinare i quesiti della Filosofia , bisogna ve. dere le sue parti e l'Enciclopedia o l'albero del sapere umano , 2. Ordine di formazione , ordine di logica dipendenza. 3. Criterio armonicamente oggettivo e soggettivo per trovare la distiozione dello scibile e l'ordinamento suo. 4. Quattro classi di conoscenze : - 5. onde vengono la Teologia positiva , la Filosofia , le Matematiche e la Fisica . 6. Parti della Fi losofia universale. - 7. Filosofie particolari e applicate . 8. Matematica. - 9. Fisica . - 10. Storia sacra , umana , na turale. – 11. Arti filosofiche , matematicofisiche e storiche. 12. Tradizione perenne dell' Eociclopedia . – 13. Errori che la guastano. 14. Pericolo dell'Enciclopedie a dizionario , le quali spezzano la continuità del sapere. - 15. Divisione della Filosofia in tre parti : la Dialettica , l' Estetica e la Morale. - 16. Conclusione. CAP. XII . La Dialettica. 1. Che cosa è la Dialettica . — 2. È quasi un dialogo. – 8. Esemplare unico dell'Arte logica è la natura , - 4. se no 229 INDICE DEL VOLUME PRIMO . 539 - 8. e s'op v'è ignoranza . – 5. L'Arte logica è osservazione di natura , - 6. se oo avvi leggerezza , impazienza e preoccupazione appas sionata . – 7. È imitazione di natura , 8. se no avvi artifi cio. – 9. È inveozione ordinativa , pop oggettiva , - 10. se no avvi l'assurdo. - 14 . È per fine di verità , - 12. se no si confondono l ' arti , che per altro s' accordano e s ' aiutano . 13. La Verità , com'oggetto dell'Arte logica , viene deter minata dalle operazioni di questa , - 14. e però è ordine d'en tità ripensato , 15. ragionato , — 16. e significato . CAP. XIII. La Critica interiore vera e la falsa ........ Pag. 251 1. La Critica suppose un Criterio , che paturale cono scenza porge alla riflessa. - 2. Il bisogno di Critica interiore viene dal bisogno di cercar l'origini dell'errore, e dall'altro di sceverare nelle cognizioni la parte oggettiva e la soggettiva ; - 3. e però è antichissima; benchè a questa si contrapponesse Ja Critica eccessiva . 4. Esempj dell'una e dell'altra nel Cartesio e nel Kant. 5. Principiare dal dubbio universale non si può ; e questa è critica smodata , o fuori di natura. 6. La riflessione filosofica deve cominciare dalla ignoranza filosofica, piuttostochè dal dubbio metodico . 7. Però la Critica eccessiva non può condurre alla scienza ; pone , qualunque sia l'intenzione de' Critici , alla virtù ; 9. è causa di desolazione , - 10. o di misera indifferenza . 11. Jovece per la Critica razionale s' afferma il oaturale co noscimento , 12. la forma di questo e la materia ; 15 . cioè la forma naturale in relazione con gli oggetti , - 14. e la realtà degli oggetti stessi , che costituiscono la materia necessa ria o coboaturale del pensiero . · 15. Postulati della Critica - 16. Ogni operosità viene impedita dal Criticismo. Cap. XIV . Verità connaturali al pensiero umano . 272 1. Tre requisiti delle verità connaturali . – 2. Esistenza di noi stessi . - 5. Errore del Kant e de' Positivisti , - 4. e loro confutazione . 5. Si riscontrano i requisiti della conoscenza naturale nella coscienza di noi stessi . – 6. Notizia del mondo esteriore , – 7. e dell'ordine suo. — 8. Opinione del Kant e de Positivisti , 9. e loro confutazione. - 10. I requisiti della conoscenza naturale si trovano nella notizia del mondo. 11. Idea di Dio . - 12. Opinione del Kapt e de' Positivisti . 13. Confutazione , 14. Si riscontrano nell'idea di Dio gli stessi requisiti o spontaneità , - 15.inconvertibililà e insepa rabilità . Da queste notizie di noi , del mondo e di Dio risulta la sostanziale totalità della coscienza . 16. La Filosofia non può disconoscere questa materia del pensiero e della scienza . CAP. XV. Armonia tra le forme della conoscenza e le cose . 294 1. Che cosa è la forma. – 2. L'armonia tra le forme del conoscimento e gli oggetti , onde provenga. 3. Apparenza sensibile , - 4. corrispondente agli oggetti percepiti ; – 5. e quindi si fece da Galileo e poi dagli altri la distinzione fra le qualità primarie de' corpi e le secondarie ; - 6. talchè verifi chiamo che l'apparenze sensibili son segoi reali , realmente vera . - 540 INDICE DEL VOLUME PRIMO. corrispondenti alla realtà delle cose. -7. Aoche le apparenze , che dano'occasione d'inganno , procedono da leggi di natura. - 8. La vista ci dà i segoi apparenti delle distanze. – 9. For me intellettuali , corrispondenti all'entità e verità delle cose , ue' concetti, - 10. ne giudizi , -11. e oei raziocioj. 12 . Armonia tra il conoscimento di ciò ch'è o avviene deotro di noi , e il conoscimento di ciò ch'è fuori di noi: per i segoi del l'anima del corpo ; – 13. per l'analogie fra l'anima l'uoj verso ; - 14. per l'intendimento delle qualità e delle condi zioni d'ogoi cosa esterna ; — 15. e per la conoscenza di Dio. 16. Conclusione. CAP. XVI. I Principj armonici della ragione ... Pag. 318 1. Che sono i principj universali della ragione. — 2. Na scono dalle idee universali, e s'ordipano com'esse. -3. Prima classe , corrispondente agli universali analogici . Per l'entitd si distinguono più principj , riflettendo all ' idee d' essere , 4. e all' idee d'essenza e d'esistenza. 5. Per l'ordine del l'entità , si distinguono , riflettendo all'idee di relazione , 6. di atto della relazione e di correlazione . - 7 . Per il cono. scimento dell'ordine, si distinguono , riflettendo all' idee del Vero, – 8. del Bello e del Buono . – 9. Seconda classe , cor rispondente agli attributi metafisici correlativi . – 10. Terza classe, corrispondente alle universali condizioni della Datora fioita . Si hanno : Per l'entità di questa , i priocipj di quantild, di qualità e di tempo ; 11. per l'ordine della natura , i principj di derivazione o dipendenza , - 12. di modalità e di confinazione o del dove ; – 13. per il conoscimento dell'or dine , com ' esso è negl' intelletti creati , i principj che risguar dano il criterio della verità , la forma della bellezza e la regola del bene. – 14. In che stia l'utilità de' principj uni versali. – 15. Due opinioni estreme ed erronee : l' una che li Dega , l'altra che li reputa generativi di tutto il conoscimento . - 16. Conclusione . CAP. XVII . L'Osservazione ...... 340 1. Materie da trattarsi . — 2. Atteozione. - 3. Osservazio ne. – 4. Riflessione. - 5. Si verifica ciò nelle verità d'espe rienza esteriore, cosi per Arte logica naturale , 6. come scientificamente. 7. Si verifica delle verità di esperieoza interiore , cosi per suggerimento di natura , 8. come per la Scienza . 9. Si verifica delle verità intellettuali pure , 10. cioè negli universali della Metafisica e delle Matematiche. 11. Si verifica nelle conoscenze ricevute dall'autorità , 12. e ipdi vien la Critica , 13. Lo stesso aodamiento si vede nel procedimento storico delle Scienze. -44. Idem ,-15. Anche nel procedimento della Letteratura . 16. E anche nell'Arte pedagogica. CAP . X III . Metodo che imita la Natura ...... 1. Che cosa è l'imitazione dialettica : parte sostanziale del metodo . 2. Sintesi primitiva. – 3. Analisi. - 4. Sintesi 361 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 541 - secondaria . 5. Legge dialettica. 6. Il metodo allora è quasi un contrappuoto musicale. -7 . Però non può essere nè solameote analitico , nè solamente sintetico . 8. Difetti del Puno e dell'altro , - 9. Il metodo compreosivo gli uoisce. 10. Contrarie inclioazioni di ogni età verso l'analisi eccessiva o la sintesi eccessiva . 11. Esempio del Gioberti . - 12. Il vero metodo è propriamente dialetlico o dialogico. 13. Sua utilità nelle Scienze ; 14. nell' Arti del Bello , - 15. e nel ” Arti del vivere civile . . 16. Conclusione. CAP. XIX. L'invenzione dialettica ..... Pag. 381 1. Che cosa è l'invenzione scientifica , o che cosa è la Scienza com'ordine meditato di conosceoze, - 2. Si comincia dalla comprensione dell'oggetto per una definizione nominale ; - 3. poi si viene all'analisi con la divisione , – 4. con la tési e con l ' antitesi , con la prova dall'assurdo, e con l'elimina zione; - 5. fochè si giunge alla definizione dialettica , che può essere o intrinseca o per via disole relazioni. - 6. Poscia , passando alla sintesi , abbiamo l'ordine induttivo e il dedatti 7. Tutto questo mirabile ordinamento è una ricerca delle ragioni, e uno spiegare per esse ; oode gli Antichi dis . sero che saper vero è un sapere per le cagioni ; - 8. cioè per principj; - 9. e questo s'avveranella teorica degli universali , - 10. e nella Scienza dell'uomo, dell'universo e di Dio ; 11. s'avvera nelle Scieoze civili e storiche; 12. Delle Mate matiche, 13. e nella Fisica . 14. Indi si spiega l'inven zione degli stromenti e delle macchine ; 15. come altresi la ipotesi e l'intuizione dottrinale. 16. Supto. vo . - 403 - CAP . XX . Il fine dell' Arte dialettica .... 1. Argomento. 2. Connessione logica . - 3. Che stato der essere quello di chi cerca la verità , 4. e difetti che bisogna evitare . - 5. Si può errare io ciò per leggerezza , 6. o per una preoccupazione. 7. Chiarezza , - 8. e difetti da evitarsi , -9. Errori che procedopo da leggerezza , - 10. e da preoccupazione , prendendo per chiaro ciò che non è . - 14. Certezza ; 12. e difetti evitabili ; 13. badando anche ip ciò di non errare per leggerezza d' assensi -14. e per qual che preoccupazione, stimando che sia certo l'incerto , e vice 15. Connessione , chiarezza , certezza , non possono realmente trovarsi che pella verità . 16. Si concbiude : che fine d'ogoi Scienza , e perciò anche della Filosofia , non è di dare a noi , quasi mancanti d'ogni ragionevole conoscenza , un primo conoscimento della verità , si l' ordine riflesso della co gosceoza e della verità : e poi, che l'Arte dialettica è altresì un abito morale ; e ancora, che l'abito del parlare meditato giova molto all'ordine del pensare ragionato e retto . versa . - 542 INDICE DEL VOLUME PRIMO. LIBRO TERZO. I Criterj della Verità o Leggi universali della Dialettica. Cap. XXI. L'Evidenza , o il Criterio della Verità ..... Pag. 427 4. Argomento , e qual sia il disegno della Dialettica , e qual ragione v'abbia di trattare qui de Criterj ; e dottrina loro semplicissima. -2. Il Criterio è uoa regola , perch'è un segno della verità in relazione con l'intelletto . - 3. Non può negar si , fuorchè negando la conoscenza ; non può travisarsi , fuorchè da' sistemi sostanzialmente falsi ; e vi ha una dottrina costante sulla natura del Criterio . - 4. Il Criterio è un segno apparte nente all'ordine della verità , 5, ed è universale . - 6. II Criterio , perciò , è l ' evidenza dell' ordine di verild ; – 7 , è quindi uno e moltiplice , ossia è un ordine di Criterj; 8. perch'è l' evidenza dell'ordine di verild in sè stesso , e ne' suoi contrassegni universali ; cioè coutrassegni d'amore e di fede , perchè l'ordine della verità corrisponde all'ordine della nalura umana. 9. Il Criterio vale altresi nelle cogni. zioni anteriori alla Scienza , 10. nè la Scienza può disco noscerlo. 14. Nella Scienza, poi , l'evidenza precede il ragionamento , l'accompagna , e lo compisce. 12. Nella Filosofia, l'evideoza del Criterio naturale si converte in evi deoza scientifica ; non già perchè si comioci dal dubbio ; anzi non può cominciarsi da esso , perch'è un riconoscimento . – 13 . Criterio della Filosofia è l' evidenza dell'ordine universale ; . 14.senza di che quella è fuor di natura . - 15. Criterio delle altre Scienze è l' evideoza d'un ordine particolare ; ma in essa i Criterj sccondarj bao solo un ufficio indiretto e più ristretto . - 16. Conclusione. - 451 Cap. XXII . L'evidenza del Teismo, come di verità ordinatrice o di Criterio supremo .... 1. Perchè la verità di Dio creatore sia Criterio compren sivo alla riflessione. 2. La Scienza de' limiti è scienza ne cessaria ; e il Teismo ci avverte de' nostri limiti . 3. Questi sono la natura stessa dell'intelletto e delle cose. 4. Soprin telligibile , soprannaturale , 5. intelligibile : 6. la verità di creazione fa serbare questi limiti , e spiega il perchè del sovrintelligibile divino, –7. del sovriptelligibile naturale, 8. e ci rende liberi e sicuri nello studio delle cose intelligibili , che sono inesauste a mente umana. - 9. Quindi essa rende soddisfatto qualunque bisogno dell'uomo, e ordina le Scienze che si riferiscono a' bisogoi stessi . Teologia positiva, - 10. Filosofia , Matematica , — 11. Fisica , 12. Filosofia della Sto ria , Filologia e Critica. - 15. Quel Criterio spiega la legge del progresso in Filosofia e il regresso sofistico . – 14. I siste mi, opposti alla verità di creazione, ristringono la conoscenza riflessa , 15. e poi l'apoientano. - 16. Conclusione. - - INDICE DEL VOLUME PRIMO. 543 - Cap. XXIII. Sistemi opposti al Criterio della Verità , e pri mieramente il Panteismo.... Pag . 472 1. Argomento. - 2. Contradizioni del Panteismo , e pro posito di affermare le contradizioni.- 3. Panteismo orientale , 4. pitagorico , - 5. eleatico ed ionico ; - 6. degli Ales sandrini e Gnostici , - 7. che difendevano il Paganesimo ; 8. de' Reali nel medioevo , – 9. e dell'altre Sètte ; - 10. del Bruno e del Campanella 11. ( sterili , se paragonati al Car tesio ed a Galileo ) , · 12. dello Spinosa ( non paragonabile alla fecondità del Leiboitz), - 13. de' Panteisti tedeschi , 14. e de' loro discepoli. 15. Verità grandi , che balenano dal Panteismo ; 16. il quale , bensì , le travisa , e però nega i fatti più sublimi della coscienza. CAP. XXIV. II Dualismo . 493 1. Argomento. - 2. Io che il Dualismo è peggio , e in che meglio del Panteismo ? 5. Dualismo fra gl' Indiani. 4. D'Anassagora , - 5. di Platone , - 6. d'Aristotele, 7 . degli Stoici . - 8. Dualismo tra certi Filosofi maomettani . 9. Dualismo nella Cristianità del medioevo ; 10. e come le tracce del Dualismo antico si trovino anche ne' Dottori scola stici ; - 14. talchè se n'occasionava , ne' tempi della Riforma , up Dualismo nuovo , non antiteistico , macosmologico e antro pologico . – 12. Il Cartesio ; – 15. ed effetti delsuo Dualismo , segnatamente nel Malebranche , - 14. e nel Leibojtz ; 15. o anche nell'Idealismo , nel Sensismo e nello Scetticismo poste riori . 16. Il Dualismo riduce i contrarj a contradittorj , - talchè rompe ogoi armonia . CAP. XXV. L ' Idealismo e il Sensismo.... 515 1. Differenza fra l ' Idealismo e il Sensismo. 2. Cenno storico di questi sistemi . – 3. Io che propriamente consiste l ' Idealismo (e sbaglio d' alcuni moderni), e paragone con gli effetti del Sensismo. - 4. Vizio principale degl ' Idealisti . 5. Nel Sensismo la coscienza umana non riconosce sè stessa ; 6. non l'intelletto , essenzialmente diverso dal senso ; - 7. non - 8. non l'idealità ; 9. non la riflessione sopra di noi ; 10. non la religiosità ; 11. non la certezza nella cogoizione de' corpi ; 12. non la Filosofia ; si solamente la Fisica , - 13. ma falsata e con metodi non suoi . - 14. E sono alterate anco le Matematiche , - 15. com' altresi la Sto ria . - 16. Sunto .  INDICE DEL VOLUME SECONDO. - Cap. XXVI. Lo Scetticismo...... Pag . 1. Argomento. 2. Scetticismo nell'Asia e fra gl ' Italo greci ; - 3. nell'età Socratica e del medioevo ; 4. nell'età moderna . – 5. Eclettici e Mistici , che non riparano allo Scet ticismo , dacchè gli concedono di partire dal dubbio . – 6. Idea Jismo scettico e Sepsismo scettico. 7. Razionalismo , 8 . e Positivismo ; – 9. e quindi Scetticismo metafisico , antimetafisico , - 11. che bensi trova la Metafisica per tutto . – 12. Come la natura repugoi dallo Scetticismo . 13. Con seguenze principali di questo . Desolazionee scherno . - 14. Dif ficoltà pelle controversie , o Dommatismo scettico ; abito di giudicare de' fatti umani da sole circostanze esteriori. 16. Lo scetticismo riduce a nulla il pensiero. 10. e 15. e CAP . XXVII. L'Amore della Verità ... 22 4. Che cosa è nell'ordine suo pieno il Criterio ? Condizioni intrinseche ed estrivseche per la conoscenza della Verità . 2 . Sentimento e amore. 3. L' affetto è conoscenza e la cono scenza è affetto . -- 4. Bisogna secondare con la libera riflessione il naturale affetto . 5. Come l'affetto della Verità dia im pulso al ragionamento , l'accompagni e lo assicuri , e perciò bi sogna guardare a quell'impulso , 6. a quella compagnia e a quel riposo ; - 7. e sbagliarono tanto i Sentimentali , che di visero l'affetto dall'evideoza ; 8. quanto gli Astratteggian ti , che separarono l'evidenza dall'affetto . 9. Ufficio del l'amore di Verità nelle Matematiche ed io Fisica . - 10. Ufficio di quello in Filosofia , il quale altresì ci mostra gli affetti con naturali, che corrispondono agli oggetti della Filosofia stessa ; - 11. cioè l'amore di noi medesimi e degli altri uomioi , 12. l'ammirazione affettuosa per l'ordine della natura 13 . e gli affetti religiosi . – 14. Quello è anche Criterio degli Studj critici , storici e teologici . – 15. Nelle passioni l'affetto patu rale può facilmente riconoscersi . – 16. Per l'affetto la scienza si converte in sapienza. 500 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 42 - - 63 - salità ; CAP. XXVIII. Il Senso Comune... Pag . 1. Quando la parola serve di Criterio ? - 2. Che cosa è il Seoso Comune ? Due sigoificati di esso , - 5. dal separare i quali vennero due opinioni false , · 4. Limiti del Senso Co mune : . 5. i principj , 6. le immediate percezioni , 7 . e le immediate conclusioni . 8. Ufficio diretto e generale del Senso Comune in Filosofia ; non cosi nell'altre Scienze , 9 . fuorchè dov'esse s' uniscono alla Filosofia stessa . - 10. Obie zioni sull'esistenza del Senso Comune , per la contrarietà delle opinioni . – 11. Obiezioni contro la testimonianza de' Lioguagej al Senso Comune , per la supposta indifferenza de' vocaboli al si e al no ; – 12. per il materiale significato primitivo di parole che ricevevano poi un sigoificato spirituale. 13. Obiczioni sulla ragionevolezza d'usare il Senso Comune a Criterio , qua sichè questo sia credenza , non evidenza ; - 14. quasichè vo gliamo reputarlo sapienza o scienza ; 15. quasichè occor resse interrogare tutti gli uomini . . 16. Sunto, e necessità di ricondurre le Scienze alla natura , come le Arti del Bello . CAP . XXIX. Tradizioni e progressi nelle Scienze ... 1. Criterio delle Tradizioni scientifiche . 2. Due siguifi. cati del vocabolo Scienza . – 3. Dobbiamo verificare l'univer 4. distinguendo i principj, i teoremi , i problemi, e gli errori. 5. L'unità del consentimento non toglie la libera varietà . -6. Consentimento e progresso pe' principj e ne' teo remi , -7. e ne' problemi . – 8. Le Sètte son dimezzatrici della Verità ; 99.. eppure confermano i teoremi , 10. e son’oc casione di progresso , mostrando i mancamenti della Filosofia , 11. perfezionandone la forma , 12. e alcune dottrine particolari , - 13. e le loro conseguenze nelle dottrine de'Fi losofi. – 14. Nascono due opinioni false : cioè i sosteoitori della sola evidenza privata ; – 15. e i sostenitori del solo criterio storico . - 16. Conclusione. CAP. XXX. Relazioni fra le Scienze e la Religione ..... 1. L'argomento, che ora si tratta , è Glosofico di sua na tura , – 2. Due significati della parola Religione. - 5. S'esclu de : che la Filosofia debba ricevere l'autorità senz' uo motivo evidente di ragione; – 4. che, per l'esame, debba sospendersi la Fede ; 5. che l'autorità del verbo religioso sia un Crite rio diretto per ogni Scienza ; - 6. che la Filosofia debba en trar pe' Misteri , o la Teologia nel ragionamento filosofico ; – 7 . che sia lo stesso metodo e lo stesso fioe a’ Filosofi e a' Teologi . - 8. Nel fatto , l'efficacia delle Religioni è universale sopra i sistemi filosofici ; 9. e sempre la Religione s’ è reputata upa Fede ; 10. Criterio è poi , se corrisponde alla coscienza ; 11. talchè sia un'evidenza e una credenza , cioè una credenza evidente. · 12. Fa quasi specchio all' uomo interiore , - 15 . che riconosce l'integrità dell'essere suo io quella. 14. Gra vissimo errore del negare validità razionale lenza non filosofica . 15. Il Criterio religioso sublima l'animo e lo ràs. serena, porgendo così le due condizioni necessarie d'ogni me . ditazione più alta . 16. Sunto. 84 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 501 LIBRO QUARTO. Leggi speciali della Dialettica . oi . - - 6. e Cap. XXXI. Dell'Ordine , come suprema Legge razionale . Pag. 107 1. Legge suprema razionale . 2. Leggi concrete o datu rali , 5. Legge soprema è l'ordine . 4. Unione de' termi 5. Cercare questa unione, rispetto agli oggetti , pelle operazioni , cosi dell'Arte bella e dell' Arte buona , 7 . come dell'Arte dialettica . 8. Cercare la somiglianza de' ter mioi, – 9. le loro differenze , - 10. e le loro contrarietà , 11. escludendo i contradittorj. 12. Ksempio tolto dalla teo rica de' Criterj . – 15. Errore, deformità , male , sono disor dini . Ogni errore non altro è , che da una parte soltanto risguar dare la verità , segregandola dal resto che le appartiene , e senza cui non è più verità. - 14. Gli errori e il male cadono d'ec cesso jo eccesso . 15. Meraviglie della ragione umana, che imita l'ordine della natura interiore ed esteriore . 16. Coo clusione. Cap . XXXII. Ordine dell'idee 127 1. Ripensamento dell'idee. - 2. L'idea , del suo valore intimo , è sempre vera ; - 5. quantuoque altresi per idea s’in . tenda lutto ciò che con la riflessione s'afferma e nega ; e allora l'idea può essere falsa . — 4. Bisogna esaminare il positivo del l'idee ; - 5. nè può darsi un'idea negativa per sè medesima. 6. Poi bisogna esaminare l'ordine dell'idee con gli oggetti, e come non possiamo pegar l'idea d’un oggetto , se igooriamo la sua intima essenza , nè possiamo negare l'idea d'un fatto , se ignoriamo il comeavviene il fatto , ec .; -7. e bisogoa esa minare qual sia la natura dell'oggetto , coocepita per mezzo dell' idee . - 8. Idee a priori e a posteriori ? 9. L'idee hanno fra loro uo ordine cbe va riconosciuto ; 10. talcbè , riflettendo a quello , si formano idee distinle , adequale , chia -A1 . e ci leviamo all'idea perfetta . 12. Bisogna , in line, ch' esaminiamo la forma concettuale dell'idee , 13. la loro estensione e comprensione , 14. onde riconosciamo l'unità 15. per la quale l'idea è un esemplare unico di 16. Chi poo badi alla oatura dell' idee non può intendere alcuni fatti maravigliosi della patura umana . Cap. XXXIII. Ordine della Memoria .. 1. Argomento .– 2. La legge della Memoria è l'ordine stesso che regge l'idee . 3. Associazione dell'idee . 4 . Come possono in unità raccogliersi le varie associazioni , notate da' Filosofi. 5. Quella medesima legge si distende al richiamo de' fantasmi e de'segoi . - 6. E anzi , abbraccia tutte le facoltà , concorrenti nella Memoria , 7. e unità naturale del . 8. e l'unità morale del genere umano. — 9. Que st' ordine , ch'è legge della Memoria , diviene regola . È neces saria l'attenzivce sull’idee e il raccoglimento. 10. Bisogoa 32 * re , dell' idee , molte cose . ſaomo , 502 INDICE DEL VOLUME SECONDO, - considerare la coonessione dell'idee e i segni seosibili per facil . mente richiamarle. - 11. Inoltre , acquistar l'abito della ri flessione sull'ordine de' giudizj e de' raciocinj, per il pronto discorso scientifico . 12. Singolarmente quell'abito è neces sario per la Memoria delle parole. 15. Tadi procede la pa dronanza dell'esporre. 14. Per l'uoità coosapevole interna , occorre rammemorare il nostro passato . 15. Per unità morale del genere umano poi , occorre la Tradizione , ch'è me moria. – 16. Conclusione . Cap. XXXIV. Ordine de' giudizj.. Pag. 166 4. Argomento . 2. Co.ne dall'idee si svolgono i giudizj ; - 3. onde i giudizj possibili sono distinti da’ formati o reali. - 4. Categorie , 5. oggettive e soggettive. 6. Perfezio oamento di questa dottrina . - 7. Categorie oggettive , o se condo gli Universali ; 8. Categorie soggettive : 9. I. quanto alla forma concettuale dell'idee , giudizj universali , ge nerali , particolari , singolari ; - 10. II . quanto alle relazioni fra l'idee , categorici , ipotetici, disgiuntivi, 11. problema tici , assertori , apodittici, - 12. diretti e comparativi, astratti e concreti, a priori e a posteriori , - 13. analitici e sintetici ; - 44.III . quanto alla forma de'giudizj , affermativi , negativi , limitativi ; 15. IV . quanto alla relazione di più giudizj, equipollenti , convertibili , contradittorj , contrarj e subcontrarj. 16. Conclusione; e come sia necessario , giudicando , solle varsi all'idea distinta , chiara , adequata , e quindi perfetta , di ciò che meditiamo. Cap. XXXV . Ordine del ragionamento .. 186 1. Argomento. Regole. • 2. Legge dialettica . – 5. Idea media ; e come il raziocinio sia un giudizio complesso che si scioglie in tre giudizj. – 4. Priocipio formale del raziocinio . - 5. Deduzione e induzione. - 6. Deduzione dal simile al diverso . – 7. Induzione dal diverso al simile . - 8. La diffe reoza tra il ragionamento deduttivo e l'induttivo, in che non può consistere ? — 9. Qual'è duoque la differenza del ragiona mento deduttivo , 10. e dell'induttivo ? - 11. Da essa viene la regola . 12. E , per opposto , dal violarla vengono i sofi - 13. e si vedenel dedurre, - 14. e nell'indurre.: 15. Non deve mai separarsi la 'regala formale dalla materia del ragionamento ; - 16. oè la materia di questo dall'ordine suo . C .: P. XXXVI. Utilità del ragionamento . 206 1. Argomento. 2. Come deve intendersi che si procede dal noto all'ignoto ? 5. Che cosa troviamo di nuovo per via del ragionamento ? 4. Deduzione; 5. in Fisica , in Ma. tematica applicata ; – 6. altre scoperte , – 7. per equipollen za , conversione, opposizione, esclusione'; 8. deduzione per via di regole applicate . – 9. Induzione , é sua certezza . --40 . Induzioni fisiche. 11. Analogia . 12. Ipotesi. – 13. In duzione metafisica . – 14. Due erroriopposti : l'uso di coloro che immaginano la deduzione quasi generazione ; 15. l'al tro di coloro che negano il dedurre. 16. Conclusione . smi ; ISDICE DEL VOLUME SECONDO. 503 216 Car. XXXVII. Unione e varietà de'Metodi.......... Pag. 227 1. Argomento . 2. La verità , com ' ordine conosciuto , si trasforma in Metodo : può vedersi dalla Storia della filosolia , 3. e delle Scienze fisiche ; 4. talchè vana è la disputa se preceda l'importanza de'Metodi o de principj; - 5. e quindi ancora si vede che il Metodo risguarda il soggello e l'oggello , e ch'è psicologico ed ontologico insieme , 6. cioè critico . - 7. Faria il Metodo ; ma neile varietà c'è leggi comuoi . 8. Le varietà poi derivano dalla natura dell'argomento , 9 . taotoché riesce assurdo il coofondere tra loro i Metodi; 10 . e vba Scienze deduttive , 11. induttive , . 12 , miste ; 13. più sintetiche , o più analitiche . 14. I Metodi , variando secondo la varietà delle cose , diversificano pure secondo la mente di chi pensa la verità , 15. e secondo la mente di co loro , a cui la verità s ' espone. 16. Sunto. CAP. XXXVIII. Abiti necessarj al ragionamento 1. 11 Metodo è abito , e richiede: abito di virtù , abito in tellettuale che disponga l'intelletto all'Arte ragionativa, e abito dell'Arte. – 2. Abito morale , cioè amore della Verità . 5 . Bisogna essere preoccupati solo da questo amore ; 4. unito alle virtù morali , - 5. e come dagli abiti viziosi opposti s' of feoda il ragionaiento buono. — 6. Abito intellettuale del rac coglimento, – 7. donde nasce il diletto della meditazione , 8. e che porta con sè l'abito di badare all'armonia delle facoltà e delle dottrine , 9. e di ordinare i proprj studj . 10 . Abito intellettuale dell'Arte , cioè il possesso delle regole . 41. e dell'ordine loro ; 12 donde procede la necessità di tre atti razionali abitualmente, cioè l'esame del pensiero del principio de' ragionamenti, a mezzo e io fine ; 13. il quale ultimo è importantissimo ; 14. e indi viene il possesso della ragione ; 15. acquistato piucchè mai dall'esercizio della pewna e della disputa ; 16. purchè questa sia conveniente. Cap . XXXIX. L'Esposizione .... 264 1. Iinportanza dell'argomento , 2. Ufbej della parola : interpo e sociale . 5. La parola s’unisce strettamente al pen siero , ma non lo costituisce ; 4. bensi lo determina . 5 . Non bastano i fantasmi, ma ci vuole il segno dell'idea 6 . tanto più che il discorso esterno aiuta con la successione sua la riflessione discorsiva . – 7. Legge dell'Esposizione si è la legge dialettica ; 8. ossia determinare con la lingua l'ordine del pensiero ; il che apparisce anche da' nomi che si dànoo a'ter mioi della proposizione e del raziocinio , e al congiungimento de' termini ; - 9. e poi , la bellezza dello stile dottrinale ac corda il Vero col Buono . 10. Regola perciò è : determinare cop l'ordioe della parola l'ordine del pensiero ; -11 . in con formità dell'idee e dell'idioma , 12. donde si traggono le regole tutte grammaticali , 13. e dello stile . 14. Quindi è impossibile separare la bellezza dell ' Esposizione dalla pro fondità e dall'ordine del pensiero . – 15. Se non determiniamo con le parole il proprio concetto , - 16. in conformità dell'ig 2 504 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 4. ma timo legame fra i concetti , e in couformità del linguaggic , ven gono gravi errori . Cap. XL. L'Interpretazione .. Pag . 283 1. Argomento. — 2. In quante maniere debba determinarsi l'ordine del pensiero altrui . 5. Relazioni del discorso con la Jingua ; e perciò la sappia , chi vuolesser critico ; tutti sapere ogni liogua , non si può pè giova ; 5. e allora valersi degl'interpreti migliori. – 6. Relazioni del discorso con la mente altrui; e perciò stare al senso letterale , quanto si puo ; – 7. oon interpretare alla leggiera né cop troppo di sot tigliezza : 8. non alterare né i difetti né i prenj ; – 9. ba dare ai fini che il testimone o lo scrittore si proponeva. 10 . Relazioni del discorso con l' animo altrui; e pero guardare alla capacità e alla veracità con argomenti intrinseci ed estrioseci ; : 11 . nè la capacità negare, preoccupati da un'idea ; 12 . nè , per la veracità , eccedere ne' due vizj opposti d'una Critica adulatrice o caluoniatrice. - 15. Relazioni con la Società uma na ; e però con l'incivilimento , 14. con la Religione , 15, con l ' uniune delle prove . 16. Sunto, LIBRO QUINTO . Metodi secondo le varie Discipline. 305 0 Cap . XLI. Metodi speciali ..... 1. Perchè i Metodi si distinguono secoudo le Discipline va rie ? - 2. Quanti sono i Metodi speciali , - 3. che procedono dalla relazione varia degli oggetti con la mente ? 4. Ogni errore sostanziale di Metodo procede da un errore su detta rela zione. - 5. Gli errori de' sistemi sul Metodo , esaminati , ren dono testimonianza tutti insieme alla vera dottrina. 6. La distinzione de' Metodi è necessaria pell'Arte del Vero , come si distinguono l'Aiti speciali nell'Arte del Bello ; – 7. e chi oega la differenza de' Metodi, pega implicitamente esplicitamente una qualche verità ; come nell'Arti Belle , 8. cosi nell'Arte dialettica . 9. Connessione de' Metodi ; . 10. e ciò si vede anco nell' Arti del Bello . Hl . Ma la connessione non toglie poi la distinzione , 12. secoudocbė il rispetto delle verità mediane o collegatrici diversifica ; 13. onde bisogna rispet tare la varia competenza nelle Scienze diverse ; 14. beocbe uno Scienziato possa partecipare di più Scieoze. 15. Sunto . - 16. La confusione de' Metodi è coutro il progresso della civiltà . Cap . XLII . Metodo degli Studj religiosi. 1. Argomento. 2. Proprietà del Metodo negli Studj re ligiosi . – 3. Metodo storico circa i fatti ; – 4. e guardare do v apparisca propriamente la loro Storia . 5 Metodo joterpre tativo circa i fatti , -6, e le dottrine, 7. Metodo filosolico circa la possibilità razionale de' fatti dividi , 8 , e come gli 324 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 505 - Avversarj neghino irragionevolmente questa possibilità ; 9 . poi , circa la razionale convenienza in genere de ' fatti divini , ma esclusa sempre la necessità ; - 10. poi ancora , circa la ra zionale convenienza in ispecie, cosi de preliminari della Fe de , 11. come nelle Verità misteriose . 12. Unione del Metodo filosofico , dell'interpretativo e dello storico , per le origini del Culto e per la sua universalità nel tempo, 13 . per le sue relazioni universali con le Scienze e con l'Arti , 14. con la Civiltà intera , - 15. e con tutti gli altri Culti . 16. Cooclusione . Cap. XLIII . 11 Metodo teologico si distingue dagli altri Me . todi e vi s'accorda .. Pag . 342 1. Argomento. 2. Il Metodo teologico si distingue dal filosofico , perchè muove dall'autorità , – 3. perchè risguarda il soggetto medesimo in un rispetto differente , 4. perchè , quantunque abbia io sè una parte filosofica , non è meramente filosofico. 5. Si distingue dal Metodo critico e filologico , percbė storicameote e ioterpretativamente riconosciamo cause sovrunane, l' Intelletto sovrumano, tini soprannaturali. 6 . Si distingue dal Metodo matematico , perchè risguarda la libertà divina e l'umana ne' fatti religiosi. – 7. Si distingue dal Mo todo fisico ; e tal distinzione ha importanza eguale pe' Teologi , che non debbono considerare come il mondo è fatio , - 8.6 pe ' Fisici , che non debbono considerare come il moodó fu fatto . 9. Il Metodo teologico s'accorda poi col filosofico ; perchè il Teologo non deve separare mai l'attinenza fra Teologia e Filo sofia che porge a quella le verità prelimioari, l'analogie razio nali e l'ordinamento ; - 10. pè il Filosofo deve mai separare l'attinenza tra Filosofia e Teologia , che rende più autorevoli o efficaci le verità razionali . – 11. II Metodo teologico s'ac corda col critico, perchè il Teologo ha bisogno di guardare alla Storia universale e alla Linguistica ; — 12. il Filologo ba bi sogno diguardare alla Storia religiosa e ai monumenti sacri . 13. S'accorda col matematico , per la severità del ragiona mento , per molti esempj , per molte dottrine fisicomatematiche, per l'evidenza del concetto d'infinità . – 14. S'accorda col fisi co , perchè il Teologo non deve mai tenere la scoperta di cose na - 15. pė il fisico deve spregiare la verificazione delle ipotesi , secondo le narrazioni sacre . 16. Sunto . Cap. XLIV. Metodo della Filosofia.... 361 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo filosofico. – 3 . Raccoglimento nella coscienza . 4. Esame de' fatti interni , delle loro leggi e cause . turali ; - - 5. Delle relazioni con gli oggetti ; 6. e però avvi una parte del Metodo , asceosiva da'fatti agli oggetti stessi , e una parte discensiya dagli oggetti a ' fatti. -7 . Si distingue dal Metodo teologico , e dal critico o filologico : 8. dal matematico , per la natura de' concetti , la natura degli oggetti ; – 10. dal fisico , per la natura de' fat ti , e per le relazioni loro con gli oggetti, 11. e quindi per la ricerca delle classi loro , e leggi e cause , e per i priocipi della ragione. - 12. Si accorda col Metodo teologico per l'esa 9. e per 506 INDICE DEL VOLUME SECONDO . - me della coscienza; 13. col critico o filologico , per lo stu . dio dell'umana natura pe' fatti umani esteriori e nelle lingue ; 14. col malematico , per la speculazione di verità con ma teriali ; – 15. col fisico , per l'altigenze fra le cose intellettuali e le corporee. 16, Sunto . CAP. XLV. Metodo della Filosofia Civile .... Pag. 381 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo nella Filosofia Civile . Questa si fondi sopr'i fatti , – 3. badando alla notizia loro precisa e al collegamento loro . 4. Studio delle cagioni ; ma fuggendo di prendere l'analogie per identità . - 5. Esame delle cagioni esteriori ed interiori, non separabili , ma distinte . - 6. Le cagioni interiori hanno più importanza : 7. ma senza trascurare l' esteriori . - 8. Si ascende alle leggi o ragio ni . Leggi supreme della Scienza storica , della Politica , della Giurisprudenza , dell'Economia. - 9. Le dette leggi non tol gono la libertà , - 10. come la libertà non toglie alle conse guenze proprie la necessità ; 11. tantochè in ciò risplende l'ordine della Provvidenza . – 12. Dopo l'esame induttivo delle cagioni e leggi può farsi la deduzione, o probabile o necessa ria , di ciò ch' è avvenuto e che può avvenire. 13. Questa Filosofia delle ragioni o leggi , che governano le nazioni , non può trascurare il procedimento storico ; ma neppure si può, per questo , trascurare la teorica di quelle . - 14. Talchè la Scienza civile ha due presupposti , la Storia e la batura . –15. Però il Metodo suo si distingue da ogni altro , 16. e a tutti si upisce . Cap . XLVI . Metodo critico nella Storia . 401 t . Argomento. – 2. Esame de' fatti , — 5. Discipline che aiutano in ciò la Storia : Cronologia e Geografia , – 4. Archeo logia , Diplomatica , Statistica , Archeologia preistorica , Etno grafia. 5. Come si può andare in eccessi con queste disci pline . - 6. Ipercritica . – 7. Esame delle cagioni ; e iodi lo Storico rifà la Storia entro di sè . 8. Cause finali, 9. particolari, generali , 10. psicologiche , A1 . divine . 12. Oggettività della Storia ; 15. e come ciò la renda bel lissima e ammaestrativa . – 14. Come lo storico si distingua da ogoi altro Metodo ; 15, e vi si accordi . 16 Sunto, CAP. XLVII . Metodo critico nella Linguistica . 420 1. Proprietà del Metodo interpretativo delle Lingue. 2. Raccolta ed esame de' vocaboli . – 5. Come bisogna valersi dell ' uso proprio nelle Lingue parlate , e come giovino i testi moni dell'uso . A chi ricorrere per lo Lingue morte. Grammatica poi determina le classi e le leggi de' vocaboli , 5. Avvisi necessarj a far bene la Grammatica . – 6. Io che con siste la Filologia comparata. – 7. Utilità di essa , e da quali estremi bisogna fuggire. 8. Il fine dell'esame filologico è interpretativo principalmente ; – 9. e ciò ne determina i con fini , i modi , 10. e le relazioni ; che sono massimamente due : con la Letteratura , 11. e con la Storia , - 42. E iodi anche vediamo le indirelle relazioni della Linguistica ; cioè con 4. La INDICE DEL VOLUME SECONDO . 507 ca , la Teologia . 13. con la Filosofia , 14. cop la Matemati 15. e altresi con la Fisica , sempre distinguendosi da tutto ciò . 16. Sunto. CAP. XLVIII. Metodo matematico ... Pag. 440 1. Proprietà del Metodo matematico. – 2. Quantità pore, cioè astratte da ogni altra idea . – 5. Nel che , poi , bisogna di stinguere fra l'insegnamento elementare ed il superiore. 4 . Si cerchino le ragioni , sgombre da ogo' idea straniera . 5 . Idea dell'Infinito , distinto dall'indefinito matematico . - 6. Il Cavalieri . – 7. Distiozione dal Metodo teologico , - 8. e rela zioni con esso ; 9. dal Metodo filosofico : 10. e accordo con la Logica , 11. onde l'insegnamento della Matematica è razionale , 12. Distinzione dal Metodo critico , segnatamente dal letterario , 13. e accordo . - 14. Relazione col Metodo fisico . 15. Come le dimostrazioni matematiche abbian virtù di assestare gl'intelletti , e anche possano dissestarli . . 16 . Sunto. Car. XLIX . Metodo nelle Scienze fisiche..... 459 1. Argomento . Proprietà del Metodo nelle Scienze fisiche , - 2. Prinia d'indurre si comincia dall'Analogia ; 3. cbe talora non può giungere all' Induzione, 4. Può essere fonte di errori ; o del troppo generaleggiare , 5. o del poco. – 6 . Essa è di molta difficoltà . 7. Regola da tenersi. – 8. Indu zione. Uffioj del senso e dell'iotelletto . 9. Ci solleviamo alle 10. alle cause , - 11. alle leggi , 12. e però al . l'ordine . 13. Doppio errore de' Sensisti e degl ' Idealisti . 14. Frantendono allri la luduzione , ch'è legittima e necessa ria , 15. e da cui siamo condotti alla Deduziune . Suato . Cap. L. Segue del Metodo fisico ; e Ordine fra le Scienze .. 479 classi , 16. 1. Argomento. – 2. Abiti che prende la meote per gli Studi fisici. – 5. Idem . 4. Necessità di mantenere l'ordine fra le Scienze . - 5. Guai , se la Fisica è usurpativa. Confusione della Fisiologia con la Psicologia : – 6. de' fatti esteriori con fl'interiori. – 7. Confusione di linguaggio , e dogmatismo. 8. Si confondono i bruti con l'uomo ; – 9. la volontà con gli atti meccanicamente determinati. – 10. Si distingue il genere umano in più specie , poi si pongono le trasformazioni di tutte le specie ; -- 11. si confonde l'ordine de' fini col piacere • con la materiale utilità . - 12. Abiti cbe prende l'intelletto per gli Studj religiosi; Filosofia ; - 14. per le Matema. tiche ; - 15.per la Gritica . 16. Conclusione generale. STORIA DELLA FILOSOFIA ROMANA. - Epoca seconda dell' èra pagana. Ci. viltà degl' Italogreci ; successione dei loro sistemi . . 245 XIV. Scuole italogreche . Epoca quarta dell ' èra pagana. Si stemi grecolatini . - Cicerone . 366 XIX Giureconsulti romani.  EPOCA SECONDA DELL'ÈRA PAGANA. CIVILTÀ DEGL'ITALOGRECI; SUCCESSIONE DE'LORO SISTEMI. SOMMARIO . Tre tempi dell'incivilimento ilalogreco ; i l'elasghi, la trasfor mazione loro negli Elleni , le colonie . - Il terzo è più nolo ; quali sono i suoi termini . – Cinque cagioni più principali dell'unione fra la civiltà orientale e l'italogreca : colonie , commerci, viaggi , lingue , tradizioni. Tre opinioni sopr ' esse; tutto dall'oriente, nulla e opinione media . – Dj pendenza non generica nė volgare della filosofia italogreca daʼsistemi orien tali . – La civiltà jtalogreca fiori primamente dove più vive le comunica zioni con l’Asia e dove più ricco un anteriore incivilimento . l'ero quest'epoca si chiama orientalitalogreca , o più breve , italogreca . Questa è un'età di passaggio , fra le qualità orientali e il tempo socratico. Si veda le attinenze lia filosofia italogreca , religione e civiltà. Quanto alla religione sacerdotale, se n'ha indizi per le memorie de ' Pelasghi, de ' Mi steri e degli Orfici. Celebre passo di Erodoto sulla religione de ' Pelas ghi, e sul nome degli dèi posteriori ec ., e conseguenze di ciò . Somi ilianze tra la religione pelasgica e quella de' Bragmani. - Misteri : quelli di Samotracia istituiti da 'Pelasghi ; domma che s'insegnava segretamente e molto simile al panteismo dell'India. – Ciò pur anche ne ' Misteri eleu sini ; panteismo naturale, metempsicosi, immortalità, purificazione. - La teologia d’Eleusi non può interpretarsi solamente in senso fisico. Testi monianze di lode que' Misteri pel domma sull'immortalità . Le due anime; anch'in Omero ec . – Gli Orfici: qualcosa di storico v'è circa Orfeo , benché con mistura di simbolo.-- La dottrina che va sotto il nome d'Orfeo si raccoglie da tradizioni antiche e da'versi orlici. Le tradi zioni attribuiscono a Orfeo una religione collegata poi a'Misteri eleusini : cosmogonie orliche, somiglianti all'indiane . Quanto a'versi orlici , que sli non appartengono a Orfeo ; ma parecchi son certamente molto antichi. Da varj ioni (che si riferiscono qui, apparisce il panteismo naturale come ne ' Vedi. Passi che fece la religione tra l'Italogreci: panteismo natu rale con molte tracce del Dio unico ; adorazione degli astri , massime nel volgo ; teogonie , o emanazioni sempre più specificate e che prendono attri boti e nomi distinti ; individuazione ultima e volgare del politeismo, specie per opere degli artisti e de' poeti, abbandonando quasi ogni simbolo. Memorie sul combattimento fra le religiose tradizioni e il politeismo cre scente. - La filosofia , dunque, prima sacerdotale ; poi sacerdotale e laicale ad un tempo ; cedè inline al politeismo, rispettandolo, se non altro , come apparenza o credulità popolare. — Questo resistere al male, e poi cedergli, si vede ancora per l'altre parti della civiltà italogreca. La filosofia venne preparata da molte cagioni, e però dovè fiorirvi assai presto , anzi chè cominciare a' tempi di Talete molto dubbiosi. - La filosolia mosse da un ritorno sulla coscienza morale Questa filosofia morale e religiosa fiori, prima di Taleto, non solo in Italia ma tra gli Ionj pur anco ; e se n'ha prove non dubbie. La cuola pitagorica precedeva Talute ; ma va di . slinto Pitagora dal Pitagoresimo. - Molti argomenti di fatto e molte auto rità per mettere in saldo le antiche origini di tal filosofia . Anche la scuola di Xenofane antecedė Xenofane stesso ; e quindi abbiamo, prima il Pitagoresimo, poi la scuola cleatica e l'ionica , infine i sistemi negativi . L'epoca dell'incivilimento italogreco si può distin guere in tre tempi; de Pelasghi ( o con qual altro nome 246 PARTE PRIMA. si voglia chiamare que' popoli primitivi) ; della trasforma zione di essi negli Elleni ; delle colonie. L'età de' Pelasghi o degli antichi abitatori di Grecia e d'Italia si perde nella notte de' secoli , ignoto il principio e la durata . È certo bensì, che quegli abitatori vennero d'Oriente, come se n'ha prova in tutte le memorie e ne’linguaggi e nelle reliquie dell'arti ; e che i Pelasghi, quantunque paruti barbari a Ecateo e ad Erodoto e di barbaro dialetto, furono la più antica sorgente e più copiosa delle genti e lingue e religio ni elleniche. (Balbo, St. d'It.; Cantù, St. univ .; Guignaut, note al Lib. IV del Creuzer, Rel. de l'antiquité.) Sem braron barbari, perchè reliquie di popoli più segregati allora da'popoli nuovi, già molti passati avanti. Fatto è che di là, ove i Pelasghi abitarono, fan derivare i Greci la civiltà loro , dall' Elicona, dall'Olimpo e dal Pindo. Accadde poi e in Grecia e in Italia un cozzo di popoli : qual cozzo, e di che popoli, è molto incerto agli eruditi ; ma questo si sa, ed Erodoto l'afferma più volte, che al lora con trasformazione lunga e tempestosa i Pelasghi si convertirono in Elleni. Viene poi l'età delle colonie ; un rovesciarsi di genti greche le une sull'altre, un in vadere, un esulare, e indi un propagarsi di colonie, prima nell'Asia minore e nell'Isole, poi nella Calcide, nell'Eu bea , in Sicilia e sulle coste d'Italia, e infine (propag gini di colonie da colonie) in Asia , in Tracia, sul Da nubio e nel Mar Nero. Questa terza età è propriamente storica ; dell'altre due il più va ingombro di favole ; e la terza cominciò, secondo l'Hofler assai temperato nelle · cronologie, sul secolo undecimo avanti l'èra nostra. ( St. Univ .) In un'età così lunga e operosa, e ch’ebbe così lun ghe e ricche preparazioni, si formò la civiltà e filosofia degl'Italogreci; la quale, svolgendosi nelle colonie d’Ita lia e dell'Asia minore, cedè poi nel secolo quarto avanti Cristo al primato d' Atene; onde cominciò un'altra età di filosofia . Nell'epoca di che si parla ora, in ogni tempo del l'epoca stessa, cinque cagioni principalmente mantene LEZIONE DECIMATERZA . 247 vano unite la civiltà orientale e l'italogreca ; colonie , commerci, viaggi, lingue, tradizioni : Le colonie, nè dico solo l'egiziane di Lelege, Danao, Cecrope ed altri, ma le prime venute dalla terra degli Arii e de' Persiani, e l'ultime ellene che si spargevano per l'Asia minore ; i commerci, che com’appare in Omero, non cessarono mai tra Grecia e Italia e le coste dell'Asia ; i viaggi per l'Oriente, non possibili a negare in tutto, de filosofi d'allo ra, come il Ritter non nega quelli di Pitagora, il Ritter ne gatore sì voglioso ; le lingue, che certo prendevano gl'inizj degli Orientali, e con le lingue le tradizioni d'ogni maniera. Tra queste, principali le religiose, in torno a cui son tre le opinioni: da Erodoto fino al Creu zer le mitologie italogreche, la greca segnatamente, si reputarono di provenienza orientale e il più egiziana ; ma poi Ottofredo Müller, il Voss e altri riferirono tutto ad ori gine greca ; il Guignaut ( Note al Crcuzer) ed altri con lui tennero finalmente l'opinione media . E questa si è che i germi delle credenze religiose si trapiantassero d' Asia com'anco radici e forme generali delle lingue ; ne può pensarsi altrimenti, dacchè ivi coabitarono un tempo le genti ellene : ciò non impedì, nè mai l'im pedisce uno svolgimento di proprie fattezze così nelle lingue come nelle religioni: all'età poi delle colonie, quand' elle si sparsero sull' Asia minore, per l'Egeo e nel Ponto Eusino, dalle comunicazioni fra loro e i vi cini orientali scaturi la fonte più copiosa d'idee e di simboli asiani, manifesta già in Esiodo ed in Omero . ( N. 1 al Lib. V , Sez. 1. ) Talchè (ponete mente, o si gnori), se lo spargersi di colonie nell'Asia minore av venne dall’undecimo all'ottavo secolo incirca, e nel con tinente poi d'Italia e di Sicilia dall'ottavo al sesto , que st'ultimo fatto s'incontra per appunto col ritornare delle tradizioni orientali fra gli Elleni, e ne sorge in mezzo la filosofia nuova degl'Italogreci. Non istarò dunque a disputare com’essa derivi più o meno da’sistemi orien tali, bastandomi ch'ella dipenda per fermo da molte tradizioni d'Oriente o per le origini delle schiatte o pel 248 PARTE PRIMA. riaccostarsi loro all'Asia. Che tal dipendenza poi de' po poli d'Italia e di Grecia, nazioni antichissimamente ci vili e nella civiltà loro pertinaci, possa credersi affatto generica e volgare, cioè senz'efficacia sull'educazione spe culativa, giudicatene voi , o signori, che pur vedete gli effetti odierni del comunicare le nazioni fra loro. Dove fu egli il primo fiorire della civiltà italogreca ? nelle colonie d'Asia e di Magna Grecia ; non già in Gre cia propriamente detta. Perchè mai, o signori ? La ri sposta non par malagevole ; prima che in Grecia, fiori la civiltà negl'Ionj dell'Asia minore, appunto perchè più vicini all'Asia media, sorgente de' popoli e della civil . tà ; e prima pure che in Grecia fiorì nella Magna Gre cia , cioè in Italia, perchè ivi più forse ch ' altrove ra dicò la civiltà pelasga, e perchè le tradizioni che fanno ionio Pitagora e ionio Xenofane, venuti tra noi, dan se gno come frequenti e vive fossero le comunicazioni tra le coste italiane e l ' Asia minore. Dico poi, ad ogni modo, che le colonie greche trovarono in Italia grandi semenze di civiltà, nè però ebbero impedimento, anzi ebbero aiuto a presto incivilirsi e prosperare. Di fatto recatevi a mente, o signori, due cose molto importanti: prima, che le ta vole d'Eraclea , lette dal Mazzocchi, fan prova come i coloni greci prendessero dagl'Italioti misure e confina zioni agrarie : seconda, che i Lucani, i Bruzj, i Sanni ti , dopo essersi ritirati davanti alle colonie greche, e riparatisi a' monti, ne discesero poi , e le ributtarono ( Hofler ), talchè più non restò in Italia dialetti greci (in Puglia ve n'ha, ma di colonie recenti e fuggite dai Turchi); la qual cosa non poteva accadere, se que'popoli montanari non serbavano istituti civili . Ecco il perchè ho chiamato quest'epoca orientalita logreca (italogreca per più brevità) ; greca, perchè filo sofia di colonie greche; italiana, perchè sorse più splen dida in Italia e con tradizioni italiane ( italica chia marono pure i Greci, come Platone ed Aristotile, la scuola pitagorica e d'Elea) ; orientale, perchè con ori gini e comunicazioni asiatiche. Non si toglie a' Greci LEZIONE DECIMATERZA. 249 la loro eccellenza ' se notiamo quel ch ' essi appresero ; offenderebbe la verità e loro chi loro negasse la mira bile potenza di far proprio l'imparato e di dargli bel lezza e compimento ; essi il ricevuto per dieci lo ridus sero a mille e quel mille lo insegnarono al mondo; ecco la lor gloria vera e non superata. Quant' all'Ita lia nostra, o signori, principalmente sul terreno di lei sorse co' Pitagorici questa filosofia nuova che tanto potè su Platone e sopr’ Aristotile ; l'Italia ricevè dal 1 ° Oriente e da’Greci, l ' Italia poi restituì alla Grecia e alla civiltà de' secoli avvenire ; e potè dirsi allora quel che poi disse Plinio : Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa, una cunctarum gentium in toto orbe patria. Ma le lodi antiche suonano vituperio a’tra lignati: avvaloriamoci , o signori, d'emulazione e di virtù, e non di lode . E quest'epoca, di fatto (come dissi altrove), è un'età di passaggio ; ritiene ancora le qualità orientali, ma che mostrano già di convertirsi nell'altre dell'età socratica . Così tra gl' Italogreci, come tra gli Asiatici, abbiamo un sistema religioso sacerdotale ; ma ora si nasconde ne' Mi steri , e si separa perciò interamente dalle credenze po polari che prevalgono. Tra gli uni e tra gli altri la filo sofia dipende dal sistema religioso ; ma ora si svolge in un modo più laicale e più da sè stesso, perchè così ri chiede la mobilità di quelle repubbliche, e perchè il sistema religioso si rimpiatta, e nè ha sull'invecchiare il vigore speculativo degl'inni e commentarj vedici ; par come un'eco de' tempi passati, più che voce vivente . E siccome la filosofia di quest'epoca pigliò i germi da'Mi steri ( Ritter ), che aveano del panteismo orientale, così ell'ebbe del panteistico a mo' degl'Indiani, ma con ten denze più manifeste alla dialettica che va per distinzioni anzichè per confusioni . Poi , qui come là s' unì la poe sia con la speculazione, ma più altresi se ne distinse ; perchè i poemi omerici non furon mai ravviluppati con una enciclopedia d'episodj; ed i poemi scientifici d'Elea e d'Agrigento s'accostano alla prosa. E qui come là v'è 250 PARTE PRIMA. incertezze storiche, meno per altro ; giacchè il più delle incertezze cadono su' Misteri e sulle origini pitagoriche, non già sulle scuole posteriori . Premesso ciò, si veda, o signori, qual fosse in atti nenza con la filosofia la religione e la civiltà degl' Ita logreci . Della religione, come sistema sacerdotale, me ne passerò più breve che non feci per l'India , giacchè (com ' ho detto) quel sistema era sul morire, e se n'ha meno ragguagli e meno certezza. La religione sacerdotale italogreca si può ricercare in tre modi : per le notizie assai oscure dei Pelasghi, i quali tennero idee religiose più primitive e più vicine alle orientali ; per le notizie scarsissime de' Misteri; per quelle degli Orfici. Essi e l'origine de' Misteri apparten gono, credo, all'età di combattimento e di trasforma zione. Quanto a’ Pelasghi, Erodoto scrive ( II, 51 , 52 , 53) che da loro non si metteva nome agli dèi ; aggiunge che i nomi vennero d'Egitto e che i Pelasghi non li volevano accettare, sì ne rimisero la decisione all'ora colo di Dodona, riuscito favorevole a que' nomi ; e dice infine che le nascite e le forme e gli aspetti degli dèi vennero cantati da Esiodo e da Omero ; tutte cose già ignote. Vuol notarsi com ' Erodoto accenni pure che un simbolo osceno gli Ateniesi lo presero da’ Pelasghi, i quali ne spiegavano il senso ne' Misteri ; e sappiamo di fatto che pure ne' Misteri eleusini e bacchici si mostrava i simboli femminili e maschili secondo i riti d'Oriente . Erodoto, uomo schietto, n'avvisa che il narrato da lui circ' a ' Pelasghi glie l'avevano appreso le sacerdotesse di Dodona, ma che il resto, circa le invenzioni d'Omero e d' Esiodo, lo diceva di suo. Che cosa si raccoglie, o signori, da questo luogo così famoso ? Primo, che la religione de' Pelasghi era più delle succedute lontana dal politeismo ; secondo, che quella si rappresentava co'sim boli orientali della generazione divina e però ne teneva i principali concetti; terzo , che il passaggio dalle divi nità innominate alle nominate, cioè da un che meno LEZIONE DECIMATERZA. 251 pagano ad un più, non accadde senza contrasto, e indi si ricorse agli oracoli ; quarto, che tenuto il simbolo antico ed esteriore, la sua spiegazione si fece nell'in terno de' Misteri ; quinto, che i nomi si suppongono venuti d'Egitto in età più recente, perchè all' Asia media non s'imputavano queste tradizioni ; infine che Erodoto reca l'antropomorfismo ad invenzione di poeti, non perchè già tal errore non fosse cominciato popolar mente, ma perchè que' poeti l'ordinarono ( più o men di proposito) in sistemi di mitologia, ed in modi specificati. Che poi la religione pelasgica somigliasse quella de Brag mani lo attestano Ferecide e Acusilao in Strabone ( Ed. Sturz ) ; dicendo che i Cabiri , divinità pelasgiche, son generati da Efesto e Cabira, e che sono tre Cabiri maschi e tre femmine. ( Creuzer, V , 2. ) Venendo a’ Misteri, abbiamo da Erodoto, non solo che i Misteri di Samotracia venissero istituiti da' Pela sghi ( II, 5) , ma (com’abbiamo sentito ) che altresì nel l'interno di quelli si spiegasse i simboli esterni . Come si spiegavano essi ? Apollonio di Rodi serbò del vecchio storico Mnasea un luogo prezioso circa i dommi primi tivi di Samotracia . ( Schol. Apoll. Rhod. ad 1, 917.) Che dommi, o signori ? Similissimi a quelli dell'India . S'in segnava, di fatto, un principio onnipotente, Azieros ; la materia fecondata , Aziokersa, o principio passivo ; e il principio attivo, fecondatore, Asiokersos. Vuol egli dir ciò che il principio attivo ed il passivo si distinguono dall'essenza universale, Azieros o Brahm ? 0 piuttosto ( giacchè l' interpretazione di que' nomi non è certa ), Aziokersa, Azieros, Aziokersos e Casmilo o Cammillo che da taluno s'aggiungeva secondo Apollonio , rispon dono a Maya, a Brahma, Visnù e Siva, taciuta l'essenza universale, il Dio neutro, come non si nomina il Dio supremo nel Rig Veda ? tanto più che Casmilo rispon derebbe, l'afferma Dionosidoro, ad Ermete cioè al Dio delle trasformazioni. Comunque, nell'incertezza de' docu menti tal cosa è certa, il domma samotracio mostrare analogie non poche col panteismo vedico e con la Tri 252 PARTE PRIMA . murti. ( Saint Croix, sur le Mystères du Paganisme ; Creuzer, V , 2. ) E risponde non meno a quel panteismo la dottrina samotracia dell'età varie mondane, o che il mondo si distrugga e rinnovi per forza di fuoco. Anche ne' Misteri eleusini s'esponeva la dottrina d’un principio passivo, d'uno attivo, dell'armonia mon diale che ne nasce, e di ciò che distrugge le forme senza intermissione. Bacco, Cerere, lacco e Mercurio, ossia grecamente Dionisio, Demeter, Iacco ed Ermete, non ritraggono forse, o signori, i sistemi dell'India, del l'Egitto e della Persia ? E forse su quelle divinità è , innominato, il Dio androgeno, o il Cronos e lo Zeus de' tempi remoti, divenuto poi un principio maschile, contrapposto a Giunone principio femminile. Di que' Mi steri non si sa i particolari, vietato rigorosamente il propalarli, come dice Pausania ( art. Beozia) e Apollo doro (Argon. I) , e come dimostra il Meursio ( De Festis Græcorum ). Pure, da'cenni dell'antichità si ritrae che insegnavasi nell' orgie il panteismo naturale ( com’ho detto di sopra) , e la metempsicosi, e l'immortalità del l'anima ( forse col ritorno all'essenza divina) , e la puri ficazione per mezzo della virtù. Il panteismo naturale viene indicato da Cicerone ( De Nat. Deor. I, 42), che diceva : come le dottrine de'Misteri eleusini, ridotte a termini di ragione, si conosce meglio per esse la natura delle cose che quella degli dèi . Che vuol egli dire ? Egli accusa di dottrina neramente fisica gli Eleusini, che la teogonia confondevano, in realtà con la cosmogonia, e ciò accade nel panteismo naturale. Prova, dunque, tale ac cusa , e viene confermato da molt' indizj, che la religione d' Eleusi somiglia il panteismo de' Vedi ; di fatto, che si trattasse d'una fisica soltanto, o senza vedervi dentro la divinità o un che superiore alla natura esterna ce lo vieta lo stesso Cicerone. Egli scrive nel II de Legibus, che i Misteri eleusini s ' hanno da riguardare come il massimo beneficio d'Atene, perch'insegnano a viver lieti e a morire tranquilli nella speranza di vita migliore ; cosa ripetuta da lui nelle Verrine, V. Dice Platone ( Fedone) LEZIONE DECIMATERZA. 253 che l'iniziarsi a' Misteri purifica i cattivi , e dà a'buoni felicità eterna, cioè un'abitazione comune con gli dèi dopo la morte. Isocrate afferma ( Panegirico) che i Mi steri mettono in cuore agl'iniziati le più dolci speranze quant'alla fine di questa vita e quant'all'altra che non finirà mai . Che poi gl'iniziati s'ammaestrassero alla virtù si ha da molti argomenti; e il Meursio (cap. 7 e 17) dimostra che quelli si preparavano a’ Misteri con gli esercizi di castità, e poi si credevano astretti, quasi da sacramento, a rendersi migliori. Così Aristofane ( Rane, v. 467-462) mette in bocca a un coro d'iniziati queste parole : « Il sole e una luce aggradevole sono per noi che onoriamo i Misteri e osserviamo le regole della pietà verso i forestieri e verso i cittadini. » Però que' Misteri si chiamavan teleti ( 7 : ) ett ) , giacchè da loro veniva la perfezione della vita . Va notato che la me tempsicosi s' univa col domma dell'immortalità in que sto modo : credevano gli antichi che il principio animale, principio di vita e di senso, distinguasi sostanzialmente dal principio intellettivo ; e che l'uno, cioè l'animale, passi di corpo in corpo, ma l'altro se ne sciolga dopo alquanti giri di secoli e in premio del vivere onesto, ritornando all'essenza universale o divina. Però si di stingueva in Persia il fervéro o genio dall' animazione, e in China Hoen da Pe, e tra gl’Indiani atma e pran, e in Grecia il démone ( dzepov) o anche logo ( 200795) da psi che, e tra'Romani animus da anima. Quindi l'anima sensitiva s'immaginò non altrimenti che come materia sottilissima, e che, divisa dal corpo, ne teneva le appa renze, erane lo spettro od il fantasma, vagante nelle notti e intorno a' sepolcri. Tal distinzione si vede pertino in Omero, allorchè Ulisse approdando a'Cimmerj inter roga i morti ( Odiss. II, c . 217 ) : « D'Ercole mi s'offerse alfin la possa , Anzi il fantasma ; però ch'ei de' numi Giocondasi alla mensa, e cara sposa Gli siede accanto la dal piè leggiadro Ebe, di Giove figlia e di Giunone. » 254 PARTE PRIMA. La terza fonte di notizie, cioè le memorie orfiche, non vanno soggette, o signori, a tanta perplessità, e può trarsene qualche costrutto ; purchè evitiamo così la co moda credulità come l'eccesso de critici. S'è giunti a du bitare d'ogni realtà storica ed antica rispetto ad Orfeo; ma, quantunque la parte storica si frammischi a' por tenti della favola, e un nome ( al solito) rappresenti le dottrine e i canti di più, nondimeno qualcosa di reale e d'antico vi ha ; perchè Ibico ( in Prisc. VI, 18, 92) che fiorì presso al 550 prima di Gesù Cristo, già ram menta Orfeo ; lo rammenta Pindaro ( Pith. IV , 315 ) , anzi lo chiama padre de canti apdov Tr UTEP ( Ott. Mül ler, St. della Lett. Gr. ) ; lo rammentano ancora gli an tichi Ellenico e Ferecide e le tragedie ateniesi. Da molti luoghi di Platone ( Leg. VIII ; Ione, Convito, Rep . 11) apparisce che a tempo di lui eran divulgati già molti carmi col nome di Museo e d’Orfeo ; questi è citato nel Filebo e nel Cratilo ; e si scorge che l ' espiazioni de’de litti appartenevano alle discipline orfiche. La dottrina che va sott' il nome d’Orfeo si racco glie da tradizioni antiche e da versi orfici. Quanto alle tradizioni antiche, elle attribuiscono tutte ad Orfeo una religione , che istituita da lui si collegò quindi a Misteri d'Eleusi ( Ott . Müller) : e ciò conferma il già detto sulla natura di quel sistema religioso. Si rileva poi dagli antichi scrittori un sistema orfico di cosmo gonia , benchè sotto più forme, e talora v'han messo la mano autori dell' èra cristiana. Il Creuzer ne dà cinque di tali cosmogonie ; rilevantissima quella di Ferecide Siro, pel quale son tre i principj Zeus o Giove o Cronos o l'etere, il Caos o massa inerte ch'egli vivifica, il Tempo o la durata senza limiti ( VII, 3) . E qui voi scorgete, o signori, l'indefinito ch'è concepito nell'astra zione del tempo (come tra’ Persiani ) , e dall'indefinito i due principj , l'attivo ed il passivo. Nella cosmogonia che viene riferita da Atanagora e da Damascio, v’ha l'idea indiana dell' uovo nell'acque, da cui esce Eros o Fa nete, amore o manifestazione dell'armonia universale ; e LEZIONE DECIMATERZA. 255 tal idea orfica viene rammentata negli Uccelli d'Ari stofane . Il mondo, poi, si rinnova per bruciamento (co me secondo Eraclito, gli stoici , gl'Indiani e l'orgie eleu sine) , in virtù di Dionisio corrispondente a Siva. (Creu zer, op . cit. , VII, 3. ) Mi pare che il Maury ottimamente riduca le teogonie o cosmonie orfiche a questo : Cronos genera i due principj , l'etere e il caos ; il caos in virtù dell' etere prende la forma d'uovo, avviluppato dal l'erebo o dalla notte, cioè dalle tenebre primitive, a cui segue la luce o l'amore, quando l'uovo si spacca , ossia quando il germe involuto si svolge nelle sue parti (Op. cit . Nota 12 al L. VII) : queste le idee più principali che risultano dal paragone de' più antichi testimoni . Ma i versi che ci restano sott'il nome d’Orfeo, son essi autentici ? Aristotile e Cicerone negarono già che i versi propalati fin d'allora come d'Orfeo gli apparte nessero ; e più n'è dubbio a' dì nostri, perchè nei primi secoli dell' èra volgare molti documenti si rimaneggia rono, e molti se ne invento. Ma dice il Mullachio ( Fragm . Phil. Græc., ed . Didot. Parisiis, 1860) : Plerique ver sus puroque et simplici sermone insignes sunt ; talchè, considerata la purità e il fare antico di molti versi, e il riscontro di varie testimonianze. ond' essi ci sono tramandati, e l'accordo loro con le tradizioni vetuste, possiamo affermare che quelli senz'essere forse d’un poeta che si chiamava Orfeo, sien per altro reliquie vere degli Orfici antichi . Udite l'inno insigne alla Natura, tradotto dal Cantù nella Storia universale (tomo I) e riferito negli Schiarimenti ( Ed. Tauchnitz, 1832) : « Natura , diva madre universale, in tante guise madre, celeste, venerabile, molto creante spirito ( o cuor ), regina che tutto domi indomata, tutto governi , in tutte parti splendi, onnipossente, ve nerata in eterno, divinità a tutte superiore, indistrutti bile, primonata, antichissima, ... comune a tutti , sola, incomunicabile, padre a te stessa senza padre, che per maschia forza tutto sai , tutto dài , nodrice e regina di tutto ; feconda operatrice di quanto cresce, di quanto è maturo dissolvitrice, delle cose tutte vero padre e ma 256 PARTE PRIMA. dre e nodrice e sostegno. » Le quali ultime parole già udimmo per Aditi nell'inno del Rig Veda. Or bene, che dottrina s’asconde, o signori , ne' versi orfici ? La stessa che ne' Vedi: la natura universale è padre e madre, ossia , principio attivo e passivo ; ell’è divina, perchè non è la materia, sì l'essenza universale, spirito divino primo e materia prima in unità ; è senza padre, cioè senza principio ; è primonata, cioè generata da sè stessa con uscire all'atto dall'indefinita potenza ; indi, ella è padre di sè stessa ; infine, si palesa con tre divine opera zioni , genera tutto, sostiene tutto, distrugge tutto. In Clemente Alessandrino ( Stro. V) , in san Giustino (Co hort. ad Græc.), in Eusebio, nell'egloghe di Stobeo , in Proclo, in Porfirio e in altri si ha varj altri frammenti più o meno antichi, ma che rendono lo stesso sistema. Un inno ch'Eusebio prese da Aristobulo peripatetico. insegna qual sia l'unico genitore del mondo, comie lo chiamano i prischi documenti degli uomini,contro l'er rore antico, cioè contro il politeismo ; e che Dio tiene in sè il principio, il mezzo e il fine. ( Pr. Ev. III, 12.) Riferirò un altro inno ch’Eusebio tolse da Porfirio ( Ivi, e Stobeo, Eclog. Phis. 1, 2, 23, e Bibliot. del Didot, Framm . ec. p.6 ) : « Primo e ultimo è Giove che splende col fulmine. Egli capo e mezzo, e a lui son create tutte le cose . Giove è nato maschio, Giove nato intatta ver gine. Egli sostiene la terra e l'aria stellata de 'cieli ; ed è insieme re e padre d'ogni cosa e autore della loro origine . Unica forza e unico demone che governa tutte le cose, quest' unico le chiude tutte nel suo corpo re gale, il fuoco, l'onda, la terra, l'etere, e la notte e il giorno, e il consiglio, e il primo genitore e nume del l'amore : contiene tutto ciò Giove nell'immenso corpo. E il capo esimio di lui e il volto maestoso irradia il cielo, intorno a cui sparge con molto lume la chioma pendente e aurea d'astri ; e gli sta sull'alta fronte, a somiglianza di toro, un doppio corno che l'accende di fulgido oro. Ivi sono l'oriente e l'occidente, giri noti a' supremi dèi . Son occhi di lui il sole e la luna che LEZIONE DECIMATERZA. 257 corre di contro al sole . In lui è mente verace, ed etere regale non sottoposto a morte, il quale col consiglio muove e regge ogni cosa ; e quella mente, perchè prole di Giove, non può essere nascosta da niuna voce o stre pito o suono o fama. Così, egli beato possiede e senso dell'animo e vita immortale, spandendo il corpo illu stre, immenso, immutabile e con valida forza di brac cio . A lui son omeri e petto e terga immani le ampiezze dell'aria ; e con veloci e native penue precipitando, egli vola intorno a tutte le cose. La terra , madre comune, ei monti che levano l' alte cime, formano il sacro ven tre di lui ne fanno la zona media i tumidi flutti del mare sonante. L'ultima base che sostiene il nume, sta nell' intime radici della terra e negli ampj spazi del l'erebo e negli ultimi confini che inaccessa ed immota spande la terra . Tutte le cose egli nasconde primamente nel mezzo del petto, e poi le manda fuori nell'alma luce con opera divina . » Tra le figure poetiche non si può non vedere in quest'inni l'opera della riflessione che affaticasi di scoprire e spiegare l'attinenza fra Dio e l'universo , confondendola, per abuso d'induzione, con l'attinenza tra l'unità delle sostanze e la moltiplicità c mutabilità de'fenomeni. Non fa dunque meraviglia se Pitagorici, Eleati ed Ionj che presero gli esordj dalle dottrine orfiche e de' Misteri e però dall'antiche tradi zioni pelasghe, cadessero nel panteismo. Ecco dunque i passi che sembrano fatti dalla reli gione fra gl’Italogreci . Prima è un tal panteismo natu rale, in cui le divinità sono le forze della naturu ; non le forze per altro simboleggiate, come interpretò poi la scuola de' Fisici (Plutarco la distinse sì bene dall'an tica scuola de' Teologi) , bensì le forze naturali confuse con gli attributi divini. In quel panteismo, come nel Rig Veda, gli dèi son poco determinati : differiscono poco gli uni dagli altri ; escono tutti e rientrano nel Dio unico ( Creuzer, V , 4) . Talche certi Padri pensarono ch'ei fosse un culto dell' unico Dio creatore , e tal culto contrapposero alla corruzione posteriore dell'idolatria ; Storia della F lofint. 17 258 PARTE PRIMA. ill 1 ma, veramente , non può chiamarsi un teismo , bensì un panteismo naturale, dove nondimeno le tracce del l'unità di Dio si conservano così spiccate da causare l'opinione ch'io vi diceva. Però le divinità pelasghe non avevano un nome , dice Erodoto ; e a dar loro un nome s ' opponevano le sacerdotali tradizioni ( Ispot 20091) . E come narra Platone nel Cratilo che prima si chiamò in genere 0 : 9 le divinità, così cabiri le dissero i Pelasghi, ossia ( forse) potenti; e ciò risponde agli dei complices o consentes degli Etruschi. Poi, questo panteismo naturale si ristrinse più par ticolarmente (e specie nel culto popolare) all'adorazione degli astri , dove più che in altro ci apparisce la po tenza di Dio : e che sia così l'attestano Platone ( Fileb. e Crat. ) ed Aristotile (Met. IV , VI, IX ). Allora Zeus o Giove fu proprio il cielo ; e si mantenne questo nel detto volgare : Giove che fa ? per dire : che tempo fa? Ma il panteismo naturale de' sacerdoti più e più si foggiò a sistema d'emanazioni, per ispiegare con modo determinato la dipendenza di tutto dalla causa prima ; e indi le teogonie e cosmogonie orfiche e quella d’Esio do. Le operazioni divine, allora, ebbero nome partico lare, e vennero simboleggiate con immagini esterne; come narrai che la triade pelasga prese il nome dall'onnipo tenza e dalla fecondazione; e si sa del Giove con tre occhi in Argo ( Pausania ), della Venere piramidale di Pafo, e co' due sessi ( statuina nella bibliot. naz. di Pa rigi), dell' Apollo a quattro mani, del Sileno a due te ste , di una dea a quattro teste nel Ceramico d' Atene, del Giano bifronte, della Diana mammellata d'Efeso e della Cibele come informe pietra. Tutti questi nomi e simboli, a poco a poco divennero nomi e attributi pro pri di certe divinità specificate; e la Trimurti, le cui vestigia restano fin anche negli dèi omerici, Giove, Net tuno e Plutone, s'individuò per modo che l'un Dio non più si confuse con gli altri, e questi si moltiplicarono all'infinito . Però, questa individuazione favoriva il politeismo LEZIONE DECIMATERZA. 259 a volgare e si mescolava con esso, e n'era eccitata e lo eccitava ; e ambedue si stabilirono più che mai con l'arti del disegno, che lasciati quasi del tutto i simboli, ri dusse gli dèi a forme umane, con alcune qualità pro prie di ciascuno. Un'ombra di simbolo restò, ma velata, nelle forme tra maschili e femminili di Bacco e d'altri dei , figura sacra dell'androgenia, quando s'abbandono la rozzezza dello scarabeo ( Winkelman , St. dell'arte ec. ) ; e tal simbolo (sia detto di passaggio ) alcuni artisti vo gliono imitare quasi perfezione di membra umane e le sono immaginarie! Fatto sta che la scuola d'Egina, Polignoto, Fidia, Prassitele, imitando i poeti ebbero più ch'altro efficacia nel fermare quel politeismo di dèi spicciolati . Vuolsi por mente adunque, o signori, che da un lato restava la tradizione sacerdotale, benchè più e più cor rotta, e cresceva dall'altro il politeismo. Come restava la tradizione ? Ne' Misteri ; già lo vedemmo. E perchè mai dovè occultarsi ? Dicono le memorie antiche , i primi re di Grecia e d'Italia fossero ad un tempo sa cerdoti , capitani e giudici; patriarcato ch'è origine d'ogni nazione. (Arist. Pol. III, 14. ) Le memorie stesse ci nar l'ano poi d'un contrasto lungo e sanguinoso tra le classi sacerdotali e le guerriere ; il che apparisce anco nell'In die ; ma se ivi le liti si composero stabilmente, fra gl'Ita logreci al contrario scapitò la classe sacerdotale che ( l'accennano i racconti circa Erettéo e gli Eumolpidi) si dovè segregare in alcuni luoghi, come Eleusi, lasciando a' re tutto il resto ; e così , a poco a poco, e tanto più quando sorsero i governi popolari, s'abbandonò l'inse gnamento religioso e restò solamente i riti esteriori del sacrifizio e delle feste. Quell'insegnamento , dunque, escluso da ' popoli, rifuggivasi nel mistero, in que'luoghi appunto che la classe sacerdotale abitò, com’Eleusi e i sacri querceti di Dorona. E che fa intanto la filosofia ? Ella è sacerdotale dap prima, o teologia, perchè tenute le tradizioni asiatiche, cresce nel sacerdozio pelasgo ed orfico ; poi, nell' età che 260 PARTE PRIMA . > il sacerdozio si separa e s’asconde, dalle semenze reli giose de' Misteri germogliano i primi sistemi come i pi tagorici, che han del sacerdotale e del laicale ad un tempo. Questa filosofia , perciò, combattè dapprima il politeismo, per esempio ne' frammenti di Xenofane che derideva il fingere dèi a somiglianza nostra . Poi, dac chè il concetto di Dio sempre più s' annebbiò, i poste riori consentirono a' tempi, e gl' Ionj, gli Eleati, e molto più i sofisti, menaron buona, se non altro come appa renza o come credulità popolare la mitologia. Nè altrimenti andò negli ordini tutti della civiltà . Di fatto ; quando i governi regi si mutarono in popola reschi, molta efficacia e salutare v'ebbe la filosofia mercè i Pitagorici, e segnatamente Zeleuco e Caronda , i cui frammenti di leggi muovono dal dimostrare che Dio è ; ma in progresso la filosofia non potè resistere alla li cenza , fu perseguitata, e però cadde in mano di sofisti che inventarono l'arte della parola per la parola, malvagi adulatori di plebe e mercanti di cavillo. Abbondando le ricchezze, nate da operosità, fiorirono scienza ed arte ; ma successe un abito d'ozio e di godimenti, e la Ma gna Grecia e l'Ionia caddero in mollezze di trista fama . Resisterono i primi sapienti, come dimostra l'istituto pitagorico ; ma cedè a poco a poco la loro austerezza, e già Xenofane canta « ch'è dolce nel verno stare al fuoco bevendo, e domándare all'ospite : quant'anni avevi tu quand' il Medo invase ? » il Medo, o signori, invasore della patria ! lei sofisti, all'ultimo, la filosofia diventò l'arte di godere. Nell'ordine morale s'arrivò a tal segno ch'Ate neo ( L. IX) rimprovera Platone, perch'e' disse nel Sofi sta come Parmenide amava Zenone d'Elea ; quasichè tal parola, detta di giovane, non ricevesse mai buon senso . E la filosofia , resistente dapprima co' Pitagorici, giunse co ' sofisti all'indifferenza tra bene e male ; indifferenza molto diversa e peggiore dell'indiana ; chè questa è non curanza del moltiplice e vario ch'apparisce, in grazia dell'unità sostanziale, ma quella è non curanza senz'al tro ; ivi è un'ombra di moralità, qui nessuna . LEZIONE DECIMATERZA . 261 Mostrate così l ' attinenze tra filosofia, religione e ci viltà degl'Italogreci, resta che vediamo il principio e la successione de' loro sistemi. Cominciamo da dire che in tutta questa età e per confessione di tutti, v'ha incer tezza sul tempo preciso de' varj filosofi ; e bisogna ri correre il più a Diogene Laerzio, autorità poco accet tata . Le congetture dunque son lecite ; e tutti ne fanno. Avvertirò inoltre che sul definire l'età de' tempi remoti variano le tendenze degli Orientali e de' Greci; que sti tirano al meno e quelli al più. Per che ragione ? I Greci amando la certezza de' fatti, li trasportano quanto più si può nel tempo storico, e lontani dal favoloso ; al contrario degli Orientali, che amano l'indefinito de se coli ; effetto del panteismo. Premesso ciò , rammentate , o signori, che prima dell'undecimo secolo avanti Cristo Pelasghi ed Elleni si mescolarono insieme; e allora co minciò l'età delle colonie ; e da esse la più nota civiltà italogreca. Quali preparazioni vi riscontriamo noi per la filosofia ? La civiltà pelasga, le dottrine orfiche, i Mi steri ; inoltre le comunicazioni più che mai frequenti per l'Asia minore ( dove prosperavano tante colonie) coll' Asia media. E che tempi erano quelli per l'Asia media ? Rammentiamocene, o signori ; erano i tempi di splendida civiltà, quando circa il mille avanti Cristo si compilavano i Vedi ed i poemi, e fiorivano le scuole di filosofia. Chi potrà dunque negare, che date tali prepa razioni e la civiltà delle colonie, e dato quell'impeto di vita civile ond' il pensiero s'agita tutto, e poste le sedi nuove in paesi non selvaggi come l' America , ma già inciviliti, sorgessero presto le speculazioni filosofi che ? Non farebb' egli un'ipotesi strana chi le credesse indugiate a tre o quattro secoli dopo, fino a Talete, anzichè colui che le dicesse più meno già in via circa il mille od al novecento prima dell' èra volgare ? A ogni modo, tempi precisi non se n'ha ; e poichè la critica devé supplire, parmi più ragionevole vi supplisca così, che stando ad indizi già riconosciuti per poco probabili . La filosofia mosse anc' allora da un ritorno sulla 262 PARTE PRIMA. coscienza morale ; ce ne assicura la moltitudine di sen tenze attribuite dagli antichi a ' Sette sapienti ; a uno de' quali, cioè a Chilone, si reca il detto : conosci te stesso . Abbiamo poi alcuni tra ' poeti gnomici, come le recide, della cui antichità non si dubita punto ; e chi, Foclide per esempio, lo fa contemporaneo, chi anteriore a Pitagora. Le sentenze di Mimnermo, Evano, Metrodo ro, Teognide e va' discorrendo, mostrano chiaramente la riflessione sulle verità morali , benchè nascosta in afori smi . Così queste di Foclide : « Non dire mendacio, ma parla sempre con verità. Primieramente venera Dio e quindi i tuoi genitori . Non disprezzare i poveri , nè voler giudicare alcuno ingiustamente, perchè se tu giudiche rai male, Dio poi ti giudicherà. Fu da Dio a’mortali dato in uso lo spirito ch'è immagine di lui. Il corpo abbiamo dalla terra e si scioglie in essa e siam polve re, ma lo spirito va in cielo . » Or bene, io dico, e mi sembra di poter essere sicuro, che codesta filosofia morale e religiosa sorse e fiori prima del panteismo materiale di Talete e d’Anassi mandro ; perchè n'ho prove storiche ( come dirò) , e per chè dalle tradizioni sacre orientali e orfiche non si poté saltare in un subito alla materialità . Dove fiorì ? Non in Italia soltanto co ' più antichi savj della scuola ita lica, ma nell' Asia minore altresì, fra gl ' Ionj, dovunque insomma germinò la civiltà ellena. Di fatto, che che vo glia credersi delle tradizioni circa Pitagora e del suo venire dall' Ionia, esse, unite alla certezza che Xeno fane pure ne derivasse, mostrano almeno che l'antichi tà non reputò straniere agl' Ionj 1 ' idee pitagoriche ed cleate. Aggiungete che Talete ha molti più segni di spiritualità che non i posteriori ; e tal peggioramento non si può negare . Perchè dunque, dimanderete, vien solo ricordata la scuola italica ? La risposta è facile e il caso è comune ; si ricorda i luoghi dove la scuola più crebbe e durò . y Ma la scuola pitagorica o italica, dimanderassi an cora, ell’è anteriore a Talete, cioè al panteismo mate LEZIONE DECIMATERZA . 263 riale degl' Ionj ? Mi sembra certo, purchè si distingua Pitagora dal Pitagoresimo ; questo è la totalità di dot trine comuni a tutta una scuola di filosofi ; quegli è un tal nome, parte storico, parte simbolico, che può essere prima o dopo, senzachè provi l'anteriorità o posteriorità della scuola nel suo nome rappresentata. E nondimeno anche sull'età di Pitagora son diverse l' opinioni. 1 ° Quanto a Pitagora, il Meiners lo crede nato al 584 avanti l'èra nostra ; lo crede nato il Lacher al 608 . Come si determina ciò ? Per autorità non salde, e per vie di congetture. Talete poi , secondo Apollodoro, sa rebbe nato il 640, anteriore perciò a Pitagora ; dáta non senza incertezze. ( Ritter, St. della fil. ant.) Ma ecco il Niebuhr ( St. Rom . I) che contrapponendo a Polibio ed a Cicerone l'autorità d'alcuni scrittori orientali, crede probabile la contemporaneità di Pitagora e di Numa ; talchè andremmo più oltre che la data di Talete ( 717-679 ) . - 2º Avanti alle dáte di Pitagora s'ha in Italia Zeleuco e Caronda, legislatori l'uno di Locri e l'altro di Cata nia ; e ne' frammenti di quelle leggi v'ha il segno delº pitagoresimo. Il Krug fa Caronda del 668 ; il Benteley, l'Heyne, il Saint Croix, il Centofanti, del 730. —3. Quando Pitagora venne in Italia , si dice che subito la scuola crescesse tanto di numero e di potenza, da bisognare feroci persecuzioni a spiantarli : il che umanamente non può accadere. La scuola dunque precedeva. — 4º Il perso naggio di Pitagora, l'istitutore insomma del Pitagore simo, diventò un simbolo in gran parte ; il che dà segno d'antichità molta, e di tradizioni orientali. — 5° Nella scuola pitagorica è mescolanza di culto e di specula zione ; e ciò indica il passaggio dall' età teologiche alle filosofiche o laicali , che in modo distinto vengono più tardi. — 6. Secondo la comune leggenda, tra l'istituzione della scuola italica , il suo prevalere anco negl' istituti civili, e la sua persecuzione, corsero pochi anni; il quale rovesciamento di favori popolari si dà presto a un uomo, tardi a un potente consorzio d'uomini. – 7. La storia di Pitagora, simbolico in gran parte, ha natura 264 PARTE PRIMA . di leggenda ; e sogliono le leggende avvicinare tempi lontani ; indi le confusioni dette di sopra. -8° Nella scuola pitagorica son chiare e molte le vestigia orfiche; talchè l'antichità di queste palesa l'antichità di quella che le raccoglie; com'elle poi diminuiscono in progresso, e ap pena si scorgono negl' lonj. – 9. I Pitagorici han forma di consorteria, e tra loro è comune e costante un corpo di dottrine. Ciò rammenta , o signori, gli usi orientali che sempre più si perdono nelle repubblichette popolari; e rammenta l'antichità più remota, dove più vale l'unione e l'autorità. Aristotile dà la filosofia de' Pitagorici come una, e vi scopre solo differenze accidentali. - 10. Le tavole d' Eraclea, lette dal Mazzocchi ( come accennai già) , mo strano un incivilimento anteriore, e quindi un'antica preparazione alla scienza . E delle prove d'antica civiltà nelle genti d'Italia recherò qui cosa che pare non fosse disputata fra' Greci , val a dire ch'essi, come dice Ta ziano (Or. contra Greci, § 1 ) prendessero da’ Toscani la plastica. — 41., Il Cousin dimostra con le autorità non ricusabili di Sozione, d' Apollodoro e di Sesto che Xe nofane nasceva il 620 avanti l'èra volgare, un 60 anni circa prima di Pitagora stando agli anni del Meiners. Ora , se la dottrina di Xenofane tenne del Pitagoresimo, come mai sarebb'egli tanto più vecchio del suo maestro ? 12° Se bisogni stare alle memorie greche talquali, i capi della scuola pitagorica e d'Elea vennero d'Ionia ; men frechè in lonia correva un tutt'altro pensare. Qui, pren dendo la cosa talquale, v'ha due inverisimiglianze, prima che ne luoghi de' capiscuola non ci avesse quell'indirizzo di speculazioni, come sarebbe assurdo che d'Alemagna venissero in Italia fondatori d'eghelismo e là non n'ap parisse il focolare ; seconda, che piuttosto que' filosofi cercasser favore in Italia, sé qui non preparato il ter reno. Ma tutto si concilia, quando il silenzio delle me te , in tanta oscurità di tempi dissero all'incirca il più rino mato, tacquero il meno, senza negarlo bensi, chè non lo conobbero forse. Dissero la scuola ionica, tacendo la . LEZIONE DECIMATERZA. 265 scuola religiosa comune là ed a' Magnogreci, perchè più celebre qui ; dissero i più famosi capi delle scuole itali che, tacendo le lontane e recondite preparazioni. – 13° E ch'elle ci fossero, mostra il celebre passo di Platone che fa dire a Zenone d'Elea : queste opinioni sull'uno co minciarono da Xenofane, anzi da più antichi di lui . ( S0 fista .) Il Brandis ed il Ritter crederono s'alludesse ad avere quella dottrina germe innato negl' intelletti. Al che ripugna il Cousin e con ragione. Prima, qui si parla storicamente e non teoreticamente ; poi, se volesse allu ( lere a germi naturali e senz' origine, come mai, anzi , parlerebbe Platone di cominciamento anteriore ? ( te 2.2.1 i te tepisºsv č.pčarevov) - 14. De primi Pitagorici non v'è scritti ; scrissero i più vicini al tempo di Socrate ; e ciò per l'uso degl'insegnamenti orali, per la costanza delle tradizioni e pel segreto delle dottrine religiose. Or tutto ciò è segno d'antichità e risponde agli usi orientali . Nella scuola ionica poi sembra che fino il primo, cioè Talete, scrivesse versi , probabilmente prose ( Diog. Laert. I, 34, Plut. de Pitiæ Orac. 18, Arist. Phys. ) ; il che mostra un fare più nuovo, e desiderio di stabilire la novità. 15. L'uso di non iscrivere, uso lasciato si tardi da ' Pita gorici, spiega ben anco il perchè sembrò più recente « lella scuola ionia il pitagoresimo : più recenti erano le scritture, non la loro filosofia. 16 ° Recherò infine ( lue singolari testimonianze di Padri greci , d'Ermia verso la fine del secondo secolo, e d' Eusebio dottissi mo ne' libri originali della greca filosofia . Ermia , dun que, nell'opera Derisione de' filosofi gentili enumera le contrarie opinioni loro sull'anima, sul bene, sull'im mortalità, sulla divinità e sui principj del mondo ; e poichè ha.rammentato varj filosofi, viene a Pitagora e lo distingue dagli altri così : egli d'antica nazione ( S 8) . Qui, segnalare tra gli altri Pitagora per antichità, è nota bile assai . Eusebio, poi, più espressamente nelle Prepa razioni evangeliche ( lib . X , cap. 4) dice : che Pitagora nacque a Samo o in Toscana o altrove, ma non greco, e ch' egli fu principe de filosofi, talchè alla filosofia ita 266 PARTE PRIMA. lica succedette la ionica e l'eleatica. Anzi anche Giu seppe Flavio ( Lib. VII) rammenta tre filosofi prischi con quest' ordine qui , Ferecide Siro, Pitagora e Talete. Questi argomenti, la cui tesi è convalidata pure dal l'autorità del Niebuhr, del Cousin, del Gioberti (nel Buono), del Poli (Appendice al Manuale del Tennemann, trad .) e del Centofanti ( Pitagora ), e che non hanno in contrario argomenti positivi di tradizione, o concordi autorità di storici antichi, mi fanno sicuro che il pita goresimo, come scuola religiosa e morale, anteceda l'altre scuole ; poi venga l'eleatica, e come più affine alla pri ma, e come precedente a Xenofane stesso per la dottrina dell'unità universale ; succeda loro l’ionica, quant'al suo cominciamento bensì, non quanto alla sua conti nuazione che s'accompagna ( com' accade) con l'altre ; e vengano infine, su che non ha dubbio, le gative. I quali sistemi darann ' argomento ad altra lezione. vole ne 267 LEZIONE DECIMAQUARTA. SCUOLE ITALOGRECHE. SOMMARIO . Causa interiore del Vilagoresimo è la necessità d'una riforma morale : da ciò l'esame di coscienza posto per principio di filosofia e di vita buona. Cause esteriori. Si volle la riforma religiosa e morale da cui la civile , per mezzo della filosofia . - Parti non dubbie nelle memorie degl'istituti pitagorici . Notizie su Pitagora e sugli altri più famosi . Quali documenti abbiamo certi sulla scuola italica . - Il Carme aureo i antico .- Le notizie che ci danno gli Alessandrini non vanno accettate senza esame, ma nemmeno rigettate con leggerezza. - Oggetto della filo sofia pitagorica , suo fine e metodo . — Quali cagioni dettero impulso a quel metodo che fu applicazione d'idee matematiche. Ma ciò non vuol dire che lal dottrina stia in un ideolismo matematico ; giacchè la monade si pensò come una forza. - Il numero rappresentava l'attinenze o l'armo. nia ; indi il simbolo musicale . Due furono i significati del numero , it simbolico ed il reale . Verità del metodo matematico ; suoi eccessi nel pro cedere dall'astratto al concreto : esempi varj . – Si cercò le leggi mentali della quantità effettuato nella realtà, per salire con esse a Dio, causa , ragione e legge. Dio è principio de'principj; e poichè i principj delle cose si dis ser numeri, Dio è il numero per eccellenza . -Questo è l'unità . – L'unità bensi presa , non come parte d’un tutto , ma in senso generale. - A Dio non si può applicare il concetto d'uniti nemmeno in quel senso ; Dio è sopruni tà ; ma l'errore precedė dalla induzione astrattiva . Si dimostra co ' do cumenti che il significato dell'unità pitagorica ė panteistico, ma ondeg giante tra il vero ed il falso . - L’unità , come per gl'Indiani, parve l'indefinito che si determina . — Grandi verità contenute nell'implicitezza di quelle dottrine. — Dio si pensó come unità suprema di tutti i contrarj; l'universo , come i contrarj in atto , e ridotti all'armonia da Dio . - L'uni tà generale o la monade che si distingue in monadi secondarie, spiega lo teoriche d'allora sugl'intervalli, sul vuoto, sull’intinito, sul finito ec . L'anima è numero , ed è nel corpo come Dio nel mondo ; è l'armonia del corpo . La verità è l'uno e il numero ; l'errore va fuori dell'armonia. -- Intelletto e senso . — Dio , ragione prima del conoscere, perché gl’intelletti si credettero divini. Poi, perchè Dio è il numero per eccellenza , e il nu mero è l'esemplare del mondo. Quanto alla scienza , si sbagliò cercando sempre l'assoluta necessità razionale. Numero e armonia il bene; disar monia il male. - Fine dell'anima intellettiva il ritorno all'essenza pri ma . --- Come si tentó fuggire le contraddizioni del panteismo naturale negando la cognizione diretta dell'essenza. - Xenofane tentó fuggirle col panteismo ideale. - Cinque concetti principali di Xenofane : Dio è uno ; sommo potere ; gli manca ogni contingenza e però non è nè finito nė infi nito né in quiete nè in moto ; Dio non può nascere, perchè il non ente non può dal nulla divenire qualcosa : Dio è il tulto . — Indi segui che il mondo è apparenza . – l'armenide stabilisce chiaro il doppio aforismo degli Eleati e degl ' Ionj, e condanna il secondo . Muove dall'idea generale d'essere ; Dio si fa più indefinito che in Xenofane. – Tutto è idea . Melisso fa Dio più indeterminato ancora, chiamandolo un qualcosa . -- Gli attributi della moralità non più appariscono . – Panteismo materiale de gl'Ionj : nasce in condizioni opportune. - Il moto delle cose vien conside rato nell’ente o nell'assoluto , ch'è la materia eterna divina , dotata di pensiero . – Diversità nel concepire tal moto fra ' dinamici e i meccanici. 268 PARTE PRIMA. E la causa prima del moto la posero diversamente in quella cosa che più parve trasmutabile in ogni altra cosa . – Talete ba dello spirituale anco ra ; la grossolanità materiale viene crescendo . Anassayora vide l'assur dità del panteismo , e prese il dualismo ; ma non détte troppo alla mente . — Idealismo ateo di Protagora ; materialismo di Democrito ; le due forme di scetticismo particolare . Scetticismo universale di Gorgia ec . Misticismo d'Empedocle ; e perché il suo sistema paia indeterminato ed ecclettico . — Due schiere d’uomini ; gli atei e i l'itagorici di quel tempo : interpreta zione storica , e interpretazione fisica della mitologia . Qual è mai, o signori, la causa interna del Pitago resimo ? La necessità d'una riforma morale; necessità pro fondamente sentita da uomini ornati, quanto la Gentilità comportava, di grandi virtù. Il conosci te stesso fu esame di coscienza morale negli istituti pitagorici, e fonda mento altresì di speculazione ; chè, nella coscienza e'tro varono il dovere e nel dovere Dio. Cagioni esterne furono il guasto crescente della religione, de costumi e della li bertà, al quale s'oppone il Pitagoresimo, e inoltre ( com’ho avvertito più volte) le tradizioni e i commerci d'Oriente, le dottrine orfiche ed i Misteri. Si volle, pertanto, una riforma religiosa e morale, da cui venisse la civile; e cri. terio a tutto ciò désse la Scienza . Il che spiega gl'isti tuti pitagorici su cui gli Alessandrini mescolaron favole, ma la natura di consorteria e un culto segreto ( Ritter ) e la sostanza dell'arti educative non cadono in dubbio. La riforma religiosa si tentò co’riti e dommi segreti ; la morale con l'opporsi a tre vizi , voluttà, superbia ed ava rizia , ed esercitando anima e corpo nella musica e nella ginnastica ; la civile , domando la licenza con abiti disci plinati ossia con l'autorità ( curos pz) e con la vita co mune. Il discepolato morale preparava così alle specu lazioni , e, preparato, s'elevava l'alunno a gradi più alti e più liberi. ( Centofanti, Pitagora ; Ill . del Giardino Puccini.) Circa Pitagora o di Samo nella lonia o di Samo nella Magna Grecia, poco v'ha di sicuro e con mescolanza di simboli ; pare tuttavia che un fondamento storico v’ab bia e ch'egli fosse uomo di molta dottrina e virtù. Per la dimenticanza in che vennero le colonie di Magna Gre cia e tutte le antichità italiche dopo le conquiste di Ro LEZIONE DECIMAQUARTA . 269 ma, e per la guerra feroce contro i Pitagorici, non ne sappiamo quasi nulla ; li sappiamo bensì a lor tempo in molta riverenza. Si rammentano con più certezza Liside, Clinia e Archita cittadini di Taranto in Magna Grecia, Eurite e Filolao o di Taranto o di Crotone. Archita , il più celebre di tutti, capitanò più volte gli eserciti , e non ebbe mai la peggio ; buon padrefamiglia e cittadino, domatore di sè stesso, famoso per invenzioni e scoperte in musica ed in matematica e per libri d'agricoltura . Sul finire del quinto secolo avanti G. Cristo, la scuola pitagorica venne atrocemente perseguitata ; molti fra gli scampati, o si rifuggirono in Grecia o si sbandarono in Italia. Sembra che l'odio movesse da opinioni politiche, parteggiando essi per gli ottimati ; ma chi badi alla se gretezza del culto attestata da Erodoto, e alla tradizione che un capopopolo attizzò le ire, invelenito dal non es sere accolto nell'adunanze, s'accorgerà che trattasi qui , come per Anassagora e per Socrate, del politeismo vol gare geloso e persecutore. Gli scritti col nome di Timeo, d'Archita e d'Ocello Lucano sono apocrifi, e i frammenti di Brontino e d'Euri famo; ma non quelli di Filolao (vedili nel libro d'Aug. Boecckh su Filolao, e nel Ritter) ; i quali col Carme aureo e con ciò che narra Platone ed Aristotile sulla scuola italica, ne dánno contezza . Nel sostanziale di essa gli storici vanno d'accordo. Quanto al Carme aureo , e's'attribuì a Filolao, a Epicarmo, a Liside, a Empedocle ; da Crisippo a'Pitagorici. Sta il Mullachio per Liside; e : mostra, comunque, che ne' versi aurei non v'ha nulla di non antico, e come un alemanno, secondo l'usanza di molti critici odierni , neghi l'autenticità pel dubbio di tre" sole parole, che a lui non paiono antiche ; e antiche le dimostra il Mullachio. ( Fragm . Phil. Græc. Didot, 1860. ) . Le relazioni che ci danno del pensar pitagorico gli Ales sandrini, non vogliono accettarsi senza discrezione ; chè in loro la critica è poca, molta la voglia d'interpretare a lor modo gli antichi; tuttavia dire come si dice) che il Pitagoresimo, quale dagli Alessandrini si descrive, non 270 PARTE PRIMA. i 2 7 > I meriti fede per le grandi somiglianze con Platone, è dir troppo, sapendosi negli Psilli di Timone Fliasio (3° secolo av. G. C. ) che quegli ebbe in gran pregio i Pitagorici : « E tu, o Platone, giacchè ti possedeva l'animo il desiderio di sapere, comprasti con gran pecunia un piccolo libro, da cui imparasti a scrivere tu pure il Timeo. » ( Fragm . Phil. etc. ) La filosofia de' Pitagorici, come tutta la filosofia an tica, come la filosofia d'ogni tempo, meditò i primi prin cipj dell'essere, del conoscere e dell'operare. Il pensiero della causa suprema ch'è ragione e legge, vediamo bene da tutte le loro memorie che occupò quegl'intelletti for temente. Fine della filosofia parve loro ed a tutti gli antichi, la liberazione degli errori e de' mali comuni, ma con tal divario dagl'Indiani , che la speculazione dovesse congiungersi all'operosità civile . Metodo di filosofare fu il matematico ; cioè l'applicazione d'idee matematiche alla natura universale, così esterna come interna, e al suo principio. Onde mai tal metodo ? quali cagioni gli dettero im pulso ? Già negli antichi v'ha inclinazione di filosofare a priori sul mondo (sebbene l'esperienza, anch'esterna, non s ' escludesse dai Pitagorici) , perchè mancavano gli stromenti; poi, premeva più lo speculare teologico, re cato altresì nella fisica ; e le lunghezze d'una fisica os servatrice non si comportavano in tempo, che i varj studj non erano scompartiti tra più dotti . Inoltre l'arimmetica e la geometria vennero d'Asia, nate tra le scienze più antiche, perchè non bisognose d'osservazione. Altresì di tali scienze s’aveva necessità tra popoli commercianti e tra colonie che dissodano terreni, asciugano paduli, e scavano canali . Più, la discordia tra' politeisti e il mono teismo - antico fece spiccare, quant'al concetto di Dio, le nozioni d'uno e di moltiplice, come anche si scorge nel vecchio Testamento . Infine, tempo é spazio ci danno la quantità, e sappiamo che l'induzione falsa indíava, come ne' Vedi, lo spazio e massime il cielo ( onde l'uranismo), e il tempo ( onde l’Aherene de' Persiani, il Crono de Greci , LEZIONE DECIMAQUARTA. 271 il Saturno de' Latini), talchè le tradizioni orientali e or fiche, cadendo in tali concetti, davano impulso a quel modo di filosofare . I Pitagorici, dunque, parlano dell'uno, del due, del tre, del dieci e delle combinazioni loro allorchè discor rono del mondo e di Dio. Ma si vuol credere forse che tal metodo li riducesse a vane astrazioni ? ossia, ch'e'sti massero Dio e il mondo idee matematiche e nulla più ? In altre parole, il Pitagoresimo fu egli un idealismo matematico ? No, sicuramente ; Aristotile lo spiega chiaro dicendo : ch'essi stimarono le cose una imitazione de'nu meri (μίμησιν είναι τα όντα των αριτμών. Μet. I , 6) . Ini tazione, dunque; a leggi di numero, cioè, rispondono le cose ; e la mente ritrova l'une nell'altre ; e in questo è la scienza. Anzi (e va notato accuratamente ), che mai restava pe' Pitagorici, levato il composto ? Restava la monade. E che cos'era la monade ? Forse un'astratta unità , o l'atomo indifferente inattivo di Democrito e di Leucippo ? No ; ma l'essenza ch'è una forza : il concetto di forza o d' attività prevale nel Pitagoresimo, così ri spetto a Dio come rispetto al mondo. Di fatti, e ch'è mai, secondo i Pitagorici, l'ordinamento universale se non la continua limitazione (o determinazione) dell'inde finito ? Ciò resulta da molti riscontri , ma singolarmente dallo specchio de contrarj ( di cui parleremo) . Inoltre, Dio per que’ filosofi è mente e causa o principio ; causa è l'anima ; e causa d'ogni armonia è l'unità. ( Frag. di Filolao ; Siriano, Com . Met. d ' Arist. XIII; Ritter St. Fil. ant. ; Bertini, Idea d'una Fil. della Vita, vol. 2. ) Quindi, pe' Pitagorici, le leggi del numero e della geo metria rappresentavano l'attinenze; cioè , significavano il rispetto d'una cosa all'altra, e d'uno all'altro con cetto, l'armonie particolari e l'universale ; da ciò i lor simboli musicali. Si dica pertanto, o signori , che per la scuola italica eran due i significati del numero ; significato simbolico e reale. È significato reale quando noi diciamo : Dio è uno e le creature sono moltiplici ; e così dicevano essi 272 PARTE PRIMA. che Dio è il numero per eccellenza, cioè l'unità e la totalità d'ogni perfezione. È significato simbolico quando s'astrae i numeri a significare gli oggetti ; come dicendo (per esempio) l'unità e il numero, e s'intendesse Dio e le creature ; così parlavano più spesso i Pitagorici . Al lora si fa come l'algebrista un linguaggio figurativo . assai comune agli Orientali ; e ciò toglie l'apparente stranezza delle parole. Il metodo matematico ha egli verità ? Certo non manca di buon fondamento, perchè tutto nel mondo si distingue o d'essenza o d'accidenti o di parti , di gradi o di potenza o di atti ; e tutto, dunque, è capace di numero e di misura . Per altro, le leggi matematiche non hanno da cercarsi a priori nella realtà, bensi con l'osservazione; come Galileo, osservato il cadere de corpi, vi scoperse la quantità del moto crescente. Trovata la legge matematica, s'applica poi a nuove scoperte, come dalla legge matematica delle oscillazioni s'inventò il pen dolo. Chi volesse procedere a priori, sbaglierebbe, perchè dalla idealità non si può concludere la realtà contingente ; per esempio, dall'idea d'un circolo non si può conclu dere ch'e' si dia in natura. Bensì, nella realtà si scopre ognora leggi ideali a cui essa risponde sempre (come le proporzioni tra spazio e velocità nella caduta son sempre le stesse ), ed anche, esemplando il reale all'ideale, quello vi combacia, come, facendo un circolo, i raggi gli ha sempre uguali. Ebbene la scuola italica non ignorò i buoni metodi della osservazione e delle matematiche applicate; già ho notato le dottrine fisiche d'Archita ; del metodo sperimentale di Polo ci ragguaglia Aristo tile (Met. I) ; le dottrine musicali d'allora fan supporre molti esperimenti ; Erodoto scrivche i medici italiani erano i più reputati ; e tutti sappiamo le meraviglie d'Archimede. Tuttavia il metodo astratto ebbe il diso pra . Così , rappresentando il principio, il mezzo ed il fine col numero tre, lo vedevano in ogni cosa ; però Filo lao divideva il mondo in tre parti. Il numero dieci è compiuto in sè stesso , perchè si compone sommando i LEZIONE DECIMAQUARTA. 273 suoi quattro numeri primi ? ebbene, dieci i pianeti . Cin que i corpi regolari nella geometria ? dunque altrettanti gli elementi, e ciascun d'essi n ' ha la figura ; la terra ha il cubo, il fuoco la piramide, l'aria l'ottaedro, l'ac qua l'icosaedro, l'etere il dodecaedro; e dunque, altresì cinque i sensi . Se i quattro numeri primi , sommati tra loro, fanno il dieci ; e se i quattro numeri pari ( 2, 4, 6, 8 ) e i quattro numeri dispari ( 1 , 3, 5 , 7) , sommati, fan tutt'insieme trentasei, la tetrattisi o quadernario dovrà riscontrarsi nelle cose ; e quattro, per esempio, sono i gradi della vita : minerale, pianta, animale e uomo ; e , ne' corpi, il punto è unità, la linea è qualità , la super ficie è triade, il solido è quadernario, si compone, cioè . di quattro punti. Questo metodo, applicato alle cose dell'esperienza, riuscì arbitrario non di rado, e se, inalzato a Dio, ne guastò il concetto per l'astrazione dell' indefinito ; pure, accompagnato come fu da tradizioni buone, da molte virtù morali , da preziose osservazioni interne ed anco esterne, ed eccitando la speculazione, fece sorgere tra gli errori belle e profonde verità . Quel metodo era (com’ac cennai) : trovare le leggi mentali della quantità geome trica e arimmetica effettuate nella realtà e salire con queste alla prima cagione, alla prima ragione ed alla prima legge. Però dice Filolao che l'intendimento mate matico è il criterio di verità. La prima cagione dell'essere, che è ella mai ? Sic come i Pitagorici voller trovare i principj delle cose e il principio de principj, così precede il quesito : che son mai tali principj ? Risponde Aristotile : « I Pitagorici , educati nelle matematiche, dissero i numeri esser prin cipj delle cose. » ( Met. I, 5) cioè tutte le cose si ridu cono a leggi supreme di numero, e queste leggi costi tuiscono la loro essenza . Or bene, che cos' è la prima cagione ? È il primo principio, per Filolao ; è la causa che antecede ogni altra causa, per Archita : « quam Are chytas causam ante causam esse dicebat, Philolaus rero omnium principium esse affirmabat. » ( Siriano, alla Met. Storia della Filosofi . - 1 . 18 274 PARTE PRIMA. l' Arist. XIII. Dunque se i principj delle cose son numeri, il primo principio è tale altresì; o, come diceva Hierocle nel commento al Carme aureo ( Fragm . Phil. Græc.): « Se tutto è numero, Dio è numero. » Che nu mero ? Il numero per eccellenza. Che cos' è il numero per eccellenza ? Vediamolo . Il moltiplice fa supporre l’unità ; e l'unità n'è sem pre il principio ; così abbiamo solido, superficie, linea, punto ; questo è il principio della linea, della superficie e del solido. Dunque Dio, ch' essendo il primo principio, è il numero per eccellenza, è altresì l'uno per eccellenza . ( Aless. Afrod . Comm . alla Met. d ' Arist.) Resta da ve dere che cosa sia l'uno per eccellenza . L'unità , idealmente, si può considerare e qual parte che compone la pluralità, e quale idea generica che abbracci la pluralità stessa. Diciamo: il venti è compo sto d'uno più uno, più uno ec.; ecco le unità che com pongono un tutto. Diciamo ancora : una ventina, un centinaio, un migliaio, un milione ; ecco l'unità gene rica che abbraccia ogni numero, considerato come unità . Nel primo caso, l'unità è l'elemento della pluralità ; nel secondo , è la forma mentale che fa capaci di compren dere in un concetto le moltiplicità sparpagliate. E in tal senso l'unità si può chiamare il numero per eccel lenza, giacchè abbraccia ogni numero. Or bene, o signori, si può egli applicare a Dio l'idea d'unità ne' detti significati ? No ; Dio non è il compo nente della moltiplicità ; nè Dio è un che generico e comune alle moltiplicità particolari. L'unità di Dio è, a dir così, una soprunità, come, secondo i Teologi, le rela zioni personali della Trinità son soprannumero. ( S. Aug. in Joann. Evang. ) Si dice uno per negare il moltiplice, nulla più ; e chi confonde l'analogia di tali concetti col significato proprio, o cade nel panteismo, o accusa erro neamente la filosofia e la teologia. Si domanda, per tanto : la scuola pitagorica usò que' concetti nel signi ficato vero ? Da’tre frammenti di Filolao apparisce che Dio per lui è imperatore sommo e duce, uno, eterno, LEZIONE DECIMAQUARTA. 275 permanente, immobile, simile a sè stesso, diverso dal l ' altre cose, potentissimo, supremo, e che solo conosce l'essenza eterna. Anzi, Siriano nel luogo già citato dice, che pe' Pitagorici Dio è una e singolare causa, astratta « la tutte le cose, e superiore alla dualità de' principi, la quale vedremo più qua : « Ante duo principia unam et singulam causam , et ab omni abstractam præponebat. Parrebb'egli, dunque, che l'unità de' Pitagorici sia nel senso buono ? Il Bertini ( Op.cit. , vol. II) va interpretando più benignamente che si può certe opinioni pitagoriche. le quali ne farebbero dubitare ; e tuttavia conclude: « Il sentimento religioso e morale gl'induceva a collocare Dio molto al disopra del mondo ; ma il fato della logica li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza e ricacciavali nel panteismo. » Che vuole dir mai fato della logica ? Vuol dire la necessità di certe conse guenze, dati certi principj . Or via, quali son dunque i principj che menavano al panteismo, non ostante l'alte verità frammischiate in abbondanza ? Era, appunto, il concepire Dio quasi unità generica, o numero per eccel lenza ; e questo in grazia della non buona induzione. Di fatto, poichè i numeri son pari ed impari, e l'unità, cioè il numero genericamente preso, s'estende ad en trambi; così la scuola pitagorica chiamò Dio pari ed impari, e diceva che l' uno è l'essenza di tutte le cose ( Arist. Met. I ) ; l'essenza delle cose chiamata eterna ( la Filolao ; che inoltre affermò, le cose diverse e con trarie non istarebbero senz'armonia , e tale armonia è il numero per eccellenza, cioè Dio ; aggiunse, che tal numero è legame all'eterna durata del mondo; anzi ( e questo val più ), esso legame produce sè stesso . (V.framm . i Filolao nel Ritter . St. della Fil. ant.) Finalmente. Dio pe' Pitagorici è limitato ed illimitato ad un tempong 11pTLOTES PITTOy, Arist. Met. 1. ) Par dunque certo ch ' essi concepivano Dio com'unità generica, in cui s 'uniscono potenzialmente i contrarj del mondo, pari e dispari, femmina e maschio, male e bene, e via discorrendo ; contrarj che si distinguono attualmente quando il poten 276 PARTE PRIMA. ziale viene all'atto, e l'illimitato si limita, e l'essenza universale ( conosciuta solo da Dio, cioè da sè stessa) si determina mano a mano ne' fenomeni . Dubitò il dotto Bertini che s'intendesse da' Pitagorici, non dimmedesi mare le cose in un' essenza, ma d'accennare che Dio la in sè i contrari perchè li supera. E non esito punto a dire che ciò e ' tenevano forse, ma in confuso, e la con fusione generava il panteismo . Di fatto, se quel concetto era limpido, essi non avrebber detto che Dio è pari ed impari ; giacchè i contrarj sono il modo finito delle per fezioni mondane, e però non si contengono in Dio. Si risponderà : noi n'abbiamo un'idea più chiara. Va bene ; se i Pitagorici avesser capito chiaro come Dio superi l'universo infinitamente, le parole chiare l'avrebber tro vate anch'essi. Anzi, l'infinito lo pigliavano per l'inde finito o potenziale ; e quindi, il finito sembrò a loro il perfetto, e l'infinito l ' imperfetto. Aristotile serbò lo specchio delle contrarietà in dieci antitesi (dispari e pari , finito e infinito, uno e più, quiete e moto, luce e tenebre, bene e male ec. ) , fatto da qualche Pitagorico ; e Simplicio notò come le contrarietà si comprendano si risolvano in Dio. ( Arist. Met. I, Simpl. Phys.) Inol tre , come il mondo era la decade, cioè la pienezza d'ogni grado d ' entità , e così Dio ; che riceveva nome d'ogni numero, unità , diade, triade, quadernario ( o solido), set tenario, decade. Dimodochè pe Pitagorici, come per tutta la filosofia pagana (avvertite, o signori ) , il quesito della causa pri venne a quest' altro : Come si limiti 1 illimitato ; ossia , pensarono gli antichi che la produzione del mondo consistesse nel determinare in atto la potenzialità prec sistente : talchè Filolao pone tre principj, l’illimitato. il confine, e la causa ( το απειρων, το πέρας, το αίτιον ). Il che parve in due modi : i Pitagorici , com’i pan teisti ionj e indiani, dissero che quel potenziale sta in Dio ; i dualisti, che e' sta fuori di Dio, ed è la mate ria informata da esso. Nella scuola italica , poi, la im plicitezza de' concetti adombrò alte verità ; Dio (per ma LEZIONE DECIMAQUARTA. 277 esempio) , legame del tempo e dello spazio, se non si prende com ' identità d'ogni essenza , vuol dire benissimo che l'unità divina con l'unico atto creatore e conser vatore fa l’unione del moltiplice disgregato : però Dio è l'armonia dell'armonie . Che cos'è dunque Iddio pe' Pitagorici? L'unità su prema di tutti i contrarj. Che cos'è l'universo ? I con trarj in atto, e ridotti da Dio all'armonia . Come l'unità generica non diviene numero se non si distingua in unità determinate o particolari, così la monade suprema non genera il mondo se non si distingua in monadi o so stanze particolari. Che si richiede, o signori, a formare il numero ? L'unità e la distinzione d'un'unità dall'al tra. Ma la distinzione, considerata mentalmente, non è forse un concetto negativo e indeterminato, dacchè si gnifichi che l'una cosa non è l ' altra ? Or bene ; e pen savano essi che a formare l'universo ci voglia le unità o monadi particolari, poi la loro distinzione; ossia, come ( lice Aristotile, elementi positivi da un lato, elementi nega tivi dall'altro. Da queste due maniere d'elementi si fa tempo e spazio ; nel tempoi momenti e la distinzione di un momento dall'altro, cioè gl'intervalli; nello spazio i punti e la distinzione d’un punto dall'altro cioè il vuoto. Tal cosa venne simboleggiata con l'ispirazione del vuoto ; ossia distinguendosi le monadi, il vuoto entra in loro com'aria ne’polmoni . I due elementi , il positivo ed il negativo, uniti tra loro, fanno la diade o il pari; l'ele mento positivo o l' unità, così sola come aggiunta al numero pari (per esempio il tre ), fa il dispari . Ed ecco, o signori, l' unità nell'altro senso ch'io spiegava di sopra , cioè nel senso non generico ma particolare di compo nente il composto. Talchè l'unità nel senso generico è Dio ; le unità nel senso particolare fanno il mondo. Ed ecco altresì perchè si diceva da’ Pitagorici che il pari è illimitato , illimitato perchè il vuoto e l'intervallo ( o la negazione) è in astratto un che potenziale, può ricevere distinzione da' punti e da’ momenti all' indefinito . Si diceva per contrapposto che il dispari è limitato, giac 278 PARTE PRIMA. chè chiude l'intervallo ed il vuoto tra due estremità positive o tra due monadi , riduce in atto la potenza, e si fa la triade, numero perfetto che ha principio, mezzo e fine. Voi capite, o signori, come per la teorica de’toni e degl' intervalli si vedesse analogia tra la musica e l'universo. Il quale, venendo dall'essenzá eterna come necessario svolgimento d'attività, non ha reale comin ciamento, è ab eterno ; comincia sì , ma quant' al nostro pensiero ( -o iniyocav) , ossia il pensiero nol può con cepire altrimenti . Nè s'avvidero essi che se il pensiero nol può concepire senza cominciamento, segno è che l'op posto è irrazionale . Che cos'è l'uomo nell'universo ? Un'anima razionale che sta nel corpo come in u sepolcro , diceva Filolao. L'anima è numero e armonia ( Plut. De plac. phil. IV , 2 ), o monade che riduce ad unione la moltiplicità del corpo e n'è principio di vita e causa motrice. Se Platone confutò nel Fedone la sentenza che l ' ani ma è armonia , combatte i materialisti che ponevano l'anima com'un risultamento dell'unione corporale, an zichè com’un principio di essa, a mo' de ' Pitagorici. Ma Platone invece s'accorda con Filolao dicendo, che l'ani ma è sepolta nel corpo. Se non che in Platone ha senso più dualistico ; ma ne’ Pitagorici significò (badando noi alla totalità delle lor opinioni), che come Dio è l'anima del mondo, e vien da essa immediatamente l'anima uma na ( V. Ritter e Bertini), così vien dalla terra, infima ne'gradi dell' entità e delle emanazioni tutte, il corpo . Derivano da tutto ciò le teoriche sulla ragione som må del conoscere e sulla legge dell'operare. Come l'en tità , così la verità è l'uno e il numero, e l'errore va fuori dell'armonia ; talchè come il numero fa la misura di ciascun ente o la specie loro, e fa l' attinenze del l'uno all'altro, così la verità è nell' attinenza dell'in telletto con le specie degli enti e con le loro attinenze. Ma come si conosce da noi ? Il simile col simile ; però distinse la scuola italica il senso dall' intelletto come in due parti ( Cic. Tusc. IV , 5 ) ; l'intelletto è di LEZIONE DECIMAQUARTA . 279 vino e si conosce per esso (benchè in modo relativo, dice Filolao) la divinità della natura ; il senso è terrestre, e si conosce per esso il fenomeno o l'apparenza sensibile. Ragion prima del conoscimento è dunque Dio ; ma com’es senza prima degl'intelletti. In Dio sta la ragione pri ma, non solo perchè raggiano da lui gl'intelletti , ma perche Dio è numero, e il numero è l' esemplare del mondo; esemplare riconosciuto dall' intelletto. ( V. il Cou sin e lo Stalbaum , ambedue nel commento al Timeo .) Però, avvertite, o signori, la scienza pe' Pitagorici, come per ognuno che n'abbia vero concetto, stette nel ritro vare la necessità razionale di ciò che conosciamo. Essi voller saper non solo ciò che è ed accade, ma perchè ciò dev'essere ed accadere. Tuttavia successe a loro quel che ad ogni panteista ; si credè di trarre a priori le cose dal conoscimento dell'essenza universale, come le pro prietà d'un triangolo. Ma invece, e lo dissi altrove, la necessità razionale ( eccetto la ontologia e la teologia naturale e le loro applicazioni e le matematiche) sta solo in vedere come, supposto un che, ne venga di neces sità un altro per attinenza ; ad esempio, data la per cezione, non può non essere il corpo, o data la volontà negli uomini che son razionali, non può non essere la libertà. L'assoluta necessità vedesi solo dove può trarsi l'illazioni da un'idea, anzichè sperimentare de' fatti; nel resto è necessità ipotetica, e non altro ; o anco è sola contingenza. ( V. Lez. I. ) Come l'entità e la verità sono numero, negazione la potenzialità indefinita e l'erro re, così è numero ed armonia il bene, disarmonia o ne gazione il male. ( Arist. Met. I.) Il bene è misura, il male è dismisura : da ciò quel detto pitagorico : « La misura è ottima, pétpov Žpustov . » E come Dio è l'ar monia universale, il numero per eccellenza, egli è il bene o misura o legge. Però, come l'intendimento va per armonie matematiche e musicali, così la volontà ; e indi nasce la virtù, ch'è numero dentro di noi, componente la discordia degli appetiti ( Carme aureo, 57-60 ); numero fuor di noi nell'educazione della famiglia e della città . . 280 PARTE PRIMA . - am - ( Fragm.di Luc. Ocello. ) Allora l'anima si va conformando a Dio (ov.02.09749. Tapos to delov ) ; la disforme da Dio passa in corpi diversi con la metempsicosi od è punita nel Tartaro ; la conforme a Dio ritorna nell'essenza ond'ella emanò. » Sarai, dice il Carme aureo, un Dio immorta le, incorrotto, non sottoposto a morte ( v. 71 : ETEL 0212. τος θεός, άμοροτος, ούκ έτι θνητος) . Signori, chi non mirerà, in mezzo a quell'ombre, la luce di sì alte dot trine ? Ma, tralignando i tempi, la filosofia traligno. Il sistema pitagorico è, quant'a'principj, un pantei smo naturale ; perchè l'unità per eccellenza vi comprende lo spirito e la materia, distinti poi come tutte l'altre contrarietà. Come voleva egli scappare il Pitagoresimo alla contraddizione suprema d'identificare tutte le contrad dizioni ? Dicendo che non conosciamo l'essenza in modo diretto : quasichè importi tal conoscenza per escludere l'assurdo. La scuola di Elea tentò fuggire la contrad . dizione, escludendo la materialità, il moltiplice ed ogni mutamento , e così creò un panteismo ideale. Xenofane, nato a Colofone d'Ionia il 620 av. G. Cri. sto, venne assai tardi ad Elea città di Magna Grecia . L'idealismo suo nasceva prima di lui; ma egli lo recò a sistema. E l'idealismo nasceva per più cagioni ; pri ma, com'ho detto, ad evitare le contraddizioni del pan teismo naturale ; poi, perchè il sistema idealistico ha dello scetticismo, a cui ora pendevano i Dorj non più austeri, e più gl'Ionj (ionica pure la colonia d'Elea); scetticismo voluttuoso e mesto che apparisce nel poeta Mimnermo, di Colofone anch'esso, e in alcuni versi di Xenofane; inoltre, già il sistema pitagorico, benchè com prensivo, faceva prevalere i concetti spirituali , però Xeno fane, vissuto a lungo in Ionia , venuto poi in Italia, mostra nell'ontologia l'idealismo italico , ma nella cosmologia la fisica degl'Ionj. Egli scrisse in versi , e ne resta frammenti, da cui , com'anche da Platone e da Aristotile, si rileva le sue opinioni . ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Uscì di patria per le invasioni Lidie, viaggiò in Sicilia, si fermò in Elea o Velia ; e visse più che centenne. ( Censorino.) LEZIONE DECIMAQUARTA . 281 Xenofane ha di Dio un'idea sublime. Egli è uno, non simile all'uomo, immoto, è tutto vedere, intendere e udi re . Ma si deve, o signori, notare cinque concetti che formano il sostanziale del sistema. Dio è uno. Xenofane tolse il principio pitagorico che l'uno si converte con l'ente ; però Dio, entità suprema, è uno. L'unicità di Dio , Xenofane la provò benissimo per un secondo concetto ancora, ch'è la potenza. Voi sapete già, o signori, che per la scuola italica l'unità o la monade o l'entità ( vocaboli equivalenti) è forza, è un'energia . Ciò pure affermò Xenofane ; e però Dio, ch'è l'ente , è sommo po tere ( 20 % TELY ) : quindi se più dèi uguali, nessuno è po tentissimo per l'eguaglianza, se più dèi inferiori, nes suno è potentissimo per l'inferiorità. Talchè Xenofane, riprensore d’Esiodo e d'Omero, scherniva com’empie le superstizioni volgari, e, diceva, se i cavalli sapessero di segnare, fingerebbero gli dèi a loro sembianza. Traeva da ciò un terzo concetto ; che a Dio manca ogni contin genza, finità e infinità, moto e riposo. L'infinità ? In che senso la nega egli Xenofane , e contro chi ? Nel senso d'illimitato o indefinito che si determina con atti successivi ; contro i Pitagorici pe' quali Dio è infinito e finito ad un tempo, si distingue nell'universo e vi si muta perennemente, benchè immutato nell'essenza : for s'anche, dove Xenofane accenna il moto e il riposo, con futa le opinioni degl' Ionj già cominciate e già oppo ste all'italiche più antiche, ma pe' Pitagorici ancora Dio comprende in sè le contrarietà fra cui Aristotile notò ( come vedemmo) il moto e la quiete, ugualmente che il finito e l'infinito, il finito ch'è quiete, l'infinito (indefi nito ) ch'è moto. Crederemo noi dunque, o signori, che quest'altra verità , in Dio non essere contingenza, con ducesse gli Eleati al Dio creatore ? No ; e si scorge dal l'esame d'un quarto concetto, per sè vero, ma falso nell'applicazione : Dio non può nascere. Va bene ; ma per chè ? udiamolo, signori; il perchè ce lo dà il trattatello De Xenophane, Melisso et Gorgia, attribuito ad Aristo tile , non di lui forse, antico ad ogni modo. Si dice, adun 282 PARTE PRIMA. que : Dio non può nascere, perchè l'ente non può non essere, e il non ente non può dal nulla divenire qual cosa. L'ente, ch'è per essenza, certo non può non essere ; ma il non ente nel significato di Platone e pitagorico è il contingente ; che può non essere appunto, giacchè non è per essenza sua propria, bensì dall'ente. Xenofane, per altro (notate, vi prego, siguori), prese il non ente in significato di nulla, e il nulla è impossibile sia mai altro che nulla ; ma ciò che diventa, è nulla in sè, nulla non già nella potenza causatrice. Che ne conchiudeva Xenofane ? Non solo che non si dà creazione, ma che non si dà pure causalità nessuna ; non v'ha che l'es senza immobile, infeconda, inaccessibile. ( ch'è dun que il resto ? o quel che ci pare in continua mutazione ? Fenomeno, apparenza, illusione, e nulla più ; talchè la fisica che si fa con l'apparenze è illusoria, non è scien za . Però egli disse in un verso : « Queste cose (del mondo) non hanno altra vita che l'apparenza, e appartengono alla opinione. ( Plut. Symp. IX. ) De' dubbj di Xeno fane sul mondo parlo altresì Timone Fliasio ne' Psilli. ( Fragm . Phil. Græc.) E per provare ciò s'adoperava un quinto concetto : che Dio o l'ente è tutto, o intero . ( Fragm . di Xenoph.) Che vuol egli dire ? Cerchiamolo . Che idea vi dà, o signori, l'infinità ? Certo, pienezza d'es sere, cioè che ivi non ha mancamento . Ma tal pienezza significa forse il tutto ? No, chè tutto è idea relativa : tutto, implica parti ; e quindi ogni tutto può essere più o meno, come numero ch'egli è ; nè numero assoluto si dà ; mentre assoluto è l'infinito. Or bene, l'induzione astrattiva concepisce il mondo com'un tutto e confonde l'infinità ( come pienezza d'essere) con l'universo . Così accadde agli Eleati ; e però Aristotile scriveva di Xeno fane : « Contemplando egli il tutto del mondo, disse che l'unità è Dio. » Indi l'aforismo eleatico, uno è l'ente e il tutto (ey to y uzi có Tiv) . Che si concludeva mai da questo ? Poichè al tutto non manca nulla, e l'ente è il tutto, nulla può cominciare, perchè sarebbe aggiun gimento : quasichè, o signori, ciò che viene dall'efficienza LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 creatrice aggiungasi all'infinità . E però vedete, che dove gli Eleati pareva negassero l ' indefinito pitago rico, van poi al medesimo vizio ; perchè si piglia Dio com'un tutto generico, che viene simboleggiato con lo sfero. Resta da sapere che foss'egli per Xenofane l'ente o Dio . È ragione assoluta, intelletto essenziale. (Fragm. di Xenoph .) Che v'ha dunque più di pitagorico negli Eleati ? Si lasciò la parte corporea ed ogni moto e restò la spirituale, divina ed immutabile ; quindi è un pan teismo ideale. Il qual sistema si continuò in Parmenide, in Zenone ed in Melisso. Parmenide d’Elea nacque probabilmente nella 65a Olimpiade, e fiorì nella 69 ", ossia 504 avanti Gesù Cristo. Dice Plutarco ( Adv. Colot.) ch'egli détte alla patria leggi avute in grande amore. Zenone d'Elea , scolare di Parmenide e nato verso l'Olimpiade 719 , amo di cuore la patria , e poichè un tiranno lo condannò a morire, sostenne da uomo il supplizio : Melisso di Samo fiori verso l'84a Olimpiade, seguì Parmenide, fu uomo di Stato, e capitano gl'Italioti contro Pericle. Questi gli Eleati più famosi. L'opinioni di Parmenide vi son date assai chiare ne' frammenti del suo poema. ( Fragm . Phil . Græc. Didot. ) E che si trova in quelli fin da princi pio ? I due aspetti, già separati da Xenofane : l'ente, che unico è ; e il non ente o l'apparenza, che non è : non è , o signori, in modo assoluto e non già perchè semplice contingenza. Ci ha due vie, scriveva Parmenide, di filo sofare : 0 porre che l'ente è e che il non ente non è (70 ury; vedi anche il Parm . di Plat.), e questa è la via retta, perchè s'afferma l'ente e si nega il non ente o l'apparenza ; o, al contrario, porre che l'ente non è c che sia di necessità il non ente, questa è via non retta. Si descrive così la via degli Eleati da un lato, e la via degl'Ionj dall'altro, i quali si fermavano a considerare il moto delle cose . Ebbene, che concetti ha egli Parmenide allorchè e' mostra che l’ente è e il non ente non è ? Gli stessi di Xenofane : l'ente è conosci 284 PARTE PRIMA . 1 bile con la sola ragione, ingenito, non mobile, tutto ( cudow ) unigeno, eterno ; non fu nè sarà, perchè ora è tutto insieme; non può esser nato , perch'è assurdo che l'ente non sia ; non divisibile, somigliante a sè stesso intera mente, riempie ogni cosa ; la dura necessità ( dir.n ) lo stringe in vincoli (ossia egli è necessario ; necessità di Dio trasferita da' panteisti al mondo ed alla volontà uma na ); egli non è infinito ( atedrventov ) , non bisogna di nulla, ed è lo stesso il pensare e ciò che si pensa. ( Framm . e segnatamente v. 66-94.) In che Parmenide differì da Xenofane ? Quegli ha forma più scientifica di speculare, perchè comincia dall'idea universale dell'essere, e la contrappone al non essere. ( Ritter, Bertini.) Ma crede reste voi che Parmenide s'avvantaggi su Xenofane, come nella severità dialettica, così nella perfezione dell'idea ili Dio ? Anzi, dove il maestro partì dall'idea di Dio, ragione pura, santità essenziale e provvidenza, lo sco lare poi con un vizio più rilevato d'induzione si fermò al concetto dell'essere generale, nè v'apparisce punto la personalità divina : sicchè Parmenide non avversa come Xenofane la mitologia , anzi l'accetta qual credenza po polare. In man di lui, perciò, il sistema eleatico si rese più ideale. E questa idealità condusse Parmenide (sem bra un paradosso ), come anco Xenofane alla confusione lel senso e dell'intelletto . Quanto a Xenofane apparisce da un verso di lui in Sesto Empirico ; e quanto a Parme nide, lo notò espresso Aristotile ( ppovaly usy tér vistn512) . Mentrechè il sensista dice : la sensazione è idea e tutto : l'idealista dice : l'idea è sensazione e tutto. Ma sorge contraddizione nuova : se intelligenza e senso son tut t'uno, come potrà egli il senso darci l'illusione ? Ep pure, Zenone d'Elea non pare ch'altro volesse co’suoi strani sofismi fuorchè mostrare : com’abbandonandoci all'apparenze del moto e del moltiplice, cadiamo sem pre in contraddizioni. E la parte negativa di tal sistema s'accrebbe in Melisso che ( notate, o signori) muove dal l'ente indeterminato come Parmenide, ma lo significa in modo più indeterminato ancora , chiamandolo un qual LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 cosa. ( V. Fragm . Phil. Græc. Didot ; De Xenophau Melisso et Gorgia ; Arist. de Soph. Elenchis, e Plat. Thecet.) Se non che, Melisso torna co’ Pitagorici a dire che Dio è infinito, negando a loro ch'e'sia finito, per chè l'ente non ha principio nè fine . ( Fragm . 2. ) E ciò va bene ; ma pare che qui terminasse l'infinità nel concetto di Melisso ; egli non lo concepì come infinitu dine assoluta d'entità, e pero dotato d'efficienza crea trice e pensiero puro ; anzi l' indeterminatezza di quel l'astrazione fece sì ch'egli non parla dell'intelletto e della bontà di Dio, e l'idea ne vacilla dinnanzi com'om bra informe e vana. ( Ritter, Bertini.) Così da Xenofane in poi vi fu scadimento, come da ' Pitagorici agli Eleati . Questi bensì fecero progredire la dialettica tendendo a conciliare i contrari , e Aristotile fa inventore di quella Zenone, che si sa da Diogene Laerzio aver composto dialoghi. Se la scuola pitagorica seguitò, ma con forme più filosofiche, il panteismo orfico nella sua totalità , gli Eleati ne presero la parte ideale ; gl’Ionj la corporea e sensuale. Ell'è perciò la setta men filosofica . In che ci viltà ? Tra'costumi voluttuosi della Ionia , e in quelle città che presto soggiacquero alla servitù de’Lidj e de Persiani. E se voi mi domandate, o signori: Que' sistemi da che gente vennero professati ? Rispondo, che salvo i più antichi, cioè Talete e Anassimandro nati a Mileto nel l'Asia minore, delle virtù cittadine di tutti gli altri non si sa nulla ; o sappiamo d' Eraclito ch'era superbo, duro e solitario . Di Talete stesso, bench’ Erodoto ricordi un consiglio di lui agl' Ionj , Platone ( Teetete) dice ch' ei s'astenne da' pubblici negozj . Qual diversità dalla storia de Pitagorici ! non ci meravigli, pertanto, la diversità ne sistemi. ( Fragm . Philos. Græc. Didot, 1860.) Il moto delle cose lo crederono gli Ionj nell'asso luto. E che cos'è l'assoluto ? La materia del mondo. unica entità , eterna, divina, dotata di pensiero ch'è di vino attributo. Tutti gli Ionj. fuorchè Anassagora, ebber ciò di comune ; e s'assomigliano alla scuola degli Eghe 286 PARTE PRIMA. liani materiali che succedettero agl' ideali . Ma gl' Ionj diversificarono tra loro nel concepire il moto dell'uni verso ; chi, come Talete e Anassimene, Diogene d'Apol lonia ed Eraclito, ebbe un sistema dinamico ; chi, come Anassimandro e Archelao, un sistema meccanico. Ed ec cone il divario : cercaron tutti la prima cagione delle cose, ma pe' dinamici la produzione si fa con isvolgi mento di forze vive, come gli animali e le piante ; pe’miec canici la produzione non ha se non forme apparenti . mutandosi solo le particelle inerti come ne’minerali. La dottrina vera comprende le due opinioni ; perchè la cau salità modale trae sempre in atto le potenze, l'atto si produce (dinamica ) ; benchè quest'atto poi non ci dia sempre una specie o un individuo, come nella generazione degli animali, bensì talora un aggregamento come ne'mi nerali. A ogni modo, tal dottrina non s'applica punto alla causalità creatrice ; e gl’lonj, negando che dal nulla si faccia nulla, negando qualunque causalità che non operi sopr'un soggetto preesistente, non s'avvidero, che tal cau salità non può dirsi assoluta, ma condizionata . Questo in genere ; venendo poi a specificare la causa prima, gl’lonj la posero chi nell'una e chi nell'altra cosa che più parve trasmutabile in ogni altra o quasi un germe, secondo i dinamici, o quasi elemento univer sale, secondo i meccanici: Talete nell'acqua, Anassi mandro in una natura media ( udtaču puçev ) , e però lo chiama principio (apua) , Anassimene nell'aria, Eraclito nel fuoco, Diogene altresì nell'aria . Ma, badate, o si gnori , nè quell'acqua, nè quell' aria, nè quel fuoco, son proprio ciò che ne vediamo; è un che più intimo e uni versale, simboleggiato in cose visibili secondochè queste parevano più acconce a figurare l'universalità , come l'acqua che tutto abbraccia, l' aria per cui si vive, il fuoco che tutto vivifica e distrugge. E con questo pensare la causa prima, s'andò di male in peggio. Talete serba confuso al materiale un < he di spirituale ; però dice che tutto è pieno degli dèi e che in ogni cosa è la mente, e, secondo Cicerone LEZIONE DECIMAQUARTA. 287 ( Quest. Tusc. I), professò l'immortalità dell'anima. È un panteismo materiale, ma confuso ed implicato : vi si sente ancora le reliquie della filosofia teologica più antica , già comune (com' io dissi ) agl'Ioni, anzi a ogni gente ellenica ed agl' Italioti ; e però i Padri citano di Talete molti detti sapienti sulla natura di Dio. Anassi mandro svolgeva la parte materiale dicendo che il prin cipio, in cui tutto ritorna è infinito , perchè l'origine o il cominciare non termina mai ( tov © vo ) trn doury ENOL Ó žosipov . Fragm . Phil. Græc.; Didot) ; però gli dèi nascono e moiono, e son astri e mondi; e la specie umana venne da' pesci. Anassimene seguitò quella via ; nè altrimenti Eraclito, benchè questi , che cita Pitagora e Xenofane (Diog. Laert. IX , e Clem . Alex. Strom . I ), désse alla dottrina del fuoco le apparenze d' una misti cità orientale. Non si discostò dalla teorica degl'Ionj circa la causa lità l'altra teorica sulla ragione prima. Qual è la ragione del conoscere ? questa, che il principio conoscitore sia formato della materia universale, di cui si formano le cose conosciute, dacchè il simile si conosca pel simile. Sembra che di morale gl'Ionj ne parlassero poco ; e ciò sta col materialismo loro ; Eraclito bensì pone la legge nella ragione universale o divina, palese con le leggi della patria ; Achelao nega ogni legge necessaria ; e il giusto e l'ingiusto fa nascere dalle convenzioni umane. Tal panteismo ch ' è sempre a priori non détte, benchè materiale e salvo poche verità , una fisica buona. All'assurdità del panteismo volle rimediare Anas sagora da Clazomene, nato verso il 500 avanti l'èra nostra , però distinse la mente dal mondo. Ma non la stimò creatrice ; sicchè s'apprese al dualismo ; anzi, (lacchè spiega poi la formazione del mondo come gli al tri Ionj meccanici, non si sa bene che ufficio e' désse alla mente divina in ordinare, il mondo. ( Plat. Fodone.) Il suo libro cominciava : Tutte le cose erano insieme ; l'intelligenza le divise e le dispose. (Diog. Laert. II, 6.) E così distinse Dio, o la mente ( vojv) , dalla natura ; e 288 PARTE PRIMA . + 1 questa pose in particelle simili , omeomerie, che son semi delle cose o per la disposizione già ricevuta o che rice von poi di mano in mano ( 2.pay.tov otepusta.). Diogene di Apollonia in parte lo seguì , ma peggiorando ; chè fece l'aria dotata di mente, e quindi ordinatrice. Archelao pure, ultimo fra gl' Ionj, alla confusione primitiva sta bili ordinatrice la mente ; ma questa non va esente di materialità ( Fragm . Phil. Didot); talchè il dualismo di Anassagora isterili. Che tenne dietro, o signori, alla confusione del pan teismo ed alla separazione del dualismo ? La negazione degli scettici , particolare dapprima, universale poi. E di fatto, già svolte l'opinioni de' Pitagorici e d'Elea, ben chè non anco terminate ( come va sempre), e già comin ciato il sistema d' Anassagora, sorsero pressochè ad un tempo le sette degl'idealisti e de' materialisti. L'idea lismo ateo venne da Protagora (di cui nel dialogo con tal nome ed in più luoghi scrive Platone ); colui , non si sa quando nato, fiorì verso il 444 avanti l'èra nostra . Il principio d’un suo libro cominciava : Degli dèi non so nulla ; e Timone Fliasio scrive, che Protagora quantun que dicesse ignorarli , osservò la legge ossia le cerimo nie legali ( Fragm . Phil. Græc.) : nella osservanza della legge i sotisti posero moralità e religione. Diceva Pro tagora con gl' Ionj : tutto si muta ; e con gli Eleati : tutto apparisce. Questa proposizione viene dall'altra ; perchè se nulla r’ha di stabile, tutto è fenomeno od ap parenza . Vedete, o signori, come l'idealismo nascesse dall' opinioni anteriori. E sulle due proposizioni già dette si fonda il sistema di Protagora, che disse perciò : se tutto muta , nulla è in sè stesso ; e se tutto apparisce, l'apparenza solo è vera ; vere l'apparenze contrarie , veri i contradittorj, vero insomma tutto ciò che si pensa, e l'anima è la somma dei diversi pensieri ( Condillac, Kant), e il fine del discorso sta nel produrre l'appa renza : qui è il sostanziale dell'arte sofistica . Che vi pare, o signori, non lo dicono anch ' oggi : tutto è vero quel che si pensa ? Quasi contemporaneo, ma un po'dopo LEZIONE DECIMAQUARTA . 289 è Democrito d'Abdera, nato per Apollonio il 460, e per Trasillo il 470 ; talchè, se fiorito con Protagora il 444. ciò sarebbe avanti a' 16 od a'26 anni ; impossibile il primo caso, non verosimile il secondo, perchè Democrito dettò le cose sue dopo lunghi viaggi . Sa degl'Ionj, perchè materialista, tiene bensì degli Eleati , perchè muove dal concetto dell'ente ; e dice : unico ente il vuoto e lo spazio con gli atomi nel seno ; dalle loro congiunzioni e dalle figure matematiche conseguenti nascono le qualità ; e poiche il simile si conosce col simile ( τα όμοια ομοιών είναι apestira ), v'ha conoscimento nell'anima, essendo ella un atomo a cui vengono le figurette o immaginette dei corpi ; rozza fantasia che male s'attribui ad Aristotile. E Dio che cosa è per Democrito ? Compiacendo alle plebi , egli finse dèi come immagini enormi, ma sotto posti a morte ; vero ateismo. ( Fragm . Phil. Græc. Di dot .) Vuol notarsi che Leucippo fiori con Eraclito il 500 ; ma poichè il materialismo giungeva non opportuno. mancò allora il successo, in tal maniera che di Leucippo non si sa pressochè nulla. Se Protagora s'accostò allo scetticismo universale, non mi pare che vi giungesse : affermò che tutto si muta, e ch' è solo quale apparisce, non si sa per altro ch'e' ne gasse l'entità delle cose in questa loro perpetua muta bilità ed apparenza ; chi giunse a tal punto, risoluta mente, espressamente, ſu Gorgia di Leonzio ( V. Dial. di Platone col nome di lui, e altri dialoghi) ; perchè scrisse un libro sul non ente, cioè sulla natura, e volle provare che o nulla è, o se è non può conoscersi o se si conosce non può significarsi . Con Protagora e Gorgia v ' ha una schiera che la Grecia infamò col nome di So tisti, Prodico, Eutidemo e simiglianti. Chi erano costo ro ? L'antichità gli ebbe per uomini venali. In che ci viltà vennero ? In età di corruzione . Che frutto recarono ? Dicon gli antichi: pessimo nell'arte, nella scienza e nel l'educazione della gioventù ; benchè, come si vedrà, fossero occasione di qualche miglioramento. Ma ecco fiorire verso que' tempi ( V. Tavole del Storia della Filosofia . - I. 19 290 PARTE PRIMA. Krug) un uomo che vuol riparare a tanta dubbietà. Chi ? Empedocle. Con che ? col misticismo a cui s'ac compagna ( come accade sulla fine dei sistemi) un fare d'ecclettico. ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Da'frammenti del suo poema ( népe ouro ) e da' detti d' Aristotile e d'altri si raccoglie che il sistema d'Empedocle non è già fisico solamente ; Dio per lui è mente santa incor porea : e nè un pretto dualismo, perchè il mondo è tutto, e c'è divinità mondane o fisiche : e nè un pretto pan teismo, perchè si distingue la mente divina e gli atomi : che cos'è dunque ? Parmi ch'e' non avesse un concetto nitido, com'accade agli ecclettici; e così di lui pensa rono gli antichi : alcuno lo fa di Parmenide, altri pita gorico, Platone lo mette con Eraclito, e Aristotile con Leucippo, con Democrito e con Anassagora. Ma prevale il misticismo; perchè ne' frammenti del poema, Empe docle si dà com’uomo miracoloso, e si crede un Dio immortale; e veste da sacerdote. In lui sentite lo scet ticismo e l'estasi ; egli pone la mente, umana in parte ed in parte divina; quella c' illude, questa ( come dice il Ritter) dà un santo delirio e sorge alla contemplazione mistica di Dio nella natura. Tal è l'Yoga indiano, tali gli Alessandrini. E questi, di fatto, ebbero in grande stima Empedocle ; ma Platone ed Aristotile, osservato ri, lo pregian poco. Tuttavia egli seppe dimolto, e valse in fisica, e fu ben altr'uomo dei sofisti ; onorato dai suoi cittadini ed in tutta Sicilia . Così terminò quest'epoca, ed ebbe strascico lungo in due schiere d'uomini; atei la cui morale era il piacere, Evemero, Ippone, Nicanore, Pelleo, Teodoro, Egesia e Diagora ; Pitagorici o dati anch'essi al materialismo, così Ecfante, o mistici la maggior parte. Questi atei com ' Evemero interpretarono storicamente la mitologia : gli dèi furono uomini indiati, non altro . La scuola fisica poi degl'Ionj, più tralignati, la interpretò fisicamente : gli dèi son le forze uniche della natura  EPOCA QUARTA DELL' ÈRA PAGANA. SISTEMI GRECOLATINI. CICERONE . 011 SCU pre SOMMARIO . Moltitudine di scuole tra la seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra volgare fin al quarto secolo dell'era stessa , sullo spartimento delle quali non sono chiari gli storici. Criterio per la distinzione del . l'epoche , e quindi per l'assegnazione varia de ' sistemi. Con tal crite rio , le dette scuole si spartiscono in due classi. – La prima classe si sud distingue ; 1º negli eruditi ; 2 ' negli scettici ; 3 ne ' sistemi grecoasiatici : tutti formano la fine dell'epoca terza, cioè sono la conseguenza de ' sistemi anteriori . La seconda classe , o de' sistemi grecolatini, fa un'epoca da sė , cioè l'epoca quarta . È un'epoca nuova , per la tentata riforma, e per l'efficacia grande cosi di Cicerone come de' Giureconsulti. — Cagione del sorgere tardi la letteratura e la filosofia in Roma. Elle sorsero, quando i Romani non furono più con tutta la mente in fatti gravi e giornalieri . Allora può la riflessione volgersi alla coscienza e contemplarvi l'uomo , – Il pensiero de ' Romani si distese all'Italia e al genere umano. — Naziona lità naturale e politica degl' Italiani merce i Romani . Affetti domestici nel buon tempo di Roma. Come si vedano in Virgilio le qualità prin cipali della civiltà italica . I germi antichi di questa erano in Roma; si svolsero per impulso di Grecia. Durò poco in Roma la filosofia pura mente speculativa, perchè già la filosofia greca , declinando, avea lasciato salve ben poche verità , e perché Roma cadde in servitù . Cicerone e i Giureconsulti romani costituiscono la vera filosofia grecolatina . Cice rone si proponeva di sceverare dal falso e dall'incerto le parti vere e certe ile' sistemi greci , di comporle in ordine chiaro , d'applicurle praticamente, e che se n' aiutasse l'eloquenza. - Sue virtù e suoi difetti. Si prova ch'egli non fu copiatore de ' Greci , ma pensò di suo . Non pare da distinguere i suoi libri ( com ' alcuno pensa) in popolari e dottrinali . Libri logici , fisici e morali. Cicerone ripete il conosci te stesso come fondamento della filo sofia : la coscienza con tutte le due relazioni. Indi l'evidenza interio Uso degli altri criterj secondari , tenendo sempre in mente l'universi lità e dov'ella si manifesti. Cosi egli potė cansare gli eccessi de ' sistemi; e si prova quanto a ’ Platonici , a' Peripatetici, agli Stoici , agli Accademici : rigettato assolutamente l'Epicureismo. - Cicerone non elegyeva da ecclettico , ma per un ordine di principj ; vide cioè che la filosofia è da studiarsi entro di noi ; e da tale studio inferi tre verità , che gli furono regolatrici : 1º che l'uomo sta sopr' all ' altre cose ; 20 che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo; 3º che questa ragione con le sue leggi ci fa palese Dio . Talche delini la filosofia : scienza delle cose divine e umane e delle cagioni di queste ( off .) : l'altra definizione de' Tuscolani è come racconto dell'opinioni pitigori che. Va seguito i principj spontanei , naturali , universali della ragione : ecco l'assioma di Tullio. — Ma, per la moltitudine de ' sistemi , ei potè co gliere poche verità ; queste affermò, nel resto sospende il giudizio . Esem pio, il finale de natura Deorum . Le dottrine certe di lui ne ' libri morali, o sulla legge e sulla libertà ; le opinioni verosimili ne'fisici, o sulla natura divina e dell'anima; ne'ljbri logici l'une e l'altre ; ossia , egli è certo su'prin cipj e sull' evidenza interiore, ha solo verosimiglianza sul criterio delle per cezioni esteriori. Dualismo . — Anche per la teorica del conoscimento. Teorica dell'operare bellissima ; legge naturale, eterna ; Dio n'è la fonte ; re . - . 0 LEZIONE DECIMOTTAVA. 367 chi non ammette Dio , non può ammettere la legge . — Il dovere. Gradi degli officj . Quel ch'è giusto in sè stesso . Utile apparente, e utile vero ; questo è conseguenza della virtù. — Onestå. Le leggi positive nascono dalla naturale ; Dio è il proemio di tutte le leggi. - Buoni eifetti della filosofia di Cicerone . Non anche terminata l' epoca terza cominciò la quarta, de' sistemi grecolatini. Dalla seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra volgare fino al quarto secolo dell' era stessa , troviamo una moltitudine di scuole, lo spartimento delle quali dà qualche impaccio agli storici . Taluno le piglia tutte insieme (e vi com prende gli Alessandrini del terzo e quarto secolo) come una sequela de sistemigreci anteriori ; e così non pone ad esse un'epoca distinta . E per fermo se tutte le dette scuole non fosser altro che discepoli, o raccoglitori eruditi , mancherebbe la ragione del porle da sè , o del farne più classi . La ragione d'un'epoca, quando si parla di scienze, è solamente una grande verità scoperta, da cui dipende l'ordine universale d'una scienza qualunque, o il risorgimento di essa dopo un tempo di scadimento, e quindi l'efficacia su ' tempi avvenire. Insomma, v'ha un principio d'epoca, quando v’ha un principio di moto nuovo e potente : la continuazione di moto, è continua zione d'epoca e nulla più. Applicando tal criterio all' età sovraccennata , par chiaro che i sistemi vi si distinguano in due parti ; una sta nell'epoca terza precedente, ossia nella greca e come termine di essa ; la seconda costituisce un'epoca da se per qualità sue proprie, o un'epoca quarta , benchè i siste mi dell'epoca terza la precedano, l'accompagnino ed an che le sopravvivano : tanto è vero che la sola divisione per tempi non segue la realtà. La prima parte che ter minò l'epoca greca, si suddivide in tre, gli eruditi, gli scettici, i grecoasiatici. Da un lato v'ha le scuole di pretta erudizione ; le quali non iscopersero nulla , nè rinnovarono nulla ; gli Stoici eruditi ; i Platonici eruditi, com ' Areio Didimo, Trasillo, Albino, Alcinoo, Massimo di Tiro ; i Peripatetici eruditi o commentatori d'Aristo tile, come Alessandro d'Afrodisio ; i Medici, eruditi an 365 PARTE PRIMA. ch'essi, platonici e peripatetici, come Galeno. Poi da un altro lato v'ha lo scetticismo d'Enesidemo e di Sesto Empirico, i quali compivano, anzi riducevano a sistema il dubbio di Pirrone e di Timone, volgendosi specialmente contro la causalità, e negandola per la singolare ragione che il modo intimo del causare nol conosciamo; quasichè possa negarsi ciò ch'è ad evidenza, quando non si sa spiegarlo. Da un terzo lato ancora , mescolati i Greci con gli Asiatici per le conquiste d'Alessandro e poi per la vastità dell'impero di Roma, vediamo un congiungimento tra la sapienza orientale e i sistemi greci; onde si svolse la setta degli Alessandrini, che non fecero altro se non ridurre a forme greche il panteismo asiatico , già comin ciato in Filone ebreo, nella Kabbala, in Apollonio Tianeo e in Moderato , Nicomaco, Plutarco, Apuleio, Cronio, Numenio. Questi, benchè distinti dalla scuola d'Alessan dria (e fa male chi li confonde), in sostanza cominciaron l ' avvio di quella, che ne trasse i pensieri a compimento. Gli Alessandrini e i loro antecessori fanno essi dunque un'epoca nuova ? No, perchè i metodi sono affatto del: l'età socratica, e i principj gli stessi ; lo scetticismo poi che li conduce al misticismo, appartiene a quel medesimo tempo. L'unione dell' orientalità con l'atticità pare un che nuovo, ma scientificamente non è ; proviene dalle tendenze mistiche succedenti al dubbio, non già da'me todi scienziali ; piacque la misticità orientale, richiesta già dagli animi. Ebbi l'opinione anch'io che gli Ales sandrini facciano un'età da sè ; ma più attenta consi derazione m'ha condotto ad altro parere. La seconda parte sì che fa un'epoca da sè, l'epoca quarta o Latina . Introdotte le scuole di Grecia in Roma circa il mezzo del secondo secolo avanti l ' èra nostra, cominciò ivi un ordine proprio di concetti per efficacia delle tradizioni italiche e per la civiltà di Roma ; talchè, ripeto, avvi un'epoca quarta, o de sistemi grecolatini ; nuova per le riforme tentate da Cicerone e per la novità dei iureconsulti, ch'ebbero efficacia sì viva e univer sale nella civiltà europea ; e anco perchè Cicerone servi LEZIONE DECIMOTTAVA. 369 più che i Greci alla filosofia cristiana de' Padri latini e dei Dottori, i quali per via di lui , piucchè in modo im mediato, seppero l'antiche opinioni. Adunque in uno specchio generale di storia si dee lasciare i filosofi eruditi, che non aggiungono nulla ; degli scettici dissi già nella passata Lezione; de'sistemi grecorientali poi si dee trattare nella prim'epoca del l'èra cristiana , perch' essi combatterono la sapienza de Padri e n'eccitarono la opposizione. Resta che noi parliamo qui de' sistemi grecolatini, che soli ci danno un'epoca nuova. Non fa meraviglia che in Roma nascesse tardi la letteratura e la filosofia. Nascono l'una e l'altra, quando la riflessione si volge alla coscienza, e vi contempla l'uomo interiore per elevarsi all'ideale universalità. La filosofia vi s'eleva in modo astratto ; la letteratura rende concreto l'ideale con la fantasia e con gli affetti. Ma quando un popolo, come il romano, è tutto inteso a fatti gravi e giornalieri che lo attirano o a guerre este riori od a contese interne; allora ti daranno bensì canti popolari di guerra e d'illustri memorie ( come gli ac cennò Tito Livio ), ma non ti possono dare nè letteratura nè filosofia ; in que' tempi guardasi al fine politico ed aʼmezzi, non alla natura interiore dell'uomo qualità generali delle operazioni, come fanno il poeta ed il filosofo . Indi la rozzezza de’Romani; talchè narra Tito Livio, che lo storico più antico fu Fabio Pittore a' tempi d'Annibale. Ma quando Roma ebb’esteso la dominazione a tutta Italia e oltre, allora il Romano non vide più solo innanzi a sè le contese de' vicini , e le contese del Foro tra nobili e plebei, sì un'intera e grande nazione e il genere umano. Così l'idea di Roma si appresentò in relazione con tutta l'Italia e l ' Italia in relazione col mondo. Il pensiero de' Romani si dila tava ; si allargò fuori del cerchio de' fatti particolari; il Quirita si sentì più chiaramente e figlio di Roma, e italiano, e uomo ; tanto più che a poco a poco la cit tadinanza romana si estese a tutta Italia . A’tempi di Storia della Filosofia . – 1 . e alle 24 370 PARTE PRIMA. 2 as 2 Cicerone non rimaneva quasi più possedimento in Italia non assegnato a'cittadini per via di colonie ; il qual fatto, unito all'altro che già notai) de'primitivi abita tori ricaccianti le colonie greche, spiega com’in Magna Grecia ed in Sicilia i dialetti sieno italici puri (chè i pochi Greci di Puglia non sono gli antichi), non già ellenici come in Grecia moderna e in alcune parti del l'Asia minore. Le colonie romane, aiutate dall'affinità primitiva delle schiatte italiche, formarono così l'unità naturale, o la consanguinità della nostra nazione ; nazio , nalità naturale determinata da'naturali confini del no stro paese, e che si manifesta nell'unità formale de dia letti , o già contemporanei al romano, o nati da esso. Indi allora nacque la politica nazionalità benchè dopo cinque secoli di guerre ; ma lasciando a’municipj un'im magine di Roma, consoli, senato e popolo com'a Firenze ( R. Malespini e G. Villani) , e concedendo a que mu nicipj amministrazione lor propria ; indi vennero i no stri Comuni del medio evo. Roma e l'Italia , considerate in relazione col mondo , formarono nelle menti romane com'un archetipo di per fezione. Il vecchio Plinio ( giova ripeterlo qui) scrive dell' Italia : « Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa ; una cunctarum gentium in toto orbe patria. » E Virgilio , lodando magnificamente l'Italia nel secondo delle Georgiche ( 135-136), non si ristringe a Roma, e dice : « Hæc genus acre virumi, Marsos pubemque Sabellam Adsuetumque malo Ligurem , Volcosque verutos Extulite .......... » M 22 14 e finisce con quell'alte parole : Salve, magna parens, Saturnia tellus Magna virum ..... » Giunto un popolo a questa larghezza di sentimento e di riflessione, possiede l'idealità necessaria per l'arte del bello e per la filosofia ; non lo stringono più le ne LEZIONE DECIMOTTAVA. 371 cessità de'fatti speciali, stende il pensiero alle attinenze , considera la natura dell'uomo e delle cose . Questo svol gimento di coscienza per la riflessione venne promosso da una causa tutta particolare a Roma ed all'Italia . Qui, più ch'altrove nell'antichità , fu sacro il connubio ; e gli affetti di famiglia v’ ebbero consistenza per molti secoli : la stessa mitologia nostra, come dice Polibio, rigettava le nefandezze de' simboli elleni . Or bene, gli affetti di famiglia tengono vivo il senso morale, che dipende dal l'idealità suprema della legge e del dovere. Non v'ha dunque da stupire, se Virgilio, benchè imiti Omero, si distingua tanto da lui ne' principali concetti che gover nano il poema ; ossia, nel concetto che ordina il poema stesso e ch'è una disposizione di provvidenza rispetto a ' Romani; poi , nel concetto di patria ch' è Roma ; in quello altresì di nazione (non di schiatta soltanto , come la Grecia ), cioè di tutte le genti italiane, non solo con sanguinee ( schiatta italica) , ma dimoranti pure in unico paese (nazionalità naturale) e poi congiunte da Roma ( nazionalità politica ): nell'altro di famiglia onde ri fulge l’Eneide dal principio alla fine ; per ultimo, nel l'intima e soave descrizione degli affetti, con la quale il poeta mantovano preparò la poesia cristiana. Sicché, quand' io leggo in alcuni libri ch'a Virgilio mancò un'idealità propria, prego da Dio la fine di certe pas sioni che impediscono la equità de' giudizj. Però, mentre allargavasi il dominio romano, cresce vano le ragioni d'intima civiltà ; le quali, per altro , s'acchiudevano già in Roma ab antico. La prisca gente romana che ch'ella fosse e in qualunque modo si ra gunasse da prima, certo è, che s'ella fu rozza per le necessità di continue guerre, sorse tuttavia tra popoli molto civili ; ebbe accanto la Magna Grecia e l'Etruria, e le tante città de' Sabini e del Lazio. Ora chi non sa quanto valgano mai le tradizioni civili anco tra popoli rozzi ? Numa vien detto alunno di Pitagora ; ' e l'ante riorità di quello è spiegata dall'antichità delle scuole pitagoriche, com'altrove narrai, Dice Cicerone : « Romuli 372 PARTE PRIMA . autem ætatem jam inveteratis literis atque doctrinis fuisse cernimus » ( De rep .) : e sant'Agostino scrive nella Città di Dio che Romolo era venuto non « redibus atque indoctis temporibus, sed jam eruditis et expolitis. » Plinio cita le belle pitture d'Ardea più antiche di Roma ; i Romani predarono dalla sola Volsinia 2,000 statue ; Bolsena in Fenicio significa città degli Artisti . ( Cantù, St. Univ . III, 24. ) Se a ciò aggiungo la tradizione, che le leggi de cemvirali si prendessero di Grecia ( tradizione falsa per le leggi che s'attengono a' costumi di Roma, vera pro babilmente quant'al modo d'ordinarle ), e se aggiungo altresì la perfezione che graduatamente il gius positivo ebbe dal gius onorario, mi capacito che nel seno di Roma cresceva un germe di civiltà e però di lettere e di filosofia, da venire a compimento, quando se ne offe risse la occasione. E questa occasione ( testimonio la storia ) è sempre qualcosa d' esterno. L'occasione a Ro mani venne da Greci conquistati; ed ha il proprio segnale nell'ambasceria di Critolao, Carneade e Diogene babilo nese al sesto secolo di Roma, 155 anni avanti Gesù Cri sto . Catone si sforzò di cacciare le sette greche ; invano, il terreno era preparato, e la pianta fiorì. Ben è vero che la speculazione puramente filosofica non durò a lungo, ma proseguì a fecondare il diritto : la qual brevità ebbe due cagioni principali. I sistemi greci, che aveano menato tant' oltre la forma logicale della filosofia , quant'alla materia poi l'aveano lasciata in dubbiezze infinite, come vedemmo ; talchè si richie deva uno sforzo più che umano a rilevarla : poche verità si conservavano intatte da ordirvi la scienza . Quindi, o rimaneva solo a far opera d'eruditi e d'accoz zatori, come gli ecclettici d'allora ; o bisognara trar fuori quel poco di certo, che non dava soggetto a co piose speculazioni. In secondo luogo, allorchè Roma venn'a maturità di pensiero, cadde in servitù che iste rili la letteratura e la scienza. Quindi i sistemi greco latini si riducono il più alla filosofia di Cicerone, e alle LEZIONE DECIMOTTAVA . 373 scuole de' Giureconsulti. I filosofi anteriori a Cicerone seguirono i Greci pressochè interamente ; Lucrezio, per esempio, ripetè quasi le dottrine d'Epicuro ; ma nondi meno egli mostrò la coscienza di romano, allorchè, facendo materiale l'anima, pur contò fra gli elementi co stitutivi di essa un elemento innominato, quasi animo dell'anima : nobilis illa Vis, initum motus ab se que dividit ollis, Sensifer unde oritur primum per viscera motus. » ( De Nat. III, 273.) e quando stabilì negli elementi un moto spontaneo per ispiegare la libertà ; e quando celebrò la divinità della natura con versi stupendi e la santità del matrimonio . Seneca non si partì dagli Stoici , benchè faccia profes sione di non ispregiare nessuna scuola ; Marco Aurelio, com ' Epitetto, ha lasciato aurei precetti, ma senza ordi namento di scienza . Cicerone, al contrario, istituì spe culazioni proprie, che certo ebbero forza nell'universa lità de' Romani culti e nella giurisprudenza. Io dunque parlerò di Cicerone oggi ; de' Giureconsulti in altra Le zione. Fin d'ora io dico , che Cicerone si proponeva di sceverare (con un principio superiore) le parti vere e certe de sistemi greci dalle false od incerte, di comporle in ordine chiaro, d'applicarle alla vita privata e pub blica, e ch'elle conferissero all'eloquenza . Questa filosofia di Cicerone suol chiamarsi ecclettica ; e chi la intenda per metodo compositivo e logicamente ordinato, passi; ma direbbe male chi la pigliasse per una scelta a caso, senz’un principio interiore e ordinatore. Nessuno po trà negare, che ciò distingua le speculazioni di Tullio dall' ecclettismo de' Greci mentovati poco fa, i quali ra gunavano nella memoria, ma non componevano nel pen siero ; e lè distingue pure da’migliori sistemi dell'epoca antecedente, perchè Cicerone li giudica con libertà e li trasceglie. Nè si può mettere in dubbio l'efficacia di lui 374 PARTE PRIMA. II 11 10 su'secoli avvenire. I Padri e i Dottori lo studiarono molto ; e sant'Agostino, da uomo grande che riconosce il vero ed il bene onde che venga, scrive nel libro terzo delle Confessioni ( cap . 4) : « Hic liber ( cioè la lettura dell'Or tensio ) mutuvit affectum meum , et ad te ipsum , Domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia . » Pare che Cicerone traesse la schiatta da quel Tullo Azio, che regnò gloriosamente su'Volsci ( Plut. in Cic .); e quegli se lo teneva per certo , sicchè dice ne' libri Tu scolani, che Ferecide era antico, fuit cnim meo regnante gentili ( 1, 12) : indi la smania di comparire tra gli otti mati . Lasciate le scuole de' giovinetti, udì Filone acca demico ; ma insieme praticava Mucio, personaggio assai versato nella politica, e principale tra’senatori, impa rando da lui scienza di leggi ; e militò con Silla tra ' Marsi. ( Plut.) Sentì anche Fedro epicureo e Diodoro stoico. In Atene seguitò Antioco accademico, e non trascurò Ze none l'epicureo. Andò poi in Asia, e si fermò a Rodi , per esser ammaestrato dallo stoico Posidonio. Giovine, favellava con tal passione e con voce si concitata, che gli recava danno alla salute. In Sicilia fu pretore giusto, umano, amatissimo. Dopo la congiura di Catilina, Catone stesso chiamò Cicerone Padre della Patria dinanzi al popolo. Esiliato da Roma per le mene di Clodio, vi rien trò poi come in trionfo ; gli furon trionfo tutte le vie d'Italia , per le quali egli passò. Stette fedele alla re pubblica contro la signoria di Cesare e la tirannia d’An tonio. Questi lo mandò a trucidare, e Cicerone porse il collo alla spada. ( Plut.) Amò la famiglia con tenerezza . Esule, scrive a Terenzia sua e alla figliuola lettere d'amore sconsolato. Com'egl' intendesse la santità dei pubblici ufficj, lo mostra la famosa lettera a Quinto fra tello . Le sue lettere, scritte da lui senz'intenzione di pubblicità , e che formano uno de' più bei libri del mondo, lo mostrano sempre d'animo schietto e buono. Vicino a morire, scrisse a Peto : « Sii persuaso, che giorno e notte non altro cerco, non altro penso , se non che i miei cit I. 14 LEZIONE DECIMOTTAVA. - 375 tadini sien salvi e liberi . Non lascio opportunità d'am monire, di fare, di provvedere. Infine io son fisso qui , che se in tanta cura e amministrazione ho da porre la vita , stimerò di aver finito preclaramente. » ( Ad fam . IX, 24.) Non peccò d'orgoglio, ma di vanità ; si lodava spes so, e questo aizzava gl'invidiosi, e a lui diminuiva ri spetto . Faceto, mordeva non di rado altrui, e, senza vo lere, s'accattava nemici ; ma in lodare i meriti veri abbondava con allegrezza e con liberalità d'uomo sin cero e benevolo. Parve talora incerto ne' propositi, e troppo addolorato nelle sventure. Prese due mogli, ripu diando la prima. Volle dedicare un tempio alla figliuola morta ; lodò e invidiò gli uccisori di Cesare ; lodò prima Cesare troppo, ma non l'opere mai. Dice il Capponi ( Archivio Storico, tomo IX, parte 2) : « Ma chi fosse più di me severo a Tullio, pensi com'egli animosamente cominciasse la sua vita d'oratore e la compiesse glorio samente. Giovane, assalse nella difesa di Roscio d'Ame lia un Crisogono liberto di Silla ch'era affrontare Silla medesimo; vecchio e principe nella città e guida e anima del Senato, combattè Antonio e incontrò la morte. » Oratore, accusò sempre gli scellerati , difese qualche volta i non innocenti . Filosofo, stette per lo più dalla parte del vero ; bensì approvò il suicidio, l'assassinio de' ti ranni, la vendetta, un certo sfogo di carnalità ne' gio vani, e la schiavitù . Scrittore e uomo di stato , cercò troppo la lode, ma insieme la grandezza e il bene della patria . Scrisse d'eloquenza, e fu oratore sommo : scrisse di filosofia morale, e fu uomo dabbene; scrisse di cose civili , e fu gran cittadino . Ecco i fatti principali e virtù e difetti che spiegano la filosofia di Cicerone. È impossibile non vedere in lui tre forti amori, di gloria, di patria e di famiglia ; e' reca in tutto ciò un'ardenza di cuore, la quale ha talvolta del molle , ma la tenerezza è temperata da un senso vivo d'onestà e di decoro . ( V. le Lettere scritte in esilio. ) Udì tutte le scuole, e però raccoglieva il meglio ; ma con iscelta libera e ordinata, perchè uomo libero ed 376 PARTE PRIMA. , T 11 tro operoso, e ingegno forte. Romano e uomo di stato, se guì , più che non facessero le scuole greche, il precetto so cratico di badare nella scienza al fine del bene; e tal qualità pratica non diminuisce il valore delle dottrine, anzi lo cresce, purchè la scienza si pregi anco per sè, come faceva Cicerone. Badando al bene, odiò la parte ipotetica e vana de sistemi anteriori, e ne prese il poco, ma certo e buono. Però, indulgente ad ogni setta, con gli Epicurei non volle mai pace. Un po' vano, pompeggiò assai nelle parole ; il che gli scema vigore qua e là ; ma nelle lettere e negli scritti filosofici va semplice e spe dito . Uomo universale, senatore e console di Roma, cercò l'universalità negli scritti ; e questi dettero a 'Romani l'idea di tutto il sapere greco. Pieghevole alla opinione altrui per bontà di cuore e per bramosía di favori po polari, combatte nel libro della Divinazione le falsità pa gane, le rispetta in altri luoghi; ammira il suicidio degli Stoici, non se l'attenta per sè, timido, dicon taluni , ri morso da coscienza non confessata, dirò io , e lo credo. Taluno da quelle parole di Cicerone ad Attico : ATÓMp492 sunt ; minore labore fiunt, verba tantum affero, quibus abundo ( Ad Att. , XII, 52) ; ha dedotto ch'esso i libri filosofici traducesse dal greco, non li facesse di suo. Ma quando poi sentiamo che Cicerone stesso , in tempi che gli autori greci erano familiari, e molti a Roma i maestri greci, e in opere dedicate a dotti di greco, quali At tico e Bruto, o a studenti in Grecia, come il figliuolo, dice (De fin . 1, 3) : « Noi non facciamo ufficio d'interpreti, ma sosteniamo le dottrine di coloro che approviamo, e aggiungiamo ad essi il nostro giudizio e un ordine no stro di scrivere ; e che dice altrove ( De off. I, 2) : « Ora seguiremo e in tal soggetto gli Stoici principal mente, non come interpreti (non ut interpretes ); bensì, al solito nostro, berremo a’lor fonti quanto per giudi zio e arbitrio nostro ci parrà : » allora, io affermo, che Cicerone non poteva dire una bugia così sfacciata ed inutile. Narra egregiamente Plutarco : « Eragli studio comporre dialoghi di filosofia e tradurre dal greco » an 10 1 :. bi lice . li 1 tes LEZIONE DECIMOTTAVA . 377 ( In Cic. ) ; e così un greco antico, più che i moderni non greci, distingueva bene i libri tradotti come il Ti meo) da'propri di Cicerone. L ' opere di lui distingue il Ritter in filosofiche o riposte ed in popolari. A me non sembra ; sì scorgo chiara la distinzione de’dialoghi spe culativi , come i libri accademici , dagli scritti che hanno un fine pratico, ad esempio gli Offici, dell'Amicizia, e simili. Negli Officj chi mai non vede un ordinamento scienziale ? E s'egli rispetta gli dèi più qui che altrove, pensiamo che ciò s'usava da tutti i filosofi, quando essi non ispeculavano direttamente sulla divinità. Mi pare, poi , manifesta la distinzione, e più princi pale : tra i libri fisici ( De natura Deorum , De divina tione ), i logici Academicorum , Topica, De inventione, De oratore etc. ), i morali ( Tusculanorum , De officiis, De finibus, De senectute, De amicitia, De legibus, De republica , De fato); quantunque in ciascuna classe si trovino mescolate più o meno le dottrine, non già di vise assolutamente. L' Ortensio poi è perduto, d'altri libri restano frammenti. Or dunque Cicerone, imitando Socrate, tornò a'prin cipj e al fondamento del sapere. Quegli , come questi, si trovò in mezzo a una confusione di sistemi, e, come So crate, chiamò i suoi al conosci te stesso, affinchè nella coscienza di noi prendiamo il rimedio alle superbie d'ipo tesi vane e il principio della sapienza vera . Quand' io dico che Cicerone imito Socrate, già non lo paragono a lui , nè come filosofo glielo fo uguale, sì discepolo ; dico bensì , che il tornare a'principj è in tutte le cose rinnovamento unico e condizione di nuovo cammino ; e chi rinnova, è istitutore novello e cominciatore d'un'epo ca propria. E se Cicerone non riuscì a tanto come So crate, ne chiarii altrove le cagioni; e a lui non s'ha da imputare. La scienza e la civiltà del Paganesimo ca devano, e sempre più Cicerone le trovò quasi in fondo, nè potè nè sperò ritirarle in cima. Fatto è, che Cicerone, come Socrate, capi la stranezza delle sette pagane. Amò con grand' amore la filosofia, 2 378 PARTE PRIMA 1 . ! la pre 18 MA Tha U. >> TH e ne scriveva lodi magnifiche in ogni suo libro ; anzi l' Ortensio fu composto da lui per esortazione a filoso fare; e nondimeno quand' ei volgevasi attorno, e sentiva le strane opinioni di tante sette, esclamava : « Niente si può dire di tanto assurdo, che non sia stato detto da qualche filosofo. » ( De div . II, 38. ) Ammoniva per ciò a rientrare nella propria coscienza, a ripigliare il conoscimento di noi, a seguire così una filosofia meno sicura de' propri sistemi, non presuntuosa (minime arro gans : De div. II, 1 ) . Ripeteva il precetto che stava sul tempio d'Apollo, nosce te ipsum , e diceva : « Essendo tante e sì grandi cose che si scorgono nell ' uomo inte riore da quelli che voglion conoscere sè stessi , madre loro e educatrice è la sapienza. (De off. I, 23, 24.) Egli invitava a fermar l'occhio in questa evidenza in teriore, dove tante verità si veggono chiare ( quæ inesse in homine perspiciuntur.) In questa coscienza di noi stessi , Cicerone come So crate, più di Socrate forse perchè romano, sentiva l'uni versalità del vero, distinta dalle opinioni particolari, e l'amore che tende al vero, e l'essere nostro sociale e religioso, relazioni universali anch'esse ; e però egli in culcava sempre di fermar l'occhio in ciò ch'è proprio dell'uomo, ossia nella retta ragione (De off. I e II, passim ); e contro gli Epicurei fa valere gli affetti più generosi dell'animo ( ivi, e negli Acc. e ne Tuscul. e quasi per tutto ); e chiama in sostegno il senso comune e le tradizioni umane e divine. Così ne' libri Tuscolani ( I, 12) adopera l'autorità del senso comune a dimostrare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima umana ; e dice ne'Paradossi contro gli Stoici : « Noi più adope riamo quella filosofia che partorisce copia di dire, e dove si dicono cose non molto discordi dal pensar della gente. >> ( Proem .) E nelle seguenti parole del Tuscolani si vede com'ei raccogliesse, di mezzo alle opinioni varie, le tra dizioni universali de filosofi e le divine : « Inoltre, d'ot time autorità intorno a tal sentenza ( cioè l'immortalità dell'anima) possiamo far uso ; il che in tutte le que HIE ale Di D. 4 LEZIONE DECIMOTTAVA. 379 stioni e dee e suole valere moltissimo (in omnibus cau sis et debet et solet valere plurimum ): e prima, di tutta l'antichità (omni antiquitate ); la quale, quanto più era presso all'origine divina ( ab ortu et divina progenie ), tanto più forse discerneva la verità. » ( Tusc . I, 12. ) E tra filosofi, ch'egli cita, preferisce appunto Ferecide, co me antico, antiquus sane ; e indi ne conferma l'autorità con quella di Pitagora e de' Pitagorici ; il nome de'quali , egli dice, ebbe per tanti secoli tanta virtù che niun al tro paresse dotto (S 16) . E dice più oltre che, secondo Platone, la filosofia fu un dono, ma quanto a sè, una invenzione degli dèi : « Philosophia vero omnium mater artium , quid est aliud, nisi, ut Plato ait, donum , ut ego , inventio deorum ? » ( $ 26. ) Nel che s'accenna il prin cipio divino della sapienza e della tradizione. Condotto da questo filo tra i ravvolgimenti delle sette cansò gli eccessi d'ogni maniera. Gli Stoici , per esempio, la cui morale severità egli approva e segue, dicevano, che nessun uomo è buono fuorchè il sapiente. Ma di questo sapiente ne facevano un'idea sì alta. che confessavano poi, e' non darsi quaggiù ; e però gli Stoici , se consentanei a sè, dovevan dire impossibile umanamente la loro superba virtù e disperarne come Bruto morente. Cicerone al contrario riconosceva una più umile sapienza e virtù , che può essere di tutti, e che ci abbisogna nel vivere comune. ( De amic., 5. ) Lo Stoico credeva , indiando la natura, di poter trarre le superstizioni volgari a senso ragionevole (come tentò Varrone per testimonianza di sant'Agostino, Città di Dio ) ; ma Cicerone le derideva . ( De nat. Deor . III, 15. ) Menava buono a Platone, a' Pe ripatetici e agli Stoici , che la più alta felicità dell'in tellettuale natura sia la contemplazione ( Hort. in S. Agost. De Trinit. XIV, 9) ; ma in questa vita, ei dice, la con templazione senza la pratica delle virtù private e pub bliche è nulla ( De off. I, 43) ; e quindi censura Platone che scrisse : Il savio non essere obbligato a civili negozi . ( De off. I, 9. ) Gli Stoici , per alterezza di ragione, spre giavano il corpo e i beni corporei ; ma Cicerone diceva : 380 PARTE PRIMA . 11 he COL iti be 111 15 :-11 19 Poichè s'ha da seguire la natura e noi siam anima e corpo, non possiamo spregiarlo, nè si dee imitare que'fi losofi , che accorti d'un che superiore a'sensi ne spre giano la testimonianza . Con che l'accoccava pure agli Accademici. ( De fin . IV, 15.) Gli Stoici , negavano l'ef ficacia del dolore sull'uomo sapiente, e svilivano ogni piacere ; Tullio invece mostra che il dolore eccessivo è impedimento agli officj, e che le temperate giocondità son utili e buone. (De sen . 14, De fin . V , 26. ) Gli Stoici, concependo la virtù con altezzosa rigidità , stimavano uguali tutti i malvagi e tutti uguali i peccati, perchè tutti contrarj al bene ; Cicerone confuta in più luoghi tale uguaglianza e mostra, per esempio, ch'altro è man care a posta, altro è nell'impeto di passione. ( De off. I, 8 e altrove.) Se nella morale ei tenne dagli Stoici, rigettate le loro esagerazioni, in logica stette per gli Accademici, giacchè, come dissi altrove, la riforma del filosofare pa gano cominciò sempre da un dubbio temperato. Ma qui è il divario, la temperanza ; perchè, dove gli Accade mici ( a quello che ne sappiamo) negavano ogni verità e certezza nel percepire le cose e ammettevano solo una verosimiglianza, uguale per tutte le opinioni ; M. Tullio invece ne' fondamentali principj e nelle verità più alte non poneva dubbio, e quanto a' casi particolari li sti mava probabili , non ugualmente, sì con varietà di gradi ; e al probabile opponeva quel ch ' è improbabile affatto. Ecco le sue parole : « Vorrei che fosse ben chiaro il no stro pensare ; chè noi non siamo già di quelli il cui animo si crede aggirato sempre in errori , e senz' alcun che da tenere: che sarebbe mai questa mente, o questa vita piuttosto, negata ogni ragione, non solo del dispu tare , ma del vivere altresì ? Noi invece, come dagli altri si dicono certe alcune cose e alcune incerte, così noi, dissenziendo da essi , diciamo probabili alcune e alcune improbabili. ( De off. II, 2. ) Qui si scorge, che il dub bio di Cicerone non cadeva punto sulla ragione umana e sulla vita, o sull' essere proprio, ma sul dommatismo EL LE 11. ki LEZIONE DECIMOTTAVA . 381 fisico e morale degli Stoici . E nel libro delle Leggi dice ( 1, 13) : « Preghiamo poi , che questa Accademia nuova di Arcesilao e di Carneade, perturbatrice di tutto, si cheti; perchè se darà dentro a tali dottrine, che ci sem brano ordinate e composte con assai aggiustatezza, re cherà troppo rovina. Io bensì desidero placarla, ma cacciarla non oso . » La qual conclusione mostra, ch'ei non rigettava in tutto i dubbj accademici, ma dov'essi erano cattivi. E più si discosta dagli Accademici allor chè dice : « Quasi in tutte le cose, ma nelle fisiche più che mai, saprei dire piuttosto quel che non è , che quel che è . » ( De nat. Deor. I, 21.) Nel vivere nostro, e mas sime a quei tempi fra tanto diluvio d'opinioni e senza il lume del Cristianesimo, non monta già poco il sapere quel ch’una cosa non è ; significa sapere che Dio non è come noi, che Dio e l'animo nostro non sono corpi, che il fine dell'uomo non è la voluttà ; negazioni pregne d'af fermazione, implicita si ma certa . E chi vuole stimare quanto merita il ritegno di Cicerone, anc' allora ch ' ei parla di probabilità negli officj particolari (non mai nella legge suprema), pensi l'assurdità del panteismo e del dualismo antichi, le finzioni rozze di quella fisica , l'incertezza della morale, anche in Platone e Aristotile ; e s'accorgerà, che se Socrate meritò lode dicendo, contro Parroganza de' sofisti : io so di non sapere, merita pur lode il nostro Cicerone d'averlo imitato in tanta corru zione di filosofia e di costumi . E quindi ei non ha dubbiezze contro gli Epicurei. Dice a loro : che la voluttà sia il nostro fine, voi non lo direste in Senato ; nè la voluttà va messa tra le virtù com'una meretrice in un'assemblea di matrone. (De fin . II, 4, e passim .) La natura ci ha fatti per qualcosa di meglio che non i piaceri del senso ; il piacere stesso non cato per sè, ma per noi ( De fin . V , 11 ) : il dovere ha da cercarsi per sè stesso ( ivi, II, 22) ; e la dottrina degli Epicurei, se consentanea a sè , non lascia luogo al dorere. ( De off. I, 2. ) Ma questo sceverare il vero dal falso, con che 01 382 PARTE PRIMA . Jo ( dine interno di principj si faceva ? Già ho detto, che Ci cerone ritornò al conosci te stesso di Socrate, cioè al fondamento della coscienza. E ho accennato , che ivi egli trovava l'uomo non solitario, ma in relazione con Dio, con gli altri uomini e col mondo; però esclama : « In questa magnificenza di cose, in questo cospetto e cono scimento della natura, o dèi immortali, oh quanto co noscerà sè stesso l ' uomo ; il che c'impose Apollo Pizio ! » ( De off. I, 23.) Per via della coscienza, s'accorse Cice rone in modo chiarissimo di tre verità : prima, che l'u0 mo sta sopra l'altre cose ; poi , che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo di lui; infine, che questa ragione ci mostra Dio con le sue leggi . Viene da ciò la definizione della sapienza o della filosofia nel II libro degli Officj (S2) : scienza delle cose divine ed umane e delle cagioni di queste ; definizione più determinata che non l'altra ne' libri Tuscolani ( V. 3) , dov'ei parla storicamente. E s'arguisce però, che Cicerone stringeva la scienza prima, secondo la universalità di essa, nel conoscimento ragionato di Dio e dell'uomo e de’sommi principj. Egli capiva, come nella scienza si désse un ordinamento necessario; e diceva : « È malagevole sapere alcun che in filosofia, chi non ne sappia o il più o il tutto . » ( Tusc. II, 1. ) Cicerone, come Socrate, ebbe una profonda coscienza della ragione. Bisogna riflettere a noi stessi ; in noi tro viamo la ragione, che ci distingue da' bruti e dalle al tre cose ; nella ragione troviamo i giudizj spontanei, na turali, evidenti, universali ; questi fa d'uopo seguire ; ecco il principio ordinatore della scienza e della virtù . « Il tempo, scrive Cicerone, cancella i capricci delle 110 stre opinioni, ma conferma i giudizj della natura. » (Opi nionum enim commenta delet dies, naturæ judicia con firmat ; De nat. Deor .) Ma questi giudizi erano avvi luppati in una moltitudine di sistemi; però, quanto alla teorica dell'essere, Cicerone sta contento a poco . Chi potrebbe mai condannarlo d'insipienza ? Egli non si dà pensiero nella fisica nè de quattro elementi, nè del ch 1 7 LEZIONE DECIMOTTAVA. 383 1 quinto d'Aristotile, nè della materia o della forma; le sue indagini hanno per fine la esistenza e natura della divinità, le relazioni di questa col mondo e l'immorta lità dell'anima umana . ( Ritter .) Quanto alla divinità , egli non ne dubitava punto, perchè sentiva nella ragione propria un che divino, la eterna legge della giustizia (De leg. II, 7 ) ; ma intorno alla natura di Dio non af fermò gran cosa. Del metodo di lui , su tali materie, porg' esempio il libro De natura Deorum . Ivi disputano insieme un epicureo, uno stoico e un accademico. L'ac cademico nega il dio animale degli Stoici, e termina di cendo : « Questo io diceva, non perchè voglia negare la natura divina, ma per mostrare quant'ella sia oscura e piena d'intrigate difficoltà . » Lo stoico poi combatte l ' epicureo . Cicerone, che si tiene da parte e non entra nel dialogo, che cosa conclude ? E' dice : la disputazione di Cotta ( Accademico) sembrò a Velleio ( Epicureo) più vera ; a me l'altra di Balbo ( Stoico), più verosimile. Ci cerone, adunque, mostra con singolare finezza quanto i dubbj dell'Accademia piacessero agli Epicurei; e però com’egli, che s'allontana da questi, s'allontani pure da quella ragionando di Dio. Pur tuttavia non sa nulla giu dicare assolutamente sulla natura di Dio stesso e solo ammette verosimiglianze. Insomma, le dottrine certe di lui le abbiamo ne' libri morali, dove si afferma l'esistenza della divinità (fonte ll'ogni giustizia e d'ogni diritto ) , la legge morale e il libero arbitrio, e dove perciò s'approva il detto di Cri sippo, ch'ogni proposizione è vera o falsa necessariamente ( De fato) ; le opinioni verosimili si hanno ne' libri fisici, dove apparisce dubbj sulla natura di Dio e dell'ani ma, e sulle relazioni di Dio con l'universo, e quindi sulla prova fisica della divinità provvidente ; ne' libri logici, finalmente, su ' principj della ragione e sull'evi denza interiore non v'ha dubbio di sorta , beusì v'ha dubbio sul criterio per giudicare la natura delle cose esteriori percepite da ' sensi. Anche il Kant pose superio re la certezza dell'argomento morale ad ogni altra cer 384 PARTE PRIMA. tezza ; ma il Kant celebrò quell'argomento dopo aver negata la validità della ragione; Cicerone, al contrario, non la negò mai, anzi la magnifico, e solo crede ristretta di molto la possibilità de' giudizj accertati. Dunque Ci cerone, quant'alle dottrine supreme, e ch'egli poteva conoscere fra l'ombre del Paganesimo sempre più fitte, ammette la verità e la certezza ; ma nel determinare più specificamente quelle verità pone la verisimiglian za. In ciò solo fu accademico ; e non pienamente nem men qui, come avvertii già innanzi. Pare ch'egli cadesse nel dualismo, opponendo la ne cessità della materia alla libertà divina ; e che cadesse nel semipanteismo, facendo divina la nostra ragione. Il qual ultimo punto si raccoglie da più luoghi; ma più da queste parole : « Le altre parti, onde si compone l'uomo, fragili e caduche, le prese da generazione mor tale ; ma l'animo è generato da Dio » ( De off. I, 8) , e ammonisce di rammentare nel giuramento, che chiamiamo in testimone Dio, « cioè, com'io penso (dice Cicerone) la mente propria, di cui non détte Dio all ' uomo nulla di più divino. » Se non che, si vede la temperanza dell'af fermare in quello ut opinor ; tant'era l' ecclissamento delle principali verità sul finire del Paganesimo ! Quant'alla teorica del conoscimento, egli distingueva l'intelletto dal senso ; lo distingueva tanto, che come Platone e Aristotile, trovando un'immagine di Dio nella mente nostra, la identificava con esso . Anzi nel testimo nio de' sensi non poneva più autorità ch ' una verisimi glianza, il che procedeva dal dualismo, secondo il quale Dio e la mente son divisi dal resto . E per la logica si valse d'Aristotile, come si ha dal libretto de' Topici. È stupenda la teorica dell'operare ; perchè ivi recò Cicerone più che altrove le verità universali raccolte dal testimonio della coscienza ; e vi recò quel suo modo di escludere l'esagerazioni e di comporre le spat se verità con un principio più alto. Qual principio ? Il rispetto della ragione, che, in quanto conosce la ve rità , è retta ed è regola delle nostre operazioni. Bisogna LEZIONE DECIMOTTAVA. 385 seguire, ei dice con gli Stoici , la natura, non l ' arbitrio delle passioni; ma la natura nostra è ragionevole ; dun que ogni atto nostro dee farsi con ragione e sottomet terle l' appetito. ( De off. I, 28, 29. ) E questa ragione ha potestà di comandare, perchè sta in essa una legge naturale ed eterna del bene . « La legge (così Cicerone) è la ragione somma, insita nella natura, e che comanda ciò ch'è da fare, proibisce il contrario . (De leg. I, 6. ) Questa legge è nata da tutti i secoli , primache fosse scritta legge alcuna, o che qualche città fosse istitui ta . » ( 1, 6. ) Questa legge viene da Dio, perch' ell ' è di vina ; e chi non ammette Dio, non può ammettere la legge eterna e naturale. ( 1, 7.) La legge è la ragione divina partecipata a noi ; e poich' è comune la retta ragione, e la comunanza di questa è società, però noi siamo primamente consociati con Dio. E poich' ell' è comune a tutti gli uomini , noi in secondo luogo formiamo la società del genere umano « e tutti obbediamo a que st' ordine celeste, e alla mente divina, e a Dio sovrap potente » ( parent huic celesti descriptioni, mentique divinæ et præpotenti Deo. I, 7) . Avendo questa legge divina nell'anima « tutti gli uomini (soli essi fra gli altri animali) han qualche notizia di Dio, nè v'ha gente sì fiera che, ignorando qual Dio adorare, pur non sappia che ve n'è uno . ( I, 8. ) Noi dunque siam nati alla giu stizia ; e il gius non è costituito per opinione, ma per natura. » Sì, per natura, giacchè siam tutti simili per la ragione, e ciascun di noi si definisce com’uomo, e la mente di ciascuno « è diversa in dottrina, ma nella facoltà del sapere è uguale . » ( I, 10. ) Dalla legge si genera il dovere, che va quindi cer cato per sè stesso, come sudditi alla retta ragione, ne vi può essere alcuna virtù se non si cerchi per sè, ma per la voluttà o per l'utilità. (De off. III, 33. ) Come la ragione guida ogni atto umano, così la retta ragione reca in ogni atto un officio. Talchè, dice il grand’uomo, « nè in cose pubbliche, nè in private, nè in forensi , nè in domestiche, nè se tu operi teco stesso alcun che, nè Storia della Filosofia . 25 386 PARTE PRIMA. se pattuisci con altrui ; non v ' ha momento di vita che possa mancare di qualch 'officio ; e nell'adempirlo è tutta l'onestà, nel trascurarlo la turpitudine. » ( De off. 1, 2.) Nell'adempire gli officj stanno le virtù, cioè la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La virtù , se guendo la retta ragione che ci fa conoscere l'ordinamento naturale delle cose, non è altro che l'osservanza dell'or dine stesso ( De off. I, 4) ; sicchè « nella universale so cietà son varj i gradi degli officj ; onde si può sapere ciò che si conviene a ciascuno ; e quello che si dee prima agli dèi immortali, poi alla patria, poi a' congiunti, infine di grado in grado agli altri. » ( De off. I, 45. ) Ma tant'è vero, che tutto ciò si vuol fare per l'autorità della legge eterna in sè, e per la bellezza del dovere, che certe cose turpi non le giustifica nemmeno l'amore di patria . ( De off. I, 45. ) Egli distingueva poi l'utile apparente dalla virtù : ma l'utile vero, diceva star sempre insieme con l'onestà ; e quand' apparisce che vi sia contrasto, è turpe eziandio di star a pensare sulla scelta . (De off. II, 4 ; 111, 7 e passim .) L'utilità è l'effet to, non il fine della virtù . ( De amicitia, 9.) E dalla virtù nasce l'onestà (che in latino ha senso d'onorabilità ), anche se niuno la conoscesse : « etiam si a nullo lauda retur, natura esset laudabile. » (De off. I, 4.) Giacchè la virtù reca con sè il decoro, ch'è come la bellezza : « l'uno viene dall' animo onesto, l'altra dalla sanità del corpo ( De off. I, 27) ; e come il decoro de' poeti è la convenienza delle parole col significato, così il decoro della onestà è la convenienza con la natura . » ( Ib . 28. ) Però, come i Greci dicevano o" te uovoy (yóv to 2026 , il solo buono è bello, così Cicerone ( come romano) muta il bello nel concetto d'onorabile, e dice : quod honestum sit, id solum bonum esse : onorabile è solamente ciò ch ' è buono. ( Paradox. I, Osservazione del Ritter. ) Dalla legge eterna, che genera il dovere e la virtù . nascono le leggi positive ; talchè l'esistenza di Dio è il proemio di tutte le leggi ( habes legis proemium , De leg. 11, 4-7 ) . « È stoltissima cosa (segue Cicerone contro gli LEZIONE DECIMOTTAVA . 387 1 Epicurei) che credasi giusto tutto ciò ch'è negl'istituti e nelle leggi de' popoli. E che ? dunque, anco le leggi de'tiranni ? ... Ma v'ha un unico gius, da cui è unita la società degli uomini, e cui stabilì un'unica legge ch'è la retta ragione di comandare e di proibire : e chi la ignora, è ingiusto, o ch'ella sia scritta o no. Che se la giustizia è solo l'obbedienza a leggi scritte e agl'istituti de' popoli; e se, come dicono coloro, tutto è da misurare con la utilità , trascurerà le leggi e le infrangerà se può chi lo creda fruttuoso. Così non v'ha più giustizia se non v'ha legge naturale, e ciò che per utilità è stabilito , da un'altra utilità vien tolto via. Anzi, se da natura non si conferma il giure, cessano tutte le virtù. » (De leg. I, 15. ) La legge naturale ha da regolare il diritto pub blico , quello delle genti e il privato ; e il filosofo nostro dà precetti santi sulle pene, sulla guerra , sui trattati . sui contratti e va' discorrendo. Così, dovrebb' essergli più mite il giudizio degli stranieri, a legger ciò ch'ei dice della Repubblica romana : dopo averne narrato l'umanità ne’secoli primi , aggiunge che questa diminuì a poco a poco, e dopo le vittorie Sillane cessò ; e quindi esclama : jure igitur plectimur « a ragione dunque siamo puniti. » De off. II, 8. ) E quella pena noi abbiamo scontata per se coli . De' pubblici reggimenti loda il misto, per gli stessi argomenti d'Aristotile e con l'esempio di Roma. (De rep. ) Che fece adunque la filosofia di Cicerone ? Essa gli donò (com’ei ripete più volte) copia e splendore e, col crescere degli anni, efficace brevità d'eloquenza ; gli dettò que' Dialoghi di metafisica, dov'hai il fiore de sistemi greci , eletti e temperati; que' libri rettorici , che sono un codice dell'arte per comune giudizio ; e que' libri morali degli Officj, delle Leggi e della Repubblica, dove al me todo sperimentale dello Stagirita è unita la contempla zione platonica e la severità stoica, senza i loro eccessi . Però, quand' io sento uno storico illustre' scusarsi del l'aver troppo parlato di Cicerone perchè in lui non v'ha troppo di nuovo, prego Dio che la scienza ritorni alla natura, e, più che dell'insolito, sia desiderosa del vero . 388 PARTE PRIMA. LEZIONE DECIMANONA. GIURECONSULTI ROMANI. SOMMARIO . La giurisprudenza è scienza filosofica , perché riguarda gli alti umani o personali. - La giurisprudenza positiva non altro fa se non appli care il diritto naturale . Si cerca , quindi, lo svolgimento della giurispru denza romana e quanto alle forme logiche , e quanto alla materia. - Quattro età del gius romano . Prima età : consuetudini . È difficile deter minare qual parte avesse la civiltà , e quindi la scienza , in que'primi germi del diritto ; ma vestigi di sapienza ve n'ba . Che cosa abbia di vero e di falso la tradizione sulle dodici tavole . La materia di esse certo è romana ; probabilmente la forma logica loro è di Ermodoro Efesio . Seconda età : si pubblica il segreto delle azioni . – La giurisprudenza , perciò, viene alla gioventù dalla puerizia ; ma crebbe in modo segnalato allorché , sul cadere del sesto secolo di Roma, si propagò ivi la filosofia greca . — Il settimo se colo è quello di Cicerone : si prova con l'autorità di lui, che allora si lero a grande stato la giurisprudenza per lo studio della filosofia . — Allora si concepi l'idea d'un codice ; idea che vuol abito filosofico delle universali tå. Terza età : la signoria de ' Romani , dilatandosi a tutta Italia , fa pos sibili le scienze. - Cittadinanza romana a tutti gl ' Italiani ; gius italico che då il dominio quiritario , e il diritto de ' comizj anche per deputati ec .; co lonie romane per tutta Italia ; si determina bene il concetto del paese ita lico . – Gius equo e buono . Altra cagione della fiorente giurisprudenza ; giureconsulti , per lo più , non sono causidici. - Un'altra ; l'emulazione in filosofia e in lettere con gli oratori . Cenno su'principali giureconsul ti ; loro virtù . - Com'apparisca dagli autori , ch ' essi citado ne' frammenti, lo studio loro ne ' poeti , negli oratori e ne ' filosofi. Si paragona que ' giure consulti a'matematici per tre ragioni ; vigore delle conseguenze , cura nel l'evitare contraddizioni , metodo induttivo e deduttivo. – L'efficacia della filosofia non si ristrinse alla forma logica, passò alla materia . – Tale influs so non apparisce solo da prove particolari, ma più ancora dalla universale conformità di quelle dottrine alle leggi del pensiero e ( salvo qualch'errore di tempi ) alla natura umana. Nozioni della giurisprudenza, e perchè i giureconsulti la definissero come la filosofia morale . – Distinguevano la scienza del diritto dall'arte . – Però s'elevarono al concetto della filosofia vera , rigettando gli eccessi : la speculazione de ' giureconsulti è contenuta nel vero da' dettami di senso comune e dal fine pratico. – Distinzione del diritto in jus naturale , gentium et civile : si mostra ch'a torto i giureconsulti vennero ripresi sul concetto de ' diritti naturali . Non accettabile, quanto alla servitù , la nozione del gius civile ; ma i giureconsulti dissero la servitù non secondo il gius naturale , e riconobbero un fatto. Come la parola Jus non esclude l'idea d'un diritto eterno ; e si distingue da legge ; poi , si ha ne ' giureconsulti l'idea precisa del diritto eterno e del diritto natura le . - L'efficacia della filosofia si mostrò nella giurisprudenza per via del diritto onorario. E per via del diritto ricevuto . – E per l'interpreta zione de ' giureconsulti . — Molte novilà introdotte dal gius ricevuto . La virtù e la vera filosofia de'giureconsulti si fa sentire per fino nel loro stile . – Si reca un saggio della loro sapienza e brevità elegante. — Dalla esposizione delle dottrine di Tullio e de' giureconsulti romani apparisce che l'epoca quarta cercò la comprensione finale . Parlato di Cicerone, è da parlare de' Giureconsulti romani. La giurisprudenza, come dissi già nella prima LEZIONE DECIMANONA. 389 Lezione, è una scienza filosofica : perchè risguarda gli atti umani o personali. Procede dalla morale, che ab braccia la scienza de' doveri e quella de' diritti naturali ; e la giurisprudenza positiva non altro fa che determi nare nella varietà de' casi particolari le immutabili ge neralità del diritto eterno. Però, se la filosofia entra in tutte le scienze com'ordinamento di concetti e di giu dizj, entra poi nella giurisprudenza, non solo com'or dine logicale, ma eziandio come scienza dell'uomo e delle ragioni supreme. Avrò dunque a cercare lo svol gimento della giurisprudenza romana, per l'impulso della filosofia, nel doppio aspetto delle forme logiche e della materia. La storia di quella fu distinta bene dall' Hugo in quattro età ( Hist. du Droit Rom ., Intr .); la prima dall'origine di Roma fino alle dodici tavole, cioè fino al terzo secolo della città ; l'altra fino a Cicerone, o alla metà del settimo secolo ; la terza fino ad Alessandro Se vero, oltre i due secoli dell'èra volgare ; la quarta fino a Giustiniano : età di fanciullezza, di gioventù , di virilità e di vecchiaia. Il giureconsulto Pomponio c'insegna ( Fr. 2. D. De Or. Juris) che Roma ne' primi tempi si reggeva senza leggi nè diritti stabiliti; cioè per consuetudini. La con suetudine formò , dice il Forti ( Ist. Civili, 1, 3, $ 3 ), il diritto privato con l'autorità degli esempi , cioè de' fatti ripetuti , e formò con gli accordi de'potenti il diritto pubblico. Così il potere assoluto de padri , de' mariti e de' padroni è da' giureconsulti risguardato sempre per consuetudinario, ed anche l'uso delle clientele ( ivi, $ 4) . Quanta parte avesse la civiltà , e con la civiltà la scien za, in que'primi rudimenti del diritto romano è difficile a definire in antichità si remota e perduti dalle guerre i documenti etruschi. Della Magna Grecia restano scrit ture, perchè le serbò con la lingua loro la stirpe greca ; ma de ' Latini prischi e dell'Etruria non abbiamo più se non epigrafi tuttora ignote, perchè ogni lingua e schiatta si confusero nell'unità romana. Certo è , tuttavia, che 390 PARTE PRIMA. almeno gli Etruschi erano molto civili ; e sembra non si possa dubitare che il sangue loro si mescolasse nel popolo di Roma; benchè l'Hugo lo neghi. Ma Lucio Floro. parlando della guerra sociale, dice chiaro : « Quantunque la chiamiamo guerra sociale a diminuirne l'odiosità . pure, se stiamo al vero, quella fu guerra civile ; giacche il popolo romano, avendo mescolato insieme gli Etru schi, i Latini e i Sabini, e traendo da tutti un sangue solo (unum ex omnibus sanguinem ducat), è di più mem bri un corpo e di tutti è una unità. » ( Rer. Rom . III, 18. ) Il Lerminier ( Phil. du Droit, III, 1 ) riscontra con molto acume in Virgilio la prima origine de' tre po poli, in Virgilio studiosissimo delle memorie antiche ; dov'egli, lodando l'agricoltura, dice : « Questa vita ten nero i vecchi Sabini, questa Remo e il fratello ; così crebbe la forte Etruria. In tal modo si fece la bellis sima di tutti gl'imperi Roma ; e una, si circondò d'un muro i sette colli . » (Georg. 11, 532.) Fatto è che a taluno par vedere i tre popoli nelle tre tribù del primo popolo romano, rammentate da Livio, i Rannesi o Latini, i Tarsi o Sabini, i Luceri o Etruschi. ( Warnkoenig, Hist. du Droit Rom .) Il Monsen ( St. Romana ), recentemente ha negato tal mescolanza, ma non ha detto le prove. Pro babile, a ogni modo, che quel nuovo Comune di Roma. sorto fra ’Comuni vicini , si mescolasse pure di genti vi cine. O si conceda dunque col Niebuhr la preminenza agli Etruschi, o concedasi a' Latini con l’Hugo, un in dirizzo nelle cose romane lo dettero i primi ; e ciò spie ga, come in tanta rozzezza di popolo guerriero e racco gliticcio si possedesse un gius pontificio, e formule sacerdotali e simboli segreti. Questo io diceva per mo strare che le prime consuetudini ed istituzioni ebbero qualche ragione di civiltà , e riuscirono buon fonda mento alla giurisprudenza perfetta. Però, fin dalla prima età, si scorge in Roma la mirabile distinzione da’magi strati (magistratus populi romani) che stabilivano il di ritto, da' giudici ( judex, arbiter ) che giudicavano del fatto ( Hugo, 1, § 146) ; distinzione che a poco a poco LEZIONE DECIMANONA. 391 détte occasione al gius onorario, di cui parlerò in breve . È noto che il reggimento di Roma sott'i re e più ne' principj della repubblica era degli ottimati, cioè aristocratico. Indi la opposizione civile della plebe co’pa trizi per avere un gius equo ; opposizione che, divenuta incivile o violenta nel settimo secolo, rovinò la repub blica, come la prima ne formò la grandezza. Il popolo dimandò leggi scritte per contenere l'arbitrio de' patrizi , e si promulgò la legge delle dodici tavole. Narra il giu reconsulto Pomponio, che queste si raccolsero in Grecia, interprete d' esse l'efesio Ermodoro. ( Fr. 4, D. De Orig. Juris.) Certamente Plinio il vecchio (Hist. Nat.) ram mentò come serbata fino a lui la statua fatta per de creto ad Ermodoro ; talchè la tradizione non pare fa volosa in tutto : ma è certo altresì che nelle dodici tavole ( per quanto ne conosciamo) non si ha traccia del diritto greco : l'essenziale, giudizj, patria potestà e connu bio, eredità e tutele, dominio e possesso, diritto pubblico e diritto sacro, son cosa tutta romana, come diceva già il Vico, e ormai ripetono i più dotti stranieri . (Warn koenig, $ 10, 11.) Ma io credo abbisognasse l'opera di quel Greco erudito per meditare le vecchie consuetudini, e ridurle a concetti determinati ed a’lor capi principali, ufficio di riflessione addestrata ; nè ciò avrebber saputo i Romani, dati all'armi , anzichè agli studj. Ecco il per chè quella primitiva sapienza, logicamente specificata e distinta da Ermodoro, traeva in ammirazione Tullio. Egli scriveva ne' libri De Oratore : « Se ne adirino pur tutti , io dirò quel che sento : a me, il solo libricciuolo delle dodici tavole, par superi ( se tu guardi a' fonti e a'capi delle leggi) le biblioteche de' filosofi tutti nel peso del l'autorità e nella copia dell'utilità . Quanto prevalessero in prudenza i nostri maggiori a ogni altra gente, inten derà facile chi le nostre leggi paragoni a quelle di Li curgo, di Dracone e di Solone. È incredibile, di fatto, quant' ogni altro diritto civile, salvo il nostro , sia in colto e quasi ridicolo . » ( De Or. I, 44. ) Le quali parole 392 PARTE PRIMA. attestano tre cose ; l'antichissima civiltà di quelle genti che formarono Roma, e che vi recarono le proprie tra dizioni, benchè si dessero poi a vita guerriera ed agre ste ; la falsità che il gius civile romano procedesse ài Grecia ne' suoi particolari; e come la perfezione della giurisprudenza si svolgesse da principj non rozzi ne poco pensati. I Romani dettero la sostanza, i Greci pro babilmente la forma, cioè ordinamento di codice. Dalle dodici tavole nacque la necessità d'interpretarle per di sputare in giudizio, e di avere azioni utili a domandare la loro applicazione. Di qui, come dice Pomponio ( loc. cit. 4, 5, 6) , vennero il diritto civile non scritto o l'au torità dei prudenti, e le azioni delle leggi ( legis actio nes); ma tutto ciò era un segreto de' pontefici. Pubblicato il segreto nella seconda età, la libera giu risprudenza passò dallo stato infantile alla gioventù. Ma quando mai, o signori , accadde tal cosa in modo più segnalato ? Voi sapete che sul cadere del sesto se colo di Roma si propagò là il filosofare greco, e che il secolo posteriore è appunto il secolo di Cicerone. Or bene, la giurisprudenza, cresciuta lentamente nel se colo sesto, crebbe nel settimo rapidamente ; e allora proprio noi riscontriamo i giureconsulti studiosi della filosofia e quant'alle leggi del pensiero e quanto alla natura degli atti umani in sè e nell' esteriori atti nenze . Scriveva Cicerone la Topica, o logica inventrice degli argomenti a preghiera di Trebazio, come si ha dal proemio di quel libro, ov'è scritto : « Non potrei, adunque, con te , che me ne pregavi spesso , benchè timoroso di noiarmi (come scorgevo facile), stare in debito più a lungo, senza parer d'offendere lo stesso interprete del diritto.... Sicchè queste cose, non avendo libri con me, scrissi a memoria nella mia navigazione, e dopo il viag gio ti ho mandate. » Il qual libro è notevole molto, perchè ogni precetto è confortato da esempi di giuri sprudenza. E di Servio Sulpicio ( primo in autorità tra' giureconsulti di que' tempi e solo studiato da' giure consulti posteriori ) , ecco che scrive Cicerone, amico di LEZIONE DECIMANONA. 393 >> lui : « Si stima, o Bruto, che grand'uso del gius civile s'avesse da Scevola e da molt' altri , ma l'arte da que st' unico ( cioè da Sulpizio) ; al che non sarebbe giunta in lui la scienza del giure, s'e' non avesse imparato quell'arte che insegna spartire le materie composte, esplicare con le definizioni l'ascose, chiarire con le in terpretazioni l'oscure ; e così a veder prima ben chiaro le cose ambigue, poi a distinguerle, e ad avere in fine la regola per separare il vero dal falso, le conseguenze diritte dalle contrarie. Questi adunque recò tal arte (mas sima di tutte l'arti ) , quasi luce in tutto ciò che dagli altri si rispondeva o si faceva confusamente. ( De CI. Orat. 41. ) Con le quali parole mostrò Cicerone la forma di scienza che si prese dal Diritto in virtù della logica . E la forma scientifica, ch'è abito di riflessione interiore, levò le menti alle generalità, senza cui, come non istà scienza nessuna, così nemmeno la scienza del diritto. E il segnale n'è questo ; che al termine dell'età seconda , cioè sul fiorire della filosofia e delle lettere a Roma, Cesare e Pompeo ebber disegno d'un codice ; disegno, che mostra l ' uso e la stima degli universali astratti da ogni caso particolare, ordinati poi secondo generi e spe cie ; giacchè un codice val quanto in istoria naturale un ordinamento per classi . Pare che Servio Sulpicio ef fettuasse un alcun che di somigliante a impulso di Ci cerone, il quale alla sua volta ne' libri delle leggi ( 111 ) mostrò un saggio di codice pel diritto pubblico, e al trettanto promise pel diritto privato . Nè qui entrerò in disputa fra due scuole alemanne, l'una che col Savigny sostiene il danno de' codici, l'altra che ne difende l'uti lità ; dirò a ogni modo ( nè si contrasta ) che un codice non si fa senz'abito di speculazioni filosofiche ; però l'averlo pensato in Roma e tentato a quel tempo, chia risce la efficacia loro nella giurisprudenza. Essa pervenne a compimento nella terza età, cioè ne' primi due secoli e mezzo dell'impero . Il dilatarsi del dominio romano a tutta Italia preparò il campo alle lettere ed alla filosofia ; perchè i Romani, senten 394 PARTE PRIMA. dosi non più solo Romani, ma Italiani e uomini, la loro coscienza si chiarì e s'arricchì, e l'intelletto loro medito le verità universali. Di questo fatto non v' ha dubbio di sorta . Dopo la guerra sociale, per le leggi Plauzia e Giulia de civitate sociorum ( anno 664 e 65 di Ro ma) , fu data , come notò l'Haubold ( Tav . cronol. per servire alla St. del Dir .), a tutte le città italiche citta dinanza romana, eccetto i Lucani e i Sanniti ; e nel l'anno 705 conseguirono la cittadinanza i Galli oltrepò, conseguíta prima da'Galli cispadani ; la ottenne tutta perciò la Gallia cisalpina . ( Framm . L. de Gallia Cisal pina .) In tal modo, come scrive il Savigny, dopo la guerra italica i cittadini d'Italia divennero parte del popolo sovrano. ( St. del Dir. rom : I, 2.) E il gius italico dava dominio quiritario, o dominio solennemente e pie namente assicurato, immunità da tutte l'imposte dirette, libero governo municipale delle città italiane (ivi ), diritto d'intervenire a'comizj o di mandarvi deputati ; talchè l'Italia , a ' tempi romani, con l'unità politica suprema serbò le unità politiche secondarie, che si chiamavano soci o confederati. E questo accadde perchè i Romani aveano già fatto l'unità naturale della nazione col mescolamento de' sangui, spargendo ovunque le colonie (com'osserva il Forti ) , nè per sei secoli ne mandaron mai fuori d'Ita lia . ( Ist. Civ . 1, 3, § 25. ) L'Italia, dice l’Hugo, non si considerò mai una provincia ; chè le provincie furono soggette a magistrati non propri, non compagne ma suddite. ( Hist. du Dr. Rom. , § 164.) I Romani, allora. si levarono con la mente all'unità naturale del territo rio, come vediamo ne' Digesti . Al Fr. 99, $ 1 de Verborum significatione è scritto : « Dobbiam credere provincie continue le unite all'Italia, come la Gallia ( cisalpina ) ; ma e la provincia di Sicilia più si ha da tenere per continua, essendo separata d'Italia da piccolo stretto : Continentes provincias accipere debemus eas, quæ Ita liæ junctæ sunt, ut puta Galliam : sed et provinciam Siciliam magis inter continentes accipere eas oportet, quæ modico freto Italia dividitur » ( Ulpiano). E al Fr. 9 , D. de LEZIONE DECIMANONA . 395 Judiciis et ubi etc. , si dice : « Le isole d'Italia son parte d'Italia e di ciascuna provincia : Insulæ Italiæ pars Italiæ sunt et cuiusque provincie . » A questo concetto sì pieno vennero i Romani tra gli ultimi tempi della re pubblica e i primi dell'impero, cioè tra la prima e la seconda età. Ecco il perchè la giurisprudenza romana, con l'aiuto della filosofia, potè sorgere a tant'altezza . Si aggiunga poi, che le sevizie de' Cesari cadevano in Roma su'patrizi più sospetti , ma quel reggimento tem peravano istituti repubblicani e ordini civili equi ; se no, come dice il Romagnosi, non si capirebbe il perchè in un governo da turchi uscissero mai tanto insigni se natusconsulti e le belle costituzioni de' principi; e come Alessandro Severo avesse un consiglio di XVI sapienti, tra cui i più chiari giureconsulti, Fabio cioè, Sabino, Ulpiano, Paolo, Pomponio, Modestino e altri . ( Ind. e Fattori dell'incivilimento. P. 2, C. 1 , § 1-5 . ) E tanto è vero , che la notizia del Gius equo e buono splendesse viva nelle menti romane, che lo strapazzo delle provin cie ( finita la guerra civile) non era punto legale, anzi contr' alle leggi ; perchè, secondo le costituzioni come dice il Warnkoenig ), le provincie stavano bene, le impo ste erano lievi , lo Stato pacifico, molto dell'amministra zione in mano di quelle ( il che scusa in parte il popolo romano); ma infierivano i governatori. Popolo e Senato li minacciavano con le leggi repetundarum , tornate vane per corruzione de'giudizj. (Hist. du Dr. Rom. , $ 16.) Tali cagioni principalmente formarono la sapienza de' giureconsulti romani. Inoltre, essi per lo più non eran causidici, ma scioglievano questioni di diritto in generale; e ciò indica sempre più e la natura scientifica del ministero loro, e perchè la scienza, libera da inte ressi particolari, progredisse continuamente. ( Cic . , De CI. Orat.). Poi, l'emulazione degli oratori che piegavano il gius alla varietà de’lor fini, co' giureconsulti che ne volevano serbare la severità, incitò questi a gareggiare in isplendore di lettere e di filosofia, e ad interpretare il diritto co' placiti del senso comune. Così da una di 396 PARTE PRIMA. sputa tra l'oratore Crasso (contemporaneo al padre di Cicerone) e Muzio Scevola giureconsulto sull'interpre tare i testamenti o a rigore di parola, o secondo la probabile volontà del testatore, nacque la giurisprudenza in quest'ultimo senso , ripresa dal Forti, ma (e forse meglio ) approvata dal Cuiacio. Infine, l'esercitarsi tale ufficio da’giureconsulti senz'ombra di lucro, la illustre loro condizione e l'affetto all'antiche leggi e consuetu dini di Roma, indica il perchè tennero essi per lo più l'austerità della morale stoica, che ci chiarisce alla sua volta il decoro, l’equità e sottilità della loro scienza ; e tutto insieme poi spiega la nobiltà di vita de' più tra loro, e n'è spiegato. Le poche notizie che n’abbiamo ce li fanno apparire la più parte uomini onorandi. Nominerò dapprima Quin to Muzio Scevola assassinato a’tempi di Mario . Dice Pomponio che Muzio costituì primo il decreto civile , disponendolo per capi di materie ( generatim ) in diciotto libri . Servio Sulpizio ridusse il diritto a stato di scienza ; fu prima oratore grande, poi giureconsulto per un rim provero che gli fece Muzio Scevola d'ignorare le leggi del proprio paese, egli oratore e patrizio ; sostenne la repubblica ; avversò i Triumviri ; la repubblica gli alzò una statua. Abbiamo di que' tempi Alfeno Varo e Ofelio disce poli di Servio, e Trebazio (a cui la Logica di Cicerone) e un altro Muzio Scevola e Cascellio . Muzio non accettava da Ottaviano il consolato ; Cascellio non volle mai comporre una formola secondo le leggi de' Triumviri ; e a chi lo consi gliava si temperasse rispondeva : son vecchio e senza figliuoli. Labeone, il cui padre era morto a Filippi, ri fiutò il consolato da Ottaviano anch'egli, e serbò spiriti antichi. Dice Pomponio : « Egli si détte moltissimo agli studj, e divise l'anno in modo che stava sei mesi a Ro ma co' discepoli (cum studiosis), e sei mesi lontano per iscrivere libri. Così lasciò quaranta volumi, che i più s'usano ancora. Ateio Capitone ( segue Pomponio) per severava nell'antico ; ma Labeone, che molto aveva me ditato nell'altre parti della sapienza ( qui et in cæteris LEZIONE DECIMANONA. 397 sapientiæ operam dederat), per valore d'ingegno e per fidanza di dottrina cominciò a innovare molto. » ( Fr. 39-47, D. De Or. Jur. ) I cinque giureconsulti più cele bri e più recenti ( lasciando gli altri) sono Emilio Papi niano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino . Papiniano, fami liare di Settimio Severo e principale nel governo, stette per Geta contro Caracalla ; e volendo costui una difesa legale del fratricidio , Papiniano la negò e venne ucciso. Scriveva : « i fatti che ledono la pietà, il buon nome e il pudore nostro, e che, a dirlo in genere, son contro al costume, si dee tenere che noi uomini dabbene non possiamo farli. » ( Fr. 15, D. De servis exportandis etc.) Gli altri quattro illustravano, come dissi , il consiglio di Alessandro Severo . I giureconsulti, massime della terza età, levarono (com' avvertii) a stato di scienza le loro discipline ; e ciò nacque dalla molta erudizione loro, non solo in filoso fia, ma eziandio in lettere ; e se n'ha prova ne' lor libri per le citazioni da' Greci ; com'a dire Omero, Ippocrate, Platone, Demostene e Crisippo. E il primo effetto fu , come notai de' tempi di Cicerone, che la giurisprudenza prese forma logica tanto sicura e stringente, ch'è una meraviglia. Si sa da molti e ab antico (dice l' Hugo) la filosofia de' giureconsulti, ma si sa da pochi, che nes suno più di quelli sta in confronto de’matematici per tre ragioni ; cioè per vigore di conseguenze da prin cipj fissi, per diligenza nell'evitare contraddizioni, che Gaio dimandava inelegantia juris, e pel metodo di stintivo e compositivo, induttivo e deduttivo ad un tem po ; distintivo e induttivo salendo alle specie generali del diritto ; compositivo e deduttivo traendone con bre vità ed evidenza le illazioni . Il gran Leibnitz, insigne così giureconsulto come filosofo e matematico, scriveva nell' Epist, 119 : « Io ammiro l'opera de Digesti , o me glio i lavori de' giureconsulti, ond' ell' è presa : ne vidi mai nulla che più s'accosti al pregio de matematici : 0 che tu guardi all'acume degli argomenti, o a'nervi del dire . » 398 PARTE PRIMA. Ma questa efficacia della filosofia non potè fermarsi all'ordine de' pensieri, dovè penetrare nell'interno, giac chè, com'avvertii , materia della giurisprudenza son gli atti umani o personali, soggetto filosofico. Tal efficacia non si creda particolare ma generale ; quindi , coloro che cercano ne'giureconsulti le traccie minute o degli Stoici o d'altri sistemi, errano forte se non passano inoltre a considerare l'opera generale della riflessione interna. È certissimo, com'avvertono gli eruditi, che i più de'giureconsulti tolsero dagli Stoici l'argomentare per analogia, l'amore dell' etimologie, la spartizione delle materie, la sottile dialettica che conviene al Foro , e molte dottrine sulla ragione dell'onesto, applicate da essi egregiamente al gius civile : ma l'essenziale sta in quel gran corpo, così disposto bene secondo le leggi del pensiero, e (salvo qualch'errore de' tempi) così con formato alla natura umana nelle regole eterne di lei e nelle relazioni esteriori. Sicchè il gius romano serve di lume al gius de’ popoli più civili , come si ha dal codice Napoleone : e gli Alemanni, dimenticata noi tanta gloria, vi fanno su studj esimj e perseveranti . E perchè si chiarisca il filosofare intimo de' giure consulti, guardiamo la nozione, ch'e'si facevano della giurisprudenza e della filosofia . Ulpiano nel Tit. 1 dei Digesti scrive (pr. e fr. 1 ) : « Dand' opera al gius, oc corre prima sapere onde ne venga il nome. Gius è chia mato da giustizia; perchè ( come Celso lo definì elegan temente) il gius è l'arte del buono e dell'equo. Però siamo chiamati con ragione sacerdoti della giustizia. Di fatto, professiamo la giustizia e manifestiamo la scienza del buono e dell'equo ; separando l'equo dall' iniquo, e discernendo le cose lecite dalle contrarie ; desiderosi di far buoni gli uomini , non solo per timore delle pene, ma eziandio per l'incitamento de'premj; ricercatori (se non m'inganno) di vera e non simulata filosofia. » Se la definizione della giurisprudenza si prenda qui a ri gore, ella non regge, perchè si stende a tutta la filoso fia morale : ma se badiamo al concetto che avevano di LEZIONE DECIMANONA. 399 questa gli antichi, e al generarsi la scienza del Diritto dall'altra del Dovere, ci formeremo idea chiara del co me intimamente fosse filosofica la giurisprudenza romana. Ho mostrato altrove ( Lez. XVII) che, secondo i sistemi greci, sommità di perfezione umana è lo Stato ; talchè la morale s' ordinò alla politica ; concetto vero per l'attinen ze esteriori, falso e pagano quant' all'ultimo fine. Non faccia dunque meraviglia, o signori, se i giureconsulti romani definivano il gius civile come la morale ; lo de finivano così, perchè, a sentimento di tutti gli antichi, le due scienze si mescolavano in una . Noi con più ra gione le distinguiamo, ma s'erra da chi ne dimentica l'unità superiore, ch'è la scienza de' primi principj e dell' uomo ; dimenticanza ignota agli antichi, che però svolgevano razionalmente il diritto e non lo maneggia vano materialmente. Notate ancora che nel passo citato si distingue la scienza dall'arte. Se nelle Istituzioni poi la giustizia è definita : « Costante e perpetua volontà di rendere a ciascuno il suo diritto : » e se la giurispru denza è definita ; « Notizia delle cose umane e divine e scienza del giusto e dell'ingiusto, pr. e S 1 , Inst. De just. et jure), » si vuol fare la stessa osservazione detta di sopra ; e noterò col Cuiacio, che in tal luogo la giu risprudenza è indicata bene com' abito dell'intelletto o scienza, e com ' abito della volontà, secondo l'antica filo sofia . E la filosofia la pensavano essi , non senz'alta spe culazione, ma contenuta nel vero da' dettami del senso comune e dal fine pratico. Di fatto s' inalzarono all'e ternità del diritto (come osserva il Vico, Sc. Nuova, IV) allorchè dissero : Il tempo non muta nè scioglie i di ritti (tempus non est modus costituendi vel dissolvendi juris ) ; e quando discernevano il diritto naturale dal positivo : ma nello stesso tempo rigettarono gli eccessi dello stoicismo, come l'eguaglianza della imputazione; finalmente derisero le stranezze , l' ipocrisie, l'avarizia di quelle sette in età di scadimento. Così abbiam sen tito Ulpiano, che distingue filosofia schietta dalla ma scherata ; e nel Fr. 6 , § 7 , D. al Tit. De his quæ in 400 PARTE PRIMA . testamento delentur, è schernito il suicidio de' filosofi per ostentazione, e nel Fr. 1 , § 4, D. de extraordinariis cognitionibus etc. , dove si stabilisce gli onorarj delle professioni, li nega il giureconsulto a' filosofi che, van tando di spregiare le mercedi, n'andavano a caccia. I giureconsulti poi mostrarono tre specie di diritti : jus naturale, gentium, et civile ; distinzione che non si vuol confondere con l'altra più pratica in jus gentium vel naturale e in jus civile ; e chi non vi badi, tassa i giureconsulti d'errori, ch'e'non hanno. La distinzione pratica mette divario tra leggi proprie di Roma ( jus ci vile) e istituzioni comuni a ogni popolo non selvatico ( jus gentium vel naturale) ; l'altra è distinzione più specula tiva e fondamentale. Ulpiano nel Tit. De just. et jure, D. dal Fr. 2 al 6, distingue diritto pubblico da privato; e distingue il privato in diritto naturale, che natura in segnò a tutti gli animali, come la procreazione de'fi gliuoli ; in diritto delle genti, del quale tra gli animali hann' uso gli uomini soli , come la religione verso Dio, l ' obbedire a' genitori e alla patria : in diritto civile ch'è proprio d'un popolo. Ora, s'è accusato Ulpiano d'aver confuso il diritto naturale con gl' istinti del l'animalità ; ' e sì che il Piccolomini da qualche secolo fa , come il Warnkoenig oggi , notava che qui , se condo le dottrine vere d' Aristotile, son distinti nel l'uomo i diritti che vengono dalla natura animale , quelli che vengono dalla razionale, e gli altri che pone la comunanza civile. Non s'intende già che le bestie ( dette da' giureconsulti cose, non persone) abbian di ritto, ma che le potenze animali dell'uomo, in quanto appartengono all'uomo, generan diritti , come li gene rano le potenze razionali . Talchè in Ulpiano si trova benissimo sceverata l'animalità dalla razionalità . È da confessare invece, che il diritto civile si definisce per quello che toglie o aggiunge al diritto naturale e delle genti ; e s'allude alla servitù ch'è contro alla natura, come si dice nel Tit. De regulis juris. Ma tut tavia meritan lode i giureconsulti, che se non condan · LEZIONE DECIMANONA. 401 narono la servitù, la dissero contraria bensì al diritto naturale, migliori di Platone e di Aristotile . Anzi nelle Istituzioni è detto, che il gius naturale viene istituito dalla divina Provvidenza, come insegnavan gli Stoici ( De Jur. Nat. Gen. et Cir ., fr. 2 , § ult. ); nel qual testo il gius naturale abbraccia pur l'altro delle genti . Poi, essi definiscono il gius civile qual era in fatto allora . Osserverò di passaggio, che il chiarissimo Conforti nel l'annotazioni allo Stahl ( St. della Filosofia del Diritto, Torino 1855) opina con altri , che i Romani non avessero idea del diritto eterno, perchè jus viene da jubeo, co mandare ; dove la parola diritto, e le simili del francese, tedesco e inglese, hanno il concetto di rettitudine, o di rittura alla legge eterna. Ma quel valentuomo non pensò forse al come definisce la parola Jus il Forcellini ( Voc. ad V.) : « Gius è tutto ciò che in generale vien costi tuito da leggi o naturali , o divine, o delle genti o ci vili ( jus est autem universim id, quod legibus constitutum est etc.). Si nomina con altro nome equità comune, equo universale, legittimo, cioè adequato alle leggi, quasi norma e regola degli atti umani. » Sicchè i Romani chiamavano Jus un che costituito da una legge qua lunque ; così distinguevano la legge da ciò che ne pro cede, e ch ' è l'effetto del suo comando : e Cicerone ( Rep. et De Leg. passim ) adopera legge e gius in tal significato. Ma la risposta migliore si è in quell'assioma de Romani già citato : « il tempo non muta nè scioglie i diritti ; conobbero, dunque, i Romani la santità del diritto fuori del tempo, cioè nell'eternità, o nel suo fondamento as soluto. Inoltre vedemmo che il gius civile si distingueva dal naturale. Ma tornando a'giureconsulti, la loro scienza originò il diritto onorario, di cui parla il Forti se non con molta novità, certo con più chiarezza di tutti gli altri da me esaminati . E io ritrarrò in breve la sentenza di lui , e n'uscirà la prova del quanto potè la scienza dell'uomo e la filosofia morale in tanta perfezione di gius. Ma prima dirò; che il gius onorario conteneva gli editti del Storia della Filosofia . – I. 26 402 PARTE PRIMA. pretore urbano e del peregrino, e quelli degli edili e proconsoli e propretori delle provincie (edictum provin ciale). Pare che il gius predetto, almeno in modo se gnalato, principiasse verso la metà del secolo VII, per chè Cicerone nella seconda Verrina dice : « postea quam jus prætorium constitutum est . » L'Hugo dimostra, con tro l’Heinneccio, che tal diritto ebbe forza di legge ; poichè ( tra gli altri argomenti ) Cicerone non contrasta nelle Verrine che l' Editto di Verre sia legge da te nere, ma lo accusa di averlo infranto egli stesso, o con formato non secondo ragione. ( Hugo, Hist. etc. , $ 178, 179. ) Or dunque, i pretori rendevano giustizia ne'civili ne gozi , gli edili per le convenzioni de' mercati e per la po lizia della città ; e tanto gli uni che gli altri, quando pi gliavano i magistrati, mandavan fuori un editto , ove stabilivano le forme del giudizio e le massime: ottimo istituto in repubblica popolare. Non mutavano il gius, ne determinavano l'applicazione. Eccone gli esempi : In primo luogo, salva la forma legale, si supponga che i contraenti abbiano pattuito o per inganno, o per er rore, o per timore, o per forza. Mancando la moralità dell'atto, la legge non conservavasi uguale per tutti . Quindi i pretori statuiron massime per l'efficacia civile della moralità negli atti , scuse legittime per negare agl'ingiusti la sanzione della legge e i mezzi legali, perchè queste massime d'equità si recassero ad effetto . I codici moderni han composto di tali massime le lor leggi universali . Allora, dice il Forti, gli editti de' magi strati « erano uno de' principali modi, per cui la filosofia venne applicata gradatamente ai bisogni civili . » Sicchè (quant'alla moralità degli atti) trovarono i magistrati l'eccezioni perpetue contro le obbligazioni per dolo, per timore, per errore, per violenza ; la restituzione in intero, i modi legali a sciogliere le dette obbligazioni, od a ri petere ciò che pel tenore loro fosse stato pagato. In se condo luogo, le leggi , definito il diritto e ordinatane la sanzione, lasciavano a'magistrati ilmodo d'effettuarli. Per esempio, le leggi stabilivano i modi d'acquistare la pro LEZIONE DECIMANONA . 403 prietà, ma non i modi della sua difesa ; che più tornò necessaria, quanto più divise le possessioni, e distinta la varietà de'godimenti e diritti che si comprendono nella mozione del dominio ; onde nacquero nuovi contratti e bisogni di nuove difese. Quind'i pretori differenziavano a capello il dominio e il possesso, e gl'interdetti che lo proteggono, e va' discorrendo. ( Ist. Civ., L. I. S. 1 , € . 3, § 31.) Le dottrine de'giureconsulti poi vennero a formare un'altra maniera di gius, cioè il diritto ricevuto ljus receptum ). Essi, introducendo ne'contratti clausule, con cui si stipulava l'osservanza della buona fede, costrin sero i magistrati a giudicare di que'contratti, non se condo le nude parole della legge, sì a lume di naturale onestà ; come le clausale, si lodate da Cicerone, uti ne propter te , fidemre tuam captus, fraudatusne sim ; e ut inter bonos bene agier oportet et sine fraudatione. ( De Off. III, 17. ) I giureconsulti si davano all'interpretazione; e poi chè questa o considera la legge in sè, o gli atti della volontà umana , così la filosofia di que'sapienti gli aiuto all’un five con le spiegazioni delle parole e con la de. finizione de'termini astratti, e col mirare alla ragione della legge stessa : gli aiutò all ' altro fine co giudizi sulla moralità degli atti , e con le regole per interpre tare l'altrui volontà. Il Gravina così accenna le novità del gius ricevuto : * Dalle interpretazioni de' giureconsulti passate in uso, e mitiganti a poco a poco e come di soppiatto l'asprez za delle leggi, son venute le regole di diritto, temperate dalla ragione d'equità. Nacquero da essi , l'uso dei codicilli, l'azione del dolo, le azioni quasi tutte che chiamaron utili , perchè procedono dall’equa e utile in terpretazione, le stipulazioni aquiliane, autore Aquilio giureconsulto, le varie differenze delle successioni. la re gola catoniana , la sostituzione pupillare, il divieto della donazione tra marito e moglie, e l'altro che i pupilli s'obblighino senza l'autorità del tutore. Da essi ver 404 PARTE PRIMA. nero i giudizi di buona fede, le azioni rei uxorie, la querela dell'inofficioso testamento, e infine tutto ciò che si trova citato sotto nome di costumi, di consuetudini e di gius ricevuto. ( De ortu et progr. I, Civ. , C. 43. ) Tale acume di riflessione disciplinata recò i giurecon sulti per fino ad un computo di probabilità sulla vita umana quant'all' usufrutto ed agli alimenti (come si vede Fr. 68 D. Ad Legem Falcidiam ); cosa notabile molto, perchè fa supporre grand'abito d'osservazione e di giudizi astratti . La virtù e la vera filosofia de' giureconsulti le sen tiamo pur anche nel loro stile, che in mezzo alle ampol losità di Seneca e degli altri si tien semplice e puro .. Nelle Pandette v' ha errori di lingua, per vizio de' com pilatori greci e de' copisti ; ma specie i frammenti di Gaio e d'Ulpiano son gioielli, ammirati da' principali maestri di latinità . Terminerò, o signori, recando un saggio di tal sa pienza ed elegante brevità, in alcune regole di gius. dall' ultimo titolo de' Digesti : « I diritti del sangue non posson finire per niuna legge civile ( Fr. 8) . Sempre nelle cose oscure s' ha da tenere il meno ( 2) . Sta in na tura che le comodità d'una cosa seguan colui che ne sente gl' incomodi. Ciò che dapprima è vizioso non si può col tempo sanare ( 29) . Nulla è più naturale che sciogliersi a quel modo ch' uno s ' è legato : però l ' ob bligazione di parole sciogliesi con parole, e quella di nudo consenso con altro consenso ( 35) . Che si fa o si dice nel caldo dell'ira, non si stima . vi sia consenso d'animo, se non v' ha perseveranza ( 48) . Nessuno può trasferire altrui più diritti che non ha ( 54) . Sempre nel dubbio son da preferire le sentenze più benigne ( 57) . L'erede si stima di quelle facoltà e di que' diritti che il defunto ( 59) . È proprio di quel sofisma che i Greci chiamano sorite, o ammucchiato sillogismo, di trar la disputa, con lievissime mutazioni, da cose evidentemente vere a evidentemente false (65 ). Quante volte un di scorso rende due sensi, prendasi quello ch'è più adatto LEZIONE DECIMANONA. 405 al da fare ( 69) . Non si dà benefizio per forza ( 69) . Nes suno può mutare il proposito suo in altrui danno ( 75) . In ogni cosa, ma più nel gius, è da guardare all’equi tà (90 ). Ne’discorsi ambigui è il più da guardare all'in tendimento di chi li fa (96) . Nelle cose oscure si badi al più verosimile, e a ciò che accade più spesso ( 114) . Il timore vano non è buona scusa ( 184) . Per l'impossi bile non c'è obbligo che tenga ( 185) . Le cose proibite da natura, non sono convalidate da legge nessuna ( 188, § 1 ) . Per gius di natura nessuno dee farsi più ricco a danno altrui (206) . Per gius civile i servi si sti mano nulla ; non per diritto naturale, secondo cui tutti gli uomini sono uguali » ( 32) . Quando l'impero si foggiò all'orientale, la giurispru denza cadde in vano eccletticismo; come n'è segno « La indigesta mole de' Digesti >> e ciò accadde alla quarta età, o di vecchiezza. Poichè abbiamo con qualche sufficienza esposto la filosofia grecolatina di Cicerone e de' giureconsulti, e abbiam veduto come proposito di questi e di quello apparisca sempre l'armonia tra le speculazioni e la pratica, e, nelle speculazioni, fuggire tutti gli eccessi delle sette, componendone, guidati dalla coscienza e dal senso comune, un'unità, siam chiari (mi sembra) che veramente dopo la dialettica distintiva de' greci, tende vano i Romani alla comprensione finale, e che tal è proprio la qualità prevalente in quest'epoca quarta del tempo pagano e della filosofia . Or noi passeremo al l'èra cristiana ..

 

Augusto Conti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.

 

CONTRI (Cazzano di Tramigna). Filosofo. Grice: “I like Contri – he reminds me of my days at Rossall! Of course Contri is interested in Hegel – “a la ricerca del segreto sofisma di Hegel” – and attempts to reveal it as Stirling never could! But Contri is also interested in ‘il bello’ – being an Italian! – The interesting thing is that he goes back to Italy – Aquino! He has a good exploration on ‘verum’ in Aquino, too, which reminds me of Bristol, Revisited!” Allievo di Zamboni, elabora una minuziosa critica alla logica di Hegel di cui mise in rilievo le incongruenze gnoseologiche e metodologiche che portano alla errata concezione hegeliana della realtà come vita dell'idea. Rovesciando l'immanentismo hegeliano, scopre un mondo di realtà sviluppando una concezione di filosofia della storia che denomina “storiosofia”.  Studia a Verona. Si laureò a Padova. Discepolo fervente di Zamboni, di cui accolse e sostenne la dottrina della gnoseologia pura. In alcune occasioni si descrisse come elaboratore in contemporanea al suo maestro Zamboni di alcune teorie, collegate all’estetica ma non solo. Insegna a Bologna. Zamboni fu espulso dall'Università Cattolica con la motivazione di allontanamento dalla ortodossia tomistica e con accusa di non conformità al Magistero della Dottrina Cattolica Romana. Contrì definì la posizione della Cattolica con il termine da lui coniato di “archeo-scolastica”. La posizione “archeo-scolastica” della Cattolica di Milano, di una conoscenza indimostrata, a priori, dell’essere e degl’esseri era bersaglio di critiche da parte di filosofi cristiani e non che la ritenevano inadeguata nell’ambito del pensiero moderno. Contri sostenne che la dimostrazione della conoscenza dell’essere e degl’esseri data dalla Gnoseologia Pura di Zamboni superava definitivamente tali critiche e ridava certezza dimostrata della conoscenza e dell’esistenza di Dio. Accusa di plagio Gemelli per aver pubblicato nella monografia Il mio contributo alla filosofia neoscolastica (Milano) pagine già scritte da Desiré Mercier e da Morice De Wulf, senza indicare le citazioni. Gemelli diede le dimissioni da Rettore della Università Cattolica ma rimase in carica. Insegna Bologna. Il prof. Ferdinando Napoli, Generale dei Barnabiti, cultore di scienze naturali, venne depennato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, allora presieduta dal Gemelli. Venne dato ordine di non pubblicare articoli a firma di Contri. Continuando la difesa della dottrina di Zamboni, fondò la rivista quadrimestrale di polemica e di dottrina neoscolastica “Criterion”. Il confronto con l’Università Cattolica di Milano continuò negli anni successivi con relazioni a numerosi congressi di cui Contri diede resoconto sulla rivista. Insegna a Ivrea. Sulla rivista Criterion apparvero intanto i primi Saggi del Contri sui suoi studi hegeliani che prelusero all'opera definitiva dLa Genesi fenomenologica della Logica hegeliana. Partecipa attivamente agli organi culturali del fascismo. Sscrisse su giornali quali Il Secolo Fascista, Quadrivio, Il Regime Fascista, Il meridiano di Roma e La Crociata Italica. Contri si avvalse della tribuna offerta da queste testate per promuovere i suoi studi filosofici e critica filosoficamente l’ ebraismo di Spinoza, di Durkheim e di Bergson. Insegna a Milano e tenne conferenze su studi hegeliani. Sorse una disputa con Zamboni in seguito all'articolo Il campo della gnoseologia, il campo della storiosofia, in risposta alla pubblicazione del Contri Dallo storicismo alla storiosofia.  Prese parte attiva a congressi tomistici internazionali e a congressi rosminiani.  Partecipa attivamente alla “Missione di Milano”, lanciata dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini.  Come riconoscimenti ai suoi studi conseguì alcuni premi fra i quali uno indetto dall'Angelicum sul tema “Quid est veritas”, e una segnalazione all'Accademia dei Lincei per l'opera: Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, Milano, LSU. Fu discepolo e geniale continuatore di Zamboni. Così potrebbe definire la situazione filosofica di oggi. Il mondo del pensiero, perduta la bussola non teologica d'orientamento, è costituito da una miriade di metafisiche che cozzano le une contro le altre tanto da definirsi che heghelianicamente come il divenire in sè, che è puro fenomenismo. A tale fenomenismo corrispondono molteplici fenomenologie. Per esempio quella di  Heidegger, afferma che il reale è un solo, una totalità onniafferrante (Hegel direbbe begriff), tanto come essere quanto come niente. Anche Hidegger poi tenta la via della salvezza ammettendo la realtà del mondo esterno come di un che, che resiste al soggetto, ponendosi nel solco del pensiero di Zamboni. In questo modo Hidegger tocca il problema che si volle e che si vuole eludere: la realtà del mondo esterno. Esistono queste realtà, come la mia realtà, indipendentemente dal pensarle? Per dare risposta a questo interrogativo cruciale, è necessaria la gnoseologia pura. La gnoseologia secondo Contri, scoprì la risoluzione definitiva del problema della certezza della conoscenza umana. Essa permise di risolvere il problema dell'esistenza di Dio, riavvalorando criticamente le cinque vie della dimostrazione Aquino. Sono meriti del metodo filosofico di Zamboni il poter affermare la sostanzialità del mio “io” personale, la mia realtà individua e dimostrare l'esistenza di Dio, trascendente, personale. Il metodo zamboniano distingue gli elementi della conoscenza umana tra la sensazione, che e sempre oggettiva, e lo stato d'animo e tra questi "quello stato d'animo che è anche atto: l'attenzione". Ogno stato d'animo e sempre soggettivo. La gnoseology riesce a cogliere la realtà del proprio “io”, nei suoi atti e stati. Essi sono reali, per­ché immediatamente presenti all'”io”, e se sono reali gli accidenti dell'io, perché essi sono modo di essere dell'io, reale è l'io, come sostanza, cui essi ineriscono. Perciò dall'immediata certezza della realtà degli accidenti di un ente si giunge alla certezza della realtà sostanziale dell'io." La critica alla posizione della neoscolastica di Gemelli, Olgiati e Masnovo sulla conoscenza indimostrata dell'ente e la soluzione tramite la gnoseologia pura. Rispetto alla dimostrazione della realtà dell'ente, si fonda così nell'esperienza immediata ed integrale il concetto di essere e ‘esseri’ che non è più necessario assumere acriticamente, come qualcosa di razionalmente immediato, pena l'impossibilità di una logica razionale. L'assunzione acritica del concetto di essere ed esseri è propria del neotomismo dell'Università Cattolica, che in un suo autore, Masnovo, perviene alla sua massima teorizzazione nel "mio hic et nunc diveniente atto di pensiero". Ma con questo l'essere e gli esseri è solo pensato e ammesso acriticamente come pensiero, è un presupposto, mentre nella gnoseologia zamboniana è il risultato di un processo di astrazione, che deriva da una realtà immediatamente presente all'autocoscienza dell'io, che non ha la natura del pensiero, non è pensiero essa stessa, ma qualcosa di diverso. Si può pertanto uscire dalla formula logica della ragion sufficiente, che è sempre e comunque razionalista e riduce al razionalismo anche il neotomismo. Nell'ambito dell'esperienza immediata ed integrale si scopre invece non la ragion sufficiente, ma la sufficienza ad esistere o no. E la fondazione ed il ripensamento delle prove dell'esistenza di Dio, e in particolare della terza via tomistica, diventano inoppugnabili. Nessuno più può dubitare dell'esistenza del sufficiente ad esistere, che è Dio."  Secondo Peretti la fondazione gnoseologica della metafisica è il più grande merito di Zamboni.  L'ambiente filosofico dell'Università Cattolica non accetta la gnoseologia zamboniana e fonda la metafisica sul concetto di ente, assunto acriticamente, come un presupposto indimostrabile. Esso finì per identificarsi con l'ente di ragione (ens rationis), non sfuggendo all'insidia hegeliana, che lo aveva dialettizzato sia come essenza che come esistenza. La dialettica negativa di Hegel produsse ben presto nella corrente neotomista di Milano (ma anche in altre università cattoliche) i suoi effetti devastanti. Aveva messo in guardia i neotomisti dalla fraus hegeliana, che si svela nell'antitesi (contra-posizione) come negazione. Seguendo la metodologia gnoseologica, Contri affronta Hegel, il "padre del fenomenismo" compiendo una minuziosa e sistematica analisi della fenomenologia hegeliana. Dopo averle individuate ha messo in rilievo le incongruenze gnoseologiche e perciò metodologiche che sfocia nella concezione della realtà come vita dell'idea, presentandola come uno svolgimento dialettico del ‘begriff’, come qualche cosa che non mai in sé, ma diviene eternamente in sé e per sé. Contri resa evidente questa impostazione, anima del fenomenismo, e scoperta nella deficienza gnoseologica e pertanto metodologica, derivata dall'impostazione razionalista ed empirista che al fondo dello stesso criticismo, rovescia l'immanentismo hegeliano, che si gli scopre non più come mondo di idee, ma di realtà, di cui ognuna è altro del suo altro, in un ordito cosmologico, di cui la storia dell'uomo rappresenta l'essenza. Ed ecco la storiosofia, che reclama, al posto dell'immanentismo gnoseologicamente insostenibile, la trascendenza della trama di questo ordito, che a questo punto in sé e per sé non può più essere spiegato (si ricordi che l'anima della spiegazione hegeliana è la "negazione"!). Tale trascendenza prova l'esistenza di un Dio trascendente, che ha concepito la trama creando le realtà ordito di questa trama, di realtà in reciproca relazione, in cui non c'è membro che sia fermo. In questo ordine si risolvono in modo nuovo i rapporti tra le realtà, che per esempio tra l'anima e il corpo, superando così gli scogli di una spinosa questione di eredità aristotelica, di grande importanza anche oggi, in cui le realtà terrene e spirituali non trovano la sintesi equilibratrice.  La storiosofia rappresenta uno sviluppo del metodo di Zamboni, considerandolo la via per rinnovare tutta la filosofia poiché esso non è storicismo filosofico, non è naturalismo, è avanti positivistico, non è speculazione, ma metodo appunto, (metodo) che da secoli la filosofia europea ha cercato, perdendolo oggi nella disperazione del momento." Opere: “Il concetto aristotelico della verità in Aquino” (Torino, SEI); “Gnoseologia” (Bologna, L.Cappelli); “Il concetto d’armonia” (Bologna); “Il tomismo e il pensiero moderno secondo le recenti parole del Pontefice, Bologna, Coop. tipografica Azzoguidi): “Del bello” (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina); “La filosofia scolastica in Italia nell' era presente” (Bologna, Cuppini); “L’essere e gl’esseri” (Bologna, C. Galleri); Un confronto istruttivo: Mercier, Gemelli, De Wulf ed altri ancora, Bologna, C. Galleri); “Pane al pane: riassunto d'una situazione, Bologna, Costantino Gallera. “Neo-scolastici e archeo-scolastici” (palaeo-scholastici) sulla rivista Italia letteraria; “Il segreto sofisma di Hegel” (Bologna, La Grafolita), “Mussoliniana: il discorso del duce” (Bologna, La Diana scolastica); “Gnoseologia pura di A. Hilckmann; Il segreto di Hegel di S. Contri, Bologna, Stabilimento Tipografico Felsineo); “Hegel, Ivrea, ed. Criterion); “La genesi fenomenologica della logica hegeliana” (Bologna, ed.Criterion; Ambrogino o della neoscolastica, dialogo filosofico,  Bologna); “La soluzione del nodo centrale della filosofia della storia, Bologna, Criterion); “Complementi di storiosofia, Bologna, Criterion); “Punti di storiosofia, Bologna, Criterion; Lettera a S.S. Pio XII sulla filosofia della storia, Bologna, Criterion; Il Reiner Begriff (=concetto puro) hegeliano ed una recensione gesuitica, Bologna, Criterion; Dallo storicismo alla storiosofia. Lettura prima, Verona, Albarelli; I tre chiasmi della storia del pensiero filosofico.  Inquadratura unitotale della controversia sulla storiosofia, Milano, ed. Criterion); “Rosmini” (Domodossola, La cartografica C. Antonioli); Ispirazione da dei” divina della S. Scrittura secondo l'interpretazione storiosofica” (Milano, Criterion); “La sapienza di Salomone, Milano, ed. Criterion; “La riforma della metafisica” (Milano, ed. Criterion); Filosofia medioevale.  Raggiungere la forma nuova, Fiera Letteraria; Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, alla luce della momentalità storiosofica” (Milano, Libreria Editrice Scientifico Universitaria); “Rosmini” (Milano, Centro di cultura religiosa); “Posizioni dello spiritualismo Cristiano: La dottrina della poieticita in un quadro rosminiano” (Domodossola, Tip. La cartografica C. Antonioli); “Assiologia ed estetica”, Theorein; Posizione dello spiritualismo cristiano. La dottrina della poieticità, in un quadro rosminiano, Rivista rosminiana; Heidegger in una luce rosminiana: la favola di Igino e il sentimento fondamentale, Domodossola, La cartografica); Missione di Milano. Chiosa storico-filosofica, Ragguaglio); “Heidegger in una luce rosminiana, Rivista rosminiana); La coscienza infelice nella filosofia hegeliana” (Palermo, Manfredi); “Husserl edito e Husserl inedito” (Palermo, Manfredi); “Kierkegaard: profeta laico dell'interiorità umana”; “Saggio di una poetica vichiana” (Milano, Il ragguaglio librario); La fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Rivista rosminiana; L'unità del pensiero filosofico, Sapienza; Il pluralismo filosofico nell'ambito di una concezione cristiana, Sapienza; In margine al centenario dantesco, Sapienza; La negazione come principio metodologico di unificazione speculativa, Theorein; Vita e pensiero di Hegel, Rivista rosminiana; Possibilità di un accordo tra la dottrina rosminiana del sentimento fondamentale e le concezioni moderne  sull'inconscio, Rivista  rosminiana; Morale e religione nella Fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Palermo); “Parallelo tra Hegel e Rosmini, Palermo, Mori); “Metafisica e storia, Palermo, Mori); “Il sofisma di Hegel” (Milano, Jaca book). “Il caso Contri”; “Gnoseologia”; noseologia, storiosofia; Contri, Note mazziane; La propedeutica metafisica hegeliana al problema del pensare e la lettura rosminiana di S. Contri, Contri tra gnoseologia e storiosofia, Punti di trascendenza in S. Contri, in Sophia, Crociata Italica, Fascismo e religione nella Repubblica di Salò, L'Estetica di Benedetto Croce. Certi gestiscriveva la Vanni Rovighiche gli furono rimproverati come acquiescenza al potere politico fascista (e furono ben pochi in confronto a quelli di molti altri) furono dettati dalla preoccupazione di difendere la sua Università dalla minaccia di chiusura da parte del potere politico, minaccia tutt’altro che immaginaria. E forse fu il timore di fronte alle obiezioni di un’altra autorità, quella ecclesiastica, che gli premeva ben più di quella politica, a indurlo ad allontanare dall’Università un uomo di grande ingegno e di purezza adamantina: Zamboni, un gesto che non può non essergli rimproverato e che lasciò anche a noi allora studenti dell’amaro in bocca. Contri, (Circa il volume di Croce 'La storia come pensiero e come azione. Siro Contri Presidente dell' Istituto di Cultura Fascista...».  Siro Contri, «Il regime fascista» Siro Contri. Keywords: del bello, il bello, assiologia, poetica vichiana, Mussolini, discorso, duce, logica di Hegel, filosofia dell’essere, l’essere e gli esseri, Hegel contraddetto, il bello, pulchrum, archeo-scolastici, paleo-scolastici, Aquino, aristotele, il vero, l’errore di Croce, l’equivoco di Croce, percezione del bello, l’armonia e il bello, del storicismo alla storiosofia, storiosofia o filosofia della storia, interpretazione dommatica di Aquino, la negazione di hegel, il concetto puro di Hegel, la negazione come metodo in Hegel, nihilismo e negazione in Hegel, l’errore di Hegel, il sofisma di Hegel, Gentile e il bello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contri” – The Swimming-Pool Library.

 

CORBELLINI (Cadeo). Filosofo. Grice: “I like Corbellini; of course he has to defend science versus what he calls – alla Popper? – ‘pseudoscenza’ in Italy, which he calls ‘il paese della pseudoscenza’ – I thought that was Oxford!” I sui interessi riguardano la grammatical del vivente, la storia della medicina e la bioetica. Insegna Roma. Si laurea con “L’epistemologia evoluzionistica”.I suoi interessi di studio hanno riguardato la storia e la filosofia della biologia evoluzionistica, delle immunoscienze e delle neuroscienze, per includere poi anche lo studio della storia della malaria e della malariologia in Italia, delle ricadute della genetica molecolare, delle implicazioni dell’evoluzione e l'evoluzione. L'approccio storico-epistemologico all'evoluzione trovato una sintesi nella ricostruzione della storia delle idee di “salute” e malattia e delle trasformazioni metodologiche a cui è andata incontro la ricerca delle spiegazione causale della salute. La sua ricerca si è orientata anche verso l'esame delle radici delle controversie bioetiche. Difende un'idea non confessionale della bioetica, che ha radici filosofiche in uno scetticismo morale radicale, naturalistico e non relativista (Bioetica per perplessi. Una guida ragionata, Mondadori).  Coltiva anche un interesse per la percezione sociale e il ruolo della scienza nella costruzione del valore civile. Sostiene che l'invenzione e l'espansione del metodo scientifico hanno consentito e favorito l'evoluzione del libero mercato e della stato di diritto, ovvero che la scienza ha funzionano come catalizzatore nella costruzione e manutenzione dei valori critico-cognitivi e morali che rendono possibile il funzionamento del sistema liberal-democratico.  Altre opere: “Nel Paese della Pseudoscienza. Perché i pregiudizi minacciano la nostra libertà” (Milano, Feltrinelli); “Cavie? Sperimentazione e diritti animali” (Bologna, Il Mulino); “Tutta colpa del cervello: un'introduzione alla neuro-etica” (Milano, Mondadori Università, ; Scienza, Torino, Bollati Boringhieri); “Dalla cura alla scienza” (Milano, Encyclomedia Publishers); “Scienza, quindi democrazia, Torino, Einaudi); “Perché gli scienziati non sono pericolosi” (Milano, Longanesi); “La razionalità negata. Psichiatria e antipsichiatria in Italia (con Giovanni Jervis), Torino, Bollati Boringhieri, EBM); “Medicina basata sull'evoluzione” (Roma-Bari, Laterza); “Bi(blio)etica” (Torino, Einaudi); “Breve storia delle idee di salute e malattia” (Roma, Carocci); “La grammatica del vivente. Storia della biologia e della medicina molecolare” (Roma-Bari, Laterza); “L'evoluzione del pensiero immunologico” (Bollati Boringhieri, Torino). L’errore di Darwin. Introduzione; 1. Dall’etica medica alla bioetica; 2. Il senso morale umano e le controversie bioetiche; 3. Sperimentazione sull’uomo e consenso informato; 4. Scelte di fine vita; 5. Scelte di inizio vita; 6. Medicina genetica; 7. Sperimentazione animale; 8. Medicina dei trapianti e definizione di morte; 9. Etica della ricerca responsabile; 10. Medicina rigenerativa e staminali; 11. Neuroetica; 12. Etica ambientale e OGM; 13. Etica della comunicazione scientifica, della percezione della scienza e del «gender»; Indice dei box; Indice analitico; Indice dei nomi. Come nota Gilberto Corbellini nella prefazione all’edizione italiana del libro di Ru- bin, il tentativo di applicare l’approccio evoluzionistico alla (filosofia) politica spesso rischia di venire frainteso. Il frain- tendimento più comune e pericoloso deriva dalla mancata distinzione tra il “darwinismo politicizzato” e la “politica darwiniana”: il primo è costituito, come è accaduto nel caso del socialdarwinismo di fine Ottocento, dall’«interpretazio- ne strumentale e priva di coerenza logica o di basi scientifi- che delle idee darwiniane per difendere qualche particolare ideologia politica»; la seconda, invece, consiste nell’«uso delle conoscenze evoluzionistiche sulla natura umana per meglio comprendere le origini delle preferenze politiche in- dividuali, la loro distribuzione sociale e le dissonanze tra gli adattamenti ancestrali e l’ambiente attuale».58 Ridley si mostra ben consapevole del rischio di trasformare la politi- ca darwiniana in ideologia. Questo, tuttavia, non gli impe- disce di avanzare alcuni suggerimenti di politica economica 54. Cfr. Skyrms, The Evolution of Social Contract, pp. 108-109 e Festa “Teoria dei giochi, metodo delle scienze sociali e filosofia della politica”, Prefazione a de Jasay, Scelta, contratto, consenso, pp. 8-9). Alcune immani tragedie che hanno segnato la storia degli ultimi due secoli sembrano dovute, almeno in parte, all’ignoranza – e, talvolta, alla ne- gazione – di alcune caratteristiche essenziali della natura umana. Per esempio, Ridley (p. 322) osserva che «Karl Marx vagheggiava un sistema sociale che avrebbe funzionato solo se fossimo stati degli angeli, ed è fallito perché siamo invece degli animali». 55. Peter Singer, Una sinistra dawiniana. Politica, evoluzione e cooperazione, Torino, Edizioni di Comunità, 2000 (1999). 56. Larry Arnhart, Darwinian Conservatism, Exeter (UK), Imprint Academic, 2005. 57. Rubin, La politica secondo Darwin. 58. Gilberto Corbellini, “Politica darwiniana vs darwinismo politicizzato”, prefazione a Rubin, La politica secondo Darwin, p. 9. 31 Ridley.Origini.Virtu.indd 31 27/08/12 13:57          Le origini della virtù – si vedano soprattutto gli ultimi tre capitoli del libro – che gli sembrano compatibili con le nostre tendenze evolutive. La prospettiva filosofico-politica che ne emerge è un libe- ralismo con tendenze anarchiche, che non sarebbe inappro- priato chiamare “anarco-liberalismo”.59 Tale prospettiva, ispirata dalla grande fiducia di Ridley negli istinti coopera- tivi e altruistici degli esseri umani, sfocia infatti nella difesa di un ordine politico-economico nel quale il ruolo del gover- no e dell’intervento pubblico è ridotto ai minimi termini: Recuperiamo la visione di Kropotkin, che immaginava un mondo di liberi individui. [...] Non sono così ingenuo da pensare che ciò possa accadere da un giorno all’altro, o che qualche forma di governo non sia necessaria. Ma metto se- riamente in dubbio la necessità di uno Stato che decide ogni minimo dettaglio della nostra vita e si attacca come una gigantesca pulce alla schiena della nazione.60 D’altra parte, Ridley si rende conto che, mentre le solu- zioni politico-economiche da lui favorite si accordano con alcune tendenze evolutive umane, confliggono però con al- tre. Per esempio, egli osserva che certe istituzioni economi- camente adeguate nella società moderna, come la proprietà privata, possono entrare in tensione con le tendenze primi- tive all’egualitarismo, alla redistribuzione e al rifiuto dell’accumulazione di ricchezza.61 L’analisi dei conflitti tra le moderne istituzioni politico-economiche e le nostre ten- denze primitive è uno degli argomenti centrali del già citato libro di Rubin.Le “Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Di Valeria Covato | 06/06/2016 - Mailing Le “Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Fornire un punto di vista innovativo, cioè evoluzionistico, di tutto quello che riguarda la salute e le disfunzioni comportamentali, e suggerire qualche punto di vista originale sul perché nonostante le dissonanze evolutive, la condizione umana è globalmente migliorata. È questo l’obiettivo del libro dal titolo “Imperfezioni umane. Cervello e dissonanze evolutive: malattie e salute tra biologia e cultura” (Rubbettino), scritto da Luca Pani e Gilberto Corbellini, che sarà presentato domani, martedì 7 giugno, alle ore 16.30 a Roma presso il Centro studi americani (Via Caetani, 32).  CHI CI SARÀ  Dopo i saluti di Paolo Messa, direttore Centro studi americani, interverranno alla presentazione moderata da Micaela Palmieri (Tg1) monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, Alberto Mingardi, direttore generale Istituto Bruno Leoni, Benedetto Ippolito, professore di storia della Filosofia presso l’università Roma tre.  IL VOLUME  “Negli ultimi vent’anni una nuova ipotesi di lavoro si è fatta strada in ambito medico sanitario, definita nel mondo anglosassone «evolutionary mismatch» (dissonanza evoluzionistica) – raccontano gli autori -. Questa teoria assume, in pratica, che l’ambiente nel quale la nostra specie ha acquisito i suoi tratti adattativi sia drammaticamente cambiato in un tempo troppo breve perché predisposizioni o tratti genetici e fenotipici dell’organismo fossero in grado di adeguarsi, per selezione naturale, alle novità”. Le conseguenze di queste dissonanze? “Disfunzioni o disturbi o rischi che richiedono un approccio medico”.  “Il libro è diviso in tre parti – spiegano Pani e Corbellini – Si inizia con un’illustrazione dei presupposti di qualunque strategia motivazionale, cioè dei meccanismi che sono alla base del piacere e delle ricompense, e da cui deriva – in ultima istanza – la possibilità di acquisire nuove conoscenze che consentono di affrontare le incertezze psicologiche che si accompagnano a qualunque comportamento esplorativo. La riflessione prosegue con esemplificazioni di risposte comportamentali che in particolari (o mutate) condizioni si manifestano come malattie. Il terzo capitolo è dedicato in modo specifico al comportamento alimentare e discute l’esempio più eclatante di dissonanza evoluzionistica: il mismatch metabolico. Gli ultimi due capitoli affrontano una serie d’imperfezioni e predisposizioni comportamentali umane che scaturiscono da compromessi evolutivi, e che risultavano vantaggiose o meno nel contesto dell’adattamento evolutivo, mentre i cambiamenti ambientali determinati dall’evoluzione culturale hanno generato, a loro volta, ulteriori fenomeni disadattativi”.   QUALI DISSONANZE  Nel dettaglio gli autori descrivono le dissonanze create dai nuovi contesti di vita per quanto riguarda cicli del sonno, accesso al cibo, comunicazione, cooperazione ovvero isolamento sociale, oppure di comportamenti più complessi come la rabbia aggressiva o l’altruismo; ma anche le preferenze politiche o l’intelligenza. Negli ultimi capitoli del volume emergono anche idee e ipotesi relative a scoperte cognitive e innovazioni che hanno migliorato la condizione umana, o reso possibili cambiamenti comportamentali incredibili.Il concetto di libero arbitrio implica che sussista nelle persone, dato un certo grado di sviluppo cognitivo e morale, la capacità di decidere e di agire, scegliendo tra diverse alternative disponibili, senza essere condizionati da fattori fisici o biologici di qualunque genere. Si assume, in altri termini, che le persone maturino una cosiddetta “agenticità”, cioè una capacità di agire e decidere in un quadro di consapevolezza degli effetti prodotti, che non è riducibile o spiegabile sulla base dei processi neurobiologici che hanno luogo nel cervello e/o alle leggi fisiche che li governano. Di libero arbitrio si può parlare, comunque, in molti modi e da diverse prospettive: filosofica, metafisica, giuridica, psicologica, etc.   Nel corso dell’evoluzione della specie, abbiamo sviluppato strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il nostro straordinario successo di animali sociali  Negli ultimi decenni le neuroscienze cognitive e comportamentali hanno profondamente messo in dubbio, con una quantità crescente di prove, la visione classica di “libero arbitrio”, aprendo un dibattito scientifico ancora in corso.  Qual è la sua posizione all’interno del dibattito?  La mia posizione è che il libero arbitrio è una credenza senza senso, come aveva spiegato bene, molto prima delle neuroscienze, il filosofo Spinoza. Se ci fosse qualcosa come il “libero arbitrio”, allora davvero potrebbe esserci qualsiasi cosa ci possiamo immaginare.  Tuttavia, è vero che,nel corso dell’evoluzione della specie,abbiamo sviluppato strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il nostro straordinario successo di animali sociali. Il libero arbitrio è un’illusione, ma un’illusione molto produttiva.  L’intuizione di ritenersi liberi, in un senso vago o indefinito, è una forma di autoinganno, come tante altre che sono prodotte dalla nostra coscienza, che nel tempo è stata socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso individuale di responsabilità, con tutte le conseguenze che ne derivano anche per l’organizzazione di un ordine sociale efficiente sulla base di un sistema di obblighi.  Ovviamente questa strategia è modulata da specifiche condizioni ecologiche e sociali, per cui in alcuni contesti questa illusione si può espandere e diventare la base di sistemi anche molto progrediti per qualità di vita, come quelli occidentali, mentre in altri ambienti di vita sarà più adattativo che tale intuizione e illusione non maturi neppure, o maturi in forme che sono funzionali a all’accettazione di un comportamento consapevolmente eterodiretto.   L’intuizione di ritenersi liberi è una forma di autoinganno che nel tempo è stata socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso individuale di responsabilità  Quali sono i rapporti fra emozioni e pensiero razionale? Con quali modalità le due componenti guidano il comportamento umano?  In che misura siamo (o possiamo essere) consapevoli di queste influenze?   Non è del tutto chiaro nei dettagli come interagiscano le strutture del cervello che controllano le emozioni o le reazioni impulsive, e quelle che controllano la pianificazione di azioni calcolate. Quello che si sa è che alcune condizioni, come trovarsi di fronte un’altra persona preferibilmente con le proprie stesse caratteristiche somatiche o un parente, induca l’inibizione di un comportamento utilitaristico, cioè volto a massimizzare qualche beneficio in generale a prescindere dai danni che si possono arrecare alle persone; ovvero che induca un comportamento di accudimento o altruistico, di carattere parentale o reciproco.  Mentre situazioni contrarie all’ordine morale appreso socialmente e attraverso l’educazione scatenano quasi automaticamente reazioni di disgusto o qualche altra avversione emotiva (ad esempio, rabbia o disprezzo).  Se non ci sono di mezzo contatti fisici, o rapporti parentali con altre persone, o impulsi emotivi avversi, le persone possono applicare un calcolo razionale e quindi scegliere un’azione in base all’utilità percepita o calcolata.  Comunque esistono diverse teorie su come emozioni e ragione entrano in gioco nelle scelte in generale, e in quelle morali in particolare. Quello che si sta sottovalutando, penso, è il ruolo che le emozioni, che mediano i valori morali, possono giocare nell’apprendimento di comportamenti, che a loro volta retroagiscono sui valori, cioè che possono cambiare nel tempo le predisposizioni delle persone nel rispondere a situazioni identiche o diverse. In altre parole, le emozioni servono direttamente alla sopravvivenza ed entrano in azione quando è minacciata l’omeostasi funzionale a qualche livello, e quindi servono a premiare o punire i comportamenti appresi sulla base della funzionalità che manifestano. Ma questi nuovi comportamenti possono far scoprire nuovi valori, cioè trovare premianti strategie diverse da quelle prevalenti nella società, e quindi modulare le emozioni originarie, evitando che gli impulsi emotivi inducano risposte non calcolate e che potrebbero essere deleterie.  In fondo, dato che noi occidentali sul piano genetico siamo praticamente uguali agli altri gruppi umani, qualcosa del genere potrebbe spiegare come ci siamo affrancati moralmente e politicamente da schemi decisionali tribali od oppressivi.   Credits to Unsplash.com Parliamo del legame tra violenza ed evoluzione: qual è il ruolo ricoperto dall’aggressività nell’evoluzione della specie, e quali sono le possibili determinanti genetiche del comportamento aggressivo?   L’aggressività, come la cooperazione, è stata un fattore chiave per la sopravvivenza e l’evoluzione della nostra specie. Come tutti i tratti, l’aggressività è polimorfica e quindi ci sono persone geneticamente più predispostedi altre all’aggressività.  È verosimile che la selezione sociale abbia col tempo reso più vantaggiosi i geni della cooperazione in alcuni contesti ecologici, e quindi favorito il processo socio-culturale che nell’età moderna ha ridotto drammaticamente la violenza sul pianeta, e soprattutto nel mondo che ha inventato la scienza e ha abbracciato lo stato di diritto. I governi occidentali continuano giustamente la lotta contro la criminalità e la violenza, ma nella storia del pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi. Steven Pinker ha dimostrato questo fatto in un dettagliatissimo e acuto libro, “Il declino della violenza”.   Nella storia del pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi  E per quanto riguarda la differenza di genere? Cosa sappiamo dei rapporti tra cervello maschile, cervello femminile e comportamento aggressivo?     Le differenze di genere nel comportamento aggressivo esistono. Studiando complessivamente l’aggressività di bambini e bambine si è visto che i due generi sono egualmente aggressivi verbalmente, mentre i bambini lo sono di più fisicamente rispetto alle bambine. Nel complesso i bambini sono più aggressivi delle bambine sul piano dell’aggressione diretta. Mentre le bambine sono indirettamente aggressive anche più dei bambini.     Queste differenze, come altre, dipendono verosimilmente da stimoli ormonali nel corso dello sviluppo e rispondono a strategie adattative selettivamente vantaggiose nell’ambiente dell’evoluzione. Il modo in cui maturano il cervello maschile e femminile dipende molto dai contesti e si conoscono diversi fattori ambientali e culturali che influenzano, ad esempio, la violenza a carico delle donne. Ci sono prove concrete del fatto che il patriarcato e la sua istituzione giuridica sono fattori importanti per la persistenza della violenza maschile ai danni delle donne, e del fatto che ridurre il dominio maschile attraverso delle adeguate politiche sociali riduce la violenza maschile e che la cooperazione tra donne riduce la violenza maschile sia contro le donne sia contro altri uomini.        Parliamo ora delle differenze individuali nel controllo degli impulsi…     Non ci sono moltissimi dati, ma uno studio di qualche anno fa ha esaminato cosa avviene nel cervello quando si fanno scelte impulsive, che svalutano una ricompensa ritardata, ovvero come viene rappresentata dinamicamente nel cervello la svalutazione del ritardo quando si sta aspettando e anticipando una ricompensapossibile che è stata desiderata e scelta.     La corteccia prefrontale ventromedialemanifesta uno schema caratteristico di attività durante il periodo di ritardo nel ricevere la ricompensa, oltre a esercitare un’attività modulatoria durante la scelta, che è coerente con la codificazione del tempo durante il quale avviene una svalutazione del valore soggettivo. Lostriato ventrale esibisce a sua volta uno schema di attività simile, ma preferenzialmente negli individui impulsivi. Un profilo contrastante di attività collegata al ritardo e alla scelta è stata osservata nella corteccia prefrontale anteriore, ma selettivamente in persone pazienti, cioè non impulsive. Quindi corteccia prefrontale ventromediale e corteccia prefrontale anteriore esercitano – sebbene ciò sia ancora da chiarire come – influenze modulatorie ma opposte rispetto all’attivazione dello striato ventrale. Ovvero quell’esperimento ci dice che il comportamento impulsivo e l’autocontrollo sono collegati a rappresentazioni neurali del valore di future ricompense, non solo durante la scelta, ma anche nelle fasi di ritardo post-scelta.  Cosa può voler dire tutto questo per il nostro discorso? Mi lasci citare ancora Spinoza, per il quale è «libera quella cosa che esiste e agisce unicamente in virtù della necessità della sua natura». La vera libertà, è autonomia e indipendenza, non arbitrio o scelta indeterminata. Quindi si è tanto più liberi e non soggetti a impulsi, quanto più alcune strutture del nostro cervello, altamente connesse e addestrate dall’esperienza, lo rendono autonomo e meno soggetto o costrizioni esterne.   Credits to Unsplash.com Quali sono le possibili influenze delle disfunzioni cognitive e dei fattori ambientali sulla capacità decisionale (anche ai fini dell’imputazione penale)? Può condividere con noi qualche caso di studio?   Casi di studio ce ne sono diversi, ma quelli al momento più esemplari riguardano gli effetti delle varianti alleliche del gene della monoaminossidasi A (MAOA), detto anche “gene del guerriero”, in quanto collegato all’aggressività su basi osservazionali mirate. In sostanza le persone con la variante che produce meno MAOA rispondono in modi più aggressivi e violenti, rispetto a chi esprime livelli più alti.  Il fatto interessante è che se queste persone predisposte all’aggressività sono state allevate in ambienti accoglienti, esprimono un’aggressività minore rispetto a omologhi genetici cresciuti in famiglie disagiate. Anche dati sperimentali in ambito psicologico e di economia comportamentale dimostrano che le aggressioni hanno luogo con maggiore intensità e frequenza, quando provocate in un contesto sperimentale, soprattutto in soggetti con una bassa attività di MAOA (MAOA-L). Gli studi sperimentali mostrano anche che il MAOA è meno associato con la comparsa dell’aggressione in una condizione di bassa provocazione, ma predice più significativamente il comportamento aggressivo in una situazione molto provocatoria.  Esiste ormai una letteratura sterminata anche sui casi di persone con anomalie morfologiche e funzionali dell’amigdala che regolarmente esprimono un profilo sociopatico, ovvero che non provano emozioni negative quando provocano sofferenze in altri individui. Si conoscono inoltre casi di tumori cerebrali o lesioni neurologiche che alterano la personalità individuale, e non poche persone hanno commesso crimini in quanto un tumore cerebrale ha alterato le loro capacità decisionali.     La memoria del testimone: in particolare, come si accerta l’attendibilità della testimonianza e quali sono i principali metodi di verifica?  Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria: interrogatorio/confronto, testimonianze, ricordo dei giurati al momento di discutere il verdetto. Ma la memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie.  Gli stati emotivi influenzano la qualità della memoria. La nostra storia personale influenza il modo in cui ricordiamo. Gli psicologi e gli esperti studiano soprattutto il problema della testimonianza oculare, perché in ben tre casi su cinque le identificazioni si rivelano sbagliate.  Esistono diversi metodi di controllo/verifica e volti a ridurre gli errori nelle testimonianze. Uno di questi analizza per esempio l’accuratezzadella testimonianza oculare e delle modalità di interrogatorio del testimone, per arrivare a una probabilità relativa al caso.   Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria. Ma la memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie.  Esiste anche un diritto alla riservatezza per i nostri ricordi. Nel senso che se io non intendo comunicare a qualcuno un ricordo, ho diritto a tenerlo per me. Un giudice deve avere forti ragioni per forzare l’accesso alla mia memoria, ed è comunque tenuto a rispettare i miei diritti fondamentali se ci prova. Se davvero si riuscirà a costruire affidabili brain lie detector, macchine della verità con accesso alle memorie cerebrali, si configurerà un problema sul fronte di normare i limiti del diritto di un giudice far rilevare impronte mnestiche del nostro cervello, i ai fini di un’indagine processuale. Non tanto per la riservatezza del dato di interesse, cioè se un imputato o un testimone mentono o dico la verità nel caso in specie, ma per il fatto che quell’accesso può rendere noti dei fatti che non hanno rilevanza con l’indagine e che potrebbero danneggiare la persona.  Inoltre, alcuni farmaci e tecnologie possono potenziare la memoria individuale. Ebbene, sarebbe lecito consentire a o incentivare alcuni attori del procedimento giudiziario (giudici e giurati) a potenziare le loro memorie ai fini di un più efficiente funzionamento del sistema?     La morale ha, o potrebbe avere, un fondamento biologico?  La morale ha un fondamento biologico. La morale serve a tenere insieme i gruppi umani sociali, e ha creato le premesse sociobiologiche per l’affermarsi della religiosità quale sistema di controllo incorporato nelle persone e alimentato socialmente per garantire che i valori morali adattativi in società meno complesse delle nostre siano mantenuti e trasmessi.     In prospettiva: quali sono a suo avviso i possibili intrecci tra acquisizioni neuroscientifiche e diritto penale? Quale impatto potrebbero avere sugli attuali meccanismi di attribuzione della responsabilità e di applicazione della pena?  Su questo punto la penso come chi ha detto che con l’arrivo delle neuroscienze, nel diritto, “cambia tutto e non cambia niente”[1].  Vale a dire che il concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi teorico-fattuali. Mentre si potrebbe affermare un concetto consequenzialista(utilitarista) della concezione della pena, più vicino al diritto positivo.   Il concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi teorico-fattuali  In Italia, come vengono accolte dalla magistratura le evidenze neuroscientifiche? E a livello internazionale?      L’Italia è all’avanguardia, se così si può dire, nell’uso di prove neuroscientifiche in tribunale. Due sentenze in particolare, Trieste 2009 e Como 2011, riconobbero il ruolo causale di tratti neurogenetici nel comportamento delittuoso, e di conseguenza attribuirono uno sconto di pena.  Le sentenze italiane sono state accolte con allarme in diversi contesti internazionali. Ma c’è poco da fare: se queste conoscenze e tecnologie acquisiranno una base sperimentalmente solida e consentiranno di prevedere con buona attendibilità le predisposizioni a commettere reati, è inevitabile che entreranno a far parte dello strumentario di lavoro dei giudici.  Tuttavia, esiste un’ambivalenza in Italia, come in altri paesi, verso l’uso delle prove neuroscientifiche. Intanto in Italia non tutti i giudici hanno ancora chiaro cosa sia una perizia neuroscientifica e ignorano criteriepistemologicamente validi e formalmente definiti per scegliere periti che apportino davvero prove scientifiche e controllate nel contesto di un dibattimento processuale. Ciò sebbene la Cassazione abbia in sentenze recenti fatto proprio lo Standard Daubert, che elenca regole di ammissibilità delle prove nei processi statunitensi.  Inoltre, si tratta comunque di definire cosa implica una diminuita imputabilità per colui che commette un reato, in quanto le sue azioni e decisioni dipendevano dal modo di funzionare del cervello e dalla sua dotazione genetica. Questo individuo è meno libero di altri e quindi anche meno responsabile, e quindi le sanzioni dovrebbero essere volte a ridurre al minimo le probabilità di reiterazione del o dei reati.  [1] Il riferimento è al noto scritto di J. Greene, J. Cohen, For the law, neuroscience changes nothing and everything, in Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci, 359, 2004, pp. 1775 ss. Gilberto Corbellini. Keywords: Dawkins’ selfish gene – read selfish gene – medicina in Roma antica -- evoluzione, emergentismo, biologia filosofica, grammatical del vivente, cooperazione, altruismo, razionalita, utilitarismo, darwinismo sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corbellini” – The Swimming-Pool Library.

 

CORDESCHI (L’Aquila). Filosofo. Grice: “Cordeschi is fine if you are into how we can model a pirot from an automaton – Descartes’s old idea!” -- Roberto Cordeschi (L'Aquila) filosofo.  Si laurea a Roma sotto Somenzi. Si appassiona subito alla storia della cibernetica, di cui Somenzi fu tra i primi studiosi e contributori in Italia. Con la co-supervisione di Radice discute una tesi sui Teoremi di incompletezza di Gödel. Insegna a Morino, Avezzano, Torino, Roma, e Saerno. Altre opere: “Turing” – homo mechanicus (Alan Mathison); “Turing’s homo mechanicus” (Pisa: Edizioni della Normale); “La cibernetica in Italia” (Roma: Scienze, Istituto della Enciclopedia Italiana); “Un padrino per l’Intelligenza Artificiale. Sapere; “L’intelligenza meccanica”; Alfabeta; “Dalla cibernetica a internet: etica e politica tra mondo reale e mondo virtuale; “Dal corpo bionico al corpo sintetico. Roma: Carocci); “Somenzi. testimonianze. Mantova: Fondazione Banca Agricola Mantovana); “Natura, machina, cervello e conoscenza”; “Autonomia delle macchine: dalla cibernetica alla robotica bellica” (Roma: Armando); “Rap-resentare il concetto: filosofia e modello computazionale”. Sistemi Intelligenti, “Fare a meno delle metafore: il metodo sintetico e la scienza cognitive” (Milano: Franco Angeli). Nuove prospettive nell’Intelligenza Artificiale, XXI SecoloNorme e idee. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani), “Quale coscienza artificiale? Sistemi intelligenti, “Adattamento” e “selezione” nel mondo della natura” (Milano: Franco Angeli); “Computazionalismo sotto attacco” (Padova: CLEUP); Premessa al Documento di Dartmouth, Sistemi Intelligenti, “Psicologia, fisicalismo e Intelligenza Artificiale. Teorie e Modelli; “Forme e strutture della comunicazione linguistica. Intersezioni. Filosofia dell’intelligenza artificiale. In Floridi L., a cura di. Linee di ricerca, SWIF. Una lezione per la scienza cognitiva. Sistemi Intelligenti, Funzionalismo e modelli nella Scienza Cognitiva. Forum SWIF. CVecchi problemi filosofici per la nuova Intelligenza Artificiale. Networks. Rivista di Filosofia dell’Intelligenza Artificiale e Scienze Cognitive, In ricordo di Vittorio Somenzi Quaderno Filosofi e Classici SWIF; Intelligenza artificiale. Manuale per le discipline della comunicazione. Roma: Carocci. L’intelligenza Artificiale: la storia e le idee. Roma: Carocci); “Naturale e artificiale” (Bari: Edizioni Laterza); La scoperta dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine intorno alla cibernetica. Milano-Bologna: Dunod-Zanichelli); “Pensiero meccanico” e giochi dell’imitazione. Sistemi Intelligenti; Prospettive della Logica e della Filosofia della scienza. Atti del Convegno SILFS. Pisa: ETS. I modelli della vita mentale, oggi e domani. Giornale Italiano di Psicologia, Filosofia della mente. Quaderni di Le Scienze, L’intelligenza artificiale. In: Bellone, E., Mangione, C., a cura di. Geymonat L., Storia del pensiero scientifico. Il Novecento,  3, Milano: Garzanti); Somenzi, V., La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati Boringhieri); Indagini meccanicistiche sulla mente: la cibernetica e l’intelligenza artificiale. In: Somenzi, V., Cordeschi, R., a cura di. La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati Boringhieri: Qualche problema per l’IA classica e connessionista. Lettera matematica PRISTEM, Una macchina protoconnessionista. Pisa: ETS: Le radici moderne del recupero scientifico della teologia. Nuova Civiltà Delle Macchine); Scienza e filosofia della scienza; La mente nuova dell’imperatore. La mente, i computer, le leggi della fisica. Milano. Wiener. In: Negri, A., a cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti,  5, Milano: Marzorati, Turing. In: Negri, A., a cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti,  5, Milano: Marzorati: Significato e creatività: un problema per l’intelligenza artificiale. L’Automa spirituale: Menti, Cervelli e Computer, Cervello, mente e calcolatori: précis storico dell’intelligenza artificiale. In: Corsi, P., a cura di. La fabbrica del pensiero. Dall’arte della memoria alle neuroscienze, Milano: Electa: L’intelligenza artificiale tra psicologia e filosofia. Nuova Civiltà delle Macchine, Mente, linguaggio e realtà. Milano: Adelphi. Linguaggio mentalistico e modelli meccanici della mente. Osservazioni sulla relazione di Margaret Boden. L’evoluzione dei calcolatori e l’intelligenza artificiale. Manuscript; La psicologia meccanicistica, Storia e critica della psicologia, La teoria dell’elaborazione umana dell’informazione. Aspetti critici e problemi metodologici. Roma: Editori Riuniti); Dal comportamentismo alla simulazione del comportamento. Storia e Critica della Psicologia, I sillogismi di Lullo. Atti del Convegno Internazionale di Storia della Logica. San Gimignano: Il duro lavoro del concetto: il neoidealismo e la razionalità scientifica. Giornale critico della Filosofia Italiana; La psicologia come scienza autonoma: Croce, De Sarlo e gli “sperimentalisti”. Per un’analisi storica e critica della Psicologia, 2Dietro una recensione crociana di Couturat. Quaderni di Matematica, Metodi per la risoluzione dei problemi nell’intelligenza artificiale, Per un’analisi storica e critica della psicologia, 2. Manuscript. La psicologia tra scienze della natura e scienze dello spirito: Croce e De Sarlo. In: Cimino G., Dazzi N. (1980), a cura di. Gli studi di psicologia in Italia: Aspetti teorici scientifici e ideologici, Quaderni di storia critica della scienza. Nuova serie. 9, Pisa: Domus Galileana); Una critica del naturalismo: note sulla concezione crociana delle scienze. Critica marxista; Introduzione alla logica. Roma: Editori Riuniti. Predicati. In: CIntroduzione alla logica. Roma: Editori Riuniti. Elementi di logica matematica. Roma: Editori Riuniti); Bilancio dell’empirismo contemporaneo. Scientia; La filosofia di Leibniz: esposizione critica con un’appendice antologica. Roma: Newton Compton Italiana); Filosofia e informazione. Padova: La Cultura; Validità e reiezione nella logica aristotelica. Il problema della decisione. Report: Storia della Filosofia Antica. Istituto di Filosofia, Roma. Manuscript. In generale, nella implicatura robotica c’è la tendenza a ricorrere al vocabolario delle rappresentazioni solo quando, per così dire, non se ne può fare a meno, ovvero, più precisamente, quando si lascia il livello puramente reattivo nel quale il lessico delle rappresentazioni sarebbe banale, per passare a quello topologico e, a maggior ragione, a quello metrico o delle mappe cognitive. Due robot puramente reattivi sono capaci di risolvere alcuni compiti per i quali, nella ricerca su animali (la squarrel Toby di Grice), si erano invocate rappresentazioni complesse come le mappe cognitive. Questi stessi robot reattivi, man mano che si riducono le restrizioni sull’ambiente, diventano sempre meno abili nell’affrontare quegli stessi compiti, che possono essere risolti solo da agenti dotati di stati interni (attitudine psicologica) ai quali essi riconoscono lo status di rappresentazioni. La massima sarebbe in questi casi quella di esaminare tutti i modi possibili di spremere l’ultima goccia di informazione dal livello reattivo prima di parlare dell’influenza della rappresentazione, modello del mondo o mappa sul comportamento intelligente. Circa la natura delle rappresentazioni, una volta ammesse, le opinioni sono contrastanti, e riflettono la varietà dei punti di vista ormai usuale in intelligenza artifiziale e intelligenza naturale, classica o nouvelle che sia. Si può parlare di rappresentazione anche per i pattern connessionisti, a patto di distinguere la relativa computazione. La rappresentazione e solo simbolica, quale che sia la loro complessità, e un pattern connessionista, non essendo considerato simbolico, non e una rappresentazione. Si parla di una rappresentazione che possono essere di diversa complessità e accuratezza, esplicita (spliegatura) o implicita (impiegatura), metrica o topologica, centralizzata o distribuita. E in generale si parla di ra-presentazione simbolica quando si è in presenza di un costrutto dotato di proprietà ritenuta analoga a quella del segno. Ricorrenti valutazioni polemiche da parte di alcune tendenze dell’IA nouvelle identificano nell’Ipotesi del Sistema Fisico di Simboli il paradigma linguistico per eccellenza dell’IA classica. Tuttavia, un confronto di qualche anno fa tra sostenitori e critici di questa ipotesi mostra come questa interpretazione sia quanto meno opinabile. Sarebbe opportuno tenerne conto, per evitare di porre in un modo troppo sbrigativo l’identificazione tra simbolo e  il concetto piu generale di segno in IA classica e per affrontare senza pregiudizi i difficili problemi che stanno alla base della costruzione di un modello di conversazione, tra i quali quello della natura della rappresentazione. Mi riferisco all’interpretazione in termini di un sistema di elaborazione simbolica dell’informazione (dunque in termini di un sistema fisico materiale di simboli) di sistemi tradizionalmente non considerati tali, come quelli proposti dai teorici dell’azione situata. L’idea di simbolo che sta alla base di questa ipotesi è che un simbolo è un pattern che denota, e la nozione di denotazione è quella che dà al simbolo la sua capacità rappresentazionale. Il pattern puo denotare altro pattern, sia interni al Si veda per una formulazione particolarmente esplicita (Gallistel 1999). 12 Detto in breve, tali proprietà riguardano, tra l’altro, la produttività, ovvero la capacità di generare e capire un insieme illimitato di frasi, e la sistematicità, ovvero la capacità di capire ad esempio tanto aRb quanto bRa. Fodor ne ha fatto la base per la sua controversa ipotesi del “linguaggio del pensiero” Per una introduzione all’argomento, si veda (Di Francesco 2002). 13 Per pattern si intende, come sarà più chiaro nel seguito, una struttura fisica, biologica o inor- ganica, che può essere oggetto di processi computazionali—codifica, decodifica, registrazione, cancellazione, cambiamento, confronto—i quali occorrono in sistemi diversi, in un calcolatore e nel sistema nervoso, anche se in quest’ultimo caso non sappiamo nei dettagli come. Questa tesi provocò diverse reazioni (si vedano i volumi 17 e 18 di Cognitive Science). Si noti che nelle intenzioni di Simon e Vera la tesi non comporta che ogni pattern sia dotato di meccanismo  sistema che esterni ad esso (nel mondo reale), e anche stimoli sensoriali e azioni motorie. Processi tanto biologici quanto inorganici possono essere simbolici in questo senso e, dal punto di vista sostenuto da Simon e Vera, i relativi sistemi sono sempre sistemi fisici di simboli, ma a diversi livelli di complessità. Per esempio, nel caso più semplice che riguarda gli organismi, anche l’azione riflessa (subcorticale) è un processo simbolico: la codifica di un simbolo provocata da un ingresso sensoriale, poniamo la bruciatura di una mano, dà luogo alla codifica di un simbolo motorio, con la conseguente rapida effettuazione dell’azione, in questo caso il ritirare la mano. Più precisamente, l’idea è che “il sistema nervoso non trasmette certo la bruciatura, ma ne comunica l’occorrenza. Il simbolo che denota l’evento [la brucia- tura] viene trasmesso al midollo spinale, che a sua volta trasmette un simbolo ai mu- scoli, i quali esercitano la contrazione che consente di ritirare la mano.” Nel caso degli artefatti, già il solito termostato è un sistema fisico di sim- boli, sebbene particolarmente semplice: il suo livello di tensione è un simbolo che denota uno stato del mondo esterno. Come ho ricordato, anche Brooks ha finito per riconoscere alle rappresentazioni un loro ruolo nel comportamento dei suoi robot, se non altro alle rappresentazioni “relati- ve al particolare compito per il quale sono usate” (i “modelli parziali del mondo”), quali potrebbero essere, a diversi livelli di complessità, quelle usate da agenti naturali come Cataglyphis o da agenti artificiali come Toto o il solutore di labirinti sopra ri- cordato. Simon e Vera considererebbero senz’altro agenti del genere come sistemi fisici di simboli, dotati di un’attività rappresentazionale molto sofisticata, anche se specializzata a un compito particolare. Ma essi includono tra i sistemi fisici di simboli anche artefatti molto più semplici, come il ricordato termostato, e agenti robotici pu- ramente reattivi o collocabili al livello del taxon system (che, seguendo Prescott, era stato definito come una catena di associazioni consistenti in coppie <stimolo, risponsa>). Secondo i due autori, i primi robot alla Brooks sono (un tipo relativamente sem- plice di) sistemi fisici di simboli: anche l’interazione senso-motoria diretta di un agen- te con l’ambiente nella misura in cui dà luogo a un comportamento coerente alle rego- larità dell’ambiente, non può essere considerata se non come manipolazione simboli- ca. Ho ricordato sopra il semplice comportamento reattivo di Allen, che tramite sonar evita ostacoli presenti in un ambiente reale. In questo caso, i suoi ingressi sensoriali danno luogo a un processo di codifica, e i costrutti in gioco (i simboli, secondo la definizione sopra ricordata) che risultano da tale interazione sensoriale, e poi motoria, dell’agente con l’ambiente sono rappresentazioni interne (degli ostacoli esterni da evitare) in un senso non banale: l’informazione sensoriale captata dal robot è converti- ta in simboli, i quali sono manipolati al fine di determinare gli appropriati simboli motori che evocano o modificano un certo comportamento. L’assenza di memoria in questo tipo di agente comporta che l’azione sia eseguita senza una rappresentazione esplicita del piano e dell’obiettivo che orienta l’azione stessa (senza pianificazione), ma non che non ci sia attività rappresentazionale simbolica. Qual è la natura di questi simboli, di queste rappresentazioni simboliche? denotazionale, cosa che evidentemente renderebbe banale questa definizione di simbolo: ci sono pattern che non denotano, tanto naturali quanto artificiali. Sulla sufficienza della denotazione per caratterizzare la nozione di simbolo (come di rappresen- tazione) si è molto discusso. Nel caso degli artefatti più semplici si tratta di rappresentazioni analogiche che stabiliscono e mantengono la relazione funzionale del sistema con l’ambiente. Questo, si è visto, è già vero per il solito termostato. Nel caso di (come pure di certi sistemi connessionisti, o che includono sistemi connessioni- sti), tali rappresentazioni (analogiche) hanno carattere temporaneo (senza intervento di memoria) e distribuito (non sono sottoposte a controllo centralizzato). In questi casi, una rappresentazione certo imprecisa ma sufficientemente efficace è fornita da un sonar sotto forma di un pattern interno fisico (un pattern di nodi della rete, nel caso di un sistema connessionista): essa denota o rappresenta per il robot un ostacolo o una certa curvatura di una parete o di un percorso. Una volta che tale pattern venga comu- nicato a uno sterzo, esso determina l’angolo della ruota sterzante del carrello del ro- bot. Per quanto diversa a seconda dei casi, è sempre presente un processo di codifica- elaborazione-decodifica non banale, che stabilisce una ben precisa relazione funziona- le tra il sistema e l’ambiente, e spiega il comportamento coerente dell’agente nell’interazione con il mondo. Non parlare di rappresentazioni interne, e limitarsi a dire che un agente “intrattiene certe relazioni causali con il mondo, non spiega come tali relazioni vengano mantenute. E’ del tutto ragionevole sostenere che un agente mantiene l’orientamento verso un oggetto tramite una relazione causale (Grice, “La teoria causale della percezione”) con esso e che tale relazione è un pattern di interazione, ma non ha senso pensare che tale pattern venga prodotto per magia, senza un corrispondente cambiamento di stato rappresenta- zionale dell’agente, ovvero che esso possa aver luogo senza una rappresentazione interna fosse pur minima.” Rappresentazioni più complesse, che sono alla base di un’attività non semplicemente percettiva diretta, sono presenti in altri casi, quando entrano in gioco la me- moria, l’apprendimento, il riconoscimento di oggetti e l’elaborazione di concetti, la formulazione esplicita di una mappa o di piani alternativi, sotto forma di rappresentazioni off-line, e ancora. In molte di queste attività “alte” intervengono rappresentazioni esplicite, linguistiche e metriche, ma se si riconosce che la cognizione richiede questo tipo di rappresentazioni, è difficile mettere in dubbio che tali attività non condividono con attività più “basse” come la percezione, sulle quali esse vengono elaborate, il meccanismo denotazionale, sia pure in una forma minimale. A meno di restringere arbitrariamente la nozione di rappresentazione e di simbolo, non c’è ragione di riservarla esclusivamente a pattern linguistici, o ai costrutti della semantica denotazionale (variabili da vincolare ecc.). Penso si possa sottoscrivere questa conclusione di Bechtel: “la nozione base [di rappresentazione] è effettivamente minimale, tale da rende- re le rappresentazioni più o meno ubique. Esse sono presenti in ogni sistema organiz- zato che si è evoluto o è stato progettato in modo da coordinare il suo comportamento con le caratteristiche dell’ambiente. Ci sono dunque rappresentazioni nel regolatore, nei sistemi biochimici e nei sistemi cognitivi”. Il riferimento di Bechtel al regolatore di Watt è polemico nei confronti di van Gelder, che ne faceva il prototipo della sua concezione non computazionale e non simbolica della co- gnizione. In realtà questo tipo di artefatti analogici (sistemi a feedback negativo e servomecca- nismi) erano stati interpretati come sistemi rappresentazionali già all’epoca della cibernetica, in primo luogo da Craik, che ne aveva fatto la base per una “teoria simbolica del pensie- ro”, come egli la chiamava, per la quale “il sistema nervoso è visto come una macchina calcola- trice capace di costruire un modello o un parallelo della realtà”. Non entriamo in questa sede sui diversi problemi relativi al contenuto delle  Simon e Vera distinguono il livello della modellizzazione simbolica da quello della realizzazione fisica (sia biologica che inorganica) di un agente. Nell’interazione con l’ambiente, un agente ha un’attività rappresentazionale che è data dalle caratteri- stiche specifiche del suo apparato fisico di codifica-elaborazione-decodifica di simboli. Si pensi ancora alla codifica, molto approssimativa ma generalmente efficace, at- traverso sonar degli ostacoli da parte di un robot reattivo, e alla relativa decodifica che si conclude in un ben determinato movimento. La modellizzazione simbolica di questa capacità non appare in linea di principio diversa da quella “alta” sopra ricordata. L’idea è che tutti questi tipi o livelli di rappresentazioni, da quelli legati alla percezio- ne a quelli più alti della “ricognizione”, possono essere opportunamente modellizzati attraverso regole di produzione, come livello di descrizione di un sistema fisico di simboli. Un robot basato sull’architettura della sussunzione non fa eccezione. Ad esempio, il funzionamento di un modulo reattivo al livello più basso dell’architettura, che con- trolla la reazione di evitamento di ostacoli, potrebbe essere reso da un’unica regola di produzione del tipo “se c’è un ostacolo rilevato attraverso sonar e bussola allora fermati”. Questa possibilità sembra essere stata presa in considerazione dallo stesso Brooks, che però la respingeva in questi termini: “Un sistema di produzione standard in realtà è qualcosa di più [di un robot behavior-based], perché ha una base di regole dalla quale se ne seleziona una attraverso il confronto tra la precondizione di ogni regola e una certa base di dati. Le precondizioni possono contenere variabili che de- vono essere confrontate con costanti nella base di dati. I livelli dell’architettura della sussunzione funzionano in parallelo e non ci sono variabili né c’è bisogno di tale confronto. Piuttosto, vengono estratti aspetti del mondo, che evocano o modificano direttamente certi comportamenti a quel livello. Tuttavia, se distinguiamo il livello della realizzazione fisica da quello della sua modellizzazione, quella che Brooks chiama l’estrazione degli “aspetti del mondo” rilevanti per l’azione è descritta in modo adeguato da un opportuno sistema di regole di produzione, e tramite tale sistema un certo comportamento di una sua creatura può essere evocato o modificato nell’interazione con l’ambiente. E questo modello (a regole di produzione) delle regolarità comportamentali di diversi livelli dell’architettura della sussunzione può essere implementata in un dispositivo che, grazie all’elevato grado di parallelismo, presenta doti di adattività, robustezza e rispo- sta in tempo reale paragonabili a quelle di un dispositivo behavior-based. In questo senso, le regole di descrizione danno una modellizza- zione adeguata del comportamento di un agente situato. Oltre alle risposte automatiche, che nel caso dell’azione riflessa o “innata” e di quella reattiva possono essere rese attraverso un’unica regola di produzione (qualcosa che corrisponda a una relazione comportamentista S→R), esistono le azioni automa- rappresentazioni, al ruolo dell’utente degli artefatti e alla natura della spiegazione cognitiva. L’articolo di Bechtel contiene una disanima efficace di questi problemi, rispetto a posizioni diverse come quella sostenuta da Clancey contro la tesi di Vera e Simon. In breve, le regole di produzione hanno la forma “se... allora”, o CONDIZIONE → AZIONE. La memoria a lungo termine di un sistema fisico di simboli è costituita da tali regole: gli antecendenti CONDIZIONE permettono l’accesso ai dati in memoria, codificati dai conseguenti AZIONE. tizzate a seguito dell’apprendimento, quando cioè le regolarità relative a un certo comportamento sono state memorizzate, o quelle che comportano una relazione “di- retta” con il mondo tramite le affordance alla Gibson. Un esempio sono le risposte immediate che fanno seguito a sollecitazioni improvvise o impreviste provenienti dall’ambiente Ora i teorici dell’azione situata (e, come si è visto, i nuovi robotici) insistono sul fatto che questi casi di interazione diretta con l’ambiente si svolgono in tempo reale, senza cioè che sia possibile quella presa di decisione, diciamo così, meditata che ri- chiede la manipolazione di rappresentazioni e la pianificazione dell’azione. Si pensi all’esempio di Winograd e Flores dell’automobilista che, guidando, affronta una curva a sinistra. In primo luogo, secondo i due autori, non è necessario che egli faccia continuamente riferimento a conoscenze codificate sotto forma di regole di produzione—non è necessario riconoscere una strada per accorgersi che è “percorribi- le” (la “percorribilità”, questa è la tesi, è colta nella relazione diretta agente- ambiente). In secondo luogo, la decisione è presa dall’agente, per così dire, senza pensarci (senza pensare di posizionare le mani, di contrarre i muscoli, di girare lo sterzo in modo che le ruote vadano a sinistra ecc.). Tutto ciò avviene automaticamente e immediatamente, dunque senza applicare qualcosa come una successione di regole di produzione “se p, q”. In conclusione, la tesi è che non è possibile modellizzare questo aspetto della presa di decisione istantanea, o in tempo reale, attraverso un dispositivo che comporta codifica-elaborazione-decodifica di simboli, dunque computazioni, regole di produzione e così via. L’obiettivo della critica di Winograd e Flores è la teoria della presa di decisione nello spazio del problema, con il quale ha a che fare l’agente a razionalità limitata di Simon. Ora, se prendiamo sul serio la teoria di Simon, va detto che alla base del carat- tere limitato della razionalità dell’agente sta la complessità dell’ambiente non meno dei limiti interni dell’agente stesso (limiti di memoria, di conoscenza della situazione ecc.). Nel prendere la decisione, quest’ultimo, secondo la teoria di Simon, in generale non è in grado di considerare, come spazio delle alternative pertinenti, lo spazio di tutte le possibilità, ma solo una parte più o meno piccola di esso, e questa selezione avviene sulla base delle sue conoscenze, aspettative ed esperienze precedenti. Ora una presa di decisione istantanea, non meno di una presa di decisione meditata, è condi- zionata da questi elementi, i quali, una volta che abbiano indotto, poniamo attraverso l’apprendimento, la formazione di schemi automatici di comportamento (di risposte motorie, nell’esempio di sopra), finiscono per determinare l’esclusione immediata di certe alternative possibili (come, nell’esempio della guida, innestare la marcia indietro) a vantaggio di altre (come scalare marcia, frenare ecc.), e tra queste altre quelle suggerite dalla conoscenza dell’ambiente stesso (fondo strada bagnato ecc.) e dalle Le affordance, nella terminologia di Gibson (1986) sono invarianti dell’ambiente che vengo- no “colte” (picked up) dall’agente “direttamente” nella sua interazione con l’ambiente stesso, e “direttamente” viene interpretato come: senza la mediazione di rappresentazioni e di computa- zioni su esse. Un esempio sono i movimenti dell’agente in un ambiente nel quale deve evitare oggetti o seguirne la sagomatura e così via: un po’ quello che fanno i robot reattivi di cui ho parlato. L’esempio del termostato è ricorrente in scienza cognitiva e in filosofia della mente dai tempi della cibernetica. E’ evidente che definire sistemi fisici di simboli artefatti di questo tipo (e del tipo dei robot di Brooks, come vedremo) comporta rinunciare al requisito dell’universalità per tali sistemi (sul quale si veda Newell 1980).  aspettative pertinenti.17 Secondo le stesse parole di Simon “il solutore di problemi non percepisce mai Dinge an sich, ma solo stimoli esterni filtrati attraverso i propri pre- concetti” (Simon 1973: 199). Di norma, dunque, l’informazione considerata dall’agente non è collocata in uno spazio bene ordinato di alternative, generato dalla formulazione del problema: tale informazione è generalmente incompleta, ma è pur sempre sostenuta dalla conoscenza della situazione da parte dell’agente. La proposta è, dunque, che la modellizzazione a regole di produzione di un’azione del genere, e in generale di una affordance, è un simbolo che, via il sistema percettivo di codifica, raggiunge la memoria del sistema per soddisfare la CONDIZIONE di una regola di produzione esplicita. In questo modo, soddisfatta la CONDIZIONE, si attiva la regola, e la produzione (la decodifica) del simbolo di AZIONE avvia la risposta motoria. Da questo punto di vista, le affordance sono rappresentazioni di pattern del mondo esterno, ma con una particolarità: quella di essere codificate in un modo particolar- mente semplice. Nell’esempio di sopra, una volta che si sia imparato a guidare, la regola è qualcosa come: “se la curva è a sinistra allora gira a sinistra”. Questa regola rappresenta la situazione al livello funzionale più alto nel quale la rappresentazione che entra in gioco è “minima”. Un termine del genere, a proposito delle rappresentazioni, lo abbiamo visto usato da Gallistel, ma per Simon e Vera il termine rimanda alla forma della regola indicata, che può essere rapidamente applicata: in questo caso, cioè, non c’è bisogno di evocare i livelli “bassi” o soggiacenti, quelli coinvolti con l’analisi dettagliata dello spazio del problema e con l’applicazione delle opportune strategie di soluzione, che comportano computazioni generalmente complesse, sotto forma di successioni di regole di produzione. Questi livelli intervengono nelle fasi dell’apprendimento (quando si impara come affrontare le curve), e possono essere evocati dall’agente quando la situazione si fa complicata (si pensi a una curva a raggio variabile, che rivela la complessità dell’interazione codi- fica percettiva-decodifica motoria). E tanto un apprendimento imperfetto quanto una carenza, per i più svariati motivi, dell’informazione percettiva rilevante possono anche ostacolare l’accesso ai livelli soggiacenti che potrebbero dare luogo alla risposta cor- retta (non tutti coloro che hanno imparato a guidare riescono ad affrontare tutte le curve con pieno successo in ogni situazione possibile). Insomma, in questa interpretazione di Simon e Vera l’interazione in tempo reale dell’agente con l’ambiente è data non dal fatto di essere non simbolica e di non poter essere modellizzata mediante regole di produzione, ma dal fatto di non dover accede- re, per dare la risposta corretta, alla complessità delle procedure di elaborazione sim- bolica dei livelli soggiacenti a quello alto. E’ nell’attività cognitiva ai livelli soggiacenti, allorché si elaborano piani e strategie di soluzione di problemi, che viene evidenziata la consapevolezza dell’agente. Simon e Vera ponevano infine un problema che riguarda i limiti degli approcci reattivi, sul quale mi sono già soffermato, e che mi sembra condivisibile: “E’ tuttora dubbio se questo approccio behavior-based si possa estendere alla soluzione di pro- blemi più complessi. Le rappresentazioni non centralizzate e le azioni non pianificate possono funzionare bene nel caso di creature insettoidi, ma possono risultare insuffi- cienti per la soluzione di problemi più complessi. Certo, la formica di Simon non ha 17 Su questo tipo di comportamento, che può essere visto in termini di “percezione attesa”, si veda bisogno di una rappresentazione centralizzata e stabile del suo ambiente. Per tornare al nido zigzagando essa non usa una rappresentazione della collocazione di ciascun gra- nello di sabbia in relazione alla meta. Ma gli organismi superiori sembrano lavo- rare su una rappresentazione del mondo più robusta, [...] una rappresentazione più complessa di quella di una formica, più stabile e tale da poter essere manipolata per astrarre nuova informazione”. La successiva evoluzione della robotica sembra confermare questa osservazione.

 

 

Roberto Cordeschi. Keywords: Croce, sperimentalismo italiano, mente, homo mechanicus, Turing, Craik, artificiale e naturale, filosofia, rappresentare il concetto, logica matematica, reiezione in Aristotele, predicate, significato, communicazione, creativita, informazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cordeschi” – The Swimming-Pool Library.

 

CORLEO (Salemi). Filosofo. Grice: “Corleo is a genius --  His keyword is identity, the Hegelian type, and that’s why he attracted Gentile’s attention! But my favourite is his excursus on language! He talks like a veritable Griceian – about ‘intenzione’ and ‘pre-convezione’ – and the spontaneous cry to seek attention, Romolo from Remo, say – He very much elaborates on the subject and the predicate and the copula, and the other parts of speech – But he retains an empiricist, evolutionary viewpoint with which I wholly agree!” Studia nel Seminario vescovile di Mazara del Vallo, laureandose a Palermo. Crea un seminario di psicologia filosofica. Liberale, aderì alla rivoluzione siciliana. Su saggio, “Progetto per una adeguata costituzione siciliana”.  Durante la spedizione dei mille, fu nominato da Garibaldi governatore di Salemi – Saggio: “Garibaldi e i Mille”. Saggio: “Storia dell’enfiteusi dei terreni ecclesiastici in Sicilia”. Diviene conte di Salemi.  Altre opere: “Meditazioni filosofiche”; “Il sistema della filosofia universale; ovvero, la filosofia dell’identità”; “Per la filosofia morale”; “Lezioni di filosofia morale”. Dizionario biografico degli italiani. La regola d'identità, dipendente dall’esperienza e dal concetto appartene a qualunque specie di giudizio, giudizio affermativo (S e P) o giudizio negativo (S non e P), giudizio condizionale (Si p, q), giudizio tetico (S e P), giudizio ipotetico (Si p, q), giudizio disgiuntivo (p o q), e via via ; poichè ,ogni proposizione o giudizio, semplice or complessa, debbe congiungere un predicate ad un soggetto (S e P) o negare un predicato ad un soggetto (S non e P), e ciò non può farsi altrimenti che in forza della identità parziale o totale del predicato stesso col soggetto, ovvero del contrario o contrapposto del predicato in caso di giudizio negativo, sia cotesta identità assoluta, o sperimentale, sotto condizione, problematica, o in forma disgiuntiva. Il raciocinio è un complesso di giudizi che serve a scoprire una verità incognita per mezzo di una verità nota, o a dimostrare il nesso ignoto tra due verità conosciute. Onde il raciocinio deve esser fodato sulla medesima legge d'identità, che costituisce l'essenza dei giudizi di cui è composto. Ogni passaggio da una verità ad un'altra, da un giudizio ad un altro, è giustificato dalla connessione che deve esistere tra loro. Se connessione non vi è, non si può dall'uno inferir l'altro, non vi è passaggio legittimo o accettabile dal noto all'ignoto, e molto meno si può scoprire il nesso incognito tra due veri conosciuti. Or, questa stessa connessione non è che effetto d'identità. Parrà strano che la connessione si debba risolvere anch'essa in identità; ma riflettendo con attenzione, si scorge chiaro che in fondo è così, nè può essere altrimenti. Se S è connesso con P, ciò non importa che S sia identico con P, ma importa invece che ambidue sieno identici con S-P, cioè, che sieno parti integranti del tutto S-P, di guisa che la loro connessione non *significa* o signa altro, che il loro legame necessario per la formazione di quel tutto complesso proposizionale (S e P); onde se essi non fossero con nessi a comporre il tutto S-P, quel tutto non sarebbe mai quello che è, non sarebbe identico alla somma delle parti che lo costituiscono. Due o più giudizi, tra loro connessi, sono parti integranti di un giudizio di maggiore estensione che tutti li abbraccia, ed è identico con essi come il tutto è identico con la somma delle sue parti. Laonde non può esser vero l'uno senza che sia vero l'altro, perocchè in diverso non sarebbe vero quel giudizio maggiore che risulta dalla verità di tutti i giudizi subalterni dai quali è costituito. Se, per cagion d'esempio, prendiamo ad esaminare ogni teorema geometrico intorno alle proprietà del “triangolo” in genere e delle varie sue specie, scorgiamo tosto che vi ha una continua connessione tra cotesti teoremi, nè puo uno esser vero se non sieno veri tutti gli altri di seguito; onde essi si dimo strano a vicenda. La ragione di ciò è semplicissima. Essi non sono che le parti necessarie di un solo tutto, del concetto di “triangolo” e delle sue specie subalterne, e tutti più o meno mediatamente in quel concetto complessivo sono compresi. Pertanto non vi ha che un identico totale (talora nemmeno avvertito ), il quale, per esser quello che è, ha bisogno che ciascuna delle sue parti sia quella che è, e che tutte insieme concorrano con unità di nesso a costituirlo, come le parti si debbon legare fra loro per unirsi nella identità di un sol tutto. Metto una grande importanza in queste osservazioni sul raziocinio e sulla connessione (consequenza logica) de' suoi membri; poichè l'unica che sembrerebbe scappare dalla rigorosa legge della identità sarebbe la connessione tra i giudizi diversi (premessa e conclusion), di cui consta un ragionamento. Eppure, quella connessione non è altro che il frutto dell'identità totale di un giudizio maggiore e più esteso, il quale abbraccia come sue parti necessarie ogni giudizio subalterno; e quelli sono per l'appunto connessi, perchè tutti in sieme formano un solo e identico giudizio di più larga estensione. Nè fa d'uopo che nel ragionare si abbia presente quel giudizio maggiore, nel quale si congiungono con identità totale i giudizi connessi. Esso opera senza che il ragionatore lo sappia, poichè è virtù dell'identico totale riunire per necessità le parti fra di lor , senza di cui egli non potrebbe esser quello che è. Ciò sapendo, chi ragiona può benissimo salire dai veri connessi a quel vero più ampio che tutti li abbraccia e nella sua unità totale li identifica. Sarà questo un sistema più completo di ragionare, perocchè non ci contenteremo di scorgere il nesso tra parecchi giudizi, di procedere per mezzo di tal nesso alla scoperta di un giudizio novella e di dire che uno essendo vero, tutti gli altri debbono pure esser veri; ma cercheremo ancora in qual giudizio plenario e più esteso essi tutti vadano a connettersi per la identità di unico comune risultato. In ciò consiste l'analiticita logica. Il raciocinio analitico ercano la dimostrazione dei teoremi singoli o la risoluzione dei singoli problemi nella proprietà, o nella funzioni e simili, che sono appunto i giudizii più ampli e plenary, nei quali tutti quei singoli s'identificano come parti di un sol tutto. Nella parte logica la connessione non è che l'identità del tutto più ampio con le sue parti subalterne, senza il cui necessario legame egli non risulterebbe quello che è. Il ragionamento è dimostrativo, quando serve a chiarire il nesso tra verità e verità. Dimostrare niente altro è che legare tra loro i giudizi come connessi, e la connessione pertanto vi è, perchè i loro rispettivi subbietti, quand'anco non si sappia, si raggruppano in unico e identico subbietto più esteso che tutti li abbraccia come tante sue parti: onde vi ha passaggio, dalla identità parziale di un predicato P col suo soggetto S, all'identità parziale dell'altro predicato P2 con l'altro suo soggetto S2, e così di seguito; perocchè essi tutti costituiscono un solo subbietto più esteso, che di tutti quei predicati si compone, e che perciò è identico con la loro somma. Un subbietto subalterno non potrebbe concorrere alla costituzione del subbietto totale, se non possedesse quel tale predicato e se gli altri subalterni non possedessero quelli altri predicati; onde la connessione fra tutti, se è vero l'uno, debbono esser veri gli altri, ed *implicitamente* deve esser vero il giudizio totale, con cui tutti s'identificano. È inventivo e non dimostrativo il raziocinio, quando, dalla verità che si conosce, si passa a quella che s'ignora; ed anco in tal caso la ragion del passaggio è fondata sulla connessione, e perciò sulla legge d'identità, in quanto che dalla identità parziale che si conosce, si sospetta prima e poi si scopre la identità totale. Per causa di alcuni punti d'identità o di parziali somiglianze tra un fenomeno ed un altro, si concepisce la *possibile* identità dei loro elementi in un sol tutto, e delle leggi che li governano. In questo caso vi ha l'*ipotesi* o supposizione, che annunzia come *possibile* identico totale quello che tuttora non è che un identico parziale. La conoscenza dei punti, della cui identità bisogna ancora certificarsi, conduce a cercare la medesima identità con quei mezzi, coi quali essa ordinariamente si osserva in altri simili. Ed allora uno dei due, o si giunge all'accertamento della identità di tutti gli elementi essenziali tra un fenomeno e l'altro, tra una legge e l'altra, e si ha perciò l'identità totale, si ha la tesi o posizione; o non si giunge ad accertarla per ostacoli presentemente insuperabili, di cui però dobbiamo renderci conto, e si resta in tal caso nella identità parziale, nella ipotesi o supposizione, pur sapendo quello che manca e perchè manchi, per poterla trasformare in tesi o posizione quando che sia. Tanto il raziocinio dimostrativo, quanto l'inventivo si valgono dell’esperienza concetto; poichè la *testificazione* della identità parziale tra predicato e soggetto di ogni giudizio, che compone un raziocinio, deve esser data dall’esperienza. Se è composto di giudizi sperimentali, risulta pur esso sperimentale; e la connessione dipende dalla loro parziale identità con un giudizio sperimentale di ordine superiore, il quale talvolta nemmeno è conosciuto, ma vi si deve giungere in forza di altre esperienze, come per lo più accade nel raziocinio inventivo. Siccome pero il giudizio sperimentale e tale temporaneamente, cioè fino a tanto che l'identità del predicato P col soggetto S sia solo testificata dall'esperienza, perchè ancora tutti gli elementi di essa non sono conosciuti, nè si ha l'identico concettuale che dovrebbe trasformare in concettuale il giudizio em pirico, così i raziocinî sperimentali, o anco misti, potranno divenire quando che sia raziocinî concettuali, fondati sull'identità assoluta dei concetti, quando cioè l'esperienza, per la perfetta analisi e sintesi delle parti col tutto, si eleva a concetto fisso ed assoluto con la conoscenza degli elementi proporzionali che costituiscono l'identico totale.Vi ha dunque passaggio dalle verità empiriche e dai ragionamenti empirici alle verità assolute ed ai raziocinî concettuali, a misura che la scienza progredisce nel conoscimento delle parti integranti che costituiscono i subbietti dei giudizi sperimentali, ed a misura che essa discopre il nesso tra quei subbietti parziali ed il subbietto più esteso che tutti l'identifica in un complesso solo. È questo il doppio scopo finale dell’uomo: la cognizione concettuale e necessaria dei fatti sperimentali per mezzo degli elementi proporzionali che li costitui scono, e lo svolgimento dei concetti più complessi nei loro con cetti subalterni, che sono del pari i loro elementi costitutivi. Pertanto l'essenza del raziocinio non può essere collocata in una forma piuttosto che in un'altra; essa consiste nel passaggio dalla identità totale alle identità sparziali che la costituiscono, o dalle identità parziali alla totale per mezzo della scoperta di quelle altre identità parziali che sono con loro connesse per compiere l'identità totale. Bisogna dunque assi curarsi, per mezzo dei concetti, della doppia identità delle parti e del tutto per avere ragionamenti rigorosi; e non potendo giungervi per mezzo dei concetti, assicurarsene per mezzo della esperienza. In questi due soli modi è possibile il raziocinio. Chi cura soltanto la forma esteriore del ragionamento e ripone la logica nello studio delle leggi della FORMA LOGICA, non prende di mira lo scopo vero del raziocinio, che è l'accertamento della identità de' giudizi connessi col tutto di cui sono parti; e perciò corre l'aringo di un VUOTO FORMALISMO alla Hilbert, che non è mai garanzia sicura di esatti ragionamenti. Or, perchè mai i subbietti di tali giudizi son dive nuti concettuali e perciò includono necessariamente i loro pre. Tre sono state le più grandi logiche formali. La prima e l’induzione primitiva: quella che argomenta dal particolare al particolare per mezzo di un generale appoggiato ad altri particolari. La seconda, quella che argomenta il generale dai particolari (necessario se i particolari si presentano con caratteri di necessità , empirico se si presentano soltanto come fatti di esperienza) per poter poi discendere dal generale ad altri particolari: il sillogismo di Aristotele preceduto dalla classificazione dei necessari e degli empirici, predicabili e predicamenti, che costituiscono le sue categorie. Terza legge formale: la induzione di Bacone, e quella che ascende dai particolari empirici ai generali pure empirici, adottata da ogni naturalista sensista e positivista. Il sillogismo di Aristotele fu scompagnato dalla sua precedente classificazione categorica per opera dei neoplatonici come Porfirio e Boezio, che vollero così conciliare a forza Aristotele con Platone, e poi per opera degli scolastici e dei moderni idealisti. Essi hanno adottato la sola argomentazione dal generale al particolare ponendo il generale come idea, che si afferma da sè per la sua evidenza e pei caratteri di necessità, di universalità e di assolutezza che la distinguono, senza indurre le categorie dalla classificazione dei fatti, come fa Aristotele. Niuna pero di queste argomentazioni formali costituisce da sè un esatto ragionamento: esse sono o inutili allo scoprimento del vero, o pericolose di errore, o tali almeno che non posson menare al concetto scientifico e necessario, perchè non conducono al vero identico totale. Difatti la induzione primitiva argomenta da un particolare all'altro in forza d'identità parziali; e peggio, da un certo numero di particolari, che si somigliano in taluni punti, argomenta il generale. Perchè questa casa fuma, perciò si brucia! E perchè il legno delle nostre cucine fumando si brucia, perciò: OGNI cosa che fuma si brucia! Da somiglianze o identità parziali si vuole argomentare l'identità totale di un fatto con un altro, o anche più, l'identità totale di tutti i fatti che parzialmente si assomigliano. Il sillogismo dei neoplatonici e degli scolastici , conchiudendo dal generale al particolare e ponendo il generale in virtù della luce dell'idea, non trova mai verità nuove. Poichè, s'io dico, che il tutto é maggiore della parte, e percið ne deduco che il libro dicati, mentre altri rimangono soltanto empirici e perciò la identità tra predicato e subbietto dev'essere soltanto attestata dal l'esperienza? Chi fa che taluni giudizi siano concettuali ed altri non? D'altra parte, è poi sicuro che le idee che noi abbiamo siano tutte esatte, e non può accadere che vi si contengano predicati che loro non appartengano veramente, in modo che apparisca una identità necessaria tra predicato e subbietto, mentre essa non è che l'effetto di una inclusione di predicato che veramente nel concetto non deve entrare? Quanto alla formazione di un concetto si deve notare, che essa avviene per opera di astrazione, la quale procede in due modi, o spontaneamente, per effetto d'identica presentazione dei punti identici delle percezioni e di separazione dei diversi, ovvero riflessivamente e volontariamente, cioè per deve esser maggiore di ciascuna pagina, non affermo in conclusione una verità nuova; ma dico due proposizioni, di cui l'una è tanto vera e tanto evidente, quanto è vera ed evidente l'altra, nè vi è affatto ragionamento. Se però il generale è posto in forza di un cumulo di esperienze o di fatti (sia quanto si voglia lungo ed esteso quel cumulo) si corre pericolo di errare; poichè allora dalla similitudine, o dalla identità par ziale che hanno fra loro alcuni fatti, si vuol provare che tutti gli altri, i quali abbiano identità parziali conformi, debbano somigliarli in tutto il resto. È allora una induzione mascherata sotto le forme assolute di un sillogismo. Poichè, una delle due: o il particolare, di cui si cerca, si ebbe già presente nella formazione del generale, o il generale fu formato per gli altri particolari simili, ma senza di lui. Nel primo caso, lungi che il particolare, di cui si cerca, acquisti luce dal generale, è desso che con corre a formarle. Nel second , si ha il solito vizio di argomentare da alcune identità parziali, tra un fatto particolare e gli altri dello stesso genere , alla loro totale identità. Perchè moltissimi esseri che hanno la figura umana hanno la ragione, percio qua lunque selvaggio che presenta la figura umana, deve avere la ragione? La induzione baconiana ha lo stesso difetto, perocchè non potendo raccogliere che un certo numero di fatti particolari, grande quanto pur si voglia, da’ essi soli suo generale, e poi ne argomenta agli altri casi particolari per ragione di parziali somiglianze. Essa inoltre non perviene mai al necessario ed all'assoluto, perchè non giunge alla identità concettuale del tutto cogli elementi che lo costituiscono. Tutto al più, vi giunge come la categorizzazione di Aristotele (che per lui deve precedere il sillogismo), cioè ritiene l'assoluto ed il necessario nel generale, perchè i particolari si presentano anch’essi con tali caratteri di necessità e di assolutezza. Il tutto è necessariamente maggiore della parte, o è assolutamente identico alla somma delle parti, perchè con tale necessità ed assolutezza nei fatti singoli il tutto si presenta in tali rapporti con le sue parti. Non si perviene mai all'identico, si rimane sempre nell'empirico, in tutte coteste forme di ragionare. Come la necessità ed assolutezza dell'idea si accetta empiricamente, perchè essa con tali caratteri si presenta alla coscienza, cosi nelle varie suddette forme di ragionare si rimane pur sempre nel passaggio empirico da identità parziali ad altre parziali, o peggio, ad altre total , senza assicurarne la totale identità . rea analisi che l'uomo fa di proposito sui complessi ancora inde composti delle percezioni, e sugli stessi primi astratti tuttavia decomponibili. Seguendo sempre la regola dell'identico e del di verso, con la quale si forma idee tipiche e concettuali delle parti più salienti delle percezioni, e di quelle altre che, pur connettendosi con le percezioni stesse, non potranno mai divenire oggetto immediato di percezione. Nasce da ciò un doppio ordine di concetti ben distinti, cioè di quelli che si formano spontaneamente e primitivamente per l'identica presentazione dei punti identici delle percezioni e per la spontanea separazione dei diversi, e di quelli altri che da sè non si offrono, ma è neces sario l'uomo se li procuri colla propria riflessione e col proprio studio, cioè con l'applicazione della legge dell'identità nelle analisi ulteriori, e se li trasmetta tradizionalmente per non per derli. Nel primo caso, l'identico tipico del concetto si costituisce da sè spontaneamente, e perciò il predicato si trova tosto incluso nel soggetto concettuale di cui fa parte. Nel secondo, l'identico tipico del concetto riflesso si costituisce mediante la voro mentale, e per lungo tempo, in mancanza dell'idea, è d'uopo ricorrere all'esperienza, affinchè essa testifichi l'identità del predi cato col soggetto, non potendo nel soggetto trovarsi il predicato a prima fronte, sino a tanto che non sorga netta e chiara l'idea in tutte le sue parti costitutive. Nei concetti spontanei e primitivi, formati dalla identificazione tipica dei punti più chiaramente identici delle percezioni, non può esservi pericolo di errore, logicamente parlando; poichè identicamente si presenta e si presenterà sempre ciò che identicamente si presenta, e diversamente il diverso. Onde i concetti fissi, fondati sulla identità logica, e perciò as loluti e necessarî. All'incontro, le idee (concetti riflessi) ela borate dall'uomo, ben vero con la stessa regola della identità, ma composte di elementi ch'egli astrae da gruppi diversi e che egli poi mette insieme, possono per avventura non es sere logicamente esatte; poichè per un momento si fallisca o per disattenzione, o per precipitanza, o per pregiudizi, alla rigorosa regola della identità nel condurre l'analisi riflessa, o nel mettere insieme gli elementi astratti dai gruppi diversi, potrà uscirne un'idea monca ed imperfetta nel primo caso, erronea nel secondo. E quel ch'è peggio, divenuta tipica tale idea che contiene o non contiene il predicato, l'operazione del giudizio o del raziocinio, che verrà a cercarlo in essa, riuscirà difettiva oppure erronea, come difettosa o erronea era l'idea. Difettiva o erronea l'idea (cioè, mancante di elementi necessari, o intrusi in essa elementi che non le convengono), sarà sempre causa di errore nel giudizio ideale che su di essa si fonderà per legge logica d'identità, e conseguentemente nel raziocinio . Nello stesso modo, un'esperienza mal condotta o per difetto o per syista e confusione di una cosa con un'altra, sarà fonte d'errore nel giudizio empirico, e quindi nel ragionamento che da esso prenderà le mosse. Gli errori di esperimento si correggono con la ripetizione e col controllo di tutti quelli che se ne occupano. Gli errori però dell'idea debbonsi correggere con un buono ed accurato esame ideologico, al quale debbono collaborare tutti gli studiosi delle rispettive materie. Ma qual sarà la regola, con la quale si potrà fare l'esame delle idee, o di quei concetti riflessi che l'uomo si è formati col proprio lavoro, per conoscere se elementi vi man chino, o se vi siano intrusi degli elementi che non possono en trarvi? La regola dell'esame non può essere che quella stessa la quale deve presiedere alla loro formazione, cioè quella del l'identità totale dell'idea con l'identità parziale dei singoli ele menti che la costituiscono. L'idea deve essere decomposta nei suoi elementi, e deve essere osservato se tra essi e l'idea vi sia perfetta e totale identità : così soltanto potranno includersi quelli che difettano e potranno escludersi quelli che non convengono ; poichè nell'uno e nell'altro caso l'identico totale mostra quello che gli manca, o quello che gli conviene, per essere quel che è. In tal modo è possibile l'esame, e la rettificazione delle idee, occorrendo ; ed in ciò consiste un buon trattato d'Ideologia. La scuola empirica , duce il Locke, aveva già compreso la necessità dell'esame delle idee , all'oggetto di non ammetterle soltanto in forza dei loro caratteri este riori di evidenza , necessità , universalità ed assolutezza , con cui s'impongono. La disposizione che si dà al complesso de' giudizi ed ai ragionamenti, sia per esporre, sia per dimostrare, sia per avviare alla ricerca, costituisce il metodo, il quale non può avero altro scopo, che quello di condurre all'identico totale per mezzo di tutti i suoi parziali, o ai parziali per la decomposizione del loro totale. Il metodo sta ai ragionamenti, come il ragionamento sta ai giudizi: egli ha lo scopo di fare un ragionamento com plessivo di tutti i ragionamenti subalterni mediante la regola della doppia identità parziale e totale . Onde il vero metodo scientifico è certamente analitico e sintetico insieme, man è l'ana lisi sola, nè la sola sintesi, nè entrambe unite, potrebbero con durre a risultati scientifici, se non avessero per rigorosa regola l'identità , e se non mirassero al suo conseguimento finale in tutti i giudizi e raziocinî, sperimentali, concettuali, o misti. Parlo del vero metodo scientifico; poichè per comunicare alle masse i risultati della scienza, o per indurre in loro la persua sione necessaria all'adempimento dei proprî doveri, una esatta analisi degli elementi delle idee o dell'esperienze, ed una esatta loro sintesi, all'oggetto di condurle a rigorosa identità totale, Perd essa voleva rimontare , senza alcuna ragione nè possibilità di riuscita, alla ori gine cronologica delle idee . Voleva inoltre, far provenire le idee dai sensi. Onde , in vece della vera origine cronologica, ben difficile a trovarsi per le singole idee , diede spesso supposizioni romanzesche sulla prima nascita delle medesime , e sopra tutto delle idee morali , col preteso stato naturale e col contratto sociale . Tutte quelle idee che non potè giustificare coi sensi , le rigetto, o le ammise alla credenza pubblica come necessità indemostrabili della nostra natura. Onde i posteriori idealisti , visto l'inte lice esito dell'esame , son tornati ad ammettere le idee in virtù della loro evidenza e dei loro caratteri che s'impongono alla nostra ragione , sia ritenendole verità prime indiscutibili ed indispensabili ad ogni ragionare (scuola del senso comune) ; sia supponendole forme assolute del pensiero  quidquid recipitur ad formam recipientis recipitur (scuola kantiana ) ; sia riputandole innate e facienti parte del nostro intel letto , almeno in una prima idea fondamentale , quella dell'essere (*scuola rosminiana*) ; sia ammettendole come frutto d'interne azioni e reazioni dello spirito (scuola di Herbart) ; sia credendole comunicazioni della mente medesima di Dio, intuizioni, tocchi misteriosi (*scuole giobertiane*) , o anche evoluzioni della stessa idea divina, assumente caratteri di progressiva attuazione per la legge dialettica de contrari (scuola hegeliana ), attuazione dell'idea in forza di volontà preordinante e producente (scuola di Schopenauher ), o attuazione inconscia ( scuola di Hartmann ). Tutti supposti, appoggiati a me tafore, a superficiali osservazioni , o a dogmi , per dare una spiegazione dei caratteri delle idee senza volerle esaminare in sè stesse , nei loro attuali elementi costitutivi , adducendo a prova della impossibilità dello esame l'infelice risultato ottenuto dagli empirici , i quali ebbero bensì il buon volere , ed anche la presunzione dell'esame , senza mai averne studiato i mezzi convenienti non sono punto possibili, nè anche utili. Laonde è d'uopo r correre ad esperienze ovvie, a idee evidenti e generalment ammesse, per inferirne le bramate conseguenze . Or se è vero che percepire distintamente, sintetizzare, analizzare, ricordare, astrarre, concettuare, ideare, giudicare, connettere e ragionare, non sono altro che più o men largamente identificare le parti ed il tutto, spontaneamente o riflessivamente, in forma sperimentale o in forma tipica assoluta, se cid è vero, diviene pur troppo evidente che, per potere scorgere l'identità più prontamente e con maggiore chiarezza, sarebbero assai utili due cose. Primo, abbreviare e ravvicinare tra loro con SEGNI le percezioni ed i loro elementi, le idee ed i loro elementi. Secondo indicare con segni le successive operazioni che vengon fatte spontaneamente o riflessivmente sui detti complessi e loro elementi. L'algebra ed il *calcolo* per sè non sono scienza, ma sono potenti mezzi di scienza, in quanto abbracciano e ravvicinano le idee e le operazioni su di esse fatte rendendo più facile e più sicuro il colpo d'occhio su di loro per scorgerne le identità e le differenze. Or, perchè non sarà possibile una logica aritmetica o matematica per agevolare la conoscenza delle identità parziali e totali, dalle quali dipende tutto l'eser cizio della intelligenza? Non vale il dire che nell’aritmetica e la geometria si tratta di rapporti tra sole quantità, e perciò e possibile un segno abbre viativi e le operazioni identiche. Mentre invece nella logica generale si dovrebbero trattare molti altri rapporti di QUALITà, che variano tra loro indefinitamente, e perciò l'aritmetica non si potrebbe applicare alla logica. Non vale il dire questo; poichè tutti i rapporti tra le QUANTITà hanno unico fondamento comune, l'identità costante di ogni unità con sè stessa, in guisa che non possa crescere nè decrescere in alcun modo, e che ogni unità valga quanto un'altra. Onde il fondamento vero dell’aritmetica e dei loro processi è tutto nella identità, come in generale il fondamento di tutte le operazioni dell'intelletto; e la loro unica regola consiste nella IDENTIFICAZIONE. Non vi ha dunque difficoltà vera contro la formazione di un'aritmetica logica; il cui scopo non dev'essere altro che quello di fissare, abbreviare, e con un segno, costante e certo, ravvicinare fra loro le idee ed i loro elementi, e le operazioni che su di esse si fanno. Nella scelta del segno per tale oggetto, non occorre far tutto a nuovo. Come nell'aritmetica, si posson prendere le lettere alfabetiche per indicare i complessi della percezione e dell'idea, non che i loro elementi, cioè le lettere maiuscole (A, B, C…) pei complessi, e le lettere minuscole (a, b, c, …) per gli elementi, se fossero gli uni e gli altri conosciuti e categorizzati. Se ancora non fossero conosciuti distintamente, potrebbero adoperarsi i soli punti. Ogni segno dell’aritmetica, più, meno, eguale, maggiore, minore, hanno posto nella logica o semiotica matematica o aritmetica. Il dubbio ha un segno nella scrittura ordinaria, l’interrogativo – la quesserzione --. Un segno pure abbiamo nella stessa scrittura per indicare un seguito di cose simili, che corrisponde all' &. Soltanto resterebbero a stabilirsi un segno per quell’operazione che nell'aritmetica e nel linguaggio ordinario non esiste. Questo segno si riducono a distinguere lo stato spontaneo dal stato riflesso, che sono i due stati del nostro animo, ed ambidue i detti stati dal di fuori di essa. Per tale scopo descrivo due spazi, uno spazio inferiore e l'altro spazio superiore, chiusi da tre linee parallele orizzontali. Il di fuori è tutto quello ch'è al disotto dello spazio inferiore e lo spazio superior. Lo spazio inferiore indica lo *spontaneo*. Lo spazio superiore indica il *riflesso*. Indico con quadrati di linee, di punti, o di lettere, i complessi e le loro parti, sia percepito, sia non percepito, o sia salito allo stato di riflessione. Un punto e una lettera minuscola indicano i loro elementi. Il punto indica che l’elemento non e conosciuto. La lettere indica che l’elemento e conosciuto. Denoto il simile con due parallele verticali. Rappresento l'identico con la convergenza di due linee in un angolo verticale. Se l’identità non è completa, ma sol tanto parziale, una delle due linee sarà più corta dell'altra, quasi per indicare la mancanza. Due quadrilateri che convergono e si toccano con un lato rispettivo in un angolo vertical rappresentano la sintesi dei punti identici. Se i due lati divergono, le quadrilateri rappresentano l'analisi dei diversi. Indico il connesso con una serie di anelli di una catena. Esprimo il negativo col segno 3 del meno sovrapposto a quello che voglio negare, il non identico, il non simile, il non dubbio, ecc. $ 54. Ecco così la serie dei segni principali: + più, meno, =  uguale, <: maggiore; ‘>’: minore; ‘ll’ simile, 1 identico, ^ identico parziale, ? dubbio, 000 connesso, (II) in contatto, & etcetera, -1-- non simile, ^ non identico, ?- non dubbio cioè riflesso spontaneo, [ ] non percepito, I percepito in comcerto, plesso, percepito distintamente senza categorizzazione di TAI parti, 71 percepito e sintetizzato, !! percepito e analizzato, DU U IV / TAL sintesi ed analisi spontanea e riflessa, |A| astratto com Ul Tala plessivo, Tala astratto con la parte a. | A la S 55. Quando non occorre distinguere lo stato di spontaneità da quello di riflessione, cioè quando si è nei concetti riflessi (idee), nei giudizii e nei raziocinii nei quali non entrino l'esperienze e le percezioni, i due spazî, che segnano lo spontaneo ed il riflesso, si trascurano. L'idea ed i suoi elementi si rappresentano così ovvero al ovvero A :, ovvero secondo chè sieno più o meno distinte e conosciute le sue parti elementari. Il giudizio ha una delle due formole: 10 AA ? Bİ, il concetto o la percezione A è identica a B ? A A ? Bİ, non è identica certamente, oppure la risposta contraria: è iden tica certamente, 1 -?- ; 2º Aja ?, l'elemento a fa parte dell'idea a _ ?. o della percezione A? La risposta si dà col negare il dubbio (A) а h g bAt a b A. cde ? с a hg an. Or, dire che a fa parte di A è lo stesso che dire 1A | {4} +/ biali, с de cioè l'elemento a è identico ad uno degli elementi di A, essendo OOO gli altri elementi b c d e f g h. Il raziocinio in generale ha la formola della connessione logica, cioè della connessione nello stato riflesso, che è l'identità de’ suoi membri in un tutto mag giore, di cui sono parti; onde è necessario che sieno veri i membri con reciproca connessione, affinchè sia vero il loro tutto. Onde la formola del raziocinio in generale sarebbe: ^( )( )( ). Con le parentesi esprimo i membri di versi del raziocinio che fanno da premesse (e possono essere parecchi) e quello che fa da conclusione, indicando la loro connessione e l'identità di essi in un sol tutto più ampio con quel segno intermedio di connessione riflessa e d'identità, che qui equivale al dunque. Il ragionamento erroneo si esprimerebbe con l'identico non identico Â, con la contraddizione. $ 56. Il raciocinio è o dimostrativo, o inventivo; ed in ogni caso esso passa dalla identità parziale di una idea con un'altra, o di un esperimento con un altro, alla identità totale (S 43). Onde la formola generale di ogni raziocinio ne' suoi passaggi è i sempre questa: (a"B') (a000bcdefghh), a h g с de b h g ovvero OOO d e (a), (^Bİ). Quanto a dire: A e B contengono a, sono parzialmente identici. Come si farà per sapere se sieno totalmente identici? Bisogna dalla parziale identità a riconoscere se pur vi sieno le altre parziali identità b c d e f g h. Ciò si può sapere in due modi: o che vi sia connessione tra a e tutti quegli altri, o che a li contenga. Bisogna accertare uno dei due, o decomponendo i rispettivi concetti, o sperimentalmente. Accertato uno dei due, o per connessione 000 che signa l’identità dei membri col loro tutto, o per continenza che signa lo stesso (il tutto che contiene le parti), si ha passaggio logico legittimo 000 al dunque, alla conclusione; e pongo il segno d'identità 1 sul dunque, perchè ogni connessione di membri esprime la loro identità col tutto che li contiene $57. Lo scopo di cotesti segni non deve esser quello di sostituirli al linguaggio ordinario; poichè in tal caso ogni ragionamento prenderebbe l'aspetto della matematica e del convenzionalismo di Poincare e il formalism di Hilbert; onde sarebbero ben pochi coloro che avrebbero la forza di mente e l'abitudine necessaria per condurre così i loro raziocinî. Io mi son limitato nella mia semiotica (significa) universale a servirmene come mezzi di reddiconto e di controllo, a ragionamenti finiti; poichè giova il riassumerli con segni e presentare la forma logica della percezione, dell’idea e del concetto, i loro rispettivi elementi, e le varie serie di operazioni su di loro eseguite, per potere a colpo d'occhio discernere il cammino della identità in tutti i giudizi e ragionamenti. Nella cennata mia opera ne ho fatto largo uso in questo modo, nè domando per ora che sieno adoperati altrimenti. Qui pero, in questo lavoro sintetico e riassuntivo del sistema, non renderebbero più facile la comprensione delle idee, alla quale aspiro; onde io non me ne servirò, lasciando che i leggitori di mente più ferma ne prendano esperimento nelle singole dimostrazioni, alle quali già li ho applicati nella suddetta semiotica universale. Sotto il generico vocabolo “parola” (cf. Grice, ‘to utter’) si può intendere qualunque segno communicativo che serve a rappresentare una percezione o un'idea o concetto. Pur nondimeno questa voce “parola” – cf. Grice “to utter” -- nell'uso ordinario è ristretta a signare un suono articolato, con cui l’uomo esprime e communica la pércezione o la idea o concetto ad altro uomo; e siccome il suono articolato e stato legato ad altro segno, così la parola, oltre di esser pronunziata (pro-nuntiatum), è anche scritta. Orche cosa è mai questa *communicazione* da un'uomo all'altro? Questa communicazione propriamente è un mezzo di suscitare nell’altro uomo, al quale si dirigge, una percezione o una idea o concetto consimile a quelle che ha e che vuol *communicare* (o signare) colui che ‘signa’. Perciò la communicazione consiste nel far sorgere nell’altro quella stessa percezione o quella stessa idea. Ciò in due modi può succedere, cioè: o mediante una convenzione, arbitrio, concordo, patto, sul segno, sia volontariamente fatta, sia abitualmente seguita, cosicchè ogni segno per ragion di associazione convenzionale desti una percezione o un'idea corrispondente; o pure mediante una naturale (iconica, assoziativa) associazione o meglio co-relazione che si stabilisce tra un segno e una percezione o idea o concetto, cosicchè non abbisogni altro che imitare (proffere) appositamente questo segno per suscitare nell’altro la percezione o idea o concetto naturalmente (iconico, assoziativo) annessa o co-relata. È del primo modo – il modo di correlazione convenzionale -- la maggior parte dei segni; poichè una convenzion prima espressamente o tacitamente fatta, e l'uso che ciascun trova del sistema di communicazione del suo popolo, fan sì che appena si manipula un determinato segno, tosto si destino in coloro che ascoltano le percezioni e le idee co-rispondenti. Sono del secondo modo ogni segno che per lo più imitano una proprieta naturale, come la voce del cane (“Daddy wouldn’t buy me a bow-wow”), il romore del vento, lo scorrer del fiume il rimbombo del tuono, della esplosione, ed altri simili. Ancorchè l'uomo non sa per antecedente convenzione il ‘signato’ di tale ‘segno,’ egli tosto si fa l'idea del ‘segnato’ che s'indica, perchè la imitazione – iconicita, assoziativita – della proprieta naturale sveglia la percezione socia. Sentendo “bac-buc” dei tedeschi, quantunque non sa l'alemanno, mi debbo far tosto l'idea del vuotarsi di un vaso a bocca stretta. In questa categoria va pure il vocativo “o”, perchè la pronunzia molto spontanea di questa vocale fa volgere la persona verso il punto donde “o” vien pronunziato: e quindi da per sè stesso il vocativo “o” serve a chiamare, perchè ottiene spontaneamente questo effetto o risponsa nell’recipiente. Intanto il segno, oltre che serve a mettere in communicazione due uomini fra loro ed a far nascere in essi la ri-produzione (o trasferenza psicologica) di una percezione e di una idea secondo la volontà del ‘signante,’ è al tresi utile ad un'uomo solo, allorchè egli si racchiude in se stesso e si va rappresentando le cose per meditarvi. Difatti è un'osservazione ben comune che noi parliamo dentro noi stessi, allorquando pensiamo le diverse cose, e principalmente allor quando ci rappresentiamo una idea astratta. La influenza del segno sull’astrazione comincia ad esser guardata con attenzione quando i filosofi della scuola sensista credettero che l'unica differenza tra l'uomo ed il bruto consistesse nel segno communicativo. In verità è ben facile rilevare che senza gl'innumerevoli segni articolati l’uomo non puo mai formarsi e ritenere l'immensa serie d'idee astratte, e per dirla più esattamente, non puo egli nè sintetizzare ne analizzare in sì gran copia, posciachè l’astrazione è figlia dei grandi incrociamenti delle sintesi e delle analisi. Certamente i punti simili delle percezioni rappresentandosi similmente si sintetizzano, ed i dissimili si analizzano rappresentandosi dissimilmente. Ma se per ciascuno di quei punti simili e dissimili non vi fosse un segno associato, non e mica possibile riprodurre e ritenere la immensità delle similitudini e delle differenze che offrono da un momento all’altro la percezione. Imperciocchè tra moltissimi punti simili, che fra loro si differenziano in picciola cosa, sarebbe più fa eile la confusione, anzichè la distinta rappresentazione di ciascun grado minimo di somiglianza e di differenza per mezzo delle percezioni medesime. Al contrario, il segno articolati e diversissimi d’altro segno articolato; e perciò attaccando un segno a ciascuna di quelle minute sintesi ed analisi, si ha di già quanto basta per poterle esattamente richiamare, senza poterle mai confondere un segno per altro. Per esempio, quante gradazioni diverse non offre un colore solo, il concetto di “bianco” (o “bianca”)? Or si potrebbero mai ritenere senza confonderle tutte queste gradazioni? Ma l’uomo vi adatta un segno diverso per signarle, e la confusione è evitata. Egli dice “bianco chiaro”, “bianco sbiadito”, “bianco lordo”, “bianco latte”, ec . Vi sono poi delle parti di percezioni che si isolano dal complesso mediante l’astrazione, e se non vi fosse un segno per risvegliarne l'idea, non puo esser pensate giammai. Per esempio, l'idea o il concetto astratto o generale o universale di “colore” – il nero non e un colore; il bianco no e un colore --, siccome abbraccia ogni colore, con qual di essi partitamente o complessivamente si puo rappresentare, se non vi fosse un segno distinto (gaelico glas: verde o blu?) da tutti i co fori singoli per richiamarla? Vi e pure un gruppo d'idee astratte che con maggior ragione han bisogno di un segno per essere pensate, come la “gloria”, la “virtù”, l’ “onore”,  il “dovere”, ec . Cosi anche e il concetto meta-fisico dell’essere sopra-sensibile, Iddio, la sostanza, ec . É in forza dell'unità del segno, che sorge l'unica idea astratta; poichè, se vogliam provarci a idear (o mentare) la cosa senza segno alcuno, particolarmente in una nozione astratta che non ra-presentano o signa un essere reale, ma soli rapporti fra gli esseri, non sappiamo veramente come farcene l'idea. Oltre a tutto ciò il segno ha una virtù speciale, che fa vedere il legame di una idea coll’altra; perciocchè, messo un segno radicale o di radice (“amare”), ogni variazione di desinenza e e ogni derivativo indica o signa, come un gruppo che costituisce un'azione risultante venga variandosi in mille modi: il che importa una sintesi mista all'analisi, perchè la radicale ferma indica il punto fondamentale della somiglianza, mentre ogni desinenza e ogni derivato fa vedere ogni categoria: quantita, qualita, relazione, modalita – per citare la funzione kantiana della categoria d’Aristotele -- tempo, luogo. Questo vantaggio non si puo altrimenti ottenere, che coll’articolazione del segno sub-segmentale (prima e seconda articolazione), poichè rimanendo fermo un segno come segno radicale sub-segmentale (articolazione prima e seconda) (“am-”), il segno articolato (mutato della radice) indica la differenza (“amans”, “amatus”, “amiamo” “ambi due amiemo”) fine a formare una proposizione compieta: il mittente con il signans signa al recipient *che* il mittente crede che ama al recipiente. Siegue da tutto ciò che il segno articolato ha un'influenza grandissima nella operazione della sintesi, dell'analisi e dell'astrazione; e siccome senza del segno articolato l'uomo non può nè giudicare (operare con una proposizione) nè ragionare (inferire una proposizione d’altra), cosi il segno articolato ha un'influenza suprema nel giudizio e la volizione e nel raziocinio (di giudizio e di volizione). Infatti il sordo-muto ha un limite strettissimo nella sintesi,  nell’analisi e nell’astrazione; ed a misura che si allarga in loro la sfera dei segni per mezzo della gesticolazione, e più anche per mezzo di un sistema alternativo, il sordo-muto inoltransi nell'astrazione, il suo giudizio, la sua volunta, ed il suo ragionamento – di giudizio o di volonta -- divene più estesi e più esatti. Dopo che si disse che l'uomo non puo mai dare origine al segno articolato o communicativo, la scuola di Bonald si valse di questa stessa dottrina per fondarvi sopra l'edificio della divina rivelazione, che dovette communicarsi al primo uomo coll'insegnamento diretto del segno communicativo, e che dovette tradizionalmente discendere col segno medesimo in tutta l'umana generazione, fino a che colla dispersion babeliana delle lingue venne a guastarsi la forma genuina primitiva del segno soppranaturale, praeternaturale rivelato, e varii innesti di origine umana si attaccarono al primitivo tronco, cosicchè insiem col segno furono anche travisate le idee della rivelazione prima. Questa stessa dottrina è stata abbracciata con molta facilità da Gioberti, quantunque in tutt'altro alla scuola di Bonald egli non appartenesse. Non entro in questa questione dal lato teologico (o genitoriale), molto più che non veggo nella antica religione romana nessuna espressione che alluda all'insegnamento primitivo del segno per mezzo di un dio. Veggo per altro che le anzidette scuole han preso a dimostrare filosoficamente che l'uomo da sè stesso non può dare origine al linguaggio , e con questa dimostrazione negativa credono dare il più saldo appoggio alla necessità della primitiva rivelazione della parola. Guarderò adunque le loro ragioni da questo stesso lato filosofico , e porrò così il quesito: È egli vero che per poter ‘signare’ comunicativamente in qualunque guisa bisogna l’uso preventivo dell’astrazione, e viceversa per potere astrarre bisogna l'uso antecedente del ‘signare communicativo? Se ciò fosse vero, sarebbe questo un circolo vizioso (“a Schifferian loop”), da cui non potrebbe mai uscire l'origine puramente umana del ‘signare communicativamente’; e perciò , essendo un fatto che l'uomo signa communicativamente, ed ammesso che egli sia stato *creato* da un dio (Prometeo), re sterebbe come una ipotesi interamente consona alla divina bontà di Prometeo che egli stesso gli abbia insegnato o signato a signare communicativamente fin dalla origine o dalla genesi alle rivelazioni! Resterebbero cosi giustificati gli argomenti della scuola teologica o genitoriale di Gioberti. Ma a me pare che, posto a quel modo il quesito, la necessità del circolo vizioso venga tutta dal non voler discendere nella minuta analisi di un tutto complessivo – un complesso proposizionale --, e dal volere la spiegazione sintetica di un fatto che costa d'innumerevoli elementi, senza volere esaminare come nascano gli elementi medesimi, e come gradatamente si combinino fra loro per costituire il fatto totale nel modo che oggi si presenta. Uno dei difetti delle scuole dell'età nostra è questo precisamente, che i nodi voglionsi tagliare invece di scioglierli; e cosi mi pare sia accaduto al problema che riguarda l'origine del signare communicativamente. Infatti, se si domaada: l'uomo può esercitare quella vastità di astrazione che attualmente esercita senza fare uso del signare communicativamente? La risposta è facile: nol può: perchè il segno communicativo, siccome testé abbiam veduto, influisce grandemente nell'esercizio dell’astrazione. Parimente se si domanda: l'uomo può signare communicativamente (con “o”) senza l’esercizio dell’astrazione? è anche facile ugualmente la risposta che nol può: perchè la convenzione implica la conoscenza dell'utilità del signare communicativamnte, ed implica nel tempo stesso l'attaccamento di un'idea (“presta attenzione”) ad un segno articolato (“o”), il che è un'effetto di astrazione. Ma il problema non è ben presentato col porre le due anzidette domande; perocchè non si vuol sapere se l'esercizio completo del signare communicativamente, qual'è attualmente, può stare senza l’uso dell'astrazione, nè anche si vuol sapere se lo sviluppo immenso che ha preso l’astrazione nelle molte successive generazioni del popolo italiano possa mai stare senza l'uso del segno articulato. Invece il problema vero è quest'altro. Vi può essere un atto di signare communicativamente primitivo, un primo uso di un segno articolato (“o – o – o”), colla sola influenza di un'astrazione (o articolazione) di primo grado, la quale per compiersi non ha bisogno dell'uso del atto di signare communicativo. Quando due cose s’influiscono a vicenda, in modo che non può crescer l’una senza che cresca l’altra, se si guardano *sinteticamente* dopo un lunghissimo periodo di mutuo accrescimento, non pajono più naturalmente spiegabili, e comparisce quella specie di circolo vizioso, di cui si parla inpanzi, perchè lo sviluppo pieno del l’una suppone lo sviluppo pieno dell’altra, ed amendue si suppongono talmente a vicenda, che non si sa più qual delle due debba esser prima. Per isciogliere un problema di tal fatto bisogna incominciare dal periodo o fase o stadio primo, cioè dal momento men complicato e meno sviluppato. Allora soltanto si può scorgere la influenza mutua, e come mano mano vengano accrescendosi l’una coll’altra. Qui trovo un’obbiezione ben facile. Mi si dirà: avete voi elementi storici ben certi per poter determinare qual sia stato il periodo primo dell’atto di signare communicamente in Romolo e Remo. Anzi taluni credono trovare nell'etnografia una base sufficiente per poter sostenere che il segno communicativo più antico e più elevato e più ricco di forza plastica. Onde da quelli si crede che l’atto del signare comunicativamente e andati mano mano deteriorando. Veramente, se debbo esaminare il mio problema sull’appoggio del solo dato storicio  non mi credo autorizzato a dare una soluzione diffinitiva. Imperciocchè io non son’ uso a sciogliere un problema a posteriori, e viceversa, so che la *ragione* necessaria delle cose governa la storia. Non entro ad esaminare se l’uomo e creato adulto o no; o se, dimenticato il primitivo atto del signare communicativamente, sia stata possibile la nascita di un atto *nuovo* di signare communicativemente. Non entro in un esame storico, dal quale la mia semiotica non puo sempre ricavare un risultato filosoficamente rigoroso. Invece, domando se e possibile, senza precedente arbitrio alcuno, stabilirsi una communicazione di un segnato tra due uomini per mezzo di un segno (“o”) anche *involontariamente* (spontaneamente, naturalemnte) adoperati, e, se trovata l'utilità pratica o prammatica di un arbitrio mutuo di tal fatto. Si puo fare avvertitamente e per mutuo arbitrio ciò che prima si è fatto *spontaneamente*. Posta così la questione, non ha bisogno più della ricerca storica. Si attacca alla natura comune – la ragione -- di due uomini – una diada conversazionale, Romolo e Remo, Niso ed Eurialo --, quantunque anche la storia puo venire in conferma di ciò che la cosa deve essere per natura sua propria – uomo animale razionale. Distingo due specie del genero segno: ma non e necessario moltiplicare i sensi di ‘segno’ sine necessita. Primo e un segno naturale, spontaneo, imitative, mimetico, iconico, assoziativo. Secondo, e a posteriori altro segno – un segno devenuto segno dopo un mutuo arbitrario. Or sebbene il mittente che usa un specimen particolare di segno “o” che imita una proprieta naturale spontanea, il segno “o”, sieno per sè stesso assai ristretto, pure ha questo di particolare. Senza bisogno di arbitrio mutuo alcuno, e senza anchie aver lo scopo di *conimunicare* (transfere il segnato) all’altro un qualunque segnato (sensum, percipito), puo essere adoperati, e producono l’effetto della communicazione (communicato, segnato) che non e primariamente nell' *intenzione* di nessuna delle due parti. Nessuno più di un bambino italiano è da natura inclinato ad imitare (‘bow wow’) i romori che sente o perceve. Non è necessario supporre che questa imitazione (‘bow wow’) ha uno scopo, fine, volizione, o intenzione (volutum). Il bambino italiano imita spontaneamente, e signa che e in relazione con un cane, è come la ri-petizione naturale della cadenza che si esieguono non dall'uomo solo, ma anche dai bruti. Comincio da questo caso semplicissimo, non perchè io creda che l’atto del signare communicativamente sia nato in questo preciso modo, ma quando si cerca la possibilità di una cosa, bisogna ricercarla tra le possibilità più semplici e più comuni. Imperciocchè, pria che si dice che una cosa non può essere, è mestieri osservare in quante maniere ben semplici ella può avvenire. Or vediamo, allorchè un’uomo imita spontaneamente un suono qualunque naturale (“o-o-o”), che cosa accade nell’altr’uomo che lo interpreta (l’interprete). Il segno imitato per ragione di semplice associazione o iconicita richiama naturalmente la percezione della causa che suole ordinariamente emettere cotal segno. Per esempio, se un bạmbino italiano, senza la menoma intenzione communicativa, e solo per il puro piacere imitare, esiegue il belato (‘bah bah’) della sua pecora, chiunque lo sente si rappresenta in quel momento l'animale che fa quel belạto. Senza *voler* o avere l’intenzione di communicare, i. e. d’informare ad altro, vi è di già tutto quello – il principio razionale --  che costituisee la communicazione e la conversazionale. Un segno, a cui è attaccato una percezione, adoperato la prima volta, ‘one-off’, spontaneamente, per caso, per imitazione, per qualunque altra causa, desta la percezione socia, e senza arbitrio mutuo alcuno divien segno della medesima causa (‘bah bah’ = pecora). Infatti, se il bambino italiano che imitava poc' anzi il belato della sua pecora, non conosce punto il segno articolato ‘pecora’, e se io voglio più tardi rinnovare in lui la percezione della pecora, che altro dovrei se non che imitare il belato medesimo? Nè ciò dipende da che io conosco l'utilità del segno. Giacchè potrei supporre all'inverso che il bambino italiano il quale, imitando spontaneamente il belato della pecora (“bah bah”), si accorse o da un segno (“bah bah”), o dallo sguardo ch’io do alla pecora, che già mi feci ricordanza della pecora, più tardi il bambino stesso potrebbe servirsi a ragion veduta di quel belato per riprodurre in me or di proposito la stessa percezione. Immagino un’altro caso. Se alla vista (visum) di un pericolo (leone) l'uomo (Eurialo) gitta un grido – “o-o-o” --, un suono qualunque, quand’anche non sapesse che vi fossero altr’ uomo (Niso), dal che potrebbe essere soccorso, il grido spontaneo che suole uscire per lo più involontariamente, spontaneamente, naturalmente - sotto il dominio della paura o pena, e se a quel grido si ve dessero accorrere altr’uomo, il quale, scorgendo la posizione pericolosa, viene in aiuto, non sarebbe tosto quel grido spontaneo “o-o-o” un segno della “chiamata” in aiuto, segno non devenuto da mutuo arbitrio in principio, nia che per l’effetto ottenuto o la risponsa ottentua divene base di un mutuo arbitrio in avvenire? Immagino anche un’altro caso più semplice. Se un'uomo spontaneamente, e senza *intenzione* communicative alcuna, signa “o-o-o”, il segno più facile ad articolare, e se altr’uomo (Remo, Niso) e presente e sente o perceve che Romo ha profferito un specimen di un segno, che cosa mai dovrà avvenire? Non si voltera verso colui che signa? Non è naturale il rivolgersi verso il punto donde parte il segno? Ebbene, un'effetto si è ottenuto. Questo segno profferito senza intento alcuno o intenzione comunicativa alcuna richiama l’attenzione dell’altra parte della diada conversazionale. Ciò che si è dapprima, one-off, ottenuto senza intento communicativo o intenzione communicativa, può la seconda volta esser voluto *di proposito*, voluntariamente, -- def. di verbum in Aquino -- per la utilità che se n’è ricavata: ripetendosi dunque avvedutamente lo stesso segno, quello è divenuto un vocativo naturale. E noi osservammo che appunto questa vocale “o” è il vocative nella Roma di Remo (o tempora o mores) e nella Roma di oggi. L’arbitrio mutuo o duale dunque non nasce dapprima a ragion veduta, ma nasce per mezzo di un'effetto o risponsa, che un segno, EMESSO per accidente (“o”) o per imitazione, consigue. Volendo di nuovo ottenere avvedutamente lo stesso effetto o la stessa risponsa, non ci vuol’altro che ripetere un altro specimen del stesso genero di segno (“o”). L’arbitrio mutuo dual è bello e fatto. Or quando vi sono tante possibilità d'incominciare l'uso di un segno articolato e di dar luogo spontaneamente a un arbitrio mutuo e duale, come si può dire in tuono assoluto che sia impossibile l'uso del segno senza aver la preventiva conoscenza della utilità del segno medesimo? Non dico che l’atto del signare communicativamente nacque in questo o in quell’altro modo. Dico che vi sono moltissime possibilità tutte *naturali*, nelle quali l'uomo può avvertire l'utilità dell'uso di un segno articolato per l’effetto o la risponsa spontanea, no intenzionata, che ne ottiene , e senza il bisogno di un preventivo arbitrio duale. Basta questo per distruggere a rigor di logica le basi tutte di quell'edificio che si vuol fondare sull’impossibilità assoluta che l’uomo signa senza prima aver conosciuto l'uso e l'utilità dell segno. Ma invero il brutto ebbero forse insegnato da Dio l'uso del atto di signare communicativamente, con che communica (o transferre) il suo bisogni , la sua gioia, il suo pericolo, la domanda del soccorso? Forse non vediamo fin dal loro nascere i varii animali communicarsi per mezzo di un segno, per lo più *istintivo* -- che causa una risponsa istintiva, i diversi loro stati? Non puo il brutto perfezionare il suo atto di signare communicativamente, perchè non ha facoltà di sintetizzare e di analizzare gli elementi della percezioni, e molto meno ha facoltà astrarre, siccome vedremo a suo luogo. Ma la co-rispondenza o co-relazione dell’effetto o stimolo, in esito al suo primo segno istintivo fa si che il brutto lo ripeta volontariamente; e tutti conosciamo come un animale domnanda il cibo o la libertà del movimento per mezzo di segni speciali, nel che dalla sua parte vi ha una specie di “tacito” arbitrio duale (Androcle e il leone), perché l’effetto ottenuto o la risponsa ottenuta una volta, per ragion di associazione o co-relazione iconica istintiva associativa, fa appunto le veci di un arbitrio duale. Se dunque questo segno inferiore è possibile nel bruto, il quale non astragge, perchè lo stesso principio di spontaneo tacito arbitrio duale non è possibile fra due uomini! Un uomo, che ha la piena capacità di astrarre, riconosce più facilmente l'utilità dell’effetti ottenuto o della risponsa ottenuta dall’altra parte della diada conversazionale, e si crea l'idea generica del arbitrio duale del segno, dalla quale discende poi come conseguenza la necessità di *variare*, fare piu ricco, illimitato, creativo, e di fine aperto, in ragione di questo o quello bisogne, in ragion di questa o quella percezione, o in ragione di questo o quello concetto astratta. Concepita una volta l’utilità dell’uso del atto di signare communicativemente, del segno articolato (terza articolazione), non ci vuol’altro che possedere in fatto la capacità di variare e combinare *indefinitamente* in modo aperto e illimitato, l'articolazione e la operazione di questo o quello segno primitivo, e l'uomo possiede già questa capacità meravigliosa. L’uomo adunque può, da un certo numero di fatti spontanei in cui il segno è riuscito a *stabilire* un arbitrio duale, elevarsi all'idea astratta dell’arbitrio duale del segno, poichè da un fatto singole si forma la sintesi, l'astrazione, e l'idea generica; e possedendo in fatto la varietà indefinita, componibile, di questo o quello segno articulato primitivo, è già nel caso di far da sè tutto il resto. Quantunque il segno che compone l’atto del signare communicativo e per arbitrio muto, pure siccome debbono *signare* una percezione (S e P), gli tre elementi delle medesime (S, e, P) ed i concetti astratti , debbono quindi ritrarre le proprietà fondamentali dell’uomo, cioè la relazione costanti che debbono avere fra ogni percezione, e ogni operazione o combinazione. Perciò, sebbene e diverso il segno che si adoperano ne' varii paese dell’Italia per signare il medesimo segnato, pure in ogni dia-letto vi sono parti fisse del discorso o dell’orazione, vi è una sintassi necessaria, vi sono in somma una relazione che e comuni a ogni segno. In primo luogo, siccome ogni percezione rappresenta un risultamento esteriore ed e anch' esso del risultamento organico subbiettivo, perciò vi ha un fondo comune in ogni percezione ed è l'azione risultante, che equivale alla somma di ogni azione sostanziale aggregate insieme. L’azione sostantiva e la aggregazione di questa o quella azione sostantiva, ecco ciò che è comune a ogni reale ed a ogni percezione. Quindi in ogni atto del signare communicativamente debbe esistere un segno addetto ad indicare l’azione risultante in tutta la loro immensa varietà. Questo e il segno del “verbo” – Varrone, verbum, greco rheo --, cioè il segno per eccellenza, per chè in verità, tutto quello che si può rappresentare, ad azione sostanziale si riduce, e perciò il segno del verbo (la copula) è il fondamento di ogni segno. Ogni proposizione si aggira intorno al segno del verbo (il S e P), e se vuol farsene un'analisi, la mossa si dee sempre prendere dal segno del verbo, perchè un segno che non e un verbo non puo indicare, se non che un rapporto dell’azione risultante signata dal segno verbo. Inoltre, per questo stesso che ogni azione *risultante* e non basica, e composte della combinazione di questa o quella azione sostanziali intransitive ed immutabili, è necessario che ogni verbo ha il loro fondamento in un solo segno di verbo, e che quel segno del verbo e *intransitivo* (la copula e intransitiva), siccome e questa o quella azione sostanziale, dalla che nasce ogni azione risultante, la quale e ra-presentata dal resto della classe del segno del verbo. Infatti abbiam notato già da molto tempo che in ogni atto di signare communicavemente vi è un verbo sostantivo intransitivo, il verbo “essere”, al quale si possono facilmente ridurre ogni altro verbo, decomponendoli in “copula e predicato”. Io amo è lo stesso che io sono amante. Ed è notevole che ogni segno di verbo chiamati attivo, o meglio transitivi, perchè denota un’azione che passa dal soggetto all'oggetto, si sciolgono tutti in un segno di verbo fondamentale che è intransitivo, o come i modisti dicono neutro – epiceno, mezza voce --, cioè nè attivo nè passivo. Poichè ciò che è veramente transitivo é la forma del risultato, ma ognuna delle azioni sostanziali componenti è intransitiva. La sintesi e necessaria e l'analisi e necessaria, perchè una percezioni e complessiva e costa di questo o quello elemento, che colla riproduzione, sovrapponendosi gli uni agli altri, si sintetizzano nel punto simile e si analizzano nel punto dissimile. Bisogna dunque che ogni segno indica un composto o complesso proposizionale, e che ogni segno articulato composito e de-compo nibili. Però, siccome gli elementi di ogni risultato e una azioni sostantiva, perciò è necessario che ogni segno si puosciogliere in un segno solo che indica l’azione sostantiva, non come occulta (sub-stantia), ma come realtà, cioè come essere, onde il *nome* (nomen, onoma – nomen substantivum, nomen adjectivum) non meno che il segno del verbo, si sciolgono tutti nell'essere , il quale è verbo e nome allo stesso tempo, ed è appunto verbo sostantivo, perchè indica un’azione che sta per sè stessa, e che non ha bisogno dell'altrui appoggio. Un nomine addiettivo e ogni altro segno sin-categorematico che indica quantita, qualita, relazione, o modalità o relazione, ra-presentano la composizione, il risultato, la combinzione di questa o quella azione sostanziale, e perciò non e mai da sè sole, ma ha bisogno di un segno di verbo o di un segno di nomine (S e P), su cui debbono appoggiarsi. Conciossiachè in verità la consposizione e qualunque suo modo di essere non può stare senza questo o quello componenti, anzi non è altro che la somma medesima di questo o quello componento. Però, siccome la composizione è una forma complessa, e come tale si distingue da cia scun componente , quindi è che tutte le parole indicanti modd lità , quantità e relazi ni, conie gli avverbii , le preposizioni , le congiunzioni, gli aggettivi , ec . non sono riduttibili al solo verbo essere , nè al solo nume essere, a differenza del segno del verbo e del segno del nome che ogni segno si reduce al verbo sostantivo “essere”. Nel tempo stesso non possono sussistere per sè , ed han continuo bisogno di questo o quello essere (il S, il P), perchè la composizione non può stare senza di questo o quello singolo componento. Sotto tai riguardo la differenza che passa tra ogni segno che indicano la quantita, la qualita, la relazione, e la modalità dell’azione sostanziale e quella che indica l'azione medesima, e quella stessa differenza che esiste tra il tutto e la collezione di questa o quella parte che lo compone; imperocchè il segno del verbo, e principalmente il verbo “essere”, nel quale ogni segno di verbo si sciolgono, indica la collezione di questa o quella azione, mentrechè il segno del nome aggettivo, il segno del avverbo (ad-verbium, come la particola “non”), la preposzione (in latino, i casi), il signo di congiunzione (copulativa, e, adversative, ma), ec. indica come questa o quella azione e disposte, e che relazione ha fra loro, in ogni vario gruppo che compone. Siccome ogni gruppo di azioni è un *risultato* che subisce questa o quella modificazione (declinazione, congiuggazione) secondo i cangiamenti parziali del numero (singolare, duale, plurale) e della posizione di questo o quello componento, cosi vi ha una sintesi fondamentale in ogni parte simile che nel risultato e ferma, e vi ha una continua analisi di ogni parte variabile ed accessoria. Per questa ragione e necessario il segno radicale che esprimono la parte *sintetica* fondamentale, cioè, il fondo permanente dell’azione: il radicale poi si va cangiando nella sua desinenza (uomo, uomni, pater e familia, paterfamilias), o in suo articolo definito (il – ille, la -- illa) o indefinito, “segna-caso”, ed ausiliare, per indicare ogni variazione e accessorio che in torno a quel gruppo fondamentale di questa o quella aziona si effettua. Il atto di signare monosillabica dei cinesi supplisce a ciò coll’accozzare diverse sillabe, cioè diverse segni, di cui ognuna esprime una idea, e tutte unite esprimono un complesso. Una idea fissa si esprime con un signo fisso. Una segnato variabile si esprime con un segno variantie. Sorge da ciò la necessità del segno derivativo, del segno della desinenza e del segno del prefisso, infisso, e suffisso, come anche la necessità di trasformare in maniera avverbiale un nome e un verbo, e di operare ogni cangiamento di preposizione in verbo ed in nome, dell’aggettivo in sostantivi e viceversa. Poichè, fissa la forma fondamentale, ogni mutamento di forma debbe esprimersi con cangiarli secondo il bisogno e secondo la relazione che vuolsi esprimere tra un gruppo di azioni ed un'altra. Finalmente vi ha un'altra forma obbligata in ogni costruzioni del discorso, ed è quella del giudizio, poichè ogni proposizione – in ogni modo – indicativo, imperative -- in giudizio o volizione si risolvono, e come si va da un giudizio all'altro per mezzo di una connessione, così la proposizione prende forma concatenata e compone un period (protasi, apodosis), e questo periodo s'incatena con quello periodo e forman un discorso. Però è no ievole che l’operazione dell'analisi e l’operazione della sintesi spontanea non puo altrimenti annunziarsi che sotto forma di “proposizione”, cioè di giudizio o volizione; quantunque agli occhi perspicaci del filosofo anche un segno solo, considerata nella sua radicale o nella sua derivazione, indica benissimo l’operazione analitica che vi è dentro. La ragione, per cui non si può annunziare ad altri, che sotto forma di giudizio, una completa operazione di sintesi e di analisi, si è appunto questa , che quando si annunziano ad altri cotali operazione di sintesi o analisi, vi è di già il concorso della riflessione, e perciò non si annunzia altro che il risultato ultimo della sintesi e dell'analisi riflessa, il qual risultato e il giudizio e la volizione, ambe due con contenuto proposizionale. Onde si ha che nello singolo signo si rappresenta le sintesi e le analisi spontaneamente fatte, e nel complesso si rappresenta il risultato totale, che perciò appunto veste la forma di giudizio o volizione con contenuto proposizionale. Da tutte queste osservazioni emerge che il segno e la sua costruzione (sintassi) in ogni popolo – o paese d’Italia -- debbe avere una forma fissa (semiotica agglutinativa) e una forme variabile (semiotica componenziale), siccome il risultamento organico subbiettivo ed il risultamento esteriori obbiettivo ha una forma fissa e una forme variabile, poiché il segno debbe necessariamente prendere lo stesso aspetto del segnato. In ogni segno possono riguardarsi due parti distinte, cioè il segno e la costruzione del segno. Ogni segno è segno di una percezione, o di una parte di percezione, o di un'idea o concetto (signato). La costruzione del segno ra-presenta ogni relazione che ha questa o quella percezione, questa o quella idea, questo o quello segnato. Onde il signo è lo specchio più sicuro del grado delle conoscenze di un emittente del segno. Poiché la povertà o la ricchezza del repertorio semiotico e di questa o quella forma di costruzione indica quante percezioni, quante idee, esistano presso il medesimo emittente, ed in quante maniere sa  metterle in relazione fra di loro. Però è notevole una cosa, che forse non è stata abbastanza studiata sino al presente. C’e un segno (“colletivo”) che non esprime una percezione sola o una idea sola, ma serve ad esprimerne più di una. Per sapere se mai una di tale segno esprima una idea piuttosto che un'altra, fa d'uopo stare attento alla *forma* del discorso, dall' insieme del medesimo, come anche dalla forma della costruzione, si ricava ciò che precisamente si vuol signare col segno che si adopera. Questo fatto è ben noto ai filosofi sensista; ma forse la causa del fatto non è da loro cercata con rigore semiotico. Acciocchè un segno sia adoperato a signare un segnato diverso d’altro segnato (equivocazione) , è necessario che il segno in origine appartenga ad un segnato solo; poichè non è presumibile che siasi voluta fare un arbitrio dual anfi-bologico (equivocazione – para-bologica – il rasaio di Occam), cioè un arbitrio duale di usare un segno solo per rappresentare un segnato e altro segnato, appunto per far nascere la dubbietà di sapere il segnato che propriamente vuolsi indicare. Allorchè dunque si presenta un segnato nuovo, che perciò non ha ancora segno proprio, il segnato stesso fa sperimentare il bisogno di trovare o inventare o concevire un segno per indicarlo, ed in pari tempo il segnato (es. spirito) fa svegliare l'idea socia di un segnato simile avente un segno proprio (spirare). Allora l'uomo prende quel segno, e se ne serve per indicare il segnabile novello ch' è ancora propriamente IN-segnato. Questo bisogno si sperimenta più di tutto nell'esprimere una idee astratta (‘implicatura’) , a cui mano mano un emittente si eleva; e perciò si serve del segno che indica un segnato, quanto più è possibile, somigliante a quella idea (im-piegare). Nasce cosi l'uso del traslato: un segno, che propriamente è servito ad indicare una segnato (lo spirare), è adoperata a signare un'altra (lo spirito) che solo ha con essa qualche somiglianza. Il traslato di tal fatta e una necessità, perchè la presentazione di un segnabile IN-signato conduce al bisogno di signarlo, e non potendo formarsi sul momento un segno apposito per l'impossibilità di fare un pronto arbitrio duale, si ricorre più prestamente al segno del segnato simile, lasciando pure al resto del discorso l’incarico di mostrare la diversità e la novità del signabile previamente IN-segnato, pel quale si adopera una segno. Ma oltre a ciò vi ha pure una necessità di usare un segno da traslati o metaforicamente, quantunque il signato che vuolsi esprimere ha segno suo proprio. L’esattezza del segno appartiene sopra tutto a quel filosofo oxoniense che e avvezzo alla precisione del segnato e del segnabile non segnato, e che valutano ciò che propriamente esprima ciascuno dei segni , che essi adoperano per indicarle . Ma il numero maggiore degli uomini non può mai aver fatto queste esatte meditazioni , e molto meno può aver l'abitudine del linguaggio preciso . Inoltre gli uomini, spinti dal momentaneo bisogno di communicare il segnato, e molto più quando sono sotto il dominio delle passioni che maggiormente l'incalzano, non han tempo a ricercare il segno che esattamente corrisponde al segnabile IN-segnato. Allora succede un'effetto ch' è tutto proprio dell'associazione delle idee. Si presenta un segnabile che non richiama prontamente alla memoria il suo segno, ed invece richiama per ragion di similitudine un'altra percezione segnata che ha pronto il segno. Allora l’emittente, senza metter tempo ir mezzo, si approfitta di questo segno cognosciuto per indicare, non il segnato proprio, ma un segnabile simile; e cosi si la un'altro genere di traslato, cioè il traslato metaforico. L’interprete o recipiente e pur'essi obbligato da quel segno a passare dal segnato simile non propria al segnato propri; e ciò, quando la similitudine calza bene, riesce a proccurare una maggior persuasione, come pure riesce a rappresentare lo stato di esaltamento dell'animo del emittente, quando lo si vede correre rapidamente di segnato in segnato, senza aspettare la corrispondenza esatta del segno, é con servirsi di un segno che indicano un segnato simile. Quest'altro genere di trasláti è anch'esso una necessità, perchè la maggioranza degli uomini non può sempre misurare il segno, e molto meno lo può, quando è sotto l' ardore delle passioni, o nel momento di una pubblica arringa, in cui il segno naturalmente si eleva colla metafora per l’imperioso bisogno di esprimersi con qualunque segno si presenti più adatta. Con questi criterii è ben facile giudicare, perchè vi sieno emittente di repertorio ricco ed emittente di repertorio povero, perchè vi sieno emittente di repertorio riccho e emittente di repertorio povere di forme, ed in qual rapporto stieno tra loro l'abbondanza e la povertà degli uni e delle altre. Il emittente men civilizzato e meno avvezz alla riflessione filosofica, avendo un minor numero di segnati, debbono esseri poveri di segni; ed a misura che son poveri di sengi, più abbondano di traslati, perocchè ad ogni nuovo sengabile che ai medesimi si presenta debbono adattare per similitudine un segno. Queste emittente però diventa di un repertorio ricchissime di forme, ed inclinano quasi sempre alle circonlocuzioni (perifrasi) ed al figurato (metafora). Ciò è ben naturale, perché la forma stessa del discorso deve dare a comprendere che el sengo non venga adoperata nel uso suo ordinario, ma in un uso di somiglianza, in un uso figurato o allegorico. Questo emittente si presta anche facilmente alla nascita di un segno composto (bi-cicletta), perchè sentono il bisogno di accoppiare due segni indicanti oggetti proprii, per segnare un segnabie che ha una somiglianza con ambidue uniti insieme (portmanteau). Perciò questo emittente contiene un signo radicale che si prestano ad inflessioni molto diverse, e per quanto son povere di radice originaei, tanto son ricche di composti e derivati. Per ciò sogliono chiamarsi il più anticho emittente. Non vuolsi confondere un ricco repertorio delle forma con un ricco repertorio di segni, nè si deve credere che la ricchezza delle forme sia indice della perfezione maggiore dell’emittente, molto più quando non è congiunta a - ricchezza vera di signo. Al contrario, i segni di più avanzati nella riflessione e nella civiltà hanno un più esteso numero di vocaboli proprii, e fanno molto conto della purità e della proprietà del segno: onde esse sono più aliene dalla sinonimia, scansano le figure, e adoperano al bisogno strettissimo i traslati. Queste linyne si prestano meglio all’esattezza scientifica , ma quanto sono rigorose , tanto son più fredde , poichè non si confanno collo stato dell'uomo appassionato, il quale afferra qualunque segno avente somiglianza col segnable che vuole signare. Un emittente i di tal sorta non e nato con quella esattezza fin dalla loro origine; perciò porta l' impronta di molte radicali, di molti decivativi e di traslati che appartennero all'epoca più antica. Tutti questi però coll'andare del tempo hanno acquistato segnati loro proprie; cosicché non si ha più l’idea di un traslato o di una metafora in ciascun segno, ma vi si scorge un segnato tutto proprio (By uttering ‘You’re the cream in my coffee’ I sign that you are my pride and joy). Ciò prova che questo fenomeno e recente, e figli, anzichè padre. L’emittente e ricchissimo nel repertorio di segni, ma molto povero nel repertorio di forme poichè ogni segnato ha segno proprio che esattamente lo segna, e perciò le relazioni delle proposizioni sono meno intralciate, son più semplici, e sempre più si avvicinano alla forma fondamentale di ogni giudizio o proposizione: soggetto copula e predicato. Un'altra osservazione debbesi pur fare intorno a queste due specie di emittente. Quello che e più antico, più abbondante di figure e di traslati, meno ricchi di segni che di forme, segna il segnato per come si presenta in forza del l'associazione, e perciò nella loro costruzione-riescono sempre più intralciati; cosicchè il soggetto dell'azione sostanziale, l'azione sostanziale stessa , ed il suo oggetto, non van sempre in ordine progressivo, ma per come si associano tumultuosamente un signato coll’altro, cosi l'esprime: quindi la necessità di molti incisi e di molte trasposizioni del signo. Al contrario, l’emittente più riflessivo, più abbondanti di segni e men ricche di forme, abitua ad un'associazione d'idee più ordinata, e perciò la proposizione conserva la fisonomia ordinaria del giudizio, senza il tumulto d'idee bruscamente congiunte. Per questo un emittente antico (Catone) non e più intelligibili a noi, se prima non mutiamo la sua costruzione, da noi chiamata “indiretta”, in un’altra costruzione più conforme all'ordine logico delle idee che diciamo “diretta” e che a noi è divenuta più abituale. Se si interpreta an pezzo di Catone colla costruzione stessa che ha nell'originale, non sarebbe mica intelligibile. Intanto si scorye da ciò che al linguaggio appassionato ed oratorio, a quel linguaggio, che ha bisogno di esprimere le idee per come si presentano nel tumulto delle passioni o nel calore della perorazione, l’emittente antico e meglio adatto, e quella stessa costruzione intralciata rileva vie maggiormente l'originalità e la spontaneità dell'associazione delle idee. Al contrario, l’emittente nuovo si presta meglio alle opere scientifiche, e per sostenersi nella poesia e nell'oratoria ha bisogno di pensieri per sé stessi clevati, non potendo sperare il loro effetto dalla varietà della forma e dallo stile figurato. Io non scendo a particolari confronti tra stile e stile, poi che qui m'intrattengo dell'alta semiotica generale. Lascio al non-filosofo lo applicare questo principio che nascono dalla natura stessa del segno, dallo stato più o meno amplo delle idee e dal corso delle loro associazioni. Solamente debbo notare che il migliore emittente debbe esser quello, il quale accoppi i due diversi vantaggi, dello stile figurato e dei traslati quando abbisognano, e della precisione rigorosa quando è necessaria. L’emittente antico non puo riunire questi due vantaggi insieme, se non che in un caso solo, quando cioè il popolo italiano è passato colla medesima lingua dal primo periodo della spontaneità a quello della riflessione, dall'epoca della poesia (mythos) a quello della filosofia (logos). Bisogna però in tal caso che il popolo italiano mantenga i due registry in un solo sistema: l'ordinario o basso ed il sublime o alto, il rigoroso ed il figurato. Questo emittente e ricco di segni e di forme allo stesso tempo, ma pecca di molta sinonimia, ed in generale offre un'esempio rilevante, che coloro , i quali adoperano il rigistro esatto, non sa più riuscire nell'altro registro. Simone Corleo. Keywords: filosofia morale, filosofia dell’identita, filosofia universale, meditazione filosofica, logica, antropologia, sofologia, noologia, linguaggio ordinario, principio dell’identita, Aristotele, la sostanza, l’universale ontologico, la categoria come universale ontologico, segno, signare communicativamente, segnabile, segnato, emettente, repertorio di segni, repertorio di forme, composizionalita, communicazione primitive, pre-arbitrio mutuo, spontaneita, naturalita, associazione, iconicita, bah-bah, peccora, conversazione adulto-bambino, il vocative “o” emesso sense intent communicative – signa naturalmente che e necessaria l’attenzione spontanea, scenario ii. Romolo e Remo, Eurialo e Niso. Le parti dell’orazione, il verbo e le categorie agruppatta in quattro funzione: quantita, qualita, relazione, modalita. Il nome sostantivo, il nome addgietivo, il avverbo, le particelle, la congiunzione, il vocative “o” – la forma del giudizio e la proposizione semplice “S e P” – modelo filosofico dello svilupo del signare communicativamente – dello spontaneo (arbitrio duale tacito) al arbitrio duale.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corleo” – The Swimming-Pool Library.

 

CORNELIO (Rovito). Filosofo. Grice: “I love Cornelio – he has a gift for titling his treatises: gyymnasma!” “My favourite of his gymnasmata is the one on what he calls the ‘generation’ of ‘man’ – in Roman, ‘homo’ is said to come from mud, humus – and this is strange because Prometeo created man out of mud – In Rome, the more Catholic your philosophy is, the more ‘Aquinate’, as it were, the less Hegelian and Platonic – so trust an Italian philosopher to believe in the Graeco-Roman myth of the ‘generation of man’ than the story of Adam’s spare rib, etc.!” Si forma alla scuola cosentina sulle teorie anti-aristoteliche diTelesio, molto studiato nei salotti. Studia a Roma, approfondendo e facendo proprie molte tesi galileiane. Conobbe il naturalismo telesiano e campanelliano, di cui fu erede il suo tutore Severino. Insegna a Napoli, portando la filosofia di Cartesio e di Gassendi. Nel “Pro-gymnasmata physica” sono esposte la sua teoria filosofiche. Altre opere: “Pro-gymnasmata physica”; “Epistola ad illustriss. marchionem Marcellum Crescentium”; “De cognatione aëris et aquae”; “Epistola Ad Marcum Aurelium Severinum”. Dizionario biografico degli italiani. INDEX EORVM, Quæ in hoc volumine continentur animalium conformatio ex inspectione er ex aque, ac terre expira ouorum percipi facile patest  tionibus ætheri permiftis con animalium ex semine conformatio de stituitur scribitur aer ob vsum respirationis recentari de animalium pars primigenia non iecur neque cor, neque fanguis ter præter modum diſtraktus aut com animantes exſectis teftibus quandoque preffus vite animalium & ignis con filios generant. fernationi inutilis antiquorum varix de.rerum initijs opi aer nisi vaporibus aqueis permiſtus re niones spiritioni inutilis apoplecticorum & ftrangulatorum aer infra aquam demerſus à fuperftan mitis est exitus tis aqua pondere comprimitur Aqua frigore concreta rarefcit, & in ma. Aeris in reſpiratione quis vſus. iorem molem ampliatur. aeris per neceſitas tum ad vitam ani aqua quomodo in vapores foluatur malium tum ad ignem conferuan in glaciem concreſcat dum Aqua fenfu iudice neque contrahi,neque Aeris grauitas diftrahi potest Aeris color caeruleus onde aqua triformis Arris , Aquarum pondus fub eifdem Aquis ineſſe non poteſtnotabilis quanti demerſi curnon ſentiamus. tas aeris Akris compreffio ,ea diſtractio nifi æthere Archimedes ingenj doctrinæque prin admiſſo nequit explicari ceps Aeris ex aqua generatio Ariſtoteles animaduertit in generatione Aztheris ſubſtantia omnino admitten diuiparorum fieri .conceptus ouifor da Alibilis fuccusad cor confluit Aristoteles ab attico platonico philo animalia amphibia cur sub aquis distid fopho notatus si le ſine spiritu viuant Aristoteles cur priuationem inter prin Animalia pulmonibus prædita cur niſi cipia numerauerit reſpiraverint citiffimemoriuntur Aristotelis de loco fententia improba animalia , quæ interclufo fpiritu fiiffa 46 cantur dexterum cordis ventriculum , Ariſtotelis principia diffentanea . pulmones babent multo fanguine Ariftotelis quàm galena doctrina de ge refertos. neratione animalium fanior ar mes tur arteriæin vteros prezrintinm perti mentuan mentes frequentiores , “ ampliores Calor omnis animalium eflà Janguine fiunt Aiteris non moventur à ri pulſifica eiſ- calor nonnunquam diſſimilis nature cor dem à corde communicata, fid ab im pore congregat pulfu fanguinis Calore corpora non femperrarefiunt, Arteriæ omnes eoderntemporis puncto Calore cur omnia diffoluantur, atque li. ab impulſu fanguinis mouentur , tam queſcant que cordis proximefunt, quam quæ à Caloris naturaex Platone explicatur corde longiſſimèabfunt . 129 Cauernæ in quibushomines fuffocantur , arteriarum venarumqueplexus, atque ignisextinguithi' implicatio ibi eße folet vbi fit aliqua Chyli in ſanguinem mutatio quomodo ſecretio fiat. Aſtrologia conieéturalis vanitas Cloylus ad inteſtina de aplies duobus li quoribuspermiſcetur attractioni vulgo tributi motus re vera chylum ounem per lacteas venas trana. pendent à circumpulſione refulſo prodideruntiuniorcs Auftifichs ſuccusper membranas, a Chymix cognitio ad Thyſiologiam illis neruos in partes diffunditur ſirandam perutilis Auftificus fuccus ab Arabibus obfer- chymici magnam cladem galenicæ fa Uatus,fedperperam iudicatus. &tioni attulere cibaria non eo quo ingeruntur ordine Ilis à fanguine in iecinore fecerni B permanentin ventriculo tur cibi pars e ventriculo fiatim elabitur Bilis nõ eſt fanguinisexcrementun antequam integra maſa confefta fue Bilis nutritiumfuccum diluit, & fluxum reddit ciborum concoétionem auctores diuerſa Bilis vtilitas rationeexplicant Brahaus illuftris Aftronomus à predi- cibus in ventriculo quomodo conficia Etionibus aftrologicis abstinuit  Bruni de mundanorum innumerabilitate cibus non à folo calore conficitur sententia refellitur cibus in ventriculo fermentarur Brunus voluminibus ſuis nugas inferuit . Cibus in ventriculo coctus non femper albicat Cibus non detinetur in ventriculo donec Alidorum halituum magna vis in totusfuerit confectus exterendis duris corporibus Cola piſcis cur amphibiorum more diu Calor cæleftis est eiufdem nature , atque tule fub aquis viuere potuerit elemenearis Conceptus omnes viviparorum ouifor culor innatus eftmedicorum inane com mes ſunt Con rit . tur . с Copernicus ab Italis mundani systematis FFelleus, Gʻaqueus humor cuit Condenſatio, et rarefaétiofine tenuiſſima quod ob defluxum bydrargyri inane ætheris fubftantia explicari non po videtur teft F Elle nullum animal caret . notitiam arripuit quibus Copernicus maximus astronomus prædi. chylus diluitur,iterato fæpius circuitu &tiones aſtrologicas improbauit ad inteftina reuoluuntur cor motum non habet à cerebro, fed inſe Fermentatio quid ſit ex Platone, ip, o cietur, cpalpitat Fermenti vis à calore excitatur . ibid . Cordis motus fit ab balitibusin eiuſdem Firmicus reprehenditur lofibras influentibus flamma cur fine pastu permanere ne Cordis motus nõ excitatur àferuorefan queat guinis , vt Ariftoteli, Carteſio pla- Flamma cur faſtigietur in conum , ibid. Fæmina ſubminiſtrat materiam omnem Corpora je inuicem propellere poffunt , ex qua fætuscorporatur non autem attrahere Fæminæ genitura non carent D Feminarumgenitura an aliquid conferat Ifferentis inter conceptus ouip.rros, adgenerationem Fætus vita non pendet à vita matris Dɔny Volumen de natura hominis fætus cum propria tum parentis vi ab utero excluditur E Frigore nonnunquam diſſimilis nature Lectrum quomodofeſtucasattrahat. corpora ſegregantur experimenta ludicra quatuor primum Alenus ab Ariſtotele maximis de orbiculorum in aqua alternatim a rebus diſſentit frendentium , defcendentium Galenus Platonis fententiam de circum secundum orbiculorum in tubo dque pulſione non eſt affecutus pleno fuerfum deorſumque recurrena Galeni experimentum de fistula in arte. - tium ad nutum eius , qui tubi oftium riam immiſa oſtendit arterias ab im digito obturat pulſie fanguinis moueri tertium orbiculorum in tubo retorto Galeni Secta cæpit deficere aſcendentium defcendentium pro Galenice fattioni magna clades d chy paria tubi inclinatione micis eſt illata quartum orbiculorum ex imo furfum galenice medicine summa aſcendentium propter diſtractionein Galilæus de atomis, inani aliter vidé aeris in eiſdem conclufi tur decernere, ac Democritus & Epi Experimentum quo Verulamius probat curus aquam comprimipole eſt fallax Galileus omnium primus physiologiam experimentum Torricelli de spario, com Geometria iugauie Ga Gevens ifotelemaximisde Galilcus aſtronomicarum rerum peritif Hippocratimulta tribuuntur, quecom . fimus improbauit aſtrologicas prædi mentitia funt ctiones" Hobbes fententia de ſubſtantia inter al Galilei Carteſi aliorumque iuniorum rem & aquam media. doctrina phyſicapræftantior quam homo à teneris annisita potefl educari, antiquorum vt amphibiorum more ſub aquisdiu Genituraquid ,vnde prodeato tius viuat Genitura non fit in teftibus Homo incerto gignitur fpatio Genitura in procreatione animalium ef- Hominis genitura non est eiufdem ratio ficientis tantum caufa vim habet. nis cum femine ſtirpium Genitura non eſt pars , feu materia con Hornunculorum generatio à Paracelſo fituendi conceptus : propoſita commentitia eft Genituræ craffamentum oua, & conte Humanusfætus recens formatusmaiu ptus minimè ingreditur Sculæ formica magnitudinem vix fum Geniturepars, quæ efficiendi vim habet , perat oculorum fugit aciem Geniture vis per occultum agit corpora quantumuis denfa penetrat Sanguinefecernere. Ecinorisprecipuum munusest bilen Geometrie Paradoxa nonſemper plyſInanenihil eft . cis diſquiſitionibus aptantur so Ingenia ad philofophandum idonea que Glandulg cur maiores & frequentiores nam fint. in tenellis , & pinguibusanimalibus, Initia rerum naturalium abftrufa. quam in ſenioribus , &macilentis, in omni motu fit reciproca corporum  dla translatio Glandule fecernunt auctificum ſuccum Iuniores multa fulicius inuenere quam à reliquo fanguine Priſci . 4 Glandularum vtilitas . ibid . K Græci curdoctrine ſudijs cæteris natio nibuspræcelluerint probauit aftrologicas predi&tio Grauiora corpora etiam à leuioribus ju . perftantibus premuntur L Grauitas quid L Ac quibus vis feratur' ad mam H mas Hanimalium accuratiſſima. Aruei obſeruationes degeneratione lacervberibus virorum , &virginum frequenti fuetu prolicitur Harueius in obferuando diligētior, qaam Lace papillisrecens natorum extillans .. in iudicando Hippocratis de calore Paradoxum . lac in ventriculo pueri coagulatur Hippocratesanimaduertitfetum in man ' Latte columbs-nutriunt pullos ſuosprin tris vtero alimentum exfugere mis diebus Laa nes Luuleirum venarum nonnulla cum me. Saraicis coniunguntur medicina praua quadam conſuetudina Lamine complanatæ mutuo contactu co . hominibus infimæfortis tractanda re hærentes cur niſi magno conatu diuelli linquitur nequeant Medicina rationalis ſuper falſis hypothe. Lansbergius' excellens Aftronomus à fibus hactenus fuit ſuperstructa predi& tionibus aſtrologicis abſtinuit . Medicina Græcorum continet inanes conie turas & fallaces præceptiones , Lien per flexuojam arteriam craffioren fanguinem excipit Medicina inconftantia, Seftarum va Lien craffiorē & impuriorem ſuccum ex rietas. cibireliquisſecretum ſuſcipit Medicinam pauciffimi Romanorum fa Lienis vtilitas, Arụctura Etitarunt Lumennon eft in rebus, fed fit in ipfo  Membranarum vtilitas, dentis oculo Motus ad fugam vacui vulgo relati pen Luminis naturaexplicatur dent à circumpulſionefuperftantis ae. ris maseratica vis diſimilis elektrick : Mund for printeriplexdifferentia mini . Men Maßarias iuniorum gloriæ infenſus  Mundi magnitudo incomprehenſa. ibid. Materia exqua fætus corporatur eſt al N bugineus lentor ſinailis ouorum albus Aturæ ratio ex ipſa potiusrerum Mathematicæ diſciplinæ fummam inge paranda stü aciem defiderant Naturalis historie cognitio ad Phyſiolo Mathematicarum disciplinarum notabile giam malde necellaria incrementum O Medici latina verba importunèeffutiunt, Bferuatio noua deforaminibus in vt imperitorum plaaſum aucupen . interiorem pentriculi tunicam . : tur biantibus . Medici periculofus, &ancipites morbo- obſeruatio noua de pensatorum ventri. rum curationes inftituunt , culis. Medici perperam diuidunt partes in ſper. Obferuatio noua lenti humoris in ventri maticas,atque fanguineas', culo exiſtentis Medici rationales quam profitentur' , Obſeruatio viarum, que nouum alimentū. ſcientiam omnino ignorant ex ventricnli fundo excipient Medicis familiare eft mutuainter fe ia . Oetimestris partus non minus pitalis Etare conuicia quam ſeptimeſtris Medicorum improbitas Ouiformis conceptus in viviparis habet Medicorum inſcitia reprehenditur, vcram ſeminis rationem Ouum gr Pusega Perguedus nouisobfervationibusfretus R Frisvarijoeleis queriamlitar $ Strguis I i Ouum fæcundum b.abet rationem femi- Ptolemai Copernici, &Brahei mundan nis in ouiparis Systematis pofitiones manca im perfecte Ancreatis ductus vtilitas Pueri cur facilius mathematici effe pof fant,quàm phyſici ,aut politici. 36 Paracelſus d plerifque propter obſcurita- Pulli ex quo generatio defcribitur tem deſertus R opinion Erum natura vix alibi quàm in li Pecquetus obferuationibus quæriſolita bematofin tribuit cordi, non iecinori. Refpiratione cordis æſlum temperari fal sò creditum est Pestilentix confideratio philosophandi ratio inſtituta à noftri fæ Anguis non eſt ſuceus ſimplex , nec culi auctoribus laudatur . tamen continet quatuor decantatos Philoſophia noftris temporibus in liber humores tatem vindicata eft Sanguis in omne corpus per arterias dif Philosophia Cartesii quails funditur Ploilofophiæ ftudium à pleriſque peruer- Sanguis per arterias in membra influen's titur vitalitatem magis , quam nutrimen Philoſoplrorum in definiendis rerum ini. tum infert tijs conſenſus sanguis non calore, motuue liquefcit, fed Phyſiologia parum hactenus adoleuit permiftione tenaifimihalitus pbyſiologia plurimarum rerum cognitio nem , & experientiam requirit Sanguis non fuapte natura caliduseſt , Phyſiologia onde ordienda nec calorem accipit à corde, fed motu, Phyſiologia poteft ex falfis hypotheſibus atque agitatione incalefcit veras naturalium rerumaffectiones Sanguis non in iecinore, nec in corde, vel concludere alio certo viſcere conficitur Phyſiologie obſcuritas onde proficifca . Sanguinis duapartes altera viuifica tera auctifica Phyſiologiæ perfetta cognitio cur defpe- Sanguinis natura admirabilis Eius randa potior pars aciem fugit Phyſiologiam noftre etatis fcriptores Sanguinis motusà corde a præclaris inuentis illuſtrarunt Sanguinis circulationem ab Harueio de Phyſiologiam nemo Geometriæ ignarus fcriptam indicauerant,ante Pizulus Mis aſequitur Sarpa , &Anstress Cefalpinus. Planetarum corpora ad ætheris liquidif- Sanguinem fal coire, &denfere noir par ſui motum circumferripoflunt titur Plato materiam voluit eſſe locum Sapientia illa quam in ætatibus habet ſe weêtus nostræ potius cetati, quins pria e feq . tør . ſeis fcis temporibus debetur Vacuipropugnatores corporis naturam à Semen animalium quidnam fit cx Aris tałtu determinant Stotele P'ene lactea non deferuntomnem fuc Senfus non ea omnia percipit, qua in na. cum alibilem jura exiſtunt Venis la &teis animantesquædam carere Senſu quæcumquepercipiuntur falsò ta videntur lia iudicantur qualia videntur. ibid . Venarum lymphaticarum progreffus, ego Soli nibilſimiliusquamflamma vſus leg. Solem igneum esſe tactus & oculorum Vene meſaraica fuccum nutritium ex teftimonio probat Cleanthes inteſtinis ad iecur Stelliole Encyclopedia Vens meſaraicæ non ſunt deſtinate nú Stelliola nouitate verborum abſtruſe do . tricationi inteftinorum & alui Etrina caliginem offudit Vene vmbilicales maiores ampliorefque Stirpium ex ſemine propagatio compre funt coniugibusarterijs. 88 hendi facile poteſi Ventriculi,& inteftinorum motus  Stoicis materia corpuseffe videtur Vermes in iecinorè, liene,corde,pulmoni Sympathia Antipathiæ & Antiperiſia bus & cerebro animaliū fis inania commenta Verulamius opes ætatemque inter expe rimenta conſumpſit Elefius putauit poße ſpatiumma Vix quibus humores d corpore per aluum gna vi conatuque pacuum fieri . expurgantur Vita hominis in continuata fanguinis Telefiusveteresphilofophos, é precipuè. motione conſiſtit Ariſtotelem exercuit Vitalis halitus in ſanguine existensquo Testes priuerfo corpori robur conferunt . modo percipiatur Vitri denſitatem penetrat hydrargyrus Theologi Hegyptü Deos omnes ex ouo prognatos eſetradiderunt Vniuerſum vnum indiuiduum , atque im Tyndaridæ ex ouo editi mobile Torricelli Paradoxum geometricum Vrina per quas vias in renes, &veficam profunditur . Acuum experimento Torricelli Vvirjungiani ductus vtilitas Vacuum neque mouere corpora poteſt ne Enonis de natura geniture fenten que ne moueantur inbibere Ztia. Grice: “It’s best to represent Cornelio as representing Cartesio – yes, the Cartesio that Ryle attacked! But Italy never had a Ryle, so that’s good!” Tommaso Cornelio. Keywords: pro-gymnasmaton, gymnasmaton, gymnasta, gymnasium, ginnasio, ginnasiale, nudo romano, nudita romana, corpo nudo, snudare, atleta, atletismo, lotta ginnastica, competizione ginnastica, implicatura ginnastica, l’implicatura ginnastica di Socrate, Socrate al ginnasio, implicatura ginnasiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cornelio” – The Swimming-Pool Library.

 

CORRADO (Oria). Filosofo. Grice: “I like Corrado; of course we have the beefsteak, the English do; but Corrado philosophised on the near ‘cibo pitagorico’ a Crotone and produced a philosophical cookbook for the noblemen!” --  Uomo di grande cultura, fu soprattutto grande gastronomo e uno dei maggiori cuochi che si distinsero tra il '700 e l'800 nelle corti nobiliari di Napoli, simbolo del suo tempo nella variegata realtà partenopea. Fu il primo cuoco che mette per iscritto la "cucina mediterranea", il primo, a valorizzare la grande cucina regionale italiana.  Scrisse “Il cuoco galante”, definito all'epoca un libro di alta cucina, testo richiesto in tutto il mondo dalle principali autorità dell'epoca, e ristampato per ordini del principe per ben 6 volte.  Preparava elegantissimi banchetti in principio alla corte di Don Michele Imperiali Principe di Francavilla presso il palazzo Cellamare di Napoli, dove coordinava un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi e preparava i pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia sontuosa e raffinata.  Figlio di Domenico e di Maddalena Carbone. Rimasto orfano per la morte del padre, ancora adolescente, divenne paggio alla corte di Michele Imperiali che era Principe di Modena e Francavilla Fontana, Marchese di Oria e Gentiluomo di camera di S.M. il Re delle due Sicilie, che lo condusse a Napoli dove risedette per diversi anni. Appena maggiorenne, entrò a far parte della Congregazione dei Padri Celestini nel convento di Oria.  Dopo l'anno di noviziato, fu chiamato dal Superiore Generale De Leo nella residenza napoletana di San Piero in Maiella, dove si specializzò negli studi di filosofia. Dallo stesso padre generale fu avviato, anche, allo studio delle scienze naturali e dell'arte culinaria, per la quale divenne famoso. Non diventò mai sacerdote per cui, dopo la soppressione degli ordini religiosi si stabilì a Napoli, ove risedette per oltre cinquant'anni, insegnando la lingua francese ai figli delle famiglie aristocratiche della città, pubblicando contemporaneamente molte sue opere che gli diedero successo e notorietà. Per i molti impegni che ebbe a Napoli, non tornò più ad Oria, anche se non mancarono momenti di nostalgia per la lontananza dalla sua famiglia e dalla sua città natale.  Il Principe di Francavilla gli attribuì la mansione di "Capo dei Servizi di Bocca" (antica mansione con cui veniva chiamato colui che era preposto a sovrintendere alla cucina, alla preparazione delle vivande e all'organizzazione dei banchetti) di Palazzo Cellamare, sito sulla collina delle Mortelle prospiciente il golfo di Napoli e della famiglia del Principe, poiché molti illustri personaggi di un certo livello e rango, che venivano a Napoli, invitati a mensa poterono constatare la fama di questa opulenta ospitalità più spagnolesca e tipicamente partenopea che era in uso al tempo.  Parlando del suo lavoro Vincenzo Corrado così si esprimeva:  «L'abbondanza, la varietà, la delicatezza delle vivande, la splendidezza e la sontuosiotà delle tavole richiedevano una schiera di uomini d'arte, saggi e probi. Questa mastodontica organizzazione, era guidata proprio da lui. Alle sue dipendenze lavoravano un maestro di casa, un maestro di cucina ed un maestro di scalco che aveva il compito di acquistare, di cucinare, di dissodare e di trinciare ogni tipo di animale, mentre una schiera di cuochi, rispettando la gerarchia allora in uso, lavorava secondo la propria specializzazione (oggi le grandi cucine dei Ristoranti hanno i cuochi di rango) : vi era il cuoco friggitorie, quello per le insalate, il pasticciere, il bottigliere e il ripostiere. Tutti questi erano aiutati da una serie di sguatteri e di serventi che avevano il compito di girare intorno al tavolo per esibire lo spettacolo fantasioso delle portate prima ancora di servirle. Tutta questa organizzazione era coadiuvata da un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi che interveniva non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate artisticamente decorate. Vincenzo Corrado, a seconda degli ospiti del Principe preparava i pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia sontuosa e raffinata. Egli stesso ci descrive queste splendide composizioni con pregevole gusto e raffinatezza, lasciando, anche, delle visioni grafiche. Gli elementi decorativi della tavola erano affidati al maestro ripostiere che usava gusto artistico e genialità: grandi vasi in porcellana ricolmi di fiori variopinti, alzate di cristallo e argento a tre o quattro piani colmi di dessert o frutta o fiori o ortaggi, bianchi gruppi di porcellana raffiguranti scene arcadiche o bucoliche; puttini d'argento; gabbiette dorate con piccoli uccellini cinguettanti; coppe di cristallo di varie fogge in cui guizzavano pesciolini tra foglie di rose ed altri fiori. Il centro veniva racchiuso da una cornice di frutta, di fiori freschi e di ortaggi, secondo la stagione variante, disposti, intervallati da piccole spalliere di agrumi in porcellana con ortolani nell'atto di raccoglierli. La composizione era la sintesi di un artista di provata esperienza, di raffinata fantasia e di vivace estro, capace di accoppiare tanti svariati elementi fondendoli insieme a formare uno spettacolo di gran gusto e di particolare gradevolezza. Il valore del tavolo di gala completato dal vasellame, cristalleria e argenteria di grande pregio era inestimabile. Questo senso artistico, anche, nell'arte culinaria Corrado lo aveva ereditato da un suo antenato letterato di mestiere. Ma per quanto dotato di una cultura autodidatta, di vivacità d'ingegno, di originalità e di una particolare facilità nell'insegnamento, se non avesse avuto la fortuna di conoscere Don Michele Imperiali, che ne coltivò le particolari doti incoraggiandolo a scrivere della sua specifica arte per tramandarla ai posteri, probabilmente sarebbe rimasto un ottimo organizzatore, un appassionato gastronomo, ma la sua fama si sarebbe estinta con lui.  Le opere “Il cuoco galante’. Il primo libro vegetariano della nostra storia. il credenziere: colui che si prendeva cura della credenza. L'opera fu sottoposta a ben 7 ristampe. Prodotta in 7500 copie, Dalla dedica si ricava il leitmotiv dello scritto nonché la filosofia in cui credeva l'autore, che è di questo tenore: il “buon gusto nella tavola” inteso come “sano pensare”. Di questo trattato di gastronomia, il successo fu istantaneo e inaspettato, in quanto la precedente opera gastronomica, La lucerna dei cortigiani, stampata presso Napoli e dedicata a Ferdinando II duca di Toscana, non era riuscita ad attirare l'interesse del pubblico che la trascurò ignorandola.  Invece grande successo ottenne la prima edizione del "Cuoco Galante" che si esaurì rapidamente, tanto che il Principe ne ordinò una seconda edizione che ebbe eguale successo. Intanto Vincenzo Corrado migliorò e ampliò il testo di questa opera e ne preparò una terza edizione.  La fama del libro superò i confini del Regno di Napoli e dell'Italia; infatti dall'estero giunsero richieste da tutti quegli stranieri che avevano conosciuto ed apprezzato il Corrado alla corte degli Imperiali, per cui si pervenne ad una quarta edizione, seguita dalla quinta e infine la sesta pubblicata. Assolute novità introdotte dall'autore erano allora la patata, il pomodoro, il caffè e la cioccolata.  Altre opere Incoraggiato dal successo del Cuoco Galante, il Principe spinse l'autore a pubblicare nel 1778 un Credenziere del buon gusto, del bello, del soave e del dilettevole per soddisfare gli uomini di sapere e di gusto. Egli scrisse e pubblicò inoltre “Il cibo Pitagorico”, “Trattato sulle patate”, “Manovre del cioccolato” e “Manovra del caffè”; “Trattato sull'agricoltura e la pastorizia ed infine, “Poesie baccanali per commensali”. -- è il faro della cucina moderna della nobiltà a cavallo del periodo della rivoluzione francese. Egli privilegia i personaggi di rango in visita alla mensa del principe con opulenta ospitalità. Orbene in questo contesto di sfarzo godereccio, di lusso e di differenze sociali abissali, rimase fin abbagliato dalla nobiltà, la gente ricca e potente, verso la quale nutre sempre sentimenti di grande reverenza se non addirittura di venerazione. Proprio per riconoscenza al Principe, dando alle stampe i suoi due libri, confessa. “Questi due libri che del buon gusto trattano, con la guida e norma scrissi, e pur mercé la tua generosità mandai alle stampe, e tu di propria mano ne *segnasti* il titolo “Il Cuoco Galante” -- l'uno e “Il credenziere del buon gusto” l'altro, tutti e due a te li porgo come frutto di un albero dalla mano piantato. Mio Scopo egli è di richiamare alla memoria dei nobili uomini dei quali tu fosti la gloria l'ornamento alla memoria e la lode. Ah? Ma qual Tu fosti non basterebbe di dire di cento e mille lingue, per cui io stimo meglio il tacere e con il silenzio benedire gli anni che ti fu appresso.  L'organizzazione dei magnifici banchetti e delle cene lussuose gli diedero l'appellativo di “il cuoco galante”. La cosa straordinaria è che dietro gli scenari di un favoloso pranzo o cena vi era una preparazione, quasi orchestrale della quale il direttore era il filosofo. Alle sue dipendenze vi era una vera e propria squadra di addetti alle cucine formata da precettori cuochi e servienti. La presentazione estetica, oltre al gusto, acquista la sua importanza in cucina, ed dedica grande spazio alle decorazioni e al modo di imbandire le tavole dei banchetti. Nell'opera sono anche presentati i sorbetti, in vari gusti, ed il caffè, che, a differenza dall'attuale espresso, veniva bollito in apposite caffettiere.  Precettori un precettore di alloggio e sistemazione posti per gli invitati, un precettore di preparazione dei cibi, un precettore abile con utensili domestici, che aveva la mansione di far provviste e comperare il necessario al mercato per le mense, di dissodare e di affettare ogni tipo di carne o pesce. Chef e Cuochi “Il cuoco friggitore”, il cuoco per le insalate, il pasticciere, il bottigliere, il ripostiere. Serventi lavapiatti, camerieri, maggiordomi, domestici, volteggianti e giullari che intervenivano non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate artisticamente decorate.  Non era solo una semplice cena, era un vero e proprio spettacolo, fuori dall'immaginato. A volte comprendeva l'utilizzo di 100 persone per altrettanti o più invitati.  I banchetti o le cene con caratteristiche e assortimenti di piatti erano accoppiate con tanta inventiva e particolari astuzie architettoniche ed eleganti al fine di plasmare una scenografia sfarzosa e affinata.  Egli stesso nelle sue opere e nei suoi diari ci descrive queste splendide composizioni culinarie come opere d'arte, quasi uno spreco consumarle. Bicchieri e coppe di cristallo, posate in argento intagliate, tovaglie di pizzo fiorentino, buche e composizioni floreali, piatti in porcellana di Capodimonte  Termini culinari "Il Cuoco Galante", proprio nella terza edizione, alfine di una maggiore comprensione, spiega alcuni termini "cucinarj" usati per la preparazione delle varie pietanze, ne riportiamo un esempio:  Bianchire: Far per poco bollire in acqua quel che si vuole; Passare: Far soffriggere cosa in qualsiasi grasso; Barda: Fetta di lardo; Inviluppare: Involgere cosa in quel che si dirà; Arrossare: Ungere con uova sbattute cosa; Stagionare: Far ben soffrigere le carni o altro; Piccare: Trapassar esteriormente con fini lardelli carne; Farsa: Pastume di carne, uova, grasso ecc.; Farcire: Riempire cosa con la sarsa; Adobare: Condire con sughi acidi, erbette, ed aromi; Bucché: Mazzetto d'erbe aromatiche che si fa bollire nelle vivande; Salza: Brodo alterato con aromi, con erbe, o con sughi acidi; Colì: Denso brodo estratto dalla sostanza delle carni; Purè: Condimento che si estrae dai legumi, o d'altro; Sapore: La polpa della frutta condita, e ridotta in un denso liquido; Entrées: Vivande di primo servizio; Hors-dœuvres: Vivande di tramezzo a quelle di primo servizio; Entremets: Vivande di secondo servizio; Rilevé: Vivande di muta alle zuppe, potaggi, o d'altro.  Pitagora nell’atto, che dalla cattedra nella nostra italica scuola dettava sistemi, che riguardavano quanto mai fosse fuori di esso lui, e di noi per pascere l’animo e l'intelletto, non trascure di sistemare peranche ciò che meglio, e piu opportunamente al nutrimento ed alla conservazione del meccanico nostro vivere conducesse. E però dettando il canone o la legge, come dir si voglia, per la cucina delli suoi mentati, non di *carni* di animali ei ditte quadrupedi, o volatili, o di pelei imbandite vengano le mente di quanti han voglia di più lungamente, e più lanamente vivere, ma soltanto di vegetabili erbe, di radici, di foglie, di fiori. Ebbe cotesso filosofante la somma disgrazia di non essere da ogni filosofo inteso, come sovente la savia donna stobeo sua moglie e espose li g luf'J\ l&- r menti: e com’egli la tras-migrazione dell’anime avesse ingegnata, così dalli silenziari scolari suoi, e da parecchi altri prevenuti da quel di lui fatto sistema si divieta del cibo animalesco, e la preferizione del solo cibo erbaceo furon pref nel sinistro senso di una supertiziosa venerazione , cK egli aveffe per l’animale, nella macchina del quale l’anima dell’uomo dopo la morte fojfcro tras-migrate. Ma ’ che chefané di ciò, egli è indubitata cosa , che il cibo erbaceo fallo più confacenti all’verno, per cui vedef la più parte dei Naturalifi a quella opinione indicimata, che l'uomo naturalmente non è carnivoro. E se noi ponghiamo mente al parlare dell’antica filosofia, rilevaremo con tutta chiarezza che le frutta della terra defluiate vennero al nutrimento dell'uomo, e che sopra del pesce, dell’animale terrestre, e del volatile n eh he lo fie[fio uomo soltanto il domini ; Jlcchè l efifierfii poi dati alcuni uomini ad alimentarsi di animali j'offe fiata una necessità di alcuni luoghi, oppure un lusso! Non senza ragione quindi la italiana gente, ansi avvedutamente oggi più che in altro tempo la legge pitagorica ha ripigliata ad oficrvare con tutto impegno nella cucina del filosofo galante, e nelle mensa: e le nazioni anche più culte, che da Italia sono lontane, han preso il gufo di dare al corpo nutrimento più sano, gusiosso, e facile per mezzo dell’erba. Ed ecco perciò tutta la scuola cucinaria pofia in movimento per inventar un nuovo modo a poter preparare e condire l’erba per mezzo di altri fingili vegetabili, onde non solamente grato al palato si renda il semplice pitagorico cibo, ma eziandio pofia sioddisfarsii al lusso nell' imbandire laute Menfie da filmili siempìicità compofie. E quesio è il fine della mia filosofia, difiefio , ed a comune uso e utilità. Vero egli è, che non tutti li vegetabili dei quali ferie preferìve qui la preparazione filano li più perfetti, e giovevoli ai nutrimento nostro. Ma ciò ha dovuto farsi per accomodarsì af gufo comune, ed alla moda presiente della tavola fu ,di che qualunque Aristarco non avrà che opporre. Nella mia filosofia volendosi imitare la filmile semplicittà della materia del soggetto, con sempiice e chiaro discorso si da la pratica come ogni erba italiana dando il suo proporzionato condimento con fughi di carne, con latte Animali, e di fórni, con butirro, con olio, con uova , e con altr’erbe odorifere e gusiofe debano preparar f . E intanto per a et tare, ad ogni articolo alcuna cosa verrà premefi , che rifguarda la natura, e le virtù del vegetabile di cui fe ne voglidn preparare la vivanda. E già qui fiegue in prima, la maniera di far i brodi, i  coli e le buri neceJTarj pel condimento: ed in secondo luogo h nòta del vegetabile del quale nella mia filosofia fe ne preferivo il modo di prepararli: avendo io in ciò fare procurato di mettere in J'alvo anche il Injjo nell' imbandire con simili generi una mensa di formalità e gala, e nel tempo Jìeffo di soddisfare il gusto delicato dei nobili, e di provvedere alla conservazione dell’utterato . INDICE: Velli Brodi, Coli , e Purè p. I Velli Coli a Velie Purè i tutta la c minarla prepa- ragione de’ vegetabili, Lattuca, Spinaci, Cavolo Cappuccio , Selleri, Zucca, Zucca lunga ia Delle Zucche Vernine ivi Cavai fiore Finocchi Iudivia Cardoni Cavoli Torgi Carciofi Broccoli Boraggine Senape Cipolle ivi Rape Ravanelli CicoriaPetronciane Pafiinacbe Pomidoro Cedriuoli Peparoli Pifelli Sparaci Raperortzpli Velli Ceci Fave Faggioli 3^ De//** I-enfe 39 Funghi Tartufi Erba per condiment, Maggiorana, Targone, Pimpinella, Santa Maria Crefcione Origano Timo Acetofa Salvia Menta Cerfoglio Porcellana Bafiltco Ruta Sambuco Rosmarino Tralci Vite Zafferano Anafi Cappari Scalogne Dettagli Rafano o Ramolaccio Bettonica Idea dell'ufo delle frutta ivi. Grice: “My favourite chapter from ‘Il cuoco galante’ is the philosophical one, on Pythagoras! I vitto pitagorico consiste l’erba fresca, la radice, il fiore, la frutta, il seme, e tutto cid che dalla terra produce per nostro nutrimento. Vien detto pittagorico poiche Pitagora, com’ è tradizione, di questi prodotti della terra soltanto fece uso. Pitagora mangia l’erba semplice e naturale, ma gli uomini de’ nostri di li vogliono conditi, e manovrari; ed io nel voler conversare con distinzione dell’erba procuro eseguire l’uno, e soddisfare l’altro, con escludere le carni, e di servirmi del condimento, anche pitagorico, com'è il ſugo di carne, il lasase, le uova, l’olio , ed il burirro per compiacere qualche particolar palato, servirmi pure delle parti più delicate degli animali. Grice: “Oddly, my mother was keen on Mrs. Beeton, I’m keen on Signore Corrado!”  La cucina e la credenza, ad esami parlando, son sorelle gemelle, poichè le due appartengono al buon gusto del cibo, e le due nacquero, cresceron , e s’ingrandirono nello stesso temp , e nella nostra Italia che in altri luoghi, sotto i fastosi e dominanti romani, e divennero tutte e due arti d’ingegno, di piacere, e di utile; ed il cuoco ed il credenziere debbono esser d'accordo nel loro, quantunque dissimile, lavoro. Della estesa ed elevata cucina se n’è discorso abbastanza. Dico abbastanza ma non già al fine; e compimento, poichè ciò accade quando non vi saranno più uomini al mondo. Ora vengo a trattare di quanto la credenza include, e di quanto un credenziere dee esser fornito. E se nel dar l’istruzione per la cucina pensai e scrissi da cuoco, ura collo stesso metodo filosofo da credenziere. Come tale intendo ragionare al dilettante. Procuro di aggiugnere quanto di bello, di buono, e di dilettevole mi ha potuto suggerire la fantasia. Gradisci dunque , o cortese mentato, questa mia fatica, e sappi, ch’io resto soprabondevolmente pagato col piacere di avervi servito. Vivi felice. Vincenzo Corrado. Keywords: il cibo pitagorico, il concetto di conversazione galante, gala --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corrado” – The Swimming-Pool Library.

 

CORSINI (Fellicarolo). Filosofo. Grice: “I like Corsii; if we at Oxford had a sublime history as they do in Italy, we surely would be philosophising about it! Corsini taught philosophy at Pisa and spent most of his efforts in deciphering what the Romans felt interesting about Greek philosophy!” Grice: “Corsini also explored the roots of Roman philosophy from the earliest times – ab urbe condita,’ as the Italians put it!” Studia nel Collegio dei padri scolopi fananesi, dove in seguito entra quale novizio e  si trasferì nel Noviziato di Firenze.  Le sue capacità lo portarono a diventare docente di filosofia a soli vent'anni presso la stessa scuola. Si trasferì quindi a Pisa dove insegna. Eletto Superiore Generale e dovette trasferirsi a Roma.  I principali campi di studio ai quali si applica furono: la filosofia, la cronologia, l'epigrafia, la filologia e la numismatica ma si interessò anche di matematica, di logica, di fisica, di idraulica, di didattica, di storia e di lettere antiche e moderne. Altre opere: “Illustrazione relativa alle recensioni su De Minnisari e Dubia de Minnisari pubblicate ne gli Acta Eruditorum; “Illustrazione relativa all'Epistola ad Paulum M. Paciaudum, pubblicata negli Acta Eruditorum”; “Ragionamento istorico sopra la Valdichiana” (Firenze); “Index notarum Graecarum quae in aereis ac marmoreis Graecorum tabulis observantur” (Firenze); “De Minnisari aliorumque Armeniae regum nummis et Arsacidarum epocha dissertation” (Firenze); A. Fabbroni, Vitae Italorum...,  Pisis  E. de Tipaldo, Biografie degli italiani illustri,  X, Venezia); Dizionario biografico degli italiani. Elogio di Corsini (con lettere di Fananese a Rondelli). Fanani nianae, quod in ditione est oppidum Ducum provinciae AteftinorumFri, III. Non . Octobris anno MDCCII. natus eft Eduardus Corsinius (Silvestro Corsini) optimis quidem parentibus, honestissimaque familia, quippe quae jamdiu civitate Mutinensi donata fuerat. Is ubi primum adolevit Sodalitatem hominum Scholarum Piarum, quos praeceptores puer in patria habuerat, ingressus est. Multa diligentia, multoque labore in humaniorum litterarum [cf. Grice, Lit. Hum.], philosophiae ac theologiae studiis Florentiae se exercuit apud suos; & cum omnes condiscipulos gloria anteiret, ab omnibus tamen in deliciis habebatur. Erat enim bonitate suavitateque morum prope singulari; & cum plurimuin faceret non solum in excolendis studiis, sed etiam in officiis omnibus religiosi hominis obeundis, minimum tamen ipse de se loquebatur. Vix ferre poterat Eduardus peripateticos quofadam horridos, durosque oratione & moribus, quibuscum versari cogebatur; intelle xeratque jam falsos hujusmodi sapientiae magistros de veritate jugulanda potius, quam de fendenda assidue certantes, philosophiam artem fecisse subtiliter & laboriose infaniendi. Relictis igitur disputandi spinis, ad Academiam se convertit, cujus ratio inquirendi verum libero folutoque judicio, & fine ulla contentio ne & pertinacia non poterat non magnope re probari homini natura leniſſimo. Nec forum in philosophorum libris corum dogmata, quae disputationibus huc & illuc trahuntur, ut ipse per se perpenderet, inveſtigavit Corsii, sed etiam philosophiae adminicula & an ſas, qualem Xenocrates geometriam appellabat, in Euclide, Apollonio & Archimede quae sivit. Quo in itinere felicem adeo habuit exitum, ut fervore quodam aetatis impulsus, břevi condere potuerit libellum de circulo quadrando, quem ad Guidam Grandium mi fit. Novit in eo Grandius eximium & admirabile adolescentis ingenium, eumdemque hortatus est, ut pergeret porro in eo studio, quod ceteris & studiis & artibus antecede ret, & in quo ipse futurus effet excellens. At Corsini praeſertim trahebatur ad humaniores litteras, quibus a puero mirifice dedicus fuerat, quaſque vel in sublimiorum disciplinarum occupationibus, ne obsoleſcerent, legendo renovaverat. Itaque moleste tulit demandatam fibi a majoribus fuisse an MDCCXXIII provinciam tradendi publice Florentiae philosophiam, quasi ad ea detru deretur, quae sui non essent ingenii. Principio sequi coactus est Goudinium, cui brėvi substituit Hamelium. Atque hos auctores sic interpretatus est, ut facile intelligeretur non eſſe ex illorum doctorum numero , pud quos tantuin opinio praejudicata poteſt, ut etiam fine ratione valeat auctoritas eo rum , quos ſequi ſe profitentur . Poftremo · ad ſcholae fuae utilitatem & ornamentum maxime pertinere exiſtimavit , fi e multis , quae ſunt in philoſophia & gravia & utilia a recentioribus praefertiin philoſophis tracta ta , quantum quoque modo videretur deli geret, in quo adoleſcentes exerceret . Sa pienter etiam faciebat, quod ipſos non ſolum quibus luminibus ab illa omnium laudanda rum artium procreatrice Philoſophia petitis a mentem illuſtrare , fed etiam quibus virtuti bus omnem vitam tueri deberent fedulo e rudiebat . Quare minime eſt mirandum fi in tantam claritudinem brevi pervenerit, ut fuis & Florentinis vehementer carus , quibuſdam vero hominibus nudari ſubfellia ſua , & cor nicum oculos configi dolentibus eſſet invim diofifſimus. Fuerunt & nonnulli ( tantum in vidia , aut inſcitia potuit ) qui apud eos , quorum munus eſt providere , ne quid er roris in religionem moreſque irrepat , Corſi nium accufarunt , multa illum tradere , in exponendis praeſertim Gaffendi & Cartefii ſententiis , a recta religione abhorrentia . Stomachatus eft homo religiofiflimus , caftif fimuſque obtrectatorum temeritatem . Hos ve ro ut falſae & iniquae inſimulationis publi ce convinceret , utque ab omni metu diſci pulos fuos liberaret , ftatuit in lucem profer re , quae in ſchola & domi iiſdem expoſue rat . Quod cum praeftitiffet , id evenit, ut alteros reprehendiſſe poeniteret , alteri fe di diciſſe gauderent . Inſcripfit opus : Inſtitutio nes philoſophicae ad ufum Scholarum Piarum , & illud in quinque volumina diſtribuit si ma mum continet hiſtoriam philoſophiae & lo gicam ; ſecundum verfatur in indagandis prin cipiis , & tanquam feminibus unde corpora funt orta & concreta , horumque proprieta tibus & qualitatibus ; agit tertium de cor poribus inanimatis , quae caelo , aere , ri & terra continentur ; examinat quartum animata corpora , multipliceſque eorum fpe cies, & elementa metaphyſicae tradit ; quia tum denique morum doctrinam complectitur. Nec folum in conficiendis his libris res no vas inveſtigavit Corfinius , fed etiam eas , quae funt ab antiquis traditae , quarum co gnitionem eo utiliorem putavit , quod faepe. philoſophos nova proferre judicamus , cum pervetera proferant . Praeter quam quod in ea erat opinione Corſinius, illi , fitum eſt veritatem invenire , fingulas nofcen das effe diſciplinas , ut ex omnibus , quod probabile videri poſſit , eliciat , praeſertim cum doceamur a ſapientiffimis viris , nullam fectam fuiffe tam deviam , neque philoſopho rum quemquam tam delirantem , qui non vi derit aliquid ex vero . Nec modo quid fibi probaretur , fed aliorum etiam fententias , & quid cui propo quid in quamque ſententiam dici poſſet, pera fecutus eſt, quod ea modeſtia praeſtitit , ut : non vincere maluiſſe , quam vinci oſtende- . rid . Hanc opinionum varietatem ex fuis fone tibus fincere deductam , ut potentius in die fcipuloruin animos influeret, non modo ora , vine diſpoſuit ., ſed etiam claritate & nitore, Latini ſermonis illuſtravit . Praeclare enjin , Cicero : mandare quemquam litteris cogitationes fitas , qui eas nec difponere poffit , nec illuftra-: re , nec delectationé. aliqua lectorem allicere , hominis est. intemperanter abitentis otio & like cris . Sunt nonnulli qui in hiſce. Insitus, rionibus dum pleniflimo ore laudant ima menſam prope eruditionis copiam ,, politio remque elegantiam , quibus ornantur, defide; rare videntur abditiorem 'reconditioremque tractationem earum rerum, quae primum ii) phyſica tenent locum , quales ex. gr. ſunt Trotus., Newtoniana' attractia , harumque lo ges, non tam .ut ceteros, quam ut ſe ipſum , qui nunquam adduci potuit , ut Newtoni fententiae affentiretur, convinceret . Sed ii meminiſſe debent quibus ſcripſerit:Corfiniusi, hribuſque temporibus ſcripferit. Quoniam ve Tom . VIII to plurima ſunt in phyfica , quae fine 'gea metriae ope tractari non poffunt , hoc quo que adjumențum a fe afferri oportere diſci pulis ſuis putavit . Itaque Philoſophicis Ma thematicas Institutiones adjecit , in quibus fi ordinem excipias ( initium enim facit a pro portionibus , quas nemo ignorat difficillimam effe geometriae partem ) cetera ſatis belle procedunt. Neque multo poft retexuit hoe ipſum opus , in quo eo elaboravit attentius , quod fperabat aditum fibi facturum ad mu nus tradendi mathematicas diſciplinas in Ly ceo Florentino . Acceptum illud cum plauſu fuit propter dilucidam brevitatem atque ele gantiam , licet in eo acutiores peritioreſque geometrae pauca quaedam jure ac merito teprehenderint. Praeſtantiam , quam conſe cutus fuerat Corſinius in rebus geometricis, yoluit ad hydroſtaticam transferre; cumque fedulo evolviffet quae in ea facultate ſcris ptis mandaverant poft Galilaeum Torricellius, Michelinius , Guglielminius , Grandius , alii. que pauci , in ſcenam prodire non dubitavie fuftinens perſonam non modo conſiliarii & arbitri de dirigendis avertendiſque aquis , ſed etiam ſcriptoris. Etenim ex ejus officina prow diit liber , qui infcriptus eft : Ragionamenti intorno allo stato del Fiume Arno e dell' acque della Valdinievole , quique editus fuit fum ptibus. Marchionis Ferronii , cujus cauffam praeſertim defendebat . Spe dejectus Eduar dus perveniendi in Lycei Florentini docto rum numerum , qui praeter modum iis tem- . poribus. creverat , animum ad Academiam Piſanam convertit , petiitque dari ſibi va cuum eo tempore logicae interpretis locum . Celeriter quod optabat impetravit , propte rea quod Joannes Gaſto Magnus Etruriae Dux eximiam illius ſcientiam in omni re philo ſophica cognoverat .. Vir non tam doctrina praeſtans, quam docendo prudens ( etenim quaedam etiam ars , eſt docendi ) magno erat emolumento ſtudiofis adoleſcentibus , qui non uſitata frequentia fcholam illius celebrabant . Cum vero de fchola in otium folitudinem que ſe conferret , tempus potiffimum conſu mebat in augendis . perficiendiſque ſuis Phi lofophicis Institutionibus , abſolvendoque , quod inſtituerat , opere de Practica Geometria . Ins ter haec magna fuit amnis Arni inundatio , F 2 84 EDUARD US ut fi inundationes excipias , quae annis MCCCXXXIII. & MDLVII. acciderunt, nul lam unquam majorem fuiſſe conſtaret . Pere vaſerat opinio per animos Florentinorum huic luctuofae calamitati cauſſam praefertim dediffe Clanis aquas in Arnum deductas , & quae ad eaſdem moderandas aquas facta fue rant opera . Hunc errorem ut eriperet Edu. ardus , utque perſuaderet eadem opera fuiſſe utiliffima ac faluberrima , libro expoſuit qua lis fuiſſet , & quis eſſet ſtatus Claniae val lis , quidque conſultum & actum ab anno MDXXV. ad fua uſque tempora , ut peſti lentiſſima regio convaleſcere aliquando & fa nari poſſeti, utque controverſiae inter finia timos Principes de dirigendis aquis ejuſdem regionis tollerentur . Piſis erat Corfinio con tubernium cum Alexandro Polito , qui hum maniores litteras profitebatur , cujuſque vi tam ſupra explicavimus . Hominis Graecis & Latinis litteris eruditiffimi exemplum & vo . ces , ſelectiſſimorumque librorum copia , qua is abundabat , Corſinium per fe jam flagran tem vehementiffime incenderunt ad eas ar tes , quibus ab ineunte aetate deditus fuer GO RS IN I UŚ. 85 rat , celebrandas . Sciebat Graece , cujus ſermonis elementa juvenis Florentiae acce perat a ſodali ſuo Franciſco Maria Baleſtrio , fed non luculenter . Itaque multo ſudore ac labore in arte grammatica primum ſe exer euit , poftea Graeca multa convertit in La tinum , Graecorumque libros & eos pracſer tim , qui res geſtas & orationes ſcripſe runt , utilitatem aliquam ad dicendum aucu- | pans, ftudiofiffime legebat . Cum vero ei eſſet perſuaſum ingentes ac prope immenſos cam pos illi proponi , qui eloquentiae ceterife que humanioribus litteris vacare cupit , acom mico hac de re aliquando ſciſcitanti reſpon dit: percipiendam ei effe omnem antiquitatem , co gnoſcendam hiſtoriam , omnium bonarum artium ſcriptores & doctores & legendos & pervolu tandos , & exercitationis cauſa laudan.los , in terpretandos, corrigendos , refellendos ; diſputan dumque de omni re in contrarias partes, & quid quid erit in quaque re , quod probabile videre poffit , eliciendum atque dicendum . Hujuſmodi exercitationes, quas diu incluſas habuit, Core finius in veritatis lucem tandem proferre ſe poffe putavit , cum Faſtos Atticos illustrandos fuſcepiſſet ; magnum ſane opus & prae clarum , quod omnem fere Athenienfium hi ftoriam complecti debebat , cum qua philo fophiae , omniumque laudatarum artium hi ſtoria arctiſfime eſt conjuncta . Diviſit illud ipſum opus in partes duas , quarum prio rem veluti apparatum Faftorum effe voluit, quod in illa fuſe lateque ea exponerentur , quae commode in ipfis Faftis , ad quos ta men pertinebant , 'exponi haud poffe vide bantur . Agit itaque de Archontum inſtitu tione , numero , varietate , muneribus & re rie , de Archontico anno , atque ordine men fium Athenienfium . Cum vero Archontigiis annus non in menſes ſolum , ſed in Pryta nias etiam diviſus eſſet , ac Tribuum Athe nienfium fingulae aequali temporis , annique parte Prytaniae munere fungerentur , de ie pſarum Tribuum ac Prytaniarum numero , ordine ac ſerie , deque Atticae populis , ex quibus illae conſtabant , eruditiſſime differit . Neque ab his ſeparandam putavit tractatio nem de Athenienſium Senatu & Ecclefiis , dcque Proedrorum , ac Epiſtatum numero , diſtinctione & officiis. Tranſit inde ad contexendam Archontum ſeriem diſtinguens eponymos a pseudeponymis . Quam diſtinctio nem licet nonnulli agnoverint , nemo tamen exſtitit , qui Pſeudeponymorum Archontum feriem illuftrandae Atticae hiſtoriae maxime neceffariam recenſere tentaverit . Agit de mum de civilibus Graecarum gentium annis, ipfarumque menfibus, cyclis atque periodo, cum antea declaraſſet tempus , verumque di em , quo varia Athenienſium feſta peragi & redire confueverant . Id facere neceſſe fuit propterea quod eadem fefta , veluti perſpi cuae certaeque temporis notae, rerum gefta rum memoriaé ſaepiffimè a ſcriptoribus adji ciuntur . Haec quidem in priori operis par te . In fecunda vero Fafti exponuntur a pri ma Olympiade , qua Coroebus palman retus lit , uſque ad Olympiadein cccxvi. Cauffa fuit juſta Corſinio praetereundi antiquiora tempora , quod iſta laterent craſſis occultata tenebris , & circumfuſa fabulis . Ne tamen primam Athenienfis imperii formam deſpice. re videretur (nam Athenis initio Reges , inde perpetui Archontes, mox decennales , tandemque annui imperarunt) qui Reges & Archontes perpetui , & qua aetate fuerint in Prolegomenis perſecutus eft. Ceterum Fa. ftos fic contexuit Corfinius, ut nullum ad nos pervenerit nomen Archontum , Olympioni čarum & Pythionicarum , nulla lex , neque pax , neque bellum , neque caſus neque res illuſtris & memoranda populi Athenien fis , quae in iis ſuo tempore non fit notata . Interdum etiam attigit Spartanorum , Phoceli fium , Thebañoruin , aliorumque Graecorum gefta , conſilia , pugnas , diſcrimina , quod ca maxime ſint Atticae hiſtoriae conjuncta . Grae Cos vero philoſophos , poetas, oratores , cete roſque tum pacis, tum inilitiae artibus claros viros ita commemoravit, ut quibus Olympicis annis, & quo loco in lucem fint editi , vitam que ' finierin't intelligi poffit. Atque haec o Innia capitulatim ſunt dicta . Etenim nimis lon gus effem fi praecipua, & nova vellem deſcri bere , quae in his Faftis continentur . Nihil poſuit in iis Corſinius fine locuplete auctori täte & teſte, aut faltem ſine probabili conje: ctura ; quodque difficillimum fuit, fcriptorum Graecoruin loca aut vitiata aut minime intel lecta, aut mutilata'ſic reſtituit , illuſtravit, fupplevitque, ut dubitari poffe videatur plus ne jis reddiderit luminis , quam ab iiſdem aco ceperit . Neque minori perſpicientia Athe nienfium nummos vidit , ex quibus non pau . ca quidem in rein ſuam hauſit ; ſed multo plura e marmoreis monumentis fumpfit, ta li modo dirimens controverſiam , quae ex fufcitata fuerat a ſummis viris Spanhemio , & Gudio , nummis ne , an inſcriptionibus princeps locus dandus effet in explicandis ri tibus , feſtis , Numinibus , ludis, magiſtrati bus , rebuſque geſtis Athenienfium . Inter nobiliores inſcriptiones , quas refert Corfi nius , & miro prorſus acumine atque eru ditione explicat , & interdum etiam fupplet, eft Florentina quaedam apud Riccardios ile luſtrandis Athenienfium Tribubus maxime idonea. Sed haec mirifice corrupta erat , au gebatque corruptelam collocatio . Etenim cum ex tribus fragmentis conſtaret , imperi tus artifex fic illa in pariete diſpoſuerat, ut media pars primae , finiſtra mediae , dextera vero omnium poftremae partis locum Occu paret. Vidit haec mala Corſinius , qui 2 tutiſſime indagabat omcia , iifque remedia goadhibuit . At puduit Joannem Lamium ſe non adeo lynceum fuiffe , cum ufus effet sadem inſcriptione in ſuis ad Meurfium Scholiis , & ex pudore orta eſt invidia . Ex quo intelligi poteſt quare is debitas mun quam tribuerit laudes operi , quod omnium judicio longe multumque ſuperat quidquid in hoc rerum Atticarum genere ſcripſerunt Sigonius , Scaliger , Petavius , Petitus , Spo nius , & vel ipfi Meurfius , & Dodwellus , quorum errorés dum faepe corrigit Corfini, us, & dum minime ab iis animadverſa pro fert , fatis declarat iiſdem detrahere voluiffe Haerentem capiti multa cum laude coro nam . Rumor erat ea parare Lamium , quibus fpe rabat hominibus fe probaturum , Corfinium in emendanda illuſtrandaque Riccardiana in fcriptione ſurripuiffe fibi fegetem & mate riem gloriae ſuae . Porro Lamius poft edi tas Corſinii emendationes fupponere cogita verat in locum impreſſae jam paginae in I. Meurſii operum volumine , quae prae fe fe rebat inſcriptionem corruptam , aliam pagi nam , in qua emendatior inſcriptio legebatur ; CORSINIUS: 1 bancque mutationem , omnibus occultari pof ſe putaverat , quod Meurſii liber nondum efe ſet in vulgus editus . Non latuit certe Core finium , in cujus manus pervenit etiam pria mum impreffa pagina , qua omnem a fe prow pulſare poterat injuriam . Id ut audivit Lami mius aliam rationem iniit perficiendi confi lii ſui . Dedit ad Angelum Bandiniun litte ras plenas iracundiae ac minarum, ſpecie qui dem ut ea, quae jamdiu ſepoſuerat ad Ric cardianum marmor explanandum , aliquando proferret ; re autem ipſa ut quae a Corſinio didicerat , perpaucis additis aut mutatis , le ctori aut occupato aut indiligenti vendita Yet pro ſuis . Atque id utrumque ſcriptorem conferenti luce clarius eft . Quare mirari ſa tis non poffum hominis frontem , qui furti Corfinium infimulet in eo loco, in quo ipfo cum re aliena , atque etiam cum telo eſt de prehenſus. Atque haec an. MDCCXLv. ſunt geſta , cum Fafti Attici anno ſuperiori lu cem vidiſſent . Sed tamen res defenſionem apud multitudinem potuit habere uſque ad cum annum , quo Meurſii opera cum Lamii animadverſionibus vulgata funt fimul universa . Is fuit an . MDCCLXIII. Tum enini primum jejuna illa marmoris interpretatio, quam ante annos xxII . Lamius in l . operum volumen intulerat , lecta eft pag . 258. : ad calcem vero ejus voluminis ſecundae Aucto ris curae in eum lapidem , & quaſi retra Statio quaedam ante dictorum edita eſt . Qua in mantiſſa bina extant indicia Corſinii cauffam mire tuentia , alterum quod nihil hoc in loco proponatur , ' quod non ille in Faſtorum libro occupaverit ; alterum quod mantiſſae characteres ab ejuſdem voluminis characteribus forma et figura longe abſunt , teſtanturque non niſi poſt annos multos quam liber fuerat impreſſus , diſtractis jam aut obſoletis formis illis prioribus , additam eſſe appendicem , de qua meminimus . Sed jam fatis multa de homine meo quidem judicio paucis comparando , niſi regnum in litteris, quod Florentiae perdiu tenuit , malis inter dum artibus & clarorum virorum vexatione confirmandum putaſſet. Quamvis in Fa. Hujus rei narrationen pluribus etiam verbis exa pofitam vide in libello cujus eſt infcriptio : Paffatem po Autuntile , quo in libcllo Si quis est qui dictum in se ir clemencius Exis. Atis Articis elaborare Corfinio maxime glorio fum fuerit , non minorem tamen laudem rea portavit ex Agoniſticis Differtationibus, de qui bus Ludovicus Muratorius , intelligens ſane. judex , dicere folebat , poſſe eas per ſe ſo las aeternum nomen Auctori comparare . His Diſſertationibus oftendere voluit Eduardus, quo tempore Graeci celebrare conſueverunt ludos Olympicos , Pythicos , Nemeaeos , & Iſthmiacos, quod tempus eatenus fuerat vel incompertum , vel faltem obſcurum . In hoc autem non mediocrem utilitatem chronolo giae & hiſtoriae ſe allaturum putavit , quod iiſdem ludis fcriptores uterentur ad notanda deſignandaque rerum geſtarum tempora . Ab Olympicis exordiens , qui ceteros fplendore & frequentia ſuperabant , breviter cos percurrit, quos ab Hercule primum inſti tutos Trojano bello deſiiſſe , moxque ab . Iphito reftitutos iterum intermiffos fuiffe fcriptores narrant . Etenim illud caput eſſe videbatur , ut de Olympiade illa quaereret , qua Coroe bus palmam accepit , & quae prima dicitur , omnes Exiflimayit ele , fit exiſtimet Reſponſum , 11011 d.ctum effe, qu'a lacris prior , 6 94 EDUARD V $ quod ab illa ceterarum Olympiadum ordo & feries incipiat . Hanc celebratam fuiſſe putat an . periodi Julianae MMMDCCCCXXXVIII. circiter folftitium aeſtivum , plenilunii tempo re , qui mos ſemper manſit non folum anti quioribus , quibus civiles Graecorum anni lunares erant , fed recentioribus etiam , qui bus ſolares anni a Romanis ad Graecos tran . fierunt . Primus is erat anni menſis , in quem incidiffent Olympici ludi . Quinque diebus eorum certamina abſolvebantur , inter quae curſus , quo, uno certatum eſt ad Olympia dein uſque XVIII, primas tenebat . Neque. in Aelide folum , fed & in aliis Graeciae ur bibus fumma cum populi frequentia ac faca. crorum caeremonia Olympici celebraba ntur, donec v . ineunte reparatae falutis faeculo , jidem cum Pyticis. ſublati fuerunt . , Pyticos primum inftituit Apollo , eofque jamdiu in-. termiffos, confecto. Criſſenfi bello , Olympiade. XXXXVIH . Amphictyones revocarunt. Ii- . dem Olympicorum inſtar pentaéterici erant ; neque ſecundis annis, aut quartis , ut Peta vius & Dodwellus, exiſtimarunt , ſed tertiis , hiſque exeuntibus circa Elaphebalionis menfis finem , tum Delphis , tum in aliis Grae- : ciae urbibus peragi confueverunt , Proxime poft Pythia Olympiade ſcilicet Lill. inſtaura ta fuerunt Nemea , quorum origo reperitur a ſeptem Argivis ducibus , qui ad lenien dum defiderium pueruli Archemori a ſerpen te occiſi funebres hoſcę agones CCCCLXXV. annis ante Olympiadem primam prope Ne meaeum nemus inftituerunt . At Nemeadem illam , ex qua veluti cardine ceterae infe quentes numerari coeperunt , in annum IV. Olympiadis LxxII . poft Marathoniam pu gnam incidiffe fatis probabiliter Eduardus af firmat . Nemeades aeſtivae aliae, aliae hibere nae , omnes vero trietericae fuerunt; eaeque alternis annis ita peragebantur , ut hibernae quidem in medios ſecundos , aeſtivae vero in quartos ineuntes Olympiadum annos in currerent . Cum Nemeis ludis quaedam erat Iſthmicis a Theſeo , ut ferțur , conſtitutis fia militudo . Funebres erant ambo , ambo trie terici , & qui utrolibet in certamine viciſſent apio coronabantur , Ithmici quoque alii em rant aeſtivi, non tamen alii hiberni , ut qui dem Dodyellus putabat , fed verni brabantur illi primis Olympiadum annis Hea catombeone menſe , hi Thargelione , exeun te fere tertio Olympico anno . Sic definivit Corſinius tempora quatuor illuſtrium Graea ciae ludorum , patefaciens obſcura & ignota vel ipſis chronologiae luminibus Scaligero Petavio , & Dodwello , quorum auctoritate abreptus ipfe in primo Faſtorum Atticorum libro Pythiades ſecundis Olympicis annis cona cefferat . Agoniſticis hiſce Differtationibus , veluti faftigium operis , idem adjecit feriem Hieronicarum alphabetico , ut dicitur , ordi ne diſpoſitam , & Dodwelliana longe ube riorem accuratioremque . Nam feptuaginta. ſupra centum vitores recenſuit , qui Dod weilum prorſus fugerant ; fonteſque indic cavit ( in quo Dodwelli diligentia ſaepiffi , me deſiderabatur ) unde uniuſcujufque vin ctoris nomen , aud patria , aut aetas , aut tertaminis genus , quo viciffet, hauriebatur . Hoc opus vehementer adeo Auctori fuo pro batum erat , ut vir modeftiffimus in eo quo daininodo gloriari videretur . Etenim , ut At rico fcripfit Cicero , fua cuique Sponfa ,fuus quiqua 2007. Quoniam autein tumuin his Agoniſticis Diſſertationibus , tum in Faltis ſcribendis faepe uſus eſt Corſinius ſubſidio marmoreorum monumentorum , in quibus multae occurrunt notae , quarum neque fa cilis, neque prompta fuit explicatio , fepara tum opus. a ſe expectare putavit Graecarum antiquitatum ftudiofos , quo in opere non ſolum ex marmoreis , fed etiam ex aereis Graecorum tabulis: varias eorum notas colli geret , haſque explicaret atque illuſtraret . Quae dum animo verſaret , fcriptionique jam manum admoviffet , ecce in lucem prodit Scipionis Maffeii liber de Graecorum figlis l.z pidariis, in quo trecenta fere vocum com pendia ingeniofe: feliciterque enodantur.. Cum Eduardus ab amico librum accepiſſet , ei epi ſtolam fcripfit ( relata haec fuit in IV. vo lumen . diarii Litteratorum . Florentiae editi ) in qua ſummas tribuit Maffejo laudes , quod primus ex omnibus materiem hanc ſeorſim tractandam füfceperit ,, magnam in illam con ferens.eruditionis copiam , & acre: prudenſ que judicium .. Non, propterea tamen: ſpar tam , quam fibi ſumpſerat , ille deſeruit , quia , ut ait Auſonius, is crat campus , in quo alius alio plura invenire poteft , nemo om. nia . Et plura certe Corſinius invenit , cum mille fere notas , aut numerorum vocum que compendia uno volumine colligere po tuerit & explicare illo ſuo acutiffimo inge nio , cui inquirenti & contemplanti omnia occurrere ſe ſeque oftendere videbantur . Ut vero delectatione aliqua alliceret adoleſcen tes , quibus inſuavis fortaſſe & aſperior via deri poterat ſiglarum inveſtigatio , poftquam multa eruditiſſime praefatus effet de notarum origine , vi , utilitateque , opportune ſparſit in toto libro non pauca ad hiftoriam , geos graphiam , chronologiam , ac mythologiam ſpectantia . Ex quibus aliiſque diſciplinis ube riora etiam hauſit , ut ornaret Diſſertatio nes ſex , quas , abſoluta univerſa notarum ſerie , confecit, ut eſſent operis corollarium . Explicant illae inſignes quaſdam Chriſtianac & profanae antiquitatis inſcriptiones , ficque explicant , ut facile exiſtimari queat , eum qui non comprehenderit rerum plurimarum ſci entiam , quique judicio certo & ſubtili non fit praeditus , in his antiquitatis ftudiis ſatis callide verſari & perite non poſſe . Inſcriptit Corfinius hoc ſuum opus : Norse Graecorum five vocum & numerorum compendia , quae in gereis atque marmoreis Graecorum, tabulis obſer vantur , dedicavitque Cardinali Quirinio , a quo pecuniam ad illud ipſum evulgandum dono accepit . Etenim his temporibus haud illi magna res erat, quae vix fatis efle vide batur ad vitam ſuſtentandam , neceſſarioſque. libros emendos . Praepoſitus an MDCCXXXV. dialecticae ſcholae, nihil aliud annui ſtipendii obtinuit nifi octingentos denarios . Hoc eſia fatum videtur nobiliilimae. quidein diſcipli nae , ut pote quae per omnes diſciplinas ma: nat ac funditur , ut qui illam profitentur me: diocribus afficiantur praemiis . Vel ipſi Grae. ci , quamvis ellent aequi liberalium artium aeftimatores , minam , eſſe voluerunt inerce dem Dialecticorum. Coin.nodiori in ftatu res Corſinii eſſe coeperunt cum traductus fuit (id accidit an. MDCCXLVI.) ad metaphyſi cam atque ethicam docendam .. Tunc eniin ipfius ftipendium erat bis millenorum & am plius denariorum , poſteaque illud ipſum ad quatuor. mille ducentos quinquaginta uſque pervenit , cum proſperae. res multae confecutae fuiſſent . Satis ſuperque id erat homi ni temperato ad vitam beatiſſimam ; videba turque libi ſuperare Craffum divitiis . Quan tum vero ſorte ſua contentụs , quantiſque a moris vinculis Academiae Piſanae obftrictus effet , ex eo conjici poteſt, quod mortuo Lu dovico Muratorio Mutinenfis Ducis bibliothe cae praefecto in illius locum fuccedere recu favit, quamvis liberaliſſime ipfius Ducis ver bis invitaretur . Quo cognito ab Emmanue le Comite Richecourtio , qui Franciſci I. Cae faris nomine res Etruriae adminiſtrabat, ipſe fingularibus verbis ei gratias agendas cenſuit, eidemque prolixe de ſua non modo , fed & Cae aris voluntate pollicitus eſt . Id non potuit Corfinio non fumme eſſe jucundum ; utque viro de fe & de Sodalitate ſua bene ſemper merito gratum fe oftenderet dedica vit illi Plutarchi opus de Placitis Philoſopho. tum a ſe Latinum factum , vitaque Scripto ris , fcholiis , & diſſertationibus ornatum . Cauſſam ſuſcipiendae novae interpretationis ei dem dederunt naevi quidam , quibus maçı lantur Budaei , Xylandri , & Crụſerii honi num ceteroquin doctiſſimorum interpretationes ; ſuſceptam vero ita perfecit , ut ver bu pro verbo reddiderit , multaque etiam attulerit de fuo , quae funt diverfo chara ctere notata , ne attenuata nimis diligentia perſpicuitati officeret , & ne res ipfa omni Latinae orationis dignitate cultuque deſtitu ta ſordeſceret . In limine operis Plutarchi vi tam ex illius aliorumque veterum ſcriptis a ſe diligentiſſime colletam , & feriem philo ſophorum , quorum placita a Plutarcho pro feruntur , aetatemque , in qua vixerunt , ex . poſuit . Singulis vero operis capitibus brevia adjecit commentaria , quae aut mutilos & hiulcos Plutarchi locos ſupplent , aut de pravatos emendant , aut obſcuros atque per plexos , opportune allatis aliorum philoſo phorum ſententiis , illuſtrant . Siquando au tem longioris eſſe orationis putavit Corſi nius lucem aliquam afferre rebus obſcuriſſi mis , cum non Heraclitus ſolum , ſed & quiſ que fere antiquitatis philofophorum , quo rum ſententias coarctavit & peranguſte re ferſit Plutarchus , Exotélv8 cognomen me reatur , hujuſmodi illuſtrationes ad finem li bri rejecit . Quo in loco voluit etiam recenfere illuſtriores ſententias , quae propriae di cuntur recentiorum philoſophorum , cum ea rum tamen manifeſta appareant veſtigia in Plutarchi libro , quod profecto ad veterum gioriam amplificandam plurimum valet . Ta les ſunt attractionis leges , vireſque , ut di cuntur , centripeta & centrifuga, Charteſia ni vortices , lunae phaſes , maculae , quod que haec fit terra multarum urbium & mone tium , converfio folis , planetarum , fiderum que certa quadam celeritate ac periodo cir ca axes ſuos , natura , coſtans motus , rever lioque cometarum , telluris motus , quodque ex eo cauſſa ' maris aelus repetenda fit jegew’ewe explicatio , aliaque hujuſmodi mul ta tum ad corporum , tum ad animi na turam pertinentia . Profecto nihil dulcius erat Corfinio quam per abdita remotioris antiqui• tatis permeare , & inde nova & inexpecta ta deferre , quae hominibus contemplanda bono in lumine exhiberet . Nam , ut Ari ſtoteles inquit, fuo quiſque artifex ftudio atque opera impenſius delectatur . Cum igi tur accepiffet ab Antonio Franciſco Gorio amiciſſimo ſuo graphidem eximii cujųſdam anaglyphi , quod Romae viſitur in Aedibus Farneſianis , non magnopere hortandus fuit, ut in illo exponendo elaboraret . Exhibet hoc ſuperiori in parte Herculem cuin Eų. ropa , Hebe , Satyriſque quieri , voluptati que poſt exantlatos labores indulgentem, in inferiori vero tripodem Apollini ſacrum , Ar givae Junonis Sacerdotem , atque alatam Virginem , & Herculem demum ipſum ſe ſe expiantem , ut purus ad Deorum conci lium afcenderet . Hinc & illinc anaglyphum ornant binae columnae cum Graeca inſcrie ptione, quae multis verſuum decadibus Her culis geſta commemorat : in ſupremo tan dein anaglyphi loco octodecim hexametra car mina exculpta ſunt, quibus Herculis labores & certamina declarantur . Praeclariſſimi hujus monumenti explicationem Eduardus libello quem ad Scipionem Maffejum inſtituit, com plexus eſt ; ex eoque judicari poteft , vehe mens afiiduumque ftudium ipfi copiam eru ditionis dediſſe , naturam vero tribuiſſe in genium ad conjiciendum divinandumque fa ctum . Et fane divinationis cujuſdam vide illum potuiſſe laceras ac depravatas multorum verſuum lacinias feliciſſime corri gere atque ſupplere. Magnae antiquitatis ar gumentum praebere ſuſpicatus eſt Doricam dialectum , qua exarata eſt inſcriptio , ne- ! que ipfe affirmare. dubitat opus paullo poſt Alexandri tempora' , antequam Q. Flaminius priſtinam Graecis libertatem redderet, perfe &um fuiſſe . Sed aliter alii ſentiunt ( 1) qui bus nunc plerique affentiri videntur . Hoc ipſo ferme tempore Corſinius ejuſdem Gorii poſtulationibus Diſſertationes quatuor con ceſſit , quae impreſſae funt ab illo in vi. vo lumine Symbolarum litterariarum . Extricat pri ma epigraphen ſculptam in labro interiori cujuſdam crateris ahenei Mithridatis Eupa toris, qui crater in muſeo Capitolino, Vide Winkelman, Monumenti antichi inediti Trel. Prelim . p . LXXIX . Idem quaedam alia notat in quibus deceptum fuiſſe Corfinium arbitratur p. 39. (2 ) Sic interpretatur Corfinius mire involutam in. ſcriptionem : Regis Mithridatis Eupatoris Regni anno 54. Eupatoriftts Gymnaſii ( hoc eft civibus Eupatoriae , qui in Gymnafio certarunt ) ſenectutem conſeival , quod erat ad laudem vini , quo plenus crater vi &ori con cedebatur . Alii aliter interpretanda extrema pracſertim inſcriptionis verba exiſtimarunt , quorum fententiam plerique nunc fequuntur affervatur . Secunda patefacit obſcuros igno ratoſque dies natalem & fupremum Plato nis , qua occafione aliorum etiam virorum illuſtrium Archytae , Philolai, Iſocratis , Ly fiae, Dionis , & Socratis aetates & tempora perſequitur . Explicat tertia adverſam par tem numiſmatis Antonini Caeſaris , in qua Prometheus humanum corpus ex luto fin gens , & Pallas capiti mentem , papilionis imagine expreſſam , inſerens confpiciuntur . Curioſa ſunt quae excogitavit Corfinius , ut perſuaderet hominibus morem repraeſentandi humanam mentem ſub papilionis imagine non ex miris hujus volucris affectionibus & natura , non ex ipſa animi immortalitate , circuitu , aut tranſmigratione, non ex Chal daicae , Graecaeque fapientiae fontibus , non ex arcanis amoris myſteriis, fed ex fola ar tificum imperitia profluxiſſe . Cum enim unum idemque nomen pſyches papilionem & ani nium deſignet, rudis artifex , qui primus ani mum exprimendum ſuſcepit , non putavit hu jus ideam poffe melius excitari , quam obje eta imagine illius rei , quacum is commune nomen habet . Quarta Diſſertatio demum in 106 EDUARDUS eo verſatur , ut oftendat mentitam & falfam effe Latinam quamdam inſcriptionem , quae Piſis vilitur in Scortianis aedibus . Summi labores , quos Corſinius impendit in conficien dis , quos retulimus , libris , magna compen ſati fuerunt gloria , ut unus e multis , qui illuſtrandae Graecae praefertim antiquitati ſe ſe dederunt , excellere judicaretur . Cujus de praeſtanti in hoc rerum genere doctrina tan ta etiam judicia fecit Scipio Maffejus , quan ta de nullo ; cujus teſtimonii auctoritas ma xima reputari debet non folum quod ab hox mine prudentiſſimo proficifcitur , fed etiam quia figulus invidens figulo , faber fabro , ut eſt Heſiodi dictum , alterius laudi & gloriae | minime favere ſoleat . Ex mutua opinione doctrinae , fimilitudineque ftudiorum orta eft inter cos jucundiffima amicitia , cujus tanta vis fuit , ut Corſinius aeſtate an. MDCCLI. quamvis non bene valens, Veronam venerit aliquot menſes commoraturus apud amicum . Quo tempore inter eos fuit familiariſſima focietas , & communicatio ftudiorum . Dono accepit Corſinius a Maffejo tercentum fere Graecas inſcriptiones ( has Edmundus Chici1 shullius collegerat, & fecundae Afiaticarum antiquitatum parti reſervaverat ) ea conditio ; ne , ut eas Latine redderet atque illuſtraret , Satisfecit ille aliqua ex parte promiffo ſuo , cum anno inſequenti edidiſſet eas inſcriptio . nes , quae ad Athenas ſpectabant ; eaſdem que iterum cum commentariis edidit quam driennio poft , ut eſſent ornamento quarto Faftorum volumini . Nono menſe poftquam in Etruriam rediit Eduardus , moritur Ale- ' xander Politus , quocum ille ita vixit , uit. quem pauci ferre poterant propter difficilli mam naturam , hujus fine offenfione ad fum . mam fenectutem retinuerit benevolentiam . Mortuo autem Polito neque inquirendum neque conſultandum fuit quis illi ſucceſſor in Academia Piſana daretur , cum omnium oculi ftatim in Corſinium conjecti fuiſſent . Ita hic exeuntė anno MDCCLII . poftquam octodecim fere annos philoſophiam tradidif ſet , munus docendi humaniores litteras li bentiſſimo animo ſuſcepit . Initio propoſuit fibi (nam muneris ratio , & adolefcentium utilitas ab eo poftulabant, ut cum Graecis Latina conjungeret ) explanare Plutarchi parallelas Graecorum , Romanorumque vitas , ut inde occaſionem ſumeret utriuſque populi leges inter ſe conferendi . Memoriter dicebat e ſuperiori loco , quod ad praeceptoris & ſcholae dignitatem plurimum tum conferre putabatur ; & quae tradebat inſignita e rant luminibus ingenii , & conſperſa erudi tionis ſententiarumque flore . Genus dicen di erat quiétum & lene, purum & elegans, ut maxime teneret eos qui audiebant , & non folum delectaret, fed etiam fine fatieta te delectaret. Nulli diſcipulorum aditum ſermonem , congreſſumque fuum denegabat , quin immo eos bis in hebdomada domum ſuam invitabat , ut in ftudiis exerceret Grae carum , Romanarumque antiquitatum . Domi etiam tradebat metaphyſicam , quo onere non placuit Academiae Moderatoribus illum libe rare niſi anno MDCCLIV. quo quidem tem pore Venetiis evulgavit ſuas Inſtitutiones Me taphyficas. In his adornandis illud unum pro pofitum fibi fuit , ut in animis adoleſcentium rectas de animae immortalitate , arbitrii li bertate , Dei exiſtentia , ceteriſque naturalis theologiae dogmatibus notiones infereret, quibus in gravioribus aliis diſciplinis veluti praeſidiis uti pofſent , quibuſque caverent a peſte quadam hominum non tam religioni , quam reipublicae infeſta , quae rationem per vertendo ubique venenatas opiniones diffe minare non veretur . Subaccuſent aliqui, fi lubet, Corſinium , quod nimis, parcus fuerit in pertractandis quibuſdam rebus , quae in ca , in qua nunc ſumus , luce ignorari mi nime poſſe videntur ; omnes profecto uno ore fateri debent tales effe hafce Inſtitutio nes , ut cupidi metaphyſicae nullibi poffint refrigerari ſalubrius atque jucundius. Poftre mum hoc operum fuit , quae Corfinius Phi loſophiae dicavit , nifi dicere velimus , eti am cum minime videretur tum maxime ila lum philofophari conſueviſſe, Quod declarant ejus Latinae orationes ad Academicos Piſanos refertae Philoſophorum fententiis , faluberri ma praecepta , quibus adoleſcentes ad omne officii munus inftruebat , doctiflimoruin Phi loſophorum familiaritates , quibus ſemper flo ruit , & ars illa diſtinguendi vera a falſis , colligendi ſparſa , eaque inter ſe conferendi, diligenter examinandi omnium rerum verbocum rumque pondera, nihilque afferendi fine evi denti ratione , aut faltein probabili conjectu ra in qua arte quantum inter omnes un Aus excelleret , praeſertim oftendebat , in vetuftatis monumenta inquireret . Hujus inquiſitionis uber fane fructus fuit Diſſertatia illa de Minniſari, aliorumque. Armeniae Regim nummis , Et. Arſacidarum epocha , quam idem in lucem extulit an . MDCCLIV. Difficulta tis maximae fuit oftendere Minniſari num mum , quem praecipue illuſtrandum Corſi nius ſuſceperat , ad illum fpectare Maniſarum Armeniae & Meſopotamiae. Regem , de quo Dio Caffius in libro Romanae hiftoriae LXVIII. mentionem fecit, & Arſacidarum epocham uon in Parthiae. folum , fed etiam in: Arme niae regum nummis inſcriptam fuiffe , eam . que ab anno Urbis conditae Dxxv. initium duxiſſe . Antea quidem doctiſſimorum viro rum Uſſerii, Petavii , Noriſii , Spanhemii , Vaillantii, & Froelichij fententia fuerat , ſe rius. Arſacidarum imperium incepiſſe , adver ſus quam ſententiam Eduardus ita pugnavit, ut veritas non minus quam modeſtia eluxe rit . Quoniam vero in antiquitatis ftudio multae res inter fe ita nexae & jugatae funt , ut , inventa una , aliae , quae prius latebant , ſe ſe contemplandas offerant, ean ob rem Corfinius in Minniſari regis num mo explicando varia ſcriptorum loca corri gere & ſupplere , verum Darii genus expo nere , Tiridatem alterum , Arfamem , aliof que Armeniae Reges Vaillantio prorſus in cognitos proferre potuit . Res in hac Differ tatione contentae , non fine laude oppugnatae fuerunt a Jeſuitis Froelichio & Zacharia , reſponditque ad ea , quae objecta fuerunt , ſine iracundia Corfinius . Eteniin veritatis unice amans alios a fe diffentire haud ini quo ferebat animo, ſemperque deteſtatus eſt eos , qui ſuis ſententiis quaſi addicti & con . fecrati etiam ea , quae plane probare non poſſent , conſtantiae, non veritatis cauſſa de. fenderent . Propugnationem quoque Corſinii libello (*) ſuſcepit ejus convictor & fodalis (*) Huic titulus eſt . Lettere critiche di un Pafton r Arcade ad un Accademico Erruſco nelle quali ſi ſciola gono le difficoltà fane contro un'opera del Reverendiſſia mo Padre Corſini nel Tom . IX. della Storia leveraria of lialia &e, in Pisa 1957. in Carolus Antoniolius , qui quidem non me . diocria adjumenta illi praebuit , cum pluri mum valeret in omni genere ftudiorum quae ipſe excolebat . Magni quoque Acade miae fuit Antoniolii opera in Graecis littea ris tradendis toto illo ſexennio , quo Corfi nius , coactus capeſſere, ſummum Sodalitatis fuae magiſtratum , bona Principis cum ve nia , & fine ulla ſtipendiorum jactura Piſis abfuit . Hic Romam venit menſe. Aprili an. MDCCLIV, ardens. defiderio indicia veteris memoriae , quibus mirabiliter urbs. illa abun dat ( quacumque enim quis ingreditur in aliquam hiſtoriam veftigium ponit ) cogno ſcendi . Sed raro ei poteſtas dabatur huic ſuo . deſiderio, fatisfaciendi, cum podagrae dolori bus ſaepiſſime vexaretur , & munus ſuum diligentiſſime exequi vellet . Quanta vero pru dentia ac dexteritate fuerit in tractandis ne. gotiis , quanta aequitate in conſtituendis , temperandiſque, ſi res pofcebat, conſtitutis jam legibus , quanta humanitate erga omnes , quantaque vigilantia ac providentia in con fulendo rebus. praeſentibus , praecavendoque futuras , fatis praedicari non poteft . Cum autem nihil ſine aliorum conſilio agere ei mos eſſet , & facilitate ſumma uteretur in füos adjutores procuratoreſque , inde norza nulli materiem ſumpſerunt falſae criminatio nis , quod ad aliorum magis quam ad ſuun arbitrium res Familiae adminiftraret . Omnino totum fe tradidit Eduardus Sodalitati , to tamque fic rexit , ut oblitus commodorum ſuorum omnibus proſpexerit . Non eſt credi bile quanto animi dolore angeretur , fi ali quis ſuorum in crimen vocabatur . Horrebar enim homo innocentiſſimus vel ipfam pecca ti ſuſpicionem . Sed non propterea fontibus iraſcebatur, hofque clementia magis atque manſuetudine , quam animadverſione & ca ftigatione ad frugem revocare ſtudebat . Cum vero feveritatem , fine qua reſpublica adıni niftrari non poteſt , adhibere cogebatur, similis, ut praeclare admonet Cicero , legum erat , quae ad puniendum non iracundia , fed aequitate ducuntur . In his occupationi bus muneris ſui, ne plane ceſſäre a fcriben do videretur , extare voluit explicationem đuarum Graecarum inſcriptionum , quae mus ſeum ornant Bernardi Nanii Veneti Senatoris.quam feliciter id praeftiterit , perſcrutata prius litterarum priſcarum , quibus illae con fcriptae ſunt , forma atque vi , facile judica bunt ii , qui ſunt harum deliciarum amato Tes . Tentaverat eamdem rem Franciſcus Za nettus, ſed longiſſime aberravit a vero ejus interpretatio . Ipſe Eduardus cum Anconae effet ineunte anno MDCCLVI. eoque prae ſente cum multis aliis detecta fuiſſent atque agnita corpora Sanctorum Cyriaci , Marcelli ni & Liberii, quos ſingulari obfequio ea dem civitas venerațur, incitatus fuit, ut ali quid laboris impertiret illorum Sanctorum illuſtrandae hiſtoriae , definiendoque praeſer tim tempori , quo tranſata eorumdem cor pora fuerunt in eum , ubi nunc jacent , lo cum , & quo Anconae coli coeperunt . Haec Corfinius , edito commentariolo , accidiffe - ftendit exeunte faeculo XI. , & ex ipfis an tiquitatis monumentis quibus ſententiam ſuam confirmavit , quatuor Anconitanorum Epiſcoporum nomina in lucem protulit , quaç uſque ad id tempus fuerant incognita , Per pauca in hoc commentariolo attigit de S, Liberio , quod ejus hiſtoriam involutam tenebris & fabulis exiſtimabat , Mox cum ei aliquid luminis affulfiſſet , & monumentorum ope , & mirabili illa ſua conjiciendi arte pa tefacere potuit Liberium fuiſſe unum ex fo ciis S. Gaudentii Abfarenſis Epiſcopi , qui circiter an. MxXxx. Anconam venit , fo litariam vitam acturus in ſuburbano mona ſterio Portus Novi . Harum rerum inventio multis laudibus. celebrata fuit a Scriptoribus annalium Camaldulenſium (*) : pergrata quo que fuit. Benedicto XIV. pro ejus. fingulari ftudio in Anconitanam Ecclefiam . Hic cum ſaepe ad congreffum colloquiumque ſuum invitaret Eduardum , quod ejus ſummum in genium , fuaviffimos. mores , atque eximiam probitatem & nofſet & diligeret , ſaepe quo que ipſum hortabatur ,, ut ea pergeret man dare litteris , quae abdita Chriſtianae anti quitatis patefacerent . Sed fuerunt juftae ca uffae quare. Corſinius amantiffimis. Pontificis M. conſiliis minime obtemperavit ; & quid quid fubciſivorum temporum incurrebat, quae perire non patiebatur, libentiffime concede-. ( * Vid . Tom . III ., bat ſuis priſtinis ftudiis . Ruſticabar cum eo in Tuſculano, quando epiſtolam ſcripſit ad Paullum Mariam Paciaudium , in qua plura de Gotarzis eximio nummo , ejuſque , Bar danis , & Artabani Parthiae Regum hiſtoria perſecutus eſt, & pro jure noftrae amicitiae ab ipſo poftulabam , ut in otio , quod raro da batur , & peroptato illi dabatur, ceffaret a libris & a ftilo . Verum cuin is eſſet ut fi ne his ftudiis vitam inſuavem duceret, di cere folebat hujuſmodi ſcriptiones non pre mere , ſed relaxare animum . Et relaxatione certę aliqua ille indigebat , cui grave adeo erat , quod multi appetunt , ceteros regendi munus , ut onus Aetna majus ſibi ſụſtinere videretur . Poterat quidein illi eſſe lovaniens to recordatio multorum benefactorum , inas ter quae maximum illud reputari debet quod eo ſexennio , quo ad Sodalitatis gum . bernaculum ſedit , viginti domus , five cole legia conſtituta ſunt . Interim advenit tem pus , quo magiſtratu fe abdicare , & extre mos auctoritatis fuae fructus capere debe bat in provehendo digno viro , qui fibi fuc cederet . Verum minime illi : contigit , ut funt ancipites variique caſus comitiorum , quem optabat, exitus. Peractis comitiis, fine mora rediit ad Academiam Piſanam & ad il lamºquietam in rerum contemplatione & co gnitione maxime poſitam degendae vitae rae tionem, qua qui frueretur, negabat ei aliquid deeffe ad beatė vivenduin . Liber de Praefe . ctis Urbis ei erat in manibus ; Graecas in fcriptiones in Aſia repertas , quas , ut ſupra retulimus , a Scipione Maffejo dono accepe rat , quafque jampridem Latinas fecerat, co pioſis commentariis explicabat ; aderat diſci pulis ſuis ; veniebat frequens in Academiam , afferebat res multum & diu cogitatas, facie batque fibi audientiam hominis erudita, com pta & mitis oratio . Idem efflagitatu & coae tu amicorum inftituta. hoc tempore opera abrupit , ut explicationem lucubraret cujuf dam nummi recens in Auſtria reperti , in quo erat nomen & imago Sulpiciae Dryan tillae Auguſtae. Conjecit ille feminam hanc libertam fuiſſe, libertatémque accepiffe a Sul picio quodam , ab eoque in Sulpiciam ģen tem receptam ; nupfiffe demum Carinó fcea leftiffimo Imperatori. Haec porro incerta. Illud unuin ſine ulla dubitatione colligi pof fe videtur ex nummi fabrica, characterum forma, feminaeque ornatu , illum ipſum num mum cuſum fuiſſe inter Elagabali & Diocle tiani imperium , proptereaque Dryantillam ad aliquem Imperatorum , qui illo intervallo re gnarunt, pertinere. Neque his contentus Edu ardus voluit etiam excutere hiſtoricorum & rei nummariae interpretum mire inter fe dif ſidentes opiniones de Aureliani ac Vaballa thi imperio atque aetate , ac poftremo ſuam ſententiam proferre . Fuit haec , Aurelianum exeunte Julio , vel ineunte Auguſto anno CCLXX. imperium ſuſcepiſſe , eaque multis & gravibus confirmatur argumentis . Ad ex vero diluenda , quae contra dici poterant ex illorum ſententia , qui praeſertim niti vide bantur lege quadam data a Claudio VII. Kal. Novembris Antiochiano & Orfito Con ſulibus , ut ſerius Aurelianum inchoaffe im perium perſuaderent, diſtinguit Conſules or dinarios a ſuffectis . Hac autem conſtabilita diſtinctione , quae maxime apta erat non fo lum ad id , quod requirebat , ſed etiam ad expediendos alios , quos vel ipſe Scaliger in diffolubiles in Chronologia exiſtimaverat now dos , concludit eamdem legem editam fuiffe anno cclxix. vel CCLXVIII. quando An tiochianus & Orfitus ſuffecti Conſules erant, minime vero anno cclxx. iiſdem Confuli bus ordinariis . Nec minor difficultas erat o ſtendere , qui fieri potuerit , ut Aurelianus ad vil. Imperii annum perveniffe dicatur , & explicare locum Euſebii , qui tradit in ejuſdem tempora incidiffe in . Antiochenam Synodum : exploratnm eft enim hanc Sya nodum anno cclxix. incoeptam & abſolu tam fuiſſe . Feliciter haec praeftitit Corſi nius , cum probaſſet Aurelianum anno & ultra antequam a legionibus poft mortem Claudii Imperator fieret , ab ipfo Claudio deſtinatum ſibi fuiſſe ſucceſſoreni , adeoque ampla poteſtate donatum ut ab hoc tema pore nonnulli ejus Imperii initium ſumere potuerint . Quae vero de Vaballatho diſream ruit Corſinius haec ferme ſunt . Illum Ze nobia procreavit ex Athena priori viro , ejuf demque nomine ab anno ccLXXVI. uſque dum Claudius in Gothicum bellum uni ce intentus vixit , Orientis imperium te H4 ut nuit . Ex quo factum eſt , ut quae hoc tem pore cuſa funt Vaballathi numiſmata , Impe. satorem Caefarem Auguftum illum nominent . Poftquam vero ille deſciviſſet a matre , Aureliano adhaereret, huic quidem conjun octus in nummis repraefentari voluit, minime vero paludamento , radiata corona , fplendi doque Augufti nomine decoratus, ſolo Im peratoris contentus . Praetereo alia multa Scitu digniſſima in hac Diſſertatione conten ta , ne , cum nimis longus in recenfendis ſcriptis operibus fuerim , videar oblitus con ſuetudinis & inſtituti mei . Hujus libelli ( cil ra liberatus Corfinius totus in eo fuit, ut ab Solveret ſeriem Praefectorum Urbis ab Urbe con dita ad annum afque MCCCLIII. five a Chri fto nato DC. Etenim poſteriora tempora mi nime inquirenda putavit , quibus , penitus fere exſtincto Urbanae Praefecturae fplendo re ac dignitate , nonniſi tenue nomen , ac leviſſima priſtinae majeſtatis umbra ſuperfuit ; ex quo fiebat, ut nihil inde lucis facra & profana ſperare poffet hiſtoria , cum contra uberrimam fplendidiffimamque utraque acci. peret ex veterum Praefectorum ferie , horumque aetate rite conſtituta . Ut vero non utilitate ſolum , ſed etiam jucunditate lecto res invitaret Corſinius , operi varia opportu ne admifcuit , quae marmora & ſcriptores , quorum teftimoniis ubique fere utitur , cor rigunt & illuſtrant , interpretumque falſas opiniones atque errores emendant . Non ego ſum neſcius multos anteceſſiſſe Corſinium in hujuſmodi pertractando argumento ; ex qui bus omnibus , ac praefertim Jacobo Gotho fredo ac Tillemontio plurima in rem ſuam tranftulit . Sed ii exiguis finibus operam fuam continuerunt , fi unum excipias Feli cem Contelorium , qui contextam a Panvi . nio Praefectorum ſeriem ad annum uſque MDCXXXI. traduxit . Tale tamen non fuit Contelorii opus , quin eadem de re aliquid politius , copiofius , perfectiuſque proferri a Corſinio potuerit . Et protuliffe certe ipſum oportet , cum magna fuorum laborum prac conia ab intelligentibus viris reportaverit . Mi rari hi tantummodo viſi ſunt quod aut is in gnoraverit hac ipſa in re plurimum quoque elaboraſſe Almeloveenium , aut quod hujus fcripta conſulere praetermiſerit. Id profecto & praeſtitiſfet abundantius & copiofius pro poſitae fibi rei ſatisfacere potuiſſet , neque poftea ventofiffimi homines triftem fuftinuif fent notam calumniatorum , qui nullo in pre tio ob pauca quaedam a Corſinio praetermif ſa hujus opus habendum inflatis buccis clamitarunt . Ne hi verbofis fibi famam ad quirerent ſtrophis vel apud imperitam mul titudinem, factum eſt diligentia Cajetani Mari nii, qui librum Bononiae an. MDCCLXXII. edidit, quo non folum eorum obftitit injuriis, verum etiam nova a ſe inſcriptionum ope detecta Praefectorum Urbis nomina in lucem protulit . Sed ad Corſinium revertor , qui dum fine intermiſſione obſequebatur ftudiis ſuis & adoleſcentium utilitati, oblitus vide batur fe jam fenem factum ( quando enim typis mandavit librum de Praefectis Urbanis ſexageſimum primum aetatis annum agebat ) & infirma aegraque valetudine effe . Sed ac Hujus eſt inſcriptio : Difefa per la ſerie de' Pree fetti di Roma del Ch . P. Corfini contro la cenſura farie . le nelle offervazioni ſul Giornale Piſano , in cui le della Serie si suppliſce anche in affai luoghi e le emenda . In Bon logna e S. Tommaſo d'Aquino in 4. Vide Pilanas Ephcm meridcs vol. VIII. p. 179 eidit miſerabilis caſus , qui repente ipſi onga nem ſpem non folum litteris , ſed etiam na : turae vivendi praecidit . Erat haec conſuetu . do Academiae Piſanae, ut qui humaniores lite teras profitebantur , Kalendis Novembris , quo tempore inftaurari ftudia folebant, Latinam om rationem haberent ad vehementius inflamman dam cupidam doctrinarum juventutem . Di cebat eo ipſo die Eduardus ( vertebat tunc annus tertius fupra fexageſimum hujus fae tuli ) de viris , qui & ſcriptis editis , in ventiſque rebus in Academia maxime florue runt , eaque erat oratio , ut nunquam is di xiſſe melius judicaretur . Cum eo pervenirſet, ut exultaret in immenſo Galilaei laudum campo , repente apoplexis ipſum perculit , ac ſemivivum reliquit . Dolore hujus caſus o ſtenſum eft quantum ille Academiae eſſet ac ceptus . Aegre domum deductus , ibi quatri duo cum morte conflictatus eſt. Quinto die, multis adhibitis remediis , levari coepit , ac praeter ſpem paullatim convaluit . Ut arden ter deſideraret priſtinas recuperare vires , efficiebat ille fuus ſingularis amor in Aca demiam , cui majus ſe non poſſe munus afferre videbat , quam fi inſtitutum juſſu Prin cipis biennio fere ante opus de ejuſdem Academiae ortu , progreſſu ac vicibus ad umbilicum perduceret . Plurima collegerat at que vulgaverat ad hanc hiſtoriam pertinen tia vir diligentiſſimus Stephanus Maria Fa bruccius Juris civilis in eadem Academia do ctor , quae quidem ampla & bella materies effe poterant ad novum aedificandum opus . Hoc igitur ſubſidio inſtructus Eduardus , ala cer ſe ſe ad rem accinxit . Et primo qui dem illuftrium Italicorum Gymnafiorum ori ginem ſubtexuit , diſſerenfque quatuor prio ribus capitibus de prima Gymnaſii Piſani in- : ſtitutione, neque ab xi. neque a xiv. Chris fti faeculo , ut multi ſcripſerunt , fed ab ine unte XIII. vel exeunte xii . illam repeten dam effe exiſtimavit . Ex hoc tempore ad annum uſque MCCCXXXIX. , quo anno Fa bruccius contendit coepiſſe Academiam Piſa nam , hanc fi nullam dicere nolumus , mi nimain certe fuiſſe oportet . Conſecutae des inceps yices multae , ut ipſa modo langues ſcere , modo ad interitum properare , vires vitamque modo recuperare , ac faepe etiam veluti extorris ſedem mutare viſa fuerit , Quae omnia octo conſeqılentibus capitibus perſecutus eft Eduardus . Cum vero Acade miae res , imperante Coſmo I. ceteriſque.non solum Mediceis, sed etiam Lotharingis Principibus , feliciflime proceſſiſſent , quibus ab his beneficiis, ſplendore atque gloria aucta, quibuſque gubernata legibus consuetudinibusque, variis interdum pro temporum varietate, exposuit in quatuordecim capitibus , quo rum nonnulla adumbrata magis quam de fçripta videntur . Haec omnia primam ope ris partem conficere debebant , cum refer vafſet alteram, quam tamen minime attigit, Doctorum vitis. Dum haec scripta legebam videbatur mihi pofſe ab Auctore defiderari major rerum copia , magiſque apta ac preſ fa oratio. Inest quidem in omnibus Corsinii scriptis luxuries quaedam , quae , ut in herbis ruſtici ſolent , depaſcenda erat; quod fi eft vitium in omni oratione , maximum tamen eſt in hiſtoria , in qua pura & illu fțris brevitas expetitur . Eodem tempore, quo Eduardus in Academiae historiam incumbebat, ne plane superioris aetatis Audia de servisse videretur, epistolam fcripfit ad ami cum & collegam fuum Franciſcum Albi zium , in qua de Auſonii Burdigalensi consulatu egit, Desperaverant vel ipsi chronologiae Patres Panvinius & Pagius, computationem quamdam annorum ah. Auſonio factam in e pigrammate, ad Proculum , in quo, ab Urbe condita ad consulatum suum CXVIII. an nos enumeravit, conciliari posse, cum Varroniana epocha , ideoque, novam excogitarunt epocham XIII. annis Varroniana pofte riorem , qua non solum Ausonium, sed etiam Arnobium usos fuisse scripserunt. Horum aliorumque Auſonii interpretum errorem ut corrigeret Eduardus, probare debuit. Auſonium non Romanum, modo, fed & Bur digalenſem geffiffe consulatum, & Romanorum & Burdigalenfium Consulum fastos conscripsisse . Qua distinctione constabilita , facile fuit oftendere eumdem Aufonium in ea pigrammate , quod ad Heſperium filium ini fit cum Romanis faſtis, de Romano, a ſe ges: ſto consulatu, in epigrammate autem illo, quod est ad Proculum, de patrio, municipali, quinquennali (etenim in municipis omnibus majores magiſtratus quinquennales eſſe ſolebant) de Burdigalenſi nimirum con. ſulatu locutum fuisse. Hanc epistolam secuata est altera ad Joannem Chrysostomum Trom . bellium Canonicum Regularem , in qua do nummo quodam ab Athenienſibus Livia Augustae dicato, illiuſque aetate differens, feminam illam non ſupremis tabulis , ſed matrimonii jure a marito nomen Auguſtae accepiſſe pluribus monumentis comprobat. Quae quidem aliaque ex abditiſſima antiqui. tate deprompta , quae fparfit Corfinius in hac epiſtola , ut jucunda lectoribus , ita iif dem plena moeroris fore arbitror , quae in extrema pagina ejuſdem epifolae Trombel lius adnotavit. Scribit enim ille : Dum extre mam hujus epiſtolae partem edimus , monemur , eodem fere tempore , quo Brixiae egregius Maza zuchellius , inclytum Corfinium noftrum Pisis apoplexi repente ereptum . Eheu litterae aflicłae ! o amicos incomparabiles ! o annum vere calami 10fum & peffimum ! Dies , quo illum apople xis iterum invafit , fuit v. ante Kal. De cemb. anno MDCCLXV. poft quem caſum tribus ferme diebus vixit fine ſenſu , Sepultanta tus eft in Aede S. Euphraſiae totius Acade miae luctu , quae hanc calamitatem acerbif fime doluit , doletque adhuc reminiſcens ſe orbatam homine, in quo plurimae erant lit terae eaeque interiores , divinum ingenium , ac induſtria fumma ; fruebatur vero nominis celebritate, ut hac fola muneris fui fplendorem tueri potuiſſet. Atque haec vi tae decorabat dignitas & integritas . Quan tả gravitas mixta comitati in yultu & moribus ! quantum pondus in verbis ! ut nihil inconſideratum exibat ex ore ! quam diligen ter inquirebat in fè ſe, atque ipſe ſe ſe ob Servabat I Oinnino tantus erat in ipso ordo, conſtantia, & moderatio dictorum omnium atque factorum , ut probitatem & religio nem prae se ferret , & ad omne virtutis de cits natus videretur. Quidquid come loquens, & omnia dulcia dicens mirabiliter ad se diligendum omnium ani mos alliciebat; si vero in familiari sermo ne a quopiam dissentiret , contentiones disputationesque vitabat, quod non tam na turae quam virtutis erat. Etenim iracun diae aculeos aliquando sentiebat, sed hos perpetuus cupiditatum domitor frangebat, pla neque occultabat . Secum ipſe vivens animi triftitiam frequenter patiebatur , praeſertim si contemplaretur misera, in quae incidimus, tempora, quibus corrumpere, & corrumpi saeculum vocatur. Quod vero nonnulli per verſe adeo abuterentur philofophia, ac prae ſertim metaphyſica , ut ea animos a religio ne avocarent , tanto illum perfundebat horrore , ut vehementer poenitere eum non nunquam videretur industriae suae , quam in erudienda juventute ad recentiorum philoſo phorum dogmata inſumpſerat . Quae quidem poenitentia injurioſa mihi videtur; omnium artium parenti philosophiae, quasi ejus culpa, quae deflebat mala Eduardus, accidif ſent. Etenim ſunt unicuique ſcientiae : certi fines ac termini ab omnium rerum modera tore Deo constituti, quos qui tranfilit, nae ille devius in praecipitem locum ruat necese est . Sed ad Corfinium revertor, de cujus laudibus non eft tacendum ſummae illum bonitati ingenuitatique ſummam dexterita tem , ſi oportuiſſet, conjűxisse. Liberalis minimeque cupidus pecuniae hanc facile a se extorqueri patiebatur. Virorum litteris illus ftrium amicitias ftudiofillime coluit, amavitque in primis Trombellium & Paciaudium , quo rum mentionem fupra fecimus, quorumque conſuetudinis magnum cepit fructum eo prae sertim tempore, quo Romae fuit. Dolui in pſum combufliffe, quas ab amicis accipere solebat, epistolas , quia ſciebam in iis erudita multa contineri: eae quidem mihi non me diocri subsidio futurae fuiſſent huic explican dae vitae . De qua fatis erit dictum , fi hoc unum addam , eumdem ineditas reliquiffe bi nas Dissertationes de S. Petro Igneo , & B. Joanne delle Celle; librum de civitatibus, quarum mentio sit in graecis nummis , ſex que Latinas orationes habitas in Academia Piſana , ex quibus lenitas ejus fine nervis cognoſci potest. Opere: “Instıutiones philosophicae, ac Mathemaricae ad ufum Scholarum Piarum : Tomus I. Florentiae typis Bernardi Paperini, continens physicam generalem, continens libros de coelo Es mundo, continens tractarum de anima, E metaphysicam  continens ethicam vel moralem continens institutiones mathematicas Editae iterum fucrunt hae institutiones in V. mos diſtributae Bononiac ex ty pograghia Laclii a Vulpe cum hoc titulo Cl. Reg: Scholarum Piarum, & in Pisana Academia Philosophiae Professoris Institutiones Philosophicae ad un fum scholarum Piarum edirio altera auctior & emendarior; Ragionamenti intorno allo fato del fiume Arno, dell acque della Valdinievole, In Colania appresso Heng Werergroot, in 4. “Elementi di Matiemasica, ne' quali sono con migliori ardine e nikovo metodo dimostrare le più nobili e necesaria proposizioni di Euclide, Apollonio, e Archimede, Ch . Reg. delle Scuole Pie : in Firenze . nella Stamperia di S. A. R. per li Tartini, e Frasa ahi in 8 . Hace elementa mathematica edita secundo fuerunt Year I 2 1 netiis apud Antonium Perlinum , in qua edie tione quaedam mutata ſunt , emendatufque error, quo cao ptus fuerat Auctor, dum in priori editione exposuit propoíitionem XXXV. Libri XI. Venetae huic editioni a djc&us est ejusdem Auctoris liber della Geometria Pranica; Ragionamento Istorico Sopra la Valdichiana, in cui si descrive la antica e presente suo stato” (Firenze nella Stamperia di Franceſco Moucke in 4); “Faſii Anici in quibus Archonium Athenienfium sea ries , Philosophorum, aliorumque illustrium Virorum deras arque praecipua Acicae historiae capita per Olympicos annos disposita describuntur, novisque observationibus illustrantur: ACl. Reg. Scholarum Piarum in Pisana Academia Philosophiae Professore, Florentiae, ex typographia. Jo . Pauli Giovannelli ad insigne Palmae in Platea S. Eliſabeth . Tom .II. prodiic. ex eadem typo graphia . Tom . III. prodiit anno 1751. ex eadem typographia . Tom . IV . prodiit ex Imperiali typographia Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acadeo mia Pisana Philosophiae Profeſoris Differtationes. IV Agonisticae, quibus Olympiorum, Phychiorum, Nemeurum, ale que Isthmorum lempus inquiriiur ac demonftrarur: Aco redit Hieronicarum catalogus eduis longe uberior Es accurarior. Florenciae ex typographia Imperiali. In cxtrema pagina hujus libri öxhibetur integra feries menfium Macedonicorum, Atticorum , & Romanorum ad de mondirandun veruna corum ficum ac connexionem ; quam ſeriem hoc quoque in loco nos exponemus , quia rem gratam antiquitatis ſtudioſis facturos arbitramur. Series enim a Corfinio contexta differt nonnullis in nienſibus ab ca quam Scaliger, Uſterius, Petavius, Dodwellus, aliique descripferunt, i Macedonici Atrici Romani Lous Gorpiaeus Hyperbercraeus Dlus Apellaeus Audynaeus Peritius Dystrus Xanthicus Artemisius Daiſius Panemus Hecatombeeon Meragirnion Boedromion Pyanepſion Maemacterion Pofideon Gamelion Anthefterion Elaphebolion Murychion Thargelion Scirrhophorion Julius Augustus September October November December Januarius Februarius Marrius Aprilis Majus Junius Lettere intorno all' opera del Marchese Scipione Maffei intitolata: Graecorum Siglae lapidariae. Extat in tom. 4 . par. 3. del Giornale de’ Letterati pubblicaro in Firenze notae graecorum , five vocum Ex numerorum compen dia , quae in aereis atque marmoreis Graecoruin rabulis ob. fervantur . Collegii, recenſuit, explicavit, eaſdemque cabu las opportune riluftravia Eduardus Corſinus Cl. Reg. Scholas) rum Piarum in academik Piſina Philoſophiae Profesor . Accedunt Differtationes ſex , quibus marmora quaedam rum facra cum profana exponuntur ac emendantur. Florentine Tographio Imperiali in fol. Plutarchi de Placitis Philofophorum libri V. Larine reddidit , recenſuir , adnotationibus , variantibus lectionibus , diferrationibus illuſtravit Eduardus Corfinius Cl. Reg. Schoe laruan Piarum in Pisana Acad. Philosophia Professor Flo. seniige ex Imp. Typographio, Disertationes IV quibus antiqua quaedam insignia moc sumente illuſtrantur . Vide eas, Symbolarara litercriarum Antonii Francisci Gorii. Herculis quies & expiatio in eximio Farnesiano mere more expresa : in fol. Inscriptiones Articae nunc primum ex Cl. Maffeii Schea dis in lucem editae latina interpretatione brevibusque observationibus illuſtratae Cler. Regul. Schole sunr Puarum in Academia Pisana Philosophiae Professore. Florenciae ansio ex typographio Jo. Pauli Giovannel li in 4 . Solecta ex Graeciae Scriptoribus in usum ſtudiosae Juvent. sutis , Florentiae ex Imperiali rypographio ir 8 . Inſtitutiones Metaphyſicae in ufus Academicos auctore Eduardo Corfi:n0 Clericorum Regularium Scholarum Piaruz in Academia Pifana . Philoſophiae Profeſore . Vesieriis ex Typographia Balleoniana in 12 Eduardi Corſini Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acco demia Piſana humaniorum litterarum Profeſſoris de Minni fari aliorumque Armeniac Regum nummis , & Arſacidarum Epocha Differtario Liburni typis Antonii Santini & Sociorum in 4. Spiegazione di due antichiſſime inſcriçroni Greche indie ricare al Reverendiffimo Padre Anton Franceſco Vezzofi, Prepoſto Generale de Cherici Regolari , Lettore nella Seo pienza Romana , ed Eſaminatore de' Vefcovi da Edoardo Corfini Ch . Reg. delle Scuole Pie. In Roma, nella Stamperia di Giovanni Zempel in 4 . Relazione dello scuoprimento e ricognizione fatta in Ancona dei Sacri Corpi di S. Ciriaco , Marcellino, e Lia berio Proiettori della Circà ; e Riflefroni ſopra la translazione, ed il culto di queſte Sanci . In Roma, nellu Stampe ria di Giovanni Zempel in 4. Eduardi Corfini Cler. Regul. Scholarum Piarum, En in Academia Piſana humaniorum literarum Profeffuris Dis Seseario , in qua dubia adverſus Minniſari Regis nummum , & novam Arſacidarum epocham a Cl. Erasmo Froelichio s. J. proposita diluuntur. Romae ex typographio Palla dis in 4. Eduardi Corſini Cler. Regul. Scholarum Piarum & in Academia Pisana humaniorum lirerarum Profeſoris ad Cles riflimam virum Paulum Mariam Paciaudium Epiſtola , ir qua Gotarzis Parthiae Regis nummus hactenus ineditos expli Catur , & plura Parthicae hiſtoriae capita illustrantur . Romae, in Typographio Palladis . Excudebant Nicolaus & Marcus Palearini ir 4 .Cl. Reg. Scholarum Piarum in Pifar:& Academia humaniorum litterarum Profeſoris Epiftolae rres , quibus Sulpiciae. Dryantillae, Aureliani ac Vaballathi Avea guſtorum nummi explicantur & illuſtrantur. Liburni apud Jo. Paullus Fanthechiam ad fignum Verit. in 4 . Series Praefeciorum Urbis ab Urbe condira ad annum uſque MCCCLIII. sive a Chriſto naro DC. collegit , rem cenſuit , illuſtravir Eduardus Corſinus Cler. Reg. Scholarum Piarum in Academia Piſana humaniorum liuerarum Professor Pisis excudebar Joh . Paulus Giovane nelius Academiae Pifunae Typographus cum Sociis in 4. Notizie Iſtoriche intorno a S. Liberio ſepolto e venera 10 nella Cattedrale della città di Ancona all' Eminentiffimo Signor Cardinale Acciajuoli Veſcovo di detta città . In Are cona nella Sramperia Bellelli in 4.  Cl. Reg. Scholarum Piarum , in Academia Piſana humaniorum litterarum Profeſoris Epiſtola de Burdigalenfi Aufonii Confulatu . Piſis Exe cudehar Joh. Paulus Giovannellius Academiae Pifanae inyo pographus cum Sociis in 4. Clericor. Regular. Scholarum Pia rum Ex- generalis , & in Pifana Univerſitare Primarii Les coris ed Joannem Chryſostomum Trombellium canonicorum Regularium Congregationis S. Salvatoris Ex-generalem & S. Salvatoris Bononiae Abbatem Epistola, Bunoniae,  ex typographia Longhi in 4; Disertazione sopra S. Pietro Ignes, sopra il B. Giovanni delle Celle; De Civitatibus, quarum mentio sit in Graecis nummis, Pars I. Historiae Academiae Pisenae, Latinae Orationes VI, Ad Academicos Pisanes. Odoardo Corsini. Edoardo Corsini. Silvestro Corsini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corsini” – The Swimming-Pool Library.

 

CORTESE (Milano). Filosofo e alpinista. Grice: “I love Cortese; first he wrote on Frege, whose views on ‘aber’ are very much like mine on ‘but’! – But then he also wrote on ‘irony,’ alla Socrates – as per Kierkegaard’s example, “He’s a fine fellow! => He’s a scouncrel --, and most ‘theoretically,’ as the Italians put it – on the ‘principle of meaning’ – significato – which had me thinking – I very freely speak of the principle of conversational helpfulness, but somehow, principle of ‘signification’ sounds obtuse! Signification seems too natural to require a principle! If helpfulness and benevolence are evolutionary traits, they are certainly NOT ‘instituted’ as principles, even if they are requirements for trust and the ‘institution of decisions’!” “I am anything but a contractualist, and principle has to be taken with a pinch of salt!” If I speak of a rational constraint, the idea of a principle evaporates: it’s conversation as rational cooperation – as I put it – as different from and stronger than ‘conversation as mere cooperation’ – but this slogan frees us from a commitment to the existence of a ‘principle’ to which we might want later to provide with some sort of ‘psycho-logical’ validation!” Di una famiglia originaria di Sant’Angelo Lodigiano. Si laurea a Trieste e Milano sotto Bontadini e Noce. Insegna a Trieste. Studia Kierkegaard, Gioberti. Italianismi in Kierkegaard. Altre opere: “Kirkegaardiana” (Milano); “Esistenzialismo e fenomenologia” SEI, Torino); “Protologia e temporalità, Gregoriana, Roma); “Kierkegaard” (Milan); “Del principio di creazione o del significato” Liviana, Padova, Kierkegaard” (La scuola, Brescia); “Ironia” (Marietti, Genova); La Creazione: Un'apologia accidentale della filosofia” (Marietti, Genova); “Il negozio del sapone, Liviana, Padova); “Enten-Eller ([Victor Eremita” (Adelphi, Milano); “L'attrice” (Antilia, Treviso); “Un discorso edificante” (Marietti, Genova); Il naturale e il sovra-naturale (Padova); Ermeneutica” (Lint, Trieste), “Il responsabile” – “Eden” – “Introduzione all’introduzione” del Gioberti – “Frege: signare il concetto”; “Liberalismo” -- Grice: Can a sign have a different meaning for utterer and recipient? – If so, why do we keep calling communication – signare seems to be still good enough! -- Alessandro Cortese. Keywords: Kierkegaard, soap, sapone, actress, attrice, edifying discourse, discorso edificante, naturale/sopra-naturale/preter-naturale, Paul Carus, hyperphysical. Those spots means she has the devil inside her. Praeter-natural implicatura, supra-natural implicature, non-natural implicature, natural implicature. “Del significato”, ironia socratica, sapone, Savona, signare il concetto, sovrannaturale, liberalismo, il responsabile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cortese” – The Swimming-Pool Library.

 

CORVAGLIA. (Melissano). Filosofo. Grice: “I love Corvaglia – or corvus in diluvio, as he called himself! – a very Italian philosopher and thus interested in the history of Italian philosophy, especially Vannini – the fact that he wrote plays on philosophical subjects – La casa di Seneca – helps!”  Opera nel campo della filosofia del rinascimento. Tra gli studi filosofico-scientifici si distinguono per vastità e profondità i volumi Le opere di Vanini e le loro fonti, e Vanini Edizioni e plagi, risposta polemica condotta contro le veementi critiche ricevute Porzio.  Pubblica il romanzo Finibusterre, trasfigurazione quasi sacra della sua amata terra e del popolo del Basso Salento, ch'egli incitava con ogni mezzo, anche se spesso travisato e intralciato e persino calunniato a crescere, per migliorare materialmente e moralmente. Il romanzo fu ben accolto dalla critica. Benedetto Croce, a cui Corvaglia lo aveva dedicato, rimarcò "lo sfondo storico rappresentato in modo assai vigoroso" e il "trattamento dei caratteri e degli effetti". Con maggiore puntualità Annibale Pastore (già suo professore all'Torino) gli confidava di sentire emergere nella sua mente, attraverso figure e temi del romanzo, ricordi sepolti, "struggente malinconia", un mondo molto simile a quello del Manzoni, "anch'esso celato alla superficie, soffuso d'ironia-limite", e tuttavia turbato da altri affascinanti caratteri, quali: "il sorprendente realismo, la perfetta armonia, l'effusione poetica, l'occhio acuto e sicuro, che scruta l'animo umano fin nelle più remote pieghe".  Si dedica totalmente alla filosofia del Rinascimento, animato dal bisogno di trarre alla luce obliterate sorgive  e percorrendo il movimento spesso alquanto sconosciuto della filosofia, che dal Rinascimento risale fino al Medio Evo.  S'apre nella sua vita uno spiraglio di fiducia verso gli uomini impegnati, e si prestadoverosamente secondo la sua fede politica all'attività politica, accogliendo e votandosi alla cultura mazziniana, cui rimane Fedele.. È di questo periodo la pubblicazione, tra l'altro, dei Quaderni Mazziniani: “Noi Mazziniani”, “Mazzini ed il Partito di Azione”, “L'Acherontico retaggio”, “Il Partito Repubblicano italiano”, il discorso Ai giovani, la conferenza (edita da Laterza) su Giuseppe Mazzini. Dopo la proclamazione della Repubblica, però, si allontana da ogni azione politica, ritenendola del tutto estranea e lontana dall'ideale da lui vagheggiato e sperato. Si trasferisce a Roma, nell'ambiente culturale a lui più consono, ritornando agli studi tra i suoi libri, dove soltanto sente di vivere senza alcun compromesso, in assoluta libertà.  Cascata di S.M. di Leuca. Scaligero, un saggio di "speleologia". Saggio su Cardano. Su iniziativa del comune di Melissano, è stato avviato un "Biennio di Studio su Corvaglia", al fine di approfondirne e divulgarne la conoscenza. Alla realizzazione del progetto collaborano, come protagonisti, anche l'Amministrazione Provinciale di Lecce, l'Università degli Studi del Salento e l'Istituto Comprensivo Statale di Melissano, che chiuderanno il biennio dei lavori, organizzando un Convegno su Corvaglia", al fine di dibattere argomenti di particolare interesse presenti nella sua opera. A tale riguardo si sta già operando non solo sul piano della ricerca specialistica e accademica, ma anche sulla promozione d'iniziative, che coinvolgano biblioteche e settori culturali degli enti locali, creando opportunità per sviluppare in maniera articolata e organica la ricognizione e la valorizzazione del patrimonio culturale salentino in generale e melissanese in particolare, lasciato in eredità da Corvaglia.   La casa di Seneca- Commedia di L. Corvaglia. Altre opere: “La casa di Seneca” (Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Rondini (dedicata "Al mio povero innocente Nova, fuggevole visione di un Infinito", che avvampa e dilegua in vicenda amara di avventi senza natale"; Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Tantalo” Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce), Santa Teresa e Aldonzo (L. Cappelli Editore, Bologna); Rondini- Commedia; “Romanzo Finibusterre, Editrice Dante Alighieri, Milano); “Le fonti della filosofia di Vanini” (Anphitheatrum Aeternae Providentiae, Società Dante Alighieri, Milano); “Introduzione semi-seria dialogata per il lettore Vanini” (Edizioni e plagi, Tipografia Carra di Casarano); “Ricognizione delle opere di G.C. Vanini, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana”; La poetica di Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana", Quaderni Mazziniani; “Noi Mazziniani” Tipografica di Matino (Lecce), “Mazzini e il partito d' azione (critica), Tipografica di Matino (Lecce), “ L'acherontico retaggio (con l'elogio della vita comune), Tipografica di Matino (Lecce), Quaderni Mazziniani n° 4. Il partito repubblicano italiano, Tipografica di Matino (Lecce). Discorso tenuto a Lecce nel Teatro Paisiello il 21 gennaio 1945. Giuseppe Mazzini, Discorso commemorativo tenuto a Lecce nel Teatro Apollo, Laterza, Bari,"Rinascenza salentina", Un Paese del Sud. Melissano. Storia e tradizioni popolari, Tipografia di Matino. Meridionalista e Polemista, La Poetica di Giulio Cesare Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, Musicaos Editore, Sulla Poetica di G.C. Scaligero. Convegno sy Corvaglia. Il pensiero politico di Corvaglia. Popolo Sacralità ReligiositàLuigi Corvaglia. Keywords. Refs.: Vanini, Bordon, poetica, Mazzini, Pomponazzi, Cardano --. Luigi Speranza, “Grice e Corvaglia” – The Swimming-Pool Library.

 

COSI. (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cosi; my favourite of his philosophical essays on justice is the one on ‘l’accordo,’ for this is what my principle of conversational helpfulness or co-operation is all about!”  Giovanni Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna a Firenza, Sassari, Siena. Altre opere: “La liberazione artificiale: l’uomo e il diritto di fronte a la droga” (Milano: Giuffrè); "Religiosità e teoria critica" (Giuffre); "Secolarizzazione e ri-sacralizzazioni" (Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di archetipologia” (FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile"; "Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come gentiluomo (Giuntina); “La  obbedienza civile, la disobbedienza civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la plutocracia, la democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista perduto: avvocati e identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica” (Giappichelli, Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo spazio della mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè). “Invece di giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto della diada conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia” (Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione artificiale: l'uomo e il diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio sulla disobbedienza civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè, Milano; Il giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, Firenze; Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, Franco Angeli, Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La responsabilità del giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino; Società, diritto, culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e prevenzione: materiali di etica professionale, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze; Per una politica del diritto del fenomeno droga: problemi e prospettive", Archivio Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per una comprensione culturale dell'uso di droghe", Testimonianze; "Religiosità e Teoria Critica: la teologia negativa di Max Horkheimer", Rivista di Filosofia Neo-scolastica, "Secolarizzazione e risacralizzazioni: le sopravalutazioni post-illuministiche dell'immanentismo", in L. Lombardi Vallauri - G. Dilcher (eds.), Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Giuffrè - Nomos Verlag, Milano - Baden-Baden);  "Sulla 'naturalità' dei diritti civili", Testimonianze; "L'Uno o i Molti? Il 'nuovo politeismo' di Miller e Hillman", Testimonianze; "Ordine e dissenso. La disobbedienza civile nella società liberale", Jus; "Iniziazione e tossicomania: intorno a un libro di Luigi Zoja", Testimonianze; "Le aporie del pacifismo: critica della pace come ideologia", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "L'immagine sofferente della legge", L'Immaginale; "Diritto e morale in tema di aborto", Testimonianze; "Professionalità e personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella società", Sociologia del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente: appunti storici e sociologici sulla professione legale", Materiali per una storia della cultura giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto;  "Il diritto del mondo I", Anima; "Un anniversario dimenticato: Il Bill del 1689 e la sua eredità", Sociologia del Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di identità degli avvocati", in Storia del diritto e teoria politica, Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Macerata; "Verso il paese di Inanna", Anima;"Avvocato o giurista?", comunicazione al VI Convegno nazionale di studio dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, Firenze, Iustitia, "Tutela del mondo e normatività naturale", in L. Lombardi Vallauri (ed.), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano); "Tutela del mondo e strumenti giuridici", Testimonianze; "La professione legale tra etica e deontologia", Etica degli Affari e delle professione; "Diritto e realizzazione: un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini della coscienza", Per  la filosofia; "Naturalità del diritto e universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto,"Naturalità del diritto e universali giuridici", in F. D'AGOSTINO (ed.), Pluralità delle culture e universalità dei diritti, Giappichelli, Torino); "Etica secondo il ruolo", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "Purezza e olocausto: un'interpretazione psicologico-culturale", Per  la Filosofia; "Logos giuridico e archetipi normativi", in L. LOMBARDI VALLAURI (ed.), Logos dell'essere, Logos della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia senza giudizio. Limiti del diritto e tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e A. AMOROSO (ed.), Teoria e pratica della mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le forme dell’informale”, comunicazione al XXI Congresso Nazionale della Società di Filosofia Giuridica e Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti del suddetto Convegno, Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti Scuola, “Controllare la professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia e prevenzione”, Dirigenti Scuola. Grice: “Italians are afraid of the ‘sacro’ because since the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! – unless otherwise stated by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have spent more time analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to realise how wrong his theory is!” Grice: “Austin, who taught morals at Oxford, should have examined, as Cosi does, what we mean by ‘responsible philosopher’ before opening his mouth!” – Grice: “My idea of helpfulness does not quite include that of ‘mediation’ but it should – the space of mediation in the conflict in the conversational dyad! I owe this to Cosi.” Grice: “I decided to use ‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. – His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni Cosi. Keywords: il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato – legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura, naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo, fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosi” – The Swimming-Pool Library.

 

COSMACINI (Milano). Filosofo. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’! – on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini (Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie. raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere: la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale. Gius. Laterza & Figli); “Medicina e Sanità in Italia nel Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma-Bari, Laterza); “La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano, Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. Cosmacini-Cristina Cenedella, I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza); “Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano. Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Raffaello Cortina, La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di medico. Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca' Granda. Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari, Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e i tempi di Giovanni Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute e bioetica, Torino, Einaudi, G. Cosmacini-Roberto Satolli, Lettera a un medico sulla cura degli uomini, Roma-Bari, Laterza, La vita nelle mani. Storia della chirurgia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre edizioni, Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi, Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il romanzo di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo. Un «tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC Edizioni, Le spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina, Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano, Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie. Vita e avventure di Augustus Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza); “Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e stetoscopio. Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica", AlboVersorio, . Medicina e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina e il nostro tempo” (Collana Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un triennio cruciale. Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea. Medici socialisti e compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco,  Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina tra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco,  Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici, medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni, . Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna, NodoLibri,  Salute e medicina a Milano. Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo” (Pantarei); “Il viaggio di un ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia cordis, Ass. Gianmario Beretta, . Curatele Dizionario di storia della salute, G. Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino, Einaudi.  “mutua gratia” - Practicis nostris , Muri LAPIDES , sine inscriptione , apud nus, gadinca, vel Hnoc . Non liquet, “don mutual” – mutual gift -- Charta ann . 1326. in Chartul . Hygenum de Limitibus constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes , in Con thesaur. S. Germ. Prat. fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta suet. MSS. Eccl . Colon . e Bibl . Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto thesaurario quasdam Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. 1129. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ. Vide Multo, litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom . 6. col. 623 Nulla angaria , par I mutio , id est, Patuus. Vocabul . dictam Ysabellam et prædictum defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris . dum vivebat , et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron. Parmense ad mutis, Truncus, stirps . Pactum inter nio inter ipsos. ann. 1996. apud eumdem tom . 9. col . 834 : Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”, Mutuum, seu exactionem ec impositum fuit per commune Parma 1343. in Reg: 134. Chartoph. reg. ch. 34 : nomine mutui impositam solvere. Vide unum mutuum octo millium librarum impe recte tendendo ad pedem cujusdam margassii mutuum . rialium per episcopatum , et quinque millium seu claperii in quo margassio seu cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti- per civitatem . Et mutuum clericis fuit im rio sunt duæ mutes arborum . dii Archiep. Bisonticensis cap. 5 : Bene- positum duo millium librarum, etc. Chron . Åwwvíz , in Gloss . Græc. Lat. dictionis ergo dono mutuatim dato , etc. Mutin . ibid . tom. II. col. 122 : Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3 . p.112, Eoque quippiam petere volente, MSS. Auscior. art. 3 : Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est; qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1 : V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet , et tandem certa ex Ital . Mutola , Muta . Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia comprobatur. Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9 . Reb . gest. Italic . pag. 86 : Communes da præterea toin . 2.Sanctorum Apr. pag. 429.] , Idem quod Expeditatus, riæ , exactionesque et Mutua publica el priMuronagium . Vide in Charta Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis Monasterii Ka Mullo . latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib . ann. 1308. ex ( Ovis, Massiliensibus Mous, Nudus , glaber. Regesto Philippi Pulcri Regis Franc. Tabu tonfede. Charta ann . 1390 : Quilibet Mu- Gloss. Lat . Græc. MSS. Sangerman . larii Regii n . 11 : Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat xvi. denarios. * Castigat . in utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis mutuare voluerint habitan Lugdunensibus , Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns , ex Vulc. tes. Ita in Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4: Si citania ann. 1298. in alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem ibidem infra terminationem aliqua in- Regis ann. 1299. n. 16. Vide Credentia , neum . Supplem . Antiquarii et Gloss. MSS. dicia sua arte , vel butinæ ,aut Lat. Græc. Sangerm . Aliud itidem Gloss. : extiterint, ad sacramentum non admittatur, *mutuum coactum* exactio , quæ a Mutonium , Tepábeuo , Additio. etc. Ubi mutuli, videntur esse aggeres ter- dominis in urgentibus negotiis suis ac ne 1., quos Motes nostri vocant : aut forte cessitatibus fiebat super subditos, vassallos, equilatus , quod sic describit Jovius Hist. lapides ii quosMuros vocant Agrimensores,ac tenentes cum restitutionis conditione ac lib . 14: Mutpharachæ admirabili virtute i. sine inscriptione, vice terminorum po- pollicitatione : a qua quidem exactione præstantes , toto orbe conquisiti, ea condi- siti. Vide Bonna 2 . exempta pleraque oppida, quibus concessæ tione militant, ut quos velint Deos , impune KF Errat Cangius , si fides Eccardo , libertates , leguntur. Charla libertatum colant, præsentique tantum Imperatori ope- in Notis ad Legem citatam , quam ad cal- Aquarum Mortuarum ann . 1246 : Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino cem Legis Salicæ edidit . Mútuli enim sunt habitatores loci illius sint liberi et immunes in Lex. milit . machinaliones clandestinæ , vel seditiones ab omnibus questis , talliis , et toltis , et clam excitatæ , a veteri German .Meulen , tuo coucto , et omni ademptu coacto. Con capitis tegumentum , quod monachi cap. | clandestine agere , unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS. cap. 56: paronem vocabant. Gall . Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin. Hæc vir Toltam nec quistam , vel Mutuum coactum , col uti. Mutrellis 782 : Statuimus in dormitorio , quod liceat fratribus eruditus ; quæ tameninmeam fidem reci. vel aliquam exactionem coactam non habet ; . Vide Mitræ . necunquam habuit dominus Montispessulani I Vide Morth . I Gall . Mouton . in hominibus Montispessulani. Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann. 1307. exArchivis Massil. : naculæ , totas inquistas , ni prest forsat , o Terrear.villæ de Busseul ex Cod . reg. 6017. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha , etc. Libertates fol. 47. vº. : Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum , astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2 . Feda 2 . pere nolim. 75 594 etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem significatu , De S. 6 : L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ ex Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom . 1. Maii pag. 399 : ROBRECHARIO VIX ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140 : Nec recipiemus Episcopus Narniensis ex suo palatio , ialari L. OLYMPUSA PECIT.  in ibi Muruum , nisi gratis nobis mutuare velint reste indutus , racheto et Muzzeta. Vide Inscript. ccxcix . 3. Vide Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta. hac voce . magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in . Fantasia , miratores. Pa Mutuum VIOLENTUM , in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo. pias. tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw , Mugio , reboo. Vide Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta , in I Piscis genus, qui alius zer. Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem. in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat . Computus ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318 : Debeat solvere emptori villa : Omnes homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium , solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes , el eorum hæredes, a 575 : Et in 111. copulis viridis piscis ... Et bet rubo piscium , et intelligatur detracta talia , ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos et immunes esse sol. vi. d . et in xx. Myllewell majoris sortis Eadem notione, usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi VI. Re- Xit, sol. ( * Vide Mulsellus.] lius Aurelianus , Celsus, et Apicius. Vide gis Frane. 3. Febr. ann. 1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum fieri ullum Mutuum coactum xop. myn'e'cen'e , vel minicene, hodie Graviter, com super subditos suos : quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse. Copeil. posite ambulare. Chron. Ditm . Mersburz. anie exegisse docet Diploma anni 1342. Ænbamiense in Anglia ann. 1009. cap. 1 : l'episc. tom . 10. Collect. Histor. Frane. pag. 28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates , monachi et Mynecenæ , 131 : Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud ann . 1309. in 12. Regesto Char- canonici et nonne , natoribus duodecim vallatus , quorum ser tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in rasi barba ,alii prolixa Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis 30. Cantharus po- cum buculis , etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius Scaligero , qui a similitudine muris I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in Regestis publicis testa- et barbæ , quæ in conum desinit, Myobar- tus; titulus honorarius Archiep. Toletani , tur D. de Lauriere tom . 2. Ordinat. Reg. bum voce ibrida dietum existimat . Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234. Undeexistimat D. Cangium bus vero Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd . | bum compositum mure et barbo, quod |  , Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15. non3. Febr.spectasse, mensuram , liquidorum sescunciam penitus , vel princeps. Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut sit tamquam muris cya- 349 : Bene est , quod ipse ex omnibus My subditis suis exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le ; emendat Lil . Gyraldus  Epist, *mutuum violatum* Exactio nomine xobarbaru , quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP. ann.748. tom. 1. Rer. Mo *mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum in Harpocrate pag . 78. gunt. pag . 255, Officium , sacra Li mutuum violatum, velmessionem bajuli vel turgia . Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum . [** Leg. Violentum ut, supra.) ctum ... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege Hispan.: Tunc Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem ligabis oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis Portugalliæ tom . 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida , aut spongia in ipsa Aldebrandum cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua infusa. rius. Ideo hoc fecit , quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam . 9piratici genus arium habere voluit in omni Regno. Infra : mutuum, stipendium datum in ante- , ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium in cessum . Lit. ann . 1408. tom . 9. Ordinat. nebo lib . 3. Adversar. cap. 1 . nomen omne regnum Regis Adefonsi æra 1113. ( Chr. reg . Franc. pag. 363, art. 1 : Ordinamus adepti . Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores, thesaurarios, ... hoc est , angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag. parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. 1427. 1728. col. 2 : Indutus est ( Gratilianus ) ve nostras accedant, *mutuum* fieri priusquam apud Murator. tom . 31. Script. Ital.col.stimentis a. Grice: “The grammar of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated. But I’m sure Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’ doesn’t make sense as an analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both ways) or exchange *information* -- The grammar is: A and B are in love – implicated: ‘mutual’ --  A and B are friends – implicated: mutual. Dickens, who never attended Oxford, would never catch the subtlety of his biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But I’m surprised from Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini. Keywords: compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della medicina, Foucault, l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica, giacobinismo, fascismo, giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina fascista, la medicina non e una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical della vita, bio-chemistry –Grice on life, the philosophy of life, cooperation and compassion. Imperativo conversazionale, compassione conversazionale, imperative della mutualita conversazionale – mutualita conversazionale – imperative of conversational mutuality, mutuality, mutual, the depth grammar of mutuality – Grice against Schiffer – Grice scared by ‘mutual knowledge’ – and using it in scare quotes (“Such monsters as Schiffer’s ‘mutual knowledge’ have been proposed to replace my regress when there’s nothing wrong with stopping it elsewise!”  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmacini” – The Swimming-Pool Library.

 

COSMI (Casteltermini). Filosofo. Grice: “I love Cosmi – for one he uses the very exact phrase I do, ‘the general principles of discourse,’ and he also finds them to have a rational (‘razionale’) basis – they involve those desiderata for helpful communication, a co-operative principle – concerning most constraints I refer to: the necessity to avoid superfluity (supperfluita) and to maximize clarity (chiarezza) – so that’s genial!” – Grice: “Cosmi actually has two treatise, a more theoretical one, “General principles of discourse,” and an applied tract, “Metodo’ – of the “general principles of discourse’ – he had already elaborated on all the figures of rhetoric, so he knew what he was talking about and where he was leading --.” Grice: “The fact that he like me also loved Locke – and perhaps was more of a ‘sensista’ than I am, makes him great, too!” Fu un'imponente filosofo, no italiano, ma siciliano (Grice: “Sicily is not considered part of the ‘peninsola italiana’). Formatosi nel Seminario dei Chierici di Agrigento, ricopre la carica di rettore a Catania. Riceve dal re Ferdinando l'incarico di redigere il piano regolatore della filosofia siciliana. Da un rilevante contributo all'innovazione del illuministimo. Fu un grande filosofo, il primo e il più geniale del regno meridionale e uno dei primi e più geniali del Settecento italiano. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Principi generali del discorso, e della ortografia italiana ad uso delle regie scuole normali di Sicilia by Giovanni Agostino De Cosmi( Book )  1 edition published in 1984 in Italian and held by 2 WorldCat member libraries worldwide. E primo forne il D2 Cosmi. Questo e un aureo libretto dei "Principi Generali del discorso" – i. e. un principio comune a ogni discorso. Questo affinchè il filosofo a una nozione direttrice, non superflue. In questo trattato invano cercheresti quella immensa farragine di precetti disordinati, e quelle infinite minuterie non necessarie, con cui si sostitoleva confondere e stancare la prattica conversazionale del giovanetto. Si spone un solo principio generale e fondamentale, sintetizzato nell'antico ma verissimo motto: precetto uno. Il resto e uso. Questa mia preziosa filosofia è un sapientissimo essamine pel filosofo che vuole adoperare il "metodo conversazionale." Quivi si ricorda dapprimà quanto in occasione di filosofare sulla maniera di dare la prima istruzione conversazionale al ragazzo, in caso la necessita. Si ricorda come puo potè attuare la mia prammatica conversazionale, mettendo in esecuzione un maniobra chiara, spedita, uniforme per ogni topico conversazionale adattata alla maniera del civil conversare --  è cosa necessaria il sapere la semantica e le implicature conversazionale del volgare linguaggio. Il pirincipio della conversazionale e un principio di chiarezza (perspicuita) -- e un principio di aggiustatezza (approprio_ -- e un principio di mezzana eleganza (stilo estetico), e un principio senza oscurità, e un principio con univoci e senza cattive equivoci (un buon aequi-voce e accettable)– sensa non sunt multiplicanda praeter necessitatem --, e un principio senza superfluità (economia dello sforzo conversazionale, fortitudine conversazionale, candore conversazionale -- e un principio senza barbarismi -- imperciochè la perfezione e efficenza del volgare linguaggio guidato dalla semantica formale e il segno del reale. E vuole che al giovane si da un principio generale e fondamentale -- e un principio generale della conversazione, esposto con metodo ragionabile e calculable e con chiarezza. Un solo principio o imperativo categorico, un principio di efficenza communicative -- un principio soggetto il meno che si può all'eccezione o la violazione involuntaria si non a la splotazione retorica -- e un principio stesso ben capito e ben esercitato, chi forma il  corpo di ogni parte della filosofia. Ebbe un giorno a scrivere di Marco Tullio Cicerone, che questo ingegno eminente prende a gradi la sua maturità e si perfezionava coll’uso, colla riflessione e col maneggio dei grandi affair. Or quello che osservo su Cicerone, intervenne proprio me medesimo, i cui Elementi di filologia, non prometto continuazione; ma osservazioni su l'uso dei Principj del Discorso, e qualche riflessione su i primi pensieri, da cui era partito nell'immaginar il mio metodo, gli somministrarono la materia di un secondo, e anche di un terzo volume di preziose nozioni di metodica prammatica.  Il secondo volume  e come il primo, è diviso in due parti.  La prima parte ha per titolo, “Principj generali del Discorso applicati alla lingua volgare”, per la quale avverto che, sebbene nelle parti già pubblicate dei “Principj generalie del discorso” siesi detto ciò che basta per l'istruzione della prima età; la sperienza mi ha fatto conoscere, che, volendosi col metodo intrapreso tirare innanzi il cammino, per la piena intelligenza,  1 G. A. De Cosmi, Elem. di filol. ecc., tomo I, pag. 231.  • LO STESSO, Elem. di filol, ital. e latina, tomo II, Palermo; pag. III   ed imitazione dei classici principalmente italiani, era necessario ad entrare in qualche più esteso rischiarimento, *non per multiplicare l’imperativo conversazionale, ma per agevolarne l'uso, senza di cui inutili sempre la massima conversazionale universalisable si rimarranno. Dietro di che, in cinque paragrafi, filosofo, con la solita competenza, “Del Pro-nome in generale”, “Del Pro-nome ed dell’Articolo”; “Del pronomi e del verbo che ne dipendono; Della Preposizione, detta “segnacasi”, e “Della Costruzione irregolare”. I quali cinque paragrafi, con la giunta delle prime due parti dei Principj Generali del Discorso già stampati a riprese. Egli fece riunire in separato volumetto per uso degli scolari 3  Io non mi stancherei, dirò col Mollica Di Blasi, di riportare varie altre sentenze, che oggi pajono roba fresca, e pure da presso a un secolo il nostro l'aveva annunziato con tanta chiarezza da farla scorgere anco ai ciechi ; ed è per tanto che riferisco qualche altro criterio, che dovrebbe aver nell'animo e nella coscienza ognuno, che si dà all'educazione specialmente elementare:  Invece di sorprendere, cosi il De Cosmi, l'età fanciullesca coll' apparenza dottrinale di parole incognite, ingegnerassi il maestro a far vedere, che ciò che s'insegna di nuovo, è presso a poco quanto sapeva il fanciullo o quanto avrebbe potuto agevolmente sapere con un poco di riflessione 5.  Anzi che ad un giuoco di memoria desiderava che lo studio fosse diretto allo sviluppo dell'intendimento ; inculcava lo studio dell' aritmetica fatto a norma delle regole predette, e indi tornava a ribadire che:  Per mantenere sempre desta l'attività nella mente degli allievi, è di somma importanza il non sgomentarli giammai coll'apparenza di gravi difficoltà nelle operazioni che loro si propongono; anzi colla frequenza degli esempi il far loro osservare, che avrebbero da se sciolto le domande, se avessero fatto riflessione alle cose sa pute 6.  E poi seguiva cosi :  Che se alle volte occorrerà di dovere insegnare delle cose difficili, allora il maestro procurerà di scemare la difficoltà colla curiosità della ricerca , perchè il piacere della scoverta l'incoraggisca al tedio dell'operazione. Ma qualora la curiosità non è infiammata, il fanciullo non sente altro che la fatica, e la fatica sola da se ributta 7.  Poi chiedeva a se stesso :  É necessario il rappresentare al naturale lo stato presente della educazione ncstra letteraria? Lo farò con coraggio. Si è caricata la nostra memoria; perciò è rimasto senza energia e senza originalità l'intelletto. La nostra filosofia, in vece   1 G. A. De Cosmi, Metodo dei principj generali del Discorso, Palermo, 1792, p. 1-6.   . Lo stesso, Metodo cit., p. 5.  3 Lo stesso, Op. cit., p. 8.  * GAETANO MOLLIGA DE BLABI, Note storiche di G. A. De Cosmi; Palermo, 1883, p. 18.  • G. A. De Cosmi, Metodo ecc., p. 8-9.   . Lo stesso, Op. cit., p. 14.   . Lo stesso, Op. cit., p. 15.   d'essere l'arte di pensare, è stata l'arte di parlare di ciò che non s'intende; la nostra rettɔrica, l'arte di csaggerare con parole, e di parlare a controsen 30. Gran servigio, gran servigio, ridico, si presta al pubblico da chi indirizza per la strada regia del sipere la presente gioventù, da chi coltiva la loro ragione e il loro cuore.  Era tempo oramai di aprirsi a tutti la strada alla coltura delle scienze e delle arti; di venire nella comune estimazione le cognizioni realmente utili all'umanità, di siudiarsi la Natura nei suoi varj regni e nel suo vero prospetto. Era già il tempo ce la pubblica e la privata utilità fossero rico 103ciute ch.n: la misar di calcolare l'importanza delle cognizioni; che la Religione s'impari nella sua storia, nei suoi Dogmi, nella sua Morale, mi senza il pru:ito della costroversia ; che nelle lingue doite si cerchi il gusto, ma senza pedanteria; che le matematiche, e l'analisi ci servano di guida nelle cognizioni astratte; che nelle scienze naturali si cerchino i mezzi per accrescere, o conservare la sanità dei nostri corpi, o per influire ne la ricchezza nazionale, coltivando e migliorando i prodotti dell'arte e della natura; e che finalmente la volgare e popolare lingua, vero termometro della coltura nazionale, si perfezioni; che non pud perfezionarsi, senza che si eserciti la ragione nello stesso tempo '.  [ocr errors] IV.  A questa stupenda Direzione pei maestri, il De Cosmi unì la prima parte dei Principj Generali del Discor30, che già aveva stampato a solo sin. dal 1790 ; cui fece seguire ora dalla parte secondo, che delle proposizioni, dei verbi, dei pronomi, delle congiunzioni s'intertiene, chiudendola con alcune regole primarie ad illustrazione delle altre, messe in fine della prima parte; e terminando l'aureo librettino con un capitolo sulla Scelta dei libri necessari allo studio della lingua italiana; dove vuole che siano preferiti i libri del Trecento; additando per libro di prima lettura il Fiore di virtù o il Volgarizzamento dei Gradi di S. Girolamo, 'od anche gli Ammaestra. minti degli antichi di frate Bartolomeo da San Concordio; e per la seconda classe, il Trattato del Governo della famiglia di Agnolo Pandolfini 5.  A sintesi di tutto il libretto il De Cosmi conchiude così:  Ciò che i maestri debbono inculcar continuamente alle tenere orecchie degli scolari sarà la necessità delle regole e dell'uso; perchè l'uso e le regole sono i veri arbitri di ogni lingua. Nulla contro le regole, nissuna parola fuori dell'uso",  Questo pregevole volumetto incontrò l'applauso di tutti i letterati; e un di essi, che si volle occultare sotto le iniziali 0. G. R. P., ne fece una bellissima ed estesa rivista nelle Notizie Letterarie di Cesena-agosto 1792 “.   1 G. A. De Cosmi, Op. cit., p. 17-18.  . Vedi sopra pag. 166.  • G. A. De Cosat, Metodo ecc., p. 56-57."  • Lo stesso, Op. cit., p. 60-61.  * Pag. 55 e seg.   L'articolo dell' O. G. R. P. venne riprodotto da Giov. D'Angelo nelle 840 Memorie per servire alla Storia letteraria di Sicilia; vol. III, Ms. della Biblioteca Comunale  V.

 

 

Giovanni Agostino De Cosmi. Giovanni Cosmi.

 

COSOTTINI (Figline Valdarno). Filosofo. Grice: “Cosotini considers ‘Home, sweet home,’ in terms of linearity – surely Miss X can ‘improve’ on the score! Especially if she did visit Payne’s little cottage by the sea – in Easthampton, and shed a tear!”. Si laurea a Firenze con “Fenomenologia”. Fonda GRIM, Gruppo per la Reserccia dell’Improvisazione Musicale. GRICE Gruppo por la research dell’Improvisazione conversazione espressiva. Insegna Improvvisazione Musicale. Le Fanfole, canzoni composte su testi del poemetto meta-semantico di Fosco Maraini Gnosi delle Fanfole. Linearità e Nonlinearita in semiotica – sintagma lineare, sintagma soprasegmentale – the volume of a sound – a ‘natural’ expression of pain – the higher the volume, the higher the pine --. Grice on stress, intonation and implicature. I KNOW it. I KNOW it (you don’t have to tell me). SMITH paid the bill. Due conversazionaliste si muovono pacatamente per le loro vie, variando direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e mai serrati. “La musica dei matti” creazione dialogica di suoni del tutto libera e interamente legata all'istante, tale da produrre mozzione conversazionale dallo sviluppo verticale. Improvvisare la verità. Il concetto di ‘improvvisare’ improvissato – cf. English ‘improved’. Improvisation – improvised. Musica e Filosofia. Realizza la partitura grafica Dettagliper tre esecutori, che consiste di una mappa e ottantuno carte con segni grafici codificati (la mappa e le carte sono i “veicoli” e il modo in cui si legge la grafia genera molteplici possibilità di implicature. “wordless novel”. I suoi studi si concentrano sulla filosofia della musica e sull’improvvisazione musicale, scrivendo numerosi saggi per riviste specializzate come Musica Domani, Perspectives of New Music, Aisthesis, Musicheria e la rivista online De Musica.  Inoltre pubblica un saggio sul silenzio e sulle sue potenzialità performative. Metodologia dell'Improvvisazione Musicale. Tra Linearità e Nonlinearità, un libro di metodologia dell’improvvisazione musicale nel quale Cosottini teorizza la dicotomia tra Linearità e Nonlineairtà come strumento per l’analisi dell’improvvisazione musicale.  Non-linearita EDT, il silenzio in contesto non lineare, Filosofia della Musica. Non-linearità.  Metodi non lineari. EDT Non linearità. EDT Ascolto creativo e scrittura creativa di un’improvvisazione musicale. Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra Linearità e Nonlinearità Edizioni ETS, L’estetica dell’improvvisazione tra suono e silenzio in Musica Domani, improvisation-research-center--musica-e-filosofia. Do You Need A Sign. Mirio Cosottini. Grice: “I am sure that a suprasegmental or non-linear segment adds to what a conversationalist means – he means THAT Smith did not pay the bill, and that somebody else did” – By stressing on LOVE he means that he likes her AND that he loves her.” Keywords: prosodia, Hjelmslev, Hockett, fonema, tratto sopra-segmentale, stress – Grice’s examples: “Smith kicked the cat” – “Smith didn’t pay the bill. Nowell did.” “Smith didn’t pay the bill”. “I knew it” “I love her” -- segno, nonlinearita, codice, soprasegmento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cossottini” – The Swimming-Pool Library.

 

COSTA (Torre del Greco). Filosofo. Grice: “I love Costa; if I have to chose three of my favourite essays of his, those would be, “Le passioni,” “L’uomo fuori di se: l’esternalissazione’ and above all, his sublime, “l’estetica della communicazione,’ which is what my philosophy is all about!” --  Mario Costa (Torre del Greco), filosofo. È conosciuto, in particolare, per aver studiato le conseguenze, nell’arte e nell’estetica, delle nuove tecnologie, introducendo nel dibattito filosofico una nuova prospettiva teorica, attraverso concetti come "estetica della comunicazione", "sublime tecnologico", "blocco comunicante", "estetica del flusso".   È stato Professore di Estetica all'Salerno e, come professore incaricato di Metodologia e storia della critica letteraria e di Etica ed estetica della comunicazione, ha contemporaneamente insegnato per molti anni nelle Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). A Salerno ha fondato e diretto, daArtmedia, Laboratorio permanente dedicato al rapporto tra tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su queste tematiche decine di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali. L'estetica dei media ha ottenuto il Premio Nazionale "Diego Fabbri". Pubblicato una trentina di libri; alcuni di essi e numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in America. Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica e filosofica delle avanguardie artistiche, e l'elaborazione di una filosofia della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei cambiamenti che la nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e nell'estetico.  Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate, ha fornito un complesso di interpretazioni filosofiche ed estetiche di numerosi movimenti dell'avanguardia artistica e letteraria. Momenti di particolare rilievo in questo ambito di ricerca possono essere considerati i suoi lavori su Duchamp e sulle funzioni della moderna critica d'arte, nonché i suoi studi sul "lettrismo" e sullo "schematismo", movimenti artistici di grande importanza, anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in Italia. Per quanto riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo pensiero si è a sua volta sviluppato secondo due assi fondamentali: uno riguardante le conseguenze sociali ed etiche della comunicazione tecnologica, riassunte soprattutto nel libro La televisione e le passioni che analizza gli effetti disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più recente La disumanizzazione tecnologica, e l'altro, dominante rispetto al primo, consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine, della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha condotto ad una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo investigato. Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media, e Dopo la tecnica) la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo dando luogo ad una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale. Alcune opere rappresentative L'estetica dei media può considerarsi, per i contenuti trattati e per la inedita metodologia di indagine instaurata e seguita, un libro che apre un nuovo campo di ricerca, prima del tutto ignorato ed inesplorato dalle discipline estetologiche, quello appunto della "estetica dei media", da non confondere, ad esempio, con l'estetica della fotografia o con quella del cinema, alle quali ha comunque dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro in questione segue ai diversi contributi teorici relativi all'estetica della comunicazione le cui identificazione, nominazione e formulazione teorica risalgono al 1983, e che è ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose Cattedre e indirizzi universitari. Il sublime tecnologico è considerato il lavoro più noto e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso che, considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico dalla nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della dimensione dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una nuova forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto quello che questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime tecnologico è stata diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale della teoria estetica ed ha sollecitato un incalcolabile numero di sperimentazioni da parte di artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed estetica del flusso traccia le linee di una nuova estetica e della sperimentazione artistica che da essa può scaturire. Si tratta da una parte di un violento e argomentato pamphlet contro l'arte contemporanea, ritenuta “una congerie più o meno sgradevole di nullità mercantili”, e dall'altra della tematizzazione ed elaborazione del concetto di “flusso estetico tecnologico”, considerato come ultima e residua possibilità di sperimentazione per gli artisti e come chiave per comprendere alcuni aspetti dell'ontologia contemporanea. Dopo la tecnica () ripercorre la storia delle varie epoche della tecnica sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire configurando, ogni volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di chi da esse è abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la tecnica, una volta connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo incondizionatamente autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad appartenerle e a favorire il suo sviluppo. Altre opere: “Arte come soprastruttura”, Napoli, CIDED, Teoria e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore, Il ‘lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina posteriore, Roma, Carucci Editore, Le immagini, la folla e il resto. Il dominio dell'immagine nella società contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Il sublime tecnologico, Salerno, Edisud, L'estetica dei media. Tecnologie e produzione artistica, Lecce, Capone Editore, Il ‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Napoli, Morra, La televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1Lo ‘schematismo'. Avanguardia e psicologia, Napoli, Morra, Lo ‘schématisme parisien'.Tra post-informale ed estetica della comunicazione, Fondazione G.E.Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), Sentimento del sublime e strategie del simbolico, Salerno, Edisud, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Costa & Nolan, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma, Castelvecchi, Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, L'estetica della comunicazione. Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico della simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, Dall'estetica dell'ornamento alla computerart, Napoli, Tempo Lungo, Internet e globalizzazione estetica, Napoli, Tempo Lungo, New Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, oDimenticare l'arte. Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Milano, Franco Angeli, L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, La disumanizzazione tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove tecnologie, Milano, Costa & Nolan, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, Costa & Nolan, Arte contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio Edizioni,  Ontologia dei media, Milano, Post media books,  Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli, Liguori Editore. Il lavoro teorico di Costa teso, tra l'altro, a definire la nuova epoca dell'estetico connessa alle neo-tecnologie elettro-elettroniche e digitali, e a fare in modo che questa si andasse ben configurando e definendo, si è, per ciò stesso, sempre accompagnato ad un'intensa attività di promozione estetico-culturale:  agli inizi degli anni ottanta organizza a Napoli, col supporto della RAI-TV, una grande esposizione di videoarte (Differenzavideo); per sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti dalle tecnologie della comunicazione, co-organizza (conPerniola) presso l'Salerno, il Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte, pubblicati sulla Rivista di estetica di Torino, necrea, con l'artista francese Fred Forest, il movimento internazionale dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari contesti  (Electra di Frank Popper, al Centre Pompidou a La Revue parlée di Blaise Gautier, ialla Sorbonne, al Séminaire de Philosophie de l'art di Olivier Revault D'Allonnes); nei mesi di marzo-aprile del 1984 dà luogo al primo evento/rassegna di estetica della comunicazione (L'immaginario tecnologico, Benevento, Museo del Sannio); a partire dal 1985 concepisce e dirige, presso l'Salerno, Artmedia, Convegno Internazionale di Estetica dei Media e della Comunicazione; organizza presso l'Salerno un Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; nel febbraio 1989 organizza presso la stessa Università il Convegno "Il suono da lontano". Eventi sonori e tecnologie della comunicazione"; realizza, per la RAI-TV (Dipartimento Scuola e Educazione) la trasmissione televisiva in tre puntate: Un'estetica per i media; fa svolgere, presso la settecentesca Villa Bruno (S.GiorgioNapoli) Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media e della Comunicazione; nel 1990 presenta per la prima volta in Italia presso l'Salerno due videoplays di Samuel Beckett; nel 1995 fonda e dirige, la Rivista Internazionale Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e tecnologie, fonda e dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici, una «Collana di Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche connesse ai nuovi media (testi di Francesco Piselli, Anne Cauquelin, Theodor W. Adorno, Costa, Marie-Claude Vettraino-Solulard, Dorfles);  co-organizza a Parigi la VIII Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2003 co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza; organizza presso il Museo del Sannio di Benevento la Mostra New Technologies (Roy Ascott, Maurizio Bolognini, Fred Forest, Richard Kriesche, Mit Mitropoulos); norganizza presso l'Salerno la IX Edizione di Artmedia; nco-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2009 organizza presso l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo "L'oggetto estetico dell'avvenire". Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi Editore, 1976; Mario Costa, L'oggetto estetico e la critica, Edisud, Salerno. Mario Costa, Il 'lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina, Carucci Editore, Roma,Il 'lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Morra, Napoli, Si veda anche Signe, forme, schéma, ornement, in "Schéma et schématisation", 57, Parigi 2002,  L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma, Mario Costa, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma, Arte contemporanea ed estetica del flusso, Mercurio, Vercelli . Inoltre: Technology, Artistic Production and the "Aesthetics of communication", in "Leonardo", Tecnologie e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli, Reti e destino della scrittura. Sulla diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si vedano tra gli altri: Philippe Bootz, The thesis of Walter Benjamin and Mario Costa, in Philippe Bootz, Sandy Baldwin, Regards Croisés, West Virginia University Press, Alberto Abruzzese, Il compiersi della pubblicità dal manifesto metropolitano ai linguaggi elettronici del presente: pretesti, testi e questioni, in  (Riccardo Lattuada), Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Derrick de Kerckhove, L'estetica dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di Mario Costa, in "Mass Media",Frank Popper, L'art à l'âge électronique, Paris, Hazan, Mario Costa, professore di estetica, in MCmicrocomputer, n. 208, Roma, Pluricom. Grice: “Costa uses words in ways we don’t allow at Oxford: a sign by which nobody signs; and so on.Mario Costa. Keywords: blocco comunicante, communicazione sine contenuto, communicazione fatica, semiotica, estetica della comunicazione, significante sine significato – segno sine segnato – autoreferenzialita – asemanticita – sintassi – retorica – codice – intenzione communicative, medio, messaggio, recursivita, self-reference, meta-linguaggio – linguaggio come metalinguaggio -- - Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library.

 

Costa (Ravenna). Filosofo. Grice: “My favourite keyword for Costa is ‘contrassegnare’!” – Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke; on the composition of ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli precisi’ – I explored that a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when I attack minimalism and extensionalism, and provide a way which is meant to resemble Locke’s way of words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or ‘composite’ (Costa’s ‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out ‘bachelor’ unmarried male that I play with with Strawson in “In defense of a dogma.” In this respect, it is interesting to see that Costa also wrote on ‘ellocution’ and ‘sintesi’ versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia Ricciarelli, studia a Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa Costa, Bologna -- è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere affiliato alla Carboneria. Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati della elocuzione e del modo di esprimere l’idea e di segnarla con una espressione precisa a fine di ben ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,” Costa segna che fa freddo. Il trattato filosofico della sintesi e dell'analisi; i quattro sermoni dell'arte poetica, un commento alla Divina Commedia, la Vita di Dante, il Dizionario della lingua italiana, poesie (Laocoonte), lettere e traduzioni.  Letterato neo-classico e dunque tipicamente italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani e sostenitore del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella lettera a Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume le sue concezioni filosofiche. È necessario, per togliere la infinita confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare all’espressione un determinato valore. Sostengo che questo non si può ottenere, come crede Locke, colla de-finizione (horismos) (la quale e una scomposizioni di una idea o di piu idee), se prima la idea non sia stata ben composta. Sostengo che questa non si puo compor bene, se prima non si conosce quale ne sieno gli elementi semplici – soggetto e predicato, il S e P -- Sostengo che un elemento semplice e una reminiscenza relative a una sensazione, e che la idea si compone di almenno due di sì fatti elementi – il S e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del sentimento del rapporto di una reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione – nel indicativo o imperative – il giudizio – il giudicato – e la volizione – il volute. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I kantisti ed altri filosofi distinguono una idea in una idea soggettiva e in una idea oggettiva, ed attribuiscono un'origine a posteriori e sintetico alla una ed un'origine a priori e analitico all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura diversa: a posteriori/sintetico, dal senso – e a priori/analitico – dall’intelleto – nihil est in intellectus quod prior non fuerit in sensu.  Ogni idea ha un stesso origine. e questo si fa palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo nascere sue  proposizioni. Una proposizione: "La reminiscenza S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra proposizione: “La reminiscenza S si associa con la reminiscenza P”. Qual è l'origine dell’idea dalla quale deriva sì fatta proposizione? Il sentimento. Dire che la reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che sento che è in me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così direte dell'altra proposizione. Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione e altra proposizione. Il corpo pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la proposizione? Dal sentimento (senso). Perciocché dire che questo corpo pesa è lo stesso che dire che sento il peso di questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che la cagione (causante, causans) della mia sensazione tattile del senso del tattoo è in questo corpo. Così dire che la rose manda odore è lo stesso che dire che sento l'odore della rosa, giu-dico, ovvero, sento che l'odore dela rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè che non sono in me. Fra una idea soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra differenza, se non che nella che si suppone oggetiva  sento che la cagione (causans) è nella nostra persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è in me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea soggetiva nella cosa (il reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa (il reale) fuori? Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora solute. Ma l'ignoranza in che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali di concludere che il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio è un sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre sensazione, una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non fosse, nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe. Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”. Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la qualità della sensazione  di natura diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro, nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo, perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue. Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista. Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS  (sulla formazione padovana del Costa, e sulla sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella [fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore onore, che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla dignità, alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e pacifica; per questa  sono animati i guerrieri – come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più degni modi si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si mantiene nel cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o giovamento a voi stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo nobilissimo studio del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica l'interpretare e l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il venire meco investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè, essendo la favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e si traggono gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione alle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che , pel naturale desiderio, che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine , poniam subitomente al fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE, sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice: “imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima: dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione – cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione, L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea, fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna considerare che ogni idea e composta – il S e P - ; e che alcune, differendo da altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi , comprende le idee delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf. Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere molto dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano i vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa, che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero, pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria, mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf. Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono dinanzi agli occhi  ci somministrano esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa, che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione “moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli, cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de' ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono. Prima,  il saper bene dividere le idee fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili. Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e rendetli ; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero , palafreno, poledro, rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile, o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono , a cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento ; dal che si vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci rappresentano stesso complesso d'idee ; e quindi può intervenire, che ingannali dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari, e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia; e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa, che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso formiamo i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui , qualvolta sieno osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole avvertire, cha talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le quali ' riesce chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella eſficacia, che avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però offendere le delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi) delle parole, che agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di quella, che lo fa chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel ragionamento, il quale di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che viene modificata dalle altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le allre suballerne (o minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro comodi abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu , mu travagliando e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta. L'imperatore ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa) principale (maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa minore). La proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in un dipinto, dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è che vuolsi evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero troppe, invece di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro officio, verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza , che circa le proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura di ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione loro, è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin guono in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte le parli loro sono manifeste, come nella seguente : ľuomo è ragionevole. Diconsi implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti. L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio, che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA (splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve” trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’). Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da' participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo. Quao do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel seguente luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo nell'età più matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato falto nell' età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo libretto si vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata chiarissima. Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi, ed è scritto dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un uomo passò di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel pensiero di alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in Inghilterra, nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge resla alcun poco sospesa. Molte traspposizioni, che si bia simano nella lingua italiana, sono spesso con venevoli nella lingua latina, perchè nella lingua romana gli aggettivi, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri e nei casi si accordano coi sustantivi, rade volte lasciano dubbio a cui vogliano appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto, comunque nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente luogo di Crasso, riportato da Cicerone. Haec tibi est excidenda lingua, qua vel evulsa spiritu ipso libidinem tuam libertas mea refutabit. Tenendo l'ordine di queste parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza: sconvolgendolo si perde tutta l'efficacia. Se diremo. Questa lingua li è d'uopo recidere: recisa questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà, apparirà che la sfrenatezza reprima la libertà. Se per lo contrario tradurremo. La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo alla sentenza molto della sua forza. Vedremo a suo luogo la ragione, per cui la diversa collocazione di una espressione semplice rafforza o snerva l'espressione complessa. Ora ci basti osservare, poichè cade in acconcio, che le varie lingue (parlando ora della sola facoltà, che hanno di permutare il luogo alle parole), luttochè sieno alle a qua. Junque specie di componimento, nol sono ad esprimere uno stesso concetto nella stessa forma; perciò è che quando si trasportano le scritture da una favella ad un'altra non dovrà l'espositore darsi briga di ritrarre espressione per espressione, ma, avendo rispetto al genio della sua lingua, cercherà di produrre per altro conve pevol modo negli animi di nostro compagno conversazionale gli effetti, che l’espressione in lui operarono. Per fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] gioverà ancora badare ne' verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo, la quale è simile alla terza, dicendosi io amava, colui amava; perciò a distinguerle è sovente bisogno di pre ineltere all’espressione ‘amava’ il nome o il pronome. Giova spesso alla chiarezza, e segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere le persone e le cose, delle quali si parla (il topico); e perciò sta bene talvolta il *ripetere* il nome per non confondere l’una coll'altra; imperciocchè i prononi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco – confusione – cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of conversational clarity; e questo interviene specialmente, quando nella proposizione antecedente sono più sustantivi di un medesimo genere e numero, che si possono accordare coi relativi delle susseguenti; perciò conviene tal volta o giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un femminino, o inulare il numero del più in quello del meno, o viceversa. Può ancora geverarsi perplessità nell'usare il possessivo “suo” e “suoi” invece de relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per quello, come nel caso seguente. Mai da sè partir nol potè, infino a lanto che egli (Cimone) non l'ebbe fino alla casa di lei accompagnata. Se Boccaccio avesse detto, fino alla casa sua accompagnata, si sarebbe potuto credere essere quella di Cimone. Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione de'ragionamenti sono assai opportune le particelle copulative (“e”(, avversative (“ma”), illative (“se”) e somiglianti – disgiuntiva (“o”). Molli fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere a piccoli membri senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da biasimare, iaperciocchè costringono la mente di nostro compagno conversazionale a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli occasione di scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf. Grice, category of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. Affinchè si vegga manifestamente quanto la mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso, leverò dal seguente luogo del Passavanti le particelle che ne conneltono le parti. Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all affezione sua, a quella che più ta sprona. Se vede che si , non a . spetti che al sogno suo debba altro segui. tare. Quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; è l'effetto dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione. Facciamo congiunti questi membri colla particella “e”, la particella”imperciocchè, la particella “ma” e vedremo il discorso apparire più chiaro (“She was poor and she was honest”) Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. E se vede che si, non aspetti che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto del l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione. Quesli pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori, che desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose, che i filosofi hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore) dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di *molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono collocare nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a parlare dell' ornamento. La perſezione dell'arte del conversare, secondo Cicerone, consiste nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico, che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro, che dalla invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona in altre due parti della rettorica. Accade qui di parlare delle suddette tre qualità solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il concetto ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre due, che fanno il discorso – la mozione conversazionale -- accetto a nostro compagno conversazionale. Prima di tullo si vuole osservare che la proprietà delle voci e l'ordinata (cf. Grice, be orderly) composizione loro generano gran parte della bellezza del discorso; imperciocchè fanno sì, che esso sia inleso senza fatica, che è quanto dire con qualche sorta di piacere. Ma questo non basta; chè nessuno per verità loda il conversatore solamente perchè si fa intendere dal suo compagno conversazionale; ma lo biasima e sprezza, s ' ei ſa altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gli uomini e tragga a sua voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più che more tale? Colui, che nel conversare è distinto, copioso, splendido, armonioso, e che queste qualità, onde si forma l'ornamento, congiunge al decoro. Que' che conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento disgiunto dal decoro diviene sconcezza e deformità. Di questo decoro diremo più particolarmente a suo luogo; ora veniamo a discorrere le parti dell'ornamento. Molto leggiadre ed efficaci sono le voci proprie, che per cagione del loro suono hanno somiglianza col significato, o quelle che ne ricordano qualche particolare qualità. E espressiona, che ricorda il significato per somiglianza di suono le seguenti: “belato”; “ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”; “rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre, che per alcuni furono chiamate termini figure, a differenza di quelle, che, non avendo soosiglianza veruna col significato , furono delle termini memorativi o cifre. Fra i termini figure voglionsi annoverare, oltre le voci che abbiamo teste accennat , quelle che o provengono da altr’espressione, che è segno di cosa somigliante al signficato che si vuol esprimere o communicare (cf. Grice on the circularity of analyising ‘signare’ e ‘communicare’), o ricordano l'origine o gli usi del significato. L’espressione “spirito” è bella per certa tal qual somiglianza, che il significato, cioè l’immateriale sostanza, sembra avere col fialo o con qualsivoglia altra sottil materia, che spiri. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione “pecunia”. la prima delle quali, venen do da “moneo”, significa che il metallo ed il conio ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda, venendo da pecus, ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed alle pecore, antica inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due esempi ancora perchè si vegga ' quanto giovi alcuna volta l'investigare l’etimologia. Concorrono co' termini propri e co' termini figure a far bella la mozione conversazionale le parole nobili, qualvolta sieno convenevolmente adoperate. Accade delle parole, dice Pallavicini, che comunemente accade degli uomini nel civil conversare. Questi acquistano ripulazione o vilipendio dalla qualità delle persone colle quali usano farnigliarmente; e le parole dalla qualità delle persone da cui sono sovente proſerite; e ciò interviene perchè tutti hanno per fermo, che i personaggi illustri e gli uomini letterati sieno esperti a conversare con legge, e che la plebe allo incontro parli e cianci barbaramente. Avviene da ciò che alcune voci, che significano cose vili o laide, sono tuttavia tenute per nobilissime. All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose significando, in grave componimento non sarebbero lodate. Della prima spezie sono in Italia l’espressione “lordo”; “lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che nelle più nobili conversazione sogliono essere usate. Dall'altro canto l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato cardinale Pallavicini , la quale nobilissimo personaggio rappresenta, non sarebbe ricevuta in grave componimento poetico. In tre schiere vengono separate dal Pallavicini le parole rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella prima si collocano quelle, che dal conversatiore in nobile conversazione e usata a significare un concetto grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie non si potran no senza affettazione adoperare in tenue argomento o in famigliare discorso. Che se alcuno famigliarmente usasse l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in vece di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che move rebbe a riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella espressione, che vanno egualmente per le bocche degli uomini ragguardevoli e del popolo, e che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza poi è di quelle, che furono avvilite nella bocca della plebe, come e l’espressione “pancia”; “budella”; “corala” e simili , le quali possono essere opportune in una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la mozione conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta elle abbiano convenevole forma e non sieno passate ad altro significato [non multiplicare sensi piu di la necessita], vagliono à nobilitare la conversazione; ma si richiede somma cautela in co lui che a vila le richiama, poichè, siccome ė detto di sopra, una espressione antiquata, ollrechè spesso portano seco oscurità [cf. Grice, ‘avoid obscurity of expression, procrastinate obfuscation], più spesso fanno l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi p trebbe, senza indurre a riso il compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”; “piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You are the cream in my coffee), la quale usata opportunamente è lume e vaghezza della orazione. Prima è a sapere che gli uomini selvaggi per essere scarsi di cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna cosa non ancora significata, fecero uso naturalmente di quella espressione gia usata, la quale e stata inventate a contras-segnare *altra* cosa somigliante in qualche parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in my coffee”). Occorrendo loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre” per la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele. Cosi dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a fox” – he is a fox), “capo del monte” la cima, e “piè” del monte la falda di quello. Per gli addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole, transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream – simplifcata a “You are the cream”); impercioc chè la seguente similitudine spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe (per brevita) in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora fu da principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè, sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra le selvagge e rozze, pure la metafora è e sarà sempre luce e vaghezza della conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità, che ora verrewo particolarmente esponendo. La metafora presenta spesso all'animo più chiaramente ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di forma *sensibile* una idea non-sensibile, o intelleltuale (nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le pone davanli agli cinque sensi. Voleva Alighieri significare che non è meraviglia se per la le nuità della nostra fantasia non possiamo per venire ad imaginare le cose, che Alighieri desiderava narrare del Cielo; e questo con una metafora dicendo. E se le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è maraviglia. Per tal modo il concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale, divenne sensibile e per conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous [sic] – the imperative of conversational clarity] e più popolare. E se taluno volendo dire che gli uomini bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gli atti e le parole a modo di parer verilieri, dicesse che la menzogna prende talvolta il manto della verità, non significherebbe egli il suo concetto assai vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re the cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream in the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi, più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della qualità sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte le altre appartenenti a quello pur si risvegliano , e vivamente ed intero lo ci pongono dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore – parola dolce. che si cá vano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato (secondo senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto senso dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore di santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinqe sensi, sono le seguenti. Splende la gloriu (visum). Folgoreggiano gli scudi; ridono i prali (udito); si rasserena la fronte ; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero ad Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum, rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora attribuisce a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di Omero. Le saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche Virgilio, parlando di una satta entrata nel petto di una vergine, disse. Harsit virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa vivamente quasi innanzi agli organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita (no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele, partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un manto e la no billà della prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. Opoca nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non s'appon di die in die lo tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco manto adorna la persona di colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni uomini quell'onore che ricevono pei pregi degli avi loro, e che chiamasi nobillà: ma, se per virtù novella non si rinfranca, ei viene di giorno in giorno scemando. Questi pensieri il divino poeta ci reca alla mente colla nuova similitudine, e ci dilella e ci illumina. Vale eziandio la metafora a muovere con maggior forza l’affeto, perciocchè, laddove alcuna volta parole proprie astretti a recare alla mente di nostro compagno conversazionale le idee una dopo l'altra, la metafora, rappre sentandole tutte ad un tempo, assale l’animo con veemenza. Basti un solo esempio del Petrarca, il quale rivolto alla morte così le dice: con saremmo me dove lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce ed amoroso e piano lume degli occhi miei non è più meco? Quali e quanli pensieri si destano nella mente all’espessione “cieco” e la frase/espressione frasale “lume degli ocehi miei”! Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si vuole por menle che ella non mostra  il lavoro e la fatica dell’intelletto, perocchè non è verisimile che colui, che ha l'animo perturbato, si perda a far cerca d'ingegnosi concetti e figure retoriche. È ancora pregio della metafora di coprire con velo di modestia e di gentilezza il segnato, che espressa con un termino proprio (e non un termino figura como e la metafora) sarebbero odioso o turpo. Ecco un bell’esempio del Passavanti. La innata concupiscenza , che nella s vecchia carne e nell'ossa aride era addor meniata , si cominciò a svegliare : la favilla, quasi spenta si raccese in fiamma ; e le frigide membra, che come morte si giacevano in prima, si risentirono con oltraggioso orgoglio. E Virgilio disse. O luce magis dilecta sorori, Sola ne perpetua moerens curpere juventa? Nec dulces natos, Veneris nec praemia noris? Questo e i principale vantaggio della metaſora, onde sovente viene preferita al termino proprio. Diremo ora dei vizii che talvolta elle possono avere. Se bella e la metafora che fa scorgere una maniſesta somiglianza tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my coffee’), da che si toglie il vocabolo e l'altra, a cui si reca, chiaro è che deformi saravno quelle, che tengono ji paragone di rose o polla e poco somiglianti, e che sono male acconcie al pro posto dne (“a woman without a man is a fish without a bycicle”). Nessuna somiglianza si vede fra le cose paragonale nella seguente metafora del Marini, Folendo egli lodare un maestro, che formara bellissimi esempi da scrivere, esalta la penna di lui, dicendo ch'ella deve essere divina: Perchè una penna sela, Benchè s'alzi per sè pronto e sicura, Se divina non è tanto non rola. E qual somiglianza è mai tra il relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza quella metafora che volendo segnare una cosa piccola prende da una cosa grande l'imagine, e al contrario. Mariai assomiglia le lacrime della sua douna a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il diluvio universale al bucato. Erro similmente colui che disse a suo amante. Son gli occhi resiri archiòugiati a ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È bellissina la metafora che Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar come fa il mare. Sarebbe difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le biade. Viziose come le sopraddeile erano la più parte delle metafore usate dagli scrittori del secolo XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i monti per estrarne i metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio colp inchiostro. Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè il nostro secolo, sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra nemico. Della metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo essere mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir cosi e che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la se. guente: Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora , che la sorvenire il nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa rimprovera Dante per essere talvolta caduto in questo difeilo , siccome quando disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal vivanda fosse gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi, se avessi avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine plebea e sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo Pallavicini, comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale, quando disse, che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora coll' inchiostro, e quando per accennare la qualità, ond'è costituita l'eleganza della elocuzione, disse: saputi distintamente quali ingredienti compongono quesla salsa, cioè l'eleganza; i quali modi sono da biasimare, essendochè nel primo esempio li vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce l'abbietta voce che sa di cucina. Similmente non paiono degni di lode coloro, che sogliono usare per vezzo della conversazione un idiotismo, e segnatamente quello, che ha origine da certa anticha costumanze dimenticata oggidi. Non merita lode Davanzali quando volendo dire: o nulla o lullo: disse: o asso o sette. Questo proverbio, oltre chè si è di vilissima condizione, è tolto da un giuoco, che potrebbe essere sconosciuto a molli. E proverbio, del quale non si sa l'origine, il seguente; e perciò freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece di cercar la cosa dove ella non e. Bastino questi pochi pro verbi per moltissimi , che qui si po ebbero recare, e de' quali vanno in traccia alcuni mal accorti conversatori, onde parere versali nella lingua antica. Aucora è biasimevole alcune volte la metaſora , che si deriva dalle materie filosofiche ; imperciocchè, se il fine, pel quale il conversatore usa di quella, si è di rendere più chiaro e più vivo i concetto, questo non si potrà ottenere traendo la similitudine da cose poco nole o malagevoli ad intendere, come a la metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno bisogno delle similitudini tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano imagini, che vagliano a cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi tempi sono alcuni conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta metafora, avvisando d'illustrarne la sua mozzione conversazionale, e di mo strarsi intendente e sottile; ma va grandemente errato, perciocchè non solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid obscurity of expression, be clear) alla sentenza, ma danno segno di affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si è dello di sopra che la metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi agli oc ebi in forma quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci porge ammaestramento col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima non osservata; dal che si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar maraviglia, de guardarsi dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle, che, a somiglianza della monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni conversazione. Poichè tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri, converrà avvertire che il grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità del componimenlo. Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al pensare della gente nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de' climi fa che gli uomini abbiano diversi i costumi e le usanze , e perciò diverse ancora le idee e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente le similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi , incontra che alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima, tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più amore del verisimil ; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva, ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro, che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli, recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla. Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse. lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di guerra, non dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale non trovi mai contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche alcuni autori eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che (paventosamente a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non così egli fece nel Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè in esso avendo preso ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da questa imagine non si diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare coll’esempio di questa allegoria, che in breve discorso non possano star bene insieme più metafore di natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene il trapassare da una similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo talvolta a render chiare e naturali quella metafora, che per se medesime sarebbero ardite e spiacenti, il preparare per convenevole modo l'animo di nostro compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli uomini per mal esempio altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa” della falsa opinione, use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella diviene bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va. glia l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco al cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla mente, ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali riducono le idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di quello che si converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi a questi loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra loro, il che fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi e tra questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere nel seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi palesement , che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione, principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom , ' concorrer deve a scuotere ed a sferzare l'industria , on de riguardo allo sviluppamento di questa Costa. Vol. Un. 3 50 ec . ( 1 ) Oh quanta confusione ed oscurità in tanta pompa di parole! Pare che il conversatore volesse dire, che i savi conobbero che la natura ha posto nel cuore dell' uomo il desiderio d'emulare gli altri; e che da questo procede l'industri ; ma accoppiando i vocaboli principio e costituzione, che sono segni d'idee molto astratte, colla melaforica voce “inserire” ha composto un enigma; perciocchè nessuno polrà imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi diviene la metafor , quando l'astratto segnato dalla espressione “principio” si fa a scuolere ed a sferzare l'ind stria falla inopportunamente persona per trasformarsi losto in altra cosa, che si sviluppa a guisa di una malassa. In questa forma la metafora, che e vaghezza e luce della favella, diviene tenebre alla mente e vano suono (flatus vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE del conversatore non sia solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo talvolta dilettevole e maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui dilelto e maraviglia, si fango a derivare dalla metafora certe loro conseguenze, come se in quella non già una simililudine si contenessa, ma come se la cosa a cui si reca il nome novello, veramente si trasformasse nella cosa, donde esso nome si toglie. Di questa specie di concetti si presero diletto i prosatori ed i poeti del secolo decimo settimo, forse per desiderio di avanzare gli scrittori delle altre elà, ed in fastidirono tutti i sani intellelli . Basti di ques 1 ( 1 ) Atti dell' Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone Grozio, per mostrare che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver lodate nel principio di un epigramma le virtù di lei , sog giunse: Necfas est de morte queri, namque ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con l’espressione “fuoco”, imposta a cagione di similitudine, viene il conversatore a trasformare la misera vergine in vero fuoco materiale; e quindi trae la strana conseguenza, che ella mai non dovesse morire, o morire nel fuoco. Similmente si è frivolo modo e sciocco il derivare la metafora dalla somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose diverse, ALLUDENDO all' una di esse mentre si fa mostra di ſavellare dell'allra. In questo difetto incorse anche il primo de'nostri poeti lirici quando, piangendo la sua donna, parla del lauro, ed allude freddamente al nome di lei, come nella canzone, che comincia, Alla dolce ombra delle belle fronde ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi fin qui parlato de' pregi e de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il ragionare degli altri traslati di parole e di concetto e della figura: ma , perciocchè queste cose sono state definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici, stimo che qui basti il ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella, se non in quanto vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo stesso fine, che la metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto, melte bene talvolta il trasportare l’espressione a un segnato improprio o nominando invece del tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia, ond'ella è composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare (majestic plural – We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto usando questo traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine della cosa, da cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee, che si vo gliono svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo più che le altre ide , che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele , di quello ch : fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui, che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per l’effetto , o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso: il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”, giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”, dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura, ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi” (contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella, abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal , riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici. Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de' traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine del Palavicini, degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione “eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà (non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto fruttifica. La sovrabbondanza (over-informativeness) delle parole all'incontro empie le orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò è da guardare non solo che nostro compagno conversazionale non sia distratto da una vana proposizione subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più da un segno che dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo inconveniente ed acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione, che somigliante alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi, gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra lingua. Vi sono ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e questi consistono nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi, che racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta qui recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle cose onde fosti & cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando tacque a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui do mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione, Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza; ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo, siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante, e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi quasi fisonomia , per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”, si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola. Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali , e per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato; e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti . La negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua, compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi? Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua ; e dalla sua definizione trarrò alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua (come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana; ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e diano opera gl'illustri scrittori . E così avvenne di vero nella formazione e nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare d'Italia, poichè, come dice il Bembo, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano e e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano. Tutte le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con chiarezza i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o moderne; chè le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie no necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo – libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo. Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire, cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”,  e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente ; ma alla co storo petulanza coll'autorità di Cicerone ri spondano arditamente che colui , il quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è poela , ma non è uomo (Cic. de orat. I. 3.). Quarta e ultima, se le parole fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet . Il discorso può ricevere varietà da sei luogh , che ad uno ad uno ver remo a dichiarare brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi, non tolga al discorso laproprietà necessaria ; per non peccare contro la quale sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come, a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe' suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger, che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata. Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece delle cose stesse , o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o passivo da un verbio Potrai dire : Raffaele colori questa tavola , ovvero, da Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative seguente, ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi : ora le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”) si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è il temere. La buona coscienza è sempre sicura . Avvegnachè la sentenze sia più accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa parere affettato . In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di  Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche l'uso della sentenza pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata, ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si apprende a fare buon uso della sentenza, è Cicerone, nelle cui filosofia mai non pare che quelle sieno condotte nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle per recar luce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concetto, onde viene grazia o piacevolezza ai componimenti. Concetto propriamente si dice una certa proposizione, che per essere nuove ed espresso con brevi parole recano altrui diletto e maraviglia e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha di due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli, che con proprio nome si chiama una facezia. Gli uni e gli altri nascono da’ medesimi luo ghi, e differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo: che i gravi si traggono da cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi: ma pare veramente che a far ri devole un dello, sia necessario, il più delle 1 volle, che esso comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera, che la congiunzione loro ben si convenga con una terza idea. Ciò sia chiaro per un esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di un vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie e di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole. Traduzione d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi. Se il ridicolo di questa figura consistesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave con quella de' giovani leziosi, ci ſarebbe ridere anche l'imagine di una sirena, che è composta di due contrarie nature; lo che per verità non accade, ed accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna , che termina in pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica. Pare dunque manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla convenienza che è tra esse e la cosa, cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto diriltamente Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè disconvenienza, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di tutto si vegga che da’ luoghi, donde si cava la grave sentenza, si possono ancora cavare i molli da ridere, re cherò l'esempio, che ne dà Castiglione. Lodando un uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò ch'egli ha, non è suo: il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato, o con male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol dire: non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata: e que sto similmente si dirà di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi sono pres sochè infinile , e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali . Cicerone distingue primieramente le maniere graziose , che consistono nelle parole, da quelle che stanno nella cosa , o che si esprimono col parlare continuato. Egli dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le parole non cessano di generare maraviglia o riso: tali sono le narrazioni verisimili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini, e di queste molte ve n'ha nel Decamerone di Boccaccio. Una seconda consiste nella imitazione de’ costumi altrui fatta per modo di parlare continuato, come quella che fece Crasso, il quale in una sua orazione contraffacendo un uom supplichevole con queste parole, per la tua nobiltà, per la tua famiglia, ne imitò cosi bene la voce e gli alti, che mosse la gente a ridere; e proseguendo, per le statue, distese il braccio, ed accompagnò la voce con geslo e con imitazione si naturale, che le risa scoppiarono maggiori. Queste sono le due maniere, che consistono nella cosa, e che si esprimono col parlar continuato. Quelle che maggiormente si attengono alla materia che qui si tratta sono le maniere di que'concetti, la grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi. Alcuni molli graziosi si generano in virtù della metafora. Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua impresa una spazzetta, con che voleva segare se essere disposto a cacciare dall'Italia gli oltremontani, domanda alcuni ambasciatori fiorentini, che loro ne paresse. Quelli risposero. Bene ce ne pare, salvochè molle volle avviene che chi spazza tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto, quando ad alcuno, che metaforicamente abbia parlato, si risponde cosa inaspettata continuando la metafora stessa. Tale si fu detto il Cosimo de' Medici, il quale a' Fiorentini ſuoruscili, che gli mandarono a dire che la gallina cova, rispose. Male potrà covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e piccole a cose grandi è spesso cagione di ridere, come in questi versi del Berni: E prima , iodanzi tutto, è da sapere che l’orinale è a quel modo tondo, Acciocchè possa più cose tenere, E falto proprio come è falto il mondo. Dobbiamo in questa maniera della facezia guardarci dal fare sovvenire il compagno conversazionale di cose laide e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria: lo che sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale disposizione. Molti molti ridevoli si formano per via di iperbole [“Every nice girl loves a sailor”] accrescendo o diminuendo alcuna cosa. Diminui ed accrebbe a un tempo le cose Cicerone parlando giocosamente di suo fratello, che essendo di piccola slatura aveva cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato mio fratello a quella spada? Dall’equivoco procede spesso i motti freddi ed insulsi, ma spesse volte ancora gli arguli. Argulo parmi il seguente in biasimo di una donna, che fosse di molli. Ella è donna d'assai: il qual molio potrebbe ancora essere usato per lodare alcuna femmina prudente e buona. Molla venustà è in que’ delli, che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la quale l'altra s'intende (IMPLICATURA, SOTTITESSO). Assai leggiadro è questo  in cui si favella di un'amazzone dormiente, recato ad un esempio da Demetrio Falereo: in terra aveva posto l'arco, piena era la faretr , e sotto il capo aveva lo scud: il cinto esse non isciolgono mai. Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone, come fece lo Scipione, secondo che narra M. Tullio, con quel centurione, che non si era trovato al conflitto di Paolo Emilio contro Annibale. Il centurione scusavasi di sua negligenza col dire. Io sono rimasto agli alloggiamenti per farli sicuri; perchè, o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà? Cui rispose Scipione. Perchè non amo gli uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle risposte, per le quali si DEDUCE da una medesima cosa il contrario di quello che altri deduceva. Appio Claudio disse a Scipione. Lo maraviglio che un uomo ďalto affare, quale tu sei, ignori il nome di tante persone. Non maravigliare, rispose Scipione, perocchè io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a conoscer molti, ma a far si, che molti conoscano me. Per egual modo Parnone rispose a colui che chiamava sapientissimo il tempo: Di pari dunque potrai chiamarlo “ignorantissimo”, perchè col tempo tutte le cose si dimenticano. Il concetto della risposta conversazionale può essere grazioso solamente perchè racchiude alcun insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu chiesto ad uno spartano, perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose. Acciocchè mirando in essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia disconvenga. Hauno grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al costume della persona, alla quale si attribuiscono. Essendo un colal uomo beone caduto inſermo, era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse : Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar via la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que’ detti, che procedono da sciocchezza o goffezz , finta o vera che ella sia. Tali sono le due seguenti terzine del Berni: lo ho sentito dir che Mecenale Diede un fanciullo a Virgilio Marone, che per martel voleva farsi frate; E questo fece per compassione, ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla disperazione. si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di nuov , che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono queste usate dal Boccaccio: picchia. pello ; madonna poco.fila ; lava-ceci ; bacia santi. Si falte maniere, che direi quasi deſormità della lingua, poichè dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alla cosa segnata stanno bene, e perciò inducono a ridere e han lode di graziose ; ma se poi in forza dell'uso divengono proprie, perdono , a somiglianza delle vecchie metafore, alquanto della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia del detto proviene alcuna volla dall'ordine solamente, quando una cosa posta nel fine produce un effetto, che posta nel mezzo o nel principio nol produrrebbe, o il produrrebbe minore. Egli reca l'esempio seguente di Senofoole, che, parlando dei doni dali da Ciro a certo Siennesi, disse. Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia, parendo cosa nuova, che si donasse a siennesi ciò che egli possedeva: se quel dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna. Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di Benedetto XIV. Accomiatandosi da lui due personaggi di religione luterana, egli avvisa di benedirli e di ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che egli no ricevessero con grato animo quell'atto di amore paterno: ma il venerabile vecchio ollenne il buon effetto parlando così. Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a tutte le genti; il Signore v'illumini. Ingegnosissimo si è que sto detto per l'ordine suo maraviglioso. Colla prima affeltuosa parola, “Figliuolo,” il papa procacciasi la benevolenza del compagno conversazionale. Nella sentenza , la benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti, chiude la prova della con venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la dignità di pontefice, che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della chiesa romana. Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevol , chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sarebbe officio di chi volesse trattare solamente di questa materia: e diciamo con maggior brevità de’ concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime qualsivoglia concetto, coi nulla manchi di grazia e di perfezione ; ina qui si vuol prendere la parola nel segnato , in che viene usata da ' più de' moderni reltorici e perciò così detiniamo i concetto sublime. Concetto sublime si dicono quelli, che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia. Tali sono i seguenti . Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di vendicare Achill , e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo. Questo concetto, il quale ci fa maravigliare della potenza di Giove, cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse segnato: perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino e farebbe che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla mente di nostro compagno conversazionale, che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora quel luogo di T. Livio nella allocuzione di Annibale a Scipione. Ego Annibal pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la fero cia di quel capitano. Medesigiamente si fa maniſesta una straordinaria fortezza di animo ne'due luoghi seguenti. Seneca, nella Medea, fa dire alla nudrice: Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e tantis tibi. Medea risponde: Medea superesto Corneille, ad imitazione di Senec : Nerine: Dans un si grand revers que vous reste- t- il ? Med. Moi. In luogo del nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed ottenne effetto maraviglioso e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella voce “moi”. Il poeta latino col nome di Medea destò nel compagno conversazionale la memoria della potenza, della sapienza e della magnanimità di quella maga. Divisata così la natura de' motti graziosi e piacevoli e de' sublimi, e restando a dire al cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe teremo ciò, che già detto abbiamo delle sentenze, cioè che lo scrittore si guardi dal fare troppo uso de' concetti ingegnosi e graziosi e de' sublimi, poichè non è cosa tanto contraria alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio manifesto e l'affettazione. Le grazie si dipinsero ignude appunto per insegnare che elle sono nemiche di tutto che non è ingenuo e naturale. La grandezza similmente non va mai disgiunta dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle cose, che sono piene d'ornamenti; imperciocchè la mente soffermandosi in ciascun d'essi riceve molle e divise imaginet le in luogo di quella imagine sola, che ci rappresenta la cosa continuata ed una. Male adoperano coloro che non avendo rispetto alla materia, di che favellano, nè alle persone ne alla modestia nè alla gravità conveniente allo scrittore, colgono tutte le occasioni, che loro porgono o le cose o le parole, per trar materia di motleggiare; perocchè invece di mo strare acutezza d'ingegno appaiono loquaci ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que , che abusano dell'ingegno per empiere le scritture di freddi e falsi concelti, di riboboli, di bislicci e d'indovinelli? di que', che tengono per finis sime arguzie le allusioni delle parole, che erano la delizia del Marino e de' suoi seguaci? Diremo che nali non sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla fatica, e per indur ſesta e riso, ma per noia, fastidio e sfinimento di chi è costretto di udirli. Se il discorso si fa strada all’animo per gli orecchi, è necessario che egli sia accompagnato dall' armonia, della quale niuna cosa ha maggior forza negli uomini. L'armonia ci dispone al pianto e all'ira, e ci rallegra e ci placa; e lulle le genti, avvegnachè barbare, sono tocche dalla dolcezza di lei; laonde gran de mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac crescere efficacia alle sue parole non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely (armosin), che segna connettere, è derivata la voce “armonia”. I maestri di musica insegnano, che essa consiste nell'accordo di più voci sonanti nel medesimo punto; ma coloro, che parlano del l'arte retorica e della poelica, presero questa parola quasi nel significato , che i maestri di musica prendono quella di melodia , come si vede aver fatto Aristotele, che usò in questa significazione ora la voce melos, ora la voce armonia. La melodia consiste nella altenenza, che hanno rispettivamente i gradi successivi di un suono nel salire dal grave all'acut : e noi direino che rispetto al discorso l'armo nia sta nell'altenenze delle lettere o delle sil labe o delle parole, che si succedono con quel la certa legge che si affà alla natura dell'or gano dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due maniere, semplice o imitative. L’una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi, l'altra, oltre la dilettazione degli orecchi, la imitazione del suono e dei movimenti delle cose inanimate e delle animate, e quella degli umani affetti: colle quali imitazioni inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli animi sigrioreggia. La dilettazione degli orecchi si ottiene con parole costrutte e disposte in modo analogo, come è dello , alla natura dell'organo del l'udito e fuggendo tutte le voci e tutti gli accozzamenli di esse, che producono sensazio ne spiacevole. L'imitazione poi si fa adope. rando e componendo suoni o gravi o acuti o inolli o robusti, secondo che meglio si affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo alcuna cosa più largamente e dell' una e dell'altra armonia, l’armonia semplice e l’armonia composita o imitativa. Le parole, le quali, come tutti sanno , si compongono di vocali e di consonanti , sono più o meno armoniche, secondo che le lettere delle due specie suddelte si trovano disposte con certa proporzione. Le vocali fanno dolce il vocabolo le consonanti robusto. Ma le troppe vocali, che si succedono , producono quel suono spiacevole, che si dice iato; le troppe consonanti fanno le parole aspre e diſficili a pronunciare: così l'incontro delle sillabe somiglianti produce la cacofonia, Circa le parole non molto armoniche, ma approvate dall' uso, diremo chę elle non si banno a rigettare; ma si deve aver cura di collocarle in guisa, che il loro suono disarmonico serva al l'armonia di tutto il discorso. Anzi sono da commendare quelle lingue che ricche si trovano di vocaboli diversi di suono, i quali , giunti insieme con bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia del conversare. Sebbene, circa l'arte del collocare le parole con armonia, non possa darsi maestro infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici scrittori, pure non sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa delle parti, onde l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che l’altenenza tra le lettere, le sillabe e le parole, dalle quali risulta l'armonia, sono di due ragioni: cioè altenenze di tempo, poichè si pronunciano o in tempi uguali o disuguali; e attenenza di suono, poichè ogni sillaba differisce dall'altra per aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di asprezza. Diciamo prima delle attenenze di tempo. Pie chiamamo i Latini quella certa quantità di sillabe, che pronunciandosi in tempi eguali, si potevano misurare colla battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suonatori. E, poichè si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle parole) in ispazi uguali di tempo, avvenne che lunghe si dissero quelle che occupavano la maggior parte del tempo misurato dalla battuta, e brevi le altre, che occupavano la parte minore. “Coelum”, per esempio , si compone di due sillabe e si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre : perciò coelum è un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due brevi. I piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de' semplici di due sillabe, che sono o due brevi o due lunghe , una breve e una lunga , o una lunga e una breve: ve n'ha di tre sillabe, che per la varia combinazione delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie: ve n'ha finalmente più di cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi semplici. Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla natura dell'organo del l'udito umano, la qual legge si sente nell'anima e definire non si può, nasce il numero; e similmeple dall ' unione determinata di varii piedi, i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi, onde sono composti. Dalla varia qualità e quantità de’ versi nascono poi le differenti specie del metro. A rendere armonioso il verso si congiunge al pu nero il suono, che, siccome abbiamo accennato, si genera dalla proporzione, con che sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i versi abbiano il medesimo número, non hanno il medesimo suono, ma variano nella loro armonia maravigliosamente: per la qual cosa interviene che dalla unione di molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie: la diversa upione di queste armonie di cesi, “ritmo”. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi upili nasce il ritmo poetico , così da quello di minuti membri d' indeterminala mi sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla, siccome avremo occasione di osservare in appresso. Ora veniamo a dire del l'armonia della favella italiana. Gl’italiani non hanno determinata la quantità nelle sillabe, come si vede aver fatto i latini , per la qual cosa nemmeno i piedi hanno potuto determinare. Alcuni letterali del sesto decimo secolo, fra' quali il Caro, tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri, ma quanto poco (per la in sufficienza della lingua nostra) al buon volere rispondesse l'effett , apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei, i quali, se non sono molto aiutati dall'arte del recitante, non possono ricevere soavità. Ecco il chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe carca la terra ride. Scacciano gli alni i soli co' le frondi e co'ra (mi coprendo; Spiraci con dolce fato auretta vaga. A noi servono invece di piedi le sillabe é gli accenti, e quindi è che da un determinato numero di sillabe e da una determinata positura di accenti nasce il numero, onde si generano molte specie di versi. Omettendo le di spute de'rettorici e le loro opinioni circa questa materia, faremo qui alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le parole sono di una o più sillabe : se di una soltanto , l'accento è su quella, come in tu , me, no, si : se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella pri 79 ma, come in tempo, o nella penullima come in andarono, o prima di essa, come in concedea glisi. L’indicati accento si dice “acuto”, perchè alzano la pronuncia : dove questi non sono, si trova il “grave”, che l'abbassano. Gli acuto e il grave  alzando ed abbassando il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi il luogo de' piedi Jalini, e formano varie specie di versi, che, secondo, la quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi. Dalle varie unioni di questi nascono i diversi metri. E il ritmo nasce nel modo, che si è detto parlando della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si piace di que' suoni, che più vivamenle ci pougono innanzi il segnato; e questo specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo, o mostrando di avere per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso ordinala, e splendida: sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitativa. Dalla mescolanza delle lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione delle grida, de’suoni, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra lingua troverà, secondo che osserva il Bembo, voci sciolle, languide, dense, aride, morbide, riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e strepitanti. Perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno ordinare .e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi. tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina Commedia : ma basti qui la sola descrizione dello strepito, che Dante udi nell'Inferno: Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai risonavan per l'äer senza stelle, Perch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte ' e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come l'arena, quando il turbo spira . Del medesimo genere sono i seguenti versi del Poliziano. Di stormir, d'abbaiar cresce il romore: Di fischi e bussi tutto il bosco suon : Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba : Con tal tumulto, onde la gente assorda, dall'alte cataratte il nil rimbomba. Con tal orror del latin sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba.Il Parioi ci fece sentir il guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bellissimi vers. Aita, aita, Parea dicesse ; e dall'arcate volte a lei l'impielosita eco rispose. Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto che questo, che si può chiamare movimento del discorso, ba somiglianza coi movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro. Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante : Non altrimenti fatto che d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu rallento , E i rami schianta , abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori . Mirabilmente Virgilio descrisse il tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo : Qua data porta ruunt et terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque, Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu clus. Insequitur clamorque virum , stridorque rudentum. Fra i versi che esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti : E caddi come corpo morto cade ; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare dell'acqua precipitosa : ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il Caro: E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù . In virtù di quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si sente il romor dell'acqua che l'inghiotte : Calossi gorgogliando e s'aſfondò. Lo stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del carro di Net tuno : Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo lievemente, ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle seguenti parole di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue ; Procumbit humi bos. Dell’armonia che imita gli affetti col suono , Onde conoscere per qual modo gli affelli vengano imitati dall'armonia , uopo è d'inve sligare quali altenenze essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle altenenze si ponga mente che ad ogni sorta di affetli (1) risponde un particolar molo del l'organo vocale , per cui si formano voci di verse secondo la diversità de' medesimi affetli ; all'allegrezza risponde il riso , alla mestizia il pianto ; ed il riso ed il pianto si manifestano con suono al tutto diverso : così presso tutte le geoli la subita maraviglia è significata dal l'esclamazione ah , ovvero oh ; il lamento dall' eh, o dall’ahi ; e la paura dall'uh. Que ste voci, che da principio sono elfelti naturali delle aſſezioni dell'animo, diventano poi, merce dell'esperienza , segni di quelle : per la qual cosa interviene che i vocaboli composti di ma, niera , che facciano mollo sentire il suono di quelle leltere, che alle predette voci primitive si assomigliano , avranno virtù d'imitare o questa o quella affezione. Le parole, che s'in, nalzano per la a o per l'o , che sono lettere di largo suono, saranno acconce ad esprimere l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli : quelle, che declinano per la é e per l'i , che sono lettere di molle suono , saranno convenienti alla malinconia ed agli umili e miti affetti. (1) Omnis enim motus animi suum quemdam a natura habet vullum , et sonum et gesium (Cic. de Orat. ). 84 quelle , che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le perturbazioni dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle parole viene poi rafforzata dalle attenenze , che le passioni hanno col numero. Volgendo la considerazione alle varie passioni , si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira è fatto impetuoso , frettoloso nell'allegrezza , lento nella mestizia , svarialo nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non solamente si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle tarde modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto . A somiglianza di quest' arte maravigliosa , anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando , innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole, secondo la natura degli affetti , che di esprimere intende. Con quest' arte medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer . mazione di quanto abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del Petrarca : Voi ch* ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe rimesso se dicesse: O voi, che udite in dolci rime il suono ; sostituendo 1'i alla a. Veggasi come Dante seppe significare uno stesso concetto con due diverse armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino sdegnalo, e Francesca d' Arimino dolente dicono all’Alighieri di esser presti a rispon dere alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile : Parlare e lagrimar vedrai insieme ; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono : Farò come colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci aspre lo sdegno : E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua rabbia. La velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello , apparisce in questo esempio dello stesso poeta : Dunque che è, perchè perchè ristai? Perchè tanta viltà nel core allelte ? Perchè ardire e franchezza non bai ? Un verso, che esprime luogo pauroso e cupo, si è questo : 10 venni in loco d'ogni luce mulo. Dove si vede che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso non avrebbe messo nell'animo quel sentimento d'orrore. La e , che è lettera di suono lento, basso ed oscuro , rende sommamente imitativi i se gucnti versi : Buio d'inferno e di notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser può di nuvol tenebrata. In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori que' maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo , ene ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura , non già perchè io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la regola ; chè anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari d'ogni allra vaghezza poetica ed oratoria , nascere spontaneamente ; ma questo volli fare, perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti l ' intelletto a dirittamente giudi carne , e quindi a formare quell'interior senso si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito , che prendono gli orecchi alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere agli orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del quale diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o suono od affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci faremo oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre conciliare l'ordine domandato dagli orecchi con l'ordine sopraddello , ma spesso ancora con quello , che rende più evi. denti o più efficaci i concetti , del quale ora ci rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo della collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la mozzione conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le proposizioni si possono , senza to gliere la chiarezza , alcuna volta posporre o anteporre l'una all'altra in più maniere ; ma è da por mente che , fra le molte possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate , e che spesso una solamente si è l'ottima. Ho udito dire da molti che il più delle volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine diretto, e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi all'inverso , segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma nifesta alcun affetto ; ma certo egli è che l'or. dine diretto ( prescindendo dai mancamenti che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di biasimo, siccome freddo ed inefficace. A quale legge dunque dovremo ubbidire , ol. tre a quella già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le parole e le propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più efficace l'espressione degli affetti ? La filosofia ci mostra che le idee tornano alla mente associate in quell' ordine , che vennero all' anima per l'impressione delle cose ester 88ne, o in quello , che si genera in virtù della forza particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre ; e questo mostrandoci , ella ne insegna che , se vogliamo fedelmente ritrarre nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a mano le altre secondo loro qualità e silo : La stanza quadra e spazïosa pare Una devola e venerabil chiesa , Che su colonne alabastrine e rare Con bella architellura era sospesa . Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea d'innanzi una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran lume all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli occhi di chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e l'ampiezza di esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia , cioè la devota e venerabil chiesa : indi l'allenzione del riguardante si indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e rare : queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità dell'architellura , indi alle parli . più minute, cioè all'altare, alla lampada, alla luce, che si spande d'intorno . Quanto giovi disporre le parole nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo esempio di Virgilio , il quale , volendo rappresentare all'imaginazione nostra il greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi : Namque ut conspectu in medio turbatus, inermis Constitit , atque oculis Phrygia agmina circumspexit. La collocazione di queste parole è secondo l' ordine , nel quale avrebbero proceduto le sensazioni di colui , che avesse veduto cogli occhi propri sinone, e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima cosa, che gli verrebbe all'animo , sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone, conspectu in medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità , turbatus , inermis ; poi l'azione, constitit ; poi la parte del' vollo , che subito chiama a sè l'altenzione del riguardante , co Die quella , che è indizio dello stato dell'ani ma, oculis ; poi le cose , sopra le quali gli occhi si volsero , Phrygia agmina; infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta colla tarda parola circumspesil. go Un altro esempio dello stesso Virgilio dimo. slrerà come sieno poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alla ( Horresco referens ) immensis orbibus (angues Incumbunt pelago , pariterque ad litora tendunt : Pectora quorum inter fluctus arrecta , jubacque Sanguineae exsuperant undas : pars cae lera pontum Pone legit, sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante salo , jamque arva tenebant ; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni, Sibila lambebant linguis vibrantibus ora . و Colui che fosse presente al descritto caso , osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir del luogo che gli fosse al co spetto, gemini a Tenedo ; indi le acque per le quali nuotassero, tranquilla per alta ; al l'avvicinarsi di quelle due indistinte cose, egli comiocerebbe a distinguere il loro divincolare ; poi ecco che le due cose, che da prima indi stinte si mostravano , si vedrebbe essere due serpenti, angues, i quali più s'accostano e più li vedi , e più discerni l'azione loro ; prima del gittarsi sul mare , poi del girarsi al lido , incumbunt pelago , pariterque ad litora lendunt ; ed a mano a mano più visibili la . cendosi le qualità de' serpenti , si vedrebbero i pelti erti sui flutti ed alte le creste sangui. gne, e il rimanente de'corpi con grandi volute nuolare, pectora quorum ec . Finalmente udi rebbe il suono dell' acque , e ne vedrebbe le spume. Pervenuti al lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi ardenli e sanguigni , ne ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue, fit sonitus ec. Per l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare le parole secondo la catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di chi il descritto caso avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le descrizioni : di qualità che all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma di vedere cogli occhi pro pri. Nel rappresentare colle parole le sole idee che vengono naturalmente all'animo di chi mira le cose , e di chi è mosso dagli affetti, consiste l'arte del particolareggiare : chi tra passasse Test limite cadrebbe nella prolissi tà, e nella minutezza , la quale rende stucche voli que' poeti che eccessivamente particola reggiando si pensano di produrre l'evidenza. Siccome poi le cose hanno più o meno di forza sull'animo nostro a misura che più o meno vagliano a concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore ; così interviene talvolta , che esse al tornar che fanno alla mente tengono quell'ordine , che è secondo i gradi della ri. spettiva loro forza. Perciò è che qualvolta le idee in virtù delle parole sieno ordinate con formemente a siffatta legge, il discorso è caldo e passionato; e freddo e di nessun efletto se l'ordine delle parole discorda da quello delle idee. Nel libro IX dell'Eneide veggendo Niso l'amico Eurialo già presso ad esser morto dai Rutuli, cosi esclama: Me me (adsum qui feci) , in me conver : tite ferrum , O Rutuli , mea fraus onnis : nihil iste nec , ausus, Nec potuit : coelum hoc , et conscia si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza della passione di Niso, soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle altre la voce me quarto caso, poichè la prima idea, che viene all'ani. mo del giovanetlo , si è quella della propria persona , che egli vuole sacrificare per l'amico suo ; poi vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della legge. Similipente il Petrarca : E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero, Apri tu, padre, inlenerisci e spoda . Se invece egli avesse dello : Apri tu , padre, intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero, l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con quelle prime parole quasi pone innanzi a Dio, affinchè si piaccia d'intenerirli. Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria sentenza , e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì , che le idee vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio : Tu se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio : Ri. prenderannomi, morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il collocare l'ay verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo , qualvolla sieno posti nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che me. glio si dirà : io ti amerò sempre , che io sempre ti amerò: è facile il sentire come questa seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni, e Ira questi il Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo frequentemente pone il verbo alla fine del pe riodo; e per verità l'hanno biasimato a ragio ne ; perchè non solo con ciò si toglie al di. scorso la varietà, ma anche perchè il più delle volle si viene a turbare la naturale associa zione delle idee. Alla quale associazione se porrà mente lo scrittore troverà sempre molivo onde approvare o disapprovare l'ordine che egli avrà posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe il trattare qui minutamente questa ma teria e il prescrivere le regole applicabili a tutti i casi particolari ; queste si possono age volmente dedurre dalla regola generale, che abbiamo assegnata , e perciò stimiamo che qui 94 basti fare qualche altra osservazione intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il verbo è posto in ultimo. Avendo il principe Tancredi, presso il Boc caccio, rimproverato Ghismonda di avere eletto per suo amatore Guiscardo di nazione vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di lei, così ella, rinfacciandogli il fatto rimprovero, gli dice : in che non taccorgi che non il mio pec cato , ma quello della fortuna riprendi. Qui chiaro si vede che se Ghismonda avesse dello : non taccorgi che non riprendi il mio pec cato , ma quello della fortuna, avrebbe par. lalo freddamente. Il figliuolo di Perolla, in T. Livio, sdegnato che il padre suo gli abbia in. pedito di uccidere Annibale, si volge alla pa tria dicendo: o Patria , ferrurn , quo pro te armatus hanc arcem defendere colebam, hodie minime parcens, quando pater extor. que, accipe. Ne'due cilati luoghi son poste innanzi le idee, che prima si presentano ale l'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il verbo, che apporta luce alla mente sospesa dell'ascollatore. Se T. Livio avesse detto : 0 Patrin , accipe ferrum ec. , oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe an cora mancato di quell'arte, che l'altenzione altrui si procaccia: imperciocchè qualvolta egli ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane voleva difendere ostinatamente la rocca, subito la niente nostra sta attendendo impaziente menle che cosa esser debba di quel ferro; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, re sla preso da subita maraviglia e ne riceve dilelto. Nel collocare le parole secondo la catena delle idee, si vuol porre ' grande cura di con ciliare quest' ordine con quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua , al quale non si può contrariare. Qualvolta 10 scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra che le sue parole siensi di per sé poste al luogo loro, e che chiunque avesse voluto dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Que sta si è quella facilità, che molti avvisano di poter conseguire , ma spesso invano a ciò si affaticano e sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti innanzitulli gli elemenli, onde si compongono le prose e le poesie , ac cade ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi della convenevolezza , o sia del decoro , di che abbiamo di sopra falto cenno alcuna volta. Come dalla mescolanza de'selle colori fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza nella imagine delle cose dal pittore imitate, cosi dalla mescolanza degli elementi predetti , similmente falta con legge, nasce la varietà e la venustà delle prose e delle poesie . Colui che si facesse ad accozzare e ad ammassare alla rinfusa parole nobili , modi urbani, mela fore, traslali, igure , sentenze, ec. , verrebbe certamente a comporre di buona materia as sai deforme Perſella riuscirà posizione, allorchè le parole e i modi e l'ar monia e le figure verranno e ben divisale le une con le altre e lulle insieme, secondo i fini che lo scrillore si propone, secondo la maleria della quale ſavella, secondo la condi. zione sua e di coloro che l'odono , secondo i luoghi in cui parla ; chè in queste tulle cose consiste il decoro. Dal decoro nasce la leggia dria , che risplende nelle più belle opere del. l'arle, e senza di esso nessuna cosa al mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono i fini speciali , che lo scrittore si propone , varii i subbielli, di che può ragionare, varie le uma ne condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le specie de' con ponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual carallere, per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente : Il carattere del discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali risultano la chiarezza e l'or. namenlo, ſalta secondo le leggi del decoro. E perciocchè la principal legge del decoro si è quella , che riguarda il fine, che ci pro poniano , quando altrui manifestiamo i nostri concelli , a questo volgeremo tosto la nostra considerazione, Chi scrive inlende o a convincere o ä pero suadere o dilellare altrui. Secondo questi tre fini nasceno tre generi di scrivere o tre caralleri si diversi , che vogliono essere di stigli e particolarmente considerati ; cioè il fi losofico , il persuasivo, il poelico. Di questi di reno prima alcuna cosa in generale , indi ne accenneremo le specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è il mostrare altrui la verità, e perciò le loro scritture intendono a fare che il lettore od ascoltatore non sola . menle venga di buona voglia nella sentenza a lui esposta , ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto dire ch'egli rimanga convinto . Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella virtù del linguaggio , per la quale si genera il convincimento , ci saranno subito manifeste le qualità , onde il carallere filosofico si distingue dagli altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi percepiamo l'attenenza ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni insie me collegate ' e procedenti da una o da più altre conformi a'falli , le quali si chiamano principii ; ed in questo secondo caso diciamo di essere convinti con evidenza di ragione. A costringere gli animi con questa evidenza in . lendono i filosofi, ed a tal fine son loro neces sarii i vocaboli di singolare significazione ed i modi precisi ; imperciocchè se nella catena delle proposizioni che formano il ragionamento , una sola vi fosse di perplesso significalo, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportanle alcuna idea, si mulerebbero le at tenenze delle dette proposizioni, dal che proce derebbe l'errore , come accade nelle operazioni arilmeliche, qualvolta , no solo numero si ponga iu luogo di un altro, Se agli uomini venisse dalo (che Dio volesse) di ordinare la lin gua a modo che dalle percezioni delle qualità semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non fosse vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il ragionare dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria , come si ragiona nella matemalica ; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al conoscimento delle allenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro principii; e per tal forma ciascuno potreb be sempre rendersi certo della enunciata verità . Da tutto ciò si raccoglie che nella precisio ne delle parole e dei modi sta la virtù di con vincere ; e che perciò essa precisione esser dee la prerogativa dello scrivere filosofico. L'uso della metafora pertantoe delle figure può divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che l'animo umano ingannato dalle similitudini, di che si formano le meta fore, e commosso dagli artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni, non secondo la natura delle cose , ma secondo le apparenze e la capricciosa indole della fantasia. Il sistema del Malebranche , ch'ebbe tanti se. guaci e disputatori (per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si dovrà dunque nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura, e renderlo secco e ruvido, come quello de'ma temalici? V'hanno certamente alcune malerie ( e tale è per avventura la ideologia ) , le quali richieggono un linguaggio pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra ; ma non è perciò che le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera scienza delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia filosofica vuol essere molto mollo fregiala, acciocchè il verisimile, in forza degli artifizii oratorii , non venga ad invadere . il luogo del vero, nė paia che il filosofo voglia invescare e prendere altrui : nulladimeno è necessario che a quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo ragionare, trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga oscurala . Perciò il filo soro collo schivare le parole barbare, rance , oscure e disarmoniche toglierà ogni ruvidezza al suo discorso, e gli darà grazia e leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili , colle vereconde metafore scelte a maggiore schiari. mento di quanto per le parole ben determi nate fu espresso ; colla brevilà e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure, quale sa rebbe l'interrogazione, e specialmente coll’ar. monia facile e piana , e con tutti gli allri modi naturali alla tempérala favella. Questo carallere filosofico fu si ben divisato da Cicerone, che io stimo convenevole cosa di recare le sue parole Temperata e famigliare è l'orazione de’ filosofi: non è composta» di modi popolari; non è legata a cerle regole d'armonia, ma discorre liberamente. Niente sa d'iralo, niente d'invidioso, niente di inirabile, niente di astulo. Casla, vereconda, quasi pudica vergine, onde piuttosto ragionamento che orazione può nominarsi. Parliamo del discorso  di carattere persuasive o protrettico. Poichè abbiamo dato contrassegno del carattere filosofico, veniamo a fare il medesimo della mozzione conversazionale persuasiva. “Persuadere” segna propriamente far credere altrui alcuna cosa; dal che manifeslo apparisce essere grande la differenza tra il “convincimento” e la “persuasion”. Perchè siamo convinti è forza che conosciamo ogni proposizione che compone un ragionamento fino alla prima percezione, dalle quali dipende il principio fondamentale di quello. Perchè siamo “persuasi” basta che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o l'apparenza o l'autorità (non come l’intende Courmayeur). Molti dicono, a cagion d' esempio, di essere “persuasi” che il sole si giri intorno la terra, ed altri che la terra si volga intorno al proprio asse. Gli uni prestano fede all'apparenza, gli allri al detto degli uomini sapienti. Ma di quello che credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione. Da questo esempio, e da infiniti altri, si può vedere che la persuasione non è sempre generata dal conoscimento di ogni proposizioe  che si richieg gono nella dimostrazione, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a tenere le menti del più degli uomini, non importa semipre il dimostrare sollilmente alla maniera del filosofo, ma giova di far uso di qualsi voglia verisimile principio: di comporre imaginazioni che abbiano faccia di verità: di adoperare figure che, perlurbando l'aninmo di nostro compagno conversazionale, conformino i pensieri di lui secondo la nostra volontà di guisa, che, se egli sia per venire nella nostra sentenza, precipitosamente vi corra . Ma tutte queste cose si vogliono ado perare a modo, che il discorso abbia sempre apparenza di vera dimostrazione; perciocchè gli uditori di qualsivoglia condizione sempre domandano a conversatore che sia loro mostra la verità. Converrà quindi dedurre il discorso, per natural guisa e chiaramente, e da esso rimovere ogni proposizione ed ogni artificio, nel quale apparisca alcuna ombra di falsità. Primo ufficio del conversatore si è il provare la sua proposizione nella divisata maniera. Secondo, il dilellare. Terzo, il commovere; accorgimento si richiede nelle prove; sobriela degli ornamenti che intendono al diletto; veemenza nel concitare gli affetli. Con queste arti si perviene a trionfare ed a governare la volontà di nostro compagno conversazionale. Per le cose dette si conosce che il conversatore, comechè dice di voler dare esatta dimostrazione di quanto afferma, questo non fa sempr : del che si può aver prova nella disputa, che fa in contraddilorin, per le quali talvolta appaiono vere due sentenze, una delle quali, essendo opposta all'altra, deve di necessità esser ſalsa (reduction ad absurdum, introduduzione della negazione). Non è dunque l'arte della conversazione veramente l'arte di dimostrare (prendendo questa parola nello stretto segnato del filosofo) ma, come la define Dionigi d'Alicarnasso, “l'arte di farsi credere”. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra indicato inodo divisata la natura di una mozzione conversazionale persuasiva, de abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse а porterebbe opinione falsissima; perciocchè non si ſa inganno agli uomini adoperando a bene quell'arte, che sola si conſà all'indole della più parte di essi. Pochi sono coloro, che pos sono essere falli capaci della verità per via di sollile ed esatto ragionamento; anzi avviene il più delle volte che, sembrando molti falsissimo il vero e piacesse a Dio che così non fosse), è forz , per guadagnare l'opinione foro, venire ad alcuna utile verità per le strade del verisimile; e questo non è certo ingannare, ma giovare la umana famiglia. Vero ufficio dei conversatori si è l ' usare l'eloquenza non ad inganno, ma per indurre gli uomini a fuggire il vizio, a seguitare la virtù e la verità; per metter fine alle conlese, per sedare i tumulli, per sollevare l'autorità della legge contro il volere di coloro, che il privato bene antepongono a quello della repubblica: che se alcuni malvagi intellelli abusano di tutte le arli civili, dovremo per questo sbandirle dal Roma e ricondurre gli uomini a viver di ghiaude? Finalmente e la mozzion conversazionale di carattere poetico, come in Heidegger. La poesia fou dai romani inventata per proprio diletto, e poscia dagli autori della vila civile ad ammaestramento di esso popolo adoperala. Piacque ad aleuni a solo ricreamen to dell'animo usarla, ma i più nobili poeti sotto il velame delle favole, delle imitazioni e dei mirabili concetti pascosero la dottrina , e con locuzione accesa nella fantasia e con soavi armonie si aprirono la strada alle menli volgari, le quali all'insegnamento dei filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo che niuno può dubitare che chiunque si dispone a fare una mozzione conversazionale poetica non debba cercare di piacere alla più parte degli uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il nostro Alighieri, la cui divina Commedia leggevano anche le persone d'umile condizione, e ne traevano documenti a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il Tasso, e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere salutato un autore di una mozzione conversazionale poetica. Se dunque investigheremo quali sieno quei modi che dilettano il più degli uomini, e quali sieno que' che li noiano, giungeremo a conoscere quali convengano e quali disconvengano al carattere della mozzione conversazionale poetica . E primieramente e palese che le espressione apportano diletto e colla materiale struttura loro e colla qualità delle idea, che recano alla mente; perciò è che l'essere del carattere poetico dall'una e dall'altra di queste cose dovrà generarsi. Una delle qualità necessarie alla mozzione conversazionale poetica sarà dunque la più squisita armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato l'intelletto in virtù della imitazione. Dell'armonia abbiamo dello abbastanza, perchè passeremo tosto a dire della natura delle idee dilettevoli. Il diletto si genera negli animi da ciò che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la mente senza tenerla in fatica: e perciò è che le imagini dei corpi diversi e tulte quelle cose e que’ concetti, che hanno virtù di risvegliare gli affetti, ci recano maraviglioso piacere e le idee astratte all'incontro non lo ci recano, perciocchè, se non sono mollo complesse, fanno lieve impressione nell’animo; se molto complesse, abbisognano di molta attenzione, e perciò affaticano la mente. Proprii, saranno dunque del carattere poetico i vocaboli e i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza di molte sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere sensibili coll'aiuto delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili concetti della mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti vengono segnata la passione o l’azione, e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali in virtù dei soli nomi sustantivi non verrebbero all'animo di nostro compagno conversazionale, o ci verrebbero debolmente; perciò al poeta conviene l'adoperare essi aggiunti più frequentemente che all'oralore, quale dipinge meno parli colarmente le cose, siccoine colui che non ha per fine principale il diletto. Colla metafora si dà corpo a una nozione astratta, coi tropi si pone dinanzi agli occhi della mente quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che prima si presenterebbe al senso di colui che cogli occhi del corpo il mirasse. Adoperando i predetti modi, si perviene a dare a’ concetti intellettuali forma sensibile guisa, che nostro compagno conversazionale, direi quasi, non più per segni percepisce le cose, ma le vede, e con mano le tocca. Affincho palesemente si vegga questa prerogativa, che sopra tutt e rende il carattere poetico distinto dagli altri, recherò ad esempio alcuni concetti intellettuali, convertendoli in forma sensibile. Tutti i viventi muoiono. La sede del romano impero fu da Costantino trasferitu a Bisanzio Il popolo facilmente mula consiglio. Quello ch' ei fece dai tempi di Romolo, sino a quello dei Tarquinii. Quello concetto si dice intellettuale, siccome quelli che si denno giudicare secondo il segnato proprio di ciascuna parola; sensibili saranno, qualvolla sieno espressi di maniera che giudicare si debbano secondo l'apparenza o la similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli nel modo seguente. La morte batte egualmente alle capanne de poveri ed a’ palagi de’ re. Posciachè Costantin lo quila volse contro il corso del ciel, che la seguiu Dietro quel grande , che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E guel cliei fe' dal mal delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che assai di lettano, e perchè contengono manifeste similitudini e perchè racchiudono veri intellettuali concetti, sono talmente proprie della mozzione conversazionale poetica, ch'elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi, che non hanno per fine primario il diletto. Come queste poi si addicano più a cerle specie, che a certe altre, vedrenio a suo Juogo. Ora bastea di avere in genere contra-segnata la natura del carattere poetico, onde apparisca che tengono mala strada coloro, i quali cercando "fama tra i poeti fanno pompa ne’loro versi di dottrina e di soltile ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e distinto. I concetti che si cavano dall’intrinseco della filosofia, recanó seco molta oscurità e difficoltà, specialmente quando vengono segnato co' vocaboli e commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che è il fine del poet , o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento. E quando si dice che il poeta dev'essere filosofo, non si vuol dire che a modo dei filosofi debba scegliere, ordinare e segnare il concetto, ma che egli usi molto di filosofia nello scegliere le materie più utili agli uomini, e nel dare a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se talvolta egli vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia, lo toglierà dalla superficie e non dal profondo seno di lei, in quel modo, che ha fatto il Petrarca, qualvolta si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio. Per le cose mortali, che son scala al fattor chi ben le stima, D'una in altra sembianza potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna nè oscurità, ma naturalezza, novità, e magnificenza, che sono qualità popolari, che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegnamento, sono: la matematica, la fisica , la metafisica, la morale, la politica, l'arte oratoria e la poetica, le arti liberali e le meccaniche, e tutte le conoscenze che da queste principali procedono, ciascuna delle quali essendo più o meno astratta , richiede o maggiore o minore soltigliezza d'ingegno e forza di attenzione in chi le consider: per la qual cosa interviene che dovendo i conversatori usar parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie, ne risultano diverse specie di caratteri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due maniere. Alcune letterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono avvezze al ragionamento, si converrà stretto sermone: più diffuso alle altre, le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto, ed anche talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile. Per tal cagione il discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai perdere però la precisione, che forma l'essenziale sua proprietà. Di tal sorta sono molte mozzione conversazionale indirizzati all'insegnamento de' giovani, e i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali vengono usate affinchè certe materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i conversatori affaticati trovino riposo nelle digressioni e in altre parti accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o protrettico. Se al mondo fossero uomini dirittamente sapienti e perfettamente savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere convinti con precisa e poco adorna favella: ma Blo non sono quaggiù nel mondo cose perfette, e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvisando di poter essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti artificii; pure non v'ha alcuno, che vaglia a resistere alla seduzione di astuta eloquenza; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare con ogni sorta di persone; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti è l'aculezza dell'intelletto e la sapienza, altrellanto esser deve la cura nell'ora tore di occultare l’artificio. Dovranno dunqne i modi del discorso persuasivo tanto più avvicinarsi a quelli del filosofico, quanto piu le persone, cui si favella, sono sapienti ed arcorte; ed all'incontro tanto più dovranno lingersi, direi quasi, del COLORE (Farbung) poetico, quanto nel conversatore è minore l'altitudine ad argo nentare sottilmente: e la ragione di questo si è che, a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intelletto, cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le apparenze della buona dimostrazione; essendo che' il popolo stesso, il qual pure, come è detto, presume di sapere ragionare sottilmente, sde gna quella orazione che gli par vuota di ragioni. Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso, secondo la maggiore o minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si possono dividere in tre schiere. La prima è degli uomini letterati : la seconda degli uomini che banno convenevole discrezione di mente: la terza del popolo basso. Per le quali tre schiere tre specie di carattere persuasivo procedono. La prima partecipa alquanto delle qualità del genere filosofico: la terza di quelle del poelico: la seconda è stile medio e media fra le due. Della prima specie e le allegazione, che l’avvocato pronuncia al cospetto de' giudici; della seconda i discorsi morali, la storia, l’elogio, ed altre opere intese a persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete; della terza la predica e la allocuzione e il parlamento, che si fanno al popolo ed a; soldati. Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano, e varie le cose di cui si può favellare, interviene che secondo queste e quelle verrà il carattere persuasivo a dividersi in altre specie: e perciocchè le per le cose si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili, piacque a' retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del carallere persuasivo, e questi sono: il sublime, il temperato ed il tenue. Che a ciascuna di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile comprendere e chi non vede che al discorso rivolto a celebrare le lodi di un eroe o di un sapiente si convengono maniere diverse da quelle , che sarebbero accomodate a descrivere o a lodare l’amenità della villa? Che la lettera famigliare intenla a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura diversa dall' orazione che tralla della cosa medesima? Paren sone e I 2 domi che qui non sia bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò , cioè, che von solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere, ma ancora particolare collocazione di parole e particolare armonia . Imperciocchè l'animo di chi favella , essendo secondo i varii casi o tranquillo o perturbato, o elevato o umiliato , non è dubbio che, nel seguitare questi diversi affetti, variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro le, e che similmente dee variare l'armonia , se vero è ch'ella soglia naturalmente , qualvolta favelliamo, accompagnare i moti dell'animo, Oltre di che vuolsi considerare che que' che parlano alla moltitudine, o scrivono cose da proferirsi ad alla voce , sogliono muoverla e modularla con diverso andamento da quello che userebbe colui, il quale famigliarmente ragionasse e tranquillamente in angusto loco alcun fatto narrasse ; e perciò il ritmo di que ste due specie di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a modo, che le nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo pubblico di gravi negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual sivoglia materia. Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun caso convenga, insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimento, chè l’esempio de classici scrittori assai meglio ne può ammaestrare. Penso che sia convenevole cosa il collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si addice alla istoria; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre coll'insegnamenlo la prudenza civile e militare, il che si ottiene col porre innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli effelli di quelli. Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma piera e particolari e generali, assalti , uccisioni , incendii, battaglie, saccheggi, trattazioni, páci  congiure, delilli e virtù; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai capilani, i gravi consigli e i documenti della politica ; di esprimere i caratteri delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle cose vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della maleria. Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della storia, cioè grave , siccome si addice a chi le gravi cose racconta , certo egli è che secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello innalzarsi, ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace, nelle descrizioni più ameno ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi introdolli a parlare, ma sempre temperato in quella dello scrittore, che da ogni parteggiare dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere storico nè l'autorità filosofica, la quale sarebbe contraria alle malerie , nè la poetica pompa , che torrebbe fede alla narrazione ; perciò é forza che gli sieno proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo, dal quale differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accennale. C’e una e altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in alcune specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore altitudine delle menti umane a di scerncre la verità, ciò non occorrerà circa il carallere poetico ; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno , quanto quelli , in cui la fantasia prevale all'intelletto, hanno tulli dinanzi al poela una medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni noe. tiche , quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli della verità e quasi come leggiadri sogni della filosofia , e in questo loro dolce ricreamento sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose forme filoso . fiche . Perciò è palese che il poeta rivolge sem . pre le parole ad vomini, i quali, sieno di qual sivoglia condizione , amano che la mente loro şia condotta ad operare senza fatica . Da que. sto si ricava che ogni specie di carattere poe tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo di sopra, le idee che tengono in falica l'intelletto, e rappresentare quelle , che vestile di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque diviso in ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti , ma della condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle varie cose , che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo proposito , parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della poesia. Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista nel metro, e fra que sti è il Melaslasio , il quale nella sua esposi zione della Poetica d'Aristotele sostiene che la lavella metrica, per essere l'istrumenlo con che l'imitazione si fa , ne forma l'essenza . Ma io domanderei voleplieri a coloro che cosi la pensano , qual nome vorrebbono dare all'Eneide tradolla in favella sciolta dal metro? Le daranno per avventura nome di prosa? L’espressione “prosa” altro non segna che discorso senza metro, e per ciò verranno a dire solamente che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di quella sola qualità, di che grandemente si diletta l'orecchio, ma non già di tutte le altre, che stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di diletto. Dal che appare manifesto che un altro general nome è bisogno per distinguere i discorsi composti per dilettare. E quale è a ciò più accomodalo vocabolo che quello di poesia? L’espressione “poeta”, secondo sua origine , significa facilore o vogliam dire fabbricatore; e perciò poesia sonerà lo stesso che fabbricazione o finzione, e tali sono di necessità quasi tutti i discorsi, che si compongono a fine di dilellare, essendo che il nudo vero non è dilettevole sempre e in ogni sua parle: perciò Varchi dice nell'Erco laro, che il verso non è quello che faccia principalmente il poeta; e che Boccaccio talvolla più poeta si mostra in una delle sue Novelle, che in tutta la Teseide. Ed Orazio afferma che a distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta disgiungerne le membra, cioè loglierle il metro, e allora si vede manifestamente che il carattere non le si toglie. Conchiudiamo pertanto, che il metro induce diſſerenza di specie ma non determina la natura del genere; e stabiliamo che a tutti i discorsi  che hanno per fine il dilettare con metro o senza , si conviene il nome di “poesia”.  Ora veniamo alle specie. Talvolta il poeta rappresenta la persona d'uomo, che cantando, dice laudi degli Dei e degli Eroi; talvolta quella , ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell’amore, o solamente gli scherzevoli con cetli. Le poesie di questa maniera solevano dagli antichi essere cantate sulla “lira,” e perciò presero il pome di “lirica”, e tuttora il conservano. Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si possono dal conversatore lirico, interviene che ancora il canto si divide in varie specie, che tutte poi si riducono a tre, come nel carattere persuasivo: cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità sue proprie. Magnificenza e gravità di mod , di sentenze e di arinonia , e splendore d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra le laudi degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passioni: più tenui maniere e parole e più soave armonia a chi esprime gli affelli meno gravi e canta di subbielli meno nobili: quegli poi , che dice i mili affetti o gli scherzi o le umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da ogni fasto lontana, ed armonia soave e varia , ma sempre tenue. Alla detta varietà d'armonie, mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano secofl'umiltà , altri la mediocrità , altri l'allezza dell'armonia. Sono molti esempi di questa varietà in Petrarca, Si ponga mente ai modi, al metro, al ritmo delle due canzoni d'amore , una delle quali comincia, Chiure, fresche e dolci ucque; e l'altra, Di pensiero in pensier, di monte in monte; e si vedrà la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di grazia, e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poeta narra gl ' illustri ſalli ; tal volla i mediocri; e talvolta i piacevoli: indi si generano i poemi epici, i romanzi , i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili , e quindi provengono le tragedie, le commedie , le egloghe pastorali e le pisca torie . Ognuna di queste specie, siccome è pa lese , ha modi ed armonia convenevole alla maleria ed alla condizione delle persone. Perciò è che il poeta , specialmente nella tragedia, nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo altri a par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa , che lo spettatore , ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire : così parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale favella fos sero i versi . Giovi questo generale avverli mento , perciocchè non si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie . Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari , alle quali colui che ben vede di stintamente le raffigura : pure a quando a quando or questa or quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa , che l'epico nelle forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il più sublime lirico parra alcuna volla , siccome fa l'epico. Lo stesso interviene delle allre specie , fra le quali per fino la commedia talora si leva a gareggiare colla Tragedia , e la tragedia al dire l'Orazio , spesso , si duole con sermone pe destre. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la nalura, si scorge infinita diversilà , ma per questa spesso non è tolto che moltissimi indi vidui della medesima specie , sebbene molto dissimili, non sieno egualmente belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la vole colorite da' celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello dell'imitare la bella natura, non in tutti una apparisce la sembianza del loro dipingere. Raffaello, Correggio, Domenichino, Caraccio, Tiziano e Paolo, i quali cerlo non mancano nelle regole invaria bili dell'arte , sono fra loro assai differenti. Tutti mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione, belle forme , ben disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa: tutti esprimono i costumi e gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predette e di altre virtù una cotale mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la maniera dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti. Questa, che i pillori chia mano maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori, agli storici ed a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari commendazione, sebbene tale fra loro sia la diſſerenza, che spesso ciascuno solamente a sè me, desinio ed a nessun altro assomiglia ? La rinsposizione dell'ingegno e delle affezioni dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è cagione che le dette maniere sieno di numero pressochè infinito. Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della perspicuità, alcuno della eleganza, allri della grazia, altri dell'aculezza. Questi è grave e maestoso: quegli delicato e molle: chi è breve e robusto: chi copioso , chi úrbano e chi veemente: ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di noi desiderasse di ottener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri, si è quella che gli antichi chiamarono “stile” (cf. Tannen, Conversational style), prendendo questa voce dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La stessa parola “stile”, presa più largamente che non fanno i filosofi, segna comunemente il carattere in genere o in ispecie : ma è palese che, filosoficamente parlando, si è bene d'usarla nel senso leste dichiarato. Ond'è che assai propriamente diremo in generale, carattere filosofico, caruilere persuasivo o poetico; ed in ispecie carattere oralorio, lirico, epico, tragico, sublime, medi cre e tenue : e stile di Demostene, di Cicerone, di Ortensio, di Omero, di Virgilio: percioc chè nei primi fu il solo carattere persuasivo, negli altri il poelico; ma in ciascuno ebbe una particolare maniera, che modificando il carattere, l’essere suo non gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera, che stile si appella, vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l' animo disposto : laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che far si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere modificato secondo le qualità dell'intellelto , della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile , non sarà indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello scrivere ; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto , della fantasia e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo convenevole e pulito , bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il più che si può. L'uomo nasce fornilo dell'intelletto, cioè della facollâ di sentire, di percepire , di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di astrarre, di ricordarsi, di imaginare , ma d'uopo è che queste lacollà vengano poscia diriltamente usate ed esercitale, onde sia generala quella virtù pressochè divina , che si appella la ragione, la quale consiste nell'abito di . paragonare in sieme i sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai falli pariicolari le nozioni gene. rali ; di anteporre o posporre le une alle altre, di congiungerie o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza loro , e secondo i loro gradi di più o di meno. A formare que sl’abito , sarà bisogno di studiare le opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose na lurali, delle proprietà dell'intelletto e del cuore umano ; di apprendere l ' istoria , senza la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si rimane sempre fanciullo ; di osservare la nalura , di pralicare fra le diverse condi. zioni degli uomini , e di operare ne privati negozii e ne' pubblici . Ad arriccbire l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la reminiscenza delle qualità sensibili che più ci muovono e dilellano ; di congiugnere insie me con verisimiglianza quelle , che sono di. sgiunte in nalura , e di significare per siinili tudine delle cose corporee i concelli astralli, non solo metterà bene di leggere gl'inventori di nuove e vaghe fantasie , ina di por menle a tutto ciò che ai sensi porge diletlo , sia nelle azioni degli uomini e degli anigali sia nel l’esteriore aspelto e movimento delle cose inanimate ; e soprattullo gioverà di ben con siderare le somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia genere e specie ; chè que sto si è il fonte , dal quale si derivano le vuo ve e maravigliose metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed all'immaginativa lo sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i quali, essendo il compendio di quanto ove i filosofi hanno osservato intorno le cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori, apportano quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe indarno di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno. Vuolsi però sull'osservanza de'precelli avvertire ciò che nell'arle poetica osserva Zanotti; cioè che le cagioni del piacere e del dispiacere trovate da’ filosofi, essendo cagioni universali ed indeterminale, mostrano bensi i luoghi , non vogliono che si ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si debba giugnere o rimanere , per non ecce dere o non mancare; ond' è che, a fare buon uso del precello , è bisogno di quella discre. zione , che si acquista con lungo sludio e fatica . Rispetto agli affelli, io mi penso che, sel) bene sieno da natura, pure a conciliarli in al trui grande aiuto si possa trarre dall'arte . Se l'amore, l'odio, l'ira, la mansuetudine , la misericordia ed allre affezioni dell'animo na. scono da cagioni determinale, come per eseni. pio l'amore da bellezza e da virtù, l’odio da male qualità del corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio che gli aſſelti medesimi si deb bono in chi legge risvegliare per virtù della viva' rappresentazione di quelle cagioni : dal che si raccoglie che lo scrittore, considerando le varie disposizioni degli uomini passionali, e le cagioni, per le quali la passione si genera, avrà materia onde gli animi perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà ad operare in altrui quell'eſello, che imperſellamente avrebbe operalo mercè della sola naturale sua disposi. zione. Da quanto è dello apparisce che la scienza avvalora l'intellelto e l'immaginativa , ed aiuta a muovere gli affetti, e che perciò ella si è il fonte dello scrivere rettamente. La scienza poi è generala negli umani intellelli da due cagioni: queste sono: la naturale disposizione delle organo corporale e l'azione delle cose esterne sopra di esso; sì falte ca. gioni sono di necessità diverse in ciascuno ; perocchè non è da credere che si possano tro vare due corpi nella stessa maniera conforma li ; ed è poi certamente impossibile che uno riceva dalle cose esterne nell'animo le mede sime impressioni che un altro. Per la qual cosa avviene che diversa in ciascuno si generi la scienza , e quindi diversa la forza dell'in gegno e dell'imaginaliya, diversa la qualilà degli affetti, e per conseguente anche lo stile, che da queste procede, deve riuscire diverso . Dal che si vede che imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano ad imitare lo stile d'altri. E alcuni pur sono che andando passo passo sull' orme di Dante, del Petrarca o del Boccaccio , avvisano alla costoro gloria di per venire ; ma le opere loro per verità , in fuori di un poco di pulita buccia, niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque apprendere dagli scrittori ? Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri concelli. Da questo scrillore ci sludieremo di procacciare una cosa , da quello un'altra , a seguileremo sempre la nostra natura , secondo l'esempio di Dante, il quale lasciò scritto di sè : lo mi son un che, quando amore spira , nolo, ed a quel modo che delta dentro, vo significando. Che se allrove disse a Virgilio: Tu se' lo mio maestro e lo mio autore, Tu se' solo colui , da cui io loisi Lo bello stile, che mi ha fallo onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera propria di quel poeta , ma sibbene la qualità , onde il carattere poetico é differente dal filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza che è dallo stile di Dante a quello di Virgilio? Rimane per ultimo a dire degli autori , che coloro che amano di scrivere nell'italiana favella , devono scegliere a maestri. Nulla dirò dello studio della lingua greca e della latina, perciocchè essendo notissimo che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che insegnarono a tutto il mondo, e che questa nostra da quelle procede, ciascuno conosce di per sé quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò dunque a fare alcuna parola de' solo il conversatore italiano, che agli altri si devono preporre. E prima è a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni poeti diedero al volgar nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi polulo eguagliarli: che nel secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per soverchio amore della lingua latina e per pusillanimità degli uomini d’Italia : che nel secolo XVI ſu dal Fortunio e dal Bembo ridollo a regole deter. minate ; e da molti ſu nobilmente adoperato in varii generi di scritture : che nel secolo XVII fu da talupo acconciamente impiegato ed ar ricchito di voci perlinenti alle scienze , fu da alcun altro scrillo con eleganza, ma venne da moltissimi in parte corrotto e rivolto in vanilà di falsi concelli: che nel XVIII finalmente ſu da pochi bene usato , e da moltissimi con pa role e modi forestieri vituperato . Tale essendo stata la fortuna di questa bellissima lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi sa lutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapienli , cioè quello di studiare agli antichi esemplari? Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava essere opera di gran probllo ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori del Lazio, quanto maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi, che viviamo in un secolo , ove gl'ita liani, pressoché tutti , più delle cose forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì, che punto non pare alle loro scritture che sieno stali allevati in Italia? Verissimo si ė (anche parlando delle arti) quello che dicono i politi ci, cioè che qualvolta le cose sieno pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro principii. Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro, che amano il profitto de' giovani nelle lettere umane ; pure sono al cuni cbe , deridendo coloro che studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza il darsi tanto pensiero delle parole ogni qualvolta si 1centisti , abbia cura dei concelli ; come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non dipenda dalla virtù di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla loro usanza o ne' soli domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo studio della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, non avendo au. torità , non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini di mente discreta non si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i giovanetti a studiare prima nelle opere de’ trecentisti, ne’ quali è dovizia di vocaboli proprii e di forme gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza , ed a riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei cinque che scrissero eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà: non dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del nostro secolo e cercare di piacer loro seguendo l'usanza? Perchè dunque vorremo che la gioventù studii ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivocazioni, e talvolta negligenza e stranezza nel costrutti? Perchè non vorremo consigliarla piullosto a leggere i soli scrillori del cinquecento, i quali seguitando le regole grammati. cali dettate dal Fortunio e da Bembo, non solo scrissero correttamente, ma trattarono eloquen temente di varie ed importanti materie? A queste obbiezioni risponderemo che si dee se guire l'usanza, del buon conversatore, l'usanza del volgo; che non si vuole negare che in molle opere del trecento non si trovino ma non fra la copia delle maniere proprie, nobili e graziose, varii difelli; ma che per questo non ci rimarremo da consigliare la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel secolo beato, e di leggere per tempo i suoi eccellenti scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è difficile il rendersi famigliari e domestiche le maniere native e gentili, altrettanto è facile di perdere l’abito di peccare contro la grammatica e contro l’uso. La predetta virtù non si può acquistare se non con lungo esercizio : il diſello si può togliere assai agevolmente dopo lo studio della grammatica, e dopoche per la filosofia e per la erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle parole e di ben distinguere la lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che per vecchiezza ban no perduta la grazia e la forza pativa, da quel le che sono ancora belle ed efficaci. Quanto allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per essere ulilissimo, essen do che molli eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua, che appresero da Alighieri, da Boccacio, da Petrarca e dagli altri tre centisti , emulando mirabilmente i romani in molli generi di scrilture: ma teniamo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al candore ed alla semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma gnificenza, la copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché lulti coloro, che sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla filosofia sieno ſalli ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella buccia, una nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i giovanelli esprimere con verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la tenera età , troveranno assai comodale al bi sogno le parole ed i modi usati da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia dell'italico sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo, in che a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora apprenderanno da Guicciardini gravità e nerbo; dal Segretario fiorentino sobrietà ed evidenza; dal Caro copia, efficacia e gentilezza; dal Casa splendore e magnificenza ; dal Galileo ordine e precisione; d’Ariosto e da Tasso i pregi lulli, ond' ė divina la poesia. Ma allo studio di quesli e degli altri molli, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di . sposto se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del trecento, da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o Giovani, è quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel cammino delle lettere, alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo contrario. Vi ho mo strato quali sieno gli elementi della Elocuzio ne; come nel contemperarli secondo le leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e final. mente come lo stile proceda da naturale di sposizione e come col sapere si perfezioni. Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio fanno l'arte, è vero altresì che arte senza uso poco giova: onde, se dallo stile cercate onore, vi sarà bisogno di neditare mollo, di leggere molto e di scrivere mollissimo. Grice: “It may be said that my transcendental Kantian approach to cooperative rational conversation is a response to Costa’s totally empiricist (or ‘sensista’ as he prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my imperative of conversational clarity), and brevita, eleganza, and all the categories that inform the maxims. Paolo Costa. Keywords: la teoria sensista della communicazione – idea dei chi proferisce la proposizione “Me diletta l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e la risponsa di nostre anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di questa rosa piu dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library.

 

Costanzi (Pozzuolo Umbro). Filosofo. Grice: “I like Costanzi; possibly my favourite of his essays is the one on ‘amore’ and ‘morte’ – eros and Thanatos for the Oxonian!” Si laurea a Bologna. Ensegna a Bologna. Altre opere: “Pensiero ed essere” (Perrella, Roma); “Varisco: l’uno e i molti” (Perrella, Roma); “Noluntas” (Perrella, Roma); “Schopenhauer” (Roma); “L'asceta moderno” – L’asceta -- Arte e storia, Roma; Spinoza, Universitas, Roma); “Il sentito in Platone” -- Arte e storia, Roma); “L'ascetica di Heidegger” Arte e storia, Roma); “L'ascesi di coscienza e l'argomento d’Aosta”, Arte e storia, Roma); “Meditazioni inattuali sull'essere e il senso della vita” Arte e storia, Roma); “La terrenità edenica del Cristianesimo e la contaminazione spiritualistica” (Patron, Bologna); “La donna angelicata e il senso della femminilità nel Cristianesimo” (Patron, Bologna); “La filosofia pura, Alfa, Bologna); “Il senso della storia, Alfa, Bologna); “Sul prologo di Zarathustra (Nietzsche e Schopenhauer) con trad. dello stesso Prologo, in Ethica; “L'etica nelle sue condizioni necessarie, Ed.ni di Ethica, Bologna); “L'estetica pia, Patron, Bologna); “L'ora della filosofia, R. Patron, Bologna); “L'uomo come disgrazia e Dio come fortuna” (Alfa, Bologna;  “La critica disvelatrice” (Ed.ne dell'Istituto di Filosofia dell'Bologna, Bologna); “Amore e morte” (L. Parma, Bologna); “La singolarità della diada: compimento di un itinerario senza vie” (Cooperativa libraria universitaria editrice, Bologna); “L'equivoco della filosofia cristiana e il cristianesimo-filosofia” (Clueb, Bologna; e ragioni della miscredenza e quelle cristiane della fede, Clueb, Bologna); “La fede sapiente e il Cristo storico” (Sala francescana di cultura Antonio Giorgi, Assisi); “La rivelazione filosofica” (Sala francescana di culturaAntonio Giorgi, Assisii); Il Cristianesimo: filosofia come tradizione di realtà” (Sala francescana di cultura, Assisi); “Breviloquio della sera” (Sala francescana di culturaAntonio Giorgi, Assisi); “L’immagine sacra” (Sala francescana di cultura, Assisi); “L'identità del Lumen publicum nelle privatezze di Anselmo e Tommaso” (Il Cristianesimo-filosofia, Le Lettere, Roma); Opere, E. Mirri e M. Moschini, Bompiani, Milano). Sgarbi torna a Tuoro per presentare l'opera omnia del filosofo Teodorico Moretti-Costanzi, "UmbriaLeft.  Il filosofo imagliato dal Sessantotto, "il Giornale"Dizionario Biografico degli Italiani. Teodorico Moretti Costanzi. Keywords: l’essere, il sentito, ascesi (verbo?), Zarathustra, il singolo della diada, l’uno e i molti, nolere, nolitum, volitum, amore/morte, eros/tanatos, immagine sacra, imaginatum, essere, un essere, due esseri, le due esseri entrambi – rivelazione – la rivelazione filosofica – a new discourse on metaphysics: from genesis to revelations – un nuovo discorso di metafisica: del genesi alle rivelazione. – Zarathustra e cristita --  nollere in Schopenhauer --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costanzi” – The Swimming-Pool Library.

 

Courmayeur (Torino). Filosofo. Grice: “The most interesting thing about Courmayeur’s philosophy is that he is a count; unlike Locke, or the common-or-garden English Oxonian philosopher who doesn’t have a dime, this one has, as the Italians say, ‘all the money in the world’! That helps with philosophy! His forte is moral philosophy AND HEGEL, which proves that Hegel becomes the taste of aristocrats and not just dons like Bosanquet!” - Dall'antica famiglia valdostana dei Passerin d'Entrèves et Courmayeur. Ottenuta la maturità classica al Massimo d'Azeglio di Torino, si laurea con Solari con “Hegel” (Torino, Gobetti). Studia sotto Ruffini e Einaudi la filosofia politica del medio evo e il concetto di costituzione. Insegna a Torino. Fu capitano di complemento degli Alpini e membro del CLN, dal quale venne nominato, primo prefetto di Aosta. Fu all'origine dello statuto della regione autonoma Valle d'Aosta.  Fra le sue opere più note, Il concetto dello stato, è considerata da molti la sintesi del suo pensiero storico-filosofico.  Oltre che filosofo del diritto e storico del pensiero politico, viene considerato il fondatore della filosofia politica italiana come disciplina a sé stante, finalmente distinta dalla filosofia dello stato. Paradossalmente ciò avviene proprio col saggio, “Il concetto dello stato”. Ben diversamente dall'ordinamento tematico della “Staatslehre” come pure dall'ordinamento cronologico per filosofi in uso nella filosofia politica, ordina la filosofia politica secondo uno schema concettuale schiettamente filosofico: "il concetto di forza – forzare ", "il concetto di potere" (il verbo ‘potere’); "il concetto di autorità – auctoritas --". Il concetto di faccia dello stato, secondo una scala di qualificazione crescente. Il concetto di "forza" (il forzare) e qualificato di un imperativo, un mando o commando efficace. Il concetto di "potere" (potere del giurato) contiene il concetto di forza (il forzare – come un mando o imperativo efficace), ma organizzato in una istituzione e qualificato dal ‘giurato’. Finalmente la terza faccia, il concetto di "autorità" come contenendo la second faccia del potere del giurato, qualificato da una concetto di legge variable: la promozione del giurato, la promozione del bene comune (la res publica), o la promozione della piccolo patria. Altre opere: Il concetto dello stato (Torino: Giappichelli); “La Valle d'Aosta, Bologna: Boni); “La filosofia della politica, Torino: UTET); “Filosofia politica nel medio evo italiano” (Torino: G. Giappichelli); “La filosofia politica d’Alighieri” (Einaudi, Torino); “Morale, diritto ed economia, Pavia: Libreria Internazionale F.lli Treves); “Morale, Roma: Athenaeum); “Appunti di storia delle dottrine politiche: la filosofia politica medioevale, Torino: Giappichelli);  “Il concetto dello stato in Zwingli", in Filosofia del diritto, Roma); La teoria del diritto e della politica in Inghilterra all'inizio dell'età moderna, Torino: Istituto giuridico della R. Università); “Obbedienza e resistenza” (Roma/Ivrea, Edizioni di Comunità). La piccola patria, Milano: Franco Angeli); Obbligazione Politica, Pensa Multimedia.  Dizionario biografico degli italiani. Biblioteca civica Passerin d'Entrèves. Grice: “It’s only natural that Courmayeur had such an intricate concept of ‘state’ – he was born in a minority, like Russell, who was born in a place which some called England, some called Wales. The situation is so borderline that it reminded me of my ancestors, the Ingvaeonic – and see all the problem the Frisians are having in Germany! Now they do recognise the ‘anglo-frisiche’ – but hardly allow them to vote!” “It is not clear how the collectivity has any bearing on the third state of ‘state’ – the ‘auctoritas’ – but then perhaps ‘auctoritas’ is the wrong concept, since it just means ‘author’ – Courmayeur is making the point that all authority is legitimate authority. “You have no authority” means ‘you have  no legitimate power’ – and you have no power, means you have no legal force, and you have no force means you cannot command!” As Courmayeur would say: it’s all different in valaestan, the vernacular of Aosta, which hardly has the same status as Italian (since giuridically Aosta belongs to Italy) or French (since French is the official language, along with Italian). But don’t ask that imperialist Crystal for an answer!” Alexandre Passerin d'Entrèves et Courmayeur. Alessandro Passerin d’Entrèves et Courmayeur. Courmayeur. Keywords: piccolo patria, il concetto dello stato, filosofia politica versus staatslehre, prima faccia: il forzare come imperativo efficace; seconda faccia: il potere come il forzare organizzato in una istituzione e qualificato dal giurato; la terza e ultima faccia: l’autorita, come il potere qualificator da una legge centrata in un concetto ideale variabile: il giurato, il bene comune (res publica), la piccolo patria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Courmayeur” – The Swimming-Pool Library.

 

COTRONEO (Campo Calabro). Filosofo. Si laurea Messina sotto Volpe con “L’implicatura di Kierkegaard”. Ensegna a Messina. “Scritti”. “Lo storicismo di Cotroneo”. Altre opere: “Bodin teorico della storia” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Croce e l'Illuminismo” (Napoli, Giannini); “I trattatisti dell'arte storica” (Napoli, Giannini); “Storicismo antico e moderno” (Roma, Bulzoni); “Rareta e storia” (Napoli, Guida); “Societa chiusa, società aperta” (Messina, Armando Siciliano Editore); “La ragione della libertà” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Trittico siciliano: Scinà, Castiglia, Menza” (Roma, Cadmo); “Momenti della filosofia italiana” (Napoli, Morano); “Questione post-crociane” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Tra filosofia e politica” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Le idee del tempo. L'etica. La bioetica. I diritti. La pace, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Un viandante della complessità. Morin filosofo a Messina, Annamaria Anselmo, Messina, Armando Siciliano Editore); “Croce e altri ancora, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Etica ed economica” (Messina, Armando Siciliano Editore); “La virtù” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Croce filosofo italiano, Firenze, Le Lettere); “Illuminismo, Napoli, La scuola di Pitagora); “Libertà” (Napoli, La scuola di Pitagora); “Storia della filosofia, Napoli, La scuola di Pitagora); “Positivismo, Napoli, La scuola di Pitagora); “Filosofia della storia, Napoli, La scuola di Pitagora); “Rinascimento, Napoli, La scuola di Pitagora); “Aristotele e Perelman, Retorica vecchia e nuova” introduzione (Napoli, Il Tripode); La retorica di Aristotele, retorica antica, Perelman, Itinerari dell'idealismo italiano, Napoli, Giannini, Raffaello Franchini, Teoria della pre-visione” (Messina, Armando Siciliano Editore, Croce, La religione della libertà. Antologia degli scritti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il diritto alla filosofia, Atti del Seminario di studi su Raffaello Franchini” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Croce filosofo, Atti del Convegno di studi, Napoli-Messina” (Soveria Mannelli, Rubbettino); La Fenomenologia dello spirito” (Napoli, Bibliopolis); Cavour, Discorsi su Stato e Chiesa” (Soveria Mannelli, Rubbettino, Letteratura critica Giovanni Reale, Girolamo Cotroneo , in Dario Antiseri e Silvano Tagliagambe , Storia della filosofia, Milano, Bompiani, Lo storicismo di Cotroneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, Giuseppe Giordano, Tra Storia della Filosofia e Liberalismo, in Bollettino della Società Filosofica Italiana,  Roma, Carocci, Giuseppe Giordano, Rivista di storia della filosofia, Milano, Franco Angeli, Girolamo Cotroneo, in Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Cotroneo. Keywords: retorica, retorica di Aristotele, retorica nuova, retorica moderna, Perelman, rareta e storia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cotroneo” – The Swimming-Pool Library.

 

COTTA (Firenze). Filosofo. Grice: “My favourite explorations by Cotta are three: ‘per che violenza?” – “dalla guerra alla pace: un itinerario filosofico” and a secondary-literature study on ‘i concordati’ --- which is MY philosophy. You see, Plato thought that the soul resided in the brain – cool as he was – but Aristotle corrected him: it resides in the HEART – Cicero loved that and coined ‘cum-cor’ – i.e . something like my cum-operare: your hearts convene!” -- Grice: “I would say Cotta is Italy’s H. L. A. Hart, with a bonus – he wrote on essentialism, deontic logic, and from war to peace!”  Figlio di Alberto, studioso di scienze forestali, e Maria Nicolis di Robilant. Da parte di madre è discendente diretto di Eulero. Studia a Firenze presso l'istituto dei barnabiti La Querce. Si laurea a Firenze. Chiamato alle armi con il grado di sottotenente, il giorno dell'annuncio dell'armistizio, è in Friuli. Scioltosi l'esercito, scende in barca lungo l'Adriatico per raggiungere l'Italia non ancora occupata dai tedeschi. Ammalatosi di malaria, dopo svariate traversie decide di raggiungere il Piemonte, dove partecipa alla guerra di resistenza come comandante di una brigata partigiana nella VII Divisione Autonoma "Monferrato". È tra i primi ad entrare a Torino nei giorni della liberazione. Per la sua partecipazione alla guerra partigiana gli vengono attribuite la Medaglia di bronzo al valor militare e la Croce di guerra. Dopo gli studi sul pensiero politico dell'Illuminismo i suoi interessi si sono incentrati sulla filosofia giusnaturalistica, che è stato in grado di fondere con elementi della fenomenologia. Autore di saggi sulla visione politica di Montesquieu, Filangieri, Aquino ed Agostino, dedicandosi in seguito a riflessioni teoriche sul diritto e sulla politica. Insegna a Torino, Perugia, Trieste, Trento, Firenze, Roma, e Teramo. Fu tra i componenti del comitato promotore del referendum abrogativo della legge sul divorzio. Altre opere: “La società; “Il concetto di ‘legge’ in Filangieri” (Torino, Giappichelli); “Il concetto di ‘legge’ in Aquino” (Torino, Giappichelli). “Il concetto di Roma come città in Agostino”; “Filosofia e politica nell'opera di Rousseau”; “La sfida tecnologica”; “L'uomo tolemaico” – la ferita narcissista di Galileo – “Quale Resistenza?, Perché la violenza; “Il normato: tra il giurato e l’obbligato”; “Il diritto nell'esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica”; “Dalla guerra alla pace”; “l’uomo, la persona, il diritto umano”; “Il pensiero politico di Montesquieu, Bari, Laterza); “L’inter-soggetivo giurato”; “I limiti della politica, “Il sistema di valori e il diritto”; Perché il diritto Quid ius?” (Brescia, La Scuola). Stante la concessione chirografata dall'ex re Umberto II, Cotta puo fregiarsi del titulo nobiliare di “conte”, sia pure del tutto informalmente stante l'instaurazione dell'ordinamento repubblicano e la XIV disposizione finale e transitoria della Costituzione. Il conte Sergio Cotta. Keywords: l’inter-soggetivo, il giurato, il normato. La prima ferita narcissista, Filangieri, giurato, l’uomo galileano, l’obbligato, il normato, Latin ‘normare’ – not recognized in Dizionario etimologico – il giurato d’entrambi – il concordato d’entrambi – fenomenologia – Roma citta – polis, politea, res publica – pubblico e privato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cotta” – The Swimming-Pool Library.

 

CREDARO (Sondrio). Filosofo. Grice: “I like Credaro; it is as if he invented the universities! I especially love the way he connects it all, in that uniquely Italian way, with the ‘assoluto’!”  Si laurea a Pavia, dove fu convittore del Collegio Ghislieri, divenne insegnante di liceo. Wi recò a Lipsia per perfezionarsi nella psicologia filosofica sotto Wundt. Insegna a Pavia. Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia nei governi Luzzatti e Giolitti IV --  istituì il Liceo moderno. Relatore nella presentazione della Legge che istitutiva dei Corsi di perfezionamento, o più comunemente Scuole pedagogiche, di durata biennale, di preparazione per l'esercizio all'ispettorato o per la direzione didattica delle scuole. Fu l'ispiratore della legge Daneo-Credaro, che stabiliva che lo stipendio dei maestri delle scuole elementari fosse a carico del bilancio dello Stato, e non più dei Comuni, contribuendo così in maniera determinante all'eliminazione dell'analfabetismo in Italia. Prima di questa legge, infatti, i comuni di campagna e quelli più poveri, specie nel Sud, non erano in grado di istituire e mantenere scuole elementari e pertanto rendevano di fatto inapplicata la legge Coppino sull'obbligo scolastico.  Si interessa attivamente dei problemi agricoli e forestali di Sondrio. Autore di numerosi saggi, in particolare sui Kant eHerbart.  Commissario Generale Civile della Venezia Tridentina, ossia la suprema autorità del Trentino-Alto Adige che sta per essere fannesso all'Italia. In tale veste tentò una politica particolarmente conciliante verso la minoranza di lingua tedesca e rispettosa dell'ordinamento amministrativo de-centrato della regione. In seguito, anche a causa delle pressioni dei nazionalisti, la sua politica nei confronti della minoranza di lingua tedesca si fece più intransigente. Testimonianza ne è la cosiddetta Lex Corbino,elaborata da Credaro, sull'istituzione di scuole elementari nelle nuove province che è considerata da una parte della storiografia strumento per potenziare la presenza italiana soprattutto nel territorio misti-lingue della regione a danno della minoranza tedesca. Ciononostante, sube l'assalto di una squadra d'azione fascista che lo costrinse alle dimissioni per far luogo all'insediamento di un prefetto di Trento. Termina quindi la sua carriera politica in disparte rispetto al regime che si andava consolidando. Altre opere: “Lo scetticismo degli platonisti (Roma, Tip. alle Terme Diocleziane); La libertà di volere (Milano, Tip. Bernardoni); G. F. Herbart, Torino, Paravia), “Razionalismo trascendente in Italia” Catania, Battiato); Wundt (Milano, Società Anonima Editrice Dante Alighieri). Andrea Di Michele, L’italianizzazione imperfetta. L’amministrazione pubblica dell’Alto Adige tra Italia liberale e fascismo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, Analfabetismo, Dizionario biografico degli italiani, Credaro un italiano d'altri tempi articolo di Sergio Romano, Corriere della Sera,  Sondrio. Se il nome di Carneade non è completamente ignorato dalle persone colte, che non si occupano di storia della filosofia, si deve alla parte giuridica del suo pensiero, la cui conoscenza è tratta quasi interamente da pochi frammenti della famosa orazione (quasi-Trasimaco) *contro* il concetto dello giusto tenuta a Roma frammenti conservati da Lattanzio, il quale li ha presi dal trattato della repubblica di Cicerone. Questa orazione alla Trasimaco *contro* la coerenza del concetto dello giusto – gius – giustiziato, juratum, giurato cf. Cicero jusjuratum -- , che fa epoca nella storia della cultura del popolo romano, non deve essere considerata solamente un episodio della vita di Carneade, una semplice millanteria del facondo oratore, che volesse fare impressione sugli animi dei Romani; ma il suo contenuto deve venire integrato colle altre vedute di Carneade per cercarne il legame ed esaminarne il valore. A tale fine bisogna anche qui muovere dallo stoicismo. L'orazione *contro* lo giurato (Cicerone – iusiuratum) giustiziato ha qualche rapporto con esso? Si sa che tutti e tre i filosofi ambasciatori -- Carneade accademico, Diogene stoico e Critolao peripatetico -- durante il lungo soggiorno a Roma, sia per invito avuto dalla cittadinanza, che in quel tempo godeva la pice decorsa tra la battaglia di Pidna e la terza guerra punica, sia di propria iniziativa, per desiderio di far mostra di tutta la potenza della loro parola e della loro scienza filosofica, a beneficio eziandio della causa che patrocinavano, aprirono un corso di conferenze (A. Gell . Noct. Att. VI, 14, 8-10. Macrob. Saturn., 5, I , p.147-150). É probabile che tutti e tre filosofi – Carneade accademico, Critolao peripatetico del liceo – e Diogene stoico -- abbiano scelto l'argomento delle loro orazioni dalla filosofia pratica, come quella che interessa vivamente i loro ospiti, tutti dati alle armi, agli affari, alla politica, all'amministrazione; anzi e le cito supporre che ciascuno abbia esposte le idee della sua scuola – l’accademia, il liceo, e la stoa -- intorno al “giurato” – Cicerone iusiuratum, il principio o imperativo più importante della vita pubblica e privata. Il soggetto del giurato – Cicerone, iusiuratum – dove soddisfare pienamente le esigenze e i desideri dell'uditorio, poichè i romani, a ragione o a torto, si credeno gli uomini più giusti (giuratura, iusiuraturus) e alla virtù del giurato (Cicerone iusiuratum) attribuivano la grandezza, alla quale era pervenuta la propria patria. In questa ipotesi lo stoico Diogene, con parola modesta e sobria, come attesta Polibio, che ebbe opportunità di ascoltarlo, spiega ai Romani l'idealismo morale e il cosmo-politismo della sua setta. L'anima di tutti gli uomini è uguale; e come tutte le cose uguali si attraggono, cosi anche gli esseri razionali; per ciò l'istinto della società è insito nella stessa ragione, la quale insegna a ciascuno di noi che esiste una sola città , un solo stato, la grande società umana; ciascuno si sente parte integrante di questo immenso organismo governato da una sola legge (ius) e da un solo diritto, la retta ragione (ius). Questa legge (ius) conforme alla natura si fa sentire in tutti, immutabile, sempiterna, divina; invita col comando al dovere, col divieto allontana dalla frode. È suprema, assoluta; non è lecito crearne altre contrarie, nè abrogarla totalmente o parzialmente; non voto di popolo, non decreto di senato possono dispensare dall'ubbidirla; nessuno ha bisogno d'interprete per comprenderla; è la medesima in Atene e in Roma, oggi e domani e sempre; l'inventore e il promulgatore di essa è uno solo, il maestro e il comandante di tutti, Dio. Chi non vi obbedisce, va contro la natura e per questo fatto solo soffrirà tutte le pene. L'uomo pensa e opera moralmente (mos: costume) solo in quanto conformasi a questa unica legge; e poichè questa è la medesima in tutti gli uomini, tutti debbono tendere allo stesso scopo, al bene universale. Il uomo non deve vivere per sè, ma per l'umanità; l'interesse personale deve essere asso lutarnente subordinato a quello umano (1) Cic. , de fin . III , 64 ; de rep ; III, 33 ; Plut. , de comm. notit. XXXIV, 6. Zeller, p. 285 e 8). In questo stato politico ed etico regna perfetta concordia ed armonia. Tutti i cittadini hanno vivo il sentimento dell'ordine, coltivano la virtù e reprimono gli appetiti irrazionali, che sono la causa dell’inimicizia e della guerra (bellum, polemos). Sono sottomessi alla volontà divina, al fato, alla serie universale e interminabile delle cause e degli effetti. I doveri fondamentali sono il giurato (iusiuratum), in qua virtutis splendor est maximus, e la benevolenza e la beneficenza.Questedue virtù sono le basi della società civile (Cic. , de fin . III, 67). Intorno ad esse Diogene puo parlare a lungo ai Romani, perchè nella Stoa e stato soggetto di molte dispute e di scritti. Il suo tutore Crisippo gli aveva insegnato in proposito una dottrina propria. Tutti gli altri esseri sono nati per il bene degli uomini e degli dei, due uomini per formare una popolazione, una società, una comunanza, una communita, un comune; è inerente alla natura che tra l'uomo e il genere umano, come tra parte e tutto, interceda un diritto naturale. Colui che lo osserva è giusto (promuove il giurato – iusiurato); ingiusto chi lo trasgredisce. Tra il diritto pubblico e quello privato non avvi opposizione (Cic. , de fin . III, 67). Un uomo non si trova in rapporti giuridici con una bestia, ma solo con suo simile. Affinchè si realizzi il regno del giurato (iusiuratum) e della moralità occorre che la perfetta ragione sia presente in tutti. La ragione invece si trova solamente nel sapiente; si formarono quindi gli stati singoli, che tengono divisa l'umanità. Come gli stati, così le istituzioni che li governano sono effetto di errore e stoltezza: quali l’istituzione del matrimonio, l’istituzione della famiglia, l’istituzione della proprietà, l’istituzione dela moneta, l’istituzione del ribunale, l’istituzione del ginnasio (Diog. L. VII, 33 e 131). Stato conforme alla natura umana, con istituzioni veramente buone, non esiste. Edotto di questo idealismo politico, puo sul Campidoglio il pretore romano A. Albino, uomo erudito e versato nella lingua greca, dire per ischerzo volgendosi a Carneade. “A te, Carneade, non sembra io sia un pretore, nè questa una città, nè in essa abitino cittadini). A cui Carneade, che subito capisce di essere stato preso per il collega della Stoa. “A questo stoico non sembra cosi.” I filosofi ateniesi non lasciano di contendere neppure in paese straniero; o certo Carneade e stato assai lieto di osservare che al senso pratico dei romani la dottrina de' suoi avversari si presenta come assolutamente *ridicola*; e tornato in patria , credette il fatto degno di essere raccontato a' suoi discepoli (L'aneddoto è ricordato da Clitomaco. Cic. , Ac. II , 137). Sogliono gli storici narrarci che Carneade tenne a Roma *due* discorsi ispirati a scopo opposto. Il primo giorno dimostra l'esistenza del diritto naturale e loda la giustizia (il giurato – il iusiuratum – dike – cf. lex). Il secondo giorno sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità, all’audacia e alla sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di difendere contraddizione si anorme. Anche non tenendo conto che, se si applicasse questo criterio , tutta la filosofia dei accademici sarebbe un' immoralità, perchè il loro metodo e di difendere in ogni quistione le soluziori opposte. Idue discorsi (tesi ed antitesi, positio e contra-positio, posizione e contra-posizione), tenuti in giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la sintesi, o com-posizione) e si propongano il medesimo fine: mostrare la falsità della dottrina della tesi di Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in questa parte della filosofia, molto più che in altre, sono dipendenti da Platone e da Aristotele, bisogna prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio. Carneades autem, ut Aristotelem refelleret ac Platonem, justitiae patronos, prima illa disputatione collegit ea omnia , quae pro justitia dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades, quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam refellendi, quia refelli posse intellexit (Lattanzio , Instit. div. V , 14 ; V , 17. 2-4.). E al trove. Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui refelleret istorum (Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam, quæ fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil firmi de iustitia disputare (Ibid. Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la prima orazione non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione, un'esposizione delle idee accettate da Diogene, che Carneade s'appresta a confutare nel vegnente giorno (Cic., de rep. III, 12); confutazione, la quale non aveva per iscopo di vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la loro teoria dommatica – il domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma il sapere. Su questo si dovrà tornare più innanzi. E caso a noi pervennero frammenti solamente della seconda orazione. Questa sola offriva una filosofia nuova, dava una scossa inaspettata e forte all'intelligenza dei romani. Perciò eam disputationem, qua iustitia evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur (Lattanzio , Instit. dio. I. c.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo singolare di scorso nelle sue linee generali. Per Carneade, non esiste una giustizia (giurato – iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse le medesimecose sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o cattive, morali o immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le dolci e le amare. Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima diversità di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra il popolo romano e il popolo sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al Trastevere, da tempo a tempo. I cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il brigantaggio. I Lacedemoni dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto. Gli Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che loro apparteneva ogni terra che producesse olive e biade. I barbari galli stimano disonorevole cosa procurarsi il frumento col lavoro, invece che colle armi. I romani vietano ai Transalpini la coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli semitici egiziani, che hanno una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni genere. I semitici Persiani, disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e Alessandro manda ad esecuzione la guerra contro i greci per punire quei numi. I Tauri, gli Egiziani, i barbari galli (“Norma”) e i Fenici credeno che tornassero assai accetti alle loro deità il sacrifizio umano. Si dice: E dovere dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum) ubbidire alla legge. Quale legge? A la legge di ieri, o alla legge di oggi? A quelle fatte in questo lato del Tevere, o nel Trastevere? Se una un imperativo o una legge suprema, universale, trascendente, kantiana, costante s'impone alla coscienza dell’uomo, come pretende Diogene, coteste variazioni non sarebbero possibili. Perciò non esiste un diritto naturale, nè un uomo che per natura arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius) è una invenzione dell’uomo a scopo di utilità e didifesa; come prova anche il fatto che non raramente la legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura a questo sesso un particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’, attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera, per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della propria conservazione e felicità (Cic., de rep . III, 12-21). La storia insegna che ogni popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi altrui, ma unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando a un Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a Lelio il saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult , all'erudito Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone, l'implacabile nemico di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla presenza dei colti ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli altri, ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il criterio direttivo della vostra vita non e il  giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara; poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie* sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui , col rubire, siete per venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che avesse potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri esempi, che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o Alessandro, infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al cielo colle lodi, è la negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità del proprio paese, naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente il territorio altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è colui che acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e nazioni, colma l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che è peggio, non solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi esortano e incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità non manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia, che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono chiamarsire per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta , o per potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città, costituiscono una setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il popolo ha il sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo si chiama libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e una classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto fra popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la giustizia è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è naturale che cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni: recare *in-giuria* e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli repute ottima la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti. Poscia la terza, che dona quiete e sicurezza; ultima e più infelice la condizione di chi sia costretto ad essere continuamente in armi, sia perchè faccia, sia perché riceva *in-giurie”. Adunque alla Hobbes lo stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta (uomo uominis lupo), la guerra, la discordia , la rapina, la violenza , l'inganno, in una parola, la negazione del giurato (giusgiurato). La giustizia è una virtù che si esercita per effetto di debolezza e per proprio tornaconio. Ma Diogene, come vedemmo, considera il giurato (iusiuratum) verso gli uomini. Carneade dove notare che l’istituzione del tempio esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si acquista, non si allarga potere, non si fonda regno senza le armi, le guerre, le vittorie; le quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la distruzione di città. E dalle distruzioni non vanno immuni le oggetti addorati nei tempi, ne dalle stragi si sottragge il sacerdote del tempio; né dalle rapine i  tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splendidi i trionfi dei generali romani! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente non viene osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di risparmiare tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non sminuire la felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non ha mai l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il popolo attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto; bensì al sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il ‘scitum’ i generali di Roma hanno il soprannome di grandi. La violenza, la forza, la negazione del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma per nascondere la propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato (iusiuratum), il popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando delle favole da sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il comandare con la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del giurato (iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e soffocano il sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con qualunque mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di un individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa guisa parere *giustificati* (giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum -- anche gli atti di violenza e di frode, che avevano per I scopo la conservazione e la potenza del proprio stato; o, per meglio dire, il popolo e gl'individui non hanno coscienza di un principio o imperativo che governa la propria vita. Credeno, i Romani pei primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente negano il giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione tra fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum) (Cic. , de fin. II , 59). Il medesimo conflitto tra il giurato e il ‘scitum’ dimostra egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che sa difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede quello degli altri. Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e assai chiari e appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale vuole vendere uno schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre. Egli solo conosce questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si, s'acquista  fama di uomo onesto, perchè non inganna, maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto; se no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio, perchè inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore lo sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio, sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai, dovrai avvertirlo del pericolo , o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto; se parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep. III, 34). Dunque qui pure si presenta la contraddizione: chi è giusto, è stolto ; chi è sapiente, è ingiusto. Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe più spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare, vede un altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che vale a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e si pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo.  Cosicchè il giure naturale, la giustizia naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo -- principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto perchè e peggiore di quello . Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci credere che egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse un sentimento più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi il malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic . de leg. I , 40 e s.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità, inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per distinguere il giurato dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade, generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e altrettanta opinione, la quale non deriva da un imperativo kantiano, o un principio naturale fisso, come provano la loro varietà e il dissenso degli uomini (Cic. , de leg. I, 42 e s). Alla teoria giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o dommatico, che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula. NA Wundt/1/IV/D/XIII/1  Estate Wilhelm Wundt Zeitungsausschnitte 100. Geburtstag Wundt 1932. Last changed 2016-02-25 NA Wundt/III/1001-1100/1098/461-462. Estate Wilhelm Wundt Brief von Luigi Credaro an Wilhelm Wundt Last changed 2016-01-13. Luigi Credaro. Keywords: i sofisti, il giurato, iusiuratum, Carneade, il secondo discorso, contro Democrito, ragione pratica (saggezza), ragione teorica, a philosopher in political linguistics: German minority, Italian majority in Trento. Il prefetto di Trento. Lingua tedesca, lingua italiana, ordinamento amministrativode-centrato, Wundt, Kant, razionalismo trascendente, Herbart, scetticismo, accademia, prima accademia, seconda accademia, terza accademia,  liberta di volere, freewill, volere libero, ambiascata ateniense a roma, influenza dell’academia nell’elite romana – l’accademia come perfezionamento per la dirigenza romana, Wundt, positivismo, suggestione, i primordii del kantismo in Italia, Hegel vacuo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Credaro” – The Swimming-Pool Librrary.

 

crespi (Milano). Filosofo. Grice: “Crespi is an interesting figure; Strawson calls him an Englishman since he became a Brit! My favourite is his edition of Marcauurelio’s remembrances – which is a n irony: he was a roman, but left his remembrances in Hellenic; and the Italians needed a translation! It would be as if Pocahontas’s remembrances were in Anglo-Saxon!” Collaboratore della Critica sociale, si avvicina alle posizione modernista. Collaboraa Il Rinnovamento, L'Unità, La Rivoluzione liberale, Coenobium. Emigrato durante il fascismo, ospita numerosi esuli antifascisti. Altre opere: “Le vie della fede” (Roma, Libreria editrice romana); “Sintesi religiosa” (Firenze, Tip. Bonducciana di A. Meozzi); “L’impero romano” (Milano, Treves); “Dall'io al tu” (Modena, Guanda). Nunzio Dell'Erba, Rosselli e Sturzo, "Annali della Fondazione Ugo La Malfa", Luigi Sturzo, Mario Sturzo, Carteggio, Roma, Edizioni di storia e letteratura-Istituto Luigi Sturzo, Giovanni Bonomi, Angelo Crespi, Cremona, Padus). Angelo Crespi. Grice: “His essay on Antonino is brilliant – his philosophy of history is controversial. FKeywords: la filosofia dell’impero romano, impero, impero romano, impero britannico, funzione dell’impero, funzione storica dell’impero, filosofia imperial, imperialismo, imperialismo romano, imperialism britannico, post-imperialismo, Antonino.  Filosofia della storia – aporie, lingua latina, impero romano, lingua nazionale, nazione romana, nazione italiana, lingua italiana, lingua fiorentina, lingua toscana, toscano, -- Refs.: Luigi Speranza, “Crespi e Grice” – The Swimming-Pool Library.

 

CRESPO.

 

Croce (Pescasseroli). Filosofo. Grice: “I would think the fashionable Englishwoman may think Croce is the most important philosopher that ever lived!” -- vide under “Grice as Croceian” -- Grice as Croceian: expression and intention -- Croce, B., philosopher. I genitori appartenevano a due abbienti famiglie abruzzesi: la famiglia Sipari, quella materna, originaria della stessa Pescasseroli, ma radicatasi anche in Capitanata e Terra di Lavoro, particolarmente legata agli ideali liberali, e l'altra, quella paterna, originaria di Montenerodomo (in provincia di Chieti), ma trapiantata a Napoli, legata invece ad una mentalità di stampo borbonico[9]. Croce crebbe in un ambiente profondamente cattolico, dal quale però, ancora adolescente, si distaccò, non riaccostandosi più per tutta la vita alla religiosità tradizionale.  Il terremoto di Casamicciola A diciassette anni perse i genitori, Pasquale Croce e Luisa Sipari, e la sorella Maria, periti  durante il terremoto di Casamicciola, nell'isola d'Ischia, dove Croce si trovava in vacanza con la famiglia. Un terremoto durato non più di 90 secondi ma dalla potenza devastatrice enorme - e per questo rimasto come esempio terribile di distruzione nel modo di dire delle popolazioni coinvolte - dove lo stesso Benedetto rimase «sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo. Il "problema del male", in sottofondo alla sua filosofia ottimistica sul progresso, rimarrà insoluto, se non addirittura negato, e dietro le quinte del suo pensiero, influenzato da questi eventi giovanili come evidenziato dalle meditazioni private dei Taccuini personali. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio.Fra i primi ad accorrere in suo aiuto fu il cugino Paolo Petroni, la famiglia del quale lo assisté affettuosamente nei mesi seguenti nella loro residenza di campagna a San Cipriano Picentino, paese non troppo distante da Salerno. In seguito a questo tragico episodio fu affidato, assieme al fratello superstite Alfonso, alla tutela del cugino Silvio Spaventa, figlio della prozia Maria Anna Croce e fratello del filosofo Bertrando Spaventa, che, mettendo da parte dei dissapori storici che aveva con la famiglia Croce, lo accolse nella propria casa a Roma, dove il giovane Benedetto trascorse gli anni dell'adolescenza ed ebbe modo di formarsi culturalmente[14] fino all'età di vent'anni. Nel circolo culturale nella casa dello zio Silvio, Croce ebbe modo di frequentare importanti uomini politici ed intellettuali tra cui Labriola che lo inizierà al marxismo. Pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Napoli, Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a Roma tenute dal Labriola. Non terminò mai i suoi studi universitari, ma si appassionò a studi eruditi e filosofici, trascurando il pensiero hegeliano, di cui criticava la forma incomprensibile.  Il ritorno a Napoli Lasciata la Roma troppo accesa di passioni politiche, Tornò a Napoli, dove acquistò, per abitarvi, la casa dove aveva trascorso la sua vita Giambattista Vico, il filosofo napoletano amato da Croce per la concezione filosofica anticipatrice, per certi aspetti, della sua. Nel 1890 fu tra i fondatori della Società dei Nove Musi, un cenacolo di intellettuali. Compì numerosi viaggi in Spagna, Germania, Francia e Regno Unito mentre nella sua formazione culturale cresceva l'interesse per gli studi storici e letterari, in particolare per la poesia di Giosuè Carducci, e per le opere di Francesco De Sanctis. Attraverso Antonio Labriola con cui era rimasto in contatto, si interessò al marxismo, di cui però criticava come astorica la visione che dava del capitalismo. Da Marx risalì alla filosofia hegeliana che cominciò ad apprezzare e ad approfondire.  La fondazione de La critica e la vita politica Nel gennaio del 1903 uscì il primo numero della rivista La critica, con la collaborazione di Giovanni Gentile, e stampata a sue spese, allorché subentrò l'editore Laterza. Venne nominato per censo senator e fu Ministro della Pubblica Istruzione[16] nel quinto e ultimo governo Giolitti.  Con regio decreto dgli fu concesso il titolo di "Nobile". Elaborò una riforma della pubblica istruzione che fu poi ripresa e attuata da Giovanni Gentile.  Posizione nella prima guerra mondiale «Ardenti e vivacissime furono in quei dieci mesi le polemiche tra «interventisti» e «neutralisti», come erano chiamati non si può dire che [gli interventisti] avessero torto, come non si può dire che l'avessero i loro oppositori, perché dissidî di questa sorta non sono materia, nonché di tribunali, neppure di critica scientifica, e hanno questo carattere entrambe le tesi, appassionatamente difese, sono necessarie per l'effetto politico e, come suona il motto, che, se una delle due opposizioni non ci fosse, converrebbe inventarla. Più di un cosiddetto «neutralista» si sentiva talvolta scosso dalla tesi avversaria e inclinava ad accoglierla, e il medesimo accadeva a più di un «interventista. Storia d'Italia Bari, Laterza) Il filosofo, nella scelta tra le due posizioni, neutralismo o interventismo alla prima guerra mondiale, si rivolse alla prima; ma il suo era un neutralismo che contemperava le posizioni liberali con la possibilità dell'intervento (rimase comunque poco favorevole alla guerra, e, non obbligato ad arruolarsi, per limiti di età - 49 anni -, non andò mai al fronte a differenza di altri intellettuali come D'Annunzio, volontario. Scriveva a Bigot che era pronto ad accettare quella guerra che saremo costretti a fare, quale che sia, anche contro la Germania, ad accettarla come una dolorosa necessità, risoluto a non provocarla per ragioni antinazionali e settarie»  (B. Croce, Epistolario, Napoli) Il rapporto con il fascismo L'iniziale fiducia al governo fascista  Benedetto Croce nella sua biblioteca Inizialmente Croce fu vicino al fascismo[19]. Ascoltò e applaudì il discorso di Mussolini al teatro San Carlo di Napoli, durante l'adunata preparatoria per la marcia su Roma. In occasione delle votazioni al Senato, successive all'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, fu tra i 225 senatori che votarono la fiducia al governo Mussolini, insieme a Giovanni Gentile e Vincenzo Morello. In seguito Croce spiegò in un'intervista che il suo non era stato un voto fascista, aveva votato a favore del regime perché pensava che Mussolini, se sostenuto, poteva esser sottratto all'estremismo fascista a cui Croce faceva risalire la responsabilità del delitto Matteotti.  «Abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata. Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è condizionata al nostro beneplacito. Croce scrisse su Il Giornale d'Italiache il regime mussoliniano «non poteva e non doveva essere altro che un ponte di passaggio per la restaurazione di un più severo regime liberale».  La rottura e il Manifesto degli intellettuali antifascisti Il filosofo abruzzese si allontanò definitivamente dal regime allorché, su sollecitazione di Giovanni Amendola, scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti in replica al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Lo scritto, pubblicato sul quotidiano Il Mondo, tra l'altro sosteneva:  «Contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso. E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto che risplende di molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie nazioni. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d'altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamenti alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo. Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento.»  Secondo Norberto Bobbio, il Manifesto degli intellettuali antifascisti sancì l'assunzione da parte di Croce del ruolo di «coscienza morale dell'antifascismo italiano» e di «filosofo della libertà. Lo scritto segnò inoltre la rottura dell'amicizia con Gentile, a causa delle ormai inconciliabili divergenze filosofiche e politiche. In seguito Croce fu l'unica voce fuori dal coro tollerata dal regime. Il ruolo di Croce come coscienza dell'antifascismo è testimoniato, tra gli altri, da Primo Levi, che nel 1975 ricordò che negli anni del fascismo e della guerra, segnati per gli antifascisti da smarrimento morale, isolamento e incertezze, solo «La Bibbia, Croce, la geometria, la fisica, ci apparivano fonti di certezza. Il mio liberalismo è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco tutto.»  (Lettera a Alfieri) Rifiutò di entrare nell'Accademia d'Italia, e dopo un breve appoggio al movimento antifascista Alleanza Nazionale per la Libertà, fondato dal poeta Lauro De Bosis, si allontanò dalla vita politica, continuando peraltro ad esprimere liberamente le sue idee politiche, senza che il regime fascista lo censurasse, almeno esplicitamente. L'unico atto di ostilità violenta ed esplicita compiuto dal fascismo verso Croce fu la devastazione della sua casa napoletana avvenuta nel novembre del 1926[29]. Negli anni successivi, quelli della sua affermazione e del cosiddetto “consenso”, il fascismo ritenne Croce un avversario poco temibile, sostenitore com'era della tesi di un fascismo inteso come "malattia morale" inevitabilmente superata dal progresso della storia. Inoltre la fama di Croce presso l'opinione pubblica europea lo proteggeva da interventi oppressivi da parte del regime. Ebbe altresì blandi rapporti culturali con intellettuali in qualche modo vicini al regime, anche se marginali, come un carteggio epistolare con il tradizionalista Julius Evola, a cui espresse l'apprezzamento formale per due opere, da pubblicare presso Laterza con il benestare dello stesso Croce, Saggi sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto e, successivamente, La tradizione ermetica. Il governo fascista richiese ai docenti delle università italiane un atto di formale adesione al regime in base all'articolo 18 del regio decreto (il cosiddetto giuramento di fedeltà al fascismo). A seguito di tale provvedimento, i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non solo "alla patria", secondo quanto già imposto dal regolamento generale universitario del 1924, ma anche al regime fascista. In quell'occasione, Croce incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi Einaudi a rimanere all'università, «per continuare il filo dell'insegnamento secondo l'idea di libertà. Se la sua figura fu importante per l'area politica del liberalismo, la sua scuola ebbe durante tutto il ventennio fascista una platea assai più ampia di allievi[36]: del resto, già prima dalle sue idee avevano tratto esempio anche Antonio Gramsci[37] e il gruppo comunista de L'Ordine Nuovo.Polemica sulla Giornata della fede La non adesione di Croce al fascismo parve messa in discussione dal gesto compiuto durante la Guerra d'Etiopia, quando il filosofo, in occasione della "Giornata della fede" donò la propria medaglietta da senatore accompagnandola con questa secca lettera al presidente del Senato: «Eccellenza, quantunque io non approvi la politica del Governo, ho accolto in omaggio al nome della Patria, l'invito dell'E.V., e ho rimesso alla questura del Senato la mia medaglia, Il gesto “suscitò negli ambienti dell'antifascismo italiano, in patria e all'estero, sorpresa, dolore e polemiche” che colpirono dolorosamente Croce. Al termine di un drammatico colloquio con Bianca Ceva, inviata a sostenere il punto di vista degli antifascisti, dopo un iniziale tentativo di giustificazione, Croce affermò: “dica che io sono sempre lo stesso, che sono sempre con loro. Il regime varò la legislazione antisemita (Croce non era presente nell'aula del Senato, quale forma di protesta; egli fu uno dei pochi a esprimersi contro di esse a livello pubblico). Il governo inviò a tutti i professori universitari e i membri delle accademie un questionario da compilare ai fini della classificazione "razziale". Tutti gli interpellati risposero. L'unico intellettuale non ebreo che rifiutò di compilare il questionario fu Croce.  «L'unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me, che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata.[40]»  Il filosofo, invece di restituire compilata la scheda, inviò una lettera al presidente dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, in cui scrisse sarcasticamente:  «Gentilissimo collega, ricevo oggi qui il questionario che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l'avrei riempito, preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso domandare a un uomo che ha circa sessant'anni di attività letteraria e ha partecipato alla vita politica del suo paese, dove e quando esso sia nato e altre simili cose?»  (Benedetto Croce a Luigi Messedaglia, Presidente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti di Venezia, in A. CAPRISTO, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Torino, Zamorani,) Croce fu quindi espulso da quasi tutte le accademie di cui era membro, comprese l'Accademia Nazionale dei Lincei e la Società Napoletana di Storia Patria.  All'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, unica accademia che lo mantenne socio, alla fine della guerra Croce riconoscerà il merito di non averlo espulso durante il regime fascista. Dopo aver denunciato la persecuzione degli ebrei, Croce però critica anche gli atteggiamenti degli ebrei stessi, sia quelli che avevano aderito al fascismo, sia quelli che vivevano "separati", ritenendo la specificità ebraica come pericolosa per gli ebrei stessi: «Quando s'iniziò l'infame persecuzione contro gli ebrei, io ebbi, con un brivido di orrore, la piena rivelazione della sostanziale delinquenza che era nel fascismo, come chi fosse costretto ad assistere allo sgozzamento a freddo di un innocente e mi misi di lancio dalla loro parte con tutto l'esser mio per fare quello che per loro si poteva a lenire o diminuire il loro strazio. Molti danni e molte iniquità compiute dal fascismo non si possono ora riparare per essi come per altri italiani che le soffersero, né essi vorranno chiedere privilegi o preferenze, e anzi il loro studio dovrebbe essere di fondersi sempre meglio con gli altri italiani; procurando di cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire l'idea di popolo eletto, che è tanto poco saggia che la fece sua Hitler, il quale, purtroppo, aveva a suo uso i mezzi che lo resero ardito a tentarne la folle attuazione... [essi] disconoscono le premesse storiche (Grecia, Roma, Cristianità) della civiltà di cui dovrebbero venire a fare parte.»  (Lettera a Cesare Merzagora) Espresse quindi una posizione di perplessità per il sionismo. Il rientro nella vita politica Dopo la caduta del regime Croce rientrò in politica, accettando la nomina a presidente del Partito Liberale Italiano. Durante la Resistenza cercò di mediare tra i vari partiti antifascisti e nel 1944 fu Ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio, benché non stimasse né il Maresciallo né il re Vittorio Emanuele III, a causa della loro compromissione col fascismo. Subito dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) entrò a far parte del secondo governo Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, ma diede le dimissioni qualche mese dopo.  Egli avrebbe preferito l'abdicazione diretta del sovrano in favore del piccolo Vittorio Emanuele (con rinuncia di Umberto al trono), la reggenza a Badoglio e l'incarico di capo del governo a Carlo Sforza, ma i rappresentanti del Regno Unito si opposero.[46] Al referendum sulla forma dello Stato (2 giugno 1946) votò per la monarchia, inducendo tuttavia il Partito Liberale (di cui rimane presidente) a non schierarsi, per far sì che prevalesse sulla questione piena ed effettiva libertà di scelta, e dichiarando in seguito: «il buon senso fece considerare a quei milioni di votanti favorevoli alla monarchia, che, se anche essi avessero riportato la maggioranza legale, una monarchia con debole maggioranza non avrebbe avuto il prestigio e l'autorità necessaria, e perciò meglio valeva accettare la forma nuova della Repubblica e procurar di farla vivere nel miglior modo, apportandovi lealmente il contributo delle proprie forze.»[48]   Benedetto Croce con Enrico Altavilla e il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola Concetti che Croce aveva, nella loro sostanza, già espresso; ben prima che Umberto II, nel messaggio ribadisse tale indicazione. Eletto all'Assemblea Costituente, non accettò la proposta di essere candidato a Capo provvisorio dello Stato, così come in seguito rifiutò la proposta, avanzata da Luigi Einaudi, di nomina a senatore a vita. Si oppose strenuamente alla firma del Trattato di pace, con un accorato e famoso intervento all'Assemblea costituente, ritenendolo indecoroso per la nuova Repubblica. Fonda a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici destinando per la sede un appartamento di sua proprietà, accanto alla propria abitazione e biblioteca nel Palazzo Filomarino dove oggi ha sede la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce. Presidente dell'associazione PEN International e, negli stessi anni, entrò a far parte del Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli. Per un ictus cerebrale rimase semiparalizzato e si ritirò in casa continuando a studiare: morì seduto in poltrona nella sua biblioteca il 20 novembre 1952, all'età di 86 anni. I funerali solenni si tennero nella sua Napoli e le sue spoglie tumulate nella tomba di famiglia al Cimitero di Poggioreale. Il rapporto con la cultura cattolica «Pure filosofo quale sono io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall'umanità sia stato il cristianesimo, e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima[53]»  Il rapporto di Croce con la cultura cattolica variò nel corso del tempo. Agli inizi del Novecento i filosofi idealisti, come Croce e Gentile, avevano esercitato assieme alla cultura cattolica una comune critica al positivismo ottocentesco. Alla fine degli anni venti vi era stato un progressivo allontanamento della cultura laica e idealistica dalla cultura cattolica. Croce, pur non essendo un anticlericale militante, riteneva importante la separazione liberale tra Chiesa e Stato, propugnata da Cavour. La Chiesa con i Patti Lateranensi aveva ormai raggiunto un rapporto equilibrato con le istituzioni statali italiane distaccandosi quindi dalle posizioni politiche antifasciste dell'idealismo crociano. Croce fu contrario al Concordato e dichiarò apertamente in Senato che «accanto o di fronte ad uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i quali l'ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza. Mussolini gli rispose dichiarandolo «un imboscato della storia», e accusando il filosofo di passatismo e di viltà di fronte al progresso storico. Quando Croce scrisse la Storia d'Europa nel secolo decimonono, il Vaticano criticò aspramente l'autore che difendeva le filosofie esaltanti una religione della libertà senza Dio. Il Sant'Uffizio pose all'Indice nel 1932 questo libro ma, non ottenendo negli anni successivi da Croce un qualsiasi ripensamento, ninserì nell'elenco dei libri proibiti tutti i suoi scritti. La polemica anti-concordataria crociana vide l'adesione del giovane filosofo nonviolento e liberalsocialista Aldo Capitini che a Firenze, a casa di Luigi Russo, aveva avuto modo di conoscere Croce, a cui aveva consegnato un pacco di dattiloscritti che il filosofo napoletano aveva apprezzato e fatto pubblicare nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventarono uno tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista. La posizione personale di Croce nei confronti della religione cattolica è ben espressa nel suo saggio Perché non possiamo non dirci "cristiani", scritto nel 1942. Il termine "cristiani" inserito nel titolo tra virgolette non voleva indicare l'adesione a un credo confessionale, bensì la consapevolezza di un'inevitabile appartenenza culturale rappresentata nella sua particolare prospettiva dal fenomeno del cristianesimo: non si trattava di una professione di fede cristiana dovuta a un rinnegamento dell'agnosticismo come volle fare intendere la propaganda fascista[60], ma di riconoscere il valore storico e di «rivolgimento spirituale»:  «Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per la capacità dei princìpi cristiani di contrastare il neopaganesimo e l'ateismo propagandati dal nazismo e dal comunismo sovietico[61]:»  «...sono profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell'impulso dato da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho scritto una breve nota, di carattere storico, che pubblicherò appena ne avrò lo spazio disponibile. Del resto non sente Ella che in questa terribile guerra mondiale ciò che è in contrasto è una concezione ancora cristiana della vita con un'altra che potrebbe risalire all'età precristiana, e anzi pre-ellenica e pre-orientale, e riattaccare quella anteriore alla civiltà, la barbarica violenza dell'orda?[62]»  Croce, in sintesi, vede nel cristianesimo il fondamento storico della civiltà occidentale ma non ripudia l'immanentismo radicale del suo pensiero che vede nella religione un momento della realizzazione storica dello spirito che si avvia, superandolo, ad una più alta sintesi.[63]  All'Assemblea Costituente lotterà contro l'inserimento, voluto dalla DC, e dal comunista Togliatti[64], dei Patti Lateranensi nel secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana, giudicandolo come "sfacciata prepotenza pretesca". In vista delle elezioni politiche del 1948, tuttavia, si accordò con il segretario della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, per dare vita a un manifesto comune, Europa, cultura e libertà, contro i totalitarismi passati e presenti. A seguito della vittoria della DC, replicò severamente ai laici benpensanti schierati col Fronte Popolare che sbeffeggiavano il ceto umile e contadino di cui era composto in prevalenza l'elettorato cattolico:  «Beneditele quelle beghine di cui ridete, perché senza il loro voto e il loro impegno oggi non saremmo liberi.»  Nel 1950, lasciando disposizioni per la sua morte (che avverrà tre anni dopo) scriverà invece che la sensibilità religiosa della moglie cattolica le consentirà di evitare che un sacerdote tenti di "redimerlo" all'ultimo minuto, perché è "cosa orrenda profittare delle infermità per strappare a un uomo una parola che sano egli non avrebbe mai detta".  Croce fu legato sentimentalmente e convisse con Angelina Zampanelli, fino alla morte di lei. La coppia prese alloggio a Palazzo Filomarino, a Napoli. Angelina, sofferente di cuore, morì poco più che quarantenne a Raiano, dove insieme a Croce ella soggiornava spesso d'estate, presso il Palazzo Rossi-Sagaria, ospiti della cugina del filosofo, Maria Teresa Petroni, moglie di Valentino Rossi. Croce sposa a Torino, con rito religioso e poi civile, Adele Rossi, da cui ebbe cinque figli: Giulio, Elena, Alda, Lidia (moglie dello scrittore e dissidente anticomunista polacco Gustaw Herling-Grudziński) e Silvia.Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro filosofo, ma esercitare un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere dell'uomo.»  (Benedetto Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri, Sicilia Nuova Editrice, Milazzo. L'opera di Croce può essere suddivisa in tre periodi: quello degli studi storici, letterari e il dialogo con il marxismo, quello della maturità e delle opere filosofiche sistematiche e quello dell'approfondimento teorico e revisione della filosofia dello spirito in chiave storicista. Come idealista, ritiene che la realtà sia quella che viene concepita dal soggetto, in quanto riflesso della sua idea e interiorità, ed è convinto che la razionalità e la libertà emergano nella storia, pur tra immani difficoltà. La filosofia idealista riconduce totalmente l'essere al pensiero, negando esistenza autonoma alla realtà fenomenica, ritenuta il riflesso di un'attività interna al soggetto; l'idealismo, come in Hegel, implica una concezione etica fortemente rigorosa, come ad esempio nel pensiero di Fichte che è incentrato sul dovere morale dell'uomo di ricondurre il mondo al principio ideale da cui esso ha origine; in Croce questo ideale è la libertà umana. Definito da Gramsci "papa laico della cultura italiana", a sua filosofia ha goduto di enorme credito nella cultura italiana del XX secolo, perlomeno fino agli anni settanta e ottanta, in cui si sono levate molte critiche verso il suo approccio, ritenuto superato. Croce fu un intellettuale rispettato anche al di fuori dell'Italia: la rivista Time gli dedicò la copertina negli anni '30[7], e negli anni 2000, contestualmente alla rivalutazione del pensiero crociano, si è registrato l'interesse della collana editoriale dell'Università di Stanford, mentre la rivista statunitense di politica internazionale Foreign Affairs lo inserì tra i pensatori più attuali tra quelli del '900, accanto a intellettuali come Isaiah Berlin, Francis Fukuyama e Lev Trotsky. Parallelamente allo studio del marxismo, Croce approfondisce anche il pensiero di Hegel; secondo entrambi la realtà si dà come spirito che continuamente si determina e, in un certo senso, si produce. Lo spirito è quindi la forza animatrice della realtà, che si auto-organizza dinamicamente divenendo storia secondo un processo razionale. Da Hegel egli recupera soprattutto il carattere razionalistico e dialettico in sede gnoseologica: la conoscenza si produrrebbe allora attraverso processi di mediazione dal particolare all'universale, dal concreto all'astratto, per cui Croce afferma che la conoscenza è data dal giudizio storico, nel quale universale e particolare si fondono recuperando la sintesi a priori di Kant e lo storicismo di Giambattista Vico, suo altro filosofo di riferimento. Da destra, Giovanni Laterza, Stefano Jacini, Croce e Luigi De Secly. Il divenire e la logica della dialettica, in Hegel e in Marx, è esso stesso verità in movimento; anche per Croce la verità è dialettica, ma occorre esprimere un giudizio storico ed esistono delle regole che arginano la pretesa giustificativa di ogni fenomeno: in Croce lo Spirito - in quanto intelletto umano - si realizza nella storia ma nel rispetto della libertà. Per questo ogni fatto è quindi calato nella realtà storica, ma questo non può giustificare, con la scusa del divenire e del progresso, aspetti deplorevoli come, ad esempio, il totalitarismo fascista o comunista, il primo come necessario (concezione di Giovanni Gentile e della sua idea di realtà come atto puro di pensare e agire) e il secondo come fase storica obbligata (seguendo il concetto marxiano della dittatura del proletariato, di cui il filosofo tedesco parla nella sua teoria "razionalista" del materialismo storico). Quindi il materialismo dialettico di Engels e quello storico di Marx sono da ritenersi errati. In questo, il suo storicismo si differenzia dal pensiero di un altro filosofo liberale, Karl Popper, secondo cui dialettica e storicismo finiscono invece per generare quasi sempre totalitarismo (concezione assai diffusa nel pensiero del liberalismo novecentesco). Al contrario di Popper e Arendt, per Croce la radice totalitaria è proprio nell'antistoricismo, cioè nel rifiuto dello storicismo stesso. Il neoidealismo entrò in crisi, sostituito da nuove filosofie come l'esistenzialismo e la fenomenologia; sempre in nome del libertà e dell'umanesimo, Croce critica l'esistenzialista Martin Heidegger, divenuto poi anti-umanistico e colpevole di accondiscendenza verso il nazismo, definendolo anche "un Gentile più dotto e più acuto, ma sostanzialmente della stessa pasta morale"[79]; esprime così nel 1939 un tagliente giudizio sul filosofo di Essere e tempo: «Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust cattedratico, egli che, nei suoi libri non ha dato mai segno di prendere alcun interesse o di avere alcuna conoscenza della storia, dell'etica, della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita spirituale nelle sue varie forme - quale decadenza a fronte dei filosofi, veri filosofi tedeschi di un tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! -, oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero attore, l'umanità. [...] E così si appresta o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la filosofia.»  (Conversazioni Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza. L'asserzione di Hegel che "la storia sia storia di libertà" viene da Croce inquadrata nella sua concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale nascere, nel successivo crescere e infine nel raggiungimento di uno stadio finale e definitivo di maturità.[74]  Croce fa proprio questo detto hegeliano chiarendo però che non si vuole «assegnare alla storia il tema del formarsi di una libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia. Come tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I popoli e gli individui anelano sempre alla libertà, e come dice Hegel «ciò che è razionale è reale» (cioè la ragione concepisce quello che può diventare reale) e «ciò che è reale è razionale» (cioè esiste un'intrinseca razionalità, anche minima, in ogni fenomeno storico, anche se non tutto il reale è ovviamente razionale). Alcuni storici, senza ben rendersi conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha abbandonato la scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe dire che è morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa sostituire quello della libertà «che è l'unica che faccia battere il cuore dell'uomo, nella sua qualità di uomo». Ciò significa che la libertà non è una fase di presa di coscienza che conduce allo Stato etico o al socialismo, venendo superata, ma è essa stessa la verità nel divenire, non una fase. Egli critica Hegel, poiché secondo lui il filosofo ha concepito la dialettica in modo riduttivo, ovvero semplicemente come dialettica degli opposti, mentre secondo Croce sussiste anche una logica dei distinti: non ogni negazione è infatti opposizione, ma può essere semplice distinzione. Ciò significa che certi atti ed eventi devono essere sempre considerati appunto distinti rispetto ad altri ordini di atti ed eventi, e non ad essi opposti. Elabora, quindi, un vero e proprio sistema, da lui denominato la filosofia dello spirito. Inoltre, la prima importante differenza con Hegel è che nel sistema crociano non vi rientra né la religione, né la natura. La religione sarebbe infatti un complesso miscuglio di elementi poetici, morali e filosofici che le impediscono di presentarsi come forma autonoma dello Spirito. La natura poi non è altro che l'oggetto "mascherato" dell'attività economica, è il frutto della considerazione economica diretta al mondo. Qui la realtà in quanto attività (ovvero produzione dello spirito o della storia) è articolata in quattro forme fondamentali, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado (particolare o universale): estetica (teoretica - particolare), logica (teoretica-universale), economia (pratica - particolare), etica (pratica - universale). La relazione tra queste quattro forme opera la suddetta logica dei distinti, mentre all'interno di ognuna di esse si ha la dialettica degli opposti.[73] All'interno dell'estetica infatti si ha opposizione dialettica tra bello e brutto, all'interno della logica, l'opposizione è tra vero e falso; nella economia tra utile e inutile e infine nell'etica tra bene e male.  Estetica Croce scrisse anche importanti opere di critica letteraria (saggi su Goethe, Ariosto, Shakespeare e Corneille, "La letteratura della nuova Italia" e "La poesia di Dante"). Egli si mosse nell'ambito della sua teoria estetica che mirava alla scoperta delle motivazioni profonde dell'ispirazione artistica. Quest'ultima era ritenuta tanto più valida quanto più coerente con le categorie di bello-brutto. La prima parte della teoria estetica la ritroviamo in opere come Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, Breviario di estetica e Aesthetica in nuce. In seguito modificò questa iniziale teoria stabilendo per la storia un nesso con la filosofia. L'estetica, dal significato originario del termine aisthesis (sensazione), si configura in primo luogo come attività teoretica relativa al sensibile, si riferisce alle rappresentazioni e alle intuizioni che noi abbiamo della realtà.  Come conoscenza del particolare l'intuizione estetica è la prima forma della vita dello Spirito. Prima logicamente e non cronologicamente poiché tutte le forme sono presenti insieme nello spirito. L'arte, come aspetto dell'Estetica, è una forma della vita spirituale che consiste nella conoscenza, intuizione del particolare che:  come forma dello spirito, come creatività non è sensazione, conoscenza sensibile che è un aspetto passivo dello spirito rispetto ad una materia oscura e ad esso estranea; come conoscenza (prima forma dell'attività teoretica) non ha a che fare con la vita pratica. Bisogna quindi respingere tutte le estetiche che abbiano fini edonistici, sentimentali e moralistici; quale espressione di un valore autonomo dello spirito, l'arte non può né deve essere giudicata secondo criteri di verità, moralità o godimento; come intuizione pura va distinta dal concetto che è conoscenza dell'universale: compito proprio della filosofia. L'arte può essere definita quindi come intuizione-espressione, due termini inscindibili per cui non è possibile intuire senza esprimere né è possibile espressione senza intuizione. Ciò che l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica, letteraria, musicale ecc.) che egli per ispirazione crea da una considerazione del reale, nel senso che l'opera artistica è l'unità indifferenziata della percezione del reale e della semplice immagine del possibile. La distinzione tra arte e non arte risiede nel grado di intensità dell'intuizione-espressione. Tutti noi intuiamo ed esprimiamo: ma l'artista è tale perché ha un'intuizione più forte, ricca e profonda a cui sa far corrispondere un'espressione adeguata. Coloro che sostengono di essere artisti potenziali poiché hanno delle intense intuizioni ma che non sono capaci di tradurre in espressioni, non si rendono conto che in realtà non hanno alcuna intuizione poiché se la possedessero veramente essa si tradurrebbe in espressione. L'arte non è aggiunta di una forma ad un contenuto ma espressione, che non vuol dire comunicare, estrinsecare, ma è un fatto spirituale, interiore come l'atto inscindibile da questa che è l'intuizione. Nell'estetica dobbiamo far rientrare anche quella forma dell'espressione che è il linguaggio che nella sua natura spirituale fa tutt'uno con la poesia. L'estetica quindi come una «linguistica in generale». Dall'estetica deriva la critica letteraria crociana, espressa in molti saggi. Della logica, Croce tratta essenzialmente nella Logica come scienza del concetto puro[83]); essa corrisponde al momento in cui l'attività teoretica non è più affidata alla sola intuizione (all'ambito estetico), ma partecipa dell'elemento razionale, che attinge dalla sfera dell'universale. Il punto di arrivo di questa attività è l'elaborazione del concetto puro, universale e concreto che esprime la verità universale di una determinazione. La logica crociana è anche storica, nella misura in cui essa deve analizzare la genesi e lo sviluppo (storico) degli oggetti di cui si occupa. Il termine logica in Benedetto Croce assume quindi un significato più vicino al termine dialettica ovvero ricerca storiografica. In genere, la Logica di Croce è lontana da criteri scientifico-razionali, e si ispira ai metodi dell'immaginazione artistica e dell'eleganza estetico-letteraria, nei quali il filosofo raggiunge risultati eccellenti. Di carattere decisamente diverso è invece la filosofia delle scienze fisiche, matematiche e naturali delle quali Croce non si occupa affatto nei suoi studi. Del resto, come segnala Geymonat nel suo Corso di filosofia - immagini dell'uomo, «la vera indubbia grandezza di Croce va cercata assai più nella sua opera di storiografo, di critico letterario, ecc., che non nella sua opera di filosofo. Gentile ai tempi del direttorato alla Scuola normale di Pisa. In ogni caso la logica e la filosofia della scienza è stata sviluppata in Italia da altre correnti di pensiero contemporaneo a quello crociano, con studiosi fra quali Peano e lo stesso Geymonat. Un orientamento parzialmente diverso ebbe invece Giovanni Gentile che, pur criticando gli eccessi del positivismo, intrattenne anche rapporti con matematici e fisici italiani e cercò di instaurare un rapporto costruttivo con la cultura scientifica. Invece Croce ebbe con la logica e la scienza un rapporto difficile. La sua posizione portò in Italia nella prima metà del Novecento ad uno scontro dialettico fra due culture contrapposte: quella artistico-letteraria e quella tecnico-scientifica. Il rapporto conflittuale con le scienze matematiche e sperimentali Un caso emblematico del giudizio di Benedetto Croce nei confronti della matematica e delle scienze sperimentali è la sua nota diatriba con il matematico e filosofo della scienza Federigo Enriques, avvenuta il 6 aprile 1911 in seno al congresso della Società Filosofica Italiana, fondata e presieduta dallo stesso Enriques. Questi sosteneva che una filosofia degna di una nazione progredita non potesse ignorare gli apporti delle più recenti scoperte scientifiche. La visione di Enriques mal si confaceva a quella idealistica di Croce e Gentile, come pure a gran parte degli esponenti della filosofia italiana di allora, per lo più formata da idealisti crociani.  Croce, in particolare, rispose ad Enriques[84], liquidando in modo deciso - "antifilosofico" secondo Enriques - la proposta di considerare la scienza come un valido apporto alle problematiche filosofiche e sostenendo, anzi, che matematica e scienza non sono vere forme di conoscenza, adatte solo agli «ingegni minuti» degli scienziati e dei tecnici, contrapponendovi le «menti universali», vale a dire quelle dei filosofi idealisti, come Croce medesimo. I concetti scientifici non sono veri e propri concetti puri ma degli pseudoconcetti, falsi concetti, degli strumenti pratici di costituzione fittizia.  «La realtà è storia e solo storicamente la si conosce, e le scienze la misurano bensì e la classificano come è pur necessario, ma non propriamente la conoscono né loro ufficio è di conoscerla nell'intrinseco. Sul tema Benedetto Croce sostenne, tra l'altro, che:  «Gli uomini di scienza [...] sono l'incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all'organismo filosofico-storico.»  (Benedetto Croce da Il risveglio filosofico e la cultura italiana, A proposito dello sviluppo novecentesco della logica matematica e dell'introduzione dei formalismi simbolici, ad opera di matematici e filosofi quali Gottlob Frege, Giuseppe Peano, Bertrand Russell, Benedetto Croce dichiarerà:  «I nuovi congegni [della logica matematica] sono stati offerti sul mercato: e tutti, sempre, li hanno stimati troppo costosi e complicati, cosicché non sono finora entrati né punto né poco nell'uso. Vi entreranno nell'avvenire? La cosa non sembra probabile e, ad ogni modo, è fuori della competenza della filosofia e appartiene a quella della pratica riuscita: da raccomandarsi, se mai, ai commessi viaggiatori che persuadano dell'utilità della nuova merce e le acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni adotteranno i nuovi congegni logici, questi avranno provato la loro grande o piccola utilità. Ma la loro nullità filosofica rimane, sin da ora, pienamente provata.»  (Benedetto Croce da Logica come scienza del concetto puro,Anni dopo, ancora scriveva che:  «Le scienze naturali e le discipline matematiche, di buona grazia, hanno ceduto alla filosofia il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o addirittura sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo e di pratica utilità, che non hanno niente da vedere con la meditazione del vero.»  (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e e schiarimenti filosofici e ribadiva come:  «Le finzioni delle scienze naturali e matematiche postulano di necessità l'idea di un'idea che non sia finta. La logica, come scienza del conoscere, non può essere, nel suo oggetto proprio, scienza di finzioni e di nomi, ma scienza della scienza vera e perciò del concetto filosofico e quindi filosofia della filosofia.»  (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici. Tuttavia ebbe altresì un cordiale e rispettoso scambio epistolare con Albert Einstein. Secondo diversi storici e filosofi (es. Giorello, Bellone, Massarenti), l'influenza antiscientifica di Croce e di Gentile[90] sarebbe stata fortemente deleteria sia sul piano dell'istituzione scolastica per gli orientamenti pedagogici della scuola italiana, che si sarebbe indirizzata prevalentemente agli studi umanistici considerando quelli scientifici di secondo piano, sia per la formazione di una classe politica e dirigente che attribuisse importanza alla scienza e alla tecnica e portando, per conseguenza, ad un ritardo dello sviluppo tecnologico e scientifico nazionale.  «[La scuola] sarà caratterizzata dal primato dell'umanesimo letterario e in particolare dell'umanesimo classico. Tutte le istituzioni culturali saranno improntate al primato delle lettere, della filosofia e della storia. Giorello nel quarantennale della morte di Croce ha scritto che "predicò la religione della libertà e per questo gli siamo riconoscenti. Ma la sua condanna della scienza e la sua estetica hanno causato danni gravissimi alla nostra cultura. Che ora esige riparazione.  Lo stesso Giorello però ha in parte ritrattato l'affermazione, negando che sia da attribuire a Croce il mancato sviluppo scientifico italiano, adducendo che quelle che lui considerava una "colpa" sarebbero da accreditare maggiormente alla Chiesa, agli scienziati stessi e alla classe politica, più che all'idealismo, che trascura le scienze ma nemmeno le ostacola, definendo la filosofia di Croce «interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza. Croce riteneva le scienze umane e sociali prive di qualunque validità e del tutto inutili per lo studio dei fenomeni umani. Lui stesso dichiarò più volte di non riuscire a capire perché si dovesse sprecare del tempo a studiare «i cretini, i bambini e i selvaggi, quando esistono pensatori come Kant. ilosofia della pratica «La legge morale è la suprema forza della vita e la realtà della Realtà.»  (Filosofia della pratica. Etica ed economica, Laterza, Bari) Economia ed etica vengono trattate in Filosofia della pratica. Economica ed etica. Croce dà molto rilievo alla volizione individuale che è poi l'economia, avendo egli un forte senso della realtà e delle pulsioni che regolano la vita umana. L'utile, che è razionale, non sempre è identico a quello degli altri: nascono allora degli utili sociali che organizzano la vita degli individui. Il diritto, nascendo in questo modo, è in un certo qual senso amorale, poiché i suoi obiettivi non coincidono con quelli della morale vera e propria. Egualmente autonoma è la sfera politica, che è intesa come luogo di incontro-scontro tra interessi differenti, ovvero essenzialmente conflitto, quello stesso conflitto che caratterizza il vivere in generale. Croce critica anche l'idea di Stato etico elaborata da Hegel ed estremizzata da Gentile: lo Stato non ha nessun valore filosofico e morale, è semplicemente l'aggregazione di individui in cui si organizzano relazioni giuridiche e politiche. L'etica è poi concepita come l'espressione della volizione universale, propria dello spirito; non vi è un'etica naturale o un'etica formale, e dunque non vi sono contenuti eterni propri dell'etica, ma semplicemente essa è l'attuazione dello spirito, che manifesta in modo razionale atti e comportamenti particolari. Questo avviene sempre in quell'orizzonte di continuo miglioramento umano. Teoria e storia della storiografia «La storia non è giustiziera, ma giustificatrice»  (Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia) La storia e lo spirito: lo storicismo assoluto  Giambattista Vico Come si evince anche da Teoria e storia della storiografia la filosofia di Croce, ispirata soprattutto a Giambattista Vico, è fortemente storicista. Per ciò, se volessimo riassumere con una formula la filosofia di Croce, questa sarebbe storicismo assoluto, ossia la convinzione che tutto è storia, affermando che tutta la realtà è spirito e che questo si dispiega nella sua interezza all'interno della storia. La storia non è dunque una sequela capricciosa di eventi, ma l'attuazione della Ragione. La conoscenza storica ci illumina a proposito delle genesi dei fatti, è una comprensione dei fatti che li giustifica con il suo dispiegarsi. Si delinea in quest'ottica il compito dello storico: egli, partendo dalle fonti storiche, deve superare ogni forma di emotività nei confronti dell'oggetto studiato e presentarlo in forma di conoscenza. In questo modo la storia perde la sua passionalità e diviene visione logica della realtà. Quanto appena affermato si può evincere dalla celebre frase «la storia non è giustiziera, ma giustificatrice». Con questo afferma che lo storico non giudica e non fa riferimento al bene o al male. Quest'ultimo delinea, inoltre, come la storia abbia anche un preciso orizzonte gnoseologico, poiché in primo luogo è conoscenza, e conoscenza contemporanea, ovvero la storia non è passata, ma viva in quanto il suo studio è motivato da interessi del presente. Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni.La storiografia è in seconda istanza utile per comprendere l'intima razionalità del processo dello spirito, e in terzo luogo essa è conoscenza non astratta, ma basata su fatti ed esperienze ben precise. Anche se subisce l'influsso dello storicismo di Voltaire, Croce critica gli illuministi e in generale tutti coloro che pretendono di individuare degli assoluti che regolino la storia o la trascendano: invece la realtà è storia nella sua totalità, e la storia è la vita stessa che si svolge autonomamente, secondo i propri ritmi e le proprie ragioni.  La storia è un cammino progressivo per cui «Nulla c'è al di fuori dello spirito che diviene e progredisce incessantemente: nulla c'è al di fuori della storia che è per l'appunto questo progresso e questo divenire. Ma il positivo destinato a superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati non sono mai scontati né prevedibili. La storia diviene, allora, anche storia di libertà, dei modi in cui l'uomo promuove e realizza al meglio la propria esistenza. La libertà si traduce, sul piano politico, in liberalismo: una sorta di religione della libertà o di metodo interpretativo della storia e di orientamento dell'azione, che è imprescindibile nel processo del progresso storico-politico, come si evince dal volume del 1938 La storia come pensiero e come azione Per Croce la libertà può essere apprezzata solo difendendola costantemente in maniera dialettica, poiché la storia è necessariamente contrasto. Chi desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente, pensi per un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come dall'immagine, peggio che della morte, della noia infinita.»  (La storia come pensiero e come azione). Ciò però non vuol dire che Croce giustifichi la violenza come necessaria; nello stesso saggio ammonisce infatti che «la violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla».  La concezione storica crociana ebbe grande seguito in Italia per molto tempo ed ebbe notevole influenza anche all'estero, ad esempio per quanto riguarda la formazione del maggior storico americano del nazismo, George Mosse. Croce interviene al congresso liberale. Croce critico letterario, specie quello di Poesia e non poesia, esercitò molta influenza successiva, quasi una "dittatura intellettuale sulla cultura italiana, ma ricevette anche critiche: ad esempio furono ritenute scorrette, "pseudoconcetti" (riprendendo una parola usata da Croce), poiché non presentate come opinione personale ma come veri canoni estetici, varie tesi, come la sua opposizione alle novità letterarie europee, esemplificate dalle stroncature verso gran parte dell'opera di Gabriele D'Annunzio, Giovanni Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di Myricae e dei Canti di Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili), del crepuscolarismo e di Giacomo Leopardi: di quest'ultimo salvò, nei Canti, gli idilli e i canti pisano-recanatesi, ma criticò le poesie "dottrinali" e polemiche (in particolare i Paralipomeni della Batracomiomachia e la Palinodia al marchese Gino Capponi) e le opere filosofiche (apprezzò solo una minima parte delle Operette morali), affermando che quella leopardiana non era vera filosofia, ma solo uno sfogo poetico in prosa, inferiore comunque alle liriche, dovuto esclusivamente alle condizioni fisiche e psicologiche del poeta recanatese. Croce non considera Leopardi un vero filosofo, come Schopenhauer, a cui invece riconosce dignità filosofica ma che non apprezza come individuo poiché ritenuto cinico e indifferente, ma solo un pensatore, il cui pensiero è essenzialmente al servizio della sua poesia. Sulla scorta di Francesco de Sanctis, esprime simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito civile, l'impegno e la lotta eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso nella poesia La Ginestra. Egli fu grande ammiratore soprattutto del Carducci, in quanto classicista, razionale e sentimentale al tempo stesso, ma senza scadere nel sentimentalismo irrazionale, e, a proposito del decadentismo e degli autori di questo movimento, scrisse, in Del carattere della più recente letteratura italiana: «Nel passare da Giosuè Carducci a questi tre, sembra, a volte, come di passare da un uomo sano a tre malati di nervi». La polemica contro il decadentismo è figlia di quella contro il positivismo: Croce sostiene che il misticismo decadente, che egli disapprova come sintomo di vuoto spirituale e filosofico (Croce è razionalista e idealista al tempo stesso), è figlio dello scientismo positivistico e delle pseudoscienze da esso generate (come lo spiritismo): «Di qua il positivismo, di fronte il misticismo; perché questo è figlio di quello: un positivista dopo la gelatina dei gabinetti, non credo abbia altro di più caro che l'inconoscibile, cioè la gelatina dove si coltiva il microbio del misticismo». Le opere di Croce spaziano dalla filosofia, alla storiografia, all'aneddotica, alla critica letteraria e all'erudizione storica. Qui si indicano le più importanti. Per un elenco completo si veda L'opera di Benedetto Croce, bibliografia a cura di S. Borsari, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, I principi dell'estetica crociana, oltre ad essere formulati in opere organiche, trovarono anche applicazione critica in prefazioni e curatele di opere altrui. Tale è, ad esempio, la prefazione all'opera di Tommaso Parodi, Poesia e letteratura: conquista di anime e studi di critica, pubblicata postuma nel 1916 da Laterza, a cura del Croce. Il filosofo napoletano collaborò inoltre con numerosi articoli su vari argomenti pubblicati su molti giornali e riviste stranieri e italiani (Cfr. Panetta, Settant'anni di militanza: Croce, tra riviste e quotidiani) Ad esempio la sua collaborazione con il quotidiano Il Resto del Carlino durò per più di 40 anni. Filosofia dello spirito Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale Logica come scienza del concetto puro Filosofia della pratica. Economica ed Etica Teoria e storia della storiografia; Problemi di estetica e contributi alla storia dell'estetica italiana La filosofia di Vico Saggio sullo Hegel seguito da altri scritti di storia della filosofia Materialismo storico ed economia marxistica Nuovi saggi di estetica Etica e politica. La poesia. Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura La storia come pensiero e come azione Il carattere della filosofia moderna Discorsi di varia filosofia; Filosofia e storiografia; Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici; Perché non possiamo non dirci "cristiani"; Primi saggi Cultura e vita morale L'Italia. Pagine sulla guerra Pagine sparse; Nuove pagine sparse; Terze pagine sparse; Scritti e discorsi politici; Carteggio Croce-Vossler; B. Croce - G. Papini, Carteggio; Il caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana; Saggi sulla letteratura italiana del Seicento La rivoluzione napoletana del 1799 La letteratura della nuova Italia; I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza Conversazioni critiche Storie e leggende napoletane Manifesto degli intellettuali antifascisti Goethe Una famiglia di patrioti ed altri saggi storici e critici Ariosto, Shakespeare e Corneille Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono; La poesia di Dante Poesia e non poesia Storia del Regno di Napoli Uomini e cose della vecchia Italia Storia d'Italia; Storia dell'età barocca in Italia Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento Storia d'Europa nel secolo decimonono Poesia popolare e poesia d'arte Varietà di storia letteraria e civile Vite di avventure, di fede e di passione Poesia antica e moderna Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento La letteratura italiana del Settecento Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia Aneddoti di varia letteratura Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro Edizione nazionale La casa editrice Bibliopolis ha in corso di pubblicazione l'edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce, promossa con Decreto del Presidente della Repubblica. Eugenio Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, Enciclopedia italiana Treccani alla voce "neoidealismo"  Emanuele Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia contemporanea, Milano, Rizzoli, Giulio Giorello, Dimenticare Croce?  Benedetto Croce - Senato  Partito Liberale Italiano «nato nel 1924, sciolto durante il fascismo e ricostituito». In Enciclopedia Treccani alla voce "Partito Liberale Italiano"  Pagina jpg del Corriere del Mezzogiorno: Luigi Mosca, L'America innamorata di Croce. La prestigiosa rivista USA "Foreign Affairs" lo incorona tra i pensatori più attuali, Einaudi infatti sosteneva che «il liberismo non è né punto né poco "un principio economico", non è qualcosa che si contrapponga al liberalismo etico; è una "soluzione concreta" che talvolta e, diciamo pure, abbastanza sovente, gli economisti danno al problema, ad essi affidato, di cercare con l’osservazione e il ragionamento quale sia la via più adatta, lo strumento più perfetto per raggiungere quel fine o quei fini, materiali o spirituali che il politico o il filosofo, od il politico guidato da una certa filosofia della vita ha graduato per ordine di importanza subordinandoli tutti al raggiungimento della massima elevazione umana.» (in G.Einaudi, Il buongoverno. Saggi di economia politica, a cura di E. Rossi, Il filosofo, rispettivamente nel 1919 e nel 1922, dedica ai paesi degli avi, sia paterni che materni, due monografie, intitolate Montenerodomo: storia di un comune e due famiglie e Pescasseroli, uscite per Laterza e in seguito collocate in appendice alla Storia del Regno di Napoli (Laterza, Bari).  È noto, a tal proposito, l'aneddoto narrato in un testo coevo, secondo il quale il padre del filosofo, prima di morire tra le macerie, avrebbe detto al figlio «offri centomila lire a chi ti salva». Cfr. C. Del Balzo, Cronaca del tremuoto di Casamicciola, Tip. De Blasio e C., Napoli, Un'analisi di quella traumatica esperienza anche in relazione all'opera di Croce è in S. Cingari, Il giovane Croce. Una biografia etico-politica, Rubbettino, Soveria Mannelli, Il problema del male nell’indagine di Cucci. Testimonianza di Croce sul terremoto  Benedetto Croce, Memorie della mia vita, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1966.  "Il superstite è accolto allora nella casa romana del politico Silvio Spaventa, cugino del padre e fratello del filosofo Bertrando. Il lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non stupisce che questa miscela abbia precipitato il giovane in una crisi d’ipocondria; e l’ostentato contegno olimpico dell’adulto deriva forse da questo periodo oscuro. «Quegli anni», confessa l’autore del Contributo, furono «i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino». Nella Roma del trasformismo, Benedetto si chiude in biblioteca. Ma a scuoterlo è Antonio Labriola, che con le lezioni sull’etica di Herbart gli offre un appiglio cui aggrapparsi nel naufragio della fede. Croce ricorda di averne recitato più volte i capisaldi sotto le coperte, come una preghiera": v. A cento anni dal “Contributo” di Croce, di Matteo Marchesini, Sole 24 ore, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ministri della Pubblica Istruzione, su storia.camera.  Ultimo Governo Giolitti, su storia.camera.  A. Jannazzo, Croce e la corsa verso la guerra, in Idem, Croce e il prepartito degli intellettuali, Edizioni La Zisa, Palermo, Giorgio Levi della Vida, Fantômes retrouvés, Diogène, Antonio Gnoli, Benedetto Croce e il suo fantasma, in la Repubblica, Camera dei deputati - Portale storico  Giugno 1924; citato in G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi testuale: Novecento; Casa Editrice G. Principato S.p.A., .  Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Sambugar, Salà, Letteratura italiana, Croce e il manifesto antifascista.  Primo Levi, Potassio, in Il sistema periodico, poi in Opere, Torino, Einaudi, «La più efficace difesa della civiltà e della cultura si è avuta in Italia, per opera di Benedetto Croce. Se da noi solo una frazione della classe colta ha capitolato di fronte al nemico a differenza di quel che è avvenuto in Germania, moltissimo è dovuto al Croce. (Guido De Ruggiero) Osserva Nicola Abbagnano nella sua Storia della filosofia: «Il regime fascista, certo per costituirsi un alibi di fronte agli ambienti internazionali della cultura, consentì tacitamente a Croce una certa libertà di critica politica; e Croce si avvalse di questa possibilità [...] per una difesa degli ideali di libertà... Negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale la figura di Croce ha assunto perciò, agli occhi degli italiani, il valore di un simbolo della loro aspirazione alla libertà, e ad un mondo in cui lo spirito prevalga sulla violenza. E tale si mantiene a distanza di anni. Il terzo volume del carteggio tra Croce e Laterza (l'editore delle opere crociane) offre una grande quantità di esempi delle difficoltà di mantenersi in equilibrio “tra l'opposizione concreta e organizzata al fascismo, e l'adesione o la cinica indifferenza”. Esempi “quasi tutti orientati però verso una precisa direzione: quella dell'autocensura, a volte praticata, altre volte orgogliosamente respinta... Tra i molti casi che potrebbero essere citati a illustrazione di questo atteggiamento, è notevole quello sorto attorno alla dedica apposta da Paolo Treves, nel libro sulla filosofia di Tommaso Campanella, al padre Claudio, scrittore e parlamentare socialista, famigerato tra i fascisti soprattutto per il celebre duello ingaggiato con Mussolini. La dedica recitava: “A mio padre, che mi additò con l'esempio la dignità della vita”. Laterza scrive a Croce accostando, con diplomatica sottigliezza, la lettura di un volgare trafiletto anticrociano e antilaterziano sul “Lavoro fascista” alla questione della dedica, che egli propone al Treves di limitare “alle prime tre parole essenziali, non essendo opportuno motivarla allo stato attuale delle cose”. Alla lettera Croce risponde il giorno dopo, tranquillizzando Laterza sulla “purezza” del lavoro storico del Treves e sull'assenza in esso di riferimenti al presente, e aggiungendo, con maliziosa e retorica ingenuità: “ma veramente non capisco perché vi abbia fatto senso quella dedica affettuosa di un figlio al padre. O che la dignità della vita (il corsivo è ovviamente di Croce) è un fatto politico del giorno?”. Comunque sia, la dedica uscì poi nella versione “purgata”. Maurizio Tarantino, recensione a Benedetto Croce-Giovanni Laterza, Carteggio, a c. di Antonella Pompilio, Napoli, Roma-Bari, Istituto italiano per gli studi storici, Laterza,  “L'indice”. L'episodio è narrato con dovizia di particolari in una lettera di Fausto Nicolini a Giovanni Gentile riportata da Gennaro Sasso in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Alessandro Barbera (a cura di), La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza, Roma, Fondazione Julius Evola, Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della Sera, Cfr. la prefazione del testo Lettere di Julius Evola a Croce. Regio Decreto Legge, Disposizioni sull'istruzione superiore (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Flavio Fiorani, Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti Editore, 2000,91  La Repubblica, Giuseppe Giarrizzo rivendicò con una punta di orgoglio l'essere annoverato tra i “nipotini” di Croce (se, nel corso di uno sgradevole scontro, sono stato per Ernesto De Martino un «basco verde di Palazzo Filomarino. Giarrizzo, Giuseppe, Di Benedetto Croce e del filosofare sine titulo, Archivio di storia della cultura: Napoli: Liguori,  si veda: Antonio Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce  B. Croce, Epistolario, I, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, La vicenda è descritta e analizzata da Gennaro Sasso, La guerra d'Etiopia e la “patria”, in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Pierluigi Battista, Corriere della Sera, B. Croce, Taccuini di lavoro, Napoli, La tentazione antisemita di tre antifascisti liberali  Dante Lattes, Ferruccio Pardo, Benedetto Croce e l'inutile martirio d'Israele. L'ebraismo secondo B. Croce e secondo la filosofia crociana  Michele Sarfatti, Il ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, pag. 111  Peter Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, Croce rimase fermo sulle sue posizioni: l'unica condizione alla quale i partiti antifascisti dell'opposizione avrebbero accettato di entrare nel governo di Badoglio era l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Era stato il re, disse Croce, ad aprire le porte al fascismo, favorendolo, appoggiandolo e servendolo per vent'anni».  Tompkins, Piero Operti, Lettera aperta a Benedetto Croce, Torino, Lattes, Giuseppe Mazzini (1948), poi in Scritti e discorsi politici, II, Bari, Laterza, 1963,451; sulle caratteristiche "affettive" del pronunciamento di Croce al referendum, vedi Fulvio Tessitore, Il percorso psicologico dalla monarchia alla repubblica attraverso i Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, in Benedetto Croce e la nascita della Repubblica. Atti del convegno tenutosi presso il Senato della Repubblica, Soveria Mannelli, Rubbettino,  "non sono veri liberali...coloro che si fregiano, come ora taluni hanno preso a fare, del nome di monarchici, perché il liberalismo non ha altro fine che quello di garantire la libertà" e se "la forma Repubblicana gli offre questa...garanzia quando non gliene offre sicura la monarchia, sarà anche eventualmente repubblicano" (Taccuini di lavoro; "se il tentativo la duplice abdicazione di Vittorio Emanuele III e di Umberto II] fallisse, noi sosterremo il partito della Repubblica, adoperandoci a farla sorgere temperata e non sfrenata, sennata e non dissennata" (Taccuini di lavoro. Benedetto Croce, mai nominato, formalmente rifiutò prima ancora che la sua ventilata nomina potesse concretizzarsi.» (In Davide Galliani, Il Capo dello Stato e le leggi, Volume 1, Giuffrè Editore, Ente Morale, su UniSOB.na. URL consultato il 30 ottobre 2018.  Senato della Repubblica-Cinecittà Luce, Il filosofo della libertà: Napoli - il funerale di Benedetto Croce  B. Croce, Maria Curtopassi, Dialogo su Dio: carteggio 1941-1952, Archinto, Il carteggio fra Croce e Maria Curtopassi è stato pubblicato presso la casa editrice Archinto da Giovanni Russo, autore anche della nota introduttiva, Maurizio Griffo, Il pensiero di Benedetto Croce tra religione e laicità. La citazione è tratta da: B. Croce, Taccuini di lavoro, vol. 6, Napoli. Croce, Perché non possiamo non dirci anticoncordatari. Discorso contro i patti lateranensi, tratto da: Benedetto Croce, Discorsi parlamentari, Bardi editore, Roma, Atti parlamentari della Camera: Guido Verucci, Idealisti all'Indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Laterza, Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce, Il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai alluse ironicamente all'operetta crociana con un articolo intitolato Benedetto Croce rincristianito per dispetto (In Ruggiero Romano, Paese Italia: venti secoli di identità, Donzelli Editore,Perché non possiamo non dirci "cristiani, in La Critica, 20 novembre 1942; poi in Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari 1945  B. Croce, M. Curtopassi, Dialogo su Dio. Carteggio op.cit. ibidem.  F.Focher, Rc. a F. Capanna, La religione in Benedetto Croce. Il momento della fede nella vita dello spirito e la filosofia come religione, Bari 1965, in Rivista di studi crociati, Sandro Magister, Colloquio con Vittorio Foa (Da l'Espresso, Documenti)  In Vittorio Messori, Pensare la storia: una lettura cattolica dell'avventura umana, Paoline,Nello Ajello, Solo per amore, "La Repubblica, Gennaro Sasso, Per invigliare me stesso, Bologna, Il mulino, 1989,36-9  Nel registro mortuario di Raiano, vicino a L'Aquila, viene indicata erroneamente come "moglie del senatore Benedetto Croce"  Benedetto Croce e l'amore  Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a Raiano, in "L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, n. 10, ottobre 1964  Morta Alda Croce, figlia di Benedetto Croce  È morta Silvia Croce l'ultima nata del filosofo  Morta Lidia, l'ultima figlia ancora vivente di Benedetto Croce. Si è spenta a Napoli a 93 anni  Il pensiero filosofico di Benedetto Croce - senato  B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari Saggio sullo Hegel  Croce, da "papa laico" a grande dimenticato  Renzo Grassano, La filosofia politica di Karl Popper: 1 - La critica della dialettica hegeliana e dello storicismo; commento a La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello storicismo di Popper  Croce e il totalitarismo  Carteggio Croce-Omodeo  Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani, Milano In opposizione al positivismo che voleva riportare la storia ad una forma della scienza, Croce si era interessato dell'estetica nella quale avrebbe dovuto essere compresa la storia; cfr. La storia sotto il concetto generale dell'arte, Bari 1919  Per questo motivo Croce della Divina Commedia di Dante apprezza la prima cantica dell'Inferno in quanto risultato di una forte e sentita intuizione-espressione, mentre apprezza meno la cantica del Paradiso dove Dante mescolerebbe poesia e filosofia  Nella premessa datata «novembre 1908» Croce scrive di aver trattato l'argomento nello scritto intitolato Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro pubblicato negli Atti dell’Accademia pontaniana nel 1905. In effetti però avverte Croce che il volume «È una seconda edizione del mio pensiero, piuttosto che del mio libro» (B. Croce, Logica, Cent'anni di ricerca in Italia. Un passato da salvare, conferenza del prof. Carlo Bernardini, dal sito Centro Studi Enriques, B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari. Quel che si scrivevano Einstein e Croce  Dimenticare Croce? (Corriere della Sera)  La scienza negata. Il caso italiano, Codice Edizioni, l'Italia della scienza negata (dal blog de Il Sole 24 Ore)  Ministro dell'Istruzione del governo Mussolini, promotore della riforma scolastica varata in Italia nel 1923  Lucio Lombardo Radice in O. Pompeo Faracovi (a cura di), Federico Enriques, Approssimazione e verità, Belforte, Livorno 1982  Giulio Giorello, Dimenticare Croce?, in Il Corriere della Sera, L'arretratezza dell'Italia in campo scientifico è il risultato di cattive scelte dei politici da una parte e di resistenze culturali e di incapacità degli scienziati stessi a comunicare dall'altra e che quindi risultano indipendenti dall'idealismo crociano. A livello culturale, casomai, esistono altre forze che potrebbero essere imputate del ritardo scientifico, si veda per esempio la nefasta influenza della Chiesa in merito ad alcuni aspetti delle ricerche bioetiche. La mia perplessità nei confronti di Croce non riguarda le pretese conseguenze della sua filosofia sullo sviluppo tecnico-scientifico del nostro Paese. Mi sembra che sia una polemica datata e ormai superata. Non credo che dalle posizioni antiscientifiche di Croce derivi un ritardo della società italiana nei confronti della scienza. Quella di Croce è una filosofia interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza e quindi è deficitaria sotto il profilo di una seria trattazione del problema della conoscenza.» (Giulio Giorello), in È vero che Croce odiava la scienza? - Dialogo tra Giulio Giorello e Corrado Ocone, Vincenzo Matera, Angela Biscaldi, Mariangela Giusti, Elena Pezzotti, Elena Rosci, Scienze umane - Corso integrato, Marietti Scuola,9.  Benedetto Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari, Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Lorenzo Benadusi, Giorgio Caravale, George L. Mosse's Italy: Interpretation, Reception, and Intellectual Heritage, Palgrave Macmillan, Sambugar, Salà, Letteratura italiana  Paolo Ruffilli, Introduzione alle Operette morali di Leopardi, ed. Garzanti  Sebastiano Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano  Croce, Schopenhauer e il nome del male  Si riferisce a d'Annunzio, Fogazzaro e Pascoli  Riportato in Mario Pazzaglia, Letteratura italiana III  Benedetto Croce, Del carattere della più recente letteratura italiana, in Letteratura della nuova Italia, Bari, Dino Biondi, Il Resto del Carlino, Edizioni Nazionali istituite anteriormente alla legge su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, concernente l'«Edizione Nazionale delle opere di Benedetto Croce. Integrazione della composizione della Commissione» su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, VISTO il D.P.R. 14 agosto 1981 istitutivo dell'Edizione Nazionale delle opere di Benedetto Croce».Bibliografia Guido Fassò, Croce, Benedetto, in Novissimo Digesto Italiano, diretto da A. Azara e E. Eula, Torino, Utet, Carlo Antoni, Commento a Croce, Venezia, Neri Pozza, Alfredo Parente, Il pensiero politico di Benedetto Croce e il nuovo liberalismo, Sergio Solmi, Il Croce e noi, in "La Rassegna d'Italia", La letteratura italiana contemporanea, a cura di Giovanni Pacchiano, Milano, Adelphi). Fausto Nicolini, Benedetto Croce, Utet, Torino, Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a Raiano, in "L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, (ora in Id., Operatori letterari abruzzesi, Lanciano, Itinerari). Damiano Venanzio Fucinese, Dieci lettere inedite di Croce, in "Dimensioni", Lanciano, Ulisse Benedetti, Benedetto Croce e il Fascismo, Roma, Volpe Rditore, Roma, Gennaro Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano, Nicola Badaloni, Carlo Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Roma-Bari, Laterza (in part. di Muscetta: La versatile precocità giovanile di Benedetto Croce. Profilo della sua lunga operosità, Critica e metodologia letteraria di Croce, Croce scrittore: multiforme unità della sua prosa). Gianfranco Contini, La parte di Benedetto Croce nella cultura italiana, in Altri esercizi, Torino, Einaudi, Gennaro Sasso, La "Storia d'Italia" di Benedetto Croce. Cinquant'anni dopo, Napoli, Bibliopolis,  Paolo Bonetti, Introduzione a Croce, Editori Laterza, Claes G. Ryn, Will, Imagination and Reason: Babbitt, Croce and the Problem of Reality (1986). Emma Giammattei, Retorica e idealismo, Il Mulino, Bologna, 1987. Gennaro Sasso, Per invigilare me stesso. I taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989. Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Milano, Il Saggiatore, Croce e la cultura meridionale. Atti del convegno di studi, Sulmona-Pescasseroli-Raiano, a cura di Giuseppe Papponetti, Pescara, Ediars, Toni Iermano, Lo scrittoio di Croce con scritti inediti e rari, Napoli, Fiorentino, Antonio Cordeschi, Croce e la bella Angelina. Storia di un amore, Milano, Mursia, Gennaro Sasso, Filosofia e idealismo. I - Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis, Pier Vincenzo Mengaldo, "Benedetto Croce", in: Profili critici del Novecento, Torino, Bollati Boringhieri, 1998. Giovanni Sartori, Studi crociani, Bologna, Il Mulino, Ottaviano Giannangeli, Croce e la riconquista dell'Abruzzo e Due monografie e un appunto, in Scrittura e radici. Saggi, Lanciano, Carabba, Croce filosofo. Atti del convegno internazionale di studi in occasione del 50º anniversario della morte: Napoli-Messina, Soveria Mannelli, Rubbettino, Ernesto Paolozzi, L'estetica di Benedetto Croce, Napoli, Guida, Fabio Fernando Rizi, Benedetto Croce and Italian fascism, University of Toronto Press, Toronto, M. Visentin, Il neoparmenidismo italiano, I. Le premesse storiche e filosofiche: Croce e Gentile, Napoli, Bibliopolis, Maria Panetta, Croce editore, Napoli, Bibliopolis, Guido Verucci, Idealisti all'indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Laterza, Roma-Bari, Girolamo Cotroneo, Croce filosofo italiano, Firenze, Le Lettere, Giuseppe Gembillo, Benedetto Croce, filosofo della complessità, Soveria Mannelli, Rubbettino, Antonio di Mauro, Il problema religioso nel pensiero di Benedetto Croce, Milano, FrancoAngeli. Marcello Mustè, La filosofia dell'idealismo italiano, Roma, Carocci, Marcello Mustè, Croce, Carocci, Roma, Emma Giammattei, I dintorni di Croce. Tra figure e corrispondenze, Napoli, Guida, Giancristiano Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce, Macerata, Liberilibri,G. Galasso, La memoria, la vita, i valori. Itinerari crociani, a cura di E. Giammattei, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici - il Mulino, Carlo Nitsch, «Diritto»: studio per la voce di un lessico crociano, in JusOnline, IV. Pirro, filosofia e politica in Benedetto Croce, Roma, Bulzoni, G. Sasso, Croce. Storia d'Italia e Storia d'Europa, Napoli, Bibliopolis, Michele Lasala, Il lirico sospiro di un istante. L'estetica crociana e i suoi critici, in "Quaderni di Diacritica", Roma, Diacritica Edizioni, Roma, G. Sasso, Croce e le letterature e altri saggi, Napoli, Bibliopolis, Silvestri Paolo, “Rileggendo Einaudi e Croce: spunti per un liberalismo fondato su un’antropologia della libertà”, Annali della Fondazione Luigi Einaudi, Silvestri Paolo, “Liberalismo, legge, normatività. Per una rilettura epistemologica del dibattito Croce-Einaudi”, in R. Marchionatti,Soddu (Eds.), Luigi Einaudi nella cultura, nella società e nella politica del Novecento, Leo Olschki, Firenze, Silvestri P., Economia, diritto e politica nella filosofia di Croce. Tra finzioni, istituzioni e libertà, Giappichelli, Turin, Giuseppe Russo, Croce e il diritto: dalla ricerca della pura forma giuridica all'irrealtà delle leggi, in Diacronìa. Rivista di storia della filosofia del diritto, Voci correlate Istituto italiano per gli studi storici Fondazione Biblioteca Benedetto Croce Liberalismo Manifesto degli intellettuali antifascisti Premio nazionale di cultura Benedetto Croce. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Benedetto Croce, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.Benedetto Croce, su Dictionary of Art Historians, Lee Sorensen.Opere di Benedetto Croce / Benedetto Croce (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere di Benedetto Croce, su Open Library, Internet Archive.Opere di Benedetto Croce, su Progetto Gutenberg.Audiolibri d su LibriVox.(FR) Pubblicazioni di Benedetto Croce, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.Bibliografia di Croce, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.Benedetto Croce, su storia.camera, Camera dei deputati.Benedetto Croce, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.Benedetto Croce, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scheda sul sito del Senato, su notes9.senato. L'Istituto italiano per gli studi storici fondato da Benedetto Croce, su iiss. La Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, su fondazionebenedettocroce. Una bibliografia di Benedetto Croce, su rivista.ssef. Una bibliografia di Benedetto Croce con corredo di riassunti delle opere e piccoli s aggi, su nuovorealismo.Biografia di Benedetto Croce con elenco opere, su giornaledifilosofia.net. Il problema dell'impressione nella ricerca filosofica del giovane Croce, su giornaledifilosofia.net. L'elenco dei volumi dell'Edizione Nazionale, su bibliopolis. Benedetto Croce, su Camera - Assemblea Costituente, Parlamento italiano. Le riviste di Benedetto Croce on line. Accesso full text a «La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia» ai «Quaderni della “Critica”» su bibliotecafilosofia.uniroma1. Benedetto Croce, il filosofo liberale, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Alessandra Tarquini, Benedetto Croce, il filosofo liberale, Radio3, Benedetto Croce. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Croce: implicatura: intenzione, espressione, e communicazione”

 

curcio (Noto). Filosofo. Grice: “Curcio is what we could call at Oxford a poet; he wrote a little book ‘Esistentee,’ an obvious parody on Sartre, ‘L’essistentialismo e un umanesimo.’ – His background is philososophical though, and it shows!” Ensegna a Noto e Messina. Direttore Generale per l'Ordine Ginnasiale.  Altre opere: “Armonia e dissonanza” – consonanza e dissonanza (Noto) – etimologia di armonia – cognata con ‘armento’ e ‘aritmetica’ – “La sfinge” – “La piramide”. “Il prezzo della salute” (Noto). Commenti, libri I-XXIV – Roma” – “Il giro del templo” (Bonacci, Roma); “Mottetto” (Bonacci, Roma); “Fugato” (Bonacci, Roma); “II grano di follia” (Bonacci, Roma); “Senza più peso” (Bonacci, Roma); “Assolo, (Bonacci, Roma); “A due voci” (Bonacci, Roma); “L'avita vocazione” (Bonacci, Roma); “Esistente” (Bonacci, Roma); “Altri occhi” (Bonacci, Roma); “Le due cene” (Bonacci, Roma); “Sitio” (Bonacci, Roma); “Consummatum” (Bonacci, Roma); “Derelictus” (Bonacci, Roma); “In horto” (Bonacci, Roma); “Paradossale” (Bonacci, Roma); “Felix” (Bonacci, Roma); “Deliramentum” (Bonacci, Roma). Corrado Curcio. Keywords: esistenti -- Lucrezio, Foscolo, Leopardi, Alighieri, Gentile, Diano, Sicilian philosophy. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Curcio” – The Swimming-Pool Library.

 

Curi (Verona). Filosofo. Grice: “I like Curi; unlike me, we would call him a prolific philosopher; my favourite are his reflections on ‘eros’, ‘amore’ and bello, but he has also written on various topics related to maleness --  Si laurea a Padova. Insegna a Padova. Membro dell’Istituto Gramsci Veneto. Formatosi alla scuola di Diano, Gentile e Bozzi, incontra Cacciari. A partire da quel topos, si avvia un sodalizio estremamente solido e fecondo, all'insegna di una comune ricerca del nuovo, e di un impegno teoretico rigoroso, che va oltre il piano strettamente della speculazione, in direzione di una pratica civile. Filosofa sul nesso politica-civilita e guerra e sul concetto di ‘polemos’ – cf. Grice epagoge/diagoge “”War is war” – Eirene --, lungo la linea che congiunge Eraclito a Heidegger. Valorizza la narrazione, sia intesa come mythos, sia concepita come opera cinematografica. Medita su alcuni temi fondamentali dell'interrogazione filosofica, quali l'amore e la morte, il dolore e il destino.  Altre opere: “Endiadi: figure della dualità” (Feltrinelli, Milano); “La filosofia come ‘bellum’” (Bollati Boringhieri, Torino); “La forza dello sguardo” – Lat. vereor – warten: to see --; “Meglio non essere nati: la condizione umana” – cf. la condition humaine”, Malraux); “Lo schermo” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano).Quello che non e filosofo, ma ha soltanto una verniciatura di casi umani, come il maschio abbronzato dal sole, vedendo quante cose si devono imparare, quante fatiche bisogna sopportare, come si convenga, a seguire tale studio, la vita regolata di ogni giorno, giudica che sia una cosa difficile e impossibile per lui. A questo maschio bisogna mostrare che cos'è davvero la filosofia, e quante difficoltà presenta, e quanta fatica comporta.” (Platone, Lettera settima). La libertà non è soltanto l'essere-liberati DA lle catene né soltanto l'esser-divenuti-liberi PER la luce, ma l'autentico essere-liberi è essere-liberatori DA il buio. La ridiscesa nella caverna non è un divertimento aggiuntivo che il presunto "libero" possa concedersi così per svago, magari per curiosita. E esser-ci dentro tutto, essa soltanto, il compimento autentico del divenire liberi. Heidegger, L'essenza della verità, Franco Volpi, Milano).Ne “La brama dell'avere” si ha un attento e puntuale riesame sia storico-filosofico che critico-filologico della fondamentale categoria esistenziale dell'”avere” – “the have and have-nots” --  alla luce dell'odierno assetto socio-comunitario. Cf. Grice on “H” for “Hazzes” “x H y”  Curi focuses on ‘ekhein’ which would then correspond to Grice’s “H” --. Altre opere: “Il coraggio di pensare, manualistica di filosofia, Loescher editore, Torino); “Il problema dell'unità del sapere nel comportamentismo” (CEDAM, Padova); “Analisi operazionale e operazionismo” (CEDAM, Padova); “L'analisi operazionale della psicologia” (Franco Angeli, Milano); “Dagli Jonici alla crisi della fisica” (CEDAM, Padova); “Anti-conformismo e libertà intellettuale: per una dialettica tra pensiero e politica” (Padova) – cfr. Grice on non-conformismo – “Psicologia e critica dell'ideologia” (Bertani, Roma); “La ricerca” (Marsilio, Venezia); “Katastrophé. Sulle forme del mutamento scientifico” (Arsenale Cooperativa, Venezia); “La linea divisa. Modelli di razionalita' e pratiche scientifiche nel pensiero occidentale” (De Donato, Bari); “Pensare la guerra. Per una cultura della pace” (Dedalo, Bari) – cf. Grice on ‘eirenic effect’ – pax et bellum – si vis pacem para bellum. ex bello pace. “Dimensioni del tempo” (Franco Angeli, Milano); “Einstein” (Gabriele Corbo, Ferrara); “La cosmologia filosofica” (Gabriele Corbo, Ferrara); “La politica sommersa. Per un'analisi del sistema politico italiano, Franco Angeli, Milan); “Lo scudo di Achille. Il PCI nella grande crisi” (Franco Angeli, Milano); “L'albero e la foresta. Il Partito Democratico della Sinistra nel sistema politico italiano, con Paolo Flores d'Arcais, Franco Angeli, Milano); “Metamorfosi del tragico tra classico e moderno, Bari); “La repubblica che non c'è” (Milano); “Poròs. Dialogo in una società che rifiuta la bellezza, Milano); L'orto di Zenone. Coltivare per osmosi” (Milano); “Amore duale” (Feltrinelli, Milano); “Platone: Il mantello e la scarpa” (Il Poligrafo, Padova); “Pensare la guerra. L'Europa e il destino della politica, Dedalo, Bari); “Pólemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino); Ombra della’ idea. Filosofia del cinema fra «American beauty» e «Parla con lei», Pendragon, Bologna); “Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno, Bruno Mondadori, Milano); “Il farmaco della democrazia. Alle radici della politica, Marinotti, Milano); “La forza dello sguardo, Bollati Boringhieri, Torino); “Skenos. Il Don Giovanni nella società dello spettacolo” (Milano); “Libidine” (Milano). Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano); Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche, Bollati Boringhieri, Torino); Miti d'amore. Filosofia dell'eros, Bompiani, Milano); Pensare con la propria testa” (Mimesis, Milano); “Straniero, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Passione” (Raffaello Cortina Editore, Milano . La porta stretta. Come diventare maggiorenni” (Bollati Boringhieri, Torino); “I figli di Ares. Guerra infinita e terrorismo, Castelvecchi, Roma . La brama dell'avere; Il Margine, Trento); “Il mito di Narciso sul  Umberto Curi. Keywords: have, habere, habitus, comportamentismo, behaviourism. La brama dell’avere, anticonformismo, guerra e pace – Eirene – cosmologia anthropologia – l’orto di Zenone – lo scudo d’Achille – I figli di Marte --  il mantello e la scarpa libido -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Curi” – The Swimming-Pool Library.

 

cusani: (Solopaca). Filosofo. Grice: “I love Cusani; for one, I was born at Harborne, but nobody cares; Cuasani was born in Solopaca, and there’s a ‘corso Cusani’, and a ‘Biblioteca Cusani’.” Grice: “Cusani would have been friend with Bosanquet; both are Hegelians – Italians, after SOME Germans, were the first to endorse the philosophy of the absolute spirit inmanent to dialectic – Cusani does attempt to respond to a criticism on the ‘assoluto’ brought up by Hamilton (of all people), and consdtantly refers to the ‘metafisica dell’assoluto’ – a ‘progetto,’ he humply titles it!” Figlio di Filippo e Caterina Cardillo, nacque al capoluogo distrettuale e di comprensorio del Regno delle Due Sicilie. Membro dei Pontaniani. Frequenta il circolo del marchese Basilio Puoti, insieme a Sanctis e Gatti.  Punto di partenza della sua filosofia, comune a buona parte del circolo del’hegelismo di stanza a Napoli, dei quali e un esponente, fu Cousin, il fondatore della “storiografia filosofica”. Insegna a Montecassino, e al collegio Tulliano di Arpino, dove fu affiancato da Spaventa, chiamato poi a sostituirlo. Si stabilisce a Napoli nel proprio studio privato. I saggi di Cusani furono pubblicati su “Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti” e “Museo di filosofia”. La seconda fu da lui stesso fondata. Molti dei saggi di filosofia più impegnati furono pubblicati in L’Antologia, di Firenze. Scrisse inoltre note e recensioni nel periodico l'Omnibus e nella Rivista napolitana.  Molte delle sue opere sono archiviate presso la Biblioteca "Stefano Cusani" di Solopaca.  Idealista hegeliano ed esponente dell’ecletticismo filosofico di Cousin. Opere: “Della fenomenologia, il fatto di coscienza intersoggetiva”; “Del metodo filosofico”; “Storia dei sistemi filosofici”; “Della materia della filosofia e del solo procedimento a poterlo raggiungere”; “Il romanzo filosofico”; “La poesia drammatica”; “L’assoluto – l’obbjezione d’Hamilton”; “Logica immanente e logica trascendentale”; “Compendio di storia di filosofia”; “Della lirica considerata nel suo svolgimento storico e del suo predominio sugli' altri generi di poesia”; “Economia politica e sua relazione colla morale”; “L’essere e gli esseri: disegno di una metafisica”; “Percezione dell’esistenza”. Nel comune di Solapaca è stato indetto nel  un anno di celebrazione in occasione del centenario della nascita nel comune di Solopaca. Il corso Stefano Cusani gli è stato intitolato a Solopaca. Sanctis lo cita nella autobiografia. Cusani dato alla stessa filosofia, ha maggiore ingegno del superbissimo Gatti, ed e mitissima natura d'uomo. Sale al tavolo degli oratori con tale fervore dialettico che a tutta la persona grondava onorato sudore» (G. Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII congresso in Napoli nell'autunno del 1845: notizie biografiche, Napoli.  L'amico coetaneo Cesare Correnti, patriota milanese legato ai circoli Napoli, insegnante nella Scuola di lingua italiana da lui fondata, gli dedicò un necrologio. Ecco un altro amico, un'altra fiorita speranza di questa nostra Napoli sparire a un tratto a noi d'intorno. Ben dissi a un tratto, poiché la sua non lunga malattia parve un momento agli amici. La filosofia specialmente nol sedussero, in modo che a più severi studi non volgesse l'acuto e fervidissimo spirito, e a bella armonìa si composero nell'anima sua. Rivista europea», ripr. in Scritti scelti, T. Massarani, Forzani, Roma). «Rivista europea», ripubblicato in Scritti scelti, T. Massarani, Forzani, Roma, Dizionario biobibliografico del Sannio, Napoli, "Il Progresso", "Il Lucifero","Omnibus"; "Rivista napolitana", Sanctis, La letteratura ital. nel sec. XIX, II, La scuola liberale e la scuola democratica N. Cortese, Napoli; G. Oldrini, Gli hegeliani di Napoli. A. Vera e la corrente "ortodossa" (Milano); F. Zerella, Filosofia italiana meridionale”; “Dall'eclettismo all'hegelismo in Italia”. Cusani e la filosofia italiana: Vico, Galluppi, Mamiami, Colecchi, Rosmini. Nasceva in Solopaca, una volta Distretto di Caserta, oggi Circondario di Cerreto Sannite (Benevento) il 23 dicembre 1816, Stefano Cusani da Filippo e Caterina Cardillo. Suo padre, insigne avvocato, fu sollecito della educazione di questo come di altri quattro suoi figliuoli, che, affidati alle cure di un suo fratello germano a nome Matteo, sacerdote, mandolli in tenera età a imcominciare e compiere i loro studî in Napoli. Ivi Stefano, ch'era il secondogenito di cinque fratelli, frequentava i più rinomati Istituti privati di quel tempo (che allora l'insegnamento pubblico esisteva sol di nome),  si distingueva fra gli altri condiscepoli in ognuno di questi, così che in breve, compiuti gli studi letterarî fu giocoforza mettersi a studiare le scienze della facoltà che doveva seguire. Fu questo il solo brutto periodo di sua vita. Suo padre voleva fare di lui un Avvocato civile, come suol dirsi, e quindi fu obbligato a studiare leggi e pandette, per le quali discipline non si sentiva la benchè minima inclinazione, anzi, a dir vero, sentiva per esse la più marcata avversiono; ma buon figlio e docile essendo, per non dispiacere al padre, che tanti sacrifizî avea fatti e faceva per lui, come per gli altri fratelli, a malincuore sempre, ma sempre tacendo, giunse fino ad esser Avvocato, ed a fare la pratica presso uno de'luminari del Foro Napoletano. Da questo momento incomincia il suo grande sviluppo intellettuale. Non potendone più, la rompe col padre, dicendosi avverso ai processi, ed allo studio di essi, e ad ogni altro artifizio da causidico. La rompe con quella pratica noiosa, che tralascia ed abbandona; ed ottiene dal padre stesso, che ragionevole e savio uomo era, di poter attendere a quegli studi che più alla sua indole si affacevano. Fioriva in quel tempo, a Napoli, la scuola del Marchese Basilio Puoti, ed egli, incontratosi con Stanislao Gatti che fu poi indivisibile amico e compagno, vi si getto a capofitto, e fu in poco tempo il più caro e pregiato discepolo del Marchese, come l'amico e compagno del De Sanctis, del Mirabelli, e di tutta quella pleiade che in quel tempo arricchirono Napoli di filosofi insigni.  Ma a quell'ingegno che s'andava ogni giorno più sviluppando e fortificando di sani e severi studî, parve angusto oramai quest'orizzonte, o volse l'ala, e la di instese con intensità ed ardore allo studio della filosofia. Ben cinque anni decorsero di volontaria prigionia nel suo studiolo, ovo ridottosi, o giorno e notte indefessa mente attendeva a' prediletti studî, e si beava di leggere Platone nel testo, chè familiare la lingua gli era ; come pure si fece a studiare la lingua alemanna per  mettersi al corrente dei progressi della filosofia, e per meditare e studiare le dottrine e teorie dell'Hegel, ultimo filosofo tedesco di quella epoca.  Uscito dopo questa epoca a nuova vita incominciò a scrivere sul Progresso, una Rivista di scienze e letteratura, diretta dal Baldacchini, articoli su questioni filosofiche; e, dopo un anno, era già conosciuto in tutta la Napoli pensante. In questo torno di tempo si apri un concorso per la Cattedra di filosofia e matematica, nel Collegio Tulliano di Arpino, e lui fu prescelto per titoli ad occuparla. Vi andò e vi trovò il suo amico Emmanuele Rocco, che v'insegnava letteratura. Vi stette un anno e vedendosi in una cerchia troppo angusta alla sua attività, si dimise, e fece ritorno in Napoli, conducendo con sè anche l'amico Rocco. Quivi apri studio privato unitamente al Gatti di filosofia, e dal bel principio quello studio fioriva per numerosa gioventù, che accorreva a udire le sue lezioni. In breve fu lo studio più affollato di Napoli. Le ore che aveva libere dallo insegnamento le occupava a scrivere articoli di filosofia che si pubblicavano sulle Riviste Napoletane di quel tempo, il Progresso che usciva in fascicoli voluminosi, la Rivista Napoletana di Scienze, Lettere ed Arti, il Museo di Scienza e Letteratura, ove collaboravano per la lor parte Antonio Tari, Francesco Trinchera, ed altri; e sul Progresso il Colecchi  ed altri.  Non andò guari e s'incontrò col Mamiani in quistioni di alta Metafisica, o ne usci onorato dell'amicizia e della riverenza dell'insigno filosofo. Il suo intelletto altamente speculativo destava ammirazione perchè si elevava ad altezze tali filosofiche che non gli si potevano contrastare. In quel tempo si agitò una polemica tra V. Cousin, filosofo francese, ed un insigne filosofo inglese, il cui nome ora non mi sovviene; dopo varî articoli scambiatisi parea che l'inglese avesse preso il di sopra, ed il Cousin, che lui credeva più dell'altro stare nel vero, avesse dovuto soccomberé. Allora senza frapporre tempo in mezzo egli entrò terzo nella quistione e scrisse epubblico una serie di articoli che costrinse l'inglese a desistere dalla polemica, ed il Cousin a scrivergli una lettera di ringraziamenti e di felicitazioni, e con la quale lo chiamava, e si firmava suo cugino.  Si radunava il Congresso dei Filosofi in Napoli nell'ottobre del 1845, o lui ne dovea far parte; ma non sapendosi se il Borbone lo avesse permesso, o meno, erasi ridotto in patria a villeggiare con la moglie e due piccini, l'uno lattante e l'altro di due anni. Il Congresso fu permesso, i filosofi si riunirono in Napoli, e lui fu invitato espressamente a farvi ritorno; che anzi il Presidente della Sezione “Filosofia speculativa” a cui egli apparteneva, non volle aprire la sessione s'egli non fosse arrivato. Cosi corse in Napoli solo, lasciando in patria la famiglia, che poi sarebbe andato a rilevare, dopo finito e sciolto il Congresso. Fu questa la causa della sua morte! Arrivato in Napoli vede gli amici - con essi si intrattiene passeggiando -- suda; è l'ora già che s'apre la Sessione -- essi ve lo accompagnano a piedi per goderselo di più -- vi si arriva. Egli era sudatissimo -- entra e n'esce dopo quattro lunghe ore di discussione; quel sudore lo avea già colpito a morte. Si riduce a casa, si ricambia le mutande - la camicia  era troppo tardi! Incomincia dopo poco tempo una tosse secca, stizzosa, ch'egli non cura, perchè forte e robusto era; e questo fu il peggiore dei divisamenti. Ritorna in patria per ripigliare la famiglia e ridursi in Napoli, poiché si era alla vigilia del novembre. Si riapre lo studio, si riprendono le lezioni; il maggior numero degli alunni affluito gli rinfocola l'ardore, ch'ei metteva in esse, e parla dalla cattedra per lunghe ore, e poi agli alunni più provetti che gli propongono dubbi o problemi a risolvere, parla pure ad alta voce, e quella tosse insidiosa non lo lascia, anzi invida della sua noncuranza lo avverte spesso del suo malefico potere, interrompendogli il discorso, e forzandolo per poco a tacere. Le cose durarono ancora così per altri 10, o 12 giorni, e finalmente la emottisi tenne dietro a quella tosse funesta, e fu giuocoforza sottomettersi a quanto l'arte salutare poteva e sapeva consigliare, ma invano tutto! Chè una tisi florida si svolse, ed in meno di due mesi si spense la robusta complessione di S. Cusani! Tale fu quest'uomo, che a 30 anni la morte rapiva a'suoi, alla scienza, alla patria. Nato a 23 dicembre 1816, moriva a 2 gennaio 1816. Dissi rapito alla patria, e giustamente, poichè egli da giovanissimo appartenne alla Giovine Italia, e in Napoli fu sempre il più ardente fra i patrioti. Egli con altri preparò e cooperò con ardore al movimento del '18 che poi non potė vedere! La sua casa era il convegno di Carlo Poerio, L. Settembrini, S. Spaventa, P. Mancini, e di tutti gli altri illustri compromessi politici di quel tempo, con i quali  si congiurava, si faceva propaganda, e si organizzava la rivoluzione. Fu cosi caro a questi tutti che se un giorno solo nol vedeano, si tenea por certo la visita loro in sua casa; ed il Poerio, addoloratissimo della sua malattia, volle ed ottenne che fosse stato medicato, curato ed assistito infino all'ultimo istante di sua vita dal fido o dotto medico Alessandro Lo Piccolo. L'esequie furono imponenti pel concorso di amici, che  formavano tutte le notabilità scientifiche, patriottiche e letterarie. Il lutto per la sua perdita fu sentito generalmente per Napoli, che in lui salutava la giovine scienza, e che per lui si metteva a paro di altre città d'Italia, che fiorivano per altissimi ingegni ed insigni filosofi, come il Mamiani, il Rosmini, il Gioberti, ed altri, se quella vita non si fosse spenta nel mezzo del cammino! La cura della filosofia di Cusani d’Ottonello ha il merito di riproporre all’attenzione una figura di rilievo della cultura filosofica napoletana dell'Ottocento. Benché scomparso in giovanissima età, nel gennaio 1846 (eranato nel dicembre del 1815, o forse del 1816, come i piú sostengono), Cusani lascia di sé traccia profonda, testimoniata dalla considerazione in cui e tenuto, per tacer d’altri, da Sanctis, o dalla valutazione che di lui dette Gentile. Con Gatti ed altri può essere inserito - come nota il curatore nella nitida e puntuale introduzione nell'ambito dell'hegelismo napoletano, oltrecché in quello piú generale dell'eclettismo alla Cicerone. Opportunamente si avverte però che Hegel costituisce per Cusani un potente polo d'attrazione, ma non il filosofo fondamentale. In realtà si può forse con fondamento aggiungere, pur senza ricorrere ad una indagine falsamente sottile, che resta in ombra, nellepur autorevoli e acute analisi dedicate alle ascendenze cousiniane ed hegeliane di Cusani, un filosofo fondamentale che sicuramente ispira la filosofia piú significativa di Cusani: Vico. La costruzione del sistema eclettico cui Cusani dichiara di dedicarsi segna una fase già tarda dell'eclettismo napoletano e giungeva al termine di un decennio assai ricco di suggestioni in questa direzione negli ambienti culturali napoletani. È sicuramente da condividere l'affermazione del curatore secondo il quale il sincretismo avvertibile in Cusani non impedisce però l'emergere di un nucleo speculativo che deborda dalla semplice trama delle affermazioni altrui. In questo senso il problema del metodo filosofico e il connesso problema della storia italiana segnano sin dall’inizio lo sforzo speculativo di Cusani, la cui originalità trova subito sulla sua strada Vico. Collaboratore della Temi napoletana, dell'Omnibus letterario, scrive prevalentemente sul “Progresso.” Sin dalprimo scritto, Filosofia in Italia, il tema della storia italiana appare questione teorica centrale. Non a caso una ricerca storica da l'occasione a Cusani di porre il problema che gli sta acuore, sin dalla citazione tratta da Guizot che apre la nota. I fatti sonomeme affermazioni al problema della storia trova subito sumanibus letterario ma are i grandiuti al fatto che risguardato, en per il pensiero, ciò che le regole della morale sono per la volontà. Egli è tenuto di conoscerli, e di portarne il peso, ed è solo allorché ha sodisfatto a questo dovere, e ne ha misurato e percorso tutta l’estensione, che gliè permesso di montare verso i risultamenti razional. Il rinnovato interesseper la storia italiana che si registra-- che né l'Antichità, né i tempi di poco anteriori a questi che viviamo avevano mai risguardato -- non sembrano a Cusani casuali, ma dovuti al fatto che l'intendimento si rivolge a indagare i grandi ordini di fenomeni per scoprire e prendere inconsiderazione i fatti e le ragioni, una storia ed una filosofia. Il bisogno di comprendere e giudicare il fatto, piuttosto che esserne solo spettatore (e dunque di verificare una diversa attitudine della storia italiana), esalta questa parte immortale della Storia, cioè il conoscere il legamento fatalista della causa e dell’effetto, le ragioni, i fatti generali, le idee da ultimo ch'essi celano sotto il manto della loro esteriorità. Onde ch’egli è d'uopo sceverar con chiarezza e con precisione la differenza di queste due parti della storia italiana che sono per cosí dire il corpo e l'anima, la parte materiale, e la parte spirituale di tutti gli avvenimenti esterni e visibili, che compongono la nazione italiana, secondo che dice Vico. Il rifiuto, che Cusani trae dalla lezione vichiana, di affidarsi a pre-mature generalità, e con formole metafisiche per soddisfare il mero bisogno intellettivo, è una traccia decisiva per comprendere il suo pensiero. L'annotazione di Gentile, secondo il quale l'osservazione storica non è piú l'integrazione della psicologia, bensí la costruzione stessa della filosofia, può commentare l'intero itinerario filosofico di Cusani, che si consuma nell'arco di pochissimi anni. Il discorso sul metodo che Cusani compie si basas in dall'inizio su una acquisizione precisa: un sistema o una filosofia consistono nel loro stesso metodo. Nel primo saggio veramente organico (Del metodo filosofico e d'una sua storia infino agli ultimi sistemi di filosofia che sono si veduri uscir fuori in Germania – Hegel -- e in Francia -- Cousin) Cusani parla addirittura di un metodo generale, il quale presiede all'investigazione dell'unica e universal verità. La filosofia è dunque la regina scientiarum che consente di ricondurre ad “unità” il sapere, e a tal pro-posito l'assimilazione dei termini è dichiarata apertamente, a proposito dell’analisi psicologica, la quale segna il punto di partenza della riflessione, ed è la base unica dell'immenso edificio filosofico, il solo solido fondamento, il suo atrio e il suo vestibolo. E nel saggio, “Del reale obbietto di ogni filosofia” (Il Progresso) ribadisce e chiarisce che lo studio de’ fatti della natura umana, o de’ fenomeni psicologici, vuoto del tutto riuscirebbe, se invece di tenerlo come base d'ogni ulteriore investigazione, si volesse considerare come il termine stesso della filosofia. Il secolo decimottavo si è trovato dunque di fronte al centrale problema del metodo filosofico. Se è vero che nella storia italiana è tutta quanta la filosofia italiana, occorre riconoscere il merito insuperabile di quella mente divinatrice e profonda che avea posta nel mondo la nazione italiana. Vico, definito – nella nota sul Nuovo Dizionario de sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo, quell'altissimo lume d'Italia, con una locuzione che introduce un discorso, ingiustamente trascurato, sulla tradizione filosofica meridionale, piú volte ripreso dal Cusani. Lo studio di Vico qui esaminato è appunto il “De antiquissima Italorum sapientia”; nel quale potentemente convinto della relazione che stà tra il pensiero (l’animus, il segnato) e la parola (il segno), fecesi ad investigar quello degli antichi romani e italici nostri maggiori, cavandolo per avventura da quella lingua italiana ch'era nelle bocche volgari degli uomini. Il rapporto tra spontaneità e riflessione, che tanta parte ha in Cusani, è dunque introdotto sotto il segno di Vico. Si ponga mente alle affermazioni che seguono il passo già citato, allorché Cusani insiste sul fattoche veramente il Vico porta opinione che tutto l'antico (antichissimo) pensiero o sapienza italiana era in quella lingua italiana ch'egli disamina, e dalla quale intende rimetterlo in luce, e che se la lingua italiana non e opera di un filosofo, ma sibbene il prodotto spontaneo delle facoltà nell'uomo italiano, se innanzi che venissero adoperate nella costruzione e nel concepimento del sistema di un filosofo, di cui pur e il necessario strumento espressivo e communicativo, esisteva nella massa de’ popolo italiano. Insomma, quella che è stata chiamata la svolta hegeliana del Cusani, va valutata alla luce di una ispirazione legittimamente riferibile a Vico. Si veda il Saggio su la realtà della humanitas di Vincenzo De Grazia (Il Progresso), già sul crinale della svolta hegeliana. L'epigrafe di Cousin posta all'inizio ritorna sul problema che sta a cuore a Cusani, e che ne determina l'originale ricerca. Ci ha due spezie di filosofie. La prima spezie di filosofia studia il fatto, lo disamina, e lo descrive, riordinandoli secondo le loro differenze o somiglianze, e potrebbesi però denominare filosofia “elementare” o immanente. L’altra spezie di filosofia comincia ove si ferma la prima, investigando la *natura* de’ fatti, e intendendo di penetrare la loro ragione, la loro origine, il lor fine, e potrebbesi denominare filosofia trascendente, o filosofia prima. La citazione dai Frammenti filosofici serve in realtà a Cusani pergiungere alla fondamentale affermazione secondo cui, esaurita nel secolo precedente la filosofia elementare, e necessario che si cominciasse asentire il bisogno di nuovi problemi, e che l'ontologia ricomparisse nel dominio della speculazione filosofica. Insomma la disamina del fatto immanente elementare (il segno) deve servire a rintracciarne la natura, le origini, le relazioni, che è il vero fine supremo della filosofia prima. Ma questo è possibile (e l'eclettismo di Cusani si dimostra non mero sincretismo, ma sapiente innesto di elementi concorrenti a rafforzare le personali ipotesi speculative) soprattutto all’italiano, chi può vantare una tradizione filosofica ininterrotta che ha in Vico il suo vate supremo. Il bisogno dell’ontologia ha ulteriori ragioni in Italia, dove la filosofia trova terreno fecondo emotivo di continuità. Ed è la tradizione ontologica de’ filosofi italiani, e il predominio costante della filosofia prima o trascendente in Italia sulla elementare o immanente, non solo in tempi che era cagione universale nel mondo della scienza, ma eziandio allorché fortemente altrove ponevasi la base d'ogni filosofia ed all'apo genere a nostri e quell'indole elementare, e molto studiavasi in essa. Di qui nacque quell'indole speculativa che si è sempre accordata in genere al filosofo italiano, anche quando discendevano alla pratica ed all'applicazione de’ principi. É di vero se si pon mente alla Storia, e si consideri che dalla scuola italica di Crotone o da Pittagora suo fondatore, passando per i filosofi di Velia (Senone), arrivando fino all’apparizione di quella meraviglia del Vico, si troverà che la verità da noi accennata apparisce luminosa e in tutta la sua pienezza. Dunque continuità della tradizione, rivendicazione della propria originalità speculativa, e soprattutto applicazione esemplare del metodo storico come proprio della storia della filosofia. Già affrontando il problema della fenomenologia semiotica, Cusani non manca di annotare, con una affermazione che resta sostanzialmente immutata nella sua produzione, a riprova del vichismo naturale della sua ispirazione, che l’italiano è cosí fortemente incluso intutta la morale che ne forma il subbietto perenne, e non si può farne astrazione senza far crollare tutto l'edificato da quelle. Del resto nel saggio Del reale obbietto d'ogni filosofia, posto sotto il segno di Vico – la cui “De constantia Philosophiae” fornisce l’epigrafe, Cusani ha chiarito che la umana intelligenza, di cui si ricerca e scopre una storia naturale, una volta esaurita l’investigazione della natura, ripiega progressivamente verso il subbietto stesso di quelle investigazioni, e rientrando dall'esterno nell'interno, fa se stessa obbietto della sua conoscenza. La morale nasconode questo percorso, allorché il filosofo ritorna sopra se stesso dopo indagare il mondo esterno. La svolta hegeliana può a questo punto arrivare, ma a sua volta innestandosi su questa ricerca di una legge onde si regge il mondo. Il dilemma su un oggetto immutabile della conoscenza, e della mutabilità al tempo stesso del fatto che il pensiero trascendente va indagando, diventatra la questione centrale. Spesso Cusani torna nella sua opera, che riesce difficile in questa sede indagare in dettaglio, sulle permanenze della storia italiana e sulle variazioni. Nel Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione politico-legale d’Albini, significativamente impostato il tema, e sempre ricorrendo a Vico. In Italia fu primo tra tutti Vico che intende ala ricerca d'un principio universale ed immutabile del diritto e che questo ponesse nella ragione, unica fonte dell'assoluta giustizia, distinguendo esattamente il diritto universale, o filosofico, dal diritto storico. Anzi, la debolezza della cultura filosofica italiana può essere addebitata al mancato studio di Vico il cui esempio non frutto gran bene, ch'io mi sappia all'Italia,non essendo le sue teorie accettate da'suoi contemporanei, perché forse troppo superiori all'intelligenza comune, fino al punto che l’italiano perde, com'a dire, la sua particolare fisionomia, rivestendo un'indole forestiera – come i fanatici di Hegel con la sua lingua foresteriera! -- Se non che questo che al presente diciamo fu molto piú pronunciato in Beccaria e Verri non furono che perfettissimi seguitatori dell'Helvelvinitius e del Rousseau, quanto all'ipotesi del Contratto sociale, che in il vichismo dunque, se accolto, avrebbe garantito la continuità e originalità della filosofia italiana. Infatti la cultura napoletana da in questo senso testimonianza della continuità speculativa della filosofia proprio attraverso la tradizione vichiana. Filangieri, ma soprattutto Pagano, ritennero l'elemento tradizionale italiano, che li riannodava a tutta l'erudizione. Anche quando nel Museo di letteratura e filosofia soprattutto, e la Rivista napoletana, piú evidente si coglie la lettura di Hegel, Cusani testimonia la persistenza sicura della lezione vichiana. Senza rotture, ma sviluppando le tematiche e gli interessi, nel saggio Della lirica considerata nel suo svolgimento storico, ove – come ha notato Oldrinisi incontra un esplicito richiamo alle lezioni hegeliane di filosofia della storia, Cusani riprende con vigore la questione fondamentale. Ora poiché l'uomo è il subbietto storico per eccellenza a volere istabilire lal egge che governa tutte le accidentalità variabili delle vicende umane, la filosofia non puo che cercarla nelle modificazioni della stessa umanita. Questo punto di partenza, che il Vico, per il primo, prescrisse alla filosofia della storia, facendo che le sue ricerche rientrassero nella coscienza psicologica dell’italiano, e si cercasse di spiegar questo per mezzo della sua propria natura, ma eziandio tutti i fatti di cui egli è causa, ingenera tanto vantaggio, che da un lato tolse la specie umana dall'esser considerata come mezzo da servire ad altri fini, e dall'altro la rialza sopra la natura, di cui vuole sene fare prodotto o artificio. In che misura l'hegelismo, rintracciabile nella preoccupazione di garantire l'unità del sistema attraverso l'unità della filosofia, deve tener con toda un lato della matrice vichiana del pensiero di Cusani e dall'altro dello sforzo di costruire l'edificio eclettico della filosofia in modo originale? Andrebbe qui indagato, con cura e minuziosità che questa sede non consente, il tema del senso comune in piú luoghi richiamato da Cusani. Sipensi al saggio apparso sul « Museo », Idea d'una storia compendiata della filosofia, proprio dove il tema della filosofia assume intonazioni sicuramente hegeliane. Purtuttavia, sebbene l'uomo sia conscio nell'intimo della sua coscienza della sua libertà, e riconosca in sé stesso il potere di cominciare una serie di atti, di cui egli è causa; ciò nondimeno non può non iscorgere eziandio, che la sua volontà è posta sotto il dominio e la soggezione d'una legge, che diversamente vien denominata secondo che diverse sono le occasioni, alle quali essa si applica, contrassegnandosi ora come legge morale, ora come ragione, ed ora comesenso comune. L'indipendenza speculativa che Cusani manifesta nel rimeditare tutti i contributi all'interno della sua riflessione è evidente, e su questo tema operante nei confronti dello stesso Vico. Esaminando la questione del fatalism e della libertà (giustamente si ricorda come sia questa la questione piú importante che si possa scontrare nella filosofia della storia, dai primi agli ultimi scritti presente inche di sua volone causar in Cusani), nell'Idea d'una storia compendiata della filosofia, Cusani ha qualcosa da rimproverare a Vico stesso, da altri peraltro erroneamente collocate tra gli storici fatalisti -- cosí Livio si distingue da Machiavello e da Vico; e sebbene Livio da maggiore influenza alla parte passiva e fatale dell’italiano nella storia; ciò nondimeno non si è data che ai secondi, a cominciar da Machiavello, la nota del storico fatalista. Se è vero infatti che Vico cerca nell'italiano il principio e la legge dello svolgimento dell'umanità, egli ebbe però il torto di essere esclusivo, in quanto non ha riconosciuto l'influenza della natura italiana sull'italiano. Si annota come a Cusani fin dai primi studi si affacci il dilemma tra pensiero come condizione e pensiero come condizionato: se una legge governa lo svolgimento dell'intelligenza, la storia è da intendersi fatalisticamente costretta entro i termini di una legge fissa del pensiero? Del resto in un saggio nel Progresso (e non compresa nei due volumi degli Scritti, forse perché firmata — come del resto altre note raccolte da Ottonello — con la sola sigla S. C.), Elementi di Fisica sperimentale e di meteorologia di M. Pouillet, Cusani ritorna sul metodo delle scienze e sulla accostabilità tra scienze morali e scienze fisiche. Dappoiché la scienza della natura e sottoposta nella sua ricerca a metodi certi e sicuri, e l'umana intelligenza punto da quelli non dipartendosi, seguitò attesamente le sue investigazioni, i progressi rapidi e continuati succedettero ai lenti e quasi invisibili dell'antichità. Il successo di queste scienze — come di ogni scienza — è nel metodo, cosi che da meglio che tre secoli lo spirito umano procede, in questa special branca delle sue conoscenze con tanta fidanza, e direi quasi, contanta certezza de' suoi risultamenti, che nissun'altra scienza per avventurapuò con questa venire al paragone. Si badi, le scienze fisiche non costituiscono altro che una special branca delle conoscenze dello spirito umano. Dunque occorre applicare anche alle altre branche metodi certie sicuri, come è possibile dal momento che la storia universale dell'Umanità, che pone la Storia al centro dell'investigazione, racchiude,com'a dire, in un corpo tutto lo svolgimento intellettivo della spezie. Ecco perché nel saggio Della lirica, a proposito della legge della evoluzione ideale dell'umanità nel progresso storico, Cusani nota che questo è di proprio particolar dominio di quella scienza, che sorta gigante in Italia per opera di quella maraviglia del Vico, costituisce ora il centro intorno a cui si svolgono tutti gli sforzi del secolo. Simili le espressioni usate nella recensione agli Elementi di Fisica sperimentale, allorché della storia universale dell'Umanità nota che forma a questi nostri tempi il punto di mezzo, intorno di cui si volge e gravita tutto il processo del lavori del secolo. Il ricco saggio “Idea d'una storia compendiata della filosofia” è a questo punto da considerare fondamentale. La connessione che la storia ci rivelatra libertà e necessità, ci consente di rintracciare la legge necessaria del progresso storico. Noi sappiamo che la filosofia del popolo italiano non è altra cosa se non lo spirito del popolo italianom non già come  si manifesta nella sua religione spontanea, nelle sue arti, nella sua costi-in se stesso aveva, artea, un concertelli avvenimee metafisica. cipale delle sourcetuzione politica, nelle sue leggi e costumi, ma come si rivela nell'esilio inviolabile del pensiero puro, che riferma il piú alto grado al quale possada sé stesso elevarsi. Cusani ha, a tal proposito, filosofato nel saggio “Della poesia drammatica” un concetto che poi si ritrova in seguito. Egliè il vero che sotto la varietà degli avvenimenti del fatto e della vita stessa della società italiana è nascosa la legge suprema e metafisica che li governa,e che il filosofo tenta di scoprire, e ne fa l'obbietto principale delle sue ricerche, ma all’italiano, ch'é, come dice quell'altissimo ingegno di Vico, il senso della nazione italiana e dato tutto al piú di sentirla, ma non deve essere suo scopo di manifestarla, dove all'ispirazione vichiana pare già si aggiunga, insinuandosi, una suggestione hegeliana. Nello saggio Della lirica, Cusani ribadisce l'argomento. Se la filosofia non deve fat suo scopo, come altrove dicemmo, parlando della poesia drammatica, la rivelazione di essa legge secondo la quale l'umanità si svolge nello spazio e nel tempo, puf tuttavia non potrà certo cansarla nella sua manifestazione storica, cioè nel suo progresso attraverso delle nazio ultima recension Felice Roman son sottoposti alla legge storica in generale, la quale le impronta quasi una seconda indole, ed è questa poi, che fa che i filosofi sieno, come diceVico, il senso della nazione italiana. Sorprendentemente, nell'ultima recensione pubblicata sulla « Rivista napolitana », Liriche del Cav. Felice Romani, quasi ad emblematica chiusura, Cusani ripete. Vico innanzi tuttia veva formolata questa solenne verità, proclamando che il filosofo e  ilblematica sblata questa sojeni filosofi ne sinnestare Hegedea d'uneinnanzi Qui l'eclettismo cusaniano ha voluto innestare Hegel sulla tradizione italiana custodita e proclamata, specie allorché, nella idea d'una storia, riprende il tema di una ragione fondamentale, di una idea filosofica fondante le manifestazioni della vita umana, per cui la religione e soprattutto la filosofia già ricordata sono riconducibili ad una legge razionale. Un'altra citazione, non giustificata in questa sede, si rende necessaria per la sintesi che riesce a conseguire, in specie sul tema del senso comune. Allorché il movimento filosofico o riflessivo passa dalla fede alla scienza,e dalle credenze popolari alle idee della ragione, e si trova d'essere giunto a scoprire il pensiero celato dapprima sotto FORMA SIMBOLICA, e che si traduce nell’istituzione, nella costume, nella filosofia e e nelle industria, egli fatto quasi banditore della verità scoperta, l'annunzia per farla conoscere alle masse, le quali non avrebbero potuto pervenire sino a quel segno che tardi e lentamente. È in questo senso che il filosofo accelera il movimento delle masse, e da qui nasce ancora che egli stesso e indugiato nel movimento che è loro proprio. Dappoiché se le masse accettano la nuova luce che loro arreca il filosofo, sono d'altra parte lente e ritenute nell'abbandonare le vecchie opinioni, che il tempo ha rese abituali, e bisogna innanzitutto che esse comprendano ciò che loro viene rivelato, e lo comprendanoa loro modo, cioè facendo che discenda in certa guisa dalle forme astratte della scienza alle forme pratiche del senso comune. Dunque il filosofo comprende e spiega nient'altro che ciò che l’intelligenza spontanea dei popoli crede istintivamente, e pertanto, lafilosofia non è che la spiegazione del senso comune. Possiamo a questo punto scoprire l'errore di chi ha collocato Vico e Machiavelli tra un storico fatalista como Livio, dappoiché, se a tuttaprima poteva parere, che l’italiano appo costoro fosse schiavo dell’istituzione, in quanto che queste venivano considerate come cose non procedenti dall’italiano stesso, pure, allorché si vide che l’istituzione none che la manifestazione esterna, il segno, e la realizzazione delle idee del popolo italiano, libertà umana nella creazione degli avvenimenti del mondo. Come si risolve pertanto il problema della libertà? Si pone inquesti termini l'interrogativo. La ragione è dunque il fondamento della libertà; ma ragione e libertà sono da intendersi esclusivamente riferitisare appunto che il problema della libertà investa soltanto l'azione soggettiva (non intersoggetiva o collettiva) che ha per teatro la storia. In realtà però, proprio per l'ampia visuale che egli propone della storia globalmente intesa, la libertà non è solo quella dell'individuo o soggetto italiano che si affranca dai condizionamenti dell'istinti -- vità, ma anche quella che costituisce la linea intelligibile di tutto lohere nelle pella sciente quella con il. La soluzione che si può intravedere in Cusani, concorde ed omogenea allo sviluppo della questione della scienza e del metodo  nell'intera, intensa elaborazione culturale di Cusani è forse quella contenuta nella Idea d'una storia. Resta certo il rammarico del mancato approfondimento delle tante tematiche che a questa risposta devono riferirsi, in particolare sulla politica e sulla estetica. Ma la sintesi che Cusani propone rimane oltremodo significativa. L'ordine adunque degli avvenimenti, la provvidenza, o legge dell'intelligenza umana, è quella legge che Iddio  stesso ha imposta al mondo morale, e che non differisce dalle leggi della natura, se non per questo, cioè che la legge imposta al mondo morale non distrugge punto la libertà individuale, essendo ché è permezzo della libertà che si compiono i destini della intelligenza, laddovele legge della natura e compita senza il concorso della libera volontà. Stefano Cusani. Keywords: l’assoluto, il relative, spirito soggetivo, spiriti soggetivi, spirito oggetivo, storiografia filosofica di Cousin, unita latitudinale della filosofia, l’assoluto di Bradley, Hamilton, l’obbjezione all’assoluto, l’essere e la metafisica, gli esseri e la metafisica, economia e morale, la fenomenologia, il fatto di coscienza intersoggetiva, hegelismo, Vico, Galluppi, Mamiami, Colecchi, Rosmini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cusani” – The Swimming-Pool Library.

cutelli (Catania). Filosofo. Grice: “Cutelli is like Hart, a jurisprudent, rather than a philosopher!” Si laurea a Catania. Un saggio e il “Patrocinium pro regia iurisdictione inquisitoribus siculis concessa”. Vuole escludere dal "privilegium fori" numerosi delitti come la resistenza a pubblico ufficiale, ed omicidio anche tentato.  Altro saggio: “Codicis legum sicularum libri quattuor” dove manifesta un'idea di politica amministrativa che mira a creare un centro unificatore e un ministro superiore, cui fosse affidato il compito di amministrare e dirigere la monarchia, ottenendo il rilancio economico, la riduzione delle spese e il riequilibrio del conto fiscale. Si recò a Napoli. Acquista il feudo di Mezza Mandra Nova.  Altro saggio: “Catania restaurata”. Altro saggio: “Supplex libellus.”Acquistò il feudo di Alminusa e il borgo già creato da Giuseppe Bruno, figlio del fondatore Gregorio, per atto del notaro Pietro Cardona di Palermo. Ad Aliminusa dota la chiesa di Santa Anna e stabilisce un legato di maritaggio di dieci onze l'anno in favore di una figlia dei suoi vassalli, come si scorge dal suo testamento redatto innanzi al notaio Giovanni Antonio Chiarella di Palermo. Acquista il feudo di Cifiliana.  Il suo testamento rivela la volontà di destinare una parte dei suoi possedimenti alla fondazione di un collegio d'huomini nobili in cui si dovesse studiare filosofia: il Convitto Cutelli, o Cutelli.A Catania gli sono dedicati una piazza sita sul percorso della centrale via Vittorio Emanuele II e il Liceo Classico "Mario Cutelli".  Dizionario biografico degli italiani.  Una utopia di governo. La formazione dell'élite in Sicilia tra Settecento ed Ottocento. Il "Collegio Cutelliano" di Catania, in "Quaderni di Intercultura". Conte di Villa Rosata. Conte Mario Cutelli di Villa Rosata e signore dell’Alminusa. Keywords. homosocialite, boys-only, male-only, Convitto Cutelli, élite filosofica, all-male establishment, Oxford as non-co-educational – the coming of Somerville! – Grice’s play group as an all-male play group, the idea of nobilita, nobility. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cutelli” – The Swimming-Pool Library.

 

dalmasso (Milano). Filosofo. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie (Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. –  Hegel e l’Aufhebung del segno. L'implicatura del noi duale. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne Il tema della filosofia di Dalmasso ri­guar­da la do­man­da ori­gi­na­ria. Do­man­da e ori­gi­ne sono pro­ble­mi del pen­sie­ro che, fin dal­l’i­ni­zio della fi­lo­so­fia, non co­sti­tui­sco­no un ap­proc­cio di con­trol­lo e di do­mi­nio del­l’e­si­sten­za, quan­to piut­to­sto un ri­pie­ga­men­to su sé stes­si che si in­ter­ro­ga sulla pro­pria ge­ne­si. In ter­mi­ni meno esi­sten­zia­li e più an­ti­chi tale que­stio­ne oc­cu­pa il posto del­l’a­ni­ma. Dalla con­sa­pe­vo­lez­za del­l’in­com­be­re della morte nel primo sta­si­mo del­l’An­ti­go­ne al co­sti­tuir­si, per così dire, di un’interiorità nella so­fi­sti­ca e in Pla­to­ne, l’a­ni­ma (animatum) ha fun­zio­na­to come prin­ci­pio ori­gi­na­rio in una forma di­ver­sa che il do­mi­nio. Prin­ci­pio che an­no­da e che ma­ni­fe­sta, se­con­do vie non solo im­me­dia­te e spe­cu­la­ri, il logos (la ragione), il noein come co­no­scen­za e mi­su­ra di un or­di­ne. Quan­do il nous, at­tra­ver­so Ari­sto­te­le, ac­qui­sta tutto il suo svi­lup­po con­cet­tua­le e stra­te­gi­co, nel pen­sie­ro tardo-​an­ti­co, a par­ti­re da Plo­ti­no, l’ anima ri­ma­ne ed è ri­ba­di­ta come il luogo e il ve­ni­re a co­scien­za del rap­por­to con lo stes­so “nous,” cioè con il for­mu­lar­si del­l’o­ri­gi­na­rio (uno, bene o atto che sia).  Grice e Dalmasso scel­gono di leg­ge­re Bradley e Hegel. Scel­ta mo­ti­va­ta da loro in­te­res­si di ri­cer­ca, ma anche, più am­pia­men­te, dall’attualità di un lin­guag­gio che è in grado di ri­for­mu­la­re que­stio­ni sul­l’as­set­to mo­der­no del sa­pe­re e sul sog­get­to – e l’intersoggetivo -- di tale sa­pe­re. Su un ‘noi’ duale, che, nella espli­ci­ta stra­te­gia he­ge­lia­na, ar­ti­co­la e rad­dop­pia il ruolo di due anime. Sa­pe­re su di un noi duale è co­mun­que per Hegel un sa­pe­re sulle strut­tu­re di un noi duale chi, che sono in grado di for­mu­la­re una do­man­da ori­gi­na­ria.  Il testo, di cui Bradley propone al­cu­ne note es­sen­zia­li di com­men­to, ri­guar­da i pa­ra­gra­fi dal 440 al 458 della “Psi­co­lo­gia razionale” se­zio­ne della Fi­lo­so­fia dello Spi­ri­to con­te­nu­ta nella edi­zio­ne dell’En­ci­clo­pe­dia. A dif­fe­ren­za dell’“an­tro­po­lo­gia”, in cui due a­ni­me sono con­si­de­ra­te come l’a­spet­to im­me­dia­to della vita dello spi­ri­to (le due anime con­si­de­ra­te come il sonno dello spi­ri­to, pro­ble­mi del rap­por­to del­le due anime con I due corpori, que­stio­ni del sonno, della ve­glia, delle sen­sa­zio­ni ecc.) la Psi­co­lo­gia non è scien­za delle due a­ni­ma, ma scien­za del sa­pe­re in­tor­no al­le due a­ni­me, cioè scien­za ve­ra­men­te tale, nella sua por­ta­ta con­cet­tua­le. Per Bradley e Hegel, ‘scien­za’, Wis­sen­schaft, ogni scien­za, e so­prat­tut­to quel­la scien­za mas­si­ma­men­te ri­go­ro­sa che è la fi­lo­so­fia (‘regina scientiarum) è scien­za sem­pre di se­con­do grado: scien­za che con­trol­la e che ha come og­get­to la sua stes­sa ge­ne­si. La filosofia e la regina scientiarum, la scien­za che mi­su­ra il ne­ga­ti­vo ri­spet­to al suo as­sun­to e al suo stes­so me­to­do, scien­za che è in grado di smar­car­si dal piano del suo stes­so sa­pe­re e di com­pren­de­re il rap­por­to di­na­mi­co, ge­ne­ra­ti­vo e mai astrat­ta­men­te “spe­cu­la­re” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-co­no­scen­za si co­sti­tui­sce. Così, nel caso del testo com­men­ta­to da Bradley, i con­te­nu­ti della psi­co­lo­gia sono cu­rio­sa­men­te tutti di­ver­si da quel­li che nel­l’as­set­to della fine del­l’Ot­to­cen­to e del primo No­ve­cen­to ci si aspet­te­reb­be da una psi­co­lo­gia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and dispositions”. La psi­co­lo­gia filosofica o razionale non è scien­za delle leggi delle anime o psi­chai, ma del mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo delle leggi delle anime o delle psi­chai.  I testi che sono og­get­to del com­men­to di Bradley sono, come Bradley nota, estre­ma­men­te dif­fi­ci­li. Prima di co­min­cia­re Bradley fa qual­che ri­lie­vo sul pro­ble­ma della difficoltà in ge­ne­ra­le nella let­tu­ra del testo di Hegel. La que­stio­ne si pone se­con­do tre punti di vista. In­nan­zi tutto come que­stio­ne della na­tu­ra e della de­sti­na­zio­ne del testo. Ad esem­pio l’ “En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che”, nel no­stro caso, è pen­sa­ta come un rias­sun­to delle le­zio­ni per i ‘tuttee’. In se­con­do luogo il pro­ble­ma del si­gni­fi­ca­to espres­so, del voler dire del di­scor­so he­ge­lia­no. In terzo luogo, che è quel­lo de­ci­si­vo, la que­stio­ne del me­to­do di com­po­si­zio­ne del testo di Hegel, me­to­do che ri­guar­da, d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Que­stio­ni, dette al­tri­men­ti, di sin­to­niz­zar­si con il testo che, per quan­to ri­guar­da il me­to­do filosofico di Hegel, non può es­se­re altro che ri­per­cor­re­re l’e­le­men­to ge­ne­ra­ti­vo del si­gni­fi­ca­to di ciò che Hegel explicitamente communica. Senza di que­sto in­ces­san­te ri­per­cor­ri­men­to a li­vel­lo della ge­ne­si del testo, il suo ‘segnato’ posse appare in­com­pren­si­bi­le o ap­piat­ti­to. Ap­piat­ti­to come su di una su­per­fi­cie, in modo che il gioco delle in­ter­pre­ta­zio­ni del tutee, anche nel caso si trat­ti di stu­dio­so molto qua­li­fi­ca­to, tende spes­so a sbiz­zar­rir­si in gro­vi­gli di ipo­te­si fi­lo­lo­gi­che o di ca­rat­te­re ideo­lo­gi­co-​me­ta­fi­si­co. Il mi­ni­mo comun de­no­mi­na­to­re è la per­di­ta del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo di tale segnato. Così si può se­pa­ra­re per­fi­no il con­cet­to di ne­ga­ti­vo dal con­cet­to di ge­ne­ra­zio­ne so­vrap­po­nen­do l’uno sul­l’al­tro e ren­den­do in­com­pren­si­bi­li en­tram­bi. Que­stio­ne che si pone in modo non in­fre­quen­te, anzi ma­les­se­re spes­so dif­fu­so anche nel com­men­to di Bradley. Ini­zia­mo la let­tu­ra par­ten­do dalle prime righe del par. 440.  Lo spi­ri­to si è de­ter­mi­na­to di­ve­nen­do la verità del­l’a­ni­ma e della co­scien­za, cioè la verità di quel­la totalità sem­pli­ce e im­me­dia­ta e di que­sto sa­pe­re.  Ades­so il sa­pe­re, in quan­to forma in­fi­ni­ta, non è più li­mi­ta­to da quel con­te­nu­to, non sta in rap­por­to con esso come con un og­get­to, ma è sa­pe­re della totalità so­stan­zia­le, né sog­get­ti­va né og­get­ti­va, ma intersoggetiva. ll pro­ble­ma del rap­por­to fra il sa­pe­re e la ra­gio­ne inau­gu­ra qui il di­bat­ti­to sulla scien­za della psi­che. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne ini­zia a di­pa­nar­si nel pa­ra­gra­fo se­guen­te:  L’a­ni­ma è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui è de­ter­mi­na­ta im­me­dia­ta­men­te, cioè de­ter­mi­na­ta per na­tu­ra.  La co­scien­za è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui ha un og­get­to.  Lo spi­ri­to è in­ve­ce fi­ni­to, “in­so­fern ist end­lich,” nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re (in sei­nem Wis­sen) non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za, nel senso che è fi­ni­to per via della sua im­me­dia­tez­za e — che è la stes­sa cosa — perché è sog­get­ti­vo, è cioè come il Con­cet­to. Lo spi­ri­to è fi­ni­to nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re, non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za. Lo spi­ri­to sem­bra es­se­re quell’attività in grado di con­te­ne­re e con­trol­la­re l’in­trec­cio fra la ra­gio­ne e il sa­pe­re, anche se ora solo nella forma del­l’im­me­dia­tez­za. L’in­trec­cio si or­ga­niz­za su due poli: la ra­gio­ne e il sa­pe­re. Essi si im­pli­ca­no re­ci­pro­ca­men­te . A se­con­da che si con­si­de­ri come con­cet­to la ra­gio­ne o il sa­pe­re.  Qui è in­dif­fe­ren­te ciò che viene de­ter­mi­na­to come con­cet­to dello spi­ri­to e ciò che viene in­ve­ce de­ter­mi­na­to come realità o “Realität” di que­sto con­cet­to. Se in­fat­ti la ra­gio­ne as­so­lu­ta­men­te in­fi­ni­ta, og­get­ti­va, viene posta come con­cet­to dello spi­ri­to, al­lo­ra la realità è il sa­pe­re, cioè l’in­tel­li­gen­za; se in­ve­ce è il sa­pe­re a es­se­re con­si­de­ra­to come il con­cet­to, al­lo­ra la realità del con­cet­to è que­sta ra­gio­ne e la rea­liz­za­zio­ne (Rea­li­sie­rung) del sa­pe­re con­si­ste nel­l’ap­pro­priar­si della ra­gio­ne.  La fi­ni­tez­za dello spi­ri­to per­tan­to con­si­ste in ciò: il sa­pe­re non com­pren­de l’Es­se­re in-​sé-​e-​per-​sé della sua ra­gio­ne. In altri ter­mi­ni: la ra­gio­ne non si è ma­ni­fe­sta­ta pie­na­men­te nel sa­pe­re.4  C’è un di­sli­vel­lo dun­que strut­tu­ra­le con la ra­gio­ne che fun­zio­na nel sa­pe­re. Di­sli­vel­lo strut­tu­ra­le che per i greci era in­ve­ce co­sti­tui­to dal rap­por­to fra il sa­pe­re e la verità. Co­mun­que la realtà, con­si­de­ra­ta come realtà del sa­pe­re o come realtà della ra­gio­ne, si co­sti­tui­sce e fun­zio­na per Hegel come un farsi che è un in­trec­cio ine­stri­ca­bi­le. Una purità e verginità del­l’o­ri­gi­ne è in­tro­va­bi­le.  La que­stio­ne di un sa­pe­re dello/sullo spi­ri­to si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te nel pa­ra­gra­fo 442:  Il pro­ce­de­re dello spi­ri­to è svi­lup­po (Ent­wic­klung) nella mi­su­ra in cui la sua esi­sten­za, il sa­pe­re, ha entro se stes­sa l’es­se­re — de­ter­mi­na­to in sé e per sé, cioè ha per con­te­nu­to, “Ge­hal­te,” e per fine, “Zweck” il ra­zio­na­le, “Ver­nunf­ti­ge.” L’attività di tra­spo­si­zio­ne è dun­que pu­ra­men­te e sol­tan­to il pas­sag­gio for­ma­le nella ma­ni­fe­sta­zio­ne e, in que­sta, è ri­tor­no entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella mi­su­ra in cui il sa­pe­re, af­fet­to dalla sua prima de­ter­mi­na­tez­za, è sol­tan­to astrat­to, cioè for­ma­le, la meta dello spi­ri­to è quel­la di pro­dur­re il ri-em­pi­men­to og­get­ti­vo, “die ob­jec­ti­ve Erfüllung her­vor­zu­brin­gen,” e quin­di, a un tempo, la libertà del suo sa­pe­re. In que­sto testo il mo­vi­men­to del sa­pe­re e il suo sa­per­ne si ar­ti­co­la come que­stio­ne della co­no­scen­za del­l’o­ri­gi­na­rio. Tale que­stio­ne, che ha la forma del ri­tor­no, è pen­sa­bi­le come libertà. L’av­ven­tu­ra dello spi­ri­to che è sem­pre un ap­pro­priar­si, un far pro­prio, qui, e se­con­do la radicalità della sua strut­tu­ra, fun­zio­na come ap­pro­priar­si del sa­pe­re e coin­ci­de con l’av­ven­tu­ra della libertà.  Il cam­mi­no dello spi­ri­to con­si­ste per­tan­to nel­l’es­se­re spi­ri­to teo­re­ti­co, cioè nel­l’a­ve­re a che fare con il ra­zio­na­le nella sua de­ter­mi­na­tez­za im­me­dia­ta, e di porlo ades­so come il suo. Il cam­mi­no con­si­ste in­nan­zi tutto nel li­be­ra­re il sa­pe­re dal pre­sup­po­sto e, con ciò, dalla sua astra­zio­ne, e ren­de­re sog­get­ti­va la de­ter­mi­na­tez­za. Poiché in tal modo il sa­pe­re è in sé e per sé de­ter­mi­na­to come sa­pe­re entro sé, e poiché la de­ter­mi­na­tez­za è posta come la sua, quin­di come in­tel­li­gen­za li­be­ra, il sa­pe­re è  volontà, spi­ri­to pra­ti­co, il quale in­nan­zi tutto è an­ch’es­so for­ma­le. Il sapere a un con­te­nu­to che è sol­tan­to il suo. Esso vuole im­me­dia­ta­men­te, e ades­so li­be­ra la sua de­ter­mi­na­zio­ne di volontà dalla soggettività e l’intersoggetivita che la con­di­zio­na­ come forma uni­la­te­ra­le del pro­prio con­te­nu­to. In tal modo gli spi­ri­ti  di­vie­neno come spi­ri­ti li­be­ri, nel quale è ri­mos­sa quel­la dop­pia unilateralità. Lo scor­cio teo­ri­co for­ni­to in que­sto pa­ra­gra­fo me­ri­ta una pun­tua­liz­za­zio­ne. Ab­bia­mo in pre­ce­den­za ac­cen­na­to alla cor­ni­ce della psi­co­lo­gia filosofica o razionale come pro­get­to scien­ti­fi­co: scien­za delle anime che si pone come scien­za dei fat­to­ri ge­ne­ra­ti­vi delle anime.  Il per­cor­so dei spi­ri­ti che si sfor­zano di co­no­sce­re se stes­si, che tentano di com­pren­de­re l’e­spe­rien­za della lor libertà, che nella Fe­no­me­no­lo­gia dello spi­ri­to pren­de la via della mo­ra­le come sto­ria, in que­ste pa­gi­ne pren­de la via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà. Che il sa­pe­re possa af­fer­ra­re se stes­so, possa ap­pro­priar­si di sé. La stra­te­gia he­ge­lia­na im­pli­ca che l’o­ri­gi­na­rio, per i sog­get­ti (l’intersoggetivo) e per il sa­pe­re, fun­zio­ni e sia co­no­sci­bi­le come ef­fet­to di que­sto ap­pro­priar­si che è etico, pra­ti­co.  Se non si pensa il si­gni­fi­ca­to del sa­pe­re e di suoi sog­get­ti come etico, pra­ti­co, i sog­get­ti del sa­pe­re si di­bat­teno «in una bi-lateralità»: la rap­pre­sen­ta­zio­ne che i sog­get­ti fano di sé come suoi e l’im­me­dia­tez­za di tale rap­pre­sen­ta­zio­ne. Le libertà dell’anime è pen­sa­bi­le come lo spiaz­za­men­to in cui i sog­get­ti del sa­pe­re co­no­sceno il loro es­se­re fatto, no­no­stan­te e at­tra­ver­so il loro co-fare (co-operare) im­pos­si­bi­li­ta­to a co­glie­re l’identità fra sé e le loro im­ma­gi­ni. Que­sta di­vi­sio­ne e di­sli­vel­lo in­ter­no che è l’impossibilità di co­glie­re l’o­ri­gi­ne del pro­prio co­sti­tuir­si è per Hegel l’In­tel­li­gen­za (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and Intelligence” – Signs). Nel mon­tag­gio lin­gui­sti­co di que­sto testo tale di­vi­sio­ne e tale di­sli­vel­lo vanno ad oc­cu­pa­re il posto della clas­si­ca op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, in quan­to è que­sta unità con­cre­ta dei due mo­men­ti — vale a dire, im­me­dia­ta­men­te, di es­se­re ri­cor­da­ta entro sé in que­sto ma­te­ria­le este­rior­men­te es­sen­te, e di es­se­re im­mer­sa nel­l’es­se­re fuori-​di-​sé men­tre entro sé si in­te­rio­riz­za col pro­prio ri­cor­do —, è in­tui­zio­ne. Il cam­mi­no del­l’In­tel­li­gen­za sta pro­prio nel bat­te­re in brec­cia l’op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  Le in­tel­li­gen­za, quan­do ri­cor­dano ini­zial­men­te l’in­tui­zio­ne, poneno il con­te­nu­to del sen­ti­men­to nella pro­pria interiorità, nel loro pro­prio spa­zio e nel loro pro­prio tempo. In tal modo il con­te­nu­to è im­ma­gi­ne, li­be­ra­ta dalla sua prima im­me­dia­tez­za e dalla dualità astrat­ta ri­spet­to all’altro soggetto, in quan­to essa è ac­col­ta nella dualità del­ noi. Que­sto bat­te­re in brec­cia, visto dal punto di vista del­l’in­tel­li­gen­za, è l’im­ma­gi­ne. L’in­tel­li­gen­za pos­sie­de dun­que le im­ma­gi­ni. L’in­tel­li­gen­za è il Quan­do e il Dove del­l’im­ma­gi­ne.  L’im­ma­gi­ne è per sé “tran­s-eun­te”,  nomade, da una anima ad altra anima, e l’in­tel­li­gen­za stes­sa, in quan­to at­ten­zio­ne, è il tempo e anche lo spa­zio, il Quan­do e il Dove, del­l’im­ma­gi­ne.  L’in­tel­li­gen­za però non è sol­tan­to la co-­scien­za e l’es­ser­ci delle pro­prie de­ter­mi­na­zio­ni, bensì, in quan­to tale, ne è anche i sog­get­ti e l’In-​sé. Ri­cor­da­ta nel­l’in­tel­li­gen­za, perciò, l’im­ma­gi­ne non è più esi­sten­te, ma è con­ser­va­ta in­con­scia­men­te. Nell’An­mer­kung dello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel inau­gu­ra la me­ta­fo­ra del pozzo not­tur­no per de­fi­ni­re il fun­zio­na­men­to del­l’in­tel­li­gen­za come un luogo in cui sono con­ser­va­te im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che l’in­tel­li­gen­za stes­sa non co­no­sce. Hegel pro­se­gue la sua in­da­gi­ne at­tra­ver­so una sorta di tiro in­cro­cia­to fra in­tui­zio­ne ed im­ma­gi­ne, met­ten­do in azio­ne uno stile ago­sti­nia­no alla “De ma­gi­stro”. Anche la no­zio­ne, clas­si­ca, di “re-­praesentatum” (il rappresentato) entra, ri­com­pre­sa e ri­pen­sa­ta, come dal­l’in­ter­no, nel mo­vi­men­to pro­dut­ti­vo del­l’in­tel­li­gen­za.  La no­zio­ne di “me­mo­ria” (stato temporario totale) è an­ch’es­sa ri­per­cor­sa, nella sua strut­tu­ra clas­si­ca, come mo­vi­men­to at­ti­vo e im­pren­di­bi­le, fun­zio­nan­te nel­l’in­tel­li­gen­za e pro­dut­ti­va di essa, in una svol­ta de­ci­si­va del pa­ra­gra­fo. L’in­tel­li­gen­za è la po­ten­za che do­mi­na sulla ri­ser­va di im­ma­gi­ni e il rappresentato che le ap­par­ten­go­no. Essa è quin­di con­giun­zio­ne e sus­sun­zio­ne li­be­ra di que­sta ri­ser­va sotto il con­te­nu­to pe­cu­lia­re. L’in­tel­li­gen­za si ri­cor­da ed in­te­rio­riz­za in modo de­ter­mi­na­to entro quel­la ri­ser­va, e la pla­sma im­ma­gi­na­ti­va­men­te se­con­do que­sto suo con­te­nu­to. Essa è quin­di fan­ta­sia, im­ma­gi­na­zio­ne SIMBOLIZZANTE, al­le­go­riz­zan­te o poe­tan­te.  Que­sta for­ma­zio­ne im­ma­gi­na­ti­va più o meno con­cre­te, più o meno in­di­vi­dua­liz­za­te, e an­co­ra delle sin­te­si nella mi­su­ra in cui il ma­te­ria­le, in cui il con­te­nu­to intersog­get­ti­vo con­fe­ri­sce un es­ser­ci al rap­pre­sen­tato, pro­vie­ne dal Tro­va­to, “dem Ge­fun­de­nen,” del­l’in­tui­zio­ne. Passività, evi­den­za, sor­pre­sa di fonte al darsi ori­gi­na­rio delle cose ri­guar­da perciò per Hegel un mo­vi­men­to che ha come suo ele­men­to lo sce­na­rio dell’intersoggetività. Il tro­va­to del­l’in­tui­zio­ne, in­con­tro, evi­den­za, ac­co­glien­za della realtà è pen­sa­bi­le in un re­gi­stro che è già una tra­du­zio­ne, ‘trans-latum.” È nel re­gi­stro di una tra­du­zio­ne (“trans-latum”) che nel per­cor­so di que­sto testo di Hegel, di una tra­du­zio­ne (trans-latum) del fuori nel den­tro e vi­ce­ver­sa, che si può av­vi­sta­re ciò in fi­lo­so­fia si chia­ma realtà.  Quan­do l’in­tel­li­gen­za, in quan­to ra­gio­ne, parte dal­l’ap­pro­pria­zio­ne del­l’im­me­dia­tez­za tro­va­ta entro sé, cioè la de­ter­mi­na come un “universale”, ecco al­lo­ra che la sua attività ra­zio­na­le pro­ce­de dal punto at­tua­le, “dem nun­meh­ri­gen Punk­te,” a de­ter­mi­na­re come es­sen­te ciò che in essa si è svi­lup­pa­to in au­to-in­tui­zio­ne con­cre­ta, pro­ce­de cioè a ren­de­re se stes­sa Es­se­re, cosa, il reale. L’in­tel­li­gen­za stes­sa così si fa es­sen­te, si fa cosa, si fa il relae.  Quan­do è at­ti­va in que­sta de­ter­mi­na­zio­ne, l’in­tel­li­gen­za si estrin­se­ca, “aus­sernd,” pro­du­ce, “pro­du­zie­rend,” in­tui­zio­ne: è fan­ta­sia che si espri­me in un “segno,” “Zei­chen ma­chen­de Phan­ta­sie,” token-making fantasy – fantasia che fa segno, fantasia che segna. L’in­tel­li­gen­za esi­ste in quan­to fan­ta­si. Tesi non im­me­dia­ta­men­te pre­ve­di­bi­le nel di­spo­si­ti­vo, in­tri­ca­to, di que­sto per­cor­so he­ge­lia­no. Tesi cui pure spin­ge, con ri­go­ro­sa necessità, que­sta ana­li­si scien­ti­fi­ca delle anime – una anima segna, l’altra capisce. Que­sto testo di Hegel in­ne­sca con­sa­pe­vol­men­te una po­le­mi­ca ed anche una ri­for­mu­la­zio­ne me­to­do­lo­gi­ca ra­di­ca­le nei con­fron­ti della tra­di­zio­ne em­pi­ri­sta, dei sen­si­sti, di Con­dil­lac e degli ideo­lo­gues. At­tra­ver­so le scor­ri­ban­de del­l’in­tel­li­gen­za fra sa­pe­re e “segno” (Zeichen, la fantasia che fa segno, la fantasia che segna), scien­za e realtà, at­tra­ver­so e al di là della dia­let­ti­ca fra il po­si­ti­vo e il ne­ga­ti­vo, fra i sog­get­ti e la verità ecc, Hegel af­fer­ma che l’in­tel­li­gen­za è il suo atto. Esi­ste­re non è l’im­me­dia­tez­za di un che ri­spet­to a se stes­si, ma è l’at­to in cui, in un con­te­nu­to de­ter­mi­na­to, l’in­tel­li­gen­za si rap­por­ta a se stes­sa.  La fan­ta­sia è il punto cen­tra­le in cui l’u­ni­ver­sa­le e l’es­se­re, il pro­prio e il tro­va­to, l’in­ter­no e l’ester­no – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna -- sono per­fet­ta­men­te uni­fi­ca­ti. Le sin­te­si pre­ce­den­ti del­l’in­tui­zio­ne, del ri­cor­do ecc., sono uni­fi­ca­zio­ni del me­de­si­mo mo­men­to, tut­ta­via si trat­ta pur sem­pre di sin­te­si. Solo nella fan­ta­sia l’in­tel­li­gen­za non è più come il pozzo in­de­ter­mi­na­to e come l’u­ni­ver­sa­le, bensì è come sin­go­la­re, cioè come intersoggettività CONCRETA nella quale l’­re­la­zio­ne è de­ter­mi­na­ta sia come es­se­re sia come universale.L’in­tel­li­gen­za è intersoggettività con­cre­ta solo nella fan­ta­sia condivisa. Tale que­stio­ne è chia­ri­ta dal se­gui­to della stes­sa An­mer­kung. Tutti ri­co­no­sco­no che le im­ma­gi­ni della fan­ta­sia co­sti­tui­sco­no tali uni­fi­ca­zio­ni del pro­prio e del­l’in­ter­no dello spi­ri­to con l’e­le­men­to in­tui­ti­vo. Il loro con­te­nu­to ul­te­rior­men­te de­ter­mi­na­to ap­par­tie­ne ad altri am­bi­ti, men­tre qui que­sta fu­ci­na in­ter­na va in­te­sa sol­tan­to se­con­do quel mo­men­to astrat­to.  In quan­to attività di que­sta unio­ne, la fan­ta­sia è ra­gio­ne, ma è ra­gio­ne for­ma­le, solo nella mi­su­ra in cui il con­te­nu­to in quan­to tale della fan­ta­sia è in­dif­fe­ren­te. La ra­gio­ne in quan­to tale, in­ve­ce, de­ter­mina a verità anche il con­te­nu­to. Nell’An­mer­kung suc­ces­si­va nello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel opera la svol­ta de­ci­si­va nel per­cor­so che qui ci in­te­res­sa:  In par­ti­co­la­re bi­so­gna an­co­ra ri­le­va­re que­sto fatto. Poiché la fan­ta­sia porta il con­te­nu­to in­ter­no a im­ma­gi­ne e a in­tui­zio­ne, e ciò viene espres­so di­cen­do che essa lo de­ter­mi­na come es­sen­te, non deve sem­bra­re sor­pren­den­te l’e­spres­sio­ne se­con­do cui l’in­tel­li­gen­za si fa­ es­sen­te, si fa­ cosa, si fa il relae. Il con­te­nu­to del­l’in­tel­li­gen­za, in­fat­ti, è l’in­tel­li­gen­za stes­sa, e lo è al­tret­tan­to la de­ter­mi­na­zio­ne che essa gli con­fe­ri­sce. L’im­ma­gi­ne pro­dot­ta dalla fan­ta­sia è intersog­get­ti­va­men­te in­tui­ti­va, men­tre è nel segno (Zeichen, token) che la fan­ta­sia ag­giun­ge a ciò l’au­ten­ti­ca intuibilità (ei­gen­tli­che An­schau­li­ch­keit); nella me­mo­ria mec­ca­ni­ca, poi essa com­ple­ta in sé que­sta forma del­l’es­se­re.  L’im­ma­gi­ne solo nel “segno” (Zeichen, token) è au­ten­ti­ca intuibilità di ciò che è. L’es­sen­te è co­gli­bi­le come “segno” (Zeichen, token) non come dato, come dono. Dato e dono non sono pen­sa­bi­li, ma nep­pu­re spe­ri­men­ta­bi­li nella forma della pre­sen­za, cioè in un darsi (che, in ter­mi­ni he­ge­lia­ni, è la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne). Essi sono già tra­scrit­ti nel con­te­nu­to in­ter­no del­l’in­tel­li­gen­za, cioè come un segno (Zeichen, token). L’e­le­men­to im­pren­di­bi­le, enig­ma­ti­co della co­no­scen­za è il segno (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella strut­tu­ra di que­sto testo Hegel af­fer­ma che il non pro­prio, il non nostro so­vra­sta e spiaz­za nella forma del segno (Zeichen, token), non nella forma del dono.  In que­sta unità, pro­ce­den­te dal­l’in­tel­li­gen­za, di una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma, “selb-ständiger Vor­stel­lung,” e di una in­tui­zio­ne, la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne è certo in­nan­zi­tut­to un qual­co­sa di ac­col­to, di im­me­dia­to e di dato, “ein auf­ge­nom­me­nes, etwas un­mit­tel­ba­res oder ge­ge­be­nes,” per esem­pio il co­lo­re della coc­car­da e af­fi­ni. In que­sta identità però l’in­tui­zio­ne non ha il va­lo­re di rap­pre­sen­ta­re po­si­ti­va­men­te e di rap­pre­sen­ta­re se stes­sa, bensì di rap­pre­sen­ta­re qual­co­s’al­tro. Essa è un’im­ma­gi­ne che ha ri­ce­vu­to entro sé una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma del­l’in­tel­li­gen­za come anima, che ha ri­ce­vu­to, cioè, il suo segnato. Que­sta in­tui­zio­ne è il segno (Zeichen, token). L’in­tui­zio­ne, rap­por­ta­ta scien­ti­fi­ca­men­te alla sua ori­gi­ne, ha la forma del segno (Zeichen, token). Tale forma ha una strut­tu­ra che coin­vol­ge i ter­mi­ne stes­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tel­li­gen­za sem­bra fun­zio­na­re in una de­ri­va di cui il segno (Zeichen, token) co­sti­tui­sce una sorta di cer­nie­ra, snodo in cui l’in­tel­li­gen­za stes­sa è tolta-​con­ser­va­ta.  L’in­tui­zio­ne che im­me­dia­ta­men­te e ini­zial­men­te è qual­co­sa di dato e di spa­zia­le, “ge­ge­be­nes und raum­li­ches,” una volta im­pie­ga­ta come segno (Zeichen, token) ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa. Que­sta sua negatività è l’in­tel­li­gen­za.  Perciò la fi­gu­ra più au­ten­ti­ca del­l’in­tui­zio­ne, che è un segno (Zeichen, token), è di es­se­re un es­ser­ci nel tempo: un di­le­gua­re, “Ver­sch­win­den,” del­l’es­ser­ci men­tre l’es­ser­ci è.  Inol­tre, se­con­do la sua ul­te­rio­re de­ter­mi­na­tez­za este­rio­re, psi­chi­ca, la fi­gu­ra più vera del­l’in­tui­zio­ne è un es­se­re-​posta dal­l’in­tel­li­gen­za, esser-​posta che viene fuori dalla naturalità pro­pria, an­tro­po­lo­gi­ca, del­l’in­tel­li­gen­za stes­sa: è il tono, “Ton,” cioè l’e­strin­se­ca­zio­ne riem­pi­ta dell’interiorità an­nun­cian­te­si.  Il “tono” che si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te in vista del rap­pre­sen­tato de­ter­mi­na­te è il di­s-cor­so –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un si­ste­ma del di­scor­so è la communicazione. In que­sto am­bi­to il “tono” con­fe­ri­sce a una sen­sa­zio­ne, una in­tui­zio­ne e un rap­pre­sen­ta­to  un *se­con­do* (duale) es­ser­ci, più ele­va­to del­l’es­ser­ci im­me­dia­to. In ge­ne­ra­le con­fe­ri­sce loro un’e­si­sten­za che ha va­lo­re nel regno dell’attività rap­pre­sen­ta­ti­va. Que­sto pro­get­to he­ge­lia­no di una scien­za della psi­che tenta qui un ul­te­rio­re ra­di­ca­le ap­proc­cio alla ge­ne­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tui­zio­ne, in quan­to fun­zio­nan­te come segno (Zeichen, token), ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa, “zu einem Zei­chen ge­brau­cht wird, die we­sen­tli­che Be­stim­mung nur als auf­ge­ho­be­ne zu sein.” In que­sto esser ri­mos­so, tolto-​con­ser­va­to del­l’in­tui­zio­ne sta l’o­ri­gi­ne del­l’in­tel­li­gen­za. La negatività di cui essa è fatta si in­trec­cia strut­tu­ral­men­te alla no­zio­ne di tempo. L’in­tui­zio­ne non è do­mi­na­bi­le da due sog­get­ti se non nella forma del dopo, un di­le­gua­re del­l’es­ser­ci men­tre es­ser­ci è. Quel­l’al­tro in­trec­cio che co­sti­tui­sce l’in­tui­zio­ne, l’in­trec­cio fra il den­tro e il fuori si espri­me nel “tono,” suono ar­ti­co­la­to. Il tono, visto in rap­por­to ad una rap­pre­sen­ta­zio­ne de­ter­mi­na­ta, è il di­scor­so (“Rede”) e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua (Spra­che) e la communicazione. A que­sto punto del suo per­cor­so la stra­te­gia di Hegel si in­con­tra con il pri­vi­le­gio greco e pla­to­ni­co ac­cor­da­to all’espressione, la pa­ro­la, al logos in quan­to vi­ven­te pro­nun­cia­to, detto, dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel Cratilo di Pla­to­ne anche in Hegel l’espressione come segno è cen­tra­le nella vita del­l’in­tel­li­gen­za, ma di una centralità che oc­cu­pa il luogo di un mo­vi­men­to ori­gi­na­rio ed im­pren­di­bi­le.  Per un com­men­to cri­ti­co ed espli­ca­ti­vo dei pa­ra­gra­fi della «Psi­co­lo­gia» nella se­zio­ne sullo «Spi­ri­to sog­get­ti­vo», anche per ciò che con­cer­ne le fonti di Hegel e la sag­gi­sti­ca re­la­ti­va, cfr. La «magia dello spi­ri­to» e il «gioco del con­cet­to». Con­si­de­ra­zio­ni sulla fi­lo­so­fia dello spi­ri­to sog­get­ti­vo nel­l’En­ci­clo­pe­dia di Hegel, Mi­la­no, Gue­ri­ni e As­so­cia­ti, 1995. ︎  Uso la re­cen­te tra­du­zio­ne di Vin­cen­zo Ci­ce­ro (En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che in com­pen­dio, ed. 1830, Mi­la­no, Ru­sco­ni, 1996) che ri­ten­go pun­tua­le ed av­ver­ti­ta delle que­stio­ni poste dal testo, no­no­stan­te la discutibilità di al­cu­ne so­lu­zio­ni su cui per altro pesa in certa mi­su­ra la re­si­sten­za ad ab­ban­do­na­re tra­du­zio­ni fa­mi­lia­ri e con­so­li­da­te. Grice: “There’s something otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it  or better, that a dark cloud signs *that* it may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian ‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso. Keywords: sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen, zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dalmasso” – The Swimming-Pool Library.

 

dandolo (Varese). Filosofo. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito. Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in “Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano). Un filosofo che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara, libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli” (Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano); “Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi  (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di Tullio Dandolo”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”; “Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di G. A. Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi, primo e secondo periodo, Assisi. di Roberto Guerri, direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano.  Colloqui col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico avere per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro non erano che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione efficace la filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con indifferenza la sposizione poetica che del sistema d'Epicuro loro presentò Lucrezio. Germi erano questi gettati in terreno non preparato ancora à riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’ quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica ad abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme vano come pericolosi e disprezzavano come futili. Catone il censore ottenne che si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale. I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido Censore non prevede che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di Cesare. Non possiamo trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione del passato e le  tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien  dietro la riflessione, saremo costretti di riconoscere  che a rintuzzare il progresso della filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe muovere accusa alla Divinità, quasi ch'ella con innestare il male nella conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien dunque adoperarsi  a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose, non  proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle  conscii dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del giusto, il risvegliare in  quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova dottrina. Ma l' impulso era dato, nè poteva fermarsi. I giovani romani conservarono impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare, quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi, furono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè medesima le proprie soddisfazioni. Gli uni tennero dietro alla filosofia nel suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degli eserciti furono i primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza generale degli spiriti. L'accademico Antioco fu compagno di Lucullo. Catone il censore cedè egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. Silla fece trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. Catone d'Utica allorch'era tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che lo stoico Atenodoro abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a dimorare con lui.  Pure gli spiriti che con siffatto entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la filosofia penetra in coteste menti dirò come in massa e nel suo insieme. Ma non s'indentificò col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia fu nel tempo stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza, piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni, allora suprema.  I romani si divisero in sette. Effetto della maniera d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a' padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione, la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere, contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone, a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone Uticense. “Non  possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine.  ERASM. in Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus, intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove; l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie dell'eloquenza.  All' Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste , nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo, comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu, come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro, commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza, piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo, solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive, la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali, sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in nugoli, e la terra colle piove feconda ; e ad ora ad ora pegli spazii trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira, col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte; coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra, allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa; pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura ; talora nell'ombra della terra s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora  cessa; spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la reciproca giacitura , che si poterono ad esse applicar nomi di determinate figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là fortuitamente ? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali , senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio; argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica sanzione dell'umana giustizia.  u Fondamento primo d'ogni legislazione, egli scrive,  sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito pratica il culto ; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse, onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme eloquenza.  Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii , ossia de' doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni; le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita , perchè sovraccaricate di vane disputazioni , oppurtune più spesso a trastullare l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone ( scrive- a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato  di luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti meditazioni. Ma Cicerone non possedeva lo spirito speculativo che si richiede a poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze : il tempo venivagli meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari. Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de' caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell' umano consorzio.  La situazione politica in cui M. Tullio si trovò collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà. Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici insegnamenti.  Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M. Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia? Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice ? Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!” -- Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Keywords: storia della filosofia romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”; “Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”; roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool Library.

 

Daniele (San Clemente). Filosofo. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica che era stata di Vico e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --;  “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) – dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio, e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’ re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi, , quanto in quella del medio evo --  “Monete antiche di Capua” (Napoli)  dove interpreta le antiche monete di Capua gia pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica, diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico, segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri” (Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius”, Lettere di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo Esperti’.  Francesco Daniele. Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole, Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio, filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro, vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di Sicilia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library.

 

Dati (Siena). Filosofo. Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus; “Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” – ristampato “Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, SismelEdizioni del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae A. Datii” – Grice: “Dati is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that ‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x = x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ – or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords: retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool Library.

 

Delfino (Padova). Filosofo. Grice: “Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu octava sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius.  Dizionario biografico degli italiani. Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus. Federico Dolfin. Federico Delfino. Keywords: first sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere, fifth sphere, sixth sphere, seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera, seconda sphaera, tertia sphaera, quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera, septima sphaera, octava sphaera, holometria, fabrica holometri, aristotelismo padovano vs. platonismo fiorentino – aristotele – platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The Swimming-Pool Library.

 

Delia

 

Deliminio

 

Delogu (Nuoro). Filosofo. Grice: “We can call Delogu a Griceian; at least he has written a little tract that he entitled ‘questioni di senso’ – which is all that my philosophy is about!”  Si laurea a Sassari  e, come vincitore di una borsa di studio regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru.  È stato redattore del periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto da Pigliaru.  Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore.  Come vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e  prof. ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane.  Fa parte del comitato scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce.  È stato direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione sassarese della Società Filosofica Italiana.  È stato direttore della Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi, dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo, Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della Grande Guerra . Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari, Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma),  Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), SSatta, (Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa Carrara.  Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo.  È stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza nazionale dei Rettori.  Premio "Sardegna-Cultura" Premio "Giuseppe Capograssi”. Altre opere: “Insegnamento e implicamento empiegamento della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero,  Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi in  Sartre in Sartre, teoria scrittura impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto, Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense, Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil, in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri, FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico  Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza, in Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo internazionale mediterraneo nel 50º Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone, L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica. Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo; in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città, Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni, M. Corrias Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al confine ed oltre. La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma);  J. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru, Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press, Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue Theologique,  Prefazione all’analisi dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante, Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in Esperienza e verità-  Capograssi filosofo oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni Spes, Roma,  Ragione e mistero, in Orientamenti Sociali Sardi, XV, . Il pensiero di Noce sul Magistero della Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, , Cantagalli, Siena, Contro lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma, . Libertà di coscienza e religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità, libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano, . La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e A.M. Morace, Pisa, ETS,  Questioni di senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma, . La vita e il diritto nell’opera di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo , su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com. Festival di filosofia. Antonio Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna part of Italy, as Sicily isn’t – they are part of the Italian republic – the ‘stato’ – but geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks are especially precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo of his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is about signs and comprehension. Keywords. “segno e comprensione” s_gn_ e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica comunitaria, etica universale.  -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library.

 

Demaria (Vezza d’Alba). Filosofo. Grice: “Demaria is what we at Oxford would call a philosophical theologian! And a dynamically realist at that!” Famoso per numerosi studi sulla tomistica.  Frequenta il seminario di Alba, entrò come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni, Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.  Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica realistico organico dinamica.  Negli anni sessanta fondò con Giacomino Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di formazione e divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.. Giacomino Costa strutturò volutamente la grande e innovativa impresa dell'Interporto di Rivalta Scrivia ( il così detto "porto secco" di Genova) come applicazione dell'"organico dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente liberiste.  Negli anni settanta fu il referente culturale delle "Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò alla "sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento. Continuò nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la diffusione della "ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico dinamica", una vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella marxista comunista.   Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu intensamente attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di san Tommaso d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica Demaria, passa attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La società alternativa".  L'indagine sui dinamismi profondi della società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale.  Aderisce al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in “rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia, azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo indirizzamento.  Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a “dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto.  Il realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo materialista.  Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente dinamico o anche ente di secondo grado.  Dalla osservazione di ciò che nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli “enti di primo grado”,  gli enti la cui essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a quello della monada – l’uomo, il soggeto,  un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità. Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado (la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la comunità).  Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico, oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente dinamico” per restare vivo e vitalmente operante.  Sul fronte della interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.  Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica” -- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale, è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici.  Le “ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre (3): capitalista, marxista, “dinontorganica” e queste sono costruite secondo i rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore (la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in funzione della vita.  Nella società dinamica secolare, che è laica e profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore del marxismo.  L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica. L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi, attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di “cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro.  L’impresa dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo, costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente dichiarazione , si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in ambito di fede e morale cattolica.  La scoperta dell’“ente di secondo grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula” (individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande) sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa (l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione industriale è l’azienda industriale.  Pur accogliendo nella sua “metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la “dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa mobilitazione.  La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società. Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società “dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è “dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa “ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria “ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli autocostruttivi.  Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione, Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici : genesi storico-dottrinale, testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano Lavoratori), Bologna, Luigi Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano, Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire, La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo, Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire,  L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma, Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca partecipata ., Bologna, L. Parma, Ugo Sciascia, Crescere insieme oltre capitalismi e socialismi : rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà : un itinerario filosofico esistenziale,Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Stefano, Apertura a “tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della notte? : analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila, Roma, LAS, Giuseppe Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza , Realismo dinamico : il problema metafisico della realtà storica come superorganismo dinamico cristiano / riduzione dell'opera di Tommaso Demaria , Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza ,L'ideo-prassi dinontorganica: la costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica : revisione del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Lorenzo Cretti , La quarta navigazione : realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa , Verona, Donato Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova . Globalizzazione e metafisica, Bari , Edizioni Levante, Oliviero Riggi, L'ideoprassi cristiana per una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università Pontificia Salesiana, Giulio Pirovano, Roberto Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu Enterprise, Mauro Mantovani, Alberto Pessa e Oliviero Riggi , Oltre la crisi; prospettive per un nuovo modello di sviluppo. Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona , Fede & Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su dinontorganico.  Scritti teologici inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti del convegno: Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure : un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano, Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente. La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a tutto l’essere in Nuove Prospettive,  Realismo dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere e  ragionata a cura dell'Associazione Nuova Costruttività., su dinont-organico. Tommaso Demaria. Keywords: Tuomela, we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e cultura, dynontorganico – dinamico ontico organico -- l’implicanza di Speranza, implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demaria” – The Swimming-Pool Library.

 

Demetrio (Milano). Filosofo. Grice: “Demetrio and the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a Grecian, way, on the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the vehicle is phonic, it need not be – any non-expression is a tacit act --.” “And like me, Demetrio holds that there is a whole communication involving the un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice: “I like Demetrio. You see, Demetrio is sa good one. – and he enriches the Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio, due to the richness of the Italian language, can play with the ‘tac’ root. I often refer to the implicit as the tacit – and the tacit is nothing but the ‘silent’ –Demetrio has this brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are ‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit – his favourite scenario is a loving couple – the silence of love – he has also played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he explores most and relates to my explicit/implicit, tacit/non-tacit distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come pratica filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione, Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare, Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi,  Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi); “Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma, Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini di sé, Torino, UTET Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli adulti.  Saperi, competenze e apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per incontrare i «gentili», Padova, Messaggero,  Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano, Cortina, ,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis); “Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano, Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare in autunno, Milano, Cortina, Duccio Demetrio. Keywords: maschile, omossesuale, perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile, homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The Swimming-Pool Library.

 

Desideri: Grice: “I like Desideri; he would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of ‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre opere: “Il tempo e la forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema dell'arte” – “L’esperienza del  bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa: estetica e filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci);  “Percezione ed estetica” (Brescia, Morcelliana). Fabrizio Desideri. Keywords: consentire, “i consenzienti del bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum, sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione, giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum, il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property, aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice ---- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library.

 

Diacceto (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’ – and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per distinguerlo dal nipote.  Divenne un canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma dell'abside.  Studiò diritto continentale e frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò le opere, in latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere la sua biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S. Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino); “Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino); “L’autorità del Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione spirituale utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita” (Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La superstizzione dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi & Marco Peri). I tre libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un Panegerico all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto Varchi (In Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto: Cultura teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani. FRANCISCI CATANEI DIACETII PATRICII FLORENTINI IN DIVINI PLA. tonis Sympoſium Enarratio ad Clementem VII.Pont.Max . Amoremdiftinguit atq, definit,antequam rei explicatio nem aggrediatur. رازدا ( 1 Ntequam Sympoſi enarrationem aggredia mur , operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis intelligendum . Secus enim fieri nequit , ut diuinú Platonem de Amore diſſereniem intelligamus. Solec itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade, finitur, aut exacta quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia, quæ cungilla ſit,Amorrectèdici poteſt. Sinautē exacta ratione, Amor eſt deſiderium perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot ſunt appetitus, totidem elle amores neceſſe eſt. Atqui ue rum efficiens propter intimam fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz ſeruare quodeffecerit. Vnde & diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipſum facta ſunt, & feorfum ab ipſo nihil , quod factum eſt:ſignificans,non ſolùm ex Deo, ideft,ex uero efficiente res effe ,uerumetiam eaſdem citra dei auſpicia nihilfieri. Dionyſius quo que Areopagita ſplendor Chriſtiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor, cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſuseſt ipſum in ſeipſo manere, quaſiſterile lit: ſed ipſum impulit ad opus ſe, cundùm exceſſum omnia efficientem . Seruat autem propterea om nium cauſa,beneficio fupereminentis amoris : quandoquidem non fimplici prouidentia extra ſe procedens ſingulis entium immiſcetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant, quaſi uehementem entium amatorem . Acuerò &res ipfæ femper in auctorem reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat, recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt, uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus N 146 FRANCISCI CATA NEI DIA ČETI Hierotheus in hymnis amatoris,Amorem ,inquit,fiue diuinum , li ueangelicum ,fiue intellectualem , ſiue animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam conciliantem facultatem intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam :quæ ueró funt eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem :inferiora uerò ad fuperio rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere concupiſcunt. Diuina enim a . &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex calefaciendi fa cultate calefactionecipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum lo cutus eſt Plato in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe Ariſtotelem ,ex his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima &fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem . piternum optimum. Quare uita &æuum continuum & æternum ineſtdeo . Ineft quod & materiæ primæ appetitus ad formam : qui quidem amordici poteft,quandoquidem merito formæ boniipfius particeps fit.Eft & alius appetitus, quo res compoſitæ ſibiipfæ cohæ reſcere amant , optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident. Quemſagax naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore poſſe rerum aſymmetriæ , quæfitex materia , mederi. Virenim naturæ ſtudioſus, quaſi Lunam è cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè ductilis,utinquitPlotinus, per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti excuſſo morboin fuam integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus agendum no biseſt. In plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt, amor dici poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue uirtutis,ſiue ſapientiæ , ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore, quipinguiquadam Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò quidem diuinæ animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu primùm apparet. Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò inſit: quæ quidem intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul. chritudinem uſqz adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos longè aliter diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima pulchritudine maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo intellectui infit, eidem quoq ineſſe amorem ; habere autem originem ex intelligen tia, IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO, 147 tia,quandoquidem appetentia omnis fequitur cognitionem . Atue rò diuina anima gemino amore, nonaduentitio quidem& acciden tario , ſed euidenti &intimo prædita eſt. Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper modumſeminis & naturæ in ſeipſa exprimerecon cupiſcit : & in materiamtransferre affectat idearum participationes. Sed de his in primo &fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui mus, &in ſequentibus uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos amores dupliciter in pulchrum aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia pulchræ prolis procreandæ , quali pulchrū in pulchro procreari oporteat ( atąhicamoranimam in generatio nem deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis, quamdeſcendens nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun que igitur ſpectaculo ſenſibilis pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò facillimèrecuperat alas, quibus ad diuinam pulchritudinem at collitur. Rectèigiturimmortales,ut inquit Homerus, Amoremap pellarunt Alationem : quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio primifermonis,qui Phadrieft: Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui Minerua, quid fit exacta ratione nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri ſermonem aggrediamur, in quo Phædrus non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo potius appecitu , qui rebus adue nitinter exordia,principiò uerba facit. Cornumèrans uerò ea com moda, quibus amoris beneficio participamus, in eum tranſit amo rem , quiab umbratili, Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos reuocat.Sedagèdum uideamus,quid Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo intelligibili,tum in anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur. Verumàmundo intelligibi liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe ubiqellentiæru ditatem: Terramuerò effentiæ firmitatem : Amorem autem eſſe Ap petitum . Plato in Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere Terminum&Infinitum ,quartum eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego uerò Plotinum ſequutus , non puto Termi num & Infinitumelleduas ſoliditates ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus & Proclus:fed quod àperfe uno primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe ,dici Terminuni, quoniam eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum : quate nus utrung ſimul complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone . er N 2 148 FRANCISCI CATANEI DIACETII miſtumappellatur , quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet. Chaosigiturin mundointelligibili nihil eft aliud , quàm miſtumex termino ac infinito , id eft, ipſum per feens,quod ratione poteſtatis dicitur,perfectioniobnoxium . Poftchaos eſt Terra, quoniam ens ipfum , quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus deſignatus per Terram . NamutPlato docet in Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel ſentia ,ftatu ,motu ,eodem , diuerſo . Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas, per quam fingula manent idipſum quod funt. Quamo brem autemfirmitas eſſentiædeſigneturperterram , paulo poſt de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam ens ipſum cùm fit actus pri: mus, perficitur perintimam actionem ,quieſt primus &intimus mo tus,habens originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus eſtà termi. no. Quapropterà Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele . mentum ,utprius ſitens, deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio ipſius entis,quæpropriè Vita dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerumdiuinarum actü per feipfius intellectus aſſeruiteſ ſe uitam optimam &ſempiternam . Inter actionem ac potentiam a. gendi,medius eft agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti prius ineſtagendi facultas ,deinde agere affectat,deinde agit. Ecce igitur quomodo appetitus agendi mediumobtinet locum inter po tentiam &actionem ,cuius eſt principium .Nam potentia omnis, quç cunc ſit ,deſiderat appetitőz ſuum actum . Quod etiam euenitprimæ materiæ ,ut Ariſtoteles ait . Sed de his paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ firmitatem ,qui propriè Status dicitur, efle principium intimæ actionis, quæ Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius beneficio ensin ideas diſtin Ctum eſt.Ex quo patet etiam quomodo amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides. Parmenides enim infueuit ſub Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens diſtinguitur peruitam & motū intimum , Vitæ autem appetituseſt principium , necefle eft appeci tumhuiuſmodi ideis eſſe priorem . Recte igituramor,quieft appeti. tus,antecedit deos omnes, ideft ,ideas. Sedut ad terram redeamus,a nimaduertendum eft fecundùm Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à mathematis uerò res naturalesnon : quod uelint res natura les ſecundùm materiam &formameſſe à mathematis ( licenim ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis eſſe figuras rerum naturalium , qui busconftituuntur. Proinde mathemata appellantur à Platone ob ſcura intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ funt clara intelli gibilia :ſicuti corporum imagines & umbræ ,quæ funt obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur ex proprijs figuris rerum natu. 1 349 IN SYMPOSIVM PLATONIS ÉNARRATIO. FC naturalium Placo in Timæodeſignat earundemingenium . Propte: reaignem & terram ac cæteraid genusex triangulis componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de. finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ , quem iuniores fextum exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc:Nempeutintelligamus, per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam . Atqui palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram , quæ ineptiſsimaeftad motum: quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem . Quodetiamex eo conijcere poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde & Plato in Phædro , Sola , inquit ,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte natura debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo componit folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius oftendat admotumineptitudinem . Verùm dehis fufius in Timæo. Terrai: gitur firmitatis prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili. Animauerò ab intellectu primo prodit , ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno , fi Plotino crédimus,ńső ,quiPlotinum ſe cuciſunt,Porphyrio &Amelio, quanquam Syrianus &Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq & Origenes contendunt, ab ipfo per ſeuno eſſe cummentem ,tum animam ,tum materiam , Chriſtianum dogma potius quam Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis momento inſig. nis prodit idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul tate Nam quemadmodum intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert unitatis participationem( quod ſummum eſtipſius intellectus, & quo ipſum per ſe unum attingit) ſic & animam proce dens ab intellectu indeſecum affert facultatis intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ proceſsionis momento habet idearum expreſsionem , habet & facultatem intelligendi, qua non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic enim intellectum auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum .Atqui intellectus etli primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per intimam tamen ac primam actio . nem , quædicitur per ſe uita ,cuius ope ſeipſum in ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata ,per ſe animal efficitur :per in telligentiam uerò uitæ ſummum ,përſe intellectus, ac mundusintel ligibilis. Sic &in anima , quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate intelligendi ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima ac ſua actio , per quamfeipfam in rationes diſtin 3 1 N 3 150 FRANCISCI CATANEI DIACETII guit, ac per quam propriè animadicitur ,uita eſt participarò, mo. tus autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione intelle, ctus, ratiocinatio autem perfe. Quo fit ,ut inſtar intellectus ſit orbi cularis. Intellectus enim circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam fecum habet & tempus. Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic & primum tempus. Nec quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum participaciones, hoceſt, no tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe. Namintelle. ctus & ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio. nesidearum ,altera uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen inter fe habent. Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes ) tanquam impartibiles acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ . Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua habenc affinitatem . VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem. Intellectum , quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. & tum agentem ,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ ,quidiui. duuseltacdiſcurſu agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè inquit The. miſtius,deſententia Ariſtotelis,unum eſſeagentem intellectum illu minantem ,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum ,inquam intellectum agentem ,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò eſt :complures autem , qui ſunt animarū , illuminati quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt: illuminantes uerò, quoniã ex his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig. niseſt idearum participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam tamen nondūin eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius diſtinguitur,nondumin eam , quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu , quibus propriè anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt ,effentia rudis. HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum interit,ut in Parmenide dictüeſt, quan doquidem motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit racionā ,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò dicitur deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos materia eſt,quam Platoin Ti inro IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO. 151 I. 11 mæo temere agitatam Auitantem appellat:materia,inquam ,omni no expers formæ,ſuapte natura, acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo dictum eſt.Idautem nihil eft aliud , quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad formam ,ut Ariſtoteles inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo contraria , ut Plato ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam duntaxat ipſum nihil inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi, pſum per ſe malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam ,perquam formæ ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem ſunt. Nam per defectum totius per fectionis eftunum : ſicuti deus perexceſſum eſtunum .Ad hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur ſit unum per defectum ,eo quòd careat omni perfectione : erit etiam obnoxi generis, cùm citra auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat. Profecto quaeſtunum per defectum , & cafus abente, di citurmateria: quàuero eſt obnoxii generis,dicitur ſubiectum , pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde & Plato ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem cognomentum materiæ tribuit,quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm utThemiſtio uiſumeft : cui placet,materiam eſſe earum rerum , quæ nondum faétæ aut ortæ ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu :quo fieri,ut materia fit cum priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum firmitatem , tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt,ut Ariſtoteles inquit. Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps: quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum &appetibile ,ut Ariſtoteles inquit.Hisita perſpectis, pa. tet materiam ,quà eſtunum ,per defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia Parmenidis. Nã uia generationis,priorineſtmateriæ appetitusformæ , quàm forma. Forma autem ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm Parmenidem , idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum. Amorigitur,hoceft formæ appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas participacionesmeritò dicitur antecedere. Dictú Auñ eft hactenus, quid GitChaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſ N 4 152 *** * 1s cÌ CATANE1 DIA CETII fimus; atqid tumin mundointelligibili,tumin anima, tum in mun do ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt , quæ ex amore nobis eueniunt. Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ purificationes. Animaenim dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno inficitur , neglectis plerunq; diuinis, quorum cognata eft :quodin decimode Rep. diuinus Plato indicat, dicens, animas quæueniuntin generationem , ſumpto potu ex Amelita flumine ad CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com mércio animis alioqui diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum . Reuocatur igitur anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum ,miniſterio uirtutum ,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter materiæ for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu dicit, perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando @ ex alñs,ſignificans uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo amorcauſanobiseft uirtutumomnium ,quarum beneficio maxima bona conſequiinur, hoc eſt, ipſam ſapientiam . Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum .Veritasenimpræ ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ , inftarauri quod igne defæca tur. Quod & Ariſtoteles quo & clara uoce afſeritin ſeptimo deNa turali auditu. Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut fiant expetibilia: hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum nonexpetere idipfum , quod ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur proſequutio. Appetitus enim principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio libro de Ani ma progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam refert. Voluptas autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit proſequendi expetibilis , Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat animam ,utetiam profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab expetibili uix commo ueatur , iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti uirtu tem , (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din fatetur Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo fimiles facit. Vnde & Plato in Theäteto , Fu. ga , inquit , hinc ad deum , iplius dei fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia & ſanctitas cum prudentia præſtant. His ita perſpectis , uidere poſſumus ; quomodo amor uirtutum cauſa . lit. Quod Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit , reuo cans IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 23 3 3 čansnosà turpibus, præter hæc æmulátio ad honeſta inultans,no- , bis fternit muniti uiam ad præclarè rectei uiuendum . Altera e nim dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando extrema, ſem per habet ob oculos mediocritatem .Quoeuenit, ut quicquid magni præclarię efficimus, horum ope efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in nobispudorem excitat, aut ſuſcicatçmulacionem : Amorenimuel abiectiſsimum quemq,licgnauum reddit ad uirtu tem conſequendam ,ut numine percitus uideatur. Amorquoq;fica mans amatúmque inſtruit,utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab altero ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt , Amoremuirtutes ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo &ratione. In præſentia uerò adſtruendum ,ex eodem quo que eſſe cum purgatiorias,tum etiam purgati animi uirtutes : quarü beneficio ſapientiæ acfelicitatis participamus. Cuius quidem rei Al ceſtidis atop Achillis fabula admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe prius, animam trahi in generationem affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis impura redditur:aſcendere uerò ad diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile,in quo nihilconitantiæ ,nihil firmitatis inuenias. Atuita intelligibilis ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius agemus in fequentibus,ubi declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit, quid ſibi Plato uoluerit in decimode Rep.dicens, a nimas in generationem deſcendere per Cancrum, per Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia uerò fatis ſitgeminum huncaf fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam fabulæmy ſterium aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum ,pro eo mori uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam reuocarunt. Alceſtidem puto eſſe animam , quęiaminue ritatem incumbat. Admetum uerò credo ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera intelligibilia excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti nequit. Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili uita , in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt ,quà exuit ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur.Namexuere uitam ſenſibilem ,nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat expetibilisproſequutionem . In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus enimhuiu £ ک 294 FRANCISCI CATANEI DIACETII ! modinonin purificatione,fedpotius in ipfa puritate conſiſtit. Purifi 'catio enim motio quædameſt. Atpuritas motionis terminus. Con fummatio igituruirtutis potius in termino motionis , quàmin ipſa motionecõliſtere debet. Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua quidem diſcimus etiam abipfo ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt &longèmaximū,& quod longo uſuacdiuina quadam ſor teuix comparatur,neceſſariūtamen ad fapientiam felicitatem con fequendam ,ita paratuminſtructumós eſſe ,ut corporeas tantùm fen tias affectiones,cetera prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos Orpheumimitatus, exiſtimat, dum ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in ueritatem patere aditum . Hicenim ſenſibilium notionibus,qua tenus ducuntadueritatem ,uti nequit, ſed quà ſunt duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit ,utumbras,hoceft ,fimulachrū Eurydices captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum fürentibusfae minis dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid euenit animæin puritatem iamredactæ . An talem uiteſtatum ſapien tia ſequituradhæſioc in deum , quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo utitur ſenſibilium ad ueritatem conſequendă. Namſenſibilia imagines ſunt rerum diuinarum. Vnde et Plato in Ti mæo idem fermètribuitanimædiuinæ ingeniū,quod priusin mun. di corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo ſenſibilium :quorum notiones in ipſa intelli gibilia excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones ,ubi primumintelligibilia conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis oratione agendum nobis eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli ( fabula nosadmonet. Achilles,inquit,mortuo Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus, non ſolum in uitam reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi habitandas.Patroclum puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia adminiculo ſenſibilium . Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus eft Patroclusamans, id eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium notionibus indigeat,quibus innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui deſinantelle animæad intelli gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles dícitur. Dij uerò huncuolunt reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus ſenſibiliú fiuntobuia ipſa intelligibilia :unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas euenit & bonum ,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An ſi comparetur uisintelligendi ad id quod intelligitur, longè I melius IN 155 SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili,ſcientiam uerò intellectui ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones, quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas : Pen dencenim à ſenſibilibus,ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ . Plato igitur quando dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum .Hæfanè intelligente animalongè ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim ,ut rectè inquit Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſtutrunca contemplari. Quandoqui demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum , ſicuti etiã ſenſus, &rei ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod inquit Plato, Amans propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore agitur. Verùm quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi amatum , in gratiam amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin gratiam amati, nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem , abijcere uitam fenfibilem ,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiadueritatem compa randam ,irritæ ſint: Amatumenim ſenſiliūnotionesſignificat. Quod exeo aſſeritur, quoddictum eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx , filieimpedimento ſenſibilis uita . Amatū uerò moriin gratiamamantis,ſignificat notiones ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem intueatur : quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere notiones ſen lilium , intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem , ut notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit , a matū pro amante,hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato ,hoceſtAlceſtidē in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad maiorem honorē cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia ,uerumetiam ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt ,Achilliin uitam à dis reſtitu to beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam reuocari ſatis fuerit. 257 2 156 IN SYMPOSII SECVNDVM SER: MONEM QVI PA VSAN IAE TRIB Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pauſania dictum eſt, totidemeſſe Amores, quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem , quideaſit:alioquiphiloſophia amoris( quod qui dem in præfentia quærimus ) lateat nos neceſſe eſt. Plotinus igitur putat, Venereineffe ipfam animam , proindecaulamamoris efficientem . Sunt etiam & alij, qui aliter ſen . tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia dimittere conſilium eſt. Vir enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt rationi bus,quam putateſfeueritatem ,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter aſſentior, qui credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento , in Phædro dictum eſſe furorem amatorium , & optimū effe furorum omnium , & ex optimis.Exoptimis quidem , quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur, optima ac præſtantiſsi ma eſtomnium , quæcunq ſenſui offeruntur: nam & exquiſiciſsima diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, & ſenſui omnium perſpi caciſsimo ficobuiam .Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel fi nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles ſint,ut Ariſtoteles inquit :præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus, quippe qua exquiſitius cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad intelligentiam traducere folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod &Ariſtoteles indicauit. Nam & in tertio uolumi ne eius libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, & in primo de Moribus adNicomachum , Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus eſt in anima.Patet igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine ſenſibili excitetur,quę optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe facile dabit is, quem non latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt Amor,indagancibus bonum obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus in ueſtibulo occur rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur ſen fibili pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem intelligibilem dirigitur , huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, utPlato inquit in Phædro :quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui Veneremcomitatur,pulchrorum dux puero. rum , IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 157 . 5 rum , eorumſcilicet animorum , quos pulchriuehementer prouocat {pectaculü :quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in . dicari : Nuncuerò quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt . Quod pulchritudo ſitex eorumnumero, quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat eius qualita tis , quæ uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam &pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur extenſionem , ſed temporis puncto ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft & alia qualitas uilibilis ,quæ tanquam imago acflos ellenti alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id igitur quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago acfloseſſentialis per fectionis,alliciens rapiens in bonum ,reuera eſtPulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum appellatur. Cæterum pulchritudi nieuenit,ut delicata,utiucunda,utamabilis ſit. Delicata,eo quodfe. quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat. Amabi. lis ,eo quòd allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon ſint, quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo.Eſto pulchrum omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim . Quid tum poftea.Num continuò ſequitur,bonum quidem genus ef ſe ,pulchrūuerò ſpeciem ? Alioqui& ſapiens,& iuftum , & perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft,ficédecęteris: nõtamen uiceuerſa.Nūcuerò neck perfectum ,negiuſtum , ne s fapiens boni ſpecies ſunt,alioquieſſent quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum eſſegenus,fiquidem genus totum eſt : totum uerò partibus obnoxium: Siigitur unum eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque impartibile eſt, quemadmodum in Sophiſtedeclaratur.Sedagedum ſidetur bonum eſſegenus, quídnam id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo patere poteſt, quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ beneficio uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio motusanima eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio formæ ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis autem non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici poſsit, perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum ,neminem inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt. Nónneignieſseignem ; 158 FRANCISCI CATANEI DIACETII bonumeſt:Atquis ambigat per formam ,quieſt actus, ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe uiuens, bonüeſt:Ve rùmalterūbeneficio uitæ ,altera beneficio motus, quorūutergeſta ctus,id euenire palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē bonüeſſe,uiciſsimo bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat, pulchrumàbono differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit inficias,fibonuminuniuerſum accipiatur, pofſe dari, gracia diſſertationis,idipſumgenus effe :contender tamen,fedebono uerba facere, non quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur, fed quatenus particulare definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem rerum perfectionem . Atque id quidem affirmat recta ra. tione . Nampulchritudo ingenium modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa rationeexploditur.Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo , reuera intima:quod ex co aſseritur, quoniam unumquodąeſſentia conſtat. Hinc quidem uidere poſlu . mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis . Ideas enim ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin ideas diſtinctumeſt : quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat Theoremata non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere,ubi nam&quo pacto lintideæ . Vtrumânt in eo ,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto ,uel totum in partibus, uel pars in parte , uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit. Namgenus &ſpecies totius partium ( habent ingenium . An ex diuiniPlatonis fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex . Anuelutiforma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt, quando alterius beneficio noneſtactu . Sed neque tano accidens in ſubiecto . Quis enim contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra foliditateseſse perſpicuum eſt,utignis, & terra, & cætera generis eiuſdé:Non ſuntquoq tanquãin caufa effe. ctus , quandoquidemeſsentpoteſtate. Nücuerò ideæ acti funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod perfici debet? Namper feanimal uita ipfa ,non ideis, tanquam actu animaleſt. At nequetanquam totum in toto , neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt . Non enim totum ſunt ideæ , quoniammultitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò unumeft. Nónneſi tanquam partemin parte IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 159 1 parte eſſe concedamus, oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm ideas,alicuius totius partes eſſe : Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe animal:Reftatigitur, ideas eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes. At id eft, quodin Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot formas mūdo èxhibere, quot fpe cies mènsuideratin ipſo per ſeanimali.Quemadmodum enim forme quas mundo exhibuit mundiOpifex , continentur in mundo , tano in toto partes:ficetiam ſpecies, quas mundi Opifex eſt imitatus,in ip ſo per le animalicontineri pareſt. Abipſo autem per ſèuno procedit primò ens: quodintima functioneabfolutum , quæ uita dicitur,fit per ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio cùm totum ſit, in partes quoce diſtribuatur neceſſe eſt . Totumenim& partes ſimul ſunt. Quapropteripſum per ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi ideæ ſunt.Ex quoli cetadmirari nõnullos:quicõminiſcunturideas aduenire extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü informi naturæ . Quo genere peccarenul lummaius poſſunt, qui amant uideri Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio quempiã laceſſendi ( quod à uiro philoſopho alienum ſem per duximus) fed quoniam ſunt nonnulli , qui dum alteros auidius quàm decetinfectantur,nõ cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui. Nãduxnoſter Marſilius , etſi alicubi dicitideas excrinſecus accedere, Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt patere arbitror, primā pulchritudinem non efle ideas, quemadmodumnonnulli ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt. Plato in Timæo di cit mundum eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse autemalicuius ſimulachrum , quodratione ac fapientia ſola compre, hendi poteſt:adhæcmundumpulcherrimum natura opus optimum que eſſè :effe , inquam , animal animatum intelligens.Ex quo intelli, gere poſſumus, de Platonisfententia,id exemplar quodmundiOpi fex eſt imitatus, tūanimal eſſe, tum etiã pulcherrimum . Quapropter pulchritudinem primò eſſe ipſius per ſe animalis,non idearum : nam ipſum per fe animal ideas antecedit. Adhæc, ſi pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ perfectionis : intimauerò perfectio ne ipſum per ſe animal fit : quis non uidet,ipſius per fe animalis prima pulchritudinēeſſe : Quomodo igitur idearu : Dehis tum paulo poft diſſerendūnobiseſt , tūetiã in libro de amore ſatis abūdediſſeruimus: Hactenus oſtenſum eſt, quid Venus ſignificet, quid ſit pulchritu do ubiſit.In præſentia uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia B 160 FRANCISCI CATANEI DIACETII ſitamoris,an potins finis.Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen tentia ,pulchritudinemeſſe materiam amoris. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non tanquam principium efficiens eius actus qui eſta mare , fed tanquam obiectum .AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò ſuntmateria, circaquam actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea Venusdicitur amoris mater.Nam materiam eſſe tanquammatrem ,efficiensuerò tanquam patrem ,con tendunt Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum . Sed non poſſum non uehementer admirari, quihæcproferunt in medium , uiri alioquigra ues &magni, &quos arbitror nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent adintegram caſtamos Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam . Non ſolum enim quæ dicta ſunt,Platoni Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi, pugnant quoque&his quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in ſextodeRep.libro dicit, fjs quæ intelliguntur inefleueritatem :intelligentiuerò ineſſeſci entiam ,ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa ſit intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do ueritas ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem :Veritas enim ſci entiæ longè præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin undecimoRerum diuinarum , Expetibile, inquit, &intelligibile mouetnonmotum , quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur. Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc:Mouet icaqz tanquamamatum . Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs finis ipſius habere ingenium . Siitam expetibile &intelligi bile mouetut finis, pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe poterit: Atprimapulchritudo ſoli intellectui eſtobuia,quemadmodum oſtēſum eſt ,cùm fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam eſt ,bonum au tem quà bonum ſemperexpetibile.Poſſent &alia multa afferri in me dium ,quibus oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ eſſe materiam actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs, qui uel breuem deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò &rationi recla mat,obiectum ueluti materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id ex quo ali quid fit .Nó fiūtaūtex obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie éta . Quo euenit,ut obiecta materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt, quandoquid exeo appetimus quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea quòdexpetimus.Expetibile autē obiectõeſt,quo fit, utbonum IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 16i 2:13 I utbonum obiectum ſit:Gaddas,obiectüeſſemateriam ,bonum quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione aſserendum , bonumipſummā teriam eſſe : Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi, tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies fit :bonum ueròde pulchro tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt bonum ,bonumuerò materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter meaquidem ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia : quo pacto Amorem exoriridicendum eſt : Anubi primumcognoſcendi facultas,pulchritudinem utdelicatam , ut iucundam ,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur .Appetitus enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat ſibi adeſse ac per frui delicato , iucundo ,amabili,utinde plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui quidemreuera Amoreſtappellandus,hoceft,appetitus &deſideriū perfruendæ pulchritudinis.Huius deſiderñ efficiens cauſa,uiseſtap . petendi:pulchritudo illud ,cuiusgratia. Quænam uerò materia ſit, in Socratis oratione declarabimus,exponentes, quid nobis per Peniam fit intelligendum , quam eſſematrem amoris affirmat Plato . Quod quidem euidens argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſemateriam amoris.Nunquam enim dicit Plato , Venerem ( quæ pul chritudinem ſignificat ) matrem eſse amoris , ſed potius amorem co , mitari ſequio Venerem ,quippe quiVenerisipſius eſt ,in Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius, non materiæ . Nonnulliſunt, quidicant,quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere id quod ab eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē hocipſum dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione lubnititur ( cognitio autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter deſideransacdeſideratum congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem nequit, utidquod deſide. ratur,à deſiderante quodammodonon participetur. Alioqui nulla eſſet inter utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē ſen tentia cómentitiử hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur. Cuius rei indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis deſiderat. Quo fit,ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe àqua cognitio ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid cognitione priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis. Sed fortè dicent,nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint,deſiderãs,quàdeſiderans, merito cognitionis cognit 1 3 162 FRANCISCI CATANEI DIACETII habere quodämodo poffefsionem illius,quod delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua cognofcit.Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali zrei cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit.Vtrūuerò id affequemur,alñ iudicabūt.Nobisſatis erit afferre in mediū ,nõ quæ adeo premất alios,eospræſertim ,quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari:fed quę caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere arbitramur.Quod quidem ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē. Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè poſsitambigere.Cognitio.n.inipſum cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio nullā habet cumuiſione affinitatem . Non enimqui poſsidet quodãmodo intuetur, ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum quod poſsidetur. Quoeuenit, ut poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis. Siigitur cognitio uifionis imitatur naturam ,poffefsio uerò non imitatur, quo pacto dicendum eft ,cognitionem eſſe poſſeſsionem . Adhæc,uerum & bonūnonidē funt.Quod ex eo patere poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In uerum dirigitur cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi.Ex ueriperceptioneaſseueratio certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu ( uoluptas. Si igitur cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret,uoluptatisquo particeps fieret. Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté cognoſcentem no perficit,fed appetētem .Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin miſto quodã ex lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia intellectum :altera uerò,hoceſtuoluptas , uoluntatem perficit. Sed de his infequentibus comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą deſiderat,huncipsūnon poſsidere ,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In preſentia uerò declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo auteſse autdici debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur fimilia ſunt,aut propterea dicuntur ſimilia , quòdcerto quodã tertio participent ( cuiuſmodico, plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non tamé uiciſsim :quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo uiuentem Socratem quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis contendet,uiuentē picto auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè inquit Plotinus.Sen lilia quoqhocpacto intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil cum eisha bentcõmune,niſi nomen. Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide Timæocz teftatur. Ex quo Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè diluitur. Quæcũçaūt ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt, & cætera generis eiuſdem , fimilia & ipſa dici poffunt, tū ijs quærecipiuntur,tumis quæ efficiunt.Horum eniin 11 IN SYMPOSIVM PLATONIS EN ÅRRATIO. 163 be Inic enim poteſtas quædam ſimilitudo uidetur eſſe. Dicitur quo &effi ciens finiſimile, quoniã efficiensomne à fine mouetur: illius enim gra tia omnia ſunt. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerūdiuiuarū ,Ěx petibile,inquit, & intelligibile mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat. Quod paulo poſtexpreſsit,dicés: Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq expoſitis,uidendū eſt, quopacto deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt, cuius ſimilitudinem meritò fibi deſiderati inſit poſſeſsio.Non eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur, quoniã tertio quodamparticipent. Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc pacto ſimiliaſunt,quando in tertio cócurrunt. Atdeſideras &idquod deſideraturita fe habent, ut idquod deſideraturnomotūmoueat,deſiderãs uerò moueatur:Quo euenit,ut ſecus id , quod deſideratur, deſiderāti: ſecus autem deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit. Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò &id quoddefideratur non ſimili côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ quoq nõ participare : Non ſunt quoqz ſimilia ,eo quòd alterü alteri duntaxat ſimile ſit:alio , quiaut alterum alteriusſimulachrū imagóą eſſet ,autfaltē imitaretur. Nuncuerò neutrūaut alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt, quo recipiensautei quodre cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur. Neutrumenim recipientis habet ingeniū, quandoquidem alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud cuiusgratia efficitur. Reſtat igitur, fi qua eft ſimilitu do ,utdeſideras &id quod defideratur propterea fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft efficiés . Quã quidē fimilitudinēnemoeſtomniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse:Quoenim pacto eo côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur . Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem . Nã propterea effici ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem ,nulla finispoſseſsio eſt:finis enimpoſseſsio actu eft,poſse aūtmoueripotencia. Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu : do poſseſsionēdicit . Adhæc lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod deſideratur,id quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet quogiãactu &uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt afseruerit,deſiderãs quà deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate:Nãdeſideriūmotio quædã uidetur, quãdo motionis pricipiūelt.Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē ſimulmoueri,acno moueri.Quod fieri nulla ratione po teft :Ěxhis perſpicuñeſse arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur pociūdi illius : quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt autem 164 FRANCISCI CATANEI DIACETIÍ quam uehementiſsimeſingulaſibibonumadeſle. Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit, cuius non fuerit &cognitio.Hæcquidem cognitio no intelligencia eſt,non ratiocinatio ,non opinio , ſiue cogitatio,nõ ſenſus aliquis, ex his quos particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula enim ftatimquàmfunt, intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem ,unde uenerunt,libieſſeproperandum , indebonumuberri mèadfequutura.Hicquidem ſenſus, quem IntimūNaturęgsappella mus,principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită intelligēciāõpro cedat.Nãuita intelligentiaõprogreſsioeftin bonū.Progreſsio aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim , quàmeft,præféntit ex auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt. Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis & ipſiusauctor eſt. Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus.Effentie, in quit,animæ ipfiusingenitaquedamineft deorum cognitio ,omniiu dicio melior,antecedens electionem ,ratiocinationem , demonſtrati onem omnem : quæ quidem interexordia inhærens in propriam cau fam ,coniúcta eſt cumeo animæappetitu ,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi, meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium , quaſi abextima intelligentia dirigantur .Namfieri nequit,utextima fit cognitio,appetitusuerò intimus. Appetitus enim cognitionem fequitur,eiuſdemqz rei eſt cognoſcere & appetere. Huncienſum ue . teres Magiobſeruauere, hincopera ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus quietum acline ſtrepitu appellauit . Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla indiget ope externorum , fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat . Qua propter mea quidemfententia , quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas ſuã habet ſentiendi facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi facultatē uolūtas, quibus nitătur ( alioquin he quidé quod reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico deſiderio cöplecterentur) fic & cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum dirigūrur, ſuāhaberecognitioné ( quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü præſentiatur,neceſſe eſt.Hecquidēcognitio quéadmodūnā 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 169 eſtbonipoſſeſsio ( alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius poſsidēdi principiū :pari ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem . Quo fit,utrecta rationedici nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête cognitioneſubnicatur, quaſicognitio ſitpof feſsio quædam . Quomodoautemnon folùm Amor, fed appetentia omnis,media ſitinter idquodbonum eſt,atquenonbonum : quidper Porum , quidper Peniam Amoris parentesdiuinus Plato ſibi uelit, in Socracis oratione uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus Pulchritudiném eſle Amoris finem , non materiam : declarauimus quoqs Amoremnullam habere pulchritu dinis poſſeſsionem , quemadmodumnõnulli comminiſcuntur . In præſentia declarandum eſt,quænam , qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem declarato,uidebimusquinam ,qualéſoamores ſint. Fi eri enim nequit,utcitra pulchritudinem ſit Amor. Vbiigitur fem per pulchritudinem fequitur, non ſolùm totidem eſſe amores, quot ſunt puichritudines, pareſt: uerùm etiam expulchritudinisingenio amoris eſſencia ,uires, opera ſuntæſtimanda. Sediamrem ipfamag grediamur. Rerum genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum . Rurſus intelligibile in partes duas diuiditur, in clarum ſcilicet &ob. {curum .Intelligibile clarum dici poteft, quod ſuapte natura obuiam fit intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi funt ideæ fiuemundus in telligibilis, ac liquid aliud tale eſt, quod non indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò intelligibile ,quod nonnili in claro intelligi bili apparet: cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid participant firmitatis.BrõrinusPythagoricus in eo libro, qui de Intellectu cogitationem inſcribitur,Cogitatio ,inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut & cogitabilemaius intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft ,citra compoſitionem ,id quod primò intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim citra partes, citra compoſitionem aliorum primum . At cogitatio tummultiplex eſt , tum partibilis,id quod fe cũdo intelligit:ſcientia enim demonſtrationeớ nititur. Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia demonſtrabilia ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem comprehenduntur. Ex quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud ſignifi cari, quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum. Obſcurūuerò per illud , quod dictur, Scibile ,demoſtrabile, uniuer ſale. Nam cogitabilia omnia, cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata,non attinguntur quafi recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro intelligibili:fed per rationem , & quandam ,ut fic dixerim ,ab ideis declinationem acdeſcenſum . Suntautē mathematare uerafluxus eorum generum ,quæcuque 166 FRANCISCI CATANEI DIACETII rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium , idearum imagines, ex empla ſenſibilium ,eandem habentia ad ideas comparationem ,quam habétumbræ &imagines in ſpeculis aduera corpora,quę& àcorpo ribus profluunt, & in eiſdem ,& beneficio eorundem , ſenſui fiuntob uiam.Sicutig &mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, & i, dearum beneficio habéntfirmitatem . Sicuti autemipſuminelligibile in clarumobſcurū < diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum eſt.Senſibile clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam , quodą ſuapte natura opinabile eſt, utcælum ,ut elementa , & reliqua corpora naturalia . Obſcurum uerò, quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet tamen ex corporenaturali tū quatenus fit ,tumetiamquatenusapparet. Hæcſunt corporum natu ralium imagines ac ſimulachra, quæ & à corporibus naturalibus pē dent, &citra eadem ſtatim dilabuntur,necſenſuifiuntobuiam . Hu iuſmodi autemſunt umbræ in aquis, in ſpeculis @ imagines. Addunt Syneſius &Proclus, eſſe quorundam corporum naturalium profu uia ,ad certam intercapedinem integrum feruantia characterem .Quę nõambigunt mirisquibuſdã machinis à Magis impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm & ipſa ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas Tarenti nus in eo libro,cuide intellectu & ſenſu titulus eft,quæcunqdicütur eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri uoluitàde, terioribus ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē tur.Diuinus quoạPlato in fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus, qualeſas ſintä animænoftræ uel habitus uel facultates, qui. bus uniuerfam illam rerum diſtributionem cognoſcimus.Quæom nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur . Nam ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur,noneftcurhæſitemus intelligibilis generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul,necinter diuina cõnumerabimus ( quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat manus extremeratio ni : proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris ſit, media quoơſciệtiãeſſe,cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt, ut credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur. Quid enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO 167 1 &umeft:Intellectus fortè diuinum quiddameſt &impatibile. Quin etiam nihil prohihet,inquit,partem animæ aliquam ſeparari:liquidē nullius corporis actus eſt.Præterea & illud :deintellectu autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud genusanimæ eſſe időzſeparari,tan quamæternumà caduco. In primoautem de partibus animaliumex erta uoce ait:Naturalemphiloſophum non de anima omnidiſſerere, quandoquidem non omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene ratione animalium ,folam mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe , cùm eiusactio no communicet cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum ( quêpleriq falsò fextum au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo) Naturalis, inquit,ip . ſius eſtnon omnemanimam contemplari,ſed quandam ,quæcunque non ſine materia fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur : Vita,inquit,poteſteſſe optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud:nobis autem fieri nequit. Ex quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis contemplationem de intellectu ad facultatem naturalem non pertinere . Proinde aliam quandamſcientiam eſſe, quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque Plato anima ipſam , quando ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin de intelligibilis generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum Platonis ,in quo multa de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura tituluseſt:nosutią quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi uotum, naturę opera contemplari: ficquoqzimusinficias, quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim præ ſe fertilledialogus, quæ naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò commiſcerimateriasobrjciendum eſt. Fuite nimoperæprecium de iis etiam fieri meditationem , quorumopus, & organum natura eſt . Huncautem eſſe diuinū opificem ,diuinamą. animam ,Plato afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem animam ge neris intelligibilis effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata ſunt:fed talis potius,cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis necalieno indiget adminiculo ,utmaneat, & fuapte na tura intellectui fit obuiã. Eftenimuera & abſoluta participacione, quicquid per femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui ipſius,tumalterins dicatur eſſe,ut rectèin quitProclus. Siquidem ipſius, quòd eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem , quòdin corpus propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit,utalteram quãdam animã producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur, quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum , quæ cunque cum materia commnicandæ ſunt . Hæc in præſentia de 268 FRANCISCI CATANEI DIACETII animafatis ſint:Namin fequêtibus eius philoſophiam uberrimècon. templabimur.Ergo animam rationalemègenere intelligibili,irratio nalemuerò èſenſibilieſſe aſsèremus . Quod etiam Plato ſignificauit in Timxo , appellans animam irrationalem mortale animæ genus; mortale autem omneſenſui obnoxium eſt. In plenum colligere poſ ſumus,ſub claro intelligibili animamrationalem , ideasý , hoceſtin telligibilem mundum ,quamprimam quoộmentem ,primumens,ac perſe animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò ſenſibilecomplectiirrationalemanimam ,complecti & om nia corpora naturalia , cælum ,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani malia,plantas,& cætera generis eiufdem . Obſcurum uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis, & fiqua ſunt alia id genus . Adhęc & ea profluuia corporum naturalium ,de quibus paulo ante mencio nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri tudines , quot rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem intelligibilem ,effe quoqj & ſenſibilem . Rurſusa intelligibilempul chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram . Claramquidem , tum quæmundiintelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam effe , quam in mathematiscontemplari poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum animæ irrationalis fiue naturæ , tum etiam corporum naturalium eſſe dicimus : quamquidem claram ap. pellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã eft, & fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non elegans admiſcetur, nonconcionum , undequaqcompofita, undequaqfibi ipficonfentiens. Animequoqrationalispulchritudo coeleſtis acdi. uinadici poteft:quæ tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima pulchritudine ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ, tumetiam corporum naturalium ,non fine materia eſſe poteſt . Anima enim irrationalis ſuapte natura circa corpora diuiduaeft , ut Plato inquit: undeuulgarisacplebeia pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci um. Siigitur duo pulchritudinisgenera funt,cæleſte ſcilicetacplebe ium :coeleſtisautem pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi intelligibilis ſit, ſiue mathematum ,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò univerſum ſenſibile: totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter amor ,qui cæleſtis pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ pulchritudinis,plebeius & ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse appe. 1 titum . IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 169 titum deſideriumộ pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile. Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor,circa primam pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret ,ut pauloante dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non ſolumin primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis (qua uis per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen tia mundi intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud, quàm pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui fitobuiam , in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ . Huiuſmodi autem conceptus, eius facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe pulchritudinem poteft effi cereEx. quo perſpicuum eſt,Amoremeffe principium producen di,quæcunq diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit, utpulchritudinis ſemina producant extrinſecus pulchritudinem ,ni. fi & ea quoqproduxerit, in quibus apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz amoris definitio eſt,ut defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ ,uerum etiam effingendæ pulchritudinis:ut in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu ,quòd cæteriduntaxaruolup tate contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic autem ada datetiam efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm fituera participacio pulchritudinis ,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine perfrui con cupiſcit,eandem affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ ,cu, ius eſt imago. Natura ueró animæ rationalis inſtrumentum ( quam ſecundam animam appellant)habetab anima ſuperiore pulchritudi nem :fed &ipſa per modum feminis. Quandoquidemper hanc ani marationalis componit uerſatớp materiam , in qua pulchritudo per modum ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini ſuntamo res:alter, qui eius pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi bili mutuatur:alter uerò qui in eam pulchritudinem dirigitur , quæ per modum ſeminis in natura fecundamanima effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam pulchritudinem , transfert in materiam pulchritudinis illius participationem ,quandopulchritudinis ſpecta culum in ea anima effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius generationis re uera principium eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget amor. Namubi ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus habet & ipſaſempiternum , quod uita donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis imaginem . Anima enimquàanima,uicam alicui exhi р 170 FRANCISCI CATANEI DIACETIT bere debet:quo fit, cùmfemper animafit,uitam quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti conditione participare dicendum eſt. Quapropter anima om nis rationalis,habet corpus æternum , quod Vehiculum appellant, cuiſemper uitam imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan quamPlotinus &lamblichus credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ ſine corpore fit. Sed dehis alibi latius. Ariſtoteles quo in fecundo libro deGeneratione animalium , Omnis, inquit, animæ ſiueuirtus,ſiuepotentia ,corpus aliquod participare uidetur, idő magis diuinum ,quàmea quæ elementa appellantur. Ex quibus uerbis colligere poſſumus,Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio nalialiquod effe corpus,quod cæloproportionereſpondeat. Quod etiam Themiſtius in ea paraphraſi, quam in primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis affirmat. Quapropter in omni ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter pulchritudinemin telligibilem ,alter ueròſeminalem explicare in corpore materias af fectat. Quo euenit,utinanima omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam & plebeius. Habet & alia ratione utrun amorem animano ſtra.Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie excitata præcipitatina moremexplicandorum feminum ,proindeq pulchro illo potiri im potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani mamgenerationi huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem pulchro nonadgenerationem , ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem in diuinam pulchritudinem reuocatur , unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille uerò ſummopere uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet : declaratum quoque quid fit pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps : quòdpulchritu do noneſtamorismateria,fed finis : quòd nonelt idex , necin ideis: quòd amor nullam habet pulchri poſſeſsionem , ſed potius mer dium tenet locum inter pulchrum atque non pulchrum : quod to. tidem ſunt amorum genera , quot pulchritudinum : quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur , quo fit ut amor partim plebeius , partim cæleſtis ſit : quòd in omni ani. ma rationali utrunque amorem ſit inuenire , in noftra autem duplici ratione. In præſentia uerò reſtat , ut diuiniPlatonis fer e uc uc moncm IN SYMPOSIUM ENARRATIO. 170 PLATONIS moneminterpretemur.Pauſanias apud Platonem laudaturus Amo rem ,improbatPhædrum , quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is rectus honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim plexoelt,oportet,inquit, declarare nos prius, quot ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem laudedignus,qui bonus & àbono ,& in bonum . Qui uerò necbonuseſt, neqz à bono, neq; in bonum :tantum abeſtutlaudari debeat,ut etiam uituperatione ſit di gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum ,hunc ipſum bonū effe ,nemoeſtomnium qui ambigat. Contrà uerò , quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus eſt putandus. Quapropter illé reuera laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt. Contrà ue rò ille uituperandus,à quo nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt amores. Amor,inquit, femper Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet Venus,unus &Amor utique eſſet. At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo nata, fine matre quę cæleſtis Venusdicitur: altera uerò ,quæ Plebeia nuncupatur, ex loueac Dio ne progenita : propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter .cæleftis eft, illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem : alter uero plebeius, qui plebeiam comitatur.Dux ,inquit,Veneres ſunt,hoceft,duo pul chritudinis genera :ut Plotinum ,alios omittamus. NamPlotinus putat, Venerem eſleipſam animam . Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à Platone dicuntur in Phædro, Ve nerem nihil aliud, præter pulchritudinem , ſignificare. Cui quidem ſententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit illud Platonis,Furorisamatorñpatrociniū tributum eſſe Ve. neri,apertè dicit ,Venerem ſignificare pulchritudinem . Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem . Quod quidem etiam obnixè contenderem , ni magnus Plotinusmeremoraretur.Tantum enimei uiro tribuendű cenfeo ,utexiſtimem , huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio , fiue is ſitNumenius Pythagoræus,fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter homines deum facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag . nus Syrianus,quem Proclus non ſecus acnumen colic. Ergo dug Ve neres, hoceſt, duo pulchritudinis genera ſint: quarum alteramdi cit Cælo natam finematre:alteram louis Dionesof ſtirpem . Vetus eſt dogma(cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt,Porphyrius, Amelius Longinusadftipulantur)tria effe rerü omnium principia, Perſeunum ,Mentem , Animam .Aperſeuno eſſe Mentem , quam uocant Mundumintelligibilem , à Menteeſſe Animam , ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus P 2 172 FRANCISCI CATANEI DIACETIL elargiri unitatem :Mentemſiue mundumintelligibilem elargiricon ftantiam :Animamueròmotum . Rurfus ,per ſeunum quandoque Cælumappellari,Mentemuerò Satúrnum , Animam louem . His itaqz conſtitutis,poſſumus dicere,E Cælo,hoceft, ex primo rerum omnium principio, quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem , ideſt,primam pulchritudinem ,quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam ,inquam ,exipſo per reuno, quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima pulchritudo,ex ipſo perfe uno prodïjt.Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio huiuſmodi nul Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus euenit. Prodit enim ſecundum à primo , per fimplicem quandam proceſsionem ( ſicuti lumen à Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto dicimus &animam ab intelle ctu , & materiam ab anima prouenire. In toto hocproceſſu concin git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum , Mundumin telligibilemn ,Animam ipſam ,Naturam animæ inſtrumentum , Cor pusMateriam , . Infra autem noneſt deſcenſus. Vnde & Orpheus, In ſexta,inquit,progeniecantilenæ ornatum finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato.Poteft &alia ratione, acnondeteri ore fortaſſe, Veneremdici Cælifiliam eſſe. Namin Cratylo dictum eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem : Saturnum purita tem intellectus: Iouem uerò uiuentem , & perquemuita, ita ſcilicet, atis aſpectus, quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is uerò, quo ſeipſum uidet , Saturnus, quali lit pura intelligentia , in ueritatem incumbens : Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra feipſum participabilem eſſe .Qui quidem dicitur mundi opifex , quandoquidem mundi principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem uita , quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui in ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo ante appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur , quandoquidem principi umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia dici poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc habet originem. Nam hicſenſus princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium pulchritudinis. Pul chritudo ením uitam fequitur,ut dictumeft. Eft autem fine matre: quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo longè materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platonediſſentire,qui dicit, Veneremcæleftem Saturni ſtir pem IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO , fo pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam ,quæ àprimo intellectu procedit.Sed hęchactenus de cæleſti Venere.Nuncuerò de plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe, afferens habere matré,quãCæleſtis Venusnon habebat. Iupiter ſig nificatMundianimā, quemadmodūpatet ex his ,quædicútur in Phę dro.Magnus uciądux in Celo lupiter,citans alatū currum ,primus incedit,exornans cuncta,prouide diſponens. Huncſequitur deo. rumdæmonumą exercitus,per undecim partes ordinatus. Solà autem in deorumædemanec Veſta.Ex quibus uerbis palàm effe po teft, louemeſſemundi animam . In Philæbo quoque dicit Plato, In magno loue eſſe regium intellectum , eſſe & regiam animam : lig. nificans,mundi animam tumuninerſaliintelligentia,tumetiam uni uerſaliuita præditameſſe. Ergo Iupiter mundi anima eſt; ſecun , dùm Platonem . Dione autem Materia dici poteſt. Anima enim quælupiter appellatur,mundumproducere debet. Mundusautem materia indiget. Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim pliciter,fed ex ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia fit neceffe eft. Vnde &Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex ſuppoſitione. Plato quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id eft, ex materia eſſe conſtituium : quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima mundum producere debet , mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut Dionérectara tiónė diči poſsit :quandoquidemand trüdros,hoceſt,à loue trahit ori ginem.Eft itaque plebeia Venus,louis Dioneső filia :quoniam ſe minaria naturæ pulchritudo tum pendet à mundi anima , cuius eſt inſtrumentum ad generationem , tum etiam materiam mundo ne . ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater, quòd ſuopte in. genio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia; quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria ſeiungiturubi , ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac plebeia, duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem ſequitur. Diuinæ pul chritudinis Amor diuinuseſt : qui non folùm diuina pulchritudi: ne perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per mo dum feminis. Plebeiæ pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem principium eſt generationis , quando pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi exprimere nequit, citra formarum omniumexplicationem : Sed ambigi poteſt,quo pacto dictum ſic, quot ſunt pulchritu dines, totidem efle Amores, Nónne pulchritudo finis Amoris eft : is 31 p3 174 ERIKOISCI CATANEI DIACETIT At vero quid prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut etiam nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar. Vnus enimHercules eſt: Herculisautem imagines complures. Vnde&illud Platonis in Timæo in contro uerliam trahitur,propterea, inquit,munduseft unus , quoniamex emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum imitetur : Ariſtotelescùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium ,ex tota ſua materia conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo eſſentia : non tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ fit in materia , femper amet eſſe uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ aſſumunt particulam :ut equus,utleo , & fi quaſuntalia generis eiuſdem . At ueròquæcunqextota materiafua conſtant, hæc quidem ſingulain ſingulis funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li brodeCælo agitAriſtoteles. Vnde colligere poſsumus,materia copiam ,multitudinemindicare ſingularium .Quod etiam in undeci. moRerumdiuinarumclara uoce dictum eſt. Verumenimuero de claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in Ti. mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde declarandum nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi pulchritudo finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum ,non ex eo oftendit, quòdmateria eſtuna (quemadmodum Ariſtoteles fecit ) nec.exco, quòdmundi eſsentia in corpus unum occurrat ,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim ſolus,aut maximèuſus eſt præcognofcente cauſa ,quemadmo. dum inquit Theophraſtus.Nam mundum eſse unum , acceptumre. fert exemplaricaufæ . Sienim exemplar unum, opifex unus,neceſse eft & mundum eſseunum . Nam opifexunus dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum , omnes exprimendi numeros impleat ne ceſse eſt. Alioquinon perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio nonniſi in uno perfectiſsima eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè exprimuntur , quid prohiberet , in infinituma bire : At aſserere , ab uno opifice infinitos eſse mundos , ſtupidi omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum , multa eſse quæ perfectiſsimè exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse perfe ctius, quandoquidem perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel exquiſitius in perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu perfluent:Quaproptermeaquidem ſententia, rectè adſtructum eft, Si 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 13. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse eſt &mundum eſseu num .Acexemplareſſeunum ,opificem unum , facilè oftendi poteſta Sienim multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio ex his præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem ſingula ualerent idem . Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio perfectiuseft,nónne in id ,quod eſt præſtan tius,ſemper opifex intuebitur unde & cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum . Quapropter recte dictumeſt à diuino Platone, Mundum propterea unum eſſe, quòd exemplar unumimitetur. Quo fit,ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum , quòd exem plar unumimitaretur:quando uidemus,exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe. Namomnino fierinequit, utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex unus, ifíp perfectiſsimus : cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo fimulachrorum ,autex opificis de bilitate : autex multitudine uarietateof fic. Quòdfiobijcitur, ani marum ideameſleunam , opificem unum , huncés perfectiſsimum : complures tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, & fiqua ſunt generis eiufdem , ideam eſſe unam , complura tamen quæ ideam i plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non eſſe animarum om nium ideam unam, proinde nec exemplarunum . Sed fingulas ani mas, ſingulas habere ideas. Vnde & animæ omnesrationales, de Pla tonis fententia,fpecie differunt. Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In his,inquit ,quæ ſunt ſeorſumà materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe . At intellectum ſiue rationalem animam ſe orſum eſſe ,ſecundùm Ariſtotelem facilè dabuntij, qui multis in lo cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius in tertio libro de Anima dicit de mente Ariſtotelis, intellectum illuminantem eſseu num , illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter & animarum diſcurſiones , & uitæ , ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi latius agendum eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon eſſeideam unam . Soluitur & alia ratio .Nam propterealeoniseftidea una , exemplar unum , par ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non eſt unum ac perfectum ,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim dij mundani, & cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem . Quod etiam Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens,ab homine & ſole hominem generari, Hactenusdeclaratum eft,liexemplareſtunū, quo pacto id, quod P4 176 FRANCISCI CATANEI DIACETII exemplarimitatur,unumeft, quo pacto contingitmultitudinem in cidere.Nuncuerò reſtat,ut eirationi reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines, propterea quòd concin git finemeſſeunum :complura uerò, quæ illius gratia ſunt. Nampul chritudò finiseft amoris.Dicimusigitur,id quod habetrationemfi nis,expetibile effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximèexpetibile .Quapropterquoniamper ſeunum &per febonnmomnium eſt finis ,reuera & primòab omnibus effe expe tibile. Vndeapud Ariſtotelem legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt. Significatur enim idquodab omnibus, fed pro ſua cuiuſque facultate ,expetitur,eſleid ,quodreueraac primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat appetitum , ubi plura expetibilia ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus enim ſemper expeci bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura con iuncta lint.Vbiuerò unumexpetibile,appetendigenusunumquo. queſitoportet. Quo fit,cùm unum idem's omnibus commune bo , numſit,unumquoqlıtomnibuscommuneappetendi genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt. Atqz ita in cunctis unum eſt. Præter autem id bonum ,quod cùmprimòbonumſit,omnibusadeſt,ſuntalia & bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi pulchrumeft, cuiuſ modiiuſtī , & fi qua ſuntgeneris eiuſdem . Rectè igiturà diuino Pla tone dičtum eſt,totidem effèAmores,quot ſunt Veneres. Venus énimpulchritudo eſt:amor autem pulchritudinis deſiderium . Cum igiturduæ ſint pulchritudines,altera diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia: ſintóshæc genera duo expetibilium :neceffe eft, totidem quoq; effe appetendigenera,qui duo ſuntAmores. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius, quàm quibus uiſumeft, pul chritudinem Amoris eſſe materiam . Ex his ratio illa facilè diffolui tur.Adftruitenim polito appetibili uno , contingere, ut complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt , non tamen continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam pulchritudo fi unafit , etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle , unum tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis ſententiam èffe : arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem , alterum ple bcium appellauit:quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur,altera plebeia,accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus ipſe ſitæſtimandus. Hactenus IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO, 177 Hactenus de his amoribus tranſegimus, quiomnibus animis inſunt , ſiue hæ deorum ſint, fiue dæmonum , ſiue illius generis, quodcorpus caducum ſibi induit, cuiuſmodi hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt expediendi, qui propriè hominum dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem , ſiue in diuinam pulchri tudinem reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius pulchritudo , intel ligibilis exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima eſtcu iufuis hominis pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati curam habet: ut in Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf : cung ſpecies ſortiatur, ſiue deorum uitam uiuens , ſiue cæleſtem ac dæmonicam ,fiuecorpus terrenum , elementarech nacta, totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori, etſi uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat uniuerſi facultatem , quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima omnis eft uniuerſum ,. quin profuo efficiatingenio ,ubicunq efficit. Hinc legas apud Pla tonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam diuinum ,in animantium genere , fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis conſtitutum . In ſeptimo quoc eiuſdem operis , Deus, in quit, omni beato ſtudiodignus eſt :homo uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt, hominem habereomnia in numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur dei ludo con ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus , fuo quodam modo fit uniuerſum . Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat,homi- . nis pulchritudinem ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq; huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum ,niſi quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem talisaggreditur, quodcunqobtigit,ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem , quoni amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli,materiçuicem gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò ,quoniã quandoquſą adeo inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur,ut credat ſeibi generationé conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus omnino in pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan . doquidéanimus diuina res eſt ,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria exhibitură. Amatquo & potius ſinementehomines, 178 FRANCISCI CATANEI DIACETI prudentes.Quoniam non facile eft prudentes decipere, qui mente ualentacnitunturratione.Noneftautem conſilium , ea incommoda in præſentia recenſere, quçtalesamatores ſuis amatis adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu noctub cogitant,niſiquo pacto ualeant uolup tatem explere: Vndeſiamatipauperes fuerint , ſine neceſſarös , ſine clientelis,lineamicis ,adheline omnianimi cultu , cuiuſmodi ſuntdi ſciplinæbonarumartium , ſinequibus nemo uirmagnus eſle poteft, denią fine diuina philoſophia, quæ homines facit prudentiſsimos, miruminmodum gaudent,quafiex calamitatibuseorum ſuam felici tatem auſpicaturi.Quapropterimprobandi,reiciendi,inſectandig ſunt,tanquam maximèpernicioſiac noxij, quippequigenus huma nummaximis detrimentis,bonisuerò nullis afficiant. Quid igitur mirumfi legibus cautum eſt,nullo pacto uulgares amatores audien dos eſſe, quaſi impudentiſsimiiniuſtiſsimiĝzlint: Huiuſmodi igitur ac fimilium affectuũauctoreſtilla ſenſibilis pulchritudo , quam Ve neremplebeiam appellat Plato. Trahitenim , utdictum eſt, rapitớs animamadcorpora (quodanimæmaximummalumeſt ) niſi optimi morešdiuiniacobftet philoſophia,cuius beneficio ueritatis partici pamus. Atuerò ſipulchritudo ſenſibilis ſit inſtrumentum addiuină pulchritudinem , Venuscæleſtis rectè dicitur:affectusõz ille,qui cir ca hancuerſatur, Amorquoq cæleſtis iure appellatur. Prouocatau tem ad diuinam pulchritudinem ,non fæminæ pulchritudo ,ſed ma ris. Amatorenim diuinus,cùm probè nofcat fæminamgenerationi deſeruire, in mareuero generationem expediri non poſle, abhorreat autem penitusà generatione (quandoquidem totus in diuinum in hæret)fit utiqz maſculæ pulchritudinis & fectator adeò &admira tor: quippe qui pulchro uti amet,non tanquam in quo explicet ſemi nalem pulchritudinem ( quemadmodum euenit plebeio amatori) fed tanquam inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem , ac tumdeinde in diuinamattollatur. Probat autemnon pueros adhuc mentis expertes,fed adoleſcentes, quimente ualere iam cceperint. In certum eſtenim ,an pueri uirtute præditi futuri ſint. Ille autem in pri mis uirtutem , optimum (Banimi habitum admiratur. Ergo adole ſcens ubi furentem amicumcontemplatur, quàm omni uirtutum ge nere abundet,non minus obferuareac colere debet, in omne oble quium paratiſsimus,quàmdeorum immortalium ſtatuas colendas cenfet. Scit enim cumeo diuinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibicogitandum efle,niſiquo pactoualeatomneuirtu tumgenus explicare,utdiuino amatore dignus amatus & uideatur & fit.Hactenus Pauſaniæ ſermonem explicaſſe ſatis erit. Nam quæ dicunturde Ariſtogitonis &Harmodñjamicitia,quæíz deuarijsa mandi legibus, tum apud Græcos,tumetiam apud Barbaros, expli canda alijs relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſi liumeft,quæuideanturadPhiloſophiam pertinere. Grice: “If these Italians, pretentious as some are, want to use more than one surname – their loss!” – Grice: “It was an excellent idea of  Diacceto to translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of Plato’s little dialogue on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar Florentine!” -- Franciscus Cathaneus. Franciscus Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M. Francesco Cattani da Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords: diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library.

 

Diano (Vibo Valentia). Filosofo. Grice: “I love Diano, but Italians usually take him to be a bit too Hellenic; recall that a true Roman considers himself a Troian, i. e. an enemy of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus, I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte giovanili.  Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.  Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli. Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue la libera docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista, come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.  Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di lingua italiana presso le Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi che ricoprì fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune opere.  Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945 è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista.  Dal dicembre del 1946 ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso la Facoltà di Lettere dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione aristotelica nel Veneto.  Molte delle sue traduzioni dei tragici greci sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani, interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai. Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito, dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro.  Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo Valla.  Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade, Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson, Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita culturale e artistica del 900.  Tra i suoi allievi più noti troviamo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari.  Per i suoi amplissimi studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del filosofo di Samo.  Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di analisi generale di una cultura.  Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri); “Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro, GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085 dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno, L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson, Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura). Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro, Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D. (con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti, (traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura) Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia Editore); “Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito, Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova, Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki); “La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano, Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano, Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR);  Platone, Il Simposio (traduzione e cura), Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino, Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari.  e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra. Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito, Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside, Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945); Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze, Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Diano, .  Carlo Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di Corallo", di Francesca Diano. Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Keywords: il segno della forma, il simposio ovvero dell’amore, Mario l’epicureo – homosocialite – forma, segno, convite, Orazio, Virgilio, filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The Swimming-Pool Library.

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