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Tuesday, September 20, 2022

GRICE 21

 

Grice e Floridi – informare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “’To inform’ was first used by some Roman! It surely ain’t Grecian!” -- Eessential Italian philosopher. He has explored aspects of Grice’s use of the expression ‘inform,’ ‘mis-inform,’ in terms of ‘factivity.’  Insegna a 'Ferrara. Conosciuto per il suo lavoro in due aree di ricerca filosofica: la filosofia dell'informazione e l'etica informatica.   Si laurea a a Roma. Insegna a Bari e Ferrara. Conosciuto per i suoi studi sulla tradizione scettica (scetticismo), ma principalmente per il suo lavoro di fondazione della filosofia dell'informazione e dell'etica informatica, due campi che ha contribuito a costituire. Fondatore un gruppo di ricerca interdipartimentale sulla filosofia dell'informazione. Durante la laurea a Roma, studiato da classicista e da storico della filosofia. Si è interessato di filosofia della logica ed epistemologia. Si è quindi occupato di diversi argomenti filosofici tradizionali, alla ricerca di una nuova metodologia, con l'obiettivo di riuscire ad avvicinarsi ai problemi contemporanei in una prospettiva che fosse efficace dal punto di vista euristico e potesse allo stesso tempo anche costituire un arricchimento intellettuale nell'affrontare le questioni filosofiche dei nostri giorni. Molto presto, inizia a distanziarsi da quello che Grice chiama la filosofia analitica “classica”. Secondo Floridi, il movimento analitico ha perso la sua spinta iniziale ed era ormai un paradigma sempre più debole, scolasticizzato – “specialmente ad Oxford!” --. Per questo motivo, ha concentrato i suoi interessi su una nuova fondazione dell'epistemologia. Anda alla ricerca di un concetto di "conoscenza” “indipendente-dal-soggetto", vicino a ciò che oggi definisce informazione semantica. è necessario sviluppare una filosofia costruzionista, all'interno della quale il design, la creazione di modelli e le implementazioni sostituiscano analisi frivole e esami cavillosi (e.g. sull’uso di ‘informare,’ ‘disinformare,’ ecc.) In questo modo, la filosofia ha la speranza di non chiudersi in un angolo sempre più angusto, fatto di ricerche griceiane auto-sufficienti e che interessano solo a sé stesse, e di riacquistare un punto di vista più ampio sui problemi che sono realmente determinanti nella vita umana fuori di Oxford! Così, lentamente, è giunto a prendere in considerazione la filosofia dell'informazione, una nuova area di ricerca emersa dalla svolta computazionale, avvicinandola da due prospettive, quella puramente teorica della semantica, pragmatica, sintassi, semiotica, logica e dell'epistemologia, e quella più tecnica dell'informatica, in particolare dell'etica, della teoria dell'informazione di Shannon -- e della humanities computing.  Il filosofo ha bisogno di acquisire conoscenze di IT necessarie per fare uso del computer in maniera efficace. Anche il filosofo posse essere interessato ad acquisire le conoscenze di sfondo indispensabili per la comprensione critica dell’era digitale e dunque iniziare a lavorare sulla branca della filosofia che si va formando, proprio la Filosofia dell'informazione, che si augura un giorno possa diventare parte integrante della cosiddetta “philosophia prima,” o prote philosophia della sua fase romana!. Da allora, Philosophy of Computing and Information è diventata il suo maggiore interesse di ricerca.  In PI, sostiene che ci sia bisogno di un concetto più ampio di elaborazione e di “flusso” causale dell'informazione – alla Dretske -- che includa la computazione, ma non solo. Questa prospettiva fornisce una cornice teorica molto efficace all'interno della quale inserire e dare significato alle differenti linee di ricerca. Il secondo vantaggio è la prospettiva diacronica, che permette di inquadrare lo sviluppo della filosofia nel tempo. PI fornisce infatti un punto di vista molto più ampio e profondo su ciò che la filosofia avrebbe cercato di fatto di realizzare nel corso dei secoli. Altre opere: “InfosferaFilosofia e Etica dell'informazione” (Torino: Giappichelli Editore); “La quarta rivoluzione, Milano: Raffaello Cortina Editore); “Pensare l'infosfera” (Milano: Raffaello Cortina Editore); “Il verde e il blu” (Milano: Raffaello Cortina Editore, OII: digital ethicslab. oii.ox.ac.uk,//digital ethicslab.oIEG philosophy of information.net/ pdf/auto.pdf  the newatlantis.com/publications/why-information-matters  Onlife openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luciano Floridi,.Oxford Institute, su oii.ox.ac.uk. Home page e articoli online, su philosophyofinformation.net. Intervista e lezione durante l'IoE talks (Internet of EverythingRoma ) La lecture su "Intelligenza artificiale, dobbiamo preoccuparci?" presso il Centro Nexa del Politecnico di Torino Biografia e intervista su Rai Media Mente, su media mente rai. Biografia e intervista per l'American Philosophical Association,  Cervelli in Fuga, Roma, Accenti.  Wikipedia Ricerca Informazione ciò che porta conoscenza Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il quotidiano, vedi Informazione (quotidiano). L'informazione è l'insieme di dati, correlati tra loro, con cui un'idea (o un fatto) prende forma ed è comunicata.[1] I dati oggetto della stessa possono essere raccolti in un archivio o in un'infrastrutturadedicata alla sua gestione, come nel caso di un sistema informativo. Essa è oggetto di studio e applicazione in vari settori della conoscenza e dell'agire umano.    Lista delle vittorie di Rimush, Re di Akkad, sopra Abalgamash, re di Marhashi e sopra le città elamite. Tavoletta d'argilla, copia di un'iscrizione monumentale, circa 2270 a.C. (si veda Stele di Manishtushu) Ad esempio in campo tecnico è oggetto di studio dell'ingegneria dell'informazione, sul fronte delle scienze sociali è oggetto d'indagine delle scienze della comunicazione e in generale della sociologia, con particolare riguardo agli aspetti legati alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa nell'attuale società dell'informazione (o era dell'informazione).  EtimologiaModifica La parola deriva dal sostantivo latino informatio(-nis)(dal verbo informare, nel significato di "dare forma alla mente", "disciplinare", "istruire", "insegnare"). Già in latino la parola veniva usata per indicare un "concetto" o un'"idea", ma non è chiaro se questa parola possa avere influenzato lo sviluppo della parola informazione.  Inoltre la parola greca corrispondente era "μορφή" (morfè, da cui il latino forma per metatesi), oppure "εἶδος" (éidos, da cui il latino idea), cioè "idea", "concetto" o "forma", "immagine"; la seconda parola fu notoriamente usata tecnicamente in ambito filosofico da Platone e Aristotele per indicare l'identità ideale o essenza di qualcosa (vedi Teoria delle forme). Eidos si può anche associare a "pensiero", "asserzione" o "concetto".[2]  Evoluzione concettualeModifica Col progredire delle conoscenze umane il concetto di informazione si è evoluto divenendo via via più vasto e differenziato: informazione è in generale qualunque notizia o racconto, inoltre qualunque comunicazionescritta o orale contiene informazione. I dati in un archivio sono informazioni, ma anche la configurazione degli atomi di un gas può venire considerata informazione. L'informazione può essere quindi misurata come le altre entità fisiche ed è sempre esistita, anche se la sua importanza è stata riconosciuta solo nel XX secolo.  Per esempio, la fondamentale scoperta della “doppia elica” del DNA nel 1953 da parte di James Watson e Francis Crick ha posto le basi biologiche per la comprensione della struttura degli esseri viventi da un punto di vista informativo. La doppia elica è costituita da due filamenti accoppiati e avvolti su se stessi, a formare una struttura elicoidale tridimensionale. Ciascun filamento può essere ricondotto a una sequenza di acidi nucleici (adenina, citosina, guanina, timina). Per rappresentarlo, si usa un alfabeto finito come nei calcolatori, quaternario invece che binario, dove le lettere sono scelte tra A, C, G e T, le iniziali delle quattro componenti fondamentali. Il DNArappresenta quindi il contenuto informativo delle funzionalità e della struttura degli esseri viventi.  DescrizioneModifica In generale un'informazione ha valore in quanto potenzialmente utile al fruitore per i suoi molteplici scopi: nell'informazione, infatti, è spesso contenuta conoscenza o esperienza di fatti reali vissuti da altri soggetti e che possono risultare utili senza dover necessariamente attendere di sperimentare ognuno ogni determinata situazione. Sotto questo punto di vista il concetto utile di informazione e la parallela necessità di comunicare o scambiare informazione tra individui nasce, nella storia dell'umanità, con l'elaborazione del linguaggio da parte della menteumana e si sviluppa con la successiva invenzione della scrittura come mezzo per tramandare l'informazione ai posteri. Secondo quest'ottica la storia e l'evoluzione della società umana sono frutto dell'accumulazione di conoscenza sotto forma di informazione. Nell'informazione ad esempio è contenuto know howutile per eseguire una determinata attività o compito, cosa che la rende ad esempio una risorsa strategica in ambito economico dell'economia aziendale.  L'informazione e la sua elaborazione attraverso i computer hanno avuto certamente un impatto notevole nella nostra attuale vita quotidiana. L'importanza è testimoniata, ad esempio, dai sistemi di protezione escogitati mediante la crittografia e dal valore commerciale della borsa tecnologica. L'uso appropriato dell'informazione pone anche problemi etici di rilievo, come nel caso della riservatezzariguardo alle informazioni cliniche che potrebbero altrimenti avvantaggiare le compagnie di assicurazioni mediche e danneggiare i pazienti.  L'importanza e la diffusione dell'informazione nella società moderna è tale che a questa spesso ci si riferisce come la Società dell'Informazione.  Nei vari contestiModifica Altre definizioni provengono dall'informatica e dalla telematica:  Nel modello di Shannon e Weaver, l'informazione è considerata parte integrante del processo comunicativo; La teoria dell'informazione ha come scopo quello di fornire metodi per comprimere al massimo l'informazione prodotta da una sorgente eliminando tutta la ridondanza; Nella teoria delle basi di dati (ad esempio nel modello relazionale, ma non solo), un'informazione è una relazione tra due dati. Fondamentale da questo punto di vista è la distinzione tra il dato (un numero, una data, una parola...) e il significato che si può dare a tale dato, mettendolo in relazione con uno o più dati o rappresentazioni di concetti. In un computer quindi, le informazioni sono numerabili, e a seconda del sistema di interpretazione e della rappresentazione possiamo distinguere tra informazioni esplicite, relativamente facili da quantificare (come la data di nascita del signor Rossi) e informazioni dedotte, il cui numero dipende dalle capacità di calcolo delle informazioni fornite al sistema (ad esempio l'età del signor Rossi, ottenibile mediante sottrazione della data odierna e la data di nascita). È questo un esempio di informazione dedotta esatta, ma ci sono anche metodi per dedurre delle informazioni che non sono certe: ad esempio un servizio di rete sociale può stabilire con una certa precisione che due persone che hanno frequentato la stessa scuola si conoscono o hanno conoscenze in comune, ma non può dare la certezza matematica di ciò. InformaticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Tipo di dato. I computer, nati come semplici calcolatori, sono diventati col tempo dei potenti strumenti per memorizzare, elaborare, trovare e trasmettere informazioni. La diffusione di Internet come rete globale ha d'altro canto messo a disposizione una mole di informazioni mai prima d'ora a disposizione dell'umanità. Alla base di ogni informazione in un computer c'è il concetto di dato: sebbene all'interno del calcolatore elettronico tutti i dati siano digitali, cioè memorizzati come semplici numeri, dal punto di vista umano, invece, si può attribuire un significato anche ai numeri. Per questo motivo, nei linguaggi di programmazione, spesso esistono alcuni formati specifici per indicare in modo esplicito quale significato dare ai dati. Fermandosi ai tipi di base abbiamo essenzialmente numeri, caratteri e stringhe (successioni finite di caratteri). Tali dati devono essere messi in relazione tra di loro per avere un significato; se invece le relazioni valide possibili sono più di una, si può generare ambiguità.[non chiaro]  Matematica e logicaModifica Ad esempio, 1492 è un numero che da solo non significa niente: potrebbe essere una quantità di mele (se correlato mediante la relazione di quantità con l'oggetto mela), il costo di un anello o l'anno in cui Cristoforo Colombo si imbarcò e scoprì l'America. La parola "calcio" può essere uno sport, un elemento chimico o un colpo dato col piede. In genere le basi di dati che contengono informazioni relative ad un determinato campo del sapere non risentono molto del problema dell'ambiguità: in una base dati di chimica la parola calcio indicherà certamente l'elemento chimico. Nelle basi di dati relazionali, sistemi di tabelle e relazioni permettono di organizzare i dati per poter ottenere delle informazioni senza ambiguità: se la tabella "elementi_chimici" contiene la parola calcio, questo sarà senza dubbio l'elemento chimico. La semplice immissione del dato nella tabella "elementi_chimici" ha implicitamente classificato la parola "calcio", conferendole un significato, dato dalla scelta della tabella in cui inserire un dato (la scelta della tabella rappresenta il trasferimento di conoscenza da una persona alla base dati). Inoltre, le basi di dati relazionali permettono la creazione di relazioni tra dati di diverse tabelle.  Oltre alle relazioni esplicite, ci possono essere delle relazioni dedotte. Supponiamo di avere la tabella "figlio_di": se abbiamo che Antonio è figlio di Luigi (informazione 1), e che Luigi è figlio di Nicola (informazione 2), allora possiamo dedurre che Nicola è il nonno di Antonio (informazione 3). È quindi possibile formalizzare la relazione e inserirla nella base di dati, ottenendo la tabella nonno_di senza dover immettere altri dati:  se A è figlio di B e B è figlio di C, allora C è nonno di A oppure, ogni volta che si ha bisogno di conoscere eventuali nipoti/nonni di qualcuno, analizzare la relazione figlio_di. E le informazioni possono essere maggiori: analizzando il sesso di B, si potrà sapere se C è nonno paterno o materno.  Le basi di conoscenza pensate per la deduzione sono più elastiche delle tradizionali basi di dati relazionali. Un esempio sono le ontologie.  Analisi particolarmente ricercate per il loro valore economico ai fini commerciali sono quelle che analizzano grandi flussi di informazioni per scoprire tendenze che permettono dedurre delle informazioni che hanno una buona probabilità di essere vere riguardo utenti singoli o categorie di utenti. Supponendo che Antonio abbia sempre acquistato in internet dei libri di fantascienza, allora la pubblicità che gli si mostrerà potrà mostrare dei libri di fantascienza o simili, che molto probabilmente lo interesseranno. Questi tipi di analisi possono fornire informazioni talvolta sorprendenti: una catena di supermercati in un paese anglosassone avrebbe scoperto, analizzando gli scontrini, qualcosa altrimenti difficilmente immaginabile: le persone che acquistavano pannolini spesso compravano più birra delle altre, per cui mettendo la birra più costosa non lontano dai pannolini, poteva incrementarne le vendite. Infatti le persone che avevano figli piccoli passavano più serate in casa a guardare la TV bevendo birra, non potendo andare nei locali con gli amici. L'esempio dell'associazione tra pannolini e birra è usato spesso nei corsi universitari di data mining; tuttavia c'è da precisare che non è chiaro quale sia la catena di supermercati in questione, e l'esempio, seppur valido a scopi didattici, potrebbe essere inventato.  Aspetti tecnici                 Modifica L'informazione è generalmente associata a segnali, trasmissibili da un sistema di telecomunicazioni e memorizzabili su supporti di memorizzazione.  La misurazione Modifica Secondo la Teoria dell'Informazione in una comunicazione, che avviene attraverso un dato alfabeto di simboli, l'informazione viene associata a ciascun simbolo trasmesso e viene definita come la riduzione di incertezza che si poteva avere a priori sul simbolo trasmesso.  In particolare, la quantità di informazione collegata a un simbolo è definita come   {\displaystyle I=-\log _{2}P_{i}}  dove P_{i} è la probabilità di trasmissione di quel simbolo. La quantità di informazione associata a un simbolo è misurata in bit. La quantità di informazione così definita è una variabile aleatoria discreta, il cui valor medio, tipicamente riferito alla sorgente di simboli, è detto entropia della sorgente, misurata in bit/simbolo. La velocità di informazione di una sorgente, che non coincide con la frequenza di emissione dei simboli, dato che non è detto che ogni simbolo trasporti un bit di informazione "utile", è il prodotto dell'entropia dei simboli emessi dalla sorgente per la frequenza di emissione di tali simboli (velocità di segnalazione). Quanto sopra può essere generalizzato considerando che non è assolutamente obbligatorio che ogni simbolo sia codificato in maniera binaria (anche se questo è ciò che accade più spesso). Quindi l'informazione collegata a un simbolo codificato in base a è per definizione pari a   {\displaystyle I_{a}=-\log _{a}P_{i}}  con P_{i} pari alla probabilità di trasmissione associata a quel simbolo. L'entropia della sorgente è per definizione pari alla sommatoria, estesa a tutti i simboli della sorgente, dei prodotti tra la probabilità di ciascun simbolo e il suo contenuto informativo. Nei casi particolari in cui a sia 10 l'entropia della sorgente è misurata in hartley, se invece a è pari al Numero di Eulero e si misura in nat. Dalla formula si evince che se la probabilità Pi di trasmettere il simbolo è pari a uno, la quantità di informazione associata è nulla; viceversa se nel caso limite ideale di Pi=0 la quantità di informazione sarebbe infinita. Ciò vuol dire in sostanza che tanto più un simbolo è probabile tanto meno informazione esso trasporta e viceversa: un segnale costante o uguale a se stesso non porta con sé alcuna nuova informazione essendo sempre il medesimo: si dice allora che l'informazione viaggia sotto forma di Innovazione. I segnali che trasportano informazione non sono dunque segnali deterministici, ma processi stocastici. Nella teoria dei segnali e della trasmissione questa informazione affidata a processi aleatori è la modulante (in ampiezza, fase o frequenza) di portantifisiche tipicamente sinusoidali che traslano poi in banda il segnale informativo.  La codifica dell'informazione                                         Modifica La codifica dell'informazione consiste nel trasformare un'informazione generica in un'informazione comprensibile da un dispositivo o che sia adatta alla successiva elaborazione. Il primo problema da affrontare nei processi di elaborazione dell'informazione è la rappresentazione dell'informazione. L'informazione consiste nella ricezione di un messaggio tra un insieme di possibili messaggi. La definizione esatta è che l'informazione si rappresenta usando un numero finito di simboli affidabili e facilmente distinguibili.  All'interno delle apparecchiature digitali l'informazione è rappresentata mediante livelli di tensione o mediante magnetizzazione di dispositivi appropriati. Le esigenze di affidabilità impongono che tali simboli, per una maggiore efficienza, siano due o al massimo tre: nel primo caso si hanno solo 0 e 1, corrispondenti a 2 livelli di tensione (standard TTL: 0/5 V; standard RS-232: +12/-12 V) che vanno a formare la numerazione binaria; nel secondo caso si può avere un terzo stadio, indicato come HiZ (alta impedenza), che rappresenta un livello indeterminato, causato ad esempio dal filo "scollegato".  La portata dei flussi                     Modifica Il concetto di informazione trasportato su un canale di comunicazione può essere messo in analogia con quello della portata in idrodinamica, mentre la velocità del flusso rappresenta la velocità di propagazione del segnale che trasporta l'informazione sulla linea. Al riguardo ogni linea di trasmissione o mezzo trasmissivo ha un suo quantitativo massimo di informazione trasportabile, espresso dalla velocità di trasmissione della linea stessa secondo il Teorema di Shannon.  Il rapporto con la privacy                                             Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                            Lo stesso argomento in dettaglio: Privacy. Il settore dell'informazione è un settore interessato da una continua evoluzione e da una rilevante importanza sociale. Basta pensare alla quantità e qualità delle informazioni sotto forma di dati personali, abitudini e consumi dei clienti, che posseggono le aziende. La tutela dei dati personali risulta essere argomento di controversia, tra quelli che vorrebbero un libero scambio delle informazioni e quelli che vorrebbero delle limitazioni attraverso la tutela e il controllo. Oltre alla tutela dei dati personali e sensibili di clienti, fornitori e dipendenti, le aziende hanno la necessità di tutelare la proprietà intellettuale, i brevetti e il know-how interno, in generale le informazioni confidenziali (materia che non ha nulla a che vedere con la privacy).  Note                                   Modifica ^ Giuliano Vigini, Glossario di biblioteconomia e scienza dell'informazione, Editrice Bibliografica, Milano 1985, p. 62. ^ Il termine indicava originariamente "ciò che appare alla vista", derivando dalla radice indoeuropea *weid-/wid-/woid-, "vedere" (confronta il latino video). Esso venne però ad assumere in seguito una grande molteplicità di significati (per esempio, in Isocrate esso indica il "modello teorico" di un'orazione). Bibliografia                                                  Modifica Hans Christian von Baeyer, Informazione. Il nuovo linguaggio della scienza, Edizioni Dedalo, 2005, ISBN 978-88-220-0226-6 Antonio Teti, Il potere delle informazioni. Comunicazione globale, Cyberspazio, Intelligence della conoscenza, Il Sole 24 Ore Editore, 2012, ISBN 978-88-6345-446-8 William Aspray, The Scientific Conceptualization of Information: A survey, Annals of History of Computing, vol. 7- n. 2, Aprile 1985 Voci correlate                      Modifica Asimmetria informativa Archivio Conoscenza Dati Disinformazione Diritto all'informazione Informazione classificata Infodemiologia Memoria Mezzi di comunicazione Pluralismo Privacy Teoria dei segnali Testo espositivo Altri progetti        Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sull'informazione Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «informazione» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sull'informazione Collegamenti esterni                                    Modifica informazione, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata ( EN ) Informazione, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Stanford Encyclopedia of Philosophy - Information, su plato.stanford.edu. Informazione, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Information Helps Us Understand The Fabric Of Reality Order and Disorder, Jim Al-Khalili, Spark. Controllo di autorità                                                Thesaurus BNCF 7988 · LCCN( EN ) sh85029027 · GND ( DE ) 4026899-8 ·BNE ( ES ) XX526504 (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007543387305171 (topic)   Portale Diritto   Portale Informatica   Portale Psicologia   Portale Scienza e tecnica Ultima modifica 5 giorni fa di Gac PAGINE CORRELATE Teoria dell'informazione Autoinformazione Primo teorema di Shannon Wikipedia Il contenutoFloridi. Keywords: informare, Dretske, knowing, causing, cervello in fuga; modal disimplicature, “I’m telling you”, “for your information” submodes of the indicative mode, ‘exhibitive’ and ‘protreptic’ -- influence, inform. Conversation as rational cooperation – ‘false’ “information” no information!” -- Refs.: Luigi Speranza, "Informazione ed implicatura: Grice e Floridi," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51760176198/in/dateposted-public/

 

Grice e Fonnesu – inter-soggetivo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Fonnesu; especially, on inter-subjectivity: “I cooperate with you; you cooperate with me” – or rather, “I co-operate with thee; thou cooperates with me! We cooperate!” -- Luca Fonnesu (Milano), filosofo.  Professore di filosofia a Pavia. Fonnesu si è laureato in Filosofia a Firenze con Cesa, dove ha poi conseguito il titolo di dottore di ricerca in Filosofia.  Prima di conseguire la laurea, borsista della Fondazione Robert E. Schmidt di Heidelberg. Borsista del Deutscher Akademischer Austauschdienst svolgendo la sua attività di ricerca presso il Leibniz Archiv di Hannover. Borsista ‘post-doc' a Firenze. Ricercatore a Pisa. Insegna a Pavia. È inoltre socio dell'Associazione di cultura e politica "il Mulino", membro della Leibniz-Gesellschaft, della Fichte-Gesellschaft, della Società italiana di studi kantiani, della Hegel-Vereinigung, della Società italiana di filosofia analitica e del Comitato editoriale di "Studi settecenteschi". Il professor Fonnesu è inoltre il coordinatore del Corso di dottorato di ricerca in Filosofia a Pavia, fa parte del Consiglio scientifico di Verifiche e del Comitato direttivo della "Rivista di filosofia".  Temi di ricerca I principali temi di ricerca dell'attività accademica del professor Fonnesu possono essere sostanzialmente ricondotti alla filosofia morale e alla filosofia classica tedesca. Per quanto concerne la filosofia classica tedesca tra Kant e Hegel si è concentrato sulle strutture concettuali, le fonti e la ricezione nella tradizione filosofica approfondendo inoltre la presenza dell'etica kantiana nel dibattito contemporaneo. Ha poi studiato il dibattito sulla teodicea nella tradizione filosofica, l'illuminismo europeo, la tradizione analitica e le altre tradizioni nell'etica contemporanea. In quest'ultimo ambito ha sviluppato in modo particolare la tematica del libero arbitrio e della responsabilità nella filosofia moderna e contemporanea. è un esperto di storia dell'etica.  Altre opere: “Antropologia e idealismo. La destinazione dell'uomo nell'etica di Fichte” (Roma-Bari, Laterza); “Dovere, Scandicci, La Nuova Italia); “Storia dell'etica: da Kant alla filosofia analitica” (Roma, Carocci); “Per una moralità concreta: studi sulla filosofia classica tedesca” (Bologna, Il Mulino); “Fichte, Fondamento del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza” (Roma-Bari, Laterza); “Diritto naturale e filosofia classica tedesca” (Pisa, Pacini); “La verità. Scienza, filosofia, società” (Bologna, Il Mulino);  “Etica e mondo in Kant” (Bologna, il Mulino); “Le ragioni della filosofia” (Firenze, Le Monnier); “Diritto, lavoro e "Stände": il modello di società di Fichte, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", Rousseau e la filosofia come "médecine du monde". A proposito di un saggio recente, in "Intersezioni", Ragione pratica e “ragione empirica” in Kant, in "Annali filosofia, Firenze", “Weber e l'etica” ("Iride"); Le edizioni kantiane e la riflessione "Sul senso interno", "Studi kantiani”; “Sullo stato degli studi fichtiani” (“Cultura e scuola"); “La società concreta: considerazioni su Fichte e Hegel” ("Daimon. Revista de filosofia", Murcia); “Sul pensiero di Luporini, in "Giornale critico della filosofia italiana"); “Kant, Leibniz e la "Aufklärung": ottimismo e teo-dicea, in Kant e la filosofia della religione (N. Pirillo, Brescia, Morcelliana); “L'ideale dell'estinzione dello Stato in Fichte” ("Rivista di storia della filosofia"); “Sul concetto di felicità in Hegel” in Fede e sapere. Hegel, R. Bonito Oliva e G. Cantillo (Milano, Guerini); “Metamorfosi della libertà nel ‘Sistema di Etica' di Fichte” (“Giornale critico della filosofia italiana”); “Sui doveri verso se stessi”; “A partire da Kant”; “La libertà e la sua realizzazione nella filosofia di Fichte, in G. Duso G. Rametta, La libertà nella filosofia classica tedesca. Politica e filosofia tra Kant, Fichte, Schelling e Hegel” (Milano, Angeli); “Sulla 'seconda natura' in Fichte”, in R. Bonito Oliva G. Cantillo Natura e cultura, Napoli, Guida); “Preti e le tradizioni etiche, in Parrini L. M. Scarantino, “Preti” (Milano, Guerini); “Errori dell'ontologia. Percorsi della meta-etica tra Russell e Mackie”; in L. Ceri S. F. Magni, Le ragioni dell'etica, Pisa, ETS, Rousseau tra filosofia e botanica. Una nota, in M. Ferrari, I bambini di una volta. Problemi di metodo. Studi per Egle Becchi, Milano, Franco Angeli, Presentazione, in R. M. Hare, Scegliere un'etica, Bologna, il Mulino, Presentazione, in Foot, La natura del bene, Bologna, il Mulino, Sulla morale kantiana, in C. La Rocca, Leggere Kant. Dimensioni della filosofia critica” (Pisa, ETS); Presentazione, in Foot, Virtù e vizi, Bologna, il Mulino, Etica e concezione etica del mondo in Albert Schweitzer, Humanitas, Punto di vista morale e moralità, in “Il ponte”, Cesare Luporini, Maria Moneti). Comandi e consigli nella filosofia pratica moderna, in S. Bacin, Etiche antiche, etiche moderne. Temi in discussione, Bologna, Il Mulino); “Harry Frankfurt, in “Rivista di filosofia”, Etica, in L'universo kantiano, S. Besoli, C. La Rocca e R. Martinelli (Macerata, Quodlibet); “Kant e l'etica analitica” in Continenti filosofici. La filosofia analitica e le altre tradizioni, M. De Caro e S. Poggi (Roma, Carocci); Fichte critico di Kant: moralità e religione nel ‘Saggio di una critica di ogni rivelazione', in Critica della ragione e forme dell'esperienza, L. Amoroso, A. Ferrarin e C. La Rocca (Pisa, ETS Edizioni); “La felicità e il suo tramonto: dall'illuminismo all'idealismo, in “Filosofia politica”, Libertà e responsabilità: dall'utilitarismo classico al dibattito contemporaneo, in M. De Caro, M. Mori, E. Spinelli, Il libero arbitrio (Roma, Carocci); “Genealogie della responsabilità, in Quando siamo responsabili? Neuroscienze, etica e diritto, M. De Caro, A. Lavazza e G. Sartori, Torino, Codice. Intersoggettività Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti psicologia e filosofia è ritenuta da controllare. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti psicologia e filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Intersoggettività è un concetto utilizzato in filosofia e in psicologia con cui si intende genericamente la condivisione di stati soggettivi da parte di due o più persone.  La parola è utilizzata con tre significati:  l'accezione più debole si riferisce all'"accordo", ovvero c'è intersoggettività quando più persone concordano sui significati e sulla definizione di una situazione. viene altrimenti utilizzata per riferirsi al "senso comune", le concezioni condivise costruite dalle persone nelle loro interazioni reciproche ed utilizzate come risorsa quotidiana per interpretare i significati degli elementi della vita sociale e culturale. Se le persone condividono il "senso comune" significa che utilizzano una definizione ed interpretazione condivisa della situazione[1]. infine, il termine viene utilizzato per riferirsi alle divergenze di significato condivise (o parzialmente condivise). Le auto-presentazioni, le menzogne, gli scherzi, e le "emozioni sociali" ad esempio richiedono un'incompleta definizione della situazione, con parziali divergenze nelle condivisioni dei significati. Chi sta mentendo è impegnato in un atto intersoggettivo perché lavora con due diverse definizioni della situazione. L'intersoggettività intesa come nuova modalità relazionale auspicabile tra uomo e donna ha mosso l'elaborazione non solo politica ma anche e soprattutto filosofica e persino teologica di alcuni esponenti di spicco del movimento femminista.  In filosofiaModifica Nella filosofia contemporanea, l'intersoggettività è un argomento importante nelle tradizioni analitiche e continentali. L'intersoggettività è considerata cruciale non solo a livello relazionale ma anche a livello epistemologico e persino metafisico. Ad esempio, l'intersoggettività è postulata come avente un ruolo nello stabilire la verità delle proposizioni e nel costituire la cosiddetta obiettività degli oggetti.  Una preoccupazione centrale negli studi sulla coscienza degli ultimi 50 anni è il cosiddetto "problema delle altre menti", che si chiede come possiamo giustificare la nostra convinzione che le persone hanno menti molto simili alle nostre e prevedere gli stati mentali e il comportamento degli altri, come la nostra esperienza dimostra[2]. Le teorie filosofiche contemporanee dell'intersoggettività devono perciò affrontare il problema delle altre menti.  Nel dibattito tra individualismo cognitivo e universalismo cognitivo, alcuni aspetti del pensiero non sono né esclusivamente personali né pienamente universali. I sostenitori della sociologia cognitiva sostengono l'intersoggettività: una prospettiva intermedia della cognizione sociale che fornisce una visione equilibrata tra le visioni personali e universali della nostra cognizione sociale. Questo approccio suggerisce che, anziché essere pensatori individuali o universali, gli esseri umani si iscrivono a "comunità di pensiero", comunità di differenti credenze. Esempi di comunità di pensiero includono chiese, professioni, credenze scientifiche, generazioni, nazioni e movimenti politici[3]. Questa prospettiva spiega perché ogni individuo la pensa diversamente dall'altro (individualismo): la persona A può scegliere di aderire alle date di scadenza degli alimenti, ma la persona B può credere che le date di scadenza siano solo linee guida ed è comunque sicuro mangiare il cibo dopo la data di scadenza. Ma non tutti gli esseri umani la pensano allo stesso modo (universalismo).  L'intersoggettività sostiene che ogni comunità di pensiero condivide esperienze sociali diverse dalle esperienze sociali di altre comunità di pensiero, creando credenze diverse tra le persone che si iscrivono a comunità di pensiero diverse. Queste esperienze trascendono la nostra soggettività, il che spiega perché possano essere condivise da tutta la comunità di pensiero[3]. I fautori dell'intersoggettività sostengono l'opinione secondo cui le credenze individuali sono spesso il risultato di credenze della comunità di pensiero, non solo di esperienze personali o credenze umane universali e oggettive. Le credenze sono ripensate in termini di standard, che sono stabiliti dalle comunità di pensiero.  Edmund Husserl, il fondatore della fenomenologia, riconobbe l'importanza dell'intersoggettività e scrisse ampiamente sull'argomento. Il suo testo più noto sull'intersoggettività sono le Meditazioni cartesiane. Sebbene la fenomenologia di Husserl sia spesso accusata di solipsismo metodologico, nella quinta meditazione cartesiana, Husserl tenta di affrontare il problema dell'intersoggettività e propone la sua teoria dell'intersoggettività trascendentale e monadologica[4]. L'allieva di Husserl Edith Stein estese le basi dell'intersoggettività nell'empatia nella sua tesi di dottorato del 1917, Sul problema dell'empatia (Zum Problem der Einfühlung). L'intersoggettività aiuta anche a costituire l'oggettività: nell'esperienza del mondo disponibile non solo per se stessi, ma anche per l'altro, c'è un ponte tra il personale e il condiviso, il sé e gli altri.  In psicologiaModifica Le discussioni e le teorie dell'intersoggettività sono preminenti nella psicologia contemporanea, nella teoria della mente e negli studi sulla coscienza. Tre principali teorie contemporanee sull'intersoggettività sono la teoria della teoria, la teoria della simulazione e la teoria dell'interazione.  Shannon Spaulding, dell'Oklahoma State University, scrive; "I sostenitori della "teoria della teoria" sostengono che spieghiamo e prevediamo il comportamento impiegando teorie psicologiche istintive su come gli stati mentali influenzano il comportamento. Con le nostre teorie psicologiche intuitive, deduciamo dal comportamento di un soggetto quali sono probabilmente i suoi stati mentali. E da queste inferenze, più il principio psicologico che collega gli stati mentali al comportamento, prevediamo il comportamento altrui"[5].  I sostenitori della teoria della simulazione, d'altra parte, affermano che spieghiamo e prevediamo il comportamento degli altri usando le nostre menti come modello e "mettendoci nei panni degli altri", cioè immaginando quali sarebbero i nostri stati mentali e come ci comporteremmo se fossimo nella situazione dell'altro. Più specificamente, simuliamo quali stati mentali dell'altro avrebbero potuto causare il comportamento osservato, quindi usiamo gli stati mentali simulati, fingiamo le credenze e fingiamo i desideri come input, eseguendoli attraverso il nostro meccanismo decisionale. Quindi prendiamo la conclusione risultante e la attribuiamo all'altra persona[6]. Recentemente, autori come Vittorio Gallese hanno proposto una teoria della simulazione incarnata che si basa sulla ricerca neuroscientifica sui neuroni specchio e sulla ricerca fenomenologica[7].  Spaulding osserva che questo dibattito ha sofferto di stagnazione negli ultimi anni, con progressi limitati all'articolazione di varie teorie sulla "simulazione ibrida". Per risolvere questo vicolo cieco, autori come Shaun Gallagher hanno avanzato la teoria dell'interazione. Gallagher scrive che un "... importante cambiamento sta avvenendo nella ricerca sulla cognizione sociale, lontano da un focus sulla mente individuale e verso ... aspetti partecipativi della comprensione sociale ...." La teoria dell'interazione è proposta per porre l'accento su una svolta interattiva nelle spiegazioni dell'intersoggettività[8]. Gallagher definisce un'interazione come due o più agenti autonomi impegnati in un comportamento co-regolato. Ad esempio, quando si porta a spasso un cane, il comportamento del proprietario è regolato dal cane che si ferma e che annusa, e il comportamento del cane è regolato dai comandi del proprietario. Quindi, portare a spasso il cane è un esempio di un processo interattivo. Per Gallagher, l'interazione e la percezione diretta costituiscono ciò che definisce l'intersoggettività "primaria" (o di base).  Gli studi sul dialogo e sul dialogismo rivelano come il linguaggio sia profondamente intersoggettivo. Quando parliamo, ci rivolgiamo sempre ai nostri interlocutori, prendendo la loro prospettiva e orientandoci a ciò che pensiamo che pensino[9]. All'interno di questa tradizione di ricerca, è stato sostenuto che la struttura dei singoli segni o simboli, la base del linguaggio, è intersoggettiva[10] e che il processo psicologico di autoriflessione implica l'intersoggettività[11]. Una ricerca sui neuroni specchio fornisce prove delle basi profondamente intersoggettive della psicologia umana[12] e probabilmente gran parte della letteratura sull'empatia e la teoria della mente si riferisce direttamente al concetto di intersoggettività.  Intersoggettività e sviluppo infantileModifica Colwyn Trevarthen ha applicato l'intersoggettività allo sviluppo culturale molto rapido dei neonati[13]. La ricerca suggerisce che come bambini, gli esseri umani sono biologicamente collegati a "coordinare le loro azioni con gli altri"[14]. Questa capacità di coordinarsi e sincronizzarsi con gli altri facilita l'apprendimento cognitivo ed emotivo attraverso l'interazione sociale. Inoltre, la relazione più socialmente produttiva tra bambini e adulti è bidirezionale, in cui entrambe le parti definiscono attivamente una cultura condivisa[14]. L'aspetto bidirezionale consente alle parti attive di organizzare la relazione nel modo che ritengono opportuno: ciò che considerano importante riceve più attenzione. L'accento è posto sull'idea che i bambini siano attivamente coinvolti nel modo in cui apprendono, usando l'intersoggettività[14].  Intersoggettività e psicoanalisiModifica Oltre che nelle scuole di psicoterapia dove trova applicazione la teoria delle interrelazioni tra terapeuta-paziente, anche in ambito psicoanalitico, con questo termine si intende il modello relazionale che fa da parametro nel procedere della relazione tra analista e analizzato.  Dalla teoria alla prassi intersoggettivaModifica Quella psicoanalisi che si attiene più allo "spirito" del suo fondatore Sigmund Freud piuttosto che alla sua "lettera", considera sé stessa come un metodo per la trasformazione della realtà piuttosto che come un sistema di interpretazione della realtà. In questo modo la psicoanalisi sembra inglobare nel suo manifesto programmatico, almeno nei fatti, e sia pur indicando un'altra metodologia di prassi, la famosa frase di Marxed Engels ad Hegel innanzitutto e a tutto il pensiero filosofico: "I filosofi hanno interpretato il mondo in maniera diversa ma si tratta invece di trasformarlo" [15]  Valori morali e valori relazionaliModifica Conseguentemente la psicoanalisi si pone al di sopra di ogni moralismo, al di là del bene e del male convenzionali e considera invece il modello relazionale intersoggettivo come valore supremo poiché in esso coincidono e la terapia e la conoscenza.  Psicoterapia e psicoanalisi: guarigione o intersoggettività?Modifica Lo stesso Freud ammise che la psicoanalisi, pur essendo nata come medicina ovvero terapia per curare disturbi nervosi, psichici o mentali, ben presto si rivelò un metodo di conoscenza rispetto al quale la cosiddetta guarigione del paziente passava in secondo piano: il paziente aumenta principalmente la conoscenza di sé stesso, simultaneamente anche guarisce ma la guarigione dal punto di vista dell'analisi in sé è un epifenomeno. Da questo punto di vista c'è un parallelismo tra Freud e Cristoforo Colombo: così come quest'ultimo, partito con l'intenzione di arrivare alle Indie divenne inaspettatamente lo scopritore dell'America, ugualmente Freud dopo aver iniziato il suo cammino con intenti semplicemente curativi divenne anch'egli scopritore di una nuova via di conoscenza.  Il male: motore della psicoanalisi verso l'intersoggettivitàModifica Se la psicoanalisi è una "via di conoscenza", il male del paziente può essere considerato una "vocazione" in quanto è proprio la chiamata dell'essere a sapere di sé. Se non ci fosse questo male, non ci sarebbe ciò che incalza alla conoscenza di sé. La psicoanalisi ha la pretesa di dissolvere il male trovandone il senso, che è ben altro e ben più radicale che esorcizzare il male come fanno la psicofarmacologia e altre tecniche psicoterapeutiche. La psicoanalisi non tratta il male in sé ma il senso del male, la sua direzione; e nel trovare tramite il suo metodo questo senso nascosto ne permette la realizzazione e, nel realizzarlo, elimina il male alla radice e non nella sua semplice sintomatologia che altrimenti potrebbe riapparire sotto altre vesti. Questo ottiene superando quel senso che chiedeva al soggetto, che lo pativa dolorosamente, di essere realizzato. Il male ritornerà ma non sarà più una ripetizione, la coazione a ripetere infatti quale memoria storica di ciò che è stato non si può chiamare vera vita e il dolore psichico che magari anche si somatizza denuncia proprio questo.  In questo significato la psicoanalisi intesa come "autorealizzazione dell'inconscio" trova una sua definizione da parte dell'altro pioniere della psicoanalisi delle origini: Carl Gustav Jung, che trattava la sua intera esistenza nello stesso modo in cui considerava la psicoanalisi: un'autorealizzazione dell'inconscio. Infatti da quanto detto finora chiunque intuisce che quello dello psicoanalista non può essere semplicemente un mestiere nel senso tradizionale del termine che si dà alla parola "mestiere" ma semmai uno stile di vita, un vero e proprio atteggiamento esistenziale perennemente teso a scalzare la forte resistenza alla trasparenza dell'opacità interiore che quindi coincide con una sorta di atteggiamento alchemico coincidente con l'azione di disvelamento del "misterium coniunctionis". Atteggiamento questo che coincide con l'intersoggettività la quale per dispiegarsi necessita per la sua realizzazione di una sorta di rivoluzione copernicana al livello del sistema psichico tendente a spodestare l'Ego come ha fatto Niccolò Copernico con la Terra, ed in un certo senso con l'Antropos, da centro narcisistico del sistema psichico per sostituirlo con il Sé che è l'identità solo relazionale e che comprende l'uno e l'altro della relazione come un'unità processuale indivisibile, mentre l'Ego per sua natura non può che necessariamente essere vincolato a un'identità storica e per ciò continuamente minacciata nella sua coerenza da ciò ch'egli costituisce sostanzialmente come altro da sé, paventando la rottura del vissuto di continuità.  Psicoanalisi e relazioneModifica La psicoanalisi, operando al di là di ogni moralismo convenzionale al progressivo divenire conscio dell'inconscio, opera alla progressiva trasformazione del modello relazionale interdipendente, (dove i due sono calati con le loro reciproche dipendenze in un gioco delle parti per così dire inconsapevole) nel modello relazionale intersoggettivo dove la coppia analista-analizzato è in una relazione all'interno della quale non si danno altri bisogni che quelli propri del processo di soggettivazione: il bisogno della presenza dell'altro e quello di essere con l'altro in libertà.  L'esoterismo dell'intersoggetivitàModifica Esistono discipline come la psicoanalisi che non si possono giudicare dall'esterno come per esempio la comunità scientifica richiede di fare nelle scienze esatte con i suoi metodi statistici. Da qui l'atteggiamento apparentemente altero di molti sostenitori della psicoanalisi, ritenuti da altri per questo saccenti, a partire da Freud che liquidava con una battuta gran parte delle critiche alla psicoanalisi dicendo semplicemente che chi non ha sperimentato una analisi in prima persona non può nemmeno sapere di cosa si sta parlando.  Questo vale anche e soprattutto per l'intersoggettività la cui teorizzazione scaturisce proprio dalla psicoanalisi, intersoggettività che oltre ad essere una nuova modalità di relazionarsi, è anche una nuova logica nella quale tutto viene trattato come un processo unitario senza alcuna separazione tra i momenti di tale processo e nella quale ogni momento del processo è anche tutto il processo pur essendo solo uno dei momenti che lo compongono, momento del processo che contiene in sé i movimenti già superati e quelli ancora non in essere.   Freud stesso, sin dagli esordi del metodo psicoanalitico metteva in atto questa logica rinunciando alle resistenze della sua ragione, frammentante il reale movimento quale dinamica dell'essere, si poneva in ascolto dell'inconscio che parlava attraverso i balbettii dei suoi pazienti, ovvero attraverso il loro transfert e quindi anche del suo proprio controtransfert anche se Freud possedeva qualche strumento in più del suo paziente, strumento che gli permetteva così di non agire il controtransfertper non riprodurre una relazione "normale" cioè interdipendente, ma realizzare un'esperienza relazionale nuova e quindi conoscitiva più ancora che terapeutica: in una parola, una relazione intersoggettiva.  Nella sua pratica clinica Freud usava già allora una logica intersoggettiva anche se, legato come era per la sua formazione accademica alla scienza ufficiale, non la teorizzava. Solo dopo molto tempo la psicoanalisi passò da una teoria pulsionale di impronta positivisticaa una teoria veramente relazionale.  In un certo senso quindi la psicoanalisi e la sua logica che la guida nel processo psicoanalitico, l'intersoggettività, le apparentano entrambe alle tradizioni dell'esoterismo anche se solo per un suo corretto intendimento che vada al di là delle vulgate da rotocalco. Questo è un dato di fatto anche se la psicoanalisi e la nuova logica intersoggettiva non si sono mai trincerate dietro sette o congreghe iniziatiche come altre vie di conoscenza hanno invece fatto anche se giustificate dal timore di essere fraintese. La psicoanalisi al contrario fin dall'inizio è stata un movimento di pensiero di chiara indole essoterica.  La fine dei ruoli e la fine del (vecchio) mondoModifica All'interno del modello relazionale intersoggettivo che fa da parametro al procedere della relazione psicoanalitica, non vige alcuna divisione di ruoli quali quelli di: maschile-femminile, attivo-passivo, conoscente-conosciuto, tra chi interpreta e chi è interpretato, tra chi dà e chi riceve, in una parola tra soggetto e oggetto. Questo è possibile grazie al fatto che i due della relazione psicoanalitica facendo leva sulla loro capacità riflessiva prendono distanza via via sempre più da sé stessi e dalla situazione contingente nella quale sono entrambi calati e si progettano nel tempo nella libertà.  In questa maniera eros e logos cessano la loro contrapposizione secolare e anzi si fanno alleati uno dell'altro. Infatti gli "equivoci" che si danno all'interno della relazione costituita dalla coppia analista-analizzato e che nel gergo proprio di questa disciplina prendono il nome di transfert e di controtransfert, in ultima analisi vengono a coincidere con la stessa modalità relazionale interdipendente la cui critica radicale non è stata ancora condotta sino in fondo, prova ne sia che nel modello relazionale intersoggettivo non si danno più "equivoci" non avendo più i due partner della relazione intersoggettiva altra aspettativa che quella del dirsi dell'altro nella libertà.  E invece sono proprio questi equivoci ciò che costituiscono l'inconscio quali sintomi dell'interdipendenza stessa. Ciò si spiega abbastanza facilmente se si pone attenzione al fatto che mentre il modello intersoggettivo è quello di una relazione in cui l'unica aspettativa che l'uno ha verso l'altro è solo quella che l'altro ci sia ma in libertà. Non è così nell'interdipendenza, ed è proprio questa diversa aspettativa che fonda e struttura l'inconscio e tutti i sintomi dell'inconscio: transfert e controtransfert.  Il principio di intersoggettività fa del metodo psicoanalitico, quale metodo di trasformazione delle realtà relazionali, quanto di più seriamente critico vi possa essere dell'ordine relazionale strutturato sulla divisione dei ruoli.  Intersoggettività e femminismoModifica Per quanto attiene ai rapporti tra la prospettiva aperta dall'intersoggettività e quelle del "movimento di liberazione della donna" ormai più brevemente chiamato femminismo, si possono trovare dei paralleli non tanto nelle posizioni sindacaliste o corporativequanto nelle posizioni più esplicitamente filosofichecome quelle espresse da Virginia Woolf, da Simone de Beauvoir o da altri ancor più recenti esponenti che invece presero le mosse proprio dalla psicoanalisi sia pure Lacaniana e filtrata da una donna Luce Irigarayespulsa immediatamente da Lacan stesso, dato il modo irriverente con cui trattava "il maestro".  Importate in Italia le idee eretiche della psicoanalista lacaniana, a Milano per opera dei filosofi Luisa Muraroe Adriana Cavarero si è costituita una vera e propria comunità filosofica intitolata alla maestra di Socrate, la filosofa "Diotima" tanto elogiata da Socrate stesso. Comunità filosofica femminile che è all'origine di una corrente filosofica abbastanza recente denominata "filosofia della differenza" e che ha ormai esponenti a livello internazionale.  Resta il fatto comunque che almeno al momento attuale la tematica dell'intersoggettività è stata trattata e approfondita in maniera veramente esplicita proprio dalla scienza psicoanalitica.[16]  NoteModifica ^ ( EN ) http://people.brunel.ac.uk/~hsstcfs/glossary.htm ^ Hyslop, A (2010). "Other Minds", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall Edition), Edward N. Zalta (Ed.) Accessed from plato.stanford.edu/archives/fall2010/entries/other-minds/>;. Section 1. ^ a b Eviatar Zerubavel, Social Mindscapes: An Invitation to Cognitive Sociology, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1997. ^ E. Husserl, Cartesian Meditations, Klumer Academic Publishers. Translated by Dorion Cairns. ^ Shannon Spaulding, Introduction to debates on Social Cognition, in Phenomenology and the Cognitive Sciences, vol. 11, n. 4, 5 settembre 2012, p. 432, DOI:10.1007/s11097-012-9275-x, ISSN 1568-7759 (WC · ACNP). ^ Spaulding, S. (2012) “Introduction to debates on Social Cognition.” Phenomenology and the Cognitive Sciences. Vol. 11. Pg. 433 ^ Gallese, V & Sinigaglia, C. (2011) What is so special about embodied simulation. Trends in Cognitive Sciences. Vol. 15, No. 11. ^ De Jaeger, H., Di Paulo, E., & Gallagher, S. (2010) Can social interaction constitute social cognition? Trends in Cognitive Sciences. Vol. 14, No. 10. Pg 441. DOI:10.1016/j.tics.2010.06.009 ^ Linell, P. (2009). Rethinking language, mind and world dialogically. Charlotte, NC: Information Age Publishing ^ Gillespie, A. (2009). The intersubjective nature of symbols. In Brady Wagoner (Ed), Symbolic transformations. London: Routledge ^ Gillespie, A. (2007). The social basis of self-reflection. In Valsiner and Rosa (Eds), The Cambridge handbook of sociocultural psychology. Cambridge: Cambridge University press ^ Rizzolatti, G. & Arbib, M. A. (1998). Language within our grasp. Trends in neurosciences, 21, 188-194. ^ Copia archiviata ( PDF ), su psych.uw.edu.pl. URL consultato il 13 ottobre 2019 (archiviato dall' url originale  il 22 luglio 2018). ^ a b c Lynda Stone, Charles Underwood e Jacqueline Hotchkiss, The Relational Habitus: Intersubjective Processes in Learning Settings, su karger.com. URL consultato il 10 dicembre 2014. ^ Karl Marx, Friedrich Engels: "Miseria della filosofia", 1844 ^ Tale questione sui rapporti tra la tematica dell'intersoggettività e il movimento femminista sono stati trattati anche in "L'ultimo tratto di percorso del pensiero Uno - Escursioni nella filosofia del XX secolo" di Silvia Montefoschi al capitolo 15 pag 277 dal titolo "Il risveglio del soggetto femminile" BibliografiaModifica E. Husserl, Sulla fenomenologia dell'intersoggettività - Prima parte: 1905-1920 (Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass) E. Husserl, Per la fenomenologia dell'intersoggettività - Seconda parte 1921-1928(Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass) E. Husserl, Per la fenomenologia dell'intersoggettività - Terza parte 1929-1935 (Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass) M. Scheler, Essenza e forme della simpatia, FrancoAngeli, Milano 2010 (originariamente 1913, II ed. 1923) Martin Buber, Il principio dialogico, 1959 George E. Atwood e Robert Storolow, I contesti dell'essere. Le basi intersoggettive della vita psichica, 1992 Jessica Benjamin, L'ombra dell'altro. Intersoggettività e genere in psicoanalisi, 1997 Silvia Montefoschi, L'uno e l'altro. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico 1977 Silvia Montefoschi, La glorificazione del vivente nell'intersoggettività tra l'uno e l'altro 1995 Donald Davidson, Soggettività, intersoggettività, oggettività 2001 Voci correlateModifica Psicoanalisi intersoggettiva Collegamenti esterniModifica intersoggettività, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Intersoggettività, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàThesaurus BNCF 18628   Portale Filosofia   Portale Psicologia Ultima modifica 9 mesi fa di InternetArchiveBot PAGINE CORRELATE Psicoanalisi intersoggettiva Glossario di psicologia analitica lista di un progetto Wikimedia  Psicoanalisi relazionale Wikipedia Il contenutoLuca Fonnesu. Fonnesu. Keywords: inter-soggetivo, free will, Kant, freedom, free, practical reason, the good, meta-ethics, Mackie, Hare, Fichte, Hegel, happiness in Aristotle, Kant, and Hegel, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fonnesu” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759735816/in/dateposted-public/

 

Grice e Fornero – confilosofare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigone). Filosofo.  Grice: “I like Fornero; he surely understands the longitudinal unity of philosophy; ‘filosofare is con-filosofare,’ I love that: philosophy as philosophy of conversation – witness Socrates and Alcebiades.” Si è occupato di ambiti disciplinari diversi, che vanno dalla storia della filosofia alla bioetica, dalla laicità al diritto. Ha compiuto studi filosofici a Torino. Si laurea con una tesi sull'esistenzialismo italiano. Dopo aver insegnato per alcuni anni, in seguito ha svolto un'attività di libero scrittore, curando, su incarico di Abbagnano, una serie di aggiornamenti della sua celebre storia della di filosofia. In un secondo momento a conferma del fatto che egli non è soltanto uno storico della filosofia, bensì un filosofo dai molteplici interessi si è dedicato allo studio della bio-etica, della laicità e del diritto, con saggi che hanno suscitato ampi dibattiti e che costituiscono dei contributi importanti su queste tematiche. Abbagnano aveva pubblicato un Compendio di storia della filosofia per i licei che, dopo un periodo di notevole diffusione, alla fine degli anni settanta era quasi sparito dalla scuola. Da ciò la necessità di una profonda revisione dell'opera, che decise di affidare a Fornero. Nasceva così l'Abbagnano-Fornero, che, anche grazie ai continui aggiornamenti e ampliamenti, è tuttora il manuale di filosofia più diffuso. Fra le sue numerose edizioni e versioni ricordiamo: “Filosofi e filosofie nella storia”; “Protagonisti e testi della filosofia”; “Itinerari della filosofia”; “La filosofia”; “La ricerca del pensiero”; “Percorsi di filosofia”; “L'ideale e il reale”; “Con-Filosofare” e “I nodi del pensiero.” In questi lavori segue e sviluppa in modo creativo l'impostazione metodologica di Abbagnano, mirando a un modo di fare storia della filosofia che si qualifica per un'informazione accurata, una profonda empatia con le tematiche trattate e l'astensione da valutazioni ideologiche e di parte. Ha inoltre condiretto alcune collane di destinazione liceale e universitaria: “i Sentieri della filosofia” e i Sentieri della pedagogia di Paravia e, “I fili del pensiero” di Bruno Mondadori. Fra le grandi storie della filosofia quella pubblicata da Abbagnano presso la Pombail cosiddetto Abbagnano grande, uscito in prima edizione costituisce un'opera di riferimento fondamentale, che è stata universalmente apprezzata. Dopo la morte di Abbagnano, è uscito, sempre presso Pomba, un quarto volume di questa storia, dedicato al pensiero contemporaneo. Anche in questo caso, era stato lo stesso Abbagnano a incaricare Fornero di proseguire il suo lavoro, che si interrompeva con l'esistenzialismo e presentava solo un ultimo, sintetico capitolo su alcuni degli sviluppi più recenti.  In questo nuovo volume, Fornero punta a una ricostruzione chiara e scientifica al tempo stesso. Una ricostruzione che, basandosi su una conoscenza diretta (o "di prima mano") degli autori trattati, si caratterizza per obiettività e rispetto delle posizioni di cui dà conto, evitando valutazioni teoretiche che non spettano allo storico. Al pari del suo maestro, Fornero insiste sull'autonomia della filosofia, che non si può dissolvere nelle scienze umane, nella politica o in altre discipline. Ma gli impetuosi sviluppi della filosofia novecente non erano esauriti in quel volume. Di conseguenza, pubblica un secondo tomo del volume quarto della Storia della filosofia. Con questo contributo l'opera si configura finalmente come una trattazione esauriente dell'intera storia della filosofia dell’Europa occidentale. Abbagnano pubblica presso la Pomba la prima edizione del Dizionario di filosofia, un vastissimo elenco di lemmi tematici affrontati con grande attenzione allo sviluppo concettuale e con straordinaria capacità di sintesi. Ne curava una riedizione ampliata. Il Dizionario restaun punto fermo della storiografia filosofica, ma iniziava ormai a mostrare dei limiti cronologici.  Così, ha provveduto, co-adiuvato da un gruppo di specialisti da lui coordinato e diretto, a redigerne una nuova edizione.  L'impostazione di fondo voluta da Abbagnano è conservata, cosicché vengono escluse le voci biografiche a favore dei lemmi concettuali. Sono centinaia le voci aggiornate, mantenendo la separazione fra il contributo originale di Abbagnano e l'aggiornamento, e le nuove voci inserite. L'opera continua così a proporsi come uno dei più ampi strumenti di consultazione. Pubblica presso Bruno Mondadori Le filosofie del Novecento, una delle più ampie e sistematiche ricostruzioni storiche del pensiero contemporaneo.  L'opera muove dal pensiero nietzschiano inteso come crocevia della modernità e presenta una serie di capitoli che danno conto, seguendo un'organizzazione tematica, di tutti i principali autori e filoni della riflessione filosofica contemporanea: dalle grandi correnti del primo Novecento (neo-positivismo, positivism logico, neo-empirismo, filosofia analitica, filosofia analitica del linguaggio ordinario, neocriticismo, spiritualismo, neoidealismo, pragmatismo), al marxismo e all'esistenzialismo in tutte le loro declinazioni, per giungere alle più recenti formulazioni dello strutturalismo, del postmodernismo, dell'epistemologia, della teologia, dell'ermeneutica e delle teorie politiche ed etiche. Forte degli studi storiografici ormai accumulati e sempre in linea con i sopraccitati presupposti metodologici, pubblica, presso Bruno Mondadori, “Bioetica cattolica e bioetica laica”. Si concentra sulle posizioni della bioetica cattolica ufficiale e su quelle della bioetica laica. Attraverso uno studio analitico e puntiglioso dei testi e a un metodo improntato a una sostanziale imparzialità, giunge a definire alcuni punti nodali che a suo avviso oppongono strutturalmente la bio-etica cattolica e quella laica (sebbene non manchino posizioni intermedie e alternative). Punti che si sintetizzano nella tesi cattolica della indisponibilità della vita e nella tesi laica della disponibilità della vita.  Da un punto di vista contenutistico Fevita di prendere posizione a favore dell'uno o dell'altro modello. Tuttavia, il suo contributo produce una notevole chiarificazione delle posizioni in campo e ha il merito di porre empateticamente sotto gli occhi del lettore le strutture teoriche e concettuali che stanno alla base dei due "paradigmi"merito che gli è stato riconosciuto da Vattimo, che ha parlato di «rispettosa capacità di ascolto», e da Possenti, che parla di «giustizia intellettuale nel descrivere le varie posizioni in gioco».  Questo saggio ha originato un ampio dibattito, sia negli studi specialistici, sia nel mondo dell'informazione (come testimoniano le recensioni e i numerosi interventi apparsi sui quotidiani).  Dibattito continuato sia in “Laicità debole e laicità forte” sia in “Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confront”. Quest'ultimo saggio completa il trittico. In esso si dà conto della nuova fase del dibattito sui concetti di bio-etica cattolica e laica e si offre una serie di chiarificazioni e ampliamenti storico-concettuali, fra cui spicca l'approfondimento della nozione di "paradigma" che, partendo da Kuhn ma andando al di là di Kuhn, applica in modo originale alla bioetica.  Fra le novità del volume vi è l’ammissione, da parte di alcuni autorevoli studiosi cattolici, dell'esistenza di una diversità paradigmatica fra la bioetica di matrice cattolica e la bio-etica di matrice laica. Diversità di cui si auspica da molte parti il superamento con una serie di ipotesi ampiamente documentate nel saggio -, ma che di fatto esiste e condiziona, sia sul piano teorico sia sul piano pratico, la vita odierna. Gli studi sulla bioetica hanno trovato una continuazione e uno sviluppo nel lavoro di Luca Lo Sapio Bioetica cattolica e bioetica laica nell'era di papa Francesco. Che cosa è cambiato? (Pomba, Milano ) in cui l'autore affronta il tema delle ripercussioni bio-etiche del pontificato di Bergoglio, mettendone in luce i tratti di novità e continuità rispetto al passato. Il saggio è preceduto da un saggio di Fornero, in cui offre una sintesi aggiornata delle sue idee circa i paradigmi della bio-morale cattolica e laica. Alcune delle questioni poste in Bioetica cattolica e bioetica laica toccano il generale argomento della laicità. Tant'è che Laicità debole e laicità forte prosegue l'analisi in questa direzione, oltrepassando l'ambito limitato della bio-etica, pur continuando a usarlo come campo esemplare di indagine. Ragionando in termini teorici e non solo storici, elabora una prospettiva filosofica sulla laicità che muove dalla distinzione analitica fra due diverse accezioni del concetto di "laicità": una larga e una ristretta. Distinzione che ritiene indispensabile per fare ordine e chiarezza intorno al concetto in questione e per giustificare, senza i consueti riduzionismi, i diversi modi con cui ci si può definire "laico” (English: lay). In senso largo la laicità allude a una serie di atteggiamenti metodici (autonomia discorsiva, libero confronto delle idee, pluralismo, ecc.) che, in virtù del loro carattere procedurale, possono essere fatti propri da chiunque, a prescindere dal fatto di essere credenti o meno (tant'è che oggi, nell'ambito di questa accezione di “laico”, si parla comunemente di "laico credente" e di "laico non credenti"). In senso stretto, il ‘laico’ allude invece a quella determinata visione del mondo che è propria di coloro che non si limitano a seguire i sopraccitati criteri metodici, ma che pensano e vivono a prescindere da Dio e dall'adesione a un determinato credo religioso (tant'è, che oggi, nell'ambito di questa accezione del laico, si parla comunemente di “credenti e laici” o, in Italia, di “cattolici e laici”).  Per denominare l'accezione larga, usa l'espressione "laico debole", mentre per denominare l'accezione ristretta adopera l'espressione "laico forte", avvertendo che in questo contesto “debole” e “forte” non hanno il significato ordinario e valutativo di "meno consistente" o "più consistente", ma un significato tecnico e descrittivo, allusivo di un minore o maggiore grado di radicalità. In altri termini, il laico in senso largo è denominata "debole" poiché possiede una valenza essenzialmente formale o *metodologica*, mentre il laico in senso stretto è denominato "forte" poiché possiede una valenza di tipo materiale o *sostanziale* (in quanto allusiva della visione del mondo propria di un non credente).  L'originalità consiste quindi nel ritenere legittimi entrambi i significati (teorici e storici) del concetto di "laico" e nell'aver insistito più di ogni altro studioso in Italia sul fatto che non si deve "censurare" l'accezione ristretta o “forte” del concetto (cf. Grice on ‘weak’ and ‘strong’ – the ‘strong’ theorist, the weak theorist). Insistenza che non gli impedisce di evidenziare come il laico proprio dello Stato italiano pluralista e democratico coincida con il laico debole o largo, ossia con quella capace di ospitare in sé tutte le visioni del mondo, sia quelle di matrice religiosa sia quelle di matrice agnostica o atea. -- è vivamente persuaso del valore e della necessità della filosofia. Da ciò il suo costante impegno ad argomentare con chiarezza questa tesi, mediante una proposta la cui peculiarità consiste nel ritenere che, prima di chiedersi (come si fa solitamente) se la filosofia sia utile o meno, bisogna chiedersi se da essa si possa prescindere o meno, ossia se sia davvero possibile, per l'uomo, vivere senza filosofare. Su questo punto non ha dubbi: la filosofia è un'esigenza che sgorga dalla vita stessa e dalle sue ineludibili domande, al punto che l'uomo, come non può fare a meno di respirare e pensare, così non può fare a meno di fare filosofia. Queste considerazioni vengono più organicamente sviluppate in “Utilità della filosofia”. Tra filosofia e diritto: indisponibilità e disponibilità della vita. è uscito per i tipi di Pomba un nuovo volume, forse il più importante della sua produzione saggistica dal titolo Indisponibilità e disponibilità della vita: una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria. Si tratta di una vasta indagine filosofico giuridica che  approfondisce con chiarezza una delle dicotomie fondamentali della cultura contemporanea, quella tra indisponibilità e disponibilità della propria vita. E ciò non solo sul piano storico-descrittivo (nel cui ambito offre comunque una documentazione amplissima che va dalla filosofia alla bioetica, dal diritto alla giurisprudenza italiana) ma anche e soprattutto su quello teorico-propositivo. Esaminando a vario titolo questo binomio e mostrandone le rilevanti concretizzazioni giuridiche e penalistiche, l'opera approfondisce il tema del "diritto di morire", che viene definito come il diritto di congedarsi volontariamente dalla propria vita e studiato nelle sue tipologie più note (suicidio, rifiuto delle cure e morte assistita). Nella parte centrale del saggio si mette organicamente a fuoco il nesso fra il diritto di vivere e il diritto di morire, inteso, quest'ultimo, come il versante negativo del diritto di vivere.  Su questa base,perviene a prendere apertamente posizione a favore della morte medicalmente assistita, che viene originalmente configurata come un nuovo e peculiare "diritto di libertà" giuridicamente articolato.  Insiste sulla "inaggirabilità" della filosofia anche in ambito giuridico, soprattutto in rapporto alle complesse e cruciali questioni del fine vita.  La filosofia contemporanea, IV*, Pomba, Torino, Storia della filosofia, La filosofia contemporanea, IV**, Pomba, Torino, Dizionario di filosofia, Pomba, Torino, Le filosofie del Novecento, B. Mondadori, Milano, Opere su bioetica, laicità e diritto Bioetica cattolica e bioetica laica, B. Mondadori, Milano, Laicità debole e laicità forte, B. Mondadori, Milano, Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto (in collaborazione con M. Mori), Le Lettere, Firenze  Indisponibilità e disponibilità della vita: una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria, Pomba, Torino. Articoli e interventi su bioetica e laicità Un passo in avanti. Risposte a Mordacci e Corbellini, in Vale ancora la contrapposizione tra bioetica cattolica e bioetica laica?, «Politeia», Due significati irrinunciabili di laicità, in  La laicità vista dai laici, E. D'Orazio, EgeaUniversità Bocconi Editori, Milano, Etsi non daretur, laicità e bioetica da Scarpelli a Lecaldano, in Eugenio Lecaldano. L'etica, la storia della filosofia e l'impegno civileDonatelli e M. Mori, Le Lettere, Firenze, Bioetica, laicità e "bioetica laica", in Diritto, Bioetica e Laicità. Commenti a Bioetica tra "morali" e diritto diBorsellino, «Politeia», Non esiste solo la "bioetica cattolica". Nota sui rapporti fra i valdesi e la bioetica, «Bioetica. Rivista interdisciplinare», Il "maggior bio-eticista cattolico". Considerazioni sul paradigma bioetico di Sgreccia e sulle sue peculiarità e differenze rispetto ad altri modelli bioetici di matrice cattolica, in Vita, ragione, dialogo. Scritti in onore di Elio Sgreccia, Cantagalli, Siena,Risposte ai critici, in Il dibattito su bioetica laica e bioetica cattolica. Commenti a Laici e cattolici in bioetica di G. Fornero e M. Mori, «Politeia»,Scarpelli e il tema della laicità, in L’eredità di Uberto ScarpelliBorsellinoS. SalardiM. Saporiti, Giappichelli, Torino, Voce Laicità, in Enciclopedia di bioetica e scienza giuridica, diretta da E. SgrecciaA. Tarantino, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, Bioetica cattolica e bioetica laica: tra passato e presente, in L. Lo Sapio, Bioetica cattolica e bioetica laica nell'era di papa Francesco. Che cosa è cambiato?, con un saggio di G. Fornero, POMBA, Milano, Magistero bioetico cattolico e bioetica laico-secolare: tra passato e futuro, in  Bioetica tra passato e futuro. Da van Potter alla società 5.0, E. LargheroM. Lombardi Ricci, Edizioni Effatà, Cantalupa (TO), Manuali Filosofi e filosofie nella storia, Paravia, Torino, Protagonisti e testi della filosofia, Paravia, Torino, Itinerari di filosofia, Paravia, Torino 2002 La filosofia, Paravia, Torino, La ricerca del pensiero, Paravia, Torino  Percorsi della filosofia, Paravia, Torino  L'ideale e il reale, Paravia, Torino  Con-Filosofare, Paravia, Torino  I nodi del pensiero, Paravia, Torino. «La Stampa», 2 «Avvenire», Filosofia, bioetica, laicità e diritto. Sito ufficiale, su giovannifornero.net. Giovanni Fornero. SWIF Sito web italiano per la filosofia, su swif.uniba.  Filosofia analitica Lingua Segui Modifica Con l'espressione filosofia analitica ci si riferisce ad una corrente filosofica sviluppatasi a partire dagli inizi del XX secolo, per effetto soprattutto del lavoro di Gottlob Frege, Bertrand Russell, George Edward Moore, dei vari esponenti del Circolo di Vienna e di Ludwig Wittgenstein.[1] Per estensione, ci si riferisce a tutta la successiva tradizione filosofica influenzata da questi autori, prevalente nel mondo anglofono (Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Australia), ma attiva anche in molti altri paesi.  OriginiModifica Alla fine del XIX secolo, Gottlob Frege ed altri portarono ad un notevole avanzamento nel campo della logica. L'idea fondamentale del movimento del circolo di Vienna era di applicare questo nuovo metodo logico, detto positivismo logico, ai tradizionali problemi filosofici. I risultati di questo metodo sono controversi, tuttavia è innegabile che tale tentativo abbia portato importanti ripercussioni e sviluppi in una serie di campi, quali ad esempio l'informatica e lo studio del linguaggio nei suoi vari aspetti: sintassi, semantica, pragmatica.  Tra gli altri assunti del positivismo logico si possono ricordare la concezione della filosofia come uno strumento d'indagine che possa emendare il linguaggio dalle sue ambiguità, dalle sue intrinseche contraddizioni e perplessità, proponendosi come un metodo teso a disvelare l'origine di alcuni problemi "filosofici" da un utilizzo idiosincratico delle forme linguistiche.  La filosofia analitica dopo gli iniziModifica Se il positivismo logico aveva tratto ispirazione dalle tesi sostenute da Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus, è possibile legare lo sviluppo della filosofia analitica alle revisioni e agli sviluppi cui Wittgenstein stesso sottopose la propria prima filosofia, suggestioni raccolte ed elaborate in seguito da altri pensatori. La filosofia del tardo Wittgenstein non adotta i medesimi strumenti dei neopositivisti – l'analisi logica ed il metodo scientifico – ma piuttosto si concentra sugli scopi e i diversi contesti reali di utilizzo del linguaggio.  La filosofia analitica delle origini e il positivismo logico condividevano un generale atteggiamento anti-metafisico, centrato per il secondo sul principio di verificazione. I filosofi Karl Popper con il suo falsificazionismo già dal 1934, e George Edward Moorein un articolo pubblicato nel 1938, considerarono il principio verificazionista ideato dai neopositivisti come esso stesso una teoria metafisica, ovvero un assunto passibile delle medesime critiche che il Circolo di Vienna rivolgeva alla quasi totalità delle filosofie classiche. Sul piano dell'analisi del linguaggio quindi, la filosofia analitica sposterà la propria ricerca principalmente sugli aspetti propri di ogni forma di asserzione linguistica – rinunciando quindi al progetto neopositivista di costruire un linguaggio formalizzato su basi puramente logiche – e concentrando l'attenzione sull'uso reale del linguaggio, così come viene suggerito dal Wittgenstein della teoria dei giochi linguistici.  Il metodo           Modifica Ciò che contraddistingue la filosofia analitica non è un insieme di tesi ma piuttosto un metodo, o uno stile, filosofico. In particolare, possiamo individuare quattro elementi caratterizzanti. Il primo è il valore dell'argomentazione. Quando si presenta una tesi si deve sostenerla attraverso un argomento, si devono rendere esplicite le ragioni a favore (ed eventualmente contro) ciò che si afferma. Affinché tesi ed argomenti possano essere valutati è fondamentale usare la massima chiarezza possibile, ad esempio dando delle definizioni di tutti i termini non di uso comune. Il secondo è l'utilizzo di tecniche di logica formale nell'esposizione della teoria. Ad esempio, il linguaggio modale (della possibilità e della necessità) viene analizzato attraverso la semantica dei mondi possibili sviluppata, fra gli altri, da Ruth Barcan Marcus e Saul Kripke. Il terzo elemento è il rispetto per i risultati delle scienze naturali.  Non tutti i filosofi analitici lavorano su problemi che sono vicini a quelli trattati dalle scienze naturali, benché molti lo facciano. Ma è generalmente accettato che non è lecito per un filosofo contraddire risultati ampiamente accettati nelle scienze naturali, a meno di non fornire in effetti un argomento di valore scientifico a sostegno del proprio rifiuto. Infine, viene spesso messo in rilievo il valore del senso comune. A parità di altre condizioni, una teoria filosofica che preserva le verità del senso comune (ad esempio che esistono oggetti materiali, esistono persone, etc) è migliore di una che le contraddice.[senza fonte]  Il rapporto con la filosofia continentale      Modifica La filosofia analitica è talvolta contrapposta alla filosofia continentale, termine con cui ci si riferisce a movimenti come l'idealismo tedesco, il Marxismo, la psicoanalisi, l'esistenzialismo, la fenomenologia, l'ermeneutica ed il Post-strutturalismo. Ad ogni modo, non mancano i tentativi di sintesi tra le due impostazioni filosofiche (ad esempio quelli di Hilary Putnam e Richard Rorty).  Breve storia della filosofia analitica   Modifica G. E. Moore e la Common Sense Philosophy(filosofia del senso comune). Rifiuto dell'idealismo post-hegeliano britannico. Bertrand Russell: Analisi logica, atomismo logico. (Primo) Wittgenstein: Tractatus. logica formale. Filosofia del linguaggio ideale. Positivismo logico ed empirismo logico. circolo di Vienna. Rudolf Carnap. Verificazionismo. Distinzione Analitico-Sintetico. Rifiuto della metafisica, etica ed estetica. Emotivismo. Scuola di Oxford. Gilbert Ryle, John Langshaw Austin. secondo Wittgenstein. Filosofia del linguaggio comune. Tarde pubblicazioni di Wittgenstein. filosofia linguistica Pragmatismo americano. Emigrazione di logici e scienziati dall'Europa verso gli Stati Uniti. Filosofia della scienza. Comportamentismo. Willard Van Orman Quine. Filosofia del linguaggio. Semantica del linguaggio naturale. Donald Davidson. Oxford negli anni settanta. Peter Strawson, Michael Dummett, John McDowell, Gareth Evans. Revival della Filosofia politica: John Rawls, Robert Nozick, Ronald Dworkin, Bernard Williams. Filosofia della mente, scienze cognitive. Alan Turing. Paul Churchland & Patricia Smith-Churchland. Neopragmatismo: Richard Rorty, Hilary Putnam. Note                                                            Modifica ^ Preston. Voci correlate                                  Modifica Filosofia continentale Società Italiana di Filosofia Analitica Collegamenti esterni                                                       Modifica filosofia analitica, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Filosofia analitica / Filosofia analitica (altra versione), su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Aaron Preston, Analytic Philosophy, in The Internet Encyclopedia of Philosophy, ISSN 2161-0002 (WC · ACNP). URL consultato il 5 maggio 2017. Controllo di autorità Thesaurus BNCF 18345 · LCCN( EN ) sh85004780 · GND ( DE ) 4001869-6 ·BNF ( FR ) cb11944944r (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007294738005171 (topic) ·NDL ( EN ,  JA ) 00561031   Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Filosofia Ultima modifica 2 mesi fa di Synoman Barris PAGINE CORRELATE Rudolf Carnap filosofo tedesco  Positivismo logico movimento filosofico-scientifico  Note sulla logica testo del filosofo Ludwig Wittgenstein.  WikipediaGiovanni Fornero. Fornero. Keywords. confilosofare, “Che cosa e la filosofia analitica? Ryle, Wisdom, Strawson, Austin, Grice.” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fornero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759957623/in/dateposted-public/

 

Grice e Formaggio – l’arte come comunicazione – filosofia della tecnica artistica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Formaggio; for one, he philosophised on aesthetics – estetica filosofica, he calls it – along phenomenological lines – on the other, he took very seriously the idea of Latin ‘ars’ – and concludes that an ‘artificium’ is meant as ‘communicative’.” Inizia a lavorare in fabbrica quando trova impiego alla Brown Boveri di Milano. Ben presto però la sua indole portata allo studio, supportata da una vivace intelligenza, lo spronò a iscriversi alle scuole serali. Quest'esperienza, che accomunava lo studio al lavoro, dura ma anche formativa (nel frattempo aveva cambiato lavoro, passando alle Orologerie Binda per avere più tempo libero da dedicare allo studio), acuì sempre più la sua sensibilità verso i problemi sociali, che costituiranno in seguito, anche quando diventerà professore a Milano e Pavia, il soggetto prevalente del suo percorso culturale, sia filosofico che umano.  Venne trasferito a Motta Visconti. Pur insegnando, proseguì gli studi a Milano, dove si laurea, relatore Banfi, con “L’arte come comunicazione. Fenomenologia dell'arte” o “rapporto tra arte e tecnica nelle estetiche europee contemporanee, avveniristica per quei tempi, incentrata com'era sul tema della “tecnica” artistica.  Nei primi anni del dopoguerra, dopo aver partecipato attivamente alla lotta partigiana, entra a far parte dell'Università Statale di Milano come assistente alla cattedra di Estetica. Collabora anche alla rivista Studi filosofici e pubblica alcuni saggi, come “Fenomenologia della tecnica artistica”, riprendendo e ampliando la sua tesi di laurea. In virtù di questo saggio, si aggiudica l'incarico alla cattedra di Estetica di Pavia. Si trasferì in Veneto, dopo aver vinto il concorso a cattedra a Padova, in un periodo molto difficile per tutto il mondo accademico italiano e in modo particolare per quello di Padova a causa delle forti tensioni causate dalla rivolta studentesca prima, e dal nascente terrorismo armato poi, assumendo dapprima l'incarico di preside della Facoltà di Magistero e poi quella di pro-rettore. Ricoprì la cattedra a Milano, della quale fu poi professore emerito. Gli allievi pubblicarono un libro in suo onore Il canto di Seikilos. Scritti per Dino Formaggio. Gli fu conferito il premio Lion d'Or International 1996 nell'arena romana di Nîmes per le pubblicazioni di filosofia e il suo impegno civile. A Teolo, comune della provincia di Padova, gli è stato dedicato il Museo di arte contemporanea, la cui nascita è stata resa possibile da alcune donazioni all'ente effettuate grazie al suo interessamento, e la cui collezione comprende opere di autori del XIX e Professore quali Dino Lanaro, Aligi Sassu, Medardo Rosso e Renato Birolli.  Il Fondo librario Dino Formaggio è stato donato dagli eredi alla Biblioteca di Filosofia di Milano nel  ed è costituito dalla consistente biblioteca filosofica di studio (oltre 2200 volumi). Il fondo è stato recentemente catalogato ed è ora disponibile alla consultazione e in parte, al prestito. Tutti i volumi sono stati associati al possessore, riportano lo stato della copia e segnalano la presenza di note, commenti, dediche, firme autografe. Sono in fase di catalogazione i periodici. Potete trovare le notizie bibliografiche di tutti i testi della ricca biblioteca nel Catalogo di Ateneo. Altre opere: “Fenomenologia della tecnica artistica” (tecnica tecnica arte artistico); Piero della Francesca; Il Barocco in Italia; L'idea di artisticità – arte artistico artisticita – tecnica tecnicista, tecnicisticita; Arte; La morte dell'arte e dell'estetica; Van Gogh in cammino; I giorni dell'arte; Problemi di estetica; “Separatezza e dominio; Filosofi dell'arte del Novecento; Il canto di Seikilos. Scritti per Dino Formaggio, Guerini, Milano.  Pierluigi Panza, Padre dell'Estetica Fenomenologica italiana, in Corriere della Sera, Museo di Arte Contemporanea "Dino Formaggio" di Teolo, Introduzione al Museo, su//comune.teolo.pd. Scuola di Milano Museo di arte contemporanea Dino Formaggio.  "Arte ed Emozioni"Intervista a Dino Formaggio, su emsf.rai. 3 Museo d'arte contemporanea Dino Formaggio, su turismopadova. "Filosofo dell'arte e maestro di vita" di Vladimiro Elvieri, Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Elio Franzini, Ricordo, Davide Eugenio Daturi, "Il perché e il come dell'arte: l'estetica di Dino Formaggio", sito della mostra bibliografico-documentaria Milano.  Nazione comunità di individui che condividono alcune caratteristiche comuni quali la lingua, il luogo geografico, la storia ed un governo Lingua Segui Modifica Il termine nazione (dal latino natio, in italiano«nascita») si riferisce ad una comunità di individui che condividono alcune caratteristiche come il luogo geografico, la cultura (cioè la lingua, la religione, la storia e le tradizioni), l'etnia ed, eventualmente, un governo.[1][2]  Un'altra definizione considera la nazione come uno "stato sovrano" che può far riferimento a un popolo, a un'etnia, a una tribù con una discendenza, una lingua e magari una storia in comune.  Una differente corrente di pensiero, che fa riferimento all'idea di nazione in quanto realtà oggettiva e legata a pensatori riconducibili a diverse espressioni politico-culturali, include tra le caratteristiche necessarie di una nazione il concetto di sangue (Herder) o di «consanguineità» (Meinecke).[3]  Un'altra definizione vede la nazione come una «comunità di individui di una o più nazionalità con un suo proprio territorio e governo» o anche «una tribù o una federazione di tribù (come quella degli indiani nordamericani)».[4] È appoggiandosi a tali nozioni che si è sviluppato negli anni '70 il concetto di micronazione.  Alcuni autori, come Jürgen Habermas, considerando obsoleta la nozione tradizionale di nazione, si riferiscono a essa come a un libero contratto socialetra popoli che si riconoscono in una Costituzionecomune[senza fonte]. Tale concetto, in questo caso, si estenderebbe anche a quello di patria e il patriottismonazionale verrebbe così rimpiazzato dal «patriottismo costituzionale».[5] o grazie al concetto di "gruppo di appartenenza": la nazione è tale dal punto di vista politico. Ciò prevede un profondo senso del "noi", pace e ordine al suo interno, una serie di simboli e miticomuni, la garanzia di protezione e la consapevolezza della durevolezza nel tempo della nazione rispetto ai singoli individui.  CaratteristicheModifica Il senso del "noi" si sviluppa nella popolazione spesso grazie al confronto con il "gruppo esterno", che alle volte assume la forma di un odiato nemico. Un esempio può trovarsi nella storica rivalità tra nazione francese e nazione tedesca: entrambe hanno caratterizzato la loro identità nell'ostilità rispetto al vicino. Una nazione può essere rappresentata da uno Stato, che garantisce un ordinamento giuridico e ne afferma la sovranità. In tal caso si parla di Stato-nazione. Oltre gli stati esistenti, alcuni partiti politici e associazioni rivendicano di appartenere a nazioni senza Stato e, per quanto riguarda l'Europa occidentale, si riuniscono nella Conferenza delle nazioni senza stato d'Europa occidentale (CONSEU). L'organizzazione che raccoglie nazioni e popoli non rappresentati di tutto il mondo è l'Organizzazione delle nazioni e dei popoli non rappresentati (UNPO).  Ernest Renan definisce nazione come l'anima e il principio spirituale di un popolo, che gode di una ricca eredità di ricordi e del consenso attuale. Ne consegue che la nazione esiste finché trova posto nella mente e nel cuore delle persone che la compongono.  L'idea di nazione matura nel tempo.  Giustificazione storica della nazione è fornita da opere letterarie, da poesie e da canti, composti anche in un passato molto lontano ma che vengono rapportati al presente; classica giustificazione della nazione tedesca è riscontrabile nella Germania di Tacito, in cui i popoli abitanti nel cuore dell'Europa vengono esaltati come valorosi, leali e incorrotti: è probabile che Tacito abbia voluto in questo modo fare una critica della società romana, dando comunque materiale ai tedeschi per legittimare la propria superiorità.  Nell'uso quotidiano erroneamente i termini come nazione, stato e paese vengono usati spesso come sinonimi per indicare un territorio controllato da un singolo governo, o gli abitanti di quel territorio o il governo stesso; in altre parole lo Stato.  In senso stretto tuttavia, nazione indica le persone, mentre paese indica il territorio e stato la legittima istituzione amministrativa. Per aumentare la confusione, i termini nazionale e internazionale si applicano agli Stati.  Nonostante al giorno d'oggi molte nazioni coincidano con uno Stato, le cose non sono sempre andate così in passato e ancora oggi esistono nazioni senza Stato[6]e viceversa ci sono degli stati formati da più nazioni. Vi sono anche stati senza nazione.[senza fonte]  Occorre infine ricordare che con il termine "nazioni" in passato si intendevano anche associazioni di mercanti aventi la stessa nazionalità e residenti in uno Stato estero per motivi di commercio verso il cui governo erano rappresentati da propri consoli (diversi dalle rappresentanze statali presso altri stati).  Il concetto di nazione nella storiaModifica Antichità e testi sacriModifica L'archetipo della nazione d'IsraeleModifica La Bibbia descrive il concetto di nazione (nationes o gentes) come "una delle grandi divisioni naturali della specie umana uscita dalle mani di Dio creatore, espressione della diversità visibile della società umanasulla terra". Le nazioni sono il risultato della divisione dell'umanità in schiatte, stirpi e popoli, come il fruttodel superamento dell'unità originaria del genere umano.  La Genesi racconta del passaggio da un primitivo universalismo a una dispersione dei popoli, causata forse nel tempo attraverso la discendenza dei figli di Noè, sopravvissuti con lui al Diluvio universale, o repentinamente dall'edificazione della torre di Babele. L’Apocalisse di San Giovanni pronostica un ripristino dell'antico universalismo, secondo un piano di salvezza che riguarderà tutte le nazioni e non soltanto il popolo d'Israele.  Di preferenza, nelle Sacre scritture il termine "nazione" ricorre per indicare i nemici pagani del popolo eletto, quelle nazioni, cioè, che non riconoscono Dio e la sua potenza. Il popolo di Dio deve lottare e combattere le nazioni per difendersi dalla sottomissione e dall'errore. Tutto ciò riconduce a un sentimento di nazionalismo.  La nazione di Israele nasce come "lega sacra" tra le varie tribù ebraiche, su una base al tempo stesso etnica e religiosa. Sarà questa unione culturale (variabile culturale) a tenere unito il popolo di Dio, anche in assenza di una forma politica stabile.  GreciaModifica Possiamo tradurre in greco il termine nazione con "ethnos", sebbene questa voce abbia assunto un elevato numero di connotazioni: popolo (greco o barbaro), forme politiche associative non riconducibili alle polis, ma anche un popolo o una comunità etnica con un proprio statuto politico-giuridico e un'autonoma struttura costituzionale. Il termine ethnos indica non tanto "una popolazione dispersa su un territorio esteso, che vive in villaggi e unita da legami politici deboli e intermittenti", quanto un insieme, etnicamente omogeneo, di comunità politiche locali, con un'identità politica fondata essenzialmente sull'elemento territoriale. Il termine genos indica la comune discendenza, la provenienza da uno stesso ceppo, i vincoli di sangue, ma generalmente non esprime vincoli di appartenenza politica.  I differenti popoli che formano la nazione (ethnos) ellenica sono accomunati su vincoli di sangue (variabile naturale) più che da legami di tipo culturale o politico territoriale.  L'evento che più di ogni altro ha unito i greci in un sentimento unitario, sono state le Guerre persiane.Socrate distingue la rivalità interna e la definisce "discordia", dalla minaccia di altri popoli, che chiama "guerra". La superiorità culturale e politica dei greci rispetto ai barbari favorisce un sentimento di unione non solo di sangue, ma anche politica e culturale, che si perpetuerà oltre la contingenza persiana, anche se non si raggiungerà mai la realizzazione di una nazione in senso proprio, libera da conflitti interni e rivolta a un espansionismo esterno.  RomaModifica È nel mondo romano che il termine nazione fa la sua comparsa per la prima volta e viene utilizzato con sfumature diverse. Nel suo significato immediato la natio richiama la nascita e l'origine, la comunità di diritto alla quale si appartiene per vincolo di sangue, secondo uno degli usi restrittivi che già si trova nella tradizione biblica. Nell'uso romano la natio è anche la terra nella quale si è nati, il luogo d'origine, di appartenenza o di provenienza. Generalmente natioviene utilizzato per indicare le popolazioni straniere, alleate o sottomesse a Roma. Altre volte indica popolazioni ostili alla Res pubblica, o popolazioni barbare e arretrate.  A differenza di gens, che indica una stirpe intera (ad esempio la gens Germanica), natio indica le singole tribù.  Il termine natio ha assunto dunque valenze e connotazioni diverse, che indicavano l'esistenza di vincoli di appartenenza politica basati sul sangue, sull'affiliazione tribale e sui legami territoriali, ma non la presenza di un ordine politico complesso e articolato, di un livello di civiltà lontanamente paragonabile a quello romano. Questo spiega perché, per indicare Roma, il sostantivo natio venga sostituito da civitas, patria, res pubblica, Urbs.  MedioevoModifica Il Medioevo è un periodo di mezzo fra il mitodell'universalismo (realizzato antecedentemente sotto forma di impero) e il particolarismo nazionale che si realizzerà nei secoli a venire. È un periodo importante, che pone le basi per i successivi mutamenti storici e sociali. Tra l'età tardoromana e l'inizio dell'Alto medioevo vanno ricercati i fattori e gli elementi dalla cui combinazione scaturirà in seguito la maggior parte delle nazioni storiche che ancora oggi compongono la carta politica dell'Europa.  Il Medioevo è il periodo d'elezione per studiare la formazione di buona parte degli stati europei.  Le nationes universitarieModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nationes, Peregrinatio academica, Clerici vagantes e Authentica Habita. Le nationes universitarie, sorte nelle Università medievali d'Europa dal XIII secolo in avanti, sono una delle espressioni storicamente più significative del compromesso tra universalismo e particolarismo. Gli scholares vagantes si muovono da tutta Europa per apprendere nelle diverse città europee gli insegnamenti impartiti da magistri a loro volta provenienti da ogni paese.  Particolarismo dettato dalla loro provenienza territoriale. Universalismo caratterizzato dal sapere (universale appunto).  Al tempo stesso, le corporazioni e associazioni cui davano vita nelle città che li ospitavano per difendersi reciprocamente dalle pressioni dei poteri locali, tendono a strutturarsi in funzione della loro differente provenienza geografica, sulla base dunque della terra d'origine, della lingua materna e della diversità di costumi.  "L'università divenne il centro e il punto di partenza dell'organizzazione nazionale".  Le nationes mercantili e conciliariModifica Più rilevante è stata la funzione svolta dalle nationes mercantili. Si tratta di comunità forestiere composte da commercianti e operatori economici stabilmente insediate all'estero.  Similitudini con le nationes universitarie:  Nascita spontanea, volontaria e limitata nel tempo; Garantire assistenza e tutelare gli interessi professionali; L'aggregazione avviene in base a criteri linguistico-territoriali; In generale, le nationes mercantili hanno avuto un ruolo più spiccatamente politico-rappresentativo: non si sono limitate alla salvaguardia dei privilegi e delle concessioni ottenuti dal potere locale o al perseguimento di comuni obiettivi materiali, ma hanno anche perseguito lo sviluppo delle relazioni economiche e politico-diplomatiche tra paesi e la definizione di modelli socioculturali e d'identità politico-territoriali. Si può dunque dire che hanno storicamente contribuito alla costruzione della futura Europa delle nazioni.  Agli interessi dei commercianti si affianca la solidarietà patriottica, l'affinità culturale e religiosa, una lingua comune e un comune sentimento riferiti a una città/regione/nazione.  Il principio qui stabilito, se da un lato dimostra come in questa fase storica l'appartenenza (o identità) nazionale sia ancora priva di rilevanti connotazioni politiche, dall'altro conferma come i valori etnolinguistici che sono alla base di quella che potremmo definire l'idea di nazione culturale fossero già pienamente attivi nella mente delle classi dirigenti e dei ceti intellettuali dell'epoca.  Dalla Riforma alla Rivoluzione                                                   Modifica A partire dal '500 fenomeni come l'accentramento del potere politico nelle mani dei sovrani, l'affinamento letterario delle lingue vernacolari, il radicamento su base territoriale delle chiese riformate producono, su gran parte del territorio europeo, il progressivo consolidarsi del sentimento collettivo e della coscienza unitaria di sempre più vaste comunità umane, che cominciano ad assumere una fisionomia e un'identità nazionale.  Machiavelli: Il termine nazione assume un significato generale ed estensivo poiché si riferisce a collettività straniere, a popolazioni e a paesi oppure può richiamare una o più comunità con la loro particolare fisionomia storica e culturale. Nazione indica dunque differenze linguistiche e territoriali, diversità culturali, ma anche la continuità storica che caratterizza la vita di un popolo rendendolo specifico e differente dagli altri.  Guicciardini: Oltre agli usi scontati (luogo di nascita, paese di appartenenza, popolazioni barbare straniere), nazione indica anche una comunità etnico-territoriale distinta dal punto di vista della cultura. (Gli Svizzeri si alleano col Ducato di Milano per respingere i Francesi).  Nascita delle "chiese nazionali" (cuius regio, eius religio). Distacco teologico ma anche politico e linguistico rafforza il senso di appartenenza.  In questa fase è possibile individuare una profondità storica: il termine nazione non indica soltanto coloro che su un dato territorio condividono la stessa lingua, gli stessi costumi e la stessa religione, ma un insieme di caratteri e di legami che rimanda ad un passato percepito come unico e peculiare, con una sua forza vincolante.  Per il periodo storico compreso tra Rinascimento e Rivoluzione francese possiamo distinguere tre modelli o varianti del concetto di nazione:  Nazione statale: la nazione si forma sotto la spinta dello Stato. La crescita del sentimento nazionale è proporzionata alla crescita dello Stato (territoriale). Es. Inghilterra[7]; Nazione culturale: sviluppata in quegli stati in cui il modello politico statuale si è sviluppato con maggiore ritardo (Germania, Italia). La nazione coincide in questo caso con una comunità popolare basata sulla cultura, sulla lingua e sulle tradizioni storiche. Nazione politica sovrana. La nazione costituisce un'unione volontaria di cittadini che si pone, al posto dell'antico sovrano, come fondamento esclusivo dello Stato. Da qui si sviluppa una sovranità politica. Es. Francia rivoluzionaria. La nazione culturale                     Modifica Si sviluppa nel '700. Fonda la sua coesione sulla lingua, sulla cultura e sulla tradizione (Herder), non sull'astratta rigidità di un'obbligazione politica (Kulturnation). Secondo Herder nella vita di una nazione, l'unità di cultura e di lingua viene prima dell'unità politica, dello Stato e della costituzione. I vincoli culturali sono più stabili e duraturi di quelli istituzionali. Esempi di nazione culturale (Germania, Italia). Herder teorizza la nazione come un fattore di progresso civile e morale, nonché come un tramite fra l'individuo e l'umanità. Realizzando sé stesso all'interno di una realtà sociale culturalmente omogenea e spiritualmente coesa, l'uomo può più facilmente attingere alla dimensione dell'universalità e realizzare la sua natura sociale (visione universalistica).  La nazione politica - Visione romantica di Rousseau     Modifica Pone al centro la volontà degli individui che vi fanno parte (volontà di costituire una nazione), piuttosto che la natura e la storia, come fattore fondante della nazione politicamente intesa. Richiamo al sentimento piuttosto che alla ragione (Rousseau). R. sottolinea l'importanza che le istituzioni, la volontà politica e un agire sociale collettivo sorretto dalla passione comune e dalla consapevolezza di sé e della propria identità rivestono nel salvaguardare e rafforzare il sentimento di appartenenza nazionale di qualunque identità politica. A proposito delle diversità dei popoli Rousseau afferma che sono le forme di governo, i sistemi di legislazione e le leggi che devono adattarsi allo spirito dei popoli e al loro carattere.  Per Sieyès il terzo Stato rappresenta la nazione intesa proprio come un organo assoluto senza il quale lo Stato non esisterebbe. Gli ordini privilegiati sono qualcosa di esterno alla nazione. Minoranza infima e inutile. Ciò che lega una nazione non è dunque la comune origine storica, la lingua, i costumi o il territorio, ma la volontà degli individui, tutti ugualmente liberi. Volontà non alimentata da retaggi storici ma da sé stessa.  Ottocento                  Modifica In seguito al periodo rivoluzionario, il campo semantico del termine nazione si allarga notevolmente: da semplice realtà collettiva caratterizzata da usi e costumi a soggetto originario dell'organizzazione della società, la comunità fondamentale che legittima le istituzioni che organizzano la vita collettiva.  Associazione con altri termini: popolo, patria, libertà, cittadinanza, Stato, volontà, sovranità.  Aspetto terminologico                                 Modifica Nel XIX secolo il concetto di nazione diventa globale e inclusivo in corrispondenza della nascita degli stati-nazione. Indica quindi la totalità degli abitanti di un paese, si avvicina al concetto di cittadinanza e spesso si rivela indipendentemente da componenti culturali o etniche. Dunque nazione coincide sempre più con "insieme dei cittadini" o "popolo", il quale assume la valenza di un soggetto politico unitario composto da uguali. Al contempo la nazione si compenetra alla patria. Nasce il nazionalismo.  Aspetto relativo al contesto in cui si impone la nazione                            Modifica Mutamenti legati alla rivoluzione industriale (sviluppi trasporti, comunicazioni di massa, urbanizzazione). La nazione rimane un punto di riferimento per i cittadini innanzi ai mutamenti sociali.  Attivismo politico di nuovi ceti e gruppi sociali di matrice borghese. Dunque nazione come fattore di integrazione socioculturale innanzi alla disgregazione delle rivoluzione industriale.  La nazione ha bisogno di basi storiche e culturali su cui radicarsi: costruzioni più o meno spontanee da parte di poeti, storici, scrittori, filosofi, linguisti e filologi (intellettuali). Nazionalizzazione (attribuire un significato nazionale) dei miti del passato. Dunque dare radici storiche a qualcosa di già esistente.  Alcuni approcci alla nazione elaborati nel sec. XIX Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                            Lo stesso argomento in dettaglio: Nazionalità. La nazione romantica          Modifica Visione illuministica: nazione come realtà nella quale si riconoscono gli esseri illuminati e i popoli i cui costumi siano stati segnati dalla logica del progresso storico. Visione romantica: nazione come sfera di appartenenza particolaristica ma non esclusiva. La nazione non può fare a meno di entrare in rapporto con la cultura e lo spirito delle altre nazioni e degli altri popoli, insieme con i quali essa costituisce un più vasto organismo vivente. I popoli possono vivere in armonia mantenendo la propria individualità.  Passaggio dallo spirito cosmopolitico settecentesco al nazionalismo ottocentesco. Fichte: solo la nazione tedesca (grazie alla sua superiorità linguistica e culturale, ecc.) può fare da guida politico-spirituale a beneficio dell'intero genere umano. Realizzare il cosmopolitismo partendo dal nazionalismo. La Germania è superiore: dunque è l'unica in grado di generare quell'universalità.  La superiorità linguistica della nazione tedesca, secondo Fichte, è legata alla capacità dell'Urvolk ("popolo originario") di mantenere e salvaguardare la propria lingua originaria ("Ursprache") da influssi stranieri, restando stanziati sul territorio d'appartenenza, a differenza di altri ceppi germanici che, migrando, hanno favorito il modificarsi non solo delle proprie abitudini comportamentali, ma anche della propria lingua. Dunque, il popolo tedesco è l'unico popolo, il popolo non corrotto dal progresso e dalle regole.  Nazione, libertà, umanità                                 Modifica Le differenze fra nazione culturale e politica non sono così individuabili da un punto di vista dell'analisi pratica (sangue e volontà si mescolano).  La nazione italiana: non è qualcosa da costruire ex novo, ma è una comunità naturale che deve essere risvegliata dandole uno Stato e un assetto politico unitario. Per gli autori italiani, il termine nazione è unito alla libertà, alla politica e allo Stato. Al contrario degli intellettuali tedeschi come Herder, quelli italiani pensano che le variabili culturali siano solo un punto di partenza per giungere a una nazione in senso politico, libera e sovrana, dotata di istituzioni e di un governo che ne rispecchi la specificità.  Mancini: le nazioni costituiscono una dimensione naturale e necessaria della storia umana, la cui vitalità storica dipende tuttavia dalla loro libertà e indipendenza, dal fatto cioè di essere non un mero aggregato di fattori naturali e storici (territorio, lingua, ecc.), bensì un corpo politico e di possedere un governo, una volontà giuridica e leggi proprie. Senza lo Stato la nazione rischia di restare un corpo inanimato.  Mazzini vede nella nazione la base politica della sovranità popolare e dello stato democratico: "Per nazione noi intendiamo l'universalità de' cittadini parlanti la stessa favella, associati, con eguaglianza di diritti politici, all'intento comune di sviluppare e perfezionare progressivamente le forze sociali e l'attività di quelle forze."  Differenza fra Mazzini e Sieyès. Per Sieyès il soggetto storico che fa nascere la nazione attraverso la volontà sono i cittadini (liberi e uguali), per Mazzini è invece il popolo, inteso unitariamente come titolare di diritti e doveri che trascendono quelli dei singoli individui, popolo come espressione di una nuova epoca storica. Funzione pedagogica della nazione: essa educa l'uomo al sacrificio, al dovere e all'etica in funzione della comunità.  Marxismo e questione nazionale                                Modifica Marx vede la nazione come un progetto della classe borghese, la quale, proponendosi come classe dominante, conquista il controllo dello Stato, dei suoi apparati legali e produttivi, a scapito dei vecchi ceti feudali e aristocratici. La nazione non costituisce dunque una totalità omogenea. I proletari vi sono esclusi. In quanto prodotto borghese, la nazione è strettamente connessa alle dinamiche del sistema capitalistico e come tale questa verrà meno con il superamento del capitalismo. La nazione è dunque una realtà storico-politica contingente.  Note                                   Modifica ^ Federico Chabod, L'idea di Nazione Bari 1961 ^ Il World Book Dictionary definisce la nazione come “la popolazione che occupa uno stesso luogo geografico, unita sotto lo stesso governo, e parlante usualmente la stessa lingua” ^ LA STORIA, vol. 11, Mondadori, 2007, p.16. ^ Webster's New Encyclopedic Dictionary (trad en-WP). ^ Il termine patriottismo costituzionale, coniato dal politologo e giornalista conservatore tedescoDolf Sternberger (1907-1989) fu completamente reinterpretato dal filosofo tedesco Jürgen Habermas. ^ Intervista con il Dott. G. Mayos, presidente Circolo di Barcellona di studi della nazione.Archiviato il 4 gennaio 2012 in Internet Archive. ^ Stein Rokkan, Territori, Nazioni, Partiti: verso un modello geopolitico dello sviluppo europeo, in "Rivista Italiana di Scienza Politica", X, n. 3, 1980 Bibliografia                                                     Modifica Federico Chabod, L'idea di Nazione, Bari, Laterza, 1961. Stein Rokkan, Territori, nazioni, partiti, in "Rivista italiana di Scienza politica", X, n. 3, 1980. (Id.), Stato, nazione e democrazia in Europa, a cura di Peter Flora, Il Mulino, Bologna 2002 Anthony D. Smith, Le origini etniche delle nazioni, Bologna, Il Mulino, 1998, ISBN 978-88-15-13881-1. (Id.), La nazione. Storia di un'idea, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007 Wolfgang Reinhard, Storia del potere politico in Europa, Il Mulino, Bologna 2001 Pietro Grilli di Cortona, Stati, nazioni e nazionalismi in Europa, Il Mulino, Bologna 2003 Alessandro Campi, Nazione, Bologna, Il Mulino, 2004, ISBN 978-88-15-10199-0. Jan-Werner Muller, Constitutional Patriotism, 0691118590, 9780691118598, 9781400828081 Princeton University Press 2007. Voci correlate       Modifica Unità nazionale Patria Popolo Stato Esilio Patriottismo Nazionalismo Mito-motore Etnocentrismo Etnogenesi Comunità immaginate Comunitarismo Pulizia etnica Razza Discendenza Xenofobia Micronazione Altri progetti                   Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sulla nazione Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «nazione» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su nazione Collegamenti esterni                     Modifica Anthony D. Smith, Nazione, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1996. Modifica su Wikidata nazione, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata nazione, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( IT ,  DE ,  FR ) Nazione, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Modifica su Wikidata Nazione, in Enciclopedia delle scienze sociali, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1991-2001. Controllo di autorità                                            Thesaurus BNCF 11118 · GND ( DE ) 4041279-9   Portale Antropologia   Portale Geografia   Portale Politica Ultima modifica 16 giorni fa di Eumolpo PAGINE CORRELATE Popolo insieme delle persone fisiche che sono in rapporto di cittadinanza con uno Stato  Nazionalità appartenenza di un individuo a una determinata nazione  Cosmopolitismo atteggiamento di chi si considera cittadino del mondo  Wikipedia Il contenutoDino Formaggio. Formaggio. Keywords: arte naturale, l’arte come comunicazione, fenomenologia della tecnica artistica, natura, arte, artistico, tecnica, l’arte come comunicazione, segno della natura, segno dell’arte, segno naturale, segno artificiale – artificiale – segno di natura, segno di arte, ‘phuseos’ ‘theseos’ – per natura, per positione --  la natura, la nazione -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Formaggio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759649101/in/photolist-2mRPJp8-2mRNu9t-2mQ8kJS-2mQ2SsQ-2mPTxJB-2mPXDFp-2mLHHHe-2mLznXk-gCFVD4

 

Grice e Fracastoro – sull’anima – filosofia italiana – Luigi Speranza (Verona). Filosofo. Grice: “I love Fracastoro; for one, I love a physician, since I came to know quite a few – at Richmond!” “Grice: “I love Fracastoro; he philosophised on mainly three topics: the ‘soul’ – in a philosophical dialogue entitled after him, Fracastoro; on poetics, in a dialogue which he named after his poet friend Navagero; and third, on ‘intellezione,’ in a dialogue which he named after another friend, one Torre, “Torrius,” – Grice: “The fact that Gerolamo, or Girolamo, is still at Verona, is fascinatingly charming!” Considerato uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi. Insegna logica a Padova. Fu archiatra di Paolo III, al quale dedica “Homocentrica”. A lui è dedicato il cratere Fracastoro presente sulla Luna. Fondatori della patologia (teoria del patire). Fu il primo ad ipotizzare e verificare che una infezione e dovuta a un germe portatore di una malattia, con la capacità di moltiplicarsi nel corpo dell’organismo e di contagiare altri attraverso la respirazione o altre forme di contatto. “Sifilide, ossia sul “mal francese,” sotto forma di poemetto in esametri e il trattato "Sul contagio e sulle malattie contagiose.” Il trattato è all'origine della patologia, o teoria del patire. Fu il primo a scoprire che le code cometarie si presentano sempre lungo la direzione del Sole, ma in verso opposto ad esso. Descrisse uno strumento in funzione astronomica, poi realizzato da Galilei: il cannocchiale. Scrisse tre dialoghi filosofici: Naugerius sive de Poetica (dialogo di estetica), Turrius sive de Intellectione e l'incompiuto Fracastorius sive de Anima.  Fracastoro, con il nome di Giroldano, viene incontrato da Dago, personaggio di un fumetto argentino creato da Robin Wood e Alberto Salinas, in una delle sue avventure, per la precisione nel n. 10 anno XIV del mensile, proprio mentre Girolamo interroga una prostituta in cerca di informazioni per il suo poema sulla sifilide.  Una leggenda sul Fracastoro fa parte della storia popolare veronese. Una sua statua è posta su un arco alla fine di via Fogge, che da nord si innesta in Piazza dei Signori (comunemente detta anche Piazza Dante). La statua rappresenta la sua figura intera con in mano il mondo, che il popolo del tempo ha ribattezzato la bala de Fracastoro, dove bala è il termine dialettale che indica palla. In quella strada vi era il passaggio per il vecchio tribunale da parte di giudici e avvocati ed era vicina a tutti i palazzi del potere di quel tempo. La bala è legata ad una profezia: cadrà sulla testa del primo galantuomo che passerà sotto. Finora non è mai successo. Il popolo di Verona usa questa storia per sbeffeggiare gli uomini del potere. Enrico Peruzzi, Dizionario Biografico degli Italiani, Ettore Bonora, Il "Naugerius" del Fracastoro, Milano,Garzanti, Storia della Letteratura italiana, Dal Piaz Giorgio, Padova e la Scuola Veneta nello sviluppo e nel progresso delle Scienze geologiche. Mem. R. Ist. Geologia Univ. Padova, Dal Piaz Giorgio, Cenni sulla vita e le opere di carattere geologico di Antonio Valleri senior. In: “Il metodo sperimentale in Biologia da Valleri ad oggi”, Simposio nel III Centenario della nascita di Antonio Valleri, Univ. Studi Padova e Acc. Patavina Sci. Lett. Arti, Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Girolamo Fracastoro, Patavii, excudebat Josephus Cominus, Opere, Venetiis, apud Iuntas, Homocentrica, Venetiis, Sifilide Tiziano, Ritratto di Girolamo Fracastoro. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enrico Peruzzi, «FRACASTORO, Girolamo», in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vita condizione propria della materia vivente Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Vita (disambigua). La vita è l'insieme delle caratteristiche degli esseri viventi che manifestano processi biologici come l'omeostasi, il metabolismo, la riproduzione e l'evoluzione.[1]   Alberi in una foresta (Muir Woods National Monument, California, USA). La biologia, ovvero la scienza che studia la vita, ha portato a riconoscerla come proprietà emergente di un sistema complesso che è l'organismo vivente. L'idea che essa sia supportata da una «forza vitale» è stato argomento di dibattito filosofico, che ha visto contrapporsi i sostenitori del meccanicismo da un lato e dell'olismo dall'altro, circa l'esistenza di un principio metafisico in grado di organizzare e strutturare la materia inanimata.[2] La comunità scientifica non concorda ancora su una definizione di vita universalmente accettata, evitando ad esempio di qualificare come organismo vivente i sistemi come virus o viroidi.   Gli scienziati concordano comunque sul fatto che ogni essere vivente ha un proprio ciclo vitale durante il quale si riproduce, adattandosi all'ambiente mediante un processo di evoluzione, ma ciò non implica la vita perché qualunque caratteristica che hanno i viventi può essere ritrovata in altre situazioni non considerate viventi, ad esempio alcuni virus software che hanno un ciclo vitale e di riproduzione nel loro ambiente informatico ma non sono vivi, o alcuni cristalli che crescono e si riproducono, e molti altri esempi. Una più basica serie di caratteristiche della Vita sono state avanzate, come ad esempio un sistema composto da molecole omochirali che si mantiene in omeostasi e capace di reazioni autocatalitiche (James Tour).  Le forme di vita che sono o sono state presenti sulla Terra vengono classificate in animali, cromisti, piante, funghi, protisti, archaea e batteri.[1][3]  DefinizioneModifica  Ernst Mayr Riguardo alla definizione di cosa sia la vita c'è ancora dibattito tra scienziati e tra filosofi. Secondo il biologo Ernst Mayr sarebbe sufficiente individuare le caratteristiche fondamentali della vita da un punto di vista materiale:   «Il definire la natura dell'entità chiamata vita è stato uno dei maggiori obiettivi della biologia. La questione è che vita suggerisce qualcosa come una sostanza o forza, e per secoli filosofi e biologi hanno provato ad identificare questa sostanza o forza vitale senza alcun risultato. [...] In realtà, il termine vita, è puramente la reificazione del processo vitale. Non esiste come realtà indipendente.[4]»  (Ernst Mayr) Il biologo Hans Driesch sosteneva invece che la vita non potesse essere compresa con gli strumenti delle scienze meccaniche, come la fisica, le quali si occupano esclusivamente dei fenomeni non biologici, ragion per cui la biologia andrebbe separata da queste discipline:[5]  «La vita non è [...] una connessione speciale di eventi inorganici; la biologia, pertanto, non è un'applicazione della chimica e della fisica. La vita è qualcosa di diverso, e la biologia è una scienza indipendente.»  (Hans Driesch, The science and philosophy of the organism, p. 105, trad. ingl., Londra 1929 2[6]) Uno studio approfondito in merito è stato fatto dal fisico Erwin Schrödinger.[7] Nella sua dissertazione Schrödinger nota per prima cosa la contrapposizione tra la tendenza dei sistemi microscopici a comportarsi in maniera "disordinata", e la capacità dei sistemi viventi di conservare e trasmettere grandi quantità di informazione utilizzando un piccolo numero di molecole, come dimostrato da Gregor Mendel, che richiede necessariamente una struttura ordinata. In natura una disposizione molecolare ordinata si trova nei cristalli, ma queste formazioni ripetono sempre la stessa struttura, e sono quindi inadatte a contenere grandi quantità di informazione. Schrödinger postulò quindi che l'unico modo in cui il gene può mantenere l'informazione è una molecola di un "cristallo aperiodico" cioè una molecola di grandi dimensioni con una struttura non ripetitiva, capace quindi di sufficiente stabilità strutturale e sufficiente capacità di contenere informazioni. In seguito questo darà l'avvio alla scoperta della struttura del DNA da parte di Franklin, Watson e Crick; oggi sappiamo che il DNA è proprio quel cristallo aperiodico teorizzato da Schrödinger.  Seguendo questo ragionamento Schrödinger arrivò ad un apparente paradosso: tutti i fenomeni fisici seguono il secondo principio della termodinamica, quindi tutti i sistemi vanno incontro ad una distribuzione omogenea dell'energia, verso lo stato energetico più basso, cioè subiscono un costante aumento di entropia. Questo apparentemente non corrisponde ai sistemi viventi, i quali si trovano sempre in uno stato ad alta energia (quindi un disequilibrio). Il disequilibrio è stazionario, perché i sistemi viventi mantengono il loro ordine interno fino alla morte. Questo, secondo Schrödinger, significa che i sistemi viventi contrastano l'aumento di entropia interno nutrendosi di entropia negativa, cioè aumentando a loro favore l'entropia dell'ambiente esterno. In altre parole gli organismi viventi devono essere in grado di prelevare energia dall'ambiente per ricompensare l'energia che perdono, e quindi mantenere il disequilibrio stazionario. Questo è ciò che in biologia è stato riconosciuto nei fenomeni di metabolismo e omeostasi.  Secondo Ernst Mayr, è un'entità viva, quindi con peculiarità che la distinguono dalle entità non viventi, l'organismo vivente, soggetto alle leggi naturali, le stesse che controllano il resto del mondo fisico. Ma ogni organismo vivente e le sue parti viene controllato anche da una seconda fonte di causalità, i programmi genetici. L'assenza o la presenza di programmi genetici indica il confine netto tra l'inanimato e il mondo vivente.  Unendo il concetto del disequilibrio con quello della riproduzione (cioè della trasmissione ordinata delle informazioni), come espressi da Schrödinger, si ottiene quello che può essere definito vivente:  un sistema termodinamico aperto, in grado di mantenersi autonomamente in uno stato energetico di disequilibrio stazionario e in grado di dirigere una serie di reazioni chimiche verso la sintesi di sé stesso.[8] Questa definizione è largamente accettata nell'ambito della biologia, nonostante ci sia ancora dibattito in merito.[9][10]  Basandosi su questa definizione un virus non sarebbe un organismo vivente, perché può arrivare a riprodursi ma non può farlo autonomamente, in quanto si deve appoggiare al metabolismo di una cellula ospite, così come non sono esseri viventi le semplici molecole autoreplicanti, in quanto sottoposte all'entropia come tutti i sistemi non viventi.  La ricerca sui Grandi virus nucleo-citoplasmatici a DNA, ed in particolare la scoperte dei mimivirus, quindi l'eventualità che costituiscano anello di congiunzione tra i virus, definiti qui non viventi, e i più semplici viventi comunemente accettati, ha contribuito ad estendere il dibattito e a rendere più sfumata la linea di confine tra viventi e non, ed alcune ipotesi minoritarie, suggeriscono che i domini Archaea, Bacteria, ed Eukarya possano originare da tre differenti ceppi virali e i plasmidi possono essere visti come forme di transizione tra virus a DNA e cromosomi cellulari.[11]  Oltre la definizione di Schrödinger, vari studiosi hanno proposto diverse caratteristiche che nel loro insieme dovrebbero essere considerate sinonimo di vita:[12][13]  Omeostasi: regolazione dell'ambiente interno al fine di mantenerlo costante anche a fronte di cambiamenti dell'ambiente esterno. Metabolismo: conversione di materiali chimici in energia da sfruttare, trasformazione di diverse forme di energia e sfruttamento dell'energia per il funzionamento dell'organismo o per la produzione di suoi componenti. Crescita: mantenimento di un tasso di anabolismopiù alto del catabolismo, sfruttando energia e materiali per la biosintesi e non solo accumulando. Interazione con l'ambiente: risposta appropriata agli stimoli provenienti dall'esterno. Riproduzione: l'abilità di produrre nuovi esseri simili a sé stesso. Adattamento: applicato lungo le generazioni costituisce il fondamento dell'evoluzione. Queste caratteristiche sono, per la loro peculiarità, comunque passibili di critiche e di parzialità. Un ibrido non riproducentesi non può considerarsi come non vivo, così pure un organismo che ne abbia perduto la capacità nel corso del tempo. Parimenti un'ipotetica situazione che obblighi la dipendenza da strutture estranee per mantenere l'omeostasi, un organismo strutturalmente non in grado di adattarsi ulteriormente all'ambiente e altre singole deficienze, difficilmente, se prese singolarmente, possono far escludere di avere a che fare con un vivente.  Organismi viventiModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Organismo vivente. La vita è caratteristica degli organismi viventi. In generale la vita si considera una proprietà emergentedegli esseri viventi. Questo significa che si tratta di una caratteristica posseduta dal sistema, ma non posseduta dai suoi singoli componenti. Un organismo vivente, quindi, è vivo, mentre non sono vive le sue singole parti.[14]  Condizioni necessarie alla vitaModifica L'esistenza della vita, così come la conosciamo,necessita di particolari condizioni ambientali. I primi organismi comparsi sulla Terra si sono per necessità sviluppati in base alle condizioni preesistenti, ma in seguito a volte sono stati gli organismi stessi a modificare l'ambiente, a vantaggio proprio o di altri organismi.[15] È il caso della produzione di ossigeno da parte dei cianobatteri, che ha modificato profondamente l'atmosfera terrestre causando un'estinzione di massa (detta catastrofe dell'ossigeno) e rendendo possibile la colonizzazione dell'ambiente terrestre.[16] Inoltre col tempo si sono determinate sempre più interazioni complesse tra i diversi organismi, facendo sì che nella maggior parte degli ambienti la vita di determinate specie sia possibile grazie alla presenza di altri organismi che creano le condizioni necessarie[15] (spesso si tratta di microorganismi, come nel caso dei batteri azotofissatori, che trasformano l'azoto molecolare presente nell'aria in molecole utilizzabili per le piante[17]).  Ogni essere vivente può sopravvivere all'interno di determinati limiti relativi ai fattori fisici dell'ambiente (temperatura, umidità, radiazione solare, ecc.). Al di fuori di questi limiti la vita è possibile solo per brevi periodi, se non impossibile del tutto. Queste condizioni, che sono diverse per ogni specie, sono definite range di tolleranza.[18] Per esempio una cellula batterica ad una temperatura troppo alta subirà la denaturazione delle sue proteine, mentre ad una temperatura troppo bassa subirà il congelamentodell'acqua che contiene. In entrambi i casi morirà. Anche le caratteristiche chimiche costituiscono fattore limitante; pH, concentrazioni estreme di forti ossidanti, elementi chimici in concentrazione tossiche, eccetera, costituiscono spesso un muro quasi invalicabile allo sviluppo della vita. Lo studio di organismi estremofili, ha contribuito enormemente all'individuazione delle condizioni ritenute minime per lo sviluppo della vita, nonostante risulti chiaro che la definizione di ambiente "estremo" è comunque relativa e diversa per ogni organismo.[17]  Determinate esigenze sono comuni a tutti gli organismi viventi. Affinché ci sia vita è necessario che si disponga di energia, al fine di mantenere il disequilibrio energetico del sistema (vedi sopra).[19] La maggior parte degli organismi autotrofi sfrutta l'energia solare, attraverso la quale compie la fotosintesi, ottenendo i nutrienti dalla materia inorganica. Questi organismi, che comprendono piante, alghe e cianobatteri, si dicono fotoautotrofi. Altri autotrofi più rari sfruttano invece l'energia derivante da processi chimici, e si definiscono chemioautotrofi. Le altre specie, dette eterotrofi, sfruttano l'energia chimica dai composti organici prodotti da altri organismi, nutrendosi dell'organismo stesso, di una sua parte o dei suoi scarti.  È necessario inoltre affinché ci sia vita che ci sia disponibilità dei principali costituenti biologici, cioè carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, fosforo, e zolfo, nell'insieme detti anche CHNOPS.[19] Gli organismi autotrofi li ricavano principalmente in forma inorganica dall'ambiente, mentre quelli eterotrofi sfruttano principalmente i composti organici di cui si nutrono.  Tutte le forme di vita conosciute, infine, necessitano di abbondanza d'acqua, anche se alcuni organismi hanno sviluppato adattamenti che permettono loro di conservare le proprie riserve di liquidi a lungo, così da potersi allontanare notevolmente dalle fonti d'acqua.  Queste condizioni sono condivise dalla quasi totalità delle forme di vita conosciute, tuttavia non è possibile escludere l'esistenza, sulla terra o su altri pianeti, di organismi in grado di vivere in condizioni completamente diverse. Per esempio nel 2010 è stato trovato nel Mono Lake in California un batterio, Halomonas sp., ceppo GFAJ-1, in grado di sostituire il fosforo nelle proprie molecole con l'arsenico,[20] che proprio per la sua similitudine col fosforo e per la sua tendenza a sostituirlo nelle molecole biologiche, è tossico per la maggior parte degli organismi conosciuti, escludendo quelli che lo utilizzano come ossidante nella respirazione,[21] al pari di numerosi composti utilizzati a tale scopo da differenti organismi. In seguito questa scoperta è stata messa in dubbio,[22][23] e sono in corso (2012) verifiche per accertare l'eventuale eccezionalità della scoperta. Gli esobiologi ipotizzano una vita basata sulla chimica del silicio anziché del carbonio.  Origine della vitaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Origine della vita ed Evoluzione della vita. Secondo i modelli attualmente accettati la vita sulla terra è comparsa grazie alle condizioni presenti tra 4,4 e 2,7 miliardi di anni fa, che hanno permesso lo sviluppo di macromolecole come gli amminoacidi e gli acidi nucleici, come dimostrato dall'esperimento di Miller-Urey, dalle quali in seguito si sono originati polimeri come i peptidi e i ribozimi. Il passaggio dalle macromolecole alle protocellule è l'aspetto più controverso della questione, sul quale sono state avanzate diverse ipotesi, come quella del mondo ad RNA, quella del mondo a ferro-zolfo e la teoria delle bolle.  A partire dalle protocellule gli organismi hanno poi raggiunto lo stadio attuale in cui li conosciamo tramite processi, spiegati dalla teoria dell'evoluzione, lungo un ramificato processo di evoluzione della vita.  Vita extraterrestreModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Esobiologia ed Extraterrestre. Qualunque forma di vita non propria del pianeta Terra viene detta "extraterrestre". Questo termine può riferirsi, in maniera più ampia, a qualunque oggetto al di fuori della stessa realtà terrestre. Tutt'oggi l'uomo non conosce alcun esempio di essere vivente extraterrestre e il dibattito tra scettici e sostenitori della probabile esistenza di forme di vita aliene a quelle terrestri è molto acceso.  Nella cultura umanisticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Vita (filosofia) e Filosofia della vita. Prima che la scienza fornisse spiegazioni scientifiche sulla vita, l'uomo tentò di fornire risposte riguardo ai fenomeni dei viventi tramite la mitologia, la religione e la filosofia.   Nella cultura letteraria e filosofica, l'esistenza umana è stata associata alle emozioni, alle passioni e in generale alla storia di ciascuna persona. Poeti, letterati, filosofi e pensatori hanno associato alla vita significati diversi e presentando una personale concezione di vita umana. Alcune posizioni hanno dato vita a vere e proprie correnti di pensiero, come il vitalismo, il pessimismo, o il nichilismo.  Diritto e questioni etiche sulla vita umanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Diritti umani e Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Nelle società organizzate, la vita umana rappresenta un valore che richiede attenzione in termini di diritto. Questioni di tipo etico determinano le scelte circa la difesa e la salvaguardia della vita, quando questa è messa in discussione da altri tipi di scelte, come la pena di morte, l'aborto o l'eutanasia. Secondo attente analisi e ricerche la maggior parte delle persone possiede una vita infelice per cause di tipo affettive, morali, sociali, personali e cause derivate dalle relazioni amorose, da ciò le persone possono evidenziare idee suicide o entrare in fasi depressive. A titolo esemplificativo può essere appropriato riportare le seguenti riflessioni che bene descrivono lo stato d'animo della Bovary,[24]travolta dalle devastanti vicende passionali, che la indurranno infatti al suicidio: Da che dipendeva quella insufficienza della vita, quell'istantaneo imputridirsi delle cose alle quali essa si appoggiava?... Ogni sorriso nascondeva uno sbadiglio di noia, ogni gioia una maledizione, ogni piacere il suo disgusto...  Vita sinteticaModifica Dalla ricerca delle proprietà oggettive che definiscano il concetto di vita si è sviluppato un ramo della biologia chiamato biologia sintetica che utilizza conoscenze di biologia molecolare, biologia dei sistemi, biologia evoluzionistica e biotecnologie con l'idea di progettare sistemi biologici in maniera artificiale in laboratorio.  NoteModifica ^ a b ( EN ) NASA - Life's Working Definition: Does It Work?, su www.nasa.gov. URL consultato il 1º giugno 2018. ^ Riccardo De Biase, I saperi della vita: biologia, analogia e sapere storico, Giannini Editore, 2011, p. 97. ^ Five Kingdom Classification System, su www.ruf.rice.edu. URL consultato il 1º giugno 2018. ^ Ernst Mayr, cap 6, What is tha meaning of "life" The nature of life, Carol E. 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PMC 1450140 ^ ( EN ) How to Define Life -points to ponder for comprehensive questions on final exam, su una.edu. ^ ( EN ) McKay Chris P., What Is Life—and How Do We Search for It in Other Worlds?, in PLoS Biology, vol. 2, n. 9, 14 settembre 2004, p. 302, DOI:10.1371/journal.pbio.0020302, PMID 15367939. PMC 516796 ^ ( EN ) Defining Life, Explaining Emergence, su nbi.dk, Center for the Philosophy of Nature and Science Studies, Niels Bohr Institute, 1997. ^ a b ( EN ) Understand the evolutionary mechanisms and environmental limits of life, su astrobiology.arc.nasa.gov, NASA (archiviato dall' url originale  il 26 gennaio 2011). ^ Roberto Argano et al., Zoologia generale e sistematica, Zanichelli, ISBN 88-323-1803-2. ^ a b Colin R. Townsend et al., L'essenziale di ecologia, Zanichelli, ISBN 88-08-08923-1. ^ ( EN ) Daniel D. 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J., Absence of arsenate in DNA from arsenate-grown GFAJ-1 cells, 31 gennaio 2012. ^ G. Flaubert, Madame Bovary, BUR, 1992, p. 258-259. Voci correlateModifica Biologia Evoluzione Biodiversità Morte Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sulla vita Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «vita» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla vita Collegamenti esterniModifica vita, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata vita, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Vita, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Origine della vita, su minerva.unito.it. La vita e l'evoluzione, su vita-morte-evoluzione.bravehost.com. Vita, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Controllo di autoritàThesaurus BNCF 12970 · LCCN( EN ) sh85076810 · GND ( DE ) 4034831-3 ·BNE ( ES ) XX530995 (data) · BNF( FR ) cb11933780m (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007529230105171 (topic) · NDL( EN ,  JA ) 00570344   Portale Biologia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Biologia Ultima modifica 12 giorni fa di Gac PAGINE CORRELATE Biologia scienza che studia la vita  Organismo vivente entità dotata di vita  Che cos'è la vita? Wikipedia Il contenuto  Vita (filosofia) Lingua Segui Modifica Il concetto di vita in senso biologico non coincide con quello filosofico. Genericamente possiamo riferirci alla biologia nel definire la vita come la condizione di esseri che, caratterizzati da una forma precisa e da una struttura chimica particolare, hanno la capacità di conservare, sviluppare e trasmettere forma e costituzione chimica ad altri organismi[1].  In filosofia la definizione del concetto di vita è diversa e più complessa poiché risente della scarsità lessicale presente nella lingua italiana che usa un unico termine per una diversità di significati: in senso generale si adopera il lemma "vita" per indicare la vita animale, quella umana, quella oltreumana e, nei riguardi dell'uomo in particolare: la vita corporea, quella psichica, quella spirituale.[2]  Pensiero anticoModifica Nel pensiero greco antico vengono usati invece tre termini a seconda del loro specifico significato:  ζωή (zoé): il principio, l'essenza della vita che appartiene in comune, indistintamente, all'universalità di tutti gli esseri viventi e che ha come concetto contrario la non-vita e non, come si potrebbe pensare, la morte poiché questa riguarda il singolo essere che cessa, lui e soltanto lui, di vivere;[3] βίος (bíos): indica le condizioni, i modi in cui si svolge la nostra vita. Zoé è dunque la vita che è in noi e per mezzo della quale viviamo (qua vivimus), bios allude al modo in cui viviamo (quam vivimus), cioè le modalità che caratterizzano ad esempio la vita contemplativa, la vita politica ecc. per le quali la lingua greca usa appunto il termine bios accompagnato da un aggettivo qualificante;[3] ψυχή (psyché):[4] nella lingua greca del Nuovo Testamento ricorre nel significato di "anima-respiro"[5], il "soffio" vitale: (EL)  «ὁ φιλῶν τὴν ψυχὴν αὐτοῦ ἀπολλύει αὐτήν, καὶ ὁ μισῶν τὴν ψυχὴν αὐτοῦ ἐν τῷ κόσμῳ τούτῳ εἰς ζωὴν αἰώνιον φυλάξει αὐτήν.[6]»  (IT)  «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna»  Nella filosofia greca antica tutto il reale è concepito come vivente secondo la teoria dell'ilozoismo che nella ricerca del principio introduce considerazioni di argomento biologico per cui: Diogene di Apolloniaconsidera l'aria come vita, Empedocle fa risultare la vita dalla armonica fusione dei quattro elementi primigeni, Anassagora intuisce l'origine di tutti gli esseri viventi nell'aggregazione dei semi (σπέρματα). Tutti questi sono elementi materiali viventi che vengono connessi con il concetto di psyché, come nel Timeo[7] di Platone dove l'intero mondo è un organismo vivente. Un concetto di anima del mondo, che risale probabilmente a tradizioni orientali, orfichee pitagoriche. Secondo Platone il mondo è infatti una sorta di grande animale, la cui vitalità generale è supportata da quest'anima, infusagli dal Demiurgo, che lo plasma a partire dai quattro elementifondamentali: fuoco, terra, aria, acqua.  «Pertanto, secondo una tesi probabile, occorre dire che questo mondo nacque come un essere vivente davvero dotato di anima e intelligenza grazie alla Provvidenza divina.[8]»  Anche per Aristotele la vita s'identifica con l'anima (ἐντελέχεια), sia essa vegetativa, sensitiva o intellettiva, che è nel sinolo «causa e principio del corpo vivente»[9] Con Aristotele il primato della forma sulla materia porta alla contrapposizione del βίος ϑεωρητικός (bios teoretikòs) al βίος πρακτικός (bios praktikòs), al primato della vita contemplativa sulla vita attiva, come diranno i filosofi medioevali, vale a dire la superiorità della conoscenza teoretica, che permette all'uomo di cogliere la verità di per se stessa mentre quella pratica cerca anch'essa la verità ma come mezzo in vista dell'azione, al fine di cambiare la realtà:  «...è giusto anche chiamare la filosofia scienza della verità. Infatti della filosofia teoretica è fine la verità, di quella pratica l'opera, poiché i [filosofi] pratici, anche se indagano il modo in cui stanno le cose, non studiano la causa di per se stessa, ma in relazione a qualcosa ed ora.[10]»  La visione aristotelica sarà fatta propria anche dal neoplatonismo, che nella sua dottrina emanatistica e nella concezione dell'anima come psiche cosmica, stabilirà la connessione tra il mondo ideale, della generazione delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla stessa sostanza divina, e quello materiale delle realtà empiriche.  Il pensiero cristiano e medioevaleModifica Nella concezione cristiana nel Vecchio Testamento la vita umana è strettamente collegata alla volontà benefica di Dio mentre la morte è rapportata al peccato. Nel Nuovo Testamento la connessione vita-divino si consolida nel messaggio di Gesù che assicura la resurrezione, una vita futura a chi crede in lui.  (LA)  «Ego sum resurrectio et vita: qui credit in me, etiam si mortuus fuerit, vivet: et omnis qui vivit et credit in me, non morietur in aeternum.[11]»  (IT)  «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno.»  La filosofia medioevale accoglie l'eredità neoplatonica dell'importanza del βίος ϑεωρητικός per una vita vissuta religiosamente e misticamente come strumento per giungere alla vita oltremondana e riprende la concezione aristotelica della vita biologica adattando la sua definizione dell'anima come «l'atto puro di un corpo che ha la vita in potenza»[12] alla teoria dell'immortalità dell'anima:  Filosofia modernaModifica Tra il 1600 e il 1700 la vita viene concepita come appartenente a un essere vivente che deve essere studiato come se fosse una macchina distinguendo nettamente ciò che riguarda gli elementi fisici da quelli psichici. Questa tesi, dove si cimentano in particolare Cartesio e Hobbes viene contrastata da Leibniz che definendo la monade la riferisce al principio aristotelico della entelechìa (ἐντελέχεια) intesa come la tensione di un organismo che mira a realizzare se stesso secondo leggi proprie, passando dalla potenza all'atto.[13]  Queste concezioni vengono superate dal vitalismo che eredita dal 1600 i motivi neoplatonici e magici-alchemici dei filosofi rinascimentali Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.  I pensatori dell'età romantica, Herder, Hölderlin, Schiller, Jacobi, nel filone segnato dalla Critica della ragion pratica e dalla Critica del giudizio kantiane, concepiscono la vita inserendola nella nuova visione della filosofia della natura sviluppata da Goethe, Schelling e Hegel il quale in particolare vuole contrastare sia la teoria intellettualistica che vede la vita come qualcosa di incomprensibile sia quella romantica che contrappone l'energia della vita al freddo sapere, riportando la vita nell'ambito dello sviluppo dialettico dell'Idea (tesi) che si oggettiva come natura (antitesi) per approdare alla sintesi dell'Idea che torna su se stessa colma di realtà.  All'inizio del XX secolo si costituisce la Lebensphilosophie, la filosofia della vita che rifacendosi all'opera di György Lukács La distruzione della ragione, si esprime in una varietà di autori che elaborano una dottrina variegata e non unitaria tenuta assieme dall'antinomia vita-ragione. Così Dilthey, Rickert, Simmel, Scheler, Ludwig Klages, e specialmente Unamuno, José Ortega y Gasset, Eugeni d'Ors e altri, si rifanno a elementi del romanticismo, di Arthur Schopenhauer, di Nietzsche oppure riconducono la razionalità a qualcosa di immanentealle stesse strutture materiali della vita. Una «vitalizzazione della ragione» che porta all'irrazionalismo, al misticismo, all'amoralismo:  «La ragione tende a razionalizzare la vita, nemica della ragione; qualora essa conseguisse il suo intento, si avrebbe la morte e la negazione della vita. Nello stesso tempo la vita tende a vitalizzare la ragione...[14]»  Su queste basi speculative nella seconda metà del Novecento la filosofia francese con Deleuze ha sviluppato una filosofia della vita che in questo autore, attingendo agli studi storico-epistemologici di Georges Canguilhem, porta alla fondazione di una visione immanentistica della vita che ha come fulcro il concetto di differenza-ripetizione   «...tutte le identità non sono che simulate, prodotte come un effetto ottico, attraverso un gioco più profondo che è quello della differenza e della ripetizione.[15].»  Sulla scia del pensiero di Nietzsche, la differenza è concepita come affermazione pura, come atto creativo e l'identità come un che di selettivo, che torna solo per affermare la differenza.  Attingendo alla filosofia della vita Foucault avanza la teoria del "biopotere" cioè le pratiche con le quali la rete di poteri gestisce  la gestione del corpo umano nella società dell'economia e finanza capitalista, la sua utilizzazione e il suo controllo la gestione del corpo umano come specie, base dei processi biologici da controllare per una biopoliticadelle popolazioni[16] NoteModifica ^ Ove non indicato diversamente, le informazioni contenute nel testo della voce hanno come fonte: Dizionario di filosofia Treccani (2009) alla voce corrispondente ^ Vittorio Possenti, La questione della vitaArchiviato il 10 febbraio 2015 in Internet Archive. ^ a b Martin Heidegger, Concetti fondamentali della filosofia aristotelica, Milano, Adelphi, 2017, p. 77, ISBN 9788845978678. ^ Vittorio Possenti, Op.cit. Archiviato il 10 febbraio 2015 in Internet Archive. ^ Richard Broxton Onians, The Origins of European Thought, Cambridge, Cambridge University Press, 1951 ^ N. T. Gv. 12, 25 ^ Platone, Timeo, 34 b – 37 d ^ Platone, Timeo, cap. VI, 30 b ^ Aristotele, De anima, II, 4, 415 b ^ Aristotele, II libro della Metafisica,1, 993b 19-23 ^ Gv. 11, 21-27 ^ Aristotele, De anima, II, 412a 2 ^ Aristotele, De Anima, II, 412, a27-b1 ^ Lorenzo Lunardi, Attualità di Unamuno,Padova : Liviana Ed., 1976. ^ Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Il Mulino, 1971, p. 2. ^ Michel Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, 1978 Voci correlateModifica Esistenza Naturalismo (filosofia) Filosofia della natura Vitalismo   Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Filosofia Ultima modifica 10 mesi fa di Narayan89 PAGINE CORRELATE Psiche termine della psicologia  Vitalismo corrente di pensiero che esalta la vita  Panpsichismo teoria  Wikipedia  Vitalismo corrente di pensiero che esalta la vita Lingua Segui Modifica Il vitalismo è una corrente di pensiero che esalta la vita intesa principalmente come forza vitaleenergetica e fenomeno spirituale, al di là del suo aspetto biologico materiale.   Raffigurazione di Venere, principio della vita e della fertilità che nasce dall'acqua PrincipiModifica Il vitalismo ritiene che i fenomeni della vita, costituiti da una "forza" particolare, non siano riconducibili interamente a fenomeni chimici, ed in particolare che vi è una netta demarcazione tra l'organico e l'inorganico, che la vita sulla terra ha avuto un'origine divina e non solo da un'evoluzione risalente a circa 3800 milioni di anni fa, come sostengono i biologicontemporanei.  Il vitalismo può essere anche inteso, nell'ottica nietzschiana e dannunziana, come l'esaltazione della vita senza limiti né freni ideologici o morali, come la ricerca del godimento (dionisiaco), come la celebrazione dell'istinto e di quella volontà di potenzache apparterrebbe solo a pochi eletti, i quali sanno imporre il proprio comando sui più deboli. Questa forza può così rigenerare un mondo che Nietzsche e D'Annunzio ritengono esausto.  In una tale ottica l'evoluzionismo non sarebbe in contrasto col vitalismo, ma darebbe anzi la conferma che la natura si serve della selezione naturale al fine di perpetuare la propria volontà di vivere attraverso la sopravvivenza dei migliori.[1] A differenza del vitalismo dannunziano, che nelle sue manifestazioni racchiude molti degli elementi tipici dell'estetismo decadente, il vitalismo nietzschiano va considerato anche nella sua accezione dionisiaca di accettazione tragica della vita, di un'accettazione tout court della vita, finanche nei suoi aspetti più truci e sofferenti.  StoriaModifica  Bambino nel grembo materno disegnato da Leonardo da Vinci(1511 circa)[2] Pur con radici antiche, il vitalismo si è sviluppato come sistema teorico tra la metà del Settecento e la metà dell'Ottocento. Si tratta di una concezione ereditata in gran parte dal neoplatonismo e dalla filosofia rinascimentale, secondo cui le idee platoniche, oltre a trascendere il mondo, sono anche immanenti alla natura, diventando la ragione costitutiva dei singoli organismi e di tutto ciò che esiste. Il cosmo, in quest'ottica, risulta animato da un principio intelligente, veicolato in esso da una comune e universale Anima del mondo.[3] Se Leibniz proseguì sulla stessa lunghezza d'onda, attribuendo vita e capacità di pensiero anche alla materia inerte, e schierandosi contro il meccanicismo di Cartesio e degli empiristi,[4] Schelling vedeva invece nel vitalismo una concezione irrazionale e perciò da scartare, in quanto affine al noumeno kantiano, preferendo piuttosto parlare di evoluzionismo finalistico: questo era da lui concepito agli antipodi sia del vitalismo, ma anche del determinismo meccanico, che è incapace di cogliere la profonda unità che pervade la natura, riducendola ad un assemblaggio di singole parti.[5]  Dopo aver trovato espressione anche nella poetica di Giacomo Leopardi,[6] il vitalismo riemerse nel Novecento con Bergson, il quale, in una rinnovata polemica contro il determinismo e il materialismo, torna ad affermare che la vita biologica, come del resto la coscienza, non è un semplice aggregato di elementi composti che si riproduce in maniera sempre uguale a se stessa. La vita invece è una continua e incessante creazione che nasce da un principio assolutamente semplice, non rieseguibile deliberatamente, né componibile a partire da nient'altro.[7]  Tentativi di spiegazione in laboratorioModifica (Tedesco)  «Wer will was Lebendiges erkennen und beschreiben, Sucht erst den Geist heraus zu treiben, Dann hat er die Teile in seiner Hand, Fehlt, leider! nur das geistige Band. Encheiresin naturaenennt's die Chemie, Spottet ihrer selbst und weiß nicht wie.»  (IT)  «Per capire e descrivere una realtà vivente, si cerca sempre innanzitutto di cavarne la vita; allora si ha la mano piena di frammenti inerti, a cui manca solo - purtroppo - il nesso della vita. La chimica le dà il nome di encheiresin naturae:[8] si burla di se stessa e nemmeno se ne avvede.»  (Mefistofele rivolto a una giovane matricola universitaria, nel Faust di Goethe, vv. 1936-41)  Figure di omuncoli disegnate da Antonio Vallisnieri (1721), ritenuti i semi in grado di operare la generazione dell'uomo Dal punto di vista biologico ci sono stati diversi tentativi di costruire la vita in laboratorio partendo da basi il più possibile scientifiche, per cercare di ridurre gli aspetti maggiormente irrazionali della concezione della vita, o per poterne dare delle spiegazioni quantomeno plausibili. I più importanti sviluppi della biochimica e dell'ingegneria genetica sono stati i seguenti:  Nel 1828 il chimico tedesco Friedrich Wöhler, in collaborazione con Justus von Liebig, effettua la prima sintesi organica, la sintesi dell'urea. Nel 1859 viene pubblicata la teoria dell'evoluzione di Darwin. Nel 1897 Eduard Buchner dimostra che la fermentazione può avvenire anche senza cellule di lievito vive ma solo con loro estratti. Nel 1935 Wendell Meredith Stanley cristallizza il primo virus, il virus del mosaico del tabacco. Negli anni 1932-1934 Harold Urey prepara i primi composti organici deuterati. Nel 1953 Stanley Miller ottiene per sintesi le prime molecole organiche. Si tratta però, allo stato, di procedimenti meramente meccanici, che nulla dicono sul perché un certo composto dovrebbe dare la vita a differenza di un altro. Tali esperimenti si limitano a rieseguire in laboratorio i procedimenti naturali di generazione della vita, senza che questi siano compresi a fondo; proprio perché ne sono un'imitazione, tali procedimenti sembrano non differire qualitativamente da quelli operanti in natura.  Secondo il paleontologo Teilhard de Chardin, che studiando la storia dell'evoluzione della Terra elaborò la cosiddetta legge di complessità e coscienza, esiste all'interno della materia una tendenza a diventare maggiormente complessa e al tempo stesso ad accrescere una propria coscienza, passando dallo stato inanimato a quello via via più evoluto. La coscienza sarebbe dunque il fine nascosto a cui tendono le leggi della natura, e che potrebbe essere in grado di spiegarle.[9] Il biologo e filosofo Hans Drieschricorse al termine aristotelico entelechia per designare questa forza vitale in grado di strutturare la materia organica secondo leggi immateriali.[10]  Il desiderio di costruire la vita totalmente al di fuori delle vie naturali ricorre invece soprattutto nella fantascienza; a questo filone appartiene ad esempio il romanzo Frankenstein di Mary Wollstonecraft Shelleydel 1818.  Note                                      Modifica ^ L'esaltazione della vita nell'opera di Friedrich Nietzsche e di Gabriele D'Annunzio, cit. in bibliografia. ^ Dettaglio dal codice Windsor sugli studi sugli embrioni. ^ Concetto già espresso da Platone, il quale, richiamandosi alla tradizione dell'ilozoismoarcaico, sosteneva che il mondo è una sorta di grande animale, supportato da una «Grande Anima» infusagli dal Demiurgo, che impregna il cosmo e gli dà vitalità generale (Timeo, 34 b). ^ Leibniz, Monadologia, 1714. ^ Schelling, Bruno, ovvero il principio divino e naturale delle cose (1802), dove egli recupera il concetto neoplatonico di Weltseele o «Anima del mondo». ^ Gaetano Macchiaroli, Giacomo Leopardi, Napoli, Biblioteca Nazionale, 1987, p. 371. ^ Bergson, L'Evolution créatrice, 1907. ^ Espressione composta da un termine grecoall'accusativo (encheiresin) ed uno latino, che significa letteralmente «manipolazione della natura», con cui in ambito accademico si indicava l'assemblaggio di componenti biologiche nel tentativo di formare un organismo vivente (Hugo Von Hofmannsthal, The Whole Difference: Selected Writings of Hugo von Hofmannsthal, pag. 499, a cura di J.D. McClatchy, Princeton University Press, 2008). ^ Pierre Teilhard de Chardin, L'avvenire dell'uomo[1959], Il Saggiatore, Milano 1972. ^ Dizionario di filosofia Treccani. BibliografiaModifica Luigino Zarmati, Il vitalismo. L'esaltazione della vita nell'opera di Friedrich Nietzsche e di Gabriele D'Annunzio, Leonardo da Vinci editore, 2001 ISBN 8888926011. Gertrud Hvidberg-hansen, The Spirit of Vitalism, Intl Specialized Book Service Inc, 2010 ISBN 8763531348. Lelia Pozzi D'Amico, Medicina e metafisica, Nuovi Autori, 2008 ISBN 8875683301. Enrico Marabini, La singolarità dei sistemi animati. Riflessioni e confutazioni sul problema del neovitalismo, Il Pavone, 2008. ISBN 8895299329. Georges Canguilhem, La conoscenza della vita, prefazione di Antonio Santucci, Il Mulino, 1976. Scott Lash, Life (Vitalism), Theory, Culture and Society, 23.2-3 (2006). Voci correlateModifica Animismo Evoluzionismo (scienze etno-antropologiche) Henri Bergson Collegamenti esterni                                           Modifica vitalismo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata vitalìsmo, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàThesaurus BNCF 12148   Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di filosofia Ultima modifica 1 anno fa di Trottapiano PAGINE CORRELATE Pierre Teilhard de Chardin gesuita, filosofo e paleontologo francese  Pensiero di Teilhard de Chardin Dannunzianes  l'anima     L' ultimo libretto del nostro filosofo, che dal  suo stesso nome ci pervenne intitolato « Fracasto-  rius sive de Anima, » dovrebbe essere quasi la  sintesi de' precedenti ragionamenti da lui tenuti  intorno all'intellezione. Ed invero fu a suo  luogo notato come intendimento del nostro Au-  tore era di risalire daile estrinsecazioni del  pensiero alla sua stessa sorgente, e dalle facoltà  dell'anima, prima fra le quali la intellettiva, e  dagli atti loro, alla stessa propria natura del-  l' anima razionale. Cammino inverso a quello  che si era tenuto e si teneva comunemente nelle  scuole, dove, da definizioni astratte dell'anima.     GIROLAMO FRACASTORO 219   come dall' entelecheia d'Aristotele, si faceva di-  scendere e si credeva di potere spiegare i singoli  fenomeni; ma appunto perciò abbiamo annoverato  il Fracastoro fra i primi filosofi del rinascimento,  avendo egli avuto chiara coscienza della necessità  di procedere a posteriori anche ne' più ardui  problemi della filosofia, della quale in tal guisa  preannunziò il rinnovamento . Nel suo libro  dell' Anima adunque si dovevano raccogliere  1 supremi sforzi dell' acume filosofico del Fraca-  storo, e tuttavia per talune ragioni che or ver-  remo esponendo, questo libretto rimane inferiore  all' aspettazione del lettore, e forse al concetto  stesso che aveva guidato l' autore nel comporlo.     II.   In primo luogo il dialogo è rimasto incom-  piuto perchè F autore, che da tanti anni vi me-  ditava sopra, fu prevenuto dalla morte. E per  quanto si possa credere che in confronto del-  l' ampio svolgimento dato al libro dell' Intelle-  zione^ questo sull' Anima avrebbe dovuto avere  un corrispondente e proporzionato sviluppo, in  ragione della più alta gravità e difficoltà della  materia, è tuttavia un libretto di non molte     220 CAPITOLO OTTAVO   pagine quello clie ci è pervenuto, e che si trova  impresso nella raccolta delle opere Fracastoriane.   In secondo luogo la dottrina dell' anima  è in questo dialogo trattata limitatamente , e  quasi esclusivamente rispetto alla controversia  dell' immortalità. E' ben vero che il Fracastoro  cerca sin dal principio di sollevarsi sino ad af-  ferrare la « quiddità » dell' anima, però assai  brevemente, e di leggieri si scorge che non è  questo, almeno in tal luogo, il fine principale  a cui mira. Notissima è la contesa suscitata a  quel tempo dal Pomponazzi intorno alla immor-  talità, da lui filosoficamente negata, cristiana-  mente creduta, non diremmo tanto per la  consapevolezza del pericolo, quanto per quello  strano contrasto che accompagna le più ardite  ribellioni di uomini usciti allora dal dominio  della teologia. Il che tuttavia non tolse che al  Pomponazzi stesso da taluno si facesse intendere  eh' egli, ammessa per buona la sua credenza  come cristiano,, poteva essere arso soltanto come  filosofo. La dottrina del maestro ebbe contraddi-  tori fra i suoi stessi discepoli. Primo fra questi  il Contarini, uomo di chiesa, la confutò, dicendola  sospetta di ateismo; nè alcuno si attenderebbe  che il Fracastoro, uomo religioso, e medico del  Concilio di Trento, avesse a difenderla. Ciò non     GIROLAMO FRACASTORO 221   ostcante è errata l'opinione di coloro i quali  credettero, come riferisce pure l'anonimo scrit-  tore della vita del Fracastoro, che questi com-  ponesse il suo dialogo « adversus insana non  minufi quam impia Pomponatii praeceptoris pla-  cita » (pag. 8). Queste parole ci fanno sentire  r acrimonia dell' animo nei contradditori del  Pomponazzi, ma tale non è verso di lui l'animo  del Fracastoro, il quale si sforza bensì di con-  fermare l'immortalità, ma senza parola di ran-  core contro di alcuno, anzi senza mai nominare  il Pomponazzi, e senza quasi mostrar di cono-  scere le obiezioni da esso addotte. Il dialogo  poi fu pubblicato soltanto molti anni dopo la  morte del filosofo mantovano, onde anche per  questo rimane del tutto escluso che 1' opera  fracastoriana potesse avere un fine personale e  polemico. Con tutto ciò egli è certo che il fine  apologetico della difesa del dogma la vince ,  nel nostro autore, sulla discussione schiettamente  filosofica; e l'aver egli ristretto un argomento  sì vasto pressoché a questa sola questione , to-  glie oggi naturalmente al dialogo originalità  ed efficacia.   In terzo luogo, ed è logica e necessaria con-  seguenza di quanto finora si è osservato , la  forma stessa del dialogo diviene piuttosto let-     222     CAPITOLO OTTAVO     terapia che filosofica e si abbandona a poetiche  concezioni, invece di conservarsi strettamente  raziocinativa e dialettica , quale appariva nel  dialogo della « Intellezione. » Sente il nostro  autore che la quistione dell' immortalità sfugge  propriamente all' indagine della ragione , on-  d' egli vi sostituisce la poesia e il sentimento,  per quanto siano questi pure lati assai ragguar-  devoli dell' animo e del pensiero umano. Non-  dimeno quello che nel caso nostro più importa  notare, si è che ciò facendo il Fracastoro non  pretende ancora assoggettare la ragione al dogma,  siccome era avvenuto per tutto il medio evo,  ma francamente riconosce che in quistioni di  tal natura non si può procedere col rigore del  ragionamento filosofico, in guisa che non s'abbia  ad accettare se non quello che sia stato rigoro-  samente dimostrato, come volevano le antiche  scuole degli stoici e dei peripatetici : « Deinde...  et duritiem severitatemque illam vel stoicam vel  etiam peripateticam exuamus, ut nihil velimus  admittere nisi quod iis rationihus assertum com-  prohatumque fuerit quas comprobativas consue-  vimus appellare. In omnibus enim illas expe-  tere iniustum profecto est » (pag. 207). Queste  parole ci sembrano per vero molto notevoli. Se  le prendiamo alla lettera, in esse il Fracastoro     GIROLAMO FRACASTORO 223     ci apparisce, come filosofo, inferiore a sè stesso,  e verrà il Descartes a ristabilire come legge  essenziale del metodo quel medesimo rigore  dimostrativo che stoici e peripapetici avevano  voluto. Tuttavia conviene ben rilevare come  anche in cotesto il nostro Autore, pur soste-  nendo una tesi opposta a quella del Pompo-  nazzi, sa ben distinguere, come questi aveva  insegnato a fare, ciò che può esser soggetto di  razionali dimostrazioni, e ciò che, non potendo  esserlo, va piuttosto confidato al sentimento ed  alla fede. Non v' è più qui la formula medio-  evale « intellectus quaerens fidem ; » e nemmeno  Taltra « /ides quaerens intellectum », ed in cote-  sta distinzione che assegna un campo separato  alla filosofia e alla fede, pur entrambe neces-  sarie a soddisfare un'imperiosa esigenza psico-  logica, tutti sanno che fu il principio di un  salutare rinnovamento oltreché scientifico, altresì  morale e civile.     III.   Del rimanente non è a dimenticare che  al tempo del Fracastoro quasi tutte le specu-  lazioni e discussioni che si facevano intorno     224     CAPITOLO OTTAVO     all' anima , aggiravansi principalmente intorno  all'immortalità. Ogni secolo discute quei pro-  blemi che più lo interessano, e non è a mera-  vigliarsi che in un' epoca in cui ridestavansi  i nomi e i ricordi gloriosi di antiche scuole  filosofiche, in cui si rinnovellavano le forme  letterarie ed artistiche dell' antica civiltà greca  e romana , si cercasse con ansia profonda in  quei ricordi, presso quei letterati, nei libri di quei  filosofi, la conferma o la liberazione da quei  dogmi che per secoli avevano occupato le menti  di ognuno. Così avviene che di tutta la psicologia  di Aristotele, la sua dottrina intorno alla doppia  natura del Noo, da cui sembrava potersi con-  chiudere, rispetto all'anima, ora che ella è, ora  che non è mortale, era stata fra le altre parti  della sua dottrina la più dibattuta da commen-  tatori e filosofi ; è i nomi stessi di aristotelismo  e di platonismo si prendevano ormai come in-  segne di guerra, secondochè si mirava ad oppu-  gnare 0 a difendere 1 dogmi cristiani. Indi le  guerre tra aristotelici ed antiaristotelici; e tra  gli aristotelici stessi gli uni si sforzavano an-  cora di tirare le dottrine del maestro, come  avea fatto la scolastica, a razionale dimostra-  zione di rispettate credenze, gli altri invece  francamente vi si ribellavano, ma tutti facevano     GIROLAMO FRACASTORO     225     segno de' loro studi più assidui quei luoghi  d'Aristotele che più da presso si riferivano  alle supreme quistioni del loro tempo. Ed ecco  perchè anche la psicologia del Pomponazzi si  svolge principalissimamente intorno all'immor-  talità , come pure intorno alla stessa quistione  si agitano, pressoché esclusivamente, tutti i  suoi contraddittori o sostenitori, come il Nifo,  il Contarini, il Fracastoro, l'Achillini, il Porzio,  il Zabarella infìno al Cremonini e al Cesalpino ;  e in generale tutti coloro che più o meno par-  tecipando al moto impresso dal Pomponazzi,  svolsero o rifecero, sulle tracce d' Aristotele, la  psicologia del Rinascimento.     IV,   Premesse le quali- cose, veniamo ora a più  particolareggiato esame di questo dialogo del  Fracastoro. Sono i medesimi personaggi che  avevano si dottamente ragionato dell'intellezione,  i quali ora prendono parte alia nuova discussione  intorno all' anima, ed incomincia a parlare il  Fracastoro, protagonista del dialogo. Pel cui svol-  gimento, quasi dramma intellettivo, l'autore non   IS     226 CAPITOLO OTTAVO   manca in prima di tratteggiare la mirabile  scena naturale ove egli e i su oi compagni si tro-  vano, al cospetto di tante bellezze naturali di  acque, di monti, di luoghi boscosi ; e tutto ciò  risuscita in loro l' immagine degli antichi filo-  sofi greci, che contemplando la viva natura  s' ispiravano alle sublimi loro speculazioni. Tal-  ché pieno dei ricordi e delle idee greche, il Fra-  castoro che sin dal principio cita Teofrasto per  la somiglianza del luogo ove egli ed i suol amici  erano radunati con altro luogo da quello de-  scritto nell'Arcadia, così soggiunge: « De anima...  nostra cum sinais haUturi sermonem^ in qiiam  videtur musica latentem nescio quam vim et  consensum habere, apte quidem fiet si aliquan-  tis per nunc ecccitetur in noUs. » Ed alcuni carmi  cantati dal solito garzonetto, accompagnati dal  suono della cetra, danno l' ispirazione e l' in-  tonazione del dialogo. Perocché in tali versi  si canta del felice giovine che rapito da Giove  e dato per compagno ad Ebe, cambia la terrena  dimora con V eterna giovinezza dell' Olimpo.   Questo congiungere insieme la poesia e la  filosofia (pur tenuto fermo quanto sopra abbiam  detto sulle diverse e talora opposte ragioni  della scienza e dell ' arte ) è uno dei feno-  meni a mio giudizio più ragguardevoli che     GIROLAMO FRACASTORO 227   SÌ manifestano in taluni dei più grandi inge-  gni dei Rinascimento, compreso il Bruno stesso  che sì altamente e filosoficamente poetava. In-  vero r Italia era allora tutto un popolo di  artisti ; e dell' arte si facevano ben sovente  ispiratori e maestri i filosofi. Tal fenomeno me-  riterebbe un più lungo studio, che qui non è  il luogo nemmen di accennare, perchè troppo  ci allontanerebbe dal nostro fine principale ;  però piacemi almeno di riferire un saggio della  poesia filosofica del Fracastoro, osservando che  se allora ì' arte e l' ispirazione del sentimento  tenevano il luogo delle dimostrazioni filosofiche,  ben potremmo augurarci che oggi all'inverso,  di tanto mutati i tempi, la filosofia e la scienza  valessero a dar vita ad un' arte e ad una poesia  nuova, quando tutti oggi sono concordi a lamen-  tare la decadenza della poesia e dell'arte. Eceo  ora la poetica finzione del Fracastoro :   Ne timeas, Troiane fiier, quod in ardua tantum  Tolleris a terra: quod rostro atque unguihus uncis  Te complexa ferox volncris per inania portai.   Audisti ne unquam sublimis nomen Olympi ?  Audisti ne Jovis, tonitru, qui fulmina torquet ?. . . .   nie ego sum, non haee te volucris, sed Juppiter est, qui  Haud praeda captus, diari sed amore nepotis  In summum amplexu innocuo te portai Oìympum.     228     CAPITOLO OTTAVO     Astra ubi tot spedare soìes, uhi pulcher oUt Sol  Oi-tusque occasusque siios, ubi candida noctes  Currit Luna nitens, auroram Lucifer anteit.   Hic ego te in numero superum domibusque Deorum,  Ver ubi perpetuum, felix ubi degitur aetas  Aeterna et semper viridis floreìisriiie iuventa,  Consistam, aequalemque annis pubcntibus ITeben  Officioque dabo comitem   .Pone metum, dilecte Jovi, melioraque longe  Frospiciens, charam pucr obliviscere Troiani ;  Neve Deim te iam et divorum regna petentem  lilla canum, aut Idae nemorosae cum sequatur.     Y.   Tale dunque è la poetica introduzione al  trattato dell' anima. Ma l' autore entra subito  in materia, e ricerca intorno all'anima due cose :  quale ella sia « qualis nam sit^ » cioè s' ella  sia eterna ed immortale o no; e che cosa sia  « quid sit, » cioè la stessa sua natura. Con  rapida analisi egli raccoglie tutti gli elementi  che la riflessione filosofica scorge nel concetto  che tutti possiedono dell' anima, intesa co-  me principio della vita , e che da Aristotele  erano stati cosi ampiamente dibattuti e venti-  lati. Percorre tutti i gradi della vita, e non  si ferma all' antica distinzione delle specie di  anime che corrispondono alle celebri facoltà     GIROLAMO FRACASTORO     229     aristoteliche di nutrizione, sensibilità, locomo-  zione, intelligenza, pur fra loro concatenate in  modo che non sia possibile la funzione superiore  se non siano state prima attuate le funzioni in-  feriori; ma sviluppa inoltre il principio stesso  della vita, separandolo, più distintamente forse  che non avesse fatto lo stesso Aristotele, dalle  varie operazioni, procedenti da altre cause, che  concorrono a manifestarlo. In ciò la sua espe-  rienza di medico e 1' erudizione eh' egli posse-  deva delle dottrine vitalistiche e animistiche  emesse da fisici e medici insigni, come Andro-  nico e G-aleno, ch'egli ricorda, lo pongono in  grado di meglio determinare il principio stesso  della vita, procedendo per eliminazione di tutto  quanto apparisca insufficiente a spiegare una  forza 0 potenza di tanto mirabile efficacia. Così  egli esclude che bastino a dar ragione della vita  la naturai complessione delle parti d'un corpo  organico, considerando quelle piuttosto come  strumenti indispensabili che come vera ed intima  causa ; esclude quella temperatura o mescolanza  di umori e queir armonia o consenso delle mem-  bra su cui pur tanto si erano fermati gli  antichi, scorgendo in tutto ciò piuttosto un rap-  porto da cosa a cosa, che un principio unico  ed attivo delle operazioni • esclude infine quegli     230 CAPITOLO OTTAVO   Spiriti che eia altri fiiron cliiamati vitali, o il  calor naturale, parendogli questi cosa ben dif-  ferente da ciò che è propriamente forza vivente  e pensante. Ma allora che cosa è 1' anima, come  principio della vita, sia vegetativa, sia sensitiva^  sia intellettiva ? E qui il Fracastoro torna esat-  tamente ad Aristotele, la cui celebre definizione  dell' anima, fu ripetuta per tutto il medio evo,  ed in tutto il periodo del rinascimento, « nè an-  cora, al dire del Fiorentino, se n' è potuta esco-  gitare una migliore » (Pomponazzi, pag. 26.)  A dir vero, quella stessa definizione aristotelica,  essere cioè V anima V entelechia prima di un  corpo fisico, organico, che ha la vita in potenza,  non era forse la più persuasiva, a cagione del-  l' oscurità di queir entelecheia che ha dato luogo  a tante discussioni e interpretazioni ; tuttavia il  Fracastoro si adopera per illustrarla, e la esplica  coi concetti di forma sostanziale e di atto mo-  tore, e poi di forza organizzatrice ; dei quali  i primi due erano il risultato delle teorie ari-  stoteliche, il terzo dovea essere il punto di  partenza delle nuove speculazioni che si vennero  svolgendo per tutta la filosofia moderna, dallo  spirito puro cartesiano sino alla monade Leibni-  ziana :«.... Aristoteles quidem volens animae  naturam et rationem eocplicare^ entelechiam     GIROLAMO FRACASTORO 231   vocavìt , qiiam alii agitationem continuam, alìi  actum transtulere : est ennn anima propria  forma corporis organici, naturalis, viventis sed   QUATENUS INFLUIT VIM ET AGITATIONEM IN TOTUM!   prìmuin enim tum esse dat, tum conservationem  continuam ; per ipsam deinde fiunt attractiones  similiiim, aggenerationes, et alimenta qualitates  in virtute illius alter ant , miscent , collocante  formant, figttrant . . . . et tandem progressìones  animalium , generationes semìnum , et demum  similium organizationes : quae omnia fiunt in  virtute animae et formae per eam vim quam  a mundi anima ed a Beo certam et nunquam  errantem recepit » (pag. 209).   VI.   Non si poteva concepire in una forma più  elevata e universale questa forza efFettrice della  vita, qualunque essa siasi (dacché la sua essenza  ci sfugge, come ci sfuggono tutte le ultime  ragioni delle cose) ; ne la dottrina di Aristotele  poteva avere un più chiaro e sincero interprete.  Ancora è da notare come il Fracastoro, da buon  naturalista eh' egli era, presente qui l' unità  della vita nell' universo, ma riferendo 1' anim<a     232     CAPITOLO OTTAVO     dell' uomo all' anima del mondo ed a Dio, non  conclude in favore di un assoluto panteismo, idea-  le 0 materiale , eh' era pure stato il retaggio  di alcune scuole antiche, ne partecipa a quelle  fantastiche animazioni che si riscontrano, come  altrove notammo, in alcuni filosofi del rinasci-  mento ; bensì la stessa sua sobrietà e temperanza^  che anche altrove abbiamo avuto occasione di  porre in rilievo^ lo trattiene dal trascendere ad  affermare quanto non fosse il semplice bisogno di  concepire la natura come un tutto organizzato e  vivente. Il quale bisogno fu pure altamente  sentito in tutto il Kinascimento. Ma se si con-  fronti questa semplicità e diremmo quasi buon  senso del Fracastoro, con le stravaganze che  intorno all'anima del mondo ebbe dichiarato  Cornelio Agrippa nei libri « De Occulta Philo-  sophia ; » con le cose astruse e sottili che sì leg-  gono nella « Pampsychia » del Patrizzi, nel  « De SuUitilite » Cardano, nel « Messaggero »  del Tasso ; e in fine con le idee trascendenti  enunciate nei libri « De Causa » e nella « Cena  delle Ceneri » del Bruno e nel «• De sensu re-  rum et Magia » del Campanella, si vedrà quanto  l'azione moderatrice del Fracastoro fosse oppor-  tuna per volgere senza scosse la filosofia del suo  tempo dal formalismo d'Aristotele al naturalismo  de' nuovi tempi.     GIROLAMO FRACASTORO 283   Però la definizione aristotelica dell'anima  abbracciata dal Fracastoro non risolve una difl5-  coltà, anzi una contraddizione sostanziale che qui  sorge improvvisa. L'anima, essendo per Aristotele  forma sostanziale del corpo è indisgiungibile da  questo, come egli ebbe risolutamente affermato  in più luoghi, e segnatamente in quello notis-  simo del Lib. II cap. 1 § 12 «De Anima. » Ne  perciò Aristotele ebbe anco il pensiero di voler  indagare la possibilità di un' esistenza separata  dell' anima. In tutto il suo sistema materia  e forma costituiscono nella realtà una sola cosa,  entrambe sono egualmente necessarie ed inse-  parabili, essendo la materia la potenza della  forma, e la forma atto della materia, talché dove  è materia è forma, e dove è forma è altresì  materia. Tuttavia questa unione e compattezza  della materia e della forma, che costituisce uno  dei cardini del sistema aristotelico, vien rotta  allorché dalla realtà applicata al conoscimento,  deve la teorica d' Aristotele adattarsi a spiegare  il modo con cui si effettua in noi la cognizione,  mediante la stessa materia e la stessa forma.   Invero la materia, secondo la teoria eredi-  tata da Platone , e che non pertanto torna  meno sostenibile nel sistema aristotelico, è in-  definita 0 indeterminatissima, perciò ella è     284     CAPITOLO OTTAVO     inconoscibile in sè stessa, come vlen dichiarato  nella metafisica. La cognizione invece è data  dalla forma; vi è però in questo una intrin-  seca difiìcoltà , perchè la forma educendosi  dalla potenza della materia, parrebbe che la  inconoscibilità di questa dovesse rendere meno  accettevole la conoscibilità di questa. La diffi-  coltà si aggrava quando la materia e la forma  si considerino in quei due termini estremi di  tutta la nostra conoscenza che sono l' individuo  e r universale. Questi due termini rimangono  inconciliabili nel sistema d' Aristotele, e dì qua  la prima sorgente di tutte le opposte direzioni  date alle varie parti della sua dottrina, alle  quali questo primo principio, per la stessa com-  pattezza del sistema, generalmente si distende.  Invero l' individuo è sensibile, V universale è  intelligibile, secondo la teorica fondamentale  d'Aristotele che pure altrove abbiamo richia-  mata ; intanto l' individuo che dovrebbe parte-  cipare della inconoscibilità della materia , è  tuttavia per lui il sinolo di una materia e di  una forma, ma partecipa di più della incono-  scibilità della materia a cui è più vicino ; l'uni-  versale invece nella sua massima forma rimane  assoluta conoscenza, ossia pura forma, senza  mistione alcuna di materia, cioè Dio. Li tal     GIROLAMO FRACASTORO 235   guisa si viene a separare per la prima volta la  materia dalla forma, dappoiché è manifesto che  mentre tutte le altre forme^ eccetto la massima^  si compenetrano nella materia, rispetto alla no-  stra conoscenza si ammette una forma pura  che viene ad essere per così dire divorziata  dalla materia.   E' questa veramente una contraddizione del  sistema d'Aristotele, la quale chi ben consideri^  non va attribuita a difetto del genio smisurato  di lui, ma accusa piuttosto una di quelle intime  ripugnanze che si ritrovano in fondo a tutte  le analisi più profonde del pensiero metafisico,  e che avrebbe dato luogo più tardi alla nega-  zione del principio di causa per parte dell'Hume,  e al riconoscimento di quelle intrinseche anti-  nomie le quali dovevano essere messe in evi-  denza dall' acutissima mente del Kant nella  critica della ragion pura. Ora questa stessa con-  traddizione trasportata per necessaria conse-  guenza di sistema nella investigazione della  natura dell'anima, dà luogo alla strana ambi-  guità di Aristotele intorno alla immortalità ed  alle controversie infinite che ne derivarono. Pe-  rocché mentre dalla definizione sopra riferita  dell'anima dovea dedursi che questa non essendo  disgiungibile dal corpo non potesse avere una     286     CAPITOLO OTTAVO     esistenza separata, e perciò dovesse dileguarsi  e perire, clie dir si voglia, al morire o disfarsi  del corpo, ecco invece che vien dicliiarata ad  un tratto capace di separata esistenza, e perciò  immortale. Ciò è chiaramente detto da Aristotele  in altro luogo pur celeberrimo del IT. libro  « De Anima » ove è detto che /' intelletto e la  potenza pensante senibra essere un altro genere  di aniìna e questa sola potersi dare che sia se-  parata, come V eterno dal perituro (cap. 2 § 9).  Adunque, stando alla antecedente definizione  dell' anima (che pare dovea comprendere tutti  i generi di anime) anche l' intellettiva avrebbe  dovuto concludersi mortale ; ma giunto a questo  Aristotele si arresta, e ripigliando il cammino  dalla teorica della conoscenza e dalla forma  pura, come sovra V abbiamo esposta, che si può  concepire separata dalla materia, conclude che  si può dare, èvSéxexat, anche un'intelligenza se-  parata, e perciò immortale. Questa conclusione  sembra tanto più inaspettata inquantochè egli  aveva fatto scaturire 1' anima intellettiva dalle  potenze inferiori ; allo stesso modo che tutte le  forme erano implicate nella materia ; e tuttavia  non ostante l' antinomia delle parti, egli è in  fondo coerente all' insieme del suo sistema, per-  chè l'intelletto che si dice ora separato vien     GIROLAMO FRACASTORO 237   fuori in forza di quel medesimo ragionamento  che, nel processo conoscitivo dall' individuo al-  l'universale, gli avea fatto concepire la possibilità  di una forma pura separata da ogni materia  che spiegasse 1' universale. Tale per sommi capi  è la teorica di Aristotele che qui ci siamo sfor-  zati di ridurre alla suprema possibile chiarezza  traendola fuori dal viluppo delle ragioni opposte,  specialmente de' commentatori , e mostrandola  come un prodotto logico del suo sistema. Nè  bisogna dimenticare inoltre che in tutta cotesta  controversia Aristotele stesso non è abbastanza  esplicito, e ciò diede luogo ai commenti infiniti  degli espositori.   VII.   G-li aristotelici avevano dunque un bel di-  battersi fra queste due opposte conclusioni ; il  problema era insolubile. Invero tanto potevano  aver ragione coloro che avrebbero voluto sfor-  zare Aristotele ad esser logico fino in fondo,  traendo dall' inseparabilità dell' anima dal corpo  la prova della mortalità della medesima, tanto  coloro che dalla forma e dall' intelletto separato  concludevano per l' immortalità. Ed è cosa nota     CAPITOLO OTTAVO     nella storia che mentre i Dottori delle scuole  stavano per questa sentenza, quasi tutti i com-  mentatori non scolastici, e Alessandristi e Averroi-  sti, conchiudevano per la prima opinione, anche  prescindendo dalla dottrina dell' intelletto sepa-  rato come contraria alla definizione generale  dell' anima. Il vero si è che cotesti erano sol-  tanto ragionamenti a priori^ nè la natura del-  l' argomento ammetteva la possibilità di quella  esperienza che ormai da tante parti , e dal  Fracastoro stesso, si contrapponeva alle astratte  speculazioni. Bisognava dunque contentarsi di  queste o abbandonare la controversia. Tuttavia  notammo già che il problema s' impone, alla  umana coscienza e non è di quelli che special-  mente in un tempo in cui sì gran parte dell'edificio  morale e civile e religioso riposava su di esso,  avrebbero potuto evitarsi. Se il sistema d'Aristo-  tele era impotente a risolvere un siffatto problema  bisognava sciogliersi dal sistema, ed allora a che  affidarsi ? La quistione, come altrove notammo,  era stata ben posta dal Pomponazzi , la cui  dottrina ci piace qui riassumere con le cospicue  parole del Ferri nella altre volte citata sua  Opera : « Se volete, dice essa, una dimostrazione  dell' immortalità, la filosofia non ve la dà, nè  ve la può dare ; ammessa invece la verità rive-     GIROLAMO FRACASTORO     239     lata, la religione ve la fornisce, domane! alela  ad essa » (pag. 219). Ora, il Fracastoro come  si comporta ? Egli è, a nostro avviso seguace  giudizioso del suo Maestro, perchè è ben vero  che egli difende V immortalità la quale il Pom-  ponazzi fllosoflcamente impugnava, ma sentendo  r insufiScenza de' ragionamenti filosofici, franca-  mente ricorre a quella religione stessa che pure  il Pomponazzi aveva additata. Infatti, oltre a  quanto fu già rilevato in principio, ch'egli non  prometteva dimostrazioni filosoficamente rigo-  rose ; qui, dopo percorse e ripetute le ragi oni  d'Aristotele secondo la interpretazione scolastica,  assai modestamente e quasi dubitativamente  conchiude esser là tutto quella che sembravagli  potersi addurre in favore della sua tesi: « atque  haec quidem sicnt quae de perìpateticorwn penu  ediici posse videntur.... ; » Di più confessa an-  cora per bocca del suo interlocutore, che non  poche cose potrebbero tuttavia revocarsi in  dubbio : « Non panca certe sunt quae si conten-  tiosi esse velimus possint adirne in diihium  verti » (pag. 215). Ond' egli da questo punto  abbandona addirittura il campo della filosofia  per entrare in quello della teologia, e quando  viene a parlare, pur tentando di risolvere quei     240     CAPITOLO OTTAVO     dubbi, di Dio e dei fini della creazione, così  dell' uomo , come di questa meravigliosa mac-  china mondana ; e di poi della beatitudine degli  angeli, della generazione del Cristo, della vita  e dello spirito dei santi (pag. 209 e passijn) egli  manifestamente non parla più come filosofo ma  soltanto secondo religione, e non fa nè può  far altro che ripetere le argomentazioni dei  teologanti ; nelle quali, come è giusto, noi in-  competenti non lo seguiremo.     XIII.     Non di meno l' interpretazione che il Fra-  castoro dà alle dottrine di Aristotele, ci porge  argomento di esaminare alcun' altra cosa che  non è senza importanza per rispetto alla storia  della filosofia e in particolare dell'Aristotelismo  nel rinascimento. L'entelecheia d'Aristotele, oltre  alle altre discussioni, aveva dato luogo a dubbi  intorno all'unità dell'anima e del corpo umano ;  perocché, si diceva, se 1' anima è 1' atto e la  forma del corpo organico, naturale, vivente,  secondo le parole dello Stagirita, essendo co-  testo corpo organico non vera unità, riunione  di più membra tanto diverse quanto sono le     GIROLAMO FRACASTORO     241     ossa dai muscoli, dai nervi, dalle vene, e così  di seguito, come può l'anima essere una forma  unica applicandosi a forme tanto diverse ? E qui  l'acume de'commentatori d'Aristotele si era assai  ingegnato di trar fuori 1' unità dell' anima, in-  colume, e quale è attestata dalla coscienza, dalla  molteplice varietà delle forme corporee di cui  doveva essere l'atto e la vita. Gli uni avean  detto che l' unità dell' anima dee intendersi  soltanto w genere, pur differendo le membra  nelle specie; come più animali, ad esempio  r uomo, il cavallo, il bue, costituiscono un ge-  nere unico, differenti ssimi rimanendo nella spe-  cie : dove ognun vede che, se così fosse, l'unità  dell' anima sarebbe fondata soltanto sopra un  concetto mentale; ma realmente nient' altro  sarebbe che un' astrazione eduna chimera. Altri  poi dicevano che in ogni corpo organico vi è  sempre una parte che è principale rispetto alle  altre, anzi queste son fatte per quella e gover-  nate da quella, onde 1' anima non è necessario  che si intenda esser una rispetto a tutte le parti  del corpo, ma soltanto rispetto a quella che è  la principale, e così 1' anima è unico atto od  unica forma di un' unica organica potenza,- la  quale ha virtù di dare la vita al tutto. Questa  risoluzione sembra al Fracastoro più vicina alla     242 CAPITOLO OTTAVO   verità del nesso fisiologico che è fra le membra^  e Clelia loro subordinazione: tuttavia non lo  ai)paga compiutamente^ e ci sembra notevole ii  principio che egli ora introduce per definire la  controversia. Anche le parti principali, die' egli  con profonda dottrina e con acuto spirito di  osservazione, sono parecchie, onde 1' unità non  può risultare dal solo fatto che una di esse è  la principale. Ma da che cosa risulterà dunque?  Balla loro continuità, egli rlice, perchè ogni  xmità non sì può altrimenti intendere che come  continuità; « Principale» siquidem partes, quam-  quam plures sint, fiuntper continuationem unum:   OMNE ENIM CONTINUUM EST UNUM » (pag. 209   verso). Questo principio ci pare notevole perchè  fa presentire V analisi profonda che del concetto  di unità fu fatto da filosofi posteriori sino allo  Spencer, il quale ne' « Primi principi » svilup-  pando il concetto che è già cosi chiaro nel  Fracastoro, dimostra che (.gni unità è continuità  di parti,, perchè 1' assolutamente uno è impen-  sabile. E se il Fracastoro avesse sostituito alla  continuità delle parti del corpo organico la con-  tinuità degli stati di coscienza (e ognun sente  il nesso . logico che dovea condurre da quella  a questa) avrebbe posto una delle pietre ango-  lari della psicologia moderna. La quale, come     GIROlAMO FRACASTORO     243     ognun sa, si è costituito per proprio oggetto  appunto r esame della successione di quegli  stati, di cui il processo cerebrale e le parti orga-  niche sono la causa occasionale, mentre la co-  scienza n'è il legame indispensabile ; e dall'analisi  descrittiva di tali stati di coscienza, dal più  semplice al più complesso, fa scaturire quella  grande unità che è la nota più caratteristica  nella natura e nella vita dello spirito.     XI.   Altro punto importante della psicologia fra-  eastoriana ci sembra quello ove, pur mantenendo  assoluta la diversità dell'intelletto dalla materia,  riaccosta tuttavia l'uno all'altra, per dimo-  strare come l' incorruttibilità del primo non dee  intendersi altrimenti che quale conservazione  di una energia sostanziale, allo stesso titolo per  cmì si ammette indistruttibile ed eterna la mate-  ria. Nulla si crea e nulla si distrugge, è il prin-  cipio antico, cui ritorna il Fracastoro, dopo le  negazioni alle quali per il falso concetto dell'atto  creativo erano venute la scolastica e la teolo-  gia medioevale. Ma tale principio rimesso in  Qnore anche da altri filosofi e scienziati del     244 CAPITOLO OTTAVO   rinascimento, manifestamente segna un grande  progresso, e già accenna a quella legge univer-  sale e feconda della conservazione e trasforma-  zione dell' energia, che tanta importanza ha  assunto nell'indirizzo e nelle scoperte della  scienza moderna. Non diremo che nelle dottrine  del Fracastoro si giunga sino a questo, e che  ciò possa avere virtù risolutiva rispetto alla  quistione dell' immortalità ; nondimeno ci par  nuovo, bello e fllosoflco il pensiero da cui egli  è guidato, e ci piace rilevarlo : « Procul dubio,  die' egli, idem de intellectu dicendum erit quod  de materia, et utrumque incorruptibile et aeter-  num esse. » E ripete poco stante : « Quare et  incorruptibilem ponere intellectum debemus, et  parem habere cum materia conditionem » (pagi-  na 213 verso). Ed infine ci pare manifesto che  rispetto alla tesi ultima che il Fracastoro . voleva  sostenere, vale a dire V immortalità, egli abbia  inteso come non dall' astrazione o separazione  dell'intelletto dalla materia, (su cui si fondavano  quasi tutti gli altri aristotelici sostenitori dell'im-  mortalità stessa) ma dal loro accomunamento era  lecito dedurre quanto di più filosofico si poteva  dire suir argomento. Onde anche in ciò il Fra-  castoro dà prova così di grande acume d'inge-  gno come di retto criterio filosofico ; ed è forse     GIROLAMO FRACÀSTORO     245     questo il solo punto in cui egli, contrapponendosi  alla dottrina del Pomponazzi, ben si appone,  perocché se non riesce a dare una dimostrazione  della immortalità, che egli stesso abbastanza  esplicitamente ha confessato la filosofia non pò-  ter dare; toglie almeno quella rude contraddi-  zione che non avea dubitato di accogliere il  Pomponazzi, ammettendo potersi credere cristia-  namente quello che filosoficamente avea negato.  Questa massima strana, è tanto inconcepibile,  che fra gli stessi storici della filosofia vi fu chi  stimò non sincero il Pomponazzi come cristiano,  ad esempio il Brucker, il quale scriveva che  ha una fede eroica chi crede sincero l' osse-  quio onde fa mostra il Pomponazzi verso la  religione cristiana; mentre altri invece, come  il Bitter, stimò il Pomponazzi non sincero  0 almeno non coerente o non convinto come  filosofo. Tale incoerenza non sarebbe stata pos-  sibile al Fracastoro, la cui temperanza e il  retto criterio filosofico aveano fatto scorgere  il giusto punto fin dove filosofia e religione  sarebbero andate d'accordo, e al di là del quale  alla religione, non alla filosofia, sarebbe stato  lecito procedere sola. Sola ma non avversa ;  perchè quello che la filosofia avesse dimostrato  assurdo, ninna religione potrebbe mai dare a     246 CAPITOLO OTTAVO   credere, e ciò che si stima verità religiosa  (leve non poter esser dimostrato falso in filosofia.  Ecco perchè il Galilei, impigliato egli pure in  quistioni religiose, doveva affermare più tardi  che « due verità non possono mai contrariarsi ; »  intendendo per tali la verHà filosofica e la re-  ligiosa ; e fii pure il GFalilei quegli che riuscì a  rivendicare totalmente alla filosofia ed alla scien-  za la sua autonomia contro le antiche invasioni  religiose e teologiche. Il Fracastoro adunque,  seguace del Pomponazzi nello sceverare il cri-  terio filosofico dal religioso, è più logico e più  accorto di lui nel non mettere in contraddizione  F uno coir altro, ma piuttosto nel segnare il  confine d^ ambedue. E poiché in filosofia come  in religione e in morale e in politica, tutte le  quistioni più gravi sono principalmente qui-  stioni dì confini, così ci pare notevole che  il Fracastoro abbia colto precisamente quei  punto, in cui trovandosi la religione non con-  traddetta dalla filosofia, e offrendo questa ben  largo campo ad altre ricerche, potevasi at-  tendere ben altro sviluppo da un concetto alta-  mente filosofico , quale era quello dell' energia  sostanziale e della forza, il quale sviluppo si  ebbe di fatto in tutta la filosofia posteriore  fino allo Spinoza e al Kant ed all' Hege).     GIROLAMO FRACÀSTORO     247     Senza caddentrarci più oltre in questo speciale  iirgomento, che eccederebbe i limiti del nostro  studio ed il nostro bisogno, stimiamo opportuno  confortare la nostra opinione con le belle parole  del Ferri, da lui poste come conclusione del suo  sapiente esame intorno alle dottrine psicologiche  del Pomponazzi , e che a noi pare conven-  gano pienamente anche a quelle del Fracastoro :  « Accomunati nella energia, manifestazione della  forza, r anima e il corpo, l' interno e 1' esterno  non sono più estranei 1' uno all' altro. Intesa  secondo questo rapporto la materia, può essere  sede e condizione perpetua della vita e dello  spirito senza contraddizione, e 1' anima umana  può aspirare all' immortalità senza che il feno-  meno sensibile, falsamente trasformato in cosa  sostanziale ed esistente per sè, opponga a que-  sta aspirazione un ostacolo insuperabile » (La  Psicologia del Pomponazzi, in fine).     X.   Molte altre cose avremmo ad aggiungere  intorno a questo Dialogo del Fracastoro se vo-  lessimo per disteso riferirne tutto il contenuto;  ma avvertimmo già che nell' esame degli autori     248 CAPITOLO OTTAVO   ed in argonìento come quello che stiamo trat-  tando, è da cogliere la sostanza delle dottrine,  e in quella parte soltanto che, vivificata da studi  posteriori, poteva esser cagione di nuovi avvia-  menti, e render ragione dei progressi ulte-  riori della scienza. Tutto il resto può essere  abbandonato all' oblio. Nel Fracastoro, se non  ci inganniamo, è manifesta ormai abbastanza,  per quanto si è detto fin qui, la somma delle  sue dottrine suU' anima. L' intelletto umano ,  come complesso di tutta quella varietà di ope-  razioni che erano state da lui dichiarate nel Dia-  logo precedente, è qui raccolto e sintetizzato,  per così dire, in un' entità separata, che ha  qualche cosa di divino, perchè fornita di quella  virtù di pensare che è la suprema manifesta-  zione della vita e dell'ordine dell'universo.  Talché in certo modo tutto è intelletto e tutto  si compendia neir intelletto : « mtellectus omnia   quodammodo fieri potest Si igitur omnia   fieri dehet intelledus, et in potentia esse ad  omnia susceptiUlia, separatimi et aUtractum  necesse est.... » (pag. 214). Tale intelletto sepa-  rato, che è come l' essenza stessa dell' anima  umana a cui è peculiare, a differenza delle  anime belluine o semplicemente vegetative che  ne sono sfornite, fa sì che la stessa anima umana     GIROLAMO FRACASTORO - 249   sia dotata delle virtù che a quello som proprie,  onde l'anima, come l'intelletto, può essere con-  cepita qual forma separata dal corpo, ed essere  pertanto una, non ostante la moltiplicità delle  sue funzioni, ed immortale non ostante il suo  legame col corpo corruttibile. Belle sono inoltre  le parole e le imagini che nel Fracastoro qua  e là ricorrono per armonizzare in un tutto questi  elementi discrepanti che convergono a spiegare"  r intelletto e V anima umana ; e quando , ad  esempio,, esamina, secondo un paragone allora  divulgato, se l' animo si congiunga col corpo  come il nocchiero colla sua nave ; ovvero se sia  tal parte di noi che solo da esso dipenda tutto  r esser nostro : « utrum ille assistat nohis, que-  madmodum nauta, ut aiunt, navi; an magis  nostri sit ita pars, ut esse illud , quod quisque  hahet ab ilio detur {psig. 216 verso); quando  discute in che modo possano stare insieme e  formare un tutto solo, un atto o forma indi-  visibile quale è l' intelletto, e una materia divi-  sibile quale è il corpo : « qiiomodo unum fieri  posse ex indivisibili actii et divisibili materia »  (pag. 219 verso ) ; quando ricerca con grande  sottigliezza il moto proprio dell'anima, e se  questo a lei sia sostanziale o accidentale secondo  le distinzioni aristoteliche, collegando il moto     250 CAPITOLO OTTAVO   di essa e di tutte le cose, coli' iaimagine della  catena omerica che tutto abiuracela e stringe  al primo motore (pag. 221) ; in tutto ciò, dico,  il nostro autore dà prova di grande vigore  speculativo, e se non tutte nuove sono le cose  ch'ei dice, tutte però rivelano in lui una mente  analizzatrice e ricostruttrice, tale da poter stare  al confronto cogl' ingegni più acuti e coi filo-  sofi metafisici più profondi del Rinascimento.  Da ultimo singolarmente importante dovea es-  sere quella parte del suo dialogo in cui dalle  altezze sin qui contemplate dell' anima e del-  l'intelletto umano , partecipazione dell' intelli-  genza divina , e attività originata dal primo  motore, egli intendeva discendere a dimostrare  il naturai principio di tutte le cose, la loro  produzione, origine e perfezione. Ancorcliè in-  volto nel preconcetto antropomorfico che pone  l'uomo quasi centro di tutte le cose «cuius grafia,  egli dice, reliqua alia facta et ordinata fiiere »  (pag. 222 verso) non può disconoscersi che con  mirabile sintesi filosofica egli si prova a riannoda-  re in un solo ordine tutte le cause dei fenomeni  naturali, e descrive la formazione delle cose. Argo-  mento bellissimo che tentò sempre V intelligenza  e la fantasia de' più grandi naturalisti e filosofi.  Certo, non abbracceremmo oggi le idee del Fraca-     GIROLAMO FRACASTORO -OA   storo SU tutte le formazioni naturali ; ma, quello  che è per noi più importante a notare, qui di  nuovo vediamo come accanto al filosofo risorge  in lui lo scienziato. Invero il Pracastoro intra-  prende a descrivere la formazione del sistema  celeste, il numero e la distribuzione delle sfere,  il soffio divino che animò il tutto, e poi man  mano le generazioni e le varietà delle piante^  degli animali, e da ultimo degli uomini, per  mezzo degli elementi naturali, quali il caldo il  freddo, le attrazioni e ripulsioni delle cose. In  tutto ciò il Fracastoro, per quanto pare a noi,  non ragiona come que' filosofi che avevano più  volte architettato a priori, e secondo certe loro  idee preconcette, il sistema della natura, ma  sebbene non alieno egli pure dalle tradizioni  bibliche, fa chiaramente sentire che l' ordine  dell' universo da lui intuito è semplicemente  il risultato delle cognizioni eh' egli mercè F e-  sperienza e con lo studio e l' osservazione di  tutta la sua vita, si era formato in astronomia,  in matematica, in fisica; ed egli in ciò procede  come geologo, come botànico , come medico^  come naturalista, o in una parola come scien-  ziato. Dalle quali cose si ha ancora una volta  confermato come nel rinascimento la parte vitale  delle speculazioni e dei sistemi filosofici fu quella     252 CAPITOLO OTTAVO   eh' ebbe a sostegno lo studio (lei fatti speri-  mentati nella natura, dai quali soltanto gl' in-  gegni più illuminati credevano oramai esser  possibile tentar di spiegare il passaggio dalla ma-  teria informe alle più alte manifestazioni della  vita e dello spirito. Problema immenso, tanto alto  e tanto complesso clie nemmeno ai dì nostri  si può dire di esser vicini al suo scioglimento;  non pertanto se fu almeno, fin dal Rinascimento,  dimostrato qual dovesse essere la via vera per  incamminarvisi, questo è dovuto a coloro che  vollero ritemprata la filosofìa nelle scienze. Ma  questa parte del Dialogo del Fracastoro, che  prometteva essere la sintesi sublime delle sue  cognizioni e delle sue idee filosofiche intorno  alla natura, all'intelletto ed all'anima, non  può se non accendere in noi un desiderio il quale  non può essere soddisfatto, percliè a questo punto  il dialogo stesso è rimasto tronco e interrotto  per la morte dell' autore.Girolamo Fracastoro. Fracastoro. Keywords: dialogo sull’anima, ovvero, il Fracastoro, di Fracastoro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fracastoro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688440237/in/photolist-2mPtp3t-2mKwLu6

 

Grice e Francesco – corpi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diano Marina). Filosofo. Grice: “I like Francesco; for one, he philosoophised, like I do, on “I” and “We” – ‘first person’, ‘personal identity,’ and so on!” Insegna a Milano e Pavia. Collabora alla pagina culturale del Sole 24 Ore, è stato presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica e presidente della European Society for Analytic Philosophy. Altre opere: “La mente” (Mondadori, Milano. Che fine ha fatto l'io?” (Editrice San Raffaele, Milano); “La mente” (Carocci, Roma); “La coscienza” (Laterza, Roma Bar); “L'io e i suoi sé: identità della persona e smente” (Cortina, Milano); “La mente” (Nuova Italia Scientifica, Roma); “Il Realismo Analitico” (Guerini e associati, Milano); “Russell” (Laterza, RomaBari); “Il soggeto communica al altro soggeto di un oggetto: senso e riferimento” (Edizioni Unicopli, Milano); “Sgnificato e riferimento” (Edizioni Unicopli, Milano). Rettore dello Iuss di Pavia.  Corpo (filosofia) concetto filosofico Lingua Segui Modifica Il termine corpo in filosofia ripropone il significato del linguaggio comune intendendo per corpo ogni essere esteso nello spazio e percepibile attraverso i sensi. Le caratteristiche fisiche, biologiche, meccaniche del corpo di cui si è interessata la filosofia ai suoi inizi, sono state poi oggetto dello specifico pensiero scientifico, mentre la storia della filosofia nella sua totalità si è occupata in particolare del rapporto tra anima e corpo.  Filosofia antica                                          Modifica Nella filosofia antica e medioevale possiamo rintracciare due concezioni di questa relazione anima-corpo: la prima risale alla interpretazione orfico-pitagorica secondo la quale il corpo è un'entità di natura completamente diversa e separata rispetto all'anima; teoria questa ripresa da Platone che afferma che il corpo è la "tomba" dell'anima.[1] L'anima, infatti, decaduta dalla sua condizione iniziale di perfezione ideale ed eternità si trova prigioniera in un'entità corruttibile e mortale.  Al pensiero platonico si connettono sia la patristica[2]sia la prima fase della scolastica.[3]  La seconda concezione del rapporto anima-corpo si ritrova in Aristotele che sostiene che le due entità non sono separate ma costituiscono elementi separabili di un'unica sostanza: il corpo è la materia intesa come potenzialità, quella che offre possibilità di sviluppo, l'anima è la forma, la realizzazione di quelle possibilità materiali tramutatesi in attuali. L'anima è la vita che possiede in potenza un corpo. Il corpo cioè è un puro e semplice strumento dell'anima: ma non uno strumento inerte ma tale che possiede «in se stesso il principio del movimento e della quiete»[4]  Filosofia medioevaleModifica Il corpo inteso come strumento dell'anima si ritrova nello stoicismo, nell'epicureismo e nella scolastica: per Tommaso d'Aquino il corpo si dirige a realizzare l'anima e le sue attività razionali allo stesso modo che la materia aspira a realizzare la forma.[5], fino a tendere a diventare parte del Corpo Mistico[6].  Questa concezione del corpo come strumento rispetto all'anima non fu condivisa, nell'ambito della scolastica, dall'agostinismo che vede nel corpo la forma corporeitatis per cui in questo, indipendente dall'anima, vi è sia potenza che atto e l'anima è un'ulteriore sostanza che si aggiunge ad esso.  La filosofia modernaModifica La dipendenza strumentale del corpo rispetto all'anima finisce con Cartesio per il quale corpo e anima sono due sostanze, il primo res extensa, sostanza estesa e non pensante, la seconda, res cogitans, sostanza pensante e non estesa[7]. Tra le due sostanze non vi è alcun nesso causale: il corpo è «come un orologio, o un altro automa (ossia una macchina che si muove da sé).»[8]  La separazione del corpo dall'anima diede origine a dottrine dualistiche e monistiche che cercavano di risolvere il problema del rapporto tra eventi incorporei e corporei.  Tra le concezioni dualistiche la prima è quella cartesiana dell'interazionismo che teorizza uno stretto scambio di azioni tra le due sostanze riducendo così la diversità tra fatti corporei e incorporei fin quasi ad annullarla.  In opposizione a questo dualismo nella seconda metà del XVII secolo per le dottrine dell'occasionalismo di Nicolas Malebranche[9] e di Arnold Geulincx l'anima e il corpo sono unite dalla esistenza di Dio.  Nell'ambito del monismo va inserita la soluzione di Leibniz che vide un parallelismo tra eventi corporei e incorporei connessi non da un rapporto causale ma da un regolare e continuo legame per cui ad ogni evento materiale ne corrisponde uno immateriale secondo un'"armonia prestabilita" tale per cui «i corpi agiscono come se, per impossibile, non esistessero anime; le anime agiscono come se non esistessero i corpi; ed entrambi agiscono come se le une influissero sugli altri»[10]  Tra monismo e pluralismo si colloca la filosofia di Spinoza che concepisce «la mente e il corpo come un solo identico individuo, che è concepito ora sotto l'attributo del pensiero, ora sotto quello dell'estensione»[11] Nell'unica sostanza divina infatti coincidono corpo e anima ossia i due attributi dell'estensione e del pensiero che mantengono però la loro diversità in quanto coincidenti solo in Dio.  Un rigoroso monismo caratterizza invece la filosofia illuministica con le teorie materialiste dell'uomo-macchina di Julien Offray de La Mettrie e Paul Henri Thiry d'Holbach secondo le quali le attività mentali dell'uomo dipendono meccanicamente dal corpo.  Collegato al materialismo settecentesco è in parte la filosofia di Karl Marx secondo il quale i pensieri e i sentimenti dell'uomo scaturiscono dai suoi comportamenti corporei[12]  Intendendo il materialismo in senso diverso da quello marxiano, Friedrich Nietzsche imposta una dottrina esaltante la corporeità in contrapposizione alla metafisica idealistica[13]  La concezione monistica che intende il corpo in senso idealistico annovera: George Berkeley che vede il corpo e ogni realtà materiale come una produzione mentale poiché solo la mente e le sue percezioni sono reali;[14]Arthur Schopenhauer, per cui il corpo è nella sua essenza "volontà di vivere" e gli oggetti materiali semplici oggettivazioni della volontà;[15]Henri Bergson che considera il corpo un semplice strumento dell'azione pratica di una coscienza spirituale[16].  Filosofia contemporaneaModifica Da Schopenhauer e Bergson derivano le concezioni del corpo della fenomenologia e dell'esistenzialismo: per Edmund Husserl attraverso una molteplicità di riduzioni fenomenologiche il corpo viene isolato come esperienza vivente.[17] Concezione condivisa secondo diversi modi da Jean Paul Sartre[18] e Maurice Merleau-Ponty.[19]  NoteModifica ^ Platone, Fedone 66b ^ Origene, De principiis, II, 9, 2 ^ Scoto Eriugena, De divisione naturae, 11, 25 ^ Aristotele, L'anima, II, 1, 412b, 16 ^ San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 91a, 3 ^ Summa Theologiae, questione 8, articolo 3, nei tre possibili gradi della fede, carita' sulla terra e beatitudine del Cielo. ^ Cartesio, Meditazioni metafisiche, 1. 6 ^ Cartesio, Le passioni dell'anima, art.6 ^ N. Malebranche, Dialoghi sulla metafisica e sulla religione, 1, 10 ^ G. W. von Leibniz, Monadologia, par. 81 ^ B. Spinoza, Ethica, II, 21, schol. ^ K. Marx, Ideologia tedesca ^ F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, I, «Gli odiatori del corpo» ^ G. Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana, par.7 ^ A. Schopenhauer, Mondo, I, par.18 ^ H. Bergson, Materia e memoria, 1896 ^ E. Husserl, Meditazioni cartesiane, par.44 ^ J.-P. Sartre, L'essere e il nulla, 1943 ^ M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945 BibliografiaModifica N. Abbagnano / G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, 3 voll., Paravia, Torino 1996. F. Cioffi et al., Diàlogos, 3 voll., Bruno Mondadori, Torino 2000. A. Dolci / L. Piana, Da Talete all'esistenzialismo, 3 voll., Trevisini Editore, Milano (rist. 1982). S. Gabbiadini / M. Manzoni, La biblioteca dei filosofi, 3 voll., Marietti Scuola, Milano 1991. S. Moravia, Sommario di storia della filosofia, Le Monnier, Firenze 1994. G. Reale / D. 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AA.VV, Il corpo offeso tra piaga e piega, in Figure dell'immaginario, rivista on line di filosofia, storia e letteratura, n. 1, gennaio 2014, su figuredellimmaginario.altervista.org.   Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Filosofia Ultima modifica 2 anni fa di 151.27.70.208 PAGINE CORRELATE Monismo (religione) Unità psicofisica Monismo Wikipedia Il contenuto  Alsmith, Adrian J. T., 2015, “Mental Activity & the Sense ofOwnership”, Review of Philosophy and Psychology, 6(4): 881–896. doi:10.1007/s13164-014-0208-1 –––, forthcoming, “Bodily Structure and Body Representation”, Synthese, first online: 5 April 2019. doi:10.1007/s11229-019-02200-1 Anema, Helen A., Martine J.E. van Zandvoort, Edward H.F. de Haan, L. Jaap Kappelle, Paul. L.M. de Kort, Ben P.W. Jansen, and H. 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Grice e Franchini – l’eta degl’eroi -- la gloria d’Enea– filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Franchini; for one, he wrote on the ‘metaphysics of love;’ for another, he wrote on ‘historical reason’: I collect reasons, pure reason, practical reason, communicative reason, historical reason…” -- Figlio di Vincenzo e Anna Scalera, si laurea sotto le armi: visse una drammatica esperienza bellica che lasciò un segno per la vita. Studia all’Istituto Italiano di Studi Storici, fondato da Croce a Napoli, dove ha tenuto in seguito conferenze e lezioni. Insegna a Messina e Napoli. Fonda la Hegel-Internationale Vereinigung, è stato socio delle Accademie napoletane nella Società nazionale di Scienze, Lettere e Arti e dell’Istituto Lombardo di Milano. Intensa è la sua attività di pubblicista e di scrittore. Collaborò nell’immediato dopoguerra a giornali come “La Voce”, “L’Azione”, “Il Giornale”, e in seguito al “Mattino” di Napoli, al “Tempo” di Roma e alla “Gazzetta di Parma”. Scrisse sul “Mondo” di Mario Pannunzio, contribuì assiduamente alla “Rivista di Studi Crociani”. Diresse la nuova serie filosofica della rivista “Criterio”, fondata a Firenze da Ragghianti. Sin da adolescente frequenta la casa di Croce, scoprendone via via la lezione di alta umanità e di profondo significato etico-politico. Une alla vocazione filosofica la militanza politica in nome dei valori della liberal-democrazia. Partecipa attivamente a “Nord e Sud” di Compagna e alla “Realtà del Mezzogiorno” di Macera. Cultore delle arti visive, di cinema e di teatro, di musica e di poesia, si cimenta tra l’altro nella scrittura di 99 Aforismi, antologizzati nel volume degli “Scrittori italiani di aforismi”. Redasse nel preziose “Note biografiche di Croce”, raccolte dalla viva voce del filosofo, che furono oggetto di alcune trasmissioni radio-foniche. La sua vasta biblioteca è a Napoli. Il nocciolo della sua filosofia sta nel tema del “giudizio”, storico, politico, prospettico. Alla lezione di Croce, che considera un classico della storia delle idee, si e costantemente ispirato, riconoscendogli il merito, per lo più sottaciuto, di aver calato il pensiero nel vivo dell’esperienza storica. In “Esperienza dello storicismo” distingue, in continuità ideale con gli studi di Antoni, lo storicismo di matrice vichiano-crociana dal “Historismus” tedesco, prevalentemente filologico, nella convinzione peraltro che la filosofia dello “spirito” non fosse una pura e semplice ripresa dell’idealismo hegeliano. Indaga il nucleo logico della filosofia di Croce individuando, nel nesso delle categorie conoscitive (teoretica, aletica) e pratiche (buletica, volitiva), l’*uni*-cità or ‘aequi-vocalita’ della dialettica, di opposti e distinti. Fu tra i primi a confrontarsi con le nuove correnti della fenomenologia, dell’esistenzialismo, del neo-positivismo e la filosofia analica del linguaggio ordinario, segnalando nel tema del ‘nulla’ lo scacco definitivo del sistema, insieme con il bisogno di qualificare l’ ‘irrazionale’ (il pre-razionale), che è il vasto mondo della non filosofia. Elabora una esaustiva storia del concetto di “dia-lettica” dai Greco-Romani ai contemporanei (Le Origini della dialettica), approdando infine alla forma moderna della filosofia nel passaggio dalla “metafisica teologica” alla metodologia della storia. Ha appreso da Hegel che la dialettica *è* la logica della filosofia, distinta dalla scienza. Alla tradizione del criticismo kantiano collega il concetto di “giudizio”, in special modo nella forma della riflessione estetico-teleologica della terza Critica. Gli si aprirono nel frattempo squarci significativi sul fattore esistenziale e storico del “non essere ancora” (il potenziale, l’attuale, il divenire) che lo indusse ad analizare il concetto di “progresso” tra la crisi del ideale dell’ illuminismo e la dimensione etico-politica del giudizio “prospettico” – il pre-spettico, lo spettico, il prospettico -- tra passato, divenire, e avvenire. Il futuro è in qualche modo pre-vedibile nella prospettiva individuale di chi è chiamato ad agire in una situazione in sviluppo. Altra cosa sono l’astratta profezia, l’oracolo, le prassi scientifica, la scommessa (the bet), il “caso” -- che sono forme di pre-visioni utili, finanche necessarie, ma non trascendentale (Pre-visione). Proclama il diritto alla filosofia, la lotta per il diritto all’esercizio della ragione contro il sofisma che limita la libertà, per ridare dignità alla ri-vendicazione dei diritti umani (Il diritto alla filosofia). Tratta sul rapporto di filosofia e scienza, riconoscendo a ogni sapere una funzione paritaria nella differenza della materia e della forma. Non ha punti di partenza né approdi finali, ma poggia sulla spontaneità creatrice del vitale nel quale Croce, in perenne confronto critico con Hegel, indica l’origine della dialettica e una scoperta di alta Eticità. Nell’Utile, da Croce elevato al livello dello spirito, indaga gli aspetti ineludibili di buona parte della vita umana (la volontà, la passione, la classificazione), per una comprensione ad ampio raggio del senso del terrestre. Altre opere: “Critica della ragione storica” (Giannini, Napoli); “Storicismo” (Giannini, Napoli); “Metafisica e storia” (Giannini, Napoli); “La linea ed il circolo -- Il progresso: storia di un’idea – storia lineale, storia ciclica -- La Nuova Accademia, Milano; L’idea di progresso. Teoria e storia, Giannini, Napoli, “La dia-lettica e la co-loquenza”, Giannini, Napoli, La materia della filosofia, Giannini, Napoli, Teoria della previsione, ESI, Napoli; seconda Giannini, Napoli, “Croce interprete di Hegel” Giannini, Napoli); “Il concetto di storia in Croce, Morano, Napoli; E.S.I., Napoli, Renata Viti Cavaliere La logica della filosofia, Giannini, Napoli); “Il sofisma e la libertà” Giannini, Napoli, “Autobiografia minima, Bulzoni, Roma, Interpretazioni. Da Bruno a Jaspers, Giannini, Napoli “Consenso e dissenso” (Sansoni, Firenze); Intervista su Croce, A. Fratta, SEN, Napoli, Il diritto alla filosofia, SEN, Napoli, Critica delle crisi: filosofia, scienze, rivoluzioni” (Cadmo, Roma); “Il progresso della filosofia, Storia della filosofia con testi e ricerche, Ferraro Napoli, Eutanasia dei principii logici, Loffredo, Napoli); “Il potere e l’ipotesi. Tappe di una filosofia delle funzioni, Morano, Napoli, Pensieri sul “Mondo”, R. Viti Cavaliere, C. Gily, R. Melillo, presentazione di G. Cotroneo, Luciano, Napoli); “Teoria della previsione, G. Cotroneo e G. Gembillo, Armando Siciliano, Messina, Le origini della dialettica, F. Rizzo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Scritti su “Criterio”, Introduzione, testi e indici R. Viti Cavaliere e R. Peluso, Scripta Web, Napoli. "Dizionario Biografico", su treccani.  quartotempoblog, Biografia di Carmen Moscariello Quarto Tempo, altervista.org. critica M. Biscione, Interpreti di Croce, Giannini, Napoli G. Gembillo, Un itinerario filosofico, La Nuova Cultura, Napoli Coppolino, La “scuola” crociana, La Nuova Cultura, Napoli, V. Mathieu, Storia della filosofia: La filosofia del Novecento, Le Monnier, Firenze, G. M. Pagano, “Storicismo e azione” (Cadmo, Roma); G. Cantillo, Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti, Napoli, E. Paolozzi, il valore dei dettagli, in L'identità liberale di una società in trasformazione, Napoli, La tradizione critica della filosofia. G. Cantillo e R. Viti Cavaliere, Loffredo, Napoli, R. Viti Cavaliere, Postfazione, La teoria della storia di Croce, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, Viti Cavaliere, Profilo in Ead., “Il giudizio e la regola” (Loffredo, Napoli); “Il diritto alla filosofia, G. Cotroneo e R. Viti Cavaliere, Rubbettino, Soveria Mannelli  R. Viti Cavaliere, Una scelta di lettere di Carlo Antoni in "Logos", Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. //store.rubbettinoeditore/raffaello-franchini/ Fondo Franchini, Università “L’Orientale” di Napoli.  Una scelta di lettere di Carlo Antoni a Raffaello Franchini  a cura di Renata Viti Cavaliere   Nota introduttiva  Si offre al lettore una scelta di lettere di Carlo Antoni a Raffaello Franchini, tra le cui carte chi scrive ha rinvenuto una custodia, di colore verde sbiadito, contenente la preziosa raccolta 1 . Sul risvolto di copertina Franchini così annotava: «Sono 48 lettere di Antoni. Pubblicabili solo dopo molto tempo: mutilarle sarebbe un grave errore». Poco più avanti aggiungeva  a mo’ di  postilla: «+ 3 reperite in seguito. Sul non mutilarle farei riserve. + 1 reperita il 6-2- ‘66». In spirito di fedeltà, dunque, alla  palese intenzione del mio maestro di vedere un giorno stampate le lettere di Antoni, e consapevole della difficoltà a pubblicare ancor oggi integralmente il lascito  epistolare, ho preservato intatte alcune lettere ora destinate all’attenzione degli  studiosi, ma ntenendo la massima discrezione su quei contenuti “riservati” a cui si allude nell’appunto manoscritto.  Le lettere abbracciano un arco temporale che va dal 1948 al 1959 2 . Si è fatto in modo che non si perdesse - nella scelta operata -  il filo “logico” di  uno scambio epistolare intenso, che purtroppo conosciamo solo unilateralmente 3 , riguardante pensieri e dottrine che in quegli anni avevano impegnato molto Antoni incidendo non   poco sull’assai più giovane Franchini , che per tanti versi si considerò sempre idealmente suo allievo. Proprio allo scopo di non interrompere il dialogo sotteso al carteggio, non sono ovviamente state escluse, solo per il fatto di essere state già edite,  le 6 lettere di Antoni che Franchini riportò quasi per intero all’interno del sag gio  in memoriam , scritto nel ‘69 nel decimo anniversario della morte dello studioso  1  Un sentito ringraziamento ai figli Laura e Vincenzo per avermi messo a disposizione i materiali  dell’Archivio Franchini.  2   Su alcune buste compare l’indirizzo vomerese di Via Michetti, ma per lo più le lettere  sono indirizzate a «Il Giornale» in via Roma, e poi in Via Nardones, nel cuore dei Quartieri spagnoli a Napoli.  3  Non è stato in alcun modo possibile reperire le lettere di Franchini. Esse non sono presenti nel Fondo Antoni conservato a Roma a Villa Mirafiori, e si deve seriamente ritenere che siano andate perdutetriestino, costruendo intorno ad esse per buona parte l’affettuoso ricordo di una  magistrale lezione 4 . Dieci anni addietro infatti, nel corso del 1959, Franchini si era trovato ad  intervenire sul pensiero e l’opera di Carlo Antoni a distanza di appena un mese: nel  mese di luglio aveva recensito il volume   La restaurazione del diritto di natura , edito con Neri Pozza, in una lunga nota sul «Mondo» dal titolo   Le leggi di Antigone , e  nell’agosto fu chiamato purtroppo a scrivere nel giro di poche ore, con sincero  rammarico,   In morte di Carlo Antoni. Amico della verità 5 , un corposo necrologio rivolto a celebrare la maestrìa del grande discepolo di Croce, così fedele e al tempo stesso del tutto originale. Le lettere qui pubblicate aiutano a focalizzare, per rapidi lampi di luce, quel tratto di strada relativo ai precedenti anni Cinquanta, vissuti da  entrambi per lo più all’in terno della tradizione crociana, dalla quale sentirono di non dover prescindere, a partire dagli ultimi anni di vita del filosofo  (morto nel ’52)  sino alla prematura scomparsa di Antoni  nel ‘59 .  Sorprende per certi aspetti l’ incipit   della lettera di Antoni del 6 novembre  1948: «È da tempo che seguo con vivo interesse la Sua attività di studioso….», se si  considera la giovane età di Franchini, allora ventottenne.  E’ pur vero però ch’egli  poteva già vantare una significativa produzione scientifica, tra articoli di giornale e saggi, non soltanto di esordio, e che i primi scritti risalgono già al 1944. Franchini aveva infatti pubblicato una serie di brevi articoli su quotidiani napoletani come «Il Corriere» e «La Voce», e saggi su riviste di pregio come «Ethos» diretta da Gabriele Pepe e «Lo Spettatore italiano» curato da Elena Croce e Raimondo Craveri 6 . Non credo si sbagli ad indicare nella recensione al volume di Antoni  Considerazioni su  4  Il saggio dal titolo  Carlo Antoni, lo storicismo e la dialettica  è nel volume R. Franchini,   Interpretazioni.  Da Bruno a Jaspers , Napoli, Giannini, 1975, alle pp. 355-379. Era già uscito, con titolo diverso, nella miscellanea di AA. VV.,  Umanità e Storia. Scritti in onore di Adelchi Attisani , Napoli, Giannini, 1971, vol. I, pp. 507- 527. A quarant’anni dalla stesura, il testo di Franchini su Antoni appartiene ad un legato non  agevolmente reperibi le, per cui le lettere in esso contenute risultano per i lettori d’oggi “come se” inedite.   5  Franchini racconta nelle sue note autobiografiche di aver redatto in breve tempo, rinunciando ad andare ai  funerali, l’ampio articolo commemorativo per «Il Mondo».  Cfr. R. Franchini,   Autobiografia minima , Roma, Bulzoni, 1973.  6  Sulla prima produzione di Franchini si veda il volumetto di G.M. Pagano,  Storicismo e azione. Gli scritti giovanili di Raffaello Franchini (1940-1955) , Roma, Cadmo, 1983. Il periodo dal ’40 al ’43 fu di  formazione e di studio tra le difficoltà della guerra, privo però di documentazione a stampa   Sent from the all new AOL app for iOSHegel e Marx   del ’46 (pubblicata in quell’anno  nella rivista  «Ethos») l’atto d’inizio di  un dialogo filosofico che andrà via via intensificandosi. Si può presumere infatti che Carlo Antoni, nella prima delle lettere da me rinvenute, esprimesse un giudizio assai positivo sul lavoro del giovane studioso avendo anche chiaro il ricordo di  quell’articolo di due anni addietro, nel quale si tracciava di lui un bel profilo con  riferimento ai precedenti volumi   Dallo storicismo alla sociologia  (del 1940) e   La lotta contro la ragione  (del 1942). In realtà Franchini da allora in poi, e in   più d’una  occasione, ebbe sempre gran cura di rievocare i pensieri di Antoni sia in segno di  consenso sia comunque per un doveroso riconoscimento dei suoi meriti d’interprete.  Valga ad esempio la recensione allo   Hegel  di De Ruggiero (in «Lo Spettatore Italiano», 1948 7 ) dove compare un significativo riferimento alla lettura che Antoni aveva proposto circa il carattere intellettualistico e astrattivo della dialettica hegeliana nella prima triade della  Scienza della logica . In quella occasione, peraltro, Franchini non si limitò ad illustrare i termini di una questione dai risvolti complessi, ma  suggeriva d’intendere il rapporto dell’essere col nulla, reali solo nel divenire, come la  prova evidente dell’uscita dalla immobilità tautologica della vecchia identit à senza  vita. In altre parole egli non mostrò di approvare del tutto l’idea di un “tradimento”  della dialettica operato da Hegel nei confronti della sua creatura più preziosa, perché  l’essere e il nulla in quanto opposti, o contrari, animano il movimento d ella realtà lungi dal fissarlo per dir così in uno schema triadico posticcio. Non per caso,  nell’esaminare i saggi raccolti da Antoni nel ’46, Franchini mirò subito al problema -Hegel che per il filosofo triestino rappresentò a lungo un cruccio insuperabile, anche  negli anni a venire. Tra critiche all’illuminismo e all’irrazionalismo romantico si può  dire che Hegel abbia redatto la  magna charta  della speculazione moderna che è la dialettica, quasi un segreto di difficile decriptazione. Mentre, però, Antoni si  arrovellava sul “rompicapo” che è l’essere da cui sprizza la scintilla del divenire  vitale, cogliendo in Hegel il restauratore della metafisica tradizionale, Franchini  7  Ristampato nel volume   Esperienza dello storicismo , Napoli, Giannini, 1953, pp. 181-185. Il ricordo di   De   Ruggiero: lo studioso e l’uomo  sta nel volumetto   Dalla filosofia della storia alla ragione storica , Napoli, Giannini, 1953, pp. 115-118mostrava maggiore apertura alla nuova logica che di fatto assorbe la metafisica in una logica non più matematizzante. Molto acuta gli era pertanto sembrata la critica di Antoni al «ritmo dialettico hegeliano come risultante da una sorta di contaminazione tra sillogistica e dialettica degli opposti» 8 , perché in tal caso cominciava ad emergere il problema di una preferenza del filosofo di Stoccarda rivolta in ogni modo al sillogismo piuttosto che al giudizio. Il tema della dialettica si trova al centro dello scambio epistolare dei primi anni  Cinquanta. Croce, nonostante l’età avanzata e gl i acciacchi che lo assillavano, aveva  scritto nuove e profonde analisi intorno all’origine della dialettica in Hegel e sul tema  della vitalità che per un verso complicava il sistema, mentre, peraltro, lo arricchiva  ulteriormente dall’interno. Nella recensione all’ultimo libro di Croce   Indagini su  Hegel e schiarimenti filosofici  Franchini aveva chiamato ancora una volta in causa Antoni, attribuendogli finanche il merito di aver suscitato nel maestro il bisogno di un ripensamento della questione della dialettica 9 . Antoni ne fu lusingato ma al tempo  stesso si preoccupò dell’opinione del vecchio filosofo. Scrisse al Croce un biglietto di scuse per avere impropriamente adoperato l’espressione “dialettica” dei distinti, e a  Franchini una lunga lettera (del 31 marzo 1952) in cui chiariva forse anche a se stesso che la differenza da lui messa in luce, alla fine degli anni Quaranta, tra la dialettica  hegeliana della contraddizione e la crociana dialettica dell’opposizione, comunicata a  Croce pur con molta discrezione, aveva forse finito per condurre il filosofo proprio là dove egli non avrebbe voluto e dove per la verità non si sentì mai di seguirlo: vale a  8  Cfr. R. Franchini,   Il razionalismo hegeliano , in Id.,   Dalla filosofia della storia alla ragione storica , cit., p. 67.  9  Vedi R. Franchini,   La crudele dialettica , in «Il Mondo», 29 marzo 1952. Si chiedeva Franchini: che cosa è accaduto nei quarantasei anni che intercorrono tra il  Saggio sullo Hegel  del 1907 e gli ultimi scritti crociani su Hegel? Cosa ha spinto Croce a tornare sul tema della dialettica in Hegel? Certo non la pubblicazione degli scritti giovanili di Hegel, neppure il cosiddetto rinascimento esistenzialistico-fenomenologico del filosofo di Stoccarda, e neppure i brillanti saggi di De Negri. Semmai era stato Carlo Antoni a sottolineare  l’aporia i ntellettualistica nella hegeliana formulazione del movimento dialettico. Croce, pur non  rispondendo direttamente alla questione posta da Antoni, aveva voluto infine includere l’opposizione nella  logica dei distinti in modo che non si perdesse di vista la d rammaticità dell’atto generativo del prodursi del  reale nel suo significato logico-spiritualedire ad una sorta di primato della vitalità nel suo dialettico rapporto con la vita morale 10 . Intorno alla metà  degli anni Cinquanta, come si legge nelle lettere dal ’54 al ‘57, l’intreccio di varie vicende offre snodi teorici, e non solo teorici, particolarmente  interessanti. Direi che tre possono essere considerate le questioni più significative, che di necessità  coinvolgono filosoficamente il lettore al di là dell’apparenza di  alcune diatribe contingenti. In primo luogo si deve collocare il fatto importante della pubblicazione del libro di Carlo Antoni  Commento a Croce  (1955), coevo al Congresso di filosofia che si svolse a Napoli (con la relazione introduttiva di Antoni)  sul tema della “conoscenza storica”. Connessa alla stampa del libro di Antoni è la  vicenda relativa al caso- Fiore (1957), che com’è evidente molto amareggiò l’Antoni,  e, infine, la questione, aperta da Croce molti anni addietro (che per ovvi motivi torna  in queste lettere), intorno al significato dell’insegnamento della “filosofia della storia” nelle università italiane. Gustosa, infine, l’osservazione ironica di Antoni a  proposito del libro di S  prigge dedicato a Croce, relativa al celebre saggio del ’42  Perché non possiamo non dirci cristiani.  Val la pena, quando ancor oggi si torna spesso a discettare sul senso e sul ruolo di questo scritto, commentare la strana insinuazione sui motivi prettamen te politici, benché anacronistici, che l’avrebbero,  secondo lo studioso inglese, ispirato. La recensione di Franchini al  Commento a Croce  uscì dunque nel giugno del  ’55 sulla «Nuova Antologia». Non so se furono pochi i lettori che ne presero visione,  come  ipotizzava Antoni; certo è che ampia fu l’analisi di quel libro all’interno del  puntuale racconto (non però un esaustivo resoconto) scritto da Franchini sul congresso napoletano di Filosofia, racconto-resoconto che uscì negli «Atti»  dell’Accademia Pontaniana l’anno seguente 11 . L’illustre interprete di Croce dichiarò  poi onestamente, con l’umiltà dello studioso intelligente, di aver  potuto vedere con  10  Rimando alla monografia di G. Sasso,   L’illusione della dialettica .  Profilo di Carlo Antoni , Roma,  Edizioni dell’Ateneo, 1982. Si veda anche l’esauriente saggi o di M. Biscione,  Carlo Antoni interprete di  Hegel , in «Filosofia», XLVII, II (1996), pp. 173-192, con particolare riferimento al volume postumo di Antoni,   Lezioni su Hegel 1947-57  , Napoli, Bibliopolis, 1988.  11  R. Franchini,   La conoscenza storica , in «Att i» dell’Accademia pontaniana, N.S., V, Napoli, 1956, pp.  277-288 (rist. in   Metafisica e Storia , Napoli, Giannini, 1958, da cui si cita) maggiore chiarezza i suoi pensieri, quasi in virtù del diradarsi di una sorta di nebbia,  attraverso l’illustrazione che ne  aveva fatta il giovane discepolo. Che posto ebbe dunque il  Commento a Croce  nella discussione svoltasi durante il XVII Congresso di filosofia intorno al cruciale problema della conoscenza storica? 12  Anzitutto Franchini poneva una questione di politica culturale, assegnando alla relazione introduttiva di Antoni il significato di un  “riscatto” del valore filosofico dello storicismo crociano rispetto alle posizioni “sistematiche” o, che è lo stesso, “problematicistiche”, di  coloro cioè che comunque presuppongono un assoluto, sia esso raggiungibile oppure no. Franchini vide in Antoni una voce laica in grado di contrastare dogmatismi annosi e quelle forze culturali poco sensibili alle inquietudini dello spirito liberale anche  nell’organizzazione degli studi. La scelta di chiamare Antoni ad aprire i lavori del Congresso era stata “politicamente” rilevante e teoreticamente acuta, perché si trattò del riconoscimento di una linea di ricerca filosofica, tutt’uno c on la ricerca storiografica, che appunto Antoni   –   così scriveva Franchini - «ha spinto alle estreme  conseguenze […] nei capitoli dedicati all’origine storica della distinzione e ai rapporti tra l’Assoluto e la storia» 13 . Il  Commento a Croce   fu in quell’occa sione lo strumento di una militanza filosofica di tenore essenzialmente etico-politico. «Solo un filosofo  della storia, nel senso metodologico e non metafisico dell’espressione, poteva in  piena consapevolezza gridare alto e forte il no dell’Etica contro le  usurpazioni del politicismo comunista» 14 . Così Franchini, forse con enfasi eccessiva ma  correttamente, collocava Antoni dalla parte dell’antitotalitarismo, anche memore  degli studi da lui fatti sulla tragedia totalitaria della Germania nazista.  Sull’ibridazione di socialismo e liberalismo Antoni non era d’accordo, come si sa,  pur tuttavia mai egli aveva negato il carattere solidaristico di una politica economica curvata sul sociale, come infatti emerge in alcuni tratti delle lettere a Franchini.  12   Il Congresso affiancò al tema della conoscenza storica quello su “Arte e linguaggio”. Era stato  organizzato da Felice Battaglia e dalla SFI napoletana, e vide partecipi i principali esponenti degli schieramenti filosofici del tempo, come Stefanini, Bontadini, Spirito, Calogero, Fazio Allmayer, Paci, Filiasi-Carcano, e tra gli organizzatori Cleto Carbonara. Antoni fu primo relatore e animatore, con numerosi interventi, delle accese discussioni sino alla fine dei lavori.  13    Ibid. , p. 305Antoni fu l ieto d’aver partecipato al Congresso napoletano, sì da trarne soddisfazione  morale e politica, benché anche in seguito continuò a vedere nella cultura italiana sempre e solo schiere di combattenti non proprio ad armi pari, specie là dove le idee  “confessionali”  tornavano per lo più a compattarsi in vista di un certo potere. La presenza di Antoni aveva ottenuto un esito importante: aveva consentito agli esponenti di una tradizione storicistica  sui generis , alla quale Franchini si univa seguendo il cammino già di Ciardo, Attisani, Parente, di testimoniare la volontà di un  confronto con le altre correnti della filosofia italiana e straniera. D’altronde, al solito  pregiudizio che tendeva  a stanziare gli studi “crociani” nel Sud dell’Italia, era stato  p roprio l’Antoni, nel discorso di chiusura delle sessioni del Congresso, ad opporre la realtà del pensiero di Croce, per eccellenza europeo e mondiale nell’ispirazione e nei suoi fecondi risultati. Franchini non si fece tuttavia sfuggire l’occasione di denu nciare  i limiti di presunte filosofie d’avanguardia. Tra l’altro lo stesso problema della conoscenza storica, così posto nella sua purezza, poteva indurre nell’errore di non  considerarne il rapporto con la volontà e la vita morale, di trascurare cioè il ruolo  dell’individuo umano, che è un nulla se si vuole rispetto all’infinito, ma è quel tutto che si realizza nell’opera singola e si trasmette storicamente alle generazioni future  in nome di una tradizione critica 15 . Non aveva forse Croce detto chiaramente che « storicismo  è creare la propria azione, il proprio pensiero, la propria poesia, muovendo dalla coscienza presente del passato»? Chi, se non un individuo concreto e responsabile, potrebbe essere  mai l’artefice di tanta “proprietà”? Cos’è lo  storicismo se non il vero umanismo dei nostri giorni? 16  Ad Antoni Franchini tributava in definitiva il migliore degli omaggi sottolineando la teoreticità del libro su Croce, di  quel “commento” messo lì a dissimulare forse con un eccesso di pudore la nuova  filosofia che nasceva dalla lettura intrinseca del grande pensatore. I capitoli sulla Distinzione e sul Giudizio sono cruciali nel libro di Antoni, profondi e utili quelli  sull’individuo nella Storia e sull’idea di progresso. Più d’ogni altro principio quello  15   In particolar modo Calogero e Attisani avevano messo in discussione la concezione dell’individuo in  Croce e Antoni.  16  B. Croce,   La storia come pensiero e come azione  (1938), Bari, Laterza, 1966: Storicismo e umanismo, p.della distinzione è appartenuto allo spirito italiano, da Machiavelli a Galilei, da Vico a Croce attraverso Labriola e De Sanctis. Nella logica crociana poi la distinzione correggeva, secondo Antoni, gli effetti indebiti di una contraddizione perenne pur  nell’unità che ne è lo sfondo. L’identità allora diventa non già l’accordo presupposto dei contrari ma il reale incontro dell’universale col concreto nella forma conoscitiva  del giudizio storico. Croce restaurava così   –   secondo Antoni -  il principio d’identità,  rigenerandolo tuttavia nella nuova vita di un rapporto asimmetrico racchiudibile nella formula a=A. E tra le categorie non passa spazio come per un salto dall ’ uno all ’ altro contesto. «In realtà il sistema   –   scriveva Antoni   –    è quello di un’unica categoria reale   e attiva, che è l’Io, di cui le categorie sono articolazioni. Lo stesso trapasso della conoscenza nell’azione non può essere inteso come un passaggio radicale da una categoria all’altra, quasi che la conoscenza d’una situazione storica non fosse già  guida ta da una volontà e da un interesse e l’azione non fosse guidata, lungo l’intero  suo svolgimento, dalla conoscenza» 17 . La lettera del 2 luglio del ’56, più avanti  riportata, è davvero illuminante a tal proposito: Antoni, platonicamente, indicava  nell’Idea del Bene l’idea -guida dello spirito umano, incisa in noi per definirsi nel  tempo in quella che felicemente chiamiamo “storia della civiltà”.   Profonda fu l’amarezza di Antoni dopo aver letto la recensione di Tommaso Fiore al suo “Commento” sul numero di dicembre della rivista «Il Ponte» del ‘56 18 . Il suo dispiacere nasceva anche dal fatto che i direttori, succeduti al Calamandrei nella gestione della rivista, erano almeno dichiaratamente suoi amici 19 . Nella recensione  non si sottolineavano, com’è pur giusto fa re, eventuali spunti critici per una filosofica  discussione, ma si assumeva nei confronti dell’Autore un atteggiamento ostile in  partenza, probabilmente per motivi che non si direbbero solo di carattere teorico. E  difatti si accusava Antoni, «l’unico supe rstite del crocianesimo in un mondo che crociano non è» (come se il mondo aspettasse di assumere un colore politico o una preferenza culturale per decreto della Storia) di aver discettato di problemi morali e  17  Franchini cita da Antoni,  Commento a Croce , Venezia, Neri Pozza, 1955, p. 170.  18  Vedi T. Fiore, rec. a C. Antoni,  Commento a Croce,  in «Il Ponte», 12 (1956), pp. 2155-2157.  19   Tumiati assunse la direzione della rivista fondata da Calamandrei, in un primo tempo, dal ‘56 fino al  1965, insieme con Agnolettipolitici in maniera distaccata dalla realtà, realtà che pure in gioventù lo aveva attratto  e animato. Le “infedeltà” o presunte tali riscontrate dal recensore nei riguardi di  Croce venivano prima denunciate in nome di un crocianesimo fossilizzato, quasi che lo si volesse difendere a tutti i costi, e poi segnalate come devianze, talvolta vere e proprie concessioni a un larvato gentilianesimo. Inutile dire che questo avveniva, e poteva esser fatto, solo sminuzzando il discorso di Antoni e calcando la mano su alcune frasi o concetti che risultavano distorti nel loro effettivo significato. Date le premesse, non stupisce la conclusione cui giungeva il recensore quando si chiedeva:  “ ma quale crocianesimo è questo? ”  se, difatti, Antoni si era permesso di seminare dubbi, di rivelare incertezze e contraddizioni nel sistema. La peggior cattiveria nello  scritto del Fiore consistette però nell’attribuire ad Antoni una sorta di astenia  emotiva, ben altra cosa rispetto alla passione democratica del De Ruggiero e al  civismo mazziniano dell’Omodeo, entrambi già scomparsi . Eppure Tommaso Fiore era andato da amico e sodale ad accogliere Antoni a Bari in una precedente visita dello studioso nella città pugliese; Fiore era un antifascita convinto e aveva fatto parte del movimento democratico meridionale con De Martino, Dorso, in continuità con Salvemini, Gobetti e Carlo Rosselli 20 . Un po’ d’anni addietro, nel ’40 Guido Calogero e nel ’41 Tommaso Fiore , si videro rifiutare e aspramente criticare il manifesto liberalsocialista da Croce, il quale tendeva a separare il concetto di libertà,   per lui superiore, dall’idea di giustizia. Dissonanze politiche pesarono probabilmente  più del dovuto sulla “scombinata” e certo solo velatamente scientifica recensione che il Fiore aveva redatto nel ’56 sul libro di Antoni.  Per una curiosa ironia della sorte sia Antoni che Franchini hanno ricoperto, a  distanza di un decennio, incarichi universitari nell’ambito del settore filosofico 21  sulla disciplina della Filosofia della storia, tanto avversata da Croce. Pur tra molte difficoltà burocratico-isti tuzionali Antoni riusciva nel ’54 a cambiare titolarità  (adempiendo ad un impegno preso col filosofo), chiamato infine sulla cattedra di  20   A Tommaso Fiore è stato dedicato nel ’67 un intero fascicolo della «Rivista Pugliese» di  Bari, comprensivo del carteggio con Carlo Rosselli e con Guido Dorso.  21  Antoni aveva precedentemente insegnato Letteratura tedesca a Padova dal 1942  politici in maniera distaccata dalla realtà, realtà che pure in gioventù lo aveva attratto  e animato. Le “infedeltà” o presunte tali riscontrate dal recensore nei riguardi di  Croce venivano prima denunciate in nome di un crocianesimo fossilizzato, quasi che lo si volesse difendere a tutti i costi, e poi segnalate come devianze, talvolta vere e proprie concessioni a un larvato gentilianesimo. Inutile dire che questo avveniva, e poteva esser fatto, solo sminuzzando il discorso di Antoni e calcando la mano su alcune frasi o concetti che risultavano distorti nel loro effettivo significato. Date le premesse, non stupisce la conclusione cui giungeva il recensore quando si chiedeva:  “ ma quale crocianesimo è questo? ”  se, difatti, Antoni si era permesso di seminare dubbi, di rivelare incertezze e contraddizioni nel sistema. La peggior cattiveria nello  scritto del Fiore consistette però nell’attribuire ad Antoni una sorta di astenia  emotiva, ben altra cosa rispetto alla passione democratica del De Ruggiero e al  civismo mazziniano dell’Omodeo, entrambi già scomparsi . Eppure Tommaso Fiore era andato da amico e sodale ad accogliere Antoni a Bari in una precedente visita dello studioso nella città pugliese; Fiore era un antifascita convinto e aveva fatto parte del movimento democratico meridionale con De Martino, Dorso, in continuità con Salvemini, Gobetti e Carlo Rosselli 20 . Un po’ d’anni addietro, nel ’40 Guido Calogero e nel ’41 Tommaso Fiore , si videro rifiutare e aspramente criticare il manifesto liberalsocialista da Croce, il quale tendeva a separare il concetto di libertà,   per lui superiore, dall’idea di giustizia. Dissonanze politiche pesarono probabilmente  più del dovuto sulla “scombinata” e certo solo velatamente scientifica recensione che il Fiore aveva redatto nel ’56 sul libro di Antoni.  Per una curiosa ironia della sorte sia Antoni che Franchini hanno ricoperto, a  distanza di un decennio, incarichi universitari nell’ambito del settore filosofico 21  sulla disciplina della Filosofia della storia, tanto avversata da Croce. Pur tra molte difficoltà burocratico-isti tuzionali Antoni riusciva nel ’54 a cambiare titolarità  (adempiendo ad un impegno preso col filosofo), chiamato infine sulla cattedra di  20   A Tommaso Fiore è stato dedicato nel ’67 un intero fascicolo della «Rivista Pugliese» di  Bari, comprensivo del carteggio con Carlo Rosselli e con Guido Dorso.  21  Antoni aveva precedentemente insegnato Letteratura tedesca a Padova dal 1942 10  Storia della filosofia moderna e contemporanea nell’Università di Roma. Franchini ottenne l’incarico didattico nell’Uni versità di Napoli dopo aver conseguito la libera  docenza, inaugurando il corso nel ’56 con una prolusione sulla  Filosofia della storia , materia che si accingeva ad insegnare. Antoni non riuscì a recarsi a Napoli per assistervi, ma poté leggerne il testo su «Criterio» con sincero compiacimento 22 .  Franchini tracciò in quell’occasione il profilo storico della questione, dai pensatori cristiani fino a Hegel, a Spengler e Toynbee, difendendo l’insegnabilità di una  disciplina che mira a conoscere «un secolare biso gno dell’animo umano» rivolto a dare un senso generale alle epoche storiche. S’intende che  la filosofia della storia, in quanto caso particolare della metafisica, andava svecchiata e in un certo senso riformulata attraverso la metodologia storica non disgiunta dalle sempre essenziali  ricerche di storia della storiografia. Egli si appellava alla tradizione “locale” ma  europea di Vico, De Sanctis, Bertrando Spaventa, Omodeo. Non faceva però il nome di Antonio Labriola, ricordato invece da Antoni (lettera del 14 gennaio 1956) insieme al caso Ferrero e alla oramai lontana, nel tempo, battaglia contro la filosofia della storia in un celebre discorso che Croce tenne al Senato del Regno nel maggio del 1913 23 . La prolusione di Franchini si chiudeva con un omaggio «al primo docente  ufficiale che di questa materia l’Italia abbia avuto, il nostro Maestro ed Amico Carlo Antoni…» 24 . La recensione al libro di Sprigge merita qualche nota in margine, anche a  difesa dell’interprete inglese sul quale potrebbe pesare fin troppo l’icastica  osservazione di Antoni che gli attribuisce una lettura del rapporto di Croce col cristianesimo sulla base di mere considerazioni politicistiche. Franchini cercò allora  22   La Prolusione uscì in due puntate su «Criterio», la rivista diretta a Firenze da Ragghianti, nel ’57, I, n. 4,  pp. 277-284 e I, n. 5, pp. 354-363. «Criterio» fu poi ripresa da Franchini nella Nuova Serie Filosofica, e da lui diretta dal 1983 al 1990.  23  Il discorso in Senato non conteneva, contrariamente a quanto talvolta si è lasciato intendere, alcun riferimento a Ferrero (per il quale si veda invece la nota di Croce in  Conversazioni critiche , serie I, Bari, Laterza 1918. Il testo del discorso in Senato del 29 maggio 1913 si può leggere in   Discorsi parlamentari , con un saggio di M. Maggi, Bologna, Il Mulino, 2002. Su  Croce e Ferrero  si veda la nota di F. Tessitore in «Rivista di Studi crociani», 1 (1964), pp. 147-150. Sulla riconciliazione di Croce e Ferrero, in nome di un comune sentire negli anni bui del fascismo, rimando a A. Parente,  Croce per lumi sparsi , Firenze, La Nuova Italia, 1975, pp. 270-273.  24  La Prolusione fu poi ristampata in Franchini,   Metafisica e Storia , cit., pp. 105-13311  di dipanare la controversa materia 25 , riconoscendo allo Sprigge la buona fede pur nella ripetizione del luogo comune per il quale si attribuivano a Croce inclinazioni e spirito conservatori. In effetti Croce aveva mostrato sempre  “comprensione” per la Chiesa cattolica, ciò non pertanto lo scritto del ’42, che pure piacque molto per  evidenti ragioni a taluni cattolici, fu una risposta alla sfida dei fatti sulla base di principi teorici che in ogni modo ispirarono il filosofo, il cui sguardo per necessità  mirava ad assumere connotati universali “oltre” la mera contingenza delle circostanze  politiche. E tuttavia il contenuto di quel testo è sempre “presente” nel suo significato  inequivocabile. La figura di Gesù, al centro del cristianesimo, ha rappresentato un messaggio ancora fermamente iscritto nel cuore della modernità e dentro la storia del mondo contemporaneo, sia per gli appartenenti ad una chiesa sia per i laici credenti e  non credenti. Non in poco conto pertanto dev’essere  tenuto il plurale espresso in quel  “noi” ( Perché   [noi]  non possiamo non dirci cristiani ), che difatti esclude il discorso in prima persona, ed esclude che si tratti della confessione di un sentimento segreto.  Parimenti estranee all’argomento crociano furon o le polemiche anticlericali, del tutto fuori luogo in un contesto che, come può verificare ogni attento lettore, fu di carattere teoretico e storiografico. Il cristianesimo non è stato un miracolo, ma un processo storico; anche se proprio il fatto di aver intersecato profondamente le vicende storiche di una così vasta parte del mondo lo rende una sorta di evento straordinario, non però  diversamente, in chiave ontologica, dal miracolo che ogni ente è, e dall’eccezione che  noi tutti siamo. Le lettere, fatt esi più rare tra il ’58 e i primi mesi del ’59, raccontano di vicende  accademiche e di fatti quotidiani, di brevi viaggi e di alcuni malanni che affliggevano Antoni già da qualche tempo. Al centro peraltro sta la figura di Luigi Scaravelli, scomparso tragicamente nella primavera del 1957. Nella Commemorazione pisana 26  Antoni aveva tracciato dello Scaravelli, a pochi mesi dalla morte, un profilo davvero  25  La recensione al libro di C. Sprigge,   Benedetto Croce, l’uomo e il pensatore  (Napoli, Ricciardi, 1956) apparve su «Criterio» con il titolo  Un profilo del Croce , 2 (1957), pp. 165-167 e fu ristampata nel volume   L’oggetto della filosofia , Napoli, Giannini, 1962, pp. 253-258.  26  La commemorazione letta nella Sala degli Stemmi della Scuola Normale Superiore il 23 novembre 1957 è nel volume di C. Antoni,  Gratitudine , Milano-Napoli, Ricciardi, 1969, pp. 32-521956 Caro Franchini, ho letto la recensione, che Le restituisco. Mi rallegro con Lei per il fatto che il Suo libro sia stato recensito dalla «Historische Zeitschrift», che resta tuttora la migliore rivista tedesca di studi storici 49 . È un onore per Lei. In quanto alla recensione stessa, essa ha il consueto carattere informativo delle recensioni tedesche, nelle quali di rado si prende posizione. Naturalmente noi, abituati allo stile delle recensioni crociane, ci impazientiamo dinanzi a tanta acriticità. Ignoro chi sia questo Funke. Con i più cordiali saluti Suo Antoni Ha visto il mio  Tramonto delle ideologie  sul «Mondo»? 50  Roma, 4 sett. 1956 Mio caro Franchini,  49  Si tratta della recensione di G. Funke al libro di Franchini   Esperienza dello storicismo , in «Historische Zeitschrift», Bd. 181, 3, (1956), pp. 596-600. Antoni aveva scritto sul «Mondo» (marzo 1954) un lungo e denso articolo sul volume di Franchini, che si può leggere nella raccolta   Il tempo e le idee , a cura di M. Biscione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1967, pp. 447-451.  50  Vedi «Il Mondo», luglio 1956, in   Il Tempo e le idee , cit., pp. 232-24 12  partecipe, in spirito di amicizia e di stima per un uomo schivo e assai colto, conversatore brillante che sapeva «passare dalla musica classica al romanzo francese, dalla pittura alla fisica nucleare». Giunto alla filosofia da studi scientifici, di matematica e di medicina, Scaravelli si era infatti misurato con i grandi della tradizione filosofica specie su temi di logica pura per certi versi, ma in virtù  dell’intento di far pre valere  il capire sull’esistere. A Croce e Gentile aveva dedicato con acume le sue fatiche d’interprete, non meno che a Platone, Cartesio, Kant,  Heidegger, Heisenberg. In ogni modo egli aveva cercato di risolvere un suo problema teoretico. Antoni scrive a Franchini (lettera del 3 dic. 1958): «Il problema di  Scaravelli era quello di dedurre il molteplice dall’identico, cioè di scoprire o “capire”  come la grande madre genera i suoi figli». Problema insolubile perché pur muovendo  dal principio d’identità indispensabile per la comprensione dei significati, Scaravelli  dovette infine arrendersi alla sua dissolvenza aprendosi piuttosto al giudizio delle  forme concrete dell’esistere storico. Si trattava  del problema della creazione del mondo, concludeva Antoni, riassumendo così in una formula efficace le puntuali analisi contenute nella  Critica del capire 27  , ch’ebbero il merito di rompere il silenzio  con cui il libro fu accolto, nonostante il parere molto   positivo espresso nel ’42 dallo  stesso Croce.  Mancò, infine, il tempo per discutere tra amici intorno all’ultimo libro di  Antoni   La restaurazione del diritto di natura . Franchini ne aveva parlato nel numero di luglio del «Mondo», accogliendo senza riserve la proposta, in apparenza assai poco  storicistica, di un “ritorno” al principio dell’etica universalmente umana, la sola  capace però «di evitare le pericolose conseguenze del predominio della tecnica e della civiltà di massa». Egli ebbe forse bene a mente le parole adoperate da Antoni in una lettera di qualche anno prima 28 : alla base del giudizio storico e dell’azione morale  e politica sta la luce di un concetto universale dello spirito umano che tuttavia, proprio nella forma di un umanesimo rinnovato, non contrasta affatto con la visione  27  Si veda la lunga recensione di Antoni a L. Scaravelli,  Critica del capire , in «Giornale critico della filosofia italiana», Seconda serie, II (1942), pp. 232-234.  28  Vedi lettera del 2 luglio 1956, più avanti riportatastoricistica e dialettica della vita con tutte le sue imprevedibili e particolarissime circostanze. *** Roma, 6 novembre 1948 Caro dott. Franchini, è da tempo che seguo con vivo interesse la Sua attività di studioso. Così ho letto la Sua bella recensione del libro del Ciardo 29  e il Suo articolo sul Gramsci, comparso sullo «Spettatore» 30 . Ho ricevuto oggi la sua memoria su  Storicismo e   relativismo 31 , che ho letto subito. Penso che il suo esame del rapporto e la differenza  tra “storicismo” e “istorismo” ossia relativismo storicistico sia molto opportuno oltre  che acuto. Ella mi muove un lieve appunto: quello di aver attribuito al Troeltsch il merito  di aver introdotto nell’uso comune il termine di “storicismo”. Mi sembra però di aver  detto una verità incontestabile: anche se al termine il Troeltsch continuava a dare un significato deteriore, tuttav ia egli ha introdotto l’uso del termine stesso nel dominio  della storiografia e della riflessione sui metodi della storiografia. Soltanto dopo di lui si parla di storicismo moderno, di problemi, crisi ecc. dello storicismo. Se Ella ha occasione di venire a Roma, sarò assai lieto di vederla e di conversare con lei. Con cordiali saluti  29  La recensione al libro di M. Ciardo,   Le quattro epoche dello storicismo , era uscita in «La parola del passato», 6 (1947), pp. 368-373 (rist. nel volume R. Franchini,   Esperienza dello storicismo , Napoli, Giannini, 1953).  30   Si tratta dell’articolo   La “metodologia dell’azione” di A. Gramsci , uscito in «Lo Spettatore italiano», 6 (1948). La rivista si pubblicava a Roma per iniziativa di Elena Croce, figlia maggiore del filosofo, e del marito Raimondo Craveri.  31  Cfr. R. Franchini,  Storicismo e relativismo , in «Atti» dell’Accademia Pontaniana, N.S., I (1949), pp. 241 -255 (rist. in   Esperienza dello storicismo,  cit.)Roma, 12 marzo 1950 Caro Franchini, di ritorno da Bari, dove sono  stato a tenere una conferenza agli “Amici della cultura”, trovo la sua lettera e mi affretto a rispondere, ossia a rilasciarle il “certificato” che desidera 32 . Con cordialissimi auguri Suo Carlo Antoni Roma, 12 marzo 1950 È da qualche anno che seguo con molta attenzione gli scritti che il prof. Raffaello Franchini va pubblicando nelle riviste. Alcuni di essi, infatti, hanno già recato un contributo di chiarificazione e di critica assai notevole nel campo degli studi storico- filosofici: Tutti, poi, indistintamente sono la testimonianza d’un ingegno  assai vivace, fine, sensibile ai più urgenti problemi della filosofia e della   vita. Oltre a rivelare una preparazione culturale assai ricca e sostanziosa, essi indicano anche un  raro senso di umanità. Tra i giovani dell’ultima generazione il Franchini è certamente  uno dei più promettenti. Per le sue doti intellettuali e morali ritengo anche che possa  32   Segue la lusinghiera lettera di presentazione di Antoni sull’operosità del giovane Franchini, i l quale di lì a poco entrò a far parte del corpo docente del liceo classico della Scuola militare napoletanaessere un magnifico insegnante, tale da mantenere alto il prestigio di cui ha sempre  goduto il collegio della “Nunziatella”.  Carlo Antoni Roma, 1 ottobre 1951 Mio caro Franchini, ho letto con grande interesse il Suo saggio 33  e soprattutto la parte che mi riguarda. Ella ha afferrato perfettamente il mio pensiero (La ringrazio anche per averne messo in rilievo la novità), tanto perfettamente da trarne le conseguenze, che  io non avevo voluto trarne, malgrado che mi avvedessi che c’erano. In effetti Le confesso che ho i miei dubbi intorno ad una “dialettica” dei distinti. Di questo dubbio  Lei trova traccia del resto nella recensione  che feci allo “Hegel” di De Ruggiero.  In ogni caso sono assai lieto della penetrante attenzione che Ella dedica ai miei scritti. Suo Carlo Antoni Roma, 25 marzo 1952 Mio caro Franchini,  33  Il saggio è:   Morte e resurrezione della dialettica da Hegel a Croce , in «Letterature moderne», 3 (1951), pp. 292-302 (rist. in   Esperienza dello storicismo , cit.) il Suo articolo 34   mi ha fatto, com’è naturale, un immenso piacere. Attribuirmi il  merito di aver provocato in Croce il bisogno di riesaminare la questione della dialettica è, non occorre dirlo, rendermi il massimo degli onori. Ma Croce stesso che ne dice? Vorrei sapere se approva il Suo articolo. Con saluti cordialissimi Suo Carlo Antoni Roma, 31 marzo 1952 Mio caro Franchini, La ringrazio per la Sua lettera e per le notizie che mi dà. Come Ella può comprendere, la questione, da Lei sollevata nel Suo articolo, ha per me una grande  importanza. Le dirò come io veda la cosa. Quando pubblicai nel ’45 il mio saggio  sulla Dialettica di Hegel, in cui ne denunciavo il carattere intellettualistico, saggio ri stampato nel ’46 nelle mie “Considerazioni” 35 , Croce ne prese conoscenza, tanto che mi segnalò il Suo articolo in proposito, ma non si propose il problema. Erano  tempi in cui Croce, tutto preso dall’attività politica, non aveva probabilmente l’agio  di ritor nare sulle sue idee intorno alla dialettica. Il mio scritto suscitò l’interesse di De Ruggiero, che lo ha citato con molta lode nel suo “Hegel”, ma senza prender  posizione. Per quanto riguarda questa mia prima osservazione, penso che Croce abbia ragione nel negare che la sua revisione sia stata provocata da me.  34   Il riferimento è all’articolo:   La crudele dialettica , uscito su «Il Mondo» il 29-3- ’52. Tutti gli scritti di  Franchini che uscirono nella rivista di Mario Pannunzio dal 1950 al 1966 sono raccolti nel volume  Pensieri   sul “Mondo” , a cura di R. Viti Cavaliere, C. Gily, R. Melillo, con una Presentazione di G. Cotroneo, Napoli, Luciano, 2000.  35  C. Antoni,   La dialettica di Hegel , in «Poesia e verità», 1 (1945); rist. in Id.,  Considerazioni su Hegel e  Marx , Napoli, 1946. Si ricorda che Franchini recensì le  Considerazioni  nella rivista «Ethos», II (1946), pp. 87-90Ma nel ’49 io giunsi all’altra osservazione e cioè alla netta distinzione tra la hegeliana dialettica della contraddizione e la crociana dialettica dell’opposizione.  Essa si connetteva alla mia prece dente attribuzione (del ’46) a Croce della restaurazione del principio d’identità.  Ero molto incerto se comunicare o no a Croce questa mia osservazione, che  avevo svolto nel corso universitario di quell’anno. Mi rendevo conto, cioè, che essa  avrebbe provocato un grave turbamento ed un bisogno di una radicale revisione del pensiero crociano nei confronti di Hegel e della dialettica in generale. Mi consultai con parecchi amici. Tra costoro Riccardo Bacchelli, al quale ricorsi e per la sua sensibilità umana e psicologica e per la devozione che aveva per la persona di Croce, mi dissuase dal farlo, dicendo che oramai era meglio lasciare tranquillo il glorioso vegliardo e non costringerlo alla sua età a un siffatto sforzo. Tuttavia la cosa mi tormentava, dato che ritenevo che Croce avesse attribuito a Hegel la sua propria gloria e mi dispiaceva che potesse morire senza essersi reso conto della propria originalità nei confronti di quel suo maestro. Dopo che si fu ripreso dalla grave malattia, che lo colpì, mi feci coraggio e gli scrissi. Croce mi rispose con una lettera  che era un’accettazione di massima, ma contenuta in termini un po’ generici. Si vedeva che si riservava di meditare per suo conto l’intera questione. E infatti poco  dopo cominciarono a uscire i suoi nuovi scritti intorno alla vitalità e al suo carattere dialettico, e in genere intorno a Hegel e alla origine della dialettica hegeliana. Il punto di partenza di questi scritti, però, è fornito dal momento della vitalità, al quale Croce riporta tutta la dialettica: sia la teoria hegeliana per sé stessa, sia la dialettica della vita e dello spirito in sé. In questo modo Croce andava, in certo senso, più in là della  mia osservazione, scavalcandola e prendendo tutt’altra direzione. Le dirò che, invece,  per mio  conto ho proseguito in direzione ben diversa. Nel corso di quest’anno ho svolto un esame dell’intera questione, che mi ha portato a risultati che contrastano  con le tesi recentissime espresse da Croce.Per concludere penso che Croce, pur essendo stimolato dalla mia seconda osservazione, a riproporsi lo studio della natura della dialettica, è stato condotto alle  sue nuove idee dal senso più accentuato dell’importanza della vitalità.  Con cordialissimi saluti Suo Carlo Antoni Roma, 2-12-52 Mio caro Franchini, La ringrazio di aver pensato a me in questi giorni. Come sempre succede, nei primi momenti dopo la scomparsa di persona cara, non ci si rende conto del tutto della perdita. Il senso di vuoto viene dopo. Così accadrà per noi tutti: ma dovremmo anche cercare di restare uniti. Il Suo articolo comparso nel «Mondo» 36  mi è molto piaciuto. Vorrei vedere il fondo del «Times»: non potrebbe spedirmelo in prestito? Glielo restituirei subito. Arrivederci tra breve Suo Carlo Antoni Roma, 6 ottobre 1953  36  R. Franchini,   Benedetto Croce tra i due secoli , in «Il Mondo», 29-1 Caro Franchini, ho ancora sul mio tavolo la lettera, che ho ritrovato al mio ritorno dalle vacanze. Vorrei che Lei mi desse qualche notizia sul concorso, di modo che io possa eventualmente intervenire presso i commissari. Ho letto con piacere i Suoi due articoli: quello su Mann 37  e quello sul libro del Sainati 38 . Sulla personalità di Mann faccio molte riserve. Si parlò di lui con Croce,  l’ultima volta che lo vidi, ed in fondo Croce era d’accordo, quando dicevo che dagli  scritti di Mann veniva su un certo lezzo di frollo, se non addirittura di marcio. Attendo il Suo volume. Suo Carlo Antoni Roma, 11 aprile 1954 Caro Franchini,  con l’editore Pozza, che era qui in questi giorni, ho esaminato la questione della traduzione d’una scelta di lettere di Hegel 39 . I due volumi della nuova edizione  37   Su Mann era uscito l’articolo   Nobiltà dello spirito  sia in «Il Giornale» del 30-9- ‘53 sia in «Il Gi ornale di Trieste» del 6-10- ‘53.   38   Di Sainati si parlava a lungo nell’articolo  Studi crociani , apparso su «Il Mondo» del 6 ottobre 1953.  39   Il progetto di curatela dell’Epistolario hegeliano presentava più d’una difficoltà: la nuova edizione dell’Hoffmeister avrebbe dovuto far fede, assai più dell’edizione curata dal figlio del filosofo, ma era al momento incompleta. L’idea allora di rifarsi alla precedente edizione, da integrare eventualmente con le  lettere ritenute significative, si mostrò impraticabile. Franchini avrebbe dovuto occuparsi della traduzione di  una scelta di lettere e della stesura dell’introduzione storico -critica. Non se ne fece nulla, nonostante la   buona disposizione dell’editore Pozza e l’interessamento di Ragghiant   Sent from the all new AOL app for iOSdel Meiner, curata da Hoffmeister, arrivano al 1822. Sono previsti altri due volumi. La nuova edizione reca il copyright con espressa riserva dei diritti di traduzione. Per mia esperienza prevedo che le pretese del Meiner sarebbero esose. Da un rapido  confronto con la vecchia edizione del 1887, curata dal figlio, ho tratto l’impressione  che la nuova non rechi molto di nuovo. In ogni caso, se ci si volesse attenere a  quest’ultima, si dovrebbe attendere l’uscita dei due ultimi volumi, che chi sa quando  si attuerà. Con Pozza sono quindi giunto alla conclusione che ci conviene rifarci alla prima edizione, che reca anche sufficienti note. Ove risultasse qualche nuova lettera molto importante nella nuova edizione, il Pozza chiederebbe il diritto di traduzione per essa. Ella dovrebbe quindi cominciare il lavoro di scelta. Non le nascondo che dalla lettura delle lettere il compito della traduzione mi è apparso molto arduo. Con cordiali saluti Suo Carlo Antoni Roma, 5 maggio 1955 Caro Franchini, grazie per  le Sue parole. Si tratta in fondo d’un semplice cambiamento del titolo della mia cattedra, che era poi una sorta d’impegno che avevo assunto con Croce. Ancora l’ultima volta che lo vidi, Croce mi raccomandò di fare cambiare quel titolo di “filosofia della   storia”, che proprio non gli andava giù 40 . Gli spiegai allora  40   Alla notizia dell’ottenuto conferimento della cattedra di Filosofia della storia nella Facoltà di Lettere dell’Università di Roma, Croce nel congratularsi con l’Antoni, così gli scriveva: «Se la parola  sociologia  è screditata per la sua volgare origine positivistica, quella di  Filosofia della  storia è del pari screditata per la sua origine teologica e metafisica. Lei si deve subito dar da fare per cangiarlo». Cfr. Lettera di Croce ad che la procedura non era facile, ed infatti ci sono voluti parecchi anni, con modifiche allo statuto, per raggiungere il risultato 41 . Sono ansioso di leggere sulla «Nuova Antologia» la Sua recensione: peccato che sarà letta da pochi!  L’intervento di Tagliacozzo mi ha sorpreso: è un esempio del cattivo modo in  cui un discepolo può seguire un maestro, cui è affezionato. Con cordialissimi saluti, Suo Carlo Antoni Roma, 22 maggio 1955 Mio Caro Franchini, bellissima la Sua recensione, per cui Le sono molto grato 42 . Mi dispiace soltanto che essa compaia nella «Nuova Antologia», dove sarà letta da pochi. La Sua osservazione o previsione sulla sorpresa di molti che scopriranno quanto complessa sia la filosofia crociana, mi ha divertito e fatto ricordare come spesso mi sia toccato  di sentire che quella filosofia non era interessante, perché non era “problematica”. Mi  è piaciuto anche il modo, assai fine, con cui Ella ha saputo definire la mia posizione verso le dottrine del Maestro.  Antoni, 26 dicembre 1946, in  Carteggio Croce-Antoni , a cura di M. Musté, introduzione di G. Sasso, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 73.  41  Dal 1954 Antoni fu chiamato alla cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea.  42  La recensione al libro di Antoni  Commento a Croce  uscì con questo titolo sulla rivista «Nuova  Antologia» nel giugno di quell’anno Ottimo pure l’articolo sulla Storia e conomica del Kulischer 43 , anche dal punto di vista giornalistico. Sarà bene che ci vediamo prima della scadenza dei termini per la presentazione delle domande di libera docenza 44 . Il 26 mi reco a Firenze per incontrarmi con Ragghianti e Pozza, e sarò di ritorno soltanto il 30. Cordialmente Suo Carlo Antoni Roma, 14 gennaio 1956 Mio caro Franchini, una bronchite con i fiocchi   –   si direbbe ch e quest’anno sono iettato –   mi ha tenuto a letto per una settimana e ancora non so quando potrò uscire di casa. Prevedo che dovrò rinunciare al progetto di venire a Napoli per la Sua prolusione 45 : è un vero dispiacere per me, perché ci tenevo ad essere presente.  Il primo insegnante di “filosofia della storia” è stato, a quanto mi consta,  Terenzio Mamiani, poi a Roma Labriola tenne tale insegnamento per incarico, con  43   Antoni si riferiva all’articolo dal titolo  Una storia del progresso  uscito su «Il Giornale» del 13-5- ‘55 (rist.  in R. Franchini,   L’oggetto della filosofia , cit.).  44  Antoni  si era prodigato l’anno prima per l’inserimento della Filosofia della storia nell’elenco delle libere  docenze. Nel 1956 Franchini sostenne gli esami di abilitazione alla libera docenza in Filosofia della storia superandoli brillantemente. Tra i commissari Felice Battaglia, Adelchi Attisani e lo storico Giorgio Falco.  45   Franchini inaugurò il suo Corso di Filosofia della Storia nell’Università di Napoli nel 1956 con una  prolusione dal titolo   La Filosofia della storia,  il cui testo uscì poi, nel 1957, sulla rivista «Criterio» diretta da C.L. Ragghianti, in due puntate. Il testo della lezione inaugurale venne infine ristampato nel volume   Metafisica e Storia , cit.molto successo. Nella mia prolusione del 1946 46  tenni ad accennare alla continuità ideale, tramite Croce. La proposta di attribuire la cattedra a Ferrero, provocata da un clamoroso intervento del presidente Teodoro Roosevelt, fu bocciata dal Senato. Croce tenne allora un famoso discorso 47 , che valse a far cadere la proposta, del resto poco gradita dal mondo accademico di allora. Suo Carlo Antoni Roma, 14 giugno 1956 Mio caro Franchini, Ella può ben immaginare con quanto piacere ho letto e riletto la Sua memoria alla Pontaniana 48 . Anzitutto essa mi ha confortato confermando l’ utilità del mio intervento al Congresso di Napoli. Ma anche la parte che più propriamente riguarda il  mio “Commento” mi è stata di grande vantaggio. In fondo, si guardano i propri scritti sempre un po’ attraverso una nebbia: un osservatore acuto ed esperto , come Lei, è di grande aiuto a discernere le linee principali del proprio pensiero. La ringrazio, dunque, con molto affetto  46  La Prolusione dal titolo   La dottrina dialettica della storia  è nel volume postumo  Storicismo e antistoricismo , a cura di M. Biscione, introduzione di A. Pagliaro, Napoli, Morano, 1964, nella Collana di Filosofia diretta da E.P. Lamanna e P. Piovani.  47  Antoni si riferisce al celebre discorso di Croce al Senato del Regno, nella seduta del 29 maggio 1913,  Sul  disegno di legge “Istituzione di una cattedra di Filosofia della storia presso la Università di Roma” , che ora è possibile leggere nel volume   Benedetto Croce. Discorsi parlamentari , con un saggio di M. Maggi, cit., pp. 59-64.  48  La memoria accademica  di cui si parla riguardava l’ampio resoconto critico che Franchini scrisse intorno  al XVII Congresso di Filosofia che si era tenuto a Napoli nel marzo del 1955, dove Antoni era stato invitato a tenere la relazione introduttiva sul tema della conoscenza storica. Antonio Aliotta sul «Giornale  d’Italia» del 26 marzo 1955 aveva sottolineato l’importanza di una tradizione di storicismo crociano nell’ultimo decennio. La memoria di Franchini, dal titolo   La conoscenza storica , uscì negli «Atti»  dell’Accademia Pon taniana, N.S., V, 1956, pp. 277-288 (rist. in   Metafisica e Storia,  cit.Roma, 2 luglio 1956 Mio caro Franchini, la Sua osservazione tocca un punto, che aveva già suscitato le perplessità del mio amico Attisani. Nel mio articolo esso era trattato troppo sommariamente. Bisognerà che ci ritorni sopra. In ogni caso voglio subito avvertirla che non penso a qualcosa di medio tra conoscenza storica e azione, ma al semplice fatto che noi   pensiamo e giudichiamo la storia alla luce di quel concetto universale dell’uomo o  dello spirito umano, che è il medesimo che orienta la nostra azione morale e politica.  Questo concetto, in quanto principio dell’azione morale, è l’idea del Bene. Essa è  vera, anzi è la verità che abita in noi, ma si va definendo e chiarendo attraverso la storia, che per questo è storia della civiltà. Aggiungo che non vi è distinzione tra categoria e coscienza della categoria, anche  se la prima appare eterna e l’altra  storicamente relativa: la categoria è sempre coscienza di sé, ma si va rendendo sempre più cosciente, come, mi sembra, sia insegnato da Croce nelle parti storiche dei suoi trattati.  Ha fatto bene ad accettare l’invito al “Simposio” laterziano. Sono curioso di  sapere quali sono gli altri invitati. Ella non manca di combattività, sicché sono tranquilli per la buona causa. Non sono sicuro di resistere al caldo fino alla fine del mese. Tuttavia la prego di telefonare a casa mia al Suo passaggio da Romagrazie per la Sua lettera di consenso al mio articolo sul socialismo 51 . Era una  conferenza, che tenni nel gennaio dell’anno scor  so a Zurigo e che poi fu raccolta in un volume pubblicato in Svizzera. Avendo avuto una certa eco in Svizzera e Germania, pensai che era utile farla conoscere, anche in relazione alla situazione dei  “radicali”. In effetti mi sembra di aver ottenuto qualcos a: un socialista come Silone  ha sentito il bisogno di telefonarmi per dirmi che era d’accordo. Come Ella si sarà accorto, la parte più importante è l’ultima, dove io cerco di venire incontro alle “istanze” sociali senza cadere nelle confusioni del liberal -socialismo calogeriano. Mi sembra che proprio avendo attribuito al liberismo un carattere etico-politico, si possa  dargli anche un nuovo carattere positivo, liberatore, “sociale”.   In quanto all’indirizzo del «Mondo», alcuni amici mi hanno fatto osservare c he  da alcune settimane era piuttosto “moderato”. Poiché le critiche, che io Le esposi  nella nostra conversazione per strada, le vado facendo a Pannunzio appunto da alcune settimane, forse non è presunzione la mia, se suppongo di aver ottenuto qualcosa anche in questo senso. Va benissimo per la recensione allo Sprigge 52 , dove c’è da obiettare ad una sorta d’insinuazione (Croce avrebbe scritto l’articolo sul perché non possiamo non  dirci cristiani   –   che sappiamo aver avuto carattere anti-nazista   –   perché prevedeva  l’alleanza con la Dem. Cristiana, nel 1942!)  Suo Antoni Roma, 24 nov. 1956  51  Le convinzioni di Antoni sul socialismo, sul liberalismo e sulla incongruità di un liberalsocialismo furono sempre chiare e lineari. Franchini concordava. Qui esse emergono nella concretezza del dibattito politico che coinvolse gli intellettuali del «Mondo».  52  La recensione di Franchini alla traduzione italiana del libro di C. Sprigge,   Benedetto Croce, l’uomo e il   pensatore  (Napoli, Ricciardi, 1951) uscì su «Criterio» con il titolo  Un profilo del Croce , 2 (1957), pp. 165-167 (rist. nel volume   L’oggetto della filosofia , cit., pp. 253-258Caro Franchini,  l’infiammazione agli occhi, che mi aveva impedito di venire a Napoli e che  sembrava scomparsa, mi dà nuovamente fastidio, sicché devo riguardarmi.  Penso che Ella dovrebbe scrivere l’articolo sul primo decennio dell’Istituto 53 . Come forse Ella sa, nei tempi in cui Croce stava progettandolo, io insistetti presso  Mattioli, affinché scoraggiasse l’iniziativa. Infatti non avevo  nessuna fiducia nella  utilità dell’istituzione. Devo riconoscere che mi ero sbagliato, anche se difatti, errori,  inconvenienti non sono mancati. In complesso, mi sembra, il nostro giudizio deve essere positivo. Anche se ne hanno profittato alcuni furfante lli, se, cioè, l’eterogenesi dei fini o l’astuzia della ragione hanno operato in senso negativo, parecchi bravi giovani hanno avuto modo di studiare e lavorare. In quanto all’indirizzo “storico” dell’Istituto, esso non soltanto corrisponde al nome, ma al p reciso pensiero di Croce. Con i più cordiali saluti Suo Carlo Antoni Roma, 18 gennaio 1957 Mio caro Franchini, purtroppo devo rinunciare definitivamente alla mia gita a Napoli: non sono ancora completamente ristabilito e devo riguardarmi da una ennesima ricaduta. Non  53   Il 17 dicembre del ’57 fu pubblicato infatti sul «Mondo» l’articolo di Franchini   Dieci anni   nell’anniversario della fondazione dell’Istituto Italiano di Studi Storici avvenuta nel 1947 nella s ede di Palazzo Filomarino in Napoli ho ancora ripreso ad uscire di casa. Le faccio quindi per lettera gli affettuosi auguri che avrei voluto farle a voce. Spero di leggere la Sua prolusione in «Criterio» 54 . Le sono grato per il Suo   proposito di propormi per la “Pontaniana”: onore che accetto e che mi è molto  gradito 55 . Eccole i miei dati biografici: nato a Senosecchia (Trieste) il 15-8-1896; volontario nella guerra  ’15 - ’18, ferito, medaglia di bronzo e croce di guerra;  laureato in Filosofia a Firenze nel 1928; professore nei Licei scientifici dal 1924 al 1932 a Messina e a Roma;  assistente dell’Istituto Italiano di Studi Germanici dal 1932 al 1942. Libero  docente di Storia della filosofia nel 1937; professore di Letteratura tedesca a Padova nel 1942; membro della Giunta del Partito Liberale, Consultore nazionale, Commissario  dell’IRCE nel periodo 1944 -1946; chiamato nel 1946 alla cattedra di Filosofia della storia di Roma. Premio Einaudi per la filosofia 1952;  socio corr. dell’Accademia dei Lincei, dell’Arcadia, dell’Acc. Peloritana, socio  della Mont- Pelagia Society e dell’Archäologische Institut.  Chiamato alla cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea 1954. Suo Carlo Antoni Roma, 15-2- ‘57   54  Cosa che avvenne. Vedi sopra la nota 44.  55   Franchini era diventato socio ordinario dell’Accademia Pontaniana di Napoli nel 1954 su proposta di  Fausto Nicolini. Rinvio per queste ed altre notizie biografiche al volumetto R. Franchini,   Autobiografia minima , Roma, Bulzoni, 1973. Antoni fu dal ’57 socio della prestigiosa Accademia Caro Franchini,  sono lieto per la notizia che Ella mi dà: così Ella potrà assumere l’incarico, che,  mi auguro, sia anche compensato. Lessi con piacere le notizie della Sua prolusione. Esse mi diedero qualche conforto in un momento di amarezza, quando cioè mi capitò di leggere sul «Ponte» la cattiva e balorda recensione di Tommaso Fiore al mio  Commento 56  .  E dire che costui, appena letto il libro, mi scrisse una lettera entusiastica! Tumiati 57 , al quale avevo espresso la mia sorpresa per la pubblicazione di siffatta sconcezza, mi scrisse una lettera piena di deplorazioni o scuse. Ma chi mi ha recato la serenità è stato Ragghianti, che, dopo aver fatto un breve ritratto del Fiore, mi ha suggerit o di seguire l’aurea massima di Flaubert: «Mon cul vous  contemple». Ottimo il Suo articolo in «Criterio» 58 . Suo Carlo Antoni Roma, 23 maggio 1957 Caro Franchini, non ho voluto che Ella attendesse il mio libro dalla ERI e Le ho spedito oggi una delle copie a mia disposizione. Pannunzio accoglierà volentieri la Sua recensione 59 .  56  La recensione di T. Fiore al  Commento a  Croce (1955) di Antoni era uscita in «Il Ponte», Rivista mensile di politica e letteratura, a. XII, 12 dicembre 1956, pp. 2155-2157.  57  Corrado Tumiati assunse la direzione della rivista «Il Ponte», fondata da Piero Calamandrei, a partire dal  1956, direzione che condivise per un certo periodo con Agnoletti (fino al ’65).   58   Antoni si riferisce all’artic olo di Franchini sul libro di Sprigge (vedi nota 51).  59  Si tratta del libro di Antoni   Lo storicismo,    pubblicato nel ’57 dalle edizioni ERI, in cui sono raccolte le conferenze da lui tenute nell’estate dell’anno precedente per il Terzo Programma della Radio italiana; la 957 Mio caro Franchini, è da un pezzo che non mi faccio vivo con Lei. Non Le scrissi quando Ella mi annunciò la fine del «Giornale», ultimo quotidiano liberale, che, oltre a tutto, era un bel giornale, assai bene redatto. Faceva onore a Napoli 60 . Per Lei, forse, l’esser  costretto ad abbandonare una continuata attività giornalistica è stato un vantaggio. Ella è ad un punto in cui deve concentrare i suoi spazi. Non le ho neppure scritto che la prefazione al Suo nuovo libro mi ha dato molta soddisfazione e mi ha trovato pienamente consenziente. Attendo ora il libro 61 , di cui voglio occuparmi in un articolo sul «Mondo» oppure in «Criterio» (che, dopo un intervallo dovuto a indisposizioni di Ragghianti, riprende ora ad uscire). Sono  d’accordo con Lei anche per quanto riguarda i collaboratori del «Mondo», tra i quali  la qualità non corrisponde spesso alla quantità. Tornato dalla villeggiatura   –   sono stato sul lago di Como e in Svizzera -, ho  avuto la sessione d’esami e una sessione del Consiglio Superiore. Altra sessione di  detto Consiglio è prevista per il 23 c.m. Alla fine del mese sarò a Marburgo, invitato dai filosofi tedeschi a partecipare ad un loro congresso e a intervenirvi con una  conferenza. Cercherò d’istruirli.  Con affettuosi saluti Suo  recensione di Franchini dal titolo  Una storia dello storicismo  uscì puntualmente su «Il Mondo» nel giugno  del ’57 (rist. in   Metafisica e Storia , cit.).  60  «Il Giornale», quotidiano liberale come ben sottolineava Antoni, uscì a Napoli dal 1954 al 1957. Fu fondato da Quinto Quintieri e Tommaso Astarita. Franchini lavorò nella redazione del «G iornale» dal ’49  alla fine: vi era entrato su pressione e interessamento dello stesso Croce.  61  Il libro di Franchini in uscita era   Metafisica e Storia , edito poi nel ’58 presso l’editore Giannini di Napoli 1958 Caro Franchini, La ringrazio per aver pensato a me per una conferenza alla Società filosofica di   Napoli e ringrazio pure l’amico Carbonara e gli altri componenti del Consiglio. La  prego, anzi, di esprimere loro la mia più viva gratitudine per un invito che mi lusinga. Ma è da un pezzo che non accetto di tenere conferenze. Esse mi recano, infatti, molta tensione e fatica: non amo leggere, ma il parlare richiede uno sforzo, che mi lascia prostrato. La prego quindi di scusarmi presso la Società filosofica. Mi auguro di vederla tra breve qui a Roma. Con saluti affettuosi Suo Carlo Antoni Roma, 20 marzo 1958 Caro Franchini, ho una certa intenzione di muovermi per Pasqua, anche per togliermi di dosso  una certa malinconia e irritazione, ma penso che sarò a Roma per l’assemblea dell’Associazione. In caso contrario La avvertirei in tempo. Ho un vivo desiderio di32  parlare a lungo con Lei di molte cose, anche perché mi vado sempre più isolando 62 : ciò che non fa bene alla salute. Con cordialissimi saluti Suo Carlo Antoni  Roma, 22 sett. ‘58  Caro Franchini, La ringrazio anzitutto per il Suo interessamento al caso del ragazzo, che Le avevo raccomandato. Ella ha fatto più di quanto potessi sperare. Il trafiletto mi sembra andare benissimo: contiene alcune frecciate brillanti. Naturalmente recherà un dispiacere al nostro Battaglia. Il quale potrà sempre  rispondere che l’organizzazione del Congresso è stata diretta da un comitato, che  conteneva fior di laici e che costoro sono stati sempre consenzienti 63 . A mio avviso il  difetto sta nell’assurdo di un congresso filosofico, dove i filosofi laici , se decidono di intervenire, si presentano necessariamente in ordine sparso, ciascuno con idee proprie, mentre le chiese vi inviano schiere compatte e disciplinate. Ho pure qualche  riserva da fare sulle parole dell’amico Calogero, che hanno un significato  che non condivido: dialogare sta bene, ma bisogna guardarsi dal ridurre la filosofia a mero dialogo, ché si rischia di ridurla ad un attualismo del dialogare, dove il dialogo stesso diventa fine a sé stesso. Ma questo è un altro discorso. Con cordialità  62  Trovano in un certo modo conferma le consideraz ioni sulla “nobile solitudine” tipica di uno studioso schivo e riservato come fu l’Antoni. Rinvio alla Introduzione di G. Sasso al  Carteggio Croce-Antoni , cit., p. XVIII.  63  Ancora strascichi polemici sui Congressi di filosofia in Italia1958 Mio caro Franchini,  in effetti quella mia frase sull’insolubilità del problema di Scaravelli è p iuttosto sibillina e può sembrare campata in aria. Mi piace molto che Ella me ne faccia quasi un rimprovero. Tuttavia in una commemorazione non potevo passare ad una critica e  soprattutto non potevo affrontare per mio conto l’intera questione 64 . Il problema  di Scaravelli era quello di dedurre il molteplice dall’identico, cioè di scoprire o “capire” come la grande madre genera i suoi figli. Era, insomma, il  problema della creazione del mondo. Se vogliamo, era anche il problema di derivare  l’estetica dalla logica, l’individuale esistenza dall’universale categoria. Questo, se non erro, era per lui il problema del “capire”, che, come Ella ben vede, era insolubile.  Ma Ella vede anche che se avessi dovuto spiegare perché il problema era mal posto, avrei dovuto tenere una vera e propria lezione. Con saluti cordialissimi Suo Carlo Antoni Roma, 8 gennaio 1959  64  Antoni aveva tenuto una splendida commemorazione di Luigi Scaravelli nella Sala degli Stemmi alla Scuola Normale di Pisa il 23 novembre 1957. Scaravelli era scomparso tragicamente nella primavera di  quell’anno. Così Antoni scriveva a Franchini in data 8 maggio ’57: «Ella  avrà saputo della tragica morte del mio vecchio, carissimo amico Scaravelli. Sono stato a Firenze ai suoi funerali. Era uno spirito amabile, brillante, fine, buono e un galantuomo anche nelle cose filosofiche: era uno dei nostri ed io contavo su di lui. Per me è una perdita dolorosissima».Caro Franchini, eccellente il Suo articolo su M. Weber 65 . Ella ha indubbiamente ragione nel trovare un presupposto kantiano o neo-kantiano nella sua teoria del tipo ideale. Io ne avevo avvertito la presenza, ma non vi avevo insistito. Assai utile il Suo articolo per quei fessi in mala fede che pretendono di scoprire Weber e di utilizzarlo, assieme a  Dilthey, contro Croce. Raramente il rancore, l’arrivismo, la petulanza hanno messo  insieme tanta stupidità. Ma che cosa credono di concludere con questa impresa sballata? Suo Carlo Antoni Roma, 3 marzo 1959 Caro Franchini,   penso anch’io che la Sua appartenenza alla Nunziatella possa essere d’ostacolo  ad un alleggerimento dei suoi incarichi scolastici, reso urgente dai suoi incarichi universitari. Ho ricevuto il Suo  Kant  66 , ma Le devo confessare che non ho trovato il tempo per leggerlo. Lo farò nei prossimi giorni. Alla fine di gennaio sono stato a Zurigo, dove ho tenuto una conferenza e ho parlato alla radio: è stata una gita splendida, un tempo magnifico, nella Svizzera coperta di neve. Suo Carlo Antoni  65   L’articolo di Franchini su  Weber e il “regresso”   era uscito nel gennaio del ’59 su «Il Mondo».   66  Si tratta del volume: I. Kant,  Critica della ragion pratica , a cura di R. Franchini, Bari, Laterza, 1959.Raffaello Franchini. Franchini – not to be confused with Franchini, author of ‘I gladiatori’ -- Keywords: I gladiatori. vitale, avvenire, divenire, storia, historismus, ragione storica, spirito, dialettica, opposti, l’opposto, il distinto, aequi-vocalita della dialettica – dialettica come metodo della filosofia, non della scienza; prospettico, prespetico, spetico, giudizio, l’utile, storia ciclica, storia lineale, filosofia analitica, historimus philologicus, critica della ragione storica; Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Franchini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51760313400/in/datetaken/

 

Grice e Franci – i ostrogoti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo.  Grice: “I like Franci; for one, he philosophises and calls his thing ‘studi linguistici,’ for another, he teaches in a varsity older than mine!” Insegna a Bologna. i suoi interessi si sono concentrati principalmente sullo studio delle molteplici manifestazioni della spiritualità. Dopo essersi laureato a Bologna con Heilmann, ha poi compiuto studi di perfezionamento a Roma sotto la supervisione di Tucci. Direttore del Dipartimento di Studi Linguistici, presidente dell'Accademia delle Scienze e direttore della Biblioteca di Discipline Umanistiche presso l'Bologna. È stato inoltre Accademico effettivo dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna; Socio ordinario dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Roma; Membro dell'European Society for Asian Philosophy, Nottingham, Socio Onorario e membro del Comitato Scientifico dell'Associazione Italia-India; Consigliere dell'Associazione Italiana di Studi Sanscriti; Vicepresidente del Centro di Documentazione e Iniziativa per la Pace «Giovanni Favilli»; Membro del Comitato Direttivo del Centro Studi, Iniziative e Informazioni «Amilcar Cabral»; Membro del Coordinamento nazionale per l'insegnamento delle culture afro-asiatiche nella scuola secondaria; Direttore della collana «Studi e testi orientali». Ha inoltre insegnato presso le Calcutta per tre anni nei primi anni sessanta e di Firenze.  Insegna: Sanscrito Lingue Arie Moderne dell'India Storia dell'India Moderna e Contemporanea Filosofie, Religioni e Storia dell'India e dell'Asia Centrale. Gli interessi di Franci si rivolgano principalmente all'India classica e, in particolare, allo studio del pensiero mistico (bhakti) e dell'Advaita Vedānta shankariano. Egli non ha mancato comunque di approfondirne anche gli aspetti moderni e contemporanei:  il ruolo dell'induismo nell'India d'oggi; problematiche relative alla questione linguistica, con particolare attenzione alle letterature in bengali e in inglese; studi sul pensiero classico nell'India d'oggi e i pensatori moderni in generale come Aurobindo. Altre opere: L'Upadesasahasri (Gadyabhaga) di Sankara: contributo allo studio del Kevaladvaita” (Bologna); “Recenti sviluppi delle questioni linguistiche indiane, Bologna); “Alcuni problemi e tendenze della filosofia comparata” (Bologna); “Yoga ed esicasmo, Trapani, “Saggi indologici, Bologna, La Bhakti: l'amore di Dio nell'induismo, Fossano); “Studi sul pensiero indiano, Bologna, Piero Martinetti e "Il sistema Sankhya", Contributi alla storia dell'orientalismo, Giorgio Renato Franci, Bologna, Luigi Heilmann linguista, indologo, umanista, Bologna, La benedizione di Babele: contributi alla storia degli studi orientali e linguistici, e delle presenze orientali, a Bologna, Bologna, L'induismo, Bologna, Il Mulino, Induismo, prefazione di Gianfranco Ravasifotografie di Andrea Pistolesi, Milano, Touring Club Italiano, Il Buddhismo, Bologna, Il Mulino, Yoga, Bologna, Il Mulino, Filosofia indiana Induismo, Treccani L'Enciclopedia italiana".  Wikipedia Ricerca Ostrogoti antico popolo germanico Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento storia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Gli Ostrogoti (in latino Ostrogothi o Austrogothi) erano il ramo orientale dei Goti, una tribù germanicache influenzò gli eventi politici del tardo Impero romano.   Palazzo di Teodorico a Ravenna, mosaico nella basilica di Sant'Apollinare Nuovo. Sconfissero Odoacre, che aveva deposto Romolo Augusto, ultimo Imperatore Romano d'Occidente, e si insediarono in Italia. Furono poi sconfitti dai Bizantini.  Identità con i GrutungiModifica  Fibula ostrogota a forma di aquila. La tribù degli Ostrogoti (Austrogothi) viene citata per la prima volta nel 269[1] all'interno della biografia dell'imperatore Claudio il Gotico (attribuita a Trebellius Pollio), appartenente alla raccolta "Historia Augusta": essi sono ricordati fra le tribù della Scizia che invasero e devastarono allora l'impero (all'interno della biografia gli Ostrogoti sono citati insieme con i Grutungi, i Tervingi e i Visigoti)[2].  Secondo Herwig Wolfram le fonti primarie parlavano di Tervingi/Grutungi o di Vesi/Ostrogoti senza mai mischiare le coppie.[3] I quattro nomi venivano usati contemporaneamente, ma sempre rispettando le coppie, come in Gruthungi, Austrogothi, Tervingi, Visi.[4]  Herwig Wolfram e Thomas Burns concludono che il termine "Grutungi" era un identificativo geografico usato dai Tervingi per descrivere un popolo che si autodefiniva Ostrogoti.[4][5] Questa terminologia sparì dopo che i Goti vennero fatti scappare dall'invasione unnica. A suo supporto, Wolfram cita Zosimo che parla di un gruppo di Sciti a nord del Danubio chiamati "Grutungi" dai barbari dell'Ister.[6] Wolfram conclude che questo popolo erano i Tervingi rimasti dopo la conquista degli Unni.[6] Secondo questa concezione Grutungi e Ostrogoti furono più o meno lo stesso popolo.[5]  Che i Grutungi fossero gli Ostrogoti era anche il parere di Giordane[7] Egli identificò i re Ostrogoti da Teodorico il Grande a Teodato come gli eredi del re Grutungio Ermanarico. Questa interpretazione, nonostante sia condivisa da molti odierni studiosi, non è universalmente condivisa. La nomenclatura di Grutungi e Tervingi cadde in disuso poco dopo il 400.[3] In generale, la terminologia di una tribù gotica divisa dagli altri scomparve gradatamente dopo l'assorbimento fatto dall'impero romano.[4]  Peter Heather ritiene invece che l'identificazione tradizionale degli Ostrogoti con i Greutungi sia errata. Secondo Heather gli Ostrogoti nacquero solo nella seconda metà del V secolo dalla coalizione tra i Goti Amal in Pannonia (ex sudditi degli Unni) e i Goti foederati dell'Impero in Tracia.[8] I Grutungi che nel 382 si stanziarono all'interno dell'Impero come foederati, secondo Heather, non erano lo stesso popolo che fondò un regno romano-barbarico in Italia negli ultimi anni del V secolo sotto Teodorico il Grande, ma i progenitori (insieme con i Tervingi e i Goti superstiti dell'armata di Radagaiso) dei Visigoti. Secondo Heather, i Visigoti nacquero agli inizi del V secolo dalla coalizione, sotto Alarico, di tre gruppi gotici:[9]  Tervingi (stanziati come foederati nei Balcani nel 382 e poi uniti sotto la guida di Alarico) Grutungi (stanziati come foederati nei Balcani nel 382 e poi uniti sotto la guida di Alarico) Goti di Radagaiso (invasa l'Italia nel 405, vennero sconfitti da Stilicone e arruolati nell'esercito romano; dopo l'uccisione di Stilicone, vi fu un'ondata repressiva da parte dell'Impero contro i soldati di origine barbarica, che decisero dunque di unirsi ad Alarico) Secondo Heather, dunque, i Grutungi erano i progenitori dei Visigoti, non Ostrogoti.  Genealogia mitologica e storicaModific Þjelvar (secondo la Gutasaga)  Hafþi=Huítastjerna Graipr  Guti ovvero Gapt (o Gautr o Gautar) (anche Gaut, Goto, etc.) (cfr. Giordane)  Hulmul Gautrekr leggendario re dei Geati  Augis   "Amala" capostipite degli Amali Hisarnis  Ostrogota (ca. 200 - 249 d.C.), primo re degli Ostrogoti Hunuil Athal Achiulf  Oduulf  Ansila Edilf Vultuuf   Hermanaric (+ 376) re della tribù gotica dei Grutungi Valaravans Hunimund  Vinitharius Thorismund   Vandalarius  Beremund Thiudimer (+ 474)   Valamir Vidimer Veteric   = Erelieva Eutaric = Amalasunta   Teodorico (454 ca. - 526)   Amalafrida   = (1) N.N.; (2)Audofleda (o Audefleda)  Atalarico   Matasunta = (1) Vitige;  (2) Germano Giustino  (1) Teodegota = Alarico II (2) Amalasunta = Eutaric  Germano StorModifica  Posizionamento degli Ostrogoti in Sarmazia attorno all'anno 380.  Il regno gotico in Dacia (Gutthiuda), 271-376. Dal III al V secoloModifica Secondo le loro stesse tradizioni erano originari dell'attuale isola svedese di Gotland e la regione di Götaland.  Nel 250 si divisero dai visigoti e nacque appunto il regno ostrogoto. Il primo re si chiamava Ostrogota ed era della stirpe degli Amali. [senza fonte]  Nel 251 gli Ostrogoti uccisero l'imperatore Decio, più tardi saccheggiarono alcune isole dell'Egeo e conquistarono la Tracia e la Mesia.  La prima menzione di Ostrogoti si ha nel 269, quando l'imperatore Claudio II li riconobbe fra i barbari sciti. In quell'anno Claudio II riuscì a fermare l'avanzata degli Ostrogoti.  Nelle prime fasi della loro migrazione dalla Scandinavia, gli Ostrogoti, o goti d'Oriente fondarono un regno a nord del Mar Nero, dal III al IV secolo(Cultura di Černjachov).  Ma nel 340 ricominciarono le scorrerie e conquistarono il regno vandalo (che prima della conquista del Nord Africa si trovava in Dacia) e presero questa popolosa regione.  Dopo queste vittorie assoggettarono popoli slavi(sklaveni) e arrivarono fino al Mar Baltico, e alcuni storici paragonarono le loro imprese a quelle di Alessandro Magno, perché avevano creato un regno che partiva dalla Grecia e arrivava fino al mar Baltico.  Invasioni degli UnniModifica Incalzati dagli Unni che li avevano scacciati dalla loro regione d'insediamento tra il Danubio e il Mar Nero, gli Ostrogoti chiesero pressantemente asilo a Valente, accalcandosi ai confini dell'Impero, precisamente lungo il Danubio. L'imperatore Valente accettò di accogliere le popolazioni barbare come foederati, allo scopo di rafforzare il proprio esercito e per aumentare la base imponibile del fisco.[10] Gli Ostrogoti si stabilirono così nel territorio della Mesia e della Dacia.  Dopo le invasioni degli UnniModifica Travolti dall'invasione unna, numerosi nuclei di Ostrogoti entrarono a far parte dell'orda di Attila; dopo la morte del condottiero unno (453), il popolo ostrogoto si ricostituì e si stanziò lungo il medio corso del Danubio, in un territorio corrispondente grosso modo all'odierna Serbia. Dopo il collasso dell'Impero degli Unni nel 454, molti Ostrogoti vennero spostati dall'imperatore Marciano in Pannonia con la qualifica di foederati. Nel 460, durante il regno di Leone I, dal momento che l'impero romano smise di pagare la quota annuale, devastarono l'Illiria. Venne firmata la pace nel 461 in seguito alla quale il giovane Teodorico Amalo, figlio di Teodemiro della dinastia Amali, venne mandato a Costantinopoli come ostaggio, dove ricevette un'educazione romana.[11]  Regno in ItaliaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Regno ostrogoto e Teodorico il Grande.  Il 30 settembre 489 Teodorico sconfigge Odoacre (Antica pergamena).  Estensione del Regno degli Ostrogoti. In Italia, nel 476 il barbaro Odoacre depose l'ultimo imperatore romano Romolo Augusto, detto Augustolo, e non osando proclamarsi imperatore si proclamò re di un misto di popoli barbari (Eruli, Sciri, Rugi, Gepidi, Turcilingi). Egli riscattò dai Vandali con un tributo la Sicilia, che rimase dunque unita all'Italia e ne seguì le sorti. Caduto l'Impero romano d'Occidente, era rimasto in piedi quello d'Oriente, il cui imperatore Zenone intendeva riconquistare l'Occidente, in mano ai barbari. L'imperatore era preoccupato dall'intraprendenza di Odoacre, che aveva saputo governare in modo da non urtare la suscettibilità dei Latini e da estendere i confini del suo regno.  Il periodo compreso tra il 477 e il 483 vide una lotta a tre tra Teodorico, che successe al padre nel 474, Teodorico Strabone e l'imperatore bizantino Zenone. Nel corso di questo conflitto le alleanze cambiarono più volte, e buona parte dei Balcani venne devastata. Alla fine, dopo la morte di Strabone avvenuta nel 481, Zenone scese a patti con Teodorico. Parte della Mesiae della Dacia vennero cedute ai Goti, e Teodorico venne nominato magister militum praesentalis e Console nel 484.[12] Solo un anno dopo Teodorico e Zenone ripresero il loro conflitto, e di nuovo Teodorico invase la Tracia saccheggiandola. Fu allora che Zenone siglò un accordo con Teodorico, invitandolo a invadere l'Italia in suo nome per scacciare il re degli Eruli Odoacre che, dopo aver deposto l'ultimo imperatore romano d'Occidente Romolo Augusto(476) ed essersi proclamato Rex Italiae, amministrava la penisola in totale autonomia.   In numero forse di 250.000 tra uomini, donne e bambini[13], da Nouae risalirono la Sava condotti da Teodorico loro re, si scontrarono con Odoacre ad Aquileia e lo batterono a Verona (489). Odoacre scese invano nell'Italia centrale per ottenere aiuti da Roma. Riguadagnata Ravenna riuscì a battere l'avversario e a chiuderlo in Pavia: ma i Visigoti, giunti dalla Spagna in aiuto dei loro consanguinei, ruppero il blocco. La guerra continuò un altro anno finché l'11 agosto 490Odoacre fu sconfitto definitivamente sull'Adda[14] e venne costretto a rifugiarsi a Ravenna. Dopo un lungo assedio a Ravenna, nel febbraio 493 Odoacre si arrese a Teodorico con la promessa di aver salva la vita; ma Teodorico, violando i patti, uccise Odoacre a tradimento durante un banchetto, con le proprie mani, e ne fece uccidere i parenti e i seguaci[15]. Secondo altri, Odoacre fu invece giustiziato dopo rapido processo condotto dallo stesso Teodorico, in quanto stava tentando di indurre alcuni generali ostrogoti alla rivolta per riconquistare il trono.   Gli Ostrogoti costituirono un nuovo regno romano-barbarico in Italia, che si estendeva fino alla Pannoniaa nord est e alla Provincia (l'odierna Provenza) a nord ovest. Come Odoacre, anche Teodorico poteva vantare il titolo di patrizio e rispondeva all'imperatore di Costantinopoli con la qualifica di viceré d'Italia, titolo riconosciuto dall'imperatore Anastasio nel 497. Il suo regno fu caratterizzato da un relativo ordine interno, anche se i luogotenenti reali violarono sovente le disposizioni di Teodorico di rispettare la popolazione latina. Molti proprietari terrieri ancora fedeli al paganesimo furono eliminati con l'accusa di schiavismo, ma in molte circostanze fu un pretesto per consentire ai possidenti barbari e collaborazionisti (tra cui Quinto Aurelio Memmio Simmaco) di ingrandire le loro proprietà.  Il regno sopravvisse fino all'intervento diretto in Italia dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I e alla susseguente guerra goto-bizantina.  La caduta                    Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                         Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra gotica (535-553).  Impero di Teodorico - La mappa mostra i regni germanici nel 526, l'anno in cui morì Teodorico. Oltre all'Italia, la Dalmazia e la Provenza, regnò anche sui Visigoti. Dopo la morte di Teodorico del 30 agosto 526, le sue conquiste incominciarono a collassare. Successore di Teodorico fu il neonato nipote Atalarico, tutelato dalla madre Amalasunta come reggente. La mancanza di un erede forte portò a una rete di alleanze che condussero lo stato ostrogoto alla disintegrazione: il regno visigoto riconquistò la propria autonomia sotto Amalarico, i rapporti con i Vandali divennero ostili, e i Franchi incominciarono una nuova campagna espansionistica sottomettendo i Turingi, i Burgundi e quasi sfrattando i Visigoti dalla loro patria, la Gallia meridionale.[16] La posizione di predominanza che il regno ostrogoto acquisì grazie a Teodorico in Europa occidentale passò ora ai Franchi.  Non sopportando la reggenza di una donna, né l'educazione romana impartita al ragazzo, né i rapporti ossequiosi di Amalasunta verso Bisanzio e neppure il suo spirito conciliante verso i Romanici, la nobiltà gotariuscì a strapparle il figlio e a educarlo secondo le usanze del suo popolo. Tuttavia il giovane Atalarico si diede a una vita di sperperi ed eccessi trovando una morte prematura.[17] Allora Amalasunta, che voleva mantenere il potere, sposò suo cugino Teodato, ducadi Tuscia. Costui, però, la relegò in un'isola del lago di Bolsena, dove poi la fece uccidere da un suo sicario nel 535. L'esilio e l'assassino di Amalasunta fu il casus belli che permise a Giustiniano di invadere l'Italia.[18]Teodato tentò di evitare la guerra, spedendo messaggeri a Costantinopoli, ma Giustiniano era già pronto a reclamare l'Italia. Solo la rinuncia al trono di Teodato, e la consegna del suo regno all'impero, avrebbero evitato la guerra.  Il generale incaricato di dirigere le operazioni fu Belisario, che da poco aveva combattuto con successo contro i Vandali, a cui furono affidati 10.000 uomini tra comitatensi, foederati e buccellarii. Il generale bizantino conquistò velocemente la Sicilia, per poi occupare Rhegium (Reggio Calabria) e Napoliprima del novembre 536. A dicembre era a Roma, costringendo alla fuga il nuovo Re dei Goti Vitige che da poco era stato chiamato a sostituire Teodato. Rimase fermo a lungo a Roma poi, grazie a rinforzi giunti da Costantinopoli, il generale spedì Narsete a liberare Ariminum (Rimini), e Mundila (che battè i Goti a Pavia) a conquistare Mediolanum (Milano). I conflitti interni fra Narsete e Belisario fecero sì che Milano, assediata, dovette capitolare per fame venendo saccheggiata da 30.000 Goti che, guidati da Uraia, trucidarono gli abitanti (539).   Ritratto di Teodato su una sua moneta. Nel frattempo erano arrivati in Italia anche i Franchi e i Burgundi, discesi nella Pianura Padana al comando di Teodeberto. Belisario riuscì a espugnare Ravenna, capitale degli Ostrogoti, e a catturare Vitige, grazie a un'astuzia: finse di accettare l'offerta da parte dei Goti di diventare loro re per farsi aprire le porte e conquistarla. In seguito alla caduta di Ravenna, il tesoro regio e la corte furono trasferite a Pavia, dove già Teodorico aveva fatto realizzare un Palazzo reale[19].Giustiniano, spaventato, richiamò in patria Belisario lasciando campo libero ai Goti. Nel 541 salì al potere Totila, che ottenne l'appoggio della popolazione italica grazie a una politica agraria di eguaglianza, in base alla quale i servi, affrancati, si arruolavano in massa nell'esercito di Totila. Grazie a questo e ad altri fattori, riconquistò l'Italia settentrionale. Totila arrivò fino a Roma assediandola e conquistandola; per la sua difesa venne richiamato Belisario che la riprese nel 547. Giustiniano, dopo aver richiamato Belisario, lanciò nel 549 una nuova campagna di conquista dell'Italia, con a capo Germano. Durante la riconquista di Roma guidata da Narsete, Totila venne ferito e morì poco dopo. Il successore di Totila fu Teia che, sconfitto velocemente (552), fu anche l'ultimo re dei Goti. La sua sconfitta non determinò però l'automatica sottomissione delle guarnigioni ostrogote, che, pur non eleggendo un nuovo re, continuarono avanti una lotta disorganizzata, chiamando in loro aiuto i Franchi-Alamanni condotti da Butilino e Leutari: Narsete, comunque, riuscì a sconfiggere i franco-alamanni, spingendoli al ritiro e nello stesso tempo ottenne la sottomissione delle ultime fortezze ostrogote della Tuscia, di Cuma e di Conza (553-555). Rimaneva però ancora da conquistare la regione transpadana, in cui i Goti, condotti da Widin, non avevano intenzione di arrendersi e avevano ottenuto inoltre l'appoggio del comandante franco Amingo: la loro resistenza durò fino al 561/562, quando Narsete sconfisse sia Widin sia Amingo e sottomise Verona, Pavia[20] e Brescia, le ultime sacche di resistenza.  La Prammatica Sanzione del 554 ricondusse tutti i territori dell'Italia sotto la legislazione dell'Impero bizantino, e reintegrò tutti i proprietari terrieri delle terre alienate dall'"immondo" Totila a favore dei contadini. Gli Ostrogoti, in seguito alla vittoria bizantina, scomparvero praticamente come componente demica, venendo dispersi o arruolati come mercenari per servire in Oriente nell'esercito bizantino, mentre pochi rimasero in Italia; la Chiesa ariana venne perseguitata e molti Ostrogoti vennero convertiti al cattolicesimo, salvo poi essere riassorbiti dai Longobardi.  Cultura                                                    Modifica  Orecchini ostrogoti in stile policromo, Metropolitan Museum of Art, New York. Architettura                                               Modifica A causa della breve storia del regno, l'arte di Ostrogoti e Romani non subì una fusione. Sotto il patrocinio di Teodorico e Amalasunta, comunque, vennero svolti numerosi restauri di edifici dell'antica Roma. A Ravenna vennero costruite nuove chiese ed edifici monumentali, molti dei quali sono tuttora in piedi. La Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, il suo battistero, e la Cappella Arcivescovile seguono uno stile architettonico tardo romano, mentre il Mausoleo di Teodorico mostra elementi puramente gotici, tipo il mancato uso di mattoni a cui vennero preferiti blocchi di calcare istriano, o il tetto in monoblocco di pietra da 300 tonnellate.  Letteratura Modifica Buona parte dei lavori di letteratura gotica (redatti durante il regno ostrogoto) sono in lingua latina, nonostante alcuni dei più vecchi siano stati tradotti in greco e in gotico (ad esempio il Codex Argenteus). Cassiodoro, provenendo da un contesto diverso, ed esso stesso incaricato di compiti importanti nelle istituzioni (console e magister officiorum), rappresenta la classe dirigente romana. Come molti altri con le stesse origini, servì lealmente Teodorico e i suoi eredi, come descritto nelle sue opere del tempo. Il suo Chronica, usato in seguito da Giordane per il proprio Getica, e altri panegirici scritti da lui e da altri romani per i re Goti del tempo, vennero redatti sotto la protezione dei signori Goti stessi. La sua posizione privilegiata gli permise di compilare il Variae Epistolae, un epistolario di comunicazioni di stato, che ci permette un'ottima conoscenza della diplomazia gotica del tempo.   Fibbia di cintura ostrogota da Torre del Mangano, VI secolo, Pavia, Musei Civici Boezio è un'altra importante figura del tempo. Ben educato e proveniente da una famiglia aristocratica, scrisse di matematica, musica e filosofia. Il suo lavoro più famoso, il De consolatione philosophiae, venne scritto mentre si trovava imprigionato con l'accusa di tradimento.  Re ostrogoti    Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                            Lo stesso argomento in dettaglio: Sovrani ostrogoti. Dinastia degli Amali       Modifica Valamiro circa 447-465 Teodemiro 468-474 Teodorico 476-526 Atalarico 526-534 Teodato 534-536 Re successivi                                 Modifica Vitige 536-540 Ildibaldo 540-541 Erarico 541 Totila 541-552 (anche conosciuto come Baduela) Teia 552-553 Note                              Modifica ^ Giovanni Battista Picotti, Ostrogoti in Enciclopedia Italiana Treccani, 1935. ^ Trebellius Pollio, Historia Augusta - Divus Claudius, ~ 400. ^ a b Herwig Wolfram, Storia dei Goti, Roma, Salerno editrice, 1985 (orig. ted. 1979), p. 24. ^ a b c Herwig Wolfram, p. 25 ^ a b Thomas S. Burns, A History of the Ostrogoths (Bloomington: Indiana University Press, 1984), p. 44. ^ a b Wolfram, 387 n57. ^ Heather, Peter, 1998, The Goths, Blackwell, Malden, 52 - 57, 300 - 301. ^ Heather 2005, p. 543. ^ Heather 2005, p. 542. ^ Wolfram, pp. 81-82. ^ Giordane, Getica, 271 ^ Bury (1923), Cap. XII, pp. 413-421 ^ AA.VV., Dall'impero romano a Carlo Magno, in La Storia, Milano, Mondadori, 2004, Vol. IV.. ^ Aldo A. Settia (1999), "Il fiume in guerra. L'Adda come ostacolo militare (V-XIV secolo)", Studi storici, XL(2): 487-512 ^ Gabriele Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia. Torino: Giulio Einaudi, 1959, p. 31 ^ Bury (1923), Cap. XVIII, p. 161 ^ John Bagnell Bury (1923), History of the Later Roman Empire, Vols. I & II., Cap. XVIII, pp. 159-160 ^ Procopio di Cesarea, De Bello Gothico I, 5.1 ^ ( EN ) Filippo Brandolini, Pavia: Vestigia di una Civitas altomedievale. URL consultato il 1º giugno 2019. ^ ( EN ) Piero Majocchi, Piero Majocchi, Sviluppo e affermazione di una capitale altomedievale: Pavia in età gota e longobarda, "Reti Medievali - Rivista", XI - 2010, 2, url: < http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/54/357>, in Reti Medievali. URL consultato il 1º giugno 2019. Bibliografia                                                    Modifica Fonti primarie                                        Modifica Procopio di Cesarea, De bello Gothico, Volumi I-IV Giordane, De origine actibusque Getarum ("Origine e azioni dei Goti"). traduzione di Charles C. Mierow Cassiodoro, Chronica Cassiodoro, Varia epistolae ("Lettere"), presso il Progetto Gutenberg Anonymus Valesianus, Excerpta, Par. II Fonti secondarie                      Modifica In inglese Edward Gibbon, History of the Decline and Fall of the Roman Empire Vol. IV, Capitoli 41 Archiviato il 20 gennaio 2008 in Internet Archive. e 43Archiviato il 20 gennaio 2008 in Internet Archive. Thomas S. Burns, A History of the Ostrogoths, Boomington, 1984. John Bagnell Bury, History of the Later Roman Empire Vol. I & II, Macmillan & Co., Ltd., 1923. Peter Heather, The Goths, Oxford, Blackwell Publishers, 1996, ISBN 0-631-16536-3. Herwig Wolfram, Storia dei Goti, Roma, Salerno editrice, 1985 (orig. ted. 1979), pp. 431 ss. Patrick Amory, People and Identity in Ostrogothic Italy, 489–554, Cambridge 1997 In italiano Claudio Azzara, L'Italia dei barbari, Bologna, il Mulino, 2002 Renato Bordone; Giuseppe Sergi, Dieci secoli di medioevo, Torino, Einaudi, 2009 I Goti. Catalogo della mostra, Milano, Electa, 1994 Gabriele Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia. Torino, Giulio Einaudi, 1959 Giovanni Tabacco, La Storia politica e sociale, dal tramonto dell'Impero romano alle prime formazioni di Stati regionali, in: Storia d'Italia, vol. I, Torino, Einaudi, 1974 Giovanni Tamassia, Storia del regno dei Goti e dei Longobardi in Italia, Vol. II.. Peter Heather, La caduta dell'Impero romano, Milano, Garzanti, 2005. Fonti su Teodorico AA. VV., Teoderico il grande e i Goti d'Italia. Atti del XIII Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo (Milano, 2-6 novembre 1992), Spoleto, CISAM, 1993. G. Garollo, Teoderico re dei Goti e degl'Italiani, Firenze, Tip. Gazzetta d'Italia, 1879. W. Ensslin, Theoderich der Grosse, München, B. F. Bruckmann, 1947. P. Lamma, Teoderico, Brescia, La Scuola Editrice, 1951. J. Moorhead, Theoderic in Italy, Oxford, Oxford University Press, 1992. P. Amory, People and identity in Ostrogothic Italy, 489-554, Cambridge, Cambridge University Press, 1997. A. Giovanditto, Teodorico e i suoi goti in Italia (454-526), Jaca Book, Milano 1998. B. Saitta, La «civilitas» di Teoderico: rigore amministrativo, «tolleranza» religiosa e recupero dell'antico nell'Italia ostrogota, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1999. Voci correlate                     Modifica Goti Sovrani ostrogoti Regno ostrogoto Lingua gotica Teodorico il Grande Grutungi Altri progetti                  Modifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ostrogoti Collegamenti esterni                            Modifica ( IT ,  DE ,  FR ) Ostrogoti, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Modifica su Wikidata ( EN ) Ostrogoti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Ostrogoti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata   Portale Antica Roma   Portale Medioevo Ultima modifica 9 giorni fa di InternetArchiveBot PAGINE CORRELATE Regno ostrogoto regno ostrogoto in Italia (493-553)  Tervingi Grutungi Wikipedia Il contenutoGiorgio Renato Franci. Keywords: i ostrogoti, Staal, Grice on Indian Philosophy – ‘the Indian philosophical culture” “The Western European philosophical culture” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Franci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759288276/in/dateposted-public/

 

Grice e Francia – i centauri – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “Francia is a good one; for one, he philosophised on ‘not’: “il rifiuto.”” Grice: “Italians use rifiute and confute – as we do!” – Grice: “Ryle used to say, to provoke Popper, that ‘to refute’ is pretentious, when “to deny” does!” Figlio del generale e geografo Orazio e di Gina Mazzoni, dopo gli studi liceali si laurea Firenze con Carrara, di cui diviene. Insegna a Firenze. Al contempo, svolse attività di ricerca all'Istituto Nazionale di Ottica di Arcetri, diretto da Vasco Ronchi. Lavora presso il centro di ricerca ottica della Ducati di Bologna fino al 1951 quando divennne professore straordinario di onde elettromagnetiche all'Firenze, quindi ordinario della stessa disciplina nel 1954 all'Istituto Nazionale di Ottica (Arcetri), dopo due anni di ricerca e di insegnamento all'Rochester. Passa all'Firenze, come ordinario di ottica su una cattedra appositamente creata per lui. Contemporaneamente, collaborò con l'Istituto di ricerca sulle microonde del CNR di Firenze, fondato da Nello Carrara. Fonda e diresse sia l'Istituto di ricerca sulle onde elettromagnetiche, oggi Istituto di Fisica Applicata del CNR, che l'Istituto di Elettronica Quantistica (sempre del CNR). Ordinario di fisica superiore presso l'Firenze rimanendovi fino al 1991, anno del pensionamento, quindi ebbe la nomina a professore emerito.  Altresì presidente della Società italiana di fisica dal 1968 al 1973, della International Commission for Optics della Società italiana di logica e filosofia della scienza, del Forum per i problemi della pace e della guerra e della Scuola di musica di Fiesole, oltre l'ambito scientifico Torando di Francia ebbe vasti interessi culturali, occupandosi approfonditamente tra l'altro di filosofia della scienza. Socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei, era anche un appassionato dantista.  Era padre dell'architetto Cristiano Toraldo di Francia.  Si occupa variamente di fisica matematica, di ottica, di microonde, di laser, di meccanica quantistica, di elettrodinamica, di fondamenti della fisica, di epistemologia, di informatica. Tra i suoi contributi principali sono da ricordare, nel campo dell'ottica, la formulazione del concetto di super-risoluzione (Toraldo filters) e del principio dell'interferenza inversa (prodromico alla nozione di olografia), nonché la dimostrazione sperimentale dell'esistenza delle onde evanescenti (evanescent waves).  I suoi contributi più recenti hanno riguardato la didattica della fisica, la divulgazione della filosofia della scienza e i rapporti tra scienza e società nonché tra cultura scientifica e cultura umanistica. Tra l'altro, in collaborazione ha curato e tradotto in italiano il noto trattato La fisica di Feynman, opera didattica di Richard Feynman. Altre opere: Fisica per architetti, Edizioni Universitarie, Firenze); “Onde elettromagnetiche, Zanichelli, Bologna); “Radiazione, Istituto di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze, “Diffrazione” (Einaudi, Torino); “Il fotone e l’elettrone”; Istituto di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze, “L’accelerazione della particella” Istituto di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze); “Elettrodinamica e radiazione” Istituto di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze. “Il metodo geometrico ed il metodo aritmetico della fisica” Istituto di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze, “Radiazione”, Istituto di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze, “Il fisico (Einaudi, Torino); “Il fisico” (Guaraldi, Firenze-Rimini, Il rifiuto. Considerazioni semiserie di un fisico sul mondo di oggi e di domani, Einaudi, Torino, Problemi dei fondamenti della fisica, Scuola Internazionale di Fisica, Varenna sul Lago di Como, Società Italiana di Fisica, Editrice Compositori, Bologna, Le teorie fisiche. Un'analisi formale (Bollati Boringhieri, Torino); “L'amico di Platone. L'uomo nell'era scientifica” (Vallecchi, Firenze); “Le cose e i loro nomi” (Laterza, Roma-Bari);  Fisica per il licei” (La Nuova Italia, Firenze); “La grande avventura della scienza, Istituto di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze, “La scimmia allo specchio. Osservarsi per conoscere” (Laterza, Roma-Bari); “Un universo troppo semplice. La visione storica e la visione scientifica del mondo, Feltrinelli, Milano); “Tempo, cambiamento, invarianza” (Einaudi, Torino, Dialoghi di fine secolo. Ragionamenti sulla scienza e dintorni” (Giunti, Firenze); “Ex absurdo. Riflessioni di un fisico ottuagenario, Feltrinelli, Milano); “In fin dei conti, Di Renzo Editore, Roma); “Il pianeta assediato. Conversazione di fine millennio” Le lettere, Firenze, Nascita di un uomo moderno, Edizioni CNSL, Recanati, Introduzione alla filosofia della scienza” (Laterza, Roma-Bari, Metodi matematici della fisica, Edizioni IFAC, Firenze,. Elettrodinamica e teoria della radiazione (Renzo Vallauri e Daniela Mugnai), Edizioni IFAC, Firenze. Per le notizie biografiche qui riportate, ci si riferisce a R. Pratesi, L. Ronchi Abbozzo, "Breve nota sul contributo scientifico di Giuliano Toraldo di Francia", Quaderni della Società Italiana di Elettromagnetismo, cfr. anche aif/fisico/biografia-giuliano-toraldo-di-francia/  Elenco dei Professori  di Firenze Archiviato, Florence, Italian Physical Society, Editrice Compositori, Bologna, R. Pratesi, L. Ronchi Abbozzo, "Breve nota sul contributo “ ", Quaderni della Società Italiana di Elettromagnetismo,  E. Castellani, "Nodi d'invarianti: l'eredità", scienziato umanista, Le Scienze,  E. Agazzi, "Ricordo", Epistemologia, Breve nota sul contributo, su elettromagnetismo. Piero Angela, Dialoghi di fine secolo: ragionamenti sulla scienza e dintorni, Giunti Editore,  In ricordo, Riccardo Pratesi, Società italiana di fisica. Teatro dell'assurdo Lingua Segui Modifica Storia del teatro occidentale Teatro greco Tragedia greca Commedia greca Dramma satiresco Autori classici greci Teatro latino Atellana Cothurnata Fescennino Praetexta Palliata Satira latina Togata Autori classici latini Teatro medievale Sacra rappresentazione Mistero Moralità Masque Dumbshow Commedia elegiaca Teatro moderno Commedia umanistica Teatro erudito Dramma pastorale Teatro rinascimentale Teatro elisabettiano Commedia dell'arte Commedia ridicolosa Comédie larmoyante Dramma romantico Dramma borghese Dramma politico Teatro contemporaneo Regia teatrale Teorici del teatro Teatro epico Teatro dell'assurdo Varietà Storia della danza Storia del mimo e della pantomima Storia del circo Visita il Portale del Teatro Teatro dell'assurdo è la denominazione di un particolare tipo di opere scritte da alcuni drammaturghi, soprattutto europei, tra gli anni quaranta e gli anni sessanta, a volte prolungato agli anni settanta per quel che riguarda poi il lavoro di alcuni autori particolari. Con lo stesso termine si identifica anche tutto lo stile teatrale nato dall'evoluzione dei loro lavori.  EtimologiaModifica Il termine venne coniato dal critico Martin Esslin, che ne fece il titolo di una sua pubblicazione del 1961, The Theatre of the Absurd. Per Esslin il lavoro di questi autori consiste in una articolazione artistica del concetto filosofico di assurdità dell'esistenza, elaborato dagli autori dell'esistenzialismo (si vedano ad esempio le tesi di Jean-Paul Sartre risalenti agli anni trenta e quelle successive di Albert Camus, esposte anche nelle proprie produzioni narrative e appunto teatrale, oltre a quella consueta saggistica).  CaratteristicheModifica Le caratteristiche peculiari del teatro dell'assurdo sono il deliberato abbandono di un costrutto drammaturgico razionale e il rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. La struttura tradizionale (trama di eventi, concatenazione, scioglimento) viene pertanto rigettata e sostituita da una successione di eventi priva di logica apparente, legati fra loro da una labile ed effimera traccia (uno stato d'animo o un'emozione), apparentemente senza alcun significato. Il teatro dell'assurdo si caratterizza per dialoghi volutamente senza senso, ripetitivi e serrati, capaci di suscitare a volte il sorriso nonostante il senso tragico del dramma che stanno vivendo i personaggi.  Tra i maggiori esponenti del teatro dell'assurdo (che potrebbe avere come "padre" letterario Alfred Jarry) vanno ricordati Samuel Beckett, Jean Tardieu, Eugène Ionesco, Karl Valentin, Arthur Adamov e Georges Schehadé. Una seconda generazione ha avuto come protagonisti Harold Pinter, Robert Pinget, Boris Vian e Sławomir Mrożek. Anche Jean Genet, autore di Le serve, era stato inizialmente inserito da Esslin nel gruppo originario.  Fra gli autori italiani, fu spesso accostato al teatro dell'assurdo Achille Campanile, indicandolo come un precursore.[1]  Note                                     Modifica ^ [1] BibliografiaModifica ( EN ) Martin Esslin, The Theatre of the Absurd, Garden City, Doubleday & Company, 1961, OCLC 329986. Voci correlateModifica Assurdo Esistenzialismo Generi teatrali Patafisica Collegamenti esterniModifica ( EN ) Teatro dell'assurdo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Voce «Teatro dell'assurdo» nel Dizionario dello Spettacolo del '900, su Delteatro.it. URL consultato il 19 maggio 2007 (archiviato dall' url originale  il 27 maggio 2007). Controllo di autoritàThesaurus BNCF 51160 · LCCN( EN ) sh85134575 · GND ( DE ) 4141169-9 ·BNE ( ES ) XX549476 (data) · BNF( FR ) cb120486794 (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007534167305171 (topic)   Portale Letteratura   Portale Teatro Ultima modifica 2 mesi fa di 62.98.219.141 PAGINE CORRELATE Esistenzialismo corrente di pensiero  Eugène Ionesco scrittore e drammaturgo francese  Albert Camus et la Parole manquante Langue Suivre Modifier Albert Camus et la Parole manquante est un essai d'Alain Costes consacré à Albert Camus et publié en 1973. Le cheminement intellectuel de l'écrivain est étudié sous un angle psychanalytique, et décomposé en trois « cycles » : le cycle de l'absurde, le cycle de la révolte et le cycle de la culpabilité.   Albert Camus et la Parole manquante Auteur Alain Costes Pays Drapeau de la France France Genre Essai Éditeur Payot Collection Science de l'Homme Date de parution septembre 1973 Nombre de pages 252 Série Étude psychanalytique modifier Consultez la documentation du modèle Camus parole.jpg Cadre conceptuel                                                Modifier Alain Costes se propose de saisir le cheminement intellectuel d'un des écrivains français les plus lus, aussi bien dans son pays que dans le monde. C'est à dessein qu'il a placé cette citation de Camus en tête de son ouvrage :  « Comme les grandes œuvres, les sentiments profonds signifient toujours plus qu'ils n'ont conscience de le dire. »  — Le Mythe de Sisyphe  Alain Costes fonde son étude sur une double approche, à la fois textuelle sur l'analyse des textes de Camus -la plus exhaustive possible- et sur une approche biographique de l'homme. Pour lui, les deux approches sont complémentaires pour rendre compte le plus exactement possible de ce qui a fondé la démarche camusienne. Son objectif est de rechercher ce qui fait le désir de création d'un écrivain comme lui et de s'attacher à expliquer les modes de sublimation littéraire : pourquoi est-il devenu écrivain, « où puise-t-il son énergie créatrice ? »  Il est certain que dans son cas le fait parental est un élément évident. D'une part, il n'a pas suffisamment connu son père, mort pendant la guerre en 1914, un an après la naissance d'Albert, pour en garder la moindre image. D'autre part, sa mère, douce et peu loquace, s'est toujours effacée derrière la figure autoritaire de la grand-mère. L'enfant est donc rapidement confronté à une forte absence parentale. Pour combler ce manque, il va rechercher en particulier des substituts de père, qu'il va trouver chez son instituteur monsieur Germain[1] puis chez Jean Grenier, son professeur de philosophie au lycée d'Alger (ce qu'Alain Costes appelle des « imagos »[2]). Il leur impute son amour pour le football, dont son instituteur était particulièrement féru[3], de la nage et de la mer, qui lui viendrait de son oncle tonnelier qui vivait avec eux chez la grand-mère, et de l'écriture qu'il tiendrait du professeur Jean Grenier.  Son amour du théâtre en découle largement : « Le théâtre transportait Camus dans le monde qui était exactement le sien du fait de ses identifications paternelles littéraires. »  Cycle de l'absurde         Modifier  Sisyphe « L'homme que je serais si je n'avais été l'enfant que je fus. »  — Carnets tome 2, page 137.  Apparemment, La mort heureuse son premier roman, s'inscrit dans un cadre œdipien banal : Mersault entretient une liaison avec Marthe qui va de temps en temps voir Zagreus, son ancien amant. Mais Mersault tue Zagreus dans une crise de jalousie. Tout se complique cependant  : Mersault a surtout tué Zagreus pour le voler, Zagreus l'estropié, (comme l'oncle de Camus)[4] infirmité qu'il a rapportée de la guerre, cette guerre où son père est mort. Voilà la raison essentielle du meurtre de Zagreus par Mersault, cet homme silencieux qui rappelle à Camus cette mère absente et murée dans son silence[5].  L'analyse d'Alain Costes est confortée par un article[6]où les difficultés de Meursault[7] se traduisent ainsi : échec du travail de deuil, perte de contact avec la réalité[8] et rupture des relations objectale[9]. C'est en quelque sorte le fantasme de Camus qui a pour titre L'Étranger.  L’ambivalence de Camus, le côté positif qu’il investit dans la Nature idéalisée et le côté négatif d’une perte de contact avec la réalité, c’est d’abord son premier recueil de nouvelles où l’on retrouve dans le titre cette dualité : « l’endroit » qu’il projette sur la Nature, sur l’amour et « l’envers » qui représente le monde absurde et angoissant. Face à cette angoisse, à ses tentations suicidaires – le suicide est « le seul problème philosophique » - Camus veut exprimer son pari pour la vie, par-delà l’absurde à travers l’analyse qu’il livre dans Le Mythe de Sisyphe.  « Quoi qu’il en soit, écrit Alain Costes, la pierre angulaire de la pensée de Camus réside dans les silences de sa mère[10]. Comme les mythes, les silences sont faits pour que l’imagination les anime. » Il rêve d’une 'philosophie du minéral', « à force d’indifférence et d’insensibilité, il arrive qu’un visage rejoigne la grandeur minérale d’un paysage »[11].  C’est la bonne mère Nature qui réapparaît mais sous une forme dénudée, hiératique, celle où il est souvent question de pierre ou de désert[12]. Le Malentenduaussi est une tragédie du mutisme, de la non communication, « comme toutes les œuvres du cycle de l’absurde »[13]. En  février 1943 , quand Camus termine Le Malentendu, il note dans ses carnets : « C’est le goût de la pierre qui m’attire peut-être tant vers la sculpture. Elle redonne à la forme humaine le poids et l’indifférence sans lesquels je ne lui vois de vraie grandeur »[11]. Comme le sculpteur qui fait parler la pierre, « Camus peuple le silence maternel de ses fantasmes ». C’est le mythe de Niobé, réduite au silence pour avoir provoqué la mort de ses enfants. Ce silence qui fascine tant Camus et lui renvoie l’image de sa mère, il va le vaincre par l’écriture, oralité du langage, qui tient aussi à son père mort et à son oncle muet.  Cycle de la révolte Modifier  La révolte selon Delacroix La conception de La Peste est difficile, laborieuse, trois versions se succèdent pour composer, recomposer, peaufiner son texte. Pour Alain Costes, ce long et pénible travail exprime la « restructuration progressive du moi physique camusien ». Camus précise ainsi son objectif : « Faire ainsi du thème de la séparation le grand thème du roman; c’est le thème de la mère qui doit tout dominer ». C’est un Camus recomposé en 4 personnages, expression de la restructuration de son Moi[14] : le docteur Rieux est le résistant Camus, Tarrou est le fils dont le père (comme celui de Camus) assista à une exécution capitale, Rambert le journaliste que la peste sépare de sa femme et Grand le long travail de création.  En  octobre 1948  est jouée la première de L’État de siège. Dans cette pièce, les habitants de Cadix vivent une vie insouciante quand survient le tyran Peste et sa secrétaire. Seul Diego s’oppose au tyran et se sacrifiera pour qu’il parte. Mais ici c’est l’image paternelle du tyran qui est maléfique, alors que l’imago maternel est valorisé et Diego va engager une lutte victorieuse contre le Père. Cette évolution indique selon Alain Costes, que Diego-Camus « aborde très clairement la situation œdipienne ».  Les Justes, cette pièce ou des révolutionnaires russes doivent tuer le Grand-duc, représentant du tsar (donc le Père) repose sur l’histoire du meurtre du père et l’histoire d’une passion avec Dora-Kaliayev. Les amants se rejoignent enfin au-delà de la mort dans un acte qui transcende leur amour contrairement à l’histoire de Victoria et de Diego dans L'État de siège. C’est pourquoi Alain Costes peut soutenir que pour la première fois, on y trouve une problématique authentiquement œdipienne.  Lors de la gestation de L'Homme révolté, Camus prend ses distances vis-à-vis de ses premiers maîtres, André de Richaud, André Gide, André Malraux, les philosophes allemands… et même Jean Grenier dont il dit : « rencontrer cet homme a été un grand bonheur. Le suivre aurait été mauvais, ne jamais l’abandonner sera bien »[15]. L’Homme révolté, c’est la recherche de la mesure, ce qu’il appelle la « pensée de Midi ». Camus veut dépasser le thème de l’absurde en repartant du mythe de Sisyphe, « je crie que je ne crois à rien et que tout est absurde, mais je ne puis douter de mon cri et il me faut au moins croire à ma protestation[16]. C’est ce dépassement qui devient révolte. Touche après touche, Camus trace à partir des faits accumulés (le recours au rationnel) ce qu’il appelle la mesure, qui doit permettre de concilier dimensions personnelle et collective, justice et liberté. On assiste selon Alain Costes au « passage d’une pensée antithétique à une pensée dialectique, La Pensée du Midi, synthèse de liberté et de justice, de culpabilité et d’innocence, d’individuel et de collectif, de personnel et de lucide.  Cycle de la culpabilité                                                   Modifier  Schéma de la culpabilité Dans L'Exil et le Royaume, aussi bien Janine La Femme infidèle dépressive qui, dans le Sahel loin de chez elle, perd ses repères et sa confiance en elle-même que dans Le Renégat, cet « esprit confus » qui cherche une rédemption masochiste jusque dans le désert saharien, ces deux héros dépressifs se vivent en tant qu’objet, « en état de totale dépendance », en quête d’un objet perdu (le mari pour elle et le père pour lui)[17].  On retrouve cette tendance dans la nouvelle Retour à Tipasa[18] où Camus est effectivement retourné, mais en hiver cette fois, contraste marquant avec le Tipasa de Noces écrasé de soleil. Il y trouve un temps de mélancolie et la frustration du retour à Paris car « il y a la beauté et il y a les humiliés ». Il emportera « une petite pièce de monnaie », beau visage femme côté pile et face rongée de l’autre côté.  La dépression latente, l’extrême difficulté à écrire s’inscrit dans les deux Jonas. La nouvelle conte l’histoire –très autobiographique- d’un peintre qui laisse envahir sa vie et ne parvient plus à exercer son art. Il en arrive à vivre dans la gêne, à se réfugier dans une espèce de cagibi dans lequel Alain Costes voit comme un rappel de l’utérus, régression ultime de la dissolution du Moi. Dans la seconde version plus optimiste, un mimodrame, Jonas se reconstruit en peignant une immense toile mais sa prise de conscience sera fatale à son 'objet', à sa femme qui dépérit et finit par mourir. Dans la seconde version, Camus est dans son élément, la réalité théâtrale où il va désormais se réfugier pour quelques années, échappant dans l’adaptation théâtrale au contenu, au fond qu’il emprunte aux auteurs qu’il adapte.  La seule nouvelle de L'Exil et le Royaume qui soit plus « optimisme » (porte ouverte au Royaume) s’intitule La Pierre qui pousse. Cette pierre rappelle bien sûr le rocher de Sisyphe mais ici le héros d’Arrast va se débarrasser de sa pierre en la déposant chez son ami le coq. Selon Alain Costes, ce n’est qu’en retrouvant la parole par sa discussion avec le coq que d’Arrast va pouvoir « évacuer son objet persécuteur (jeter sa pierre) et clore son travail de deuil ».  Dans La Chute, son héros Clamence va s’infliger un châtiment radical pour apaiser sa culpabilité, devenir sourd à ce cri, ce corps qui tombe à l’eau et le poursuit depuis si longtemps. Il s’installe dans cette ville de canaux et de brume, lui qui n’aime que le soleil de la Méditerranée, dans le « malconfort », « cette cellule de basse-fosse », comme Jonas va s’isoler dans sa soupente. De là, il va pouvoir prendre à témoin le monde entier, s’auto accuser, « projeter son surmoi sur le monde extérieur », se réfugier dans ce personnage double de juge-pénitent.   Ces années cinquante sont les années où Camus se lance dans l’adaptation et la direction théâtrale. Il y a, comme le note Roger Quilliot, des raisons objectives, le décès de Marcel Herrand[19], « la crise physique et morale confinant à la dépression » qui mobilise une partie importante de ses forces. Mais Alain Costes y voit surtout l’omnipotence des images du père[20], « retour au théâtre, retour aux grandes admirations adolescentes, retour au Père ».  En 1959, Camus tourne une nouvelle page. C’est en janvier, la première des possédés qui lui a coûté tant de temps et d’efforts, en novembre il commence à écrire Le premier homme, double quête de la mère et du père où « Camus avait retrouvé sa créativité » à travers la sublimation par l’écriture.  Références psychanalytiques                                                  Modifier Camus aborde plusieurs concepts psychanalytiques dans son œuvre[21] :  Surmoi : phase postérieure à la liquidation de l'Œdipe, trouvant sa source dans l'intériorisation des interdits parentaux et constitue le représentant psychique de la réalité extérieure ; Désintrication : arrêt d'une situation entremêlée  ; Parents combinés : fantasme très archaïque, précédant la scène primitive, défini par Mélanie Klein où les parents apparaissent confondus dans une relation sexuelle ininterrompue ; Processus primaire : Ensemble des mécanismes de l'appareil psychique de l'inconscient, produisant rêve et symptôme, lapsus et œuvre d'art. Les processus principaux sont le déplacement, la condensation et le retournement dans le contraire ; Processus secondaire : Mécanisme qui joue sur le pré conscient et l'inconscient avec révision du désir après examen de la réalité extérieure. Notes et références                       Modifier ↑ Monsieur Germain à qui il dédiera ses Discours de Suède, donc d'une certaine façon son prix Nobel de littérature. ↑ Image fantasmatique des représentations des deux sexes avec qui le sujet a vécu une relation affective durable. On peut ainsi discerner d'une façon très générale : « l'imago de la bonne mère ou l'imago de la mauvaise mère » (même chose pour le père). ↑ Camus sera d'abord un gardien de buts accompli au Racing club d'Alger puis un supporter assidu à Paris. ↑ Pour un portrait de cet oncle qui vivait avec eux à Alger, voir la nouvelle Les Muets dans le recueil L'Exil et le Royaume. ↑ Voir ses nouvelles autobiographiques dans L'Envers et l'Endroit. ↑ Pichon-Rivière et Baranger, Répression du deuil et intensification des mécanismes et des angoisses schizo-paranoïques, Revue française de psychanalise, 1959. ↑ Ne pas confondre Mersault héros de La Mort heureuse et Meursault héros de L'Étranger. ↑ Perte du réel « qui finit par une stupeur catatonique ». ↑ Dont le fantasme se focalise sur un objet. ↑ La pièce de Ben Jonson qu’il donne en mars 1937 avec sa troupe du Théâtre du travails’intitule La Femme silencieuse. ↑ a et b Carnets tome 2, édition de la Pléiade, page 80. ↑ Voir les nouvelles La Halte d’Oran ou le Minotaure et Le Désert. ↑ « La tragédie n’est-elle pas toujours “malentendu” au sens propre du terme, stupeur et pour tout dire, surdité » commente Roger Quillot dans son essai sur Camus La Mer et les Prisons. ↑ Morvan Lebesque écrivait déjà dans son essai sur Camus : « En Rieux, en Tarrou, voire en Joseph Grand ou en Rambert, c’est Camus lui-même qui se rassemble ». ↑ Carnets tome 2, page 277. ↑ Carnets tome 2, page 420. ↑ Alain Costes résume ainsi ces nouvelles : « Janine en quête d’un homme, le Renégat courant de père en père, les muets réduits (eux aussi) au silence par leur patron, Daru dans L’Hôte rendu étranger à son pays du fait de la loi, d’Arrast, Jonas et Clamence ulcérés par les exigences de leur surmoi, tous sont torturés par une problématique dont la plaque tournante est l’imago paternelle ↑ Nouvelle intégrée au recueil L'Été. ↑ Cette disparition prématurée oblige Camus à prendre la direction du festival d’Angers. ↑ Camus recherchera la tombe de son père avant d’aller s’y recueillir en 1957 à Saint-Brieuc. ↑ Janine Chasseguet-Smirgel, Dépersonnalisation, phase paranoïque et scène primitive, Revue française de psychanalyse, 1958. Voir aussi                               Modifier Sur les autres projets Wikimedia :  Albert Camus et la Parole manquante, sur Wikimedia Commons Albert Camus et la Parole manquante, sur Wikiquote Bibliographie                                                       Modifier Pichon-Rivière et Baranger, Notes sur l'Étranger de Camus, Revue française de psychanalyse, 1959 A. Durand, Le Cas Albert Camus, Fischbacher, 1961 R. De Luppé, Albert Camus, Éditions Universitaires, 1962 Pierre-Henri Simon, Présence de Camus, Éditions Nizet, 1962 Jean Grenier, Les Îles, Gallimard, 1964 Jean Onimus, Camus, Desclée de Brouwer / Fayard, 1965 P. Ginestier, Pour connaître la pensée d'Albert Camus, Gallimard, 1969 Danièle Boone, Camus, coll. La Plume du temps, éd. Henri Veyrier, 1987 Liens internes                       Modifier Société des études camusiennes Culpabilité (psychanalyse) icône décorative Portail de la littérature française Dernière modification il y a 3 mois par Vlaam PAGES ASSOCIÉES Le Mythe de Sisyphe ouvrage d'Albert Camus  Cycle de l'absurde La Mort heureuse livre de Albert Camus  Wikipédia Giuliano Toraldo di Francia. Francia. Keywords: i centauri, ex absurdo; scientific realism, philosophy of physics, foundations of physics; geometry and arithmetics as the methods in physics; observation and perception, ‘what the eye no longer sees’ – ‘we see with our eyes”; Eddington’s two tables – teoria relativistica, theory of relativity – theory of the absolute, particella, relativita, assoluto/relativo – relative-assoluto – Galilei – H. P. Grice’s discussion of the ‘relative-absolute’ distinction vis-à-vis R. M. Hare (‘there are no absolute values’) as cited by colonial philosopher J. L. Mackie in ‘Inventing right and wrong’ ‘absolute value’ ‘relative value’ , Lemarchand, theatre, not Esslin. --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Francia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759455588/in/dateposted-public/

 

Grice e Franzini – espressione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Franzini; for one, he philosophised on aesthetics and passions (‘passioni’). Sir Geoffrey [Warnock] and I philosophised on the former, if not the latter!” Si laurea con Giovanni Piana e Dino Formaggio. Insegna a Milano e l'Udine. Studia Husserl e la fenomenologia, nonché della filosofia francese, ha indagato sul fronte storico e teoretico alcuni temi cruciali dell'estetica, quali la “creazione”; “simbolo” (‘to throw two things together, so that the recipient compares them!); “immagine”;  “experienza estetica inter-soggetiva”. Sulla scorta di una ricognizione della genesi settecentesca dell' “estetica”, vista quest'ultima come punto di incontro tra doxa ed episteme, fra sentimento e ragione, fra il noetico e l’estetico, -- “La noetica di Grice” -- indaga lo statuto dell’estetica e della noetica, approfondendo il valore volitivo/giudicativo (noetico, contenuto, p) della dimensione pre-categoriale dell'esperienza (l’estetico). Questo percorso trovato una sintesi che mira alla definizione di una "fenomenologia del noetico”, no dell’estetico; ossia di una ‘noesi’ che sappia de-cifrare la ricchezza simbolica dell’estetico – rappresentazione, immagine. Altre opere: “Dall’estetico al noetico” (Milano, Unicopli); “Sul bello naturale” (Milano, Guanda); “Il bello naturale creato di Dio (phusei); il bello ART-ificiale creato dall’ART-ista Vinci (thesei – ex positione)” (Milano, Unicopli); La figura del diavolo, il discorso del diavolo” (Milano, Mimesis); “In principio erat verbum” Favola: dal mito al logos (Milano, Guerini); “In-scriptum, De-scriptum, ex-criptum – (Milano, Cuem); “Le leggi del cielo, l’estetico e il patico (Milano, Guerini); “Metafora, mimesi, morfo-genesi, progetto. Architettitura filosofica (Milano, Guerini). La Fenomenologia” (Milano); “Differenze nello spirito romano” (Milano, Edizioni dell'Arco); “Mondo possibile: l’interpretazione dell’espressione comunicativa (Milano, Guerini); “Il senso, il sensibile, il sentimentale, l’ingenuo” (Milano, Mondadori); “Il senso, sentire, sentimento” (Milano, Bruno Mondadori); “Percezione e immagine” (Milano, Il Castoro), “Piacere, dispiacere, Gusto e disgusto” (Milano, Nike); “Fenomenologia pura, fenomenologia impura, fenomenologia mista – il misto, il puro, l’impuro (Einaudi, Torino); “Cezanne a Liguria”; “Fenomenologia del noetico: Al di là dell'immagine” (Milano, Cortina); “Il teatro, la festa e la rivoluzione. Su Rousseau e gli enciclopedisti, Palermo, Aesthetica; "Estetica del bello, noetica del brutto, Palermo, Aesthetica, Immagine e verita: e vero che il sole si ferma) (Milano, Il Castoro); “L’estetico dell’espressione comunicativa” (Firenze, Le Monnier); “L’unicita della ragione; La cosedetta “altra ragione” – il buletico e il creditum: sensibilità, immaginazione, forma naturale, forma artificiale, forma create dall’art-ista, Milano, Il Castoro); Il simbolico e il noetico (to throw to things to be compared, say an Italian flag, and the  love of country); Simbolo: figura, materia, e forma – simbolo materiale – forma noetica – hyle-morphismo” (Milano, Il Saggiatore); “La lume dell’altre ragione” (Milano, Bruno Mondadori); La rappresentazione dello spazio – spatium (Milano, Mimesis); ntroduzione all'estetica, Bologna, Il Mulino); “Arte, bello e interpretazione della natura” (Milano, Mimesis); Non sparate sull'umanista. La sfida della valutazione (Milano, Guerini e Associati); “Filosofia della crisi” (Milano, Guerini e Associati,  pre-moderno, Moderno e postmoderno. Un bilancio, Milano, Raffaello Cortina Editore, ti dà il benvenuto, su eliofranzini. L'estetica aujourd'hui. Conversazione» Il rasoio di Occam MicroMega  Estetica, filosofia, vita quotidiana. Conversazione in MicroMega, su unimi Entra in carica oggi, il rettore  su unimi, contiene l'articolo Il nuovo rettore della Università Statale di Milano prevede di mantenere a Città Studi un polo di dipartimenti scientifici  Edmund Husserl Fenomenologia Scuola di Milano   SOCRATE: Caro Fedro, dove vai e da dove vieni? Platone FEDRO FEDRO: Dalla casa di Lisia, Socrate, il figlio di Cefalo, (1) e vado a fare una passeggiata fuori dalle mura. Ho passato parecchio tempo là seduto, fin dal mattino; e ora, seguendo il consiglio di Acumeno,(2) compagno mio e tuo, faccio delle passeggiate per le strade, poiché, a quanto dice, tolgono la stanchezza più di quelle sotto i portici. SOCRATE: E dice bene, amico mio. Dunque Lisia era in città, a quanto pare. FEDRO: Sì , alloggia da Epicrate, nella casa di Monco, quella vicino al tempio di Zeus Olimpio.(3) SOCRATE: E come avete trascorso il tempo? Lisia non vi ha forse imbandito, è chiaro, i suoi discorsi? FEDRO: Lo saprai, se hai tempo di ascoltarmi mentre cammino. SOCRATE: Ma come? Credi che io, per dirla con Pindaro, non faccia del sentire come avete trascorso il tempo tu e Lisia una faccenda «superiore a ogni negozio»? (4) FEDRO: Muoviti, allora! SOCRATE: Se vuoi parlare. FEDRO: Senza dubbio, Socrate, l'ascolto ti si addice, poiché il discorso su cui ci siamo intrattenuti era, non so in che modo, sull'amore. Lisia ha scritto di un bel giovane che viene tentato, ma non da un amante, e ha comunque trattato anche questo argomento in modo davvero elegante: sostiene infatti che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama. SOCRATE: E bravo! Avesse scritto che bisogna compiacere un povero piuttosto che un ricco, un vecchio piuttosto che un giovane, e tutte quelle cose che vanno bene a me e alla maggior parte di voi! Allora sì che i suoi discorsi sarebbero urbani e utili al popolo! Io ora ho tanto desiderio di ascoltare, che se facessi a piedi la tua passeggiata fino a Megara e, seguendo Erodico,(5) arrivato alle mura tornassi di nuovo, non rimarrei dietro a te. FEDRO: Cosa dici, ottimo Socrate? Credi che io, da profano quale sono, ricorderò in modo degno di lui quello che Lisia, il più bravo a scrivere dei nostri contemporanei, ha composto in molto tempo e a suo agio? Ne sono ben lungi! Eppure vorrei avere questo più che molto oro. SOCRATE: Fedro, se io non conosco Fedro, mi sono scordato anche di me stesso! Ma non è vera né l'una né l'altra cosa: so bene che lui, ascoltando un discorso di Lisia, non l'ha ascoltato una volta sola, ma ritornandovi più volte sopra lo ha pregato di ripeterlo, e quello si è lasciato convincere volentieri. Poi però neppure questo gli è bastato, ma alla fine, ricevuto il libro, ha esaminato i passi che più di tutti bramava; e poiché ha fatto questo standosene seduto fin dal mattino, si è stancato ed è andato a fare una passeggiata, conoscendo, corpo d'un cane!, il discorso ormai a memoria, credo, a meno che non fosse troppo lungo. E così si è avviato fuori dalle mura per recitarlo. Imbattutosi poi in uno che ha la malattia di ascoltare discorsi, lo ha visto, e nel vederlo si è rallegrato di avere chi potesse coribanteggiare con lui (6) e lo ha invitato ad accompagnarlo. Ma quando l'amante dei discorsi lo ha pregato di declamarlo, si è schermito come se non desiderasse parlare: ma alla fine avrebbe parlato anche a viva forza, se non lo si fosse ascoltato volentieri. Tu dunque, Fedro, pregalo di fare adesso quello che comunque farà molto presto. FEDRO: Per me, veramente, la cosa di gran lunga migliore è parlare così come sono capace, poiché mi sembra che non mi lascerai assolutamente andare prima che abbia parlato, in qualunque modo. SOCRATE: Ti sembra davvero bene. FEDRO: Allora farò così . In realtà, Socrate, non l'ho proprio imparato tutto parola per parola: ti esporrò tuttavia il concetto più o meno di tutti gli argomenti con i quali lui ha sostenuto che la condizione di chi ama differisce da quella di chi non ama, uno per uno e per sommi capi, cominciando dal primo. SOCRATE: Prima però, carissì mo, mostrami che cos'hai nella sinistra sotto il mantello; ho l'impressione che tu abbia proprio il discorso. Se è così , tieni presente che io ti voglio molto bene, ma se c'è anche Lisia non ho assolutamente intenzione di offrirmi alle tue esercitazioni retoriche. Via, mostramelo! FEDRO: Smettila! Mi hai tolto, Socrate, la speranza che riponevo in te di esercitarmi. Ma dove vuoi che ci sediamo a leggere? SOCRATE: Giriamo di qui e andiamo lungo l'Ilisso,(7) poi ci sederemo dove ci sembrerà un posto tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a essere scalzo al momento giusto; tu infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi facilissimo camminare bagnandoci i piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto più in questa stagione e a quest'ora.(8) SOCRATE: Fa' da guida dunque, e intanto guarda dove ci potremo sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano? SOCRATE: E allora? FEDRO: Là c'è ombra, una brezza moderata ed erba su cui sederci o anche sdraiarci, se vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO: Dimmi, Socrate: non è proprio da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a quanto si dice Borea ha rapito Orizia?(9) SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio da qui dunque? Le acque appaiono davvero dolci, pure e limpide, adatte alle fanciulle per giocarvi vicino. SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù, dove si attraversa il fiume per andare al tempio di Agra: (10) appunto là c'è un altare di Borea. 2  Platone Fedro  FEDRO: Non ci ho mai fatto caso. Ma dimmi, per Zeus: tu, Socrate, sei convinto che questo racconto sia vero? SOCRATE: Ma se non ci credessi, come fanno i sapienti, non sarei una persona strana; e allora, facendo il sapiente, potrei dire che un soffio di Borea la spinse giù dalle rupi vicine mentre giocava con Farmacea, ed essendo morta così si è sparsa la voce che è stata rapita da Borea (oppure dall'Areopago,(11) poiché c'è anche questa leggenda, che fu rapita da là e non da qui). Io però, Fedro, considero queste spiegazioni sì ingegnose, ma proprie di un uomo fin troppo valente e impegnato, e non del tutto fortunato, se non altro perché dopo questo gli è giocoforza raddrizzare la forma degli Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi gli si riversa addosso una folla di tali Gorgoni e Pegasi (12) e un gran numero di altri esseri straordinari dalla natura strana e portentosa. E se uno, non credendoci, vorrà ridurre ciascuno di questi esseri al verosimile, dato che fa uso di una sapienza rozza, avrà bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho proprio tempo per queste cose; e il motivo, caro amico, è il seguente. Non sono ancora in grado, secondo l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso;(13) quindi mi sembra ridicolo esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro ancora questo. Perciò mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto comunemente si crede riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non queste cose ma me stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più intricata e che getta fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di vanità fumosa.(14) Ma cambiando discorso, amico, non era forse questo l'albero a cui volevi guidarci? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per sostare! Questo platano è molto frondoso e imponente, l'alto agnocasto è bellissimo con la sua ombra, ed essendo nel pieno della fioritura rende il luogo assai profumato. Sotto il platano poi scorre la graziosissima fonte di acqua molto fresca, come si può sentire col piede. Dalle immagini di fanciulle e dalle statue sembra essere un luogo sacro ad alcune Ninfe e ad Acheloo.(15) E se vuoi ancora, com'è amabile e molto dolce il venticello del luogo! Una melodiosa eco estiva risponde al coro delle cicale. Ma la cosa più leggiadra di tutte è l'erba, poiché, disposta in dolce declivio, sembra fatta apposta per distendersi e appoggiarvi perfettamente la testa. Insomma, hai fatto da guida a un forestiero in modo eccellente, caro Fedro! FEDRO: Mirabile amico, sembri una persona davvero strana: assomigli proprio, come dici, a un forestiero condotto da una guida e non a un abitante del luogo. Non lasci la città per recarti oltre confine, e mi sembra che tu non esca affatto dalle mura. SOCRATE: Perdonami, carissimo. Io sono uno che ama imparare; la terra e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla, gli uomini in città invece sì . Mi sembra però che tu abbia trovato la medicina per farmi uscire. Come infatti quelli che conducono gli animali affamati agitano davanti a loro un ramoscello verde o qualche frutto, così tu, tendendomi davanti al viso discorsi scritti sui libri, sembra che mi porterai in giro per tutta l'Attica e in qualsiasi altro luogo vorrai. Ma per ì l momento, ora che sono giunto qui io intendo sdraiarmi, tu scegli la posizione in cui pensi di poter leggere più comodamente e leggi. FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione, mentre per gli altri non viene mai un tempo in cui conviene cambiare parere. Infatti fanno benefici secondo le loro possibilità non per costrizione, ma spontaneamente, per provvedere nel migliore dei modi alle proprie cose. Inoltre coloro che amano considerano sia ciò che è andato loro male a causa dell'amore, sia i benefici che hanno fatto, e aggiungendo a questo l'affanno che provavano pensano di aver reso già da tempo la degna ricompensa ai loro amati. Invece coloro che non amano non possono addurre come scusa la scarsa cura delle proprie cose per questo motivo, né mettere in conto gli affanni trascorsi, né incolpare gli amati delle discordie con i familiari; sicché, tolti di mezzo tanti mali, non resta loro altro se non fare con premura ciò che pensano sarà loro gradito quando l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di tenere in grande considerazione gli amanti perché dicono di essere amici al sommo grado di coloro che amano e sono pronti sia a parole sia coi fatti a rendersi odiosi agli altri pur di compiacere gli amati, è facile comprendere che, se dicono il vero, terranno in maggior conto quelli di cui si innamoreranno in seguito, ed è chiaro che, se parrà loro il caso, ai primi faranno persino del male. D'altronde come può essere conveniente concedere una cosa del genere a chi ha una disgrazia tale che nessuno, per quanto esperto, potrebbe tentare di allontanare? Essi stessi, infatti, ammettono di essere malati più che assennati, e di sapere che sragionano, ma non sanno dominarsi; di conseguenza, una volta tornati in senno, come potranno credere che vada bene ciò di cui decidono in questa disposizione d'animo? E ancora, se scegliessi il migliore degli amanti, la tua scelta sarebbe tra pochi, se invece scegliessi quello più adatto a te tra gli altri, sarebbe tra molti; perciò c'è molta più speranza che quello degno della tua amicizia si trovi tra i molti. Se poi, secondo l'usanza corrente, temi di guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo venga a sapere, è naturale che gli amanti, credendo di essere invidiati dagli altri così come si invidiano tra loro, si inorgogliscano parlandone e per ambizione mostrino a tutti che non hanno faticato invano; mentre coloro che non amano, essendo più padroni di sé, scelgono ciò che è meglio in luogo della fama presso gli uomini. Inoltre è inevitabile che molti vengano a sapere o vedano gli amanti accompagnare i loro amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando li vedono discorrere tra loro credono che essi stiano insieme o perché il loro desiderio si è realizzato o perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto ad accusare coloro che non amano perché stanno assieme, sapendo che è necessario parlare con qualcuno per amicizia o per qualche altro piacere. E se poi hai paura perché credi sia difficile che un'amicizia perduri, e temi che se sorgesse un dissidio per un altro motivo la sventura sarebbe comune ad entrambi, mentre in questo caso verrebbe un gran danno a te, perché hai gettato via ciò che più di tutto tieni in conto, a maggior ragione dovresti temere coloro che 3  Platone Fedro  amano: molte sono le cose che li affliggono, e credono che tutto accada a loro danno. Per questo allontanano gli amati anche dalla compagnia con gli altri, per timore che quelli provvisti di sostanze li superino in ricchezza, e quelli forniti dì cultura li vincano in intelligenza; in somma, stanno in guardia contro il potere di tutti quelli che possiedono un qualsiasi altro bene. Così , dopo averti indotto a inimicarti queste persone, ti riducono privo di amici, e se badando al tuo interesse sarai più assennato di loro, verrai in discordia con essi. Chi invece non si è trovato a essere nella condizione di amante, ma ha ottenuto grazie alle sue doti ciò che chiedeva, non sarebbe geloso di chi si accompagna a te, anzi odierebbe coloro che rifiutano la tua compagnia, pensando che da costoro sei disprezzato, ma trai beneficio da chi sta assieme a te. Perciò c'è molta più speranza che dalla cosa nasca tra loro amicizia piuttosto che inimicizia. Per di più molti degli amanti hanno desiderio del corpo prima di aver conosciuto il carattere e aver avuto esperienza delle altre qualità individue dell'amato, così che non è loro chiaro se vorranno ancora essere amici quando la loro passione sarà finita; per quanto riguarda invece coloro che non amano, dal momento che erano tra loro amici anche prima di fare questo, non è verosimile che la loro amicizia risulti sminuita dal bene che hanno ricevuto, anzi esso rimane come ricordo di ciò che sarà in futuro. Inoltre ti si addice diventare migliore dando retta a me piuttosto che a un amante. Essi lodano le parole e le azioni dell'amato anche al di là di quanto è bene, da un lato per timore di diventare odiosi, dall'altro perché essi stessi danno giudizi meno retti per via del loro desiderio. Infatti l'amore produce tali effetti: a coloro che non hanno fortuna fa ritenere molesto ciò che agli altri non arreca dolore, mentre spinge coloro che hanno fortuna a elogiare anche ciò che non è degno di piacere, tanto che agli amati si addice più la compassione che l'invidia. Se dai retta a me, innanzitutto starò assieme a te prendendomi cura non solo del piacere presente, ma anche dell'utilità futura, non vinto dall'amore ma padrone di me stesso, senza suscitare una violenta inimicizia per futili motivi, ma irritandomi poco e non all'improvviso per motivi gravi, perdonando le colpe involontarie e cercando di distogliere da quelle volontarie: queste sono prove di un'amicizia che durerà a lungo. Se invece ti sei messo in mente che non possa esistere amicizia salda se non si ama, conviene pensare che non potremmo tenere in gran conto né i figli né i genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici fidati, poiché i vincoli con essi ci sono venuti non da una tale passione, ma da altri rapporti. Inoltre, se si deve compiacere più di tutti chi ne ha bisogno, anche nelle altre cì rcostanze conviene fare benefici non ai migliori, ma ai più indigenti, poiché, liberati da grandissimi mali, serberanno la massima gratitudine ai loro benefattori. E allora anche nelle feste private è il caso di invitare non gli amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di essere sfamato, poiché costoro ameranno i loro benefattori, li seguiranno, verranno alla loro porta, proveranno grandissima gioia, serberanno non poca gratitudine e augureranno loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi è molto bisognoso, ma chi soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo chi chiede, ma chi è degno della cosa; non quanti godranno del fiore della tua giovinezza, ma coloro che anche quando sarai diventato vecchio ti faranno partecipe dei loro beni; non coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne vanteranno con gli altri, ma coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non coloro che hanno cura di te per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo stesso modo per tutta la vita; non coloro che, cessato il desiderio, cercheranno il pretesto per un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della loro virtù quando la tua bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto ti ho detto e considera questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono convinti che questa pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai rimproverato a coloro che non amano di provvedere male ai propri affari per questo motivo. Forse ora mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli che non amano. Ebbene, io credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo atteggiamento con tutti quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la cosa è degna di un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe possibile tenerlo nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da ciò non venga alcun danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è stato detto sia sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia stata tralasciata, interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non è stato pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro, guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo leggevi. E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo, e nel seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! (16) FEDRO: Ma dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io scherzi e che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma dimmi veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra i Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro, forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal momento che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente soltanto all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che neppure Lisia lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia un'opinione diversa, mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi concetti, come se non avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose sullo stesso argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi sembrava pieno di baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le stesse cose prima in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i casi nella maniera migliore. 4  Platone Fedro  FEDRO: Ti sbagli, Socrate: precisamente in questo consiste il discorso. Infatti non ha tralasciato nulla di ciò che meritava d'esser detto in argomento, tanto che nessuno mai saprebbe dire cose diverse e di maggior pregio rispetto a quelle dette. SOCRATE: In questo non potrò più darti retta: uomini e donne antichi e sapienti, che hanno parlato e scritto di queste cose, mi confuteranno, se per farti piacere convengo con te. FEDRO: Chi sono costoro? E dove hai ascoltato cose migliori di queste? SOCRATE: Ora, lì per lì , non so dirlo; ma è chiaro che le ho udite da qualcuno, dalla bella Saffo o dal saggio Anacreonte o da qualche scrittore in prosa.(17) Da cosa lo arguisco per affermare ciò? In qualche modo, divino fanciullo, sento di avere il petto pieno e di poter dire cose diverse dalle sue, e non peggiori. So bene che non ho concepito da me niente di tutto ciò, dato che riconosco la mia ignoranza; allora resta, credo, che da qualche altra fonte io sia stato riempito attraverso l'ascolto come un vaso. Ma per indolenza ho scordato proprio questo, come e da chi le ho udite. FEDRO: Ma hai detto cose bellissime, nobile amico! Neanche se te lo ordino devi riferirmi da chi e come le hai udite, ma metti in atto esattamente il tuo proposito. Hai promesso di dire cose diverse, in maniera migliore e non meno diffusa rispetto a quelle contenute nel libro, astenendoti da queste ultime; quanto a me, io ti prometto che come i nove arconti innalzerò a Delfi una statua d'oro a grandezza naturale, non solo mia ma anche tua.(18) SOCRATE: Sei carissimo e veramente d'oro, Fedro, se pensi che io affermi che Lisia ha sbagliato tutto e che è possibile dire cose diverse da tutte queste; ciò, credo, non potrebbe capitare neanche allo scrittore più scarso. Tanto per incominciare, riguardo all'argomento del discorso, chi credi che, sostenendo che bisogna compiacere coloro che non amano piuttosto che coloro che amano, abbia ancora altro da dire quando abbia tralasciato di lodare l'assennatezza degli uni e biasimare la dissennatezza degli altri, il che appunto è necessario? Ma credo che si debbano concedere e perdonare simili argomenti a chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non l'invenzione, ma la disposizione, mentre degli argomenti non necessari e difficili da trovare è da lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione. FEDRO: Concordo con ciò che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto farò anch'io così: ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più ammalato di chi non ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in maggior quantità e di maggior pregio di queste, ergiti pure come statua lavorata a martello a Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! (19) SOCRATE: L'hai presa sul serio, Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo amato, e credi che io proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più vario a confronto dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai dato l'occasione per un'uguale presa.(20) Ora tu devi parlare assolutamente, così come sei capace, in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da commedianti che si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar fuori quella frase: «Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato anche di me stesso», o quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma tieni bene in mente che non ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò che sostenevi di avere nel petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io sono più forte e più giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti dico»,(21) e vedi di non parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE: Ma beato Fedro, mi coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi argomenti, da profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO: Sai com'è la questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di avere una cosa che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora non dirmela! FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un giuramento. Ti giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano qui? Ebbene, ti giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a questo platano, non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di nessuno. SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere un uomo amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai tanti giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla! SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO: Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così chiamate dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me il racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno, saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto, fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto: bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna 5  Platone Fedro  cosa. Perciò, nella convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio della ricerca e proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si accordano né con se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò che rimproveriamo agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se si debba entrare in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama, stabiliamo di comune accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza abbia; poi, tenendo presente questa definizione e facendovi riferimento, esaminiamo se esso apporta un vantaggio o un danno. Che l'amore sia appunto un desiderio, è chiaro a tutti; che inoltre anche chi non ama desideri le cose belle, lo sappiamo. Da che cosa allora distingueremo chi ama e chi non ama? Occorre poi tenere presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi che ci governano e ci guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno, innato, è il desiderio dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira al sommo bene. Talvolta questi due princì pi dentro di noi si trovano d'accordo, talvolta invece sono in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta l'altro. Pertanto, quando l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e prevale, la sua vittoria ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio trascina fuori di ragione verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene chiamato dissolutezza. La dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di molte membra e molte parti; e quella che tra queste forme si distingue conferisce a chi la possiede il soprannome derivato da essa, che non è né bello né meritevole da acquistarsi. Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla ragione del bene migliore e sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà sì che chi lo possiede venga chiamato con lo stesso nome; quello che tiranneggia nell'ubriachezza e conduce in tale stato chi lo possiede, è chiaro quale epiteto gli toccherà; così , anche per gli altri nomi fratelli di questi che designano desideri fratelli, a seconda di quello che via via signoreggia, è ben evidente come conviene chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato fatto tutto il discorso precedente ormai è pressoché manifesto, ma è assolutamente più chiaro una volta detto che se non viene detto; ebbene, il desiderio irrazionale che ha il sopravvento sull'opinione incline a ciò che è retto, una volta che, tratto verso il piacere della bellezza e corroborato vigorosamente dai desideri a esso congiunti della bellezza fisica, ha prevalso nel suo trasporto prendendo nome dal suo stesso vigore, è chiamato eros».(23) Ma caro Fedro, non sembra anche a te, come a me, che mi trovi in uno stato divino? FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha preso una certa facilità di parola, contrariamente al solito! SOCRATE: Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo sembra veramente divino, percio non meravigliarti se nel prosieguo del discorso sarò spesso invasato dalle Ninfe: le parole che proferisco adesso non sono lontane dai ditirambi.(24) FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la causa. Ma ascolta il resto, poiché forse quello che mi viene alla mente potrebbe andarsene via. A questo provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare col nostro discorso al fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui bisogna prendere decisioni, è stato detto e definito; ora, tenendo presente questo, dobbiamo dire il resto, ossia quale vantaggio o quale danno presumibilmente verrà da uno che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi favori. Per chi è soggetto al desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile rendere l'amato il più possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò che non oppone resistenza è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari a lui è odioso. Così un amante non sopporterà di buon grado un amato superiore o pari a lui, ma vuole sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è l'ignorante rispetto al saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa parlare rispetto a chi ha abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi è d'ingegno acuto. è inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci sono per natura tanti difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri altri, piuttosto che essere privato del piacere del momento. Ed è altresì inevitabile che sia geloso e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da molte altre compagnie vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo, danno che diventa grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie alla quale diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina filosofia, da cui inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di essere disprezzato, così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in modo che sia ignorante di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa condizione l'amato sarebbe fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo danno per se stesso. Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova amore non è in nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve considerare la costituzione del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne diventerà padrone, dato che si trova costretto a inseguire il piacere anziché il bene. Lo si vedrà seguire una persona molle e non vigorosa, non cresciuta alla pura luce del sole ma nella fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di secchi sudori, esperta invece di una vita delicata ed effeminata, ornata di colori e abbellimenti altrui per mancanza dei propri, intenta a tutte quelle attività conseguenti a ciò, che sono evidenti e non meritano ulteriori discussioni. Ma stabiliamo un punto essenziale, e poi passiamo ad altro: per un corpo del genere, in guerra come in tutte le altre occupazioni importanti, i nemici prendono coraggio, gli amici e gli stessi amanti provano timore. Perciò questo punto è da lasciar perdere, dato che è evidente, e bisogna passare invece a quello successivo, cioè quale vantaggio o quale danno arrecherà ai nostri beni la compagnia e la protezione di chi ama. è chiaro a chiunque, ma soprattutto all'amante, che egli si augurerebbe più d'ogni altra cosa che l'amato fosse orbo dei beni più cari, più preziosi e più divini; accetterebbe che rimanesse privo di padre, madre, parenti e amici, ritenendoli causa d'impedimento e biasimo della dolcissima compagnia che ha con lui. E se possiede sostanze in oro o altri beni, egli penserà che non sia facile da conquistare né, una volta conquistato, trattabile; ne consegue inevitabilmente che l'amante provi gelosia se l'oggetto del suo amore possiede delle sostanze, e gioisca se le perde. Inoltre l'amante si augurerà che l'amato sia senza moglie, senza figli e senza casa il più a lungo possibile, poiché brama di cogliere il più a lungo possibile il frutto della 6  Platone Fedro  sua dolcezza. Ci sono altri mali ancora, ma un dio ha mescolato alla maggior parte di essi un piacere momentaneo; per esempio all'adulatore, bestia terribile e fonte di grande danno, la natura ha comunque mescolato un piacere non privo di gusto. E così qualcuno può biasimare come rovinosa un'etera o molte altre creature e attività del genere, che almeno per un giorno possono essere occasione di grandissimo piacere; ma per l'amato la compagnia quotidiana dell'amante, oltre al danno che arreca, è la cosa di tutte più spiacevole. Infatti, come recita l'antico proverbio, il coetaneo si diletta del coetaneo (credo infatti che l'avere gli stessi anni conduca agli stessi piaceri e procuri amicizia in virtù della somiglianza); tuttavia anche il loro stare insieme genera sazietà. Inoltre si dice che la costrizione è pesante per chiunque in qualsiasi circostanza: ed è proprio questo il rapporto che, oltre alla differenza d'età, l'amante ha con il suo amato. Infatti, quando uno più vecchio sta assieme a uno più giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né di notte, ma è tormentato da una necessità e da un pungolo che lo conduce a destra e a manca procurandogli di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare l'amato e a provare tutto ciò che lui prova, sì da mettersi strettamente e con piacere al suo servizio. Ma quale conforto o quali piaceri darà all'amato per evitare che questi, stando con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al colmo del disgusto? Quando quello vedrà un volto invecchiato e non più in fiore, con tutte le conseguenze già spiacevoli da udire a parole, per non parlare poi se ci si trova nella necessità di avere a che fare con esse; quando dovrà guardarsi in ogni momento e con tutti da custodi sospettosi e sentirà elogi inopportuni ed esagerati, come anche insulti già insopportabili se l'amante è sobrio, vergognosi oltre ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a una libertà di linguaggio stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e dannoso e spiacevole, una volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il tempo a venire, in prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte promesse condite di infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza di beni futuri, a mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E allora, quando bisogna pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato padrone e signore, e assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e follia, è divenuto un altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi, ricordandosi di quanto era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con la stessa persona, chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello per la vergogna non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come mantenere i giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria precedente, dato che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non ridiventare simile a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di prima, facendo le stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante di prima ora è di necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato e si dà alla fuga.(25) L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le imprecazioni, poiché non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non avrebbe mai dovuto compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben più chi non ama ed è assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una persona infida, difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le proprie ricchezze, dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più assoluto per l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai ci sarà cosa di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto, ragazzo, bisogna intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante non nasce assieme alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi; come i lupi amano gli agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo è quanto, Fedro. Non mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il discorso. FEDRO: Eppure io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso uguali parole per chi non ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e indicando quanti beni ne derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non ti sei accorto, beato, che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi, proprio mentre muovo questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa credi che farò? Non lo sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle quali tu mi hai gettato deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico che quanti sono i mali che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad essi opposti, che si trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo discorso? Di entrambi si è detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che gli spetta; e io, attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di essere costretto da te a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate, non prima che sia passata la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno, l'ora che viene chiamata immota? Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo detto; non appena farà più fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi sei divino, Fedro, e semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i discorsi prodotti durante la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te, o perché li pronunci di persona o perché costringi in qualche modo altri a pronunciarli (faccio eccezione per Simmia il Tebano, (26) ma gli altri li vinci di gran lunga). E ora mi sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo discorso. FEDRO: Allora non mi dichiari guerra! Ma come, e qual è questo discorso? SOCRATE: Quando stavo per attraversare il fiume, caro amico, si è manifestato quel segno divino che è solito manifestarsi a me e che mi trattiene sempre da ciò che sto per fare. E mi è parso di udire proprio da lì una certa voce che non mi permette di andare via prima d'essermi purificato, come se avessi commesso qualche colpa verso la divinità. In effetti sono un indovino, per la verità non molto bravo, ma, come chi sa a malapena scrivere, valido solo per me stesso; perciò comprendo chiaramente qual è la colpa. Perché anche l'anima, caro amico, ha un che di divinatorio; infatti mi ha turbato anche prima, mentre pronunciavo il discorso, e in qualche modo temevo, come dice Ibico, che «commesso un fallo» nei confronti degli dèi «consegua fama invece tra gli umani».(27) Ma ora mi sono reso conto della colpa. FEDRO: Che cosa dici? 7  Platone Fedro  SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è il discorso che tu hai portato, come quello che poi mi hai costretto a dire! FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e sotto un certo aspetto empio. Quale discorso potrebbe essere più terribile di questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il vero. SOCRATE: E allora? Non credi che Eros sia figlio di Afrodite e sia una creatura divina? FEDRO: Così almeno si dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia, né dal tuo discorso, che è stato pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da te. E se Eros è, come appunto è, un dio o un che di divino, non sarebbe affatto un male, e invece i due discorsi pronunciati ora su di lui ne parlavano come se fosse un male; in questo dunque hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros. Inoltre la loro semplicità è proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano né di vero si danno delle arie come se fossero chissà cosa, se ingannando alcuni omiciattoli troveranno fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho la necessità di purificarmi; per coloro che commettono delle colpe nei confronti del mito c'è un antico rito purificatorio, che Omero non conobbe, ma Stesicoro sì . Costui infatti, privato della vista per aver diffamato Elena, non ne ignorò la causa come Omero, ma da amante alle Muse quale era la capì e subito compose questi versi: Questo discorso non è veritiero, non navigasti sulle navi ben costrutte, non arrivasti alla troiana Pergamo.(28) E dopo aver composto l'intero carme chiamato Palinodia gli tornò immediatamente la vista. Io pertanto sarò più saggio di loro almeno sotto questo aspetto: prima di incorrere in un male per aver diffamato Eros tenterò di offrirgli in cambio la mia palinodia, col capo scoperto e non velato come allora per la vergogna. FEDRO: Non avresti potuto dirmi cose più dolci di queste, Socrate. SOCRATE: Veramente, caro Fedro, tu intendi con quale impudenza siano stati pronunciati i due discorsi, il mio e quello ricavato dal libro. Se un uomo dall'indole nobile e affabile, che fosse innamorato di uno come lui o lo fosse stato in precedenza, ci ascoltasse mentre diciamo che gli amanti sollevano grandi inimicizie per futili motivi e sono gelosi e dannosi nei confronti dei loro amati, non credi che avrebbe l'impressione di ascoltare persone allevate in mezzo ai marinai e che non hanno mai visto un amore libero, e sarebbe ben lungi dal convenire con noi sui rimproveri che muoviamo ad Eros? FEDRO: Per Zeus, forse sì , Socrate. SOCRATE: Io dunque, per vergogna nei suoi confronti e per timore dello stesso Eros, desidero sciacquarmi dalla salsedine che impregna il mio udito con un discorso d'acqua dolce; e consiglio anche a Lisia di scrivere il più in fretta possibile che, a parità di condizioni, conviene compiacere più un amante che chi non ama. FEDRO: Ma sappi bene che sarà così : quando avrai pronunciato l'elogio dell'amante, sarà inevitabile che Lisia venga costretto da me a scrivere un altro discorso sullo stesso argomento. SOCRATE: Confido in ciò, finché sarai quello che sei. FEDRO: Fatti coraggio, dunque, e parla. SOCRATE: Dov'è il ragazzo a cui parlavo? Faccia in modo di ascoltare anche questo discorso e non conceda con troppa fretta i suoi favori a chi non ama per non aver udito le mie parole. FEDRO: Questo ragazzo è accanto a te, molto vicino, ogni qualvolta tu voglia. SOCRATE: Allora, mio bel ragazzo, tieni presente che il discorso di prima era di Fedro figlio di Pitocle, del demo di Mirrinunte, mentre quello che mi accingo a dire è di Stesicoro di Imera, figlio di Eufemo. Bisogna dunque parlare così : «Non è veritiero il discorso secondo il quale anche in presenza di un amante si deve piuttosto compiacere chi non ama, per il fatto che l'uno è in preda a "mania", l'altro è assennato. Se infatti l'essere in preda a mania fosse un male puro e semplice, sarebbe ben detto; ora però i beni più grandi ci vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona,(29) quando erano prese da mania, procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati, mentre quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della Sibilla (30) e di tutti gli altri che, avvalendosi dell'arte mantica ispirata da un dio, con le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. Merita certamente di essere addotto come testimonianza il fatto che tra gli antichi coloro che coniavano i nomi non ritenevano la mania una cosa vergognosa o riprovevole; altrimenti non avrebbero chiamato "manica" l'arte più bella, con la quale si discerne il futuro, applicandovi proprio questo nome. Ma considerandola una cosa bella quando nasca per sorte divina, le imposero questo nome, mentre gli uomini d'oggi, inesperti del bello, aggiungendo la "t" l'hanno chiamata "mantica". Così anche la ricerca del futuro che fanno gli uomini assennati mediante il volo degli uccelli e gli altri segni del cielo, dal momento che tramite l'intelletto procurano assennatezza e cognizione alla "oiesi", cioè alla credenza umana, la denominarono "oionoistica", mentre i contemporanei, volendola nobilitare con la "o" lunga, la chiamano oionistica.(31) Perciò, quanto più l'arte mantica è perfetta e onorata della oionistica, e il nome e l'opera dell'una rispetto al nome e all'opera dell'altra, tanto più bella, secondo la testimonianza degli antichi, è la mania che viene da un dio rispetto all'assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie e dalle pene più gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi, attraverso purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il tempo presente e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per chi era in preda a mania e invasamento divino nel modo giusto. Al terzo posto vengono l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di un'anima tenera e pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e altri componimenti poetici, e celebrando innumerevoli opere degli antichi educano i posteri. Chi invece giunge alle porte della poesia senza 8  Platone Fedro  la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente grazie all'arte, resta incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da quella di chi si trova in preda a mania. Queste, e altre ancora, sono le belle opere di una mania proveniente dagli dèi che ti posso elencare. Pertanto non dobbiamo aver paura di ciò, né deve sconvolgerci un discorso che cerchi di intimorirci asserendo che si deve preferire come amico l'uomo assennato a quello in stato di eccitazione; ma il mio discorso dovrà riportare la vittoria dimostrando, oltre a quanto detto prima, che l'amore non è inviato dagli dèi all'amante e all'amato perché ne traggano giovamento. Noi dobbiamo invece dimostrare il contrario, cioè che tale mania è concessa dagli dèi per la nostra più grande felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i valent'uomini, ma lo sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna intendere la verità riguardo alla natura dell'anima divina e umana, considerando le sue condizioni e le sue opere. L'inizio della dimostrazione è il seguente. Ogni anima è immortale. Infatti ciò che sempre si muove è immortale, mentre ciò che muove altro e da altro è mosso termina la sua vita quando termina il suo movimento. Soltanto ciò che muove se stesso, dal momento che non lascia se stesso, non cessa mai di muoversi, ma è fonte e principio di movimento anche per tutte le altre cose dotate di movimento. Il principio però non è generato. Infatti è necessario che tutto ciò che nasce si generi da un principio, ma quest'ultimo non abbia origine da qualcosa, poiché se un principio nascesse da qualcosa non sarebbe più un principio. E poiché non è generato, è necessario che sia anche incorrotto; infatti, se un principio perisce, né esso nascerà da qualcosa né altra cosa da esso, dato che ogni cosa deve nascere da un principio. Così principio di movimento è ciò che muove se stesso. Esso non può né perire né nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la terra, riuniti in corpo unico, resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da cui ricevere di nuovo nascita e movimento. Una volta stabilito che ciò che si muove da sé è immortale, non si proverà vergogna a dire che proprio questa è l'essenza e la definizione dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in movimento proviene dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà proviene dall'interno, cioè da se stesso, è animato, poiché la natura dell'anima è questa; ma se è così , ovvero se ciò che muove se stesso non può essere altro che l'anima, di necessità l'anima sarà ingenerata e immortale. Sulla sua immortalità si è detto a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire quanto segue. Spiegare quale sia, sarebbe proprio di un'esposizione divina sotto ogni aspetto e lunga, dire invece a che cosa assomigli, è proprio di un'esposizione umana e più breve; parliamone dunque in questa maniera. Si immagini l'anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga.(32) I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo ora in una forma, ora nell'altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo, se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non s'aggrappa a qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale. Viceversa ciò che è immortale non può essere spiegato con un solo discorso razionale, ma senza averlo visto e inteso in maniera adeguata ci figuriamo un dio, un essere vivente e immortale, fornito di un'anima e di un corpo eternamente connaturati. Ma di queste cose si pensi e si dica così come piace al dio; noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita delle ali, per la quale esse si staccano dall'anima. E la causa è all'incirca questa. La potenza dell'ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo dove abita la stirpe degli dèi, e in certo modo partecipa del divino più di tutte le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente, buono, e tutto ciò che è tale; da queste qualità l'ala dell'anima e nutrita e accresciuta in sommo grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò che è brutto, cattivo e contrario ad esse. Zeus, il grande sovrano che è in cielo, procede per primo alla guida del carro alato, dà ordine a tutto e di tutto si prende cura; lo segue un esercito di dèi e di demoni, ordinato in undici schiere. La sola Estia resta nella dimora degli dèi; quanto agli altri dèi, quelli che in numero di dodici sono stati posti come capi guidano ciascuno la propria schiera secondo l'ordine assegnato.(33) Molte e beate sono le visioni e i percorsi entro il cielo, per i quali si volge la stirpe degli dèi eternamente felici, adempiendo ciascuno il proprio compito. E tiene dietro a loro chi sempre lo vuole e lo può; infatti l'invidia sta fuori del coro divino. Quando poi vanno a banchetto per nutrirsi, procedono in ardua salita verso la sommità della volta celeste, dove i carri degli dèi, ben equilibrati e agili da guidare, procedono facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo che partecipa del male si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso l'auriga che non l'ha allevato bene. Qui all'anima si presenta la fatica e la prova suprema. Infatti quelle che sono chiamate immortali, una volta giunte alla sommità, procedono al di fuori posandosi sul dorso del cielo, la cui rotazione le trasporta in questa posa, mentre esse contemplano ciò che sta fuori del cielo. Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai cantato né mai canterà in modo degno il luogo iperuranio.(34) La cosa sta in questo modo (bisogna infatti avere il coraggio di dire il vero, tanto più se si parla della verità): l'essere che realmente è, senza colore, senza forma e invisibile, che può essere contemplato solo dall'intelletto timoniere dell'anima e intorno al quale verte il genere della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio è nutrita da un intelletto e da una scienza pura, anche quella di ogni anima cui preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo l'essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione ciclica del cielo non l'abbia riportata allo stesso punto. Nel giro che essa compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la scienza, 9  Platone Fedro  non quella cui è connesso il divenire, e neppure quella che in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da quelle che ora noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che è realmente essere; e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri che realmente sono e se ne è saziata, si immerge nuovamente all'interno del cielo e fa ritorno alla sua dimora. Una volta arrivata l'auriga, condotti i cavalli alla mangiatoia, mette innanzi a loro ambrosia e in più dà loro da bere del nettare. Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l'una, seguendo nel migliore dei modi il dio e rendendosi simile a lui, solleva il capo dell'auriga verso il luogo fuori del cielo e viene trasportata nella sua rotazione, ma essendo turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l'altra ora solleva il capo, ora piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a forza riesce a vedere alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che aspirano tutte quante a salire in alto, ma non essendone capaci vengono sommerse e trasportate tutt'intorno, calpestandosi tra loro, accalcandosi e cercando di arrivare una prima dell'altra. Nasce così una confusione e una lotta condita del massimo sudore, nella quale per lo scarso valore degli aurighi molte anime restano azzoppate, e a molte altre si spezzano molte penne; tutte, data la grande fatica, se ne partono senza aver raggiunto la contemplazione dell'essere e una volta tornate indietro si nutrono del cibo dell'opinione. La ragione per cui esse mettono tanto impegno per vedere dov'è sita la pianura della verità è questa: il cibo adatto alla parte migliore dell'anima viene dal prato che si trova là, e di esso si nutre la natura dell'ala con cui l'anima si solleva in volo. Questa è la legge di Adrastea.(35) L'anima che, divenuta seguace del dio, abbia visto qualcuna delle verità, non subisce danno fino al giro successivo, e se riesce a fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non riuscendo a tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente, riempitasi di oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda le ali e cada sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna natura animale nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo o amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto ad amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore ai misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro che si occupano dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano o di un contadino, all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del popolo, alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la vita secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto contro giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo donde è venuta per diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo periodo di tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza inganno o ha amato i fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro di mille anni, se hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita, rimettono in questo modo le ali e al compiere dei tremila anni tornano indietro. Quanto alle altre, quando giungono al termine della prima vita tocca loro un giudizio, e dopo essere state giudicate le une vanno nei luoghi di espiazione sotto terra a scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla Giustizia in un luogo del cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente alla vita che vissero in forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre, giunte al sorteggio e alla scelta della seconda vita, scelgono quella che ciascuna vuole: qui un'anima umana può anche finire in una vita animale, e chi una volta era stato uomo può ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non ha mai visto la verità non giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve comprendere in funzione di ciò che viene detto idea, e che muovendo da una molteplicità di sensazioni viene raccolto dal pensiero in unità; questa è la reminiscenza delle cose che un tempo la nostra anima vide nel suo procedere assieme al dio, quando guardò dall'alto ciò che ora definiamo essere e levò il capo verso ciò che realmente è. Perciò giustamente solo l'anima del filosofo mette le ali, poiché grazie al ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è sempre rivolta alle entità in virtù delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo che si avvale rettamente di tali reminiscenze, essendo sempre iniziato a misteri perfetti, diventa lui solo realmente perfetto; dato però che si distacca dalle occupazioni degli uomini e si fa accosto al divino, è ripreso dai più come se delirasse, ma sfugge ai più che è invasato da un dio. Questo dunque è il punto d'arrivo di tutto il discorso sulla quarta forma di mania, quella per cui uno, al vedere la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza mette nuove ali e desidera levarsi in volo, ma non essendone capace guarda in alto come un uccello, senza curarsi di ciò che sta in basso, e così subisce l'accusa di trovarsi in istato di mania: di tutte le ispirazioni divine questa, per chi la possiede e ha comunanza con essa, è la migliore e deriva dalle cose migliori, e chi ama le persone belle e partecipa di tale mania è chiamato amante. Infatti, come si è detto, ogni anima d'uomo per natura ha contemplato gli esseri, altrimenti non si sarebbe incarnata in un tale vivente. Ma ricordarsi di quegli esseri procedendo dalle cose di quaggiù non è alla portata di ogni anima, né di quelle che allora videro gli esseri di lassù per breve tempo, né di quelle che, cadute qui, hanno avuto una cattiva sorte, al punto che, volte da cattive compagnie all'ingiustizia, obliano le sacre realtà che videro allora. Ne restano poche nelle quali il ricordo si conserva in misura sufficiente: queste, qualora vedano una copia degli esseri di lassù, restano sbigottite e non sono più in sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano, perché non ne hanno percezione sufficiente. Così della giustizia, della temperanza e di tutte le altre cose che hanno valore per le anime non c'è splendore alcuno nelle copie di quaggiù, ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini, contemplano a fatica, attraverso i loro organi ottusi, la matrice del modello riprodotto. Allora invece si poteva vedere la bellezza nel suo splendore, quando in un coro felice, noi al seguito di Zeus, altri di un altro dio, godemmo di una visione e di una contemplazione beata ed eravamo iniziati a quello che è lecito chiamare il più beato dei misteri, che celebravamo in perfetta integrità e immuni dalla prova di tutti quei mali che dovevano attenderci nel tempo a venire, contemplando nella nostra iniziazione mistica visioni perfette, semplici, immutabili e 10  Platone Fedro  beate in una luce pura, poiché eravamo purì e non rinchiusi in questo che ora chiamiamo corpo e portiamo in giro con noi, incatenati dentro ad esso come un'ostrica. Queste parole siano un omaggio al ricordo, in virtù del quale, per il desiderio delle cose d'allora, ora si è parlato piuttosto a lungo. Quanto alla bellezza, come si è detto, essa brillava tra le cose di lassù come essere, e noi, tornati qui sulla terra, l'abbiamo colta con la più vivida delle nostre sensazioni, in quanto risplende nel modo più vivido. Per noi infatti la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci permette di vedere la saggezza (poiché susciterebbe terribili amori, se giungendo alla nostra vista le offrisse un'immagine di sé così splendente) e le altre realtà degne d'amore. Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò che più di tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o è corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e a generare figli a mo' di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato di recente e ha contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto d'aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo amato come a una statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione provocata dai brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell'ala si abbevera. Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto donde l'ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le impedivano di fiorire. Così , grazie all'afflusso del nutrimento, lo stelo dell'ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la prova anche l'anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l'anima, mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d'amore) (36) e ne viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l'ala si disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso dentro assieme al flusso d'amore, pulsando come le arterie pizzica nei condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che l'anima, pungolata tutt'intorno, è presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della bellezza si allieta. In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l'anima è turbata per la stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d'uscita comincia a smaniare; ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte né di giorno restare ferma dov'è, ma corre in preda al desiderio dove crede di poter vedere colui che possiede la bellezza: e una volta che l'ha visto e si è imbevuta del flusso d'amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti, riprende fiato e cessa di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento presente, il frutto di questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di sua volontà e non tiene in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di madri, fratelli e di tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue sostanze vanno in rovina perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le consuetudini e le convenienze di cui si ornava prima d'allora ed è disposta a servire l'amato e a giacere con lui ovunque gli sia concesso di stare il più vicino possibile al suo desiderio; infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in colui che possiede la bellezza l'unico medico dei suoi più grandi travagli. A questa passione cui si rivolge il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini danno il nome di eros, gli dèi invece la chiamano in un modo che a sentirlo, data la tua giovane età, ti metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi citano due versi, credo presi da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali è piuttosto insolente e non del tutto corretto come metro; essi suonano così : I mortali lo chiamano Eros alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere l'ali.(37) A questi versi si può credere oppure non credere; non di meno la causa e la sensazione di chi ama è proprio questa. Ora, se chi è stato colto da Eros era uno dei seguaci di Zeus, riesce a sopportare con più fermezza il peso del dio che trae il nome dalle ali; quelli che erano al servizio di Ares e giravano il cielo assieme a lui, quando sono presi da Eros e pensano di subire qualche torto dall'amato, sono sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il proprio amore. Così ciascuno conduce la sua vita in base al dio del cui coro era seguace, onorandolo e imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta incorrotto e vive la prima esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e ha relazione con gli amati e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra i belli il suo Eros secondo il proprio carattere, e come fosse un dio gli edifica una specie di statua e l'abbellisce per onorarla e tributarle riti. I seguaci di Zeus cercano il loro amato in chi ha l'anima conforme al loro dio:(38) pertanto guardano se per natura sia filosofo e atto al comando, e quando l'hanno trovato e ne se sono innamorati, fanno di tutto affinché sia effettivamente tale. E se prima non si erano impegnati in un'occupazione del genere, da quel momento vi mettono mano e imparano da dove è loro possibile, continuando poi anche da soli, e seguendo le tracce riescono a trovare per loro conto la natura del proprio dio, perché sono stati intensamente costretti a volgere lo sguardo verso di lui; e quando entrano in contatto con lui sono presi da invasamento e tramite il ricordo ne assumono le abitudini e le occupazioni, per quanto è possibile a un uomo partecipare della natura di un dio. E poiché ne attribuiscono la causa all'amato, lo tengono ancora più caro, e sebbene attingano da Zeus come le Baccanti,(39) riversando ciò che attingono nell'anima dell'amato lo rendono il più possibile simile al loro dio. Coloro che invece erano al seguito di Era cercano un'anima regale, e trovatala fanno per lei esattamente le stesse cose. Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno degli altri dèi, procedendo secondo il loro dio, bramano che il proprio fanciullo abbia un'uguale natura, e una volta che se lo sono procurato imitano essi stessi il dio e con la persuasione e 11  Platone Fedro  l'ammaestramento portano l'amato ad assumere l'attività e la forma di quello, ciascuno per quanto può; e lo fanno senza comportarsi nei confronti dell'amato con gelosia o con rozza malevolenza, ma cercando di indurlo alla somiglianza più completa possibile con se stessi e con il dio che onorano. Dunque l'ardore e l'iniziazione di coloro che veramente amano, se ottengono ciò che desiderano nel modo che dico, diventano così belle e felici per chi è amato, qualora venga conquistato dall'amico che si trova in stato di mania per amore; e chi è conquistato cede all'amore in questo modo. Come all'inizio dì questa narrazione in forma di mito abbiamo diviso ciascuna anima in tre parti, due con forma di cavallo, la terza con forma di auriga, questa distinzione resti per noi un punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli diciamo che è buono, l'altro no: quale sia però la virtù di quello buono e il vizio di quello cattivo, non l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque, quello tra i due che si trova nella disposizione migliore è di forma eretta e ben strutturata, di collo alto e narici adunche, bianco a vedersi, con gli occhi neri, amante dell'onore unito a temperanza e pudore e compagno della fama veritiera, non ha bisogno di frusta e si lascia guidare solo con lo stimolo e la parola; l'altro invece è storto, grosso, mal conformato, di collo massiccio e corto, col naso schiacciato, il pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di sangue, compagno di tracotanza e vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede a fatica alla frusta e agli speroni. Quando dunque l'auriga, scorgendo la visione amorosa, prende calore in tutta l'anima per la sensazione che prova ed è ricolmo di solletico e dei pungoli del desiderio, il cavallo che obbedisce docilmente all'auriga, tenuto a freno, allora come sempre, dal pudore, si trattiene dal balzare addosso all'amato; l'altro invece non cura più né i pungoli dell'auriga né la frusta, ma imbizzarrisce e si lancia al galoppo con violenza, e procurando ogni sorta di molestie al compagno di giogo e all'auriga li costringe a dirigersi verso l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri d'amore. All'inizio essi si oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti ad azioni terribili e inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al male, si lasciano trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare quanto viene loro ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione folgorante dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla natura della bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo assieme alla temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che le porta cade supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le redini così forte che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno, spontaneamente perché non recalcitra, quello protervo decisamente contro voglia. Ritiratisi più lontano, l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta l'anima di sudore, l'altro, cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla caduta, a fatica riprende fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare, coprendo di male parole l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e debolezza hanno abbandonato il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di nuovo ad avanzare contro la loro volontà a stento cede alle loro preghiere di rimandare a un'altra volta. Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi fingono di non ricordarsene, lo rammenta a loro con la forza, nitrendo e trascinandoli con sé, e li obbliga ad accostarsi di nuovo all'amato per fare i medesimi discorsi; e quando sono vicini tende la testa in avanti e rizza la coda, mordendo il freno, e li trascina con impudenza. L'auriga, sentendo ancora più intensamente la stessa impressione di prima, come respinto dalla fune al cancello di partenza, tira indietro ancora più forte il morso dai denti del cavallo protervo, insanguina la lingua maldicente e le mascelle e piegandogli a terra le gambe e le cosce lo dà in preda ai dolori. Quando poi il cavallo malvagio, subendo la medesima cosa più volte, desiste dalla sua tracotanza, umiliato segue ormai il proposito dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo, muore dalla paura; di conseguenza accade che a questo punto l'anima dell'amante segua l'amato con pudicizia e timore. Poiché dunque l'amato, come un essere pari agli dèi, è oggetto di ogni venerazione da parte dell'amante che non simula, ma prova veramente questo sentimento, ed è egli stesso per natura amico di chi lo venera, se anche in precedenza fosse stato ingannato dalle persone che frequentava o da altre, le quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a chi ama, e per questo motivo avesse respinto l'amante, ora, col passare del tempo, l'età e la necessità lo inducono ad ammetterlo alla sua compagnia; infatti non accade mai che un malvagio sia amico di un malvagio, né che un buono non sia amico di un buono. E dopo averlo ammesso presso di sé e avere accettato di parlare con lui e stare in sua compagnia, la benevolenza dell'amante, manifestandosi da vicino, colpisce l'amato, il quale si avvede che tutti gli altri amici e parenti non offrono neppure una parte di amicizia a confronto dell'amico ispirato da un dio. Quando poi questi continua a fare ciò nel tempo e si accompagna all'amato incontrandolo nei ginnasi e negli altri luoghi di ritrovo, allora la fonte di quei flusso che Zeus, innamorato di Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore, scorrendo in abbondanza verso l'amante dapprima penetra in lui, poi, quando ne è ricolmo, scorre fuori; e come un soffio di vento o un'eco, rimbalzando da corpi lisci e solidi, ritornano là dov'erano partiti, così il flusso della bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso gli occhi, e di qui per sua natura arriva all'anima. Quando vi è giunto la incoraggia a volare, quindi irriga i condotti delle ali e comincia a farle crescere, e così riempie d'amore anche l'anima dell'amato. Pertanto egli ama, ma non sa che cosa; e neppure è a conoscenza di cosa prova né è in grado di dirlo, ma come chi ha contratto una malattia agli occhi da un altro non è in grado di spiegarne la causa, così egli non si accorge di vedere se stesso nell'amante come in uno specchio. E in presenza di questi, il suo dolore cessa esattamente come a lui, se invece è assente allo stesso modo di lui desidera ed è desiderato, perché reca in sé una sembianza d'amore che dell'amore è sostituto: però non lo chiama e non lo crede amore, bensì amicizia. Più o meno come l'amante, ma in misura più debole, desidera vederlo, toccarlo, baciarlo, giacere con lui; e com'è naturale, in seguito non tarda a fare cio. Quando dunque giacciono insieme, il cavallo sfrenato dell'amante ha di che dire all'auriga, e pretende di trarre un piccolo guadagno in cambio di tante fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da dire, ma, gonfio di desiderio e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante, manifestandogli affetto per la sua grande benevolenza. Così , nel momento in cui si congiungono, non è più tale da rifiutare di compiacere da parte sua l'amante, se viene pregato di soddisfare; ma il compagno di giogo assieme all'auriga 12  Platone Fedro  si oppone a ciò, obbedendo al pudore e alla ragione. Se dunque prevalgono le parti migliori dell'animo, quelle che guidano a un'esistenza ordinata e alla filosofia, essi trascorrono la vita di quaggiù in modo beato e concorde, poiché sono padroni di sé e ben regolati, avendo sottomesso ciò in cui nasce il male dell'anima e liberato ciò in cui nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e leggeri, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche, di cui né la temperanza umana né la mania divina possono fornire all'uomo un bene più grande.(41) Se invece seguono un genere di vita piuttosto grossolano e privo di filosofia, ma ambizioso, forse, in stato di ubriachezza o in qualche altro momento di negligenza, i loro due compagni di giogo sfrenati, cogliendo le anime alla sprovvista e portandole nella stessa direzione, possono compiere la scelta che tanti considerano la più beata e mandarla ad effetto; e una volta che l'hanno mandata ad effetto, se ne avvalgono anche in futuro, ma raramente, poiché fanno cose che non sono approvate da tutta l'anima. Anche costoro vivono in amicizia reciproca, ma meno di quelli, sia durante l'amore sia quando ne sono usciti, credendo di essersi dati l'un l'altro e di aver ricevuto i più grandi pegni, che non è lecito sciogliere perché ciò condurrebbe all'inimicizia. Al termine della vita escono dal corpo senz'ali, ma col desiderio di metterle, cosicché riportano un premio non piccolo della loro mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali hanno già iniziato il cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella tenebra e camminino sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e felice compiendo il viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati rimettano le ali assieme per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così divini, o fanciullo, ti darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la compagnia di chi non ama, mescolata con temperanza mortale, capace di amministrare cose mortali e misere, dopo aver generato nell'anima amata una bassezza lodata dal volgo come virtù, la farà girare priva di senno attorno alla terra e sotto terra per novemila anni. Questa, caro Eros, per le nostre facoltà, è la più bella e virtuosa palinodia che abbiamo potuto offrirti in dono e in espiazione, costretta a causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al resto, anche con alcune parole poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose di prima e serba gratitudine per queste, e, benevolo e propizio, non togliermi e non storpiarmì per la collera l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi di essere in onore tra i bei fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso precedente io e Fedro abbiamo detto qualcosa che a te suona stonata, attribuiscine la colpa a Lisia, che del discorso è padre, e fallo desistere da simili prolusioni, volgendolo alla filosofia come si è volto suo fratello Polemarco,(42) affinché anche questo suo amante non sia nel dubbio come ora, ma dedichi senz'altro la sua vita ad Eros in compagnia di discorsi filosofici. FEDRO: Mi unisco alla tua preghiera, Socrate: se questo è meglio per noi, che avvenga. Da un pezzo ho ammirato il tuo discorso per quanto l'hai reso più bello del precedente; quindi temo che Lisia mi appaia misero, quand'anche voglia opporre ad esso un altro discorso. Recentemente infatti, mirabile amico, un politico lo biasimava criticandolo proprio per questo, e in tutta la sua critica lo chiamava logografo;(43) perciò forse si tratterrà per ambizione dallo scrivercene un altro. SOCRATE: Ragazzo, la tua opinione è ridicola, e quanto al tuo compagno sbagli di grosso, se credi che si spaventi così al minimo rumore. Ma forse pensi che chi lo biasimava dicesse quello che ha detto proprio per criticarlo. FEDRO: Così pareva, Socrate; del resto sei anche tu conscio che coloro che nelle città hanno il massimo potere e la massima reverenza si vergognano a scrivere discorsi e a lasciare propri scritti, temendo l'opinione dei posteri, cioè di essere chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei scordato, Fedro, che la dolce ansa ha preso il nome dalla lunga ansa del Nilo (44) e oltre all'ansa dimentichi che gli uomini di governo piu assennati amano tantissimo comporre discorsi e lasciare propri scritti, almeno quelli che, quando scrivono un discorso, apprezzano a tal punto chi li loda da aggiungere in testa per primi i nomi di quelli che li devono lodare in ogni singola occasione. FEDRO: In che senso dici ciò? Non capisco. SOCRATE: Non capisci che all'inizio del discorso di un uomo politico per primo viene scritto il nome di chi lo loda! FEDRO: E come? SOCRATE: «Il consiglio ha deciso», dice più o meno, ovvero «il popolo ha deciso», o entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha detto» (e qui lo scrittore cita se stesso con grande reverenza e si fa l'elogio). Poi si mette a parlare, mostrando a chi lo loda la sua abilità, talvolta dopo aver composto uno scritto assai lungo. O ti pare che una cosa del genere sia altro che un discorso scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE: Quindi, se il discorso regge, l'autore esce di scena tutto lieto; se invece viene escluso e radiato dallo scrivere discorsi e dall'essere degno di scriverli, piangono lui e i suoi compagni. FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è chiaro dunque che non disprezzano questa attività, ma l'ammirano. FEDRO: Sicuro! SOCRATE: E allora? Quando un retore o un re è in grado di raggiungere la potenza di Licurgo, di Solone o di Dario (45) e di diventare un logografo immortale nella sua città, non si crede forse egli stesso pari agli dèi mentre ancora vive, e i posteri non pensano di lui la stessa cosa, contemplando i suoi scritti? FEDRO: Certamente! SOCRATE: Credi allora che uno di costoro, chiunque sia e in qualunque modo sia ostile a Lisia, lo biasimi proprio perché scrive discorsi? 13  Platone Fedro  FEDRO: Non è verosimile, da ciò che dici, poiché a quanto pare criticherebbe anche il proprio desiderio. SOCRATE: Allora è chiaro a tutti che non è cosa turpe in sé lo scrivere discorsi. FEDRO: Ma certo. SOCRATE: Ora però io ritengo turpe questo, il pronunciarli e scriverli in modo non bello, ma riprovevole e disonesto. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: E allora qual è il modo di scriverli bene e quale il modo contrario? Abbiamo bisogno, Fedro, di esaminare a questo proposito Lisia e chiunque altro abbia mai composto o comporrà uno scritto sia pubblico sia privato, in versi come un poeta o non in versi come un prosatore? FEDRO: Chiedi se ne abbiamo bisogno? E per quale ragione uno, oserei dire, vivrebbe, se non per i piaceri di questo tipo? Non certo per quelli per cui bisogna prima soffrire, altrimenti non si prova godimento, come sono quasi tutti i piaceri del corpo, che per questo motivo sono stati giustamente chiamati servili. SOCRATE: Tempo ne abbiamo, a quanto pare. E poi mi sembra che in questa calura soffocante le cicale, cantando sopra la nostra testa e discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se dunque vedessero che anche noi due, come fanno i più a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo e ci lasciamo incantare da loro per pigrizia della mente, giustamente ci deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da loro per dormire in questo luogo di sosta come delle pecore che passano il pomeriggio presso la fonte; se invece ci vedranno discorrere e navigare accanto a loro come alle Sirene senza essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci daranno quel dono che per concessione degli dèi possono dare agli uomini. FEDRO: E qual è questo dono che hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito. SOCRATE: Non si addice davvero a un uomo amante delle Muse non averne mai sentito parlare.(46) Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che nascessero le Muse; quando poi nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si curarono più di cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro in seguito ebbe origine la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo dono, di non aver bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare senza cibo né bevanda fino alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire chi tra gli uomini di quaggiù le onora, e quale di esse onora. A Tersicore riferiscono di quelli che l'hanno onorata nei cori, rendendoli a lei più graditi, a Erato di chi l'ha onorata nei carmi d'amore, e così per le altre, secondo l'onore che ha ciascuna. A Calliope, la più anziana, e a Urania, che viene dopo di lei, riferiscono di quelli che trascorrono la vita nella filosofia e onorano la loro musica, poiché esse, avendo cura del cielo e dei discorsi divini e umani, emettono tra tutte le Muse la voce più bella.(47) Per molte ragioni, quindi, a mezzogiorno bisogna parlare e non dormire. FEDRO: E allora bisogna parlare. SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare quello che ora ci siamo proposti, ossia come è bene pronunciare e scrivere un discorso e come non lo è. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: I discorsi che saranno pronunciati in modo bello e decoroso non devono forse implicare che l'animo di chi parla conosca il vero riguardo a ciò di cui intende parlare? FEDRO: A tal proposito, caro Socrate, ho sentito dire questo: per chi vuole essere un retore non c'è la necessità di apprendere ciò che è realmente giusto, ma ciò che sembra giusto alla moltitudine che giudicherà, non ciò che è veramente buono o bello, ma che sembrerà tale, poiché il convincere il prossimo viene da questo, non dalla verità. SOCRATE: «Non parola da buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò che dicono i sapienti, ma si deve esaminare se le loro affermazioni sono valide. Anche per questo non bisogna lasciar cadere quanto ora è stato detto. FEDRO: Hai ragione. SOCRATE: Esaminiamolo dunque in questo modo. FEDRO: Come? SOCRATE: Se volessi persuaderti a difenderti dai nemici acquistando un cavallo, ed entrambi non conoscessimo un cavallo, ma io per caso sapessi di te solo questo, che Fedro reputa sia un cavallo quell'animale domestico che a orecchie assai grandi... FEDRO: Sarebbe ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo sarebbe nel caso che, per convincerti sul serio, componessi un discorso di elogio dell'asino chiamandolo cavallo e sostenendo che tale bestia è assolutamente degna di essere acquistata sia per uso domestico sia per le spedizioni militari, utile per il combattimento in groppa, valente a portare bagagli e vantaggiosa in molte altre cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero ridicolo. SOCRATE: E non è forse meglio essere ridicolo e amico piuttosto che esperto e nemico? FEDRO: Così pare. SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non conosce il bene e il male inizia a persuadere una città che si trova nelle sue stesse condizioni, facendo non l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del cavallo, ma l'elogio del male come se fosse il bene, e presa dimestichezza con le opinioni della gente la persuade a operare il male anziché il bene, quale frutto credi che mieterà in seguito la retorica da quello che ha seminato? FEDRO: Sicuramente non buono. 14  Platone Fedro  SOCRATE: Ma buon amico, abbiamo forse svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del dovuto? Essa forse dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non costringo nessuno che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio consiglio vale qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa dunque è la cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce le cose come sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte». FEDRO: E non dirà cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì , se i discorsi che si presentano le rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra di udire alcuni discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è un'arte, ma una pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il tocco della verità, afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO: C'è bisogno di questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono e in che modo. SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai bei figli (50) che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà mai in grado di parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete. SOCRATE: La retorica, in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo di discorsi, non solo nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma anche in quelle private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle grandi, e non è affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose serie che in quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito? FEDRO: No, per Zeus, assolutamente non così , ma soprattutto nei processi si parla e si scrive con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo informazioni più ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai sentito parlare solo delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per iscritto a Ilio nei periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO: Per Zeus, neanche di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un Nestore, o di Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo perdere costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno? Non fanno affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE: Allora, chi opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle stesse persone ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no? SOCRATE: E in un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora buone, ora, al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che il Palamede di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli ascoltatori le stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in movimento? FEDRO: Ma certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova solo nei tribunali e nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che si dice ci sarebbe questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno sarà capace di rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili e per quanto è possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa cosa e lo nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se cerchiamo in questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica di più nelle cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di pOco? FEDRO: In quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che non ti accorga di essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che se ti sposti a grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione di ingannare un altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con precisione la somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è necessario. SOCRATE: Ma se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado di discernere la somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con le altre cose? FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno opinioni contrarie alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa impressione si insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così . SOCRATE: è possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco la realtà di un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da ciò che è al suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione di cosa sia ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque, amico, colui che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci offrirà un'arte dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO: Pare di sì . 15  Platone Fedro  SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel discorso di Lisia che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle cose che definiamo prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra cosa, poiché ora noi parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi adeguati. SOCRATE: E per un caso fortunato, a quanto pare, sono stati pronunciati due discorsi che recano un esempio di come chi conosce il vero, giocando con le parole, possa condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io, Fedro, ne attribuisco la causa agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse delle Muse, che cantano sopra la nostra testa, possono averci ispirato questo dono, poiché io non sono certo partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO: Sia come dici tu. Solo spiega ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio del discorso di Lisia. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono...» SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che cosa costui sbaglia e opera senz'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è forse evidente per chiunque almeno questo, che siamo d'accordo su alcune di queste cose, in disaccordo su altre? FEDRO: Mi sembra di capire il tuo pensiero, ma esprimilo ancora più chiaramente. SOCRATE: Quando uno dice la parola "ferro" o "argento", non intendiamo forse tutti la stessa cosa? FEDRO: Certo! SOCRATE: E quando si tratta dei termini "giusto" e "bene"? Non siamo portati chi in una direzione, chi in un'altra, e siamo in conflitto gli uni con gli altri e persino con noi stessi? FEDRO: Proprio così ! SOCRATE: Dunque concordiamo su alcune cose, su altre no. FEDRO: è così . SOCRATE: In quale dei due campi siamo più facilmente ingannabili e la retorica ha maggior potere? FEDRO: Quello in cui vaghiamo nell'incertezza, è evidente. SOCRATE: Pertanto chi si accinge a praticare la retorica deve innanzitutto aver distinto con metodo queste cose e aver colto un carattere peculiare di entrambe le forme, quella in cui è inevitabile che la gente vaghi nell'incertezza e quella in cui non lo è. FEDRO: Chi avesse colto questo, Socrate, avrebbe compreso un'idea davvero bella. SOCRATE: Inoltre credo che, nell'occuparsi di ciascuna cosa, non debba lasciarsi sfuggire, ma debba percepire con acutezza a quale delle due specie appartiene ciò di cui intende parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE: E allora? Dobbiamo dire che l'amore appartiene alle questioni controverse oppure no? FEDRO: Alle questioni controverse, non c'è dubbio. O credi che ti sarebbe stato possibile dire quello che poco fa hai detto su di lui, ossia che è un danno sia per l'amato sia l'amante, e al contrario che è il più grande dei beni? SOCRATE: Parli in modo eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a causa dell'invasamento non lo ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso ho dato una definizione dell'amore. FEDRO: Sì , per Zeus, in modo davvero insuperabile. SOCRATE: Ahimè, quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che dici, dici, le Ninfe dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio di Cefalo! Può darsi che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo discorso sull'amore, non ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà unica che voleva lui, e in relazione a questo ha composto e condotto a termine tutto il discorso seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti sembra il caso. Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che ascolti proprio lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione...». SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che cerchiamo, se mette mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando supino all'indietro, e prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato quando ormai ha smesso di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia testa cara? FEDRO: è certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone il discorso. SOCRATE: E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano state buttate lì alla rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che per una qualche necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un altro degli argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo scrittore abbia detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu sei a conoscenza di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale lui ha disposto questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei troppo buono, se credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo così preciso! SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni discorso dev'essere costituito come un essere vivente e avere un corpo suo proprio, così da non essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di mezzo e quelle estreme scritte in modo che si adattino le une alle altre e al tutto. FEDRO: Come no? 16  Platone Fedro  SOCRATE: Esamina dunque il discorso del tuo compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che non differisce in nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla tomba di Mida il Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di particolare? SOCRATE: è questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di Mida. Fin che l'acqua scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba di molte lacrime aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci senz'altro, come credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene recitato per primo o per ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso, Socrate! SOCRATE: Allora lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi sembra che contenga parecchi esempi ai quali gioverebbe porre attenzione, cercando di non imitarli in alcun modo); e passiamo agli altri due discorsi. In essi, mi sembra, c'era qualcosa che per chi vuole fare indagini sui discorsi è conveniente esaminare. FEDRO: A che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano opposti: uno diceva che si deve compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO: E con molto vigore! SOCRATE: Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con mania: ciò che cercavo è appunto questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è una forma di mania. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: E che ci sono due forme di mania, una che nasce da malattie umane, l'altra che nasce da un mutamento divino delle consuete abitudini. FEDRO: Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito l'ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa è la migliore. E non so come, rappresentando con immagini la passione amorosa, forse toccando da un lato un che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada, abbiamo composto un discorso non del tutto incapace di persuadere e abbiamo levato quasi per gioco, con parole misurate e pie, un inno in forma di mito in onore di Eros, mio e tuo signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E almeno per me, un discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE: Prendiamo dunque in esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal biasimo alla lode. FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il resto sia stato fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a caso ci sono due procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a coglierne con arte la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel ricondurre le cose disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in uno sguardo d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui si vuole di volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa su Eros, una volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o male, è appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato chiarezza e coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici, SOcrate? SOCRATE: Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le idee in base alle loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna parte, alla maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa concepivano la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da un corpo unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro, ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì , ma non esperti delle cose che chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi procedimenti si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si trovano nei libri scritti sull'arte del dire. 17  Platone Fedro  SOCRATE: Hai fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del discorso dev'essere pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze dell'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una narrazione seguita da testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le verosimiglianze. Poi vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che dica l'eccellente uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il valente Teodoro? SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno fatte una confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il bellissimo Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi indiretti; (55) alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi indiretti in poesia per esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E lasceremo riposare Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia da tenere in conto più del vero e con la forza del discorso fanno apparire grande ciò che è piccolo e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e al contrario nuovo ciò che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le prolissità infinite su ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo da me queste cose, scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i discorsi di cui l'arte abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO: Parole molto sagge, o Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che anche l'ospite eleo voterebbe con lui.(58) FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come parleremo dei Templi alle Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la ripetizione o il parlare per sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse dei nomi di cui Licimnio gli fece dono per la composizione del bello stile?(59) FEDRO: E le opere di Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo tipo? SOCRATE: Una certa Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle cose. Ma quanto ai discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la povertà, mi pare che l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo d'altronde straordinario nel suscitare la collera nella gente e poi nell'ammansire chi aveva fatto adirare incantandolo, come soleva dire, e potentissimo nel lanciare e sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci sia comune accordo tra tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni danno il nome di riepilogo, altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare per sommi capi agli ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli argomenti trattati? SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da aggiungere sull'arte dei discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena di dire. SOCRATE: Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto in piena luce quale potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e quando. FEDRO: Una potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del popolo. SOCRATE: Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro trama non sembra anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri. SOCRATE: Allora dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo padre Acumeno e dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da riscaldarli e raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli vomitare e persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento che ho queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare medico un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che direbbero dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche a chi e quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura? SOCRATE: E se allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi ha appreso queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che chiedi»? FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande, commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben connessi tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo rimprovererebbero con villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un uomo che crede di essere esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia come si fa a produrre il suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe villanamente: «Disgraziato, tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in modo più affabile: «Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è necessario che conosca anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue capacità non sappia neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni necessarie e preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO: Giustissimo. SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte a loro che conosce i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre una tragedia, e Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della medicina, non la scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo che direbbero Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli accorgimenti che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per immagini e tutte le altre cose che abbiamo 18  Platone Fedro  scorso affermando che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come abbiamo fatto io e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha scritto queste cose e le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più saggi di noi, ci lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna essere aspri, ma indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della dialettica, non hanno saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza di questa condizione, possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte, hanno creduto di averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri ritengono di averli istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i loro discepoli debbano procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre ciascuna di queste cose in maniera convincente e di collegare tutto l'insieme, come se fosse opera da nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia proprio un qualcosa del genere cio che concerne l'arte che questi uomini insegnano e presentano per iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia detto il vero; ma allora come e dove ci si può procurare l'arte di colui che è veramente esperto di retorica e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un perfetto campione della retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che sia come negli altri campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un retore famoso, a patto d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una di queste qualità, resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non mi sembra che il metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco. FEDRO: Qual è il metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle sia stato probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché? SOCRATE: Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi celesti sulla natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di condurre tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle, oltre alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi, credo, in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e giunse alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per l'arte dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di procedere dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE: In entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù offrendole discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile che sia così , Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere la natura dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura dell'insieme? FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli Asclepiadi,(63) senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la natura del corpo. SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il discorso con quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO: Certamente. SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il discorso vero. Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di qualsiasi cosa? Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere esperti noi stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o multiforme; poi, se è semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua natura nell'agire e su che cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da che cosa la subisce, se invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per ciascuna di esse ciò che si vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è portata per sua natura ad agire e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire, che cosa e da che cosa. FEDRO: Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo privo di questi procedimenti somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece persegue con arte una qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un sordo, ma è chiaro che, se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con arte, dimostrerà puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i suoi discorsi; e questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE: Perciò tutto il suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre persuasione. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e chiunque altro offra seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà e farà vedere con la massima precisione l'anima, se per sua natura è una e tutta uguale o multiforme come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo è dimostrare la natura di una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo luogo, in virtù di che cosa è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in virtù di che cosa è portata a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE: In terzo luogo, classificati i generi dei discorsi e dell'anima e le loro proprietà, passerà in rassegna tutte le cause, adattando ciascun genere di discorso a ciascun genere di anima e insegnando quale anima, da quali discorsi e per quale causa viene di necessità persuasa, quale invece non viene persuasa. 19  Platone Fedro  FEDRO: Sarebbe bellissimo se fosse così , a quanto pare! SOCRATE: Pertanto, caro, ciò che verrà dimostrato o detto in altro modo non sarà mai detto o scritto con arte, né su questo né su un altro argomento. Ma quelli che oggi scrivono le arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono scaltri, e pur conoscendo molto bene l'anima sono portati a dissimulare; perciò, prima che parlino e scrivano in questo modo, non lasciamoci convincere da loro, credendo che scrivano con arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE: Già usare le espressioni appropriate non è cosa facile; ma per quanto mi è possibile voglio dirti come bisogna scrivere, se si intende farlo con arte. FEDRO: Dillo dunque. SOCRATE: Poiché la forza del discorso sta nella guida delle anime, chi vuole essere esperto di retorica è necessario che sappia quante forme ha l'anima. Esse sono tantissime e di svariate qualità, e di conseguenza alcuni uomini sono di un certo tipo, altri di un altro; e dato che le forme dell'anima risultano così divise, a loro volta sono tantissime anche le forme dei discorsi, ciascuna di tipo diverso. Per questo motivo gli uomini di un certo tipo si lasciano facilmente persuadere da discorsi di un certo tipo su determinati argomenti, mentre gli uomini di un altro tipo, sempre per questo motivo, sono difficili da persuadere. Perciò chi vuole diventare retore deve innanzitutto tenere in adeguata considerazione queste cose, poi, osservando il loro modo di essere e di operare all'atto pratico, dev'essere in grado di seguirle acutamente con le sue facoltà intellettive, altrimenti non avrà mai niente più dei discorsi che ascoltava quando frequentava un maestro. E quando sappia dire in modo adeguato quale genere di uomo viene persuaso e da quali discorsi, e sia in grado di accorgersi della sua presenza e di provare a se stesso che si tratta di quell'uomo e di quella natura sulla quale vertevano a suo tempo i discorsi, e poiché ora è di fatto presente deve riferirle questi discorsi nella maniera prevista, per persuaderla di determinate cose, una volta che dunque sia in possesso di tutti questi requisiti, sappia cogliere i momenti giusti in cui bisogna parlare e quelli in cui bisogna trattenersi e sappia discernere l'opportunità e l'inopportunità del parlare conciso, commovente o indignato e di tutte le altre forme di discorso che ha appreso, allora l'arte è realizzata in modo bello e compiuto, prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi di queste cose quando parla, insegna o scrive, e afferma di parlare con arte, vince chi non si lascia persuadere. «E allora?», dirà forse il nostro scrittore. «Fedro e Socrate, la pensate così? Dobbiamo forse definire in altro modo l'arte che è detta dei discorsi?». FEDRO: è impossibile in altro modo, Socrate; eppure sembra un lavoro non da poco. SOCRATE: Hai ragione. Proprio per questo bisogna rivoltare tutti i discorsi sottosopra ed esaminare se da qualche parte appare una via più facile e più breve per giungere ad essa, così da non procedere inutilmente per una via lunga e aspra, quando è possibile percorrerne una corta e liscia. Ma se hai da qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato da Lisia o da qualcun altro, cerca di richiamarlo alla memoria e di dirlo. FEDRO: Così , per fare una prova, potrei, ma non me la sento, almeno adesso. SOCRATE: Vuoi dunque che io riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni che si occupano di queste cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro, si dice che è giusto riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così anche tu. SOCRATE: Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e levare così in alto queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come abbiamo detto anche all'inizio del discorso, chi intende essere sufficientemente esperto nella retorica non deve certo partecipare della verità circa questioni giuste e buone, o uomini tali per natura o per educazione, poiché nei tribunali non importa proprio niente a nessuno della verità su queste cose, ma importa solo ciò ch'è atto a persuadere: è il verosimile, a cui si deve applicare chi intende parlare con arte. Talvolta infatti non bisogna neanche esporre i fatti, a meno che non si siano svolti in maniera verosimile, ma solo quelli verosimili, sia nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi parla deve seguire il verosimile, dopo aver detto tanti saluti alla verità; poiché è appunto questo che, se percorre l'intero discorso, procura tutta quanta l'arte. FEDRO: Hai esposto, Socrate, proprio le ragioni che adducono quelli che danno a vedere di essere esperti nell'arte dei discorsi; mi sono ricordato che già in precedenza abbiamo toccato brevemente tale argomento, e sembra che ciò sia di enorme importanza per chi si occupa di queste cose. SOCRATE: Sicuramente hai studiato con precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci dica anche questo, se per verosimile intende qualcosa di diverso da ciò che sembra ai più. FEDRO: E che altro? SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a quanto pare, di saggezza e d'arte insieme, ha scritto che se un uomo debole e coraggioso, che ha percosso un uomo forte e vile e gli ha portato via il mantello o qualcos'altro, viene condotto in tribunale, nessuno dei due deve dire la verità, ma il vile deve asserire di non essere stato percosso dal solo uomo coraggioso, questi deve confutare ciò ribattendo che erano loro due soli, e servirsi del seguente argomento: «Come avrei potuto io, data la mia condizione, mettere le mani addosso a una persona come lui?». L'altro non ammetterà la propria viltà, ma cercando di dire qualche altra menzogna offrirà subito materia di confutazione all'avversario. E anche negli altri campi le cose dette con arte sono più o meno di questo genere. Non è così , Fedro? FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè, sembra che abbia fatto la scoperta davvero sensazionale di un'arte nascosta, Tisia o chiunque altro sia e da qualunque luogo si compiaccia di trarre il nome! Ma a costui, amico, dobbiamo dire o no... FEDRO: Cosa? 20  Platone Fedro  SOCRATE: Questo: «O Tisia, da tempo noi, prima ancora che tu venissi qui, ci trovavamo a dire che questo verosimile viene a nascere nei più per somiglianza col vero; e poco fa abbiamo spiegato che chi conosce la verità sa scoprire benissimo le somiglianze. Perciò, se hai qualcos'altro da dire sull'arte dei discorsi, lo ascolteremo; altrimenti daremo credito a ciò che abbiamo esposto or ora, cioè che se uno non enumererà le nature di coloro che lo ascolteranno, e non sarà in grado di dividere gli esseri secondo le forme e di raccoglierli uno per uno in un'idea, non sarà mai esperto nell'arte dei discorsi, per quanto è possibile a un uomo. E non potrà mai acquisire queste capacità senza molta applicazione; ad essa il sapiente dovrà indirizzare i suoi sforzi non per parlare e agire con gli uomini, ma per poter dire cose che siano gradite agli dèi e fare ogni cosa in modo a loro gradito, per quanto è nelle sue facoltà. Infatti i più saggi tra noi, Tisia, dicono che chi ha intelletto deve prendersi cura di compiacere non i compagni di schiavitù, se non in modo accessorio, ma i padroni buoni e che discendono da uomini buoni. Perciò, se la strada è lunga, non meravigliartene, in quanto per raggiungere grandi traguardi bisogna percorrerla, non come credi tu. D'altronde, come dice il nostro discorso, anche queste fatiche diventeranno bellissime grazie a quei traguardi, se uno lo vuole». FEDRO: Mi pare che si stia parlando in modo bellissimo, Socrate, se davvero qualcuno ne è capace. SOCRATE: Ma per chi intraprende azioni belle è bello anche soffrire, qualunque cosa gli tocchi di soffrire. FEDRO: Sicuro. SOCRATE: Quanto si è detto a proposito dell'arte e della mancanza di arte nel fare discorsi sia dunque sufficiente. FEDRO: Come no? SOCRATE: Rimane la questione della convenienza e della non convenienza della scrittura, quando essa vada bene e quando invece sia sconveniente. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: Sai allora come, nell'ambito dei discorsi, potrai acquistarti il massimo favore di un dio con le tue azioni e le tue parole? FEDRO: Per niente. E tu? SOCRATE: Io posso raccontarti una storia tramandata dagli antichi; il vero essi lo sanno. E se noi lo trovassimo da soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni degli uomini? FEDRO: Hai fatto una domanda ridicola! Ma racconta ciò che dici di aver udito. SOCRATE: Ho sentito dunque raccontare che presso Naucrati, in Egitto, (64) c'era uno degli antichi dèi del luogo, al quale era sacro l'uccello che chiamano ibis; il nome della divinità era Theuth.(65) Questi inventò dapprima i numeri, il calcolo, la geometria e l'astronomia, poi il gioco della scacchiera e dei dadi, infine anche la scrittura. Re di tutto l'Egitto era allora Thamus e abitava nella grande città della regione superiore che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre chiamano il suo dio Ammone.(66) Theuth, recatosi dal re, gli mostrò le sue arti e disse che dovevano essere trasmesse agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale fosse l'utilità di ciascuna di esse, e mentre Theuth le passava in rassegna, a seconda che gli sembrasse parlare bene oppure no, ora disapprovava, ora lodava. Molti, a quanto si racconta, furono i pareri che Thamus espresse nell'uno e nell'altro senso a Theuth su ciascuna arte, e sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando poi fu alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco della memoria e della sapienza». Allora il re rispose: «Ingegnosissimo Theuth, c'è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale. Questa scoperta infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà nell'anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di dentro e da se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco non della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza, non la verità: ascoltando per tuo tramite molte cose senza insegnamento, crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più le ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori di opinione anziché sapienti». FEDRO: Socrate, tu pronunci con facilità discorsi egizi e di qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E pensa che alcuni, mio caro, hanno asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti come voi giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una roccia, purché dicessero il vero; ma forse per te fa differenza chi è colui che parla e da dove viene. Non miri infatti solamente a questo, se le cose stanno così o diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e mi sembra che riguardo alla scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe. SOCRATE: Allora chi crede di tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua volta la riceve nella convinzione che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro e di saldo, dev'essere ricolmo di molta ingenuità e ignorare realmente il vaticinio di Ammone, se pensa che i discorsi scritti siano qualcosa in più del riportare alla memoria di chi già sa ciò su cui verte lo scritto. FEDRO: Giustissimo. SOCRATE: Poiché la scrittura, Fedro, ha questo di potente, e, per la verità, di simile alla pittura. Le creazioni della pittura ti stanno di fronte come cose vive, ma se tu rivolgi loro qualche domanda, restano in venerando silenzio. La medesima cosa vale anche per i discorsi: tu potresti anche credere che parlino come se avessero qualche pensiero loro proprio, ma se domandi loro qualcosa di ciò che dicono coll'intenzione di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e 21  Platone Fedro  solo identico. E, una volta che è scritto, tutto quanto il discorso rotola per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente così come tra quelle di chi non ha niente da spartire con esso, e non sa a chi deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, poiché non è capace né di difendersi da sé né di venire in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche queste tue parole sono giustissime. SOCRATE: E allora? Vogliamo considerare un altro discorso, fratello legittimo di questo, in che modo nasce e quanto è per sua natura migliore e più potente di questo? FEDRO: Qual è questo discorso e come, secondo te, nasce? SOCRATE: è quello che viene scritto mediante la conoscenza nell'anima di chi apprende; esso è in grado di difendersi da sé, e sa con chi bisogna parlare e con chi tacere. FEDRO: Intendi il discorso vivente e animato di chi sa, del quale quello scritto si può a buon diritto definire un'immagine. SOCRATE: Per l'appunto. Ora dimmi questo: l'agricoltore che ha senno pianterebbe seriamente d'estate nei giardini di Adone (67) i semi che gli stessero a cuore e da cui volesse ricavare frutti; e gioirebbe a vederli crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per gioco e per la festa, quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui si è preso cura sul serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli nel luogo adatto, sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a compimento in otto mesi? FEDRO: Farebbe così , Socrate: sul serio per gli uni, diversamente per gli altri, come tu dici. SOCRATE: Dovremo dire che chi possiede la scienza delle cose giuste, belle e buone abbia meno senno dell'agricoltore con le sue sementi? FEDRO: Nient'affatto. SOCRATE: Allora non le scriverà seriamente nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme a discorsi incapaci di difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare in modo adeguato la verità. FEDRO: No, almeno non è verosimile. SOCRATE: Infatti non lo è. Ma a quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura per gioco, quando li scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria per se stesso, nel caso giunga «alla vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque segua la sua stessa orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli altri faranno altri giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti fratelli di questi, egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la vita a dilettarsi in ciò di cui parlo. FEDRO: è un gioco molto bello quello che dici, Socrate, rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi coi discorsi, narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli. SOCRATE: Così è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa, credo, molto più bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende un'anima adatta, vi pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che siano in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non siano infruttiferi, ma abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di altri uomini altri discorsi capaci di rendere questa semenza immortale, facendo sì che chi la possiede sia felice quanto più è possibile per un uomo. FEDRO: Ciò che dici è molto più bello. SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo, Fedro, possiamo giudicare quelle altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle che volevamo indagare e per le quali siamo arrivati a questo punto, ossia esaminare il rimprovero rivolto a Lisia circa lo scrivere i discorsi e i discorsi stessi, quali fossero scritti con arte e quali senz'arte. Ciò che è conforme all'arte e ciò che non lo è mi sembra che sia stato chiarito opportunamente. FEDRO: Così almeno mi è parso: ma ricordami ancora una volta come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima uno non conosce il vero riguardo a ciascun argomento su cui parla o scrive e non è in grado di definire ogni cosa in se stessa, e una volta che l'ha definita non sa dividerla secondo le sue specie fino ad arrivare a ciò che non è più divisibile, quindi, dopo aver scrutato a fondo allo stesso modo la natura dell'anima, trovando la specie adatta a ciascuna natura non dispone e regola il discorso secondo questo procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima variegata e dalla piena armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non sarà possibile, per quanto è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe dei discorsi né per insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in precedenza ci ha chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così . SOCRATE: Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e scrivere discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no, non ha forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo detto? SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica, nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse. FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), 22  Platone Fedro  ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per aiutare la memoria di chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei discorsi sul giusto, sul bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo scopo di far apprendere e scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza, compiutezza e pregio di serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano essere detti suoi come se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca in sé, nel caso si trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli di questo, sono nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il loro valore, e ai rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro, è probabile che sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io voglio e mi auguro in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per quanto riguarda i discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da Lisia e digli che noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e abbiamo ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi altri componga discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o lirica, e in terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia scritto dei testi con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste opere sapendo com'è il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene messo alla prova, e quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la debolezza di quanto è stato scritto, una persona del genere non deve essere chiamato col nome di costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è dedicato con serietà. FEDRO: Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo sapiente, Fedro, mi sembra che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un dio; chiamarlo invece filosofo o con un nome del genere sarebbe a lui più adatto e conveniente. FEDRO: E niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece non possiede cose di maggior pregio di quelle che ha composto e ha scritto, rivoltandole su e giù per lungo tempo, incollandole l'una con l'altra o separandole, non lo dirai a buon diritto poeta o autore di discorsi o scrittore di leggi? FEDRO: Come no? SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno! FEDRO: E tu? Cosa farai? Non bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno. SOCRATE: Chi è costui? FEDRO: Isocrate (69) il bello. Cosa riferirai a lui, Socrate? Come lo definiremo? SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro: tuttavia voglio dire ciò che prevedo di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi sembra che per doti naturali sia migliore a confronto dei discorsi di Lisia, e che inoltre sia temperato di un'indole più nobile. Perciò non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se, col procedere dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora pone mano superasse più che se fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai discorsi, e se inoltre questo non gli bastasse, ma uno slancio divino lo spingesse a cose ancora più grandi; giacché nell'animo di quell'uomo, caro amico, c'è una forma naturale di filosofia. Pertanto io riferisco queste cose da parte di questi dèi al mio amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma andiamo, poiché anche la calura si è fatta più mite. SOCRATE: Non conviene rivolgere una preghiera a questi dèi prima di metterci in cammino? FEDRO: Come no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di questo luogo, concedetemi di diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di fuori sia in accordo con ciò che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il sapiente e possegga tanto oro quanto nessun altro, se non chi è temperante, possa prendersi e portar via.(70) Abbiamo bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da parte mia si è pregato in giusta misura. FEDRO: Fa' questo augurio anche per me; le cose degli amici sono comuni. SOCRATE: Andiamo! 23  Platone Fedro  NOTE: 1) Celebre oratore ateniese vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., di cui restano 34 orazioni giudiziarie. Il discorso sull'amore che gli viene attribuito nel dialogo è probabilmente fittizio. Il padre Cefalo, originario della Sicilia, aveva una fabbrica d'armi al Pireo; nella sua casa è ambientata la Repubblica. 2) Noto medico dell'epoca. 3) Epicrate era un oratore democratico; Morico, forse il proprietario precedente della casa, era un cittadino ateniese che per le sue ricchezze e il suo lusso divenne frequente bersaglio dei poeti comici. 4) Pindaro, Isthmia 2. 5) Erodico di Megara, divenuto poi cittadino di Selimbria, era un medico famoso per il suo regime di vita "salutistico"; Platone lo menziona anche nella Repubblica e nel Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele, i cui culti erano caratterizzati da una forte valenza orgiastica. 7) Piccolo fiume che scorre vicino ad Atene. 8) Il dialogo è immaginato in piena estate, a mezzogiorno. 9) Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di Atene; in cambio concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali. Farmacea, citata poco sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso. 10) Demo dell'Attica. 11) Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove aveva sede il più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di carica. 12) Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati dall'unione di Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera era un mostro con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di serpente. Le Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime due erano immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo sguardo, era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto Bellerofonte uccise la Chimera. 13) «Conosci te stesso» era appunto il precetto scritto nel tempio di Apollo a Delfi. 14) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro, era un drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al termine di una dura lotta Zeus lo fulminò e lo scagliò sotto l'Etna. Il suo mito è ricordato in Esiodo, Theogonia 820 seguenti. Da Tifone ha avuto origine il nome comune indicante un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco c'è un gioco di parole, intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene paretimologicamente accostato al participio di "túpho" ('fumare', 'bruciare') e, tramite l'aggettivo privativo "atuphos" a "tuphos" ('vanità', 'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa uso più volte di simili giochi verbali, impossibili da mantenere nella traduzione, per creare paretimologie. 15) Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei fiumi, Socrate in seguito attribuirà il dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre ad essere un fiume della Grecia centrale, era anche dio dei fiumi. 16) Una locuzione simile ricorre in Omero, Iliade libro 8, verso 281. 17) Saffo è la famosa poetessa lirica di Lesbo vissuta tra il settimo e il sesto secolo a.C., autrice di carmi soprattutto d'amore omoerotico, divisi dagli Alessandrini in nove libri; di essi ci sono pervenuti un'ode intera, una quasi completa e parecchi frammenti di varia lunghezza. Anacreonte di Teo, lirico monodico del sesto secolo, fu autore tra l'altro di poesie amorose dal tono leggero, di cui restano pochi frammenti. Non è invece possibile sapere a quali autori in prosa si allude nel passo. 18) Gli arconti ateniesi, al momento di entrare in carica, giuravano che se avessero trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a Delfi una statua d'oro della loro grandezza e peso. 19) Cipselo fu tiranno di Corinto nel sesto secolo e fondò una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui si allude era forse una statua. 20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro intende che Socrate a sua volta ha offerto il fianco a una critica. 21) Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler (citato anche in Meno). 22) Il testo greco gioca sull'assonanza tra "ligús", 'dalla voce melodiosa', e "ligús" 'Ligure' (con lambda maiuscolo). Questo gioco paretimologico è probabilmente alla base della leggenda secondo cui i Liguri erano amanti del canto. 23) Socrate istituisce un nesso paretimologico tra "èros" e "róme" ('forza'). 24) Il ditirambo, componimento lirico corale associato al culto di Dioniso, ai tempi di Platone era in piena decadenza. Qui il termine ha una connotazione negativa, indicando una forma di invasamento non ispirata da "mania" divina, e quindi non mediata dal logos. 25) L'immagine è ricavata da un gioco fatto con un coccio (óstrakon), nero da una parte e bianco dall'altra; i giocatori, divisi in due squadre, sceglievano un colore e a seconda di quello che risultava lanciando il coccio dovevano fuggire o inseguire. La metafora significa che l'amante, prima inseguitore, ora fugge l'amato. 26) Simmia, prima pitagorico, poi discepolo di Socrate, è uno degli interlocutori del Fedone. 27) Ibico, frammnto 310, Page. Poeta lirico corale del sesto secolo a.C., di lui restano un'ode e pochi frammenti. 28. Stesicoro, poeta lirico corale, visse nel sesto secolo a.C. Secondo una leggenda perse la vista per aver accusato Elena di infedeltà in un carme omonimo e la riacquistò per aver scritto la Palinodia (la 'Ritrattazione'), in cui sosteneva che Paride non aveva portato a Troia la vera Elena, ma un fantasma con le sue sembianze; questa versione del mito fu ripresa da Euripide nell'Elena. Omero invece, non avendo fatto la stessa cosa, rimase cieco. Allo stesso modo Socrate pronuncerà una ritrattazione del discorso precedente su Eros, nella quale solleverà il dio dalle accuse che gli aveva mosso. 24  Platone Fedro  29) A Delfi, in Beozia, c'era il più famoso santuario di Apollo, che dava i responsi per bocca della sua sacerdotessa, la Pizia; a Dodona, nell'Epiro, c'era un santuario di Zeus. 30) Questo nome designava in origine una, in seguito più sacerdotesse di Apollo, di cui era nota l'ambiguità dei responsi; la più celebre era la Sibilla di Cuma, in Campania. 31) L'arte divinatoria, in greco "mantike", viene fatta derivare da "manikos" cioè 'affetto da mania'; il composto "oionoistike", di invenzione platonica, viene ricondotto a "oieris" ('opinione', 'credenza'), e accostato a "oionistike", ovvero l'"arte di trarre gli auspici" dal volo degli uccelli. Il gioco paretimologico, di cui si è provato a rendere ragione nella traduzione, è importante in quanto è funzionale al rovesciamento della tesi sostenuta da Lisia. 32) è il celebre mito dell'anima come una biga alata, metafora complessa e non facile da interpretare. Se infatti l'auriga rappresenta palesemente la ragione, non è del tutto chiaro il significato dei due cavalli; è poco soddisfacente l'interpretazione tradizionale, secondo cui il cavallo nero rappresenterebbe l'anima concupiscibile, quello bianco l'anima impulsiva, e l'intera immagine sarebbe da intendere come la tripartizione dell'anima che Platone teorizza nella Repubblica (libri 4 e 9). Infatti nel Timeo si dice che anima concupiscibile e anima impulsiva sono mortali, mentre qui i due cavalli fanno parte proprio della struttura dell'anima immortale, come prova anche il fatto che essi si nutrono di nettare e ambrosia, cibo e bevanda degli dèi, e che tale struttura è comune sia all'anima umana sia a quella divina. è preferibile pensare che i cavalli indichino due componenti opposte connaturate comunque all'anima immortale, che l'auriga ha la funzione di conciliare per trovare un equilibrio. 33) Estia, dea del focolare, nella cosmologia antica veniva identificata col centro dell'universo, che era immobile; per questo essa, unica tra gli dèi, non viaggia per il cielo. Le divinità che guidano le dodici schiere sono probabilmente quelle olimpiche. 34) L'Iperuranio, il luogo 'oltre il cielo', è il mondo delle Idee. Luogo metafisico, immagine della sfera dell'intelligibile che nella sua immutabilità trascende la realtà sensibile, esso è raggiungibile solo dell'anima. 35) Adrastea, letteralmente 'l'inevitabile', in questo caso è una personificazione del destino; in Repubblica (libro 5) impersonifica invece la vendetta. Viene qui esposto il destino escatologico delle anime e la teoria della metempsicosi, argomento che ha una più ampia trattazione con il mito di Er nel libro decimo della Repubblica. Nel Fedro l'assegnazione della vita futura è strettamente determinata dalla misura in cui le anime hanno contemplato la pianura della verità prima di tornare sulla terra, poiché ad esso corrisponde il grado di verità connesso alla vita in cui si reincarnano. 36) Altro gioco verbale basato su una paretimologia il termine "imeros" ('desiderio'), collegato per assonanza ad Eros, viene fatto derivare da i-, radice di "eiri" ('andare'), "mer-" radice di "méros" ('parte'), "ro-", radice di "roé" ('flusso'). 37. Gli Omeridi erano una scuola di aedi nell'isola di Chio che la tradizione voleva fondata dallo stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i poemi segreti cui si allude ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è un gioco di parole tra "Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente coniato da "pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi omerici (Iliade libro 1, versi 403-404; libro 14, verso 291; libro 20, verso 74) in cui si dice che gli dèi chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è impossibile conservare nella traduzione il gioco tra il genitivo "Diós" ('di Zeus') e l'aggettivo "dios", solitamente reso con 'splendente' o 'divino'. 39) Le Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di Dioniso. 40) Zeus, innamorato di Ganimede, bellissimo fanciullo frigio, in forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece il coppiere degli dèi. Per il gioco linguistico su "imeros", la nota 36. 41) L'espressione significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta bisognava atterrare l'avversario tre volte. 42) Figlio di Cefalo e fratello di Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. 43) Ad Atene la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che obbligava l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio, avevano fatto nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'), che preparava su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni di Lisia sono appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il termine ha nel contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto equiparato a sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai compensi che i sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. 44) L'espressine, un po' enigmatica, significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata una difficile. 45) Figura storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la tradizione, il legislatore di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i sette saggi, Solone attuò, durante il suo arcontato (594-593 a.C.), una riforma dello stato ateniese che prevedeva la divisione dei cittadini in classi in base al censo. Dario primo, re di Persia dal 521 al 485 a.C., fu il promotore della prima guerra greco-persiana. 46) Il mito che segue è probabilmente creazione platonica. Il canto delle cicale è metafora dell'ispirazione a comporre discorsi ma anche del rischio, da parte dell'ascoltatore, di lasciarsene ammaliare senza sottoporli a vaglio critico, un atteggiamento passivo che le cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e le Muse, non approvano. 47) Sulla scia del catalogo esiodeo (Theogonia 75 seguenti), le Muse qui citate hanno nomi parlanti Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato è connessa con Eros, Calliope è 'dalla bella voce', Urania 'la celeste'. 25  Platone Fedro  48) Omero, Iliade libro 2, verso 361. 49) Per Spartano qui si intende semplicemente una persona che dice la verità in modo franco e lapidario. 50) I "figli" di Fedro sono i discorsi che ha indotto gli altri a fare. 51) Nestore, il più vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era famoso per la sua eloquenza persuasiva. Abile, e soprattutto astuto parlatore era notoriamente Odisseo. Anche Palamede, l'eroe che smascherò un tentativo di Odisseo di non partecipare alla guerra di Troia, era fornito di capacità oratorie. 52) Gorgia di Lentini, nato tra il 485 e il 480 a.C. e morto vecchissimo dopo il 380 a.C., fu uno dei principali esponenti della sofistica; a lui è dedicato l'omonimo dialogo di Platone. Delle sue numerose opere restano pochi ma significativi frammenti. Il sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto nel quinto secolo a.C., è uno dei personaggi della Repubblica, dove difende in modo combattivo la sua idea della giustizia come diritto del più forte. Teodoro di Bisanzio, attivo nella seconda metà del quinto secolo a.C., scrisse un trattato di retorica. 53) Allusione ironica a Zenone di Elea (quinto secolo a.C.) e ai paradossi con i quali cercava di confutare dialetticamente i concetti di molteplicità e movimento; famosi sono i paradossi della freccia e di Achille e la tartaruga. 54) Mida era il leggendario re della Frigia che per avidità di ricchezze chiese e ottenne da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava; ma poiché anche tutto ciò che voleva mangiare o bere diventava oro, pregò il dio di liberarlo da questo dono funesto. L'epigramma citato è attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette saggi. 55) Poeta e sofista contemporaneo di Socrate. 56) Tisia fu maestro di Gorgia e iniziatore, assieme a Corace, della scuola retorica siciliana. 57) Prodico di Ceo, uno dei più importanti esponenti della sofistica, discepolo di Protagora e maestro di Socrate. 58) Ippia di Elide, il celebre sofista da cui prendono il titolo due dialoghi di Platone. 59) Polo di Agrigento e Licimnio di Chio furono discepoli di Gorgia; il primo è uno dei protagonisti del Gorgia di Platone. Nel passo si allude probabilmente a opere di retorica dei due sofisti, come poco sotto a proposito di Protagora. 60) Protagora di Abdera, protagonista dell'omonimo dialogo Platonico, visse ad Atene nell'età periclea. Considerato il principale esponente della sofistica, è ricordato soprattutto per il suo agnosticismo religioso, che gli valse una condanna per empietà, e il suo relativismo, sintetizzato nella massima «l'uomo è misura di tutte le cose». Nulla ci rimane delle sue numerose opere. 61) Adrasto, il re di Argo che guidò la spedizione dei sette contro Tebe, è rappresentato da Eschilo nelle Supplici come abile oratore; l'epiteto «voce di miele» gli è già riferito da Tirteo (frammento 9,8 Gentili-Prato). Adrasto è qui usato come eteronimo di un personaggio contemporaneo, forse un sofista. Anche Pericle, lo statista ateniese del quinto secolo che radicalizzò il processo democratico della polis portandola al massimo splendore, è qui ricordato, con un tocco d'ironia, per le sue capacità oratorie. 62) Anassagora di Clazomene (quinto secolo a.C.) visse per molti anni ad Atene, dove ebbe come discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto cardinale del suo pensiero è l'esistenza di un principio razionale che dà ordine al mondo, da lui chiamato "nous" ('intelletto'). 63) Ippocrate di Cos, vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., fu il fondatore della medicina antica; l'epiteto di Asclepiade deriva da Asclepio, dio della medicina. Di lui e dei suoi discepoli resta un considerevole numero di scritti riuniti nel cosiddetto corpus Hippocraticum. 64) Città sul delta del Nilo, sede di un emporio commerciale greco. 65) Theuth o Thoth era il dio egizio dell'invenzione, che i Greci identificavano con Ermes; rappresentato con la testa di ibis, era scriba nel tribunale dei morti. Con questo mito Platone assegna alla scrittura un valore puramente "ipomnematico", ovvero la considera un mero supporto alla memoria, e non veicolo di sapienza; la trasmissione del vero sapere resta per lui affidata all'oralità dialettica. 66) «La regione superiore» è l'alto corso del Nilo. Thamus, leggendario re dell'Egitto, viene considerato un eteronimo dello stesso Ammone, una delle principali divinità egizie, venerata da una potente casta sacerdotale e identificata dai Greci con Zeus; poco sotto infatti, la risposta da lui data a Theuth è chiamata «vaticinio di Ammone». 67) I «giardini di Adone» erano recipienti in cui d'estate si piantavano semi che nascevano entro otto giorni e subito morivano; il rito simboleggiava la morte prematura di Adone, il bellissimo giovane amato da Afrodite. Allo stesso modo i «giardini di scrittura», ovvero i discorsi scritti, devono essere intesi come una forma di gioco, poiché i veri discorsi latori di verità sono affidati alla dimensione orale. 68) Citazione poetica di autore ignoto. 69) Il retore Isocrate (436-338 a.C.) fondò ad Atene una scuola in competizione con l'Accademia platonica; di lui restano 21 orazioni. Isocrate era fautore di un'alleanza di tutte le città greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in vista di una spedizione contro i Persiani. 70) Pan, figlio di Ermes, era la principale divinità agreste del pantheon greco, venerata soprattutto in Arcadia; presiedeva alla pastorizia e per questo era rappresentato con sembianze caprine. Pan compare già come protettore del luogo assieme alle Ninfe, e per questo Socrate gli rivolge la preghiera conclusiva. «Oro» è da intendersi in senso metaforico come ricchezza della sapienza.Elio Franzini. Franzini. Keywords: espressione, Sibley, Strawson, ‘Bounds of Sense” -- simbolo, rappresentazione, immagine, noetico, estetico, natura, bello, forma, materia, arte, platone, dialogue d’amore, bello, comunicazione, rappresentazione, forma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Franzini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759406043/in/dateposted-public/

 

Grice e Frixione – l’implicatura metrica di Lucrezio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “The Grecians were pretty clear – and Cicero followed suit – surely if I say ‘He made it,’ there is no implicature that he is a poet, even if ‘poeien’ is strictly, ‘make’!” -- Grice: “Poetry is a good place to apply the idea of implicature, as in Donne – Nowell-Smith’s favourite obscure poet, and Blake – mine!” –Insegna a Salerno, Milano, Genova. I suoi interessi di ricerca includono il linguaggio. Le sue ricerche riguardano il ruolo delle forme di ragionamento non monotòno nell'ambito e il rapporto tra l’illusione del perceptum ed il ragionar invalido. Si è anche occupato di modelli di rappresentazione. È noto anche per la sua attività di poeta d'avanguardia (segnalata, tra gli altri, da Sanguineti) e per aver fondato e fatto parte del “Gruppo ‘93”. Altre opere: “Il Significato” FrancoAngeli); “La Funzione e la computabilità” (Carocci); “Come Ragioniamo, Laterza Editore, Lista delle pubblicazioni da DBLP Computer Science Bibliography, Universität Trier; Diottrie, Piero Manni, Ologrammi, Editrice Zona, Insegnamenti Scuola di Scienze Umanistiche, Uiversità di Genova..  Guida dello Studente, Corso di Laurea in Filosofia, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Governing Boards of the Italian Association of Cognitive Sciences. A Cognitive Architecture for Artificial Vision., in Artificial Intelligence, Elsevier. Francesco Prisco, Sanguineti: «La letteratura è un gioco che può ancora scandalizzare», in Il Sole 24 Ore, Angelo Petrella, GRUPPO 93. L'antologia poetica Angelo Petrella, in Editrice Zona,.  Marcello Frixione scheda nel sito Genova, Dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia, Come ragioniamo recensione di Dario Scognamiglio, ReF Recensioni Filosofiche.  It cannot be denied that the poem of Lucretius failed to awaken any  marked interest until long after its publication. The almost unbroken  silence of his contemporaries regarding him is significant of the com-  parative indifference with which his production was received. The  reasons for this neglect are various and not far to seek. In the first  place the moment was inopportune for the appearance of such a work.  "It was composed in that hapless time when the rule of the oligarchy  had been overthrown and that of Caesar had not yet been established,  in the sultry years during which the outbreak of the civil war was  awaited with long and painful suspense." ^ The poet betrays his sol-  icitude for the welfare of his country at this crisis in the introduction  of his work, in which he invokes the aid of Venus in persuading Mars  to command peace —   Efficc ut inter ea f era moenera militiai   Per maria ac terras omnis sopita quiescani '^ —   and acknowledges that his attention is diverted from literary labors by   the exigencies of the state :   N^am neque nos agere hoc patriai tempore iniquo  Possumus aequo animo nee Memmi clara propago  Talibiis in rebus comrnuni desse saluti. ''   Munro believes these lines were written toward the close of 695,  when Caesar as consul had formed his coalition with Pompey and  when there was almost a reign of terror.* The reflection of a state of   1 Monimseii, Hist. Rome, IV, p. 698 (Eng. Tr. ).   ' I. 29. 30.   M. 41-43-   ^Muiim. Luiictiiis. II. p. 30.     6 CONTROVERSIAL ELEMENTS IN LUCRETIUS.   tumult and peril is equally obvious in the opening verses of the second  book, where the security of the contemplative life is contrasted with  the turbulence of a political and military career.' Particularly signifi-  cant are the lines :   Si non forte tuas legiones per loca campi  Fervere cum videas belli simulacra cientis,  Subsidiis magnis et ecum vi constabilitas,  Ornatasque armis statuas pariierque animatas,  His tibi turn rebus timefactae religiones  Effugiunt animo pavide ; mortisque timores  Turn vacuum pectus lincunt curaque solutum,  Fervere cum videas classem lateque vagari}   It can readily be appreciated that a period of such fermentation  and alarm would afford opportunity for philosophic study to those  alone who were able to retire from political excitements to private  leisure and quiet. Moreover the very characteristics of the Epicurean  philosophy would recommend it chiefly to persons of this description.  Participation in public life was distinctly discouraged by the school  of Epicurus, who regarded the realm of politics as a world of tumult  and trouble, wherein happiness — the chief end of life — was almost, if  not quite, impossible. They counselled entering the arena of public  affairs only as an occasional and disagreeable necessity, or as a pos-  sible means of allaying the discontent of those to whom the quiet of  a private life was not wholly satisfactory.'' Such instruction, though  phrased in the noble hexameters of a Lucretius, was scarcely calculated  to enjoy immediate popularity in the stirring epoch of a fast hurrying  revolution.^   1 Sellar, Rommi Pods of the Republic, p. 290.   2 II, 40-47. " Caesar after his consulship remained with his army for three  months l)efore Rome, and was bitterly attacked by Memmius. Does Lucretius here  alhide to Caesar? " Munro, II, p. 122.   •^ Zeller, Stoics, Epicureans and Sceptics, p. 491, 3, 6.   * " In consequence of his mode of thought and writing lieing so averse to his own  time and directed to a better future, the poet received little attention in his own  age." Teuflfel, Hist. Rom. Lit. I, 201 (Eng. Tr.). "It (Epicureanism) arose in a  state of society and under circumstances widely different from the social ar.d  political condition of the last phase ol the Roman Republic." Sellar. Roman Poets  of the Republic, p. 357.     IXTRODUCTIOX. 7   A somewhat ingenious, but unsuccessful, attempt has been made to  account for the indifference with which Lucretius was treated on the  ground of his assault Upon the doctrine of the future life. It has  been suggested that as the enmity of the Christian writers was early  called down upon his head for this cause, he was likewise whelmed  ' ' under a conspiracy of silence on the part of his Roman contempo-  raries and successors " for the same reason. ^ But so general was the  skepticism of his age on this question, that it is scarcely credible that  the publication of his views could have seriously scandalized the cul-  tured classes who read his lines. The same judgment will hold true  with reference to the entire attitude of Lucretius toward the tra-  ditional religion. It is a sufficient answer to the theory that his in-  fidelity created antipathy toward him to record the fact that Julius  Caesar, than whom no more pronounced free-thinker lived in his day,  was, despite his skepticism, pontifex maxi'mus of the Roman common-  wealth, and did not hesitate to declare in the presence of the Senate  that the immortality of the soul was a vain delusion.^ That he rep-  resented in these heretical opinions the position of many of the fore-  most persons of the period is the testimony of contemporary literature.   Shall we not find the better reason for the apparent neglect of  Lucretius in the era immediately following the issue of his poem in  the fact that there was no public at this juncture for the study  of Greek philosophy clothed in the Latin language .? Cicero, who de-  voted himself with the zeal of a patriot to the creation of a philosoph-  ical literature in his native tongue, complained of the scant courtesy  paid to his efforts. Xon eram nescius. Brute, cum, quae summis in-  geniis exquisitaque doctrina philosophi Graecn sermone tractavisseni, ea  Latinis Uteris mandaremus, fore ut hie noster labor in varias reprehen-  siones incur reret. Nam qiiibusdam, et Us quidem non admodum indoctis,  totum hoc displicet, philosophari. Quidam autem non tam id reprehendunt,  si remissius agatur, sed tantum studium tamque muUam operant ponendam  in eo non arbitrabantur. Erunt etiam, et ii quidem eruditi Graecis Utter is,  contemnentes Latinas, qui se dicant in Graecis legendis operant maUe  consumer e. Postremo aliquosfuturos suspicor, qui me ad aUas Utter as vocent,   * This is the view advanced by R. T. Tyn-il of the University of Dublin. See  his LiiUn Poc'try, p. 74, (Houjrhton, Mifflin & Co., N. Y., 1895).  ^ Merivale. History of the Romans. If. p. 354.     8 CONTROVERSIAL ELEMENTS IN LUCRETIUS.   genus hoc scribendi, etsi sit elegans, personae iamen et digtiiiatis esse  negent.^ Yet this work, as he explains in his De Divinatione,'^  was undertaken with the commendable purpose of benefitting  his countrymen. He anticipated with delight the advantages  which would accrue to them when his researches were com-  plete. Magnificum illud etiam Romanisque hominibus gloriosum, ut  Graecis de philosophia litteris no?i egeant. ^ And later he reaped his re-  ward in an awakened interest in the subjects of his studious inquiries.  But he was compelled in the beginning to cultivate a sentiment in  behalf of those investigations. Lucretius addressed himself to an un-  sympathetic public, and was likewise required to wait for applause  until a' more appreciative generation rose up to do him honor.   Yet it must not be supposed that Epicureanism exercised a feeble  influence over the thought of cultivated Romans in this period of  their history. The very theme which engaged the genius of Lucretius  had also employed the energies of predecessors and contemporaries.  Among attempts of this character were the De Rerum Natura of  Egnatius, which appeared somewhat earlier than the work of Lucretius ;  the Empedoclea of Sallustius mentioned by Cicero in the much dis-  cussed passage relating to Lucretius; and a metrical production en-  titled De Rerum Natura by Varro.* Commentaries on the principles  of Epicureanism had also been extant for some time. Chief among  the authors of such compositions was Amafinius who preceded  Lucretius by nearly a century. Our knowledge of him is mainly  derived from Cicero, who says : C Amafijiius exstitit dicens cuius libris  editis commota multitudo contulit se ad eain potissimum disciplinam}  Rabirius is also mentioned by the same author as belonging to that  class of writers, Qui nulla arte adhibita de rebus ante oculos positis vol-   * Dc Finilnts, I, i.   ^ Quaercnti mihi vmltumquc d diu cogitanti, quanotii re possem prodesse qtiam plu-  rimus, ne quando intervdtterem considere reipubiicae, nulla niaior occurrebat^ quam si  optimaruni artiwn vias traderevi vicis civibus; quod conpluribus iam libris me arbitror  conseciiturn. . . . Quod enim munus rei publicac adferrc mains nieliusve pos-  s tonus , quam si docemus at que erudimus iuveiitutem^ his praesertim in or i bus at que  iemporibus, qtdbus ita prolapsa est, etc. II, I, 2.   ^ De Divinatione, II, 2.   ^ Sellar, Roman Poets of the Republic, p. 278.   ^ Acad. I, 2, 5.     INTRODUCTION. 9   gari sermone disputant.^ Rabirius indulged in a popular treatment  of philosophy and covered much the same ground as Amafinius.  Another contributor to the literature of Epicureanism whom Cicero  records in no complimentary way is Catius — Catius insuber, Epicur-  eus, quinuper est vioriuus, quae ille Gargettius et iam ante Democritus ctSuXa,  hie spectra nominat. ^   The interest in this school of philosophy among Romans of the  time of Lucretius is further apparent in the prominence which cer-  tain Epicurean teachers attained. Conspicuous among them is Zeno  the Sidonian, whose lectures Cicero in company with Atticus had at-  tended on the occasion of his first visit to Athens, 79 to 78 B.C.,  whom he calls the prince of Epicureans in his De Natura Deorum,'^  and wliose instruction is doubtless liberally embodied in Cicero's  discussions of the system of Epicureanism.* Contemporary with  Zeno was Phaedrus/ who had achieved distinction in Athens and  Rome, in both of which places Cicero studied under his direction.  Somewhat later Philodemus^ of Gadara appeared in Rome, and is  mentioned by Cicero as a learned and amiable man. The consider-  able body of writings bearing his name found in the Volumina Her-  culanensia'^ indicates his position among the philosophic instructors  of his day. Scyro * a follower of Phaedrus, said to have been the  teacher of Vergil ; Patro * the successor of Phaedrus, who taught in  Athens; and Pompilius Andronicus,^" the grammarian who gave up his  j)rofession for the tenets of Epicurus, were eminent also at this period.   Partly as a result of the activity of these teachers of philosophy, and  partly on account of the prevailing anxiety to arrive at some satis-  factory scheme of life, the number of disciples of Epicurus steadily  increased at this time, and included not a few illustrious names.   »7>/j6. Disp., IV, 6.   ■'Ad Fam.. XV, 16, 2.   ^I. 21. Cf. Diogenes Laertius. X, 25.   * Rilter et Preller, Hist. Phil. Graec, 447. a.  -^Ad Fam., XIII, i.   ^De Fin., II, 35, 119.   • Ritter et Preller, Hist. Phil. Graec, 447, a.  ^Ad. Fam., VI. ii.   ^Ad. Fam., XIII, i. Ad Attic, V, 11.   ^•^Zeller. Stoics. Fpicnreans and Sceptics, p. 414, i.     lO CONTROVERSIAL ELEMENTS IN LUCRETIUS.   These are known to us chiefly through the writings of Cicero/ who  mentions T. Albutius, Velleius, C. Cassius, the well-known conspirator  against Caesar, who may himself be classed among those who had  lost confidence in the gods/ C. Vibius Pansa, Galbus, L. Piso, the  patron of Philodemus, and L. Manlius Torquatus. Other notable  personages are apparently regarded as Epicureans by Cicero, but  grave doubts have been expressed concerning their real attitude  toward the school. It is barely possible that Atticus may justly be  denominated an Epicurean, for he calls the followers of Epicurus  nostri familiar es^ and condiscipuli.* But his eclectic spirit would  seem to forbid his classification with any single system, and Zeller^  feels that neither he nor Asclepiades of Bithynia, a contemporary of  Lucretius, who resided at Rome and was associated with Epicureans,  can be regarded as genuine disciples of Epicurus.   The discussions of the Epicurean philosophy in De Natura Deorwn,  De Finibus and other works of Cicero evince the profound interest he  had in the school, though his general attitude was one of unfriendli-  ness. What reason, then, we may ask, can be given for his almost  uninterrupted silence concerning Lucretius } The only reference we  have to the poet in all Cicero's voluminous compositions occurs in a  letter to his brother Quintus,* four months after the death of Lucretius,  in which he says, Lucretii poemata, ut scribis ita sunt: viultis lunmiibus  ingenii, viultae etiam artis; sed cum veneris virum te putabo, si Sallustii  Empedoclea legeris, hominem non putabo. These words certainly imply  that both Marcus and Quintus had read the poem, and many scholars  accept the statement of Jerome in his additions to the Eusebian  chronicle — quos Cicero emendavit — as applying to Marcus.' But if he  was closely enough identified with the work of Lucretius to edit his  manuscript, why in those writings wherein ample opportunity was af-  forded, did not Cicero mention his labors in the field of philosophy .?   ^ Zeller, Stoics, Epicureans and Sceptics, p. 414, 3.  ■^Merivale, Hist. Rom., II, pp. 352, 3.  ^De Fin., V, i, 3.  ^Legg., I, 7» 21.   '^Stoics, Epicureans and Sceptics, p. 415.  ^Ad Quint ton, II, II.   ^ Munro (II, pp. 2-5) who discusses this question with his usual lucidity, inclines  to the opinion that Jerome, following Suetonius, has indicated M. T. Cicero as the     INTRODUCTION. I I   This is a particularly pertinent inquiry in view of the fact that he does  speak of Amafinius, Rabirius and Catius, as we have already observed,  and that he devoted so much attention to the discussion of Epicur-  ean principles. Munro answers this question by declaring that it was  not Cicero's custom to quote from contemporaries, numerous as his  citations are from the older poets and himself; that had he written  on poetry as he did of philosophy and oratory, Lucretius would have  undoubtedly occupied a prominent place in the work, and that more  than once in his philosophical discussions Cicero unquestionably re-  fers to Lucretius.^ Munro is not alone in contending that the liter-  ary relations between Lucretius and Cicero were more or less intimate.  Other critics have traced to Cicero's Aratea important lines in  Lucretius, while many passages in Cicero closely resemble utterances  of the poet. Martha quotes several remarkable parallels between De  Finibus and various lines in Lucretius.^ But it is argued on the other  hand no less vigorously that didactic resemblances prove nothing, ex-  cept that Lucretius and Cicero wrought from like sources their several  Latinizations of Greek philosophy.   And herein there is suggested a possible explanation of Cicero's ap-  parent indifference to the poet, whether he did him the favor of edit-  ing his verse or not. Cicero had made an earnest study of Greek  philosophy long before the poem of Lucretius had been introduced  to his notice. He had resorted to original authorities for informa-  tion concerning Epicureanism. Zeno the Sidonian and Philodemus  of Gadara, as already noted, had supplied him with much material.  Everywhere in his philosophical works there is evidence that he re-  garded himself a sort of pioneer in this peculiar field of investigation.     editor of Lucretius, and that this was the real fact. Sellar, Roman Poets of the  Republic, pp. 284-6, though suspending judgment does not deny the probability  that M. T. Cicero performed this favor for Lucretius. Teuffel, Hist. Rom. Lit.,  I, 201, 2, while expressing doubt concerning the evidence of Cicero's connection  with the poem, declares that at any rate his " part was not very important, and it  might almost seem that he was afraid of publishing a work of this kind." Prof. E.  G. Sihler, N. Y. University, presents an argument of great force against the prob-  ability of Cicero's editorship. See Art. Lucretius and Cicero. Transactions Amer-  ican Philological Association^ Vol. XXVIII, 1897.   1 Munro, II. pp. 4, 5.   ^ M. Constant Martha, La: L^oeme de Lucrece, quoted in Lee's Lucretius, p. xiv, I.     12 CONTROVERSIAL ELEMENTS IN LUCRETIUS.   and therefore deserving of the pre-eminence therein. He d()u])tlcss  placed no importance upon any Latin writings beside his own which  treated of this class of Greek culture. Indeed the references which  he has made to persons engaged in an undertaking similar to his own  are in no instance flattering. And Lucretius would only be esteemed  by him a competitor in the same department of inquiry, who wrote  in Latin verse instead of Latin prose.   Keeping these facts in mind the comparative silence of Cicero re-  garding Lucretius does not seem wholly incompatible with the theory  of his editorship. He was himself an expositor of Epicurus — and  that too of the hostile kind. He had " popularized the Epicurean  doctrines in the bad sense of the word," and had thrown "a  ludicrous color over many things which disappear when they are more  seriously regarded. " ^ Yet his opposition to the tenets of Epicurus  would not preclude him from friendly association with many who  professed them, and if asked to lend his name to the publication of  Lucretius' verses, there could be no reason for withholding it. But  if his antagonism to Epicureanism would lead him to speak against  the doctrines of the poem, his admiration for the literary excellences  of the work, as exhibited in his willingness to stand sponsor for its  issue, would deter him from adverse criticism. Silence in such a  case is the best evidence of friendship.   Mommsen ^ remarks that "Lucretius, although his poetical vigor  as well as his art was admired by his cultivated contemporaries, yet  remained — of late growth as he was — a master without scholars."  But with increasing knowledge in what is best in Epicurus and a  finer taste to appreciate the moral and literary virtues of Lucretius,  subsequent generations gave ample recognition to the poet. Horace  and Vergil were greatly influenced by him, particularly the latter, who  is supposed to refer to Lucretius in the famous lines :   Felix qui potuii rerum cognoscere causas\  Atque metus omnes et inexorabile fatum.  Subiecit pedihus strepitumque Achernntis avari.'^     1 Lanjje, History of Materialism. I. p. 127 (Eng. Tr.).  =* Hist. Rome, IV, p. 699.  ^ Georgica, II. 490 2.     INTRODUCTION. I 3   Ovid pronounced words of high eulogy upon him :   Carmina sublimis tunc sunt peritura Lucre tt  Exitio terras cum dabit una dies. ^  The persistency of the Epicurean school of philosophy despite perse-  cution and opposition down to the fourth century A. D. demon-  strates its marvelous vitality and the almost deathless influence of  the personality of Epicurus, whose single mind projected its grasp  upon human thought throughout the whole existence of the sect.  And not the least important agent in affecting this result, because of  his almost idolatrous devotion to his master and the persuasive charm  of his lines, was the poet Lucretius. Marcello Frixione. Frixione. Keywords: l’implicatura metrica di Lucrezio, poetry, Ezra Pound, Alighieri, “speranza, tela” – Tesauro – Folco -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Frixione” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759787619/in/dateposted-public/

 

Frontino (catalogued by it.wiki under “filosofi romani”and ‘scrittori romani’ – vide Marc’Aurelio Antonino.

 

Frontone – vide Antonino

 

Grice e Frosini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice: “I like Frosini; only in Italy a professor of jurisprudence – the Italian H. L. A. Hart – would care to provide a theatrical ‘reduction’ of a Sicilian ‘romanzo’! Genial – He has also written on Risorgimento families!” --  «Il progresso tecnologico è la nuova democrazia di massa»  (Vittorio Frosini in'intervistaalla trasmissione RAI Mediamente ). Considerato il padre dell'Informatica in Italia, si devono a lui le prime riflessioni generali sulle implicazioni esistenti tra diritto, tecnologie e attività giudiziarie.  Laureatosi alla a Pisa in filosofia e studia a Catania. Studia la regolamentazione dell'informatica; ha presieduto l'Associazione Italiana di Diritto dell'Informatica e di Giuritecnica e l'Istituto di Teoria dell'interpretazione e di informatica giuridica presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Roma "La Sapienza". Teorico di un "umanesimo tecnologico" attento ai diritti civili, ha avviato una ricostruzione sistematica dei problemi dell'informatica consapevole delle diverse implicazioni economiche e sociali della regolamentazione giuridica. Nel confronto costante tra diritto e tecnologie, il progresso produce una evoluzione sociale continua che si riflette nel campo giuridico ed economico come nei miglioramenti qualitativi dei diversi rapporti con le istituzioni, favorendo un continuo e immediato confronto fra amministratori e amministrati entro un rapporto diretto a carattere orizzontale, mentre prima era a carattere “verticale” e così il cittadino diventa veramente attore della vita civile e non più suddito. Di qui il profilarsi di una nuova democrazia di massa in cui si realizza con apparente paradosso una nuova forma di libertà individuale, un accrescimento della socialità umana che si è allargata sull'ampio orizzonte del nuovo circuito delle informazioni, un potenziamento, dunque, dell'energia intellettuale ed operativa del singolo vivente nella comunità». L'opera centrale di Vittorio Frosini, Professore ed emerito di filosofia del diritto e di informatica giuridica è indubbiamente “La struttura del diritto”. Il saggio ebbe immediati riconoscimenti e una notevole fortuna in Italia dove ebbe sei riedizioni pressoché inalterate. Quale suo autore ricevette un premio dall'Accademia Nazionale dei Lincei dalle mani del Presidente della Repubblica Italiana, Antonio Segni.  Frosini è peraltro autore di saggi fondamentali sul rapporto tra tecnologia e diritto quali:  “Cibernetica: diritto e società”; “Informatica, diritto e società” (Milano); “Giuffrè Il giurista e le tecnologie dell'informazione” (Roma, Bulzoni); “La democrazia nel XXI secolo)” (Roma, Ideazione ed.;, Macerata, Liberilibri); “La lettera e lo spirito della legge” (Milano): Giuffrè Teoria e tecnica dei diritti umani” (Napoli, Edizioni scientifiche Italiane; “Fondamentali sono anche i suoi scritti sulla rivista Informatica e Diritto: “L'automazione elettronica nella giurisprudenza e nell'Amministrazione Pubblica”; “La giuritecnica: problemi e proposte”; “Giustizia e informatica”; “La protezione della riservatezza nella società informatica”; “L'esperienza OCSE nel potenziamento degli scambi tecnologici connessi alla gestione delle informazioni”; “L'informatica nella società contemporanea; “Riflessioni sui contratti d'informatica”; “Il giurista nella società dell'informazione Riconoscimenti A Vittorio Frosini sono dedicati:  il premio nazionale di informatica giuridica "Vittorio Frosini" della rivista Il diritto dell'informazione e dell'informatica; la collezione di strumenti di calcolo e di elaborazione automatica dei dati, utilizzati presso l'Istituto di Teoria dell'Interpretazione e di Informatica Giuridica dell'Università "La Sapienza" di Roma. MediaMente: "Il progresso tecnologico e ‘la nuova democrazia di massa’", su mediamente.rai.  "Net freedoms: i diritti di libertà in rete" Dibattito sul diritto dell'informazione e dell'informatica | RadioRadicale  Cfr. Frosini in una lucida testimonianza su Università, Normale e Collegio Mussolini, Raimondo Cubeddu e Giuseppe Cavera.  Sabino Cassese, Vittorio Frosini e lo spirito della legge, Il Sole; Frosini, La democrazia nel XXI secolo, Macerata, Liberi libri,.  Fondazione Piero Calamandrei, Roberto Russano, degli scritti, Milano, A. Giuffrè, Vittorio Frosini, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  La ‘morfogenesi dell’ordinamento giuridico’ in Vittorio Frosini, in "L'Ircocervo. Rivista elettronica italiana di metodologia giuridica, teoria generale del diritto e dottrina dello stato" Genesi filosofica e struttura giuridica della Società dell'informazione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, su edizioniesi.  Il Gattopardo TEATRO STABILE, ROMA Il Gattopardo - forse il film più popolare di Luchino Visconti, tratto dal capolavoro letterario di Tomasi di Lampedusa - è ora anche uno spettacolo teatrale. L'inedita trasposizione scenica si deve al regista Gianni Giaconia, dal 1995 direttore artistico della sala di piazza Nerazzini, a un passo dalla più nota piazza dei Navigatori. Suo infatti il proposito di compiere una riduzione del romanzo da adattare alle scene.   COMUNICATO STAMPA di Giuseppe Tomasi di Lampedusa   riduzione teatrale di Vittorio Frosini   regia di Gianni Giaconia   musiche di Vittorio Giannini  scene di Luca Arcuri   Il Gattopardo - forse il film più popolare di Luchino Visconti, tratto dal capolavoro letterario di Tomasi di Lampedusa si deve al regista Gianni Giaconia, dal 1995 direttore artistico della sala di piazza Nerazzini, a un passo dalla più nota piazza dei Navigatori. Suo infatti il proposito di compiere una riduzione del romanzo da adattare alle scene, sua la scelta di approntare una singolare versione multimediale della celebre opera servendosi del testo messo a punto da Vittorio Frosini (e proprio in questi giorni uscito in volume presso Bulzoni editore) e di inserti cinematografici appositamente confezionati per l'occasione.   Nei centoventiminuti di questa originale edizione del Gattopardo riletto da Gianni Giaconia gli inserimenti segneranno - non senza una certa attitudine sperimentale e trasgressiva - alcuni passaggi della storia del principe Salina, da Tomasi di Lampedusa mirabilmente ritratta nel doloroso passaggio, sulla scia dell'impresa garibaldina, dalla Sicilia dei Borboni a quella dei Sabaudi, amaro volgere di un mondo che si vede scosso e abbattuto da nuovi fremiti, dove però resta valida la massima "se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi".   In scena, impegnati a sostenere le parti che nella memoria di ognuno di noi hanno ancora i volti e i modi di Burt Lancaster, Claudia Cardinale o Alain Delon (per limitarsi ai soli protagonisti principali), sono circa trenta attori, tra cui Giorgio Berini, Sergio Silvestro e Eleonora Zimei, nei ruoli - rispettivamente - del principe, di suo nipote Tancredi e della bella Angelica.   Siciliano di origine, Gianni Giaconìa si puo' considerare romano d'adozione. E' dal 1969 infatti che risiede nella capitale, dove - con il nome d'arte di Marcello Monti - ha iniziato la sua carriera d'attore proseguita tra palcoscenici e set per quasi tre decenni ininterrotti. In teatro, è stato diretto tra gli altri da Vasilicò, Fantoni, Sbragia, Vannucchi, Garrani e ha lavorato a fianco di Elsa De Giorgi, Gianrico Tedeschi, Salvo Randone. Tra le sue interpretazioni e partecipazioni cinematografiche e televisive, ricordiamo i film "Correva l'anno di grazia 1870" di Alfredo Giannetti (con Marcello Mastroianni e Anna Magnani, 1971) e "Ligabue" di Salvatore Nocita (con Flavio Bucci, 1978), oltre a varie pellicole con Maurizio Merli dirette da Marino Girolami (tra cui "Italia a mano armata" nel 1976), e soprattutto a "Fontamara" di Carlo Lizzani (con Michele Placido, 1980) dove Gianni Giaconia-Marcello Monti è Scarpone.   Ha esperienza di doppiaggio e di regia televisiva (per fiction trasmesse da televisioni locali siciliane).   Dal 1995 dirige il Teatro Stabile di Santa Francesca Romana, per il cui palcoscenico ha già siglato, tra le altre, le regie di "Processo a Gesù" di Fabbri, "Vita di Galileo" di Brecht, "La tempesta" di Shakespeare, realizzando spettacoli multimediali.   La trasposizione in linguaggio scenico di un testo narrativo - scrive Vittorio Frosini autore della riduzione teatrale de "Il Gattopardo" - obbliga ad esercitare sul testo originario un rifacimento, che è quasi una operazione di chirurgia estetica; anzi, si tratta di una metamorfosi da un linguaggio scritto in un linguaggio parlato e gestito, da una continuità discorsiva ad una serialità episodica. Nel procedere a questa manipolazione intellettuale ho dovuto affrontare il problema di una scelta tematica dei motivi presenti nell'opera romanzesca: ho dato perciò risalto ad alcuni di essi. Tale è il confronto fra la coscienza del principe e l'idea della morte, che viene anteposto agli altri momenti della vicenda; tale è il rapporto fra la condizione storica dei personaggi e l'irruzione dell'impresa garibaldina. Si tratta dunque di una libera sceneggiatura del romanzo, di una interpretazione di esso, e cioè di una lettura partecipe.   Vittorio Frosini è professore emerito dell'università La Sapienza di Roma, dove ha insegnato filosofia del diritto, sociologia giuridica e teoria dell'interpretazione. E' stato componente del Consiglio Superiore della Magistratura e Visiting Professor nelle università di Tokyo e di Harvard, ed è accademico della Real Academia di Spagna. E' autore di molti studi di carattere giuridico, pubblicati anche in diverse lingue straniere, e di numerosi saggi di carattere storico e letterario, dedicati in parte alla Sicilia.   Orario:  da martedì a sabato alle ore 20.45,  domenica alle ore 17.45;  Teatro Stabile S. Francesca Romana,  Piazza Nerazzini, Roma  tel: 06 5125531   Informazioni e prenotazioni: tel. 06.5125531  Biglietti: intero 25.000 - ridotto 20.000   Stagione 2000/2001 del Teatro Stabile S. Francesca Romana:   Dal 12 ottobre al 12 novembre 2000  Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa riduzione teatrale di Vittorio Frosini regia di Gianni Giaconia   Dal 21 al 26 novembre 2000  Goffredo Tofani (produzione da definire)   Dal 23 gennaio al 4 febbraio 2001  Compagnia Associazione Agitati prima dell'Uso L'uomo, la bestia e la virtù di Luigi Pirandello regia di G. Cirillo   Dal 20 al 25 febbraio 2001  Goffredo Tofani (produzione da definire)   Dal 27 febbraio all'11 marzo 2001  Compagnia I Bankarettisti Non ti pago di Eduardo De Filippo regia di Gennaro Sommella   Dal 13 al 25 marzo 2001  Compagnia I Buattari 'O scarfalietto di E. Scarpetta regia di Paolo Savini   Dal 27 marzo all'8 aprile 2001  Compagnia Corricorri Vin santo di Roberto Giacomozzi regia di Roberto Giacomozzi   Dall'1 al 13 maggio 2001  Compagnia Associazione Agitati prima dell'Uso L'importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde regia di Gaetano Cicoira   Dal 22 maggio al 3 giugno 2001  Compagnia Associazione Agitati Prima dell'Uso (una commedia da definire di E. Scarpetta) regia di Gaetano Cicoira  STAMPAPERMANENT LINK TEATRO STABILE IN ARCHIVIO [2]  WORDSTAR(S) DAL 7/1/2013 AL 19/1/2013Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il film diretto da Luchino Visconti, vedi Il Gattopardo (film). «Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica in quattro e quattr'otto. Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi»  (Tancredi Falconeri, nipote di don Fabrizio Corbera, Principe di Salina) Il Gattopardo Incipit Gattopardo.jpg L'incipit manoscritto del Gattopardo AutoreGiuseppe Tomasi di Lampedusa 1ª ed. originale1958 Genere  romanzo Sottogenere                                           storico Lingua originaleitaliano AmbientazioneSicilia, 1861-1910, Risorgimentoitaliano ProtagonistiFabrizio Corbera Il Gattopardo è un romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia, seguita alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Dopo i rifiuti delle principali case editrici italiane (Mondadori, Einaudi, Longanesi), l'opera fu pubblicata postuma da Feltrinelli nel 1958, un anno dopo la morte dell'autore, vincendo il Premio Strega nel 1959,[1] e diventando uno dei best-seller del secondo dopoguerra; è considerato uno tra i più grandi romanzi di tutta la letteratura italiana e mondiale.  Il romanzo fu adattato nell'omonimo film del 1963, diretto da Luchino Visconti e interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon.  Tema e storia editorialeModifica L'autore contemplava da lungo tempo l'idea di scrivere un romanzo storico basato sulle vicende della sua famiglia, gli aristocratici Tomasi di Lampedusa, in particolare sul bisnonno, il principe Giulio Fabrizio Tomasi, nell'opera il principe Fabrizio Salina, vissuto durante il Risorgimento, noto per aver realizzato un osservatorio astronomico per le sue ricerche e morto nel 1885. Dopo che il Palazzo Lampedusa fu gravemente lesionato dai bombardamenti dalle forze Alleate durante la Seconda guerra mondiale e saccheggiato, l'autore scivolò in una lunga depressione.   Stemma di famiglia dei Tomasi Fu scritto tra la fine del 1954 e il 1957, l'anno della morte dell'autore - un erudito appassionato di letteratura, ma del tutto sconosciuto ai circuiti letterari italiani. Il manoscritto venne inviato alle case editrici con una lettera di accompagnamento scritta di pugno dal cugino di Tomasi, il poeta Lucio Piccolo. La spedizione della prima copia (una versione ancora parziale) avvenne il 24 maggio del 1956 da Villa Piccolo, indirizzata al conte Federico Federici della Mondadori. Lucio Piccolo stesso cercò di avere notizie circa l'esito della lettura del manoscritto da parte di Mondadori, inviando una lettera all'amico e collega poeta Basilio Reale, per sincerarsi se la lettura avesse sortito l'esito sperato.[2] Tuttavia, gli editori Arnoldo Mondadori Editore e Einaudi rifiutarono. Infatti, il testo, pur privo di alcuni capitoli, fu dato in lettura prima al conte Federici per Mondadori, poi a Elio Vittorini, allora consulente letterario per Mondadori e curatore della collana I gettoni per l'Einaudi, il quale lo bocciò per entrambe le case editrici rimandandolo all'autore, e accompagnando il rifiuto con una lettera di motivazione. L'opinione negativa di Vittorini, un clamoroso errore di valutazione, fu da lui ribadita anche successivamente, quando il Gattopardo divenne un caso letterario internazionale.  L'avventurosa pubblicazione avvenne solo dopo la morte dell'autore. L'ingegner Giorgio Gargia, paziente della baronessa Alexandra Wolff Stomersee, la moglie psicoanalista di Tomasi, si offre di consegnare una copia a una sua conoscente, Elena Croce. La figlia di Benedetto Croce lo segnala a Giorgio Bassani, da poco divenuto direttore della collana di narrativa I Contemporanei per la Giangiacomo Feltrinelli Editore, e che sollecitava gli amici letterati a segnalargli interessanti inediti[3]. Bassani ricevette dalla Croce il manoscritto incompleto, ne comprese immediatamente l'enorme valore, e nel febbraio 1958 volò a Palermo per recuperare e ricomporre il testo nella sua interezza: decise subito di pubblicare il libro[4], che uscì l'11 novembre dello stesso anno, curato da Bassani. Nel 1959, quando ricevette il premio Strega, la tiratura aveva raggiunto in solo otto mesi le 250 000 copie, divenendo il primo best selleritaliano con oltre centomila copie vendute[5]. La forza e l'importanza che ebbe il romanzo in quegli anni è testimoniato anche dalla battuta che Eduardo De Filippo nella commedia del 1959 Sabato, Domenica e Lunedì fa dire a Memè, la zia colta di casa Priore, la quale ammonendo i parenti troppo affaccendati nelle questioni quotidiane esce di scena ammonendoli al grido di "compratevi il Gattopardo!".  Il titolo del romanzo ha origine nello stemma di famiglia dei principi di Lampedusa, rappresentato dal Felis leptailurus serval, una belva felina diffusa nelle coste settentrionali dell'Africa, proprio di fronte a Lampedusa. Nelle parole dell'autore l'animale ha un'accezione positiva: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra». Tuttavia, proprio sull'onda del successo planetario del romanzo, sarebbe invalso invece un significato negativo, facendo dell'aggettivo "gattopardesco" l'emblema del trasformismo delle classi dirigenti italiane. A ben vedere, è anche vero che fu Tomasi stesso con le sue fiere parole a legare la parola a un significato ambiguo, quando prevede un destino di rassegnazione e di solo illusorio orgoglio per l'Italia futura[6].  Nel 1967 dal romanzo venne tratta un'opera musicale di Angelo Musco, con libretto di Luigi Squarzina.  TramaModifica Il racconto inizia con la recita del rosario in una delle sontuose sale del Palazzo Salina, dove il principe Fabrizio, il gattopardo, abita con la moglie Stella e i loro sette figli: è un signore distinto e affascinante, raffinato cultore di studi astronomici ma anche di pensieri più terreni e a carattere sensuale, nonché attento osservatore della progressiva e inesorabile decadenza del proprio ceto; infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, va prendendo rapidamente piede un nuovo ceto, quello borghese, che il principe, dall'alto del proprio rango, guarda con malcelato disprezzo, in quanto prodotto deteriore dei nuovi tempi. L'intraprendente e amatissimo nipote Tancredi Falconeri non esita a cavalcare la nuova epoca in cerca del potere economico, combattendo tra le file dei garibaldini (e poi in quelle dell'esercito regolare del Re di Sardegna), cercando insieme di rassicurare il titubante zio sul fatto che il corso degli eventi si volgerà alla fine a vantaggio della loro classe; è poi legato da un sentimento, in realtà più intravisto che espresso compiutamente, per la raffinata cugina Concetta, profondamente innamorata di lui.  Il principe trascorre con tutta la famiglia le vacanze nella residenza estiva di Donnafugata; il nuovo sindaco del paese è don Calogero Sedara, un parvenu, ma intelligente e ambizioso, che cerca subito di entrare nelle simpatie degli aristocratici Salina, mercé la figlia Angelica, cui il passionale Tancredi non tarderà a soccombere; non essendo una nobile, Angelica non avrà immediatamente il consenso di don Fabrizio, ma grazie alla sua travolgente e incantevole bellezza riesce a convincere casa Salina e a sposare Tancredi. Inoltre Calogero Sedara, il padre di Angelica, fornisce alla figlia nel contratto matrimoniale tutto quello che possiede.  Arriva il momento di votare l'annessione della Sicilia al Regno di Sardegna: a quanti, dubbiosi sul da farsi, gli chiedono un parere sul voto, il principe risponde suo malgrado in maniera affermativa; alla fine, il plebiscito per il sì sarà unanime. In seguito, giunge a palazzo Salina un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, incaricato di offrire al principe la carica di senatore del Regno, che egli rifiuta garbatamente dichiarandosi un esponente del vecchio regime, ad esso legato da vincoli di decenza. Il principe condurrà da ora in poi vita appartata fino al giorno in cui verrà serenamente a mancare, circondato dalle cure dei familiari, in una stanza d'albergo a Palermo dopo il viaggio di ritorno da Caserta, dove si era recato per cure mediche. L'ultimo capitolo del romanzo, ambientato nel 1910, racconta la vita di Carolina, Concetta e Caterina, le figlie superstiti di don Fabrizio.  Il significato dell'operaModifica L'autore compie all'interno dell'opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco ("Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi")[7]. Nel dialogo con Chevalley di Monterzuolo, inviato dal governo sabaudo, il principe di Salina spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto di cinica realtà e rassegnazione. Spiega che i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi. Così, il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso.   Il dialogo con Chevalley manoscritto Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare sé stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani. In questa chiave egli legge tutte le spinte contrarie all'innovazione, le forme di resistenza mafiosa, la violenza dell'uomo, ma anche quella della natura. I Siciliani non cambieranno mai poiché le dominazioni straniere, succedutesi nei secoli, hanno bloccato la loro voglia di fare, generando solo oblio, inerzia, annientamento (il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di "fare". [...] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono). Garibaldi è stato uno strumento dei Savoia, nuovi dominatori (da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento [...] ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio). Questi avvenimenti si sono innestati su una natura ed un clima violenti, che hanno portato ad una mancanza di vitalità e di iniziativa negli abitanti (... questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; [...] questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; [...] questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo...).  Classificazione come romanzo storicoModifica La vicenda descritta nel Gattopardo può a prima vista far pensare che si tratti di un romanzo storico. Tomasi di Lampedusa ha certamente tenuto presente una tradizione narrativa siciliana: la novella Libertà di Giovanni Verga, I Viceré di Federico De Roberto, I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello ispirata al fallimento risorgimentale, drammaticamente avvertito proprio in Sicilia, dove erano vive speranze di un profondo rinnovamento. Ma mentre De Roberto, che fra i tre citati è, per questa tematica, il più significativo, indaga le motivazioni del fallimento con una complessa rappresentazione delle opposte forze in gioco, Tomasi di Lampedusa presenta la vicenda risorgimentale attraverso il machiavellismo della classe dirigente, che alla fine si mette al servizio dei garibaldini e dei piemontesi, convinta che sia il modo migliore perché tutto resti com'era. Questa rappresentazione per la prospettiva da cui è descritta è parziale; restano fuori dal romanzo molti eventi significativi: solo per fare un esempio, la rivolta dei contadini di Bronte, che provocò 16 morti prima di essere stroncata nel sangue da Nino Bixio che fece condannare a morte 5 dei responsabili (oggetto invece della novella di Verga).  Da questo punto di vista quindi le mancanze de Il Gattopardo come romanzo storico del Risorgimento in Sicilia sono evidenti. Osservava Mario Alicata: «Una cosa è cercare di comprendere come e perché si affermò nel processo storico risorgimentale una determinata soluzione politica, cioè la direzione di determinate forze politiche e sociali, un'altra cosa è credere, o far finta di credere, che ciò sia stato una sorta di presa in giro condotta dai furbi (dai potenti di ieri e di sempre) ai danni degli sciocchi (coloro che si illudono che qualche cosa di nuovo possa accadere non solo sotto il sole di Sicilia ma sotto il sole tout court)». Pertanto è dubbio se il valore de Il Gattopardovada ricercato al di fuori della prospettiva del romanzo storico; la faccenda appare più complicata di come poteva apparire ai primi lettori dell'opera, se il principe stesso negava di aver voluto scrivere un romanzo storico (semmai un testo intessuto di memoria e di memorie), nella seconda edizione de Il romanzo storico, invece Lukács riconduce Il Gattopardo al canone proprio del genere.  Di recente Vittorio Spinazzola, in un importante lavoro degli anni novanta, Il romanzo antistorico, attribuisce alla triade formata da I Viceré di De Roberto, I vecchi e i giovani di Pirandello, e il romanzo di Tomasi di Lampedusa, la fondazione di un nuovo atteggiamento del romanzo rispetto alla storia; non più l'ottimismo di una concezione storicista e teleologica dell'avvenire dell'uomo (ancora presente in Italia nelle grandi cattedrali di Manzoni e Nievo), ma la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive, e che la "macchina del mondo" non è votata a provvedere alla felicità dell'uomo. Il romanzo antistorico è il deposito di questa concezione non trionfalistica della storia, nei tre testi citati il corso della storia genera nuovi torti e nuovi dolori, invece di lenire i vecchi. Malgrado la posizione nuova di Spinazzola, che rilegge in modo intelligente la questione, il problema resta aperto, e la critica non ha ancora trovato una soluzione condivisa su questo tema.  È un romanzo uscito dalla tradizione narrativa ottocentesca, della quale si avverte almeno la presenza di Stendhal; ma nel senso della solitudine e della morte che pervade il protagonista si rivela anche l'influenza determinante dell'esperienza decadente.[8]  Un altro elemento di differenza con altri romanzi storici è il suo essere una trasposizione in un racconto di fantasia di vicende familiari che in parte sono realmente avvenute e sono state tramandate attraverso la bocca dei parenti di Tomasi di Lampedusa. A differenza di romanzi storici come ad esempio I promessi sposi, nel quale nessun dettaglio storico era specificato che non fosse già presente nelle fonti scritte consultate da Manzoni, Il Gattopardorappresenta esso stesso una testimonianza storica (seppur offuscata dal tempo e dalla tradizione orale) di come una parte della nobiltà visse quel determinato periodo di transizione.  Sterilità e morteModifica Il modulo narrativo si discosta molto dai canoni del romanzo storico: il romanzo è suddiviso in blocchi, con una sequenza di episodi che, pur facendo capo ad un personaggio principale, sono dotati ciascuno di una propria autonomia. Inoltre, il fallimento risorgimentale descritto non è un esempio di uno scarto tra speranze e realtà nella storia degli uomini, ma sembra quello di una norma costante delle vicende umane, destinate inesorabilmente al fallimento: gli uomini, anche re Ferdinando o Garibaldi, possono solo illudersi di influire sul torrente delle sorti che invece fluisce per conto suo, in un'altra vallata.  La negazione della storia e la sterilità dell'agire umano sono alcuni dei motivi più ricorrenti e significativi del libro; in questa prospettiva di remota lontananza dalla fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive", il Risorgimento può ben diventare una rumorosa e romantica commedia e Karl Marx un "ebreuccio tedesco", di cui al protagonista sfugge il nome, e la Sicilia, più che una realtà che storicamente si è fatta attraverso secoli di storia, resta una categoria astratta, un'immutabile ed eterna metafisica "sicilianità". Nella descrizione del fallimento risorgimentale, secondo alcuni, si può intravedere un'altra riconferma della legge e degli uomini: il fallimento esistenziale che, negli anni in cui scriveva, Tomasi di Lampedusa poteva constatare.  Correlato a questo è il tema del fluire del tempo, della decadenza e della morte (che richiamano Marcel Proust e Thomas Mann) esemplificato nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che sarà sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che permea di sé tutta l'opera: la descrizione del ballo, il capitolo della morte di don Fabrizio (secondo alcuni critici il punto più alto del romanzo), la polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sulle loro cose. Si può dire che fra la tradizione del romanzo storico, siciliana ed europea, di fine Ottocento e Il Gattopardo è passato il decadentismo con le sue stanchezze, le sue sfiducie, la sua contemplazione della morte; l'opera di Tomasi di Lampedusa inoltre cadeva in un momento di ripiegamento dei recenti ideali della società italiana e di quella letteratura che si era sforzata di dare voce artistica a quegli ideali.  Il manoscrittoModifica Le fotocopie dei manoscritti originali si trovano presso il Museo del Gattopardo a Santa Margherita di Belice(AG), mentre gli originali sono custoditi dall'erede Gioacchino Lanza Tomasi presso il Palazzo Lanza Tomasi a Palermo, ultima dimora dello scrittore.  NoteModifica ^ 1959, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su premiostrega.it. URL consultato il 14 aprile 2019. ^ Samonà, pp.. ^ Gioacchino Lanza Tomasi, «Le avventure del Gattopardo», 8 luglio 2011, www.ilsole24ore.com ^ D. Gilmour, L'ultimo gattopardo. Vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Feltrinelli, Milano 2003, p. 172 ^ Bragaglia Cristina, Il Piacere del Racconto, La Nuova Italia, 1993. ^ Tullio De Mauro, «Gattopardo non gattopardesco», 26 giugno 2011, www.ilsole24ore.com ^ Gattopardismo in Vocabolario – Treccani ^ Aldo Giudice, Giovanni Bruni, Problemi e scrittori della letteratura italiana, vol. 3, tomo secondo, pag. 700, ed. Paravia, Torino, 1978. EdizioniModifica Il Gattopardo, Prefazione e cura di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di Letteratura n.4, Milano, Feltrinelli Editore, novembre 1958, p. 332. Il Gattopardo, Collana Universale Economica n.416, Milano, Feltrinelli, febbraio 1963. Il Gattopardo, antologia a cura di Riccardo Marchese, Collana Primo scaffale n.16, Firenze, La Nuova Italia, 1967, p. 240. Il Gattopardo e i Racconti, Edizione conforme al manoscritto del 1957, Collana Gli Astri, Milano, Feltrinelli, dicembre 1969. Il Gattopardo, Nota introduttiva di Maria Bellonci, Milano, Club degli Editori, 1969. Il Gattopardo, Collana I Narratori n.229, Milano, Feltrinelli, novembre 1974. Il Gattopardo, a cura di Giovanna Barbieri, Collana Narrativa scuola, Torino, Loescher Editore, 1979. Il Gattopardo, Nuova edizione riveduta con testi d'Autore in Appendice, a cura di Gioacchino Lanza Tomasi, Collana Le Comete, Milano, Feltrinelli, giugno 2002, p. 300, ISBN 978-2-7028-7908-5. - Collana Universale Economica, LXXXVII ed., Feltrinelli, 2006 - CVI ed., marzo 2021; Collana Grandi Letture, Feltrinelli, 2013, ISBN 978-88-079-2222-0. Il Gattopardo, Prefazione di Gioacchino Lanza Tomasi, Collezione Premio Strega, Torino, UTET - Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, 2006, ISBN 88-02-07540-9. Il Gattopardo letto da Toni Servillo, edizione integrale in audiolibro, Emons 2017, ISBN 978-88-6986-127-7. BibliografiaModifica Alberto Anile, Maria Gabriella Giannice, Operazione Gattopardo: come Visconti trasformò un romanzo di "destra" in un successo di "sinistra", Genova, Le Mani, 2013. Rosaria Bertolucci, Il principe dimenticato, Sarzana, Carpena, 1979. G. Bottino, Saggio su "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Genova, 1973. M. Castiello, Il Gattopardo, Milano, 2004. Arnaldo Di Benedetto, Tomasi di Lampedusa e la letteratura, in Poesia e critica del Novecento, Napoli, Liguori, 1999. Margareta Dumitrescu, Sulla parte VI del Gattopardo. La fortuna di Lampedusa in Romania, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2001. G. Lanza Tomasi, I luoghi del Gattopardo, 2001. G. Masi, Come leggere Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, 1996. S.S. Nigro, Il Principe fulvo, Palermo, Sellerio editore, 2012. F. Orlando, L'intimità e la storia. Lettura delGattopardo, Torino, Einaudi, 1998. 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Modifica su Wikidata ( EN ) Edizioni e traduzioni di Il Gattopardo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Goodreads. Modifica su Wikidata Riduzione radiofonica de "Il Gattopardo" (dal programma Ad alta voce di Rai Radio 3) Audiolettura del dialogo tra Don Fabrizio e Chevalley, su elapsus.it. Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Opera su Italialibri.net, su italialibri.net. Audiolibro letto da Pietro Biondi Controllo di autoritàVIAF ( EN ) 175579094 · LCCN( EN ) no2015015062 · GND ( DE ) 4281792-4 ·BNE ( ES ) XX2035378 (data) · BNF( FR ) cb122950403 (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007394812705171 (topic)   Portale Letteratura   Portale Risorgimento Ultima modifica 6 giorni fa di Marcel Bergeret PAGINE CORRELATE Il Gattopardo (film) film del 1963 diretto da Luchino Visconti  Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italianoIl Gattopardo (film) film del 1963 diretto da Luchino Visconti Lingua Segui Modifica Il Gattopardo Fotogramma ballo Il Gattopardo.png Claudia Cardinale e Burt Lancaster nella celebre scena simbolo del ballo finale Paese di produzioneItalia, Francia Anno1963 Durata187 min 205 min ca. (versione estesa) Rapporto2,21:1 (stampa 70 mm) 2,35:1 (stampa 35 mm) 2,25:1 (negativo) Generestorico, drammatico RegiaLuchino Visconti SoggettoGiuseppe Tomasi di Lampedusa(romanzo) SceneggiaturaSuso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti ProduttoreGoffredo Lombardo Produttore esecutivoPietro Notarianni Casa di produzioneTitanus, S.N. Pathé Cinéma, S.G.C. Distribuzionein italianoTitanus FotografiaGiuseppe Rotunno MontaggioMario Serandrei MusicheNino Rota ScenografiaMario Garbuglia CostumiPiero Tosi, Reanda, Sartoria Safas Interpreti e personaggi Burt Lancaster: don Fabrizio Corbera, principe di Salina Alain Delon: Tancredi Falconeri Claudia Cardinale: Angelica Sedara/Donna Bastiana Paolo Stoppa: don Calogero Sedara Rina Morelli: principessa Maria Stella di Salina Lucilla Morlacchi: Concetta Romolo Valli: padre Pirrone Terence Hill: conte Cavriaghi Pierre Clémenti: Francesco Paolo di Salina Serge Reggiani: don Ciccio Tumeo Maurizio Merli: Fulco, un amico di Tancredi Giuliano Gemma: generale di Garibaldi Ida Galli: Carolina Ottavia Piccolo: Caterina Carlo Valenzano: Paolo Brook Fuller: principe Ivo Garrani: colonnello Pallavicino Anna Maria Bottini: Mademoiselle Dombreuil, governante Lola Braccini: donna Margherita Marino Masè: tutore Howard Nelson Rubien: don Diego Tina Lattanzi: cuoca Ernesto Almirante: generale Marcella Rovena: contadina Rina De Liguoro: principessa di Presicce Valerio Ruggeri: colonnello Giovanni Melisenda: don Onofrio Rotolo Vittorio Duse: colonnello Vanni Materassi: sergente Olimpia Cavalli: Mariannina Winni Riva: cameriera Stelvio Rosi: sergente Leslie French: cavaliere Chevalley Gino Santercole: uomo di Donnafugata Lou Castel: generale Michela Roc: contadina Pino Caruso: giovane patriota Tuccio Musumeci: giovane patriota Doppiatori originali Corrado Gaipa: don Fabrizio Corbera Solvejg D'Assunta: Angelica Sedara/Donna Bastiana Carlo Sabatini: Tancredi di Falconeri Franco Fabrizi: conte Cavriaghi Lando Buzzanca: don Ciccio Tumeo Pino Colizzi: Francesco Paolo di Salina Gianni Bonagura: generale di Garibaldi Isa Bellini: Mademoiselle Dombreuil, governante Ferruccio De Ceresa: cavaliere Chevalley Il Gattopardo è un film del 1963 diretto da Luchino Visconti.  Il soggetto è tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e la figura del protagonista del film, il Gattopardo, si ispira a quella del bisnonno dell'autore del libro, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, che fu un importante astronomo e che nella finzione letteraria diventa il Principe Fabrizio di Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910, in Sicilia(a Palermo e provincia e precisamente a Ciminna e nel feudo agrigentino di Donnafugata, ossia CiminnaPalma di Montechiaro e Santa Margherita di Belice in provincia di Agrigento).  Il film ha vinto Palma d'oro come miglior film al 16º Festival di Cannes.[1]  TramaModifica Nel maggio 1860, dopo lo sbarco a Marsala di Garibaldi in Sicilia, Don Fabrizio assiste con distacco e con malinconia alla fine dell'aristocrazia. La classe dei nobili capisce che ormai è prossima la fine della loro superiorità: infatti gli amministratori e i latifondisti della nuova classe sociale in ascesa approfittano della nuova situazione politica.   Don Fabrizio di Salina in una scena del film. Don Fabrizio, appartenente a una famiglia di antica nobiltà, viene rassicurato dal nipote prediletto Tancredi che, pur combattendo nelle file garibaldine, cerca di far volgere gli eventi a proprio vantaggio e cita la famosa frase: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Specchio della realtà siciliana, questa frase simboleggia la capacità di adattamento che i siciliani, sottoposti nel corso della storia all'amministrazione di molti governanti stranieri, hanno dovuto per forza sviluppare. E anche la risposta di Don Fabrizio è emblematica: "...E dopo sarà diverso, ma peggiore."  Quando, come tutti gli anni, il principe con tutta la famiglia si reca nella residenza estiva di Donnafugata, trova come nuovo sindaco del paese Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito e ha fatto carriera in campo politico. Tancredi, che in precedenza aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la figlia maggiore del principe, s'innamora di Angelica, figlia di don Calogero, che infine sposerà, sicuramente attratto dal suo notevole patrimonio.  Episodio significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia. Il principe però rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo siciliano, citando come risposta al cavaliere la frase: "In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'".  Il connubio tra la nuova borghesia e la declinante aristocrazia è un cambiamento ormai inconfutabile: Don Fabrizio ne avrà la conferma durante un grandioso ballo, al termine del quale inizierà a meditare sul significato dei nuovi eventi e a fare un sofferto bilancio della sua vita.  Produzione            Modifica Difficoltà produttiveModifica Nel 1958 il produttore Goffredo Lombardo, patron della Titanus, acquistò i diritti del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quando Il Gattopardo stava riscuotendo un grande successo editoriale. La regia venne affidata inizialmente a Mario Soldati e poi ad Ettore Giannini, che però vennero entrambi licenziati da Lombardo per divergenze sulla realizzazione della pellicola e sostituiti con Luchino Visconti[2][3]. Ettore Giannini scrisse addirittura una bozza di sceneggiatura che approfondiva le vicende risorgimentali, allontanandosi però dal romanzo di Tomasi di Lampedusa e mettendo in secondo piano la storia d'amore tra Tancredi e Angelica: per queste ragioni, Lombardo, con la mediazione di Visconti, incaricò Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli e Massimo Franciosa di scrivere una nuova sceneggiatura, accantonando quella di Giannini, che rimase molto offeso dal comportamento del produttore e per questo si ritirò per sempre dal mondo del cinema[3].  Il 27 marzo 1963, al cinema Barberini di Roma, il film uscì in anteprima dopo una lavorazione che aveva richiesto quindici intensi mesi, iniziata alla fine del dicembre 1961, mentre il primo ciak ebbe luogo lunedì 14 maggio 1962. Nell'autunno precedente, il regista, insieme allo scenografo Mario Garbuglia e al figlio adottivo di Giuseppe, Gioacchino Lanza Tomasi, aveva effettuato un sopralluogo in Sicilia, che non era certo valso a dissipare le preoccupazioni del produttore Goffredo Lombardo. Lo stesso Lombardo raccontò in un'intervista che, recatosi sui set per raccomandare a Visconti di contenere i costi che crescevano sempre di più, ricevette questa risposta dal regista: "Lombardo, io questo film lo posso fare solo così. Se lei vuole, mi può sostituire"[3].  L'investimento richiesto da questo colossal italiano si rivelò infatti presto superiore a quanto previsto dalla Titanus allorché ne aveva acquistato i diritti cinematografici. Dopo un mancato accordo di co-produzione con la Francia, la scrittura di Burt Lancaster nel ruolo di protagonista, nonostante le iniziali perplessità di Luchino Visconti (che avrebbe preferito che a vestire i panni di Don Fabrizio fosse Laurence Olivier o l'attore sovietico Nikolaj Čerkasov[4]), e forse dello stesso attore,[5] permise un accordo distributivo per gli Stati Uniti d'America con la 20th Century Fox.  Ciononostante, le perdite subite dal film Sodoma e Gomorra e da questo film, costato quasi tre miliardi di lire, causarono la sospensione dell'attività della Titanus come produttrice cinematografica[6].  RipreseModifica Per quanto, come si è detto, la narrazione oggettiva degli eventi sia oscurata e marginalizzata nel film dallo sguardo soggettivo del protagonista-regista, un grande impegno fu posto nella ricostruzione degli scontri tra garibaldini ed esercito borbonico. A Palermo nei vari set prescelti (piazza San Giovanni Decollato, piazza della Vittoria allo Spasimo, piazza Sant'Euno, piazza della Marina) "l'asfalto fu ricoperto di terra battuta, le saracinesche sostituite da persiane e tende, pali e fili della luce eliminati".[7] Tutto questo per iniziativa di Visconti, poiché il produttore Lombardo si era raccomandato che non vi fossero scene di combattimento.   Villa Boscogrande Si rese inoltre necessario il restauro, avvenuto in 24 giorni, della villa Boscogrande, nei pressi della città, che sostituì, per le scene iniziali del film, il palazzo dei Salina, le cui condizioni ne sconsigliavano l'utilizzo.  Anche per le scene girate nella residenza estiva dei Salina, Castello di Donnafugata, che nel romanzo sostituiva Palma di Montechiaro, si scelse un sito alternativo, Ciminna. "Visconti s'infatuò per la Chiesa Madre e il paesaggio circostante. L'edificio a tre navate presentava uno splendido pavimento in maiolica. L'abside decorata con stucchi rappresentanti apostoli e angeli di Scipione Li Volsi (1622) era inoltre provvista di scranni lignei del 1619 intagliati con motivi grotteschi, particolarmente adatti ad accogliere i principi nella scena del Te Deum. Il soffitto originale della chiesa, in parte danneggiato durante le riprese è stato poi rimosso e oggi non è più in sito.  Inoltre la situazione topografica della piazzetta di Ciminna sembrava ottimale, mancava solo il palazzo del principe. Ma in 45 giorni la facciata disegnata da Marvuglia fu innalzata davanti agli edifici a fianco della chiesa. L'intera pavimentazione della piazza fu rifatta eliminando l'asfalto e rimpiazzandolo con ciottoli e lastre"[7] Gran parte delle riprese ambientate all'interno della residenza furono girate a Palazzo Chigidi Ariccia.[4]  Infine, varie scene sono state girate internamente ad alcune sale del palazzo Manganelli a Catania.   Gli interni di Palazzo Valguarnera-Gangi Il balloModifica Ottimo era invece lo stato di manutenzione di palazzo Valguarnera-Gangi, a Palermo, in cui fu ambientato il ballo finale, la cui coreografia venne affidata ad Alberto Testa. In questo caso, il problema da affrontare era l'arredamento degli ampi spazi interni. Contribuirono generosamente all'opera gli Hercolani e lo stesso Gioacchino Lanza Tomasi con mobili, arazzi, suppellettili. Alcuni quadri (la stessa Morte del giusto) e altre opere artigianali furono commissionate dalla produzione. Il risultato finale valse uno scontato Nastro d'argento alla migliore scenografia.  Un altro Nastro d'argento andò alla fotografia a colori[8] di Giuseppe Rotunno (che lo aveva vinto anche l'anno precedente con Cronaca familiare). Degna di note, in particolare, l'illuminazione dei locali cui, per volontà del regista che voleva ridurre al minimo l'uso delle luci elettriche, contribuivano migliaia di candele, che costituirono un ulteriore problema logistico, poiché dovevano essere riaccese all'inizio di ogni sessione di riprese e frequentemente sostituite; inoltre non di rado la cera fusa colava addosso alle persone presenti in scena. La preparazione del set, la necessità di vestire centinaia di comparse[9] richiesero per queste scene turni estenuanti.[10] La scena del ballo (oltre 44 minuti) a Palazzo Gangi-Valguarnera è diventata famosa per la sua durata e opulenza.  DistribuzioneModifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione ha problemi di struttura e di organizzazione delle informazioni. AccoglienzaModifica Il film registrò un ottimo successo al botteghino in Italia, risultando campione d'incassi assoluto nella stagione 1962-1963 con un ricavato di 2.323.000.000 di lire dell'epoca;[11] detiene a oggi il nono posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre con 12 850 375 spettatori paganti.[12] Tuttavia il mancato successo negli Stati Uniti non permise alla pellicola di rientrare nelle ingenti spese di produzione, decretando il fallimento finanziario della Titanus.  Al momento della sua uscita nelle sale, la maggior parte della critica americana stroncò il film, complice soprattutto uno sciagurato montaggio che venne realizzato senza il consenso del regista, con un taglio di quasi mezz'ora di pellicola dall'edizione definitiva.[13] Lo stesso Lancaster s'impegnò, con scarso esito, nel montaggio della versione americana, illudendosi di poter salvare quello che considerava, a ragione, un capolavoro.[14]  Il film fu osteggiato anche dal Partito Comunista Italiano (al quale era legato Visconti) che non vedeva di buon occhio il romanzo di Lampedusa, ritenuto "espressione di un'ideologia reazionaria" e "politicamente conservatore".[15] Per questo motivo il regista montò una versione alternativa per la critica cinematografica della sinistra di area comunista, che includeva alcune scene del tutto estranee al romanzo originale ma molto conformi alla sua salda fede marxista, come conflitti di classe e fermenti di rivolta contadina[16], poi tagliate nella versione definitiva presentata al Festival di Cannes. Questo non bastò a risparmiare le critiche di alcuni intellettuali di sinistra che bollarono il film di anti-storicismo.[17]  Con il passare degli anni, il film è stato rivalutato in maniera positiva dalla critica di tutto il mondo. Sul sito aggregatore Rotten Tomatoes registra il 98% delle recensioni professionali positive, con un consenso che recita, "sontuoso e malinconico, Il gattopardopresenta battaglie epiche, ricchi costumi e un valzer da ballo che si candida per la più bella sequenza trasposta in cinema".[18] Su Metacritic ha invece un punteggio di 100 basato su 12 recensioni.[19]  Martin Scorsese lo ha inserito nella lista dei suoi dodici film preferiti di tutti i tempi.[20] Il film è stato inoltre selezionato tra i 100 film italiani da salvare[21].  RiconoscimentiModifica Festival di Cannes 1963 Palma d'oro a Luchino Visconti David di Donatello 1963 Miglior produttore a Goffredo Lombardo Premio Feltrinelli 1963 Premio per le arti - Regia cinematografica National Board of Review Awards 1963 Migliori film stranieri Golden Globe 1964 Candidato per il Miglior attore debuttante ad Alain Delon Premi Oscar 1964 Candidato per i Migliori costumi a Piero Tosi Nastri d'argento 1964 Migliore fotografia a coloria Giuseppe Rotunno Migliore scenografia a Mario Garbuglia Migliori costumi a Piero Tosi Candidato Regista del miglior film a Luchino Visconti Candidato Migliore sceneggiatura a Suso Cecchi D'Amico, Luchino Visconti, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile ed Enrico Medioli Candidato per la Migliore attrice non protagonistaa Rina Morelli Candidato per il Migliore attore non protagonistaa Romolo Valli CommentoModifica Il Gattopardo rappresenta nel percorso artistico di Luchino Visconti un cruciale momento di svolta in cui l'impegno nel dibattito politico-sociale del militante comunista si attenua in un ripiegamento nostalgico dell'aristocratico milanese, in una ricerca del mondo perduto, che caratterizzerà i successivi film di ambientazione storica.   Palazzo Filangeri di Cutò, a Santa Margherita di Belìce dimora estiva di Giuseppe Tomasi di Lampedusa descritta, col suo giardino, nel romanzo. Il regista stesso, a proposito del film, indicò come propria aspirazione il raggiungimento di una sintesi tra il Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga e la Recherche di Marcel Proust.[22]  Sotto il profilo della critica, è stato notato che «Visconti traduce le pagine di Lampedusa in termini puramente cinematografici, sia a livello drammaturgico (larghe ellissi, sintesi, analogie temporali e tre flashback dedicati al principe), sia come regia: l’uso del tempo antinaturalistico, la pausa, il silenzio, la reiterazione, l’alternarsi di totali e scene più raccolte, di protagonisti e comprimari, la funzione narrativa del paesaggio, la disposizione dei corpi e degli oggetti, la scenografia»[23].  La rivoluzione mancataModifica  Il principe di Salina Fabrizio Corbera interpretato da Burt Lancaster. La pubblicazione del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa aveva aperto all'interno della sinistra italiana un dibattito sul Risorgimento come "rivoluzione senza rivoluzione", a partire dalla definizione utilizzata da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere. A chi accusava il romanzo di aver vituperato il Risorgimento si opponeva un gruppo di intellettuali che ne apprezzava la lucidità nell'analizzarne la natura di contratto, all'insegna dell'immobilismo, tra vecchia aristocrazia ed emergente classe borghese.[24]  Visconti, che già aveva affrontato la questione risorgimentale in Senso (1954) e che era stato profondamente colpito dalla lettura del romanzo, non esitò ad accettare la possibilità di intervenire nel dibattito offertagli da Goffredo Lombardo, che si era assicurato, per la Titanus, i diritti cinematografici del libro.  Nel film, la narrazione di questi eventi è affidata allo sguardo soggettivo del Principe di Salina, sulla cui persona vengono raccordati "come in un inedito allineamento planetario, i tre sguardi sul mondo in trapasso: del personaggio, dell'opera letteraria, del testo filmico che la visualizza".[25]. Lo sguardo di Visconti viene a coincidere con quello di Burt Lancaster, per il quale questa esperienza di "doppio" del regista "varrà... una profonda trasformazione interiore, anche sul piano personale".[26]  È qui che si può cogliere la cesura rispetto alla precedente produzione del regista: gli inizi di un periodo in cui nella sua opera "...nessuna forza positiva della storia...si profila come alternativa all'epos della decadenza cantato con struggente nostalgia".[27]  È determinante nell'esprimere questo passaggio, il ballo finale, cui Visconti assegnò, rispetto al romanzo, un ruolo più importante sia per la durata (da solo occupa circa un terzo del film) sia per la collocazione (ponendolo come evento conclusivo, mentre il romanzo si spingeva ben oltre il 1862, sino a comprendere la morte del principe nel 1883 e gli ultimi anni di Concetta dopo la svolta del secolo). In queste scene tutto parla di morte. La morte fisica, in particolare nel lungo e assorto indugiare del principe dinanzi al dipinto La morte del giusto di Greuze. Ma soprattutto la morte di una classe sociale, di un mondo di "leoni e gattopardi", sostituiti da "sciacalli e iene".[28]  I sontuosi ambienti, vestigia di un glorioso passato, in cui ha luogo il ricevimento, assistono impotenti all'irruzione e alla conquista di una folla di personaggi mediocri, avidi, meschini. Così il vanesio e millantatore colonnello Pallavicini (Ivo Garrani). Così lo scaltro don Calogero Sedara (Paolo Stoppa), rappresentante di una nuova borghesia affaristica, abile nello sfruttare a proprio vantaggio l'incertezza dei tempi, e con cui la famiglia del principe si è dovuta imparentare per portare una nuova linfa economica nelle sue esauste casse.  Ma è soprattutto nel nuovo cinismo e nella spregiudicatezza dell'adorato nipote Tancredi, che dopo aver combattuto coi garibaldini non esita, dopo Aspromonte, a schierarsi coi nuovi vincitori e ad approvare la fucilazione dei disertori, che il principe assiste alla fine degli ideali morali ed estetici del suo mondo.[29]  NoteModifica ^ ( EN ) Awards 1963, su festival-cannes.fr. URL consultato l'11 giugno 2011 (archiviato dall' url originale  il 25 dicembre 2013). ^ Il Gattopardo di Giannini che non vide mai la luce, in la Repubblica, 25 maggio 2013. ^ a b c Il cinema coraggioso dell'ultimo Gattopardo, su osservatoreromano.va. URL consultato il 4 novembre 2018 (archiviato dall' url originale  il 4 novembre 2018). ^ a b Alessandro Boschi, La valigia dei sogni, LA7, 1º gennaio 2012. ^ Caterina D'Amico, La bottega de "Il Gattopardo", Marsilio.Edizioni di Bianco e Nero, 2001, pag.456 ^ "Ancora a distanza di anni, Lombardo attribuisce la crisi al costo eccessivo di due film i quali, nonostante il successo di pubblico, non sono riusciti a coprire il costo di produzione: Sodoma e Gomorra di Robert Aldrich e Il Gattopardo di Luchino Visconti". Callisto Cosulich, L'"operazione Titanus", in "Storia del cinema italiano", Marsilio, Edizioni di Bianco e Nero, 2001, pag.145 ^ a b Caterina D'Amico, op.cit. ^ All'epoca il premio veniva aggiudicato separatamente per la fotografia a colori e quella in bianco/nero ^ "...i costumi approntati (oltre agli otto per gli attori principali) furono 393: gli abiti femminili erano tutti diversi tra di loro e per almeno cento di questi si prevedevano cappotti e sorties varie". Ibid. ^ "La vestizione iniziava alle due del pomeriggio, alle otto di sera cominciavano le riprese, che duravano fino alle quattro del mattino, talora alle sei". Ibid ^ Stagione 1962-63: i 100 film di maggior incasso, su hitparadeitalia.it. URL consultato il 27 dicembre 2016. ^ I 50 film più visti al cinema in Italia dal 1950 ad oggi, su movieplayer.it. URL consultato il 27 dicembre 2016. ^ Quando gli Usa bocciarono 'Il Gattopardo' di Visconti, in la Repubblica, 27 settembre 2013. ^ Tony Thomas, Burt Lancaster, Milano Libri Edizioni, 1981. ^ E il Pci cercò di levare gli artigli al «Gattopardo», in il Giornale, 20 luglio 2013. ^ Torna in sala «Il Gattopardo» con i 12 minuti mai visti tra rivolte e conflitti di classe, in Corriere della Sera, 23 ottobre 2013. ^ Visconti e il Pci quel tira e molla sul Gattopardo, in La Stampa, 28 ottobre 2013. ^ ( EN ) Il Gattopardo, su Rotten Tomatoes, Fandango Media, LLC. URL consultato il 26 ottobre 2018. Modifica su Wikidata ^ ( EN ) Il Gattopardo, su Metacritic, Red Ventures. URL consultato il 26 ottobre 2018. Modifica su Wikidata ^ ( EN ) Scorsese’s 12 favorite films, su miramax.com. URL consultato il 25 dicembre 2013 (archiviato dall' url originale  il 26 dicembre 2013). ^ Rete degli Spettatori ^ Luchino Visconti, Il Gattopardo, Bologna 1963, p.29 ^ Piero Spila, Quell'Ossessione che piacque anche a Togliatti, in "Bianco e nero" 2-3/2013, pp. 58-69, doi: 10.7371/75533. ^ Antonello Trombadori (a cura di), Dialogo con Visconti, Cappelli, Bologna, 1963 ^ Luciano De Giusti, La transizione di Visconti, Marsilio, Edizioni di Bianco e Nero, 2001, p. 76 ^ Giorgio Gosetti, Il Gattopardo, Milano, 2004 ^ Luciano De Giusti, op.cit. ^ Così nel film, il principe di Salina a Chevalley ^ Alessandro Bencivenni, Luchino Visconti, Ed. L'Unità/Il Castoro, Milano, 1995, pp. 58-60 BibliografiaModifica Antonio La Torre Giordano, Luci sulla città - Palermo nel cinema dalle origini al 2000, ASCinema - Archivio Siciliano del Cinema, prologo di Goffredo Fofi, prefazione di Nino Genovese, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 2021, ISBN 978-88-8243-518-9 Suso Cecchi D'Amico, Renzo Renzi, Il Gattopardo di Luchino Visconti, collana Dal soggetto al film, vol. 29, Cappelli editore, Bologna (1963) Alberto Anile, Maria Gabriella Giannice, Operazione Gattopardo: come Visconti trasformò un romanzo di "destra" in un successo di "sinistra", Le Mani editore, Genova (2013) Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Il Gattopardo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Il Gattopardo Collegamenti esterniModifica Il Gattopardo, su CineDataBase, Rivista del cinematografo. Modifica su Wikidata Il Gattopardo, su MYmovies.it, Mo-Net Srl. Modifica su Wikidata Il Gattopardo, su ANICA, Archiviodelcinemaitaliano.it. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su AllMovie, All Media Network.Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Rotten Tomatoes, Flixster Inc. Modifica su Wikidata ( EN ,  ES ) Il Gattopardo, su FilmAffinity. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Metacritic, Red Ventures. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su TV.com, Red Ventures (archiviato dall' url originale  il 1º gennaio 2012). Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su AFI Catalog of Feature Films, American Film Institute. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàLCCN ( EN ) n88215079 · GND ( DE ) 4254519-5 · BNF ( FR ) cb122205415 (data)   Portale Cinema   Portale Risorgimento Ultima modifica 10 giorni fa di 93.33.20.107 PAGINE CORRELATE Tancredi Falconeri Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa  Principe Fabrizio SalinaGiuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italiano Lingua Segui Modifica Giuseppe Tomasi di Lampedusa Tomasi di Lampedusa.jpg Giuseppe Tomasi di Lampedusa in una fotografia d'epoca Principe di Lampedusa Stemma In carica1934 - 1957 Altri titoliDuca di Palma Barone della Torretta Barone di Montechiaro Grande di Spagna NascitaPalermo, 23 dicembre 1896 MorteRoma, 23 luglio 1957 SepolturaCimitero dei Cappuccini, Palermo Dinastia                                                Tomasi di Lampedusa PadreGiulio Maria Tomasi MadreBeatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò ConsorteAlexandra, baronessa von Wolff-Stomersee ReligioneCattolicesimo «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.»  (Tancredi Falconeri, nipote materno di Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, Duca di Querceta, Marchese di Donnafugata, ne "Il Gattopardo") Premio Strega  1959 Giuseppe Tomasi di Lampedusa(Palermo, 23 dicembre 1896 – Roma, 23 luglio 1957) è stato un nobile e scrittore italiano.  Letterato di complessa personalità e autore del noto romanzo Il Gattopardo, fu un personaggio taciturno e solitario e trascorse gran parte del suo tempo nella lettura. Ricordando la propria infanzia scrisse: ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone[1].  BiografiaModifica InfanziaModifica Don Giuseppe Tomasi, 11º principe di Lampedusa, 12º duca di Palma, barone di Montechiaro, barone della Torretta, Grande di Spagna di prima Classe (titoli acquisiti il 25 giugno 1934 alla morte del padre), nacque a Palermo il 23 dicembre del 1896, figlio di Giulio Maria Tomasi (1868-1934) e di Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò (1870-1946). Rimase figlio unico dopo la morte della sorella maggiore Stefania, avvenuta a causa di una difterite (1897). Fu molto legato alla madre, donna dalla forte personalità, che ebbe grande influenza sul futuro scrittore.  Non lo stesso avvenne col padre, un uomo dal carattere freddo e distaccato. Da bambino studiò nella sua grande casa a Palermo con l'ausilio di una maestra privata, della madre (che gli insegnò il francese) e della nonna, che gli leggeva i romanzi di Emilio Salgari. Nel piccolo teatro della residenza di Santa Margherita Belice, ereditata dai Cutò e molto amata da sua madre, dove passava lunghi periodi di vacanza, talora anche in inverno, assistette per la prima volta a una rappresentazione dell'Amleto, recitato da una compagnia di girovaghi.  Il casato dei Tomasi di Lampedusa è una diramazione della famiglia Tomasi da cui discendono anche i Leopardi di Recanati e che la tradizione indica di origini bizantine. Caratterizzata da grande fervore religioso, non condiviso dallo scrittore, la famiglia vanta nell'albero genealogico un santo, san Giuseppe Maria Tomasi (1649-1713), e una venerabile, Isabella Tomasi (1645-1690). In epoca recente lo zio Pietro Tomasi della Torretta fu Ministro degli esteri e presidente del Senato.  Sotto le armi a CaporettoModifica A partire dal 1911 Tomasi di Lampedusa frequentò il liceo classico a Roma e in seguito a Palermo. Sempre a Roma, nel 1915 s'iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, senza terminare gli studi. Nello stesso anno venne chiamato alle armi, partecipò alla guerra come ufficiale d'artiglieria e nella disfatta di Caporettofu catturato dagli austriaci, che lo imprigionarono in Ungheria. Riuscito a fuggire, tornò a piedi in Italia.  Dopo le sue dimissioni dal Regio Esercito con il grado di tenente, ritornò nella sua casa in Sicilia, alternando al riposo qualche viaggio, sempre in compagnia della madre, che non lo abbandonava mai, e svolgendo studi sulle letterature straniere. Nel 1925, insieme al cugino Lucio Piccolo, si recò a Genova, dove si trattenne circa sei mesi, collaborando alla rivista letteraria Le opere e i giorni.  Il matrimonio con Licy von Wolff-StomerseeModifica A Riga, il 24 agosto 1932, sposò in una chiesa ortodossa la studiosa di psicanalisi Alexandra, baronessa von Wolff-Stomersee, detta Licy, figlia del barone tedesco del Baltico Boris von Wolff-Stomersee e della cantante italiana Alice Barbi, la quale nel 1920aveva sposato in seconde nozze il diplomatico Pietro Tomasi, marchese della Torretta, zio di Giuseppe. Andarono a vivere con la madre di lui a Palermo, ma ben presto l'incompatibilità di carattere tra le due donne fece tornare Licy in Lettonia. Nel 1934 morì Giulio Tomasi, e così Giuseppe ereditò il titolo. Nel 1940 venne richiamato alle armi, ma, essendo a capo dell'azienda agricola ereditata, fu presto congedato.  Si rifugiò così con la madre a Villa Piccolo (Capo d'Orlando), dove poi li raggiunse Licy, per sfuggire ai pericoli della guerra. Alla fine del 1944 fu nominato presidente provinciale della Croce Rossa Italiana di Palermo e poi presidente regionale, fino al 1946.[2].  La madre, che era da poco tornata a Palermo, morì nel 1946. Nel 1953 iniziò a frequentare un gruppo di giovani intellettuali, dei quali facevano parte Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Mazzarino. Con quest'ultimo instaurò un buon rapporto affettivo, tanto da adottarlo qualche anno dopo. Da quel momento in poi Gioacchino Lanza Mazzarino fu ribattezzato Gioacchino Lanza Tomasi.  L'incontro con Eugenio Montale e Maria BellonciModifica  Statua a grandezza naturale dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa situata in piazza Matteotti a Santa Margherita Belice Tomasi di Lampedusa fu spesso ospite presso il cugino Lucio Piccolo, col quale si recò nel 1954 a San Pellegrino Terme per assistere a un convegno letterario, cui il parente poeta era stato invitato per ritirare il primo premio di un concorso letterario. Lì conobbe Eugenio Montale e Maria Bellonci. Si dice che fu al ritorno da quel viaggio che iniziò a scrivere Il Gattopardo, ultimato due anni dopo, nel 1956.  All'inizio il manoscritto del Gattopardo non fu preso in considerazione dalle case editrici Mondadori e Einaudi, alle quali era stato inviato in lettura, e i rifiuti riempirono Tomasi di Lampedusa di amarezza. Il manoscritto fu giudicato negativamente da Elio Vittorini, all'epoca influente lettore per Mondadori e curatore della celebre collana "I gettoni" per l'editore Einaudi, che non s'accorse di aver letto un capolavoro della letteratura italiana e mondiale[3]. Vittorini successivamente rifiuterà la pubblicazione de Il dottor Živago di Pasternak e Il tamburo di latta di Grass.  La morte e il successo postumoModifica  Francobollo per il cinquantenario della morte Nel 1957 gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni; morì il 23 luglio, non prima di aver adottato come erede l'allievo e lontano cugino Gioacchino Lanza di Assaro. Il romanzo fu pubblicato postumo nel novembre del 1958, quando Elena Croce lo inviò a Giorgio Bassani, che lo fece pubblicare presso la casa editrice Feltrinelli. Nel 1959 il romanzo vinse il Premio Strega.[4] Curiosamente, anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì lontano da casa come il suo antenato protagonista de Il Gattopardo, il 23 luglio 1957 a Roma[5], nella casa della cognata in via San Martino della Battaglia n. 2, dove era andato per sottoporsi a particolari cure mediche che si rivelarono inefficaci. La salma fu tumulata il 28 luglio nella tomba di famiglia al Cimitero dei Cappuccini di Palermo.  Non avendo eredi, i titoli nobiliari (duca di Palma, principe di Lampedusa, barone di Montechiaro, barone della Torretta e Grande di Spagna di prima Classe) andarono allo zio paterno Pietro Tomasi della Torretta, che morì nel 1962 senza lasciare discendenti diretti, ma solo collaterali. Gli succedette il cugino Giuseppe Garofalo, figlio di Maria Antonia Tomasi di Lampedusa, suo congiunto maschio più prossimo, che ereditò con due cugine figlie di Chiara anche parte dei beni.  AscendenzaModifica GenitoriNonniBisnonniTrisnonni Giulio, VIII Pr. di Lampedusa (1814– 1885)Giuseppe Tomasi, III, VII Pr. di Lampedusa (1767– 1831)Carolina Wochinger e Greco (1784 - 1845)                                                   Giuseppe, IX Pr. di Lampedusa (1838– 1908)Maria Stella Guccia e Vetrano (1815 - 1886Giovan Battista Guccia e Bonomolo (1736 - 1834)VetranoGiulio, X Pr. Lampedusa (1868– 1934Salvatore Papè e Gravina (1790 - 1870)Pietro Papè e BolognaIppolita Gravina MassaStefania Papè e Vanni (1840– 1913)Vittoria Vanni e Filangieri                                        Francesco Vanni e InvegesRosalia Filangieri (1774 - 1847)Giuseppe, XI Pr. di Lampedusa (1896–1957)Lucio Mastrogiovanni Tasca e Nicolosi (1820 - 1892)Paolo Mastrogiovanni TascaRosa NicolosiLucio Mastrogiovanni Tasca e Lanza (1842–1892)Beatrice Lanza Branciforte (1825 - 1900)Giuseppe Lanza Branciforte (? - 1855)             Stefania Branciforte e BranciforteBeatrice Mastrogiovanni Tasca e Filangieri (1870–1946)Alessandro IV Filangieri e Pignatelli (1802 - 1854)Niccolò Filangieri (1760 - 1839)Margherita Pignatelli Aragona Cortes (1783 - 1830)Giovanna Nicoletta Filangieri e Merlo (1850–1891)Teresa Merlo Clerici (1816 - 1897)Francesco MerloGiovanna ClericiFilm biograficiModifica  Giuseppe Tomasi in età giovanile, nel 1936  La macchina per scrivere di Tomasi (Museo del Risorgimento, Santa Margherita Belice)  La tomba nel Cimitero dei Cappuccini (Palermo) La storia dell'ultimo periodo della sua vita e della stesura de Il Gattopardo è raccontata nel film del 2000 di Roberto Andò, Il manoscritto del Principe. Nel 1960 Ugo Gregoretti ha girato il documentario La Sicilia del Gattopardo in cui ricostruisce la vita e i luoghi di ispirazione del romanzo. In occasione della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stato proiettato il Docufilm Die Geburt des Leoparden (trad. it.: La nascita del Gattopardo), regia di Luigi Falorni. Un viaggio alla scoperta della vita dell'ultimo principe di Lampedusa raccontato dalle voci e dalle testimonianze delle persone care[6]. DedicheModifica Nel 2011 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DSB). Gli è stato dedicato un asteroide, il 14846 Lampedusa. A Santa Margherita di Belice è stato allestito presso il Palazzo del Gattopardo, ex proprietà dei Lampedusa il Museo del Gattopardo.[7] Nel 2003 nasce a Santa Margherita di Belice il parco letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa che dà il via al Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nel 2019 viene fondata nel comune di Palma di Montechiaro l'istituzione comunale "Giuseppe Tomasi di Lampedusa", con direttore scientifico Gioacchino Lanza Tomasi. OpereModifica Il Gattopardo, Milano, Feltrinelli, I ed. novembre 1958; nuova edizione riveduta sul manoscritto a cura di Gioacchino Lanza Tomasi, Milano, Feltrinelli, 2002. Racconti, Prefazione di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di Letteratura: I Contemporanei n. 26, Milano, Feltrinelli, 1961; edizione riveduta a cura di Nicoletta Polo, prefazione di Gioacchino Lanza Tomasi, Milano, Feltrinelli, 1988; Nuova ed. rivista e accresciuta, Collezione Le Comete, Feltrinelli, 2015; Collana UE, Feltrinelli, 2017. Lezioni su Stendhal, Palermo, Sellerio, 1977. Invito alle Lettere francesi del Cinquecento, Collana I Fatti e le Idee, Milano, Feltrinelli, 1979, ISBN 978-88-072-2420-1. Il mito, la gloria, a cura di Marcello Staglieno, Roma, Shakespeare & Company, 1989 Letteratura inglese, 2 voll. (I: Dalle origini al Settecento; II: L'Ottocento e il Novecento), a cura di Nicoletta Polo, postfazione di Gioacchino Lanza Tomasi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1990-1991. Opere, introduzione e premessa di Gioacchino Lanza Tomasi, a cura di Nicoletta Polo, Collana I Meridiani, Milano, Mondadori, 1995; Nuova edizione aumentata, Collana I Meridiani, Mondadori, 2004. Licy e il Gattopardo. Lettere d'amore, a cura di Sabino Caronia, Roma, Edizioni associate, 1995. Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930, a cura di Gioacchino Lanza Tomasi e Salvatore Silvano Nigro, Milano, Mondadori, 2006, ISBN 978-88-045-6477-5. La sirena, Milano, Feltrinelli, 2014 [con cd audio contenente una registrazione a voce dell'autore]. Ah! Mussolini!, Postfazione di Gioachino Lanza Tomasi, Milano, De Piante Editore, 2019 NoteModifica ^ I racconti, 5ª ediz., Milano 1993, p. 53. ^ David Gilmour, L'Ultimo gattopardo ^ Indro Montanelli, «La stanza di Montanelli. Elio Vittorini fascista? Lo eravamo tutti», 11 giugno 1997, Corriere della Sera, p.40 ^ 1959, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su premiostrega.it. URL consultato il 14 aprile 2019. ^ «Morire, come ogni altra cosa, è un'arte». Due scomparse indecenti e una morte ambiziosa, su elapsus.it. URL consultato il 18 aprile 2016. ^ Tomasi di Lampedusa e il Gattopardo, genesi di un capolavoro in DVD, sul sito Luce Cinecittà, 24.06.2020, consultato il 28 giugno 2020. ^ Il Museo del Gattopardo, su comune.santamargheritadibelice.ag.it. URL consultato il 18 aprile 2016. BibliografiaModifica Alberto Anile - Maria Gabriella Giannice, Operazione Gattopardo, Genova, Le Mani, 2013. Manuela Bertone, Tomasi di Lampedusa, Palumbo, Palermo, 1995. Rosaria Bertolucci, Il Principe dimenticato, Sarzana, Carpena, 1979. Salvatore Calleri, La zampata del Gattopardo. I luoghi dell'anima: solitudine e ricerca interiore in Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a cura dell'Istituto di Pubblicismo, Scialpi, Roma 2010.(Salvatore Calleri) Carmelo Ciccia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa in Profili di letterati siciliani dei secoli XVIII-XX, Centro di Ricerca Economica e Scientifica, Catania, 2002. Arnaldo Di Benedetto, Tomasi di Lampedusa e la letteratura e La «sublime normalità dei cieli»: considerazioni sulla parte prima del «Gattopardo», in Poesia e critica del Novecento, Liguori, Napoli, 1999, pp. 65–97 e 237-50. Arnaldo Di Benedetto, Elementi di onomastica lampedusiana, in O&L. I nomi da Dante ai contemporanei, a cura di B. Porcelli e B. Bremer, Baroni, Viareggio, 1999, pp. 119–23. Arnaldo Di Benedetto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, «La Sirena», in L'«incipit» e la tradizione letteraria italiana, vol. IV (Il Novecento), a cura di P. Guaragnella e S. De Toma, Pensa MultiMedia, Lecce, 2010, pp. 447–56. Margareta Dumitrescu, Sulla parte VI del Gattopardo. La fortuna di Lampedusa in Romania, Giuseppe Maimone Editore, Catania 2001. Franco La Magna, Lo schermo trema. Letteratura siciliana e cinema, Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria, 2010, ISBN 978-88-7351-353-7 Gioacchino Lanza Tomasi, Introduzione a "Opere" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Mondadori Editore, Milano, 1995 coll. I Meridiani. Salvatore Silvano Nigro, Il Principe fulvo, Palermo, Sellerio editore, 2012. Francesco Orlando, Ricordo di Lampedusa (1962)seguito da Da distanze diverse (1996), Torino, Bollati Boringhieri, 1996. Basilio Reale, Sirene siciliane. L'anima esiliata in «Lighea» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Moretti & Vitali, 2000. Giuseppe Paolo Samonà, Il Gattopardo. I racconti. Lampedusa, Firenze, La Nuova Italia, 1974 Salvatore Savoia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ed. Flaccovio, Palermo, 2010. Jochen Trebesch, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Leben und Werk des letzten Gattopardo, NORA, Berlin, 2012. Nunzio Zago, Tomasi di Lampedusa, Bonanno, Acireale-Roma, 2011. Steven Price, Lampedusa, a novel, New York, Farrar, Straus and Giroux, 2019. Maria Antonietta Ferraloro, Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Il Gattopardo raccontato a mia figlia, La nuova frontiera junior, Roma, 2017. Voci correlateModifica Il Gattopardo Tomasi di Lampedusa (famiglia) Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giuseppe Tomasi di Lampedusa Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giuseppe Tomasi di Lampedusa Collegamenti esterniModifica Tomasi di Lampedusa, Giuseppe, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Arnaldo Bocelli, TOMASI, Giuseppe, duca di Palma, principe di Lampedusa, in Enciclopedia Italiana, III Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata ( EN ) Bibliografia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Goodreads. Modifica su Wikidata Bibliografia italiana di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata Parco letterario Tomasi di Lampedusa, su parcotomasi.it. Controllo di autoritàVIAF ( EN ) 88710059 · ISNI ( EN ) 0000 0001 1683 1579 · SBN CFIV055692 · BAV495/127999 · LCCN ( EN ) n50049833 · GND( DE ) 120871114 · BNE ( ES ) XX847385(data) · BNF ( FR ) cb11926785v (data) ·J9U ( EN ,  HE ) 987007269071005171 (topic) ·NDL ( EN ,  JA ) 00458907 · WorldCat Identities( EN ) lccn-n50049833   Portale Biografie   Portale Letteratura Ultima modifica 13 giorni fa di 176.201.22.91 PAGINE CORRELATE Gioacchino Lanza Tomasi musicologo italiano  Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa  Tomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italianaTomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italiana Lingua Segui Modifica Tomasi di Lampedusa Coat of arms of the Family of Tomasi.svg spes mea in deo est D'azzurro al leopardo d'oro, illeonito, sostenuto da un monte di tre cime di verde cucito.[1] StatoBandiera del Regno di Sicilia 4.svg Regno di Sicilia Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1816).svg Regno delle Due Sicilie Flag of Italy (1861-1946) crowned.svg Regno d'Italia Italia Italia Casata di derivazioneTomasi TitoliCroix pattée.svg Principe di Lampedusa Croix pattée.svg Duca di Palma Croix pattée.svg Barone di Montechiaro Croix pattée.svg Barone di Falconeri Croix pattée.svg Barone della Torretta Croix pattée.svg Grande di Spagna FondatoreMario Tomasi Data di fondazioneXVI secolo Etniaitaliana I Tomasi di Lampedusa sono una famiglia storica siciliana, diramatasi dai Tomasi[2], che deve la propria notorietà in particolare al suo esponente Giuseppe Tomasi di Lampedusa e al successo editoriale da questi ottenuto, postumo, con la pubblicazione del romanzo Il Gattopardo.   Stemma dei Tomasi di Lampedusa StoriaModifica Origini: studi e leggendeModifica  Il castello di Palma di Montechiaro Le prime notizie storiche sui Tomasi risalgono al VII secolo, mentre, per quanto concerne i secoli precedenti, sono state prospettate ipotesi diverse. Secondo la tradizione sarebbe originaria di Bisanzio (330 d.C.).   Alcuni studiosi (Sansovino, Villabianca, Palizzolo Gravina) sostengono che la famiglia de' Leopardi da Roma si trasferì a Costantinopoli al seguito dell'imperatore Costantino I[3]. Filadelfo Mugnosaffermò che la famiglia discendeva da Leopardo, figlio di Crispo, primogenito dell'imperatore Costantino[4]. Archibald Colquhoun ritiene che il capostipite dei Tomasi sia stato Thomaso il Leopardo, figlio dell'imperatore Tito e della regina Berenice.[5] Andrea Vitello, autore che ha approfondito gli studi sulla famiglia, fa discendere i Tomasi da Irene, figlia dell'imperatore bizantino Tiberio I, che sposò Thomaso detto il Leopardo, principe dell'Impero e comandante della guardia imperiale[6]  Sino a tutto il XIX secolo, come segnala Vincenzo Buonassisi, era condivisa l'opinione che individuava in due fratelli gemelli, Artemio e Giustino, gli artefici del ritorno in Italia dei Leopardi-Tomasi; nel secolo successivo la discendenza dai due gemelli, approdati ad Ancona e provenienti da Bisanzio, è stata confermata da Andrea Vitello, studioso della genealogia della famiglia Tomasi di Lampedusa, e ribadita da quanti, dopo la pubblicazione degli scritti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si sono interessati alla sua ascendenza[7]. Temendo per la loro vita a causa delle lotte al vertice dell'Impero, lasciarono Costantinopoli dopo la morte dell'imperatore Eracleo, tra il 640 e il 646, stabilendosi ad Ancona. Dal ramo rimasto nelle Marche discenderebbero i Leopardi nei rami di Recanati, come pure sosteneva Monaldo padre di Giacomo Leopardi[8], e di Amatrice, da cui discende la schiatta, tuttora esistente anche in linea femminile [ de Sanctis di Castelbasso e Rosati di Monteprandone de Filippis Delfico] di Pier Silvestro Leopardi.  Titoli nobiliariModifica In Sicilia non vigeva la legge salica ed i titoli nobiliari si trasmettevano anche in linea femminile. In forza delle norme dettate nel Liber Augustalis (III, 27 “de la successione de li nobili in li feudi") e nei capitula "de successione feudalium", "de alienatione feudorum","de successione feudorum"[9] e della prammatica 14 novembre 1788 i titoli venivano trasmessi al collaterale maschio vivente più prossimo e più anziano e, in mancanza di maschi, alla femmina più prossima privilegiando le nubili. Il primo titolo nobiliare dei Tomasi di Sicilia, la baronia di Montechiaro, fu acquisito per via materna come, in epoche successive, anche le baronie di Franconeri e della Torretta.  LetteraturaModifica Il casato dei Tomasi di Lampedusa, ramo staccatosi dai Tomasi di Capua, trasferitosi da Siena nel Regno di Napoli al seguito di Alfonso V d'Aragona[10] è stato immortalato nel romanzo Il Gattopardo scritto dal principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa.  Il successo dell'opera ha determinato il diffondersi di due neologismi: il sostantivo "gattopardismo" e l'aggettivo "gattopardesco"[11].  StemmaModifica  L'arma dei Tomasi (Palazzo ducale, Palma di Montechiaro) BlasonaturaModifica D'azzurro al leopardo d'oro, illeonito, sostenuto da un monte di tre cime di verde cucito.[12]  MottoModifica spes mea in deo est  Genealogia              Modifica Baroni di Montechiaro e duchi di PalmaModifica Il capostipite dei Tomasi siciliani, Mario (n. 1558), capitano d'armi, si trasferì dalla Campania in Sicilia, a Licata[13], dove sposò Francesca Caro baronessa di Montechiaro. Mario Tomasi e Francesca Caro ebbero due gemelli, Ferdinando e Mario, governatore del Castello di Licata e capitano dell'Inquisizione. Ferdinando (1597-1615), barone di Montechiaro[14], appena sedicenne sposò Isabella La Restia; i coniugi ebbero due gemelli, Carlo e Giulio, rimasti orfani del padre a nove mesi; quando i gemelli avevano diciassette anni morì anche la madre e lo zio Mario li chiamò presso di sé a Licata dove restarono circa sei anni.  Carlo venne nominato duca di Palma nel 1639 (il duca fu l'artefice della fondazione del paese oggi denominato Palma di Montechiaro) ma cedette baronia e ducato al fratello e prese gli ordini diventando uno dei chierici regolari teatini studioso di teologia. Scrisse numerose opere in latino e italiano, cinquantuno delle quali pubblicate[15]. Dopo la sua morte, essendogli stati attribuiti diversi miracoli, venne avviato un processo di beatificazione e fu proclamato Servo di Dio[16]. La famiglia annovera anche tre cardinali nel periodo bizantino (Fabio, durante il papato di Gregorio III, Vibiano durante quello di Alessandro II e Pietro durante il Patriarcato di Gerusalemme di Sergio III).  Duca SantoModifica  La venerabile Maria Crocifissa (Isabella Tomasi), Giulio I (1614-1669), duca di Palma e barone di Montechiaro venne nominato principe di Lampedusa, sposò Rosalia Traina, baronessa di Falconeri, dalla quale ebbe otto figli:  Francesca (1643-1727), suor Maria Serafica, badessa del monastero di Palma; Isabella (1645-1699), suor Maria Crocifissa, beata (nel romanzo è ricordata come "Beata Corbera")[17]; Ferdinando (1647), che morì a tre mesi; Antonia (1648-1721), suor Maria Maddalena; Giuseppe I (1649-1713), cioè San Giuseppe Maria Tomasi; Rosaria, che morì a 11 mesi (1650-1651); Ferdinando (1651- 1672); Alipia (1653-1734), suor Maria Lanceata. I coniugi impartirono ai figli una rigida educazione religiosa; tutti, fatta eccezione per Ferdinando, si indirizzarono alla carriera ecclesiastica. Tale fervore religioso si perpetuò anche nei secoli successivi, tanto che i Tomasi rischiarono spesso l'estinzione[18]. Isabella, che visse come Suor Maria Crocifissa, entrò nel monastero, per lei e le sorelle fondato dal padre, il 12 giugno 1659, giorno dell'inaugurazione e con lei entrarono Francesca e Antonia: Isabella aveva quattordici anni, Francesca quindici ed Antonia undici. Nel 1661 anche la madre Rosalia entrò in convento di clausura come oblata insieme alla figlia diciottenne Alipia (l'unica che avendo solo sei anni quando vi entrarono le sorelle non le aveva seguite); fu costretta, per amministrare i vassalli, ad uscire dalla clausura quando il nipote Giulio II restò orfano.  Giulio I dedicò l'intera sua vita alla beneficenza e ad opere pie con tale assiduità ed impegno da essere definito il Duca Santo; costruì numerose chiese, un asilo per le orfanelle, un ospedale, un reclusorio per meretrici pentite, istituì un Monte di Pietà per contrastare gli usurai, avviò bonifiche e si dedicò a numerose opere sociali ed umanitarie. Il terzo principe di Lampedusa fu Ferdinando I, al quale spettarono i titoli nobiliari del padre, in quanto prima di lui erano nati solo due maschi, Ferdinando morto a tre mesi e Giuseppe I che, rinunciando ai suoi diritti dinastici, si era indirizzato alla carriera ecclesiastica. Tutte e quattro le figlie vollero entrare come suore di clausura nel Monastero Benedettino. Il fervore religioso di Giulio I e dei suoi congiunti era tale che a Palma l'intera famiglia era nota come "una razza di Santi"[19]; è ancora conosciuta a Palma una deliziosa nenia "Il testamento del Duca di Palma"[20]. Come il fratello Carlo alla sua morte Giulio I venne proclamato Servo di Dio[21]. l  Principi di Lampedusa, duchi di Palma, baroni di Montechiaro e Falconeri            Modifica Ferdinando I morì a soli ventun anni, l'anno successivo alla nascita del figlio Giulio II (1671-1698), nato dal matrimonio con Melchiorra Naselli e Carlo. Anche Giulio II, morì giovane, a ventisette anni; dalla moglie Anna Maria Fiorito e Tagliavia, ebbe due figli maschi Antonino morto in tenera età e Ferdinando II, che visse quasi ottant'anni, sposò Rosalia Valguarnera e Branciforte e, rimasto vedovo, Giovanna Valguarnera e La Grua. Giulio II restò sino all'età di sette anni nel monastero che ospitava la nonna Rosalia (suor Seppellita) e le zie; compiuti i sette anni assunse l'onere della sua educazione il nonno materno Luigi, principe d'Aragona. Nonostante sia morto giovane riuscì a fondare l'Istituto delle Scuole Pie, affidato ai Padri Scolopi. Fu allievo dell'Istituto, la cui sede è oggi occupata dal comune di Palermo.  Ferdinando II (1697-1775) ebbe dieci figli, otto maschi e due femmine, Maria (1718-1795) suor Maria Crocifissa monaca del monastero di Palma e Anna Maria (m. 1751) che sposò Antonio Lucchesi Palli, principe di Campofranco. I figli maschi fatta eccezione per il primogenito Giuseppe II (1717-1792) e per Gaetano morto in tenerissima età, si diedero alla carriera ecclesiastica o a quella militare: Giulio (m. 1787) Abate di Santa Maria di Roccamadore e Prelato domestico di Clemente XIV, Salvatore (m. 1783) prete dell'Olivella, Carlo (n. 1734) gentiluomo di camera del duca di Savoia e capitano dell'esercito sardo, Gioacchino (1739-1792) esente guardie del corpo, Elia (1740-1790) capitano di artiglieria, Pietro (n. 1752) cavaliere di Malta. Ferdinando II potenziò il patrimonio della famiglia e la istituzione dell'Accademia dei Pescatori Oretei con finalità letterarie, il terzo seminario dei Nobili retto dai padri Scolopi, e l'assunzione di rilevanti ruoli politici. Fu nominato da Carlo VI grande di Spagna, fu presidente dell'arciconfraternita della Redenzione dei Cattivi, capitano di Giustizia di Palermo, pretore di Palermo, deputato del Regno, Vicario generale del Regno, maestro razionale di cappa corta del Regio Patrimonio. Giuseppe II (1717-1792) sposò Antonia Roano e Pollastra dalla quale ebbe tre figli Francesco morto in tenera età, Rosalia, moglie di Gioacchino Burgio del Vio, Duca di Villafiorita e Giulio III (1743-1812). Giuseppe II, cavaliere di Malta, fu governatore della Compagnia della Pace, ambasciatore del Senato di Palermo presso Carlo III, governatore del Monte di Pietà, capitano di Giustizia di Palermo, deputato del Regno, presidente dell'Arciconfraternita per la Redenzione dei Cattivi, Intendente Generale degli eserciti.  Il figlio Giulio III sposò Maria Caterina Romano Colonna figlia del duca di Reitano, con la quale ebbe tre figli Baldassarre cavaliere di Malta, Antonia moglie di Francesco Arduino Ruffo marchese di Roccalumera e Giuseppe III (1767-1833). Giulio III fu governatore della Pace, senatore di Palermo, rettore dell'Ospedale Grande, deputato del Regno, pretore di Palermo, governatore del Monte di Pietà, cavaliere di San Giacomo.  Giuseppe III si sposò due volte. La prima moglie, Angela Filangeri e la Farina figlia del principe di Cutò morì di parto insieme al nascituro; dalla seconda moglie Carolina Wochingher ebbe due femmine Caterina che sposò Giuseppe Valguarnera e Ruffo, principe di Niscemi e duca dell'Arenella e Antonia che sposò Francesco Caravita principe di Sirignano. L'unico maschio, Giulio IV, è il protagonista del romanzo Il Gattopardo. Giuseppe III dovette affrontare una situazione disastrosa sotto il profilo economico. La moglie Carolina, rimasta vedova, fu costretta ad affrontare numerose vertenze giudiziarie e a varare un progetto di contenimento delle spese.  Il Gattopardo e i suoi discendenti        Modifica Giulio Fabrizio Maria Tomasi Caro Traina IV (1815-1885), pari di Sicilia, principe di Lampedusa, duca di Palma, barone di Montechiaro e Falconeri, sposò Maria Stella Guccia e Vetrano, figlia del marchese di Ganzaria e zia del matematico Giovanni Battista Guccia, fondatore del Circolo Matematico di Palermo[22]. Diedero alla luce dodici figli, sette femmine e cinque maschi. È il principe di Salina, protagonista del romanzo del bisnipote.   Giuseppe Tomasi di Lampedusa Salvatore, decimo figlio, morì giovane, come la sesta, Caterina e la dodicesima, Maria Rosa.  Linea maschile          Modifica Giuseppe IV (1838-1908), primogenito del Gattopardo, sposò nel 1867 Stefania Papè e Vanni (1840-1913), dalla quale ebbe cinque figli maschi: Giulio (1868-1934), Pietro (1873-1964), Francesco (1875-1956), Ferdinando (1877-1920) e Giovanni (1879-1940). Francesco ebbe un figlio, Giuseppe, morto ventenne nel 1945. Si sposarono, ma non ebbero figli, Pietro, Ferdinando e Giovanni, mentre il primogenito Giulio V ebbe, oltre all'autore del romanzo, una femmina, Stefania, morta a tre anni (1893-1896).  Giuseppe V (1896-1957), lo scrittore, principe, duca e barone, sposò nel 1932 Alexandra Wolff Stomersee, figlia di un nobile baltico e dell'italiana Alice Barbi, che, nel 1920, in seconde nozze aveva sposato Pietro Tomasi della Torretta, zio di Giuseppe. Alla morte dell'autore del libro, lo zio Pietro, il parente maschio più prossimo, ereditò i titoli di principe di Lampedusa, duca di Palma e barone di Montechiaro e Falconeri. Come secondogenito era già barone della Torretta, conosciuto però come marchese (di "cortesia" secondo gli autori), titolo che usò ufficialmente nella carriera diplomatica. Pietro fu Ministro degli Esteri, Senatore del Regno, ultimo presidente del Senato del Regno e presidente del primo Senato della repubblica. Con Pietro Tomasi Della Torretta si estinse la linea maschile.  Linea femminile  Pietro morì a Roma nel 1962, nominando eredi di quanto possedeva a Ginevra le figlie della defunta moglie, una delle quali, Alexandra Wolff Stomersee, aveva sposato Giuseppe, il nipote scrittore. I suoi beni residui, tra i quali un lussuoso appartamento a Roma, andarono agli eredi legittimi, suoi cugini di primo grado: Giuseppe Garofalo, figlio di Maria Antonia Tomasi di Lampedusa, che aveva sposato il professor Giovanni Garofalo, e le sorelle Giovanna e Maria Carolina Crescimanno, figlie di Chiara Tomasi di Lampedusa, che aveva sposato Francesco Paolo Crescimanno di Capodarso.  Fra i diversi discendenti in linea femminile rimasti in Sicilia, vi era Isabella Crescimanno di Capodarso, deceduta il 13 aprile 2015, la quale scrisse Memorie, libro in cui venivano raccontati aneddoti della famiglia. Rimangono il fratello Cesare Crescimanno e i figli di lui Mario e Maria Laura, entrambi con figli ed altri discendenti.  Il secondogenito di Giulio Fabrizio Tomasi e di Maria Stella Guccia, Giovanni, barone di Montechiaro, (Palermo 1840 - Baden Baden 1896) sposò la cugina prima Carolina Guccia, Il figlio Giuseppe (1871-1936) sposò Rosa Agliata; portava il titolo di conte di Celona ed aveva un grande biglietto da visita in cui dichiarava di essere il solo ed unico cugino in secondo grado di Pietro Tomasi della Torretta, senatore del Regno. Dal matrimonio nacquero quattro figli, due maschi e due femmine. Tre non ebbero discendenti; soltanto Carolina (1908 - 2016) ebbe un figlio dal marito Giuseppe Lo Piccolo (Palermo 1947). Carolina era vivente quando Pietro Tomasi della Torretta morì, Era la parente più prossima in via femminile, poiché suo padre Giovanni era il secondogenito di Giulio Fabrizio. Da questo matrimonio fra Maria Giovanni Tomasi e Guccia e la cugina Carolina Guccia nacquero una figlia Maria Stella e un maschio Giuseppe che sposo Rosa Agliata ed ebbe due figli maschi e due femmine. Erano molto poveri ed i maschi morirono di tisi lavorando nelle miniere di Montegrande, una figlia era monaca e sua sorella Carolina Guccia e Marasà sposò l'avv. Giuseppe Lo Piccolo. Quando Pietro Tomasi della Torretta morì questo divenne il parente più prossimo in linea femminile. Ha fatto cognonomizzare Tomasi ed ha invertito il cognome in Tomasi Lo Piccolo. È seguito dai discendenti di Antonia Tomasi e Guccia la figlia più anziana di Giulio Fabrizio, che andò sposa al professor Giovanni Garofalo. I discendenti per via femminile di questo matrimonio sono i Di Rella Tomasi di Lampedusa. Anche loro hanno fatto cognonomizzare il cognome Tomasi di Lampedusa e sono discendenti di Giuseppe Garofalo, l'unico cugino maschio di primo grado vivente alla morte di Pietro Tomasi della Torretta.  Nessuno dei discendenti viventi avrebbe comunque avuto diritto - anche se la repubblica non avesse abolito i titoli nobiliari - al riconoscimento dei titoli in capo a Pietro (principe di Lampedusa, duca di Palma e barone della Torretta), poiché, dopo l'Unità d'Italia ed il riconoscimento negli anni venti dei titoli borbonici, poiché ad essi era stata estesa la legge salica, che escludeva le donne dalle linee dinastiche.  Secondo il diritto borbonico, invece, come si evince dall'esame dei Capitula Regni Siciliae, il capo della dinastia sarebbe diventato Giuseppe Lo Piccolo Tomasi, il parente maschio più prossimo in linea femminile. Quando Giuseppe Garofalo morì, era vivente il figlio della sua unica figlia Maria, coniugata Di Rella, quindi Aurelio Di Rella Tomasi ed i suo successori sarebbero i successori secondo il diritto borbonico. In verità sono preceduti da Giuseppe Lo Piccolo Tomasi, che non ha discendenti.   Aurelio Di Rella Tomasi di Lampedusa, avvocato, cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia e componente della Consulta dei Senatori del Regno, ha tre figli, due dei quali maschi, che si trovano immediatamente dopo di lui nella linea dinastica femminile.  Giuseppe Garofalo aveva due sorelle: Marietta, che rimase nubile, e Giulia, coniugata con Pietro Trombetta, che ebbe cinque figli (tre maschi e due femmine). Uno dei maschi, Giovanni Trombetta, avvocato, fu vice comandante militare della Resistenza ai nazisti in Liguria e. in onore della famiglia materna, assunse il nome di battaglia di "Colonnello Tomasi".  La regolamentazione dei titoli araldici vigente nel Regno d'Italia. Consulta araldica, Libro d'Oro  Con la soppressione degli ordinamenti feudali, negli Stati dove le distinzioni nobiliari sopravvissero vennero costituite speciali commissioni consultive per l'esame di questioni araldiche. Si ebbero così il tribunale araldico in Lombardia, la commissione araldica a Venezia e Parma, la congregazione araldica capitolina a Roma ecc.. Analogamente a quanto era avvenuto negli stati preunitari, anche nello stato italiano venne istituito, con il Regio Decreto 313 del 10 ottobre 1869, un organo collegiale, denominato Consulta araldica. Con il Regio Decreto 5318 dell'8 maggio 1870 venne istituito il Libro d'oro della nobiltà italiana. Questo registro avrebbe man mano raccolto le concessioni di giustizia o di grazia approvate dalla Consulta araldica. L'estratto del Libro d'oro faceva fede del loro riconoscimento da parte del Regno d'Italia.  Le successioni furono regolamentate secondo la legge vigente nel Regno di Sardegna, e fu quindi ammessa soltanto la successione per via maschile secondo le norme della legge salica: maschi primogeniti.   La Consulta fu varie volte mutata nella composizione e nelle attribuzioni fino al Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 651. La Consulta esaminava tanto le pratiche di giustizia che quelle di grazia. Le prime erano le successioni che seguivano i principi della legge salica, le seconde quelle successioni che avevano bisogno di una sanatoria concessa con decreto reale (successioni per via femminile, in favore di membri della famiglia diversi dai maschi primogeniti). Queste successioni per grazia avevano il carattere di una rinnovazione. I titoli venivano concessi sul cognome ed erano soggetti alla legge salica nella ulteriore trasmissione. Vennero di fatto privilegiate le successioni che sanavano contenziosi all'interno delle grandi famiglie e assistita la loro sopravvivenza. I criteri erano piuttosto restrittivi, anche se il Regno d'Italia conservò spesso le regole presenti al momento della loro concessione, per cui i titoli austriaci erano riconosciuti a tutti i componenti maschili del casato. Il Libro d'oro stabiliva anche una imposta di concessione per l'iscrizione ed in assenza di questa vari titoli rimasero esclusi dall'inclusione per motivi fiscali. Era questo il caso di famiglie che avevano molti titoli e non corrisposero la tassa per tutti quelli che potevano rivendicare. Queste situazioni rimasero insanabili, in quanto Umberto II non ritenne di dover sanare situazioni fiscali in vigore nel Regno d'Italia.  La trasformazione in Repubblica Italiana nel 1946 e la successiva Costituzione del 1948 abolirono qualsiasi titolo nobiliare; la XIV disposizione transitoria e finale demandò a una legge ordinaria le modalità di soppressione della Consulta araldica; per molti anni non sopraggiunse alcun atto al proposito e perciò si presumeva che l'organismo persistesse formalmente, pur non avendo più titolo né scopo. Infatti la sentenza della Corte costituzionale del 26 giugno 1967, n. 101, dichiarò illegittima qualsiasi legislazione araldico-nobiliare italiana susseguitasi dal 1887 al 1943. Nel 1967 ancora la Consulta sentenziò che i titoli nobiliari «non costituiscono contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza». Il D.L. 112/2008 (convertito in legge 133/2008) e il Decreto legislativo 66/2010 abrogarono espressamente, rispettivamente, il R.D. 651/1943 e il R.D. 652/1943, che regolavano i titoli nobiliari, e la Consulta araldica. Dopo tali atti abrogativi, dunque, non esiste più alcuna norma giuridica relativa alla Consulta araldica e detta consulta è soppressa a tutti gli effetti.  La Consulta araldica dopo la proclamazione della Repubblica  La decisione di abbandonare l'Italia da parte di Umberto II il 13 giugno 1946 non determinò una rinuncia totale alle sue prerogative. Umberto ritenne di mantenere in vita la fons honorum spettante a casa Savoia. A partire dal 1950, Umberto II rilasciò numerosi titoli nobiliari, attenendosi alle prassi in essere ai tempi del Regno. Furono sanate molte vertenze e il Libro d'oro della nobiltà italiana continuò ad essere stampato come documento di una associazione privata. Questa si strutturò in associazioni regionali e in una giunta centrale. Molti titoli furono anche assegnati a vari sostenitori della monarchia ed alla borghesia imprenditoriale, in particolare nel settore dell'edilizia.  All'interno di questa prassi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, avendo nel maggio 1946 richiesto alla corte di appello di Palermo di adottare il suo cugino in secondo grado Gioacchino Lanza di Mazzarino e di Assaro, si presentava assieme ai genitori dell'adottando Fabrizio Lanza di Assaro e Conchita Ramirez di Villarrutia in tribunale e veniva registrato l'assenso all'adozione. Nel dicembre del 1946, alla registrazione del decreto da parte della Corte di Appello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa scriveva a Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa, del suo desiderio di trasmettere i titoli della famiglia al figlio adottivo, in assenza di una discendenza maschile. La lettera recava anche l'adesione e l'appoggio di Pietro Tomasi della Torretta. Successivamente Fabrizio Lanza di Assaro si recò a Villa Italia a Cascais ed Umberto IIcomunicò per iscritto a Lucifero la sua adesione alla proposta di trasmettere il titolo di duca di Palma sul cognome all'adottando. I restanti titoli della famiglia Tomasi, secondo il regolamento araldico del Regno d'Italia, tornavano alla Corona.  NoteModifica ^ A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912 (anche centrale/mango online: «vanta discendere dalla famiglia dei Leopardi di Costantinopoli che si vuole passata in Ancona sin dal 646 cambiando il cognome in quello di Tomasi»). ^ Angelo Tommasi di Vignano, Notizie storiche e genealogiche sulla nobile famiglia Tommasi: Tommasi e Tomasi, rami di Siena, di Capua e di Sicilia, 1933 ^ V. Palizzolo Gravina, op. cit., 363-364, segnala quanto segue: «sull'origine della famiglia Tomasi dal Villabianca appoggiato al Sansovino rileviamo essere l'antica de' Leopardi di Roma, è passata con Costantino imperatore in Costantinopoli, ove fu grande e potente sino al tempo di Eracleo imperatore, per la cui morte ella passo' in Italia, fermandosi in Ancona. La si disse Tomasi dal greco trauma, che vuol dire mirabile, però che si sa i due gemelli Artemio e Giuliano aver mostrato un ingegno meraviglioso». Tutti gli altri autori concordano nel ritenere che uno dei due gemelli si chiamasse Giustino e non Giuliano ^ F. Mugnos, op. cit., vol. III, al riguardo precisava: «Tuttavia non lascerò di dire che Artemio e Giustino fratelli gemelli, ovvero nati ambedue da un parto, cavalieri nobilissimi costantinopoliani dell'antichissima famiglia Leopardi originata da Leopardo o da Licino Leopardo figlio di Crispo primogenito dell'imperatore Costantino il grande» ^ A. Colquhoun, A dilemma of Princes, Go, 1960, p. 30. ^ A. Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, cit., p. 39: «Capostipite della gens Thomasa-Leopardi è il generale Thomaso detto il Leopardo, principe dell'Impero Bizantino e comandante della guardia imperiale. Fu lui a sposare Irene, figlia dell'imperatore Tiberio». Tuttavia Gilmour, biografo inglese dell'Autore del libro, ritiene prive di prova le tesi di Vitello e fantasiose tutte le ricostruzioni dell'albero genealogico anteriori al ritorno in Italia della famiglia (David Gilmour, L'ultimo Gattopardo, Feltrinelli, Milano 2003, pp 20-21). ^ Vincenzo Buonassisi, op. cit., scrive: "«Tutti si accordano in dire, che ella sia greca di origine, e della città di Costantinopoli non essendo però si chiaro, se ella già di antico fosse passata in essa al tempo di Costantino, o fossevi passata di poi. Venne ella primieramente in Ancona in due fratelli Artemio e Giustino, nati di un parto, e tanto simiglianti nelle fattezze che era una meraviglia il vederli: onde anche si vuole che a cagione di questa stupenda simiglianza venissero chiamati i Tomasii, perché di prima Leopardi diceva si, spiegando l'insegna di un Leopardo» ^ scrive Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Sellerio 2008 p. 31: "della comune origine era convinto il padre del poeta che fu in corrispondenza con il padre dell'astronomo; nella Istoria gentilizia di casa Leopardi di Recanati il conte Monaldo sostenne appunto la discendenza dei Leopardi dai Thomasi bizantini" ^ . I Capitula qui citati ed altri relativi al tema della successione dei feudi sono reperibili nei Capitula Regni Siciliae dei quali è stata pubblicata una ristampa anastatica dall'editore Rubbettino nel 1999 ^ Girolamo Gigli, Diario Sanese, Siena, 1854, pp 548 e seg. ^ Il VI volume del Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia edito dall'UTET nel 1970 non riportava le due voci che compaiono invece a pagina 410 del supplemento del 2004. I due termini non risultavano riportati neppure nell'edizione del 1984 del Vocabolario illustrato della lingua italiana, di Devoto-Oli, editrice Selezione dal Reader's Digest. Entrambi i vocaboli sono invece riportati nel Dizionario essenziale della lingua italiana di Sabatini-Coletti pubblicato dalla casa editrice Sansoni nel 2007. Compare solo il termine gattopardismo ne Il grande italiano-vocabolario della lingua italiana di Aldo Gabrielli, edito nel 2008 dalla casa editrice Hoepli. Nel linguaggio aulico, ha avuto ingresso soltanto di recente (Mimmo Muolo, LA REGOLA D’ORO, Avvenire, 23 dicembre 2016, in ordine alle resistenze nella Curia: "il Papa ne ha evidenziate di tre tipi: aperte in quanto derivanti dal dialogo sincero, nascoste o gattopardesche, e malevole, queste ultime ispirate dal demonio"). ^ A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912 (anche centrale/mango online: «vanta discendere dalla famiglia dei Leopardi di Costantinopoli che si vuole passata in Ancona sin dal 646 cambiando il cognome in quello di Tomasi»). ^ Francesco Emanuele Gaetani marchese di Villabianca, Della Sicilia nobile, Palermo 1757, p. 65, "...Mario di Tomasi che da Capua passò in Sicilia, con il viceré Marco Antonio Colonna, e fu capitan d'armi nella Licata sull'anno 1585, rispondendo in quei tempi un tal uffizio al grado di Vicario generale regio d'oggidì" ^ Marchese di Villabianca, op. cit. p 65: "fu quella baronia recata in dote da Francesca di Caro e Celestre, primogenita figlia di Ferdinando ultimo barone di essa a Mario di Tomasi" ^ Tutti gli scritti di Carlo Tomasi sono enumerati e sinteticamente descritti nella seconda parte dell'opera di Antonio Francesco Vezzosi I scrittori de' chierici regolari detti Teatini , Roma 1780, pp 349-359 ^ Giovanni Bonifacio Bagatta Vita del venerabile Servo di Dio D. Carlo de' Tomasi e Caro della Congregazione de' chierici regolari Roma 1702 ^ S. Cabibbo - M. Modica, op. cit, p. 85 raccontano che la beata Isabella usava flagellarsi a sangue sin dalla più tenera età. ^ Secondo Gilmour, op. cit., p. 22, a Capua su otto figli sei si fecero sacerdoti o monache ^ da Reinhard Volker, Le grandi famiglie italiane, le élite che hanno condizionato la storia d'Italia di Horst Reimann Tomasi di Lampedusa, Neri Pozza, 1996, p. 585 ^ Volker, ivi, p. 588 ^ Biagio della Purificazione, Vita e virtù dell 'insigne Servo di Dio D. Giulio Tomasii e Caro, duca di Palma, Prencipe di Lampedusa, barone di Monte Chiaro e cavaliere di San Giacomo , Roma, 1685 ^ Benedetto Bongiorno, Guillermo P. Curbera, Giovanni Battista Guccia, Pioneer of International Cooperation in Mathematics, Springer, Heidelberg 2018. Bibliografia        Modifica Gian Evangelista Blasi, Opuscoli di autori siciliani alla grandezza di Ferdinando Maria Tomasi, Caro, Traina e Naselli, Palermo, 1770. Bonifacio Bagatta, Vita del venerabile servo di Dio D. Carlo De' Tomasi della Congregatione De' Chierici Regolari, Roma 1702. Domenico Bernino, Vita del venerabile cardinale D. Giuseppe Maria Tomasi de' Chierici regolari, Roma. Vincenzo Buonassisi, Sulla condizione civile ed economica della città di Siena, Moschini, 1854. Sara Cabibbo, Marilena Modica, La Santa dei Tomasi, storia di Suor Maria Crocifissa, Einaudi, Torino, 1989. Francesco Caravita di Sirignano, Memorie di un uomo inutile, Mondadori, 1981. Isabella Crescimanno Tomasi, Memorie, fondazione Piccolo di Calanovella, 2009. Giovanni Battista di Crollalanza, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, rist. an., Forni, Sala Bolognese 2011. Girolamo Gigli, Diario Sanese, Siena, 1854. David Gilmour, L'ultimo Gattopardo, Feltrinelli, 2003. Leptailurus serval, internet. Antonino Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912. 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Voci correlateModifica San Giuseppe Maria Tomasi Pietro Tomasi Della Torretta Giuseppe Tomasi di Lampedusa Palazzo Lampedusa Villa Lampedusa Palma di Montechiaro Castello di Montechiaro (Palma di Montechiaro) Tomasi (famiglia) Controllo di autoritàVIAF ( EN ) 77198047 · CERL cnp00569868 ·GND ( DE ) 122475119 · WorldCat Identities( EN ) viaf-77198047   Portale Sicilia   Portale Storia di famiglia Ultima modifica 2 mesi fa di Messbot PAGINE CORRELATE Pietro Tomasi della Torretta diplomatico e politico italiano  Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italiano  Giulio Fabrizio Tomasi nobile italiano  Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo Lingua Segui Modifica Don Fabrizio Corbera, principe di Salina Il gattopardo salina01.jpg Il principe di Salina Fabrizio Corbera interpretato da Burt Lancaster nel film Il Gattopardo. UniversoIl Gattopardo Lingua orig.Italiano SoprannomeIl Gattopardo AutoreGiuseppe Tomasi di Lampedusa Interpretato daBurt Lancaster Voce orig.Corrado Gaipa SessoMaschio EtniaItaliana Professionenobile Don Fabrizio Corbera, principe di Salina, duca di Querceta, marchese di Donnafugata, è il protagonista del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e dell'omonima trasposizione cinematografica di Luchino Visconti.  Il personaggioModifica La figura di don Fabrizio, in parte autobiografica e in parte ispirata al personaggio storico di Giulio Fabrizio Tomasi, rappresenta la disillusione e l'impotenza di un'intera classe sociale di fronte ai cambiamenti della storia.  Don Fabrizio è la figura di un uomo che seppure dotato di una forza epica e di una statura intellettuale superiore a quella dei suoi pari, non riesce a integrarsi nella società a lui contemporanea, cui guarda con scetticismo e altera lucidità. Emblematico è il suo rifiuto ad accettare la carica di senatore del neo-regno sabaudo, non certo perché mosso da lealismo borbonico, ma per una sostanziale incapacità intellettuale, che lo scrittore chiama "rigidità morale", ad assumersi la responsabilità politica di un cambiamento di cui, in fondo, non si sente partecipe.  Il personaggio storicoModifica Nella storia il personaggio di don Fabrizio è ricalcato su quello realmente esistito di Giulio Fabrizio Tomasi, bisnonno dello scrittore italiano.  Il personaggio tra realtà e finzioneModifica Sarebbe sbagliato credere che la figura di don Fabrizio sia quello di un personaggio reale: di Giulio Fabrizio Tomasi, oltre al nome, alla statura, al colore biondastro dei capelli e alla passione dilettantesca per l'astronomia, ha ben poco.  Lo stesso Tomasi di Lampedusa se ne era accorto, e nella ormai celebre lettera all'amico Enrico Merlo[1]dichiarava che il personaggio del romanzo doveva apparire molto più intelligente di quanto non lo sia stato nella realtà. In effetti Giulio Tomasi, bisnonno dello scrittore, come Don Fabrizio, non prese mai parte alla vita politica del suo tempo e con la sua morte, avvenuta senza aver mai fatto testamento, inizia la lunga vicenda giudiziaria fra i suoi eredi (1885-1960 ca) che ha portato al totale disfacimento del patrimonio dei Lampedusa.  Anche la passione per l'astronomia, che nel romanzo diventa un elemento epico, effettivamente si tradusse nel ripiegamento in un interesse puramente personale e dilettantistico di un aristocratico siciliano di metà ottocento. Conosciamo anche il catalogo delle sue osservazioni astronomiche, ma nulla fa intravedere la possibilità di una reale scoperta di corpi celesti.  Insomma, sulla figura di Giulio Tomasi pesa un giudizio critico sostanzialmente negativo che nemmeno le sue doti in campo matematico-astronomico son riuscite a cancellare: il don Fabrizio de Il Gattopardo è invece un personaggio puramente letterario, che in certe sfumature psicologiche deve assomigliare molto di più al suo autore che non al modello storico.  Scrive in proposito Pietro Citati: «Con una leggera vanità, Lampedusa immaginava di assomigliargli. Non gli assomigliava affatto: Salina era soltanto un sogno o una remota proiezione di eleganza e di grandezza inattingibili. Lampedusa non aveva la sua autorità, prepotenza, crudeltà, orgoglio di classe. Non aveva la pelle bianca, i capelli biondi, né la mitomania. Non conosceva il suo ardore carnale, l'allegra felicità fisica, il dono di afferrare e possedere la vita. Non condivideva il suo spirito mondano, portato anche nelle esperienze spirituali. Solo qualche volta l'antenato avidissimo e il discendente passivo si incontrano e si abbracciano nello stesso sentimento: quando Fabrizio rivela il proprio desiderio di contemplazione, l'"indifferente bontà", e la sconfitta».[2]  Quello che appare un trittico di personaggi, il Giulio Tomasi storico, il don Fabrizio del romanzo e l'autore stesso, è in realtà un unico quadro la cui chiave di lettura è per l'appunto l'autobiografismo.  Tomasi di Lampedusa, come il suo avo, vive un'epoca di transizione: l'uno si rifugia nella scrittura, l'altro nell'astronomia. Entrambi, rifiutano di partecipare alla vita politica del tempo.  E va qui ricordato che Tomasi rifiutò dopo una prima adesione, la carica di presidente regionale della C.R.I., proprio durante l'ultimo periodo bellico. Questa fu la sua unica esperienza politica, insieme alla giovanile partecipazione alla "grande guerra".  Eppure lo scrittore Lampedusa, attraverso il suo romanzo, che a distanza di cinquant'anni dalla sua uscita continua ad essere uno dei capolavori della narrativa italiana del secondo novecento, come è stato giustamente ribadito da Francesco Orlando, eterna un'epoca e il disfacimento totale di un'intera classe sociale attraverso il suo autobiografismo, che non scade mai nel memorialismo grazie al fatto che i suoi personaggi, come per l'appunto Don Fabrizio, non sono mai abbastanza realistici, senza per questo essere meno "veri", per irretire il racconto in uno schema narrativo di stampo verista, simbolista o ancor meno decadentista.  Il Gattopardo è un'opera moderna, senza per questo essere un romanzo epocale: forse in ritardo rispetto a certi modelli europei, cui comunque l'autore si rifà, Il Gattopardo è quanto di più squisitamente siciliano si possa immaginare. Anche l'anti-italianismo di Lampedusa che si traduceva nel rifiuto del melodramma, diventa un modo per affermare l'identità insulare dell'autore.  NoteModifica ^ Il cane Bendicò è la chiave del Gattopardo, su Repubblica.it, 9 novembre 2000. URL consultato il 15 marzo 2017. ^ Fabrizio Salina principe e gigante, su Repubblica.it, 30 novembre 1995. URL consultato il 15 marzo 2017. BibliografiaModifica Gioacchino Lanza Tomasi, G. Tomasi di Lampedusa. Una biografia per immagini, Palermo, Sellerio, 1999, ISBN 88-7681-113-3. Gioacchino Lanza Tomasi, I luoghi del gattopardo, Palermo, Sellerio, 2001, ISBN 88-7681-139-7. Francesco Orlando, Ricordo di Lampedusa, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, ISBN 88-339-0982-4. Collegamenti esterniModifica ( EN ) Principe Fabrizio Salina, su Internet Movie Database, IMDb.com.   Portale Letteratura: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di letteratura Ultima modifica 2 mesi fa di Rojelio PAGINE CORRELATE Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa  Villa Lampedusa Giulio Fabrizio Tomasi nobile italiano Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sull'argomento nobili italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Giulio Fabrizio Tomasi (Palermo, 12 aprile 1815 – Firenze, 1885) è stato un nobile italiano.  BiografiaModifica Giulio Fabrizio Maria Tomasi, appartenente alla famiglia Tomasi di Lampedusa, fu bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nonché la figura storica a cui lo scrittore si ispirò per il personaggio di Principe Fabrizio Salina, protagonista del romanzo Il Gattopardo.  Di lui sappiamo relativamente poco e la sua figura storica è ricostruibile principalmente da quanto riferito dallo stesso scrittore e da quanto rimane della sua biblioteca, oggi in parte conservata a Palermo, presso l'archivio privato della famiglia Lanza Tomasi.  Giulio Tomasi nacque a Palermo il 12 aprile 1813, erede di quella che era allora un'importante famiglia dell'aristocrazia siciliana: dal padre, Giuseppe Tomasi e Colonna, ereditò nel 1831 il titolo di Principe di Lampedusa e di Duca di Palma. Fu anche Grande di Spagna e sedette fra i Pari del Regno di Sicilia fino al 1848. Dalla madre, Carolina Wochinger, di origini tedesche, ereditò invece una certa attitudine teutonica al rigore intellettuale e allo scientismo illuminista settecentesco. Sposò Maria Stella Guccia e Vetrano, figlia del marchese di Ganzaria e zia del matematico Giovanni Battista Guccia, fondatore del Circolo Matematico di Palermo.[1]  Personaggio difficilmente catalogabile, Giulio Tomasi fu certamente un aristocratico dotato di una cultura e di una curiosità intellettuale superiori alla media, come dimostra la sua ricca biblioteca, dove troviamo testi di astronomia, matematica, geometria, meccanica e fisica, fra i quali preziosi esemplari della Meccanica Analitica di Joseph-Louis Lagrange e uno dei primissimi volumi stampati del celebre Kosmos di Alexander von Humboldt. Totalmente autodidatta, Giulio Tomasi fu un astronomo dilettante, ma che riuscì ad ottenere "sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private" (Il Gattopardo, pag. 25) come ne ebbe a ricordare il pronipote scrittore.[2]  Sappiamo che nel 1853 creò un proprio osservatorio astronomico, in una sua villa nella Piana dei Colli, a nord di Palermo: conosciuta come Villa Lampedusa, per questa innovazione era all'epoca nota soprattutto come "Osservatorio ai Colli del Principe di Lampedusa". Alla sua morte, avvenuta a Firenze nel 1885, l'Osservatorio ai Colli fu frazionato fra gli eredi e la strumentazione astronomica venduta.  NoteModifica ^ Benedetto Bongiorno, Guillermo P. Curbera, Giovanni Battista Guccia, Pioneer of International Cooperation in Mathematics, Springer, Heidelberg 2018. ^ Il Gattopardo tra gli astri Controllo di autoritàVIAF ( EN ) 81387616 · CERL cnp01165159 ·WorldCat Identities ( EN ) viaf-81387616   Portale Astronomia   Portale Biografie   Portale Letteratura Ultima modifica 9 mesi fa di 5.170.225.93 PAGINE CORRELATE Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo  Tomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italiana  Villa Lampedusa Villa Lampedusa Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento ville d'Italia non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Ulteriori informazioni Questa voce sugli argomenti ville della Sicilia e architetture di Palermo è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Villa Lampedusa Localizzazione StatoItalia Italia RegioneSicilia LocalitàPalermo Coordinate38°09′45.72″N 13°19′44.04″E Informazioni generali CondizioniIn uso Villa Lampedusa è una villa che si trova a Palermo, costruita come residenza suburbana all'epoca di Ferdinando IV di Borbone, che aveva una residenza estiva, la cosiddetta Casina Cinese, nei pressi della quale la nobiltà siciliana costruiva le proprie ville di campagna. All'inizio del XVIII secolo venne fatta edificare da don Isidoro Terrasi, nel 1756 vennero effettuati alcuni lavori di ristrutturazione su progetto di Giovanni Del Frago, architetto. Degne di note le decorazione eseguite da Gaspare Fumagalli. La villa appartenne poi ai Principi Alliata di Villafranca ed infine ai Tomasi di Lampedusa.  All'epoca del romanzo Il Gattopardo era più noto come "Osservatorio ai Colli del Principe di Lampedusa" dall'attività prediletta dell'allora proprietario, Giulio Fabrizio Tomasi, bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e figura storica a cui lo scrittore si ispirò per il personaggio di Principe Fabrizio Salina, protagonista del romanzo Il Gattopardo. Appariva come una costruzione a due piani, alle spalle del corpo principale della villa; il primo piano costituiva probabilmente lo studio, mentre il secondo, con la copertura a cupola, la specola vera e propria. Alcuni degli strumenti in uso del principe sono oggi conservati presso il Museo dell'Osservatorio astronomico di Palermo. Fra questi i più rilevanti sono il telescopio azimutale Merz, il telescopio equatoriale di Lerebours & Secretan e il telescopio altazimutale di Worthington.[1][2] Alla sua morte, avvenuta nel 1885, l'Osservatorio ai Colli fu frazionato fra gli eredi e la strumentazione astronomica venduta.  Oggi all'interno della proprietà, sono ospitate delle attività commerciali.  All'interno del Baglio della foresteria di Villa Lampedusa si trova una struttura alberghiera Villa Lampedusa Hotel & Residence [3] gestita dal Gruppo Guccione.  Nelle Antiche Scuderie invece, oggi viene svolta un'attività di ristorazione dai fratelli Cottone, con il loro Ristorante Pizzerie La Braciera in Villa[4].  NoteModifica ^ L'Attività astronomica di Giulio Fabrizio Tomasi, Principe di Lampedusa ^ Indice Strumenti ^ Villa Lampedusa – Hotel and Residence, su hotelvillalampedusa.it. URL consultato l'11 giugno 2021. ^ Villa Lampedusa, su La Braciera. URL consultato l'11 giugno 2021. Collegamenti esterniModifica scheda su un sito del turismo a Palermo, su palermoweb.com. storia della proprietà attuale, su hotelvillalampedusa.it. informazioni sul restauro, su mobilitapalermo.org.   Portale Architettura   Portale Palermo Ultima modifica 6 mesi fa di 5.91.251.38 PAGINE CORRELATE Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo  Giulio Fabrizio Tomasi nobile italiano Palazzo Lanza Tomasi Lingua Segui Modifica Palazzo Lanza Tomasi Palermo 0421 2013.jpg Facciata Localizzazione StatoItalia Italia RegioneSicilia LocalitàPalermo IndirizzoKalsa, Mura delle Cattive Coordinate38°07′04.5″N 13°22′18.52″E Informazioni generali CondizioniIn uso CostruzioneXVII secolo Usoprivato Il Palazzo Lanza Tomasi di Lampedusa è un edificio patrizio del XVII secolo, ubicato sulle Mura delle Cattive e affacciato sul Foro Italico, lungomare di Palermo.[1]   Panoramica. StoriaModifica Epoca spagnolaModifica L'edificio - altrimenti definito Palazzo Lampedusa alla Marina, con accesso in via Butera - sorge nel quartiere Kalsa, la cittadella eletta degli Emiri, adiacente all'Hotel Trinacria. L'attuale costruzione fu edificata alla fine del Seicento sui bastioni spagnoli, fortificazioni erette a difesa degli attacchi e delle incursioni perpetrati da ciurme pirata o corsare, nel contesto storico in cui imperava il bisogno primario di assicurarsi la supremazia navale nel Mediterraneo.  Dopo la vittoriosa impresa di Tunisi nel 1535, Carlo V d'Asburgo predispose la costruzione di nuovi bastioni per la difesa della città. Dopo il transito dell'imperatore in molte località dell'isola, i viceré di Sicilia Ferrante I Gonzaga prima, e Giovanni Vega poi, gestirono imponenti cantieri di fortificazioni alla moderna. La Marina era protetta a nord dal Forte di Castellamare, a sud dal bastione di Vega, e fra i due fu eretto il bastione del Tuono.[2] In prossimità delle mura la zona era densamente militarizzata e soltanto nella seconda metà del Seicento si cominciarono ad edificare i palazzi a ridosso delle mura. Il bastione del Tuono fu demolito attorno al 1720, quello di Vega sul finire del secolo.  I primi edifici furono il palazzo Branciforte di Butera[1][3] e la chiesa di San Mattia Apostolo con l'aggregato noviziato dei Crociferi.[1][4] I Brancifortefurono i proprietari dell'intera cortina muraria da Porta Felice al bastione del Tuono. Gli edifici a ridosso del bastione furono ceduti ai Gravina[5] e da questi affittati ai Padri Teatini che li adibirono a Collegio Imperiale per l'educazione dei nobili.[6]  Il Collegio fu chiuso nel 1768 e il palazzo fu acquistato da Giuseppe Amato, principe di Galati. Questi intervenne unificando in un unico prospetto di stile vanvitelliano la facciata sul mare, formata da dieci finestre con terrazza.  Epoca unitariaModifica Nel 1849 il principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, astronomo dilettante, lo acquistò con l'indennizzo versatogli dalla corona per l'espropriazione dell'isola di Lampedusa.  Gli armatori De Pace acquistarono metà del palazzo nel 1862 e lo trasformarono secondo il gusto del tempo, realizzando il grande scalone d'ingresso e il parquet a doghe di ciliegio e noce per la Sala da ballo. Il manufatto marmoreo, come tanti altri elementi d'arredo, proviene dal convento delle Stimmate, abbattuto in seguito alla costruzione del Teatro Massimo Vittorio Emanuele.  Epoca contemporaneaModifica Nel 1948 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dopo la perdita del palazzo di famiglia nei bombardamenti del 22 marzo e del 5 aprile 1943, ricomprò la proprietà dai De Pace e vi risiederà fino alla morte, avvenuta nel 1957.  Oggi è residenza del musicologo Gioacchino Lanza Tomasi e della consorte duchessa Nicoletta Polo Lanza Tomasi. Il figlio adottivo dello scrittore ha riunificato l'intera proprietà e compiuto un completo restauro dell'edificio.  L'ultimo piano è sede della struttura ricettiva Butera 28 Apartments.  StileModifica Prospetto verso la marina con dodici finestre e terrazza, quest'ultima un vero e proprio giardino pensile con fonte, ricco di essenze mediterranee e subtropicali.   La costruzione presenta quattro livelli, di cui tre elevazioni oltre il pianoterra su via Butera. Il solo piano nobile sul fronte mare.  Piano nobile del palazzo costituisce in gran parte la casa museo dello scrittore: Biblioteca storica di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.[7] Nell'ambiente sono presenti due grandi bocce di Caltagirone del primo Settecento, sulla parete sopra il caminetto, un San Girolamo, opera di Jacopo Palma il Giovane. Sala da ballo, ambiente in cui sono esposti tutti i suoi manoscritti: il manoscritto completo de Il Gattopardo, quello della quarta parte del romanzo contenente una pagina che con compare nella pubblicazione, il dattiloscritto, i manoscritti della Lezioni di Letteratura Francese e Inglese e dei Racconti, una prima stesura de La Sirena. Nella sala è presente un piccolo quadro di Domenico Provenzani raffigurante la famiglia del "Duca Santo" Giulio Tomasi di Lampedusa. Scalone monumentale[7] in marmo. Tra gli ambienti che raccorda si trovano: Sala delle Conferenze: ambiente con soffitto affrescato ed una splendida collezione di ventagli francesi del Settecento; Sala del Mediterraneo, l'ambiente ospita una collezione di carte nautiche redatte dalla Marina Inglese nel 1870, di proprietà del nonno di Gioacchino Lanza Tomasi; Museo della famiglia Tomasi di Lampedusa; Sale di ingresso[7] e un secondo scalone. OpereModifica I restanti arredi del piano nobile provengono da Palazzo Lanza di Mazzarino. Tra questi uno tavolo in marmo intagliato della metà del Cinquecento, originariamente nella Villa Palagonia, due rari cassettoni siciliani in ebano e avorio del primo Settecento, due lampadari a gabbia di Murano modello Rezzonico e uno centrale di epoca Luigi XVI. Quadri di Pietro Novelli, Antonio Catalano, Federico Barocci. Opere moderne come bozzetti di Robert Wilson (regista), Arnaldo Pomodoro e Mimmo Paladino, oltre a due ritratti a penna di Pablo Picasso risalenti al 1910, raffiguranti la marchesa Anita, nonna di Gioacchino.  NoteModifica ^ a b c Gaspare Palermo Volume quinto, pp. 15. ^ Gaspare Palermo Volume quinto, pp. 6 e 7. ^ Gaspare Palermo Volume secondo, pp. 358. ^ Gaspare Palermo Volume secondo, pp. 347. ^ Gaspare Palermo Volume secondo, pp. 305 e 306. ^ Pagine 355, 384, 453 3 454, Giovanni Evangelista Di Blasi, "Storia del regno di Sicilia" [1], Volume III, Palermo, Stamperia Orotea, 1847. ^ a b c Arredamento proveniente dal distrutto Palazzo Lampedusa e dal Palazzo Filangeri di Cutò di Santa Margherita di Belice, la residenza estiva dei Filangeri di Cutò, la famiglia materna dello scrittore, distrutta dal terremoto della valle del Belice nel 1968. BibliografiaModifica Gaspare Palermo, "Guida istruttiva per potersi conoscere ... tutte le magnificenze ... della Città di Palermo", Volume II, Palermo, Reale Stamperia, 1816. Gaspare Palermo, "Guida istruttiva per potersi conoscere ... tutte le magnificenze ... della Città di Palermo", Volume V, Palermo, Reale Stamperia, 1816. Voci correlateModifica Alcuni riferimenti al presente non sono più esistenti oppure risultano modificati o ricostruiti con tecniche moderne.  A Palermo:  Bar pasticceria Mazzara; Caffè Caflish; Pasticceria del Massimo; Casa del critico musicale Bebbuzzo Sgadari di Lo Monaco, in corso Scinà; Palazzo Lampedusa, distrutto nel bombardamento aereo del 5 aprile del 1943, oggi parzialmente ricostruito da privati con la primitiva denominazione di Casa Lampedusa; Tomba di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel cimitero dei Cappuccini. Per la trasposizione cinematografica de Il Gattopardo:   Palazzo Valguarnera Gangi, Quartiere Kalsa; Villa Boscogrande. Santa Margherita Belice:  Palazzo Filangeri di Cutò o Palazzo Gattopardo: è un edificio costruito nel XVII secolo, ma danneggiato dal terremoto del 1968. Nelle immediate adiacenze è ubicato il Parco del Gattopardo. Palma di Montechiaro:  Chiesa di Maria Santissima del Rosario: la chiesa madre citata più volte, in particolare all'arrivo della famiglia Salina a Donnafugata. Monastero delle Benedettine. Alcuni luoghi cari ispirarono Giuseppe Tomasi di Lampedusa nelle ambientazioni e nella stesura del manoscritto.  Bagheria, con Palazzo Cutò; Capo d'Orlando, con Villa Piccolo; Ficarra con Casa Gullà, presso l'abitazione esiste tuttora una lapide a ricordo, (luglio - ottobre 1943), ove tra i tanti angoli suggestivi e scene di vita ficarrese trovò fonte di ispirazione nella creazione del romanzo Il Gattopardo, in particolare del personaggio del "campiere". Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Lanza Tomasi   Portale Architettura   Portale Arte   Portale Palermo Ultima modifica 4 mesi fa di Asiabam PAGINE CORRELATE Palazzo Mirto palazzo storico di Palermo  Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italianoVittorio Frosini. Frosini. Keywords: gattopardo, interpretazioni filosofiche del gattopardo, Gramsci, riduzione teatrale, Visconti, la rivoluzione perduta, l’ordine morale, l’ordine legale, Hart, diritto naturale, diritto artificiale, filosofia del diritto, fascismo, risorgimento.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Frosini” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759338733/in/dateposted-public

 

Grice e Fusaro – idealismo e prassi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Fusaro – he philosophised on a critique of conversational reason!” Diplomato al liceo Alfieri di Torino, si laurea con “Marx” a Torino. Studia a Milano. Insegna Gramsci a Harvard. Insegna a Milano.  Cura “La ragion populista” su Casa Pound. Membro del Risorgimento Meridionale per l'Italia. Fonda Vox Italia.  Si considera allievo di Hegel e Marx. Tra gli italiani predilige Gramsci e Gentile. Tra i moderni cita Spinoza, Fichte e Heidegger, con un'attenzione costante per le origini romani della filosofia. Si occupa inoltre di storia della filosofia. Tra gli filosofi studiati ci sono Koselleck, Blumenberg, oltre ai già citati Marx, Hegel, Gramsci, Gentile, Spinoza e Fichte.  Tratta Marx nell'ottica dell'idealismo, accostando alla critica del sistema capitalistico elementi dalla tradizione del comunitarismo e del sovranismo. Segue le orme di Preve. Altre opere: “Speranza: un saggio filosofico” (Il Prato); “La farmacia di Epicuro: la filosofia come terapia” (Il Prato). “L’atomismo di Lucrezio: alle radici del materialismo” (Il Prato); “La schiavitù salariata” (Il Prato); “Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario” – cfr. “Bentornato Grice! Rinascita della prammatica” (Bompiani); “Essere senza tempo: il concetto filosofico d’accelerazione” (Bompiani); “Minima mercatalia: il capitalismo” (Bompiani); “L'orizzonte in movimento. Modernità e futuro in Koselleck, Il Mulino); Coraggio, Cortina); “Idealismo e prassi in Gentile” (Il Melangolo); “Rivolta, dissidenza, scissione” (Barney); “Il futuro è nostro: filosofia dell'azione” (Bompiani); “Stato commerciale chiuso” (Il Melangolo); “Essere-nel-mondo e passione” (Feltrinelli); “Europa e capitalismo. Per riaprire il futuro” (Mimesis); “Peccato nei Grundzüge” (Il Melangolo); “Altrimenti: il dissenso conversazionale” Einaudi, “Coscienza del precariato” Bompiani “L’ordine dell’amore” (Rizzoli); Processo alla Rivoluzione (Il Ponte Vecchio); “Marx idealista: una lettura eretica del materialismo storico” Mimesis); “La notte del mondo: arte e technica in Heidegger” tecnocapitalismo, POMBA, Glebalizzazione. La lotta di classe al tempo del populismo” (Rizzoli); “Il naturalismo di Lucrezio” (Bompiani, Marx); “Il Lavoro salariato e capitale, Bompiani, Marx, Forme di produzione pre-capitalistiche, Bompiani,  Marx Friedrich Engels, Manifesto e princìpi del comunismo, Bompiani, Marx Friedrich Engels, Ideologia” Bompiani, Johann Gottlieb Fichte, “Missione del dotto, Bompiani); “L’epicureismo romano – piacere” AlboVersorio, ESE, su uniese. Arriva al Teatro GiordanoFoggia ZON, in Foggia ZON Curriculum Harvard, Department of Romance Languages, Rai Filosofia, Diego Fusaro presenta Filosofico.net, su Il  di RAI Cultura dedicato alla filosofia. Diego Fusaro, Il Fatto Quotidiano, su Il Fatto Quotidiano. 17 febbraio.  Diego FusaroL'Interesse Nazionale, su diegofusaro.com.  Passa dal marxismo 2.0 alla rivista più vicina ai cattolici conservatori di CL, in Giornalettismo, Chiude Tempi, licenziamento immediato per redazione e dipendenti, in L’Huffington Post, La conversione del filosofo comunista: scriverà per la rivista di estrema destra, su libero quotidiano, Author at Radio Radio, su Radio Radio. 14 marzo.  Perché le turbo-stupidaggini di Fusaro non fanno ridere ma sono pericolose, su The Vision, Gioia Tauro risultati elezioni comunali, su corriere. Foligno, ecco l’eventuale giunta M5s: Assessore in pectore alla cultura, su umbria Comunali Area ITALIA Regione UMBRIA Provincia PERUGIA Comune FOLIGNO, elezionistorico,  "Valori di destra, idee di sinistra". Fusaro a bomba: nuovo movimento ultra-sovranista, è l'anti-Salvini?, su libero quotidiano. Il filosofo che difende il governo del cambiamento. E sogna la guerra tra popolo ed élite, in Tiscali Notizie, Fusaro, Il capitale: un trionfo dell'idealismo tedesco, Consorzio Festival filosofia, Il filosofo populista Panorama, in Panorama,  In memoria di Preve. Anti-europeismo Euro-scetticismo, Meridionalismo, protezionismo, questione meridionale Revisionismo del marxismo, revisionismo del Risorgimento, socialismo nazionale, teoria del ferro di cavallo, sovranismo diegofusaro.com.  YouTube. openMLOL, HorizonsRadio Radicale.  Filosofico.net La filosofia e i suoi eroi.  Democrito comunitario democratico, in “Giornale Critico di Storia delle Idee”, n. 15/16 (2016). Maturità negata. Precarizzazione e de-eticizzazione del mondo della vita, in “Giornale Critico di Storia delle Idee”, n. 1 (2017). The Role of Aesthetics in Fichte’s Science of Knowledge, in “Polish Journal of Philosophy”, Volume 10, Issue 2, 2016, pp. 31-43. Fichte e la compiuta peccaminosità. Filosofia della storia e critica del presente nei “Grundzüge”, Il Nuovo Melangolo, Genova 2017. FUSARO D. (2016). Fichte and Gentile. Notes about the relationship between Transcendental Idealism and Actual Idealism. ÁGORA FILOSÓFICA, vol. 1; p. 4-22, ISSN: 1679-5385 FUSARO D. (2016). On Language and “Aufforderung” in Fichte. A Few Historiographical Notes. INFORMACIÓN FILOSÓFICA, vol. Vol 13; p. 5-19, ISSN: 1721-7709 FUSARO D. (2015). Dogmatismo e idealismo nello “Stato commerciale chiuso di Fichte”. POLITICA & SOCIETÀ; p. 275–296, ISSN: 2240-7901 FUSARO D. (2015). Fichte e la Rivoluzione francese. Note intorno a un dibattito storiografico. RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA, vol. 3; p. 571-591, ISSN: 0393-2516 FUSARO D. (2015). Heidegger lettore di Marx. La metafisica marxiana come verità dell’idealismo. STUDI FILOSOFICI, vol. 1; p. 179-199, ISSN: 1124-1047 FUSARO D. (2015). Lineare Zeitauffassung. Temporalità e critica del dogmatismo nei Discorsi alla nazione tedesca di Fichte . LA CULTURA, vol. 2; p. 231-252, ISSN: 0393-1560 FUSARO D. (2015). Il “Sistema della Libertà”. La Filosofia Pratica di Fichte e la Lettura di Husserl. REVISTA PORTUGUESA DE FILOSOFIA, vol. 71; p. 26-37, ISSN: 0870-5283, doi: 10.17990/RPF/2015_71_1_0000 FUSARO D. (2015). Fichte, Marx e l’ontologia della prassi. TEORIA, vol. 2/2015; p. 25-49, ISSN: 1122-1259          FUSARO D. (2015). Ripensare l’Europa a partire da Edmund Husserl. In: vacchelli G e Patrizia G. Liberare l’Europa. Tra pensiero critico e nuove visioni. MILANO: Mimesis Edizioni, ISBN/ISSN: 9788857531274 FUSARO D. (2015). Riprendersi il futuro. Utopia, storia e possibilità. RINGIOVANIRE IL MONDO. UTOPIA E NOSTALGIA DEL FUTURO. p. 35-61, Saonara: Il Prato, ISBN/ISSN: 9788863362459 FUSARO D. (2015). Karl Marx. La verità come “questione pratica”. Filosofia, verità e politica. Questioni classiche. p. 166-181, ROMA: Carocci Editore, ISBN/ISSN: 9788843074556 FUSARO D. (2015). Antonio Gramsci. MILANO: Feltrinelli, vol. 2, ISBN: 9788807227011          FUSARO D., Tagliapietra A (a cura di) (2015). RINGIOVANIRE IL MONDO. UTOPIA E NOSTALGIA DEL FUTURO. SAONARA: Il Prato, ISBN: 9788863362459 FUSARO D. (2015). The Concept of ‘commercial anarchy’ in Fichte’s ‘The Closed Commercial State’. SERBIAN POLITICAL THOUGHT, vol. 10; p. 5-18, ISSN: 1450-5460 FUSARO D. (2015). L’Unione Europea tra rivoluzione passiva e questione meridionale. Note a partire da Gramsci. PHENOMENOLOGY AND MIND, vol. 8; p. 201-211, ISSN: 2280-7853, doi: http://dx.doi.org/10.13128/Phe_Mi-17746 FUSARO D. (2014). Dialettica storica e senso della possibilità. 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UN’APPROSSIMAZIONE AL PENSIERO DI KARL MARX TRA MATERIALISMO E IDEALISMO. p. 5-17, ISBN/ISSN: 978-88-89566-76-3 FUSARO D. (2007). Saggio introduttivo. In: Luciano di Samosata. Tutti gli scritti. p. 5-96, MILANO: Bompiani, ISBN/ISSN: 978-88-452-5895-4 FUSARO D. (2007). Marx e l’atomismo greco: alle radici del materialismo storico. SAONARA: Il Prato, ISBN: 978-88-89566-75-6 FUSARO D. (2007). Karl Marx e la schiavitù salariata: uno studio sul lato cattivo della storia. SAONARA: Il Prato, ISBN: 978-88-89566-77-0 FUSARO D. (2007). Bibliografia di Luciano di Samosata, Tutti gli scritti. MILANO: Bompiani, p. 2053-2072, ISBN: 978-88-452-5895-4 FUSARO D. (2007). Per una teoria del’arte in Marx. KOINÉ, vol. 1-3; p. 111-125 FUSARO D. (2007). Sulla questione ebraica. MILANO: Bompiani, p. 5-207, ISBN: 88-452-5807-6 FUSARO D. (2007). DEMOCRITEA COLLEGIT EMENDAVIT INTERPRETATUS EST SALOMO LURIA. In: S. Luria. DEMOCRITEA COLLEGIT EMENDAVIT INTERPRETATUS EST SALOMO LURIA. p. 16-900, MILANO: Bompiani, ISBN/ISSN: 88-452-5804-1 FUSARO D. (2006). La farmacia di Epicuro. La filosofia come terapia dell’anima. SAONARA: Il Prato, ISBN: 88-89566-45-0 FUSARO D. (2006). I Presocratici. In: Diels-Kranz. I presocratici : prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti nella raccolta di Hermann Diels e Walther Kranz. p. 1187-1320, MILANO: Bompiani, ISBN/ISSN: 978-88-452-5740-7 FUSARO D. (2005). Filosofia e speranza. Ernst Bloch e Karl Löwith interpreti di Marx. SAONARA: Il Prato, ISBN: 88-89566-17-5 FUSARO D. (2004). Montaigne euretes del moderno. In: Michel de Montaigne. Apologia di Raymond Sebond. p. 5-73, MILANO: Bompiani, ISBN/ISSN: 88-452-1112-6 FUSARO D. (2004). Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. MILANO: Bompiani, p. 6-260, ISBN: 88-452-1363-3. glebalizazzione. Diego Fusaro. Fusaro. Keywords: idealism e prassi, Lucrezio, italianita, romanita, Gramsci, Gentile, arte, technica, filosofia della storia, peccato, italiano, italianita, evola, filosofia in eta antica, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fusaro: l’implicatura” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701379488/in/photolist-2mQPiYS-2mN8ym7-2mLP9qE-2mLF5SC-2mKw3hq-2mKbok1-2mKfNvB-2mJe9QJ

 

Grice e Fuschi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cesena). Filosofo.  – Grice: “I like Fuschi, and so does Eco, Rota, and Carlini! Fuschi opposes Aquina’s truths and turns them into mistakes – since they involve things about the past – where the apostles kept property – it’s all pretty unverifiable, -- still Fuschi was thoroughly heretic!” – Grice: “Fuschi is the Italians’ Ockham!” --  Michele da Cesena   Affresco di Andrea di Buonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli di Firenze. Al centro c'è papa Innocenzo VI; in primo piano, tre ecclesiastici che discutono: Guglielmo da Ockham, Michele da Cesena e l'arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli. Rispettivamente alla destra e alla sinistra del papa vi sono Egidio Albornoz e Carlo IV di Lussemburgo. Di grande rilievo nelle vicende politiche ed ecclesiastiche, noto soprattutto per essere stato ministro generale dell'Ordine francescano.  Dopo avere studiato a Parigi, venne eletto alla più alta carica dell'Ordine francescano durante il capitolo generale tenuto a Napoli. Durante quel capitolo vennero anche approvate le rinnovate Costituzioni dell'Ordine, note (per essere state preparate da un gruppo di frati ad Assisi) come Constitutiones Assisienses. Si distinse subito per una decisa persecuzione nei confronti degli “spirituali, sostenitori dell'assoluta povertà di Gesù Cristo e della necessità di una altrettanto rigorosa povertà dell'ordine francescano. In questa opera di repressione, e appoggiato da Giovanni XXII. Con le lettere bollate Sancta Romana e Gloriosam Ecclesiam Giovanni XXII riprova e scomunicava tutti gli spirituali. Si voleva così chiudere il "caso" della frattura tra gli spirituali e il resto dell'Ordine francescano (la cosiddetta "comunità"), sospingendo i primi nell’eresia e nella marginalità. Incalzati dalla persecuzione, Ubertino da Casale e Angelo Clareno, i maggiori esponenti della corrente spirituale, dovettero lasciare l'Ordine. A Marsiglia, per la prima volta erano stati bruciati sul rogo quattro spirituali. Tuttavia, anche i rapporti tra Michele e Giovanni XXII si deteriorarono. Il papa, infatti, aveva riaperto il dibattito a proposito della povertà di Cristo, e finì per abolire (con la lettera bollata Inter nonnullos) la "finzione" giuridica, in vigore fin dal tempo di Niccolò III (regolamentata con lettera bollata Exiit qui seminat), secondo la quale i francescani non possedevano nulla né come singoli, né come conventi, né come Ordine, ma era la Santa Sede a detenere la proprietà di tutti i loro beni che poi venivano gestiti per mezzo di procuratori. Durante il capitolo di Perugia i Francescani difesero le loro tesi sulla povertà di Cristo e degli Apostoli, come singoli e in comune. Il manifesto francescano di Perugia (più precisamente, due lettere encicliche scritte dal Capitolo e indirizzate a tutti i frati) venne però condannato dal papa. Ormai lo scontro tra Fuschi e Giovanni XXII era irreversibile.  Il ministro generale venne convocato dal papa ad Avignone e sospeso dalla sua carica. Venne confermato dai Francescani alla carica di ministro generale nel capitolo di Bologna. Giovanni XXII gli impose una residenza forzata ad Avignone, ma fuggì con un piccolo gruppo di frati, tra i quali Occam e Bonagrazia da Bergamo. I fuggitivi si imbarcarono nel porto di Aigues-Mortes e raggiunsero a Pisa il campo di Ludovico il aro, candidato al trono del Sacro Romano Impero.  Il papa depose Fuschi dal suo ruolo di ministro generale con la lettera bollata Cum Michaël de Caesena. Con la lettera bollata Dudum ad nostri, Fuschi, Occam, e venivano scomunicati. Tale condanna venne rinnovata con la lettera bollata Quia vir reprobus Michaël de Caesena.  Durante il capitolo generale convocato a Parigi venne eletto ministro generale Oddone. Una parte comunque minoritaria dell'ordine francescano rimase fedele a Fuschi, rifiutando di riconoscere l'autorità d’Oddone e del papa stesso, ritenuto eretico e quindi ipso facto decaduto (nel suo scontro con il papa per la successione al trono imperiale, Ludovico il aro face eleggere papa Rainalducci da Corbara con il nome di Niccolò V. Esponente, con Occam e Marsilio da Padova, del gruppo di intellettuali schierati sul fronte ghibellino e protetti da Ludovico il aro, Fuschi visse alla corte. Nomina Occam suo successore e vicario, affidandogli il sigillo dell'Ordine che era ancora in suo possesso.  M. Niccoli nella Enciclopedia Italiana, », C. Dolcini nel Dizionario Biografico degli Italiani riporta. L’ultimo appello di M. fu pubblicato a Monaco e non si hanno notizie su di lui. Altre opere: “Appellatio monacensis, Armando Carlini, Fra Michelino e la sua eresia, prefazione di Renato Serra, Bologna, Nicola Zanichelli, Cattività avignonese Disputa sulla povertà apostolica, “Il nome della rosa”; Ordine francescano Riforma spirituale medioevale. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Michele da Cesena e michelisti, -- michelismo e tomismo -- la voce nel Dizionario del pensiero cristiano alternativo, sito Eresie Medioevo ereticale: la disputa sulla povertà, su mondi medievali.net. Predecessore Ministro generale dell'Ordine dei Frati MinoriSuccessoreFrancescocoa.png Alessandro Bonini Gerardo Odonis Francescanesimo Disputa sulla povertà apostolica Filosofia.  L'eresia è una dottrina considerata come deviante dall'ortodossia religiosa alla cui tradizione si collega, come storicamente quella cattolica.[1] Il termine viene utilizzato anche fuori dall'ambito religioso, in senso figurato, per indicare un'opinione o una dottrina filosofica, politica, scientifica o persino artistica in disaccordo con quelle generalmente accettate come autorevoli.   Galileo Galilei condannato per eresia Etimologia, origine e sviluppi del termine                                                Modifica  Goya: Il tribunale dell'Inquisizione "Eresia" deriva dal greco αἵρεσις, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, "afferrare", "prendere" ma anche "scegliere" o "eleggere"). In tale ambito indicava anche delle scuole come quella dei Pitagorici o quella degli Stoici.  In ambito cristiano, il termine "Eresia", assente nei vangeli canonici, compare negli Atti degli apostoli(5:17, in origine dunque eretico, era colui che sceglieva, colui che era in grado di valutare più opzioni prima di, cfr. Atti, 24:5, 24:14, 26:5, 28:22) per indicare varie scuole (o sette) come quelle dei Sadducei, Cristiani e Farisei. Sia in greco antico sia in ebraico ellenizzato questo termine non possedeva, originariamente, alcuna caratteristica denigratoria.  Con le Lettere del Nuovo Testamento tale neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19, Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la "separazione", la "divisione" e la rispettiva condanna.[2] Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di hairesisprocede con l'analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.[3]  Secondo Alain Le Boulluec, fu Giustino (100-162) il primo apologeta ad utilizzare sistematicamente il termine "eresia" per combattere le correnti cristiane considerate devianti.[4]  In ambito ebraico si evidenzia un processo analogo: sempre nel I secolo d.C. (in corrispondenza con l'emergere dell'ebraismo rabbinico ortodosso) il termine ebraico min (מִין, pl. מִינִים , minim; corrispettivo del greco haìresis) assume dei connotati dispregiativi e viene utilizzato per indicare sia i cristiani che gli gnostici.  Il termine da un significato neutro assume in un secondo momento un valore negativo e passa ad indicare una dottrina o un'affermazione contraria ai dogmi e ai princìpi di una determinata religione, sovente oggetto di "condanna" o scomunica da parte dei rappresentanti della stessa. Nel caso della Chiesa cattolica, ad esempio, sono previsti appositi sinodi per stabilire quali siano le deviazioni dall'ortodossia e la Congregazione per la Dottrina della Fede (erede della Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione) per individuare coloro che vengono considerati "colpevoli di eresia" (ovvero gli eretici).  Fuori dall'ambito religioso il termine viene utilizzato in senso figurato per indicare un'opinione o una dottrina filosofica, politica, scientifica o persino artistica in disaccordo con quelle generalmente accettate come autorevoli.  Eretico è dunque chi proclama con forza una propria scelta definitiva: "eresia" può pertanto equivalere ad una scelta sia di credo sia di appartenenza tra fazionireligiose contrapposte. Un'altra possibile interpretazione, legata al significato di "scelta", richiama il fatto che l'eretico è colui che "sceglie", cioè accetta, solo una parte della dottrina "ortodossa", rimanendo in disaccordo su altre parti. Nel registro informale, il termine viene però usato per indicare un'opinione gravemente errata o comunque discordante dalla tesi più accreditata riguardo ad un certo argomento.  In origine il termine, utilizzato da scrittori ellenistici, indicava una fazione o una setta religiosa, senza connotazioni negative. Già nel Nuovo Testamento il termine assume un significato negativo e in questo senso venne utilizzato da padri della Chiesa e scrittori ecclesiastici. Ad esempio il termine venne ampiamente impiegato da Ireneo nel suo trattato Contra haeresis(Contro le eresie) per contrastare i suoi oppositori nella Chiesa. Egli descrisse le sue posizioni come ortodosse (dal greco ortho- "retta" e doxa "opinione") in contrapposizione con quelle "eretiche" dei suoi avversari.  Ovviamente, nell'accezione negativa, il termine eresia può essere visto come reciproco: pochi sarebbero disposti a definire le proprie credenze come eretiche, ma piuttosto a presentarle come l'interpretazione corretta di una determinata dottrina, e quindi come la visione ortodossa giudicata eretica da altri. Ciò che costituisce eresia è un giudizio dato in funzione dei propri valori; si tratta dell'espressione di un punto di vista relativo ad una consolidata struttura di credenze. Per esempio, i cattolici vedevano nel protestantesimoun'eresia mentre i non cattolici consideravano il cattolicesimo stesso come la grande apostasia.  Nell'ambito del cristianesimo si tende a fare una distinzione fra eresia e scisma: quest'ultimo comporta un distacco dalla chiesa ortodossa, considerata conforme alle regole date, senza "perversioni nel dogma" (secondo la definizione di San Girolamo)[5], anche se, secondo alcuni teologi cattolici, lo scisma inveterato finisce per assumere anche caratteristiche dottrinali [6].  Cattolicesimo                                                    Modifica  Sassetta: Rogo di un eretico «Sotto il profilo giuridico-ecclesiastico, eretico è definito colui che, dopo il battesimo, e conservando il nome di Cristiano, ostinatamente si rifiuta o pone in dubbio una delle verità che nella fede divina e cattolica si devono credere»  (Karl Rahner, Che cos'è l'eresia?, Brescia, Paideia, 2000, p 29) Varie opere dell'apologeta e scrittore cristiano Tertulliano sono dirette contro gli eretici e le rispettive eresie: Marcione, Valentino, Prassea.  Il Padre della Chiesa Agostino d'Ippona rivolse la sua polemica principalmente contro i manichei, i donatistie i pelagiani.  In un decreto successivo alla vittoria su Licinio e al Concilio di Nicea I, Costantino condannò le dottrine degli eretici (Novaziani, Valentiniani, Marcioniti, Paulianisti e Catafrigi).  Blaise Pascal in Pensieri si sofferma più volte sul tema delle eresie[7]. Nel frammento 862[8] scrive [9]:  «[...] Dunque esiste un gran numero di verità, sia di fede che di morale, che sembrano incompatibili e che sussistono tutte in un ordine meraviglioso. La sorgente di tutte le eresie è l'esclusione di alcune di queste verità, e la sorgente di tutte le obiezioni che ci fanno gli eretici è l'ignoranza di alcune delle nostre verità. E di solito accade che non potendo concepire il rapporto tra due verità opposte e credendo che l'accettazione di una comporti l'esclusione dell'altra, essi si attaccano all'una ed escludono l'altra, e pensano che noi facciamo il contrario. [...]»[10]  Gilbert Keith Chesterton così definisce l'eresia e l'eretico:  «L'eretico (che è anche sempre fanatico) non è colui che ama troppo la verità; nessuno può amare troppo la verità. Eretico è colui che ama la propria verità più della verità stessa. Preferisce, alla verità intera scoperta dell'umanità, la mezza verità che ha scoperto lui stesso. Non gli piace veder finire il suo piccolo, prezioso paradosso, che si regge solo coll'appoggio di una ventina di truismi, nel mucchio della sapienza di tutto il mondo»[11]  (Gilbert Keith Chesterton, L'Uomo Comune - La Nonna del Drago ed altre serissime storie)  «L'eresia è quella verità che trascura le altre verità. Solo la Chiesa cattolica è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento e riescono a convivere, pur se sempre minacciate di squilibrio»[12]  (Gilbert Keith Chesterton, Perché sono cattolico - Tommaso Moro)  «Un'eresia è sempre una mezza verità trasformata in un'intera falsità»[13]  (Gilbert Keith Chesterton, America, 9 Novembre 1935)  Un esempio di verità che trascura le altre verità ci è dato dalle tentazioni di Gesù descritte nei vangeli sinottici. Vincenzo di Lerino, nel suo Commonitorium, scrive che gli eretici usano le Scritture allo stesso modo di Satana, quando per tentare Gesù[14][15]:  «Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti:  Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano;  e anche:  Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra".  Gesù gli rispose: "È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».[16]  Il Medioevo                                      Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                            Lo stesso argomento in dettaglio: Movimenti ereticali medievali. I moti di contestazione nei confronti della Chiesa, divampati nella prima metà del XII secolo, come quello dei patarini e quello degli arnaldisti, avevano dato l'indicazione della necessità di una riforma religiosa. Il movimento dei catari, che affiorò contemporaneamente in diversi punti d'Europa, ambiva alla creazione di una nuova Chiesa. Contro di loro papa Innocenzo III bandì nel 1208 una crociata di sterminio. Nel 1244, la caduta dell'ultima roccaforte di Montségur, nel sud della Francia, con il conseguente rogo di circa duecento catari, determinò la fine del catarismo.  Nel XIII secolo Tommaso d'Aquino nella Somma Teologica definirà l'eresia «una forma d'infedeltà» che corrompe la dottrina e porta turbamento nelle anime dei fedeli. Secondo Tommaso inoltre, e poi di conseguenza nell'ambito del cattolicesimo, si pongono alcune distinzioni fra i diversi gradi dell'eresia. Quando si tratta dell'opposizione diretta e immediata ad un dogma esplicitamente proposto dalla Chiesa si parla di dottrina eretica, mentre quando ci si oppone a una conclusione teologica o ad altri elementi derivati di una verità rivelata o ad una dottrina definibile, ma non ancora definita, si parla di proposizioni erronee, o che sanno di eresia, o prossime all'eresia.  Note                                  Modifica ^ Da notare che nella tradizione lessicograficaitaliana, il lemma "eresia" indica prevalentemente quelle dottrine contrarie ai dogmi della Chiesa cattolica. Così l'edizione del De Mauro datata 2004: «dottrina o affermazione contraria ai dogmi e ai principi della Chiesa cattolica»; così anche l'edizione 2004 del Devoto-Oli: «dottrina che si oppone direttamente e contraddittoriamente a una verità rivelata e proposta come tale dalla Chiesa cattolica»; così il vocabolario online della Treccani: «dottrina che si oppone a una verità rivelata e proposta come tale dalla Chiesa cattolica e, per estensione, alla teologia di qualsiasi chiesa o sistema religioso, considerati come ortodossi»; nell'edizione online del Grande Dizionario Italiano della Hoepli: «Nel cristianesimo, dottrina, palesemente dichiarata e sostenuta, che si oppone alla verità rivelata da Dio e affermata come tale dal linguaggio della Chiesa ‖ Insieme di interpretazioni personali, contrastanti con la tradizione, che possono svilupparsi nell'ambito di una religione basata su un sistema di dogmi ufficialmente riconosciuti». Tuttavia nel Vocabolario della Lingua italiana Zingarelli (edizione del 2010), nella prima definizione di questo lemma, esso acquisisce un significato ben più ampio: «Nelle religioni fondate su una dogmatica universalmente o ufficialmente riconosciuta, dottrina basata su interpretazioni personali in contrasto con la tradizione». ^ Schlier (1968) ^ Schlier,  op. cit., pp. 182–3. ^ Le Boulluec,  (2007), pp. 434-5. ^ Epistola ad Titum, Patrologia Latina, vol. 26, col. 598. ^ Agostino, Contra Cresconium, II, 7, 9 ^ Blaise Pascal, Pensieri e altri scritti, Milano, Mondadori, 2018, p. 630. ^ Frammento 862 secondo la numerazione Brunschvicg, 733 secondo la numerazione Lafuma, da Blaise Pascal, Pensieri e altri scritti, Mondadori, Milano, pp.131 e 140. ^ ( FR ) Pensées sur la religion et sur quelques autres sujets ( PDF ), su ub.uni-freiburg.de, pp. 131. ^ Blaise Pascal, Pensieri e altri scritti, Milano, Mondadori, 2018, p. 553. ^ Aforismi sulla verità e sulle virtù raccolti e commentati da Paolo Gulisano ( PDF ), su www.chesterton.it. ^ Vittorio Messori con Michele Brambilla, Qualche ragione per credere, Edizioni Ares, 2008, p. 60. ^ Gilbert Keith Chesterton, Summa Chestertheologica, Casa Editrice Guerrino Leardini & Centro Missionario Francescano Società Chestertoniana Italiana, 2020, p. 135. ^ Vincentius of Lerins, XXVI, in The Commonitorium of Vincentius of Lerins, Cambridge, Cambridge University Press, 1915, pp. 107-109. «Heretics use Scripture in the same way as Satan did in the Temptation of our Lord, and they lure the incautious to join them by claiming special grace and privileges for their followers.» ^ San Lorenzo da Brindisi, Lutero - Volume secondo, Siena, Ezio Cantagalli, 1933, pp. 181-182. «Insegna il medesimo Lirinense che gli eretici, nel portare le testimonianze della Divina Scrittura, imitano il demonio, che messo il Signore sopra la più alta guglia del tempio, gli disse: «Se tu sei il Figlio di Dio, buttati giù: poichè sta scritto che Dio ha comandato ai suoi Angeli ecc...».» ^ Luca 4,18, su bibbiaedu.it. 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Gherardino Segalello e il movimento degli Apostolici a Parma, edizioni MUP, 2018. Dolciniani                Modifica Raniero Orioli (a cura di), Fra Dolcino: nascita, vita e morte di un'eresia medievale, Milano, Jaca Book, 2004. Voci correlate Modifica Begardi Dottrine cristologiche dei primi secoli Inquisizione Letture e interpretazioni della Bibbia Martiri di Guernsey Movimenti ereticali medievali Persone giustiziate per eresia Storia del Cristianesimo Successione apostolica Altri progetti       Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sull'eresia Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «eresia» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sull'eresia Collegamenti esterni                                                 Modifica eresia, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giuseppe De Luca, ERESIA, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Modifica su Wikidata eresia, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata ( EN ) Eresia, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Eresia, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata "Dizionario di eresie, eretici, dissidenti religiosi", su eresie.com. URL consultato il 23 febbraio 2019. Controllo di autorità                     Thesaurus BNCF 1652 · LCCN( EN ) sh85060383 · GND ( DE ) 4022838-1 ·BNF ( FR ) cb12005387c (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007558051205171 (topic)   Portale Cristianesimo   Portale Religione   Portale Sociologia   Portale Storia Ultima modifica 1 mese fa di Salvatore Damato PAGINE CORRELATE Movimenti ereticali medievali Scisma divisione causata da una discordia fra gli individui di una stessa comunità (come un'organizzazione, movimento o credo religioso)  Catarismo movimento eretico, separato dal Cattolicesimo durante il medioevo europeo; professava un assoluto ripudio della materia in ogni sua forma  Wikipedia Il contenuto è disponibile in base alla licenza CC BY-SA 3.0, se non diversamente specificato.Michele Fuschi. Fuschi. Keywords: “Occam  excommunicated” -- Modified Occam’s Razor”, “Cristo e povero” -- italiani eretici, tomismo, michelismo, eresia filosofica – eretico – Occam scommunicato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fuschi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692239470/in/photolist-2mKSeS7

 

Grice e Gaetani – L’implicatura di Catullo -- APVD NEAPOLIM – filosofia italiana – Luigi Speranza (Martano). Filosofo. Grice: “I like Gaetani, for one, he is a duke – and kept beautiful gardens at Martano – he philosophised on the ‘ottocento’, as any philosopher from the Novecento would!” Figlio di Carlo, conte di Castelmola, e Giuseppina Chiriatti. La famiglia Gaetani annovera oltre al ramo dei Castelmola, anche quello dei Laurenzana, di cui si ricorda il Barone Di Laurenzana, esponente del movimento radicale. L'insegna araldica dei Castelmola è costituita da uno scudo forgiato di due strisce blu ondeggianti che lo attraversano in senso trasversale. I Gaetani, prima Caetani, vantarono alcuni papi, tra cui Bonifacio VIII.  Il padre, Carlo, avvocato, fu ripetutamente eletto tra le file dei radicali nel Consiglio comunale di Napoli. Da Napoli attiene, fino a tutta la Grande Guerra, alla cura del patrimonio fondiario in Martano, acquisito dal matrimonio con Chiriatti. Questa infatti si era trasferita a Napoli dopo l'uccisione del facoltosissimo padre Paolo, nell'ambito di una torbida vicenda che vide infine coinvolta la madre di lei, Maria Fortunato, quale mandante, assieme al prete Mariano, dato che i due erano in tresca. Diviso il patrimonio tra le due figlie Giuseppina e Paolina Chiriatti, e la madre stessa, vennero iniziati i lavori di costruzione del palazzo Chiriatti-Gaetani. A Palazzo Chiriatti-Gaetani la famiglia venne a dimorare mentre man mano la gestione delle fortune familiari passava in capo a Gaetani, che si impegna in un'ardua opera di bonifica e di razionalizzazione colturale, culminata con l'acquisto di diversi macchinari ad alta tecnologia. E però proprio il malfunzionamento dell'attrezzatura finalizzata all'estrazione dell'acqua dai pozzi, bene capitale nelle aride campagne della zona, a determinare l'infiacchimento del capitale di famiglia e il progressivo indebitamento verso il Banco di Napoli, che culmina con la fine del fascismo.  Frattanto  Gaetani, che si fregiava del titolo di duca, a seguito del matrimonio con la duchessa d'Ascoli, Leopoldina, si dedica alla filosofia, mentre, del resto, ebbe a ricoprire la carica di Provveditore a Potenza. La sua filosofia e ispirata dalla Francia, della che fu un grande amatore, nonostante il fascismo e nonostante la sua adesione al regime, che ad un certo punto ne impedì la circolazione in Italia. Crociano, segue lo schema tracciato dal maestro, mentre l'ultimo ricordo della natia Martano fu un canto dedicato alle tradizioni grike, di cui raccomandava appassionatamente la conservazione e il culto.  Nei giorni furenti che precedettero il Referendum istituzionale appoggiò in pubblici comizi la Monarchia, e per questo pagò dazio dovendosi allontanare all'indomani del voto e rifugiarsi in Napoli, tutto teso negli studi letterari.  Altre saggi: Villon (Napoli); “Un carteggio inedito di F. Bozzelli (S. Gaetani, F.B ozzelli), L'Aquila, Masseria, Martano (Lecce); “Un bilancio letterario” (Roma); “Per onorare un maestro: il Torraca, Napoli); “Catullo” (Roma); L'Ottocento” (Napoli); “La bancarotta del rosso: commedia in tre atti, Lecce); “Per la venuta del Duce” (Lecce); “Bernardo Bellincioni, Galatina (Lecce); “Il benedettino-cistercense d. Mauro cassoni nel Tempio, nella scuola, negli studi: ), Lecce, “Ricordi di Benedetto Croce, Napoli); Vicende tipi e figure del Casino dell'Unione, Napoli); Napoli ieri e oggi: passeggiate e ricordi, Milano-Napoli); Apud Neapolim..., Napoli); Fonti storiche e letterarie intorno ai martiri di Otranto, Napoli.  "Catullo" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Catullo (disambigua).  Sirmione, busto di Catullo Gaio Valerio Catullo (in latino: Gaius Valerius Catullus, pronuncia classica o restituta: [ˈɡaːɪʊs waˈlɛrɪʊs kaˈtʊllʊs]; Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.) è stato un poeta romano. Il poeta è noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e degli Alessandrini in generale.   Indice 1                                            Biografia 1.1Origini familiari 1.2Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria 2Opera 3Il mondo poetico e concettuale di Catullo 4Note 5Bibliografia 5.1            Rassegne bibliografiche 5.2Traduzioni italiane 5.3Commenti 5.4             Studi 6Altri progetti 7Collegamenti esterni Biografia  Il busto di Catullo presso la Protomoteca della Biblioteca civica di Verona. Origini familiari  Catullo da Lesbia, dipinto di Lawrence Alma-Tadema (1865). Gaio Valerio Catullo proveniva da un'agiata famiglia latina che aveva contribuito a fondare la città di Verona, nella Gallia Cisalpina; il padre avrebbe ospitato Q. Metello Celere e Giulio Cesare in casa propria al tempo del loro proconsolato in Gallia[1]. Per quanto concerne gli estremi cronologici della sua biografia, San Girolamo[2] pone l'87 a.C. e il 57 a.C. rispettivamente come data di nascita e di morte e specifica che appunto egli morì alla giovane età di trent'anni. Tuttavia, poiché nei suoi carmi accenna ad avvenimenti che riportano all'anno 55 a.C. (come l'elezione a console di Pompeo[3] e l'invasione della Britannia da parte di Cesare[4]), si è maggiormente propensi a ritenere che egli sia nato nell'84 e morto nel 54 a.C., dato per certo il fatto che sia morto a trent'anni.  Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria Trasferitosi nella capitale, si suppone intorno al 61-60 a.C., cominciò a frequentare ambienti politici, intellettuali e mondani, conoscendo personaggi influenti dell'epoca, come Quinto Ortensio Ortalo, Gaio Memmio, Cornelio Nepote e Asinio Pollione, oltre ad avere rapporti, non molto lusinghieri, con Cesare e Cicerone; con una ristretta cerchia d'amici letterati, quali Licinio Calvo ed Elvio Cinna fondò un circolo privato e solidale per stile di vita e tendenze letterarie. Durante il suo soggiorno prolungato a Roma ebbe una relazione travagliata con la sorella del tribuno Clodio, tale Clodia.[5]. Clodia viene cantata nei carmi con lo pseudonimo letterario "Lesbia", in onore della poetessa greca Saffo, molto cara a Catullo e proveniente dall'isola di Lesbo. Lesbia, che aveva una decina d'anni più di Catullo, viene descritta dal suo amante non solo graziosa, ma anche colta, intelligente e spregiudicata. La loro relazione, comunque, alternava periodi di litigi e di riappacificazioni ed è noto che l'ultimo carme che Catullo scrisse all'amata fu del 55 o 54 a.C., proprio perché in essa viene citata la spedizione di Cesare in Britannia. Da alcuni suoi carmi emerge, inoltre, che il poeta ebbe anche un'altra relazione, omosessuale, con un giovinetto romano di nome Giovenzio. Catullo si allontanò, comunque, varie volte da Roma per trascorrere del tempo nella villa paterna a Sirmione, sul lago di Garda, luogo da lui particolarmente apprezzato e celebrato per il suo fascino ameno, situato nella sua terra di origine e che per questo induceva al poeta distesi periodi di riposo. Nel 57-56 a.C.seguì Gaio Memmio in Bitinia: in quella circostanza andò a rendere omaggio alla tomba del fratello situata nella Troade. Quel viaggio non recò alcun beneficio al poeta, che ritornò senza guadagni economici, come sperava al momento della partenza, né la lontananza riuscì a fargli riacquistare la serenità perduta a causa dell'incostanza e dell'indifferenza di Lesbia nei suoi confronti. Fu tuttavia una nota positiva la visita alla lapide del fratello, in occasione della quale scrisse il Carme 101 (a cui si ispirò in seguito anche Ugo Foscolo per la poesia In morte del fratello Giovanni). Catullo non partecipò mai attivamente alla vita politica, anzi voleva fare della sua poesia un lusus fra amici, una poesia leggera e lontana dagli ideali politici tanto osannati dai letterati del tempo[6]. Disprezzava infatti la politica di allora, dominata da politici corrotti che servivano soltanto il proprio interesse: riteneva dunque che favorire l'uno o l'altro non significasse niente di meno che aiutare l'uno o l'altro a perseguire il suo vantaggio personale. Tuttavia, seguì la formazione del primo triumvirato, i casi violenti della guerra condotta da Cesare in Gallia e Britannia, i tumulti fomentati da Clodio, comandante dei populares, fratello della sua celebre amante Lesbia e acerrimo nemico di Marco Tullio Cicerone, che verrà da lui spedito in esilio nel 58 a.C. ma poi richiamato, i patti di Lucca e il secondo consolato di Pompeo. Una nota da sottolineare è il Carme 52 dove, per usare le parole di Alfonso Traina, "il disprezzo della vita politica si fa disprezzo per la vita stessa":  (LA) «Quid est, Catulle? quid moraris emori? sella in curuli struma Nonius sedet, per consulatum peierat Vatinius: quid est, Catulle? quid moraris emori?»  (IT) «Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire? Sulla sedia curule siede Nonio lo scrofoloso, per il consolato spergiura Vatinio: che c'è, Catullo? Che aspetti a morire?»  (Carme 52) Opera Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (78-31 a.C.).  Marco Antonio Mureto, Catullus et in eum commentarius, Venetiis, apud Paulum Manutium, 1554. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Liber (Catullo). Il liber di Catullo non fu ordinato dal poeta stesso, che non aveva concepito l'opera come un corpo unico, anche se un editore successivo (forse lo stesso Cornelio Nepote a cui è stata dedicata la prima parte dell'opera) ha diviso il liber catulliano in tre parti secondo un criterio di tipo metrico: i carmi da 1 a 60, sotto il nome di "nugae" (letteralmente "sciocchezze"), brevi carmi polimetri, per lo più faleci e trimetri giambici; i carmi da 61 a 68, i cosiddetti "carmina docta" d'impronta alessandrina e per lo più in esametri e distici elegiaci; i carmi dal 69 al 116 sono gli epigrammi ("epigrammata"), in distici elegiaci.  Il mondo poetico e concettuale di Catullo  Il poeta Catullo legge uno dei suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefan Bakałowicz. Catullo è per noi uno dei più noti rappresentanti della scuola dei neòteroi, poetae novi, (cioè "poeti nuovi"), che facevano riferimento ai canoni dell'estetica alessandrina e in particolare al poeta greco Callimaco, creatore di un nuovo stile poetico che si distacca dalla poesia epica di tradizione omerica divenuta a suo parere stancante, ripetitiva e dipendente quasi unicamente dalla quantità (in riferimento all'abbondanza dei versi di quest'ultima) piuttosto che dalla qualità. Sia Callimaco che Catullo, infatti, non descrivono le gesta degli antichi eroi o degli dei[7], ma si concentrano su episodi semplici e quotidiani. Per giunta, i neòteroi si dedicano all'otium letterario piuttosto che alla politica per rendere liete le loro giornate, coltivando il loro amore solo ed esclusivamente alla composizione di versi, tanto che Catullo dichiara nel carme 51: «Otium, Catulle, tibi molestum est:/otio exsultas nimiumque gestis» «L'ozio per te, Catullo, non è buono;/ nell'ozio smani e ti scalmani» (traduzione a cura di Nicola Gardini). Talvolta il poeta ostenta il suo disinteresse per i grandi uomini che lo circondavano e che stavano scrivendo la storia: «nihil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere» «non m'interessa, Cesare, di andarti a genio» (carme 93), scrive al futuro conquistatore della Gallia. Da questa matrice callimachea proviene anche il gusto per la poesia breve, erudita e mirante stilisticamente alla perfezione. Si sviluppano, originari dell'alessandrinismo e nati da poeti greci come Callimaco[8], Teocrito, Asclepiade, Fileta di Cos e Arato, generi quali l'epillio, l'elegia erotico-mitologica e l'epigramma, che più sono apprezzati e ricalcati dai poeti latini.  Catullo stesso definì il suo libro expolitum (cioè "levigato") a riprova del fatto che i suoi versi sono particolarmente elaborati e curati, le poesie raffinate e curate. Una delle caratteristiche peculiari della sua poetica è, infatti, la ricercatezza formale, il labor limæ, con cui il poeta cura e rifinisce i suoi componimenti. Inoltre, al contrario della poesia epica, l'opera catulliana intende evocare sentimenti ed emozioni profonde nel lettore, anche attraverso la pratica del vertere, rielaborando pezzi poetici di particolare rilevanza formale o intensità emozionale e tematica, in particolare come nel carmen 51, una emulazione del fr. 31 di Saffo, come anche i carmina 61 e 62, ispirati agli epitalami saffici. Il carme 66, preceduto da una dedica ad Ortensio Ortalo, è una traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco, che viene ripreso per mostrare l'adesione ad una raffinata elaborazione stilistica, una dottrina mitologica, geografica, linguistica ed infine la brevitas dei componimenti, con la convinzione che solo un carme di breve durata può essere un'opera raffinata e preziosa.  Note ^ Svetonio, Vita di Cesare, 73. ^ Chonicon, ad annum. ^ Carme 113, 2. ^ Carmi 11, 12; 29, 4; 45, 22. ^ Secondo un'indicazione di Apuleio nell'Apologia, 10, la donna a cui si riferisce Catullo rimase vedova nel 59 a.C. di Quinto Metello Celere, sicché si può pensare a Clodia. ^ Al riguardo si veda il carme 93: «Nil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere / nec scire utrum sis albus an ater homo» - «Non mi interessa affatto piacerti, Cesare, né sapere se tu sia bianco o nero». ^ Eccezion fatta, forse, per i carmina 63 e 64. ^ Morelli Alfredo Mario, Il callimachismo del carme 4 di Catullo, Cesena: Stilgraf, Paideia: rivista di filologia, ermeneutica e critica letteraria: LXX, 2015. 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Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua latina dedicata a Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikiversità Wikiversità contiene risorse su Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gaio Valerio Catullo Collegamenti esterni Catullo, Gaio Valerio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Massimo Lenchantin De Gubernatis, CATULLO, Gaio Valerio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata (EN) Gaio Valerio Catullo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Gaio Valerio Catullo, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Gaio Valerio Catullo, su Musisque Deoque. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Gaio Valerio Catullo, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su Wikidata Opere di Gaio Valerio Catullo / Gaio Valerio Catullo (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gaio Valerio Catullo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gaio Valerio Catullo, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Gaio Valerio Catullo / Gaio Valerio Catullo (altra versione), su LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Bibliografia di Gaio Valerio Catullo, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Modifica su Wikidata (EN) Gaio Valerio Catullo, su Goodreads. Modifica su Wikidata Il Liber di Catullo tradotto in italiano, su spazioinwind.libero.it. Il Liber di Catullo con concordanze e liste di frequenza, su intratext.com. Le grotte di Catullo, su smugmug.com. URL consultato il 1º maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 9 luglio 2009). Scansione metrica del Liber di Catullo, su rudy.negenborn.net. La Chioma di Berenice: traduzione di Alessandro Natucci, su digilander.libero.it. Il carme 64: traduzione di Alessandro Natucci (PDF), su classiciscriptores.weebly.com. Controllo di autorità                    VIAF (EN) 100218993 · ISNI (EN) 0000 0001 2145 2004 · SBN CFIV000778 · BAV 495/44471 · CERL cnp01259860 · LCCN (EN) n79006943 · GND (DE) 118519719 · BNE (ES) XX1047188 (data) · BNF (FR) cb118955751 (data) · J9U (EN, HE) 987007259536205171 (topic) · NSK (HR) 000168539 · CONOR.SI (SL) 18455907 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79006943   Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Poeti romaniRomani del I secolo a.C.Nati nell'84 a.C.Morti nel 54 a.C.Nati a VeronaMorti a RomaGaio Valerio CatulloEpigrammistiValeriiPoeti italiani trattanti tematiche LGBTSalvatore Gaetani. Gaetani. Keywords: APVD NEAPOLIM, l’implicatura di croce. Croce, Catullo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gaetani” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759940980/in/dateposted-public/

 

Grice e Gagliardi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Marino). Filosofo. Grice: “I like Gagliardi; I spent some time with medics at Richmond, talking Greek! Anyhow, Gagliardi shows why the Angles prefer physician – since ‘medicare’ is such a trick!” – Grice: “Philosophically interesting bit is that Gagliardi applies ‘medico’ and qualifies it with ‘morale’!” –Nacque a Marino, feudo dei Colonna, nell'area dei Colli Albani, come riferisce lMoroni nel suo Dizionario di erudizione, e come riferito dallo stesso Gagliardi nel in "L'idea del vero medico fisico e morale formato secondo li documenti ed operazioni di Ippocrate" (Roma). In effetti, il cognome Gagliardi esiste all'epoca a Marino ed è tuttora tramandato. Fu impegnato in ricerche morfologiche, microscopiche ed anatomo-patologiche a proposito delle ossa, compiendo importanti scoperte in questo campo: in “Anatomia delle ossa illustrata con le nuove scoperte", Roma) descrisse per primo la struttura lamellare delle ossa. Inoltre effettua alcuni esami e ricerche comparative tra le ossa umane e quelle del vitello. Descrisse probabilmente per primo un caso di tubercolosi ossea. La sua opera fu piuttosto lodata, e l' “Anatomia” fu ristampato. Fece importanti studi sul "mal di petto". Filosofa sull'educazione morale. Diede anche ammonimenti contro i guaritori ciarlatani e fornì alcuni suggerimenti deontologici.  Abitava nel rione Sant'Angelo, presso via delle Botteghe Oscure. In questa strada un suo servo fu ucciso misteriosamente nottetempo. Durante le villeggiature dei papi presso la Villa Pontificia di Castel Gandolfo Gagliardi ha il privilegio di offrire la frutta al papa. Alessandro VIII gli conferì un titolo nobiliare, ma non sappiamo quale.  I suoi lavori, conservati nelle maggiori biblioteche di Roma, rivestono un particolare interesse se anche duecento anni dopo la loro scrittura, il vice-direttore dell'Ospedale San Martino di Genova, Arata, diede alle stampe una lettera inedita del Gagliardi sull'itterizia. Si ha svolto un proficuo lavoro di ricerca su Gagliardi, scoprendo anche una firma del medico in margine ad un saggio discusso all'Università La Sapienza.  Altre opere: “L'infermo istruito nelle scuole” (Roma); “Consigli preventivi e curativi in tempo di contagio dati in forma di dialogo” (Roma); “Relazione de' Mali di Petto che corrono presentemente nell'Archiospedale di Santo Spirito in Sassia” (Roma); “L'educazione morale” (Roma). “Come sopra l'influenza catarrale che presentemente regna in Roma e Stato ecclesiastico” (Roma). Note: Si veda l'annotazione di “Due baiocchi” in "Castelli Romani", Bossi, Dell'Istoria d'Italia antica, Enciclopedia TreccaniGagliardi, Domenico, Luciano Sterpellone, I protagonisti della medicina, Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,  Lucarelli, Domenico Gagliardi,  Giornale de' letterati d'Italia, Guillermo Olagüe de Ros, La "Relazione de' Male di Petto" en el ambiente anatomo-clínico romano, in Dynamis: Acta hispanica ad medicinae scientiarumque historiam illustrandam, Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Tipografia Emiliani, Antonia Lucarelli, Memorie marinesi, 1ª ed., Marino, Biblioteca di interesse locale "Girolamo Torquati", Ordinamento universitario dello Stato Pontificio Tubercolosi ossea  Domenico Gagliardi, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  1  te cose senza profondarvi in alcuna di efse, ed allora appunto diverrete più capaci di fare maggiori progressi, e tanto più se vi servirete per regolatore delle vostrej operazioni di quel saggio avvertimento feftina lente:  Esplorerò dunque con private conferenze l'animo di ciascun di voi separatamente, per meglio accercarmi di ciò,che vi farà bisogno , non potendo il Medico dare ajuto al suo Infermo s se prima non avrà ben conosciute le cagioni del suo male, e spero in oggi; e domani di potere ricavare da voi ciò, che sarà più necessario, ch'Io sappia, per meglio indirizzarvi. Ritiriamoci ora à fare il privato esame, per potere Lunedì prossimo dar principio alle nostre Giornate.  [ocr errors][merged small] [merged small][merged small][ocr errors][merged small] M  Nella quale si moftra cofa fi ricerchi d'eljena       ziale per efere Medico je ciò, che     gli rechi ornamento .  Avveddi jeri dal vostro parlare;   che non siete tutti voi di genio   uniformi,perche conobbi bene,   che tal'uno di voi non restava persuaso, & altri più ; ò meno, s’appagavano delle mie ragioni, e riflettendo, che ciò possa nascere dalla diversità delle vostre menti più o meno sublimi, & animofe. Quindi è, che prima d'inoltrarmi nel presente ragionamento, stimo necessario di premettere una breve partizione delli vostri ingegni, à fine di regolare ciascuno di voi secondo la propria capacità : Ecer  tamente , conforme nell'esterno non vi assomigliate trà voi, così ancora nell'interno sarete differenti, cioè, che non avrà ciascuno di voi la medesima capacità, & apertura di mérite ; il medesimo talento, ē spirito, la medesima memoria , e ritentiva , & il medesimo giudizio, o perspicacia d'ingegno; onde, ciò suppofto, io non potrò con la medesima misurd, e regola mostrare à tutti voi ciò, che vi converrà d'essenziale, è d'ornamento per potere diventare veri Medici. Dunque mi converrà necessariamente dividere left fenziale dall'ornamento, perche l'effenziale dovrà competere egualmente à voi, che fiete di mente più sublimi, che agli altri d'inferiore capacità : L'ornameiro poi, perche non potrà competere egualinente , nè potrà essere in tutti voi uniforme, bisognerà regolarlo fecondo la  propria capacità, e genio di ciascuir di vois con pensare al modo, che poffino l'ingegni inferiori uguagliare per altra via ancora nell'ornamento li più subliini ; E ciò servirà primieramente per dare un'ottima  direzzione alle menti di maggior capaci. tà, in farli conoscere ciò, che si debba di elli premettere d'essenziale , per poscia potersi avanzare in quello di più, di cui saranno capaci. In secondo luogoperche non si confondano, & avviliscano le menti meno sublimi, anzi per istruirle , & ani. marle insieme à fupplire con l'Arte al di, fetto di Natura,  Certo, che ognuno di voi deve avere il medesimo fine, cioè di divenire Medico; Onde dovrà unitamente con gl'altri incaminarsi per la medesima strada, e fino à tanto, ch'abbia conseguico il suo in, tento ; Mà perche chi si trova in forze maggiori trà voi è portato facilmente dal suo spirito ad uscire dalla careggiata, quindi è, che bisognerà idearsi un caso, che dia un buon regolamento à tutti unitamente, che sarà il seguente :  Vi fia trà voi chi posseda in contanti due, chi trè , e chi quattro talenti , e che voglia ciascuno per uso proprio fabricarsi una casa compita, che abbiad d'avere il medesimno uso, e la medefima  fruto  struttura, certo è, che li fondamenti converrà, che li facciate uniformi, il sopra terra dovrà alzarsi eguale, le stanze doyranno essere di numero, e capacità consimili, altrimenti non avrà la medesima struttura. In idearsi queste case non potrà l'Architetto eccedere la spesa di due talenti, altrimenti non potria senza indebitarsi compire la sua fabrica ,chi di voi hå che due foli talenti; Si dolerà facilmente con l'Architetto chi ne hà d'avantaggio, perche non gl'abbia delineato fabrica più sontuosa , à cui facilmente egli risponderà, è meglio, che litalenti vi avanzinoy che manchino, perche li potrete impiegare in ornato, e così la vostra farà più bella comparsa ; Sentendo questo voi, che avete soli due talenti vi dolerete ancora coll'Architetto, che non vi rimarrà cosa da spendere per ornarla , e perciò la voftra fabrica non potrà comparire bella al pari delle altre, vi risponderà il medesimo, abbiate pazienza , che vi darò il modo per far comparire vaga la vostra ancora al pari delle altre : Mă se per vostradisgrazia spenderete li vostri talenti senza le buone regole dell'Architettura, é voglia ognuno di voi farsi una casa à suo genio . Vois che avete quattro talenti vorrete fare il doppio degli altri, vi profonderete più del bisogno ne' fondamentis farece muri più larghi; l'alzerete più dell' altri; con tutti li vostri quattro talenti Atenterete à copritla ; con che denari poi la stabilirete? A che servirii la magnifiċenza della vostra casa , non potendola in tutto compire per renderla usuale?  Tanto peggio seguirà in voi, che possedete meno, se nella vostra fabrica spetdeste più di quello; che dovete je po tete; correreste pericolo di non poterla ricoprire, onde vi rimarria affatto infruto tuosa,  Altro inconveniente ancora potrid fascere si nell'uno, come nell'altro caso, che saria di risparmiare ne' fondamenti qualche porzione de’talenti per impiegarla nell'ornáto, iii questo modo le vostre cafe fariano sempre in pericolo di rovina. $e , con tutta la sua bella apparenzas fatta  [ocr errors] ad imitazione di quei Mercadanti, che ciò che hanno tengono in mostra , e questi sono quelli, che ben spesso si veggono fallire.  Questa fabrica , ch'ora vi hò ideato è appunto la Medicina Pratica, la quale fi deve da tutti voi apprendere , e nella medema conformità, affinche ne ricaviate un metodo di medicare uniforme, facile , e sicuro , e se in apprenderla voi, che siete dotati d'ingegno più subliine degl'altri, vorrete stendervi più in oltre delli vostri Compagni, vi confonderete con facilità con tutto il vostro bel talento, perche fzcilmente il vostro spirito grande vi farà divagare in quelle cose, che apprese in altritempi , che resivi più capaci, meglio lo capirete, & adatterete al vostro bisogno. Șia per esempio, se in questo tempo, che attendete alla pratica , vi venisse fantasia di leggere, & imparare molti, e diversi liftemi, e li varj metodi di medicare, che Lono nella Medicina , questo vi reccherà confufione, contenendo tanta diversità di pensieri,d'ideese di modi con tutto che la  7  verità delle cose sia una sola , onde con Fagione riferisce Lacuna, (a) ch'esclamava à suoi tempi Galeno : Judicij veri difficultatem liquidò oftendunt tot , tàmque variæ hærefes, quòt in Arte Medicâ reper riuntur; E tanto maggiorinente, che  quefti distogliendovi da quel bell'ordine, che voi avevate preso in offervare l'andamenti de? mali con li vostri propri occhi, vi faranno acquistare una pratica fimile alla vostra ideata fabrica, che non farà côpita, & in conseguenza non ne potrete cavare quel profitto,che ne riporteranno li voftri Compagni , li quali à cagione della  maggiore attenzione, che hanno in apprendere quella sola,non divertendosi in altro, se ne approfitteranno bene, e la loro  pratica sarà compita , e potrà avere il suo uso, giacchè al parere di Cicerone : (6) Affiduus ufus, uni rei deditus, die Ina genium ; & Artem fæpè vincit ; Sicchè in questa parte eforto tutti voi à non applia care ad altro , allora che prendete lame  pra(a) Comment 1. Aphorism. 1. ex Lecuno in Epit, (6) Cicero pro Cornel. Balb.  1  [ocr errors] pratica, che à quell'esercizio, che fate, eccettuatone alcuni tempi destinati per Ja Notomia, e per la Boštanica,  Perfezionati, che farete in detta, pratica , & appreso, che avrete un metodo facile, e più sicuro di medịcare, allora converrà di ornarla di altre cose , che abbiano correlazione con la Medicina , secondo il proprio genio , e capacità, con fermo proponimento però , che non vị abbiano da distogliere dallo studio di er fa , nè da confondere ciò, che auete con li propri occhi offeryato più volte, eţurto ciò, che avețe appreso per ornamento non l'avrete da profeflare come negozio principale, altrimenti vi distoglierà da quello , che avevate già acquistato dị buono nella - Medicina, ma sopra di cio più diffusamente ne tratteremo in ap: presto  Questą praticą, appunto acquistatą, mediante le reiterate esperienze, e diligenti osservazioni fatte intorno li Malati è quello , che fi ricerca d'essenziale nel Medico , & oltre di questa ogn'altra cosa, che s’acquisterà di più gli servirà d'ornamento maggiore : Che sia così,per consolazione di yoi, che siete d'ingegni meno sublimi, yeniamo alle prove.  La prima sarà con l'autorità d'Ippocrate chiara , e testuale ; Dice dunque , egli:(a) Ars fane medica jām mihi tota inventa ese videtur, quæ fic comparata eft, ut fingulas, da consuetudines , temporum occasiones doceat. Qui enim hoc pactó Artis Medicæ cognitionem habet , is minimum ex, fortuna pendet , fed & citrà fortunam, çum fortunâ rectè eam adminiftrabit ; Firma enim eft Ars tota Medica , cjusque prçceptiones , ex quibus conftat dr.  Consistendo dunque tutta la Medicina in sapersi ciò, che sia solito à farsi, e le congiunture de' tempi, nelle quali fi deve operare, queste chi meglio di voi le potrà sapere, avendole con li yostri propri occhi più volte osservate? e bastando ciò per bene medicare, secondo la dottrina d'Ippocrate, sarete dunque , mediante la vostra buona pratica, allora già divenuti  Me(a) Hippocr. in lib. de loc. in bom.nesa  Medici; E fe poi desiderate sentire sopra ciò più chiaro parere d'Ippocrate , legge. xe De decenti ornatu, dove così vi parla ; Sint cu in memoria tibi morborum curatio.  da harum modi, quo multipliciter, quomodò in fingulis fe habent; bọc enim principium eft in Medicina , medium, & finis = che sono appunto questi il costitutivo del. l'essenziale:  Sia all'oppofto tal'uno ornato di tut, te le scienze, nià che non abbia acquistato ancora in Medicina una buona pratica , questi non si potrà dire con tutte le sue scienze Medico pratico, perche non saprà ben mcdicare, e gl'accaderà per l'appunto, ciò, che succederia ad un'insigne Geo. grafo se volesse viaggiare senza la guida , queiti nelli bivj, ò trivj sbaglierebbe la strada , per non averne la buona pratica , e con tutto , che possedeffe la situazione di tutto il mondo, in un piccolo tratto di paese si smarrirebbe; Mà tutto questo con Pesempj più chiari ve lo farò costare,  Tralasciando di riferirvi un lungo Catalogo de' Medici , che hanno scritto in  fola  sola Medicina pratica, e che fiorirno con gran lode, mentre vissero, senza effere ornaci d'altre scienze, perche lo potre te, volendo, con li vostri proprj occhi rincontrare , leggendo i loro libri ; Vi riferirò solamente alcuni casi accaduti à Medici, ch'avevano appreffo di noi molta ftima', per essere versatiliminella buona pratica di medicare, e si poteuano annoverare trà quelli, di cui parla, Ippocrate nel libro De Arte : Viri hujus Aricis periti , re ipfi lubentiùs, quàm vero bis demonftrant ; li quali vennero al cimento con Medici di maggior grido di loro nelle altre scienze, e ciò , che ne seguì .  Gio: Giacomo Baldini ne fù uno di questi , il quale efsendo folamente un buon Pratico, e dotato d'isperimentată prudenza , era per li fuoi pingui guadagni molto invidiato da alcuni di quelli, che li riconoscevano in molte scienze superiori di gran lunga à lui, s'abbattè egli una volta in un consulto con due Medici delli più celebri nella facondia,  1  B  с рiй  e più versati in molte altre scienze,e per tal cagione poco conto facevano di lui; Ora questi avevano già premeditati li loro discorsi molto eruditi, à fine, che meglio comparisse à tutta una nobile Udienza , che vi dovea intervenire, la poca sufficienza, & infelice modo di di(correre del Baldini, furono sì lunghi li sudetti eruditiffimi ragionamenti, e s'ina oltrarono tanto in cose fuori del propofito, che in vece di dilettare annojarono tutta l'Udienza, & avvedutofi di ciò il buon Pratico, in vece di gareggiare con loro nell'eloquenza , fece un breve di. scorso, mà tutto indirizzato all'urgente bisogno, conobbe meglio degl'altri il male, lo confermò con l'autorità puntuale d'Ippocrate, fece il suo pronostico mortale, che si verificò in breve, venne alla cura , propose alcuni rimedj, e terminò il consulto con applauso uniuersale di tutta quella nobile Udienza , diccndo  : : mo, che ha discorso à proposito, e se ne partì tutto contento, e consolato.  Gio  [ocr errors][merged small] 1  1  Giovanni Tiracorda già in questo Archiospedale degnissimo Decano, che nella pratica Medica aveva quei bei lumi, che felicirano le cure ardue , si abbattè in un consulto con un Medico catedratico eruditissimo nelle lingue , c Greca in ispecie, nelle Matematiche, ed ancora nella Teologia ; L'Infermo era Oltramontano y poco prima giunto in Roma , che li ainmalaffe, ed in tempo di aria sospetta, il' di cui male fù creduto dal sudetto eruditiffimo Professore eflere una febbre etica , e con tali, erante ragioni s'ingegnava di provarlo in ispezie per il pollo basso che aveá, che fariano per certo bastate à formarne liga gran ležzione in cattedra. In tanto il buon Pratico Tiracorda penaya in fentire ciò, che conosceva non potersi in modo alcuno verificare, e dovendo egli concludere , con breve discorso fece capire essere il male del povero foratieri) una febbre maligna,e di pelimo costume, che se presto,e validamente non era foc corso farebbe morto, disse ciò, che con  veniva  B2  [ocr errors] veniva farsi con sollecitudine, e l'esito  funesto, in breve seguito , ne fù il Giu-  dice, chi di loro avesse meglio conosciu-  to il male,       Riferirò   per terzo ciò, che seguì ad Antonio Piacenti mio Maestro, la di cui perizia nel ben medicare è nota , per via vere ancora molti, che furono da effo ne’loro gravi mali bene assistiti, onde per essere io interessato , non m'inoltrcrò di vantaggio in lodarlo, e lascierò, che facciano altri quella giustizia , che le sue gloriose ceneri meritano. Questi ebbe occasione più volte di trovarsi alsieme co' Professori di molto grido, per le varie scienze, che possedevano, e vedevo, che il suo configlio, ò era feguitato, ò volendosi fare diversamente  per lo più si sbagliava; Accadde una volta nella cura di un'Infermo, che pativa di un male graue di testa, creduto da esso procedere da pienezza d'umori viziofi, che nel basso ventre dimoravano, c per ciò gl’aveva proposto il dejettorio, che à ciò si oppose chi era versato più di luiin altre scienze fuori della pratica medicinale, con il motivo, che l'evacuazione glavria inolto pregiudicato. Stette egli faldo nella proposta già fatta, quale fù esaminata da altri Profeffori, e conclusa: ed eseguita che fù, l'efito moftrò d'onde procedeva il male, e chi l'aveva meglio accertato, posciache mediante l'evacuazione ne rimnase libero.  Due gran motivi si poffono dedurre dalli riferiti casi, uno di confolazione per voi, che non avete genio ; ò abilità all'acquisto di altre scienze, vedendo, che nella vostra sfera pratica; abilitati che sarete , potrete ftare à fronte con quelli di più letteratura di voi, purche abbiate prudenza , e giudizio in sapervi ben regolare; e l'altro servirà d'avvertimento à voi d'ingegno più perspicaces che desiderate apprendere tutto lo scibile, à non fidarvi folamente sù quello, ch'è ornamento Medico, dovendo ancor voi poffedere Fondatamente, al pari degl'altri, quella buona pratica Medica, ch'è la direttrice del ben curare, senza  [merged small][ocr errors] la quale sono inutili tutti gl'altri ornamenti: Consolatevi però ancor voi, che bramate d'apprenderli : perche quando saranno uniti alla buona pratica, vi ferviranno ancor'elli di scorta, e vi faranno divenire eccellenti Medici, & in prova di ciò non vi mancano esempj di cafile, guiti, che fanno conoscere quanto accrescano di chiarezza alle nostre menti le Filosofie sperimentali, la Ģeometria, l'Aftronomia, & altre scienze, che porfono avere correlazione con la Medici. na, mà per ora potrà bastarvi l'oracolo d'Ippocrate allora, che scrivendo à Tel, Lalo gli notificò: Geometria mentem acuit, e longè Splendidiorem reddit ; e nel libro de Aere, Aquis, & locis ; Ad Artem Medicam Astronomiam ipfam non minimum, fed plurimum poteft conferre ; Ben'è vero, che rari fono quelli, a'quali datum eft adire Corintum , perche tutte queste cose averle , poffederle, e maneggiarle à quel segno, che conviene, cnon più oltre non a ricerca minor prudenza di quella, che aveva il Re Mitridate iu reggere un  Coco  [ocr errors] Cocchio tirato da bravi , e numerosi de strieri, altrimenti andandosene tutte in pampani , e fiori, che non legano, produrranno pochissimo frutto, quantuns que fosse vaghiflima la loro prima ap. parenza.  Sicché parmi d'avervi à bastanza mostrato , che l'essenziale del Medico non consiste in altro, che nella buona, e soda pratica acquistata mediante le re. iterate osservazioni di ciò, che fiegua nelli progrefli de’mali, e quanto fiac. quisterà di più fia tutto ornamento.  E da questo si possono comprende reli gran vantaggi, che necessariamente nel ben medicare, non solamente li Gio. uani Praticanti, & Aliftenti ne riportano dalle continue offeruazioni , che fi fanno negli Spedali ove sono numerosi gl'Infermi, mà ancora gli Profeffori primarj, che ivi esercitano, potendo questi, mediante le reicerace osservazioni, che si fanno in lunga serie di anni, acquistare molta perizia pratica , e franchezza ancora nel medicare, conforme, che ogn'uno di esli ben se ne avvedeje lo confeffa.  E finalmente, acciocchè non resti quanto vi hò detto infructuofo,converrà, che ora vi mostri come vi dovrete contenere nell'acquistare detta pratica tutti assieme, e conformé, fi dovrà regolare ciascun di voi ; secondo la propria capacità , in quello, ch'è ornamento, mà effendo questi più punti , che meritano matura riflessione, bisognerà riportarli alla Giornata di domani, venite però tutti, e voi precisamente, ch'avere più brio, e spici:o più vivace deglalri preparati di sofferenza, perche sarà Giornata di attenzione, e mortificazione infieme.  [ocr errors][merged small] [blocks in formation] Nella quale si fà vedere ciò, che dovre farsi da tutti unitamente per ben confeguire una buona prática, e quello, che dovrà operare ciaschedino secondo la propria capacità per uguagliarsi a' Comia pagni in quello , ch'è ornamento.  Mi :  I   dispiace   nella Giornata di jeri accennato, ch'oggi vi mortificherei , perche jacula prævisa minus feriunt ; Mi persuado , che di già farete venuti preparati per sentire da me rimproveri sopra li vostri poco lodevoli portamenti, da me più volte osservati, mà abbiateci pazienza ò perche ciò G fa per voftro bene.  Ditemi di grazia à che fine venite in questo luogo pieno di miserie ? Frana camente mi risponderete : A prendere la pratica di Medicina; e questa in che modo la prendete yoi più disinvolti, & allegri , che mostrate d'esfere più spiritofi degl'altri? Con paffeggiare per lo Spe.  daledale, confabulando trà di voi sopra le novelle di queito mondo? Questo non è il modo da prendere pratica di Medicina, nella quale si richiede una fomma applicazione, mà più tosto da divertirvi: Sappiate, che lo Spedale non è luogo da perderci inutilmente il tempo in divertimenti, e svari, perche è ripieno di aria infetta, chi non brama d'approfita tarsi non si curi dimorarvi , mà se ne vada in aria migliore, e più amena di fta, che farà per lui più utile, e sicura , e non mi faccia cestar bugiardo, poiche in cal guisa continuando, non folamente daria à divedere che la Medicina sia Arte lunga , mà ancora, che non si possa in conto alcuno acquistare, essendo questo tutto l'opposto di ciò, che da principio vimostrai. 15 TMarcello disse, rimproverando li  suoi foldati, che non aveano fatto come e doveano, e poteano il loro uffizio: Mula  ta vidi Romanorum corpora, fed Romanum vidi neminem; e così ancora io potrò direfin'ora di voi: Multa vidi discipulorum  [ocr errors] corpora , fed difcipulum vidi neminem ; Spero però, che conforme servirono di stimolo a' suoi soldaţi le parole risentite di Marcello per fare, che superassero nel giorno susseguente Annibale,cosi le mie moveranno ancora gl'animi vostri in ay. venire ad operare con più attenzione, e fervore di prima scusandovi del passa  perche non sapevate ancora in che modo vi dovevate contenere ; Qual mutazione, oltreche recherà à voi gran vantaggio , si perche più prestamente vi sbrigherete, e con miglior ordine v’im. poffefferete della buona pratica Medica, à cui devono indirizzarsi tutte le vostre operazioni , sarà ancora di mia somma consolazione.  Prima però di porvi à questo ftudio pratico farà di mestiere, che possediate , oltre il buon costume, l'Istituzioni Me diche, con le quali diverrete già iniziati à questo nuovo esercizio, essendo legge d'Ippocrate di non doversi praticare altrimenti, ordinando egli (a) doppo aver  detto: (a) I* Hippocratis lige :  detto: Institutionem à puero fit moribus generofis , venendo alla Medicina pratica, Hæc verò cum facra fint , facris hominibus demonftrantur, prophanis verò nefas priùsquàm foientiæ facris initiati fuerint ; e facendo voi diversamente non potrete capire ciò, che vi si presenterà d'offer= väbile, e s’aveste ancora appreso la cognizione de'mali , vi recheria quefta un sommo vantaggio, insegnando Ippocrates ( b ) che Qui autem fignorum cognitio: nem habuerit is: folus ritè ad curationem aggredietur, caso che nò procurerete , che sia questo il primo vostro studio, e lo farere ; con discrivere in un libretto di memorie tutti li segni , che fanno venire in cognizione di quel tal determinato male, con indicarvi quali sono li essenziali ; ex. gr. dell'Angina, dell' Epátiride &c. é quelli, che sono distintivi; che fanno conoscere, se sia Colico, Ò Nefritico il male, se fia vera , ò falfa gravidanza, e così proseguendo in tutti quei casi confimili, che hanno bisogno  di (b) la lib.de Media  [ocr errors] [ocr errors] di qualche segno proprio, che meglio li faccia comprendere , e tutto ciò è necessario à farsi, perche attorno l’Infermo dalli segni si rinviene il suo niale , e questi sono neceffarj d'averli à memoria, perche all'ora non si può ricorrere à leggerli ne’libri, quando sareçe interrogati, che male quello sia ; Dovrete ancora lasciare in detto libretto di memorie molto spazio di casta bianca in ciasche, dun caso, doppo avervi descritti gl’accennati segni per notarvi ciò, che biso, guerà in appresso,  Acquistata , ch'avrete la cognizione de' mali più frequenti, e che vagano in quella stagione, e questo in breve tempo lo potrete fare , incomincierete ad osservare il modo, con il quale si curano , & in quel medesimno libretto dove avrete descritti li segni , v.g. della Punfura , capitandovi d'osservare il detto male, verrete descrivendo la cura, e mutazioni, che di giorno in giorno eslo anderà facendo, tanto in meglio, che in peggio, con tutto ciò , che offerverece  di riguardevole, mà succintamente con qualche contrasegno indicativo,per non fare scrittura voluminosa.  Di dette cure da offervarsi contentatevi di prenderne poche da principio, e le più facili , per poterle esattamente confiderare, e capire bene, quali in progresso di tempo l'anderete moltiplicando, e scegliendo secondo vedrete meglio poterle possedere , e comprendere; Avvertite però non caricarvenc troppo, nè di tralasciarle, se non ne avete veduto l'evento felice, ò funesto , quale noterere per meglio impoffeffarvi nelli pronoftici da farsi in casi consimili, nelle congiunture, che vi si presenteranno . E tutto questo è coerente al consiglio d'Ippocrate dato nella sua legge, ove dice : Ad bec longi temporis induftriam accedere neceffe eft, quod disciplina veluti gravidata  felicitèr , & benè crescendo maturus fructus efferat.  Lo studio, che dovrete fare in casa sarà di leggere solamente dui, ò trèlibri pratici de’migliori , che potreteavere si antichi, che moderni scelti dal Direttore vostro Macítro, & in quelli procurerete rincontrare se ciò, ch'avete osservato si uniformi alli loro sentimenti, e noterete, in che cosa consista il di- . yario, per domandarne sopra ciò la cagione à chi sarà vostro Direttore nella pratica, ò almeno alli Medici Affiftenti di detto Archiospedale, che sono già pratici, de' quali ancora vi dovrete prevalere in molte occorrenze, potendoli avere più pronti, e nel luogo istesso dove vi esercitate,  Mà perche le conferenze accrefcono fervore, e facilitano insieme li progressi, per cagione dell’utile emulazione, e di sentire da? Compagni qualche cosa di più, che talvolta non fi sapeva ; Quindi è, che almeno una volta la settimana vi dovrete congregare tutti insieme per conferire ciò, che ogn'uno avrà acquistato di più nel suo esercizio pratico, & à questa conferenza potria avere qualche sopraintendenza il Medico Af fiftente di guardia, che deve necessaria.  mente  [ocr errors] mente essere nello Spedale permanente ; E quando sarete disposti à tal’utile esercizio non avrete da affaticarvi in cercare luogo à propofito, conforme era neceffario prima, perche voi, che di presente ftudiate avete avuta la sorte propizia, mediante l'animo generofo , e magnitico di Monsig. Illuftriffimo Gio: Maria Lang cifi, cho con tanti suoi incominodi, c con si considerabile spesa, à publico bene, hà stabilito sì grandiosa, e nobile Libraria , ed in questo medesimo luogo, dove vi esercitate, potrete ivi radunarvi, e fare con tutti li vostri commodi l'utilissime conferenze , con quel di più, che ne potrete ricavare da'vn'abbon, dantislima scelta di libri , che vi si custodiscono d'ogni scienza, & in particolare, assai più numerofi d'ogn'altra in Medicina. Qual commodo fe l'aveflimu avuto noi, che ora fiamo avanzati negl'anni, in nostra gioventù, quanto mai ci faria stato grato; poiche per fare conferenze allora, bisognava andare in luoghi privati à dare incommodo, e pure si face  vano  vano con fervore  conforme seguì int cafa del Dottor Girolamo Brafavola, dove ogni Lunedì si teneva congreffo publico, e si leggevano un difcorso con due problemi Medici, oltre le conferenze, che si facevano fopra altre materie, concernenti la Medicina, è detto.congreffo continuò con fervore per molti anni , e con profitto di chi lo frequentava. Talmente che tutta vostra la colpa fària se voi ora che avețe derta commodità la trascuraste', non potendosi ciò attribuire ad altro, e con vostra somma vergogna, che al poco desiderio, che aveste di approfittarvi.  Vi riuscirà più commodo di fare alcune diligenze intorno alli Malati, che vi fiere scelti da offervare , prima della visita del Medico Principale, che consor feranno d'interrogarli, con descrivere ciò, che vi troverete di novità per essere sbrigati , e pronti nel tempo della visita, nella quale sentirete voi ancora il polso à tutti gl’Infermi del Quartiere per impoffeffarvi delle differenze di esia  C  e ciò  e ciò farete con qualche attenzione particolare, per meglio comprendere ciò che nel giorno vi scorgerete differente dalla mattina , e nelle visite susseguenti, ciò, che di divario dalle antecedenti, ed in ispecie se più , ò meno celeri, se più, ò meno eguali , se più , ò meno duri, se più alti , ò più basli , e molte altre differenze, che avete gia letre nel trattato de' Polfi, ed occorrendovi sopra di ciò alcuna difficoltà , non abbiare timore di spiegarvi, e di dirlo à chi vi sopraintende , perche da tutti con somma cortesia vi sarà spianata; Starete attenti quando s'interrogano li Malati nuovi per rinve- ; nirne l'idea del male, & offerverete il modo , che si tiene con quelle persone idiote, che non sanno rispondere à ciò, che si domanda loro , & apprenderete la gran pazienza, che bisogna averci, per potervene servire ancora voi abbattendovi in Gimili Infermi idioti. Vi porrete à mcmoria quell'idea, che dal Medico Principale farà stabilita à quel male, e pet non dimenticarvene la noterere in  un libretto conforme vien praticato da. gl’Afiftenti, con notarvi insieme il no me dell'Infermo, e numero del letto, invigilerete in sentire , e capir bene cutte le ordinazioni, che si faranno, con rincontrarne ancora li suoi effetti, non trascurerete di sentire ciò, che si dice del pronostico del male, e d'ogn'altra cosa concernente tal'infermità, ed in ispecie in quelli, che vi siete scelti per osservare, e facendo yoi ciò, che vi hò decco , vi assicuro , che quell'Arte, che Ippocrate chiamò lunga, la farete divenire più breve di quello, che vi credevate, potendo yoi in tal guisa con facilità non solamente apprendere il modo più sicuro di medicare , mà ancora la franchezza del ben pronosticare, conforme insegna Ippocrate : (0) Eventa igitur per experientiam cognita prædicenda, id enim gloriam adfert , c cognitu ejt. facile.  *Terminata , che farà la detta visita seguirete il Medico , che vi conduce inpratica per osservare le visite, che sono per la Città, nelle quali procurerete di fare le vostre osservazioni nel miglior modo , che vi sarà permesso.  Con il sudetto vostro Direttore, e Maestro conferirete tutte le difficoltà, che vi occorrono, con animo però decerminato d'apprenderne li loro documenti, essendo questi li semi di  quanto di buono in voi germoglierà à suo tempoo conforme disse Ippocrate nella sua legge : Doctorum præcepta feminum rationem habent, non già di contradire con pertinacia à quello, che verrà da esso detto, e risoluto, ed imiterete in ciò le Api, che succhiano il mele da' fiori, è non già le Vespi, che pungono con li loro aculei colui, à cui si approssimano. Credetemi, che la modestia, e li buoni costumi, l'attenzione, e la docilità ne? giovani formano la base stabile di tutti li loro avanzamenti, dove, che il mal costume, la pertinacia , la garrulità , e la petulanza affatto l'atterrano, elanniçhilano.  Nelli  [ocr errors] [ocr errors] Nelli tempi poi, che saranno prof fimi alle offervazioni anatomiche comincierete ad alleggerirvi dalle occupa. zioni Mediche, per attendere con più fervore alla Notomia, e procurerete in quelle vicinanze di trovare un'Indice delle oftenfioni, che fi faranno , per istudiare preventivamente ciò, che pu- . blicamente si dimostrerà, ed in oltre vi troverete presenti à tutte le preparazioni delle parti, che si faranno in privato, non solo per meglio capire , & impofseffarvi di quello , ch'avete letto, mà ancora per mostrarvene già pienamente istrutti quando le vedrete publicamente dimostrare i  Non trascurerete , essendovi occafioni d'aperture de cadaveri, di trovarvi presenti à quelle, e tanto maggior mente se avrete osservato li mali di quei poveri defonti, e se non l'avrete visitati, procurerete informarvi delle loro infermità , perche mediante tali ispezioni verrete meglio in cognizione del luogo affetto, e di qualche cagione ancora di  detto  C 3  detto male, e noterete in succinto nel vostro libretto ciò, che si farà rinvenuto in quelle di considerabile , acciocchè vi resti memoria per prey aleryene à suo tempo. Ed affinche meglio le possiate ritrovare , riporterete in un repertorio per ordine alfabetico ciò , che offeryato avrete, tanto nelle cure de inali, esiti de’madesimi, che aperture de' cadaveri, senza lasciare nè pure un giorno di non notarvi qualche cosa offervata, e questo l'andrete bene spesso rileggendo, à fine non vi scordiate di ciò, che una volta apprendeste.  Quando si faranno l'ostensioni bota taniche non occorrerà, che trascuriate l'altre vostre applicazioni mediche,perche non richiedono queste quell'attenzione, ch'è necessaria per la Notomia. E tanto più, che durano tutta una stagione, onde basterà, che per tal'effetto Jeggiare qualche libro bottanico, e con l'esercizio oculare ricontriate nell'Orto Medico le più usuali per meglio conocerle , le quali per voi possono esse  re  [ocr errors] re sufficienti con la notizia delle loro  virtù.        Impiegato , ch'avrete il primo ane  no, con fervore, in fare tutto ciò, che  fin'ora vi hò detto, ristrignerete poscia   in una nota tutti quei mali più essenziali  à saperfi, che ancora non avevate offer-  vati, à fine , che capitandovi possiate in  quelli continuare li vostri studj, imitan.   do quei Giardinieri, che vogliono for  mare un vago prato di fiori ; Questi colo  tivano tutto quel terreno, e con buona  ordinanza vi dispongono li semi, à fine  non vi resti del sodo incolto, ove non  nascono fiori , mà sol'erbe campestri,  e che li fiori, che nascono , non resting  trà loro confusi.   Quando avrete già offervato ocularmente le cure de' mali più riguardevoli, e frequenti, e quelle occorsevi di nuovo, l'avrete più volte ancora rincontrate nelle cose essenziali, uniformi, e che possederete già la Notomia, elsendo divenuti capaci di meglio discernere ciò, che fate, all'ora converrà , che  [ocr errors] vi applichiate à rinvenire le cagioni de? mali , e non prima, perche essendo tante , e così diverse tra loro le cagioni descritte dagli Autori in un medeliino male per  la diversità di sì numerosi sistemi, novamente inventati, che se Galeno à fuo tempo giudicò al parere di Lacuna che : Judicis veri difficultatem liquido ostendunt tot, tantæque variæ hæreses, quot in Arte Medicâ reperiuntur ; Che giudizio accertato ne potreste formare voi ora , che sono cotanto più cresciute, prima d'essere nella pratica bene istrutti? Oggidi li giovani sono così perspicaci, per non dire arditi, che li raziocinj, che già udirono da’loro Maestri, quali come buona femenza dovriano conservare, & aspettare, che con il tempo crefceffero , conforme ordina Ippocrate nella sua legge: Tempus omnia hæc ad plenam nutritionem confirmat, in vece di çoltivarli ora non li seguitano più, & in vece di quelli se ne scegliono delli più vaghi, onde quando ciò abbia da esfere è pur meglio, che l'apprendiate quandofiete divenuti più suficienti à farlo, ed all'ora appunto, che sarete à pieno informati dell’idee de'mali, delli loro sina tomi, del modo, che s’abbiano à curare, e dell'esito , che possono avere, perche potrete allora con più sperimentato giudizio sceglervi quel raziocinio intorno alle sudette cagioni morbose più adattabile degl'altri al vostro bisogno: Sentite di grazia come al proposito ve lo infinua Ippocrate : (d) Preclara enim res eft, quæ ex opere , quod quis didicit proficifcitur oratio ; Écon maggior chiarezza in altro lạogo , (e) dove così parla : Ncque priùs ad ratiocinationis perfuafionem quàm ad ufum cum ratione conjunctum animum adhibere ; Ratiocinatio enim in eorum, quæ fenfu comprehenduntur recordatione quadam confiftit ; ed in appreffo : Nullum ex his , quæ folâ ratione concludun- , tur fructum percipere licet , verùm ex his , qua operis demonstrationem habent, fallax enim, & ad errorem proclivis affeverario; Ed operandosi da voi in questo modo, effendo già divenuti più abili, e capaci, da un principio più accertato ricaverete un ražiocinio è certo , ò per lo meno probabile, dove che facendosi diversamente con impoffeffarvi prima d'ogn'altra cosa delli raziocinj in aria, e di bella comparsa, che possono con danno notabile preoccupare le vostre menti, e quefti effendo Icelti da voi per mero genio , fenza saperne il perche, vi faranno dedurre delle conseguenze, che vi pareranno certe , ed evidenti, le quali in atto pratico le troverete diverse das quelle ve l'eravate figurate; onde per acquistare pofcia la buona pratica vi converrå deporli, conforme è convenus to farli da altrui, che se ne sono ayveduri , per non continuare ne' loro pregiudizj, e sentite come à meraviglia fi ritrovano costoro delcritti da Ippocrate: (f) Venuste enim cognitionis intelligentia apud iftos sparsa ejš . Cum igitur hi ex neceffitate indocti exiftant eos ad utilem *xercitationem cohortor . Mà veniamo all' esempio per caminare con più chiarezza. S'idei il più bell'ingegno, che frà voi si trova, che il tal male proceda da un' acido esaltato, è da un calore eccellivo, ne dedurrà subitamente con la sua perspicacia , dunque và curato con gli alkalici, ò con gl’attemperanti. Volesse Iddio, che ciò si verificaffe , non avreste per certo bisogno d'affaticarvi tanto intorno l'Infermi per apprendere la vera pratica , perche in questo modo diverreste presto Medici; Mà non è questo il modo da caminare con licurezza, perche se quella cagione non è accertata farà neceffariamente incerta ancora la conseguenza da quella dedotta , la quale potrà talvolta produrre all'innocenti Infermi un nocabile danno, perche Gi tra{curerà di far quello, che s’è osservato altre volte effer loro di giovamento per andare in traccia à ciò,ch'è incerto, e so. lamente da noi ideato. Qual verità udite con che chiarezza si ricava da Ippocrate:(8) Quidquid artėm artificiosè di&tum  ef(d) Hippide deciørd. (e) Id, in lib.de tracept  1  efem(f) In lib.pracept:  eft, (8) Hippocr.de decobabitki  [ocr errors] eft , non autèm factum, viam, rationem artis expertem arguit.. Opinabile fiquidem fine actione infcitiæ , nullius artis indicium eft ; Opinatio enim cum præcipuè in Arte Medicâ, eâ quidèm utentibus crimini vertitur; His verò qui eâ indigent exitium afferty fi namque  fuis verbis perfuafi exiftim mant se opus ex scientia profectum novisse, quemadmodùm aurum adulterinum igni probatur,tales se ipfi etiàm produnt ; e ciò lo conferma ancora nella sua legge, dicendo, che la sola opiņione ignorationem parit . Il modo dunque praticabile più sicuro sarà di dedurre la cagione demali dalla già accertata cura ,  osservata più volte profittevole, con que’lumi, che vi darà di più la Notomia, e quando anche per questa strada non se ne rinvenisse la più certa, non potrà nascerne quel pregiudizio già accennato , perche la cura anderà a suo dovere, essendo fatta secondo le buone osservazioni pratiche; oltre di che caminando voi con quest'ordine non vi regolerete con l'incertezza dell'opinioni degl'uomini,ogni giorno variabili, mà bensi con la certezza delli giudizi di Natura, sempre più accertati , come divinamente considerò Cicerone allorche diffe : Hominum com. menta delet dies, naturæ judicia confirwsat.  Quindi è, che Pittagora non fenza cagione faceva tacere li suoi scolari sinche aveffero compiti cinque anni di studio , perche voleva , che cominciassero à parlare quando appunto capivano ciò, ch'elli dicevano , e veramente chi presto parla non ha premeditato ciò, che dice, e chi non hà premeditato ciò, che dice, parla à caso.  Per conferma di quanto vi hò detto, ed à fine non prevarichiate ora, che avere da me sentito dire qual potesse esfere il inodo facile sì, mà non già sicuro, da prestamente liberarvi dall'intraprese fatiche, v'addurrò altri sentimenti d'Ippocrate,da’quali non potrete discostarvi se vorrete essere tenuti suoi veri seguaci, dice egli ( b :) parlando in termini difare progresso nella Medicina : At vero in Medicina iampridem omnia fubfiftunt in eaque principium , via inventa eft, per quam præclara multa longo temporis fpatio sunt inventa, bu reliqua deinceps invenientur; Si quis probè comparatus fuerit, ut ex inventorum cognitione ad ipforum investigationem feratur, Qui verò his omnibus rejectis , ac repudiatis aliam inventionis viam ; aut modum aggrediatur, to aliquid Je invenise jactitat, is cùm fallitur , tùm alios fallit, neque enim iftud ullo pacto fieri poteft. Ippocrate dunque vuole, che dalle cose accertate si passi all'investigazionc di esse,per meglio discernere ciò, che in quelle non fosse ancora palese,mà non già, che dalle incerte si pasli à fare al. cuna investigazione , dicendo chiaramente, che chi farà diversamente ingannerà se stesso , e gl'altri, e tutto ciò vie. ne più precisamente individuato redarguendo quelli, che dalle cagioni incerte ne vogliono dedurre una certa cura, come si legge in appresso: At verò nunc ad cos , qui novâ quadam ratione artem ex  přo."  propofita materiâ investigant nostra revera tatur oratio fiquidem eft calidum, aut fria gidum, aut ficcum, aut humidum , quod hominem lædit , & eum, qui rectè mederi volet opporret calido per frigidum, frigido per calidum , ficco per bumidum, & humido per ficcum opitulari . Exhibeatur mihi aliquis naturâ non admodùm robuftâ , fed imbecilliore; qui triticum crudum, & inelaboratum edat , quale ex areà fuftulit, carnes crudas , & aquam bibat , ex qua victus ratione non dubium eft quin multa ,  gravia fit perpeffurus. Nàm & doloria bus conflict abitur, & imbecillo erit corpore, O ventriculus corrumpetur, nequè vitam diù tollerare poterit . Quodnàm igitur ità affecto præfidium comparandum Calidum nè , aut  frigidum, an ficcum, an humidum? Siquidem horum quodque fimplex eft. Namque fi quod lædit ab his ipfis eft diversum contrario disolvere convenit , velut ipfifatentur - Eft enim certifima, & evidentiffima medela , sublatis quibus utebatur cibis , pro tritico panem exhibere , da  pro  crudis carnibus coctas, dj insupèr vinum propi  narly  nare, neque fieri poteft , quin his commu: tatis convalefcat ; e questa accertata cura come si è ritrovata , se non dal vedere, che le sudette cose hanno altre volte conferito in simili casi?  Seguitate pure la strada calcata da' noftri maggiori, se non volere errare, per la quale ebbe origine, e si è avanzata la vera Medicina, e questa è quella dell'offervazioni, conforine chiaramente confessa Ippocrate.(i) dicendo : Neque verò pigeat ex plebeis sciscitari  fi quid ad curandi opportunitatem conferre videatur , fic enim censeo artem univerfam coma moftratam fuiffe , quod fingula ex fine abi fervata, ad eadem aggregata fuerint. Animum igitur adhibere oportet fortuit,e occafioni , qu& plerumque fe offert , quæque cum utilitate, & lenitudine conjuncta eft, quàm cum sollicitatione, & forti defenfione; e ricavate pure li vostri raziocinj dalle cagioni de' mali, dalle cure à voi note, ed in quella conformità, che più vi appagano, che ottenuti in questa guisa, se  non fi) Hipp.praceptiones .  [ocr errors][ocr errors] non dimostrativi , faranno almeno inno-  centi, non potendo recare pregiudizio  alcuno, e state fermi in tale proposito,  per l'esempio di più d'uno , conforme,  che diceffimo, à cui è convenuto mutare  li raziocinj delle cure dapoi, che hanno  osservato in pratica meglio gl'andamen-   ti de' mali, e non prima d'allora si sono  accertati , che l'opinione era assai diver-  sa dalla verità, conforme nel suo sogno  ci fà conoscere Ippocrate, ( a ) non solo  perche li comparvero assai differenti trà  di loro, mà perche la verità dimorava  appresso Democrito, che non s'inganna-  va, e l'opinione trà l’Abderiti già pre-  giudicati, per la falla loro credenza, che  Democrito delirasse.        Appreso, che voi avrete le cagioni  ancora de'mali, all'ora sarete arrivati  à qualche perfezione maggiore , poten-  do, rotto già il silenzio Pittagorico, con  fondamento parlare, e con franchezza  ancora medicare, resterà solo d'istruirvi  in che modo si dovrà contenere ciasche-   duno (a) Hippo in epiß. Pbilope.2.  [ocr errors][merged small] D  [ocr errors] duno di voi in ornare, secondo la propria capacità ciò, ch'avrete acquistato tutti in commune.  > Parlerò prima con voi di mente fu. blime, e generofa, che vi pare un troppo angusto campo la sola Medicina , onde per far conoscere a tutti la vostra maggiore abilità, volete stendervi più oltre, ed all'acquisto d'altre scienze,conforme nelle private conferenze apertamente diceste, ove tal’un di voi mostrò genio grande d'apprendere le Mattematiche, altri l'Astrologia', e chi per ornamento le Lingue straniere, & in ispecie la Grecaj e chi per divertimento ancora l'erudizioni Istoriche i  Mi dispiace d'aver sentito dire, che trà voi yi fia chi lo faccia per genio grande, perche questo vorrei, che tutto lo ponefte alla fola Medicina's qual dovrete profeffare, onde viva pur sempre caurelato , e circospetto chi di voi hà  fimit geniono che non gli faccia perdere -Hamore à cid, ch'avrà dianzi acquistaso; perch'è solito, che chi apprende congenio grande una cosa nuova, trascura   necessariamente ciò, che prima se non  per genio , almeno per impegno lo ap-  pagaya .         Io per me non posso, nè devo op-   pormi à quanto deliderate, si perche è   onefto , sì ancora perch'essendo all'ora   voi già divenuti Maestri vorrete fare à  vostro modo ; Vi dò solo questo conse-  glio, che facciate regolare la vostra in  clinazione fempre dalla prudenza , e dal  giudizio, e che non la lasciare in tutta  sua libertà, e facendo voi in questo mo-  do non potrete errare, perché le sudette  virtù mai non permetteranno, che fi din  ftacchi dalla Medicina già appresa , nè  che nel fare li nuovi acquisti gli rubi  quel tempo, già destinato per lei, e final  mente faranno in modo , che non l'ap-  prendiate à quel segno di poterle pro-  feffare , mà per solo ornamento, e per   poterne ancora voi discorrere in quella   parte , che possa servire alla Medicina.   Mà vediamo d'ajurare , e consolare insieme voi altri, che restereste altrimena  1  [merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors][ocr errors] timesti, non solamente per la separazione, che faranno da voi li vostri compagni, inà eziandio per la cagione di essa . In primo luogo parliamo chiaro intorno a'vostri difetti , per dare à ciascheduno di essi il suo rimedio , s'è possibile. Dilli s'è poffibile,perche se sarete affatto inetti, & incapaci mutate mestiere, conforme hò fatto fare à qualcheduno di simile inabilità, perche altrimenti vi affaticherete in darno fino , che viverete , mà re, ò la vostra memoria apprende con qualche difficoltà , tenétela continuamente esercitata , che migliorerà, volendo Cicerone, (b) che : Affiduus usus uni rei deditus, & ingenium, a artem fepè vincit ; ò il vostro giudizio non è pronto , ajutatelo con l'attenzione, e vigilanza, date tempo, che si farà, perche molte piante fioriscono prima, & altre sono più tardive; ò il vostro discorso è alquanto infelice, e non siete pronti, esercitatevi nclli discorsi publici , bene imparati à memoria, discorretela continuamente con li  vostri (b) Cicero pro Cornelio Balbo.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] vostri compagni più franchi di voi, fae  tevi animo, & abbiate forma fiducia ,  che il vostro timore cesserà. Aspettate  ora da me di sapere il modo, che dovre-  te tenere per adornare ancor voi l'ope-  ra già fatta , à fine di non iscomparire  trà gl'altri vostri compagni, e con ra-  gione.        Già voi non vi curate d'uscire dal-  la Medicina , in questa dunque converrà  trovare l'ornamento, che sia adattato  al vostro bisogno, e doppo fatta matura  rifeflione, non trovo miglior conseglio  di quello, che fi ricava da Prospero  Marziano Medico di grand’ingenuità ,  all'ora , che ricercando la cagione, per-  che li Medici antichi erano tanto stima-   ti, & onorati assai più di quelli, che  vivevano à suo tempo, egli fù di fenti-  mento, che procedeffe ciò   per  effer stati. glantichi versatillimi ne' pronostici, e non vi sia discaro à sentire ciò, ch'egli diffe : () Cur prisci Medici tanti habiti fint apud homines, ut non folùm primas in  Ci. (c) Prosper Martian. 2.prediff. perf.23.  e  [ocr errors] D 3  Ciuitatibus, ac Regnis tenerent , Regibus Principibusque imperarent , fed etiàm summus honos , Diisque folis præstari folitus, Medicis tribueretur, admiranda enim circà agrotos , & præftitife, & prædixise eft. necessarium ; Sicut vice versâ mirum non eft ifi nunc adeù vvilitèr tractentur, quando nèc in curando, nèc in prædicendo quidquam spectabile pr&tent noftri, cum ea faciant tantummodò, a dicant , quæ ipfis idiotis sunt manifefia, & tamèn'artis pradantiam noftrorum temporum continuò jaEtant imperiti , Medicinamque posteriores ditasse profitentur , fed veniunt excufandi, eo quod antiqua thefauros adhùc non percepere, quibus tota quidem Hippocratis do. Etrina plena eft; Verùm præfens liber, [h.c. prædiétionum secundus ) adeò abundat, ur folus paupertatem, cu miferiam artis noftrorum temporum indicare fufficiat, nam quis nostrum eft qui centefimam partem eorum cognofcere poffit, qu& antiquiores Medicos comunitèr prævidere confueviffe in hoc libro teftatur Hippocrates ; Sicchè voi per fare spicco , & essere molto stimati  nella  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] nella professione impoffeffatevi bene de! pronostici d'Ippocrate , che uniti alla buona pratica acquistata , vedrete, che vantaggi questi vi recheranno , & effendo stati ricavaci da molte offervazioni uniformi, accadute in più secoli, non vi serviranno d'ornamento inutile,mà bensi molto profittevolese necessario, e tanto maggiormente se spoglierere ancora ciò, che v'è di migliore nell'Epidemj, ed in tutti gl'altri divini libri d'Ippocrate , per mettervene à memoria più , che  potrete , å fine di serviryene secondo li i bisogni, che vi si presenteranno, e que  sto studio lo farete in quell'ore, nelle quali vi persuaderete, che li vostri compagni le terranno impiegate all'acquisto d'altre scienzcacciocchè vi cresca il fervore ad apprenderle con emulazione.  Ornati, che sarete tutti nella conformità, che s'è detto, ogn'uno di voi ne farà la bella  comparsa ne consulti, ed all'ora si conoscerà chi di voi avrà fatta i  miglior elezione del compagno, e si rina contrerà, che voi, ingegni, ch'eravatemeno apprezzati degl'altri, per la voftra applicazione, e prudenza , certamente, che non iscomparirete tra gl' altri di maggior talento di voi.  Se il modo, che vi hò proposto non farà buono, e profittevole trovatene altro migliore,& acciocche lo possiate rinvenire più commodamente sia posto ogn' un di voi in sua libertà di sceglierlo à fuo piacere. S'avete genio di studiare prima della Medicina altre scienze, cosa ne feguirà facendosi, che non potendo sapere ancora cosa vi possa bisognare vi converrà ftudiarle ex profeso, e se l'avrete apprese con genio à quel fegno, che le pofliate profeffare, ciò, che studierete in appreffo; con minor piacere , lo subordinerete alla prima, che di già possedere. te, mà ne seguirà peggio ancora, che tutto farete meglio, eccettuatone il Medico, conforme vi farò costare in appresso.  Se il genio vi porterà ad apprenderle insieme con la Medicina, che ne feguirà? Ciò appunto , che accade à chi  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] in un medesimo tempo getta in un camро  semi diversi, e mescolati , e che ne raccoglierà? Un frutto confuso, e quem sto ancora à voi potrà succedere, poiche la bella ordinanza è quella, che facilita, e felicita le grand'imprese , dove che la confusione le preverte , e le annichila.  Inoltre s'avrete studiate le Mattematiche, con gran genio , e studio profondo, e vorrete poi fare il Medico niuna cosa di Medicina vi appagherà, cercherere in essa le dimostrazioni evidenti, e non trovandole, che ne seguirà, se non sarete nella pratica ancora versatiffimi? Che per temenza d'errare vi formerete un metodo di medicare à vostro modo , con pochi rimedj, creduti da voi sicuri à non poter nuocere , e semplici, come fono Occhi di granci, Stibio diaforetico, Sperma ceti, un poco di Caffia , qualche ottava di Tartaro di Bologna, qualche Clistiero, qualche bevuta d'ac. qua di Nocera , Oglio d'Amandole dolci, Sangue ircino preparato , Corno di Cervo filosofico, Giacinto bianco , e  cofe  [ocr errors][merged small] cole simili, tutte sicure à non poter nuocere, & in questa conformità vi regolerete tanto ne' piccioli, ne' gravi, che ne' gravissimi mali. Questo è un modo sicuro, mà nell'infermità benigne, e leggiere, non già in tutti i casi gravissimi, ne' quali è chiamato il Medico per dare un pronto riparo, non già per complimento, per espugnarlo, ò almeno per retundere la sua veemenza , e questo pretenderete di farlo con cose innocenti? ch'è il medesimo, che dire con cose  attività ? Queste dunque adoprerete ne' bisogni inaggiori , ne' quali : Melius eft anceps experiri remedium quàm nullum. Rimedi sicuri vi persuaderetç, che siano quelli, che non possono fugare il male ? Questa sarà una licurezza inutile, mentre non rileva il pericolo, sarà sicurezza, per chi assicura, non già per chi deve essere assicurato , perche se in quefta borasca si sommerge la Nave,non è tenuto chi assicurò al rifacimento del perduto, mentre che và tutto à danno dell'aficurato. Un tal modo di operare  lo  di poca  [ocr errors] lo potrebbe ancora esercitare , chi non sapesse altro di Medicina , perche già ch'è sicuro non ci vorrà grand'arte per praticarlo, mentre l'arte consiste in la. per conoscere ciò, che in un caso potrebbe nuocere, e nell'altro giovare, e per questo effetto si chiama il Medico, onde essendo gl'accennati rimedi sicuri, e non potendo nuocere à ch'effetto vi sarà bisogno del Medico per darli? Oltre di che, per parlarvi ingenuamente, questo modo di medicare è assai confimile à ciò, che fanno coloro , ch’imparano la scherma, che per non offendere, nè effere offesi adoprano certe smarre senza taglio, ed in vece di punta acuta hanno ivi un bottone di ferro foderato di pelle, ò cottone , qual sorte d'arme sicura in tempo di pace, di ch'efficacia sarà all?ora, che l'inimico ci affalisce con armi pungentiffime, lo potremo offendere , à almeno difenderci da effo? Credo di nò con questa sorta d'armi sicure, ci converrà per certo adoprare almeno armi eguali, e se saranno superiori riusci.  ranno  [ocr errors] ranno migliori ; il fimile appunto succederia quando il male grave alfalisse, se questo lo voleste espugnare con l'accennati rimedi sicuri, combattereste seco con quell'armi appunto senza taglio, e fenza punta, poco atte à fare validas difesa.  E non basterà in questi casi Parme sola , mà converrà saperla ben maneg. giare, per fare que' colpi sicuri riservati a' soli Maestri dell'arte, quali come li fapreste fare se mai non aveste maneggiate simili armi, volendovene talvolta prevalere?  Sò, che questa voce di medicamento sicuro, che non può nuocere'è molto plausibile appresso alcuni, che la considerano superficialmente, mà capita bene, è molto nociva , poiche nel bisogno più urgente non è tempo di passarlela con cose di poca attività, richiedendo quello ajuti maggiori , ò equivalenti alIneno ad esso, e tutto ciò, ch'è sicuro. à  non nuocere non basta per rimuovere ciò,che nuoce, onde se non ammazzano  direttamente possono almeno indirettamente nuocere, per la cagione, che non sono sufficienti à rimuovere ciò, che puol’ammazzare. Ippocrate,che conobbe tal verità assomigliò il Medico al Governatore della Nave: questi appunto trovandosi in una borasca di mare cofa dovrà fare ? Deve in primo luogo alleggerire la Nave, con gettar via ciò , che più l'aggrava, acciocchè tando più galleggiante non venga ricoperta dall'onde; Voi già mi capircte, onde non occorrerà mi spieghi di vantaggio, potendo considerare da voi medefimi , che alleggerimento rechino a'corpi, che si ritrovano nella tempesta del inale, eripieni di viziosi umori, si piccoli , e poco efficaci medicamenti.  Io non pretendo già porvi in difcredito li dettirimedj, perche in qualche caso possono essere profittevoli : Per esempio ne' veleni corrosivil'oleofi, ed in qualche altro caso ancora grave sono utilissime le copiose beure d'acqua, e cose simili, mà che siano sufficienti questi  per  per curare tutti li mali, dicovi apertamente di nò , perche in molti mali gravi convengono altri rimedi più efficaci, conforme ordinò Ippocrate : (d) V alentibus verò morbis, valentin natura medicamenta exbibeantur ; & altrove : Extre. mis morbis extrema remedia optima funt.  Anzi, che se si tralasceranno da voi li più efficaci in quei casi, che competono per sostituirvi questi più leggieridico, che peccherete d'omissione gravemente, potendone nascere pregiudizj gravi alli vostri Inferini in trascurar ciò, che li compete,per dar loro ciò, che non può recare profitto equivalente al bifogno. E quando il solo differire un rimedio possa recare del danno, come bene avvertì il divino Ippocrate : (e). Cum enim ab omni ante aliena fit procrastinatio, tùm verò maximè in Medicina , in qua di. latio vitæ periculum affert ; quanto maggiore lo recherà l'omiffione , essendo difetto più conliderabile della dilazione  Ne (d) Hipp de loc. in hom. (e)ld.in epift.ad Crat.  Nè per cimore d'essere tacciati di omiffione dovrete fare d'avantaggio di quello , che fiete tenuti di fare, perche all'ora incorrereste in un'altro errore , non inferiore al primo, mà come vidovrete in ciò regolare ve l'insegna Ippocrate nel primo Aforismo in tal guisa: Seipfum præftare oportet opportuna, & quit decent facientem.  Se divenuti Profeffori d'Astrologia farete ancora il Medico , non vi capiterà Infermo, che non vorrete alzargli las figura del decubito, non gli darete ri. medj se non che a' buoni aspetti de' Pianeti, e fuggendo li cattivi,cosa ne seguirà? Che perdendosi l'occasione pronta d'operare, l'Infermo se n'andrà all'altro mondo à riconoscere più da vicino li suoi malefici Pianeri, stanteche Occasio præceps, à quella bisogna , che indirizziate tutta la vostra attenzione, oltre di che vi servirete d'una scienza più incerta della Medicina per accertare ciò, che in essa crederete fallace. E se ornati di tutte l'erudizioni Istoriche vorrete esercitare ancora las Medicina per far pompa in quello, che meglio saprete , & è di vostro genio, comincierete à discorrere con li vostri Infermi,ò con altri, che ivi si troveranno presenti ab Urbe conditâ fino al tempo dell'Impero Romano, e con vostro sommo piacere , il meno poi , che farete sarà di pensare all'Infermo , che avete avanti gl’occhi, à cui dovete dare ajuto.  Iddio guardi, che tal’uno di voi , ch'avefse più spirito, che prudenza, s'annojasse di far ciò, che ho detto intorno l'osservazioni Mediche, e si volesse  porre à fare il Medico senz'avere acquistato un buon metodo di medicare, affidato solo in una gran scelta di belle, ed efficaci ricette, questi sarebbe simile à colui, che custodisce delle bellissime armi, mà non le så maneggiare, ed in conseguenza caderia in uno delli maggiori errori, che si possino mai commettere nella Medicina , cioè di divenire un gran Ricettante, e de' più validi, e pronti  ri  مرور  rimedi si Chimici, che Galenici, che avemo, e non sapendo il modo d'adopee rarli l'applicheria à casa, con tutto, che fi fosse ideato d'imitare un Capitano, che per conseguire la vittoria fi serve di valorosi soldati, e questo modo d'ope, rare quanto possa riuscire dannoso, lo lascerò considerare à voi, per quando farete divenuti già provetti ; solo riflettete ora, che quel Capitano, che non sa comandare li suoi valorosi soldati, in ve. ce di vittorie riceverà bene spesso delle sconfitte, e quel troppo ardire indica ignoranza, come afferi Ippocrate: (a) Audacia verò, artis ignorationem arguit : E in altro luogo :(b) At quod temerè fit nullo modo fubfiftere videtur, sed nomen tantùm inane efle .  Non riuscendo dunque tanti altri modi ricercati da voi sarà neceilario,che seguitiate quello, che v'è stato da me proposto, con il quale farete sicuri di abilitárvi à poter divenire veri Medici  E  )quan(a) Hippocr. de lege. (b) Idem in lib. de Arte,pro ftri fore inp Ver  ner  te,  fo fe  quantunque fiatc trà voi d'abilità difu. guali, & in particolare per quel profittevole uso, che potrete ricavare dalle diligenti, creiterate offervazioni fatte intorno l'Infermi, non potendosi questo apprendere in altro modo , conforme giudicò Ippocrate : (a) Usus namque, qui in fapientia , tùm in arte ei adjuncta , doceri nequit ; e questo di quanta efficacia fia, sentitelada Cicerone: (b) Aljungant ufum frequentem, qui umnium Magiftrorum precepta fuperaf.  Mà non vorrei, che tornaste ora à contriftaryi, voi, che fiete di natura malinconici, parendovi forse troppo, quanto v’hò proposto per neceffario in acquistare la buona pratica , perche se vorrete diyentare veri Medici, ed eflere compresi nel minor numero di quelli, di cui parlò Ippocrate nella sua legge così: Medici nomine quidèm multi, re ipfa perpauci , sarà necessario, che facciate dal canto voftro ogni posibile, & à fine  pro(c) Hipp.de decenti ornatu . (d) Cicero 1.de Oratore .  [ocr errors] proseguiare con maggior fervore li vostri studj, vi mostrerò in domani quella fortuna propizia, che vi potrà toccare in premio delle vostre virtuose fatiche. Venga pure chi di voi la desidera ottenere, che gli farò conoscere quella forte, ch'è sempre favorevole, non essendo soggetta à vicende, à fine, che di efla se ne innamori.  1  [ocr errors][merged small][merged small] GIORNATA III.  Nella quale si mostra la fortuna , che deve defiderare, e procurare il vero  Medico , e la via più figura  per ottenerla,  A  D un gran cimento oggi m'espon  in volervi mostrare la vostra buona fortuna, posciache desiderandovela propizia, durevole, e senz'effere soggetta á vicende, qual potrà essere mai questa fortuna sì prospera Quando nè le grandezze, nè gli onori, nè le ricchezze, né le delizie, e piaceri,cose cotanto bramatç nel mondo, la possono in cale stato costituire ? Appena è arrivato l'uomo alle grandezze, od onori sommi, che questi cominciaio da bel principio à contriftarlo, alle ricchezze, che l'infaftidiscono, alle delizie, e piaceri, che questi ancora non gli rechino goja, e confiderabile danno: in somma si scorge chiaraméte,che Nemo fua forte contentus.  [ocr errors][ocr errors] In conferma di ciò riferisce Ippon crare nella lettera scritta à Damageto , che Multi fene&tutem exoptant, cumque cò pervenerint gemunt, nulloqae in fatu firmâ mente perfiftunt . Principes, ac Reges privatum beatum prædicant , privatus Re. gium Imperium affe&tat , qui rem publicam regit, artificem tamquàm periculi expertem laudat , artifex verò illum velut in omnia potentiam exercentem. E pur questi quan to mai avranno desiderato fimili fortu. ne, quanto vi ayranno faticato peč conseguirle, & ottenute , che l'ebbero, punto ne rimasero contenti; Ela cagione di ciò fù, che questi andavano in traccia della bell'apparenza della fortu. na fallace, non glà della di lei sostanza ftabile , e quello, ch'è peggiore , la cer. cavano ancora fuor di strada, conforme nella sudetta lettera fi legge: Rettam enim virtutis viam puram , minimèque af peram, ac inoffenfam non cernunt ; Questa via dunque bisognerà , che ancora vi mostri, acciocchè pofliate tutti ottenere il yoitro intento, ed io uscire dal mio.  E 3  cie  [merged small][ocr errors] [ocr errors] cimento con reputazione ; state attenti per non isbagliarla, perche si tratta di fare acquisto di una fortuna stabile,eterna, e non soggetta á vicende.  Che il Medico debba essere foriu. nato non vi cade ombra di difficoltà ; mentre , che se fosse diversamente, chi mai fi vorria prevalere dell'opera di coPii, al quale la forte foffe contraria , Paveffe affatto abbandonato, e che non gli piovessero addosso da per tutto, che infortunj, e miserie, da ogn’uno sarebbe certamente sehernito, e per necessità gli converria mutar mestiere, sicchè è incontrovertibile, che Oportet Medicum fe forfanatum  Mà qual fia questa fortuna, che strada dobbiate tenere in cercarla, e ciò, che dovrete fare per confeguirla , procurerò ora mostrarvi con la buona fcorta d'Ippocrate, à fine non possiate sbagliare.  Due sorti di fortune fi ritrovano descritte da Ippocrate, (e) una delle  quali (c) 110 lib.de loc:in hom.  1quali è quella, ch'è fuori di noi, & ope* ra independentemente da noi, e l'altra, ch'è sempre con noi , & opera conforme noi vogliaino .  Quella, ch'è fuor di noi così apa punto egli la descrive : Sui enim juris eft, Fortuna , nulli imperio paret , neque ad cujusquam votum fequitur; qudla poi, ch'è sempre con noi l'accenna con dire : Mihi enim foli bi fortunatè afequi , idemque infortunatè non assequi videntur , qui recte quid ei malè facere fciunt , e dependendo il bene, ò male operare da noi, la for tuna dunque, che da ciò resulta, da noi dependerà, e sarà questa per sempre inseparabile da noi medesimi.  La fortuna dunque, ch'è fuori di noi è quella, ch'è affatto cieca , e non considera il merito di chi benefica, ma dà à chi più le aggrada di vantaggio ancora di quello, che il beneficato da ella sappia mai desiderare : Talvolta ad un Contadino avvezzo å zappare la terra, fà discoprire un tesoro; capace à farlo divenire molto ricco, con tutto, che le  sue  1  E 4  fue brame fossero di pochi soldi; Ad un? altro ancora più miserabile farà conseguire una grazia nel giuoco, che lo toglierà per sempre dalle sue miserie, e tutto ciò proviene-, perche vuol fare à suo modo, giacchè Sui juris eft, nulli imperio paret  L'altra poi; che risiede in noi, è quella, che secondo, che la trattiamo ella ci corrisponderà, se la vorremo propizia , se variabile, fe peffima, propizia, variabile ; e pelima ancora l'otterremo, conforme da ciò, che Ippocrate c'insegnò li puol dedurres & ancora dall'esperienza di coloro , qui rectè quid, vel malè facere fciunt, giornalmente vediamo.  Certamente, che la prima fortuna non è quella, che deve essere desideratiz, e procurata da voi, che non dovete zappare la terra , nè tampoco dilettarvi del giuoco, ed anco maggiormente , ch'effendo cieca, forda, e per non dispensare à dovere le sue grazie ingrata ancora , questa non deve effere defiderata da voi, che dovete conseguire il premio per giu  Aizia,  stizia , ed à quel segno, che vi si deve ;  Oltre di che la sua sola istabilità bafte,  rebbe per farvela odiare, dovendo voi   defideíare una forte stabile, e permanen-  te; per non provarne le di lei vicende,   Esclusa dunque la prima forte, neceffa-  riamente dovrete contentarvi della se   conda; e tanto maggiormente, che la   potrete regolare à vostro piacere.         In trè modi dunque potrete fabri-   carvi la vostra fortuna, ò buona , ò va-  riabile , ò peffima , se la vorrete buona ,   dovrete operar bene, conforme v'inse  gnò Ippocrate nel detto libro in tal gui-   la : Fortunatè enim affequi eft rectè facere,   hoc enim, qui fciunt faciunt , ed allora cià   otterrete , quando scaccierete affatto da   voi li vizj, e farete in modo, ch'ella sem   pre ammiri le vostre virtù, e si ponga in   soggezione, quando anche non voleffe,   di operare a'vostri vantaggi. Se poi la   bramerete variabile, fatela conversare   con le vostre virtù, e con li vostri vizj,   che imparerà dal diverso modo d'opera   re, che li pratica trà esli ad effere variag   bile  [ocr errors] 2  1  ;  bile ancor essa. Qual modo l'indicd ancora con dire : (f) Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluiffem ; cioè se per  via di virtù, e de vizj avesse voluto fare fortuna , non ad vos decem talentorum gratid, fed ad magnum Perfarum Regem proficiscerer ; con che fece conofcere ancora l'incostanza di detta fortuna, rimirandosi ella ben {peffo istabile, sì in quei fervigj, che dependendo dalla volontà di molti con la sola virtù non s'acquistano, come bene speiso l'esperimentano i Medici condotti; che nelle Corti, ove trà molti altri la provorno tale Seiano e Bellisario.Se poi vorrete farla divenite pellima, consegnatela in potere de' vostri vizj, che apprenderà da questi i loro pessimi costumi , e perima certamente diverrà, ed udite con quantas chiarezza ve lo dice egli nel libro sopracitato : Qui enim non reftè quid facis, non  fortunate afēqui poterit? quum reliqua , que æquum eft facere non faciat. Talmente, che la vostra buona fortuna, the voi  do!  (f) In epif.Abderir. Hippo  dovete procurare è quella che proviene dalle vostre buone, e virtuose opere, c questa l'avrete propizia, e ftabile fino, che vorrete , effcndo subordinata al vostro sapere, e volere, giacchè al parere d'Ippocrate nel luogo sopracitato, effa fi può felicemente conseguire, da chi sda e vuole: Et facile eft ipfam felicitèr alle. qui, fi quis fciens uti velint, d'onde faa cilmente n'è nato quel detto: Virtute dua cey comite fortuna.  Non basterà però d'avervi ciò brem vemente accennato, per potervi cons sicurezza determinare il modo , che dov vrete tenere in procurare questa buona, e tanto desiderabile fortuna, perche ciò, che vi hò detto fin'ora , non è sufficiente à farvi capire in che maniera vi dovrete contenere , allora, che sarete  Eper porvi in viaggio per cercarla, e ciò, che dovrete fare nel progresso di quello , 6 quanto di felice ne potrete riportare dalla vostra lunga, ò breve navigazione, onde sarà necessario, che per meglio esaminare li sopr’accennati punti, che cifiguriamo d'essere già presenti al porta dell'imbarco , e che nel fare detto viaggio mi serva della seguente ideata maniera per iinitare ancora in ciò Ippocrate, che dovendo andare a trovare la sua fortuna in Abdera, conforme udirete in appreffo, ancor egli vi si porcò per mare, ed in una nave non presa à caso, mà scelta da lui con molta cautela,come si legge nella lettera prima scritta à Damageto, che comincia : Cum apud te Rbodi ejem Damagete, navem illam vidi , cui Solis infcriptio inerat , quæ mihi perpulbhra , puppi probè, idoneâ carinâ inAructa , muliaque transtra habere vifa eft, tu verò eam comendabas c. cam ad nos mitrito @c. E tutto ciò, non senza gran mistero, mentre circospetto, e con il buffolo da navigare avanti gl’occhi deve viaggiare chi cerca la fortuna, e deve  per tale effetto scegliersi un bastimento sicuro.  Questo Porto è appunto il luogo , da dove s'intraprende, il camino verso il Tempio della felicità, ove dovrete por.  ancora  tarvi  1  tarvi, per conseguire la buona forte a. e queste trè navi sono già qui allestite per ogn’uno di voi, che voglia fare il sudetto viaggio , converrà , che à vostro piacere ve ne scegliate una di esse, mà prima , che facciate tal'elezione , nella quale facilmente potreste ingannarvi, fentite da me un breve ragguaglio di tali bastimenti, del loro modo di viaggiare, de pericoli, che s'incontrano, e dell' esito, che si hà della navigazione in ciascheduno di efli.  Mirate colà à finiftra, quella si chiama la nave del Sole, ivi la Prudenza regge il timane, la Giustizia invigila al buffolo , la Fortezza regola l'antenne ela Temperanza sopr'intende al tutto: ivi non risiedono altro, che virtù,e tutte attente alli loro assegnati ministerj. Per entrare in questa si ricercano due requiz fiti, e sono i Attestato di abilità, e provę di buoni costumi , altrimenti chi n'è privo, non vi fi può imbarcare.  L'altro bastimento, che stà alla deftra , li chiama la nave di Giano, questa  hà  [ocr errors][ocr errors] hà parimente buoni Piloti, che sono le accennate virtù, che regolano la nave del Sole, mà vi è solamente di male, che vi si trovano alcuni vizj, e tra questi vi è il proprio interesse, la Politica,la Menzogna, l'Adulazione, il Secondo fine, vestiti tutti di Zelo, ela Malizia, che s'infinge tutta umile, in somma vi sono con le virtù mescolati li vizj, che per dimorare insieme con esse conviene loro di stare molto circospetti, e tramutati in altri sembianti, e per entrare in detto bastimento, non si ricerca altro attestato, che dell'abilità.  Il terzo poi, situato nel mezzo, che fà sì bella comparsa, si chiama la nave felice : ivi al timone presiede la Malizia, al bussolo sopr’intende l’Inganno , lw vele si maneggiano dall'Astuzia, la Maledicenza,e l'Impostura consultano continuamente trà esse cose gravi, la Lussuria , la Gola, con tutti li vizj consimili festeggiano , ciripudiano tra loro, ed allettano chiunque vedono- ivi approfsimarsi ad entrare nella loro nave, dicen  do  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] do à tutti: Per entrare quì trà noi non si ricercano tanti requisiti; qui non serye abilità, li buoni costumi non s'apprezzano, basta, che abbiate genio à gustare de’noftri piaceri, che subitamente vi ammetreremo, e condurremo in un trata to al porto della felicità.  Vado vedendo, che tal'uno di voi è portato dal proprio genio di eleggerli questa nave, che ha il nome felice, con tutta l'apparenza di prosperità, senza pensare più oltre, conforme:(8) Magna pars hominum eft, que navigatura de teme peftate non cogitat. Mà riflettete bene à ciò, che fate, poiche non bisogna tosto fidarsi di quel bel nome, e di quella prima vaga comparsa, conviene ancora ri. flettere al fine, che può avere una simile navigazione, che ora vi spiegherò.  Si ftaccherà questa nave dal porto con allegria, mà nel viaggio incontrerà molti pericoli , perche non è regolata dalla Prudenza, e quantunque la Malizia , e l'Inganno facciano quanto pollo  [merged small][merged small][ocr errors] no,  (g) Sexeca de Traxq.Anims.sapoll.  1  no, acciocchè non si sommerga, nulladimeno questa non potrà sfuggire il passo dell'Ignominia , che stà situato un buon tratto di camino prima di giugne. re al porto della felicità, (dove bisogna neceffariamente arrivare per ottenere la buona forte) si rimira ivi uno scoglia grande, ove è la residenza maggiore di tutti li vizj, hà nella sua estremità, ver, so il sudetto porto alzate due gran colonne, ove è scritto : Non plus vltrà, affinche sappiano tutri li vizj, che fino colà possono giugnere , mà che più oltre è vietato loro il passare. Approdata, che sarà detta naye al sudetto scoglio, è su, bitamente visitata , e ciò, che di viziosa ivi si trova, con tutti'li viziosi , e vizj loro viene arrestato, non potendo anda, re più oltre simil pefte , cosa di buono vi potrà mai essere dove fono tanti vizj, consideratelo voi? Onde farà necessario, che tutto ivi rimanghi in potere de' vizj. Che faranno all'ora quei miserabili, che  s'imbarcarono in fimile navę, renduti schiavi de'proprj vizj ; qual fortunaspropizia avranno ritrovato, quando, che la loro pessima ancora l'abbandonorà, per non restare ancor essa schiava ed il tormento maggiore, che avranno, farà di rimirare con li propri occhi tra, passare quelli, che navigano ne i bastimenti del Sole,e di Giano ancora,fe chi viaggia in questa fi farà regolare dalle virtù ; oh che cattiva elezione avreste fatto mai se aveste condesceso al vostro genio ! come vi trovereste, che farele in fimili miserie , privi della libertà, e della forte? Plinio ciò predisse faggiamente, dicendo, ( a ) che Habet has vices conditio mortalium , ut advere  fa ex fecundis , ex adverfis secunda ne 2 cantur.  Sicchè fuggire, per quanto potete, i simili imbarchi , che vi conducono, non  al porto della felicità, mà bensì à quello ? dell'ignominia , e delle miserie ; onde  bisognerà, che vi scegliare è la nave del ? Sole, ò quella di Giano per giugnere ti al desiato porto della felicità, per ri,  F  tro(a) In Panegir. at Trajan.  [ocr errors] 2  [ocr errors] trovare la vostra buona fortuna  Il proprio genio vi farà inclinare talvolta d'entrare più costo in quella di Giano, con la quale crederete di poter ritrovare una miglior fortuna, à questo non mi opporrò, perche dove vi è la Prudenza , c la Giustizia, sc farete à lor modo , con tutto, che vi siano vizi ancora, questi non potranno molto nuocervi; Mà prima di entrarvi, sarà bene, che sappiate il viaggio, che fanno, si questa , à cui vi porta il vostro genio, che quella del Sole, che voi poco gradite, e che tributo portano sì l’una, che l'altra al Tempio dell'Eternità, affinche meglio fiate informati di tutto, prima , che vi determiniate all'imbarco.  S'incaminerà con prospero vento la nave di Giano verso il porto della felicità , incontrerà nel camino varie tempeste , mà la Prudenza, e la Giustizia, che la regolano, le opereranno senza il disturbo de’vizj, le supereranno tutte con la loro buona condotta; capiterannó molte, e varie occasioni assai vantag  giose,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] giose, se n'approfitterà più , ò meno chi farà ivi imbarcato , secondo, che si consiglierà con li vizj, ò con le virtù, fe darà orecchie a’yizj , & in ispecie al proprio interesse, gli dirà, che tutto può fare, fe alla Giustizia , se non quello , che deve, ch'è convenevole, e giusto, arriverà all'accennato passo dell'ignominia si fermerà per iscaricare ivi tutti i vizj, con tutto quello, che di vizioso fi ritrovi nella ricerca generale, che ti farà della nave, e se per disgrazia di chi ivi s'imbarcò, Coffe ftato guadagnato da? vizj, e fossero questi in detto viaggio divenuti arbitri della sua volontà, resterà ivi tutto l'acquisto fatto,come cosa proveniente dalla loro viziosa industria, e quel, ch'è peggio, ne seguirà del mifero passeggierofatto schiavo, ciò, che successe à chi navigò nel bastimento felice, le povere virtù con l'infelice forte abbandoneranno chi le tradì, chi le vilipese, e se n'andranno altrove à ritrovare chi meglio le tratti. Succedendo poi diversamente, è cie  l'in  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] F 2  [ocr errors][ocr errors] l'imbarcato abbia fatto tutto quello che gli fu suggerito dalla virtù fattosi il sudetto espurgo, e lasciati ivi tutti i vizj, proseguirà la nave il suo viaggio verso il porto della felicità, dove appena giunta, che si scaricherà tutto ciò, che fi porta al Tempio dell'Eternità, e lo presenterà la Gloria avanti il Tribunale della Giustizia eterna, che ivi à tal'etfetto presiede, domanderà questa, se quel tributo, che si offerisce sia stato in alcun tempo inescolato con robbe viziose , & inferce , risponderà la Gloria , che quantunque fia venuto accompagnato da' vizj, nulladimeno, che sia Rato già espurgato à bastanza nel pallo dell'Ignominia, dove tutto ciò, chew d'inquinato vi era , fù lasciato assieme con i vizj; non basta, risponderà la Giuftizia, è tributo, che ha avuto comercio una volta con cose infette, non deve andare à dirittura al Tempio dell'Eternità, fi consegni al Tempo , che gli faccia fare una lunga , e rigorosa quarantena onde bisognerà aspettare la discrezio  [merged small][ocr errors] ne del Tempo, quando le vorrà eternare!  Il viaggio poi, che fà la nave del Sole , è bensì più adagiato , perche que fta non naviga à tutti i venti, hà delle tempefte , mà le supera, perche la regge la Prudenza; non fà grandi acquisti, mà fono sicuri, perche li regola la Giustizia, nel passo dell'ignominia non si ferma punto, perche non hà seco li vizj, che la facciano trattenere per il loro sbarco, giugne finalmente al porto della fesicicà, non avendo quanto si porta per offerta avuto in alcun tempo comércio con cose infette, e viziose , appena presentato dall'Umiltà senza pompa avanti il Tribunale della Giustizia, che questa fubitamente ordinerà , che si trasporti tutto al Tempio dell'Eternità , eflendo cose pure, e non sospecte d'inquinamento alcuno, e che fi registri ancora trà gli Eroi il nome di colui, che l'offerisce, ed ecco la sua fortuna divenuta già stabile, ed eterna, per goder’ancor'effa i favori dell'Eternità.  AveteAvere già sentito il tutto, ora siete in istato di deliberarvi, e di prendere quel partito , che vorrete per consiglio mio, imbarcatevi pure nella nave del Sole, se avete tutti li requisici necessarj, che sono abilicà, e buoni costumi, e se ne siete privi, procurareli pure à tutto costo, perche farerc più sicuri di portare  offerte , fe non molto considerabili, alimeno sincere, ed affai gradite dall'Eter  nità, se lo farete di controgenio : Durum eft confcendere navim ; sappiare però, che è un quieto vivere, dove l'ainbizione non perturba la fantasia, l'ira non rode il cuore, l'invidia non consuma le mi. dolle, la superbia non accieca , e dove finalmente tutti gl'altri vizj non possono punto nuocere, ftantechè non vi dimorano, l'ingresso vi parer à duro, mà il rimanente vi riuscirà felice, e quando non aveste altro motivo di sceglierla, vi doyria animare å farlo , che Ippocrate per andare in Abdera à cercare la sua forte non fi fervi della nave felice, nè di Giano, mà benisi di questa del Sole, e la  :  CO- .  [ocr errors][ocr errors] comendò non solo prima d'averla provata, mà molto più dapoi, dicendo; (b) Cui cum Solis figno, etiam fanitatem apponito cùm re verâ , prospero numine vee la fecerit . E certamente, che prospero numine ancor in questa si navigherà per, essere regolata dalle sole virtù.  Se poi sarete risoluti di cercare la vostra forte sù la nave di Giano, procurerete almeno di non navigare à curti li venti, e terrete frenato il vostro inte. resse,acciocchè quando la Giustizia non potrà navigare , esso non ordini il disancoramento, e che quando la Sincerità vorrà operare, allora l'Adulazione non la turbi, e finalmente difautorerete tutti li vizj, che ivi ritroverete, e li porrete in catena , come tanti schiavi, altrimenti sotto specie, ed ombra di virtù v'inganneranno sempre: Fallit enim vitium fpecie virtutis,  umbra. Operando voi in questa maniera, acquisterete più gloria, che se navigate  nella (b) In 1.6 2.epift. ad Damagetum.  F4  [ocr errors] nella nave del Sole, perche vi farete saputi ancora difendere dagl'inimici domestici , e la vostra fortuna restando ammirata del vostro inodo d’oprare , vi sarà molto propizia , e gli darete voi medesimi stimolo d'invigilare à vostro favore, vedendo , che operate per eternarla; sappiate però, che in tutto il tempo di detta navigazione, vi converrà stare vigilantissimi , e non meno di quelli, che passeggiano sopra precipizj, mà à far questo hoc opus : bic labor eft.  Da queste trè figurate navigazioni, comprenderete non solo ciò, che nel corso di vostra vita vi potrebbe accadere, mà il modo ancora di schivarne ogni finiftro, che fosse valevole à ritardarvi l'acquisto della buona fortuna , perche se voi da bel principio vorrete darvi in preda a' viziosi piaceri , che progreffi mai potrete fare ? E che fortuna prospera potrete conseguire? Ed incominciando una volta à gustare le viziose delizie , non avrete più palato capace di assaporare il nettare delle vir  tù;  [merged small][ocr errors] [ocr errors][ocr errors] tù ; la malizia, l'inganno , e la frode vi sosterranno sino che gl'è à grado , mà alla tine avendo conseguito ciò, che bramavano da voi , vi lasceranno cadere, anzi forse ajuter anno, come fanno l'infidi compagni, nel precipizio maggiore delle miserie, nel quale ritrovandovi, di chi vi dovrece lagnare? forse che della vostra mala sorte innocente , quando, che voi medesimi ne licte stati glautori. La vostra fortuna non ha mancato , ella troppo hà fatto per esservi propizia, ambiva di favorirvi, mà voi all'ora la tenevate lontana, perche credevate, che il trovarvi in delizie, in ispafli, e viziosi divertimenti, fosse il miglior negozio, che potreste mai fare : E se talvolta v'infinuava la strada delle virtù con qualche stimolo interno , voi la rigettavate con dispreggio , onde meritamente esclama contro costoro Ippocrate : (c) Indoetus autèm qui eft , quomodò fortanatè affequi poffit? Si quid enim etiàm affequatur, non Memorabilem fanè fucceffum babebit ; Qui  enim (c) Hippode locis in bom.  3. A  3  [ocr errors] cnim non rectè quid facit , non fortunate affequi poterit , quum reliqua , quæ æquum et facere, non faciat;cd altrove :(d) Ego verò ut fortuna quidem quavis in re non nibil tribuo , ità certè cenfeo malè à morbis curatis , ut plurimùm adverfam fortunam contingere ; e nell'epistola à Damagero così dice, parlando di simili sfortunati viziosi: Eorum res adversas derideo,eorum infortunia intento rifu excipio. Veritatis enim instituta violant.  Se poi vorrete seguitare la strada di mezzo, e mantenervi amico delle virtù senza discostaryi affatto dalli vizj, e questa con tutto sia meno pericolosa, non è molto sicura , perche quantunque in essa farete più ricchezze, stante il fecolo corroto, il buon nome non l'acquisterete stabile, e di lunga durara, edin conseguenza incostante farà la vostras fortuna , inercèche tutti quegl’artifici usati, quelli difettucci d'adulazione di qualche bugiòla à tempo, e di quelle mormorazioncelle coperte, di quel zeloaf(d) De Arteaffettato, e giustizia con il secondo fine, modi più tosto appresi da Correggiani ozioli, che da buoni Maestri, scoperti , che saranno dagl’uomini di stima , e di senno, questi vi perderanno quel concetto, che prima avevano di voi. Oltre di ciò, che vita mai infelice sarebbe la vostra, dovendo servire à due Padroni Deo, Mammona : Deo, ch'è il Protettore delle virtù, & Mammona de' vizj: Nemo poteft duobus Dominis fervire , Deo,  Mammond . Mà dato ancora il caso, che vi riusciffe di farlo, che vantaggio ne ricavereste mai, mentre le dolcezze dell' ingenuità ve le amareggierà l'adulazione, quelle della giustizia ve le dissapo, rerà il proprio interesse, quelle del zelo l'attolicherà il secondo fine, vivereftę continuamente inquieti , stando sempre vigilanti, che non si scoprissero li vostri difetti, perche vorreste passare per ingenui , e non sareste , per giusti, e prende reste ogni arbitrio contro il dovere, con qualche cosa di vantaggio -; ficchè il partito più sicuro farà di vivere lontani  da,  1  da'vizj, e starsene con le fole virtù ; perche quantunque le ricchezze non vi pioveranno addosso da per tutto, nè l'aura popolare vi porterà molto in alto, con tutto ciò quel buon nome, quel buon concetto, che formeranno di voi gl’uomini sensati, non vi sarà mai tolto, durando sempre stabile ; perche è fondato sù le vostre virtù, permanenti sù il vostro onore immutabile, che est Splendor virtutis , come S. Ainbrogio negli Officj asserisce. Onde voi operan+ do bene otterrete la sorte stabile, conforme ve lo predice ancora Ippocrate, (e) dove così parla : Fortunatè enim affequi eft re&tè facereshoc autem qui sciant faciunt , e d'avantaggio, viverete con una somma tranquillità d'animo,perche goderete tutto quel gran dilettoyche apportano le virtù a' loro seguaci, non potendosi ciò per altra via conseguire, mentre: (f) Semita certè=Tranquilla per virtutem patet unica vitæ ; nè per questo non istabilirete la vostra casa, anziche 1  le). Deloc.in hom. [f] Juvenalis forira 10:  me  ز  meglio degl'altri, e per due ragioni, la prima, per avere fatto li voftri acquisti onoratamente con le fole virtù; l'altra poi, perche il mondo non è così spopolato d'uomini, che amano, e seguitano le virtù, quanto da alcuni si crede, effendovene di molti, onde voi, che se guitare questa buona via ò sarete pochi, ò numerosi ; se pochi, viverete bene,  perche da molti Tarete stimati, fe poi į farete numerosi, converrà, che li viziosi  ancora , ch'avranno bisogno dell'opera vostra s'accommodina alli vostri retti costumi.  Caminando dunque voi per la via delle fole virtù , potrete senza fallo conseguire la vostra buona sorte, e por trete allora dire çon ragione : Nos te,  Nos facimus  fortuna Deam, coloque locamus •  Dove che caminando voi diversamente,  appena vi sarà permesso il poter dire :   Nos facimus fortuna Deam , mundos que locamus,  Stan  [ocr errors] Nos te ,  Stanteche appena  sù l'aura popolare iftabile, in tal caso, la potrete appog. giare, nella quale non si curò punto Ippocrate di fondare la sua fortuna, come da più motivi si ricava, c primieramente, da ciò, che scrisse egli à Democrito, manifestandogli, che dal volgo, disprezzatore delle buone opere, aveva ricayato più tosto riprensione, che onore, con che fà credere, ch'egli non procurava có compiacergli da cattivarselo, affinche aveffe detto bene di lui, e l'avesse onorato, perche la sua politica solo consisteva, in operare, conforme si doveva, ed in far ciò, che solamente era decente al vero Medico, conforme fi spiegò nel primo de' suoi Aforismi in tal guisa : Se ipfum præftare oportet, quæ decent facientem; e ciò in termini prù preciâ l'individua affai meglio in altro luogo , (8) dove così dice : Neque verò gratiam, qua tibi homines demerearis subtrabo , cum fit Medici præftantia digna , eorum autem, que per Instrumenta adhibentur, & de  mon  (8) Hipp in lib de præcepto  monftrationis eorum, quæ fignificant , reliquarumque ejusmodi memoriam adeffe oportet, quod fi vulgi tibi audientiam comparare voles, id non valdè gloriosè insti. tuas , neque tamen cum ostentatione portia. câ fiat, industrie enim impotentiam arguit, neque certè probo induftriam multo labore partam in alium ufum transferri , quod per Se fola ut eligatur grata fit ; Inanem enim fucı laborem cum ambitiofà oftentationes tibi impones.  In oltre tal verità si ricava ancora , dall'aver egli ricusato il servigio del potentiffimo Rè Artaserse, mentre certa cosa'era, che se avesse desiderato d'acquistare l'aura popolare , non doveva egli ricusarlo, poiche ritrovandosi in un tal posto, senza dubbio alcuno tutta la Persia saria corsa ad onorarlo, niuno averia potuto più dir male di lui per tema di non incorrere nell'indignazione del Rè potentissimo Artaferse, onde con averlo ricusato dà à divedere, che egli non fi curava punto di dett'aura popolare, nè delle ricchezze, e fortuna, che dacssa provengono, conforme apertamente fi spiegò nella lettera scritta alli Abe deritani, dicendo ivi: Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluifem viri Abderia tæ , nè decem quidè m talentorum gratiâ ad vos venirem, fed ad magnum Perfarum Regem proficiscerer , ybi &c.  E per far conoscere meglio à tutti, ch'egli non caminava per la via dell'aura popolare, nè delle ricchezze, mà bensì per quella della sola virtù volle portarsi in Abdera , folainente per visitare, e trattare con Democrito, e questo perche lo faccffe lui medesimo lo confesso, dicendo : (b) Eum autem gravibus , firmis moribus ele præditum intelligo ; talmente, che stimò egli fortuna maggiore quella, che sperava ottenere con trattare con un'uomo di questa sorta , per apprenderne da esso qualche buon dor cumento, non solamente de i dieci talenti offertigli dagl’Abderiti,inà ancora di tutte le ricchezze, e grandezze insie: me della Persią, & udite con quantan  chiz (h) in etir. Abderit.  [ocr errors] chiarezza lo dice : (a) Rex Perfarum nos ad fe vocavit nefcius mibi potiorem of fapientiæ , quàm auri rationem .  E finalmente , acciocchè meglio comprendiate , che quanto v'hò detto intorno alle trè strade, che vi sono per cercare la fortuna, o qual di queste dobbiate scegliere, s'uniformi sempre più con i sentimenti del gran Maestro, confermiamolo ancora con l'accennate trè vie di cercare la fortuna , contenute in detta lettera. Primieramente con il quomodocumque ditefcero ci addita un bivio, cioè tanto la strada, che conduceva in Persia , à fare acquisto di cesori, e grandezze considerabili, che quella di Abdera , che allettava all'acquisto di dieci foli talenti ; La prima di queste egli non la ftimò à proposito, perche conduceva in paesi barbari, inimici, e dove vi era la peste ; La seconda nè tampoco , perche dubitava, che quel vizio dell'inte, resse, que' dicci talenti, avessero possuto rendere servile, e schiava la sua virtù,  G  cosa (a) Hippo in epiß. Denetr.  cosa fece egli per battere su'l sicuro, fi fabricò la terza via, espurgata da ogni vizio, e prima d'incaminarti per essa la descriffe in tal guisa all’Abderiti: Mihi verò ad vos venienti , non Natura , neque Deus argentum promiserit . At nequè vos [viri Abderite] per vim obtrudite, fedlia berè artis liber â elle finite operâ . Qui autem mercede operam fuam locant, hi fcien. sias, tamquàm ex priore libertate manci. pio dantes , fervire cogunt .  Oh Ippocrate, se questi tuoi documenti fossero stati mai dati à rivedere à quel Quinto Petilio Pretore Urbano, à cui pervennero in mano i libri del dia finganno composti da Numa Pompilio , certamente che,ò l'averia fatti brugiare, conforme che fece quelli, o pure ti averia fatto quel favore , che fecero gli Abderiti al suo Democrito, che lo dichiarorno pazzo, e fi faria servito come Precote delle seguenti cognecture per dichiararti cale, primieramente avrias dedotto contro di te, che tu per portarti da Democrito, da cui non potevi sperare bene alcuno, perche appena aveva un Platano, che lo difendeffe dal Sole, ed un sedile di pietra, dove potesse sedere, mostrasti smoderato desiderio d'andarvi, conforme costa nella prima lettera scritta à Damageto , dove così dicit Navem ad nos mittito , fed fi fieri poteft, Hon remis , fed alarum remigio instruct amo res enim, eu amicitia urget. In oltre, che per  benc  andare in Persia , dove, oltre offerte sì grandiose , eri tanto desiderato da un Rè potentissimo, cu fosti prontissimo à rie cusar la chiamata , conforme costa nella lettera da te scritta ad Hiftano, senza riflettere , che quel potentissimo Rè poo teva distruggere la tua Patria per tua cagione. Chi dunque procura , ed effettua con tanta sollecitudine, ed anfietà una cosa, che non gli può recare profitto alcuno , e ricusa con altrettanta prontezza ciò, che gli può moltissimo giovare, senza considerare ciò, che può sopravenire di male dal ricusarla ; certamente, ch'egli si può condannare per pazzo. Saria stata però troppo ingiusta  que  [ocr errors] quefta sentenza di Petilio , quando l'avesse cosi pronunziata , poiche per condannare un'uomo savio per pazzo, prio mierainente si ricercano più rilevanti prove di queste : in oltre bisognava dargli le sue difefe', in cui deducesfe lc sue: ragioni prima di condannarlo, nelles quali faria stato dedotto, primieramente, che non sussisteva in fatto, che da Democrito non se ne poteva sperare bene alcuno, costando dall'Ippocratica confeffione , quanto mai di bene egli ne ficavasse , ch'è questo: (b) Tum ego  Democrite præftantisime magna hofpitalitatis tud munera mecum in Co reportabo, cùm multa me fapientia tua admonitione compleveris. Prçco enim tuarum laudum rem vertor, quod natura humana veritatem inveftigasti, a mente complexus es; Acceprâ autem à te mentis curatione discedo ; La grand'ansietà dunque di andare à fare simili acquisti, non era indizio di pazzia, ma bensì di somma prudenza , di sommo giudizio. Che poi per noneffere andato in Persia foffe censurato a torto è chiaro, mentre non avendo alcun bisogno di quanto gli poteva da ciò risultare, conforme egli confesso: (c) Nos vietu, veftitu, domo, omnique read vitam neceffariâ cumulatè frui ; Perfarum autem opibus uti , nequè mihi æquum eft; non doveva esporsi di andare à fervire popoli barbari , ed inimici, e quanto erano maggiori l'offerte, che gli faceva. no , tanto più lo costituivano loro schia, vo. E quando vi fosse andąco, cosa mai averia riportato? Oro, argento, onori sommi, e grandezze, e quetti potevano paragonarli all'acquisto, che fece, con Democrito, di dottrina, e faviezza di mente maggiore? Ed essendo egli andato per curare uno creduto pazzo, per cagione di quel medesimo ei ritornò più savio, e più dotto di quello, che era prima ; e da ciò fi può dedurre quanto mai bisogna stare cautelato à dichiarare pazzi coloro che non sono potendo queIti tali talvolta illuminare ancora i Savja  L'or(c) In epif. Hylani.  [ocr errors] L'ottima dunque di queste trè ftrade fi scelse Ippocrate , per acquistare la sua fortuna, e Pottenne profpera, stabi. le, ed eterna i poiche fino, che il mondo durerà, la fua fortuna ancora sarà ri. fplendente; per questa voi dunque vi dovete indirizzare le volere effere suoi veri seguaci, e questa ancor meglio la scorgerete, dapoi, ch'avrere nella Giornata di domani udita la gran deformi. tà de' vizj, ed il danno grande , che possono apportare questi al Medico, che caminasse per quella via , giacchè conto traria juxtà fe pofira magis elucefcunt ,  GIOR  [blocks in formation] Nella quale si tratta delli vizj , mostrando  quanti pregiudizi poffona apportare al Medico , e le in lui alcuni di esli pana fcufabili , almeno quelli, che sembrano Ermafroditi.  [ocr errors][merged small] Na dura , ed ardua Provincia og  gi intraprendo per voi, dovendo parlare contro la corrutela del tempi,  ' lati, e contro uno stile già invecerato , con tutto ciò bramando voi sapere da me il vero per non ingannarvi, dirò con Seneca ; (f) Quaramus quid aprime fa&tum fit, non quid ufitatissimum, & quod nos in poffeffione felicitatis eterna conftituat, non quod vulgo veritatis peffimo interpreti probatum fit.  Vorrei potcre scusare ancor io li vizj, conforme fanno quelli, che li rimirano solamente mascherati con gli abiti delle virtù à fine di consolarvi, sc  cofa  G4  [merged small][ocr errors] [ocr errors] 104 Dell'Idea del vero Medico. cosa difficile vi sembrasse mai il poteryene affatto spogliare. Per esempio ricoprono la bugia con il manto della prudenza , e dicono, ch'è prudenza di celare all'Infermi la verità, perche ciò fi fà per loro bene , acciocchè non si contristino maggiormente del male, che foffrono. Gli adulano ancora talvolta se defiderano qualche cosa , che non competa loro, con tutto, che possa molto nuocere, sotto pretesto d'aver carità, ed à fine, che vietandola non s'inquietino maggiormente, e così vanno ricoprendo molti altri vizi per renderli familiari, e meno deformi . Mà perche hò promesso di parlarvi con chiarezza, e fincerità, non potlo, nè devo adularvi. Li vizj li dovrete cenere per vizj; e le virtù per virtù : Li vizj, e le virtù le dovete considerare , come due linee p2rallele, che non possono in alcuna delle loro particombagiarli, come due contrarj diametralmente opposti, che non possono tra loro convenire; Dovete con. fiderare li vizj come mostri spaventofi ,  che  che avvelenano con l'alito chiunque ad effi fi avvicina , come dunque ardin, Tete d'accostarvi ad essi per ricoprirli?  Mà conceduto ancora , che si poteffero mai travestire, ditemi di grazia, viaggiorefte voi con una comitiva di ladroni, benche fossero travestiti in abito di gatantuomini, caminereste sicuri di non effere offesi da essi, con tutto, che fossero sì civilmente adornati a Certamente mi risponderece di nò: Tali apa punto fono li vizj, poniamoli addosso quelmanto, che volemo, e questo non facendoli mutare il loro perverfo costume, sempre vizj saranno, sempre nuoceranno di molto ; E siccome li Leoni, e le Tigri per quante carezze loro fi fac ciano mai deporranno la fierezza, cosi ancora al parere di Seneca: Vitia nun, quàm bona fide manfuefcuniş trasmutateli pure in che sembiante volete, anzi, che essendo questi travestiti , faranno de danni peggiori, perche non potendosi conoscere per vizj à prima vista, non li potranno subitamente scacciare da chiKabborrisce, onde ancora trà questi ayeriano all'ora maggior campo libero da machinare le loro infidie, ed acciocchè meglio putiare scoprire li loro tradimenti, contentatevi, che ve ne descriva qualch’uno di quelli , che nel Medico fono più decestabili, e nocivi, con pers mettermi che non servi quell'ording solito à praticara da chi tratta di esli , perche essendo fregolati non meritano di effere trattati con buon'ordine, ba. standomi solo di farvi capire la loro deformità, c quanto erano mai da Ippo, crate odiari, e creduti nocivi al vero Medico, mentre giudicò essere parte di buona Medicina il saperfi:(8) Qua faciunt ad demonftrandam incontinentiam quæftuofam, & fordidam Professionem ixexplebilem habendi fitim , cupiditatem, de traditionem, impudentiam , fiquidem iftas Spectant ad eorum cognitionem dc.e non già à fine di seguitare , må bensì di fug. gire fimili diferci. La bugia, inimica scoperta del ge  nerc (g) De decenti babita.  nere umano, come tratta li suoi fidi re. guaci & Li separa, scoperti che sono, dal publico, e privato commercio de viventi, fà, che niuno presti loro più fede, gli costituisce infami, e li pone il più delle volte in evidente pericolo di vita, facendoti publicare ciò, che non fù mai verità, e questa come si potrà scusare nel Medico in ispecie, in cui ella è reato più grave, che non è in altri Profeffori, sì di Legge, come ancora di Teologgia, e che ciò sia, veniamone alle prove, Dica una bugia il Procuratore al suo Cliento gli potrà pregiudicare nella robba, venendo talvolta à perdere mediante quella la sua lite ; La dica un Teologo, che abbia di già prevaricato, à chi è da lui diretto nello spirituale, gli farà perdere l'anima ; La dica il Medico al suo Ammalato, gli farà perdere la robba, la vita, e l'anima insieme , ed ecco l'esempio chiaro: Dica il Medico al suo Infermo, il di cui male si avanza : Lei stia di buon'animo, che la sua infer. mità non è di gran momento , li segni  non  [ocr errors] nonsono mortali , Ella guarirà , fi fidi di me, viva pure sicuro, e riposato ; mediante questa bugia l'Infermo non pensa a' casi suoi, non aggiusta le partite dell' anima, che premono tanto, non fà téItamento, non dinunzia li suoi crediti, è ripostini segreti, non accresce diligenze, acciò la sua cura sia allistita da Me. dici più esperti, si avanza tanto in un tratto nel male, che si sopisce, o sų aliena di mente, resta incapace à fare cosa alcuna di proposito, e se ne muore, ed ec  che ha perduto la vita , la robba, e l'anima ancora, se per ispeciale grazia di Dio non fù illuminato à pentirsi de' suoi peccati prima , che diveniffe incapace à poterlo fare, e questi sono trè reati nati da una sola bugia, la quale benche dete ta à fine di sollevargli lo spirito, in vece di ciò gli hà cagionato un'improvisas morte, per lui così svantaggiosa. Dis spongono le leggi, che li delitti sono maggiori, e più qualificati, quando li delinquenti ne hanno commessi numero maggiore, è della medesima fpeçie, ò  CO,  equivalenti, ficchè calcolandosi mag. gior numero di tali reati nella bugia del Medico, che in quella del Legista, e del Teologo, in conseguenza viene , che è più grave delitto la bugia nel Medi. co , che negl'altri due sopr'accennati Profeffori. In oltre se il Medico, per persuadere al suo Infermo, acciò prendesse con maggior fiducia il rimedio da lui propostogli, affermasse, che quel medesimo avesse giovato ad altrui, e ciò non fosfe vero , rincontrandosi poscia la verità, in che discredito rimarria ape preffo à cui disse tal menzogna, certo è, che non lo terria in avvenire più nel numero de' veri Medici, mà bensì di parabbolani,de' quali Ippocrate cosi disse: (h) Virtutis apud ipfos modus eft , id quod deteriùs eft, mendacii enim ftudium exercent ; e parlando de' Medici menzogneri così disse: (i) Quapropter veritate nudati, omnem improbitatem, ac ignominiam ing duunt. L'adulazione è vizio, che s'infinua  dol(h) In epiß. Domag. (i) Dedec.bablik,  dolcemente, e con galanteria , è un veleno , che fi beve fraposto con un'apparente netrare, e questa parimente nel Medico cresce in qualità di reato, posciacchè dica qualsifia altro Adulatores à taluna, ch'è deforme, non meno di aspetto, che povera di abilità.: Voi Giete una bellissima, una compitissima , egalantiffima Giovane, fiete eccellente in molte cose; nelle quali non avete chi vi fuperi ; le darà compiacimento bensi con formo suo diletto, ma non l'ucci derà ; Dica il Medico ad una sua Infer. ma, che desidera gustare un grappolo di uva: V. S. ne puol mangiare un poco , perche bisogna condescendere qualche volta al desiderio dell'Inferma , quod face pit nutrit , lo faccia pure liberamentes Se la povera adulata Inferma lo farà, non folamente vi averà compiacimento, e diletto per allora , mà poscia potrà ancora morire per tal cagione, non è quem sto caso già da me inventato, mentre si legge in Ippocrate seguito nella figlia di Eurianatte, che per aver gustata l'uvale crebbe non solo notabilmente il male, mà se ne morì, dice egligdoppo di avere narrato, che l'era sopragiunta la refrigerazione delle parti estreme il delirio: (1) Ifta autèm ut ferebant ex deguftata uva huic contigerat ; potrete dunque voi nel Medico scufare l'adulazione omicida per conciliarvi la grazia dell'Infermo ? Risponderà Ippocrate certamente di no, perche dice egli in termini precisi dell'adulazione nella regola dal vivere: (m) Is velut res horrenda vitari debety a gratia vitanda per quam unitas deperit.  E non solamente è reato gravissimo nel Medico l'adulazione in ciò, che riguarda la regola del vivere, mà ancora nel prescrivere medicamenti . V'incontrerete in molte contingenze, nelle quali gl'Infermi , ò glastanti proporranno riinedi, ed il più delle volte quegli, che non saranno à proposito, in questi casi avvertirete bcnc à non adulare il genia di chi li propose', mà doverete fare ciò, che il bisogno richiederà, e non altri  menti: (1) Epid.lib.3./46.2.egroting (in) Do pracipe.  [ocr errors][ocr errors] per adula  menti: Conforme ancora, se venendo  proposto da altri Medici ciò, che non vi  parerà essere profitcevole all'Ammala-  to, in tal caso non dovereste  zione tacere, e lasciar correre ciò, che  fù proposto da altrui , mà bcnsi con tut-  ta civiltà addurre li vostri motivi, cra-   gioni, che avete in contrario, à fine  venghino esaminati,essendo questo l'ob-  bligo de veri Medici, conforme Ippo-  crate insegnò, dicendo: (n) Qui quid-  quid do&trinâ acceperunt in medium profen   & facultate dicendi utuntur , ad gratiam comparati, & pro gloria,qua indè provenit decertare parati,doctrinam fuam ad veritatis lucem repurgantes.  Dell'Ateismo vizio esecrando non ve ne saria d'uopo parlarne , perche egli è cosi repugnante, che chi hà uso di raa gione mi pare assai difficile vi poffa in effo cadere, con tutto ciò, perche certe proposizioni, che sparse, e feminate alle volte fi ritrovano in alcuni libri, che vengono da lontani paesi, potriano alle  menti (n) De decohabitu.  runt ,  1  0  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] inenti di voi, che volete volare troppo i alto,recare qualche disturbo, non istimo  superAuo di dar loro sopra ciò qualche  luine, à fine stieno più circospette, e  cautelare, e particolarmente nel sentire  certe proposizioni dirette à ridurre le   operazioni animaftiche alla sola machi26 na, e struttura del corpo fatta dalla na  tura, con sì mirabile artificio, guarda  tevene pure da queste , perche hanno de l'ateismo nascosto, e tenete fermo, che en vi voglia sempre un primo Movente di  . ftinto, e separato dalla struttura, perche de quantunque la detta struttura fia necef.  faria alli moti interni, ed esterni , nulla-  dimeno senza il primo Moyente, che è   l'anima rationale nell'uomo , cessa ogni li moto regolato, come si scorge chiara.  mente ne' cadaveri, ne' quali con tutto,  che rimanga la mirabile struttura , sepa-       rata ch'è l'anima dal corpo iyi ogni mo-  le     to regolato finisce.   Nè solamente nel leggere ciò , che viene scritto converrà stare cautelati, e circospetti, mà ancora in quello fi sente  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] riferire intorno alle pazzie di coloro , che, per essere reputati di singolar dottrina , tralasciorono di credere ciò, che dovevano, perche non capacitava le loro meni materiali, se non ciò, che con li propri occhịrimiravano, ò palpavano con le loro mani, contro de' quali Sant' Agostino fortemente inveisce, chiamanı doli uomini di carne.  Spero dunque, che per quanto leggerete di male in questo genere , ò sentiFete dire, non diventerețe così pazzi , che vi vogliate assomigliare alle bestie , Je quali, in ciò, che riguarda il dare un minimo contrasegno interno d'eternità, punto non s'assomigliano all'uomo,mentrechi mai di effe ha saputo ritrovare il modo di scolpire, ed intagliare l'effigie brutale di alcuna della sua , ò d'altra fpecie, come seppe inventare l'industria umana? ed ancora in durissime pietre , per conservarla visibile, tale quale appunto ella fù vivente, per secoli innumcrabili? e ciò donde è proceduto ? se non da quell'interno desiderio , che  l'uo  )  [ocr errors] Puomo hà in fe fteffo d'eternità.  L'Ira è un vizio, che deforma li suoi seguaci, li quali conforme diffe un sayio Letterato, molto da me stimato, eriverito, fe questi li potessero rimirare nello specchio , allora, che sono nel suo furore, yedendosi divenuti così deformi, e trasfigurati in mostri,odierebbono,non solamente cal vizio , anziche se medesimi; Modo tenuto dalli Spartani,che per fare concepire orrore all'ubriachezzas conduccyano li loro figliuolini in certo tempo dell'anno, nel quale fi concedeva libertà d'ubriacarsi, in luogo publico , affinche questi vedessero , che deformę spettacolo cagionava tal vizio, per concepirne in avvenire di esso maggior spavento . Voi dunque per meglio apprendere à che segno dobbiate tenere lontana da voi l'ira, non accaderà velo moftri con parole , essendo di maggior efficacia , che rimiriate con li vostri propri occhi , in chi si trova adirato, più al vivo una tale, c tanta deformità, giacchè:  H 2Segnius irritant animos demiffa per  aures  [ocr errors] Quàm quæ funt oculis subiecta fide  "libus, E così comprenderete meglio ancora , se tal vizio sia tollerabile nel Medico, che deve avere sempre l'animo compofto , conforme comanda Ippocrate de Medico : Eum quoque spect are oportet, ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm , verùm etiam reliquâ totius vita moderatione , quod ad illi comparandam gloriam plurimum affert adjumenti ; e più chiaramente, ancora lo comanda in altro luogo, (a) dove dice: Ne quid perturbato animo facias ; Ed è la cagione appunto di ciò, perchè il Medico, che deve invigilare con somma attenzione alle cure de' suoi Infermi, non deve avere la mente turbata, per poter meglio discernere li partiti megliori, e più profittevoli, che dovrà prendere à prò de fuoi Malati, ed à tale effetto Ippocrate comanda, che sia incombenza del Medi  co (a] Inlib de decora.  co il sedare litumulti, ordinandoli ef pressamente:(6) Tumultus verbis caftiges, G ad omnia fubminiftrandi te prome  ptum adhibeas.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Converrà però prima in voi medesimi se mai foste dall'ira predominati, che sediate li vostri interni cumuli, per poter muovere più facilmente glaltri con il vostro buon'esempio ad imitarvi.  Mà vi sono alcuni Iracondi, che credono essere cosa nociva alla salute il ceprimere in un subito li loro primi moti, onde per tal cagione lasciano termin nare il loro corso : Mà quanto questi s'ingannino lo fà vedere Ippocrate con dire :(c) Ira contrabit , cor, pulmonem in fe ipsa, din caput, & calida , bumidum; il qual testo Vallesio così la spiega : Ira eft furor fanguinis circa cor c. hinc  fit ut fervente Sanguine,cor , pulmo , & caput calefcant , & repleantur. Nimirùm fanguis fervore tumet, & venas, arteriasque tumefacit, fed ob vebementem calorem, qui illis in locis eft, co contrabitur  ubi[b] Dodec.hab. [c] 6.Epid.fe5.4.,  [merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] H 3  ubique fanguis. Undè fit, ut multis ob iram oculi, du vene frontis intumefcant, & tota facies rubore suffundarur , eo tempora pulfent , & caput doleat , quin do febris fuu perveniat . Si persuadono dunque questi, che gl'accennari danni che cagiona l'Ira à parti sì principali, sia più vantaggio di pazientarli, che di rimuoverli?  Onde non dovrete in conto alcuno farvi dominare dalla collera, e non solamente per quello che riguarda la buona direzione della cura, mà ancora li vostri proprj avanzamenti, stanteche quel povero Infermo pur troppo annojato dal suo male , avvedutofi, che ancor voi gli accrefcere moleftia, adirandovi per ogni piccola cagionc,se ne disfarà facilmente per non potervi più soffrire.  La Superbia nella Medicina à che segno sia deforme riflettetelo in Menecrate Medico, che insuperbito forfe per effergli alcune piccole cure riuscite felici, ed ayer sentito dire, che Esculapio, in quei tempi rozzi per tal cagione fù annoverato trà Dei, egli volendolo su  pe  [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][merged small] perare, scrivendo ad Agesilao Ř è de Spartani ; pose nella soprascritta : Ager filao Regi Menecrates Juppitèr ; gli calzò bene però la risposta, che gli fù data da quel saggio Rè in tal guisa : Menecrati Medico Agefilaus Rex mentis fanitatem; nè fù ciò sufficiente per reprimnere la sua superbia , mentre riferisce Leone Sansio, (d) che : Eo furoris in hoc genere delatus eft , ut quofcumque liberaffet à morbo jurejurando anté sanitatem rcceptam adıētos , Jecum deindè benevalentes adduceretistatis temporibus tamquam  fervos; atquè jatellites, eâ tamen lege, ut alius quidèm Herculis insignibus indutus ; alius Apollinis babitum gerens ; alius Mercurii perfonam fuftinens , alius aliumi mutatus in Deum, Menecratem, utpote Jovem Optimum Maäimum Dii minorum gentium sequerentur. Onde converrà, che la teniate lontana da voi , per non essere stimati pazzi, e maggiormente quando vi troverete nell' auge delle vostre prosperità , perche allora la superbia molto vi potria nuocere,  fc [d] In Florid.9.prafat.  [merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small] H 4  se foste da efla dominati, allora vi sforzeria à distaccarvi dalli vostri più antichi, e cari amici, solamente perche vi conobbero prima, che le vostre fortune incomincialfero : E pafferia ancora più oltre allora il suo ardire, fe ella potesse dominaryi à suo modo, meiltre vi faria prendere tal compiacimento di tutte le vostre, sì grandi, che picciole opere, come se fossero singolari, e da niun'altro fattibili à quella perfezzione, che voi fatte l'avrete, senza permettervi punto d'indugiare å formarne concetto, con forine far fi deve delle cose proprie , almeno fino a tanto, che dal tempo fiano tolte dalle mani dell'Adulazione, e pofte in quelle della libera sincerità, à fines che doppo averle ben confiderate dia loro il suo giusto valore, secondo il quale , e forse meno deve stimare le cores proprie, chi si trova in prosperità di fortuna , per goder egli il favore dell'adulazione. Onde in tutti gli stati , e maggiormente in quello di prosperità, nel quale sarete più oiservati da tutti doveteseguitare l'ottimo conseglio d'Ippocrate , (e) che dice : Medicum urbanitater quamdam fibi adjunétam babere convenit, affinche possiate effere da tutti tenuti cortesi, umani , e senza superbia.  La defiftimazione, ed il disprezzo del compagno è un vizio dependente dalla superbia, onde develi dal vero Me dico abborrire, al parere d'Ippocrare: Ne superbus , do inhumanus videatur ; E tanto più , che deve essere d'animo modesto, e cemperato , di ottimi coitumi, umano, e giusto, conforme egli giudicò nel libro de Medico : E se il Si. gnore diede à voi maggior talento degl' altri vostri compagni, perche nel coufronto, che ne fate, in vece di ringraziarlo, mostrate più tolto di biasimarlo, con dire, che difetraffe in non fare uguale à voi chi è d'inferiore capacità di voi, potendo il disprezzato rispondervi : Ipfe fecit nos, & non ipfi nos; Dunque, che colpa è la mia 2 E non avendo voi ragione da dotervene meco, prendeteveland  con Tel Dedec.org.  [ocr errors] con chi mi hà fatto ; sicchè fuggire pure   fimil vizio, che può ancora paffare più   oltre,inentre da quel disprezzo,da quel-  la disistimazione nascendone il discredi-   to del vostro compagno, chi sà, che non  vi facessero divenire pessimi Medici, fer-  vendovi di caloccasione per procurare  qualche servigio di colui, che fù da voi  posto in discredito? Olère di che;chi fos-  te mai di simile viziosa natura disprez-  zeria ancora bene spesso quelli piccoli  mali, che in breviffimo tempo possono  divenire giganti con non piccolo disca-  pito della sua esistimazione.        Qando mai potessero fcufarsi, che  non credo , in alcrui li vizj spettanti alla  gola, che sono la crapula, e l'ubriachez-  za , nel Medico sempre faranno molto  condannati, perche dovendo egli gior-  nalmente opporsi a' defideri depravati  de' suoi Infermi, con ordinar foro las  dieta, come mai potrà persuadergliela,  se non gli darà egli buon'esempio? Fa-  cendo più profitto questo di qualunque  ragione, al parere di Seneca, che vuole,   che  [ocr errors] 1  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] 20  che (f) Longum iter eft per præcepta, bre  ve, & efficax per exempla. E se poi de' la vostri disordini ne fossero stati spettatori in li vostri Infermi, come mai potreste per  fuader loro il contrario, di ciò, che voi seco faceste? Se volete dunque essere ub  bediti fiate fobri, e tali certamente dooi vrete essere, se non vorrete essere peg{ giori de' bruti stessi, perche conforme  riferisce Ippocrate:(g) Sitit quidem Aper, oli sed quantum aquæ appetit, Lupus vero di.  laniato quod Je se obtulit necesario alimento, quiescit; Mà quando tutto ciò non vi bastasse vi doveria far abborrire que fti vizj la sola rifellione, che questi poffono ó abbreviarvi la vita, ò per la meno  rendervela penosa, fino, che viverete. co  Non essendovi cosa nel mondo più nociva della Lussuria, chi potrà mai scue farla negl’uomini, quando, che la vedianio sì moderata , e sì ben' regolata dal solo istinto di natura in quasi tutte le bestie prive dell'uso di ragione , alla riserva folainente di alcune poche , trà  quali (f) Epift.6. [5] In cpif.Demag:  [ocr errors][ocr errors] ti  [ocr errors] quali vi sono quelle , che più s'assomis gliano all'uomo, che sono li Scimiotti, e Gatti mamoni, rare volte li bruti à confusione de' sensuali fi  veggono  do. minati da detto vizio, se non sono proffimi à quei tempi destinati dalla natura, per la moltiplicazione della loro fpecie, solamente il Lussurioso è più brutale di effi , che non ha in ciò  hà in ciò tempo determinato, essendo in ogni tempo dominato dal suo vizio, che lo consuma , & annichila, conforme riferisce Ippocrate : (b) Ep annorum quidem temporum ordo terminus eft brutis ad choitum, at homo perpetuò insano libidinis aftrostimulatur.  Qual'estro infano di libidine faria più , che in altri detestabile nel Medico, fe non lo sapeffe reprimere con la sua continenza , posciacchè dovendo egli giornalmente conversare con donne conforme avverti l'istesso Ippocrate:() Et omni horâ mulieribus , virginibus illi occurrunt; Sicchè Iddio guardi, ch'egli non corrispondesse con tutta fedeltà à  quella (h) In epift.Damage (i)  De doc.ork  [ocr errors] per ca.  quella somma confidenza , à cui  gione della sua profeflione; viene am-  meslo, diverria ogni suo trascorso reato  gravillimo, sì proprio, che della pro-  fellione isteffa , talınente, che l'innocen-  te Medicina ancora ne faria calunniaca.  Onde voi, che desiderate far molti pro-  grelli in essa , dovrete vivere lontani, e  detestare simil vizio ; Altrimenti perde-  reste ogni speranza di fare un minimo  progresso in effa ; Converrà dunque,che  fedelmente offerviate il seguente giura-  mento d'Ippocrate : Juro &c.fed castam,  bu ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm  ætatem meam perpetuò præftabo.   Ecercamente, che non dovrete fare diversamente, sì per li vostri avanzamenti, che per profitto delli vostri Infermi, mentreche, come mai potreste applicare con attenzione alli vostri vantaggi, alle cure de' vostri Infermi, se le vostre menti in quel tempo divagassero altrove, e fossero distratte in linili oba brobriosi pensieri ? Confido dunque,che con la vostra prudenza, e temperanza  [ocr errors][merged small] nonnon sarete per cadere in simili reati , che sono detestati da putti, per essere mancamenti commessi in mestiere di buona fede, conforme è la Medicina,  L'Ingratitudine è vizio ancor esso detestabile, per essere aborrito ancora dalle fiere, essendosi osservata tal’una di esse aver usata gratitudine al suo benefattore ; mà questa sarebbe ancora più detestabile, se nella Medicina seguisse , che lo Scolare si mostrasse ingrato al suo Maestro, mostreria certamente, è una natura molto perversa, ò di aver perduto l'uso di ragione, mentre qual gratitudine mai potria egli sperare, che non l'usò à cui tanto era tenuto, quali progrefli mai potria fare, allontanandosi da chi gli porge la mano per sollevarlo, e promoverlo? Credo,che un simile yizio, Ò Giovani generosi farà sempre lontano dalle vostre menti, conforme deve stare dalla mente di chi spera divenire Maestro, per il motivo di non aver à ricevere il fimile contracambio da' suoi Scolari, che stimolati dal suo mal'esempio faria  facile  facile loro riuscissero essi ancora ingrati.  Quindi è, chę Ippocrate per esimere li  suoi Şcolarida un fimile obbrobriofo ar-  tentato gli faceva obligare con poliza  e promettere con giuramento le seguenti  cose: Juro , & ex fcripto Spondeo planè  obfervaturum, Præceptorem quidem , qui  me hanc artem edocuit , Parentum loco ha-   biturum , eique cùm ad viftum, tùm etiàm  ad usum neceffaria , grato animo communi-  çaturum, & fuppeditaturum, ejusque poftea   ros apud me eodem loco   9.quo germanos fratres, eofque, libanc artem addifcere volent,absque mercede, fyngraphâ edoctu  [ocr errors][ocr errors][merged small] rum &c.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Da un'altra poco inferiore ingratie tudine spero vi guarderete voi, che ambite avanzarvi per la via delle virtù , & è, che se sarete da qualche vostro come pagno fatti chiamare à dar consiglio, ò in loro assenza sostituiti à curare tal* uno de' suoi Malati , non tramerete contro loro insidie , per subentrare in sua vece , stanteche tal’enorme ingratitudia ne, non è usata, fe non da quelli, che sono ignoranti, e che diffidano per la buona via delle virtù potersi avanzare ; e per tal cagione si servono di quella del vizio ; Onde con ragione consigliava Ippocrate al Medico à non prevalersi delli Softituti ignoranti , ftanteche de’loro errori ne resta debitore colui, che li propone, in questo caso però non ne re, steria punto debitore, poiche pagheria il mancamento commesso con la sua elpulfionc , & affinche non abbiate da ri, cevere fimile ingratitudine v'iinpegnerete quanto meno potrete di promovere ignoranti, e maliziosi ,  34 0  fono  e  €  L'Invidia, che per lo più proviene dalla mancanza di ciò, che fi desidera, è da altri si vede possedere , come la po. trere seguitare senza condannare voi stesi inabili à potere conseguire ciò, che bramate , avendolo potuto ottenere un' altro vostro compagno, questa non vi avyedete, che vi fà dichiarare da voi medesimi da poco, e codardi ? Onde impiegherete aflai meglio tutto quel tenipo,e pensieri,che malamente li spregano  [ocr errors][ocr errors] in invidiare il bene altrui, con cercare di conseguire ciò, che desiderate , per le sue yie proprie, & oneste, e credetemi, che questo vizio non regna se non negli animi vili, e codardi , trà quali voi, che avete abilità, e spirito vi dovete vergognare di esservi annoverati,e tanto maggiormente, che questi viziofi furono da Democrito giudicati ancora stupidi, ed ignoranti,allorche ad Ippocrate disse:(a) Et certè fufpicor pleraque in Arte tuâ aut per invidiam, aut per ingratitudinem palàm contumeliâ affici ; & in appresso dice , Cum fint ignorantes , quod melius eft dama nant , calculoruin enim fuffragia stupidis attribuuntur, nequè ægrotantes fimùl ap  probare volent, neque ejusdem Artis focii bi teftimonio confirmare , cùm invidia obfter  Gr. Veritatis enim nulla eft cognitio, nei què teftimonii confirmatio,  Ed è certamente cosa assai difficile, i che li seguaci di simil vizio poffino con  tenersi nel semplice desiderio di ciò, che da essi è invidiato, senza passar più oltre  [ocr errors] ne  (a) In epift.Damaget.  in procurarlo ancora , e con modi ignominiofi, anziche si serviranno talvolta della calunnia, e dell'inganno, per confeguirlo, e vi pare, che simili maniere fiano degne del vero Medico rationale ? Quando Ippocrate (b) giurò, che : Medicum ratione utentem, alterum numquàm invidiosa calumniaturum? Mà che siano modi praticati solamente da quelli, che Forensem quæftum fectantur , trà quali non faria convenevole, che voi fofte annoverati.  Mà acciocchè possiate mantenervi lontani da simile obbrobrioso yizio, sarà necessario, che vi dia alcuni utili avver. timenti, che sono: Vedendo yoi avanzare qualche vostro compagno nellinegozj,è cosa nacurale,che fentiate dentro di voi un certo stimolo, che incomincicrà da principio a farvi contriftare,e questo sarà appunto il primo seme, che insinuerà dentro di yoi l'invidia per farvi divenire suoi seguaci, di questo, affinche efla non trionfi di voi, è servitevene disprone per avanzarvi ancor voi, con   imitarlo, se il detto vostro compagno  opererà conforme si deve, ò di remora,  fe vedrete , ch'egli si avanza per la via  del vizio, ed in tal caso, con riflettere  solamente, che à voi non conviene d'in-  vidiare ciò, ch'è disdicevole al vostro  onore, detto seme verrà in un tratto di-  Itrutto. In oltre sappiate, che non do-  vete rimirare solamente l'efteriore com-  parla, che fà il vostro compagno, mà  ancora dovrete rillettere à quanti disag-  gi, che talvolta soffrirà egli per effajalle  fatiche eccellive,all'inquietitudini grane  di, alla scarsezza del tempo, ch'egli hàg  che gli toglierà ancora il riposo necessa-  rio, le quali cose se tutte le rifletterete ,  certamente in vece d'invidiarlo , più  tosto lo compatirete, e direte con Vir-  gilio :    Non equidem invideo miror magis.   A tempo di Seneca vi era un certo vizio vagabondo, chiamato da lui Core curfatio, che necessitava li suoi scguaci andar girando continuamente per las  I 2  Città  [ocr errors][ocr errors] Città allo sproposito cercando li negozi senza aver prima determinato nella loro mente quali, mà solamente quei, che à ventura si presentavano loro d'avanti, e questo tal vizio lo descrive  per  un'inquieta dapocaggine, un perdimento di tempo, con non altro profitto,che d'una certa stanchezza di corpo,acquittata per tanto girare ora in quà , ora in là.  Galeno, conforine egli riferisce nel principio del suo merodo , fù da alcuni di quelli, che pareva, che l'anassero più degl'altri , stimolato fortemente à seguitare questo vizio, dicendogli, che se non tralasciava d'essere tanto indagatore del vero, e non si accomodava allo stile di quel tempo, d'andar girando tutta la mattina, à visitare per complimento li Signori, e la sera d'andare à cenare seco, non saria stato amato, nè averia contratto le loro amicizie, riferendolo appunto in tal guisa : Me verò ex iis , qui me unicè diligere funt visi, nonnulli fæpè increpant , quòd plus justo veritatis studia Jim addiétus , quafi nec mibi ipfi ufui , niec  ipfis  [ocr errors] [merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]  ipfis in totâ vità fim futurus , nifi, & ab   hoc tanto veritatis indagande studio defi-  ftam, da manè salutando circumeam ,   vefperi apud potentes cænem. His enim   artibus tum amari , tùm amicitias conci-   liari, tùm verò pro artificibus haberi &c.   Ed in tanto non volle egli condescende-   re à farlo, perche la giudicò per cofa   impropria di chi era seguace di ottimo   Maestro, soggiugnendo in appresso da-   poi averne commendato alcuni di que-   fti : At horum nemo , nèc mane potentium  fores ipfos falutaturus , nè vefperi cænatu-  rus frequentabat , fed ficut Hefiodus cer,  cinit :     Namque alium ditem cernens cui deeft,     quod agatur :  Ipfe folum vertit tauris, & semina        ponit.  Onde fuggirete ancora voi simile vizio,  se desiderate d'essere veri seguaci d'Ip-  pocrate.       La Pertinacia, e lo spirito di con-  tradizzione sono due difetti nel Medico  di sommo rimarço, e non si possono per   con  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] I 3  conto alcuno in lui scusare ; se vi contaminasse mai il primo, vi costituirebbe ignoranti, cogliendovi quella bella proprierà, che hanno li Dotti, ch'è : Sapientis eft mutare confilium ; vi faria anche di peggio,che vi costituirebbe simili alle bestie, perche farebbe divenire ancor voi incapaci di ragione , e perciò venendo esclusi dal commercio degl'uomini savj cosa fareste infectaci di simile vizio? Se poi, che Iddio je me liberi fofte invali da quel 'cattivo spirito di contradizzione y guai alli vostri Infermi, perche venendo loro proposto da altri ciò, che si deve, e voi non volendo, che fi eseguisse , mà più tosto in vece di quello , altra cosa contraria, come anderebbe l'a cura facendosi à vostro modo, se foste ancora pertinaci? Ippocrate insegnò à questo propofito ciò che si debba Fare, e che ne risulti di male facendosi diversamentc , & è:(0) Neque fanè indecorum fuerit fi Medicus in rei præfentis anguftiâ , circà agrum verfaturz imperitiæ etiam tenebris circumfufus , alios quoque accerfiri jubeat, quo communi confilio , que in rem agri sunt disquirantur, & illi ad præfidiorum facultatem operas fuas confoTint; e cosa ne seguirà seregneranno trà di essi questi vizj? De eo munimini ambitiosè contendere, se ipfos ludibrio exponere, Sicchè voi , che sperate divenire veri Medici Ippocratici, vi converrà tenere lontani da voi tali vizj, che tanto vi potriano pregiudicare.  etiam [C] Hipp.præcept.  L'Avarizia fù talmente odiata da Ippocrate, che se avesse potuto l'averia del tutto sbandita dal mondo, poiche scrivendo à Crateva erbario famofiffimo de' suoi tempi, così appunto gli manifeftò il suo desiderio : Quod si Crateurs amaram pecuniæ cupiditatis radicem excindere poffis , ut nulla ejus reliquia extent, hoc probè teneto, quod unâ cum hominum corporibus , etiàm malè affeétos purgaremus, fed hæc quidem in votis habenda : Tanto scrisse Ippocrate, con tuttoche non gli fossero ancora giunti à notizia li documenti di Demnocrito , cheportandosi poscia alla sua cura in Abdera da lui medesimo sentì , trà quali vi fù questo contro l'avarizia: (d) Quinàm enim Leo aurum defolium in terrum abdidit? Quinàm Taurus , alienum ufurpandi cupiditate , ad prælium impetu quodam delarus eft &c. e con ragione così esclamava Democrito scorgendo l'uomo caduto in tal vizio peggiore de'bruti.  Quanto mai cresca la deformità dell'ayarizia in chi è avanzato negl'anni sentitelo da Cicerone:(6) Avaritia senilis vituperanda eft maximè : Poteft enim quidquañ effe abfurdius , quàm quo minus via restat , eò plus viatici quærere?  Mà più d'ogn'altro la saria obbrobriosa nel Medico , perche essendo stato da Ippocrate dichiarato fimil vizio per male più grave della pazzia, cgli farà tenuto non solo di crederlo tale, mà ancora di medicarlo, onde se in vece di far ciò lo procurasse, ecustodisse in femedesimo con diletto , in qual trascorso egli incorreria? E certamente più grave,  e me  [d] inefiß.Damag. [e] In Cat,Maior.  [blocks in formation] e meno scusabile faria, che in ogn'altro, per non aver egli apprezzato li documenti d'un tanto Maestro, che sono li seguenti: (f) Miserabilis sanè eft humana vita , quòd ad eam totam intolerabilis are genti cupiditas, velut hybernus flatus pervaferit, ad quem morbum infania graviarem curandum , utinàm Medici umnes potiùs concurrerent. E lo dimostra in termini precisi altrove , () dove così saggiamente consiglia : Neque verò exigenda mercedis cupiditate duci oportet, nifi ut ad artem edifcendam tuos inftruas , fuadeoque nè in eo inhumanitèr nimis te geras, fed & opum affluentiam, & facultates refo picias, interdùm gratis cures , itaùt memoris gratitudinis potiorem,quàm præfentis existimationis rationem habeas. Quòd fi thofpiti, vel egeno largiendi occafio se te offerat his , vel maximè fuccurrendum eft. Qui enim erga homines humanum fe exhibuerit, is artis amore teneri censetur. Cofa dirà l'Avaro , & altri viziosi leggendo, tanti ottimi consigli, dati loro da Ippo  crate? [f] In epif. Senar. Abderit. [5] Inlibede prai:  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] crate 2 Mi persuado; che quello appunto , che diffe Quinto Pecilio Pretore Urbano, riferito da Livio, allorche ebbe terto li libri di Numa Pompilio, che erano stati tanti secoli sepolti : Se fe eos in ignem coniecturum , perche , dos legi, fervarique non oportere; e questo perched non per altro, perche egli era Pretore, e non gli compliva, che altri sapessero , che molte cofe, ch'egli faceva erano mal fatte , poiche que' libri altro non contenevano, che di rimuovere ciò, che non era ben fatto, e ciò, ch'era sommamente pregiudiziale al popolo, trattandosi in quelli De diffoluendis falfis religionibus.  Questo vizio certamente non farà scusato da chi è di mente sana , nè da chi ben riflette à quanti disaggi mai soggiacino li miseri Avari senza potersi sapere ad utile di chi lo faccino. In beneficio proprio certamente che nò, poiche non altro, che travagli ne ricavano dal cumulare, che fanno ; A prò degli Eredi 2 nè tampoco, perche se potessero immaginarsi , che gli Eredi volessero  go  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] godere con ispendere liberamente, priveriano fubitamente dell'eredità, fic. che di questi solamence Padrone ne rimarrà l'avarizia , inentre per sodisfarla esi cumulano , c questa , che ne farà di tanti avanzi ? facilmente non sapenda servirsene li consegnerà al lusso, affinche disipandoli in un tratto ne impingui altri Avari.  Ippocrate odiava il lusso grandemente, à segno , che compose un libro contro di effo, ch'è appunto quello De Decenti ornatu , nel quale non solamente incarica à Medici di fuggirlo , mà dà ancora per cagione del lusso il modo di distinguere li veri Medici da Parabolani, de quali ultimi parlando, così dice: Si enim conventu facto ambitiofa, e quem fuofâ fuâ profeffione decipientes in urbium circulis verfantur, Quos ex veftitu , cum cæteris ornamentis, quis cognofcere poterit, quin etiam quò fumptuofiùs ornati fuerint , cà majori odio adversandi , ab eis, qui eos confpexerint , fugiendi ; dove de veri, e buoni Medici cosi ne parla : Quia  bus  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] bus non ineft exquisitus, nequè cariofus ornatus, qui fe fe excultus venuftate, cu frugalitate, non tam ad fuperfluam curiofitatem,quàm ad optimam existimationem, prudentiam, e animi moderationem compararunt , ad inceflum verò eo femper sunt habitu ; Sicchè dal Medico seguace d'Ippocrate devesi fuggire il lusso per quanto gli preme la propria riputazione ; certe mode straniere, e galanti non gli competono , come si legge (b): Peregrie nus cultus immodicus calumniam tibi com. parabit .  Tiberio s'ingannò, allorche propoftofi in Senato di proibire il gran luffo di quei tempi, essendo egli di sentimento contrario, persuadendoli, che in lasciarlo correre à briglia sciolta, da se medefimo si faria stancato, e perciò disse : Nos pudor , divites satietas, pauperes egestas in meliùs mutet; qual vergogna ne' suoi {moderati succeffori punto non si mirò mentre in Nerone si vidde à che segno s'inoltrasse il lufto. Mi persuado però,ch'egli si volesse ingannare per altro fine   politico, mentreche girandosi dal lusso  continuamente la ruota della fortuna ,  gli compliva più di vedere tante muta.  zioni di stato ne' suoi sudditi, che disau.  torato chi li cagionava, e tanto mag-   giormente che avendo questo vizio un  dominio tirannico s'uniformava al suo  governo . Tiraneggia per verità il luffo  li suoi seguaci , mentre l'impoverisce  e vuole eliggere da tutti gradimento di  quanto male fà loro. Ordina , che dalla  Persia , e dall'Indie sia trasportato un  drappo non più veduto , forza li suoi sem  guaci à prenderlo ad ogni maggior co-  ito, e fà, che oltre il gran dispendio  ringrazjno quel Perfiano, quell'Indiano  ancora, che lo portò, perche appagò il  loro desiderio , li quali ne resteranno fa-  cilmente ammirati, non meno di quello  ne rimanesse Tacito , allorche li Romani  per abbassare gl’animi dell’Inglesi, li fe-  cero assuefare à molti costumi loro, e da   essi non più praticati, e l'appresero per  foimo favore , mà ben se ne ayvide Ta-   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] cito del fine, che in ciò si aveva dicendo: (i) Que humanitas cenfebatur, cùm efet Species fervitutis.  L'Infedeltà, e Fellonia sono vizi confederati, e detestabili in ogni qualità di Persone, mà più d'ogn'altro nel Medico, posciache ogn'uno ciò, che ha di più prezioso, che sono la vita, e l'onore glielo fida; Onde se csso mancaffe, à cui gli prestò tanta fede, che gastigo mai li potrebbe trovare de' maggiori, che lo potesse punire à bastanza , avendo commesso un reato di fimil forta, un mancamento di buona fede ? Sicchè odiateli pure simili vizj esecrandi, conforme l'abborriya Ippocrate, non volendo insegnare la Medicina à chi non aveva giurato prima sù tutte le Deità ciò,che segue, cioè: (1) Nequè cujusquam precibus adducturus , alicui medicamentum letale propinabo , neque hujus rei author cro , nequè simili ratione mulieri pellum subdititium ad fætum corrumpendum exhi  bebo,  (i) In Vita Agricola.  11) In lurejuri Hippocr.   [ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] bebo, fed caftam, ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm diatem meam perpetuò præftabo . Sicchè con ragione, e con giusti motivi verrà escluso chi mai in fimili vizj cadesse dall'effer vero Media co, e degno seguace d'Ippocrate,  Non è piccolo difetto nel Medico l'essere troppo curioso di quelle cose , che non fanno al suo mestiere, conforme tra l'altre sono li fatti domestici de' suoi Infermi; onde da tal vizio ye ne dovre. te aftenere,perche tal curiosità vi potria tenere distratti da quel negozio, à cui dovete principalmente applicare, ch'è il ben dirigere le cure de vostri Infermi, come y'astringe il giurainéro d'Ippocrate,ch'è questo:In quafcumque domos ingrediar , ob utilitatem Ægrotuntium intrabo.  Mà di più di questa ancora può efa fere viziosa la troppa curiosità delle cose moderne, e peregrine, e particolarmente ne' Medici giovani, che non pofsedono ancora la Mcdicina à quellas perfezzione , che fi richiede ; onde da questo vizio v'asterrete , sì perche vi fa  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] ria divagare inutilmente in cose, che ancora dal tempo non sono state ben digerite , come ancora vi terria lontani da ciò, che farà necessario di fare, cioè d'impossessarvi bene di quanto è stato da molti secoli confermato, à segno, che diverreste periti nelle novità incerte, rimanendo inesperti nell'accertate da lungo tempo , quali poscia sentendole vi giugneranno nuove ,. sopra di che mi riporto à ciò, che disli nella secondas Giornata , nella quale mostrai, come vi dovrete regolare per divenire Medici. Solo ora vi foggiugno quello, che à questo proposito ne dice Ippocrate, ed affinche meglio discerniate tutto il vizioso, per tenerlo lontano da voi: (m) Multæ namque ad ambitiofam quamdam operam comparat& videntur , ea videlicet , qua de nulla re utili quaftiones agitant ; E quali siano le cose utili nella Medicina, lo spiega in appresso soggiugnendo : Priusquàm verò ad Ægrum ingrediaris , fac cognitum habeas quid agendum fet ;.  ple(m) De dec.org.  che  pleraque enim non ratiocinatione , fed au» dia  xilio indigent : E se ciò non fosse chiaro ida  à sufficienza passiamo al libro De Fractua cioè  ris, dove parlando de' Medici , qui sao da  pientiam fibi falsò arrogant , così chiaracha mente dice : Verùm enimverò multa hoc stil modo hac in arte æftimari folent. Quod la enim peregrinum eft , nèc dùm conftat an en utile fit, confueto, quod jam norunt utile  elle anteponunt , quodque ab ufu communi day abhorret ei, quod eft probè cognitum ; e non evi vi sia discaro di sentire quanto mai à ci proposito redarguisce Ippocrate coloro, ei che vanno cercando le belle idee : (a)  ei Hujufmodi igitur , ubi præellem non tàm de vi curandi ratione cum illis conferrem, verùm, m ut auxilium ferrent audactèr peterem : Veo d. nuste enim cognitionis intelligentia apud eito istos Sparfa eft , cum igitur , bi ex necesitait; te indocti existant, eos ad utilem exercitaci- tionem cohortor, ubi prçceptorum cognitione .: deftituuntur.  L'Ozio padre di tutti li vizj, se non t; lo terrete lontano da voi, vi potria farperdere tutto ciò, che di buono aveste mai acquistato; Egli è capace di farvi nauseare le virtù , d'arrestarvi nel mezo della vostra carriera, d'abbatęrvilo spișito , e finalmente di trasfigurarvi in quella mostruosa figura, che più sarà di suo genio, e sențite appunto, come ne parla Ippocrate di questo pessimo vizio: (b) Quod enim otiofum eft , nilque agit ad improbitatem viam affectat, ad eamque rendit ; Talmente che per divenire voi yeri Mcdici, dovrete fuggir l'ozio , deftruttore d'ogni yostro bene; c per ciò farç, vi dovrete ancora astenere dalle frequenti musiche, dalli ridotti de' Novellifti, e da altri consimili divertimenti, ne? quali non si puol'acquistare altro, che dį pascere inutilmente la curiosità, ed il proprio genio , e ciò con ragione fi puol giudicare tempo perduto, perche profitto alcuno da essi non se ne ricava.  Gran infortunio sarebbe della Me. dicina, quando v'entraffe la Malizia à corteggiarla, avendo questa già impa  rato  (h) Dedecenti babits,  [ocr errors] rato adimitare tutte le bạone virtù con finzioni soprafine , ed in che guisa, ne parleremo più diffusamente in appresso; Solamente ora vi avvertirò, che se tal?  uno di yoi reftasse mai inferrato da fimi31 le vizio diyerrebbe subito uniforme à 1 quei Medici descritti da Ippocrace :(9)  Qui quidem Perfonarum, quæ in Tragediis producyntur maximè fimiles esse videntur ;  mentrechę farebbe tante comparse difi ferenti, quante gliene dettasse la sua madi lizia nelle congiunture à lei opportune , ci mà come termineria la tragedia lo moAd stra Ippocrate chiaramente doppo aver N avvertito, che Orium , ignavia mali  tiam quærunt, soggiugnendo: (d) Hi enim - Sunt, qui fora frequentant , ruditate, ac Ti infcitia sua imponentes, & circulis Civita  tum verfantes ; Talmente che per non cheffer yoi posti nel numero di Parabolani  necessariamente vi converrà fuggire , afe e detestare fimil vizio . Il timore, e l'ardire , con tuttoche K 2  sem-  (c) In Hippocratis lege.  (d) Hippoer.de dec. habitu.   [ocr errors][ocr errors] 2.  [ocr errors] sembrino trà di loro contrarj, nulladimeno vengono molto biasimati da Ippocrate nel Medico, dichiarandoli in lui per segni viziosi d'ignoranza, dicendo egli : (e) At verò imperitia malus eft thefaurus , malaque opes reconditæ iis, qui ram tùm opinione ipfi, tùm revera possident fecuritaris animi, du lætitiæ expers, timiditatis, & audaciæ nutrix; Ac timiditas quidem impotentiam , Audacia verò artis ignorationem arguit. Perloche non di potrete nè segúitare, nè scusare, nè anco sotto lpecie nel primo di circospezzione, e nel secondo di spirito, perche diversi sono trà loro il timore, e la circofpezzione, l'ardire, e lo spirito . Il timore vi farà perdere l'occasione pronta , che vi si presenterà di operare per non faperla voi conoscere, ma non già la circospezzione, che nasce dal poffe dere molto bene ogni danno , ed ogni profitto, che ne poffino risultare da ciò, che voi farete, onde questa vi renderà folamente per breve tempo irresoluti,  e fino (e) Hipp Text.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] e fino a tanto, che averete bilanciato il bene, & il male, e conosciuto, ch'avrete quale delli due prevalga , sarete prontissimi esecutori di quanto avrete deliberato. L'ardire poi per essere temerario vi porterà con violenza ad operare , onde non vi farà diftinguere quando ve ne dobbiate servire , dove, che lo spirito , che vi rende perspicaci, & accorti, Ve. lo farà ben capire , quando fia tempo. opportuno di farlo, conforme egregiamente avverti Ippocrate : (f) Temeraria namquè proclivitas, do promptitudo,quam. vis valdè fit utilis, despectui eft , at confiderandum quando bis uti liceat.  L'Odio è un vizio, che trà li maggiori può divenire il primo, quando fi stenda fino alli ultimi confini della sua iniquità, cioè alli benefizj ricevuti, pafsando allora à quell'esecrando reato , che solamente trà gl'uomini regna, esfendone le bestie più fiere esenti, conforme da tanti esempj registrari nello Istorie si può comprendere, & in ispecie  di (f) In lib.de Medica  [merged small][ocr errors][merged small] K 3  [ocr errors] [ocr errors] di quel fiero Leone , che nell'Anfiteatro Romano il' véce di divorare il suo Beriefattore condannato ivi ad bestias, lo difese dalla violenza delle altfc, mà quellos che si rende più considerabile, si è, che alle volte' , quanto č maggiore il benefizio, tanto più viene perseguitato dall'odio, giacchè al parere di Tacito: (g) Beneficia coʻusquè leta sunt , dùm videntur exfolvi poffe, ubi multum antevenere pro gratia odium redditur; Darebbe l'animo à voi non dico di seguitare' vizio sì obbrobrioso, e ripugnante' ad ogni  in il pretesto del naturale di chi lo segue , inclinato a farlo, per non potersi moderare. Senticenc però prima d'impegnarvi à ciò, cosa ne diffe ad Ippocrate, quel grand’amatore della giustizia Democrito:(b) Plerique' verò quæ natur& hoc adSéribentes Benefactorem odio' habent, co parům abeft ut indignè ferant fi debitores effe puténtur , fed eu pleriquè artis ignorantiam in se ipfis habeotes, a imperiti  (g) Annal. lib.4. [h]. Epiß. ad Damageexiftentes, id quod meliùs eft purgant intero   stupidus enim fiant suffragia. Talche il   solo sospetto d'essere infetti da un fimile   vizio, vi renderia incapaci per sempre   di quanto voi bramate conseguire.       Quanto mai sia difficile d'esprimere  tutte le trame dell'ingarinoz ed impostu-  ra, sentitelo riferire da Ippocrate in tal  guisa : (i) Difficile eft multorum malorum  machinatricem folertiam verbis exprime-  re, cum eorum fit infinitas quædami din  bis cum dolofis conimentis prava mente in-  ter le conversentur; apud eos autèm virtu-  tis modus habetur , quod eft deteriùs; men-  dacia enim amant, do in bis fe exercent,   voluptatis ftudium extollunt; legibus mini-  me parentes a   Certamente che meglio non fi poteva da Ippocrate esprimere l'inganno vizio tanto diletto da' maližiofi Impostori, mentre da questi li modi più improprj, che si praticano sono credati per loro virtù , nè fi seguita da efi altro studio, che della menzogna, nè fi atten  de (i) In epist.Domaget.  [merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] K 4  1.  avendo  de ad altro, che à piaceri, e diversi-  menti, fenz'alcun timore di gastigo. Le  tristizie di costoro non si pofsono mai   à bastanza esprimere, stanteche, fingen-  dosi questi Mcdicis con modi improprj.  accreditano li loro medicamenti , non   punto di rossore ne di servirsi di testimoni corrotti, che con menzogna: attestino il gran giovamento, che das quelli ne ricevettero con tuttoche non se ne fossero mai prevaluti, nè di ripromettere ne' mali incurabili quella certa salute, che non è in potere de' Medici,  , quantunque espertislimi , il farla conseguire ; In oltre giudicano graviffimi, e inortali tutti quei mali, benche di sua natura leggieri , purche rechino aglo Infermi qualche apprensione, affinche credano questi esfere stati mediante la. loro virtù risanati , e d'avantaggio , per non essere riconvenuti d'aver errato ne? pronostici, parlano con doppio linguag. gio , à tal’uno diranno, che quel tale Ammalato deve necessariamente morife,& ad altri, che deve infallantemente  mie  [ocr errors] rllanare, per avere pronto si nell'ano, che nell'altro evento chi contesti la loro, fimulata perizia in sapere ben prevedere gl’esiti de' mali; Milantano in oltre costoro i loro grand’arcani, con i quali fi vantano d'avere refuscitato molti, già fatti spediti da Medici. Solamente dico. no con verità, che in mano loro niuno. muoja, perche ridotti che li hanno in: pessimo stato di salute, abandonano li loro Infermi, non potendoli più lusingare con le solite false speranze di salute, de' quali prima fi servivano per ifmugnere le loro borse. Per inantenersi poi in creditozli pongono forto alte protezioni, e sfuggono d'incontrarsi con Medici dotti, ed esperti, non porendo ftare à fronte con chi ben sa discoprire la loro ignoranza . Al divino Ippocrate furono note alcune di queste verità, mentre egli (1) così ne parla : Qui igitus in ignorantia profundo fubmerfi funt , ij prædicta ( cioè l'operare con ingenuità) minimè percipiunt , cum Medici nomine iz  digni [] Intib.præcepat  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] 'digni re ipfà comprobent ; quàm repente  evetti fint , fortune tamén egentes per die  vites quofdam ex anguftiis emergunt viri-  que es éventu nominis celebritatem adepti  &c. ed in appreffo : Qui certè ad curatio-  nem non accedunt ; ubi vident miserabilcm  effe affectionem, c ejulatibus plenam, alio-  rum-Medicorum congreffum fugiunt; e in  altro luogo: (m) Qui igitur eos reprébena  dunt qui viltis à morbo manus non admo-  vent , non minùs adhortantur ad ea fufci-  pienda , quæ attingere fas non eft ; quàm  que fas eft , in eoque apud eos qui nomine  tenus Medici sunt admirationem fibi conci-  liant , ab artis verò peritis ridentur.   Mà crescerebbe più oltre ancora l'iniquità di costoro, quando ; che unisfcro alle loro male arci l'ippocrisiaj conforme che più volte si è osservato' ins ral'uno di essi,che postosi adosso un'abito di fimulata penitenza, e' čutto umile con li seguenti artificj procurava di maggiormente accreditarli. Introdotto, ch'egli era clandestinamente in qualche  cura  (m) in lib.de Arte,  čura, doppo di aver fatte molie insolite, ed affetrate offervazioni intorno all'Ammalato, cosi incominciava à parlare : Io coinpatisco infinitamente li Signori Medici, che lo curano s perche questo è un male'assai oscuro , e difficile à ben curarsi, non essendo ciò da cutti, fin qui scorgo , che hanno fatto tutto quello , che sapevano", nè io drdisco di biasimare ciò, che fino ad ora harino fatto, perche quest'abito ; che porto in doffo non mi permette di dir male del mio prosimo, nè di togliere la riputazione à Profeffori cotanto accreditatie tanto maggiormente, che quando anche non foffe ftato fatto a fuo' dovere ciò, che si è fatto sin’ora', non siamo più in tempo d'impedirlo, dico bene , che io peccherei mortalmente, se non' dicelli libera.. mente ciò, che debbasi fatie in avvenire, questo male à conto mio và curato in tal guisa : Primieramente gli si devono dare i tali, e tali' rimedi , e dipoi develi fare in questo modo, e ac fi opererà diversamente, io mi protesto che questo poveroInfermo se ne morirà quanto prima ; e lo.   vedrete con vostro cordoglio. É fe tal  uno degli astanti più prudente lo prega-  va d'abboccarsi con li Medici della cura,  à fine di comunicar loro questi suoi sen-  timenti, ei ricusava tal congresso, con  pretesto , ch'essendo odiato da tutti li  Medici per la sua ingenuità, e dottrina  non fariano mai condescesi à quanto di  buono egli avesse proposto, onde , che  reputava non solamente superduo tale  abboccamento , må ancora non pratica-  bile da un suo pari, che deve,per l'umil-  tà, che profetava, effere injinico delle  difcordie; onde avessero pure fatto ciò,  che ad esli pareva , e piaceva , bastando-   gli d'aver accennato il gran pericolo, ed  il modo insieme più sicuro da sfuggirlo  per mera carità di giovare à quel povero  Infermo così aggravato , non già per in-  teresse alcuno, da cui egli n'era lonta-  nisiino. Infinite confusioni cagionarono  simili parole pietose in più cure , stante-  che tal’uno de' più creduli, che vi si tro-  vorno presenti, diffe : Sentiste , con che   [merged small][ocr errors] modestia parlava quel sant'Uomo, se non fosse così scrupolofo, oh quanti errorici averia discoperti, commesli da' noftri Medici ignoranti in questa cura ! Si vede però, ch'egli intende, perche hà fatto certe osservazioni particolari intorno all'Ammalato, che non le abbiamo vedute fare da' noftri Medici. Ed altri di più consigliavano à licenziare tutti li Medici per farlo curare da esso folo, per-. fuadendofi, ch'egli l'averia certamente guarito . Quali danni ne riportino li poveri Infermi da costoro, che Medicorum congreffum fugiunt,gli espresse assai bene, e con pochissime parole Ippocrate nel sopracitato libro , dicendo ivi; Ægroti verò dolore conflictati in utrâque improbia tate natant ; cioè in quella dell'ignoranza, e dell'inganno di simili viziosi Impostori.  Quello però, che reca non ordinaria meraviglia si è, che il popolo più volte caduto à dar fede à fimili viziosi Impostori con danno notabile, & evidente della propria falute ritorna di bel  nuo  nuovo a creder loro , & à restarne insieme nuovamente deluso, conforme ancora che con tutto abbiano questi nociuto à molti, niuno contro di essi dell'offesi ne fà risentimento , e la cagione di ciò / non puol'essere altra, che godono questi quel vantaggio, che hanno le donne di mala vita, da cui ne s'allontanano molti, che da esse furono danneggiati, nè alcuno contro di esse ne fà rilentimento proporzionato al male ricevuto', e ciò cre. do, che segua sì nell'uņo, che nell'altro caso,per la vergogna,che ogn’uno di essi hà di manifestarsi con atto publico per imprudéte, onde perciò pazienta,e ţaçe.  E finalmente se per disaventura un fimile yizio contaminafle mai il Media co dotto, ma politico, oh quanti danni ancor peggiori di questi apporteria à molti, posciacchè inestandosi al ben radicato sapere l'inganno , e l'impostura , che frutti velenosi mai produrrią unas fimile pianta ? e nocenda questi senza effere creduti nocivi, non solamente trà l'idioti , mà ancora trå li più cautelati,  e cir.  )  )  e circospetti troveriano lo smaltimento, c per non diffondermi più oltrc, dirò solamente che il Medico dorco, e politico, quando che fosse divenuto Impostore, avendo egli perduto la sua ingenuità diverrebbe allora non solamente tiranno de' suoi Infermi, facendo loro arţificiosamente credere , che da esso depende lą loro falute, anziche la vita isteffa , e che non poțriano nè pure un momento di più yiyere, quando si allontanassero dal suo consiglio,& ajuto,mà ancora di tutti gli altri Professori ingenui , potendoli conculcare à suo piacere per prevalersi egli delle frodi somminiftrategli dall'inganno, alle quali non potendo contraporre le proprieşper esserneprivi,conviene loro cedere , per non sapersene schermire, giacchè Års luditur Arte. Fuggite dunque yoi, che ambite di mantenervi ingenui, e divenire veți Medici fimil vizio, e voi, à cui specta d'invigilare alla publica salute.  Non tantum tollerate nefas hanc tole lite peftem.  Ded [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Del miserabile vizio dell’Ignoranza poco sarà d'uopo parlarne, sì perche vi è già nota la sua deformità, sì ancora perche vi vedo incaminati à gran passi per la strada della sapienza,solamente vi riferirò per vostra consälazione, affinche prestamente ne diveniate veri possessori di questa, ciò, che Ippocrace à questo proposito insegnò, con una bella somi  glianza , & è: (n) Non alitèr enim ac Miniftri , & Miniftræ in domibus tumultuantes, ac ceriantes , fi quando de repente eis hera adfuerit, attoniti conquiefcunt , fimilitèr etiàm reliqua animi cupiditates malorum, hominibus funt administre, at ubi fapientia in conspectum fe dederit, tanquàm mancipia reliqui affe&tus difcedunt. Insegna parimente Ippocrate nell'iscoprire li seguaci di tal vizio il modo da conoscere li Medici ignoranti, mà di ciò non devo parlarne, perche il mio fine è diretto à detestare li vizj , fenza andar cercando li viziosi. Non però tacere devo il gran danno, che questi apportanoalla povera Medicina riferito da Ippocrate irel principio della sua legge in tal guisa : Omnium profectò artium Medicina nobilisfima, verùm propter eorum , qui eam exercent ignorantiam c. omnibus artibus iàm longè inferior habetur .  Finalmente con la Maledicenza terminerò io ancora di dir male de vizji questa è un vizio assai incivile, perche opera sempre contro li buoni costumi, e contro la civiltà , questa certamente non si dovrà seguitare da voi, venendovi da Ippocrate tanto proibita nel libro : De Medico, che in tal guisa incomincia: Hoc fcripto Medico imperamus, eo dicimus, dove tra l'altre cose, che coinanda vi sono le seguenti: Ut animi temperantiam excolat , non taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquâ totius vitæ moderatione , bom nis, ac honeftis fit moribus, & æquus in omni vitæ confuetudine fe præftare debeat ; Le quali cose come le potrete osservare, essendo maledici ? Ed affinchè meglio comprendiate quanto il ben moriggerato Ippocrate odiasse questo vizio, passia  L  mo  [ocr errors] mo à rillettere ciò, ch'egli dice nel libro  De Arte , il quale comincia così : Non  nulli turpitèr in sectandis artibus artifi.  cium suum collocant , neque id, quod facere  Se credunt meo quidem judicio obrinent , sed    Jue scientia oftentationem faciunt aci E  poi soggiugne : Qui verò ea, quæ ab aliis  sunt inventä inhoneftorum verborum arti-  ficia contaminare contendit , nequè quida  quàm corrigit,   fed à peritis inventa, apud imperitos traduçit . Is fanè prudentice exiftimationem tueri velle non videtur , fed potiùs naturam fuam, aùt ignoratiam nem malitiosè prodere : Solis enim artium ignaris, hoc opus competit, qui ambitiofiùs quidem contendunt , neque tamen improbie tate suâ ullo modo præftare poffunt, ut aliorum opera, vel recta calumnientur , vel non recta repræhendant : Eos igitur , qui in alias artes hoc modo invadunt,coerceant, fi poffint , quibus hæc cura eft, quorumque id intereft. Vedete voi à che segno odiava il divino Ippocrate li maledici, che voleya , che fossero ristretti , essendo indegni di convivere tra uomini di ono.  re  [ocr errors] [ocr errors] re. Crederei, che quanto hà detto cosi chiaramente , & al propoliço Ippocrate vi pofsa bastare per odiare un limil vizio, e tanto maggiormente se rifletterete, che quanto voi direte di male degli altri, altri ancora ne potranno dire di voi , ficchè parlate bene degl'altri, Ò tacete  Țacerò ancor Ia per non nausearvi di vantaggio nel descrivervi la laidezza di tutti gl'altri vizj, sperando , che ciò, che vì hò detto di questi pochi,pofsa baftare, per farvi prendere odio a tutti gli altri, ed à quel segno , che li viziofi lo porteranno facilmente alle virtù, qual? odio pero spererei, che in un subbito deponessero į viziosi , se spogliati per pochi momenti d'ogni loro difetto, si aboccaflero insieme con effe, allora cofa disebbono sentiamolo da Seneca; (a) Quidquid opravi inimicorum execrationem puto ; Quidquid timui Dii boni quantò melius fuit , quàm quod concupivi cum multis inimicitias gefi, & in gratiam ex odio res  L 2  dii (a) De Vita beata cap.2.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] dii buc. quid aliud quàm telis me opposui dc.  Avere inteso come parlerebbero bene li viziosi se avessero la forte dili berarsi da? loro difetti solamente per breve tempo, approfittatevene dunque voi, giacchè per sempre, se vorrete, potrete effere di mente capaci di conoTcere la loro deformità, e fuggirla. Mà quando mai credeste per cosa molto difficile di potervene affatto spogliare, fate almeno, che con le vostre virtù vi si fra. meschi solamente tanto di vizioso, quanto communemente si tollera nell'oro di lega bassa , c non più , che non arriva ad avvilirlo, nè à fargli perdere il suo vago Splendore.  Passerò ora alla seconda parte per esaminare se li vizj ermafroditi si possino alıneno tollerare nel Medico.  Per vìzio ermafrodito intendo quello, che dalla malizia , e dall'inganno viene talmente trasmutato in virtù, che difficilmente si potrà discernere, se prima non si scoprono le sue parti vergognose,  che  و  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] che fino ad ora non hanno sapuco, ne  potuto ricoprire. Sia per esempio, se la malizia,e l'in-   ganno vogliono , sono capaci di trasfi-   gurare così bene la superbia in umiltà,   l'iniquità in zelo di giustizia , che diffi,   cilmente senza l'ajuto del disinganno ,   che scopre le loro vergogne , li potranno   distinguere. Nel prino caso si serviran-   no facilmente de' seguenti artificj. Da-   rete à suo tempo voi un'opera alla luce,   ò vi riuscirà felice la cura di un male  grave, è cosa facile, che ne abbiate del  compiacimento interno, e questo avvan-  zandosi più del dovere, è facile ancora,  che palli à farvene qualche poco insu-  perbire, di quell'opera, di quella bella  cura, cosa faranno la malizia, e l'ingan-  no per farvene affatto insuperbire ? Ri.  copriranno la piccola vostra superbian  con il manto dell'umiltà , & in congiun-  tura, che sentirà lodarvi gl'insinueranno  in tal guisa à rispondere : Questo non so-  no cose degne di lode, sono bagattelle,  non meritano d'essere lodare da un Vir: L3 tuofo suo pari, sono parsi di un debbole ingegno ; Chi sentirà si limili risposte resterà sorpreso da üná tanta umiltà, ed állora maggiormente s’infervorirà dilo darvi, entrerà nelli meriti della causazed allora appunto avranno compito il loro negozio,in farvi maggiormente insuperbire, che cosa converrà fare per iscoprire le vergogne alla in ascherata superbia , per conoscere se quella umiltà sia stata vera ; ò fimulata; bisognerà ricorrere al disinganno, che la scopra. Aspetterà questi facilmente la congiuntura proposito, & in vece di lodaryi dirà tutto quello, che la finta yostra umiltà aveva già detto di voi, con qualche par, ticolarità di più, che sarà vera , sì perche il disinganno non mentisce; sì ancora perche i chi è capace d'insuperbirli, non essendo di gran prudenzaś può in qualche cosa trascorrere ; Allora sentendosi la superbia toccata sul vivo lacererà in un tratto il bel manto dell? umiltà, e da se medesima mostrerà le fue vergogne rispondendo : Come ! non  fono  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] ز  sono cose degne di lode? sono parti di  un debbole ingegno sono bagáttelle?  sono tutte cose d'eterna memoria ; voi  non le capice, perche liete un'ignorantë.  Che ne dite ? questa è quell'umiltà, che  una volta parlava così bene; è forse scu-  sabbile nel Medico avendo questa un  naturale si fraudolento? Mi persuado ,  che ora, che la conoscere ; non la scuse-  rete, anzi la biasimerete più costo. Nel secondo caso se venisse in pen-   siero à tal’uno, che Iddio non voglia, di   promovere al servigio d'un'Ipocondria-   co da lui curato qualche suo amorevole,   mà dovendosi rimovere chi attualmente  lo serve, e competencemente bene, sen-   za l'ajuto della malizia, e dell'inganno.».  non si poiria ciò effettuare. Questi cacci-   vi vizi per servirlo, che cosa faranno ?   procureranno di vestire l'iniquità con   abito di zelo di giustizia, e che diča à   quell'Ippocondriaco, ch'è vero, che   viene servito bene da quel suo Ministro,  mà che premendogli tanto la sua salute,   il suo zelo, & il suo obligo richiedono   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] gli procuri sempre li suoi vantaggi, ed in ispecie trattandosi di propria salute, e di salute, che gli premetanto, per 12 conservazione della quale il Signor Tale foggetto nel suo mestiere unico, che non hà pari, saria veramente à propofito , mà non per questo è dovere di far perdere il pane à chi lo ferve, si dice solamente, che lo sappia , che vi è chi lo servirebbe assai meglio, caso che capitasse mai congiuntura ; Fatti, che hà l'iniquità questi projetti ad un'Ippocondriaco, che non brama altro, che vivere, con tutto quel di più di male, che sentirà dire  per altre  vie di quel povero galantuomo, che lo   serve,procurate da chi vuole lubentrare;  Credete voi, che non si effettuerà fimile  tentativo dall'iniquità? Forse prima di  otto giorni farà espugnata la Piazza,  perche tanto si batterà, che si farà brec-  cia, e vi si porrà dentro, e di sì bella  impresa ne trionferà la sola iniquicà. Voglio, che sia vero , che il  Ato ne sia capace, má vediamo un poco  se il fine è stato retto, e se il zelo digiu-   stizia  1  che il propo  [ocr errors] [ocr errors][merged small] stizia ne fù egli il primo motore? Chi avrà procurato simile ingiustizia , certainente, che non sarà molto eccellente nel suo mestiere, perche chi è tale, è ancora giusto , e prudente, dunque ve ne saranno de' più esperti di lui. Ciò supposto procuriamo, che il disinganno ne faccia le sue diligenze, e questo facil. mente farà infinuare al sudetto Ippocondriaco, che giacchè hà megliorato nella mutazione di quel suo Ministro, procuri ancora di mutare il Medico , e ne trovi un'altro megliore di quello, che ha presentemente, e piacendogli tal'insinuazione, cd effettuandola, cosa dirà colui, quando si vedrà fuori del servigio? fi lamenterà forsi del torto, che gli ha fatto, avendolo tanto tempo ben servito ? mà di chi si lamenterà? dovrà dolersi di se medesimo, perche gli è stata fatta quell' ifteffa giustizia , ch'esso hà procurato foffe fatta altrui; Dà dunque a conoscere chi operò in questo modo, che non ebbe per fine il zelo di giustizia , perche questo non gli è piacciuto, mà forse ne  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ebbe  [ocr errors][ocr errors] ebbe qualchedun'altro di quelli, che low no chiamati secondi fini, cosa ne dite voi di questo vizio ermafrodito & vi pare di poterlo scusare nel Medico; e se ve ne fofreche non credo ; tal’uno trá efi to scusereste forse ? Io per me lo scuserei nella forma appunto , che diffe di fimili viziofi Democrito ad Ippocrate: (b) Cum igitur tot indigenas; e miferas ánimas videamus quomodò eorum vitam ejusmodi intemperantja deditam ludibrio. non bao beamus 2  Molte altre frodi,tramåte dalla malizia, e dall'inganno potrei orá riferirvij fe non dubitäsli, palesate; che fosseros che tal’uno ( di voi non dico , che siete di ottima inclinazione ) sentendole riferire se ne potesse abusare; onde in ciò procurerò con Tacito più tosto Artem oblivionis , quàm memoria.  Avete già udito la gran deformità de' vizj, il danno, che apportano a'suoi seguaci, ed il non doverfi seguitare ; nè fcufare in conto alcuno , che possonofervirvi di motivi efficacissimi per tenerli lontani da vois purche non si siano di già radicati ne' vostri cuori, nel qual caso faria necessaria la gran Medicina proposta da Ippocrate per isvellere affatto li vizj, ch'è la seguente: (C) Equidem omnes animi morbos vehemences(che sono appunto i vizj) insanias reputo ; cùm opiniones quasdam, da vifa rationi fufcitant, ex quibus fanéscit s qui per virtutem repurgatur.Preparerò dunque per la Giornata di domani la sudetta Mediciija,dalla quale se ne avrete bisogno rimàrrete certamente sanatis casos che nò, preservati almeno da fimili infezioni, in avvenire . Venite tucci, che vi aspetto con desiderio ; perche sarà Giornata di molto profitto quella , in cui si parla delle virtù.  [ocr errors][merged small] [blocks in formation] Nella quale.  fi discorre dell'acquisto delle virtà, e del bene , che apportano al vero Medico , e se alcuna di effe  fi poffa in lui cenfurare  non  Vanto mai sia infelice, e miferabile  la condizione umana,lo dimostra.  110 non solamente li vizj,mà anca. ra le virtù, posciacchè li primi,che tanto nuocono, spontaneamente in noi germogliano, e le seconde, che sono così utili,  senza reiterare fatiche, & una lun. ga , & industriosa coltura si acquistano. Appena nasce l'uomo, che in lui subitamente l'ignoranza si manifesta, e quel primo vagito , che dà n'è il primo contrafegno , mentre non ne sà ancora il perche egli lo faccia : Cresce, ela malizia fi scopre, l'ira, e la gola si manifestano ; S'inoltra nella gioventù , e la lussuria si risente, e di mano in mano , che gl’anni fi avanzano, li vizj tutti un  dop  [ocr errors][ocr errors] doppo l'altro fi veggono germogliare;  Con ragione dunque disse Democrito :  (d) Totus homo ab ipfo ortu morbus eft ;  e ne assegna la cagione : Talis enim ex  materno cruore Sanie permixto promicuit  Infelice , e miserabile dunque condizio  ne umana, che per fare acquisto di ciò,  che l'è nocivo, punto non hà d'affaticar-  si, perche spontaneamente li vizj li fan-  no possessori di noi, essendo concepiti,  e nascendo con noi medesimi, e questa  è la cagione, perche erunt vitia donec  homines, dove, che per ottenere ciò ,  ch'è di nostro sommo bene dupplicate  fatiche si ricercano; La prima delle quali  consiste nello svellere da noi le tanto im-  poffeffate radici de vizj, e l'altra d'an-  dare à poco à poco introducendo in sua  vece li semi delle virtù, e ciò non basta,  perche conviene ancora di cuftodirli  fino à tanto, che siano assicurate bene le  loro radici, per non essere dove sono se,  mentari suolo nativo. E perche ò lante  virtù spontaneamente ancor voi, ccon   quel(d) In epi.2.Damaget.  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small]  quella medesima facilità non germoglia.. te in noi per renderci felici? Conosco, che voi fiere un'attributo divino, ma non per questo, vi dovęte tanto sdegnare di unirvi con noi, che siamo creati ad im. magine, e fimilitudine di Dio, conosco ancora, che per ricevervi li richiede abitazione espurgara da ogni iminondezza, pura, e proporzionata à voi, e se per questa cagione voi state lontane da noi, la colpa non sarà la vostra, mà bensì di noi medesimi, che siamo quelli, che vi impediamo l'ingresso, e che ritardiamo si gloriofe conquiste, che ci possono rendere beati, con trascurare ciò, che voi richiedete  Oggi sì, che voglio far prova di voi per conoscere à che segno liano gli animi vostri generosi, e se avere ancora acquistato l'uso di ragione , potendo, se vorrete, ciò che si trova d'infelice in voi commutarlo in prosperità, e ciò, ch'è disgrazia in fortuna: Accingetevi pure, se ne sarete sprovisti, all'acquisto delle belle virtù, se ambite divenire Semidei,  dicendo apertamente Ippocrate, (e) ches Medicus Philofophus Deo &qualis habetur ; e cosa voglia intendere per Medici Filosofi lo spiega divinamente in appresso, cioè quelli, che habent , quç faciunt ad demonstrandam incontinentiam, quatuoSam, ac sordidam profefionem, inexplebilem habendi fitim , cupiditatem , detraa &tionem, impudentiam ; che sono per l'appunto quelli, che seguirano le virtù , ed hanno in abbominazione li vizj.  Sbandito dunque , che avrete da voi ogni vizioso inquinamento, e perciò renduti più capaci dell'acquisto delle eroiche virtù, proporrò in primo luogo ciò, che concerne alla Religione, come quella, ch'è la suprema di tutte le virtù, & ancora la loro base fondamentale, in cui sono appoggiate tutte le altre.  La Religione quanto debba essere àc  cuore al Medico, sentitelo da Ippocrate: (f) Hactenus igitur cum sapientia, communionem , eorumque etiàm plurima habet Medicus, nam & Deorum cognition  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] дет  (C, &f) Hippode $65.0TMnem ipfe potiffimùm animo complectitur , cumque aliis in affe&tibus , & casibus Medicina multum Deos colere comperitur duc. e tutto ciò lo afferisce dapoi di avere insegnato, che nella Medicina vi era ancora: Superftitiofi metus aversatio preAantia Divina . E non solamente à benefizio vostro ciò converrà , che facciate , mà ancora à prò de' vostri Infermi, perche venendo ogni bene dal Cielo , nelle vostre più gravi, e pericolose cure converrà , che non vi fidiate della vostra fola perizia, mà ancora, che supplichiate Dio, che vi assista con la sua santa grazia à bene indirizzarle; qual pio sentimento si ritrova ancora descritto in Ippocrate, e dato à coloro, che disprezzando gli ajuti Divini , fi raffidavano solamente ne' loro incantesimi, à cui cosi parlò risentitamente; (8) Quos contrafacerc decuerat, facra facere nimirùm , & precari , ad Templa deducere, Diis fupplicare ; e sotto dice: Maxima ergò, fceleratisima peccata Deus expiat , dapu  rificat (g) De morbo facro..  rificat tuteláque noftrâ existit ; e non imitando voi la gran pietà di tanto Maestro come potrete essere annoverati trà suoi seguaci ?  A questa viene in seguela la Prudenza , la quale è una virtù al parere di Democrito riferito da Ippocrate, che non solamente fà conoscere, e bene distinguere il prasente, mà ancora fà prevedere il futuro: (a) At folus hominis sensus recta intelligentia eminùs splendescens. Quod præfens , & futurum eft prævidet; E questa è quella, che toglie ogni confufione, e libera da qualunque pericolo chi la poisede : Qui enim hæc ipsa prudenti cogitatione difponunt , ii & facilè liberantur , meum risum fubleuant ; E questa non si può ottenere senza prima rimovere da noi tutti quei vizj, che prevertono la nostra mente, trà quali li principali sono l'ira , la superbia , l'avarizia , l'invidia, e l'inganno, li quali sono tutti capaci di farla prevaricare, e renduta che sarà per la mancanza di  M  que(a) Epist. ad Damag.  [ocr errors] questi quieta, e tranquilla , la Prudenza con maggior facilità si potrà acquistare.  Senza questa bella virtù, regolatrice di tutte le buone operazioni, non pensate di potere esercitare la Medicina, perche come vi potrete regolare senza effa , allorche v'incontrerete in Maláci indiscreti, e disobbedienti, in mali simulati, in controversie con altri Profeffori, ed in tanti altri emergenti, che vi possono giornalmente accadere, in quali laberinti vi trovereste? in quante confufioni, se non aveste la scorta della Prudenza, quali inquietudini provereste se foste privi di sì bella virtù ? (6) Non poteft effe vita jucunda, à qui abfit Prudentia , come disle Cicerone; Cni possiede detta virtù hà quanto di buono poffa mai desiderare, ftanteche (c) Nullum Numen abest fi fit Prudentia.  Quindi è, che Ippocrate fino, che visse non solamente fi fece regolare in tutte le fue operazioni da questa virtù, come nelle sue memorie si scorge, mà consiglia li suoi seguaci , e comanda loro insieme à non discostarsi punto dal suo patrocinio, insegnando ancora il modo per acquistarla, conforme da moltislimi suoi documenti potrete comprendere , de' quali ve ne riferirò quei soli, che sono registrati nel libro De decenii habitu , dove doppo aver descritto il vestire positivo del Medico accreditato, soggiugne : Qui se fe, ex cultus venuftate , frugalitate, non tàm ad fuperfluam curiofitatem , quàm ad optimam existimationem, prudentiam, e animi moderationem compararunt; e passando à ciò, che deve provedersi di necessario  con(b) 5.Tufculon. (c) Juven.fat.10  per  il suo mestiere , lo avvertisce, che sia prudente in farlo, altrimenti : Horum penuria mentis inopiam, at detrimentum affert ; Vuole anco in appreffo, che usi prudenza in prevedere ciò, che può avere di bisogno j'Infermo, che non operi con animo turbato, che sedi le confusioni, e li tumulti, che sgridi l'Infermi disobbedienti,l'intimorisca , mà insieme con prudenza, che Blandè eos excipiendo, consoletur , confor  [ocr errors][ocr errors] [ocr errors][ocr errors] me ancora, che avverta di non li prevalere di Sostituti imperiti, affinche de' loro mancamenti non resti esso debbitore, e quelli , che opereranno in tal guisa cosa acquisteranno? Gloriam tùm apud majores, tùm apud pofteros fibi comparabunt; e finalmente insegna il modo di conseguire con facilità la sudetta virtù, soggiugnendo : Qui etfi non multarum rerum cognitionem habent , earum tamen ufis afliduo prudentiam affequuntur .  Apprendercla dunque ora, che fapete il modo facile per conseguirla , caso,che non ne foste proveduti à sufficiene za , per imitarlo anco in questa.  La Giustizia, una delle altre virtù principali confifte, al parere di Galeno , di dare à ciascheduno ciò, che gli compete: (d) Naturæ iustitiam in eo confiftere, ut quod unicuique competit distribuat ; E. questa non la potrete acquistare, se da voi non terrete lontana l'iniquità, con turti li suoi vizj feguaci, che sono le passioni, l'adulazione, ed altri, che operano tutto il contrario di ciò, che alla   Giustizia piace. Il bene, che apporta  detta virtù è dupplicato, perche non fo-  lamente benefica chi la riceve , mà an-  cora, chi l'esercita; chi la riceve ottiene  tutto quello , che deve desiderare, e  conseguire, e chi l'esercita non puoles-  sere censurato à ragione, perche le sue  operazioni saranno sempre regolare con  giustizia, e tutta quella giustizia, che  si fà , si riceve ancora da altrui, in ciò ,  che riguarda gli proprj avanzamenti  ftanteche (e ) Fundamentum perpetud coe  mendationis, famæ eft juftitia, fine qua  nihil effe poteft laudabile. Meritamente  dunque compete al giusto di fiorire co-  me la Palma : Juftus ut palma florebit,  perche conforme la Palma quanto è più  caricata di grave peso, tanto maggiore  mente sormonta , così ancora il giusto,  quanto più fi procura deprimerlo, tanto  maggiormente viene inalzato.        Questa eroica virtù non solamente  viene incaricata da Ippocrate al Medico   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] M 3  con  (e) Cicero i.de Offic.  con precetti, dicendoli : (f) Æquum autem in omni vitæ confuetudine se preo ftare debet ; e ne assegna la ragione, fog. giugnendo: Cum omnibus in rebus multum fit in justitia præfidii; mà ancora fù da lui medesimo seguitata, conforme in tutte le sue memorie si può rincontrare, trà quali per non dilungarmi, riferirò solaméte ciò,che si legge in una lettera da lui scritta al Senato di Abdera, nella quale dicc à tal proposito : Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluiflem viri Abderita , nè decem quidem talentorum gratiâ ad vos venirem , fed ad Perfarum Regem proficifcerer , ubi Urbes tote opibus humanis refertiffime occurrissent; e ne assegna la cagione, perche ei non lo fece foggiugnendo: Regias autèm opes ignominia mihi futuras, opulentiam Patria inimicam reportaffem, quibus circumaffuens Urbium Grecia deftructor exifterem ; Antepofe dunque Ippocrate à sì confiderabiliffimi proprj vantaggi il publico bene, fù dunqu'egli perciò disinteressarissimo,e come  tale (t) De Medico.  [ocr errors] tale fece conolcere à che segno amava la giustizia, non potendolo chi veramente l'ama con prove più demostrative far costare, che con quelle dell'essere di. finteressato.  Custodire dunque la Giustizia co. me pupilla delli vostri occhi , perche questa è quella , che vi può rendere feli. ci, non potendoyi mancare cosa alcuna, quando la vostra mente sia giusta, come viene espresso in due versi esametri scol. piti sopra la Porta Romana di Marino mia Patria, Feudo Nobile dell'Eccellentiffima Casa Colonna, che sono: Hic tibi tuta quies, do que cupit odia  virtus. Defisietquè nihil, fo mens non deficit  equa ,  Infeparabile dalla Giustizia deve effere la Fortezza, pofciacchè non sempre li potrebbe eseguire ciò, che la prima dispone senza l'autorità della seconda. Ippocrate diede la legge conforme fi avevano da regolare gl'Infermi,mà ordinò ancora al Medico fuo Esecutore,  che  M 4  che in caso di trasgressione de' suoi Malati fi armasse di fortezza per farla eseguire : (8) Eumque à fuis cupiditatibus deterreat, bu fimul quidèm cum amaru- , lentiâ vehementèr increpet . E questas virtù come s’acquista ? con togliere da noi ogni timore, ogni pufillanimità, con invigorire lo spirito, e rendere l'animo pronto, & obbediente ad eseguire ciò, che li viene dalla discrera Giustizia ordinato'.  Doppio bene parimente ne nasce mediante la sudetta virtù ; Il primo è , che sono sicuri gl'Infermi curati da chi è giusto di non essere adulati, ponendosi da essi in esecuzione tutto ciò, che loro compéte, e non di vantaggio, e l'altro è, che chi la possiede ne riceve stima , erispetto,ponendo in sogezzione coloro, con quali si tratta .  Örnatevi dunque voi ancora di quefra neceffaria virtù, dovendo nelle occorrcoze resistere alli'defiderj dopravaci de voftriInfermi, male avvezziin sanità  ز  [ocr errors] à cra  (5) Hippode decenti ornatu ,  [merged small][merged small][ocr errors] * crapulare giornaliente , e dovendo  opporvi à ciò, che fuor di proposito ver-  rà motivato dagli aftanti, come potreste  resistere, se non foste armati di fortezza,  e costanza , neceffariamente caderefte  nell'adulazione con danno sì della loro  Calute', che della vostra riputazione ;  oltre di che con pochi contradittori vi  abbatterete , perche conoscendovi di  quell'animo descritco da Orazio ;   Juftum ; tenacem propofito virum.  Non Civium ardor prava jubentium,       Nec vultus instantis T yramni        : Mente quatit.  Per loro quiete più di uno vi lascierà  stare senza recarvi moleftia .   La Temperanza è quella virtù, che frena li noftri (moderati desiderj, e li restrigne dentro i limiti dell'onesto , e ci rende finalmente padroni di comandare à noi stessi ; Quindi è, che Democrito, fiinproverando coloro, che hanno defiderj smoderati , (h) disse : Et cùm multis dominare velint , fibi ipfos imperare ne  queunt : (3) Hipp. epif.Damag,queunt ; Senza questa bella virtù nelle maggiori prosperità non si puol godere di quelle e Alessandro il Grandes appena ebbe notizia, che vi erano più mondi, che subitamente si concristòs e perdette tutto quel contento, che forli aveva ris cavato dalle coniquifte di più Regni , perche gli crebbe subitamente il delide, rio ambizioso di fare maggiori progrefli.  Come s’acquisti questa virtù linsegno Seneca s ( b ) con dire : Sani erimus , cu modica concupifcemur, fi unusquisque se  numeret , metiatur fimul corpus , fciatquè hec multùm capere, nec diù pode ; Nihil tamen æquè tibi profuerit ad temperantiam omnium rerum, quàm frequens cogitatio brevis avi, a bujus incerti, quidquid facies refpice ad mortem ; Octima Media cina, e degna veramente di quel gran Morale per moderare i nostri sfrenati desiderj. E con ottimi sentimenti ancora si ritrova registraro in Ippocrate in tal guisa: (i) Quod fi quis omnia , quæ facit pro viribus mente verfaret, vitam ab omni  cafu (h) Epif.94. (i) Inepif. Damago  cafu immunem fervaret, se ipfe probè non fcens, fuam ipfius concrétionem apertè intelligens, cupiditatis ftudium in infini, tum non extenderet, fed naturam divitem, & omnium alumnam per ea, quæ abundè suppetunt, sequeretur. Quemadmodùm autèm optimus corporis habitus affectionum periculum denunciat s lic magnus rerum fucceffüs lubricus eft.  Elsendo dunque tanto utile questa virtù, quanto è desiderabile la propria felicità, la dovreté bramare, e procurare insieme, e non solamente per vostro proprio bene, ma ancora delli vostri Infermi; perche se sarece immersi profondamente nelli vostri fmoderati desiderj, avrete la mente sempre così distratta da quelli, che à tutt'altro penserete, che à ciò, che possa essere di profitto agli Ammalati, e se pure lo farete, farà cog mence stanca, per breve tempo, e di paffaggio, doveche avendo roli delide, rj onesti, questi poco vi affaricheranno la mente , onde avrete campo di applicare con più attenzione alle cure, e da  [merged small][ocr errors] [ocr errors] inferioris che eravate al negozio, divers sete superiori, alleggeriti che ne farete, con notabile vantaggio di chi si prevalerà dell'opera vostra.  E tanto maggiormente, che l'offervanža di si bella virtù non fù solamente incaricata da Ippocrate a' suoi seguaci, comandando loro:(2) Eum quoque Ipe&t are oportet, ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquả totius vite moderatione Quòd ad illi comparandam gloriam plurimum affert.adjumenti ; Ed altrove: (m) Bonum Medicum minimè impellit ut fuam atilitatem quærat , verùm ut potiorem fuæ existimationis rationem habeat ; Itaques longè  satiùs eft à morbo fervatis exprobrare, quàm perniciosè habentes emungere ; Mà di più per darci esempio la volle egli medesimo religiosamente osservare, po. sciacchè chiamato dal Rè Artaserse, e con che promesse !.(n) Auri igitur quana fum volet, reliquaquè quibus indiget effuse  ei  (1") De Medico.  (m) De precept. (n) Ix epift... Hellefp.Præfee.  6110  ei exhibeto, di ad nos mittita, cum Perform rum enim optimatibus eodem erit honore; Şicchè la promessa confilteva in ricchezze, commodi , & onori à quel fegnio, che ne ayeise potuto defiderare, cosa rifpo e il modeftiffimo ? (0) Quàm celerrime refcribe, nos vietu, veftitu , domo, omniquè re ad vitam neceffaria cumulatè frui; Pere sarum autèm opibus uri neque  mibi  fquum eft; E scrivendo à Demetrio manifesto anche meglio la sua moderazione, di, cendoli: (P) Rex Persarum nos ad fe vocavit nefcius mihi potiorem effe fapientiæ , quàm auri rationem; Chi altro farebbe itato di animno sì moderato in fimili congiunture, che ad una chiamata di un Rè potentissimo, alle offerte sì grandiofe si fosse potuto contenere con quella moderazione Ippocratica di ricusarle? Ne crediate, che Ippocrate non considerasse li vantaggi , che ne poteva riportare, perche in congiuntura, che ricusando, per non rendere schiava - la scienza Medica delle venalità, li dieci talenti offer  [ocr errors] tigli (0) In epift.2. Hystania (p) In epift.Demetr.  .  tigli dalli Abderitani per la cura di Democrito , così loro rispose :(9) Ego verò ja omnibus modis ditefcere voluiffem viri  Abderit , ne decem quidèm talentorum gratiâ ad vos venirem, sed ad magnum Perfarum Regem proficifcerer, ubi Ürbes tot& opibus humanis refertiffimæ occurriffent dc. divitiæ non funt pecuniæ undequaquè comparat&; Magna enim sunt virtutis facra , quæ à juftitiâ non teguntur , Jedin apertum fe proferuntur. Ex morbis quajtum non facio.  Sono tutti questi esempi, che provano un'eroica moderazione di animo, una somma temperanza, e se è vero ciò, che riferisce Seneca, (r) che Platonc, ed Aristotele ricavassero più profitto dalli costumi di Socrate, che dalle sue parole. Questi del nostro Ippocrate sono tali, che possono bastare à togliervi dalIa mente ogni (moderato desiderio per farvi divenire seguaci di sì eroica virtù , come è la Temperanza, ed allora potrete con essa ridervi di quelle vagheapparenze di felicità da alcuni tanto apa prezzate, consistendo tutte in fottilidima superficie, mentre dentro di se, non altro contengono, che incommodi. Un legno dorato fà una vaga apparenza,mà dentro di se, non altro nudrisce, che molte tarle , che lo divorano, nè vi G2 discaro à sentire ciò, che ne dice Seneça: (S). Et cum auro teita profundimus quid aliud , quàm mendacio gaudemus ? Scimus enim fub illo auro feda ligna lati. tare buco omnium istorum, quos incedere altos vides bracteata felicitas eft , infpice , e disces fub iftâ tenui membrana dignitasis quantùm mali lateat . Sicchè la vera felicità non consiste nell'esterna apparenza , non nella superficie vaga, må bensì nel godere internamente una tranquilla calma, che dalla bella apparenza esterna più costo viene turbata, che dotta.  Hò cercato, come si fuol dire , per mare, e per terra un ritratto al naturale della verità  pro  per      farvelo vedere, mà non  l'hd  17 Epiß.115.   1  1  l'hò potuto ritrovare à proposito, perche, chi l'hà dipinta con il viso coperto, chi dentro un pozzo al bujo, chi l'hà profondata anco più bassa, onde non sapevo come fare per farvela vedere , non troyandola delineata in formas ostensibile . Mi venne in pensiero diricercare in Ippocrate , fe in occasione, che fù per curare Democrito l'avessi à forte potuto vedere nel suo  emi abbattei per l'appunto nel sogno, che egli fece prima di andare in Abdera , nel quale al vivo descrive la Verità , ed in quella guisa appunto, che gli comparve in sogno, (t) ve la descriverò ancora io. Gli parve di vedere, nel primo spuntare dell'Aurora una bella Dea alta, e risplendente, ornata positivamente, e senza pompa , li suoi occhi risplendevano come dui scintillanti stelle, ed avendolo preso per la mano lo conduceva per la Città di Abdera à passo lento, e finalmente nel disparire, che fece ella gli disse , ch'era la Verità , e che nel giorno  pozzo,  se(1) Is Epift.P hilop.  3  [ocr errors][ocr errors] seguente lo aspettava da Democrito do. ve dimorava.  Meritano veramente molte circo. stanze di questo misterioso logno d'efservi interpretare; La prima delle quali è la sua maestosa bellezza, e questa denota, che la verità è degna di essere da tutti amata; La seconda il suo ornamento positiuo, e senza pompa significa, che non hà bisogno di francie, nè di altri abbellimenti superfui ; La terza, li suoi occhi risplendenti mostrano , che ella abbia necessità di buona vista, dovendo vedere , e ben discernere li vizj, che la perseguitano; La quarta, con il prendere per la mano Ippocrate fà comprendere, che non vuole contraere amicizia con  gente di cattivo costume, perche bene li avvedeva, che appreffo ad Ippocrate non si accostavano nè la bugia, nè l'adulazione ; La quinta il condurlo à palli lenti inferisce, che chi vuole andare accompagnato con la verità non deve caminare in fretta, mà adagio , come faceva Ippocrate. La festa il dire, che lo  N  aYC  [ocr errors] averebbe aspettato da Democrito, dove ella dimorava, significa, che non ama le grandezze del mondo, ne vuole fare la fua comparsa, se non in quei luoghi , dove alla è conosciuta , e rispettata con fchiettezza, e sincerità.  Obella Dea, se questi sono li voftri fentimenti, date à divedere , che voi fiete troppo folitaria , modesta, e circospetta; E perche non frequentate luoghi più magnifici, e non vi fate vagheggiare publicamente ? Forse, che temete di faziare chi vi rimira con il vostro afpetto, conforme fù detto di Poppea Sabbina bellissima Dama de' suoi tempi, per non farsi vedere in publico , che col viso coperto ? E finalmente , perche non conversate con persone di sfera inaggiore de poveri Filosofi, con quali domesticamente voi trattate? Sapete come risponderà facilmente la Verità: lo son contenta di ftarmene così solitaria, perche fono troppo odiata , sentendomi dire da per tutto : Veritas odium parit ; ed io, che abborrisco di soggiacere à quest'  [ocr errors] odio, per vivere quiera , e tranquilla , son forzata nel mondo à ftarmene folie faria ; Solamente nel Cielo godo ogni libertà , ivi sono amata da tutii, ivi sono il Caduceo di eterna pace, e fapete per. che ? Perche ivi l'Invidia non mi perseguita , l'Adulazione non mi tradisce, l’Iniquità , è la Malizia non mi possono punto nuocere, come dunque posso io in Terra liberamente conversare , senza pormi à rischio di perdere quanto ho di buono, quanto ho di pregiabile, ch'è ciò, che dico. Se io comparisle da per tutto, non potrei fare di meno di non incontrarmi bene spesso con miei iniqui, e fraudolenti persecutori, e se questi, che fanno tante prede mi guadagnassero con lodare la inia bellezza, e mi facesseroprevaricare , non farei più virtù, onde per mantenermi tale, quale devo essere sono forzata vivere in folitudine con il mio bene accostumato Democrito.  Avrete da quanto vi hò descritto sin'ora compreso non solamente la bele  N 2  lezzalezza della Verità , mà ancora li suoi divini costumi, onde fi accinga pure ogni uno di voi à sposarla , perche cosa più bella , ed utile di questa non potrete ritrovare, e tanto maggiormente, ch'è affai facile à potervi fortire una simile ventura, bastandole , che finceramente l'amiate, che farà tutta vostrą. Vi avverto però, ch'ella è gelofillima, ondę vi converrà per conviverci in pace odiare la menzogna, l'adulazionc, l'iniquità, e l'inganno, altrimenti vi perderefte in un'istante la sua grazia.  Mi perfuado , che lo farete di cuore, perche Ippocrate , ch'ebbe la sorte, come dilli , di rimirarla una sola volta , ccome in sogno, ne restò così invaghito di ella, che fino, che visse l'amò fedelmente, à segno di esporsi ad evidente pericolo di perdere tutto il suo acquistato concetto; Posciacchè nella cura di colui, ch'era avvezzo di vivere à suo capriccio, e perciò facilmente fù ferito in testa, confesso candidamente di averlo curato male, dicendo , ivi : Hoc me  latuit  [ocr errors] latuit sectione opus habere , deceperunt aux sèm me future.(a)  Biasimerà taluno di quelli che amano più la loro estimazione, che la Verità questa tua confeffione publica ò Ippocrate, trattandosi di un'errore di questa forta , c tanto maggiormente, che niuno ti forzava à palesarlo, e ti diranno : Dovevi pure prevedere, che la maledicenza avrebbe fatto contro di tè quanto poteva per iscreditarti, à cui egli rifponderia facilmente, se vivesse, non mi dà faftidio, che si mormori di me, purche io non tradisca la Verità, hò voluto lasciare quest'esempio,acciocchè li miei seguaci non cadano in simile errore, e segua pure contro di me quel male ne så seguire ; Sapete, che danno ne hà riportato Ippocrate da simile confessione ? Due elogij frà gl'altri, capaci à renderlo glorioso per tutta l'eternità, che sono li Teguenti:  Cornelio Celso così ne parla di questo fatto : (b) A futuris fe deceptum  effc (a) L16.5.Epid <grot.-7. (b) Lib.8.cap.4.  N 3  effe Hyppocrates memoriæ prodidit , more fcilicèt magnorum virorum ; & fiducian magnarum rerum habentium; Năm tevia ingenia ; quia nihil habent, nil fibi detrahunt; magno ingenio, multaque nihilominùs babituro convenit etiàm fimplex veri errò: ris confeffio; præcipuèque in eo ministerio , quod utilitatis causâ pofteris traditur, ne qui decipiantur eâdem ratione ; qua quis antè deceptus eft.  Quintiliano ancora lo commenda in tal guisa: (c) Hyppocrates clarus in Arte Medicâ videtur honeftifimè fecife , dùm proprios quofdam errores confeffus eft , boc fine , nè posteri peccarent.  Certamente, che non avrebbe riportáte tante lodi Ippocrate, se avesse tenuta celata tal verità, e se non avesse confessati li propri errori, non li darebbe tanta credenza à ciò, che dice.  Dunque animateyi voi ancora à ree guitare un sì glorioso Maestro, e non remete dalla Verità , che sposerete , doverne riportare alcun svantaggio, anzi  te  (c) Lib.z. cap.8.  [ocr errors][ocr errors] tenete per infallibile di poterne voi ana cora ricavare glorie immortali.  Il difensore maggiore, ch'abbia la Verità è il Disinganno, egli è quello, che discopre ciò, che si fà contro di essa, che impiega ogni sua attenzione , & efficacia à suo prò, non prendendosi alcuna soggezione de' vizj, anco maggiori, in manifestare le loro iniquità; Hà finalmente tal possanza, che qualunque Verità più occulta la rende palese à tutti Niuno senza il di lui ajuto sarebbe capace d'avvertire alli proprj errori ; onde converrà se vorrete seguitare la Verità paffare con esso lui ancora buona corriso pondenza , rispettarlo, e farvelo vostro amico di confidenza ; Vi avverto però, che se vorrete veramente confederaryi con il Dilinganno, non dovrere effere ostinati, nè pertinaci nella vostra opinione, perche altrimenti nel meglio vi abbandonerà , onde converrà di farvi regolare in tutto da lui , e vedrete come vi favorirà nelli maggiori vostri bifogni.  Se non si fosse fatto regolare Ippo: crate da questa eroica virtù, come mai fi sarebbe potuto avvedere del sopr’accennato errore, e d'altri, e proprj, e del Medici suoi coetanei , che egli riferisce ; Certo è, che se fosse stato pertinace nella sua opinione il Disinganno non gli avrebbe fatto conoscere la Vericà qual' era , & in ispecie nel caso di quell'Ancella di anni dodici, nella quale ei confessò,:(d) Hoc cognitum eft rectè fe&tione opus habere , fecta eft autèm non velut opportebat , fed quantùm reli&tum eft , pus in ipso factum est ; Et in questo confeffa, che non fù fatto il taglio à suo dovere . Nel male di Eupolemo, chi gli averia manifeftato:(e) Hic videbatur biberari pofle, fa unicâ amplå feftione fectus fuiffet ; E perche non si fece ? Mortuus eft.  Conforme ancora nel caso di quell' Uomo quafi leproso, (f) che andando al bagno di acqua solfurea guarì dal male,che aveva, mà morì poscia Idoprico per la retrocesfione del primo; E di Scamandro, (8) à cui gli accelerò la morte un potente folutivo, come avrebbe possuto dire : Videbatur plus temporis fubstinere potuille. nisi ob vim pharmaci; E nel figlio di Teoforbo :( 6 ) Huic exulcerats est alvus fortitèr à magnâ pharmaci vehementia , moru tuus eft autèm tertiâ die poft potionem ; Nella moglie di Antimaco , à cui : (i) Datum eft potu Elatherium vehementius , quàm opportebat, pou mortua eft circà mediam noctem; In quell'uomo Eubeo, (i) il quale:Cùm bibiffèt pharmacum expurgans fres dies purgabatur, e mortuus eft ; E nel caso di Artandro, (m) il quale : Sanus erat à catapotio extinctus eft ; E finalmente in quello di Trinone , (n) lasciando di riferirne altri : Cùm ad nervum fanè parum medicamentum erodens fuiset adhibitum, opistotono mortuus eft.  Dunque queste utili memorie, che noi leggiamo in Ippocrate tutte le dovemo al Disinganno, che gliele fece cos nofcere. Ovirtù così sublime, perche ancora non consigliaste tanti altri Profeffori eccellenti, che scriveffero ancor esli con questa Ippocraticà ingenuità nello scoprire li propri errori à pofteri; Quanto bene averia apportato à noi simile verità; Hanno scritto; è vero, molo te mirabili osservazioni, mà hanno ancora con quelle più tosto cantato li loro trionfi, che compianto le altrui sventure. Fate almeno, che li secoli venturi godano di questo bene , & à voi toccherà di ereditäre ò Giovani ingenui questa purità di scrivere Ippocratica ; se vi uniformcrete conforme egli fece alli consigli del vostro disinganno:  yemo  (g) Epid.lib.5.&gr.15. (h) Ep.lib.5.&gr.17. (1) Ep. lib.s. agr.18. (1) Ep.lib.5.agro3s. (m) Lib.s. agr.42: (a) Lib.gi .gr.74  7  La Vigilanza à che segno sia neceffaria nel Medico , ne dà non piccolo contrasegno il sagrificio, che bramava Esculapio del Gallo, fiinbolo della vigilanza, volendo facilmente quell'antico Nume della Medicina far capire a suoi seguaci ciò medianto, che desiderava da essi, più d'ogn'altra cosa , la  vi  [ocr errors] )  [ocr errors] vigilanza, e con ragione, stanteche nella Medicina : 60 ) Occafio præceps; occafio in que tempus non multum ; E se à prenderla quando si presenta , non li fà con atten zione è cosa facile di perderla , con dia scapito di ciò, che si poteva ottenere in vantaggio dell'Infermo ; Quindi è, che Ippocrate dà titolo di ottimo Medico à colui solo; che prevede le cose future, dicendo :(p) Medicum prænotionem adhibere optimum effe mihi videtur ; Prenoa scens enim , & prædicens apud ågrotos, da prafentia, & præterita, & futura ; E questo non già per altra via , che  per quella della vigilanza , si può ottenere. Per conferma di ciò fà à proposito la somiglianza, che apporta Ippocrate (9) del Medico con il Governatore della nave, che si ritrova in tempeita, à cui non conviene già dormire per non sommergersi insieme con il suo baltimento trà l’onde; Ed in verità yi converrà essere nelle vostre cure molto circospetti, e vigilanti,  non  (0) Hipp.Præceptiox.  (9) De veteri Medio.   (p) Di Prenot.  non essendo sufficiente la fola vostra pea tizia , mentre che al parere d'Ippocrate: (r ) Bonis autèm Medicis fimilitudines pariunt errores , ac difficultates; E cresce maggiormente à tempi noftri tal neceffità  per cagione della separazione, che ha fatto la Medicina dalla Cirugia , e Farmacia, perche fe allora baftava una parte di vigilanza , dicendo il detto Ippocrate : Nec folùm feipfum præftare oportet opportuna facientem, verùm, e agrum, affidentes de exteriora, a' quali dovendo invigilare il Medico, acciò non trascurino di fare ciò, che da esli si deve, ora maggior obligo gli corre di dupplicarla per questa nuova aggiunta.  Nè vi riferirò, per perfuadervi ad essere vigilanti, l'esempio, che ne diede in se stesso Ippocrate, per non avervi à ripetere tutto ciò che abbiamo di esso, mentreche non fi legge nelle sue opere cosa che non denoti una somma avvedutezza, una grandissima vigilanza , & in ifpecie ne' suoi pronostici, ne'quali fi  puol (r) Epid. lib.6.dift, &:  puol dire con ragione, che ancora de Bercore collegit aurum , onde spero , che con rincontrarle ocularınente à fuo tema po, sempre più vi crescerà lo stimolo di efsere vigilanti, e tanto maggiormente ne sarete, quando in quelle leggerete, (che : Vigilantia verò &c. ad vitæ boneftatem refert . Majorem enim apud alium fibi gratiam conciliat, fi ad artem traducatur , eique decus, ob gloriam comparat ; & in appresso: Bonus Medicus vigens ipfus artis opifex nuncupatur.  Della Vigilanza è compagna inseparabile, e fedele la fatica , la quale per essere opposta all'Ozio padre di tutti li vizj, li può chiamare madre di tutte le virtù, e questa nella Medicina è cosi essenziale, che senza essa è impoflibile di poterli acquistare, esercitare, ed ampliare ,  A voi dunque, che desiderate essere veri Medici converrà accingervi à triplicara facica. La prima vi servirà per fare acquisto della Medicina; La secon  dada per impiegarla nell’efercizio di effa , ela terza finalmente per lasciare degną memoria di voi in ampliarla à quel fegno', che vi farà permesso dal vostro ingegno.  Già della prima ne fù discorso nella seconda Giornata, nella quale fù moftrato ciò, che si debba fare per conseguire la buona pratica ; mi resta fola. mente ora da soggiugnervi, che quella sola non può bastare per farvi vivere ripofati , e senz'altra briga , ftanteche quantunque, fia sufficiente per potere esercitare la Medicina, nulladimeno per essere ancor voi annoverati trà Proferfori più esperti, e capaci di dare più accertati consigli vi converrà infino al fine di voftra vita faticare in fare sempre nuovi acquisti, restandoyi tuttavia molto da apprendere, sì per incontrarvi alle volte in mali non più osservari, conforine Celso avvertì , dicendo : Sæpè vero etiàm nova incidere genera morborum , che per essere la Medicina scienza sì va#a, che niuno fin'ora ha potuto scoprire li suoi ultimi confini, nè Ippocrate, nd tampoco Esculapio, che ne furono l'Inventori , conforme egli confessa ingenuamente :(t) Ego enim ad finem Medicinæ non perveni, etiamfi iàm fenex fim, nequè enim ipfius Inventor Esculapius.  Quale appunto debba essere la seconda fatica nel professarla, così ve la descrive: (1) Crebro ægrum invife diligentem considerationem adhibeas, ut iis, qui decepti sunt per mutationes accurras; Facilior enim tibi cognitio fuppetet , fimula què te promptiùs expedies • Instabilitèr enim moventur quæ in humidis confiftunt. Questo testo è così chiaro , che non hà bisogno di dichiarazione maggiore, ris' chiedendo da voi Ippocrate nell'esercizio pratico la fatica unita alla vigilanza, e facendo voi in questo modo vi assicura, che minori brighe avrete, perche presto tirarete à fine ciò, che facendo con trascuraggine vi apporterebbe maggiori incominodi, La terza fatica è arbitraria, e viene  fo(t) In Epif.Democt (0) De decenti babiru.  [ocr errors] folamente abbracciata da quelli fpiriti investigatori, che hanno unita la vivacità dell'ingegno alla prudenza, e questi per  il desiderio , che hanno di eternare li loro nomi, riescono in tale opera profittevoli, de' quali credo , che frà voi ve ne farà caluno abile, dal quale spero non si ricuserà fatica sì gloriosa,abbracciata, e consigliata insieme da Ippocrate, dicendo: (*) Nunc verò ea , quibus summo studio prudentes incumbere debent, partim quidèm à majoribus excerpta, partim verò etiàm nunc per nos inventa ad te fcripfimus.  Nè delista taluno di voi, che sia abile à sì gloriosa impresa d'effettuarla per vedere impallidito di volto, emaciato di corpo, & invecchiato prima del tempo chi abbracciò fimile fatica; posciacchè da quell'emaciazione di corpo, da quel pallore di volto, e dal comparire più vecchio, ch'egli sia, gran benefici ne hà ritratti che sono,maggior vivacità di mente , senno, e prudenza.  Mà (x) In Epif ad Reg.Demetr.  [ocr errors] Mà quando ancora da tal gloriosa cagione ne risultasse qualche fisico svantaggio, fi bilanci qualsia peggiore, se quefto, ò pure quello, che ne proviene dall'ozio; e si vedrà senza fallo, che l'oziofi non solamente sono soggetti ad infermità peggiori di quello fieno gli ftudiofi, mà ancora , che terminano più presto la loro miserabile vita , onde non è prudenza il temere ciò, che può recare minor danno per andare in traccia à ciò, che ne può recare maggiore, e con lo svantaggio di più, che à prò degl'affaticati Letterati stà sempre preparata un' eternità di gloria, dove, che à danni de gl’oziofi una perpetua ignominia.  Non mi stenderò di vantaggio in esaminare le altre virtù , che restano perche vi si richiederia più tempo di una sola giornata, e tanto più , che poffedendo voi le già descritte vi si renderanno famigliari tutte le altre; Solamente del più bel frutto , che producono le virtù , ch'è il buon costume, non sarà fuori di proposito oggi parlarne , stante  che  che questo da Ippocrate viene stretta. mente incaricato al Medico , per farvi conoscere insieme à che segno egli lo profeffava .  Il buon costume è un'abito essence ziale per la vita civile, acquistato solamente da chi poliede un'aggregato di moltiffime virtù', trà quali risplendong la Prudenza, la: Sincerità, la Gratitu, dine , l'Umiltà, la Discretezza , la Bez nedicenza , l'Urbanità, e la Conyenienza, e questo abito deve essere continuato, perche fe la Superbia , l'Ira , l'Ambizione, & altri vizi di fimile perversa natura l'interrompono, il buon costume passa fubitamente in cattivo, Chi hà la forte di poffederlo è ricchisiino, mentre hà un tesoro, del quale quanto più ne fpende , tanto più resta in capitale ; Per csempio, chi hà il buon costume di lo-, dare, non solamente non riceve alcun discapito dalle lodi, che dispensa, mà n'è perciò egli ancora lodato. Devesi nondiineno usare prudenza in non eccedere molto con affettazione ne' buonicostumi, ftantęche alle volte, quando sono soverchiamente adoperati, e con affettazione nauseano, & in vece di apportare del bene,fanno del male, e tanto maggiormente, quando ciò viene regolato da qualche secondo fine, nel qual caso la lode istessa può essere nociva, e perciò ebbe à dire Tacito ; Peffimum inimicorum genus laudantium.  A che segno sia necessario al Medi, co il buon costume, mediante il quale viene colta ogni ambiziosa contesa, lo dimostrò Ippocrațe doppo di aver fatto , conoscere la necessità , che vi sia di consultare con altri Profeffori li mali oscuri, soggiugnendo : (a) De eo minimè am. bitiosè contendere , fe ipfos ludibrio exponere; Pofciacchè fimil maniera non è propria de' Medici racionali, mà solamente di quelli triviali, che : Forenfem queftum fectantur , conforme egli dice in appreffo.  Nè solamente il mal costume pone in discredito chi lo esercita , mà passt  O 2  per [a] De Præcept,  و  'per causa sua ancora nell'innocente Medicina la calunnia ; L'esempio è chiaro : Contrasteranno due Medici tra di loro acerrimamente, se fi debba, ò no dare un'orzata in un male acuto, se debbali, ò nò colare,fe prima debba darsi, ò doppoi il seccimo giorno, e se sia praticabile ayanti, che il male sia terminato, le quali essendo questioni inutili, e come fi fuol dire , di lana caprina , perche con l'esperienza fi può rincontrare se ne posfa feguire quel gran danno, che si figura chi contradice, onde finili contese non poffono à mio credere autenticare al  che l'imprudenza, e mal costume di chi le promove, e picciol male recheriano, se la colpa di ciò restafse trà li foli Artefici altercanti, il peggio è, che ne passa alla Medicina la calunnia; Quest'esempio non è stato inventato da me, ritrovandofi descritto da Ippocrate così bene, che non vi recherà punto di noja il sentirlo riferire : (b) Que igitur ignorantur bee funtó quanam de causâ in morbis acutis, quidam Medici toto vita tempore in Ptifanî non colatâ exhibenda perfeverents rectè fe curare existiment; Quinàm etiàm omni ratione contendunt', ne ullo modo hordeum æger devoret , quoad indè magnum fecuturum detrimentum exiftiments  morbis (b) De ration. Tic.in morbiacut.  tro,  verùm per linteum excolantes ejus fuccum porrigunt . Horum etiam nonnulli , nequè Ptisanam craffam , neque succum exhibent, ubi quidem dùm feptimum diem eger attigerit , alii verò dùm in totum morbus judicatus fuerit ; E ciò, che da simili altercazioni ne fiegua l'esprime in tal modo : At verò Ars tota magnam quidèm apud vulgum calumniam fubftinet , ut nullam omninò Medicinam efe exiftiment a kquidem in acutis morbis, in tantùm inter Te diffentiunt Artifices , ut quæ alter exhi. bet, veluti optima reputans , etiàm mala alter exiftimet.  Due ingiurie vi farei nel medesimo tempo , se pretendesli d'insegnarvi il buon costume: una saria di riputarvi male accostumati, che per  ļa Dio grazia non siete, e l'altra di credervi stolidi, ed  incapaci di ragione , per non esservi approfittati di ciò, che vi disli, detestando quei vizj, che costituiscono il mal cos ftume. Continuare di buon'animo á fuggire li vizj, e seguitare queste virtù, che vi hò mostrato, e non dubitate , perche Hi vostri buoni costumi in breve diverranno ottimi, & acciò possiate conseguire con più facilità fimil sorte vi rappresenterò alcuni costumi eroici d'Ippocrate, li quali vi potranno fervire di norma in moltissime vostre occorrenze , che vi si presenteranno facilmente à suo tempo.  Egli fù così esemplare nell'offervanza degli ottimi costumi, che non sò fe trà Medici ( alla riserva di quelli dia chiarati già Santi) ve ne sia stato, ò ve ne sia di presente , chi lo possa uguagliare  La Pietra del paragone per cono. fcere se il costume sia ottimo sono li onori, ftanteche honores mutant mores , onde quando l'onorato non cambia li fuoi costumi in peggio per cagione dell? onore ricevuto's tenete pure per certo,  che  )  che il suo costume sia ottimo. E la ca. gione di ciò è, perche con gli ottimi regna l'umiltà in grado eroico, e dove è questa , la fuperbia non s'accosta, fa. pendo per esperienza, che inutilmente impiegheria ogni sua fatica, e la superbia è quella, che perverte il buon co. stume , mà contro l'ottimo non fi ci  meriti,  )  Che Ippocrate abbia ricevuti onori fommi non trovo fi controverta da ale cuno, mentre fù chiamato dal Rè potentiffimo Serse, con promesse di ciò, che egli avesse saputo desiderare, oltre di costituirlo Magnato della Persia, fù cre duto ancora, che discendeffe dal Dio Esculapio, che fosse in grazia del Rc Demetrio', e di molti altri Potentati, e finalmente, che ricevesse dagli Ateniefi onori maffimi, non solo umani, mà ancora divini effo vivente, come costa per Senatus Consulto, ch'è questo : Ut igitur conftet Populum Athenienfem Græcis femper utilitèr confuluife , utquè dignam pro meritis Hyppocrati gratiam referat, decrevit  Poo  0 4Populus ut is magnis mysteriis ; Hor fecùs at Hercules Jovis filius publicè initiaretur, O coronâ aureâ mille aureorum coronaret tur. Coronam ipfam Quinquatribus magnis in gymnico certamine pręcone proclamante, omnibus Coorum liberis liceat non  fecùs às Atheniensium Athenis pubertatem ageres quod coram Patria ejufmodi virum proCreavit, Hyppocrates verò, ut Civitatis jis re, victu in Pritaneo toto vita tempore donetur.  E questi commi onori qual mücazione produsero ne' suoi costumi? niuna appunto, mentre non furono capaci di farlo insuperbire, come fi legge nella sua lettera , che scrisse già divenuto vece chio à Democritó : Et ego fanè plus repræhenfionis , quàm honoris ex arte mihi confecutus videor ; Vedete quanto stimava l'onori maslimi, e se s’infuperbivad punto di quelli, credendoli inferiori ad una picciola riprensione , dico picciola, perche delle grandi non n’era capace un’Ippocrate . Più gli premeva , per quanto li può congetturare dalla mede  fima lettera, la cagione delli ònori,mentre mostrava di dolersi, che eisendo diyenuto già vecchio non era potuto ancora giugnere à tutta la perfezione dell' Arre; volendoci forsi con questo far conofcere, che non sono tanto pregiabili gli onori, quanto è la cagione, che li produce, ch'è la virtù , la quale dipende tutta da noi, doveche gl'effetti di quella dipendono dall'altrui volontà; Avendo dunque Ippocrate resistito à non fare alcuna mutazione nelli suoi buoni coftumi in tanti, e tali onori ricevuti, è contrasegno evidente, che foffero arri. vati al grado dell'ottimo , nel quale solamente, come fi è mostraro, sono im.mutabili li costumi.  Che vi sia stato à luo tempo, ò dapoi fino al presente chi abbia.conseguito limili onori, non se ne ritrova memoria, per quanto fia stata cercata, onde non hà alcun'altro Medico avuto occasione, doppo di lui di mostrare ugual costanza del suo buon costume in fimili prosperità; Ricevendo dunque voi onori, faprece  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] con l'esempio di un tanto Éroe, confora me vi doyrete contenere affinche le prosperità, che ne risultano da esli , non vi facciano, conforine appunto fecero prevaricare li antichi Romani, che fusono ne' primi secoli della Repúblicas esemplari in bontà, mà avanzandoli pom fcia nelle ricchezze andavano declinando , e finalmente nell'auge delle loro felicità, e grandezze da buoni divennes ro cattivi , onde con ragione esclamò Tacito : Felicitate corrumpimur. Mi di{piacerebbe però sommamente,che simili sventure si verificassero in voi, perche goderei vedervi tutti esemplari, e degni imitatori d'Ippocrate, non solamente nella dottrina, mà ancora negli ottimi costumi  Mi rimane per totale conferma del mio intrapreso assunto di corroborare con altri esempi ciò, che hò proväto con le ragioni ancora.  Il primo de'quali sarà di farvi vedere, con quanta civiltà egli scrise de gli antichi intorno à quelle cose che effi  11011  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] non sapevano, e che furono dalla sua induftria inventate . Dice egli intorno la regola del vivere : (c) Alii quidem aliud ättigerunt, totum verò nes unus quidem adhùc ex his , qui antè extiterunt ; Neque tamen eorum quisquam reprehendendus , quòd invenire non potuerint ; quin potiùs Jaudandi omnes'; quod quædam inveftigao tione aggreffi fint ; Neque ergò que recta dieta non funt argüere decrevi , fed his , qué abundè funt cognità affentiri in animo habeo ; quæ igitur ab iis , qui antè nos fuerunt reétè di&ta funtzde bis fieri non poteft fi alitèr ferihatur, ut reétè fcribam, quæ verò non rectè dixerunt fi ea quidem , quod ità non habeant redarguero nihil profecero ; E cosa abbia fatto in questo caso lo dice in appresso, cioè: Que non rette fuerint cognita aperiam; Quin etiàm qua corum nultus , qui antè me fucrunt explicare aggreffus eft qualia fuerint demonftrabo ; Ed altrove con chę prudenza ne parla:(a) Sed nequè de victus ratione quid  quàm  [c] Dx viftus ratione lib.i.  [d] De ratione vitus in grutis.   [ocr errors] quàm effatu dignum veteres fcriptis tradiderunt , eamque , quamvis magna res fit, omiserunt s Varia tamen morborum fingua lorum genera , multiplicemque eorum divid fionem non ignorarunt quidàm. Avete of servato con che creanza , con che giua stizia; e con che prudenza ne parla un' Ippocrate de' suoi Antichi, scusandoli in ciò, che non seppero, e non pregiudicandoli punto in seguitare, e confeffare ciò, che di buono efi dissero; Si è praticato questo buon costume da alcuni de' noftri Moderni verso li Antichi? Mi pare di leggere, per dire il vero, più tosto il contrario, anzichè mi sono avveduto, che taluno di efli há palleggiato con tal fasto invidioso dace sopra quelle gloriose ceneri, che ne sono rimasto molto scandalizato, rifettendo, che Ippocrate con li suoi Antichi diversamente faceva, nė vi riferirò da vantaggio per non farvi nauseare di ciò, che essi ancora hanno fatto di bene .;  Per fecondo vedremo, come egli fi portò in quelle cose, che lo toccavanoal vivo. Gli pervennero à notizia alcune   predizioni (e) credute da Prospero Mar.  ziano suo Espositore accurato, Astro-  loggiche, che appresso gli Egizj si prati-  cavano in quei tempi, che erano alli   Greci ancora ignote, le quali non li pia-  cevano, mentre disse : Egnautèm hujuf-   modi vates effe nolo ; e con ragione, per-   che gli pervertevano ciò, ch'egli con   tanta diligenza aveva ricavato dalle  proprie offervazioni intorno alli prono-   stici de' mali, e che aveva appreso dagl'   altri, e pure con questa modestia si con-   tonne : Prædictiones Medicorum referun-   tur permultæ tùm præclar& , tùm admira-   tione dignæ, quales neque equidèm prædixi,   neque quemquàm, qui prædiceret, audivi;   e cosi destramente se ne liberò senza   contradirle . Questa maniera sì dolce   non è stata già praticata nel giugnere à   notizia tante belle invenzioni Anatomi-  che ; contro la circolazione del sangue   cosa non fù detto mai? Senza possedere   un'ottimo costume non fi può lodar ciò,   che (e) Lab.2.Prædi&ionum  [ocr errors] che perverte un'abito fatto da lungo tempo, e che si è praticato per lunga serie di anni.  Per terzo riferirò comę egli firegelaya quando era necessitato à palesare qualche errore commesso. Questo lo faceya senza individuarne l'Autore, ece cettuatone li proprj, li quali publicamente confessava , come già fentiste, parlando del disinganno, e questo, da chi vien praticato Solainente d'Ippocrate fi racconta fimile ingenuità, & in caso ancora, che abbią apportato laws morte,  Per quarto finalmente per far trionfare la sua gran bontà riferirò il giuramento, ch'egli fece, che nella Medicina à suo tempo non vi era alcun Medico razionale, (f) che non fosse di buoni costumi, e questo giuramento, chi lo farebbe à tempi nostri ? Onde bisogna neç ffariamente confeffare, che unico fia stato Ippocrate non solamente nella dottrina, mà ancora nell'ingenuità de' co  stumi; [f] In lib.de præcept,  [ocr errors][ocr errors] ftumi ; Sicchè con ogni giustizia li com. pere il principato nella Medicina, che egli da tanti secoli pofliede.  Dovrete yoi dunque per essere tee nuti degni, e veri suoi seguaci non folaa mente abbracciare,& uniformarvià ciò, ch'egli scrisfe in Medicina , mà ancora ftrettamente osservare quanto nella morale si debba fare, ftimando forG il buon' Ippocrate più necessarj li buoni costumi al vero Medico, delli suoi Fisici docu. menti, mentre questi li lasciò in libertà di ciascheduno di seguitarli, mà li primi con giuramento forzava tutti ad offer. varli esattamente, obligandoli a giurare di essere grati, di vita incolpabili, onorati, casti, giusti, modefti, pudichi, fedeli , e di somma segrerezza , e sentite sotto che pena l'obligava: Hoc igitur jusjurandum , fi religiosè obfervavero, ac minimè irritum fecero , mihi liceat cum fummâ apud omnes existimatione perpetuò vitam felicem degere's & artis uberrimum fruEtum percipere , quod fi illud violavero,  pejeravero , contraria mihi contingant ;  E quan  [ocr errors] E quanto mai il buon costume nel Medl  att  [ocr errors]  mente si può comprendere da ciò,   dice nel libro Di lege : Quifquis enim   Medicine scientiam fibi vere comparare   volet eum his ducibus voti fui compotem  fieri oportet natura, dottrina , moribus   generofiss è chiunque di questi ne farà   privo, come uomo profano, diverrà im-   meritevole gli sia dimostrata una scien-   za sì facra , conforme e la Medicina,   soggiungendo ivi : Hæc verò cum sacra  fint , facris hominibus demonftrantur , pro-  phanis verò nefas,   Sono dunque, secondo la mente d'Ippocrate , effcnziali nel Medico le virtù morali , e nientemeno di quello fieno li documenti Fisici, ed in conseguenza ancora come tali apporteranno necessaria- . mente un commo bene al vero Medico , non potendo esser tale, se non ne farà ornato à sufficienza, conforme in termi. ni precisi più diffusamente lo dimostra lo stesso Ippocrate nelli libri De Medico, © De Decenti ornatu, e nel libro De Pre  و (  9  ceptionibus , ove affinche non se ne possa dubitare l'attesta con prova legale, cioè mediante il suo giuramento, ch'è questo : Hoc namque jurejurando affirmare audeam , Medicum ratione utentem , alterum nunquàm invidiosè calumniaturum, fic enim animi impotentiam prodit. Verùm id potiùs faciunt , qui forensem quastum  seEtantur . Sicchè per essere veri Medici razionali dovrete essere ornati di virtù , e non contaminati da’ vizj , conforme sono quelli, che per essere meri mercenarj non meritano il titolo di vero Media co , quantunque fossero nelli documenti Medici versati ; e perciò saggiamente egli nel libro De Lege asserisce: Non folùm verbo , fed etiam opere Medici existimationem tueri oportet; ch'è quanto dovevo mostrarvi nella prima parte.  Se poi alcune virtù fi poffino giuftamente censurare nel Medico, che è la seconda parte del mio discorso, in qualche caso crederei di sì, conforme con un'esempio riferito da Ippocrate brevemente vi farò vedere.  P  TutteTutte le virtù hanno un fine retro, e se fi lasciano operare à tutto loro potere s'inoltrano con tanto fervore, che da alcune di esse in vece di ricavarné profitto , se ne riporterà del danno, La Giustizia, & il Zelo, tra le altre , fe si cferciçano con sommo rigore, & à quel segno, che arriva la loro autorità. Quefte sono capaci di porre cutto il mondo in sconcerto, e perciò diffe Salomone:(+) Noli effe juftus multùm; onde è necessario unirlo alla civiltà per renderle fruttuose.Simili fconcepci appunto potrebboro giornalmente accadere nella Medicina, fe il Medico si voleffe fervire della sola Giu. ftizia, del solo zelo con quell'Inferma male avvezzo in fanità à fare à fuo modo , allorche trasgredendo alla regola di vivere,fosse da esso con tutta giustizia riprefo, & afpramente sgridato di tal’erróre, cosa se ne ricaverebbe di profitto da çal giuftiffima,mà indiscreta riprensione? Se non che, ò l'Infermo facesse peggio  in; (1) Ecclef.cap.79  1  [ocr errors] in avvenire, e che senza alcun profitto perdesse ogni çispetto à chị lo riprese, ed in questo ca fo giustamente il Medico verria censurato, perche non si servi in fare una simile riprensione del prudens ziale consiglio d'Ippocrate, (a) che dice ciò, che deve fare, doppo di averlo afpramente {gridaco,& è : Simulque cum commonefaciendo , & blandè excipiendo consoletur ; & altro ve dice : Condonandum aliquid consuetudini ; Quel poco di dolce, che gli porgerà doppo l'amaro della riprélonę opera tato di bene che faràche la Giustizia usata divenga profittevole ,  Il ţimile pariinentě ne seguirà se voi, con zelo poco discreto , vorrete riprendere taluno , che sia ricaduto in mali venerci ; questo tale, quanto più lo [griderețe , tanto peggio farà , bisogna dolcemente che gl'infinuate , e gli facciate capire il danno , & il pericolo, che gli può sopravenire da fimili ricidive, le miserie, la morte penosa inevitabile saranno quelle , che, inlinuate con gius  [ocr errors] (a) In lib.præcept.  [ocr errors] dizio, lo potranno più facilmente perfuadere di fuggire simili errori, perche questi motivi restano impressi per lungo tempo nella mente , mà le gridate, che passano presto in oblivione , riescono infruttuose, perche sentendosi con animo irritato , non s'apprendono quanto: fi dovriano . Molti altri esempi potrei apportarvi, mà credo , che li riferiti pollino essere sufficienti per farvi capire tal verità ; Volete dunque, che le vostre virtù non fiano censurate , accompagnatele, e non le fare operare fole, e fate appunto conforme si suol praticare con le donzelle vistose à fine non si mormori di loro che accompagnate con altre donne più provetre , e prudenti possono trattare in privato, e comparire in pliblico senza taccia.  Mi persuado che li documenti, le ragioni , e gl'esempj d'Ippocrate, che vi (hò addotti fin'ora, saranno senza fällo sufficienti a farvi incaminare per il retto fentiero delle virtù , il quale spianato in tal guisa , fe à caluno di voi paresse tut  tavia  [ocr errors]  tavia disastroso, non occorrerà s'affati  chi di vantaggio, perche per lui non fa.  ranno à proposito le virtù, e per tanto  se ne viva pure à suo bell'agio con li  suoi vizj diletti, nè occorrerà, che in do-  mani quivi si presenti, perche voglio in  avvenire parlare solamente a quelli, che  hanno generosamente determinato d'ab-  bandonare affatto li vizj, e seguitare le   sole virtù.   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors] G. I Ô R N Å TA V I.  Nella quale s'accenda il modo di prévalerfi   del consiglio delle virtù contra l'infidie.  de vizj, affinchè il vero Medico poffan  godere una vita iranquilla , e lasciare   di se doppio morte una gloriufi memoria :   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] On mio contento non ordinario vi  vedo oggi, prima del solito , quì tutti preferiti; posciacchè averidoviderto nel fine della Giortiada di jeri, che chi nơn s'era già determinato di seguitare le fole viétừ, non occorreva ch'oggi forfè venuto; temevo che almeno quelli , che gliscorgevo più pensoli degli altri, foffero mancati; Mà vedendo quì ancor voi, e più ilari , e disinvolti del consue. to, è chiaro contrafegno, che le vostre menti, che si ritrovavano nelle Giornate passate ambigue, non sapendo ancora à che partito appigliarsi, abbiano già déterminato di seguitar le virtù, avendo jeri gustato, e meditato in appressoquanto di benc da elle ne possa risultaa re; Onde tutto il giubilo interno; che voi ora provares non nasce da altro, che dall'essere divenuti padroni del vostró volere. Spero dunque, che tutti inGeme äverere avuto la medesima forte d'allontanarvi affatto da' vizj, e di confederarvi con le sole virtù, e queste fatele ora padrone dispotiche della vostra voz lontà, e non temere de viżj , che fuor di voi fi ritrovano , che possano essi punto nuocervi, con tutto che vi tramaffero continue insidie per lo sdegno concepi . to contro di yoi's che ve ne siete da efti affatto allontanati , perche farà curau delle virtù il difendervi: Vi säria gran timore quando questi inimici teneilero tuttavia assediato il vostro cuore, e fiorreffero liberamente d'intorno alla voftra volontà ; Allora sì che tion potreste fidarvi delle loro insidie , ftanteche in tal caso le virtù non potriano affiftervi. Vivete dunque cautelati á non tradire. voi stesli orche ne fiece liberi; e questo seguiria facilmente quando apriste qual  [ocr errors] che segreta porta , per dove poteffero i'vizj dentro di voi tornare. Per altro faccino  pure  fuori di voi quel più , che possono s che punto non vi potranno danneggiare.L'esempio l'abbiamo chiaro ne i Romani, che fino ch'ebbero Annibale nell'Italia stiedero con ragione molto mesti, ed affitti per il timore delli gran danni , che poteva loro  apportare, mà appena partito, sollevorno lo spirito, con tutto che proseguisse à molestarli, e di niuna cola elli ebbero più spavento, che della guerra intestina, la quale alla fine fù cagione , che perdelfero la loro libertà.  Parerà oggi discorso superfluo il mio,mentre voi avêdo in abbominazione li vizj;ed essendovi dichiarati seguaci delle virtù, potrete con la guida di esse consigliare più tosto gl'altri, che aver bisogno di Direttore, con tutto ciò perche non avete à bastanza ancora acquiftato Puso di prevalervi di effe , non vi farà infructuoso il sentire da me in compendio quel bene , che à suo tempo, ed  [ocr errors] [ocr errors] in tutti i vostri maggiori bisogni , questo vi apporteranno , potendo ciò ancoras fervire per confermarvi di vantaggio della vostra lodevole risoluzione.  E cominciando prima dalla Religione, che con puro cuore profeffate , poiche  Non fi comincia ben se non dal Cielo ; Qucfta non solamente vi darà lume, e vi fervirà di scorta per quello che riguarda l'eternità, mà vi configlierà di fare fempre uniti con le virtù, facendovicon chiarezza vedere la deformità de' vizj, e li gran danni che apportano; Quindi è, che neceffariamente la fapienza deve ftare unita con la Religione, conforme diffe Lattanzio : Homines ideò falluntur , quòd aut Religionem fufcipiunt omissá Sapientiâ , aut Sapientia foli student omissa Religione , cum alterum fine altero non poffit effe verum ; Oltre di che vi farà conofcere meglio di che forta d'amici avrete da fare elezione, perche fe vi abbattete con taluno di coloro, che sono affatto increduli di ciò, che non veggono, v'in  [ocr errors] [ocr errors] finuerà, che questi non sono à proposito per voi , che ci trattiace quanto porta il mero bisogno ; ma non più oltre, perche questi sono tenuti da Sant'Agostino per tomini carnali , dicendo ; In homine carnali tota regula intelligendi est consuetudo cernendi quod solent videre credunt ; quod non folentznon credunt; conforme ancora, che fuggiare ogni altro vizioso , è che v'intrinfechiare solamente con chi è seguace delle virtù, e finalmente vi terrå fempre circospetti in non prestare fede à ciò,che leggerete, ò sentirete dire; che poffa in qualche parte alienarvi dal suo vero sertimento  Non ritrovandovi ora in istato di potere profeffare la Medicina , per non essere totalmente esperti in essa , vi converrà cercare ottimi Direttori, nella di cui elezione consigliandovi con la Pradenza , v'insinuerà, che vi appoggiate -à quell'appunto, che descrive Cicerone in tal guisa : Eft igitur adolescentis majores natú vereri, ex iisque deligere optimos, e probatisimos , quorum confilio , atque  au  auctoritate vitantur : Ineuntis enim ætatis, inscitia ferum conftituenda da regenda prudentiâ eft.  V’insinuerà d'avantaggio la giustižia come vi dovrete contenere per acquistarvi il loro affetto , che sarà, oltre l'accennato ossequio, di esser loro fede  li, e schiecti z di moftrarvi sempre pune è tutali, obbedienti, e diligenti in tutti li  affari, che v'insporranno, perche operando või in questa guisa, non solamento v'istruifanio con tutto l'amore, må vi loderanno da per tutto, dalla quale preventiva commendazione germoglieranno à suo tempo li principi delle vostre fortune', e troveretegià spianata la ftria da de voftri progreni s állorché principierete à medicáre.  Intraprendendo con questi felici principj l'attual'esercizio della Medicinás allorche' già farete divenuti esperti , non pafferă lungo tempo, che molti di prevaleranno dell'opera vostras & allora appunto li vizj vi comincieranno à muoa vere guerras e Vinvidia farà la prima  ämoà molestarvi. Questa già da bel principio vi aveva fissato adosso li suoi maligni sguardi , mà non prima di vedervi avanzati si muoverà per suscitarvi contro li suoi seguaci, e le comanderà, che spargano da per tutto, che fiere troppo giovani , che non avete ancora pratica sufficiente, e che dicano con finto zelo : Oh poveri Malati, che si pongono nelle voItre mani, se questi guariscono seguirà per miracolo, non per la vostra perizia, e se vedrà, che ciò non basti per arrestaryi ne' vostri progrelli, invigorirà allora li suoi comandi, e farà disseminare dalli medesimi, che siete veramente infelici, mentre quanti Malati vi capitano, tanti ne muojono, e che non sanno capire , come siano così pazzi coloro, che vi chiamano. Sentendovi calunniare à torto in tal guisa, cosa dovrete fare? Non altro, che consigliarvi con la Prudenza, e con la Giustizia, che vi favoriranno assai bene : primieramente vi esorteranno a non prendervene alcun fastidio, perche è affai migliore la vostra  forte  و  sorte , per essere invidiati , che non è quella delli vostri calunniatori , che non hanno chi l'invidj, mà appena tal’uno, che li compatisca. Vi consiglieranno poscia à non prendervela con quei miseram bili , e vili esecutori dell’Invidia , perche operano come suoi schiavi, non già come uomini liberi, e se foffero in loro libertà opererebbero come voi, che aba borrite simili iniquicà. Vi consiglieranno bensì à mortificare l'Invidia in questa forma, cioè, di contraporle la vostra umiltà, quando d'Invidia vedrà, che voi non siete ricorsi alla vendetta rarne il suo ajuto, mà in sua vece vi servite dell'Umiltà, resterà talmente forpresa, e confusa, che si vergognerà in avvenire di ciinentarsi più sola con voi, avyedendosi di non potervi abbattere ; mà cosa farà per non cedere? Si unirà con il Dispreggio, e con lo Sdegno per necessitarvi à ricorrere alla Vendetta. Questi vizj baldanzosi comanderanno à qualchuno de' suoi petulanti seguaci, cine vi faccia una mala creanza, e vi mo  per implom desti senz'averne data occafione, in queIto caso ricorrete subbitamente per consiglio alla Prudenza, che vi farà capire, che di tal'ingiuria , non ne doyete chiedere fodisfazione dalli seguaci del Dispregio, e dello Sdegno, perche quei, che seguitano questi yizj , come imprudeņti, sono ancora pazzi, & į pazzinon essendo capaci di discernere ciò che fạnno, non sono tenuti di renderne conto; Contro li principali dunque, & autori caderà il vostro sdegno , e questi, come vi consiglierà che li mortifichiace ? Non già con la vendetta, perche questo appunto desidereriaạo che faceste, cioè, che ricorreste ad un'altro vizio, che vi tradise, e cogliessę nel mezo per forzarvi å rendervi à loro discrezione, inà bensì con la sola sofferenza tanto da essi temuta per il grandanno, che loro apporta, & affinche lo facciate con aniino generoso vi riferirà li seguenti casi.  A Diogene Filosofo Stoico, mentre stava disputando particolarmente della collera , gli fù da un protervo giovane  fpu  Sputato in faccia , sopportò egli il tutto piacevolmente , e da savio, e solo disse: Io non vado veramente in collera , mà non lasciò però di dubitare , fe in questa occasione doveffi farlo.  Catone mentre staya difendendo una causa ricevette da Lentulo giovane seditioso ua folenne sputacchio nella fronte, egli si nettó, e rasciugò la fronte , & armato di una gran sofferenza, solo diffe: lo affermarò à tutti, ò Lentulo, che fi gabbano quelli, che negano, che tù abbi bocca. Rifettendo voi dunque all'ingiuria maggiore della vostra fatta ad uomini di tanta stima, & al modo, che si conțennero vi si renderà più facile l'esecuzione del confimile ripiego propostovi dalla prudenza , mediante il quale avvedutosi il Dispregio, e lo Sdegno, che in vece di quocervi vi hanno accresciuto ftima appresso tutti, desisteranno ancora eff di più moleftärvi, vedendosi dalla vostra sofferenza delusi, e vinti, Arriverete al fior degl'anni avan.  [ocr errors] zati già ne' commodi, & in conseguenza con più lautezza nudriti. Allora vorrà facilmente la lussuria cimentarsi con voi, e per farvi qualche danno considerabile, vitenderà molte insidie , vi farà trovare occasioni pronte; procurera, che siate con vezzi, e lusinghe adescati; Allora cosa farere?ftate faldi,perche sarà contro voi questa una gran guerra, mentre non avrete campo in quel punto preso di consigliarvi con le virid, ftanteche : Vinum, & Mulieres faciunt prevaricare Sam pientes., come ben diffe Salomone. State faldi, che è pur troppo vero, che molti si sono arrenati per questa cagione nel meglio de’loro avanzamenti : Vi converrà dunque procurare di prevenire l'infidie della lussuria, e non aspettare di cssere prevenuti da effe , e questo lo farere , quando sarete prossimi à quel tempo con chiamare à consiglio generale turte le virtù per risolvere cosa sia efpediéte,che facciate,ò di accasarvi,e con chi, ed in che tempo, ò di continuare lo Aato libero,e con che cautele maggiori,La Prudenza, e la Giustizia vi con figlieranno facilmente à prender mor glie, con il motivo gịultiflimo,che quel la vita, che da voltri genitori riceveste con voi non si estingua, mà che per la conservazione della propria specie law propaghiate ne posteri, ed à buon fine ancofa, che non abbiate tanto da impazzirvi nella vostra vecchiają à cercare l'eredi, conforme ad alcuni, che non mai fi cușorono del titolo di padre è accaduto; La sola difficoltà si rifringerà allo sciegliere chi faccia per poi , perche la Prudenza, e la Giustizia vi vorranng consigliare diversamente da quello si pratica in alcuni luoghi, dove il folico  di cercare chị abbią dotę groffa , chi sia bella, e fpiritosa; la Prudenza non vorrà, che cerchiate questo, in primo luogo, mà bensì, chi sia di buoni natali, di perfetta faļute, e di ottimi costumi, ¢ ben’educata ; e con ragione, perche non deve essere affare di minore impostanza l'accasarsi, di quello, che sia di fær compra di un cavallo; e se per comprare  un  [merged small][merged small][merged small][ocr errors] [merged small][ocr errors] un cavallo ( che non riuscendo buono fi può subitamente dar yia) fi ricerca in primo luogo la buona razza, fe fia fano, e se abbia vizio'alcuno, perche nel pro- : vedersi della compagnia inseparabile non si hanno da fare fimili diligenze Sicchè trovato che ayrete chi abbia le condizioni sudette stringete, senza più indugiare , il vostro matrimonio, con quella dote, che avrà, senza ricercarne d'avantaggio, che farete un'ottimo negozio, perche quattro faranno le doti, che prenderete, una sola apprezzata , e trè inestimabili , per non effervi prezzo, che le uguagli', e saranno, la buona nascita,la salute, e gli ottiini costumi, con la buona educazione, & avvertite à non fare diversamente , per non cadere nella sventura di Socrate, che fi abbatte in una inquietisima Santippa. Circa il tempo in cui lo dovrete fare viconsiglieranno, che non lo facciate nè troppo giovani , nè croppo vecchi, mà bensì nell'età virile, ed allora appunto, che ayrete stabilito un'assegnamento suffi  ciente  1  [ocr errors]  ciente per il inantenimento della vostra  fameglia, e non prima , pèrche si ricerca  fenno, e cominodica per effere, buon Pa-  dre di fameglia. Non troppo giovani,   per non distogliervi da vostri studj, ed  avanzamenti, ne' quali non sarete anco-  ra bene stabiliti , nè troppo vecchi, per  non lasciarli, se avrete figliuoli, troppo  immacuri, e senza avyiamento, e per  non foccombere ancor yoi fotto il peso  del matrimonio prima di quello , che  fareste vivendone disciolti , conforme  à tanti è accaduto ,        Şe poi voi adurrete alla Prudenza ,  e Giustizia li seguenti motivi, che avete   esimervida simile legame, che sono; ò che già vi è nella vostra fameglia, chi sia atto à sostenere un simil peso, ò che dubitate , che la moglie, e l'educazione de'figliuoli vi possano distogliere dalla voftra professione, qualche altro inotivo à voi folamente noto non crediare, che yi forzeranno già à farlo, vilascięrano in tutta yostra libertà, vi consogneranno bensì alla Fortezza, e Tempe  Q:  per  [ocr errors] ranza,  }  ranza , acciocchè vi consiglino, e prestino ajuto in caso, che la Luffuria vi fa. ceffe qualche violenza . Il consiglio, che quefte virtù vi daranno sarà facilmente, che siate circospetti, ed appena , che vi sarete avveduti di qualche laccio, che yi tenderà la Lussuria di troncarlo,e prima che vi poniate il piede, che siate fempre cautelati nel parlare , ę fentendo qualche parola equivoca, l'interpreciate sempre à favore dell'onestà, né la crediate detta per voi, che ricevendo qualche cortesia insolita, la crediate fatta solamente per isperimentare la vostra modestia, e non ad altro fine , onde la cancellerete subitamente, acciò la rimembranza di quella non turbi la vostra fantasia ; Che vi moftriate sempre sostenuti più tosto, che galanti in certe occasioni di confidenze, dalle quali con bel modo procuriate di liberarvene , che da certi luoghi sospetti,se ne potrete fare a meno, ne stiate lontani, & andandovi, procuriate efservi in ore, che vi fieno altri, perche al parere di Seneca : Magna pars  peccatorum tollitur fe peccaturis teftis alibi  Aat(a); ed ivi non vitrattenjate più del  bisogno necessarios e sempre con discorsi   serj, ed uniformandovi alli consigli della  Fortezza, e Temperanza non diffidate  punto della loro allistenza nelli maggio  si vostri bisogni, che dureranno lino à  tanto. che sarà in auge il fervore della  vostra gioventù .         Il vizio della gola vorrà aticor'egli  fare tutti li suoi sforzi contro di voi in  decto tempo più profpero di vostra vita,   per vedere se vi potesse adescare; e cofa   farà a comanderà facilmente à qualche-  dano de' suoi ricchi feguaci , che facen-   do uno de' fuoi sontuolillimi pranzi, o   cena; conviti ancor voi; considero , che   vi troverete in quel punto preso incri-   garislimi, perche rifletterete allora , che   le ricuserete tale invito , sarete' tenuti   per uomini incivili, che non gradite li   favori, e cortefie, che vi fi fanno; fed    l'accetterete,metterere ad un gran risico   Ja vostra temperanza , onde vi converrà   (*) Episi 11.di questo ancora chiederne preventivo Consiglio s. per aver pronto il suo fano imedio per quando vi capitaffe il bio fognb.  si Consigliandovi preventivamente con la Prudenzás.per sapere in che modo allora vi dovrete contentere, sarà facilesi chievi dica;;che se viritroverete in luoo ghi dove sia solito, e che frequentemente li Medici fiano convitati, & intervenghino in fimili bancheteis. non ricusate tali inviti s perche quelle cose, che sono folite', nou recanto alcuna aimniirazione, non facendosene caso,basterà solamente; che yi sappiate regolare con giadizio in non pregiudicare di molto alla vostra  consueta fobrietás perche nuocerestu e è  più li denti nel masticare , che la gola nell'inghiottire si e diportandovi in tal guisa,la gola avrà poco guadagnato con voi; Sepois dove voi dimorerete , non fosse in uso, mà solamente, che di rado li Medici v'intervenissero con modo al  fai civile, che lo ricusiate pure,non man.. candovi legittima scusa, mentre ò la vo(tra complessione non assuefatta à fimili disordini, ò qualche cura riguardevole, che avrete in quel tempo, queste vi potranno efiinere onestamente da qualunque taccia d'inciýiltà . 03.15  Sò che vi appagherete di tal distinzione saviazfatta dalla Prudenza, effendo. voi capaci di riflettere , che dove i Mea dici ricevono spesso simili correfie fono molto stimati, ed in conseguenza i loro difetti non sono con tanta attenzione norati da tutti, come l'opposto segue dove di detta stima si penuria.  E certamente l'esperienza hà fatto vedere, che nel secondo caso, quando li Medici si sono voluti azardare à fimili cimenti, se ne sono poscia pentiti, ftante che, ò per non essere cosa solita , ò mediante la curiosità di vedere in che modo si regolavano coloro, che tanto biafie mano la crapula, hanno ritrovato iyi molti spettatori de' loro portamenti, che li hanno posti in qualche suggezio.  R 4  [ocr errors] ne,  he', mediante la quale ; se hanno procutato di contenerli nella sobrietà, hanno. fentito de'motteggiametitizñiehte da effi graditi, e se hanno disordinato, gli sono giunti all'orecchie certi sussurri della's fervitů z che diceva : Il buon Medico che biasima tanto li disordini , egli troppo fà peggio di noi, andiamo à credere cið, ch'egli dice; Se poi taluno di elle fia restato gabbato dal vinos non hà troVato già chi l'abbia seusato ; conforme fece Seneca a favore di Catone; impuitato di fimile vizio, dicendo, che non poteva essere, che un Catone fi ubriacasses mà quando che ciò fosse stato vero, in un Catone fimile vizio faria passato in virtù .  Mà non si sono già pentiti quelli ; the civilmente ricufarono fimili inviti, mentre fattisi capaci coloro, che desideravano di vederli crapolare; dalli giusti motivi apportaci per iscusa, rimasero più tosto edificati, che disgustati da fiinili repulse, ed in segno di ciò ne diedero in avvenire attestati di maggior ftima: Ne  ро  [ocr errors] [ocr errors] potrei di questi efempj riferire alcuni a mà, per non dilongarmi troppo , ftimo bene di tralasciarli . Sicche, per vincere la gola , il partito più sicuro sarà di fuga gire l'occasioni pronte di crapolare con un'onesta ritirata , conforme la Prudene za configlia :  Stabilito che avrete il vostro itato à quel fegno che potrete ; non solo per decentemente vivere , e mantenere con decoro la voftra casa j mà ancora con la vostra economia accrescerla commodamente; allora l'ingordigia , e l'infariabia lità di cumulare vi comincieranno & muover guerra, e quello, che farà più formidabile con apparenze vantag: giofe v'infidieranno alla vita , mentre vi Itimoleranno, e vi violenreranno infieme ad accettare tutto ciò che vi si pre fenterà davanti , e fe quefto non bastera à renervi nottése giorno occupati, vi ftimoleranno à procurarne de' nuovi fervigj, e certainente non per altro fing, che per distruggere in breve il vostro inzia dividuo con una eccelliva fatica, con  una  1  250 Dell'Idea del vero Medico. una continua inquietudine di animo,con una perpetua schiavitudine, credute tutse dal Mondo pazzo per felicitàe per prosperità di fortuna  Cosa dovrete dunque fare per rimuovere da voi un sì evidente pericolo di vita, che vi sovrasta 2 Vi converrà certameute prenderci rimedio prima, che questi nemici facciano breccia nel vostro cuore., e parlamentino con il vo. ftro desiderio, perche altrimenti con lo fplendore dell'oro li guadagneranno, ed il suo rimedio ficuro farà, che quando  ' non ifta concento di ciò che hà, e vorrà procurare cofe maggiori, di consigliarvi tosto con la Prudenza, che questa facilmente lo quieterà con dirvi : Cofa bramate d'avantaggio a non avete, più di quello vi bisogna rimirate quanti altri, che hanno accor essi egual merito alvoftro, sono più attempati di voi, e pure non sono così ben proveduti, come voi fiere: Ditemi, che tempo avete , che vi avanza , quando appena ne resta tanto ,che basti per lo studio necessario's e pery il bisognevole riposo ?  E quale di questi due tempi vorrete impiegare nelle cure di più, che deside rate confeguire ? forse il primo ? La Giustizia se'ue sdegnerà per non esser vostro: Forse il secondo, che è cutro vostro & come potrete vivere s fapendo voi, che: Quod caret alterna requie durabile non eft. Riflettete attentamente, che lo le pioggie curte cadessero sopra pochi campi, in vece di ravvivarli, e rendera li più fécondi , opprimeciano più costo quanto di verde li ricopres e che la gran Providenza ,che saggiamente opera, dispensa il publico bene à prở di cucţi; facendo, che il Sole non per pochi, mà bensi per tutti risplenda', c finalmente che le taluno vorrå soverchiainente cam ricare il suo stomaco, anco di dolcissimo cibo , gli converrà ben spesso soffrire aspri dolori di ventre. Risplende molto l'oro, må riflettere ancora , ch'è più' grave di qualunque altro metallo , onde neceffariamene ammaffarne di molto non  si può  G può senza restarvi affatto oppresli id Breve sotto il suo grave peso, o per la meno perderci la propria libertà; Quindi è, che faggiamente Curio ricusò da'. Sanniti tutta quella gran quantità di oro, che gl'avevano portato 5 dicendo foro, che esso credeva cosa più gloriosa il poter comandare à chi molt'oro possedeva , di quello che fosse il possederne di molto ; volendo in tal guisa farci ca. pire, che non si poteva cumulare oro in: gran copia, e mantenere la sua libertà. Il mio configlio dunque è, che freniate il vostro defiderio, acciò non bramjata nè pure una cura d'avantaggio di quel le, che potrete commodamente reggere, e tanto maggiormente, che quefta voce Cura appresso li Latini non significa altro, che Briga, è travaglio, ex eo quod cor edat, dw excruciet, delle quali conviene ayerne folamente tante,quante baftino à poterle fofferire, e non più , verificandosi in esse più, che in ogn'altra cosa quel detto: Ne quid nimis . Sentitene però il parere della Giustizia per res  go:  [ocr errors] golarvi fino dove vi potrete stendere;  per non incorrere nella caccia d'insa-  ziabili.  Voi sarete facilmente rimasti per   ora appagati di quanto vi avrà detto la   Prudenza, à segno, che non vi curerete   sentire altro conseglio, con tutto ciò per   convenienza almeno sarete tenuti,aven-   dovi ciò la sudetta incaricato, di sentir-   ne il parere della Giustizia , intorno al  vostro regolamento, e con tale occasio-  ne vi potrete consigliare ancora sopra   un certo ripiego, che facilmente il vo-   ftro desiderio visuggerirà, cioè di all.com   gerirvi de’ servigi antichi per proveder-   vi de' nuovi di maggior vostro profitto,   e minor briga, il quale non lo dovrete   porre in esecuzione senza l'approvazio-   ne della Giustizia.   Esposto , che avrete a questa fanta virtù ciò, che bramate sapere, ella cortesemente y'insegnerà ciò, che dovrete fare intorno al vostro regolamento, che sarà di misurare in primo luogo le vostre forze , & il tempo, che vi resta libero,  [ocr errors] e poi l'impiego , che vi si presenta, e se rincongrerete le misure proporzionate trà di loro , accettatelo pure, senz'alcun timore della taccia d'insaziabili; Vi suggerirà però, che stiate bene oculati in prenderne le dette misure à suo dovere, affinchè non reftiate ingaonati, perche . altrimentiaffatto infructuofo riusciria il fuo configlio,ed acciocchè non segua un tale errore, vi darà lei medefima dug meze canne, una delle quali la troverete molto scarfa, e l'altra affai vantaggiosa; con la prima yi ordinerà, che miluriate le voitre forze, & il tempo, che vi ayanza ; con la feconda l'impiego, che vi li presenta, e prendendo voi le misure in questa guisa yi assicura la Giustizia , che non potrete errare. Doye che facendoli da voi diversamente, tutte le altre meze canne , che adoprerete ve le porgerà il yostro desiderio fatte à suo modo, e saranno tutte yantaggiose di molto quelle, con le quali misurerete le vostre forze, & il tempo, e scarsiffime quelle, delle quali yi servirete per misurare l'occasio  ni,  [ocr errors][ocr errors] ni , e questa è la cagione de? sbagli, che fi prendono contro il volere della Giuftizia , c per due capi, (primieramente, perche chi misura in cal guisa erra per abbreviare la lunghezza di fuá vita , divenendo omicida di fe medesimo, sì ancora per il danno,chie nc poffono riceveré alcunische ad ore affai incongrue, ed à mente stracca gli cocca per fimilisbagli essere curati.  In glçre vi dirà apertamente, che non dovrere in conto alcuno disfarvi delli servigi antichi per prenderne de' nuovi in fua veće, perche non avete alcuna giusta cagione di farlo , anziche facendolo, mostrereite una somma ingratitudine in abbandonare chi in temро  de' vostri bisogni vi fù grato , e chi vi favori ne' vostri avanzamenti, non con altro motivo, che de' yostri maggiori vantaggi ; se poielli, senza alcuna vostra colpa, fi alienaffero da voi , in questo solo caso, perche volenti nan fit injuria, lo potreste fare senz'alcuna taccia d'ingratitudine; e së esercitaste la  Me256 Dell?idea del vero Medica, Medicina in certi luoghi lontani, dove alcuni li prevalgono di un Medico fino à tanto, che lo vedono incominciare à far negozj, ed allora se ne disfanno per prenderne à proteggere un altro : İyi basterebbe pazientare un poco, che vi li presenterebbe l'occasione di poter: lo fare, mà dove ciò non li costuma vị convien’essere grati, e costanti, fische sarete capaci di medicare,  Con tutto che resterere per qualche tempo appagati di quanto vi hanno consigliato la Prudenza, e la Giustizia perche il vostro desiderio yerrà conținuamente bersagliato daļli sudettį ab. bominevoli vizj, sarà necessario, chcimploriate l'affiftenza della Fortezza , e Temperanza , acciò perseveriare sempre Itabili nell'offervanza di detto consiglio, & il maggior bene, che dette virtù vi potranno apportare, sarà d'infinuaryi diverse istorie di coloro, che per essere Itati insaziabili, nel colmo delle loro credute prosperità sono mancati, eche infelice memoria di esia ne fią rimasta trà  noi  [ocr errors] و  [ocr errors] noi, mentre chi ha lasciato la sua fameglia appena slattata , senza indirizzo, a senza guida, chi intricata la sua eredità , per non aver avuto tempo in vita di ben'impiegare li suoi avanzi; chi, doppa fofferta una lunghissina, e dispendiosa infermità, acquistata per li suoi grans Strapazzi , appena hà lasciato tanco, che bastasse al suo funerale; e finalmente cosa sia stato detto di tutti doppo morti, cioè, che non'ınericavano d'essere compatiti, perche erano morti per colpa loro, avendo voluto abbracciare troppo, e più di quello, che potevano reggere, çon tutto quello, che la maledicenzą gradita, e senza timore alcuno så inventare di peggio contro i poveri des fonti,  Impresli, che avrete sì spaventosi esempj nelle vostre menti, con la riferfione, che il simile seguirebbe in voi,  fc cadefte in tali errori, non temeţe più , che il vostro disiderio possa essere superato da simili vizj , perche questi gļi serviranno di un gran freno ,  R  Nelle  Nelle vostre maggiori prosperită l'Adulazione ancora vi farà doppia guerra la prima confifterà in ispargere di voi più lodi di quelle , che meriterete, per risvegliarvi contro l'Invidia , quando fi foile mai adormentata, mà trovandovi già premuniti de' buoni avvertimenti dativi dalla Prudenza, non vi potrà punto nuocere in questo primo asfalto, e se uniręcę alla fofferenza una profonda , e fincera umiltà, supererete l'Adulazione, el'Invidia nel medesimo tempo, Màvedendofi da voi la maliziosa Adulazione fchernita , adoprerà tutte le sue frodi per violentarvi ad essere suoi seguaci , e per farvi divenire per forza Adulatori, come farà mai ? Sentite bene; Pren. derà l'occasione di qualche cura grave, nella quale intervengano molti parenti, & amici dell'Infermo, e vi farà da  queiti  porre in angustie di diventare Adulatore per forza, per li seguenti impulsi : Vi dirà taluna di esli , questo male si aggrava, perche non gli fate applicare quattro vefficatorja se ne morirà senza  questo  [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small] questo rimedio, e la colpa farà tutta yostra, che trascurate un rimedio sì efficace. Un'altro vi dirà: perche non gli date una buona Medicina da tirare giù ? lo volete lasciar morire senz'ajuto? ayver, cite, se muore , fentirere, che si dirà di voi, à me basta di avervelo avvisato. Vi sarà ancora trà essi chị vi ayyertirà, che se gli cavate sangue morirà certamente, perche non gli conviene; e d'avantaggio vi dirà , che se lo cayerere lo amazerete, e derro male farà per appunto un'infiammagione interna , nella quale non conviene ciò, che viene proposto , e gli sarà necessario quanto viene ritardato. Vedete in chę angustie , in che laberinţi vi troverefte, se non aveste la Prudenza configliera ? Imitercste senza dubbio, ò quel Medico, à cui un tempo fà , fù suggerito da un'amico dell'Infermo , in un caso simile , un certo riinędio, dicendo, che lo proponeva , perche cra esso ancora mezo Medico ; A cui alquanto alterato gli rispose: & io son tutto Medico , conviene dunque, che la mecà ce  [ocr errors][ocr errors][merged small] fi: 28    1  da al tutto; Io, che sono tutto, non voglio che si dia , non si deve dunque dare; O pure quell'altro, che ritrovan. dosi in un fimile intrigo», doppo aver dette le sue ragioni , senza profitto, rifpose : Giacchè loro Signori ne fanno più di me, facciano loro la cura , e se ne andiede via, mà ciò non lodandolo la Prudenza, sentirete dunque da lei , in che forma vi dovrere regolare.  Sentendo riferire da voi questo fatto la Prudenza disapproverà molta, che chi non è Professore, ardisca così francamente di proporre, ed escludere quelli rimedj, che in mali sì gravi danno molto da pensare alli medesimi Professori provetti, e che pongano à cimento li onorati, con modi si violenti, di diventare Adulatori, e facilmente in tal guisa vi consiglierà: Dite le vostre ragioni à chi bisogna, con animo composto, e questi, ò fi appagheranno di quelle , ò nò, se ne resteranno fodisfatti, rimarrà già terminata la controversia , e potrete fare liberamente à voftro modo, se poi persisterahtio ancora ostinati nella loro opis nione , allora suggerite, che tratrandosi di un male sì grave con tante controverfie, desiderate nella cura di avere altri Professori compagni per meglio risolve. re ciò, che si debba fare ó e procurate, che con sollecitudine ciò segua y acciòcchè la lunga dilazione non pregiudichi all'Ammalato, e che ne consulti siano presenti coloro, che fuscitorno le controversie , affinche sentano con quante circospezioni sono serviti gl'Infermi, ed ancora se avranno qualche cosa di più la poffano dedurre à tutti.  Facendo voi à modo della Prudens za, non dovete avere più timore di prevaricare, perche la Fortezza vi assisterà, c consolerà insieme , l'assistenza sarà di non farvi prendere in questi casi certi : dannosi ripieghi, che sariano , in vece de' vefficanti d'applicare li senapismis di un purgante , dare un leniente, ed in tanto d'andare differendo la sanguigna , facendovi conoscere, che l'operare in questo modo non è da Medico, mà bensi  [ocr errors] 9  [ocr errors] da Adulatore, e che quancunque questi tali nelli funesti eventi fieno dall’Adulazione tenuti indocenti, e difefissorio però dalla Giustizia creduti rei di gran colpa s con tutti quelli, che ne diedero l'occasione, e vi confolerå parimente la Fortezza con dirvi: Si poffono chiamare tempi felici nella Medicina li presenti, non vedendoli ora l'Adulazione premiata à quel segno, che era ne' tempi di Galeno, nè la lincerità così vilipesa; Allora trionfavano li Medici Adulatori, erano ricchi, e potenti gerano stimati , e riveriti, ogn’uno facęya à gara di fayòrirli, eli onorati, sinceri, e docti se ne stavano abbandonati, derisi, evilipeli, e se non fosse stata la mia grand'alistenza,che prestavo loro , nè pure úgo ne sarebbe rimasto di efli, anzi Galeno isterlo, che non avesse prevaricato per quanto venivano violentati dall'Adulazione :' So, che presterete fede à quanto vi dico, mà volendovene accertar meglio di quanto fuccedeva in quei cempi leggere ciò , che Galeno riferisce nel primo del suo  [ocr errors] me.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] metodo, che appunto è questo: Eoque jure fit cum ægrotare cçperint Medicos advocent , non quidem optimos į utpotè quos per Sanitatem noscere nunquam ftuduerunt , fed eosy quos maxime familiares habent ; quique ipfis maximè adulentur , qui du frigidam dabünt; si banc popofcerint, lavabunt cùm juferint; a nivem; vinum= que porrigent poftremò quidquid jubebitur mancipiorum ritu facient &c. itaque non qui meliùs arten callet ; fed qui adulari aptiùs novit apud iftos magis in pretio eft , buic omnia plana's perviaque funt , huic ædium fores patent ; hic brevi efficitur dives, plurimùmque poteft &c. Quali violenze oggidì sono cessate , mercèche hanno imparato molti à proprie spese à non commertere più la loro vita in mano degl'infidi Adulatori, e perciò essendo mancati per loro l'impieghi, e li gran guadagni, che in breve facevano,è mancato ancora quel grand'impulso, che vi era à dover effere Adulatori per essere adoperati, e tutto questo mi costa  per essere io la Fortezza, che affifto à quei  ز  e. lig a fe ne be he ni dy 112 to 5, 10  generofi spiriti,che abborriscono l'Adulazione , & abbandono quei vili, che se le danno in preda  Se poi non bastasse all'Adulazione d'avervi fatto violentare da parenti, ed amici, mà volesse ancora farvi forzare dall'Infermo isteffo à divenire suoi fem; guaci , in questo caso, fatte che avete le diligenze propostevi dalla Prudenza; e. che mediante quelle egli non resti appagato, la Giustizia non vi violenterà già à continuare il servigio, vi forzerà bensì à non divenire Adulatore , onde in questo caso, con tutta civiltàs procurerete ( quando l'Infermo' non deliri) di consegnare ad altri ciò, che non fà per la vostra riputazione ; ben’è vero, che questi sono casi rarissimi avendo molte altre cose da penfare l'aggravato Infermo, che di voler'essere adulato, con tut  per farvivedere, che ve ne sia stato qualcheduvo, che abbia desiderato di cllcre adulato fino alla morte, viriferirò la presente istoria : Una persona di qualità cospicua, molti anni sono, dovendosi  pro  to ciò  [ocr errors] [ocr errors] provedere di Medico; ne scelse uno tutto di suo genio, ed avendolo participato al suo amico di confidenza ; questi in vece di rallegrarsene seco se ne condolse, dicendogli apertamente, che poteva fare meglior'elezione , essendovene tanti più esperti del già eletto 3 replicò à questo: Lolo-sò beniffimo, mà hò voluto pren derne uno, che faccia à mio modo ancora quando mi trovo ammalato, perche io non poffo Coffrire quel Medico, che allora mi voglia forzare à fare à suo modo, gli rispose saviamente l'amico : Signore, chi fà à suo modo quando ft benes: conviene , che faccia à modo del Medico quando ftà male, non poffo lodare la sua elezione, con tutto che sia di suo genio, perche si tratta di Medico, à cui si consegna la propria vita, non già di un servidore di mera comparsa ; che poco importa di che abilità egli sia, mà non paffarono molti anni, che detto Signore cadde inferino di lunga , e fiftidiosa malacia, che terminò finalmente, per essere vissuto à suo inodo in un'ascelfo interno, espurgava della marcia per feceffo , la vidde l'isteffo Infermo, che diffe, non farà marcii , må bensì il pangrattato, che hò preso questa mattina lo domandò al suo Medico, che gli rispose per dargli gufto, quello appunto & Signore, e con quel pangrattato se ne mori, adulato sempre fino al fine della fua vita.  L'Iniquità, e l'Inganno confederati , nôn porerido più Toffrire, che voi godiare quella bella tranquillità interna per cagione delle vostre virtù, vorranno ancora effi con le loro frodi adoperare ogni sforzo possibile per turbarla ; ed in fare ciò vi toccheranno facilmente nel più vivo, inolestandovi in qualche cosa di vostra somma premura , e doppo di aver consultato trå fe più danni,risolve, ranno alla fine di farvi perdere il servigio di quelli, che vi sono più á cuore, € tanto si adopereranno,e con tanti mezi s'ingegneranno, che finalmente gli riufcirà ciò, che bramavano i onde voi, senza faperne il perche , e senza averne  data  و  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] data alcuna occafione , essendosi con in? sidie segrete proceduto , all'improviso vi troverete esclusi da quel servigio da voi tanto prediletto. E che farete allora? vi dolerete forse con la Giustizia ; che siete stati licenziati à torto ? Avvertite , che facendo in tal guisa imitereste Santippa, che si doleva della morte di suo marito , perche si faceva morire å torto, à cui il sapience Socrate rispose : E che desideravi forse, che io foli fatto morire à ragione ? questa appunto è la mia gloria, che sono fatto inorire à torto. Sicchè alla Giustizia non vi cooviene ricorrere, må berisi dapoi che fi sarà alquanto calmato quel senso, che neceffariamente vi avrà apportato una nuova ingrata, ed improvisa, dovrete ricorrere alla Pradenza per riceverne il suo configlio à fine di poter più spedicamente restituire all'animo vostro quella bella calma, che dall’Iniquicà, e dall'Inganno gli era stata rubata :  La Prudenza senrendo da voi tal novità vi consolerà certamente, ftate  al  [ocr errors][merged small][ocr errors] allegri, dicendovi , che questa è una's grazia, che vi fà la Divina Providenza, facendovi capire , che vi dovete alquana: to staccare da ciò, che nel mondo vi è più caro , per confidare solamente in lei, che non mai hà abbandonato chi fedelmente la serve. E di che vi dolete? forse perche perduto avete un servigio à voi caro ve ne restano pure tanti altri? com- .. partite tra questi il vostro affetto, che così non avrete fatta perdita alcuna potendone del vostro amore ricevere da molti maggior ricompensa di prima, ò pure (che sarà meglio ) questo vostro amore non gradito dagl'uomini accrefcetelo à Dio, che vi recherà molto maggior profitto di quello , che vi rendeva prima. E se veramente amate di cuore quella casa, che avete perduta g non vi dovete contristare della perdita vostra , mà bensi della sua , avendo lasciato voi, ch'eravate già istrutti da tanto tempo nelle complessioni, e mali di chi ivi conviveva per prenderne uno affatto novizio , che prima , che ne qa divenuto  1  capace à quel segno, che voi siete, vi vuole del tempo affai, & in tanto come anderà? e poi se questo nuovo eletto fù complice ancor'egli nelli segreti trattati dell’Iniquità, e dell'Inganno , che bell. acquisto , che averà fatto, prendendo uno di simili costumi in vostra vece , che fiete uomini di onore, talche non voi, mà chi vi lasciò hà occasione d'afAliggersi, perche danno à se stesso feçe, non à voi, che per essere esenti da questa briga ne ricevere sollievo ; chi è pari. mente entrato in luogo vostro , se pur? egli è complice, come disfi , ayrà molta occasione da contristarsi per la finderesi, che gli resta di non avere operato come dovea, e per il timore, che un giorno il fimile possa succedere à lui ancora.Quietatevi dunque , giacchè rammarico alcuno non vi resta d'averli mal serviti, con questa ferma fiducia, che in quel sito ( come tante volte è accaduto ) da dove la malvagità, e l'inganno hanno tolto à viva forza un virgulto , la Giustizia vi pianterà un vago, e glorioso lauro  con  [ocr errors] con questo motţo ;Ųno avulo splendidior non deficit alter; molto di più vi potrei dire, se non lo riputaffe superfluo, poiche gl’animi vostri ben moriggeräti con pochi motivi si sodisfano, e li calma. no, allorche vengono da accidenti im. provisi turbati,  Udifte come vi consolo bene la Prudenza, e con che fortį motivi , li quali fe li cerrețę impressi nelļe vostre menti, quantunque vi giungano simili accidenti in avvenire, punto non vịcontristeranno, avendo questi forza di disporre gl'animi vostri à foffrirli coftantemente, ed in conseguenza di fare, che li sudetti vizj delle loro iniquità non trionfino.  L'Ambizione yorrà ancor'effa nell' auge delle vostre fortune tentare, fe  potesse fare con yoi quaļche acquisto; s'ingegnerà di porvi nella mente idee grandiofe , viftimolerà à molte imprese, con pretesto di rendervi a' pofteri gloriofi : Per esempio , fe y'insinuerà di comporre qualche vago sistema di Medicina, qualche nuoyo metodo di medicare , à qualche altra cosa non pensata , nè tencat fin'ora da altri, e voi ricorrere subbita. mente alla Prudenza per consiglio, e vedrete come v'indirizzerà bene ; intorno à nuovi sistemi, e metodi di medicare vi farà questo dilemma: O ve ne sono trà gl’inventari de' veri,ò nò; Se ye ne sono, perche non li seguitate? che cosa yolete cercare di megliore della. verità? Se poi non vi è cosa ancora accertata in quelli, avendoyi per tanti secoli frayagliato una infinità d'uomini dotti, cosa yi persuaderete di fare di vantaggio ? non vi avvedete , che indarno faticherefte ancor voi, senza speranza alcuna di gloria, e se pure la conseguiste saria per pochi momenti; Il sistema, ed il metodo corrispondono al tutco, e quando questo non regge , e non suflifte, è se. gno evidente, che le fuc parci costitutive fono difertose; Impiegate dunque ogni voftra fatica in accertare , e rendere palese qualche parte di esli, che vi avvedrere, che sia oscura, ò che manchi, la quale benchc minima , nulladimeno una gran gloria vi apporterà, allorche l'averete accertata, e rinvenuta , e lascierete tali imprese grandi a' pofteri , che fi renderanno più facili a'medesimi, ale lorchè acquistate, saranno maggiori notizie delle loro parti costitutive,di quel, le ve ne fieno al presente; E per non effere creduți imprudenti scegliere di queste le necessarie , come avvertì Cicerone, (a) dicendo : Alterum eft vitium, quòd quidàm nimis magnum  gran  )  ftudium , multamque operam in res abfcuras , atque diffaciles conferunt , eafdemquè non necesarias; e quelle ancora, che sieno proporzionate alle vostre forze, come insegnò Orazio :(b) Sumite materiam vestrisqui firibitis    aquam.  Viribus , & verfate diù quid ferrere     cufent  Quid valeant humeri.   E perciò vi consiglierà la Prudenza d'impiegarvi in yostra gioventù intorno į a' ritrovamenti Anatomici , Chimici,  of[a] Primo de Officiis. (b] De Arte Poetica.   osservazioni Mediche e d'altre cose   utili, che richiedono ayvedutezza di  mente, buona vista , afsiduità , pazien-  za, e sanità, e questi accertati, che sono  incontrovertibili, rimangono per fem-  pre, e vi dissuaderà in detta età di dare  alla luce trattati di nuovi modi di inedi.  carc,essendo allora appunto come i frut-   ti fuori di stagione, che non hanno tutta  la loro sostanza, dovendosi ciò maturare  nell'età avvanzata, e colma d'esperienze  pratiche , dal che si può dedurre la ca--  gione, perche talvolta ne’libri,che trat-  tano di pratica , alcune cose, che vi fi  ritrovano non si verificano punto, e ciò  proviene , perche furono descritte da  Medici , che non avevano ancora tutta  l'esperienza necessaria per meglio accer-  tarle.   Vedendo questo vizio di non avere { potuto nella vostra persona fare alcun  guadagno, vorrà far prova, se per l'amore, che portate à qualche vostro figliuolo vi potesse far prevaricare, e vi anderà suggerendo à poco a poco, che avendo  S  voi  [ocr errors][ocr errors] voi de' buoni Protettori, gli procuriate, mediante il loro ajuto, qualche titolo nobile , qualche carica onorifica superiore alla vostra condizione per inalzarlo, e dargli insieme attestato del vostro amore, e benche questo non cada nella persona vostra direttamente, con tutto ciò, venendo procụrato da voi, tanto sarete tenuti consigliarvege con la Prudenza, anzi con la Giustizią-ancora , e consigliandovi con queste virtù vi diranno concordemente, che il maggior benc, che voi potrete fare a' vostri figliuo, li sarà, il procurare con ogni maggiore judustria , che divengano capaci , e meriteyoli di dette cariche, di detti titoli, che così, con poco ajuto de' vostri Protettori, potranno à suo tempo conseguire ciò, che sapranno desiderarc, e gloriosamente, venendo loro ciò conferito à cagione del proprio mcrito, ed operando voi in tal guisa , l'Ambizione nonpotrà trionfare di voi; trionferebbe bensì, quando che voi usaste violenze in procurar cose, delle quali non ne fossero  [ocr errors] me  [ocr errors] meritevoli, nel qual caso ancora quanto farete loro ottenere sarà per l'appunto consimile à quel titolo nobile, e speciofo, che si legge nel frontispizio di qualche libro, à'cui la materia rozzamente,  senza dottrina in esso trattata non gli corrisponde, che in vece ne formi concetto di esso chi lo legge, e considera, lo muoye più tolto al risos e perciò resta in un cantone derelitto, senza che alcuno più lo consideri,  L'Avarizia con duplicato pretesto di zelo vi assalirà ancor'effa, ftantechę se non avrete figliuoli, ò nipoti y’infinuerà, che facciate degl'avanzi più che potrete, à fine di stabilire qualche degna, e grandiosa memoria di voi à prò de' posteri; fe poi gli averete, li facciate ancora per lasciarli più commodi, ed in questo frete bene circospecti, poichè  Fallit enim vitium fpecie virtutis ,  du umbra; Onde appena, che in voi fentirete certi impulli, certi stimoli infolici di cumulaà tali effetei, consigliatevi con 13 S2  PruePrudenza, e con la Giustizia, le quali vi faranno capire ciò, che dovrete fare , c vi diranno facilmente intorno alla memoria grandiosa, che meditate di lasciasciare, essere meglio, che la lasciare ale quanto meno magnifica, e senza alcuno ajuto dell'Avarizia, che grandiosa con viziosi avanzi, perche tutto quel di più, che mediante il vizio l'accrescerete, in vece di apportarvi gloria , vi recherà ignominia , e che rispetto al cumulare di vantaggio per li figliuoli, e nipoti non lo facciate, perche quello lascierete loro di più,acquistato con Avarizia consumerà ciò, che avrete onestamente acquiftato, in oltre che voi siete tenuri di lasciar loro tanto, che li bafti à potersi avyanzare ancor'essi nelle virtù, stante  che :  Haud facilè emergunt quorum vir  tutibus obftat  Res angufta domi . : E v'infinueranno d'avantaggio, che Ippocrate v'insegnò' chiaramente à tal proposito ciò, che dovete fare, dicen  dovi  [ocr errors] [ocr errors][merged small] dovi: (a) Neque verò exigende mercedis  cupiditate duci oportet , nisi ut ad artem  edifcendam tuos instruas; E che quando  gli averete duplicato, ò triplicato ciò,  che fù lasciato à voi, e vi bastò per di-  venire virtuosi, sarete giudicari da tutti  per buoni Padri di fameglia, e che av-  vertiate bene, che certe ricchezze, che  superano la propria condizione, e per  altro non bastano à mantenersi in altra  sfera superiore , sono pericolosissime,  perche à cui fi lasciano , volendosi trat-  tare quefti d'avantaggio di quello, che  compete loro, preftamente le dißiperan-  no, conforme l'esperienza quotidiana lo   dimostra ben? fpeffo , per non volere   questi tali ad altro impiego applicare ,   che à quello dello dispendioso diverti-   mento, non servendo ftrertiffimi Fide-   commiffi , nè altri legami inventati per   impedirlo; ftanteche nella medesimais   conformità, che da'viventi si passeggia   sopra li sepolcri de’defonti, cosi ancora   per l'appunto si passa sopra le loro vo-   [ocr errors][ocr errors] lon(a) De pracept.  S 3.  278 Dell'Idea del vero Medico. lontà, e che quello, à cui dovrete invia gilare più d'ogn'altra cosa farà, di lasciarli virtuosi, ben’educati, e con buoni avviamenti, che allora , quantunque li lascierete con mediocri commodi, da se medesimi potranno divenire ricchi, e con questo vantaggio maggiore , che quelle ricchezze, che da se medesimi fi accumuleranno , non già le disliperan10 , conforme bene speffo in quelle , che si ereditano succede. Ponderate bene questi consigli, e servitevene, se volete in tutto abbattere l'Avarizia.  Incominciando voi à porre il piede nella vecchiaja , à cui conviene di cedere, ve ne avvedrete facilmente, quando che non potrete con quella facilità di prima reggere le voftre solite occupazioni , ed allora cosa farete? Non altro certamente che di consigliarvi con tutte le virtù, che v'indirizzinó per qual via dovrete caminare acciocchè voi , li quali sarete utili alla Republica per la lunga esperienza, che avrere, possiate più lungamente giovarle.  La  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] La Prudenza, come Maestra di tutte le altre virtù vi dirà, che non è  convenevole d'abbandonare tutti quei fervigj di coloro, che da voi per lungo tempo ne hanno ricavato del profitto nella loro salute , ed anco lo sperano in avvenire, per la fiducia , che hanno in voi, efsendo in istato ancora di potere ben'oprare , nè tampoco parte di elli , perche faria molto odiofa una tale vom ftra parziale risoluzione ; onde voi non potendo disfarvene, per non sentire ilamenti dei vostri clienti, vi converrà perfare di andare sostituendo qualcheduno, che vi poffa alleggerire almeno la fati  ed acciò abbiate facilità in eleggerlo, vi apporterà le trè malime sostituzioni , che il mondo tutto rimirò nel primo secolo della commune falurcs cioè : La prima, che fù fatta da Augusto in persona di Tiberio ; La seconda da Galba in quella di Pilona ; e la terza da Cocceo Nerva in quella di Trajano; ed in tal guisa facilmente v'istruirà , dicendovi : Nella prima Augusto ebbe una  $4  pelli  [ocr errors] pessima intenzione,inentre scelse un soggetto di reprobi costumi; un Tiberio ben noto per la sua iniquità, ed al sostituente più di ogn'altro, stanteche: (6) Comparatione deterrimâ fibi gloriam quafavisse . Nella seconda vi fù ottimo fine, perche fù eletto un meritevole, solamente si mancò ne i mezi , e di questo ne fù cagione l'avarizia di Galba, giacchè:(c) Confit at potuiffe conciliare animos, quantulacunque parci jenis liberalitate, c perciò ebbe l'esito infelices Nella terza finalmente tutti li requisiti furono ottimi, non vi fù punto di vizioso sì nel principio, che ne i mezi, e fine , e perciò fù gloriofiflima. Queste , benche fie00 state sostituzioni maflime, nulladime‘no possono servire di norina ancora nelle picciole, mentre dalla prima ne ricaverete, che vi sarà  che vi sarà poco bene accostumato; chi farà vizioso non meriterà di essere da yoi eletto ; Dalla seconda ne dedurrete, che chi elegge deve stare lontano dall'avarizia, e non esser  punto  do[b) Tasit. Annal lib. 1. [] Tacit. Hia.Jib.1.  redominato da questo vizio, se brama, che tutto vada felicemente ; Sicché la terza, in cui concorrono tutte le buone condizioni farà quella , che si dovrà imitare da voi per fare una degna elezione,mentre non fù già eletto da Cocceo Nerva Trajano per cagione di parentela , nè di {moderato amore, che gli portasse , mà bensì per il suo merito, e per la bontà de' suoi costumi, e non ebbe già per fine principale di gratificare l'eletto, mà solamente coloro , che doveano effergli. fudditi, e perciò riuscì un'ottimo Imperatore, e felicissimi tempi furono chiamati quelli del suo Impero. Non intendo già per questo di consigliarvi d'abbandonare li parenti, gl'amici, e quelli, che più d'ogn'altro ainate, perche ciò non saria ragionevole, anzi vi dico, che fiere tenuti à preferirgli ad ogn'altro eguale, ed anco qualche poco superiore à loro, conforme vi ordinerà la Giustizia isteffa , vi avverto solamente, che non vi serviate della parentela, dell'amicizia, e dell'amore per inicroscopio, acciò  ز  [ocr errors] vingrandischino di molto il soggetto, che prendete di mira per sostituirlo, altrimenti v'ingannerete , e chi lo mirerà fenza questi microscopj se ne avvederà molto benes conforine capirete anco voi istelli rimirandoli fpassionatamente ins fimile forma : E' ud verso affai trito; mà però che cade molto al proposito quello, che dice:  Quifquis amat ranam, ranam putat  effe Dianam; E la cagione fiè, perche l'amore non solamente så ingrandire il merito , mà ancora så ricoprire li difetti degl'oggetti amati. Se farere dunque voi la vostra elezione con rimirare li soggetti calig quali realmente sono 1109 alterati, per quali vi pofsono parere, non solamente sarà questa gradita , e profitcevole, mi eziandio riuscirà per voi gloriosa , conforme seguì à Cocceo Nerva, à cui la maggior gloria , che gli fia rimasta trà tante altre è quella ; di aver'egli saputo eleggere un Trajano per fuo successore all'Impero , e solo da questi ogn'uno  [ocr errors] ora comprende à qual segno giugnesfero la sua prudenza , il suo giudizio, e la sua integrità, ed essendo questi documenti della Prudenza per appunco coerenti à ciò, che Ippocrate c'insegna, cioè :(d) At verò imperitis nunquam quidquàm procurandum committes. Sin minùs ejus, quod malefactum eft vituperium in te recidet &c. non potrete da esli punto discoItarvi.  Palliamo ora all'incunbenza, che dovrà avere questo vostro sostituto, il quale essendo da voi scelto di buoni cos stumi, e dotto, caminerà in curto fecon: do la vostra direzione, onde profitcevole in conseguenza sarà , à cui l'avrete proposto, perche ne riceverà da esso un servigio alliduo, animato dal vostro prático configlio, e di questo ve ne prevalerete da principio ne'casi più leggieri, per poi, fecondo che v’andrete inoltrando negl'anni, avanzarlo ne'.gravi, con questo però, che abbiate l'occhio arrento al servigio, con visitare ancor voi di quando in quando gl'Infermi, per diriga gerli meglio con li vostri più accertati consigli , e facendo voi in questo modo non solamente non avranno fcapitato punto li voftri Infermi, anzi che più toito acquistato , restando loro tutto il voAro consiglio come prima con l'afiftenza maggiore del giovine sustituito, che da voi , mediante le vostre occupazioni, non lo potevano esiggere, e precisamente nelle ore più fastidiose, e tutto questo benefizio sapete perche lo riceveranno, ftanreche il sostituto fù scelto da voi, e da voi non preso à caso, mà bensì capato trà li buoni per il migliore, dove che se fosse stato preso per via di raccomandazioni, e senza la vostra dependenza , non caminerebbero le cose così felicemente, poiche sdegneria tal da voi independente sostituto caminare con le yostre direzioni, volendo far'egli à suo modo, e non saria picciolo favore,quando ve lo facesse, in caso di qualche controversia , di non ispargere da , che voi siete vecchi rimbambiti, e che  quan; [d] De dec.orn.  non  [ocr errors] non fiete più capaci di medicáre, per iscreditarvi con fimili menzogne, e da ciò qual vantaggio se ne riporteria à prò degl'Infermi, se non che una confusione, una inquietudine continuata , ponendosi in dubbio talvolta à chi de* due fi dovesse prestar maggior fede, se al giovane petulante, e scostumato,ò al vecchio, benche ingiustamente vilipeso; Con ragione dunquc Ippocrate inveisce contro costoro, che per vie indiretre si avanzano, dicendo: (e) Quàm repentè evecti fint, fortunæ tamèn ægentes per divites quofdam ex anguftiis emergunt utrique exi eventu nominis , celebritatem adepti, & in pejus ruentes luxu diffluunt , quæ in arte nulli rationi reddende sunt obnoxia negligunt ac.  In questo proposito il Disinganno, che hà il cuore sincero vi scoprirà un'altro pregiudizio delli massimi , che corrono trà alcuni , che non sono nella professione versati, quali credono per cosa utile nelle cure le controversie, edissenzioni trà Medici, e dicono, che essendo trà essi discordi, si scopra allora meglio la verità, confondendoli da quefti tali ciò, ch'è disputa virtuofa , utile anzichè neceffaria , dalla diffenzionc, e discordia superflua, e viziosa, nata dal mal costume . Il Disinganno vi scoprirà il tutto, e vi dirà: la disputa neceffaria è quella, che risulta da qualche indicazione dubbiofa per meglio discernerla, e questa trà Professori esperti, e di buoni costumi termina prestamente ; perche seguitandofi da elli solamente il configlio megliore, in un subito si accertano, le quali ragioni , e quali motivi prevalgono, se gl’affermativi, ò pure li contrarj, ed à megliori concordemente si appigliano ; Dovechè la diffenzione, e difcordia , che proviene dal mal costume, che per lo più viene fomentata da puntigli, e germoglia da picciole occasioni, non solamente è molto dannofa , inà perche si yà al cattivo, non mai viene affatto terminata,stanreche in simili contenzioni = Qui velit ingenio cedere nullus  eriti  [ocr errors] erit ; ela cagione di ciò n'è, perche tutto proviene dalle volontà discordi,che non amano di unirsi assieme, nel qual caso lę ragioni più valide, li motivi più evidenti, ò non appagano, ò non si vogliono capire, à segno , che alla fine annojarifi del troppo altercare, in vece della decifione letteraria fi passa qualche volta all' obbrobriosi improperj, senza ricavarne altro profiețo, che : Şeipfos ludibrio exponere , come insegnò Ippocrate , (f) € questo è per appunto quell'ideato bene', che à prò degl'Infermi se ne riportą da fimili contese, sicchè non v'è altra strada, che quella della concordia, à cus uniteci il consiglio già propostovi dalla Prudenza, & approvato dalle altre virtù entrando voi nella vecchiaja, se bramate con vantaggio,e profitto de' vostri Infermi alleggerirvi dalle fatiche, nel qual caso trovădoyi aggravati dall'ostinata Discordia , la Giustizia non vi obligherà à paziétare di vataggio,mà farete, che ogn’uno si serva pure à suo piacere ,  (6) Lib. de Praçept.  [ocr errors] Inoltrati, che poi sarete nella vecchiaja , che ve ne avvedrere pur troppo, se non vi vorrete lusingare, dalla notabile mutazione, che proverete in voi da quello , ch'eravate una volta, poiche le forze del vostro corpo languiranno, il vostro perspicace ingegno, la vostra. gran memoria, la vivacità del vostro fpirito, il discorso così spedito non si scorgeranno più quelli, che già furono, rincontrandoli ogn'uno molto mutati. In tale stato inevitabbile, cosa vi converrà fare? Non altro certamente, che d'imitare quei celebri Pittori, che per non perdere quel glorioso nome, che per lo passato aveano acquistato, allorche si avvedono, che i loro pennelli non sono più à dovere regolati dalla tremolante mano  li sospendono per trofei delle loro opere già fatte, e terminano in questa guisa gloriosamente il loro mestiere.  Seneca assomigliò faggiamente la vecchiaja alla nave, che comincia per la sua antichità à scomporsi, dicendo:  Quem  12  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Quemadmodùm in Have, que sentinam  trabit uni rime , aut alteri obfiftitur : Ubi  plurimis locis laxari cæperit , q cedere,  fuccurri'non poteft navigio dehiscenti : Ità   in fenili corpore aliquatenùs imbecillitas  fuftineri , c fulciri poteft, ubi tamquàm   in putri ædificio omnis junctura dilabitur ,  Odùm alia excipitur , alia difcinditur cir-  cumspiciendum eft quomodò exeas . E po-  tendo egualmente la detta nave, che il  vecchio, pericolare nel suo consueto  viaggio, converrà dunque ad ambedue  prendere il sicuro porto per prolungare  più, che sia poflibile il suo essere.   Mà questo distaccamento vi parerà il più duro, il più difficile di qualunque altra cosa, che averete emendata in voi sino à quel tempo; sì perche quest'impotenza insensibilmente se ne verrà ayanzando, onde in un subbito non ve ne potrete avvedere, e forse non prima di allora , che voi sarete renduti affatto inabili per la repugnanza grande , che hà Pumana natura à dichiararsi inabile, come ancora, perche non godendo più  T  quel  е  quella bella perspicacia di mente, quella pronta risolutezza di prima, non saprete così bene, come una volta, scegliere, e prontamente eseguire li buoni consigli della Prudenza, e se il buon'abito fatto non vi ajuterà allora à fare tal risoluzione, infingardamente procrastinando di giorno in giorno ad effettuarla , farete più tosto voi prevenuti dalla neceflità, di prevenirla ; Sicchè prima, che voi abbandoniate li negozj; elli averanno lasciato voi's Quindi è, che per non cadere in fimile obbrobriofa miseria converravvi, per ben consultarla, nè d'afpettare allora , che la vostra mente farà notabilmente deteriorata, nè, per eseguirla, quando sarete molto proflimni al non potere più operare, e quanto queste risoluzioni più generosamente intraprese saranno , tanto più gloriosamente, e facilmente vi riusciranno, nè crediate , che un simile distaccamento, con tutto che la nostra natura vi repugni , lo sia impoflibile à farsi, mentre lì è veduto praticare da più d'uno , e trà gli altri dalMedico Romolo Spezioli , il quale nel colmo delle sue prosperità, doppo un lungo servigio della Regina Cristina di Svezia , di gloriofiflima memoria, che continuò finche ella visse; doppo essere ftato Medico Pontificio della santa memoria di Alessandro Ottava, incaminatosi già per la via Ecclesiastica, proseguì questa, e lasciò affatto nell’auge delle sue occupazioni, e della sua età con generosa risoluzione, contento di ciò che aveva acquistato , l'esercizio della Medicina , nè alcuno de' suoi clienti si è potuto dolere con ragione di lui, perche li abbandonò è vero,  mà     per   servire folo à Dio, che con quanta esemplarità egli lo faccia , offenderei non solamente la fua modestia con riferirlo, mà temerei ancora, con fargliene molti encomj, che non restaffe à bastanza appagato chi con occhio fincero giornalmente rimira le fue degne operazioni.  Nè devo in questo proposito paffare sotto silenzio il ritiro , che fece Antonio Piacenti di felice memoria, mio di  T 2  let  [ocr errors][ocr errors] lettissimo Maestro, avendo voluto egli tra le altre fue virtù, per compimento della sua gloria collocarvi questa ancora del bel distaccamento dal mondo,e nell' istabilirlo mi disse, che lo faceva per prevenire la sua inevitabbile impotenza, ftimando , che il prevenirla fosse cosa più vantaggiosa , che d'effere da effas prevenuto per gl’esempj, che aveva offervati in alcuni , che quantunque decrepiti, e finemorati, con tutto ciò non vollero lasciare di fare il Medico' più per rendersi ridicoli appreffo li giovani, che punto non li compativano, che di effere a' suoi Infermi profittevoli, e con ammirazione di tutti ponevano à pericolo quel buon concetto , che avevano fino allora acquistato, per un tenuiffimo, c miserabbile premio, del quale non nc avevano alcun bisogno, per essere già divenuri molto ricchi.  Sicchè per isfuggire simili sventure vi converrà d'andar pensando in tempo opportuno, e quando ancora sarete con fegtimenti vegeri, à questo buon ritiro,  c fino  [ocr errors] la  e fino da quel tempo appunto, che.co“ mincierete ad alleggerirvi le fatiche, perche ciò, che la Prudenza allora vi consigliò fù tutto preordinato à questo effetto, e la prima diligenza, che vi converrà fare sarà di agiustare li yoftri affari domestici in quella forina appunto, che fogliono praticare quei saggi viandanti, che devono sempre stare allestiti per passare in remotislimi paesi, e che non possono indugiare punto, allorche sono ayyifati  per partenza. Questi tengono sempre pronto ciò, che fà di bisogno per il loro viaggio, si aggiustano le loro puntuali rimelle , e poi danno la sopraintendenza generale di ciò, che possedono à chi fedelmente lo custodisca, ed à tal ministero eleggono un proprio figliuolo,se farà prudente economo,e fenza vizj,altrimenti un'estranco di provata fedelcà, economia, e prudenza .  Dato un buon fefto , che voi averen te alli vostri affari domestici in tanto, che anderete vedendo se caininerà tutto à vostro modo , per poterlo emendare,  [merged small][ocr errors] [ocr errors] fe in qualche cosa difettasse, à fine di non avervi più da inquietare intorno ad csso , fupplicherete le virtù, che vi configlino , e preftino il loro ajuto, in questo penultimo paffo, che dovrete fare, le quali avendovi sempre affiftito per lo paflato, certamente che non vi abbandoneranno nel meglio, ed allora appun  che vi trameranno infidie la fastidiofaggine, l'impazienza, il sospetto, l'incostanza, l'amore proprio, con il soverchio timore di ciò, ch'è inevitabbile , vizj tutti, che aspettano il quando voi farete languenti non meno di corpo,che di mente, per dominarvi à fuo modo ; nel qual compaflionevole stato cosa fareste mai di buono, se non ayelte le virtù consigliere?  Queste divideranno facilmente il loro conGglio in sette parti; La prima farà il quando lo dovrete farê; La feconda il come ; La terza dovë ;La quarta con chi ; Quinta;con che preparamenti; Sesta, cosa dovrete allora fare; Ela settima, che cosa fuggire.  Primo,  ز  Primo ; circa al quando, vi dirà la Prudenza, che allora appunto facciate il vostro distaccamento, quando che proverete sensibile il peso degl'anni, che la memoria vi anderà notabilmente mancando, e che fentirete la fatica, benche allegerita, molto molesta , ed averete allora giusto motivo di pensare solamente à voi stessi , senza più indugiare à farlo.  Secondo, intorno al come lo doyrete fare, vi consiglierà la Giustizia di usare ogni maggior civiltà possibile in licenziarvi da tutti quelli, che si prevagliono di voi, con far loro conoscere, che fino à tanto, che avere potuto, non avete risparmiato nè fatica, nè incommodi per servirli bene, ma ora, che vi sono mancate le forze, il solo buon'animo, che vi resta, non lo credere sufficiente per li loro bifogni, e che li confoliate insieme, che avendoli già voi proveduti di soggetti non inferiori à voi , potranno essere da questi in avvenire affai bene affiftiti; Ne seguirannofacilmente varj atti di reciproca tencrezza, mà fate, dirà la sudetta virtù, che questi nè vi distolgano dalla risoluzione già fatta, nè vi pongano in qualche forta d'impegno d'averla in qualche loro occorrenza, ò imprudentemente da ritrata tare , ò mancar loro di parola.  Terzo, nè vi consiglieranno già , che vi scegliate qualche solitudine remota per fare il vostro ritiro, mà bensì un'appartamento assolato della vostras casa, nel quale vi sia minore strepito, anzichè vi dissuaderà la Prudenza, se aveste mai qualche pensiero d'allontanarvi dal. la Città, d'effettuarlo, per li seguenti motivi, perche ne' piccioli luoghi non potrete ritrovare tutti quei commodi, nè godere di quei vantaggi, che nelle fole città vi sono, dove il governo risiede, la civiltà, e la convenienza rcgnano, doveche al contrario questi mancano, ò almeno scarseggiano, oltre il correre rischio di penuriare di molte cose, s'incontrano facilmente de' disguki, à cagione della poca cognizione,   e civiltà, che ivi li suol praticare , & in  ispecie con quelli, che la dottrina, & il  valore l’inalzò, essendo perciò molto  dall'inciviltà odiaci, e benche Scipione  il Grande nel suo, non tutto volontario  ritiro in Linterno; (perche lo fece per  accomodarsi alla necelli:à di quei calun-  niosi tempi) avesse la sorte di essere stato  venerato da molti uomini facinorofi,che  ivi accorsero per ainmirarlo, è stato egli  quasi singolare in questo, mentre altri  furono assai diverLamente trattati, trà  quali basterà riferirne uno solo,mirabbi-  le     per   l'accidente, che vi s'incontro. Venne volontà nel secolo passato ad un' Officiale maggiore di guerra,doppo molsi illustri fatti felicemente occorsili, di ritirarsi alla sua picciola patria, già dia venvto vecchio, per godere ivi la sua quiete. Mà appena giontovi , che incon minciò ad essere deriso, e beffeggiato da quei rpstici abitatori; Ditali impropri trattamenti se ne rammaricava il valo, roso vecchio, mà per non prenderla con tanti, andava disimulando. Si suscita.  [merged small][ocr errors][ocr errors] tono in questo mentre alcuni principj di guerra, ed ecco all'improviso Inviati con sacchetti d'oro, che andavano cercando quel merito così vilipeso da quella rustica progenie, allora quel meritevole prendette spirito, e per mortificare li suoi persecutori fece spandere quell' oro alla vista di tutti, che ammirati attoniti, e confusi ebbero occasione di ravvederli del loro errore ; mà se quell' oro non compariva , il merito ivi non già risplendeva.  Mà perche avanzandovi nella vecchiaja non potrete sapere à che segno la vostra salute si di corpo, che di mente vi potranno reggere ; Quindi è, che  per compire faggiamente il corso di vostra vita, le virtù vi consiglieranno à sceglicre chi potrà essere à proposito per voi, allorche vorrete vivere solamente à voi medefimi, tanto in caso di felice, che di penosa vecchiaja , e facilmente yi diranno la Prudenza, e la Giustizia : fceglietevi å tal'effetto un Direttore spiricuale de' più dottia e discreti, che vi  COR  [ocr errors] conservi vivi li yoftri abiti virtuofi. Una amico fido, e prudente, che vi suggerisca ciò, che dovrete operare, caso che, ve ne dimenticaste , che sopraintenda.a’ vostri interessi,acciocchè non fieno trafcurati,per negligenza di chi li maneggia. Un parente amoroso, e disinteressato, per supplire all'amico, e dare anco soggezione à chi vi serve, ed un servidore abile, che vi allista con carità , amore, e discretezza, e questi non basterà , che yeli siate scelti, mà dovrete ancora mane tenerveli ben’affetti, altrimenti disguftandoli con voi , vi troverete intrigati a, e sappiate la cagione del disgusto de' trè primi, quale potria effere ; l’incommodo, senza loro utile, delle frequenti visite, e brighe continue per voi, mediante le quali annojari , fi potriano facilmente alienare da voi;mà per rimediare à quefto, non dovrete fare altro, che di fervirvi della potentissima efficacia di qualche cortesia usata loro si che, se ve ne farà d'uopo, cambierà in un tratto ogni più dura fatica in ispasso", ogni noja in  ز  piacere, ed ogni più grave disaggio in dilettevole divertimento ; caso poi, che non ve ne fosse molto bisoglio, diportandovi voi con esli grati , essi ancora verso di voi saranno più diligenti, aslidui , ed affezionati : Munera , crede, mihi placant, bomines  que, Deosque ; E renete pure per certo , che favolosi sono quei casi, che di alcuni Gentili fi raccontano, che tutto elli facevano per puro amore, e che l'incommodo maggiore degl’altri era da questi lo più ricercato; Mà però con il servidore abile, che dovrà stare affiduo con voi, per tenerlo contento, vi converrà praticare due modi, uno privativo, che consisterà in non maltractarlo nè con fatti, nè con parole, dovendo voi, che avrete bisogno di lui, acquistarvi il suo amore, e facendo voi diversamente, in vece di guadagnaryelo , più tosto lo perderefte, quando che ve qe portasse : E vero, che difettando egli, lo dovrete correggere, mà pero con maniera umana, con farglicapire'il suo fallo, non già con ingiuriara To, e caricarlo di strapazzi, perche venendo trattato da voi in tal guisa , cosa ne seguirà ? O che vi abbandonerà nel meglio, e voi come rimarrefte? O continuerà a fare peggio di prima, e voi cam fa avreste acquistato ? E l'altro positivo, che consisterà in fargli capire, che voilo amate di cuore, e non per solo vostro vantaggio , mà come fosse un vostro figliuolo, e che ciò sia, lo crederà allora appunto quando si vedrà trattato bene da voi, comandato con discretezza, c meglio di ogn'altro glielo farà capire , quando si vedrà regalato da voi con giudizio , e questo regalo non consisteria in altro, che di usargli un'amorevolezza pecuniaria , à proporzione del vostro potere, ogni anno nel vostro giorno natalizio,con promettergli negl'anni venturi sempre di raddoppiarla, e questa, con tutto che sia una gran cosa in apparenza, voi, che sarete avanzati negl’ anni, la potrete ufare con più generosità de' padroni giovani,che sperano di cains pare lungo tempo, & al servidore gli sarà grato à segno, che non lascerà cosa, che possa giovare à farvi vivere più luagamente, che non la procuri. Avrà fempre timore , che non vi disgustiare , che non patiate , & allora appunto lo avrete già interessato nella vostra vita, e nericaverete un'ottimo servigio.  pare  Quinto, oltre li preparamenti neceffarj già da voi fatti  per  sostentamento, e sollievo del corpo, vi consiglieranno facilmente, & in ispecie la Fortezza , à farne ancora degl'altri per l'animo, non meno necessarj de primi, e questi saranno di proyedervi di molta sofferen  ed ilarità, che facilmente ve ne bifogncranno , acciò non venga turbata la vostra bella tranquillità di animo, che goderere, santeche trà mali familiari dell'inoltrata vecchiaja yi fi annovera quello ancora della fastidiosaggine, e questa non con altro rimedio si puo curare  che con l'abbituara sofferenza ; E perche danneggiano ancora di molto pell’età avanzata la malinconia, & il  di  za ,  [merged small][ocr errors] disgusto; Quindi è, che per tenerli lone tani, vi è d'uopo dell'ilarità , mediante la quale solamente diverrete ad essi superiori.  Sesto , parerà forse cosa impropria à chi udirà , che voi come Medici  provetti possiate avere di bisogno allora del parere altrui intorno à ciò, che dovfete, ò non dovrete operare, mà fe ben rifletterà , che non mai fù nocivo ad alcuno il caminare con il consiglio della Prudenza, e della Giustizia in ispecie, cambierà facilmente parere , e tanto maggiormente, che niuno in caufa propria puol'essere competente Giudice e più precisamente in quella età, in cui tutto ciò, che abbiamo di meglio, allora languisce; Le virtù luderte vi diranno à tal proposito, che non crediate già,che il vostro ritiro abbia à servire per totale riposo del vostro corpo, 8c acciocchè se ne stia affatto ozioso, & infingardo, perche passereste in tal caso, da un'estremo vizioso all'altro, senza profitco alcuno, essendo questo egualmente nocivo  dell'  dell'anrecedente, perche, come ben sapete, consistendo la vita nel continuo movimento de fluvidi , che dentro il nostro corpo si aggirano , & ancora, che questo venga agevolato dalle pressioni musculari , sicchè ogni qualvolta cefferete di muovervi, non avendo tanta forza li muscoli, in istato di quiete , di propellere , neceffariamente seguirà , che detti duvidi lentamente scorreranno, e più d'ogn'altro ne' vecchi, impoveriti de' spiriti, onde in conseguenza ne verrà, che la vira iftelsa ne riceverà del danno notabile, mancandole ciò, che se le deve , per il suo più necessario prolongamento, oltre di che ne' vecchi cade un'altra necessità particolare di doversi muovere, & è, perche tendendo eli alla ficcità, li loro tendini, e legamenti, atti più dell'altre parti à contraerla , cessando di moverli si possono irrigidire à segno, che impediscano loro affatto il poter più camminare , conforme più chiaramente fi scorge in quei vecchi, che à cagione di qualche loro  [ocr errors]  indisposizione per lungo tempo forzata-  mente giacciono in letro, li quali, ben-  che abbiano superato quel male, che li  teneva al riposo, nel volere camminare   si accorgono di non poterlo più libera-  mente fare come prima. Il sudetto ritiro  dovrà servire bensì per riposo, e calma  della vostra mente, già stanca per li so-  verchi pensieri, la quale non dovrete',  nè potrete quietare con renderla affaito  oziosa , mà bensì con contracambiare   quei di già nojosi con altri più ameni , ! quei cotanto laboriosi, con altri, che  non la stanchino di vantaggio, mà più  tosto la ricreino, conforme in appresso  diremo.      Mà ritornando al moco , che vi  competerà di fare , questo sarà appunto  quello, (vi dirà la Giustizia ) che altrui  di età avanzata voi avrete consigliato,  cioè di farlo in tempi sereni, & aria ri.  scaldata dal Sole, non già irrigidita del-  la notte, & allora appunto, che il vostro  stomaco ayerà digerito il cibo, con que-  fta avvertenza di più, che avvedendovi di non potere continuare l'esercizio, a quel segno di prima, lo modererete, non tutto in un tratto, ma bensì à poco à poco, finche vi poniare in una regola di poterlo continuare, senza voftro disaggio, & à quel segno , che lo stimerete necessario , e ve lo permetteranno levostre indisposizioni, che soffrirete, & acciocchè sia continuato per quando non potrete uscire à cagione de' tempi fred. di ventofi, ò umidi,lo farete in casa. Solevano à tal'effetto una volta li vecchi praticare l'esercizio chiamato dell'attacco, che conGsteya in istringere con le mani un certo ferro foderato di corame, che era conficcato in due lati prossimi ad un'angolo della stanza, all'altezza di un'uomo, al quale attaccati , non solamente si distendevano , mà con maggior agilità ancora movevano faltellando li piedi, modo appreso forse da Eumene, che ritrovandosi assediato, per avere più agili li suoi cavalli, caso che gli fosse convenuto fuggire, in un modo assaiconfimile a questo li esercitaya, mà fù nel  fea  secolo passato già dismesso tal'esercizio,  con molti altri neceffarj alla salute,e non  se ne sà comprendere altra cagione, se  non perche, non erano commodi, stan-  teche strapazzavano il corpo', il che fi  congettura dal vedere , che da allora in  qua non si è aèreso ad altro, che à cerça-  re questo commodo, fe pure commodo   si potrà chiamare ; (soggiugnerà la Pru-  denza) ciò, che incommoda la salute ;  Commodo si potrà dire una carozza,che  posi shule Molle con cignioni lunghi, che  non isbarta punto, allorche le sue ruote  urtano ne' faili, per chi foffre il inale di  pietra nella vellica, per chi parisce bru-  ciori di orina , per una giovane gravida,  folita di abbortire, perche ò non posso-  no soffrire lo sbattimento, ò è loro no-   civo; onde :  conviene , che facciano conformc è loro   permesso; Mà per un giovane sano, à cui   lo sbattere gli conferisce alla salute, af-  sodandogli la sua buona complessione  commodo non si deve chiamare,mà ben-  si incommodo, perche presto glicla in-   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] ز  [ocr errors] 0  el  [ocr errors] .com  commoderà. A questo proposito vi riferirò un caso terribile di un Cavaliere, il quale à cagione di propria commodità non moveva nè pure un dito, se non gli era accompagnato da chi lo serviva, fi faceva fino imboccare, quanto mai egli era commodo ; onde lo conduffe la sua pazzia à diventare un tronco, mercechè volendo una volta muovere un braccio, non lo poteva più fare,un piede nè tampoco , e come un ciocco gli convenne vivere, se pure quello vivere li  [ocr errors][ocr errors] poteva dire,  Dall'esercizio corporale ritorniamo à quello della mente, la quale, conforme dicemmo, non la dovrete stancare di vantaggio con cose laboriose ayendo voi à tal'effetto bramato, e procurato il vostro ritiro, mà nè tampoco converrà di tenerla affatto oziosa, acciocchè non ritorni à coltivare le specie antiche, non sapendo, che altro fi fare. Nel principio del vostro distaccamento, come vi suggerirà la Prudenzala terrete occupata in diverse cose, con il suo rin  par  [ocr errors][ocr errors] partimento dell'ore più proprie ad esse. Ne darete alcune agl'esercizj fpirituali à prò dell'anima vostra , secondo il configlio del vostro Direttore,qualche altra servirà per l'esercizio corpcrale, e le rimanenti alla quiete della mente faranno da voi destinate in due maniere , cioè, con leggere , ò sentirlo , e con il riposo; Li libri da leggere, proprj per tal'effetto, già ve li sarete scelti , allorche vi preparaste per il ritiro , e si può supporre, che saranno inorali, prediche, vite più esemplari de' Santi, e cose confimili, e se vi sarete serbato qualche libro Medico, questo facilmente non tratterà di altro, che del regolamento della vecchiaja, e del modo conforme si possa più agevolmente ella sopportare , & inoltrandovi finalmente nella penosa vecchiaja, non troverete maggior refrigerio, e sollievo, che di uniformarvi in tutto nella volontà di Dio, e se giornalmente farete qualche meditazione sopra la morte, vi recherà questa del vantaggio , perche divenendo perciò superiori  [ocr errors] ad effa, non vi potrà punto contristare, allorche da vicino la scorgerete venire, e tanto maggioripente se meditandola rifletterere, che se ne viene per togliervi dalle miserie, e collocarvi in un'eternità di bene, essendo voi vissuti con le buone direzioni delle virtù, non già con le lufinghe fallaci de vizj.  Settimo, finalinente, diranno le vir. tù , se volessimo rammentarvi tutto ciò, che non è convenevole, che ora facciate inolto averelimo da dirvi, solamente alcune cose vi avvertiremo, nelle quali potreste facilmente cadere . La prima delle quali sarà , ( se vorrete caminare con le buone direzioni della Prudenza ) che avendo voi una volta per giusti motivi risoluto di lasciare la Professione, non mai più dovrete pentirvenç, e ritornar di bel ouovo à profeffarla», se non in quel caso impossibile, che voi cựngiovenifte, altrimenti facendolo acquisterefte ritolo,ò d'instabili , imprudenti, ò per la meno di superbi, potendosi da ciò .cognetturare, che allora non lo facesteper impotenza, mà bensì per isdegno   concepito per non vedervi stimati à quel  segno, che bramavate di essere.       La seconda, se vi venisse mai volon-  tà di mutare, senza giusta, & urgentili-   ma occafione , il vostro già fatto tefta-   mento, mà solamente per motivo di me-   gliorarlo, che non lo facciate, vi coman-   deranno la Prudenza, e la Giustizia in   conto alcuno, mentre questo saria uno   delli maggiori infortunj , che vi poteffe   allora accadere, perche se quello , che   avrete fatto in tempo , ch'eravate con   sentimenti più vegeti, ora non è di vo-   stra sodisfazione , come potrà fodisfarvi   l'altro fatto da voi , dapoiche vi siete ri-    tirati, à cagione di debolezza , non nie-    110 di corpo,che di mente la quale entre-   rà prestamente, per essere in quella età   sospettosa nella casa della dubietà, mà    ritrovandofi ancora languida , e piena di   timore tosto le sembrerà un laberinto,   non sapendone rinvenire la strada das    uscirne, e perciò la sera penserà ad una    cosa, e depofta quella, la mattina ad un'   altra,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] V 4  altra, oggi farà di un genio, e domani facilmente di un'altro, e durando per qualche tempo così incostante, non folamente si confonderà, mà s'inquieterà ancora ; onde quel tempo, che avevate dato alla calma del vostro animo , in questo modo glielo rubbereste per darlo alla vostra inquietudine , fenza ricavarne un minimo profitto, perche se pure giugnefte à fine di stabilire la vostra ultima disposizione, sarà questa assai peggiore della prima, e se non arriverete à compirla , l'inquietudini riccute, che giovamento viaveranno apportato ? E quanto dette virtù vi hanno ordinato, l'esperienza pur troppo l'hà fatto vedere, mentre chi nel suo ritiro hà avuto simile tentazione, non solamente è vissuto inquietissimo tutto quel tempo, che aveva destinato alla sua quietc, mà hà fatto una nuova disposizione del suo avere così intrigata, così confusa, che hà dato di fe molto da dire . In niun tempo si deve andare in traccia dell'ottimo, essendo questa distruttivo del bene,  mà  [ocr errors] 1  mà in questo stato meno d'ogni altro  nel quale è molto espediente di dare  orecchie à ciò, che si legge in Tacito,  ed è : Confilium , cui impar erat fatu per-  mifit ; E certamente, che quando siete  meno capaci di risolvere, è pur meglio,  che lasciate correre ciò, che faceste di  vostro genio quando eravate più atti,  che di mutarlo divenuti meno sufficienti  ancora ad emendarlo.        Vi pregiudicherà per terzo ancora   di molto la troppa curiosità, & in ispecie   de fatti domestici , come ben vi avverri   tirà la Prudenza, perche più d'una vol-  ta sentirete cose tali, che vi turberanno   notabilmente la vostra quiete,& affinche  dal non ricercarli fi scanzi ogni pregiu-  dizio, fate., che quel vostro amico, quel  vostro parente, de' quali da principio   parlammo, gli diano il suo rimedio, ci   pensino essi, che meglio di voi lo faran-  (no , e senza inquietudine vostra. E caso  poi, che la necessità portaffe di farvenc   consapevoli sfuggano per quanto si può  di dirvelo di sera , per non togliervi   0  [ocr errors] il riposo della notte.  La quarta intorno à ciò, che dovrete fuggire in caso di qualche incommodo abituato, che da soverchi anni procedere , la Giustizia, e la Temperanza vi diranno : Ricordatevi, che una volta in altri non l'avreste curato, mà folamente mitigato; onde non facciate, che la molestia , che vi recaffe vi stimoIalle ancora à divenire carnefici di voi medesimi , con pretendere di farvelo curare, conforme à più di un Medico avanzato negl’anni è accaduto , per esserfi voluto esporre al taglio della pietra , quantunque ad altri così avanzati in età non l'averiano consigliato.Questa penfione , che Iddio hà posto sù il gran benefizio della lunga età che vi ha conceduta , vuole, che da voi fi paghi, altrimenti il fudetto benefizio mancherà prestamente 5 Limnolesti pruriti esterni , li bruciori d'orina , le vigilie frequenti, che bene spesso ne' vecchi accadono , fapete pure, che non vanno curati con rimedi eradicativi, mà mitigar ben fi  de  [ocr errors] 1  [ocr errors][ocr errors] devono con cose anodine, trå quali il  latte , amico de vecchi asciutti hà il  primato , e per essere ancora egli il pris  mo querimento, che si prende, non è  disdicevole , che non venendo à cagionc  del soverchio sonno ritardato, sia ancora  Pultimo, conforme praticò con profitto  Fabio Mafsimo nella sua età decrepiti.       Per quinto avvertimento vi con-   verrà stare molto circospetti per non   cadere in certi errori, che li vecchi li   stimano sussidi dell'età cadente, ftante-  che provando languidezza di forze fi,   portano con desiderio (moderato à pre-   valerli de’yini più generosi, e di altri   più fpiritosi liquori , intorno a' quali vi  ricorderà la Temperanza, che sapete  pure quanto di male apportino alla in-  languidita tefta , all’inaridite viscere,  e quanto di solfo communicano alli ni-  trofi fluvidi, ed in conseguenza di che   danno essi siano , che voi ben lo sapete,   onde in vece di questi vi servircte più   ļosto del perfetto cioccolato , de' buoni   brodi, de' vini gentili, e delicati, c di altri liquori consimili, presi con moderazione, e con questa distinzione , che effendo taluno di voi grasso, & avendo disposizione al soverchio sonno prenderà spesso il cioccolato la mattina, nel doppo pranzo , ò di sera il caffè , ò il the, è la bollitura di salvia , sc poi sarà dimagrito , e sottoposto à vigilie, las mattina frequenterà più tosto un brodo con la fetta del pane ivi bollita, e del cioccolato se ne servirà qualche volta doppo pranzo immediatamente, conforme ancora in vece del thè, e del caffè ricorrerà all'uso della bollitura dell'orzo abrustolato, resa grata con qualche odoroso liquore, all'emulsioni fatte in brodo , con semi di meloni , in particolare fe farà molestato da pertinaci vigilie.  Per fefto , fuggite ogni sorta di be vanda gelata, vi diranno la Fortezza, e la Temperanza , quantunque la moleIta fete, che alle volte suole travagliare li vecchi vi rendesse ansiosi di effe, perche sapete pure quanto danno vi po  triano  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] triano recare, & in vece di queste servis  teyi delle bevande attualmente calde ,  che vi smorzeranno con più facilità la  sete per quella cagione à voi nota, che  sciogliono li liquori caldi più facilmente  quei fali, che titillando le papille del  gusto non solamente le costringono, mà  recano ancora aridità à tutta la mem-  brana interna del palato , & esofago in-  crespandola à guisa di carta pecora, e  questi con il liquore caldo vengono più  facilmente sciolti, & ancora le parti ina-  ridite con più prontezza fi distendono,  doveche dalle gelate ne segue l'opposto,  e per questa cagione tali acque sono  consimili à quelle , che   Quò plus sunt potæ , plus fitiuntur        aqud;  E perciò non si sà capire per qual cagio-  ne in particolare ne' vecchi sia stato dif-  messo il bevere caldo tanto praticato  dagli antichi Romani , e tanto maggior-  mente, che dall'abuso di dette acque  gelate ogn'anno ne seguono delli casi  funesti, coine ben sapete ; Dal soverchio   bere,  7  bere, con tutto che non sia gelato, ve no asterrete ancora,  effendoyi noto quanto di male possa apportare alli stomachi debilitati dagl’anni, potendo non sólamente inlanguidire li fermenti digestivi, mà opprimere insieme preventivamente quel calore, che stà per finire. L'esperienza dimostra chiaramente , che le piante annose inaffiate à suo dovere si conservano, mà soverchiamente più preftamente mancano,  Per settimo, v'avvertiranno la Prudenza, e la Giustizia di non porvi in una regola rigorosa di vivere, con il motivo della moderazione del vostro esercizio consueto , perche la natura già affuefatta da tanto tempo à quella quantità di nutrimento, vedendolo tutto in un tratto notabilmente scemare ne riceveria incommodo considerabile, costando pur troppo per esperienza , che alcuni vecchi,li quali l'hãno voluta tanto ristrignere preltamente sono mancati. Quello, che dovrete praticare sarà di guardarvi da certi cibi di dura cozzione, di cattiva  qua  qualità atti à poter nuocere , per altro nella quátirà l'anderete moderando con occasione, & avyedendovi di non poterla ben diggerire, allora l'anderete scemando, mà però lentamente, accioca chè non riesca molto fenfibile derta mutazione, perche è cosa evidente, che allora appunto, che i vecchi allentano di mangiare , poco resta loro di vita.  Peggiore di questo ancor saria, se cadefte in quella opinione tanto dangosa , che per vivere fano sia neceffario di prender cose, che non facciano escrementi, mà che con l'odore delle vivande, con qualche brodo di sostanza, si possa meglio , e con più salute campares di quello si faccia con tante altre cose piene di parti escrementose, perche la Datara vuole fi camini per le sue strade ordinarie, vuole da tutti egualmente efiggere ciò, che brama . Quell'incommodo, che vi reca nel restituire le feccie ella sà per quali fini lo faccia , non è à caso. Non n'elimè già Alessandro Magno dal suo fetore, conforme che li suoi Cor  teg  teggiani adulandolo dicevano , perche ella non sà cosa sia signoria, e grandezza fà che la morte (a) Æquo pulsat pede pauperum tabernas,  Regumque Turres.  Per tre gran benefici la natura volle , che vi fossero li tanto odiati escrementi: Primo, perche dentro di noi si facilitassero mediante queste tante digeftioni, che vi si fanno , conforme l'esperienze chimiche ad evidenza lo dimostrano, in tante digestioni fatte con il Fimo, e da quì rifletcete quanto s'ingannino coloro, che procurano anziosamente à forza di tanti reiterati purganci star-, ne senza; Per secondo, che nell'uscire che fanno impari à conoscere ogn’uno se stesso, à che segno debbasi insuperbire chi dentro di se conserva fimili fetidillime materie; E il terzo per convincere chi non credesse il primo, con farlivedere quanta fecondità questi rechino alli terreni sterili, che colsuo beneficio divengonono fertiliffimi , talche erroneaè à priori quell'opinione di potersi nudrire con cose, che non abbiano escrementi, conforme ancora tale à pofteriori si dimostra per essersi veduto chi l'hà voluto praticare divenire un marafino, che in breve fini i suoi giorni.  Per ottavo , & ultimo finalmente, ch'è forse il più forte di tutti, vi diranno le virtù : Guardatevi da quelli trè gran persecutori de' vecchi, che sono, la caduta, il catarro, & il corpo soverchiamente lubrico ; La caduta , voi sapere molto bene, che per due gran motivi è nella vecchiaja più dannosa, che in altre etadi, sì per essere li vecchi di mi. nor vigore, e li più facili à terminare la lor vita , ritrovandosi arrivati allo scorto di effa , sì ancora, perche cadendo come un tronco ciò, che viene loro percoffo riceve colpo pieno, non venendo riparato dall'agilità delle mani, nè dallo scanzo della vita , come segue ne' giovani di maggior agilità di loro, onde per evitare una simile fventura dovrete andare sempre con il vostro bastone, ne  fa  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] farere come alcuni, che l'abboriscono per mofrar braura , quando braura più tosto sembreria l'ayere in mano il bastone di comando"; onde non senza mia stero fù chiamato da’ Latini il bastonc della vecchiaja Scipio, & il prendere Sufcipio.  L’occasioni di prendere li catarri à che segno le dobbiate fuggire, l'efperienza altrui ve ne fece maestri, (vi suggerirà la Temperanza) mentre osservaIte, che chi li espose all'aria rigida, chi ftiede in luogo soverchiamente caldo, chi disordinò in cibi grossi, come sono il formaggio, legumi , & alrre cose consimili furono da essi moleftati, converrà dunque à voi ancora fuggirli, se non avrete quell'erronea massima, che ebbe quel Medico, che disordinava molto, sù la fiducia, che niuna cosa gli potesse nuocere, dicendo, che li Legislatori non sono soggetti alle leggi, mà gli convenne soffrire la morte immatura per questa sua falsa credenza; e finalmenre quanto dobbiate stare cautelati, per non incor  rere  1  rere nella foverchia lubricità di ventre,  non occorrerà vi sia suggerito, sapendo i da voi medesimi, che l'abuso de' dolciu  mi, cde'frutti producono fimile indifposizione. L'irascibile ancora spesso in, citata con l'abuso de' cibi caldi per accrescere pungoli alla bile , quanto la poffino rendere frequente nell'età avanzata lo sapete assai bene, con tante altre cagioni, che farà superfluo viliano ram,  mentate. i  Essendo voi dunque nel corso della vostra vita camminati sempre con le dii rezioni delle virtù, avete da sperare fer  mamente di potere incontrare una gloriosa morte, perche esse in quel vostro  estremo bisogno, più che non fecero in é altri,vi assisteranno; La Prudenza vi farà  soffrire ciò, ch'è inevitabile, con animo  generoso ; La Giustizia sperare quel pre7 , mio, che sarà dovuto alle vostre gloriose  opere ; La Fortezza vi darà cuore da refiftere intrepidi ad ogni patimento più duro ; e finalmente la Temperanza vi consolerà, con farvi vedere, che trà  X 2  quel  [ocr errors][ocr errors] ز  quelli molti , che vissero, pochi ne giunsero all'età voftra ; onde voi, che avrete sempre dato saggio di tanca moderazione, come potrete non contentarvi di essere già vissuti à bastanza, potendo con intrepidezza dire :  Vixi, quem dederat curfum for  tuna peregi; Sicchè felice sarà la vostra morte , & invidiabile da tutti , nè crediate che fiano per abbandonaryi queste doppo morte , perche allora più che mai saranno inseparabili da voi,posciacchè quando ancora eravate viventi si poteva dubitare, che potefte essere, ò nò, prudenti, giusti, forti, e temperari, perche in realtà potevate dare occasione à dette virtù d'alienarsi da voi, mà doppo morte, che tal cagione finì, non si potrà più dire di voi, che prudenti, giusti , forti, e temperati non foste, ficchè resteranno allora da voi eternamente inseparabili le vostre virtù. E chi mai rimarrà doppo morte più glorioso di voi? forse il ricco? questo no, perche le sue ricchezze già  al  [ocr errors] Ja morte,  allora passarono in altri, non sono più  fue; Forse il potente ? nè anco, perche  la sua grandezza è rinchiusa allora den-  tro la sua urna , & il suo potere è diven-  tato un niente; Forse chi ottenne fingo-  lari prerogative di natura , come sono  la somma bellezza, salute , e robustezza  di corpo? questi nè tampoco, perche  quelle già furono, e non sono più doppo              restando un nulla , giacchè :   Quod fuit, non eft pro nihilo reputatur .  Solamente dunque chi vive seguace del-  le virtù può sperare di ritenere ancora  per se doppo morte quanto gadè in vi-  ta, e fù suo proprio , con tutta quella  gloria imınortale, che acquistò chi visse  virtuosamente, de' quali parlando Ip-  pocrate (*) così diffe : Quique hac viâ  incedunt gloriam tùm apud                      majores , tùm  apud pofteros fibi comparabunt, ch'è quan-  to dovevo mostrarvi.       Ed eccoci giunti al fine della festa  Giornata, e convenevole sarà di ripo-   sarci,farci, in venerazione di chi creò l'Universo, giacchè egli ancora requievit die Septimo ab universo opere , quod patrarat , do benedixit diei feptimo , & fanétificavit illum  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] X 3  (-) De decenti babita ,  è à priori (2) Horat.Carnr. odc 4   fa.  dicom (e) Hipp.de Pracepticx.   fo     quan   (1) De pracept:  fione  [d] Epidem.lib.5. @grot.28. ex Valefio. [e] Epid.lib 5. ægrot.7. (f) Epidilib.5.&gt.g.  ap(4) In epift. Abderit. (r) Epift.6.  rano  (d) In Comment Hipfoer. de Fraft.  fers (b) 18 epiß. Damogit,  alla (a) In epif Philop.  K  per(a) In lib.præcepto  ch' Th. In lib.de pracept:  fprone [b) De preception.   Set   era (b) In 2.epiji. ad Domeg.  1  F 3  i   [ocr errors] fare  1  (h) Hippocr. de veteri Medico  C2  pra(c) De decerti babits.   In.  Morale,  DE'FIGLIUOLI  e Medica DEL DOTTOR DOMENICO GAGLIAR DI  Divisa in due Parti. PARTE PRIM A  Sopra l'Educazione Morale. DEDICATA ALLA SANTITA'DI N.S. INNOCENZO XIII,  Neglectis urenda filix innascitur agris  Hor. Sat. 3. lib. I.                  In ROMA, MDCC XXII.  Nella Stamparia di Pietro Ferri alla Minerva.   Con licenza de'Superiori .  [blocks in formation] [ocr errors] sien L Titolo gloriofifsimo di Padre Universale , it quale viene fo  lamente attribuito all'Altissimo Merito di Voltra Santità , mi rende più  a 3animoso à consagrarle la prcfentc Opera sopra l'educazione de'figliuoli Morale, e Medica, con ferma speranza , che Ella comc zelantissimo amatore del buon costume non solamente la riceverà sotto il potentissimo fuo patrocinio; ma le farà di vantaggio godere gl'effetti della sua somma clemenza ; mercecche non permetterà già qucsta, che rimanga infruttuoso ogni qualunque suo documento profittevole allo stradamento de'figliuoli per farli divcnire amanti dellc virtù, cd aperti nemici de' vizj, essendo tal desiderio appunto il maggiore che possa avere un'ottimo Pan  dre;  mente dal principio del suo Gloriofiflimo Pontificato ha fatto la S. V. colle operazioni più gloriofe conoscere al mondo tutto; vedendosi tanto il suo Paterno Zelo, quanto la sua somma beneficenza indiri, zati folamente al giusto, ed all' onesto, gastigando i 'rei , c premiando i meritevoli: conforme appunto costumarono tanti Santillimi Pontefici suoi Antca natì di gloriofiffima memoria. Talmente che l'Eroiche Virtù in V. Beatitudine essendo ereditarie, si trovano profondamente radicate,e queste di fimin le natura debbono neceffaria,  men,  a 4  zarsi, seppure l'ottimo potranno sormontare. i Nè lì veggono nell' Antichissima , c Nobilissima Famiglia de Conti ereditarie l'eroiche virtù dc'suoi Maggiori nei foli Sommi Pontefici ;. mentre risplendono questo ancora , in tutti gli altri, c. con applausi universali; cssendosi veduti do. po la dcgnissima esaltazione di V.B. al Trono Pontificio, nc' più a Lei congiunti di Sangue la medesima nioderazione di animo, ed affabilità princicra ; assegno chc,non senza ammirazione,fan ben conoscere a tutti, che le presenti felicità non han  na  a gli animi generosi, e forti, in cui regnano abituate l'Eroiche Virtù.  In tempi dunque felici, o fortunati,ne'quali la verità svelata pud comparire avanti al Principe , godo la forte di presentarle prostrato à Santissimi Piedi di V.B. e consagrarle inficmc qucfte mie fatiche, diret. te non ad altro, che al publico bene; mostrando queste a Padri di faniglia,non folamente l'obbligo loro, ma cziandio il modo più facile d'indirizare benc i proprj figliuoli, affinche non divengano elli viziosi per. turbatori della publica quie  te.  ritevole dell'efficace Patrocinio del Principe, essendon'egli di essa vigilantissimo Custode: Contribuendo dunquc alla felicità del Principato la buona cducazione de'figliuoli , como cagione della publica quicte; affinchè là S. V. possa godere tutta quella lunga serie di anni felici , che ardentemente le bramo con ogni maggiore offequio la supplico à volerlo rendere degno del suo Supremo Patrocinio, potendo questo accrescere alle sue prove, e ragioni momento di forza bastevole a renderle più convincenti nel ripulire gli animi rozi,dano, e baciandole i Santillimi Piedi con profonda venerazione mi umilio.  Di Voftra Beatitudine  Omilifs,e fedeliss. Suddito  Domenico Gagliardi.  AL  C  On rilevanti motivi ho intrapre  so lo scrivere sopra l'Educazione de' figliuoli : primieramente, perchè leggendola Sacra Scrittura ho con chiarezza conosciuto l'obbligo grande col quale da essa viene aftretto ciascun Padre ad educar bene i propri figliuoli; ordinando l'Ecclesiastico al 30. Curva cervicem ejus in juventute, fu tunde latera ejus, dum infans eft, ne forte induret, Ego non credat tibi, Er erit tibi dolor anime . Doce filium tuum , E'operare in illo , ne in turpitudinem illius offendas; e trovandomi molti figliuoli era anch'io compreso nel numero di questi . Incominciando dunque a cercare qual modo foffe il migliore , per sodisfare a’mici doveri, benc mi avvidi alla prima, ch'era d'uopo conosce  per congetturare meglio ove le proprie inclinazioni li aveffero portati . In feguela di questo considerai, che indarno si sarebbe affaticato ogni qualunque ben’esperto educatore, se l'educando difetrasse nella esatta regola del vivere, quantunque fosse dotato dalla natura di un'ottima indole ; mercecche il nudrimento , eccedente in quantità, e qualità, potrebbe cagionargli internamente tal moto inordinato negli spiriti, che fosse capace di togliere alla sua mente quella limpidezza neceffaria a chi ha d'apprendere la buona educazione .  Si avanzò più oltre la mia mente coi suoi pensieri, cominciando a meditare se co gli ajuti medici, allorchè già introdotto negli educandi l'accennato interno sregolamento, si fosse potuto questo calmare; c con molti lumi ricevuti da Ippocrate, ove tratta de  Aere  Aere , Aquis , EX Locis , arrivò a comprendere, che potevano queste giovaredi molto in tale occasione.  Accertatomi per le fudette rifleffioni, che l'educazione de' figliuoli poteva trattarsi da un Medico provetto, appartenendo appunto ad ello più che ad ogni altro il conoscere i temperamenti, donde nascono i naturali, la regola del vivere, ed il modo di calmare gi’interni moti inordinati de’fluidi, mi accinsi a tale impresa, non potendomisi addoffare da critici, che io abbia contravenuto al documento, che insegna Orazio nella sua Arte poetica a chi brama di scrivere con profitto, cioè:  Sumite materiam veftris qui fcri  bitis æquam  Viribus , & versate diu quid fer  re recufent,  Quid valeant humeri. E per corrispondere con attenzione,  grandezza dell'argomento intrapreso, formai alla prima la seguente partizione di effo.  Divisi primieramente la presente Opera in due parti, cioè in Morale, c Medica, affinche con facilità maggiore ti riuscisse di apprendere quanto scris vo trovandolo non confuso.  Nella prima Decade troverai descritti molti avyertimenti, che dò, acciocche chi voglia accasarsi; possa provederli di ottima moglie; nè ti paja ciò fuori del nostro proposito ; perchè se non si abbatcerà in una moglie prudente, ed onesta , duc gran mali riceverà l'educazione de' suoi figliuoli; il primo de'quali sarà ereditario dicendol’ ArioIto:  Di vacca nascer cerva non vede  sti, Ne mai colomba d'aquila, nè figliaonefti E l'altro poi come potrà queste ajutarti ad educarli bene , fe non sapràche cosa sia la buona educazione, per non averla mai in se medesima sperimentata? Laonde conviene conchiudere, che la base fondamentale della buona educazione consista in iscegliersi una ottima consorte; ed avendola trovata, fi danno parimente molti documenti utili per mantenerla costante nel suo buon costume ; ed inoltre si mostra di quai modi si doverd fervire avendo sbagliato alla prima nel provedersi di effa , affinche molto minori divengano i suoi infortunj.  Nella seconda Decade principia. 1'Educazione Morale de figliuoli; ed in questa scorgeranno i Padri di famiglia quanto siano tenuti d'invigilarci, e quali inconvenienti nascono dalle loro  era,  [ocr errors] zio la similitudine de campi, nc'quali fa vedere di che pregiudizio sia questa, dis cendo:  Neglectis urenda filix innascitur  agris E che le Madri non debbansi abu, fare dell'amore verso i figliuoli, essendo questo trascorso molto nocivo allawi buona educazione, a segno che, se molti non avessero avuto l'asilo materno per esimersi da gastighi, averebbero depofti quei vizj,percui poscia divennero infelici . Troverai parimente documenti facili, e profittevoli, de quali potrà ogniuno feryirsi sccodo le diverse loro inclinazioni per educarli. E perch'è il compimento della buona educazione l'istradarli a ciò, che doveranno applicarsi, quindi è, che si tratta ancora del modo, col quale si doveranno provedere i figliuoli secondo gl'impieghi, de  que  quali si conosceranno meritevoli ; e dandosi il caso per lorosventura, che i genitori morissero, trovandosi elli di tenera età, si propone ciò, che pare conveneyole a farsi in simili calamitose cótingenze:e' per non lasciare poi in abbandono i poveri, che non ponnoricevere tutti quegli ajuti da Macstri conforme possono avere i figliuoli de'bene Itanti, fiè pensato anche ad essi per dare un ripulimento più universale contro vizj,essendo tal semenza in tutte le condizioni degli uomini perniciofiffima per la Republica.  Quattro sono gli interlocutori ideali della presente opera : Sempronio giovane molto accorto, il quale brama d'istruirsi; Mecenate , e Publio prudenti direttori, ed il Medico provetto , per dilucidare alcune cose appartenenti alla Medicina. Mi fono servito di Publio ammogliato per la sperienza grande,  chc  che si trova colui, il quale per molti an ni è vivuto in tale stato: di Mecenate sciolto da tal legame, periscoprire quel di più,chenon può eslere noto, a chi hà moglie,rimirando le cose più sincere chi si trova in disparte, enon ha abbagliato la vista dalle proprie passioni.  Inoltre raccontando Publio cioca chè costumavası fare in tempi meno rilassati, farà maggiormente conoscere la differenza de'correnti, & additerà ancora il modo, che si potrebbe tenere per emendarli,quando questi discordafsero molto da quelli . Nè potrà dolersi alcuno di quanto io con tutta sincerità procuro di darti a notizia; essendoche conforme il Medico non può trovare il rimedio opportuno al male se non forma l'idea giusta, con esaminare esattamente la natura, cagione, e gli effetti di esso, così ancora nel ritrovare isimedj ai vizj, che sono mali dell'animo  b 2 caca  [ocr errors] è necessario sapere precisamente la natura, le cagioni, e li cattivi effetti di esli ; oltre di che, non parlando io in particolare di alcuno, ma solamente in  generale diciò, che è detestabile, non si potrà dolere di me se non chi da se medefimo conoscerà d'essere macchiato di tali difetti,come a tale proposito disse S. Ambrogio ne'suoi serm.pag.102. Ego non de omnibus loquor Etc. ego neminem nomino : conscientia fua unumquemque conveniat.  Averei potuto ancor darui la feconda parte; ma per maturare meglio alcune cose contenute in essa ci è d'uopo di maggior tempo, c per iftabilirle ancor con provo più convincenti; ti baa Iti per ora un picciolo abbozzo di ella affinchè poffi da questo comprendere il progresso da me tenuto per compire una educazione più generale . Quattro sono i punti Medici prinche convenga nel tempo, che sono già  cipali, che si tratteranno nella Decali  de terza, in ordine alla buona educazione; il primo fiè quello , che deesi fare per vantaggio di essa, prima di concepire figliuoli: Il secondo, cioc  [ocr errors] in  ito lif  [merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small] per cola  [ocr errors] concetti, e dimorano nell'utero materno; il terzo che far si debba, dati che sono alla luce, e finattanto, che dura la loro pucrizia: Il quarto finalmente, ciocche convenga allorchè sono in età, nella quale dee in effi manifestarsi l'uso di ragione , indugiando questo.  Nel primo si farà vedere assai difficile il potersi avere figliuoli di buona indole, e docili , se tra marito, e moglie regneranno continue discordie; se faranno l'uno, o l'altra di essi dediti all'ubriachezza, ed alla crapula; con dimostrare loro donde ne provengala cagione; oltre le sperienze dimostrative di ciò.  b 3  Nc  [blocks in formation] [ocr errors] Nel secondo, che non debba una deviata madre tenere la medesima vita, che faceva , prima di concepire; con mostrarle ancora gl' incomodi che può ricevere ella medesima, ed il feto, che porta riell'utero, per tal cagione, e quanto possa venire danneggiata la buona educazione da questo.  Nel terzo si farà conoscere , dati alla luce, di qual latte debbano nutrirsi, e qual regola in cffi debba tenersi, allorche saranno slattati, per deprime. re quel principio , che si scorgesse avvanzato in loro a danni della buona educazione; e qual cuftodia abbia d'aversi di esli , affinche non divengano di cattiva complessione, la quale sarebbe molto pregiudiziale alla buona educazione,  E finalmente nel quarto , vedendosi questi ne' buoni documenti morali non fare progressi, fi esamina sela  sero avere pofsanza tale da deprimere, o innalzare alcuni principj in esli, o foverchiamente assottigliati, o più del dovere sopiti; mediante i quali ne nascesse ostacolo alla mente nell'apprendere, e ritenere i documenti necessari, e questo sedebba farli con ajuti più efficaci mostrandoci anche Orazio, che Incultæ pacantur vomere sylve.  Nella quarta Decade poi troverai dieci ragionamenti sopra i vizj, e le virtù, con esaminarsi ancora ifrutti di ambidue ; e servendo questa come di una appendice all'opera, goderà il vantaggio di efsere trattata con ragioni, e documenti filosofici, medici , morali, e naturali, secondocheayerà d'voро  di essi ; & intanto si sono queste materie poste nel fine , per non dilungare troppo i ragionamenti, potendo ciò renderli tediosi; ed essendo per altro  neceffario il farc: ben comprendere a tutti quanto di buond, o cattivo nasca dalla buona, o cattiva educazione; doveva questo non trattarsi solamente di passaggio, conforme si era già fatto nelle antecedenti conferenze; ma farfene bensì particolari ragionamenti a parte per dimostrarlo con più di chiarezza, potendone da ciò risultare un infinito bene; conciosiacosache fàconoscere chiaramente il nostro Ippocrate nella risposta, che diede agli Adderiti, essere feliciquei Popolizi quali ben sapeano, che la loro sicurezza non consisteva nelle alte torri,cd in altre materiali fortificazioni;mà bensì nella bontà de Citradini,e ne'loro prudenti consigli:spiegandosi ivi : Beati profectò funt populi , qui sciunt bonos viros suaesse munimenta, nonturres,neque muros, fed fapientum. vi. rorum sapientia confilia ; É venendo interrogato Socrate nel convivio de'sette  fa  fapienti di Platone, qual fosse la più ben munita Città, egli rispose : Que bonos viros habet . Quale la più felice : In qua præfe&ti focietate conjunguntur: E finalmente qual fosse la migliore di tutte, egli disse: In qua plurima virtuti premia proposita sunt . Nè può di ciò dubitarsene, insegnandoci l'oracolo della Divina Sapienza al 6. Multitudo fapientum fanitas orbis.  Spero finalmente, che saranno ricevute queste mie fatiche con animo benigno da quei, che sono amanti delle virtù, e se faranno vilipesc da chi ha già fatto l'abito di āteporre i vizja queste,verranno da essi più costo a loro mal grado onorate; riputandole di pregionó dissimile a quelle cose solite da essi a pofporsi; mi basterà, che fiano grate a chi possiede il buon costume, ed utili a chi brama di acquistarlo, perchè gid sono divenuto capace , che nel mondo erunt vitia conec homines; con questa diferenza solamente del più, o del meno,nè io pretendo di vantaggio. Vivi costante nel bene operare per continuare ad essere felice, e far conoscere agl’infelici viziofi colla tua tranquillità di animo meglio le loro mi  serie.  Si videbitur Reverendissimo Patri Sacri Palacii Apoftolici Magiftro.  N. Barcbarius Episc. Bojanen. Vicefg:  APPROVAZIONI.  Etta, è considerata del si  gnor Dottore Domenico Gagliardi , intitolata l’Educazione de figliuoli morale ; o medica ; per commissione dei Padre Reverendiffimo Gregorio Sel. Seri Maestro del Sagro Palazzo Apoftolico; non ci hò trovarà cosa vervna , chic fia contraria alla Fede, o clic offenda i buoni costumi . Con verità bensi poffo; c debbo attestare; che una tale opera per mio sentimento è degna di uscire in luce, perchè oltre l'effere or: nata di scelta crudizione, e di soda dottrina ; può essere molto fruttuosa ; ed al publico, ed al privato, spiegandosi ia essa con dotta; e giudiziola chiarcze  [ocr errors] za la maniera di ben educare la prole, affare di somma importanza , come è ben noto a chi non hà cicco l'intendimento, ed offuscata la ragione. Cosi ne giudico ; c francamente mi persuado, che altrimente non ne giudicherà chiunque col leggerla dalla forza del vero G conoscerà obbligato ad approvare con giusta lode il zelo ben commendabile, e con eso l'erudito , e saggio faperc del chiarissimo autore, che per la publica utilità non hà ricusato di addosCarG acl colmo delle sue Mediche applicazioni una cale fatica, che ben lo palesa non meno versato negli studi più propri della sua professione, che negli altri, per cui sono degnamente accreditati i più celebri per fama di erudizione.  Io Fra Tomaffo Maria Minorelli de'Pre  dicatori Maestro di Sagra Teologia, « Bibliotecario Cafanastense  Per  P  Er commissione del P.RñoGregorio  Selleri Macstro del Sagro Palaze zo Apostolico avendo letra , e confiderata l'opera dell'Eccellentiffimo Signor Doctor Domenico Gagliardi , intitolata L'Educazione de figliuoli morale,e Medica, non avendo trovato nella medesima mala fimc repugnanti alla nostra Santa Fede, ed alla bontà de costumi, nè discordanti da i buoni fondamenti della nostra Professione di Medicina la considero degna di publicarli con la Stampa questo dì 20. Gennaro 1722.  Michelangelo Paoli  IMPRIMATUR.  Fr. Gregorius Selleri Ordinis Prædica  corum Sac.Palat. Apoft. Magift.  Delle Conferenze,  INTRODUZIONE ALL'OPERA,  Pag, į DECADE PRIMĄ  CONFERENZA I. Sopra l'elezione della Moglie , e sue condizioni più essenziali.  IS CONFERENZA II. Sopra l’età più propria, epro.  porzionata di accasarsi ; e quale sia svantaggio maggiore, farlo prima del tempo convenevole, 9 nella vecchiezza :  33 CONFERENZA III. Dove la mostra,in che cose faa  esenziale l'uguaglianza nei Matrimonj; e quali jvantaggi nascano dalle disuguaglianze in queAte.  53 CONFERENZA IV. Sopra gli antichi costumi, pras  ticati appreffo alcuni Popoli per la generazione ; ę se sia più vantaggioso lo scoprire scambievolmente i propri  , corporali difetti , prima di sposarsi, o l'occultarli.  77 CONFERENZA V. Nella quale si mostra , in che modo si maritino le belle , le ricche , ę le deformi  quantingue povere. CONFERENZA VI. Nella quale si esaminano piut  distintamente i pregiudizi, che risultano dai matrimonj fatti senza l'intervento della Pruden74.CONFEREOZA VII. Sopra i difetti , e le virtu delle donne.  253 CONFERENZA VIII. Come si debba regolare l'uomo colla moglie scelta di ottime qualità.  188 CONFERENZA IX.Come si debbano regolare i saggi  mariti con le mogli imprudenti , e viziose . 213 CONFERENZA X. Sopra i ripiegbi prudenziali ,  che debbonsi prendere in diverse occorrenze dalle  mogli saggie , incontrandosi in viziosi, ed indiscrefi mariti,  254  DECADE SECONDA  Sopra l'educazione Morale de'figliuoli, CONFERENZA I. Nella quale si mokra, che co  Ta sia edncazione , cui appartengo piid di ogni altro; e sefia necessario luogo particolare, ove debba farsi .  301 CONFERENZA II. Intorno a quello , che debbas  farsi da Genitori per educar bene i figliuoli . 323 CONFERENZA III. Intorno all'uffizio, e qualita dell’Ajo, e dei Maestri .  350 CONFERENZA IV. Sopra l'educazione delle Pin gliuole,  377 CONFERENZA V. Sopra l'etd opportuna d' apa  prendersi le scienze, ed il modo più facile per accer  tarsi delle particolari inclinazioni de'figliuoli . 403 CONFERENZA VI. Sopra gl' impieghi , che do  vranno darsi da saggi Padri a figliuoli ben’educati, e dotti.  421 CON  CONFERENZA VII. Come debbano i Padri rego  larsi nel provedere i figliuoli ingnoranti , e viziosi.  447 CONFERENZA VIII. Sopra il modo di ben collacare le figliuole.  473 CONFERENZA IX. Sopra l'educazione de Pupil  li : e come debba ciascuna portarsi verso i suoi Genitorį defonti,  499 CONFERENZA X. Sopra l'educazione de'figliuoli  poveri, e donde venga questo danneggiata . 539  [ocr errors] IN TRODUZZIONE  ALL OPERA.  Sempronio , ( Mecenate .  V  [ocr errors] Sem.  Engo talmente af frettato da mici cogiunti a prender moglie, che non mi lasciano vivere, sti  molandomi giornalmente di farlo; a segno che, per non poterli più sentire, sono in necessità di compiacer loro : solamente due core mi ritardano; e fono l'educazione de figliuoli, che possono nascere,e la cura, la quale fi dec avere di esli, efsendo in ciò inesperto ; per altro mi trovo già pronto a consolarli : istruitemi, Mecenate, in queste, potendo voi fare due beneficj in un tempo;cioè, d'istruire me, econsolar' efli, che tanto bramaDo le mie nozze. :  А  Mer.  Mec. Mà questa moglie,ci è già scelta approposito per voi ?  Sem. Ci sono tante giovani oggidi belle , galanti , e ricche, che essendo anche io giovane,e commodo di beni di fortuna la posso scegliere a mio genio, e fodisfazione in brevissiino tempo.  Mec. Però non sò se tutte queste belle , galanti, e ricche, faranno per cala voftra,leggendo in Ateneo che: demens eft , qui oculis uxorem accipit : come fece appunto Monimo  il quale , avendo sposata una Giovane , senza ricercare prima i suoi costumi, divenne infelicillimo marito; c dolendosi della sua {ventura con Olimpia madre di Alessandro, lo riprese della sua trascuragginc, usata nello sceglierla.  Sem. E che ! la dovrò prendere forse deforme , scoriese, e povera ?  Mec. Neanco questa farebbe al caso voftro.  Sem. E chi dunquc doverò prendere?  Mec. Una's clic lia donna di propo,   fito,  Sem,  [ocr errors][ocr errors] Sem. E quelle, che sono belle , egalanti, sono donne ancora di propofito.  Mec. Mà non tutte buone per voi.  Sem. Quali saranno quelle, che voi Itimate buone per me?  Mec. Quelle appunto, che sapranno softenere con senno, e con prudenza la metà del peso della casa, e dell'educazione de figliuoli; onde quando voi la tropaste di queste qualità avercre risparmiato la metà del penfiere dell'educazione, e cura de figliuoli; e queste sono appunto quelle Itimate appropolito da Plauto, in Stiche, ove dice: UI per  orbem cum ambulent Omnibus , os obturens , ne quis meritò  maledicat fibi. Essendo queste ornate di tutte quello desiderabili prerogative, descritte daw Seneca in O&avia. Probitus , fidesque conjugis , mores, pue  dor placeant inarito. Sem. Io credea , foffe fufficiente, che ja moglie sapeffe far figliuoli, c chou ogr’una di queste fosse a propofito.Mec. Per farli, lo credo ancheio, ma non già per educarli bene, e per adempire quanto dee' una vera madre di famiglia; essendo che per far questo liricerca, che sia dotata di senno e di prudenza' : vi avvedete voi ora del vostro errore, e che come si suol dire, ponevate il carro avanti i buovi, con istruirvi nell'educazione de' figliuoli , senza sapere ciò, che ci vuole per iscegliersi una buona moglie: e se v'incontrasto in una imprudente, garrula, e contenziosa, à che vi gioverebe il sapere educar bene i figliuoli, se quanto di buono voi operaste, ella sarebbe capace distruggere colla sua imprudenza, e garrulità ?, allor sì che fareste caduto in quella fyentura descritta dal Poeta Saririco :  Semper habet lites, alternaque jure  gia lectus In quo nupta jacet, minime dormia  tur in illo . O.pure vi abbatteste in una, che fosse di quella natura superba, descritta dal me. desimo, la quale dicesfc; Нос  [ocr errors] voluntas ;  Imperat ergo viro. In questi casi educate bene i figliuoli se potere .  Sem. La bramerei savia, e prudente, ma vorrei, che foffe anche gentile, e galante ; perche le donne di fattezze grossolane non mi sono mai andate a genio.  Mec. Se questa sarà sana , e prudente non ci hò cosa incontrario, ma se poi colla sua gentile, e delicata complesfione ci fosse unira qualche indisposizione di animo, e di corpo, il che suole alle volte accadere, non vi consiglierei a farlo. Sem. E perche ?  Mec. Vi porreste in tal caso a pericolo di fare una cattiva razza; eredicandog da figliuoli non meno il bene , che il inale di effe ; ed hò sentito da Medici, che più dalle Madri, che da i Padri questo si ritragga, per il nutrimento dato loro quei nove mesi, che li portano nel ventre nè fi può fperare,  che  [ocr errors] A 3  che dal seme velenoso del nappello nasca un giglio, o una rosa: non sarebbe poco, quando meno velenosa germogliasse quella pianta , che dee ello produrre : e poi voi, il quale vi dilettate de cavalli, dovreste sapere per isperienza, che quelli nati da cattiva razza, riescono i meno generosi; e perciò dovete anche riflettere, che il limile poffa seguire negli uomini, come lo descrisse Orazio.  Fortes creant ur fortibus , du bonis :  Et in juvencis, eft in equis patrum  Virtus : nec imbellem feroces   Progenerant aquile columbam . Sem. In maggior confusione di prima ora mi trovo, sentendo da voi , lian neceffario ancora di scegliere una donna savia, e prudente per moglie; onde, per liberarmi da tanti guai, seguiterò le vostre orme, e viverò libero da questo legame anche io, e dicano ciocche vogliono i miei parenti.  Mec. Non fatedi grazia, Sempronio, questo sproposito,  Sem.  [ocr errors][ocr errors] Sem. E voi perche l'avere fatto ?  Mec. Non aveva allora la sperienzas d'adesso ; nè mi abbatiei in consigliere sincero; e sappiate , che mi sono pentito più volte, e particolarmente avanzaadomi negl’anni, di averlo fatto.  Sem. E per quali motivi?  Mec. Perche non anderei tanto lambiccandomi il cervello in cerca del mio erede (briga dolorosa dell'età avanzata) se avesli figliuoli.  Sem. Essendo voi tuttavia robusto, farefte anche in tempo di farli.  Mec. E che vi dispiace forse la mina robustezza, che me la vorreste far  perdere? non sono più in tempo di farli; hò procurato finora di non esser ridicolo, & ora più del passato son tenuto di farlo, e voi mici varrefte far diventare per cantare di me forse ciocchè disse il Taffo di Vincilao :  Vincilao, che sì grave , e faggio innante  Canuto pargoleggia, e vecchio amants : Queste risoluzioni, Sempronio , deona fare in gioventù , per poter vedere i suoi  figliuoli bencincaminaci prima di mori. re, essendo che a me potrebbe succedere ciò che dice Plauto:  Poft mediam ætatem, qui ducit uxorem,  Si eam fenex prægnantē   fortuitò feceris , Quid dubita's quin fiet parasū nomen  puero . Poftumus?  Sem. Dunque saranno ridicoli tani vecchi, che si accasano,e con giovanette anche belle?  Mec. Io non debbo entrare nei freci altrui, debbo bensi pentire 2 cali miei, ora che ho il pieno uso di raggione, acquistato cò gli anni; ma questi sono discorsi fuori del nostro proposito, dovendo voi risolvervi a prender moglie , per non avervi a pentire poi ancor voi di non averla pigliata ; e per ciò dovere farvi ora istruire in quello, ch'è necessario per fare un ottima elezione.  Sem. E da chi?  Mec. Da colui, che la seppe far ottima , e perciò gode vita felice , e tranquilla.Sem. Ma io non vorrei, Mecenate mio, palesare alero , che à voi il mio interno; perche sapete pure qual vento spiri oggidì, che si van cercando id fecti alcrui per mantenere allegre le nostre notturne assemblee, laonde di scoprendo le mic debolezze ad un'altro, sarebbe cosa facilissima si divulgoffero fra molci.  Mec. Viverenino in tempi infelicissim mi, re in Citcà si vasta la secretezza re. gnasse in me solamente,  Sem. Mà non potreste voi solo istruire mi in cucto , essendo vomo di molta fperienza nelle cose del mondo.  Mec. In teorica potrei darvi molti avvertimenti, ma in cose pratiche nors posso consigliarvi ; perche essendo io sciolto da limil legune, no ho avuta occasione di approfittarmi in tal faccenda.  Sem. Oh quanto mira meglio colui, il quale stà in disparte, i difetti dongeschi di quello facciano i mariti! e come giudice spassionato , quanto li distingue anche meglio! Mec. Voi sapete quanto vi amo, u  per:  perciò non lascierei cosa alcuna, che non facessi per consolarvi; mà conos . cendo io, che meglio potreste essere iftruito in tutto coll'intervento di chi averà navigato felicemente molti anni per questo gran mare , perche vi amo, dico questo ; potendo egli molte cose aver conosciute in atto pratico,alle qualinon possono giungere le mie teoriche.  Sem. Se lo giudicare necessario bisognerà farlo : ma chi sarà ral'consigliere?  Mec.Ci sarebbero Publio Roscio,che per lo spazio di quaranta tre anni, e vivuto in pace con sua moglie. Massimo trentanove anni parimente, senza contendere,e Silvio Paterno trentadue;ora sceglietovi, chi volere di questi.  Sem. Oh bene avete trovati i parenti più prossimi à Noè, che sono in questa Città ! quai consigli mi potranno dare questi vecchi decrepiti, che non firicordano del seguito nel dì avanti; e poi a tempi loro non usandofi le galanti maniere constumate oggidì, a che mi fervirebbono i loro ancichi consigli , non  pra.  praticabili a tempi nostri?  Mec. Tutte queste eccezioni, che da. te loro sono in vantaggio vostro; per, che, se non si ricorderanno quello , che udiranno da voi, niuno risaprà i fatti voftri , e se, senza tante galanti maniere di oggidì, fi feppero far amare dalle loro consorti, insegnando a voi i modi, da loro tenuti, ci guadagnerere molto in saperli, e se non siete ancora informato della capacità de’vecchi, apprenderes la da Ovidio,  Jura fenes norint , dow quid liceata  que , nefasque, Falque fit inquirant, legumque exa.  mina servent. E da Cicerone , il quale, de Senectute, così parla del Vecchio: Non facit en que juvenes, at verò multa majora, meliora facit ; non enim viribus , aut ves locitate corporis res magne gerantur , fed confilio , authoritate , fententia , quia bus non modo non arbari , fed etiam auga. ri senectus folet. Laonde faggiamento l'Ecclef. al 25. dico ;- Corona fenun muba ta peritia :  Sem  Sem. Sceglietene dunque uno di quefti a vostro genio, e quello, che conoscerete più approposito per il bisogno mio.  Mec. Publio sarebbe più al caso, per. che quantunque egli meno si ricordi delle cose presenti, conforme sono tutti i più vecchi, ha felicissima memoria nel ricordarsi delle passate:e poi avendo numerola famiglia, e così bene accostuinata , saprà anche istruiryı nella educazione di essa.  Sem. Attenderò dunque con anfierà i consigli di Publio; ma faprà istruirini incio, che riguarda la cura, che si dec avere per conservare la prole con buona falute  Mec. L'esperienza, avuta in molte cõgiunture ad esso accaduce lo averà facilmente renduto capace, a darvi qualche buon consiglio in questo ancora; ma non già con tanta esattezza cõforme farebbe chi foffe profeffore di Medicina.  Sem. Sarebbe dunque bene u’interveniffe uno di questi; c difcegliere tra periti il migliore  Merg.  Mec. Il vostro Dottore è pratichiffimo, avendo avuti molti figliuoli, è anche ingenuo , e sò che vi ama di cuore, onde migliore di ello non saprei sccglierlo.  Sem. Così è: or ditemi, come doverò contenermi nelle nostre conferenze?  Mec. Domanderete quando si presenterà l'occasione tutto quello, bramate di sapere; e non vi vergognate di fare anche quesiti di poco rilievo ; perche non facendoli, rimarrete con perplessità in molte cose.  Sem. Come si farà per informare Publio,che al Dott. parlerò io modelimo'  Mec. Sara inia cura d'informarlo di tutto, e già che siamo di primavera potremo portarci al mio giardinetto, contiguo alle mura della Citrà, ove come disse il Petrarca:  Non palazzi , non teatro , e loggia ,  Ma in lor vece un abete , un faggio, un     pino,  Fra l'erba verde , el bel monte vicino ,  Levan di terra al ci el nostro intelletto , E faremo ivi due volte la settimana le nostre conferenze.  Sem. Mà non sarebbe meglio, per approfittarmi prestamente , il farle tre volte ?  Mec. Vicompiacerò anche in questo, purche le occupazioni degl’aleri lo permettano ; ma voi, Seinpronio, averete già dato luogo nel vostro cuore a qualche oggetto, perche bramate sapere con sollecitudine se quefto ci abbia da rimanere,viconsiglierei però quádo ciò fosse, a spogliarvene prima, per applicare tutto il pensiero a quella, che converra à yoi, & alla vostra casa , che vientri  per meglio stabilircela ,  Sem. Non sono determinato ancora, quantunque abbia posto l'occhio in più parti, onde posso facilmente spogliarmene affatto, e starò con anfietà attendendo l'avviso del giorno, in cui si darà principio alle nostre conferenze.  DECADE PRIMA  CONFERENZA PRIMA  Sopra l'elezione della Moglie, e fue  condizioni più ellenziali. Mecenate , Publio, Sempronio ,  e Medico.  Mec.  O notificato à Publio ciocchè voi bramate da esso, il quale vi copatisce a maggior segno;  posciache egli ancora si trovò in un fimile laberinto,allor che dovea prender Moglie, comc jeri appunto mi disse, e da lui medesimo sentirere ora con vostra confolazione.  Pub. Quantunque anch'io venifli Atimolato da mici Genitori ad accasarmi andavo nulladimeno téporeggiado d'effettuarlo;perche apprendeva fosse schia  vitudine grande la vita cognugale, ma la ritrovai, per verità, assai diversa das quello, che io mi avea figurato ; & efsendo stato sempre mio costume, anche da giovane di regolarmi col consiglio d'uomini favii , c provetti, mi portai da un di questi mio amico, che non aveva alcun interesse in cal affare, per consigliarmi seco , fe dovessi risola vermi a prender moglie, il quale uditas ch'ebbe tale proposta, cortesemente mi disse: figliuol mio è tempo ormai , che vi risolviate di farlo ; perche avendo voi già l’età di venticinque anni poiere esser capace d'indrizare una donna per la buona strada , quantunque aveste sbagliato in isceglierla nelle cose meno essenziali, e sappiate, che l'uomo savio bene spesso fa divenire la moglie non dissimigliante da lui , siccome l'imprudente donna precipita l'uomo poco avveduto : figuratevi alla prima di dover navigare per un vasto oceano dover essere voi il nocchiere, che guida la nave : sappiatevi ben regolare  nelle  [ocr errors] e di  [merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] nelle tempeste, per non sommergervi ; prendetela sana, ben accostumata, e di buon parentado, non vi lasciate abbagliare dalla bellezza, dote, e nobiltà; e risolvetevi ; perche quanto più differirete, altrettanto inaggiore sarà il morivo di pentirvi della tardanza: raccommandatevi al Signor Iddio, essendo che: A Domino autem propriè uxor bona , come disie Salomone; procuratela giovane, nè tardate di vantaggio.  Sem. Quanto mi consolo , che vi siete ancor voi trovato in fimile laberinto; e son sicuro, che perciò compatirete le mie debolezze.  Pub. Vi comparisco a maggior segno figliuol mio , fatevi però animo ; perche quantunque paja la vita conjugale alla prima di un gravissimo peso, quando però questo viene portato concordemento d'ambedue, riesce molto leggiero, an. zi foare'; e tal fortuna l'hò sperimenta. --ta io medelimo.  Sem. Vi abbatteste à caso in sì buona compagnia, o pur faceste preventivos  [merged small][ocr errors][ocr errors] diligenze per isceglierla 2  Pub. Le feci certamente esatciflimus per non operare da balordo ; perche se per provederci de' cavalli, cani, anzi di vili giumenti si fanno efatte diligenze', acciocchè siano sani , edi buona rizzi; quattro maggiormente sono neceffario queste nello provedersi di moglie, come puntualmente si trova registrato in Tcognide, Canes quidem, a afinos querimus ,  • Cyrne, dequos Generofos, cu hec quisque vult ex  bona progenie Sibi parare ; uxorem aurcm ducere  malam Ex mala progenie non curat 1. Vir bonus ; modo fibi pecunias multas  1offerat. * Sem. E qual modo teneste in farle? - Pub. Avendo posto l'occhio ad una Gentildonga modesta,non diriguale alla mia condizione, & in età nubile, miraccomunaadai di cuorc al Medico , che fa. Noriva la mia casa , acciocchè avessesavesle ben Dell'Elezione della Mog. 19 procurato di accertarsi della sua salute , avvertito à non ingannarsi, per non ave. re a fare ancor esso la penitenza del suo fallo; posciache se fosse stata mal sana, dovendola curare, briga maggiore gli averebbe apportata; senza speranza di premio straordinario ; per esserne egli Itaro la cagione, che fosse entrata in inia casa; ciò però dilli per ischerzo. m  Sem. E detto Medico, come lo potcs va scoprire, se non l'avesse avuta ini cura ?  Pub. Penetrò tanto, che mi bastò ,  Sum. Com'egli fece ;   Pub. Avendo confidenza col suo Speziale, segretamente cercò nel di lui libro maltro, se vi era descritto alcune medicamento, servito per effe lei, e non trovandovi cosa di rilievo, mi disse : ftiamo bene di salute, perche none, si è mai purgata .  Sem. E leu fosse fervita di qualches altro Speziale? Pub. Questo non si costumava di fare  in quei tempi tanto allo Speziale, quanto al Medico. Una volta, ch'essi erano ftati ammessi, fino alla morte continuavano, ed'eravamo per ciò ben serviti; imperciocchè con molto amore effi s'in. tereflavano ne i nostri vantaggi,conforme comprenderete da quanto soggiungerò. Non si appagò già l'affezzionato Medico di questa fola diligenza usata', mà volle far di vantaggio, e fu d'abboccarsi col Dottore, che medicava in quella casa,introducendo seco discorso sopra la poca salute, che godevano alcune giovani, ch'egli curava, attribuendone la cagione di ciò al poco esercizio, ch'esse facevano ; e di poi passò à domandargli, di quali rimedij egli si prevaleva per conservare in salute quella , che doveva appunto essere la mia futura fpofa, la quale in appareaza mokravas essere più sana dell'altre; cui replicò, ch'avendo ella sortito un ottimo temperaméto, no aveva d'uopo dell'opera lua, & in segno di ciò nel mal de vajuoli da ella sofferto appena cgli vi fu chiamato  nel  oel fine', tanto la natura le fu propizia , che senza alcuno ajuto medico fece il fuo corso felicemente; e con questa seconda diligenza mi accertò della buona salure, ch'ella godeva.  Sem. Questo favore toccherà à voi, Dottore, di farmelo...  Med. Non mi ponete di grazia in Gmile intrigo ; perche non essendo io si avveduto, non vorrei errare nello scoprire gli altrui difetti : e poi se îi desse il caso, che io avelli curato quella giovane, l'onor mio n'anderebbe di mezo , discoprendovi la verità delle cose con, fidateini.  Sem. Della vostra avvedutezza punto non dubito: e poi porrò la mira a qualcuna, che non fia medicata da voi; onde non mi contriftate col recufare di f.2vorirmi ; perche altrimenti sarete voi cagione, che io non prenda moglie, noa potendomi fidare meglio di alcun altro in questo, se non di voi.  Med. Per servirvi la vedrò, considererò il suo temperamento, e fisonomia;  B 3  mà  mà tante altre diligenze, praticate per Publio, non vi prometto di firle; perche ora non si costuinano più molte cose, che si facevano allora.  Sem. L'usanze buone non si debbono dismerrere mai, io mi dichiaro con voi, non per ischerzo, come diffe Publio , mà con tutto il fenno: che se non sarà fana , toccherà à voi di curarla senza fperanza di ricompensa , succedendomi per colpa vostra tale sventura'.  Mega Vorrci, Sempronio, che mi mostraste qual privilegio voi avere più del Dottore di dismettere l'usanze buone; essendo ch'è pur usanza buona riconoscere col dovuto guiderdone il Medico, il che voi volete disinertere', obbligandolo di più ad osservare quello, che fa  per voi.  Sem. Lo dicevo per animarlo, 20ciocchè lo facesse con più fervore: non già tutte le cose, che si dicono si fanno.  Mec. Questo però non è già premio , che animi, mà bensì minaccia , che avvilisce più costo ; olore di che non è già  ben  ܪ  ben fatto di proporre con tanta franchezza ciò, che non si vuole praticare,  Sem. Non parliaino più di ciò; palliamo al costume ; questo in che dee cons Giftere, avendomi voi significato, non essere necessario, che la moglie lia garbata, e galante?  Mec. Cerra cofa è, che il buon costume della donna, non dee coolisterer in questo, mà bensì in aver cura delle casa, in saperla ben reggere, e gover: nare di cui parlando ne? ;suoi Proverbij Salomone diffe : Confickeravit. Jemitas domus fue , panem otiofa non comedia Ed il Nazianzeno nei suoi documenti che da alle vergini, così dice Neque domibus cxternis olideas , neque  menfis. Ed altrove contro le donne più del doc yere ornate, così parla .  Mos eft mulieribus [res pretiofa] domi  manere  [ocr errors] Plurimum, & divinis alloqui sermonibus Telaque , fufoque ( hoc enim munus eft mulierum)Ancillis opera distribuereservos vitare ,   Labiis vincula ferre, oculis,atq;genis:   Neq; pedē exirà vestibula Sepè babere; E Menandro comico greco così dice , Intus manere mulierem oportet  oportet :: Bonam, egredientes autem foras nullius  pretii sunt . Sem. Come scopriste, Publio , che fosse di questo costume la vostra Conforte?  Pub. Avevo in quel tempo un servitore molto affezionato, & insieme accorto, diedi ad effo segretamente l'incombenza, che lo aveffe scoperio ; e fi pora tò egli così bene, che in brieve fui informHo ditutio.  Sem.' E come fece?  Pub. Conduffe, ove questi sogliono ricrearsi, un certo fuo conoscente, il quale da molto tempo serviva in quella casa, e dopo d'essersi insinuato avvedutamente appresso di lui,introdusse discor. so, come è lor costume, sopra le stravaganze de padroni, & interrogato, che l'ebbc de cractamenti, che riceveva dal  fuo  suo, passò alla giovane, di cui ne diffe un infinito bene, con individuargli alcune particolarità, le quali denotavano forfe savia, c prudente .  Sem. Questi come poteva essere apa pieno informato delle qualità della gior vane, non trattando in quei tempi lei padrone con servitori?  Pub. I servitori in ogni cempo sono ftati curiofillimi di scoprire i fatti de'padroni, & anco i più segreti', come ava vertì Giovenalc.  Scire volunt fecreta domis, atque inda timeri. E siccome sempre vi è stata qualche affezionata corrispondenza tra essi, e le donne di servigio, onde per questa via, ciocche effi nonodono, ne offervano, lo penetrano : nè è stato mai possibile, che le donne di servigio ili fiano astenute dal'non palesare i difetti del: le padrone , almeno a questi loro favo riti, per mostrare con elli confidenza.  Sem. Vi bastò quefta sola notizia ?  Pub. Procurai in oltre rincontrarl24 da più parti prima di crederla ; pofçiag  che  che udito efferii da quella casa partita disguitata una donna , fecidiella  prenderne inf rmazione, la quale contesto le medelime cose,che dette aveva il servitore; ed essendo uniforine à questo notizie il publico conceito, che di essa fi aveva nel vicinato, mi appagai del suo buon costuine ie non feci altre dili. genze intorno à questo. ni  Sem Manon sarebbe stato ineglio vi foste informato da qualche Uomo das bene?  Pub. Non lo stimai neceffario , avendo rincontrato da più parti il medesimo: e poi per dirvela giusta , chi è buonio non è curioso d'investigare gli altrui difecii; ed anco sapendoli si guarda molto bene dal publicarli..."  Sem. Il vostro Ulisse, Mecenate, sa, rebbe approposito per iscoprire gli altrui difetti in  Mec.. Ma non in questo affare, perche egli cicala troppo: si ricerca in tale affare chi sia destro, e serio , che compri, c non venda.  Sem.  Sem. Palesatemi ora , Publio, qual modo usaste nell'informarvi della prosapia della vostra Conforte ?  Pub. Vi era in quel tempo un certo sfaccendato investigatore de' fatti altrui, il quale andava curiosamente cercando le memorie delle antiche famiglie negli Archivi ; cui feci parlare dau un'amico, è che mostraffe desiderio, tanto delle notizie della mia famiglia, quanto dell'alcra, con fargli promertere un convencvole riconoscimento per le sue fatiche'; e per verità in brieve tempo d'ambidue pose in chiaro quanto circa ad un secolo a poteva tro. vare, e seorgendo verificarsi ciocchés aveva detto della mia, prestai fedes à quanto aveva ritrovato dellal, tra; e vedendo, che fiftava quasi del pari tanto nel bene, quanto nel male's non ini curai fare diligenze di vantag. gio'intorno a questo ancora potendomi bastare.  Sem. Dunque quantunque sapeste, che in quella viera qualche eccezione,  non  [ocr errors] [merged small][ocr errors] non ne faceste caso?  Pub. Mà se vi era questa nella mias ancora, come potevo farne caso, do. vendoci ne' Matrimonj servare uguaglianza.  Mec. Credete forse, Sempronio, che tutti noi descendiamo da Cerari, e che per non interrotta serie di molti secoli le nostre famiglie siano state sempre illuftri? Se li potesse ora ritrovare la de. scendenza vera degli Arsaci; e Tolomei, oh quanti di questi si troverebbero esercitare arti vili, e forse core peggiori ancora . lo per tal motivo no mi fon punto curato di far ricercare dell'albero della mia casa , se non l' ulcimo secolo ; e tanto maggiormente, che un mio amico, il quale si mostrò più curioso di me, bramandolo di due , dopo di avere speso di molto in ricercare i fatti de'suoi antenati; vi trovò alcune cose, che forse nulla li piacquero, o fece tralasciare l'opera:solamente queIto guadagno vi fece, che non milançava più la sua nobiltà , come prima.Som. Di avere però l'albero della sua casa lo stimo neceffario, affinche i  posteri seguirino i loro illustri maggiori.  Mec. Lo credo anch'io , mà però non conviene farne publica mostra , se uon cui averà trà suoi ascendenti chi abbia goduta la Sovranità, mediances la quale degnamenre merita la preminenza sopra tutte le altre una sì illustre famiglia. Potrei riferirvi à questo proposito ciò, che fece un saggio Prencipe, cui fu presentato l'albero de'suoi antenati; lo rinirò egli ben bene , & essendoli avveduto , che l'adulazione vi avca innestare alcune cose ideali, lo fè piantare profundamente in una fund Villa, atfinche da quello germogliaffed l'albero de'suoi descendenci più glorioso, essendoche lo fc piantare ivi ad onta dell'adulazione.  Med. Licredo anche utili detti albe. ri per prova della salute goduta dagli asccadenti ; posciache se il Padre mori ottuagenario , il nonno parimente in età decrepita , conforme anco l'atavo , ed  il tritayo, sarebbe questa una provas grande della perfetta falure in quella famiglia; e tanto più se questa si proyaffe ancora per parto delle donne; dove che se fossero morti giovani , e vi foffero regnati tra eli mali creditarj, farebbe far un cattivo negozio, d'incftare a piante si cattive la propria.  Sem. Riuscirà ora cosa difficile à potersi sapere i difetti del casato, col quale dov.erò apparentare, per non esserci più quegli avveduti indagatori dei difetti altrui.  Mec. Non dubitate, perche non ci è questa penuria ; sono stati, e saranno sempre nel Mondo niolti, a quali premono più i farti altrui , che i proprj, ricavandune da ciò notabile guadagno ; basterà essere loro grati, perche di quc sto vivono , per altro ne troverete molti: e poi ci sono ora tanti manoscritti, e libri anche stampati, i quali trattano delle nostre famiglie, che vi si renderà più facile di quello, che credete, à Caperlo giusto ; Sc però non averanno,  tore  scritto con passione, clivare; il che si difeerne facilmente, non potendosi mai celare questi canto , che non si scuoprano.  Sem. In questo supplicherò voia favoriemi, avendone già pratica di molte ; Ini mette solamente pensiere il mor do di scoprire ciò, che accennò il Dor  concernente all'età , che fieno viyuti, & alla loro falute, ed in questo ancora vi prego , Dottore , che mi ajutiate.  Med. Questa non è incombenza di Medico, dovendo egli cercare i vivi per 'risanarli , se sono infermi ; ma ai morti qual bene potrà apportare, ricercandoli ?  Sem. Apporterete à me il bene, le non lo farcte a defonti, con trovarmi moglic , che descenda da famiglia sana, ed in conseguenza ancora a miei descendenti.  Mec. Il Dottore ha da fare, non gli date questa briga ; vi voglio inícgnare io il modo per uscoprirlo; posciache,  fc  [ocr errors][ocr errors] se la famiglia, colla quale voi volete app arentare, sarà illustre, e di antica pro fapia, ci saranno tante lapidi sepotcrali,ove son descritti i fatti degli ascendenti , ed ivi troverete anche gli anni, che questi vissero ; se poi saranno famiglie moderne, l'invidia farà palese più di quello, che bramerete sapere di cfle , ritrovandosi ricche.  Sem. Passiamo ora all'età più propria d'accasarsi.  Mec. Voi,Sempronio, vorreste essere in un sol congresso istruito di tutto; riferrete di grazia,che Publio è vecchio, ed il Dottore ha le sue occupazioni ; non ci abuliamo della loro sofferenza.; e poi non è già vostro vantaggio di far lunghe conferenze, perche meno a apprendono li troppi documenti, di quello si faccia udendone pochi per volta ; differiamolo dunque alla seguente Conferenza.  CON,  CONFERENZ A 11.  Sopra l’età più propria, e proporzionata    di accasarsı ; e quale fia svantaggio     maggiore , farlo prima del tem-       po conyenevole, ò nella vec-   chiezza.  [ocr errors][ocr errors] Sempronio , Publio , Mecenate,  e Medico.  [ocr errors][ocr errors] Sem.  01, Publio , che avete avuto fortuna nel vostro accasamento, ditemi di grazia: in qual'età  cravate,quádo prédeste moglie?  Pub. Appena io avca terminato l'anno. vigelimo quinto.  Sem. E la vostra sposa qual’età avea?  Pub. Era allora appunto entrata nel vigefimo. Sem. Perche non la prendeste prima?Pub. Perche non mi pareva di avere acquistato ancora turto quel conosciméto necessario per far passaggio a detto stato. Oltre di che trovando scritto questo Sacramento per ultimo , ftimai bene d'effectuarlo dopo l'età stabilita da conferirsi il Sacerdozio, per non errare.  Sem. Ma prendono pur tanti moglie prima di questa età ?  Pub. Da ciò forse deriva , che molti fi lagnano ancora di essersi accafati ; ed è cola facile, che per non sapersi in quell'età iinmarura regolare con giudizio, e prudenza , incontrino più disastri, che consolazioni,  Sem. Dunque avendo i vecchi più fperienza, senno, e prudenza de giovani converrebbe aspettarsi a farlo fino all' età fenile.  Pub. Per altri motivi però, apportati da Euripide , non si dee aspettar tanto, dicendo egli:  Et nunc juvenes adhortor omnes,  Ne in senecture nuptias celebrantes   [ocr errors] Vix liberos procreént;nec enim voluptas     eft,  Sedres inimica mulieri fenex vir,           Ed altrove,  Amarus juveni uxori fenex maritus .   Sem. Sono però accaduti à rempi noftri cafi felici ne’vecchi sposati con le  giovani, ed hanno avuto prole. 3 Pub. Questi matrimonj bisogna , che  riuscissero assai infelici anticamente;podi sciacche di Omero racconta Erodoto į nella di lui vita, che sdegnatoli egli con  tro alcune donne,che sacrificavano à Co.  rcre in un trivio, imprecase loro questo o gran male.  Audi flavi Ceres precor, hoc mihi perfi  ce votum:  Hanc numquam juveni matronam junge I  marito, Sed tremulo fit nupta feni , cui vertice  cani Fundantur crines, E non avendo saputo augurare loro infortunio peggiore di questo;qual felicisà dunque potranno essi godere? Potrà  [ocr errors][ocr errors] effere tal volta, che le donne di oggidi fieno divenute più savie di quello fossero allora; o pur,non trovando alcune di esse mariti giovani fi contentino di quelli, che possono avere , senza contristarsene punto; se pure non è qualche caso singolare questo da voi riferito , il quale non è sufficiente à formare Aato.  Sem. Bramerei in primo luogo sapere da voi , se debba essere uguale l'età dell' uomo à quella della donna, per servare in tutte le cose perfecta uguaglianza?  Pub. Appunto per cagione di proporzionata uguaglianza , non debbono essere ambidue di consimile erà , perche deesi, come ben'avvertì Euripide regolar questa dalla durazione della fccondità , non dagli anni , dicendo egli. Malum eft juvenem uxorem adolescenti  conjungere. Diuturnior autem eft marium vigor , Fæmineum verò corpus citiùs puberta. sc deftituitur .  Sem.  [ocr errors][ocr errors] Sem. Quefta differenza di età in che doverà consistere , e quanti anni doverà avere più l'uomo della donna?  Pub. Sopra questo particolare ini persuado , che non si possa dare certa, c determinata regola;contutto ciò potrà dire il Dottore, quello ch'egli ne senta.  Med. Aristotele pone la fecondità dell'uomo fino all'età di 70. anni, e quella della donna sino à 50.jma perche ora forse sono le complessioni deceriorate , e perciò non si osserva, se non di rado giugnere à questo termine, voglio  in ciò regolarmi con quello , che piu } frequentemente suole accadere,il quale  appunto è; rispetto all'uomo incirca al 60.anno ; & alla donna intorno al 40. talmente che nello spazio di 20. anni,  confifterebbe detta fecondità di più o nell'uomo che nella donna.Ciò ftabilito,  ogni qual volta nou trapali in detrá - proporzione il triplo l'età dell'uomo  sempre farà in uguaglianza g rispetto al sempo di poter generare; purche non  C 3  VCI  yenga variata da qualche indisposizione morbofa.  Sem. Sicche dunque un uomo di 40. anni farebbe- nell'uguaglianza , prendendo una giovane, che ne avesse venti?  Med. Così è: uscirebbe bensì da calc proporzione , se la prendesse di 14.anni; poiche trovandoli la donna nell'età di anni 34.avendone il marito 60. sarebbe già divenuto sterile sei anni prime di effa.  Sem. E se la donna fi accalaffe in età maggiore di quella del marito , che ne potrebbe seguire da ciò ?  Pub. Le riuscirebbe certamente pii facile di fare à suo modo; imperciocche non prendendosi quella soggezione del marito , che suole apportare di più l'anzianità, disporrebbe, tụtto à fuo piacere;ed Iddio guardi,che la diffcrenza degli anni foffe tale, che il marito le potess’essere figliuolo,allorsi,che lo vor. rebbe tenere, e regolare da subordinato in tutto à se medesima : e poi è da riflet. tersi, che difficilmente inducendoli ladonna, se nő è molto stimolata  dal senso, à congiungersi in macrimonio con ginvani di tanta disparità; onde in questo caso soffrirebbe il povero marito per molti capi penc considerabili: solamente  la gelosia, che ne potrebbe ella avere gli i recherebbe tormento grando; olere di  chc, comc vuole Leonide , sarebbe sen-  za prole, e senza moglie, posciacche egli  dice:     Conjuge nec frueris,nec   frueris fobole . Sem. Io , che non voglio tanti guai, la bramo più giovane di mie; mà diremi, Dottore, qual'è l'età competente della donna,per cffer moglic?  Med.La giovane può prendere marito allor'appunto, ch'è atca à concepire , effédo divenuta già dóna;c può succedere questo alle volte nell'età di 12. anni, altresì di 13., 0.14.3 e più tardi ancora ; onde in detço tempo porrebbe divenire sposa.  Mes. Sarebbero però quelle di 12., 0 13.anni spose immature; e non só  quanto potessero riuscire buone mogli; poi  che  [ocr errors][ocr errors] C 4  che lasciando la conliderazione di do. versi queste scegliere uno stato nel quale conviene perseverare fino alla morreu, cd in conseguenza averebbero bisogno di più maturo senno per fare detto passo: e senza riflettere a tanti disaggi, che ponno incontrare nei primi parri; doinando, come si sapranno bene regolare col marito, e nell'educare i figliuoli?  Med. Hò considerato anch'io queste difficoltà; mà dall'altro canto è da riAettersi ancora, che prendendoli così giovanette ; si possono ind rizare, come li vuole ; ed abbiano l'esempio nelle piante, le quali allorche sono tenere , con facilità grande le poisiamo piegare a nostro compiacimento ; mà non già questo accade allorche sono indurate Virgilio parlando di domar la gioventù, dice, che nell'età più tenera con più facilità succeda.  viamque infifte domandi, Dum faciles animi juvenum, dum mo  bilis ætas. Mec. Io mi maraviglio, che. voi co  [ocr errors] me  [ocr errors] meMedico non vi opponiate 'a maritag: gi di età si tenera, potendo meglio di chi non è vecfato in medicina conoscere il danno, che possa apportare alle cenere giovani similc mutazione di stato . :  Med. Non vi maravigliare di questo, perche noi circgoliamo nel modo di vivcre colle consuetudini de? paefi', insegnandoci il nostro Ippocrate, che: dandum fit aliquid regioni, & confuetudini; e non per questo , che qualche.caso liano seguito funesto, debbong esse variure, essendoche cziandio consimili cali fe, guono nelle più adulce, pericolando queste ancora ne parti.  Mec: Lasciamo le consuetudini dan parte, e dicemi di grazia, se inariterelte una vostra figliuola in età si tenera ?  Med. Ci penserei alquanto , & anderei procrastinando il trattato , fin tanto che li assodasse un poco più negli anni; c tanto maggiormente, se non fosse ben complessa ; poiche non vorrei, che nel cominciare si prestamente à far figliuo. li , quello, che dovesse andare in suo  [ocr errors] crc  [ocr errors] crescimento , G.deviasle altrove..'  Sem. Si differiranno facilmente quefti maritaggi, per non ispropriarsi della dote, e voi alori Medici, che fiete renuti alquanto interessati, forse per ciò differirete di effettuarli. -:" Med. Non fiamo però sì ftolidi, che non riflettiamo, che la dilazione non paga debito, e che questo fodisfacendosi fpedicamente ci libera da cravagli di doverlo pagare..  Sem. Qual'età voi realmente credere più propria da prendersi marito?  Med. Se la giovane goderà prospera falute , mi persuado , che intorno al vigelimo anno lia la più convenevole ; le poi foffe gracile, si potrebbe anche in. dugiare qualche anno di più, per meglio ftabilirsi; purche non paffalse il vigefimo quinto; ftantccche facendoli talri. soluzione di accasarsi, per godere prole sufficiente alla conservazione della fami. glia , ciè d'uopo di figliuolanza, che fopraviva, e ci fiano ancora de'maschi , e ciò nello spazio di 20. anni di fecons  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] dità si può commodamente ottenere.  Semi Talmente che, chi bramasse di avere più numerola figliuolanza,gli coverrebbe prendere una giovane di 15. anni?  Med. Per istabilire bene la sua casa, non fi dee solamente procurare il nuinero defigliuoli, mà ancora la robustezza, e vitalità de'medefini; e questi,co. me vuole Aristocile nel 7. della sua politica, nascendo da Padri giovanetri, sono di poco vigors, almeno i primogeniti, i quali fogliono per lo più accafarsi. Quindi è, che Tacito, ove parle de'costumi de'Germani, dice; che tras cffi le vergini fi maricavano già adulte, cche perciò passasse ne'figliuoli la ro, bustezza dei genitori.  Sem. E l'età dell'Uomo più congrua di accasarsi, quale sarà ?  Med. Quella appunto, che si contiene erà lo spazio di 25., 30.anni;quando ciò da altro impedimento non venga ri. tardato.  Mes, Lo credo anch'io, che da molte cagioni potrà essere ritardato : im. percioche, se averà egli impieghi,i quali richiedono applicazione grande, e non si troverà sufficientemente proveduto di beni di fortuna, per sostentare la famiglia ; fe non goderà salute competente; se in casa averà molte sorelle, e madre in particolare, che fosse donna risentita, in questi casi doverà indugiare a farlo, fin tanto almeno, che si troverà in istato più opportuno, non essendo convenevole porli sotto ad un giogo di questa forta con simili impedimenti svantaggiosi alla quiere conjugale.  Semi Vorrei sapere, quali danni risulterebbono,s’io tardasli a prender moglie fino alli anni 35.  Mec. Se voi tarderete tanto, temo, * che non la prenderete più, e per ducor motivi: primièramente perche trà tana to facilmente' vi potreste deyiare, cd abbattendovi in qualche donna scaltrita , saprà ben'ella distorvi da tal penfie ro con le sue arti; e guai a voi, le fi af fomigliaffe questa a quella donna impu  dica,descritta da Salomone al 7. dc' suoi Proverbj, la quale ; ornatu meretricio prçparata ad capiendas animas; e con quali artificj ! victimas pro faluse vovi, hodiè reddidi vota mea ; idcirco egreffas fum in occursum tuum, defiderans te vin dere , e reperi ; intexui funibus lectulum meum , ftravi tapetibus pietis ex Ægypto, aspersi cubile meum mirra , a aloe br. E poi trovandovi in quell'età, farà facile, che comincierete a rifertere sù l'incertezza di poter'invecchiare, e facilmente direte ; come anderebbe allora la niiafamiglia séza’l mio stradaméto;qual pensiero , se non vi distogliesse affitto, vi renderebbe almeno irrisoluto nell'effettuarlo; onde farc à mio modo, risolvetevi, e non procrastinate di vantaggio: perche altrimenti vi seguirà cioco ch'è accaduto à me medeliino, che mi fono invecchiato senza successione. E sapere , che diranno di voi le donne, elsendovi avanzato negli anni? Questi è vecchio, che ne vagliamo fare? E perciò converrà allora, volendola prendere,  ассо  accommodarvi a chi troverete , con le condizioni che da ella vi saranno date; dove che adesso farà a vostro modo quella , che vorrete prendere.  Sem. Questo certamente sarebbe svantaggio grande per me; laonde non bisognerà perderci teinpo.  Pub. E tanto più sollecitamente vi risolverete,sentendo li pregiudizj grandi , ricevuti da cui tarda moltó a pren. dere moglie,i quali sono anche maggioridi quelli, che possono accadere à chi lo fà prima del tempo.  Sem. Quali sono, Dottore, questi Matrimonj fatti prima, ò più tardi del dovuto tempo?  Med. Li preventivi sono; se un giovanetto fi accasaffe in età di 15.9 16. anni; e li tardivison quelli, che si fanno, allorche tal’uno è divenuto già veça chio,  Sem. Quali danni apporterebbe ad un giovane lo accafarli di 15. anni?  Med. Questi accompagnandosi con, una giovanetta coetanea , non saprebbe  [ocr errors] regolare le sue operazioni; c s'egli in quello primo fervore fregolato pregiudicaffe allo proprio individuo, quanti svansaggi ne riporterebbe? E qual'indi. rizzi sarebbe capace di dare a suoi figliuoli, avendo egli bisogno di chi lo dirigeffe? E stando tuttavia in crescimeto, defraudandofi questo per il diyiamento della miglior parte del suo sanguc iinpiegata nella troppo sollecitas generazione, come potrebbe convertirli in suo beneficio ? Oltre di che noll possono fperarsi frutti perferti da simili piante, le quali non sono arrivate an. cora alla loro perfezione,  Pub. Aristotile nel 7. della sua Politica fà sopra di questo un'ottima riflerfione ; cioè, che fimili figliuoli, che pajono quasi coetanei a Padri, poco rispetto portano loro, querclandofi sovente sopra il governo della casa contro di efli.  Med. Ci sono però alcuni cafi, che debbonsi eccettuare dall'accénata regola , e tra questi sono quelli unichi ,  cd  [ocr errors] ed antichi rampolli di qualche illustre, e ricca famiglia, che per non vederlas estinta , fi procura in età tenera di accafarli. Siccome ancora, se si vedesse un giovanetto ben complesso, che comincialle a deviarhi, non avendo chi lo tenesse a freno;onde per non vederlo precipitare , converrebbe accasarlo , senza indugiare di vantaggio ; ed in questi casi li doverà prendere un'altra inisura , competendo loro piu tosto una saggias giovane, che avesse qualche anno di più di loro, affinch'essa regolaffe alcune operazioni concernenti alla salute , potendo la moglie saggia molto adoperarfi in fimili affari.  Sem. I poveri vecchi allorche foffero robufti, perche non potrebbero divenire fposi anch'elli?  Med. Perche, conforme dice Euripide.  Sed, aut feneétus Veneri valere jubet;  Aut Venus senibus molefta eft . Onde per tal cagione si accelerarebbero la inorte, çssendo anche potenti, e ritrovandosi inabili a questo , si contri-   sterebbero per molte cagioni:primiera-  mente per essersi accinti ad un'impresa,  nella quale non riescono abili perlochę  verrebbero anche derisi,e beffeggiati da  giovani, e per non vedersi corrisposti  dalle loro conforti con quelle maniere  cortofi, ch'elli vorrebbero, e final  mente per essere privi della bramatas.  prole, come descrisse Virgilio ;:     Nec dulces natos , Veneris nec prçmian         noris.  E vi parc,che questi poffano vivere con-  tenti? Con ragione dunque Blepirone  appresso Aristota ne diceva:   -Heu, mihi infeliciis qui senex. cxiftens       duxi uxorem.  E Menandro esprimendo le fvcnturc de?.  vecchi amanti, così fayella:    Nurde miferius poteft daramante   Seine, Hifi alius fenex amans;  Nam , qui frui cupis rebus , à quibus   Propten tempus, quomedò ille non mi     Jerefte), 06.01.10   D  Mere  [ocr errors][ocr errors] arasiit  Mec. Ia questo li credo infelici anch? io, leggendo in Catullo :  Er fenis amplexus culta puella fugit. Ed in Arenco ciocche disse Teognide, ch'è appunto.  Sero Viro juvenis uxor magna calamiras. Cymba fine anchora , effractisq; Tudensibus.  Pub. Udite ciocche dice Plauto di questi: Tum capire cano amas fenex nequif  fime? Si unquàm vidiftis pictum amantem,  bem illic eft. Ed Ovidio, ch'era informatiffimo de' genj delle donne di quei tempi, così ebbe a dire : Que bello eft habilis , Veneri quoque  convenir , stas ; Turpe fenex miles', turpe fenilis amor.  Quos petiere Duces annos in milise aforit  Hos petir in focio bella puella viro. Laonde, qnando a vecchi venitfe in fantasia di preader moglie, a configlino  con  2 con Orazio , il qualc dice :  Intermiff - Venus diu Rursùs bella moves:parce precor precor, : Non fum qualis eram.  Sem. Riceveranno questi certamente, prendendo moglie , svantaggi affaimag. giori di quelli, che incontrano i giovanerti?  Med. Senza fallo; posciacche questi, crescendo loro con gli anni il senno, u la robustezza, vanno incontro al tempo  migliore ; dove quelli sempre più u precipitano nel più miserabile : or re  dere voi, Sempronio , che danni apporta il diffrire tanto lo accasamento  Mec. Ho conosciuto però un vecchio, il qual, essendo caduto nelle reti di Venere, piangeva dirottamente la sua sventura; e volendolo io confolare, persuadendomi, che li lagnasse dell'errore commesso; cgli mi rispose : oh che fallo hò commiffo io a non prendere moglic,  quando era giovane! poiche fe valoroü so mi son portato nell'età inaridica della un vecchiezza , quanto più farei stato nel ,  [ocr errors] 2  la verde giovenile? Gli replicai però: guai à voi, se in quel tempo foste stato così dedico à fimilc piacere; posciacche vi averebbe farro inyecchiare prima del ecinpo; dicendoli dell’ainor lafcivo.  Ef juvenis juvenes, qui facit ille fenes. E per meglio illuminarlo gli apportai l'iscrizione sepolcrale di Menelao, ch'è questas Inter opus medium lafcivå mørte for  lutus; Hic fitus eft , dom init jam Menelaus  bumum ; Qui blande. Veneri visa facraverat Haud aliter vitam ponere juffus eraf.  Sem. Or ditemi : questa uguaglianza come dec essere nelle altre cose?  Pub. L'esamineremo in appresso.  [ocr errors] [ocr errors][merged small] CONFERENZA III. :2  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Dove si mostra,in che cose sia esenziale       l'uguaglianza nei Matrimonj;   quali svantaggi nascano   dalledisuguaglianze             in queste.  Sempronio ; Publio , Mecenate's   Medico.  M  [ocr errors] Sem.  I persuado, Publio, che non essendo seguite trà voi, clas voftra conforte, al. tercazioni,e discors  die, averece goduta la sorte di una perfectisfima uguaglianza in tutte le cose.  Pub. In tutte è impossibile poterlos ottenere ; bafta solamente , che difuguaglianza non sia nelle più esenziali, nelle quali certamente fui fortunato,ef. fendo di verificato in me il Proverbio diSalomone: Qui inuenit mulierem bonam, invenis bonum : du auriet jucunditatem à Domino  Sem. E queste quali sono?  Pub. La prima è il genio buono uniforme in ambidue: e questo non potrete credere, quanto mai trà noi foffe reciproco ; poicche, quanto io volea,senza repugnanza alcuna cra grato anche ad effa ; ed in quello poteva immaginarini, che fosse stato di sua sodisfazione, ci concorreva anche la mia, à segno, che delle nostre volontà, sen'era formata una sola ; onde di noi con ragione si poteva dire, ciò ch'è registrato nell'Ecclesiastico al 25.,ch'è grato à Dio, ed à gli uomini :  Vir, & mulier benè fibi confentientes .  Sem. Sicche dunque se vi potevate immaginare, che avesse deliderato un, bell'abito, ò una nobile Stufiglia allas inoda,voi l'avereste compiaciuta prontamente  Pub. Non desideravano le mogli queAte cose in quei tempi, ne'quali non  costu.  [ocr errors] costumavano ; bramavano bensì di avej re provisioni abbondanti di lini, cana  pc, e cottoni per farne lavorare copio  se biancherie ; di vedere fatte le provi. i sioni à tempo debito , di quanto biso  gnava per servizio di casa cutto l'anno ; di avere otrimi maestri per istruire bene i figliuoli; e servitù fedele, e benc accoltumata.  Sem. O tempi felici: non poteva io essere nato allora !  Pub. Ed io vorrei trovarmi giovane in questi coll'uso di ragionc, cd esperienza , che godo :  Sem. E la seconda quale sarà ?  Pub. Che questo genio uniforme fi ftabilisca sopra le virtù cristiane, e morali in primo luogo; c di poi in tutto le altre cose utili per lo stabilimento della casa,cd in queste è stata veramente seinpre singolare; imperciocche vedendo, che bramavo di sodisfare all'. obbligo, che corre ad ogni benestante, di sovvenire i poveri, essa ancora facea le sue parti con mia somma consolazio  D4  ne ;  ne; e nel rimanente vedendomi artento agli affari domestici, s'ingegnava per quanto poteva, di sollevarmi in molte cose ; talmentecche hò sperimentato in me ciò, che diffe. Appollonide :  Certè inter homines Non aurum , non regnum , non divitia. .. rum luxus Voluptates tam eximias prebent , Quam buni marici , & uxoris pia Volunt as jufta , & legitimè affecta.  Sem. Lo credo anch'io[facendo voi cosi]che potevare godere una perpetua felicità.  Pub. E voi ancora la potrete godere, se farete il medesimo.  Sem. I tempi calamitofi , ne'quali siamo , non lo  permettono. Pub. Se dipenderà da tempi, converrà avere pazienza ; perche farà irremcdiabile; mà se dipédeffe poi da voi,senza fallo potrete porvi rimedio: or'vediamo,da chi dipenda. I tépi calamitofi dāneggiano co carestie, pestilézcguerre, terremuoti,c tempeste ; c queste non  effens  20  [ocr errors] effendoci ora crà noi,come possono corbare il regolamento della propria casa? Onde vedere, che dipende da noi', non da tempi ; dunque à torto vi lagnate de'tempi ; essendo voi , non cfli l'origine della vostra infelicità; e se poressero questi parlare , direbbero in loro dif colpa: voi ci calunniare à torto, per ricoprire i vostri mancamenti; perche vi piace tale modo di vivere, e vi dilet.  ta, quanrunque ne moftriate un'appa. rente rammarico.  Sem. Si pratica oggidi fare diversa. mcate d' allora i conviene accomodarli ai più : bisogna averci pazienza .  Puh. Questo è un pretesto peggiore i dell'antecedente; perche voi conoscere,  che fate male; ed avere la cognizione, che non facendolo fareste felice ; porche dunquc lo fate , dipendendo da voi il farlo, ò non farlo? Ohcecità ! volere piuttosto effere imitatore di chi voi conofcete; che faccia male, che di quellig che operano bene; e poi, se voi dite che ci vuole pazićza,perche vi lagnate?  Som.  [ocr errors][ocr errors] Sem. Operavano allora cutti in questa forma?  Pub. Io non andava cercando, se vi era caluno , il quale diversamçare operaffe ; perche volendo prendere l'esempio da chi lo faceva ; questi solamente rimiravo, per imitarlo.  Mec. Sempronio mio, non vi avanzate più oltre in questo, perche Publio. vi convincerà di vantaggio ; e vi farà anche conoscere, che i vecchi non sono storditi, conforme alcuni credono; efsendo che al parere di Plutarco;la mente in vecchiaja ringiovenisce.  Sem. Vi è altro trà le cose neceffarie. da fervarli uguaglianza ?  Pub. Nella ftatura ancora ci vuoly, se non totale uguaglianza, almeno proporzione ; posciacche, se sarà la spora pigmea, ed il marito gigante , se ne avyodrà ella ne'parti, ed in alere segrete occasioni ancora ; laonde à questo proposito parlò Ovidio : Quàm malè inæquales veniunt ad aran tra juvenci,Tam premitur magno conjuge nuptas  minor. : Sem. Sarebbe dunque bene prendernc prima le misure di ambidue per formarne una giusta pariglia.  Pub. Non è ciò necessario, nè conve. niente ; perche coll'occhio ancora fi può discernere la notabile disuguaglia, za. Debbo ancora avertirvi , che li rim  cerca la proporzione de'beni di fortuna; ? perche se vi apparentaste con gence mi  lerabile, alla vostra casa coccherebbe il mantenerla: altrimenti non vi sarà pace con vostra moglic; perche la vora rà soccorrere di nalcolto, sc non potrà farlo palesemente.  Sem. E la Nobiltà dee entrare ancora essa trà le cose necessarie da ugu2 gliarli ?  Pub. Questa uguaglianza non è ftia mata essenziale , secondo il sentimcnto i di Platone, registrato nel tive del suo  Regno; ovcper teffere la tela della buo. na discendenza , cgli procura di moa strare, non ricercarli cosa più effenzia,  le  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] ke ne'maritaggi, che d’innestare le virtù  ; per esempio, al temperamento forte unire il moderato : onde potendo questa unione formarsi con inferiori di condizione ancora ; non si ricercheranno nè ricchezze, nè poffanza, nè altre credute dal mondo vantaggiofe condizioni, per tesserla a suo dovere ; come appunto lo fà contesfare à Socrates ; perche egli considerava talc affare in ordine al bene univerfale , non particolare di ciascuno ; persuadendosi, che congiungendoli in tale forma , fi potesfc porre il mondo in migliore consonanza. Ed in conferma di questo, cade in acconcio la bella concione , fatta dawa Camulejo Tribuno della plebe l'anno 310. ab Urbe condita, la quale viene riferita da Livio; e dimostra questa con vive ragioni tutti quei vantaggi, che possono apportare i maritaggi scambie. voli trà nobili, c plebei alla Republica. Io però mi persuado , che più decoroso fia, secondo l'apparenza del Mondo, fceglierla non plebca.  Mec.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. Voi dice benc , Publio ; malo colla nobiltà fosse unito il mal costume scegliere te forte piuttosto una Meffalina, che una ben'educara, c prudente plebea per vostra consorte?  Pub. Questo poi nò ; perche in tale caso mi perfuado minor caccia, porerne ricevere, sposando una plebea , la quale col suo buon costume,.c fenno, in brieve tempo fi farebbe conoscere non dissomigliante à quelle nate nobili; doveche la nobile mal’educata , e viziola, degenerarebbe in plebea fenza fallo.  Mer. Vedete dunque, che la sola nobiltà non dee attendersi, mentre voi medesimo la posponere al buon coftu.  Sem. Vi sono esempj di nobili savj, che abbiano sposate giovani ignobili?  Pub, Molcillimi. Vifu Teodofio lin. peratore , il quale antepose la figliuola di un povero Filofofo à cutte le più nobili, riconoscendola meritevole di tale grandezza , per la fua buona educazioac. Ed Abramo che desiderò, volen  do  [ocr errors] 1  70  me.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] do prendere moglie? Uditelo das. Ambrogio : Difce quid in uxore queratur : "Non aurum , non argentam quafivis Abraham, non poffiones , fedt gratiam bons indolis : lib.i. de Abr. cap.9.  Sem. Nella bellezza, ò deformità fi dovrà cercare proporzione?  Pub. Qualche forta sarà bene di procurarla ; perche , fe diforme sarà il inarito , c bella la moglie, dirà ogni rivale, ammirato di questo; con Virgilio : Mopfo Nisa datur , quid non fperemus  amantes! ! Oltre di che in un continuo tormento di gelosia fi ponc, chi la prende éon fimile disuguaglianza; e tanto maggiormente , dicendo Giovenale :  Rara eft concordia forma, • Atque pudicitia. 21 che viene anche confermato dal Petrarca in tal guifa :  Due gran nemiche erano insieme ago gionte:  Bellezza, ed'oneftade Oltre di che poi  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Fastus ineft pulcbris, fequitur superbiaus  formam .  Sem. Nelle ricchezze fi dee cercare od uguaglianza?  Pub: Quella appunto , che fu detta i dell'ecà , cioè, che sem pre fiano ad una  certa proporzione inferiori quelle della cala, con cui volete apparentarvi,perche, come disse ben Marziale :  Inferior Matrona fuo fit, Prifce marito, 4  Non aliter fiunt femina,virque pares..  Sem. Sc uno volcffe prendere moglic in lontani paesi, e di diversi linguaggi, indurrebbe questo disuguaglianza alcuna ?  Pub. Forse che si, quando non s'incontrasse donna di gran fenno ; perche il costume , e modo di vivere differenti, prima, che si accomodino a quelli, che troveranno , possono fare nafcere molti diffapori ; se pure potranno mai uniformarli; come ne dubitano Emilio Probo : Non cadem omnibus funt honefta atque turpia , fed omnia majorum inftitusis, judicant ; nemaque nibil rectum puosat, nifi quod patriæ moribus convenit. Ed Ovidio così canto: Nefcio que nasale folum dulcedine cun  stos Ducit , immemores non finit effe fui. Beo'è vero però, che in quei luoghi, fe Veducazione delle giovani fosse mi  gliore di quella del vostro paese, forse che potrebbe questa accrescere vantaggio a voi.  Sem. Se il marito farà dotto, indur. rà disuguagliáza l'effere la moglie ignorante  Pub. Anzi più tolo disuguaglianzas apporterebbc , fe fosse dotta, ed erudi-$perche come vuole Giovenale ; Non habeat matrona , tibi qua junctae  recumbit Dicendi genus , aut curtum fermones  rotatum. Torqueat enthimema, nec biftorias soins ? omnes, Sed quædam ex libris, non intelli.  Ed udite, come dice l'Ecclesiastico di  ques  [merged small][ocr errors] queste al 28. Lingua tertia mulieres vin ratas ejecit, o privavit illas laboribus fuis ; Qui respicit illam non babebis rea quiem , nec habebit amicum in quo requieJoar.  Mec: Posso a questo proposito riferire ciò, che è accaduto a tempi noftri. Vi tù un dotto Jurisconsulto, che aveva una sua figliuola, e volle addottrinarla nelle materie legali,cd avendo acquistato detta giovane molta perizia in esso le convennc,morto il padre, prédere,inarito, e si trovò la povera giovane talniente confusa nelle faccende domestiche, che si pentiva grādemente di avere applicato allo studio, dicendo: che mi serve ora di sapere le leggi, non avendo įmparato quello, che mi conviene fapele per governare la casa?  Sem. Già fu parlato della uguaglian. za, o proporzione , ch'essere dee tra l'uomo , e la donna intorno all'età ; ina se portasse la necessità , che un attempato unico della sua famiglia dovesse prédere moglic, pornon lasciarla cftinguc:  E  [ocr errors] re  re, ditemi, Dottore , quale sarà l'età, se non proporzionata , almeno più fe. conda della donna, con cui dovesse con. giungersi  Med. Quella, nella quale più facilmente li concepisce, ch'è tra i venti, e li venticinque anni.  Sem. Orsù Mecenate risolviamoci ambidue a prendere moglie, potendo ogn' uno di noi provedersela della medesima ctà, e non permettere , che la vostra famiglia si illustre fi cftingua in voi.  Mec. Credeva essermi già bastantemente spiegato nella prima conferenza, ma voi non avete capito le mic raggioni, tornando la seconda volta a configliarmi 'l medesimo, con mostrare premura maggiore per la mia descendenza, che per me; onde vi torno a dire, che nella mia età non è più convencvole lo aceafarli; dicendo Euripide :  Verùm fonecta jubet valere Cypridem,  Et ipfa rursus senibus infensa est venus. Quindi è, che Sofocle interrogato allorch'era già vecchio s'egli esercitava  [ocr errors] a più gli atti venerei : Iddio me ne guardi  diffe, che io mi sono guardato un pezzo fa da coresti, come da una impetuofa, e violenta tirannide, Valerio Mallimo lo riferisce.  Sem. Io ne domando scusa, dichiza randomi non averlo detto a questo fi  ne , Delidero ora faperc i pregiudizj; EI che apportano ne' matrimonj le disus guaglianze; ed in primo luogo ; fe faranno di genio differenti tra loro.  Pub. Dice Salomone: Melius eft habitars in terra deferia , quam cum mulieu rerixoja, litigiofa; onde vi potrete i figurare di vedere la casa piena di con  fufione, ove regnano genj differenti; * pofciache ciocche vorrà il marito, ve  nendo ad essere disapprovato dalla mo  glie, onon fi effettuerà, o per la meno I in qualche parte verrà variato, e que  Ito medelimo darà occafionc à discordie perpetue tra effi , fe il marito non averà la prudenza di Giove , cui  Giunone si opponeva sempre come vuoo le Omero,Dum moliuntur,dum comitur annus est.  Sem. Ed il rimedio per questo, quaEin le farebbe?  Pub. Lo diremo a suo tempo. . Sem. Ho conosciuto marici alti due  palmi più delle mogli, e il doppio più i grossi, ne da questa disuguaglianza ho veduto seguirne inale alcuno.  Med. Ed io ; che fon più vecchio di voi, ho medicato più d'una di questo nel tempo, che stavano per partorire, ridotte a termine di morte, per non poter dare alla luce i loro figliuoli, se non dopo alcuni giorni , e coll'ajuto del  Chirurgo, e di queste, alcune sono pei rite. Succederà a quelle di avere parto  felice che nella gravidanza avendo fi avuta inappetenza grande, il feto si sarà  poco nudrito; e perciò rimanendo picciolo, questi non averà ftentato ran  to nel uscir fuori; o pure la cassa del o corpo della madre, con quanto è neces  sario, per rendere meno difficile il parto , sarà stato in queste proporzionato al bisogno. Ma preventivamente alcu  [ocr errors] ne di queste cose non costumandoli ri. conoscere tra noi , conforme appresso alcuni popoli li faceva, e perciò, per esimerki da tal pericolo, conviene riAeterle prima del maritaggio, toccan. do questo a'padri di famiglia.  sem. Sc un bel giovane prendeffe per moglie una donna deformc , che male potrebbe ciò apportare?  Pub. Niuno, quando però foffe egli fodisfatto, e la donna fosse prudente, e non l'avesse presa per cagione di grofsa dote; perche si farà quest'invaghito delle sue rare qualità, ed averà egli facilmente appreso da Salomone ne' suoi Proverbj, che: Fallax gratia , e vana eft pulcritudo : mulier timens dominum ipfa laudabitur.  Sem. E se il motivo di prenderla foffe Itata la dote  Mec. Seguendo per lo più simili deliderij in giovani , i quali penuriano di beni di fortuna, la pace tra essi dyrerebbe lintanto, che la dote foffe in picdi: mà appena consumata questa , allo.  ra  1  [ocr errors] racomincierebbero reciproche doglian. ef ze; quelle del marito sarebbero, diri.  trovarsi vicina la moglie deforme, e della donna di non vedere più la sua dote, Caduceo di pace tra di loro.  Sem. Dandosi però vincolata , ciò non potrebbe seguire .  Mec-Non si può ottenere questo in limili disuguaglianze ; perche vogliono tali sposi libero il danaro, per vincolarsi cili colla deformità della moglie, finche dura la doce.  Sem. Non so capire perche s'abbiad d'apparcntare con casc men facoliose ; perche questo apporterà. svantaggio nella dote.  Pub. Ma però quiere maggiore, ove entrerà limile sposa; perche quella giovane , la qual’esce da una casa, ove con gran laurezza viveva, difficilmente po  trà acomodarli alla vostra, ove 1101 i potrete con quel fasto trattarla ; onde  da ciò ne nasceranno amarezze continuc ; o pure (arece forzato , volendola consolare, ad impoverirvi prestamente.  E4  Sen.  of  [ocr errors] Sem. Il prendere una moglie nata in paesi lontani potrebbe forse recare gran vantaggio ; perche non avendo parenti vicini, sarebbe più ossequiosa al marito, nè lo disgusterebbe, e ciò farebbe felicità grande.  Pub. E voi credete, che 'l Padre fia sì sciocco, che non penserà ancora di raccomandarla à chi lia d'autorità , acciocchè le assista in caso di bisogno? c quando avesse cgli difetrato in questo, credere voi, che chi parte dal suo pae. sc, sia così insensata di non sapere col suo ingegno trovare chi la protegga in un suo urgente bisogno? Qual patrocinio cal volta sarà molto più autorevole; ed efficace di quello, potesse ricevere da suoi congiunti: non v'invaghite di straniere, se non in caso, che mancare sero donne del paese, ove voi dimorate.  Mec. Sono andato più volte rifectendo, che non sarebbe forse svantaggio lo sceglierla , non dico da paesi remoti, ma da città convicine, e mi ha mosso  que  in questo pensiero Giovenale, con dire  Malo Venofinam , quam te Cornelia  [ocr errors][merged small] Grascorum , fi cum magnis virtutibus be  affers Grande supercilium, & numeras in dos be  te sriumphos ; id Perche queste riescono più docili, eve  nendo in città più nobile, gradisco no ?: quanto si fa loro, più delle proprie cita tadine, e fogliono ancora eslerc meno dedite al luflo ,  Pub. Vi sono le sue difficultà in queste i .  ancora . Imperciocche Carone, con e tutto che fosse uomo sì faggio, quanti di guai ebbe con la sua moglie Acrorias I Paola, quantunquc povera, e nata in ¿ un villaggio ? fu questa superba, vio2 lenta , e debole di mente. Laonde a tal  propofito S. Girolamo lib. 1. in Joviniznum diffe; Nequis putet si pauperem dy  xerit fatis fe concordie providili &c. E bij maggiormēte ora che il lusso ha polto il  piede da per tutto; ne crediare che vorranno vestirc con minore pompa delle  E 2  Fu    [ocr errors] Junonem autem non adeo accuso, neque  irafcor, Semper enim mihi consueta eft impedire  quidquid intelligo, Sem. Ma quale rimedio ci sarebbe in questo caso per fuggire le discordie?  Pub. Conoscendo' voi il costume di vostra moglie, che sia di contradirvi, come espresse Terenzio,  Novi ingenium mulierum  Nolunt ubi velis, ubi nolis   Cupiunt ultro. In questo caso ordinate tutto l'opposto di ciò, che bramare, per esser ubbidi  to.  : Sem. E se avesse poco fervore nellas pictà, e trascurassc alquanto gli affari domestici, scorgendo quancunque suo marito attcntiffimo a tutto?  Pub. Sarebbe segno, che avesse altre cole, credute da essa di premuras maggiore di queste , che le andasse. ro per la mente; perche non si trascurano affari si rilevanti, se non da quel. le, di cui disse Terenzio ;ciccadine, se non s'incontrerà in savie, c prudenti.  Sem. Mi piacerebbe di avere una moglie, la quale mi sollevasse con qualche storietta ; perche dunque il fatirico dice: Nec historias feiat omnes?  Pub. Perche, con sapere le donne molte storie, essendo cosa facile il poterG abusare di qualcuna di esse, niun vantaggio vi apporterebbe ; e sappiate che ci sono libri molto lascivi, i quali non comple in conto alcuno, che da esse si leggano, confessando tal verità Ovidio medesimo quantunque fosse impudico, con dire : Eloquar invitus, teneros no tange  poetas , Summoveo dores impius ipfe meas . Callimacum fugito non eft inimicus e  mori, Er cum Callimaco tu quoque Coe noces . Carmina quis potuit tutò legifeTibulli ? Veltua, cujus Opus , Cintia fola fuit ? Quis potuit lecto durus difcedere Gallo? Er mea, nefcio quid, carmina tale fo  E  [ocr errors] [ocr errors] E poi due cose non si possono fare: die vertirsi nel leggere, e reggere la casas;  e dovendo a voi premere la secondands ( conviene ch'essa abbandoni la prima ; ¢  sappiate, che Giovenale dice a questo proposito  Quis ferat uxorem,cui conftent omania?  Mer. Plutarco però dice, che sarebbe di profitto al marito d'istruire la mo* glie nella geometria, ed in alire cores o dottrinali, ed onoratissime ; perches ď allora si spoglierebbe affatto delle leg.  gierezze, e vanirà de pensieri , e si aAterrebbe dal danzarc,  Pub. Che la moglie s'istruisca nei buoni documenti morali, e di pietà da mariti è cosa ucile, e lodevole; maw,  che s'impieghi ad apprendere la geomei tria , quando fi trovare inadre di più fi:  gliuoli, non so come le potesse riuscire  avendoli d'intorno , per lo strepito ch' delli fanno ; se poi fi allontanaffe da elli ,  ecco che l'educazione loro anderebbe a male. Sarebbe ciò solamente tollera. bile in una donna itcrile, avendo servis  tà  tù sì buona, della quale si potesse ad chiusi occhi fidare, per divertirsi con tale scienza, c passare la noja che le recherebbe il trovarsi senza figliuoli; per altro se abbiamo d'aspettare , che las geometria tolga la yanità donnesca, regnerà questo difetto per sempre nelle donne : e poi la mia moglie, che nulla sa di geometria, odia la vanità, ed i balli; dunque possono fuggire detti vizi quelle ancora, che non sono geome  tre.  Sem. Vorrei sapere distintamente, che cosa fia questo matrimonio ; perche dovendomi accasare bramo di esserne informato, per non operare alla cieca in così rilevante materia ?  Mec. L'udirete da me nella venturas conferenza.  CON  [merged small][ocr errors][ocr errors] Sopra gli antichi costumi , praticati   apprello alcuni Popoli per la gene-    razione; e se sia più vantaggioso      lo scoprire scambievolmente            i proprj corporali difetti ,           prima di sposarsi,   o l'occultarli..  Mecenate, Sempronio ; Publio  e Medico.  i Mec.  On mi ftéderò molto nel riferirvilan. tichissima libertà de? Greci, nè tampoco l'incestuoli  modi de' Persiani, praticati ne gli atti conjugali, per non contaminare le vostre orecchie; mentre i primi a guisa di bestie moltiplicavano, conoscendo i figliuoli solamen  te  te le loro madri, comme scrisse Tzetzes Iftorico  Gracorum priùs mulieres per Greciam,  Non quemadmodum nunc , conjunge-        bantur legitimis viris,  Sed inftar jumentorum mifcebantur om-        nibus volentibus ;  Erant igitur unius naturæ tunc filii ,   Sobas agnofcentes matres , non patres, Ed i secondi non avevano orrore di esse. re figliuoli, c mariti, come riferisce Catullo, Nafcatur magus ex Gelli, matrique  nefando Conjugio , con discat Persicum aruspi  cium ,  Nam Magus ex matre, donato gigne       tur oportet i  Si vera eft Perfarum impia religio.   Sem. Ma il Cielo lasciava impunici fi effecrandi delitti  Mec. Non già; perche, come si ricaya dal fudecco Tzetze furono mediante il diluvio puniti, dicendo egli in appreffo.a         Poft illud , quod in Ogygis tempore inci.         dit diluvium ,  Cecrops acceffit ad Aibenas Gracia,  Has Ashenas cū vocaffet ex Soi Ægypti,  Cum multis aliis rebus commoda vis   Gracia; Tùm lege conftituit mulieribus nuptias 5  legitimas, 1M Ex quibus filii cognoverunt duos pa  rentes. Anzi  per farvi conolcere , che la natura stessa abborrisce l'incestuosi connubj, vi posso apportare molci csempj de bruti, tra quali, non solamente il camelo lo ha in orrore, uno de' quali ammazzò il suo cuftode , che lo ingannò a coprire la madre, appena avvedutofene , coine riferiscono Aristocile , ed Eliano ; ma Plinio ancora racconta, che nellad campagna di Rieti vna cavalla avvedu  tasi di questo, immediatamente si prei cipitasse, e Varrone fcriffe, che un ca  vallo per la medesima cagione faceffe tale impeto contro il suo armétiero, che l'uccidcffe:e dell'elefante raccora il me  deliof  desimo avvenimento Nicolò Lirense.  Sem. Ma come faceano a riconoscersi i figliuoli da' Padri,avendoli cosi confufamente generaci . ; Pub. Appreffo alcuni Popoli, allorche i figliuoli aveano compito il quinto anno, quei, che più li assomigliavano a gl’incerti padri, erano tenuti da essi  per loro figliuoli; come racconta Stob. Ser. 42.  Sem. Quanto è stato peggiore il mondo in quei tempi di quello fia oggidi !  Mec. Se voi sapeste il rimanente, ftu. pirere anche di vantaggio.  Sem. Eche, vi sono state altre scelleratezze ancora?  Mac. Contentatevi di non udire altro per ora ; e lasciate simili notizie , per quando farete più proveito : passiamo aderlo a' tempi incno infelici. Ristabilito, che fu il matrimonio, s'introduffe da alcuni popoli il contratto della vendita delle loro figliuole, cioè da' Greci, Traci; Aliri, Arabi, Indiani, ed al, tri, come da Tiraquello nelle sue leggi  COS  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] · conjugali si racconta, e Sofocle intro-  o duce le donne, che cosi favellano fo-     pra dició:       Ubi verò ad pubertatem hilares perve-        nimus  Pellimur foras, atque divendimur  Procul à Diis patriis, a parentibus,   Alia quidem peregrinis, alia barbaris. De' quali parlando Pomponio Mela riferisce, che: proba , formof&que in pretio erant .  Sem. In quei tempi saranno stati con: ienti i padri, nascendo loro figliuole , e non già mesti, conforme ora sono, che debbono dotarle, mercecch'essi al-,  Jora ne ricevevano utile grande; oltre I di che saranno state anche molto più cu  stodire queste mogli a caro prezzo com* prate di quello si faccia ora, ch'effe b con grosse doti comprano noi; poiche  offervo, che se un cavallo ci costa molK to, abbiamo somma premura di esso.  Mec. L'interessati padri può effere, di che lo faceffero, ma non già i buoni, che le amavano, e perciò riflettevano,  F  [ocr errors] ancora, che se non portavano dote le loro figliuole, non acquistavano, ovc foffero entrate, dominio alcuno. Ele mogli fi ftimano c rispettano ancor adeffo da giusti, e saggi mariti , per questa modelima cagione ; e poi quelle, che portano grosse doci fanno ben farli portare rispetto anche da’mariri non favj , dicendo Giovenale : Intolerabiliùs nibil eft, quam fæmina  dives. Dicendo ancora Cleobulo appreffo Stobeo: Si babebis uxorem ditiorem , aut nobiliorem, dominos habebis , non affines. In oltre si costumava da altre nazioni ancora comprarsi dalle mogli i mariti; conforme fi ricava da Virgilio; Teque fibi generū Thethis emas omnibus  undis. E Boetio, nel lib.z. de Commenti alla topica di Cicerone, così parla.  Tribus modis uxor habebatur,usu,farre, & coemptione ; fed confarreatio folis Ponsificibas conveniebat; quæ autem in mamum per coemprionem conveperat , hæc  [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] mater familias vocabatur &c.;  Sem. Si è costumato in alcun tempo, che non fa corsa tra contracnci dote ale cuna ne’inaricaggi?  Mec. Nelle leggi di Solone, Licur. go, e di Platone fu stabilito questo ; ben è vero però, che la sperienza has fatto conoscere, che fuccedevano più di rado i matrimonj , per non effervi il suo fuflidio dotale ; essendocche  pochi vi erano', che volessero soccomettersi al grave pero di essi, senza il follievo della dote; onde vedendoli dan ciò risultare notabile danno alla Republica , la prudenza Romana ftabilì con leggi le doti,da consegnarsi alle figliuole , per sostentare non solamente li peli del matrimonio, ma per allettare maggiormente ancora, mediante effe, gl uomini a prender moglie, come disse il Satirico, Veniunt à dote sagitsa .  Pub. Erano certamente troppo pregiudiziali fimili leggi, dalle quali lcfcludevano le dori; c perciò Aristotilo discordò dall'opinione del suo Macftro Platonc provando ne' suoi Problemi , che fia cosa obbrobriosa prendere moglie indotata ; e che sia anche gran pazzia di colui , che lo facefle , dovendo egli riflettere al peso, che se gli accresce: onde sopra di ciò interrogato Anafsandro, cgli 'rispose ; che sarebbe divenuto servo certamente colui il quale bisognoso prendeva moglie indotata; perche in vece di se solo, dovea alimentare più persone. Quindi è, che con somma prudenza fu risoluto nel Concilio Arelatcose; che non si dovesse fare matrimonio alcuno senza dotc , como riferisce il Fontanella.  Sem. E' stato costumato da nazione alcuna il prendere più d'una moglie nel medesimo tempo  ? Mec. Anzi tuttavia dagl'infedeli fi pratica ; ben è vero però, che tra eli le mogli sono trattate , come schiave , tenendosi racchiuse , e guai a voi, Sempronio, se vi fosse permesso più di unas moglie , allora vedreste in che travagli maggiori vi porrebbero le donne , che  go  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] godono la libertà, ond'è stato fantisfimo il provedimento , che unica fia la conforte.  Sem. E da chi ebbe origine, questo matrimonio in fimile forma?  Pub. Dal grande Iddio ; posciacche, crcato Adamo, formò Eva, e glicla died'egli medesimo per conforte; onde ad iinitazione di questo gran matrimonio dce ogni fedele contentarsi di una's fola compagna, e di rispettarla ancora, conforme fece il primo marito, il quza le allorche la ricevette per sua sposas, così disse : Hoc nunc os ex ossibus meis, caro de carne mea , hæc vocabitur virago, quoniam de viro fumpta eft : quamobrem relinquer homo patrem fuum, a matrem,  adbarebit uxori suæ, derunt duo in carne una; e da ciò comprendere, quale ftima li debba fare della propria moglie.  Sem. Ma tornando alle doti, queste da principio in che quantità furono ftabilire ? Mer, Non fu allora ciò determinaco,  ben  [merged small][merged small][ocr errors] F 3  ben è vero però, che in appresso, essendo divenute ecceffive, furono stabilite in una certa quantità, secondo le condizioni delle persone ;. e particolarmçate nei domini, ben regolati.  Sem. E questo viene offervato?  Mec. Qualche volta, ma non sempre; fentendosi assegnate a caluni in fommas più considerabile degl'altri,quantunque fiano della medesima condizione  Pub. Mi piacerebbe lo stabilimento fiffo , secondo lo fato delle persone, ma da che proviene questa inosservanza?  Mec. Dal lusso accresciuto, il quale effendosi anch'esso posto tra le spese necessarie per il sostentamento matrimoniale, viene anche considerato per tale da chi dee accasarsi ; e perciò dice, tanta dote io voglio , per pocer fare quello, che si costuma dagl'altri.  Pub. Qnando io preli moglie, e per qualche cempo in appreffo , & contentava ogn’uno di ricevere competente dore; perche questo lusso di oggidi non non vi era.  More  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. A tempo ancora, che vivevas Gnco Scipione, le doti parimente erano molto proporzionate al vivere di allora , ascendendo la più pingue, quale ebbe Magulia, che fu chiamata las dotata, a cinquecento mila affi, come riferisce Valerio Maffimo.  Sem. Non erano dunque si tenui les doti ascendendo a tanta somma.  Mec. Avvertite Sempronio, che gli affi non erano già scudi; ma solamente ogo’uno di essi arrivava appena al valore di quattro de' noftri quattrini di rame; onde turci icinquecento mila afli formavano la somma di circa quattro milas fcudi de' noftri; e poi le più frequenti erano di dieci mila asli, come ebbe Tacia figliuola di Cesone , il quale non era ignobile, e cal somma appena ascendeva a scudi ottanta,  Sem. Ma da che proveniva, che corressero doti si tenui in quei tempi ?  Mec. Non da altro, che dal non efservi lusso, Sem. Ma perche non si pone dal Prin  cipe  [ocr errors][merged small] F4  cipe sopra di ciò la prammatica ?  Pub. Perche aon ci è bisogno in queIto della sua autorità.  Sem. Come non ci è bisogno?  Pub. Ditemi, Sempronio, se voi poteste senza l'autorica del Principe far cosa, che fosse anche di sua fodisfazione, vi sarebbe bisogno della sua autorità per farla?  Sem. Non ci sarebbe certamente di uopo di essa.  Pub. Or ditemi, s'è in voftra libertà, nel farvi un'abito , spenderci 50. ò pur 100. scudi , ed in una carrozzas 500.Ò 1000. in questo vi astringerà forfc il Principe alla spesa maggiore?  Sem. Certamente, che no;  Pub. Perche dunque non lo fate confiftendo in qưesto la prammatica ?  Sem. Perche gl'altri non costumano di farlo.  Pub. Or dunque domandate a questi, che pongano efl'la prammatica, non al Principe, il quale non comanda, che fi ecceda gel lufto,Mec. A questo proposito essendo ftato supplicato Tiberio , a porre moderazione all'eccellivo lusso, che correvad in quel tempo, egli negò apertamente di farlo, dicendo come riferisce Tacito: Pauperes neceffitas, divites fatietas, Nos pudor in melius muter; onde da ciò comprendete , che noi siamo i padroni di prendere quelle misure, che più ci aggradano nei nostri trattamenti ; & udite da Tacito medesimo, come mai lo espresse al vivo nel secondo de' suoi Annali: Cur ergò olim parfimonia pollebat? Quia sibi quisque moderabatur : non ritrovandoli Gneo Fabrizio, e Quinto Emilio, che un tondino, ed una saliera di argento, per servirsene nei sagriticj; per altro tenevano da se lontano ogni luflo , conforme fecero ancora i Publicoli, i Curj, i Scauri, & altri valoroG uomini, i di cui pensieri non si aggi. rayano già intorno alle ricchezze, ma bensi agli onorevoli Consolati alle me. ravigliose Dittature, ed ai Trionfi , per çimagcre immortali nella pofterità: cos  me  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] me riferisce Valerio Malimo :  Sem. Hò capito a bastanza, e conofco, che il mancamento viene da noi. Notificatemi ora, Dottore , quali sono questi difetti corporali delle donne, i quali voi meglio degli altri conoscerere:  Med. Non posso servirvi in ciò, ele sendo che quanto sò di occulco, non, debbo palesarlo.  Mec. Il Dottore è compatibile in questo, perche s'entrasse egli in disgrazia delle donne, potrebbe dire di aver finito di fare il Medico; imperciocche, comincierebbero queste a dire, che tutti di suoi infermi muojono, e perciò sias sfortunatissimo nel medicare, e di vantaggio sia un vecchio stordito, che non sappia ove si abbia la testa; e sapere purc, che queste muovono gl'animi colla loro eloquenza più di Demostene; onde lo porrebbero in una totale defiftimazione, non facendoli scrupulo alcuno di far ciò quanrunque fosse di pregiudizin grande a professori, il dicui merito effe non sanno conoscere, per vedersi  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] da effe anteporfi gl'adulatori a questi.  Med. Non è questo il motivo, che mi ritarda il palesarli, ma bensì, l'avere io qualche segreto di cal’una, che si trova con qualche imperfezione, onde non vorrei , che mi credesse manca. core di fede , figurandofi, parlaffi di lei: per altro, non mi ritarderebbe già di farlo quello, che voi avete accennato; perche, se dicessero mal di me, diverrei Medico fortunato, essendo che non me . dicando , non mi potrebbe morire alcuno, e per questo riposo ancora goderebbe la mia mente tranquillità maggio  [ocr errors][ocr errors] re.  Mec. Queste sono belle rifleffioni, ma - però ad ogn'uno piace l'effere adopera  to, e questo senza protezione difficile mente si conseguisce.  Med. Piacerebbe a me ancora quan. do ciò non distruggeffe il mio indivi.  duo ; e cercherei ancor io queste pro- tezioni, quando accrescessero dotčrina ;  ma non potendo le stelle cramandare i quci benigai inguda, ch'effe non hanno  onde  onde per tal cagione mi persuado, che queste ancora non potranno addottrinare. Voi conoscere il mio naturale ; di grazia non diciamo altro.  Sem. Se non diremo altro, non termineremo la nostra conferenza, ed io rimarrò senza essere istruito.  Mer. Vi consolerò io , ch'essendo già vecchio, niū fastidio mi prédo delle doglianze feminili, non curandofi esse più trattare meco. Vi persuaderete forse, Sepronio, che tali difetti personali occulti sieno cose grandi , essendo, che il Dottore ricusò palesarveli? questi non sono altro, per quanto mi vado immaginando, che un poco digobba, la quale viene ben uguagliata da buftini ripieni nella parte mancante . Sono qualche palmo di giunta ne'calcagni, per potere coparire al par delle altre ; qualche piaghetta,ò fistola occulta,o ferore di naso, ò di bocca ; ò pure altro impedimento, mediante il quale si rendono infeconde: Ma non crediate già, che tutte le donge abbiano fimili imperfezioni , effen,  do  [ocr errors] do solamente alcune poche queste così  imperfette.     Pub. E' certamente curioso quel caso  riferito a tal proposito da San Vincenzo  Ferrerio nei suoi fermoni. Aveva un  giovane sposato una donna , la quale  gli parea di giusta ftatura , rimase poi  cgli quando la vide porsi a letto manca-  ta in un momento per metà. Dubito da  principio, che gli fosse stata cambiata,  mà miratala bene in viso, si avvide effe.  re la medesima , onde stimò bene dirle,  cosa avesse fatto dell'altra metà della  sua persona ; l'accorta non fece altro ,  che mostrargli le sue pianelle, ò tram-  pani per la loro grandezza, che appun-  to allora si era cavati, i quali non erano  inferiori all'altezza della base di una co-  longa.   Sem. Fra tutte l'accennate imperfec zioni, niuna mi darebbe maggior faItidio del fecore del nalo, ò della bocca ; perche io, che sono dilicato, non potrete credere , che avversione ciò mi recherebbe; onde di questo , prima difpofarla, voglio ben'accertarmi in vicinanza tale, che possa scoprirlo io medefimo.  Pub. E che ? forse temete, udendolo per relazione altrui, d'incontrare las bontà di quelle donne, che redarguite, perche non avessero palesato il fetore della bocca de loro mariti, effe rispofero ; che credevano , che tutti gl'uomini odorassero in quella forma? D.Hier. in Jovin. Sem. Come si potrebbe fare per  isco. prire quefti difetti corporali occulti?  Mec. Doverebbero palesarsi reciprocamente alla prima, altrimenti, essen. do il matrimonio un contratto, vi farebbe inganno, ciò non facendosi : E fe nei contratti delle compre de' schiavi, ò cavalli, quando la frode fi scuopre, esli si possono riscindere, così mi persuado, che sia in questo, cadendo-yil'inganno in cose essenziali alla fecon- N dità; oltre poi, quando non si poteffc riscindere , quante occasioni daranno di perpetui disturbi tra di effi fimili diferti.  Sem,  [ocr errors][ocr errors] 3  Sem. Şi è dato mai il caso, che siang palesati questi prima delle nozze?  Mec. Molti esempj ci sono, e tra gli alori, quello di Crate Filosofo Teba. no, cui portando grand'amore Hipparchia, la quale aveva non inferior genio col Filosofo , che colla sua doctrina , onde richiedendolo per marito, che, fece egli ? si scoprì il dorso, cmostrolle la sua gibbosità; e di poi posto in terra il maorello, bastone, e tasca , che 2veva, le disse: Signora, queste sono tutte le mie supellectili, la mia defor mirà già l'avete veduta, onde considerate seriamente ciò, che fare per non.  avervene a pentire . La saggia donnarei plicogli, che aveva già sufficientemen  te proveduto ogni bisognevole, e confiderata ogn'altra cosa, e perciò credeva, che più bello di lui, e più ricco non fosse nato al mondo; onde che l'avesse pure condotta dove voleva , come sua moglie . Ed il simile fece ancora nel discoprire la sua gibbofità il Padre di Sergio Galba a Livia Occellina Daman  mol  per mo  molto ricca, è bella, per non ingannarla.  Sem. Bisogna, che queste non credersero deformità svantaggiosa la gobbas de’loro mariti , perche hò osservato i figliuoli di cocefti molto diritti , e belli; mà vorrei sentir riferire qualche caso di donna, che avesse scoperto all'uomo i suoi difetti.  Pub. Vi fu una giovane bellissima amata teneramente da un Gentiluomo, il quale avédola farta chiedere glie , fi scusò ella di non poterlo compiacere, onde da simile ripulsa s'accese di desiderio maggiore , per averlas; mà che fece la savia giovane, vedendo , ch'egli non defifteva ? gli fe intendere, che lei medesima gli averebbe palefata la cagione, per la quale ritardava di condescendere alle sue brame, e c011"certato il luogo , ed abboccatisi insienie gli scoprì il suo petto , e felli vedere un canchero , ch'aveva in una zinna, dicendogli,Signore, questa carne, ch'è incominciata ad incadavcrirli voi amato  [ocr errors][ocr errors] ta  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] canto! Rinase egli confuso nel rimira, re tale spettacolo, il quale frenò in gran parte quell'ardente amore, che le portava's desistendo in avvenire di farla più importunare.  Sem. lo credea , che le donne non fossero facili a scoprire i loro difetti, sarauno però rari questi esempi :  Mec. Il simile credo anch'io, e da ciò facilmente oasceranno molte contese cra mariti, e mogli , d'onde provengono i divorzj, e fe li palesaffero alla prima scambievolmente i loro difetti, forfe che non seguirebbero; posciache essendune ainbidue consapevoli, non li pom trebbero allora dolere, se non di loro medefimi.  Sem. Perche non si potrebbero fare ri. conoscere ambidue prima del matrimos nio per meglio accertarsene?  M26. Questo ripiego fu disapprovato, quantunque lo aveffe proposto Platone; onde che fi dirà apportandolo you?' Evi pare, che l'oneltà lo debba permettere? Appena le leggi Romane antiche tolle.  G  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] 98 Conf. 4. Dec. prima il rarono una tale ricognizione nell'uomo, proibendola efprenainente nelle donne: e re Platone aveffe osservato cioccheri feriscono Plinio, e Solino, che i cadaveri delle donne galleggiano sù l'ondes con il ventre all'ingiù, e degli uomini all'opposto, cercamente, che averebbe appreso dalla natura il documento di doverte, trattare con maggior onestà, vedendoli naduralmente risplendere un non fo che di modestia in eile, anche dopo morte. 1. Pub. A questo propofito lessi in Plufarco, con mią grande ammirazione, ciocch'egli racconta di quelle Vergini Milelie, le quali , divenute pazze a cagione d'influenza peftifera,che ivi vagava, erano forzate dal loro delirio a morire appiccare, e questi spectacoli giornalmente fi trimiravano nella Città di Mileto ; fenza che le preghiere, e le dagrimé de' genitori potessero impedirli; solamente il contiglio di un Savio porè rimuoverlig. e fu di procurare con decreto del Senato, che tutte quelle,che si sospendessero in avvenire , forfero esposte nude in nezo alla piazza a vita di ogniiuno:Indusfe nella fancatia di cucina te le giovani tale spavento, ufc4to sopra di ciò l'editto, che manco affatto Porrido fpettacoto, aftenendoli age'unas in avvenire di farlo ; perche concerioz per cola assai peggiore perfere veduta ignuda , benche morta, che vestica ap. piccata .  Med. Due altri fatti poffo riferire anch'io di donne savie : Polisena fu unas di queste, di cui così ne parla Euripi  de,  At illa jam moriens tamen  Multum providit , ut honeftè caderet .  Celaretque', que celare oculos virorum   oportet i Ed Ovidio ancora, nelle sue Metamor, foli, così dice della medesima , Tunc quoque cura fuis partes velare,  pudendas Cum caderet , castique decus fervare;  pudoris ; E l'altra fu Olimpia madre di Alessan  dro il Grande , che trovandoli proffiina alla morte, con i propri capelli, e vefti ricopriva ciocche l'onestà non permetteva - Acimirasle scoperto .  Sem. E chc G farà delle belle, delle ricche, e delle brutte, e povere ancora , come troveranno queste marito?  Mes, L'udirete in appreso.  [ocr errors][ocr errors][merged small] [ocr errors][merged small] [ocr errors] Nella quale si mostra, in che modo        si maritino le belle, le ricche,         e le deformi quantunque   povere.  Mecenast , Sempronio , Publio ,  & Medico.  Mec.  A lunga sperienzando  che hò del mondo, grá cose mi ha fatto conoscere intorno a_matrimonjoli qua,  li per essere contracti, come fu detto, hò scoperto in effi ancora i suoi scnsali , conforme fono negli alori trafichi. In quei fatti a doves re de quali già parlammo hò offervato sempre mezana la Prudenza, la le non già di approveccia di alcuna fensaria per se medesima, come sogliono  qua,  praticare gli altri sensali dc' matrimo. nj.  Sem. Quali sono questi altri?  Meci Amore , l' Ambizione, e las Bugia.  Sem. Che fofle Amore sensale Ò, 'mezano de' natrimonj' lo sapevo anch? io; ma questi alori mi giungono nuovi; e come mai l'Ambizionc potià trattare i matrimoni?  Mec. Vi sarà una giovane brutta ral. volca , e povera , c perciò Amore l'averà abbandonata'; ma perche si trove rà umfratello, che si potrebbe avanzare nelle armi, ò nelle letrere, che farà l'Ambizione? li metterà a trattare il di lei matrimonio, e con motivi si efficaci darà ad intendere , che da quel mari. taggio, ne risulteranno vantaggi tali a prò di quel giovane, cui la propong, che lo porranno in grandezze, edonorificenze molto considerabili in breves tempo  - Sem. Ma non li avvede, ch'ella è de forme  Mero  Mec. In questo l'Ambizione s'inge. gnerà di non fargliela comparire tanto brocca con mostrarli, che ci sono tante più deformi di effe, le quali pure hanno trovato marito; e di poi gli caricherà tanto le specie dell'apparence bene futuro, che arriverà ancora , quantunque. fyfle brutiifiina a fargliela comparire vaga a segno, che lo farà divenire diella amante.  Sem. Ma questi sarà impazzito, se non diftinguerà ciocche a leoli esteriori si fa palese.  Mec. Credere forse voi,che solamen. ce Amore faccia impazzire gli Orlandi? l'Ambizione ancora è capace di farlo; e questa appunto è la sensaria, ch'ella brama: cioè di vedere fuori de'suoi sen. rimenti anche gli uomini savj, e talvol? ta quelli ancora , che si stimavano capaci di dare ottimi consigli ad altri.  Sem, Ed Ainore, che fensaria ritraer da? suoi maritaggi?  Mes. Non altra ; che di vederli in brieve tra di loro disgustati, essenda,che come si luol dire per proverbio; chi per amore si prende, per rabbia li lascia.  Sem. Ela Prudenza , che ne ritrae di sensaria?  Mec. Di vederli con perfecta pace tra elli, di sentirli dire con Aufonio trai di loro : Uxor vivamus , quod viximus', dove  teneamus, Nomina, qua primo fumpfimus in than)       lamo :  Nec ferat ulla dies, ut commutemur in      Ævo,  Quin juvenis tibi fim, tuque puellas   mibi. Sem. Questa per verità è un'ottima fenfaria, che volentieri si può pagare da curti,e con fomino diletro.Ma palliamo ora all’Avarizia ; com’enera questa nei matrimoni, vedendosi introdottas oggidi tanta pompa , e splendidezza in elli , che pajono più costo trattari', u regolati dalla prodigalirà sua nemica.  Mec. Cosi non ci cotraffe: : vedrete una giovane non solamenté bructa, ma  [ocr errors][merged small] anche mal sana , ricca però affai: e chi mai [poserebbe questa , con cucce le sue ricchezze, se l'Avarizia non trattasse il suo parenrado ?  Sem. E come mai ella opera ?  Mer. Si porrà d'intorno ad un bel giovane, ma povero , e gl'infinuerà, che quel partito potrebbe farlo divenia re molto riccbi e gli riempirà la testad fcema, che si ritrova, di molte, ei molte migliaja di scudi; dicendogli , che potrà allora godere, e stare allegramente; e susurrandogli qualche altra cosecca di più alle orecchie, lo farà fare in tutto, e per tutto a suo modo; fenza che gli amici lo possano più rimuovere con tutta la rectorica di Cicerone, e l'energia di Demostene.  Sem. Questi ancora mi sembra un paz-s zo. Ben è vero però, ch'è caso raro , effendoci fatto divenire dall'Avarizia i posciache i suoi seguaci non buttando il loro non sono tenuti pazzi; conformea potrà contestare il Dottore', che conos sce, che cosa fja pazzia,  Mede  [ocr errors] Med. Cilono però diverse specie di questo male; laonde se non sono di quefta fpecie di di:Sipare il loro gli Avari sa-, ranno di qualche altra; mentre alcuni di essi, per non ispropriarli del danaro , divengono tiranni di se medefimi i ed inoltre, quanti Avari vi sono stati, che per leggiere cagioni hanno dato la morce a se incdelimi , e quetti di riputere: voi forse savj? e tornando al caso proposto, à me pare, che per  avarizia coftui spreghi il meglio, che si ritrovas, ch'è appunto il fiore delli suoi anni, spofando una donna mal fana, e brutta . ..Sem, Che sensaria mai può guadagnare l'Avarizia in far questo? » Mer Ella spera di potere acquistare tanti seguaci di più, quanti poveri arricchisce per questa via, essendoche quando erano poveri, non potevano : cflere Avari, perche non avevano mo-> do da cumulare i dove che arricchiti poffono averlo ..  Sem. Mà come potrà avanzare? dicendogli, che faute, che avesse il pa.  ren  rentado, averebbe goduto, e sarebbe ftato allegramente , e questo non si può tare da quelli , che vogliono cumula  Meo. Voi non capice il parlar equivoco dell'Avarizia ; ella non già intende il godere , e stare allegramente dispendiofo , ma bensì quello di cumulare , creduto da efla , e suoi seguaci piacere , e contento maggiore di tutti gli alori"; è ben vero però, che in questi cali rimane ella fovente delusa ; posciache i giovani dislipano tanto in tali occalioni, che bene spesso si pente l’A. varizia di esservisi ingerita.  Semi Com'entra la Bugia ne'matri. monj?  Mec. In quanti se ne fanno, senza le direzioni della Prudenza essa vuole-ingerirsi, e per un verso; d per Palero ci vuole avere in questi la sua parte. 7  Sem. Si dice però communemente, che la Bugia abbia le gambe corte, onde fi fcoprirà, e non potrà perciò fare breccia. diri  Mele  1  Mec. Non è così perche non opera già sola. Se Amore per esempio trarre. rà un parentado, essa pronta vi accorre, e si affatica tanto per fare apparire quel. la giovane , per cui si tratta , savia, prudente, e di abilirà : ò quel giovane di costumi angelici, e di abilità sommas; quando per verità farà tutto l'opposto.  Sem. Mà quelto in brieve si può scoprire.  Mec. Prenderà ben ella il contratempo, e quando vedrà che i genj, mediante Amore, saranno cominciari as collegarsit, allora, ciocche ella dirà , sadà creduto per vero; nè fi pafferà più oltre per iscoprirlo, quantunque fosse falfifsimo: lo fomina in tali occasioni la Bagia si affatica tanto; che arrivò as dire un Filoloto, che s'ella non si ri-, mescolaffe à questo segno si troverebbe per certo il mondo.più spopolaco notabilinente  Sem. E come ? e perche ?  Mec. Popolandoli il mondo, median-> te i matrimonj, quando questa non aju.taffe à farli, oh quanti di meno ne le guirebbero! Onde per mancanza di effe molto fcemerebbe ; talmente ch'essad lo mantiene cosi popolato .  Sem. Non credo però; che abbia tanta parte in essi, quanta voi dite. )  Mec. Ed io credo di vantaggio ancora; imperciocche dicemi: nel mondo, quali sono più numerosi, i buoni, ò i carrivi?  Sem. Questo calcolo non so chi l'abbia fatto : ti dice bene da pertutto, che gran parte in esso vi sia di cattivi. · Men E credete voi, Sempronio, che questi trovassero moglie, se la Bugiai non ricoprisse i loro vizja:  Sem. Io credo di nò;  Mec. Dunque non facendosi tutti questi, che danno considerabile apporterebbero alla popolazione del mond?  Sem. Ditemi, che fensaria ella riceve ?  Mec. Non altra, che di trionfare allorche li scuoprono gl'inganni da efsa orditi; e li prende sommo piacere del  lc  de discordie, e dissensioni, nate da ciò tra in arirari.  Sem. Oh che razza di gusti deprava  Mic. Quéli appunto sono i piaceri, che li prendono i vizj, non confiitendo in altro, che nel vedere precipitato chiunque dura loro fede, e perciò non iè bene di prevalerli, Sempronio, della opera loro in conto alcuno. -- Semi Mirpersuado , che la Prudenza non tratterà fimili mariraggi, onde pochi faranno quelli, nel quali effa s'in. trometterà : per efeinpio, se sarà bella da giovane, lascierà trattare il suo  pa. rentado ad Ainore, ed effa fi discolto. rà.  Mec. Non è così ; perche la Prudenza non è già tanto indiscreta, che odj la bellezza, c fe vedrà, che colla beh - lezza ci fia unica anche l'onestà, ed il  buon costume, li tratterà , e concladerà infieme; ma quando poi fi ávvedesse, che colla bellezza, questi non ci fossero, allora ne lafcierà la libertà ad A  mo  more , che le marici a suo piacere :  Sem. Mà ci sono elempj di queste belle accasate dalla Prudenza?  Pub. Tanti appunto, quante donne helle hanno mantenuta la fede illibata) ai loro mariti; e di queste Plutarco ne riferisce molte, parlando delle donne illuftri į confessando ancora l'Ariosto nel canto 37. non esservene stata mai pea nuria di esse, con dire:  E di fedeli , e caste , e faggie , e forti  Stare ne fon, ne pur in Grecia, e ithead   [ocr errors] Roms,  Ma in ogni parte, ove fra gl'Indi,       gl’Orti  Dell'Esperidi il Sol spiega la chioma;  Delle quai sono i pregi, e glonor mortis  Sì ch'appena di mille una finoma,  E questo perche avuto hanno a'lor tempi   I Scrittori bugiardi, invidi , ed empji. lSem. E nci maritaggi con ricche doti s'ingerisce mai la Prudenza , effendo disuguali di condizione ?  Mes. In questi ancora , quando ritrova, che amili ricchezze fono venu  te  te per vic oneste;descritre così da Sene's ca de Vila beat a cap.2 3. Nulli detractas, nec alieno fanguine cruentas , fine cujufquam injuria parias , fine fordidis quæstibus, quarum tam honeftus fit exitus,quàm introitus, quibus nemo ingemifcat , nifi malignus. E non scorgendo di mal cofume chi le poflede, li conclude ancora; perche come mostró Platone į non induce disuguaglianza disdicevole las fola disparita di condizione.  Sem. Quale farebbe questa disugua. glianza disdicevole?  Mec. Sarebbe appunto, se un nobile, per cagione della gran dote, volefse sposare l'unica figliuola map educa. ta di un vile, e sordido arcista; l qual matrimonio non solamente darebbe da dire a molti, ma ancora per lungo tempo sarebbe privo di potere conversare con uguali, chi prendesse una fimile Spofa,  Sem. Vi fuschi di Te in fimile congiuntura, che de mormorazioni solamente per qualche tempo duravano, mà  chc  che le grosse dori rimanevano per sem., pre; io però non sono di genio si vile.  Méc. Credo, che voi manterrete il decoro di Gentiluomo,má replico bensis a colui, che punto non lo consideras :: che i figliuoli ancora riinangono per : seinpre di somiglianti inclinazioni, e co. ituini; essendoli osservato in molii, che hanno voluto canto digradare dalla lo-> ro condizionc, con prendere per moglie giovani mal nate , e di poco buon co-> itume', 'credirarsi da loro descendenti » gonj vili, c plebej; cosa alai più dannoia , e pregiudiziale , di quello sieno le mediocri picchezze nelle famiglie ile luftris onůc perciò il poeta Satirico conrra di questi disle,....... 9. Scilicet expectas, us tradat mater boSo do neftosigilom  Aut alios mores, quam quos babet? E quell'altro anche canto  Infequitur leviter filia matris iter... Olere diche certi matrimonj fatti con tanta disparità di condizione, se non, averà prudenza la moglie , riescono ang che infaufti a mariti; come provò Fulvio, il quale avendo sposato una Ichigvå, fu dalla medeliina tradico, denunziando ove egli era nascosto, csendo tra i proscritti in tempo del Triumvirato ...,  Sem. Vorrei anche sapere, fela Pru-, denza tratti marrimonj didonne brurce, e ditettofe...  * Mec. Questi ancora maneggia , quando ci trova il suo conto; cioè a dire che quella da voi creduta deformità non pregiudichi a fare figliuoli, nè alla pace doinestica.  Sem. Io mi perfuado, che la brut. tezza poffa ritardare 'ambidue ; perciocche, come si potrà amare una donna deforme e non amandoti questa, come li potranno avere figliuoli, ed esserci la pace domestica di  Mec. Dovete sapere , Sempronio ; che due bellezze sono nelle donnc ; una delle quali è di fola apparenza, e perciò viene detta eftcriore, e l'altra inter, Da, la quale risicde nell'animo: la pri.  [ocr errors] ma si rende inanifesta ad og i uno, che Ja rimira; la seconda poi, quanto più si nasconde tanto maggiormente risplende'; quale di queste due voi bramerefte, Sempronio, che avesse il primo luogol nella vostra sposa ?  Sem. Quella , che porelli vedere, we godere insieme.  Meci Questa sarebbe lefterna , che per breve tempo la potreste vedere, er godere ; essendocche prettamente fier nisce, venendo da' Poeti assomigliatas alla rosas Collige virgo rofas dum fos novus, o  nova pube's, Er memor efto , ruum fic properare  tuum. Ed altri: Rofa viget breve tempus, fi autem pra           terierit    Quærens invenies.non rofas, fed fpinas.  E Seneca dinle    Anceps.forma bonum mortalibus ,  Exigui donum breve temporis ,  U velox celeri peide laberis :   H 2  8. Ed  [ocr errors][ocr errors] Ed il Petrarca ancora così ne parla  Questo noftro caducong fragil bene,  Cb'è vento ed ombra , ed ha nome   beliade. L'altra bensì, effendo radicata nell'ani. ino, non languisce in alcun tempo; anzi che in certe contingenze fa vedere quanto opera in conservare la pace domeftica. Vi potrei a questo proposito addurre molti csempj; ma quello riferito da Enea Silvio della moglie di un celebre Medico Sanesc fa al nostro propofito. Questa era molto deforme , nulladimeno, per le fue rare viciù, l'amaya suo marito svisceratamente, chiamandola la sua buona Ladiç; ed appunto d'onde possa ciò nascere lo spiega Lucrezio, dicendo : Nee divinitùs interdum ,  Venerisque sagittis , Deteriore  , fit ut a forma muliercula ametur ; Nam facis ipfa fuis interdum  fæminar factis Morigerisque modis , cu mundo corpore  cultu  Ur fucile insuefcat fecum vir degere  vitam. Sem. Ma effendoci l'efteriore , per- · che non potrebbero ancor' acquistare 1.1 bellezza interna coll'industria de’lo"ro mariti?  Moc. Onanto siete buono, Sempronio, che vi volete affaricare in merte, re "il giudizio, ove non sia ; e non sapite, che fin'ora non è bastato l'animo ad alcuno di porcelo: bisogna pregare Iddio, che non vi abbarciate in caluna, che penurj di effo; perche altrimenti è tuito tempo perduto quello, che s'impiega per farlo entrare, ove non sia.  Pub. Sempronio procurare di grazia di stare cautelato; perche questa bellezza esteriore, che voi tanto bramare, fi uniforma alle volte a quella dei tempi degl'Egizj, ch'erano belli di fuori, e e brunti al di dentro : oltre di che apprendere questo utiliffimo documento da S. Girolamo : non facilè cuftodisor, quod omnes amant,  O in quo totius popu. li vosa fufpirant; e canto maggiormen  te ,  [ocr errors] H 3  .te, che il Nazianzeno la chiama : temporis, & morbi ludibrium : Santamente, dunque l’Ecclesiastico dice: Ne respicias in muliere speciem, nec concupiscas mulierem in fpecie.  Scm. Coinc fa la Prudenza a conosce. re, che questo giudizio vi lia, ove law bellezza non regna?  Mec. Lo comprende ben ella allorche rimira una giovane modesta , circospetra nel parlare, non curiosa, ftabile, attenta , ed applicata a fare ciocche dee; onde la reputa perciò giudiziosa; mà le poi la scorge incostante, disapplicata, curiosa', garrula , c vana , que. Ito le basta per crederla imprudente, c non fi prende penfiere alcuno di essa.  Sem. Ho udico raccontare più volte, che alcune giovani pri na di maritarsi fieno ftatc tenute per giudiziose, e prudenti, ma che poi fattefi (pose sieno diveoute l'opposto di quello, che dianzi erano reputate , per avere sciolta labri. glia a tutti quei vizj, che tenevano ce.Mec. Bisognerebbe con esattezzas esaminare, per colpa di cuilia ciò provénuto , se di effe, o de i loro mariti; u se fi rincontraffe , che avessero in ciò peccato i mariti, sarebbero esse degne di compaffione, dovendo come subordinate regolarli secondo quello, che a medelimi vedranno operare; potendo ancor esse scusarfi, come fecero le don. ne Ebrce allorche furono riprese, perche fagrificavano nell'Egitto, le quali dillero : Numquid fine noftris viris fecimus? fer: 44.  Sem. Come Opera la Prudenza per concludere fimili matrimoni?  Mec. Primieramcnte con fare riflettere al giovane, che brama di accasar  fi, quale sia il fine principale del matri,-monio , cioè per ottenere figliuoli, o che questo non fi orriene mediante los bellezza, ma bensì per la sanirà del corpo;: onde che non debba quell'anceporsi a questa ; ficcome ancora cons fare confiderare i danni, che potrebbe qucla bellezza ofteriore apportare  [ocr errors][ocr errors] mariti, li quali provò appunto Uria per la bellezza di Bersabea ; ed Abramo uomo saggio per isfugirli, che cosa facelle, avendo Sara per moglie, donna. belliffima , allorche dovea andare in E. gitto, e fu , Gen.12. Novi quod pulchra fis mulier, & quod cum viderint te Ægyptii di&turi funt : uxor illius eft, interfcient me, o te refervabunt : dic ergò obfecro te, quod foror mea fis &c.: Eche quando simili infortunj, non accadersero per cale cagione , potrebbero per altro succedere dicendo Leucippo:che la bellezza sia una saetta, la quale ferisce con maggiore velocità di quellow, che viene scoccata dall'arco : e Ciro che debbali più temere questa, del fuoco, il quale non offende in qualche distan. za conforme fa la bellezza; insegnando l’Ecclefiaftico al 9. Propter Speciem mulieris multi perierunt , & ex bac concipifcentia quafi ignis exardefcit : oltre di che gli farà ben capire, che non solamente,egli viventesquefta polsa danneggiarlo , ma cziandio clinto che sarà , c  CON  [ocr errors] con qaciti motivi lo ani nerà a scize glierti per inoglie più costo la laggine, che la bella.  Sem. Mà come dalla moglie belles potrà strapazzarli il maritu defanto?  Mec. Lo comprenderete dal seguente avvenimento riferito da Petronio Are bitro. Dimorava in Efeso una Matrona, non meno bella, che stimata da tutti di fomma pudicizia ; ed essendole morto il inarito, non solamente dirottitfunamente lo pianse, mà, accompagnatolo al sepolcro, delibero volere ivi termic nare la sua vita con esso ; nè fu porabile, che i parenci , anzi il Magistrato stesso la potessero rimuovere daral penfiero. Già sofferri. avea cinque giorni di rigorosa astinenza, quando un sol. dato, il quale cuftodiva alcuni cadaveri de ladri, ch'erano stari, giustiziati vicino a quel sepolcro, si avvide di notte, che usciva un cerro lume da unas contigva casetta , ed udiva insieme ivi piangerl ; vi accorse , cd animalo vi entro, e calato che fu dove si piangeva,  ap  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Conf. 5. Dec. prima appena vedute due donne'appreffo ad un cadavero, sen tornò in dietro a prendere la sua poca cena, e ritornato che fu, cominciò a consolarle con offerire loro quel poco di ristoro, che feco portato avea. La più addolorata , la qual'era la sudetra Matrona non mostrò punto di gradire le cortesi esibizioni del feldato, anziche più costo'raddoppiava ischiamazzi con svellersi i capelli, e percuoterfi maggiormente il perto : non si perdette egli di animo per questo , ma fi accosto all'altra, ch'era la fervente , offerendole cortesemente il vino, che avea ; ed ella non fi moftro canto ritro. fa; posciache'riftoroffi con quello,e guftò ancora il cibo'; ed indi si pose ad efpugnare la pertinacia della sua padrona, e tanto le leppe dire, che alla fine la vinse, eristoroffi anch'ella. Vedendo il soldato, efferli renduta in questo, passò più oltre', e coll'ajuto della fervente gli riusci di prenderla per moglie, non dispiacendo alla vedova l'aspetto del fudecco giovane ; ¢ ciò fu concluso  frete  [ocr errors][ocr errors] frettolosainente . Dimorarono tre gior-  ni in decto sepolcro i sposi, uscendo ap-  pena di noite tempo il soldato a prove-  dere ciocche faceva d'uopo per alimca-  tarsi tutti. In questo montre da' paren-  ti degli appiccati fu portato via uno di  quei cadaveri , ed avvedutofene il sole  dato lo palesò alla sua fpofa tutto con-  tristato ; dicend le, che non era coave-  niente di aspettare la sentenza del giu-  dice , essendo egli incorso nella   pena  di vita , per la sua trascurata custodia ; on. de che gli avesse pure preparato il luo. go per fepelirlo allieme coll'altro suo inarito, essendo egli già disposto a darli la morte . Ciò udico, la compaffionevole donna rispose: non sia mai, che io abbia da vedere due de' mici carifli.  mi mariti, defonti nel medesimo tempo; desidero più costo appiccare il inorto, che di perinettcre, che il vivo perisca:  deh prediamo questo cadavero,e collo? chiamolo, ove manca quello del ladro.  Ubbidi prontamente il soldaco ; e nel  di seguente cucco il popolo f maravi. Conf. s. Doc. prim. gliò, coine inai quel njorto, così teneramente pianio, fosse stato posto sopra un paribolo:  Sem. Talmente che saranno tutte finzioni quei gran pianti, e schiamazzi, che fanno le donne vedendo morti i mariti?  Mec. Per lo più cosi credo anch'io ; perche, non avendo queste la prudenzas virile, con faciliià grande fi pongono as piangere, ma noui tono già così gli uo. mini .  Pub. Voi mostrato di non avere letto Filostrato in Sofijt.: il quale raccontas ciò, che fece Erode il Sofista nella morte di sua moglie, ch'è questo appunto. Non si contentò egli di averla pianta dirottilmamente, stando anche sopra terra, ma volle continuare a farlo tutto il rimanente di sua vita : e come se le inura della sua casa pocessero essere as parte del suo dolore, le fè tutte vestire di bruno, e la sua casa fu dall'alto al barlo così bene dipinta a color nero, chu rendca gränd'orrorc: inoltre volle, che  tutti quei, ch'erano al suo servigio fof. sero mori, o per natura, o per arte: cgli stesso si fè cignere co’carboni il vol. to, per portare ancora in fronte la di. visi del suo dolore. Tutti i suoi mobili anche i piatii, e bacili', ne' quali li lavava crano neri . Passò del tempo in questa bizaria, senza volere udire alcu. no di quei, che volcano persuaderlo a cambiare risoluzione. Lucio, che gliera amico, gli aveva più volte parlato di questa materia, mà senza frutto; allas tine una sola parola di scherzo lo guada. gnò. Le sue serventi lavavano un giorno alla fontana certe rape; le vide Lucio , e domandò , fe quelle doveano servire per la tavola del loro padrone, il che affermarono; se ciò è cosi disse Lucio ; riferitegli da mia parte, ch'egli fa un gran torto alla sua moglie, e che non dee mangiare rape bianche in casas vestita tutta di nero ; onde che si era infinitamente maravigliato , com' egli non riparasse a cosi grave disordine, dovendo il suo bere, cd il suo mangia.  [merged small][ocr errors][ocr errors][merged small] TC  re essere vestiti come lui di gramagliw; ed a queste parole cominciò ad aprire gli occhi, per vedere, e riconoscere le sue stravaganze, e questi era pur Filosofo non già donni !  Sem. Iftruitemi di grazia meglio sopra i matrimoni, fatti senza l'intervento della Prudenza, per non cadervi.  Mec. Nella: ventura conferenza vi consoleremo.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] 100, avendola me  CONFERENZA VI. 6'1 Nella quale si esaminano più distintamente i pregiudizj', che risultano dai matrimonj farci fenza in l'intervento della           Prudenza.  Sempronio, Publio , Mecenate   © Medico 6,156 OL  Uanto mai mi ha contriftato la storia riferita della cru. dele donna di Efe. fo  glio considerata . Pub. Non bisogna sgomentarsi, Sempronio , per fi lieve cagione ; perche. primicramenre chi fa , le veridico lia tutto ciò , che in esta si racconta parendoini molto inverisimile , che li di lci parentis cd amici l'avessero del cute  [ocr errors] to  cata, avendo, oltre i natali,  Giulio s 1981  Conf. 6. Dec. prima  qualche concerto maggiore, per lo sviscerato amore mostrato verso suo marito; oltre di che, chi potrà mai credere, che una donna, i dopo efsere stata cinque giorni, con tanta attinenza, poreise pensare , non che effettuare ciò , che fi lppone facesse : e poi, quando' realmente fosse ciò foguito , vi posso riferire moltissini esempj dimogli fedeliflime, le quali o per vero dolore sono morte, quando videro i loro consorti estipfi, è dettero chiari atteftati del loro fincero , e costante amore. Laodamia fù una di queste, la quale mori di cordoglio sopra il çadavere di Protesilao fuo marito , ucciso da Etrore. Ed Artemisia a che segno amò le ceneri di Mausolo suo marito , che fin volle , stemprate tolle sue lagrimc, dar loro ricetto nel suo corpo ingojandole a poco a poco! 'E finalinente, per non diftendermi di vantaggio nel riferirne inolte altre : Peponilla moglie dime riferisce Xitilino, sotto l'Impero di Vespasiano, aon visse nove anni con suo marito dentro un sepolcro, ove diede la vita a due figliuoli? e questa lo tenne lontano dal supplicio, per quanto le fu permesso, non già ve lo mandò. ?  Sem. Tutto va bene; ma però, che una donna, dopo tante lagrime sparse per suo marito, l'abbia esta condannato al patibolo, mi pare grave, e detestabilc facro; posciache, se non amava quel cadavero, à che fine bagnarlo di tante lagrime? e se poi l'era ficaro, come mai ebbe tanto cuore di fare un' atto si crudele contro di esso, feuzan averle data occasione alcuna?  Mec. Quell'iniqua fantesca fu la cagione di tanta fceleratezza; impercioc" che la povera padrona, dopo cinque  giorni di dolorofa inedia sofferta, non trovando dalla morte pietà alcuna in voler porre fine ai suoi cordogli, e vedendosi imporcunara dalle preghiere di essa s’induffe à prendere quel poco diria ftoro', offertole non già da pareoti , che  I  l'ave  [ocr errors][ocr errors] l'avevano abbandonata, mà bensì da un cftranco, che fu la ruina della sua réputazione, perche chi d'altrui preode, se Iteffa vende.  Sem. Mà come! nc anco dentro il repolcro è sicura la pudicizia , ed allas prcfenza del marito defonto!  Mec. Diceva il Re Filippo, che non era inespugnabile quella fortezza, ove fusse potuto entrare un mulo carico di oro; e voi credere sicura una donna bella, guardata da una sola fancesca in luogo remoto ? quando trovandofi già languida è affalita da un soldato armato, giovane bello , ed avvenente , ristorandola col cibo , adulandola, e lusingandola insieme con dolci parole. A queIto proposito cade in acconcio il proverbio di Salomone. Mulierem fortem quis inveniet? E tanto inaggiormente, quando il marito giace estinto, e per. ciò nè può correggerla, nè punirla. : Sem. Queste ragioni non mi appaga. no punto, onde per non avere a cadere in fimili infortunj , bramerei che voi  con  [ocr errors][ocr errors] con la vostra solita ingenuità mi scopriIte molti altri pregiudizj, che potrebbero nafcere , non avendo la Prudenza parte uc'maritaggi ; e perche avete voi conversato molto in yostra gioventù , vi sarere incontrato facilmente in, più contrasti nati tra i mariti , e mogli.  Mer. Gli hò uditi certamente fpefso riferire , e letti ancora ; e quantunque non li abbia provati, per essere vivuto libero, con tutto ciò sono appicno informato di molciffimi avvenimenti in fimili materie.  1 Sem. Or dunque, in quelli fatti per opera d'Amore, senza intervento della Prudenza , che vi avere offervato di inale ?  Meo. Ne hò veduci tanti di questi principiare bene, ma poi cambiare in un tratto la bella apparenza, ed allas fine rerminare infelicemente ancora .  Sem. Come cominciali bene, e poi mutarfi? fe:  Chi ben comincia , bà la metà dell'opra?  Mec. E pur così è seguito ; impera   cioc  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] I 2  ciocche alla prima, in quel fervor di afferro, la sposa era tenuta in pianta di mano; ma appena intiepidito questo de qualche lieve cagione mutava faccia il tutto, e quel grand'amore in breve pafsava in noja, ed alla fine questa si avanzava al dispregio. Quindi è che l’Ap. piense disse: 174 Ef modus , dulci, nimis immodera  ta voluptas Tædia finitimo limite semper babet : Cerne nouas fabulos rident florente        colore  Piet a, velut primo vere coruso at bumus,  Cerne diu tamen bas, hebetataque lumi-        na fleetas,  Et tibi conspectus nausea mollis erit.   Pub. Voi, Sempronio, avete lascia. to il meglio, cioè,  Non si comincia ben se non dal Cielo. E credete, che facendosi il matrimonio per opera d'Amore senza l'intervento della Prudenza, sia esso cominciato dal Cielo ? Sem. E perche no, avendol per fine  la  la conservazione della propria specie ?  Pub. Il fine è fanto, ma il da voi proposto mezo, per conseguirlo , non è buono;non dovēdosi ricorrere ad Amore per farci conseguire una buona moglie, ma bensì a Dio, conforme c'insegna Salomone : Uxor prudens à Domino ·  Sem. Per quali motivi si avanzano di poi al dispregio?  Mec. Per molti ; lasciando in disparte l'interesse della dote (molto tenue per l'ordinario nelle donne belle) promessa, e per lo più non pagata; che suole frea quentemente turbare la pace domeftica: Il primo de' quali è il dominio, che vuole acquistare la donna bella sopra il marito; imperciocche come vuole Mcnandro :  Superba res eft pulchra mulier: E pretenderà per giustizia di poterlo efiggere mediante il favore , che gli hà fatto di prenderlo, essendofi veduta vagheggiare da tanti altri, che la bramavano per inoglie. Il secondo sarà la gelolia, che apporterà tra loro una continua guerra....  Sem. Come la gelosia, essendosi pre . fi per amore?  Mer. Amore medesimo , che li uni, per prendersi di elli diletto, s'ingegnerà di suscitarla ; e per promoverla, ba. sta, che faccia concepire ad un di effi un minimo sospetto di essere passato in altri quell'affetto , ch'egli godeva intiero; non essendo altro la gelosia al parer di Cicerone , che : Ægritudo, 6x quod alter quoque poriatur co , quod ipse concupicris, e come questa operi uditelo dal Taffo  N'arde il marito, e dell'amore al fuoco  Ben della gelosia s'agguaglia il gelo,  E va in guifo avanzando a poco , a poco  Nel tormentato petro il folle zelo ,  Che da ogni uomo l'afronde in chiuso loco;  Vorria celarlo a tutti occhi del Cielo.   Sem. Mà questa Publio potrebbe anche nalcere, quantunque la Prudenzas avesse avuto parte in detto matrimonio, Pub. Difficilmente, essendo che aves  reb  [ocr errors] rebbe ella saputo scegliere una donna saggia , che avesse colte fiınili ombre, quando fossero nate nella mente del marito, senz'occasione alcuna , e che non fosse ella stata capace di suscitarvele.  Sem. E come potrebbe far questo una donna?  Pub.Con fuggire ogni eccesso di vanità; insegnando S. Crisostomo nell’onilia 21. al popolo : Ornatus Zelotypia fuSpicionem ingerere folet; cd in appresso, che ; modeftia ornatus omnem improbar fufpicionem expellis, omni autem vinculo formius conjugium conciliat.  Sem. Vi sono casi seguiti di donne, ch'abbiano usata tanta prudenza?  Pub. Certamenre , che ve ne sono molti antichi, e moderni ancora: tra gli antichi , la moglie di Focione , di Trajano , & Alpolia moglie di Ciro, e di Arcasserse, e tra moderni. Madama di Chantal, come scrive il Padre Cordier uclla sua famiglia Santa , fu unan di quefte; posciache ella non G vede.rs giammai meglio vestita , che quando  [ocr errors] doveva trattenersi col marito; se doveva egli andar fuori, e fare qualche viaggio, non ornava mai il suo  corpo,  che quando cia di ritorno : le fu detto un giorno, troyandofi lontano da molto teippo il Barone suo marito: Madamas ogn'un crederà , ch'abbiate vendute le vostre velti, ed i vostri ornamenti, voi non li fate più comparire, come se dubitafte, che da alcuno dovessero esservi rubati: non mi parlare di questo rispose ella , pofciache gli occhi , a' quali devono piacerc,sono cento leghelungi di quà. Riferisce anche il medesimo, che la Ducheffa di Gandia Vice-Regina di Catalogna avesse una somma modederazione nel yeftiré, non curandosi di portare abiti di fera , nè con oro. Una delle sue confidenti prese parimente un giorno ardire di così favellarle: Madama di altro non discorre per tuttas questa città , che della riforina de' vostri abiti, pare', che sempre voi diveniate di minor condizione di quella, fiecc Aata ; più vi fi accrescono beni di  for  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small] fortuna, meno ve ne service ; cui rispose:2 ine non dà il cuore di portare nè seta, nè oro, quando il mio marito vas sempre ricoperto di un'aspro cilizio , ed in questo anche riflettere, quanto operi il buon'esempio del marito, per frenare la vanità donnesca.  Sem. E quelli, che tratta l'Ambizione senza l'intervento della Prudenzas, che fine fortiscono?  Mec. Pellimo, stante che, non verificandosi punto quanto s'era da essa promeso, li riinane con moglie deforme, ed indotata ; e di vantaggio ancora, è con molti figliuoli sulle spalle ; ed alle volte ancora privi di elli', senza speranza di poterli ottenere, per la poca falua te di fimile consorte .  Sem. Se vi avesse avuto mano la Prudenza, come si potevano fuggire queste disgrazie ?  Pub. Avcrebbe con maggiori cautele questa consigliato, cfaininando atcentamente, che fondamento potevano avere le milácate speranze; ç rinvenute  le  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] le acree, ed insuffiftenti, averebbe dilsuaso più costo, di effettuarlo ; ò per la meno nella dubietà di cffe averebbe assicurato meglio le buone qualità dellas donna, affinche'andando le speranze a male, fosse piinasto questo di certo : di aver una donna prudente in casa,la quale quantunquc povera , come vuole Salomone. Sapien's mulier edifcat domum fuam. Ne averebbe già permesso a Tiberio, che avesse sposato Giulia, las quale oltre il disprezzarlo, come non uguale a lei; ci faceva lecito di vivere a luo piacere; conforme riferisce Tacito nel primo de' suoi Anoali. Ne tampoco Silio averebbe sposaro Meffalina, vivente Claudio, se la Prudenza vi forse intervenuta:nè già di Claudio Mellalina sarebbe stata conforte.  Sem. E li matrimonj fatti dalla solas Avarizia, che danni possono apportarc?  Mec. Maggiori di quello, che vi potrete mai perfuadere; posciache in tali casi non li sposa già la giovane, mà bensi la dote i mercè che : veniunt à dote;di fagitta ; onde considerare voi, come ella ella sarà trattata dal marito, e che amoal  re le porterà; quando l'affetto non è inndi dirizzato alla moglie, ma bensì tutto  alinero interesse ; ed avvedutali effa di E essere posposta ad una cosa inanimatas,  che dirà, e farà mai, troyandosi ricBt ca ?  Sem. Bisognerà ben, che soffrá , I ftia focto l'ubbidienza del marito .. 1 Mec. Voi fempronio non avere letto  Anafsandro , e perciò parlare in cal # guisa , il qual dice,  Si quis pauper pecuniofam uxorem 1 Duxerit, non uxorem , fed dominam  habeti  [ocr errors]   Cujus eft famulus , de feruus ;  E credete forse , che quancunque paja-   no fortunati coloro, che prendono grof. u se dori, realinente siano sempre? Oh  quanto sono infelici ! come conobbs o anche Menandro con dire :  Quisquis uxorem unicam heredem cupit  adfcifcere Divitem ,is vel irasis pænamluit Diis,  Vel inf. lix effe vult s-sub nomine for  tunati. Sem. Gran cose si dicono da questi poeti, che fono favole; lo vedo, che le grosse doti arricchiscono le cafe.  Meca Li poesi son chiamati Vates da’ Latini, qual voce significa anche indo. vino, ed in questo ho osservato , che per lo più l'hanno indovinato; oltre di che tra efli vi sono stati Filosofi celebri. Io non nego, che qualch’uno prendendo groffe doti Gi sia potuto arricchire; essendosi però incontrato con moglie saggia; mà quanti li fono finiti di fpiantare per questa medesima cagiore, elsendosi abbattuti in mogli imprudenti?  Sem. E come ciò può accadere, prendendofi quantità grande di danaro in fimili matrimoni?  Mec. Per questo medelimo segue;po. fciache addolorato diceva Demenao. Argentum accepi ; dote imperium ven  didi. Laonde, comandando esse , sono capaci di darli fondo, con difsiparlo in bre  ale  fon ve tempo.; ed eccovi appunto il guadagno, che si ricava da effe.  Sem. Questo però seguirà , quando di incontreranno mariti, che non sapranno farG ubbidire.  Mec. Porrà accadere agl'altri ancora dicendo Giovenale;  Intolerabilius nihil eft , quam fæmina EI  dives, i Ed andare a cozzar con queste ? andate  le a riprendere; ed affinche Gate meglio  informato ; udite ciocche dice a questo & propofito Artemone,  fazio, ut fcias Quid periculi fir dotata mulieri convi  cium dicere. Si potranno con facilità maggiore reg. gere bensì quelle, che non averanno portata dote, come si ricava da un detto greco: Sponfa indotata non habet libertatem,  fiuè audaciam loquendi. Sem. Questo ardıre lo potranno avere forse le belle.  Mec. Lo hanno le brutte ancora re  [ocr errors][ocr errors] fa  [ocr errors] saranno ricche , e superbe , come vien riferito da Gellio , Me miferum, qui Corbulam duxi , &  talenta decem Nanam , mulierculam, cubitalem, cujus  Superbia adeò intolerabilis eft! Sem. Ed in che cosa potrà gettare il fuo la moglie, dovendo essere soggetta al marito?  Mec. Chi è ricca, come abbiam detto, non vuole stare soggetta ad esso; onde vorrà spendere a luo modo : se vedrà, che una sua uguale condurrà tre servitori, ella per la sua grossa dore, pretenderà condurne sei, bramerà anche gli abiti di inaggior valuta; Carrozze più nobili, e suntuose s e vorrà effe. refrattara in tutte le cose con magnificenza superiore alle altre; e se il marito non si troverà commodo di farlo, elibirà cfla medesima la sua dore , per fupplire a quanto bisogna ; e durando molto que, fta vita , anderà in malora la dore , con tutto il capitale del inarito . Or vedete , che fortuna s'incontra nel prendersi  grof.  [ocr errors][ocr errors] is grosse doti, e che svantaggi ne riceveranno da questa anche i loro figliuoli.  Sem. In questo io vorrei mostrare spirito, e farla fare a mio modo.  Pub. Vi voglio riferire un caso a quefto proposito assai curioso ; Una certas giovane, che si trovava ricca dote, la prima sera , che cenò col suo marito , non volle gustare cosa alcuna , e ftando in tavola molto contristata, le fù domandato ; da che ciò provenisse , e qual occasione la rendeffe così meftas,' ella rispose; come volete, che io man.  gi, se non vi è l'uomo nero, che ini ser1 va in tavola ; e non hò piatti d'argen  , proporzionati alla dote, che hò portata : il marito le rispose, che nel giorno seguente averebbe fatto trovare più d’un uomo nero, i quali l'avercbbero servita , come desiderava : fec'egli comparire nel tempo del delinare due mori ben neri , acciocche la servislero, s'icfierà per tal cagione la giovane a segno, che si levò di tavola , e nacquero da ciò infiniti disturbi tra di elli,onde vedete voi, Sempronio, che vantaggi risultano dall'essere risentito in fiinili contingenze: bisogna pregar Iddio, che la moglie ricca, sia ricca anche di senno, aliriinenti la casa andrà in malora , quantunque avesse portato il doppio di dote.  Sem. Hò udito sempre dire, che las metà della dore non si possa alienare, e che li fidecommiffi rimangono sempre in piedi; come dunque potranno seguire l'accennati dilapidamenti?  Mec. Il lusso però oggidì hà usurpato il privilegio di poter alienare ogni reliduo dotale, e di svincolare ancora ogni più stretto fidecoaimiffo .  Sem. Mà in che modo?..  Mec. Si fingono pericoli di case, che stanno per cuinare, e per tal cagione di toglie ogni più stretto vincolo, posto sopra i capitali: mà passiamo ad altro, perche questa è materia molto lagrimevole.  Sem. Talmente che a derro vostro re alla moglie ricadesse quaich'eredità;  con  [ocr errors][ocr errors] converrebbe rinunziarla, per non incorIf rere in fimili fventure ?  Mec. Muta faccia il cafo ; perche la moglie, ch'è vivuta qualche anno col marito, trovandosi molti figliuoli, ed a vendo già passato quei primi fervori del. le nozze , ne' quali si spende molto, non averà genio più a dissipare, ed effen• dosi assodata nel governo della casa, se  pur farà qualche sfarso di più , sarà con i moderazionc , e proporzionato al suo Itato,  Sem. Or io ho capito, come si abbia da scegliere la moglie, che sia di tutto proposito ; cioè nè povera , nè riccas, e che abbia più cervello, che bellezza,  acciocche non si abbia da dire di essaie : quello mi fu raccontato una volta, che  dicefle la scimmia , effendo entrata nella bottega di un arteficet, che lavorava modelli di cera, ove prendendo nelle inani una bella cesta, dopo di averla ac  carezzata, e baciata, mettendo den| tro di essa la mano, c trovatala vota  gridò: Oh che bella gefta, mà de manca il cervello !  K  Pube  [ocr errors] Pub. Or sì, che voi la capite per il suo verso; e scegliendola di questa forta allora sì, che farere forçunato, e potrete dire di avere presa una grandislima dote , conforme è succeduto a me: evi voglio raccontare ciocche ini seguì nel tempo , che io era sposo : mi fù domandato da un mio, amico, che dote io avca ricevuto, e trovandomi sodisfatto delle buone qualità della mia compagna , gli rispofi ; che credeva di aver ricevuto cento mila scudi ; rimase egli ammirato , sapendo , che io non eras folito di milantare le mie cole, nè fimile dote fi costumava allora, folamente mi replicò: in che corpi li avete ricevuti? cui soggiunfi, in contanti dieci mida, ed in giudizio il rimanente ; egli di pose a ridere; cd io non ho avuta sin ora occasione alcuna di contristarmi di ciò.  Sem. Desidererci ora sapere, che altri miali, poffa apportare la Bugia , concludendo etsa il matrimonio?  Mec. Se lo-traria di passaggio , non suolo apportare danni molto conlidera  1  i bili; mà se poi s'interna nelle cose cffen  ziali, guai a chi si fida di essa ; pofciache se ricoprirà i mancamenci d'una donna impudica a segno, che quel povero uomo, che la vuole sposare, la creda una casta Penelope ; effettuandolo diverrà infelice; e se vorrà fare com  parire le ricchezze dello sposo affai e maggiori, s'ingegnerà ben ella di pro:  curarlo, e con infolite maniere : che non ha fatto a giorni nostri in fimile afa fare! e arrivata fino a fingere le note dell'avere, nelle quali vi erano regiftra  ti molti crediti fruttiferi , senza il no* i me de? debitori; con pretesto, che si  celavano questi , perche , essendo fiignori di qualità, non volevano essere  nominati; e nebanchi ancora non è arrivata a fare apparire grosli depositi in  faccia di Tizio', i quali erano mere imei prestanze, che nel dì susseguente tor  navano a credito di Sempronio suo vefo posseditore?  Sem. Bisognerà dunque vivere molto caurclaro'nci trattati de matrimonj,per  K 2  non  [ocr errors] non essere dalla Bugia tradito sin  Mer. Udite di più : se una poverad giovane sarà ingannata da esla's facendole apparire il suo futuro sporo ricco; che tenga carrozza; si trovi las cafa ben fornita di preziose suppellettili, a segno che le faccia credere che quel partito sia una gran fortuna; cadendo. vi in effettuarlo, in un tratto si avvede. rà, che il cutto fù mera apparenza; pois che appena consumato il matrimonio, sparisce il palazzo incantato di Armida, e li cavalli, o carrozza tornano al fuo padrone ; : e per vivere conviene dar di mano alla sua dore, trovandosi il mari10 fpiantato. Vi voglio raccontare una storiella, nella quale scoprirete l'astuzia usata da uno di questi miserabili,che con inganni giunse a sposare una ricca giovane. Se ne stava egli nel giorno fta. bilito per le nozze penlierofo , e mesto, a segno che la Suocera si mofle a domandargli cosa egli aveva; cui replicò, che certamente non aveva cosa alcuna ; fco. perte, che furono di poi le fue miseric,G dolse leco la medesima, ch'era statas da esso ingannata ; replicò il ribaldo: fignora lei si ricorderà benissimo, che's  io le diffi nel tal giorno, domandando i mi cosa io aveva, che niente le replicai?  che occasione dunque ella ha da dolerlei dime , se le palesai la verità, con dirle', che nulla avea.  Sem. Accadono questi cali?  Mer. Cosi non accadeffero, anzi ve ne sono de'peggiori ancora.  Sem. E quali sono ?  Mec. Volendo la Bugia accasare un giovane deviato, che farà? comincie. rà a lodare il suo buon costume, la sua  modeftia, a fegno, che lo farà compa0  rire in iftato d'innocenza cadendo las  povera fpofa a credere questo, tuttaa  allegra acconsentirà, non solamente al  matrimonio, mà sicuramente ancoras  converserà seco; non dico altro, che  in breve diverrà un cadavero, median-  tc i quel malo ;-col-quale l'averà mal  concia.     Şom. Sono vesiquefi cali, Dottore?   Med  K 3  Med. Accadono, e non di rado;quando però liamo avvisati in tempo, diamo loro il suo rimedio ; ma allorche il malfattore vuol fare da Medico., la finisce di stroppiare con quei secreti, che talvolta averà egli in se medelimo provati , i quali applicati in una compleffione gentile, essendo rimedji mercuriali, potranno in vece di giovamento apportarle danno notabile.  Pub. Questi pregiudizj tempo fà non seguivano; imperciocche, se allora cal uno cadeva in fimili mali, îi faceva prima curare , e risanato, ch'era perfertamente prendeva moglie.  Sem. Talmente, che questa Bugia ne matrimoni cagiona danni molto confiderabili, ond'io procurerò di tenerlas lontaga allorche tratterò il mio accalamento.  Mec, Bisognerà, che stiáre però molto avvertito; posciachc comparirà travestiça; e sotto specie dį verità per ins gannarvi. Sem, Io fona un bell'umorcänon cres  derò  1121  N  derò allora all'istefa verità, per non di ingannarmi, giacche la Bugia fi vestu dei suo manto.  Mec. Alla verità conviene prestarlo d  fede in ogni tempo, mà però vi è il modo da discernerla, quando cssa sia pura , ò simulata.  Sem. E come?  Mec. Quando voi vedrete ingrandire le cose assai più di quello , che fieno ve. risimili, ivi ftà nascosta la menzogna, e datele la tara di due terzi meno di quello vengono rappresentate, che così di poco sbaglierete. E se vedrete poi in  alcune altre ufarsi artificj, c diligenzu u maggiori, di quello, che convenga,  per farvele credere, e voi togliete tre terze parti a ciò, che fi dice, e credete solamente quello , che rimane, che così l'indovinerere.  Sem. Dovendo io prendere moglie poco fastidio mi prendo dei difetti de  gli uomini , vorrei bensì sapere quei i  delle donne, da' quali doverò guardarini.  K 4  Mer.  [ocr errors] Mec. Nella ventura Conferenza farete istruito in questi.  Pub. Bisognerà fargli conoscere ancora le virtù di esse, affinche fappia difcernere quali siano le buono.  [ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] CONFERENZA VII.  Sopra i difetti, e le Virtù  delle donne.  Sempronio , Medico , Mecenate  e Publio ,  M  Sem.  I persuado Dottore, che niuno meglio di voi conoscerà les imperfezioni delle donne , effendo voi  meglio di ogni altro informato de' naturali, e tempera menci loro.  Med. Secondo il parere di Democri. to, le povere donne soffrono , per cam gione dell'utero, seicento mali di più degli uomini ; come si legge nella lettem ra da esso scritta ad Ippocrate', over Sexcentum arumnarum mulieri auctorSem. Io non voglio sapere da voi li mali dell'utero, ma bensì quelli dell'animo, non quelli, che sono ad effe di moleftia, ma quei che possono altrui ancora nuocere, conforme sono i loro vizj.  Med. Di questi ogni uno, che per qualche tempo le abbia trattate , ne può effere bastantemente informato . lotor110 poi al temperamento delle donne, vi poffo ben dire, che una volta fu promossa questa gran disputa ; qual foffe più caloroso, l'uomo , ò la donna, e dipoi essersi molto dibattute le ragioni dell'una, e dell'altra parte, fu detto, che quando la donna non fia di temperamento più caldo di quello dell'uomo , non si possa mettere in dubio che non sia più callida di esso ; cioè a dire più astuta  Pub. L'aluzia però, quando non è maliziosa, c fraudolenta, non entra tra i difetti deteftabili; dicendo Teren. zio in Andria i  Aftutum fallere difficile eft.  [ocr errors] [ocr errors] 201  [ocr errors][ocr errors] Onde questa può ftimarsi avvedutezžas,  Jodata dall'Ecclesiastico al 19. Aft ut us  agnoscit fapientiam.     Mec. Nelle donne però farà sempre  detestabile, non essendo quefte fcarse   di malizia, e d'inganni, al parerc di Se1  neca in Hippolyto : 1  Sed dux malorum foemina , d fcelerum          artifex,  E di Plauto in milite :   Quid pejus muliere ; atque audacius?    Quid? Nibil.  E l'Ariosto così ebbe a dire di effe         Non siate però tumide, efastofe  + Donne per dir,che l'uom fia vostro figlio,"   Che dalle spine nascono le roje,  E d'una ferid'erba nafce il giglio.  Importune', Superbe , e dispettose  Prive di amor; di fede , e di consiglio;  Temerarie , crudeli, inique, ingrate ,  Per peftilenza eterna al mondo nate.   Pub. Piano di grazia , Mecenaco; cliente perche parlando in tal guifa', correcc  pericolo di essere lacerato dalle donne  come fucceffe ad Orfeo, di cui parlaw   Pla  1  Platone ne' suoi simposj. Per tal unas, che sia stata cattiva tra effe , con questo vostro modo di parlare cosi generale, pregiudicate a tante illustri femmine degne di eterna memoria, anzi che as vostra madre medefma, e con essa a voi ancora. Leggere,le opere di Cristina Pisana, è di Lucrezia Marinelli, che troverete ivi, quanti più iniqui, escellerari uomini vi sono stati, che donne ; onde ci comple stare cheri; e tanto maggiormente, che le donne cattive, fono appunto come le vipere, le quali, sc non vengono compresse, o con altri modi irritate, non mordono già , nè avvelenano; ina gli uomini perverfi, non sono già così, assomigliandoli al lupo quel detto greco: homo homini lupus: da cui non giova punto l'allontanarsi ; perche ello va cercando di danneggiare. E parliamo con tutta sincerità; avete voi veduto mai alcuna donna andare di. predando i.paffaggieri per terra , ò per mare, conforme, fanno gli uomini E giacche avere apportato l'Ariosto con  [ocr errors] 1  [ocr errors][ocr errors] tro di esse, perche non riferite ancoras el ciò, che dice a loro favore? che apporDe tai nella conferenza quinta, ch'è appunto :  E di fedeli , e caste, Saggie, e forti  State ne fon ne pur in Grecia,e in Roma; ti Ma in ogni parte , ove fra gl'Indi , 6       "gl’orti  Dell'Esperide il fol spiega la chioma,  Delle quai sono i pregi, e gi’onor morti,  Si ch’appena di mille una fi noma ,  E questo, perche avulo hanno a lor sempi   Iscrittori bugiardi , invidi , empj. E finalmente doverebbe bastare ciocche dicono Socrate, e Platone di esse per  frenare la lingua di chi ne dice male, 1  cioè, che sono capaci molce di effe d? amministrare la republica ancora .  Mec. Bisognerà dunque credere, che le donne non abbiano difetti, per non  pregiudicare a qualcuna , che tra esse fia ed Itata buona?  Pub. Io non pretendo difendere les cattive , ma fulamente cancellare lo buone del numero di queste, nè voglio  fcu  1  scusare i vizj, chc insidiano le donne ; ma se le Virtù non isdegnano di accompagnarsi con effe, come posso tenerle çelate in pregiudizio di cante? e precisamente di quelle di cui l'Ecclesiastico al 26. ne fa gloriosi encomj,chiamandole : Lucerna splendens ; columna aurea super bafes argenteas ; fundamenta æterna: Laonde , Mecenate, non dobbiamo in conto alcuno dir male delle donne; poffiamo bensì censurare quei difetti, che le perseguirano; perche facendo in tal guisa non fi potranno dolere di noi le buone , le quali non danno a' vizj ricerto; no tampoco, se taluna cadeffe a darglielo, farà contro di noi risentimen. 10 alcuno, per non dichiararsi da se medelima viziosa : e regolandoci con que. Ita norma faremo conoscere, che non odiamo le donne, ma bensì quei vizj, che da loro medefimc debbonli odiaren come loro capitali nemici.  Sem. Iftruitemi dunque, Mecenate, sopra questi vizj, scorgendovi molto informato di effeMec Di alcuni ne fono informato; ma cutti tutti io non li so: perche mi fido' guro che siano tanti appunto, quanti so. i no i caratteri Cineli: vi posso riferire li  più principali , che doverebbe fapere ogni marito, per potersi ben regolares scorgendoli nelle mogli. Il primo di  questi è la Vanità, la quale ha un gran i seguito di altri vizj, a se fubordinati,  mà cominciamo ora da questa, che die ď poi parleremo degli altri.  Sem. Che cosa è precisamente, ed in che consiste questa vanità? :)  Mec. Credo, che fia un vižio, tanto in esse, quanto negli uomini effeminati, diretto a procurare ftima maggiore, che competa loro in genere di bellezza.in c. 10,4:19.fi  Sem. Spiegatevi di vantaggio affinche possa comprendere meglio quanto avete detto.  Mec. Ciocche dilli mi pare chiaro', con tutto ciò mi spiego più diffusamente , e dico: che se una donna, ò-un uomo effeminaco deformi procureranno  pre  all  prevalersi di superfui abbellimenti a fine di comparire belli, pretendendo das ciò ricevere stima maggiore nel concetto delle persone intorno alla loro bel. lezza. Questi saranno vani.  Sem. Dunque le belle non saranno vane, non avendo d'uopo di fienili abbellimenti.  Mec. Ponno cadere queste ancoras in detto vizio ; quando paresse loro di non essere tanto belle, che abbiano a rapire il cuore di tutti, e perciò effe credessero colla vanità di potere diveairvi a quel segno.  Sem. Come fono numerose le donne di questo genio?  Mer. Poche sono quelle, che non lo abbiano ; la moglie di Publio è tras quefte, che odiano la vanità.  Sem. E che! la vostra moglie, Publio, non si ornava, come le altre , quando era giovane ?:  Pub. Si ornava in quella forma, che io desiderava, a fine di compiacermi,non già per fare pompa di fa con altri.  Sem.  [ocr errors][ocr errors] 1  1  Sem. Come vi contenevate per firla di perseverare in cotal guisa? posciache a  alcune per breve tempo incominciano a farlo, mà dipoi vedendo le altre , che  fi adornano, b-lasciano trasportare dal i mal costume anch'efle  Pub. Avevå ella fomma venerazione alle fentenze de' Santi Padri, ed affinche meglio le comprendeffc, l'erano da me spiegate : onde adducendole sopra ciò quella bella sentenza di S. Cipriano, che dice : Non eft pudica, qua affeet at animum "altorius movere , etiam Jalva corporis caftitate ; fi afteneva ella perciò dal vestire con pompa, dovendo uscire di cafa,  Sem. Se faceffero tutte cosi, andrebbe la maggior parte assai positivamente  vestira ; imperciocche li mariti per non u ispendere, non direbbero già loro, che  fi ornassero, e studierebbero giorno ,' notte fentenze contro la vanità.  Mes. Che male ciò apporterebbe loro 2 Sem, Non altro, che si farebbe di ef  fe oggidì poca ftima; essendo che, chi non fa la lụa comparsa, come le altre, non è punto contiderata ,  Mec. E te taluna la faceffe con inde. bitarti, chi sarebbe di queste due più considerata , la yana, ò la modefta?  . Sem. Certamente quella, che più di ornaffe, perche niuna và cercando, come questa comparsa si faccia , effepdo molto noto quel detto : Unaè bibe'as, quaris nomo, Sedopor.  tet babere. Mec. Si cercano, come anche voi di. ceste, più i fatti altrui oggidi, che i proprj; onde per questo motivo yi ammetto, che sarebbe più considerata la ya-na , che la modefta; e poi quando quefti non si cercassero, non credo già, che i mercanti vogliano donare il loro; onde dipoi,che averanno aspettato un pezzo, forzati a domandare giudicialmente il loro nelle publiche udienze vi pare, che possa stare celato? ell'essere conf. derata in questo modo, vi pare, che posla apportare decoro , ò vituperio?  Pub,  [ocr errors][ocr errors] d  Pub. Senza queste vostre rifellioni, di forma cattivo concetto delle vane solamente a rimirarle, şi era ornata Thamar c deposti avea gli abiti yedoyili  più modefti, e Giuda quando la vide i in quella forma, che concerto ne fè di  effa? Suspicatus eft efe meretricem: Genef. 38. vedere dunque yoi, Sempronio, come sono considerare le vane da parenti anche più congiunri?  Sem. Dicemi, che altro pregiudizio apporti questa yanicà ?  Mec. Quando esce fuori de' suoi limi. ti, hà due altri vizj, che per l'ordinario noll'abbandonano, e sono la prodi. galità, e l'impudicizia  Sem. Sono queste certamente due peflime compagne, le quali possono apportare gran male, infidiando alla ro. ba, ed all'onore; mà è seguitata da alţri vizj?  Mer. E più correggiata la yanità das cu efli, di quello sia un Generale di esser  cito da 'suoi Officiali, posciacche 120 fuperbia, l'invidia, il dispreggio, l'ineganno, con molti altri di questa perversa natura, a vicende la servono, onde chi è vana, è anche superba , invidiosa , dispreggiatrice, e fraudolenta, tramando sempre inganni, e frodi.  Pub. In conferina di questo, diffe S. Crisostomo. In Gen.fim Homilia 41. A corporis cultu innumera frunt mala , arrogantia, que intus nafcitur, defpectus proximi , faftus spirisus, animą corruptio, voluptatum illicitarum fomes &c.  Sem. Questa vanità fino a che segno potrebbe tollerarsi nelle donne?  Mec. Sarebbe certamente indifcreto quel marito, che non tollerasse alla moglie giovane una mediocre vanità, quantunquc da questa fi poffa facilinente fare passaggio alla grande ; dee bensi per tema di ciò egli ftare vigilante, affinche non trascenda questa i suoi limiti, li quali le vengono prefissi dall'onesto: e lidee questa tollerare ancora, affinche s'inducano alcune più facilmente a pren. dere marito. Pub. Sant'Agostino riprese rigorofa  men  [ocr errors] [ocr errors] mente Eudicia per voler andare troppo ncgletta nel vestire, e le fè incendere, che averebbe dimostrata umiltà maggiore con ubbidire a suo inarito , che a vestirsi di panno vile, per lo spirito di contradizione , esclamando il Santo :  quid absurdius, quam mulierem de bumi. I li vifte  fuperbire ? Sem. Come li conoscerà, che questa trascenda i limiti prefilli dall'onesto a    Mer. Allorche una donna vorrà rico-  prirsi di gioje, e di oro, e quello è peg.  gio, senza riflettere se le sue entrate lia-  no sufficienti a poter fare tante spele,  venendone di ciò ripresa da Ovidio poe-  ta lascivo, dicendo:    Quis pudor eft cenfus corpore ferre          Juos?  Ed altrove.   Gemmisque auroque teguntur  Omnia , pars minima eft ipfa puellae          fui.  E Properzio dice anche di più.    Matrona incedit cenfus induta nepa-        tum   Pub.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] L 3  Pub. Seneca al 7. de Benef. dice ancora : Video uniones non fingulos fingulis auribus comparatos; jam verò exerci14 aures oneri ferendo funt ; junguntur interje, & infuper alii binis fupponuntur Non faris muliebris injania viros fubjegerat , nifi bina ar terna patrimonia auribus fingulis pependisent. Ma meglio di ogni alero S. Ambrogio : De Nabut. Ifrael. cap.s. lo fa capire . Dele&tantur compedibus mulieres dummodo auro ligentur non putant onera effes fi pretiofa funt: non pusant vincula efi, fi in iis shefauri corufcant : delectant de vulnera , ut aurum auribus inferatur, do margarita depen. deant c. E finalmente conchiude . Non parc unt dispendio , dum indulgent cupidisati. Laonde fantamenre dice l'Ecclefiafte ; Averre faciem tuam à muliere compta.  Sem. Må se sarà nobile , non potrà fare di meno, quantunque le sue rendi. te foffero tenui, di non ornarsi pomposamente, vedendolo praticare da chi è mcno дobile di ella.  Mece  [ocr errors] Mes. Ditemi per cortesia, forle che questa sua nobiltà, senza danaro, potrå fodisfare il costo di tante pompe?  Sem. Mi perfuado che nòsmå pare una certa cosa, il comparire meno delle alo tre, alla quale, chi è nobile non si può accomodare. Mec. Anzi queste , per  fár comparire maggiormente la loro nobiltà, non doverebbero soggettarsi a cose vandag per far conoscere inlieme, ch'essa rin fplenda assai più dell'oro, e delle gioje. Sencite, ciò che diffe a tale proposito la saggia moglie di Focione ; come riferisce Plutarco nella di lui vita. Şi trovava un giorno questa illuftre Dama ins conversazione di altre donne, ornate tutte pomposamentes vi fu chi le disse: perche non era venuta essa ancor adornata come le altre, cui rispose : che le bastava per ornamento la virtù di suo marico, al che non seppe che replicare la più curiosa, e vana delle altre.  Pub. A questo proposito dice Aristocile, che il buon ornamento nelle don  ne', non debba già consistere nella pompa, mà bensì nella modeftia, e nel modo onesto, e decente di vivere ; il quale fu da Aspasia praticato, come riferisce Eliano , quantunque ella avesse avuto per  mariti due gran Monarchi; cioè Ciro, & Artafferse, ciò non ostante fi feppe ella così bene guardarc dalla soverchia curiosità, e pompa, che recò am mirazione a tutto l'universo. Elodando Plinio la moglie di Trajano, non seppe apportare fatto più glorioso di queIto a suo favore: che di efferli, come donna mantenuta sempre lontana dallas vanità superflua.  Sem. E se l'entrare fossero sufficienti, potrebbe dirsi vana una, che trascendeffe i sudet i limiti?  Mec. Se la vanità non fosse unira col. la prodigalità, forse che in questa, se non trascendeffe molto, sarebbe rollera bile, ma il vizio della prodigalità non le permetterà moderazione alcuna; posciache: Prodiga non sentit pereuntem fæminas fenfum. E poi credete voi, che'l fine, per cui fi orna a quel segno, fia sempre onesto? non lo credetre già Seleuco , quel gran Legislatore de' Locri, il quale fè quefta legge; che non fosse permesso ad altre donne di ornarsi pomposamente, se non a quelle che volevano amoreggiare, e fare anche di peggio; e sappiare , che, fù questo un gran rimedio contro la vanità; posciache divenne quel Dominio per qualche tempo modeftiilimo, spor gliandosi le donne delle loro fupes Aves pompe. Quindi è, che da saggio padre operò Lisandro, come riferisce Plutara co, con rimandare a Dionilio tiranno le preziose vefti, che aveva mandate in dono alle sue figliuole, con tutti gli altri ornamenti; con fargli incendere; che averebbero più tosto tali ornamenti viruperato le sue figliuole, in vece di or. narle.  Sem. E le ricchissime, che non soggiacciono al pericolo d'impoverire,perche non poffono fare tutto quello sfara fo, che bramano?  1  [ocr errors] tutte  Mec. Non tutto quello, che si può, è convencvole a farli. Giovanna di Navarra consorte di Filippo il Bello, trovandosi in Burges, mortificò molte Dame, che andarono a visitarla con abiti sontuofiffimi , dicendo loro. Credeas effere in questa città io solamente la Reging, mà ne trovo mille.  Pub Chi brama servirsi bene delle proprie ricchezze, non dee impiegarle per  fodisfare le sue voglie, ed in cose superflue ; dee ancora pensare and quelle, che sono maggiormente necef• farie, che ornano l'anima, come insegna S. Cipriano dicendo : locupletem te effe dicis e utere divitiis , fed ad bonds are tes; divitem te fentiant pauperes &c.  Sem. Se taluna fosse deforme , potrebbe ornarli più dell'onesto per comparëre bella e  Mec. Faccia pure quanto può la deforme , che fempre scoprirà di vantage gio la sua deformità; e guai a quelles, povere damigelle, che vi harno a conbattere, perche rimirandofi allo fpero  [ocr errors]  chio, deteriorare più costo con quelli   abbellimenti, che li pongono, si per-  suadono, che per difetto di effe ciò deo   tivi', non sapendo bere addattarli, ed  a questo proposito cosi parla Giove-  nale,     Quid Pfecas admifit , quænam eft culpa        puella  Si tibi difplicuit nasus tuus?   Sem. Consideriamo i sarti quanti rimproveri riceveranno di vantaggio  Mer. Vi fù uno di questi gli anni scorfi, che avendo portari alcuni abiti ad una ricca, e deforme, ed allorche se li provava , diffe, che non erano ben fata ti; perche non le stavano bene al viso ; quel povero uoino vi ebbe un pezzo fof. ferenza, må alla fine le disse : Signora io gli ho fatti a misura della sua vita , alla quale vanno benissimo , non già del suo viso; onde questa non è colpa mia , mà deila natura, se non stanno bene  ad effo.  Sem. E le brutte, è belle, che siano adoperando i bellectiglo fanno per vanitá a  Moc.  Mec. Questo certamente è molto dubioso; posciache, se lo fanno per essere stimate più belle, s'ingannano, mentre ogni uno, che le rimira, le tienes per copie mal dipinto, non già per ori . ginali, e voi sapete ; quanto lieno più  timati gli originali delle copie, quantunque pajano ben colorite; e poi quel mal odore, che tramandano quegli unguenti posti sul viso, come le possono rendere amabili? ed udite Plauto, come ne parla, Vei fefe sudor cum unguentis fociavit  illico, Ibidem olent, quafi cum una multa jura  confundit coquus, Quid oleas , nefcias ; nifi id unum male  olere intelligas. E Giovenale così dice: Interea fæda aspectu , ridendaque's  multo Pane tumet facies, aut pinguia popeana Spirat, hinc miferi vifcantur Labra  marici. Ed in appresso;  Tal  Tot medicaminibus , coctaque filiginis       Offas  Accipit , & madido, facies dicetur anni   ulcus ? E guai a queste se intervenissero al giuo, .co, che inventò Frine, riferito da E rasmo lib. 6. Apophtegn.pofciache si troverebbero confufe, e mortificate. Ef sendo ella in conversazione di donne; tra quali ben si avvide effervene non poche bellettate , introdusse il giuoco del1e penitenze, uscendo a forie chile doveffe comandare; e toccando a lci, ordinò, che fosse portato un gran carino pieno di acqua', e che ciascuna dovesse ja varsi il viso, come ella faceà ; 'non poterono le altre scufarfi, effendoli'impegnate ad ubbidirç, e ne seguì da ciò tal metamorfofi,che li domandava il nome ad alcune non riconoscendosi più per quelle , ch'erano prima.  Pub. Bisognerebbe , che leggeffero S.Ambrogio : Examer. 6. cap. 8. per illuminarsi, ove dice : Deles picturam' mulier , f vultum tuum materiali candore,oblinius, fi acquifito rubore perfundas : ila la pi&tur a via, non decoris eft ; illa pi. Eura fraudis , non fimplicitatis eft ; illance pictura temporalis eft, aut pluvia, aut Judure fergiiur : illa pi&tura fallit, de ripit, ut neque illi place as , cui placere de  laderas , qui:nielligit non tuum, fed alicnum effe, quod placeas, & tuo displiceas auctori , qui vidiet opus fuum efl deletun; ed apporia inoltre, lib.i. de Virginibus, un dilema affai calzante a questo propofito, dicendo, fepulchra es, quid abscomderis? fi deformis, cur te formosam effe mentiris? neç tud conscientia , nec alieni gratiam erroris habitura?  Şem. Lo faranno çalvolta le bruite per ricoprire ļa ļoro deformità.  Mes. Quanto s' ingannano queste; posciache in vece di ricoprirla più costo in tal guisa la rendono palese a tutti; cfsendo che non potendo mai fare in modo, che non si conosca ciocche di più del naturale si sono poste sul viso, das Joro medesime si discuoprono per defore mi, çon pregiudizio anche delle bells,  Şe  [ocr errors] [ocr errors] se ciò facessero; perche saranno queste ancora credute di ayere difetti tali, che abbiano d'uopo di essere ricoperti; E se poi la deformità proveniffe dall'improporzione delle parti, che non è male da biącca, come la potranno rimcdiare? posciache converrebbe in tal calo inventare il modo da profilare mcglio il naso, ristringere la bocca, e di slargare la fronte, ed a questo non potendo ațrivar esse senza maggiormente deformarli, perche dunque li pongono a garreggiare col Divino Artefice, che così le formò per fini a lui ben ooti?  Sem. Hò udito però, che quelle, che cadono in fimile errore, sia impoffibile, che possano più aftenersi dal non farlo, e queste in che modo le coayincereste Publio?  Pub. Sono certamente infelici quelle donne, che non piacciono a se medefime , come disse S. Cipriano , de Bon. Pud. femper eft mifera, que non fibi places qualis eft. Onde queste difficilmense potranno convincerli; con tutto ciò,  quan:  Tollens ergo  quando' mai godessero un momento di mente tranquilla , domanderci loro, se amano più la bellezza dell'anima, è quella del corpo, e dicendomi, come è più verifimile , ch'amino più quella dell'anima , apporterei loro ciocche dicc S. An:brogio : in Examer 6. cap. 8.  ergo membra Ch ifti faciam membra meretricis? Abfit, quod fi quis adulteret opus Dei; grave crimen admittit , grave eft enim crimen , ut pures, ut melius te bomo , quam Deus pingat . Grave eft , ut dicat de te Deus, non cognofco 16lores meos , non agnofco imaginem meam, non agnofco vultum, quem ipse" formavi, Rejicio ergò quod meum non eft , illum quare, qui te pinxit , cum illo habeto confortium , ab illo fume gratiam, cui mercodem dedifti. Quid refpondebis ? ed udite ancora quanto lo detefta S. Cipriano de Habit wirg. Manus Deo inferunt quando illud, quod ille formavit, reformare,  transfigurare contendunt , nefcientes quod opus Dei eft omne quod nafcitur:Diaboli, quodeumque mutatur ac, tu te exi,  Jimas impunè Laturum tam improbare meritatis audaciam Dei artificis offenfama Ut enim impudica circa bomines, du inn cefta fucis lenocinantibus non fis ,' corruptis, violatisque, qua Dei funt péjor adultera derineris dc.  Sem. Quelle, che fi bellettano, mi persuado certamente, che non averanno uditi gliaccennati sentimenti di queisti Santi; perche in verità, sc riflettes sero attentamente a ciò , che questi di cono, fi alterrebbero dal farlo; mà vor: rei sapere in oltre da voi, Dottore, se pollano queste lordure, che si pongor Ho le donne sul viso, essere di nocumento alla loro salute?  Med. Sono senza dubio molto dannosi; perciocche se il tingerfi solamenrei capelli ha apportato a molte la mor- to, come riferisce Gal. de comp.medic. fec. locos , cap.3. de tinet.capil. oye dice: Non folum enim in periculo verfatas fape frio -fæminas ; fed mortúas ex perfrigeratione capitis per hujufmodi pharmaca induéta , Ed Aczio parimeate afferisce , libr. 6.  M  CAP  1  cap: 57. di averne vedute morire alcune per tale cagione apoplettiche, e tabide; quanto più facilmente potranno es. fere danneggiate da cosmetici , ne' quali entra il solimato? E posso io asserirvi di avere veduta più di una di queste divenute , ò asmatiche, ò apopletriche, à paralitiche, ò idropiche in érà proverra; senza poi quel danno, che suode recare in gioventù a tutte , ne' loro denti ; e gignive; nè preftino fede a coforo, che fabricano belletti, quantun. que dicano di averli fatti fenza folimato, poiche le gabbano.  Sem. Si che dunque aon gioveranno ne per l'anima, ne per il corpo? Mas come si doveranno regolare i poveri mariti , fe queste fi oftinaffero in voleres tutte le cose alla moda 2  Mer. Io non farei altro, che spiegare loro i seguenti vèrsi di Properzio ar. vocato di effe : * Quid juvat arnato procedere vitta ca  pillo  Et tenues Cos vete movere finns ?Aut quid orontea crines perfunderes      mirra?  Teque peregrinis vendere muneribus ?  Naturęque decus mercato perdere cultu?  Nec finere in propriis membra nitere   bonis estir's Ed altroye: Nunc etiam infectos demens imitance  Britannos Ludis, o caterno gincta colore caput, E soggiunge :  Ut natura dedit, fic omnis recta figura,  Turpis Romano Belgicus ore colar E Plauto ancora, che pone in derisione queste  tante variazioni di mode : dicendo in Epidico  Quid ifta ? Quo quotannis nomina in      In veniuntur noua  * Tunicam rallama tunicam spilam    Linteulum, Cæcisium,  Indosiatam, Palegiatam. Calšbulan,   aut Crocotulam. er. Pub. Allai meglio facente, Mecenate, a fare intendere loro ciò che dice San Cipriano dihi de babitu Kirginum ; ovewi  .  Ceterùm fi tu te fumptuofiùs cumas, per publicum notabiliter incedas , oculos in se juventutis illícias', fufpiria adolefcentum poft te trabas , concupifcendi libidinem nuFrias, peccandi fomitem yuccendas, ut fi ipfa non pereas, alios tamen perdas, velut gladium te, du venenum videntibus se prabeas * excufari non potes , quafi mente cafta fis, do pudica s redarguit te cultus improbus id impudicus ornatus , conforme lo fa conoscere Aufonio in Delia, od ei Delia, nos miramur ,'eft mirabile ,  quod tam Diffimiles eftis ruque , fororque túa ; ?> Hæc habitu casta , cum non fit caffats  videtur, Tu preter cubium nil meretricis habes. Cum caffi nores sibi fint , buic cultus  honeftus, Te tamen, cultus damnat, caftus  cam.  Sem. Parfando ora all'ira , queltas noir mi pare, che abbia tanto dominio i nelle donne, quanto negli uomini, aven  do  [ocr errors] do veduto adirati più questi, che quelle alcune volte, che mi sono abbattuto seco in Gimili contingenze. x  Mec. Non doverebbero certamente le donne adirarfi ; pofciache divengono allora talmente deformi , che più non si riconoscono , .quanto mai li erasfigurano; onde avendo effe in orrore la deformità, doverebbero anche odia. re la cagione di essa ; Ma yoi , Sempro, nio, le averete facilmente trovate in bonaccia, non già in tempo di furore ; e perciò dite, che vi pajono gli uomini più colerici di esse; fe però vi foste abbattuto nel vedere adirata Ja moglie di quel povero, Grammatico riferito lepidamente da Ausonios diversamente para lcreste ; mentre di essa cosi dice: Anma', virumque docens, atque arma  virumque peritus':' Non duxi uxorem , fed magis arma do  1  ܢ ܀  Namque dies fotos y Botafque ex ordine  ! noctes :: Liribus oppugnat a, meques meumque  Ata  [ocr errors] M 3  giam !  Atque , ut perpetuis dotata à Marre  duellis risin Arma in me follit , nec datur ulla  quies: Jamque repugnanti dedam me, wide  nique victum Jurget ob hoc folùm, jurgia quod fuOltre di che Salomone, che non 'mentisce, dice ancora: non eft ira fuprà iram mulieris .  Sem. Non saranno però ofinate les donne, che averanno i marici più rifenciti di effe , e non tanto buoni, come era il sudetto Grammatico? 0:0,  Mec. L'oftinazione alle volte liavanza tanto in effe , che le rende incorre. gibili, come comprendercte ancora dal feguente avvenimento riferito dal Poga gi. Vi fu una di queste» che dopo ave. rc ricevuto moltisms bastonate da fuo marito, non potendola far ritrattare dall'ingiuria, che gli facea, chiamaadolo pidocchiofo,la calò anche nel poz . 30, fin tanto che poteva parlare sem..  pre  [ocr errors] pre fu percinace nel medesimo disprego gio ; finalınente, avendo anche la te. ita fommersa nell'acqua, colle unghie de deti grosli soprappoftę gli faceva cenno di quello , che averebbe colla voce pronunziato , se avesse potuto Oltre di che il vizio della vendetta facilmente di collega con esse, dicendo : Giovenale:                    Vindicta  Nemo magis gaudet , quam femina.   Sem. Le finzioni, e le menzogne and che segno s'internano acll'animo dona, nesco ?  Mec. Nelle donne scaltrite più affai, che nelle milense:Ben è vero però,che se s'incontreranno in mariti accorti, apporteranno loro gran danno le proprio finzioni, e menzogne; come appunto seguì alla moglie di Teodofio à allas quale avendo egli donato un pomo di eccessiva grandezza , volle ella gratifi care con esso uno de principali Signori della corte, il quale due giorni dopo mandollo in dono all'Imperatore ;quantunque mostrasse apparentemente di gradirlo n'ebbe per ò egli intern rammarico;perloche essendo cornato dipoi dall’Imperatrice, domandandole, se riteneva più quel bel pomo; gli rispose, che lo aveva mangiato, ed avendola pregata, che avesse fatta matura riflessione a quanto diceva, ella ostina. tamente confermava il suo derto; allo. ra l'Imperatore per convincerla lo fè portare in sua presenza, ele disse: Voi Giete una finta donna ; ne mostrò in av. venire feco più confidenza .  Sem. Hò uditi con molto mio rammarico i difetri donnefchi; consolatemi ora voi, Publio, con riferirmi le Virtù delle donne, ed in ispecie qvelle, che ponno apportare profitto alli mariti. & Pub. La Prudenza, e l'Amore Gince. ro sono le principali virtù, che debbono risplendere nelle mogli.  Sem. Ma di queste Virtù sono capaci Je donne? Pub. Non può dubitarf di ciòyinenero  le  le ftorie non solamente profane, ma faa cre ancora lo confermano, e presentemente vediamo anche risplenderé mole cisime di effe con fimili virtù.  Sem. Perche duaque fi dice tanto ma le delle donne  Pub. La cagione di ciò la trovo in Euripide, il quale dice:  Miferrimum eft muliebre genus , femel  Nam , quæ peccant etiam immeritis   Dedecorifque funt mulieribus, com   municant vituperium, Mala non malis , Ma questo, e un abuso grande, ed in. giusto posciache contro di noi altri uomini non si costumà addollarsi a' buon il vituperio de' cattivi, e qual ragione dunque vuole, che ciò militi contro di effe ? Ovidio però le difende da tale in. giusta maledicenza con dire:  Parcite paucarum diffundere crimen ist  Spectesur meritis quaque paella fuis.   Sem. Voglio credere che donnes prudenti vi siano ffate ayendo udita  rasa  omnes :  raccontare molci saggi farci delle Porzie, Cornelie , Paoline, e  Paoline, e di altre ; Mà di queste , che con amore sincero abbianoamato i loro mariti vorrei udirne riferire qualche altro csempio per meglio accertarmene.  Pub. Vi posso fodistare in questo picnamente, e principiando dal grande, e fincero amore', che mostrarono a loro mariti carcerarile donne Spartane;men. tre queste andando a visitarli li ferono vestirc de iloro abici, ed effc rimasero carcerate: pafferò poi a riferirvi, ciocche fè Cabadis Reina di Persia, la quale parimente liberò suo marito carcerato con vestirâ ella de' suoi abiti, e rima. nere priva della sua libertà , c vita ancora · Riferisce parimente il Tarcagnota un fatto molto riguardevole a tales proposito. Avendo ottenuto per capi. tolazione di uscire solamente le donne dalla città di Vespergia cariche di quello, che più loro piaceva, abbandonando queste oro, e supellectili preziose, she avevano, trasportarono sulle spal.  le  [ocr errors][ocr errors] le i loro più congiunti. Ed udite finalmencé un esempio singolare dell'amorce sincero di una saggia Regina, riferito dal Padre Cordier · Roberto Re della gran Bertagna si trovava ferito con una laetta velenata , fu giudicato da’Medici per unico riinedio il farla succhiare da cui avesse voluto esporre la propria vita, per salvare quella del Re ; la Regina sua moglie fi mostrò prontislima di farlo, ma non voleva in conto alcuno il Re permetterle, che si esponesse a tal pericolo. Chę fè l'amorosa moglic ! aspetto, che fosse addormentato , ed allora appunto, sciolta la ferita , succhiolla intrepidamente, e con tanto felice successo, che rifano il Re, senza riportarne nocumento alcuno l'amorosa Consorte...  Sem. Persevereranno queste prudenti, ed amorose consorti semipre nella. medesima forma ?  Pub. Se faranno i mariti prudenti in faperle bene diriggere, lo fåranto, come udirete nella seguente ConfeTenzi.  CON  CONFERENZA VIII.  Come si debba regolare l'uomo    colla moglie scelta di ottime   qualità.  Sempronio , Publio, Mecenase ,  e Medico  M  Som.  perfuado, chief sendo la giovane di ottimi costumi,non civoglia grandparte nel regolarla, po  sciacche da se mca delima sapra ben governarsi.  Pub. Non è già così , Sempronio ; quantunque sia buona, ci vuole anche attenzione in reggerla , affinche non divenga cattiva , perche conforme fi dice, che prendendo marito, muci sta10, può anche cambiare costume; im,     [ocr errors] L2perciocche il corso è di molti anni, é fi dee navigare in un mare, nel quale s'in. contrano de' scogli, e continuando la metafora , descrittami da quel vecchio, che la donna sia la nave; questa quan. tunque non abbia difetto alcuno, da se fola, e senza chi la indirizzi, a fola di: screzione de' venti , che sono i suoi pen• ficri, non può giugnere al defiato porto della felicità , onde conviene, che l'uomo faccia da nocchiere, e non dor ma; quantunque fia bonaccia..  Sem. Infegnatemi, dunque come do. vrò regolarmi, per non errare?  Pub. Potrò riferirvila direzione del la quale io fteffo mi sono servito, eve: drete, fe questa vi aggrada. ' Sem. Avendola voi posta in esecuzio. nc felicemente, poffo fperarne anch'io profitto.  Pub. Ebbi alla prima quest'avverte11za di non addomesticarmi seco in ecceso fo, ma solamente, quanto bastava per -farle conoscere, ch'io l'amava , c perciò la rispettava , ferviva, ed oporava s  mà  mà çon tenere sempre un tale qual den, coroso fuftegno. Procurava in oltre, ché non iscopriffe il mio debole, c per fare prova del suo afferto, di quando in quando, mi facea da essa scorgere penberolo, ed alle volte ancora alquanto mesto: non li assicurava ella di ricerca. fc la cagione di ciòs solameore dopo qualche giorno, faccosi animo, mi diss fe: Signore, yorrei vedervi allegro, comc debbono essere i spost ; fe poffo io sollevarvi in cosa alcuna , eccomi pronta': comandatemi, ed indirizzatemi che non ricoferò di obbedirvi . Mi senti a tale corcese offerta immediatamente giubilare il cuore, e le rispoli con faccia ilare : Signora viringrazio delle obliganti esibizioni, che voi mi fate, u vi afficuro , che me nc prcvalerò, avendomi molto sollevato con questo voftro -corcese parlare : E guitai immediatamente di quella confolazione registrata nell'Ecclesiastico al 26. Gratia mulieris -Sedula delectabit virum fuum, copaiba ljus impinguabit .  Sem.  6  [ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse entrata in sospetto , che voi non l'aveste amata?  Pub. Questo non poteva crederlo perche, come diffi , la rispettava, cd onorava con particolare artenzione ; cd essendo ella prudente, ben fi avvedeva, che della sua persona era sodisfattiffimo;  sospettava bensì, come mi riferi dipoi, il che da altre cagioni ciò veniffc ; u  con bel modo tanto fè, che alla fine un i giorno, dapoi avere presa meco confia  denza maggiore , interrogandomi sopra ciò, seppe da me la cagione de' mici turbati penfiori ; cioè : che questi dcrivavano dal timore, che io aveva di non cffere ancor baltantemente capace di cducare bene i figliuoli, e di non sapere mantenere fino alla morte il reciproco affetto coniugale a quel segno, che fi dovea .  ! Sem. Che rispofe ella?  Pub. Con volto ilare mi replicò, che a questo dovea anch'effa contribuire la sua parte , ic perciò ca ayefli pur deposto la metà di detti pensieri , ch'erano tuoi.  Sem.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se vi aveffe risposto ; penfiamo ora a darci bel tempo : figliuoli non po abbiamo quando quefti nasceranno Gi farà, come li potrà, non ci contriftiamo ora di quello, che non è presente.  Pub. Non fi parlava così in quei rempi, ne' quali il divertimento non erao anche divenuto affare creduto rilevan. te, ed essenziale, che richiede sfe giornata intera ; era bensì creduco effenziale il provedere quanto faceva d'uopo, ed il prevedere ciocche poteva fuccca dere. ... Sem. Vi manrenne la parola data di sollevarvi , quando sopravenne il bisagno  Pub. Fè anche di vantaggio, pofcix che fcoperto ch'ebbi il suo buon animo, un giorno così le parlai: Signora mia, voglio, che camminiamo di buon conia certo in reggere la casa ; abbiamo tansto assegnamiento, che può bastare as Amantenerci nel nostro stato decorosamente ; pofliamo tenere tre fervitori, due per lei, ed uno per mc , una ser  [ocr errors] vente, ed una matrona, ed avere la  noftra carrozza, che serve ad ambiduc; of dividiamo ora l'incumbenza: voi pen+ ferere alla tavola, alle biancherie, ed  io al rimanente ; dell'esazioni voglio  ne fiare anche voi consapevole per vom  ftro governo ; ficcome ancora dell'esi-  to, per caminare di buon concerto tra  noi nello spendere: debiti non voglio  ne facciamo, nè avanzi considerabili  fino a tanto, che abbiamo l'assegnamen.  to fiffo , c non amministriamo tutte le  rendite; e basterà , che solamente po-  niamo da parte ogni anno qualche cosa,  per fupplire alle stagioni fterili, alle ri-  tardate rescoffioni, ed alle spese straor-  dinarie, per non ritrovarci allora bilo-  gnosi di danaro : All'educazione de' fi-  gliuoli penseremo concordemente, al-  lorche Iddio li manderà.   Sem. Ed essa accettò queste brighe ?    Pub. Anziche mi ringraziò ; mo-  strandofi contentissima, per averla po-  fta a parte del governo.    Sem. E se aveffc risposto; io non vo- glio ingerirmi in questo affare ; pensateci voi, col maestro di casa; perche non voglio prendermi questo tedio?  Pub. Sarebbe stata troppo ardıca simile risposta in quei tempi, ne quali crano molto rispettati dalle mogli i mariti , contentandoli vivere subordinate ad effi , e non succedca già come dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulier si primatum babeat , contruria eft viro fuo; perche qucfta maggioranza non la godevano.  Sem. Mà come riusciva in quelle cose , che le toccavano di fare?  Pub. A maraviglia bene; posciache aveva la matrona , ch'era donna savia, e consigliandosi con essa lei, divenne in breve tempo espertisfima in tutte quelle cose, che le appartenevano.  Sem. Chi potrà trovare oggidi quefta matrona non costumandosi più tal servigio ? e poi quando anche si trovassc, diventerei ridicolo, se prendesi, per servire mia moglie, la matrona .  Pub. Perche ridicolo? forse che fa. rebbe cosa mal fatta?  Som.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. Non dico mal facta , mà effendo in disufo , farebbe segnato a dito, chi l'introduceffe.  Pub. Mà da chi? forse da' savj, u prudenti?  Sem. Non credo da questi ; mà bensi da tutti quelli, che non costumano te. nerla.  Pub. Or io di questi non mi prendcrei soggezione alcuna; mi dispiacereb. be bensì , che i savj biasimassero le mie operazioni ; imperciocche possono farvi altro dispetto costoro,che non son savj, che di non conversare con esso voi? E che perdita da ciò riceverefte? ogni qual volta questo provenga, non per cagione di cosa malfatta, mà più tosto decorosa, ed onesta, che sono vantag. giose per voi ; nel qual caso efli li renderebbero meritevoli della censura de' savj. Io vi poffo ingenuamente confessare, che se non fosse stata in cafa mia la matrona, che avesse indirizato da pria. cipio la mia consorte , non averci già goduta quella tranquillità di animo fpe  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] rimentata fino al presente; posciacche questa matrona essendo nata civilmente, e così ancora trattata da me, dando alla mia conforte buoni conligli, la istruiva ottimamente, e perciò non vi è stata occasione alcuna di discordie tra noi; il che non sarebbe già seguito, se fi fosse configliata con qualche donnas ordinaria, e giovane, da cui facilmente pellimi consigli averebbe ricavati.  Sem. Questa matrona itava al fervia gio attuale?  Pub. Quantunque fosse falariata, era però distinta dall'altra donna, che mi serviva, e faceva molce cofe spontaneamente di più di quelle, che le toccavano, per l'amore, che portava alla casa, ove sperava terminare i suoi giorni; non costumandofi licenziare queste , fe non per cagioni assai gravi, le quali raro volte accadevano ; e quando la Signora partoriva , essendo pratichisimas; non li può esprimere , che aflistenza le prestava in tutto quello, lc occorreva ; ed in tempo di malattie cra singola  re;  2  re; oltre di che nell'educare bene i figliuoli, e le femine in ispecie, cra mol. to eccellente, sapendosi far amare, a rispettare insieme: or vedere voi quali danni ha apportato privarsi di effe.  Sem. Mà perche è stato dismesso si buon fervigio ?  Pub. Io precisamente non lo sò, può essere, che sia noto a Mecenate.  Moc. Io ho udito riferire più voltes che queste volessero fare troppo lezelaati, e perciò fi fia verificato in esse la favola di Efopo, ove parla del trattata di accordo fatto tra il lupo, e la pecor ra,contro la soverchia custodia de' cani; e per verità, vi erano alcune, di esse, che facevano la guardia alle figliuolo più di quello , che facciano i cani alle pecore; -mà questo non era motivo fufficiente per dismettere un servigio cotanto utile al decoro, ed onestà dellas casa, conosciuto ciò, anche da Tibullo quantunque molto lascivo, mentre egli consigliò: At tu cafto precor maneas, fanétique pue  Aft  [ocr errors] dorisa  N3  Affideat cuftos fedula femper anus .  Sem. Come regalavate, Publio, fperso la vostra sposa?  :- Pub. Oltre le mancie solite del Natale, e del giorno mio natalizio, che consistevano in dodici piastre per.volta, e quando si riscotevano grosse somme, fempre qualche moneta di oro le davas, perche mi è piaciuto , ch'ella 'manegiafle danari.  Sem. E che ne faceva 279  Pub. Quando arrivava a cumulare la somma di cinquanta scudi , creava un cenfo, e la metà del frutcabo di effo dispensava a poveri, c fi verificava in lei ciò, che dice Salomone delle donne savie: Manum fuam aperuit sinopi , & palmias suas extendit ad pauperem , dell'altra si serviva per vestirdi:. ;1  Sem. E le fpilte non se l'era riservate ne' capicoli matrimoniali? LifPubi Questo non costumava allora... non facendofi tanto consumo di effe,come 'oggidì, che liveste alla moda .  Sem. Eche a non fi vertiva alla moda in quel temposPub. Si vestiva all'usanza propria det [ paese, quale era di non cangiare sì di  sovente, quella , che correva.  Sem. Non è questa la vera moda, mà bensì quella, che oggi si porta da paeli stranieri, ed indi a pochi meli, venen, done un'altra, la prima non si usa più , perche le ultiine sono quelle , che dilectano, ed appagano gli occhi .  Pub.E degli abiti di vecchia moda anche in buono essere che fe ne fa?  Sem. Si esitano a quel prezzo, che fi trova, e con discapito grandissimo,  Pub. Come costa questo vestire all? ultima moda , perche io, che vivo all antica, non ne sono in formato ?  Sem. Costa assai per verità, essendo che bisogna pagare sempre di più del suo valore quel drappo di nuova moda; mà ad alcuni ciò non da fastidio, perche i mercanti sono cosi cortesi', che lo danno in credenza. ti ''p  Pub. Questa , per parlarvi con tutta fincerità, mi pare la vera moda diandare in malora; perche estendo sì cari,  Conf. 8. Dec. prima ed il mercante volendo alla fine essere pagato, che si farà allora , non essendovi danaro per sodisfarlo?  Mec. Si mucerà paese, e per verità quando questa nuova moda non era tanto in uso non si vedevano già i galant' uomini , divenuti per essa miserabili, nè mutare paese, essendo per loro poco sicuro quello, ove vestirono a tutta moda.  Sem. Con chi coversava la vostra fposa ?  ? ? Pub. Con i suoi parenti più proflimi , li quali in giorni festivi, in occasione di male , ò di altri bisogni venivano as visitarci, ed altresì noi con effi loro facevamo.  Sem. Ma non recavano noja fimili conversazioni  Pub. Anzi erano di sollievo grandislimo; essendoche i capi di casa fi ritiravano in disparte a difcorrere fopra gť iatereffi domestici; consigliandosi tras loro, per meglio regolarti, nel far colcivare la campagna, ne irinvestimenti  da  da farsi, e nel governo economico della casa : le donne poi colli ragazzi, ftavano divertendosi tra loro.  Sem. Ed in che?  Pub. Nel domandare , che profitto facevano i figliuoli,che belli premj avevano avuti da loro maestri, e come fi portavano le figliuole ne' loro lavori, i quali bene spesso portavano seco queste, per farli vedere ; e ciò serviva per  eccitar emulazione tra elli a portarli meglio in avvenire, lodandosi, e premiandos ancora chi s'era portato benc.  Sem. In detto tempo a costumavad giocare?  Pub. Questo non fi faceva , eccettuato, che in tempo di carnevalc.  Sem. Si giocava alle ombre in detto tempo?  Pub. Questo si costumava ; posciache ove si giocava, non vi era Sole .  Sem. Voglio intendere colle carte di fpade , bastoni , coppe, e danari.  Pub. Queste ne pur si conoscevano in quel tempo da esse, e se l'avessero co  no  [ocr errors] nosciute', non averebbero giocato con carre tantó-misteriose, le quali fanno vedere , che le spade, i bastoni, e le coppe , malamente adoperate consumano tutto il danaro ,  .. Sim. Ele conedie li udivano allora?  Pub. Queste erano frequentare', ò'da curiofi forestieri, è da paesani ožiofi per  alcro le donne se n'altenevano ; e se non era più, che qualche rappresentazione facra, fatta di giorno, avevano rossore di comparirvi.  Sem. Eli passeggi si costumavano ins quel tempo?  Pub. Passeggiavano ancora, mà per essercitare iutto il corpo a beneficio della salute , non già come si fa oggidi, per 'indolirli folamente la schiena , a cagione di tanti inchini, che Gi fanno, fenza muovere un paffo.  Sem. Lecafe, come erano bene a dobbate  Pub. Asai meglio', che non sono adesso, rimirandovisi appcfi nelle pareti di effe akuni quadri di carte', ches  er  [ocr errors][ocr errors] ga in  erano le piante delle tenute, che si possedevano,dalle quali & ricavava groffi ffimo frutto, ed allora non vi era tanto luffo; poiche loro, ch'oggidì s'impie  in apparenze superflue d'indorature, e nelle vanità alla moda, fi ipendeva in quei tempi assai meglio in compre diterreni, e di alcre cose fructifere. Ne si commettevano già furti di piatti, fottocoppe , bacili, candelieri, ed altri vali di argento ; perche questi allora. erano. assai meglio custoditi ; effendo pochi elli, che gli aveano, e perciò di rado ancora venivano adoperati. -Sem. Sapete Mecenate, che mi crovo confuso a cagione di questo racconto fatró da Publio, riflettendo a ciò, che sarebbe più utile , mà non lo potrò seguitare, per il diverso costume introdotto oggidi ; e dichiarandomi volere vivcre così, non troverò moglie; dall' altro canto a seguitare il modo, che si tiene, sono arrivato a comprendere , che è molto dannoso per cutti i verfi. Dunque che dovrò fare?Mec. Di non isbigottirvi punto per qucsto. Scegliete voi il modo, che credece migliore, e dichiaratevi pure apertamence , che questo volete seguitare e troverete ciò non oftante moglie, u forse senza d'uopo di ricercare tanto al minuto il costume; posciache quelles giovane,che si contenterà di essere tratcata in questa guisa , sarà certamente fac via, e bene accostumata .  Sem. Mà se le altre non la vorranno trattare per non seguitare ciocche effe fanno, come si troverà ?  Mec. Che pregiudizio risulterà a voi & ad effa da questo, che farebbe la voftra fortuna? anzi voi medelimo lo do. vreste procurare, affinche non la deviaf. sero dai suoi doveri.  Sem. Or io così farò, e dica ogn'uno ciocche vuole ; perche hò uditi molti mariti sospirare frequentemente; da che provenisse questo, non lo só precisamente, sò bene, che senza cordoglio non ti sospira . Or ditemi , che altro doverò fare per mantenerla costante nel  fuo  [ocr errors] suo buon costume ?  Pub. Nun altro, che di non darle al. cun mal'esempio, e di tenerla continuamente occupata in devozioni ; affari do. mestici; e nell'educazione de' figliuoli; perche la vita oziosa è pessima, dicenda l'Ecclefiaftico: Mitte illum in operationem, ne vacet; multam enim malitiam docuit otiofitas .  Sem. Come mi dovrò contenere intorno alla devozione?  Pub. Le darete in questo voi huono esempio ,' conforme richiede l'obligo voltro ; imperciocche tanto io , quanto la mia conforte cravamo favoriti dal medesimo direttore spirituale , c trequentavamo sovvente le nostre devozioni ; la sera poi colli figliuoli, e servitù fi recitavano alcune preci, e li leggevano anco libri fruttuosi per l'anima, ed in oltre da noi si sovvenivano bene spelso i poveri, e da ciò ne hò ricavato quel bene, che si trova registrato nell'Ecclefiaftico : Mulieris bona beatus Vir, numerus enim annorum illius duplex .  Sen.  .  Sem. In che altri affari domestici la tenevate occupata ?  Pub. Effendomi avveduto , ch'aveya desiderio di copiosa biancheria , ordinavo, che fossero proveduti nelle fiere canape, lini , e cottone, é veden. dole si rallegrava molto, e li faceva filare, e reffere a suo modo; e ciò per verità la teneva impiegata qualche ora del giorno , ingegnandosi ancor essa di filare , ò d'inaspare; e facendosi le bucate in casa, rinnacciava a maraviglia , quanto ne aveva bisogno, affieme colla matrona ; ed io rimirandola cosi diligente ne godevo fommamente, vedendo verificarsi in essa quella condizione ancora di donna saggia, descritta da Salomone: Quafivir lanam, d linum, operara eft confilio manuum suarum.  Sem. La conducevate in Villa?  Pub. In certe belle giornate lo praticavo; anzi che le faceva vedere le nostre tenute, e tutti quegli stabili, che la casa godeva in campagna, con istuirla ancora, sopra quello che si poteva  fars  [ocr errors] fare di van aggio, per renderli più frutriferi; sopra di che ne ricercavo ancora il suo parere, da poi che la vidi ben, informata di tutto  Sem. E qual bisogno avevate di configlio donnescovoi, che fiece sì esperto in tali affari?  Pub. Il prendere consiglio giova agli inesperti, e non pregiudica mai a i pratici; e poi sapere voi il mio fine qual’ era:che, se Iddio mi avesse chiamato a se prima di essa fosse riinasta informata. di tutte le cose: e sappiate, che le povere vedove sono gabbate da loro miniftri, quando non si trovano informace degl'interessi domestici; il che non legue già allorche fanno ciò, che debbas farsi. Ne crediate già , che sia cosa im, propria alle donne d'essere informate della campagna, ponendo tra le condizioni di saggia donna Salomone anche questa : Consideravit agrum, a emis eum: De fructu manuum fuarum planiavit vineam. Sem. Nell'educazione de' figliuoli,  che  [ocr errors] che diligenze usavate  Pub. Eravamo tanto io, quanto essas attentiffimi a tutte le loro operazioni, per poterli di ogni minimo difetto correggere da principio; eflendo che le piante velenose fi svellano alla primas con facilità grande dalla terra,mà allorche sono ben radicate v'è d'uopo di maggiore facica. E riflettendo che tanto si fà, e quanta industria si pones per ridurre docile un cavallo da maneggio, mi pare che questa sia più necessaria d'impiegarla a pro de' figliuoli, da quali vantaggi maggiori si ritraggono senza fallo, che da cavalli .  Sem. Come viriusciva facile il correggerli?  Pub. Per verità facilisimo, perche erano docili ; e questo beneficio l'hò riconosciuto dal buon naturale della madre, il qual passò anche ne' figliuoli; scorgendoli bene spesso all'opposto i vizj de genitori paffare ne' figliuoli  ancora.  Sem. Quale induftria usavate nel di. riggerli ?un canto viera l'altarino con tutti li suoi  Pub. La prima fu d'istruirli nella pie-*** Tu tà cristiana, e d'insinuarla bene ne'lo. si ro cuori ; primieramente col buono  esempio, e poi colle parole; ed era vely ramente di consolazione grande il vede  re quei figliuolini attenti, e divoti nel fare orazioni ; e di poi, per meglio afficurarmi delle loro naturali inclinazioni, aveva fatto preparare per divertirli varie cose in una stanza spartata , ove in  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] arneli; sin altro l'armariuccio con certe armi di legno tinte, che sembravano di ferro ; vi erano ancora in altra parte din versi giocarelli puerili, ed altrove qual che libretto in una picciola scanzia ; c nelle ore di recreazione li conducevo ivi, affinche si divertisfero. Quei ch'erano portati dal genio all'Ecclefiaftico, correvano alla prima all'altarino, el ornavano in quella forma į che l'ayeano veduto in chiesa; e ciò serviva per renderli maggiormente attenti alla devozione: altri poi secondo le loro incli  O  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] na.  nazioni si divertiyano, coi libri, è   colle armi,e di rado alcuni di efli li spas,   favano co i giocarelli; e stava attentifli-   mo osservando quelli, che persevera-   vano nel medesimo genio ; perche con-   forme averete ancora voi osservato, non   è fempre uniforme l'inclinazione de’ra-   gazzi, e mi sono finalmente accertato ,  che quelli, ove il genio li portava ,  sono stabiliti in esso divenuti adulti,col-  tivava però sempre le loro inclinazioni,  vedendole disposte al buono.  1 Mec. Gli Archieli foleano condurre   i loro figliuoli ad una fiera, per com-   prendere i loro genj, e quei, che ve-  deano desiderosi di provederli de' libri,   li mandavano all'Accademia, quei poi ,   che aveano compiacimento a rimirare   le armi, li deftinavano   per       la   guerra Sem. E le figliuole, che facevano ?  Pub. In altra ftanza fi syariavano,afliftite ò dalla Madre,ò dalla Matrona,ove erano coscinetti, per commodo das cucire ; ferri da fare calzette, piccio.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Dell'Elezione della Mog. arr le conocchie, ecommode per filare ; e diverse pupazzine vestite, ò da spose , ò da monache ; ed ivi ancora chi affifteva loro', fcorgeva Vinclinazio ni, ch'avevano", rimirando a’ quali di queste cose le portava il genio ; ed in fatti quella, che si fè monaca, non si divertiva in altro, che in ispogliare, e rivestire la sua pupazzetta in abito da monaca, e l'altra, che prendette marito , sempre giocolava colla sua pupazzetta vestira da sposa .  Sem. Felice coppia! non saprei anch' io abbattermi in simile compagnia.  Pub. La troverete anche voi cercandola, perche non è già estinta nel mondo la razza di quelle di cui parlò l'Ecclesiastico al caj. 26. Mulier fortis obleEtat virum fuum, de annos vitæ illius in pace implebit.  Sem. Sì bene, mà se per mia sventura m'incontrafí in una , che non fosse così buona; che doverò fare in sal caso ? Meca, L'esaminereino nella venturas  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] conferenza, nella quale meglio anche apprenderete il modo, che dovrete tenere in, fare perseverare la buona, co(tante nel suo lodevole costume avendola scelta per vostra conforte,  CON,  the  te  CONFERENZ A IX.  [ocr errors] Come si debbano regolare i faggi    mariti con le mogli imprudenti,   e viziofe.  Publio , Mecenate , Sempronio ,  & Medico  Pub.  O, ch' hò navigato lungo tempo per questo vasto Oceano degli ammogliati, posso servire di  fida scorta a voi,che doyete entrarvi. Le maffime principali, che dovrete tenere sono queste : primieramente di operare più col buono esempio, che con semplici parole, confessando Platone, ed Aristocile che maggiore profitto fi ricavava da ciò, che si vedeva fare a Socrate, che da' suoi morali documenci. Quindi è, che'Plutarco ne' suoi ammaestramenti matrimoniali ebbe a dire: che non preten. da il marito di far divenire la moglie buona economa , s'egli coll'esempio non le mostrerà efferlo anch'effo : onde non recherà maraviglia, ciocche diffos Ovidio. Dum fuit Artrides una contentus ,  illa, Caffà fuit , vitio eft improba fuftaus  viri. Mec. L'esempio però di Socrate appresso la sua moglie Santippe nulla giovava,  Pub. Sapete perche ? Si abbatte il una donna talmente pazza, che dovea più tosto essere legata colle catene, che ammonita con esempi, e parole : mà di questo ne parleremo a suo tempo. Or proseguendo il mio discorso; in secondo luogo deesi togliere ogn'occasione, che possa farle cambiare di buona in cattiva, perciocche quantunque ottima da principio, per trascuraggine del marito può divenire peffima, ed in che  mo  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] modo uditelo da Euripide.    Sed nunquam nunquam [ neque enim,       femel dicam  Oportet prudentes, quibus eft uxor,  Ad uxorem in domibus accedere finere  Mulieres, ipfæ enim præceptores funt         malorum.  E che più ! Levina donna da principio  caftiffima per   la libertà, che le diede suo marito di andare vagando per il mondo , quanto , quanto si mutaffe  mutasse , sentitelo da questo Épigramma. Cafta , nec antiquis cedens Levina Sa        binis,  Et quamvis tetrico triftior ipsa viro,  Dum modo Lucrino , modò fe permitrit       Averno,  Et dum Bajanis fæpè fovetur aquis,  Incidit in flammam, juvenemque fe-          quuta , relicto     Conjuge, Penelopes venit, abiit Helena.  E d'onde ciò avvenne, se non dalla li.  bertà, che le diede il marito ? Nè Mef-  salina averebbe già commessa quella sì  enorme scelleragine di sposarli con Silio   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] publicamente, e nel palazzo imperia, le , fe Claudio Imperatore l'avesse condotta seco ad Oftia; del qualc attentato parlandone Tacito arrivò a dire : laborabit annalium fides; c credete forse , che se Ottone non avesse lodata a quel segno la bellezza di Poppea Sabina sua moglie alla presenza di Ncrone, glie l' averebbe tolta ? non già ; ma il pazzo arrivando a dire, nel levarsi dalla menfa dell'Imperatore, che se ne andavas lieto a trovare sua moglic stupore di bellezza, a lui solo concedura, e desiderata da tanti, e volete chc Nerone, udendolo non s'invaghisse di essa ?  Sem. Averanno forse da tenerli chiu. se le mogli per far verificare, ciocche disse il Satirico ? Pone feram choibe , fed quis custodiet  ipfos Custodesē cauta eft, & ab ipfis inci  pit uxor. Pub. Io non intendo dire questo, mà folamente di trattarle, come diffe Tacito del popolo Romano , che: nec tam,  tam  [ocr errors][ocr errors] fam feruitutem pati poteft, nec totam libertatem , cioè colla misura di mezo, discreta, e giudiziola e finalmente conviene compatire molte leggiere debolezze di effe con non farne calo, di quelle particolarmente, ove non si scorge malizia, e cattivo fine ; ¢ quando mai vi fosse d'uopo di rimedio, non dee questo darsele in publico, nè con istrepito contenzioso, e riflettere a ciò, che dice Plutarco; che Venere fù collocata dagli antichi vicino a Mercurio, affinche con arte, ed avvedurezza , e non con violenza in tali faccende li procedesse ; e lasciando il profano da parte, vediamo che rispetto avesse a sua moglie il nostro primo padre Adaino : dipoi di avere detto, ch'era una porzione di se medesimo; cioè: cara de carne mea; soggiunse « quamobrem relinquer bomo patrem fuum , & matrem, &adbarebit ukuri sud, do crunt duo in carne una Gen. cap. 2.  Sem. Questo però mi reca gran tercore, perche se Adamo trattò così bere  sua  :  sua mnoglie, ed erano nel Paradiso terrestre ; ne- ella poteva essere stata crea . ta da mano più perfetta , contuttociò ingannò suo marito a segno , che tutti noi ce ne risentiamo, che farà dunque una figliuola di essa in questo mondo?  Pub. Fu fedotta però dal serpente, allorche Adamo dormiva, onde apprendetene dà ciò questo documento: di non dormire, quando vi sia il serpente, che tenti sedurre voftra moglie.  Sem. Mà qual serpente ci sarebbe, se io sposarsi una giovane, che da zitellas aveffe dato sempre saggio di somma mo. deftia ; ed appena entrata in casa mias, cominciasse a dire ; voglio un'altro abito alla nuova moda: queste gioje non; sono legate all'usanza; voglio lo scarabattolo, come hanno le altre mie  pari; qual ferpente la tenterebbe in questo caso, per farla parlare in tal guisa ?  Pub. Sarebbero due non che un fojo, li serpenti; cioè l'eccessiva vanità, e l'ambizione proprie ò insinuate,e quefti converrebbe scacciarli,er.  [ocr errors] Sem. Ed in che modo?  Pub. Voi averece già scelta la giova. CH  ne nata da? savj, e discreti parenti, and mutt  quali avrete facilmente manifeftato l'animo voftro , in che forma la vorretes trattare; accordandomi ciò, mi pare, cosa quasi impossibile, che una giovane  ben'educara possa alla prima avanzarsi Q  a domandare imperiosamente ciocche be brama ; se pure non sarà stata mal con  figliata; da qualch’una poco prudente, i  onde per ovviare questo, converrà , che alla prima stiate attento di non farlas trattare , se non con quelle, che voiconoscerere savie, e prudenti, delle quali potrete essere sicuro, che non sarà configliata a questo; ò pure se voi medelimo nolle darete mal'esempio ; conforme a questo proposito avvertiscePlutarco, ne? suoi precetti matrimoniali, oye dice'; vir corporis ftudiofus, uxorem reddit la  sciviori cultui deditam ; voluptuofus amas, toriam, & libidinofam ; boni , honestique  amator , modeftam , & honeftam: E sog. giugae di vantaggio; nè putes à super,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] mo,  fuis , profusifque fumptibus uxorem temperaturam ; fi te ad hæc omnia minimè contemnentem confpiciat', quin potiùs auratis poculis , pietifqae cubiculis, mulorum, & equorum phaleris gaudentem videat ; non enim fieri poteft, ut à mulieribus luxus removeatur, quo viri circumfluunt . Sem. Mà come farà praticabile il pri  se terrà visite publichce ove ogn' una farà a gara di comparire con mag . gior pompa dell'alere?  Pub. Se conoscerete, ch'ella abbias la prudenza della moglie di Focione, di cui già parlammo, permetteteglielo pure liberamente; perche farà della natura di quella , di cui parla l’Ecclefiaftico al cap. 26. Mulier fenfata, tacita non eft immutatio eruditæ animæ : mà per al. fro, se non farà di tal senno vi porrete ad evidente cimento di essere forzato a tractarla meglio delle altre , e con pompa maggiore, per esfere sposa novella.  Sem. Ma queste non si potranno fuggire; imperciocche lo potrebbero incon  fra:  [ocr errors] trare inimicizie, ricusa adofi ; ò per la a meno li darebbe moito da dire à tuttaa la città.  Pub. Se non si potranno fugire, e voi  permettetele.  [ocr errors] Sem. Mà facendolo poi bisognerà , che seguiti ciocche praticano le altre.  Pub. Non è da porsi in dubio.  Sem. Consigliacemi dụnque, che dovrò fare.  Pub. Non mi dà l'animo.  Sem. E perche ?   Pub. Perche scorgo più volonterolo voi di queste visite, di quello che sarà la voftra sposa, compiacendovi forse, che si vedano le vostre grandezze, e sono molti del vostro genio', che mostrano in apparenza dispiacimento di tal cosa, che internamente con ardenza la bra. mano; e fanno come diffe Tacito di Ti. berio : Specie recufantis vebementiffime cupiebat.  Sem. Mà è possibile, che non ci siad mezo termine per isfuggire queste prime vifte, senza che rimanga alcuno disgutaco?  Pub.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] Pub. Si potrebbe questo trovare,ogni qualvolta però non abbiate voi compia. çimento di averle. di Sem. E questo quale sarebbe?  Pub. Di condurre la vostra sposa fuofi della città in distanza tale, che non rioscisse facile alle altre di venirla a visitare.  Sem. E chi sà, se la sposa fi contentasse di questo?  Pub. Non vi contenterete voi ; perciocche una giovane bene accostumatas farà ciocche vorrete : toccate voi ora colle mani, che i mariti sono per lo più arrefici delle loro ruine, e non le povere mogli.  Sem. Mà andando fuori, e poi tornando , faremo nei medefimi termini di prima, rispetto à queste visite :  Pub. Così credo anch'io ; pofciache vorrete fodisfare allora al desiderio,che avere di riceverle; mà udite di grazias, ciò che ne potrebbe nascere di buono da questa vostra lontananza dalla città : Che intanto voi col vostro giudizio po  tre  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] trefte istradarla in modo , che non sarà  poi facile, che diça , qucsto voglio, po:  sciache le potrete far ben conoscere i  precipizi , che nascono dall'ecceffivo  lusso, ed i danni, che apporta l'ambi,  zione;ed averefte inoltre in quelto men.  tre, che dimorerete in villa , tempo op:  portuno d'istruirla ancora nella buona  economia, la quale è l'unico antidoto  contro la prodiga vanità.     Sem. Insegnatemi dunque, che dovrò  fare fin tanto che staremo in villa?   Pub. Contratto, che averete trà voi quel santo amore conjugale, le farete comprendere, che guadagno abbia recato alla vostra casa l'efferyi portaticolà, e che per farle conoscere , che voi non l'avete fatto già per avarizia , ma per esimervi bensì dalle confuloni, u disturbi, che nascono da tante visite, e rivisite, che si costumano, donare ad effa la metà di detta somma avanzatas; affinche ne faccia una soccita di animali, ò la rinvesta a suo piacere, c commodo, e procurerete , che facendosi detta foccita, non abbia questa disgrazia alcuna per più anni, con foggiacere voi as quei discapiti, che l'inclemenza delle Stagioni potrebbero apportarle, e vedrete in atto pratico y qual amore effa. porrà all'economia. Le prime impresfioni sono quelle , le quali radicateli negli animi foftri tanto del bene', quanto del male, difficilmente fi cancellano più, mentre che,  Quo fuerit imbut a recens feruabir odo  rem  Tefta diu.  Sem. Questo mi piace affaislimo; perche mi concilierà l'amore di essa, edonerò senza fare discapito alcuno ; mentre ciocche dono, rimane in cafa; mi farebbe discaro bensì, quando andaffe in börfá de mercanti: Mà se in progrefso di tempo desiderasse qualche abito , come mi dovrò regolare?  Pub. Dovrete invigilare di provederla preventivamente di ciocche è necefsario al decente ornato, secondo il voItro grado ; affinche non sia forzatas  [ocr errors] chiedervi cosa alcuna .  Sem. Mà se ciò non ostante lo facesse, hò da negarglielo?  Pub. Se voi la scorgerete attaccatas, al danaro non glielo negate , questo si, che in vece di spendere voi, date la moneta ad ella, acciocche la spenda a suo modo,  Mec. A questo proposito posso riferire un caso accaduto. Venne voglia ad una donna civile di farsi una certa scuffia alla moda; il di lei marito, ch' era accorto , non glie la negò; ben è vero,  che le diede il danaro nuovo di zecca per farsela ; ella cominciò à con, tare, e ricontare dette monete, li le parvero assai belle, e perciò non  s’induceva à spenderle ; le domandò į egli pallato qualche tempo, se fi cras  ancora fatça la scuffia; cui rispose, che non aveva potuto trovare cosa appropo.  fito; le replicò : fatela quando vi piaci ce, perche il danaro è vostro, e se lo Ha volere impiegare in altro, fate voi; mà ella non lo spese già per goderselo.  P  Sem :  [ocr errors] le qua  [ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse liberale ; che non fa. ceffe conto del danaro ?  Meo. In questo caso pariinente non mostrare renitenza in sodisfarla ; dite bensì, che commetterete fuori, e farété venire merletti più belli, e più alla moda di quei, che sono in città; perche intanto, ò le passerà la voglia di farsela, ò si murerà la moda , come si vede giornalmente accadere, e potrebbe anche darli il caso, che un giorno fi rendeffe capace di ciocche disse Crate, Filosofo : che ornamentum eft, quod orhaf:ornat autem quod mulierem boneftiorem reddit. Quindi è, che secondo quel detto greco :  Mulieri ornamentum mores, e non  [ocr errors] durum  Sem. E se le venisse tentazione di porfi qualche manteca nel viso, per comparire più vaga?  Pub.Ciò non dovrete tolerarlo in conto alcuno riso.it  Sem. Che averò da fare? sgridarlas .forse, e mortificarla inleme  Pub.  [ocr errors] fa  Pub. Questo poi nd; pofciache me. no verrece seco alle brutte, meglio semnot pre farà per voi, ed affinche possiate di in ciò regolarvi con prudenza, vi rifeac rirò per convincerle dolcemente, cioc  che dice Zenofonte nell'economico, ch' è questo: Die mihi uxor, nonne hisce legibus matrimonium inivimus, ut quod effet utrique faculsatum, invicem communica. remus ? annuit illa . Jam ait , fi poftquam tu tuam portionem bonæ fidei contulifes, ego pro veris gammis fiétitias , prò auro puro, adulterinum darem , prò torquibus aureis vitrum auri bracteis oblitum prò monilibus folidis , ligna 'auro, argen to, incruftamentis obducta, num boni confuleres, aut judicares , me plus tibi contuliffe ; fi talibus technis tibi imponerem, quam fi quod baberem', uti eft in medium conferrem? quod illa excipiens , cave , inquit, ne mibi talis fis , neque enim te ex animo amare pollem; quo audiio ille fic perrexit : atqui nos in hoc potisimum convenimus, ut alter alteri corporum Noftrorum copiam faceremas, quod  P. 2  [ocr errors][ocr errors] h  cum  Pub. Nira maltrattato ?  cum uxor annuiset. Sum ne, inquit , tj bi gratior, aut carior futurus, fi corpins boc, uti eft, nullo medicamento vitiatum Communicem, an fi os,oculofque minio infestos tibi ofculandum preberem? At ego in. quit uxor; minimum nunquam attigerim, neque fucatos oculos gratius, quam tuos afpexerim . Et mihi , ait ille , puta mentem eamdem effe: nec tam mentito (quem tu cerufit, fib:oque inducis) colore delectari, quam tuo nativa. Quo tam commado fermone caftigata mulier abjecit omnia tectoria, formaque medicamenta . Onde di questo convincentissimo ragionamento vi potrete anche voi prevalere per ridurla a suoi doveri, senza contendere seco,  Sem. E se diveniffe fastidiosa, iraconda, e garrula, che dovrò fare?  Pub. Tutto l'opposto di quello , che farà lei, imperciocche altrimenti sarà la. casa vostra un continuo inferno.  Sem. Come si potrà praticare questo  Pub. Non vi potrà fare mai peggio di uxor.  unda ,  quello, che faceva Santippe a Socrate,  e pure la sopportava , come viene dea  scritto da Bigo poeta :              Ferendum eft  Socratis exemplo quodcumque peregerit  Xantippen, fiquidem convitia multas       moventem ,  Cum blando argueret, fædatus defuper  Nil nifi deterso, poft tanta tonitrua,   dixit Vertice, se pluviam non ignorante se  quutang Sem. Bisognerebb’essere però Socrate per sopportare tanta ingiuria .  Pub. Cominciando ad operare da Socrate potreste anche voi divenire simile ad esso ; posciache interrogato per qual cagion'cgli sopportava tanti strapazzi ricevuti dalla sua insolente moglie, rifpofe : Cum illam domi talem perpetior , infuefco, dw exerceor ,'ut ceterorum quoque foras patulantiam, et injuriam facia liùs feram; laonde con sopportare l'in  giu  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] P 3  [ocr errors] giurie della vostra moglie, diverreste Socrate anche voi.  Sem. Mà se fosse altera , ambiziosa di commandare, e non volesse fare ciocche dal marito le veniffe ordinato  Pub. Socrate sopportava questo ancora ..  Sem. Mà voi, Mecenate, che non fieţe Socrare, che fareste?  Mec. Vi posso riferire ciocche fecero alcuni in fimili casi, e con profitto . Vi fu una certa vedova, cui erano morti trè mariti, a cagione dei gran disgusti dati loro da essa ; non trovava questas più alcuno, che la volesse prendere per moglie, un giovane alla fine, sapendo ch'era divenuta inolto ricca la volle sposare ; mà cosa fè questi ? ordinò, che fosse trovato il cavallo più indomito, che fosse nella città, con ordinare al fuo cocchiero, che nella mattina feguente alle sue nozze lo avesse fatto andare furiosamente per il cortile del suo palazzo, e che avesse di poi eseguito puntualmente ciocche da esso gli fareb,  be  1  be stato comandato; in quella macci  na il cavallo fè furie grandi ; venne cuole riosità alla sposa di vedere da che pro  cedesse quel gran rumore, che udivano in  si affacciò alla feneftra, e nel medesimo tempo ancora vi accorse lo sposo, il quale domandò al cocchiero , la cagione di ciò, cui rispose : Signore, è unas beftia, che non si può domare, e perciò ogni giorno farà il medesimo; allora egli comandò, che fosse trucidato, conforme crudelmente seguì; la povera sposa rimase attonita da sì risoluto comando, c voltatosi lo sposo verso di effa , le disse : Signora mia, quando le bestie non G poffono domare è necessario di venire à queste risoluzioni : das dovero, che mutò ella modo di vivere, e di leone divenne agnella. Vi fù parimente una moglie assai disobediente,alla quale avendo ordinato il marito, che non fosse uscita di casa ogni giorno, e tornata di  notte,  mà vedendo , che colle buone non ricavava profitto alcupo; udite un giorno quello le fece nel  [ocr errors] P 4  tor  tornare a casa : teneva'pronte le forfici, e le recise i capelli, dipoi le disse : oh adesso andare fuori di casa quando volete, che farete una bella comparsa : sapete  voi, che se ne aftenne, ed in avvenire fu più obediente a suo marito.  Sem. Vedete voi, Publio', che con mostrarsi risentito, si possono anco togliere i difetti donneschi?  Pub. Questi sono casi rariffimi, che felicemente riescano : I più frequenti però fanno vedere il contrario. Nacque una volta competenza tra il Sole e l'Aquilone, a chi di loro fosse riuscito più agevole, a togliere da dosso il mantello ad un viandante : si adoperò con tuttas la sua violenza il secondo, mà, ftringendoselo alla vita chi lo portava , non fu mai possibile farglielo lasciare : cominciò dipoi il Sole, senza usare violenza, a percuoterlo coi suoi continuati raggi ; refiftè egli per qualche spazio di tempo ; mà alla fine & spogliò non solamente del mantello, ma del giuppone ancora; e da questa ápologo.com,  pren:  [ocr errors] i prenderete se riesca più utile la violenob za , ò la piacevolezza continuata per ri  muovere i difetti donneschi : ed Ovidio  che le conosceva bene,così canto:   Define, crede mibi, visin irritare vetado  Obfequio vinces aprius ipfe tuo.   Sem. E se fosse ostinata in non volere cedere mai, mai , allorsì , crederei , che fosse d'uopo prevalera di quel rime  dio contenuto in questi due versi : .. Rendon più frutta donne , afini , e noci  A cbi ver loro ha le mani più atroci .  Pub. E da cui apprendeste, Sempronio, modo sì ingiusto, e villano das trattar le mogli? forse che dall'indiscreto Ercolano Sanese ? il quale, conforme racconta il Dolce nel secondo del. le istituzioni delle donne, avendo comprati certi tordi , mentre li stava mangiando con sua moglie, le diffe ; se aveva mai veduti tordi più grassi di quelli ; vi replicò la moglie ; ch'erano merli, mà , volendole far capire il marito, ch'erano tordi, non fu mai possibile, crsendofi oftinata nella sua falsa credenza;alla fine, dopo le contese, l'Ercolano fi avanzò a percuoterla col bastone, il quale non tolse già la sua pertinacias; posciache in capo all'anno disse al marito, che in quella medesima sera era Itata così malamente trattata per quei maledetti merli, ch'egli diceva essere tordi ; e convennegli fare l'anniversario ancora , con batterla nuovamente, come accadè in molti anni seguenti. Or vedere, che profitto apportano le battiture alle donne pertinaci? Poteva l' Ercolano crederli anche per storni; perche ciò non diminuiva loro già il sapore: mà, se fosse egli stato sotto la censura di Catone, non averebbe certamente commesso fimili attentati; imperciocch'egli voleva, che i mariti, che percuotevano le mogli, foffero puniti col medesimo gastigo, che si dava a coloro,che rubavano nei tempi dei loro Dei, come riferisce Plutarco. ES. Crisosto. mo nella umilia 26. epift. prima D. Pau. li ad Corinthios, così dice: Neque verberandam uxorem dico , abfit: ultima  nam  [ocr errors] 201  [ocr errors][ocr errors] namque ignominia eft non ejus qui verbe-  ratur , fed qui verberat &c. e dipoi ,  vos viros illud admoneo , nullum fit tam  magnum peccatum, quod ad verberan-  dum uxorem vos compellat , per lo che  meritamente cantò il Guazzo:   Offende il Cielose il santo amor discioglie  Quel che con empia man baste la moglie.   Sem. E se si credesse impudica, li ha da fare da Socrate in permetterglielo ?  Pub. Questo poi nò : fi dee bene fare da Socrate in non ingannarsi nel crederla cale, quando non fosse ; perche alle volte la gelosia fà travedere le ombre per corpi; e fa credere, anche le menzogne rapportate da uomini sceleraci per cose vere; ed udite a tale proposito questo prodigioso fatto. Si trovava al servigio di S.Elisabetta Regina di Portogallo un paggio di ottimi costumi, u perciò da effa amato, di cui si prevale  va per suo elemofiniero ; fu questi ca* lunniosamente imputato appreffo al Re  di soverchia confidenza verso la sua pa.  drona, ed anche reciproca di essa verso .  di  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] di lui ; fu data credenza alla calunnia ; onde il Re adirato fè ordinare ad un  fornaciaro, che avesse gettato dentro l'ardente fornace il primo paggio, che nel di seguente gli mandava; comandò dunque all’innocente , che si portafíe colà; mà perche udà sonare la campana di una chiesa, mentre era in viaggio, la sua devozione lo spinse ad andare verso quella parte ove si trattenne in ascoltare più messe qualche spazio di tempo; mà, perche il Reviveva impaziente di udire il successo, ftimò bene inviarvi l'altro paggio calunniatore, il quale, essendo arrivato il primo , conseguì il meritato gastigo, ch'era preparato per l'innocente : ed arrivato poi il secondo portò al Re l'avvifo, di essere ftato ubbidito; e risaputali poscia las cagionedal Re, perche fosse egli indugiato tanto, ben si avvide della sua innocenza, e della giustizia di Dio. Viene riferito dal P. Crodier.  Sem. Mà corne potrò conoscere d'a. vere occafione di dubitarne con fondamento?  Pub  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Se voi per esempio non ufafte a ad  Jei tutta quella fedeltà dovuta , ò pure  se per cafî faceste conversare gioventù in più vistosa di voi, e con tutta libertà;  allorsì forse forse, che, se non fosse più, che la carta Penelope, ne potreste alquanto dubbitare.  Sem. Ed in questo caso, che dovrei fare per correggerla , e gaftigarla ancora bisognando?,  Pub. Bisogna , ch'esaminiamo prima chi foffe il reo principale in questo caso, se voi, ò essa?  Sem. Sarà essa lei , perche io voglio, che sia pudica.  Pub. Voi volere, chefia, e fate ogni possibile, che non lia.  Sem. E come?  Pub. Con darle primieramente mali esmpio col vostro cattivo modo di operare; e poi con darle commodo di fare ciocche ella vuole. Credetemi, Semipronio , che le donne, se non hanno il  cattivo esempio dato loro di mariti, ad ditficilmente s'inducono a far male,  Scn  3  d  Sentite ciocche dice a tale proposito  Euripide,     Stulla quidem fumus mulieres, non       nego,  Cum autem infit hoc animis , peccat ma-   ritus Faftidiens connubia , imitari vult Mulier viruń, co aliui parare ama  fium. Ed operandosi in questa guisa , tutto questo procede per colpa de' mariti, e sentitene ora il parere de' Santi Padri, | S. Agostino così dice , lib. 2. de adult. conjug. Periniquum effe videsur , ut pudicitiam vir ab uxore exigat, cum ipse non exhibeat , ed inoltre dice , ui quales volumus uxores noftras invenire , ipfe nos inveniant , du fi intactam quærimus, intatti fimus ; c Lactanzio, de vero cul. cap. 2 3. Exemplo continentiæ docenda uxor, ut fe caftè gerat , iniquum eft enim, út id exigas, quod ipse præftare non poffis; e poco in appresso, uxorem ejus qui circa corrumpendas alienas uxores occupatur , exemplo ivcitatam, aut imitari se putare,aut vindicare; e l'uomo di Dio Giob  così parla , fi deceptum eft cor meum fue 2 per  per muliere, a fi ad oftium amici mei infi  diatus fum , fcortum alterius fit uxor mea, od fuper illam incurventur alii , e notare  quella parola alii, che denota, che non sarà un solo.  Sem. Ma se per colpa mia non venisse, ed ella fosse sì pazza , che volcsse trau dirini, che dovrò fare? 1 Pub. Questo sarebbe caso rarissimo, s poiche avendola scelta di famiglia ono  rata; non facendole mancare cosa alcu. na, e non dandole veruna occalione di tradirvi, sarebbe una grandiflima ini. quità , fe lo faceffe ; in questo caso dunt. que da principio dovere stare vigilantes alla di lei custodia con fare molte caure diligenze.  Sem. E da che me ne potrò avvedere?  Pub. In primo luogo dal suo affetto til vero, che s'intiepidirà verso di voi, ef  sendo che questo non può portarlo a dụe gel medesimo tempo  Sam.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse finta, come potrò di. stinguere il vero dal fimulato affetto ?  Mec. Con un poco di tempo ve ne av. vedreste beniffino, con dirle, che volete fare un lungo viaggio con essa lei, e cominciando a porre all'ordine ciocche fa di bisogno, per farvi conoscere risoluto ; può essere, che da principio diffimuli, onde se vedrete, che in progresso di tempo ella li contristi, almeno in assenza vostra , credere pure,  che qualche cattivo pensiere le va per las mente, essendo quaGi impollibile , che chi hà simili attacchi, non si rammari. chi allorche dee allontanarsi; e tanto maggiormente, quando non abbia avu. ta in altri tempi repugnanza alcuna di viaggiare .  Sem. Io che dovranno confiftere l'accennate diligenze ?  Pub. Principalmente in vedere, che fidata servicù voi avete in casa ; posciache, se farà al vostro servizio qualcuno bizarro, che faccia spese disorbitanti, di questi non vi fidate punto, che non  ten  [ocr errors] di tenga mano, perche d'onde gli vengoo? no l'entrate da spendere tanto, non ba  stando la sola paga per far queste ? licenziatelo dunque alla prima, e se il ma  le da ciò procedeffe , tal volta potrebbe in questo solamente bastare.In oltre sareb-'.  be anche ben fatto, sospettando voi dela la di lei fedeltà, d'intraprendere qualche viaggio ad onefto titolo di devozio  ne; con andare a visitare qualche Santi  tuario ; ed in tale occasione le userere, delle cortesic più del ordinario, per riscaldare quell'affetto, che si era inties pidito verso di voi; e fatela girare un gran pezzo, che così le ritornerà il rens no, che aveva incominciato a perdere; e voi sapete, Dottore , quanto bene può apportare il viaggiare in questi casi.  Med. Certo è, che allontanandoci da quell'oggetto, che turba l'animo postro, può quefto più facilmcórc cálmarfi , conforme lo conobbe anche Proper: zio dicendo : Unum erit auxilium mutatis Cinthia terris  Quan  1  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Quantùm oculis, animo tàm procul ibis.  Amor. Ma per addurvi autoricà più propria vi apporterò ciò , che ne dice Cornclio Celso : Mutare debere regiones , fi mens redis , annua peregrinatione effe jaDandos.  Sem. Hò da farne alla prima risenti. mento, cominciando a sospeccarne con fondamento  Pub. Questa è materia molto gelofa ; onde con prudenza grande doverà cratcarli, e con molta circospezione.  Mec. Così credo anch'io, rifetten. do a ciò, che dice Ausonio: Toxica zelotipo dedit uxor maca ma  wire. Sem. Mà se il caso si avanzasse tant' oltre, che mi accertalli di tale misfatto?  Pub. Due rimedi ci sarebbero, un  o legalc, cl'altro suggerito dalla somma prudenza , o fancità,  Sem. Lasciamo il legale ; l' altro qualid? Pub, Marc'Antonio Filosofo Impera  [ocr errors] bi tore prudentissimo diffimulò, come rac  conta Giulio Capitolino ; il gran torto 1 fattogli da Faustina sua moglie, dicenddo di esso : tantùmque abfuiffe , ut de cas  ejufque adulteris fupplicium ex lege fumeret, ut illos fibi non ignotos (gran virtù  in chi tutto poteva ) pra ceteris ad ve#rios honores, & magistratus promoveret s  du in iis Tertullum, quem cum ea prandena sem aliquandò deprebenderat. E S.Paolo Eremita, come vien riferito da Socr. in fripart. historia lib. 1. cap. 2. Avendo ritrovato la sua moglie adultera, che fec' egli. Nil aliud , quam tacitè subrifis, jureque jurando affirmavit , fe nunquam cum ca concubiturum , ad adulterum au  tem; tibi, inquit , tam babeto, & cuma 1 difto adberemum abiit .  Mec. Rimali sorpreso da maraviglia, Dottore, quando lesti nel lib. de cap. util. ex adverfis , come mai il vostro Carda  no autore di esso ;' uomo sì celebre, vi * abbia posto gli utili , che ne' possa ri  portare il marito dalla moglie adultera ; pour essendoche quanto da fimile misfattorisulta , è tutto danno, e' vituperio.  Med. Non parla ivi il detto autore dell'utile onesto, e decorofo , mà bensi di quello, che si ricava (per servirmi della frase di Tacito) Ex induftria facinorofa ; ed avendo egli intrapreso l'affunto di ricavare da tutte le avverGità quell'utile, che ponno dare, da questo non si poteva ritrarne altro che un vàntaggio viziolo e detestabile chiamandolo egli medesimo:surpe auxilium.  Sem. E se li moftcafie gelola di me?  Pub. Sarebbe segno, che molto vi amasse, nel qual caso, facendole cono. fcere, che sono vani quei sospetti, che concepisce di voi, che vivete, comes debbono i buoni mariti, farebbe colas facile, che deponeffe tal gelosia.  - Sem. Ma se non vivefli offervantiflimo, ed andafli in qualche luogo un poco fospetto, solamente per divertirmi , mà fenza fare inale alcuno 1  Pub. Evoi tralasciate di andarvi,che così cesserà ancora.la gelosia; altrimensi quel vostro divercimento xi.cofterà  са  [ocr errors][ocr errors] caro , togliendovi la pace domesticas; e rifertere di grazia allo spaventofo fuccesso seguito nell'isola di Lenno; ove, le donne per gefolia z ch’ebbero, che i loro marici fi foffero invaghiti di alcune belle schiave, congiurarono contro di essi talmente, che divennero ftudiofamente tutte vedove in una notte : oltre di che, udite ciò, che dice l’Ecclefiaftico al 26. Dolor: cordis , do luctus mulier zelotipa : :  Sem. Mà se pretendeffe poi,che io so. disfaccffi al debito matrimoniale di vantaggio , che fosse convenevole, cho dovcrò fare?  Pub. Avendola voi scelta di buoni coo stumi, non avere da temere questo ; se pures non ile darete occasione di farlo!  Sem. E quale sarebbe questa ? 15,368  Pub. Potrebb’essere il gran confumo di cioccolata , e pistachiara , di rosolà, e vini generosi, e di altre cose, che  accendeffero il sangue , che si faceffe in * casa vostra ; orde basterebbe , che lo  toglie te via ; imperciocche,  [ocr errors] Sine Cerere , Bacco friget Venus .  Sem. E se questo rimedio non baItasse?  Pub. Allor conviene ricorrere alla prudenza , con farle ben capire, che quello sarebbe il modo da farla divenire prettamente vedova ; e che per non farle provare una così infelice fyenturas, dovete opporvi alle sue eccedenci brame...  Mer. Ad un certo marito, che si tro. váva spesso in fimili angustie , gligiovò molto il fare l'astrologo, posciache non mostrava già di opporli a quanto deside, rava la moglie, ma bensì le diceva , ch' cra d'uopo trovare prima nell'Effemeri. di, se in quel punto G farebbe generato figliuolo sano ; ed alle volte le dava ad intendere, che sarebbe nato cieco, altresi zoppo, onde in questo modo operava tanco, che li bastava per indurre a fare a suo modo la credula moglie .  Sem. E se non volesse applicare a farai domestici, come mi doycrò conteacre ?  Pub.  7  [ocr errors][ocr errors] #1 Pub. Bisognerà , che voi claminiace boy  bene d'onde ciò provengà ; pofciache,  se nascesse per cagione di qualche indis1  posizione di testa sopravenutale il non ad potere applicare i converrebbe, che  voila comparifte, cd in tal caso potrcbI be fupplire la matróna a quanto ad ella  spettava, 18  Sem. Si che dunque non potrò fare di meno di non provedermi di questa matrona , potendonc avere bisogno grande di essa?  Pub. Questo non è da porta in dubbio, fe bramercte, che la direzione della vostra casa vada bene, e non vorrete voi medefimo fare da donna',  Sem. E se non provcnifle dall'accennata cagiones  Pub. Doverete anche informarvi, se ciò procedeffe, perche qualcuno voftro favorito le volefle fare da sopraftante, il che non sarebbe conveniente, ed in tal calo to doverefte ammonire a defi. ftate, quando nollo vogliate rimuovere, ed allora vedretc, cho e Ha sarà appli  ciui  1  [ocr errors] cata, ò pure , se si divertisse ia altre cose per dare sodisfazione a voi, ael qual caso non potrebbe applicare alli facci domestici : per esempio, se vi veniffe voglia, che imparasse, a sonare, a cantare, e ballare, ò pure qualche linguage gio straniero , certamente, che non potrebbe ella applicare con attenzione a tante cose ; onde mutando voi fimile pensiero la vedrete tornare attentissima alle cose domeftiche,  Sem. Mà se non vi fosse alcuna delle fudette cagioni , mà che per il suo catcivo nacurale volesse inquietarmi con operare da pazza, che doverò fare?  Pub. S. Crisostomo insegna in questi casi gell’amilia 26. epist. 1. D. Pauli ad Corinthios, che cosa si debba fare: cioè quello, appunto, che pratica un buono agricoltore nel coltivare il sao campo, il quale, fe lo conosce sterile, procura di ajutarlo con industria, per farlo divenire fecondo ; e non per questo, sem mentato che abbia ivi il grano, nafcendovi dell'erbs.catcive, si duglefe. co, perche le abbia prodotte ; mà beni sì con sofferenza grande le carpisce a po  co a poco , senza danneggiare punto  quel seme di frumento, che ivi vede - germogliato. Or perche non si ha dad  praticare il medesimo colla moglie? fors' ella è meno meritevole del campo di ricevere simili ajuti ? è forse il seme umano inferiore a quello del frumento? ed udice ciò, che dice il fudeko Santo: quotiescumque aliquid molefti domi contigerit, fi quid uxor peccaverit , confolare, cu noli marorem augere Licèt enim omnia proiicias, nibil, moleftius continger, quàm non, babere benevoham domi uxorem; licèt quodcumque dixeris peccafuni, nuha lum magis dolendum , quam cum uxorlu Jeditionem habere. Quod fi inuicemones ra ferenda funt , multo magis uxoris, fi pauper fi, noli exprobrare fistulta, noli ei infultare ; fed efto modeftior . Etes nim tuum membrum et Garo una fa&i cfis. Sed falta eft cbrid auracundai Igitus dolendum eft , nox irafcendum ut e poi soggiunge. Quod fi vorberaveris  [ocr errors][ocr errors] exafperabit morbum ; afperisas enim mare fuetudine , , non alia afperitate disolui  Sem. E sc le veniffe voglia di vedere tutte le comedie , andare a' festini , c di frequentare tutti gli altri divertimenti, che doverò fare  Pub. Arendola alla prima assuefatta diversamente, come potrà venirle tale volonca ? E quando in particolare averà più figliuoli, ò pure farà anche gravida: non li potrebbe dare altro caso, che le faceftc mutare costume voi mcdefimo, divenendo curioso , c vagabondo : mantenetevi costaoce nel ben operare i ch'ella ancora persevererà nelles medefima forma; ed usatele ancora in quei tempi qualche amorevolezza di vantaggio, per tenerla contenta .  Mer. Questo lo credo anch'io ben fatto, avendo conosciuto un certò marito , cui era discaro, che la sua moglie, c figliuole fossero andate alle comedies & ad altre publiche feste, mà che cosas egli faceva ? in cambio di questo , leroy  [ocr errors] o galava in quei tempi frequencemente,  dando loro l'equivalente a quello , che  averebbe potuto spendere in fimili died vertimcoti; e quantunque ad effe dispia  cesse per allora di non andarvi, nulladi. meno vedendo quelle insolite cortelier,  si consolavano, e terminato poi ch'eras # quel tempo, diceva la madre alle fi  gliuole : nulla averemmo guadagnato di buono , se fossimo state alle comedie, dove che da non averle vedute, ne ab. biamo ricavato molto; e poi per verità erano una volta proibice alle donne certe feste notturne, come da Tito Livio, lib.g.Dec.4. fi ricava,che in compendio, e questo: Viri per noctem fæminis, dousenere etati turpiter miscebantur . Qua nc comperts , fuere S.C. fublata, din mulros animadverfum fuit. E Svetonio lo conferma nella vita ancora di Octaviano Augusto  Sem. Ditemi finalmente, se uno avefin se pensiere di sposare una vedova , come du fi doverebbe regolare in diriggerla ?  Pim. Se questa averà avuto un mari  [ocr errors] Ate condizioni unite è cosa difficilissima  ,co saggio, sarà facile parimente, che un altro faggio marito la poffa regolare, mà elsendo stata assuefatta di fare a sno - inodo, non si potrà mai piegare a far diversamente : posciache una pianta assodata con cattiva piega, non si può più addirizare. Io non consiglierei a prendere queste per moglie,se non chi(quando fosse tuttavia in età di farlo) si trovarfe molti figliuoli, e non avesse tempo d'invigilare attorno ad effi; e che fosse pienamente accertato, che la detta vedova avesse dato faggio di somma prudenza in casa del defonco marito; e che in oltre non avesse figliuoli proprj, nè fosse più in iftato di farli, e li trovaffe prospera falute; mà chi abbia tutte que  di trovarla dall'altro canto non essendoci queste, si prepari-pure a soffrire molti travagli, chi vorrà applicare a fimili matrimonj , poiche queste fogliono effere troppo scaltrite .  Sem. Vado riflettendo, che molti di Q uesti buoni consigli non saranno prati  [ocr errors] [ocr errors] [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cabili nei nostri tempi, onde se I ddio non ci provede , non sò come potremo più softenerci in avvenire .  Pub. Perche non sono praticabili forse che non dipende ciò da voi?  Sem. Dipende da me , mà è dura cosa di essere il primo riformatore degli abusi.  Pub. Non si fanno già queste riforme colla corda al collo, come disponevano le leggi di Ligurgo; c poi non sareste già il primo voi , essendoci i Curj oggidi ancora, ma questi non si rimirano già per non averli da in mirare; onde questo sarebbe appunto quello , che vi doverebbe animare a farlo : posciachei non volendovi gli altri seguitare, non riferterebbero con attenzione a quello, che voi operafte.  Sem. E nella ventura Conferenza sopra clie fi tratterà?  Pub. Bisognerebbe confolave quelle povere mogli-faggie, che G abbattono in mariti viziofi, ed insegnare loro coinc debbanfi contenere in simile sveninca.CONFEREN ZA X.  Sopra i ripieghi prudenziali, che debbonsi prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggic, incontrandosi in viziosi, ed indiscreti  mariti.  Sempronio , Publio, Mecenate ,  € Medico. Semi mag Iferitemi , Publio ,  quali sono i vizj,de'  mariti cattivi. Pub.  Questi sono molti, e forse non minori  di quelli delle mogli pellime : iinperciocche , fe farà egli trascurato, da tal difetto ne verrà il precipizio di tutta la casa: se prodigo peggio che peggio : se avaro , farà mancare ancora quello , che sarà necefsario : fe fcapestrato, guai a quella povera moglie, che dovrà combattere  fe  [ocr errors] [ocr errors] seco : se giocatore , fi porrà a peri. colo in una sola notte di perdere quan, to egli possiede : se lascivo, non li con. tenterà dell'onesto : fe affatto impotente, poco amore per lo più suole avere verso la moglie : sc goloso fuori dimo. do, oltre di soggiacere a continue in. fermità , sarà oppresso anche da dobbiti. Or vedere in che miserie Gi troveranno le saggie donnc in mano di costoro ? E se per disgrazia fi abbattessero ancosa in taluno debole di senno, che avesse appresso di se qualche servitore fcal. trito, il quale lo dominaffe, c lo facesse fare a suo modo, oh quanti disaggi se converebbe soffrire !  Sem. Come dunque li doverà regolare una donna saggia , ed attenta col 04rito trascurato ?  Pub. Con ama rlo teneramente, quancunque fi avveg ga della sua trascurag. gine.  Sem. E come lo potrà fare?  Pub. La prudenza le infinuerà di far. lo, per vedere , fe per questa via lo po  acres  [ocr errors][ocr errors] réffe indurre ad essere applicato,, perciocche, fe per sua sventura facefle il contrario, e cominciasse a sgridarlo , certamente ch'egli si mostrerebbe assai più trascurato ; e credete pure per  co. fa certa, che colle buone più profitto ne ricaverà, che irritandolo.  Sem. E se vedeffe , che ciò non ostanu Te', continuasse ad cssere trascurato , doyrå ella perfeverare in questo grand'amore? ... Pub. Senza fallo ; anzi che, invece di scemarlo; più costo, glie lo dee accrescere; poscia sche, se non sarà più , 'che'affatto iosensato , fi avvedrà alla fine, che lo ama di puro caore ; ed accertatoli di questo, come potrà fare di meno di non amarla anch'effo ? Platone, allorche gli fu riferito, che Zenocrate Two scolare enipiamente parlaffe di esso, * *ffpofe : non essere credibile : ut quem tantoperè amaret , ab eo invicem non di  ligeretur; ed intal proposito dice Sene• Ed Lpift.g. Ego tibi monftrabo amatorium Dane medicamente fine berba , fine ullius  0  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] er veneficæ carmine ; fi vis amari , amau. :l Ed udite anche ciò, che dice S. Ago  stino : Nulla est major ad amorem in vitai tio , quam prævenire amando.  Sem. E che le gioverà questo reciproco amore , quando le cose domestiche andranno di male in peggio?  Pub. Assai più di quello , che voi credete; imperciocche quando sarà ac. certata di questo reciproco amore, ed informata insieme dei disordini domestici, in certe congiunture, che le donne fanno prendere, lo saprà con dolci  maniere ben'effa illuminare. f Sem. Ed illuminato , che fosse, se  non sarà capace di operare di vantaggio, a che gli potrà servire ?  Pub. A molte cose ; imperciocche prenderà ben' ella un'alera simile congiuntura, e ne otterrà ciò, che saprà bramare; che farà appunto il maneggio dispotico della casa : e vi pare, che questo amore abbia operato poco a far. le spuntare tanto dominio? Sem. E se glie lo negasse ?  R  Pube  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Non è possibile, che ciò faccia, se pon farà più che inumano .  Sem. E se fosse ?  Pub. Allora converrebbe prendersi altre vie, senza però scemare punto del suo cordiale affetto.  Sem. Queste quali sarebbero ?  Pub. Essendo egli trascurato sarebbe cosa facile, che potesse la saggia donna trovare qualche buon canale fecreto,da far penetrare a chi comanda lo stato, nel qual li trova quella infelice casa.  Sem. Basterà poi questo , per farlo divenire applicato?  Pub. Oh quanto opera tale istanzas fatta da faggia, e pudica moglie ! si udirå all'improviso dichiarato unEconomo al trascurato marito, e si verificherà in Jui il proverbio di Salomone : Qui ftultus eft ferviat fapienti ; ò pure quell’al  feruus fapiens dominabitur stultis filiis : e recherà ammirazione, che non potrà penetrare, donde fia provenuta tale istanza, non potendosi egli mai persuadere, che l'abbia procurata la sofferentiffima moglie. Ed ecco rimediato    a tutto senza strepito, e concesa alcuna;  non dovendosi a queste esporre le fag-  gie donne; conformc lo dimostra il la-  crificio, che costumava presso i gentili  farsi 2 Giunone Dea delle nozze, cui  non ardevano già le vittime, alle quali  non era stato prima levato il fiele, eget-  taro via , per denotare, che non deb-  bano mai marito, e moglie adirarsi in-  fieme.     - Sem. Qualche volta però è riuscito  alla moglie, che ha mostrato perto , di  ottenere ciocche voleva da suo marito.   Pub. Sì bene dal marito prudente,mà non già dall'imprudente , e vizioso . Santipre non averebbe già fatto fare a fuo modo , fe invece di Socrate foffe stato marito suo l'Ercolano, di cui parlammo ; e ragionando noi ora de' mari. ti viziosi, e mogli saggie, nulla gioverebbe a queste,il  mostrare petto;anzi facendolo doverebbero cancellarsi dal numero delle prudenti. mi Se fosse prodigo, come ella si  [ocr errors] dovrà contenere ?  Pub. Oltre di amarlo, come si è detto di sopra, dovrà guardarsi dal riprenderlo soverchiamente, e con modi aspri per non irritarlo maggiormente; insegnando Plutarco, che l'austerità della donna dee, come quella del vino , renderá giovevole, e grata , non già amara, e dispettosa, conforme quella del. l'aloe.  Sem. S'indurrà facilmente la moglie, per goder ella ancora de' suoi fcialacqui, a non riprenderlo.  Pub. Non è così ; perciocche la donna faggia patisce fuori di modo, nel vedere dilapidarsi la casa; anzi che procurerà di non goderli per quanto può, u fi conterrà nel vestire pulita si, ma senza alcuna vanità; mostrando Plutarco, che l'unico mezo per acquistarli la grazia del marito, fia la vita esemplare, lontana da cutte le vanità superflue : cu quando il marito, la volefie forzare a far diversamente, sarà capace di scusarfi con un santo pretesto di divozione,  dal  [ocr errors][ocr errors] dal quale venga moffa a vestirsi di unj abito votivo, cd accompagnerà ancor'a questo astinenze, ed orazioni, per ottenere da Dio la grazia , che il marito fi ravvegga.  Sem. E le ciò non ostante, egli continuafle nella medelima forma , non sarebbe pur ineglio, che godesse ancor essa, potendo in tal guisa dar gusto as suo marito?  Pub. Non lo farà essendo prudente; perciocche considererà , ch' essendo due a dilapidare, più prestamente si darebbe fondo a tutto ; mentre due deAtrieri, che concordemente corrono al precipizio, poco indugiano a cadervi; dove che, quando uno di essi è refio, lo può ritardare di vantaggio.  Sem. Sin ora però non iscorgo riparo alcuno.  Pub. E credere voi, che il marito , vedendola così ben composta, e così esemplare nella modestia, a lungo andare non s'illumini? Quello esempio, çh'egli avrà continuamente avanti gli  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] occhi, sarà di tanta efficacia , che finalmente lo farà rayvedere : ed udite ciò, che dice Euripide a cale proposito:  Domiperdam etiam virum probibet  UXOR  Bona , ci conjuncta , fervat domum. Mà meglio ancora apprenderete tal verità da S. Crisostomo in Joan. Homil.60. Nil potentius muliere bona ad inftruendum, & informandum virum, quodcumque voluerit : neque tam lenitèr amicos, neque, magistros , neque Principes patietur, ut conjugem admonentem , atque consulentem . Habet enim voluptatem. quamdam admonitio uxoria, cum plurimùm amet, cui consulit. Multos poffums afferre viros asperos, immises per uxores mites redditos, & manfuetos; ipfa enim mensa, lector. E conclude:fi prudens erit, & diligens, omnes vincot.  Sem. Tutto questo bene si potrà ottenere, allorche avrà dilapidato ogni cosa; ed à che le potrà giovare l'effersi tanto affaticata, allorche averà ricevu., to il colpo facade?  Pub.  [ocr errors] Pub. Non è così, Sempronio ; perche se indugiass’egli molto à ravvedersi, non già trascureranno i propri parenti ò pure  colui, che aveffe con autorità suprema a porgervi riparo, mossi dalla gran sofferenza della saggia donna.  Sem. Ma non sarebbe rimedio più speditivo, che intentasse la donna il giudizio contro di esso, per farlo dichiarare dilapidatore?  Pub. Questo non farà mai chi è saggia; perche considererà molto bene, che dopo un simile paffo non vi sarebbe più pace tra loro : e poi diciamola giusta, per via di liti, se facesse il marito comparire, che in vece di effere dilapidatore, fosse più costo economo, che cosa se li potrebbe fare ? sapete pure, che i raggiri non mancano.  Sem. Quale sarebbe dunque il rimedio per ovviare fimil male , quando colle buone non si potesse ottenere ?  Pub. Di porre un'altra testa capace à governare bene la casa, in vece di quella, che governava male, qual sarebbeappunto un'altro Economo, per fare verificare ciò, che dispone l'Ecclesiaste: Servo fenfato liberi serviant .  Sem. Io bisogna, che parli, come la intendo: ho veduto alcuni Economi in breve tempo arricchirsi con queste ainministrazioni; onde non vorrei, che simili economati servissero di apparenza; mà che poi in sostanza le cose continuaffero nella medesima forina ad andar male; con questa differenza solamente; che quello , che si deteriora, non apparisca, passando nascostamente in borsa dell'Economo; il che mi perfuado , che possa esser'errore peggiore del primo ; mentre facendolo il padrone confumerebbe il suo ; mà l'Economo fi  apo proprierebbe quello degli altri.  Pub. E di quelli , che hanno amministrato con ucile considerabile dell' economato, ne avete veduto alcuno?  Sem. Di questi ancora.  Pub. E de' prodighi , chi avete osservato, che non abbia dissipato tutto il  fuo?  Serg  Sem. A lungo andare niuno. meh Pube Or dunque complirà alla Repu  blica, che vi sia detto economato; e 1 particolarmente , se la moglie sarà pruI dente, e non vorrà anch'essa approvece ciarsi di qualche cosa; nel qual caso i non potrà già l'Economo fare dispotica  mente a suo piacere, avendo ch’invigi  li attentamente alle sue operazioni : 0 i poi se questi si arricchiscano, ponno far  lo con altri impieghi onoratamente , essendo uomini di somma abilità.  Sem. Mà non sarebbe meglio, che separasse la sua dote, e riconoscesse il fuo?  Pub. Queste voci di mio, e tuo non sonavano bene alle orecchie di Platone; e le detesta Plutarco in bocca delle mogli, volendo che tanto il bene, quanto il inale sia comune tra efli: ed io credo, che questa reciproca comunanzas fia molco vantaggiosa per il marito; pera che se la moglie crederà per sue ancora tutte l'entrate della casa, non ispenderà con tanta facilità queste in cose sus  per:  [ocr errors] perAue , essendo le donne di natura tenacissiine nello spropiarsi del proprio.  Sem. E se foffe Avaro a quel segno, che per ingordigia di cumulare moltoro facesse mancare il bisognevole alla moglie, ed a' suoi figliuoli ?  Pub. Questo non dovrebbe farsi, e da persone civili maggiormente, essendo padri di famiglia ; tanto per non dire a’figliuoli mal'esempio , quanto perche dee l'uomo civile lasciare a posteri gloriosa memoria di se medesimo; questa non si acquista già mediante l'oro viziosamente radunato; perche non sarà più suo dopo morte, passando all' erede, per lo più prodigo, il dominio di effo, il quale scialacquandolo ravviverà bensì l'ignominiosa memoria dell'Avaro, che lo cumulò; dicendo ogn'uno allorche lo vedrà spendere malamente in bagordi , crapole, e luffi : vedere dove và l'oro dell'Avaro ? onde à che gli sarà servito l'effere stato tiranno di se medesimo nel cumularlo, e che bei vantaggi ne avrà riportato ? Quindi è, che  non  0.  non senza inistero fà da un'ombra del suo inferno domandare il Dante all'Avaro.  Dicci , che 'l sai, di che sapor è loro 3  Mec. Se l'avesse doinandato à Crasso, averebbe risposto francamente, ch'era molto amaro      amaro, come dice il Petrarca.  E vidi Ciro più di sangue avaro ,  Che Crafo d'oro,e l'un, e l'altro n'ebbe  Tunto alla fin, che a ciascun parves   amaro. Mec. Fu data una bella risposta à colui, che trovandosi presente al sontuoGislimo funerale fatto dal figliuolo generoso al Padre zvaro, domandò ad un suo amico : che averebbe detto il defonto se fosse risuscitato, ed avefle veduti tanti lumi di cera ardere nel medesimo tempo, quando egli vivente, in casa sua, non pocea Coffrire , che più di una lucer, na di olio ardeffe ; cui rispose : nullas certamente, posciache tuito s'impic-. gherebbe in estinguere prestamente col suo fiato quei lumi, affinche non li logoralsero di vantaggio; ayerebbe bensi  [ocr errors][ocr errors] mu  mutato con sollecitudine il testamento; perche tal generoso erede non gli sareb. be piaciuto.  Sem. Vorrei sapere, che dovrà fare la povera moglie, e come lo potrà amare, trovandosi priva del bisognevole?  Pub. Ciò non oftante conviene, che lo ami, lo serva, e gli faccia tutte le maggiori finezze poslībili, con mostrarne anche piacere de' suoi sordidi avanzi, fintanto che sarà divenuta padrona del suo cuore per regolarlo à suo modo.  Sem. E questo appunto egli defidererà; mà in tanto la meschina patirà doppiamente, facendolo di contragenio.  Pub. Abbia un poco più di sofferenza; perche guadagnato , che avrà l'animo di esso, farà allora ciocche vuole, essendoci moltissimi esempj di Avari fatti divenire anche prodighi dalle mogli; onde quanto sarà più facile a renderli persuali, di dover fare le loro convenienze:  Mec. Si racconta dal Sabellico un ingegnosa maniera, della quale si servi ladem faggia moglie di un Signore molto avatro. Questi per ammassare quantità im  mensa di oro, che si produceva dalle di miniere, scoperte nel suo dominio, tei nea impiegati à tal opera tutti i conta  dini, che coltivavano la tèrra ; e perciò n'era nata grandissima carestia, per la quale correva pericolo di essere tagliato in pezzi l'autore di essa, se las iaggia moglie colla sua prudenza non lo aveffe illuminato. Questa dipoi di csferfi ben internata nel suo affetto fè dan molti artefici formare coll'oro tante vivande, quante n'erano necessarie in un sontuosislimo banchetto, e perfezionare segretamente che furono , invitò fuo marito à definare nel suo appartamento,  e portatovig rimase egli ammirara allas  prima, nel vedere quel sontuoso imbardimento di vivande, tutte di oro, e fi persuadeva, che ciò fosse itato fatto per ; una.vaga prima comparsa ; mà rimirane. do in appresso, che non compariva a'.tro, che oro in varie forme di vivaride lavorato , le disse ; Signora ;, e quan  do  do verranno le vivande da potersi mangiare ? Replicogli la moglie, che trovandosi tutti li contadini applicati alle miniere , non si attendeva più à coltivare la terra ; onde bisognava accomodarsi à mangiare oro, perche de' soliti comestibili già si penuriavad affatto ; fi avvide egli del suo errore , e fe dismettere tal lavoro per attendere à quello, ch'era più neceffario, e dopo piamente utile per la conservazione del suo individuo.  Sem. Essendo il marito scapestrato , che cosa dovrà fare l'infelice moglie?  Pub. Arinarsi di' una santa sofferenza con amarlo più, che sia possibile .  Sem. Maltrattando però anch' ellas con fatti, econ parole; non sò, come potrà continuare ad amarlo, e fopportarlo.  Pub. Non potendosi cimentare seco la saggia moglie, non potrà farne di meno; perche altrimentine anderebbe sempre  di sotto ; come accennò Ovidio nel secondo de' Fasti:  Quid faciet? pugnet? Vincetur fæmina  pugnans • E parlando altrove d'Ipemnestra , le fe dire : Che deggio io far del ferro? in che con  viene Coll’armi una donzella 2 io più conformi Ho le braccia , le man, la forza , ib  cuore  All'ago, all'apo , alla conocchia, al  fufo, Che all'armi crude, e bellicosi ferri . Laonde sempre meglio farà à soffrire', 1 andandolo bensì illuminando a poco ad  poco con dolci modi, mediante i quali le fiere stesse depongono la loro crudel. tà; e s'egli non averà un cuore più cru  do di quello delleone , non incrudelirà - certamente contro di essa, raccontando  Plinio di questo animale : ubi sævis, in  viros, plus, quam in fæminas fremeres 1 veluti natura eum docuerit mulieres mi  tius, quam viros elle tractandas. E for tuttavia perseverasse à rampognarla, si  serva di quell'avvertimento, che diero  no  [ocr errors] no i capitani di Ciro ai suoi soldati : che venendo i loro inimici alla zuffa gridan. do , con silenzio gli avessero accolti ; mà se tacendo, andassero efli ad inveftirli gridando; dal che ne cavo Plutarco layvertimento, che debbano tacere le donne, allorche vedono i mariti adiraci; quando sono mesti bensì debbano animarli, e dar loro sollievo con affettuose, ed efficaci parole.  Sem. Voglio credere, che la moglie manierosa lo possa addolcire à fine, che seco non contrasti; mà fuori di casa come lo potrà trattenere, che non prenda impegni di duelli, ò di riffe ?  Pub. Quello , che seguirà fuori di casa, essa non potrà cercamente impedirlo, essendoche non dee andargli appreffo; lo domerà bensì in questo caso qualcun'altro, perche vexatio dat intellecium ; onde maltrattandolo qualcuno, ò effo altri, in ambidue i modi  potrebbe mettere giudizio; poiche, feri. ceverà, oh quanti mutano vita dopo di avere fofferta qualche disgrazia confi.  de.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] derabile , e se offenderà altri, il gasti. go ancora, che gli sovrasterà lo potrebu be far ravvederc .  Mer. Hò conosciuto molti di questi , che hanno perseverato qualche tempo nelle loro stravaganze, e poi si sono domati, e particolarmente quei, che hanno sofferte considerabili sventure.  Pub. Alcuni di questi ancora si ravveggono allor , che divengono padri di numerosa famiglia, crescendo loro il pensiero di provederla , e particolarmente avendo molte figliuole ; onde non dee mai la saggia donna disguItarsi con fimili mariti; dee bensì raccomandarli al Signore , che li faccia ravvedere , ed abbandonando le vanità mondanc, attendere al governo dellas sua casa più diligentemente, che sia poflibile.  Sem. Essendo giocatore, come dovrà regolarsi con esso lui ? converrà che lo seguiti anch'essa per darli sodisfazione?  Pub. Per andare in rovina prestamente, cosi potrebbe fare.Sem. Forse che nò; perche tal volta perdendo uno, vincerebbe l'altra, e maggiormente, che sogliono le donne vincere sempre ; onde potrebbero andare le cose compensate, e senza veruno discapito.  Pub. E se perdessero ambidue, bella compensazione , che seguirebbe! Le donne possono vincere con licurezza solamente quando si contentino di fares perdite maggiori,terminato il giuoco, è prima di principiarlo; per altro sono anch'esse soggette alle perdite.  Mec. E curiofo,ciò che accadette una volta in mia presenza : giocava un mio amico con una donna alquanto atrempata, ed avendo egli carte superiori, io gli disli, che non le avesse scoperte, e fi foffe fatto vincere, giocando con una donna. Questi mi rispose, che non las teneva più per donna altrimenti, avendo passico li quaranta anni, mà bensì per uomo.  Sem. Or ditemi , che cosa debbas fare?  Pub.  [ocr errors][ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Amare, e sopportare il marito, ed i suoi difetti.  Sem. Questa è la solita canzona; mà intanto in una notte potrebbe giocarsi tutto il suo; ed allora che le averebbe  giovato l'amare, ed il sopportare? I.  Pub. Dite voi dunque ciò, che dovesse fare per darvi più opportuno riparo .  Sem. Diricorrere, farqi sentire con iftrepito, per impedire, che non potefse più giocare.  Pub. Oh bene ! É non sapete voi, che nitimur in vetitum ; onde questo sarebbe à appunto il motivo di fargliene venire  maggior desiderio di prima ; e se avesse dismesso per lo passato il giuoco à meza notte, di farglielo durare in avvenire sino à giorno, per fare dispetto all'imprudente moglie.  Sem. Mà che dovrà fare questa infei lice donna?  Pub. Non altro, che sofferire , ed amare, più che mai, ed udite ciò, che dise S. Ambrogio Sec. Offic. Quid tam  ino.  [ocr errors][ocr errors] S 2  S  [ocr errors][ocr errors] inolitum , atque impreffum affe Etibus humanis, quam, ut eum amare inducas in animum, à quo te amari velis?  Sem. Penurierà la casa del necessario, non si pagherà la servitù, i debiti cresceranno, le tenure deterioreranno, anderà tutto da male in peggio, e questo sarà appunto il frutto del soffrire , ed amare.  Pub. Forse , che lo schiamazzo della moglie, quantunque giugnesse à quel fegno descritto da Virgilio: Fæmineum clamorem ad. cæli fidera's  tollunt. potrebbe dare riparo à tanti mali? certo che no, mentre, come dicemmo, diverrebbero maggiori. A tal pro- en pofito cade in acconcio la risposta , che diede il Re Filippo à coloro, che lo fti- dic molavano à muovere guerra ai Greci, i quali beneficati da esso sparlavano della sua real persona, che fu quefta : Quanto peggio farebbero , se fossimo nemici la loro ?  Sem. Però se io fosfi ne. suoi piedi,  [ocr errors] non  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] non potrei essere così amoroso di un marito, che procura di mandare la casa in malora.  Pub. E che fareste dunque di vantaggio? 50  Sem. Sei iniei parenti non mi volesseed  ro dare ricetto in casa loro , me ne sta  rei in un appartamento separato , e pro. 1  curerei di non trattarlo più; perche, come si suol dire : occhio non vede, cuor non duole.  Pub. Sarebbe questa certamente una gran pazzia conosciuta anche da Eui ripide per tale; mentre egli fa dire ad  Giunone; non esserci altro rimedio più  opportuno , di questo, per riconciliare  gli animi, che il conversare insieme ,  dicendo:   Ho disegnato a lunghi lor contrasti  Ho giammai di por fine con un modo   Segreto, e nuovo a lor, unırli insieme. i Onde qual vantaggio riporterebbe dallo  ftare lontana dal marito, e di abbandonare affatto il letto nuzziale , fe non di eternare le discordie? e se non sapete,  che  [ocr errors] S 3  che cosa guadagna la donna , con fare la disgustata, udirelo da Salomone: Qui confundit domum fuam poffidebit ventos ; onde fi ritroverà alla fine colle mani piene di vento, e questo sarebbe appunto tutto il guadagno, che averebbe fatto.  Mec. Io, che in mia gioventù sono fato amico di qualche giocatore , il qual faceva grosse perdite , in occalione, che taluno di effi mi riferiva le sue sventure, non potevo contenermi di non domandare, se la sua moglie n'era consapevole, e mi dicea, non avere potuto farne diineno di non palesargliele, allora, che dovendo fodisfare la grossa perdita già fatta , gli era convenuto più volte chiedere le gioje, per impegnarle, non trovandosi pronto il danaro; cui replicavo : che schiamazzi averà fatto ella trovandosi doppiamente disgustata ; e rimaneva ammirato nell'udire, che qualcuna di effe con prontezza grande glie le dava ; e di vantaggio mi riferiva, che non vi era già pericolo, che la trovasse colcata, quando cornava quancunque avesse tardato molto; anzi, che con faccia molto allegra li dava la buona sera, allorche lo vedeva comparire; e mirallegravo seco dellas buona sorte, che godeva nelle sue sventure, essendosi abbattuto in una sì prudente moglie; ne mi poteva contenere, avendo seco confidenza, di non riprenderlo in tale occasione con dirgli:c voi siete sì crudo, che non avete comparfione di farla ogni sera tanto parire: troppo fo, mi dicea egli ; perche se non pensasli ad essa talvolta, che mi trovo sotto nel giuoco,chi sà quando lo avessi terminato, e che perdita maggiore avessi fatto ; allicurandomi inoltre che di tanti incomodi, che le aveva recati , ne averebbe avuta viva rimembranzada à suo tempo, per farla godere, se soprayiyeva ad esso, pensando di lasciarlas erede, non avendo figliuoli; conforme appunto è seguito ; onde la sua sofferen· za ,  fu alla fine rimunerata . Sem. Ed in quei giocatori, che avevano le mogli risentite, vi siete mai abbattuto?  Mec.  [ocr errors] S4  Mec. In questi ancora, e domandan. do loro, che dicevano le mogli allorche sapevano le loro grosse perdite, vi fu tra questi chi in tal guisa mi rispose : il maggiore tormento, che io abbia allorche fo qualche groffa perdita è di vedere inviperita mia moglie, cui chiedendo le gioje, per impegnarle, me le hà sempre negate ; mà io l'hò mortificata con vendere altre cose, ch'erano di sua somma fodisfazione ; affinche conoscesse, che io era il padrone.  Pub. Vedere dunque , Sempronio , quanto sia meglio soffrire in questi casi, che fare risentimento; e voi Mecenate, di grazia cessate di dir male più delle donne, avendo confeffato, che vene sono delle prudenti ancora .  Mec. Sono però queste di fimile natura rariffime, non contentandosi per lo più le mogli di farli impegnare le gioje, e particolarmente à sodisfare per le perdite fatte nel giuoco .  Sem. Come debbonsi le mogli regolare, quando scorgogo i mariti diviati a  Pub  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] mente,  Pub. In niuna altra occasione si conosi  sce meglio la donna saggia , quanto in fi questa ; imperciocche le tocca sul più 1 vivo; onde doverà adoperarvi cutta la  prudenza poffibile per divertirlo. Sine tanto, che il fatto sarà secreto, non dee darsene per intesa; e se taluna lv rapportasse , che viene tradita da fuo marito , dee ella replicarle con risentimento: ch'egli l'ama , e crede ferma  che per questa cagione non le possa fare un simile torto, dee però servirsi dell'avviso, per rincontrare dalle mutazioni , che scorgesse in lui , tanto nell'affetto, quanto nella stima verso di lei, se debba prestarle fede.  Sem. Doverà dunque lasciar correre trascuratamente, senza darci riparo , male fi considerabile, una donna in particolare, che non gli da occasione alcuna di farle simile torto?  Pub. Ho udito dire da' Medici, che ci siano alcuni rimedi , che sono peggiori del male, al quale si applicano ; onde non vorrei, che questo fosse uno  di quelli; palesatemi dunque voi qual credereste in questo caso essere il suo ri. medio più valido , quando non vi piacciano i più beoigni .  Sem. Di fuggirsene immediatamente in casa de' suoi genitori, con animo di non tornare più da suo marito.  Pub. Questo appunto sarebbe uno di quei peffimi rimedi, posciacche dandofegli campo libero in avvenire di fare, ciò, che vuole, accrescerebbe non folamente il male antico, mà ne produrrebbe, anche degli altri, che sono las totale discordia conjugale, ed il divul. garsi da pertutto ciò, che non è bene, venga publicato.  Sem. Che cosa dunque ella dovrà fa  , per non morire accorata , dimorando in casa del marito ?  Pub. Conyerrebbe , in questo caso principalmente , ch'ella ben apprendesse quel consiglio dato da Platone as Zenocrate, qual fù : che sacrificate alle grazie , per essere più avvenente, che per lo passato ; e così con dolci manie.  re  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] re  [ocr errors][ocr errors] re potrebbe facilmente conciliarsi il suo affetto ; dicendo Salomone che: Mulier gratiofa invenit gloriam. E quali debbano essere queste dolci maniere ; non occorre, che mi diffonda per istruirne le donne, cfsendone di effe maestre: diro solamente, che se la palma, ch'è un albero insensato arriva, come vuole Plinio, à piegarsi, allorche stà vicino alla sua palma femina , volete , che il marito ancora non si renda alle piacevoli maniere di una saggia moglie? Fu interogata Livia Drufilla da una Dama, perche faceva fare ad Augusto marito suo ciò, ch'ella volea ; così rispores : perche fo volentieri quello, che io conosco essere di Cesare in piacere, e non ricerco i fatti suoi , come racconta Dio.  ne.  Sem. E se faceffe praticare per casas una sua qualche donna Atraniera, come la potrà tollerare ?  Pub. Anzi la dee, per non irritare maggiormente l'animo di suo marito, e farle corresie ancora, mostrando di non essere consapevole di cosa alcuna ; conforme appunto fè Terzia Emilia moglie del maggiore Affricano, la quale, non solament’egli vivente, diffimulò di fapere,  che suo marito amaya una fuas schiava, mà dopo la morte di esso las fè libera, e la diede per moglie ad un suo liberto ; come racconta Valerio Massimo. Ed Omero riferisce di vantaggio, che la moglie di Antenore aveffe egual cura di un figliuolo fpurio di esso, di quello , che avea de proprj, per non disgustarfi suo marito. Plutarco ancora racconta nel libro delle donne illuftri, che Stratonica si prendesse il pensiero di educare bene i figliuoli di Dejotaro suo marito, quantunque  forsero nati da Elettra sua serya : oltre poi quello, che dice la facra Genefi di Sara, ė di Rebech ab 16. & 30.  Sem. Questo però non lo porrà mai fare una moglie di spirito ; non potendo questa soffrire un simile torto .  Pub. Quefte, che hò riferite , avevano spirito, cprudenza; ne mi persua  [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors] deco,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] derò, che possiate darvi à credere , che - Olimpia madre di Alessandro il Grande lie  non avesse spirito, e pure questa , venendole rapportato, che Filippo suo marito era talmente invaghito di una giovine di Teslaglia, che si credea communemente, foffe ammaliato ; volle conon scerla , ed appena veduta, che l'ebbe le disse : Tecum enim philtra babes, quanto mai le parve bella ! e non fu questa picciola finezza il dire ad una sua rivale, che rapiva il cuore di tuti.  Mec. Io so, che alcuna di queste per aver ricevute.cortesie obbliganti dalle saggie mogli, sono fervite di mezane , per riconciliare l'affetto era effe,e i loro mariti : altre poi, che hanno ricevuto strapazzi,sono state cagione di odj mag. giori tra essi ; onde seinpre hà giovato alle mogli saggic, di non inafprire maggiormente la piaga con irritarla.  Pub. Un'ottimo ammaestraméto vien dato à queste da Plutarco, ed è di non allontanarsi mai dal marito, perche facenda altrimenti, la rivale diverrà af  for  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] soluta padrona, non solamente del letto mà ancora della casa tutta,  Sem. Mà durerà sempre questo disordine ?  Pub. Non durerà, perche la prudente moglie saprà vincere col tempo las violenza dell'altra, come ben cspreffe Ofeo Poeta :  Capitur ergo ab infirmis celer,  Aquilamque brevi testudo vincit. E la testuggine appunto, essendo Gimbolo della donna onefta, non recherà maraviglia, se questa ancora frenerà il volo dell'aquila, con aspettare però l'occafione opportuna, la quale potrebbe essere, allorche li fa dimora in villas, ove l'amica non fosse presente; ed il maggiore argomento che potesse addurre per allontanarlo dall'amore impudico, sarebbe appunto di fargli conoscere colle buone, il cattivo esempio, che ne prendono i figliuoli; con insinuargli ancora,per giuoco,quel detto di una pudica donna, tratta å forza dal Re Filippo: deh lasciami andare, gli disse, per  [merged small][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors] na ,  Il che tutte le donne , portata via la lucer  sono simili ; mà se poi imitasse * quella prudenre Gentildonna Sicilianad  di cui fa menzione Lodovico Vives, nel *' lib. 2. de Christiana fæmina , quanto mai u lo renderebbe à se affezionato? Questas  andava osservando ciò , che facevano i servitori, che fosse al padrone marito suo più grato, e quello ella facea di sua mano studiosamente; se bene talora con estrema fatica fua, quello poi , ch'era di meno travaglio, fatica, e noja, comandaya à servitori.  Sem. Mà quando non fosse deviato altrove il marito, che cosa porrà fare la i donna savia , à fine, che non ecceda con i essa lei in pregiudizio della propria falute ?  Pub. La saggia donna non dovrà mostrarsi renitente à fodisfare le brame di E fuo marito ; ben è vero però, che dee'as 1  poco a poco, andargli dolceinente infio nuando il danno, che potrebbe appor  tare l'immoderata frequenza degli arti conjugali , potendogli questi abbrevia  Per que  .  re anco la vita con danni notabili della  sua famiglia ; e starà ben ella circospet-  ta nell'ordinare vivande, calorose per  la mensa, ed ancora nel tenerlo lonta-  no dallo frequente uso del cioccolato,  erosolì.     Crescere res poset nimiùm damnofa   libido. Come vuole Ovidio . Sem. Prometteste, Dottore, di mo. strarmi sino à che segno poffa giugnere l'uomo in pagare il debito matrimoniale senza discapito della propria salute.  Med. Epicuro, Democrito , Averroe, ed altri Filosofi ancora credettero, che sempre sia molto dannoso l'uso venerco : Altri poi lo credono solamente, allora, ch'eccede i limiti dell'onesto.  Sem. Or io non voglio andare cercando malanni ; per battere al sicuro mi contento starmene senza prendere moglie ; perche la propria salute mi dee premere molto più della moglie.  Med. Ditemi di grazia , Sempronio, senza andare in collera : Voi che avete fpiriti generosi, fe venisse un esercitoDell'Elezione della Mog. 289 per distruggere la vostra patria, per salvare la propria vita, abbandonereste la difesa di essa é o pure vi porreste ad evidente pericolo di morte per difenderla ?  Sem. Sarei un gran codardo, quando l'abbandonaffi; dovendo per sua difesa porre à pericolo la vita con tutte le mie sostanze  Meda E per conservare la vostra specie, la quale può difenderla ne' suoi bisogni, perche ricusate di farlo? non ponendo già ad evidente pericolo, nè vita , nè roba , contenendovi dentro i limiti della moderazione, esponendovi in tal caso solamente à pericolo di soffrire qualche moderato, e breve disaggio: e se voftro Padre fosse stato di questo sentimento  come farefte voi  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] naro ?  Sem. Converrà dunque farlo ; mind u questa moderazione nell'uso venereo, in che doverà confiftere?  Med. Primieramente in fuggirlo più, che sarà possibile la state: dicendo Cel. co 10, aftate in fptum, fi fieri poteft, abftinen.  ,  dum ; e nell'autunno dice : neque autumno utilis venus eft ; nel rimanente poi dell'anno non abufandovene sarà sempre meglio per voi,  Sem. Mà da che potrò comprendere tale abuso?  Med. Dalla stanchezza, che riceverete dopo di esso, perseverando questa, per qualche tempo, nella forina , che descriffe Ovidio di averla osservata in un amante Vidi ego cum foribus laljus prodiret  amator Invalidum referens ; emeritumques  latus, Sem. E cadendo io in questo, che rimedio averò da praticare?  Med. Aftenervene per qualche tempo, dicendo Virgilio nella Georgica;  Nulla magis vires industria firmat Quam Venerem, cæci fimulos aver  tere Amoris, E di questo niuno meglio, che voi ne potrà essere giudice s purche sia la voItra mente libera, e non preoccupatas  dall  [ocr errors] [ocr errors] dall' estro libidinoso .  Şem. E per fuggire questo, qual ri# medio sarebbe opportuno ?  Med, Il vitto moderato, e la moglie - favia sono i veri antidoti per indurre moderazione nelli cimenti di venere.  Pub. Vedere dunque , Sempronio, quanto possa giovare una saggia donnas nel fare prolungar la vita à suo marito ? prendetelo dunque à buon fine, quan  do la vostra moglie vi frenaffe in que1 fto, facendolo per noftro bene.  Met. Or io non vorrei starmene raffi, dato alle donne sopra di ciò; perche affai di rado fi riceverebbe da effe tale beneficenza;vorrei più tosto prendere l'efeinpio dai bruti, i quali , toltone quei tempi prefisli loro dalla natura, non si ac.  costano più alle femine, nè tampoco ef: se appetiscono i maschi; ed udite come  lo conobbe bene Democrito riferito ,  Dottore, dal vostro Ippocrate nellas u lectera scritta à Damageto; Anniversa  riorum temporum ordo, brutis quidem danimantibus coitus finem adfert , homo  T2  verò  [ocr errors] [ocr errors] verò infano libidinis stimulo continenter agitatur.  Sem. Dandosi il caso, che il marito fosse impotente, ne viverà contristatas la povera moglie di questo?  Pub. Prescindendo dal rammarico, che averà, trovandosi priva di figliuoli, credetemi , ch'essendo prudente, non fi prendera di ciò fastidio alcuno;perche considererà ben'ella, che quel momentaneo diletto è compensato da molti altri tormenti, che îi soffrono, non solamente nelle cattive gravidanze, e laboriofi parti , mà quello, ch'è di travaglio maggiore, nell'educar beoe i figliuoli , de' quali taluno alle volte riesce scapestrato laonde se rifletterà à ciò che dice l’Ecclefiaftico al 16, Utile eft mori fine filiis quam impios habere, aidarà pace essendo priva di elli.  Sem. Io conoseo alcune di queste sterili, che non fanno alcro, che sospirare; eso che volentieri introdurrebbero il giudizio del divorzio. Pub. Ed io conosco più di una  di  que  [ocr errors] 2  fte,  fte, che si trovano nella medefima nave, le quali stanno contentiflime, e pensano perseverare col suo marito fino allas morte, quantunque sia impotente. E forse credono quelle , che il tentare questo divorzio sia qualche delizioso divertimento ? Sappiano, che converrà loro esporsi à prove, e recognizioni , che danno molto da cicalare per tutta la citrà. Ed inoltre, facendo ciò, mostreranno ancora di essere libidinose,deliderando avere più validi mariti.  Sem. Mà coine ci potrà essere pace i tra simili conjugi?  Pub. Se la moglie sarà prudente, non i ci sarà discordia alcuna ; perche vedenÛ dofi il marito così impotente, procurerà per altre vie divertirla , se non  fürà del tutto disamorato.  Sem. Mi persuado , che poco averà · da dolerâi la moglie del marito goloso , * quando però faccia anche ad essa gufta10 re qualche delicata viyanda?  Pub. Non è così; perche la donnas prudente di questo fi rammarica al parodi tutti gli altri difetti, essendo che fis mile vizio persevera per lo più fino allas morte ; onde con facilità grande può far impoverire; conforme si legge nell' Ecclesiastico al 21. Qui diligit epulas in egeftate erit, qui amat vinum, Q pin. guia non ditabitur . Oltre poi imali, che suole apportare alla salute.  Sem. Mà comc ci potrà dare rimedio ?  Pub. Conosco anch'io, che farà cola difficile il poterlo affatto rimuovere, mà la prudenza, e l'ingegno donnesco potranno darvi bensì qualche riparo , con guadagnarsi l'affetto del suo marito, il quale acquistato, se le réderà à poco à poco facile à titolo di sanità, d'introdura, re qualche moderazione ia effo : avvertali però, che la servitù rimanga in qual. À che parte compensata di quegli avanzi della mensa , de' quali soleva partici- ; parne, altrimenti questa per tal cagione sarà capace suscitare discordie traefo sa, e suo marito, con inventare infinite menzogne,  Sem.  11  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Sem, Ed abbattendosi con mariti di la mente debole, come hanno da fare per di rimuovere dalla loro grazia certi servis I tori favoriti, che li dominano ?  Pub. La donna, che colla sua pru. denza può giugnere à rimuovere dal cuore di suo marito caluna, che lo porfedeya indebitamente, con quanta facilità maggiore potrà allontanare questi,quando voglia abusarli della dilui grazia ; ed in ciò non occorre istruirla di vantaggio, essendone espertissimas; basterà solamente accennarle , che faccia passaggio delle cose leggiere, e nelle gravi norf operi con violenza grande, per non porlo in impegno di sostenerlo ; mà venendo l'occasione opportuna in qualche fuo trascorso rilevante, gli faccia conoscere , ch'ella non opera per passione, ma bensì per suoi vantaggi.  Sem. E se aveffe anche la Suocera cartiva , la quale consigliaffe suo figliuolo à Itrapazzarla , che cosa doverà fare?  Pub. Di sopportarla , amarla , erispettarla , come costuma fare con fuo  [ocr errors] [ocr errors] marito ; perche non nascono già per altra cagione le discordie tra suocera, u nuora , che dalla gelosia , che hanno le madri , che i figliuoli amino più le mogli ch'esse, da cui ricevettero l'efsere  Sem. Mà se ciò non ostante continuarse à fare il medesimo, non sarebbe me. glio di metterla in discredito appresso il figliuolo, à fine che non le desse più credenza ?  Pub. Questo non dee fare la donna saggia'; dee bensì riflettere à ciò, che, fi costumava nella città di Lepidi in Affrica per meglio imparare à soffrire. Racconta Plutarco, che ivi era costu  che nel giorno seguente alle nozze la sposa mandasse à domandare alla suocera una pentola, la quale le venivad negara ; e questo si facev'à fine che, non G sdegnafre, le in avvenire le avesse negato alcuna cosa.  Sem. Converrebbe ora discorrere fopra le stravaganze grandi, che nascono tra i marişi çattivi, cle mogli peffime ,  [ocr errors][ocr errors] me ,  [ocr errors][merged small] Pub,  [ocr errors] Pub. Non è certamente neceffario parlarne ; posciacche, à chi darebbes l'aniino di consigliare costoro, che sono incapaci di ragione ? Bisogna, che tra loro si aggiustino, e fogliono per lo'. più essere concordi', perche niuno di loro può rinfacciare all'altro i difetti, elsendone ambidue colmi . Il danno è bensì de' poveri figliuoli , che non si educano bene, tanto per l'esempio cattivo, che danno loro, quanto per la direzione, della quale eli penuriano : ben è vero però, che quando questi li avanzano alle discordie', non effendoci mezo capace à poterli più riconciliare tra loro, solamente l'autorità del prencipe può impedire le rovine maggiori che possono nascere per i dilapidamenti delle loro sostanze, 'à fine și non vedea ce mendichi i loro discendenti.  Sem.Sarebbe però un vantaggio grande, che tutti i mariti catrivi prendesse. ro mogli (imili ad essi ; perche alloran per i buoni rimarrebbero le buone solamente.  Pub.  Pub. Succede frequentemente così , essendo questi portati dal loro genio ad amare simili ad essi, secondo il pro-. verbia : aqualis æqualem delectat, ý semper à fimili fimile amatur. Il che viene confermato dal Nazianzeno , di. cendo:  Pulli quidem pullis amici , coruique  corvis ,  [ocr errors] Et furnis sturni , puro autem pretiofus.  eft purus : Meglio però di tutti l'insegna l’Ecclesiaste: Diligit fimile fibi , dow omnis homo fimilem fibi, omnis caro ad fimilem fibi conjungitur, omnis homo fimili sui sociabitur. Onde se accaderà, che una catciva giovane prenda un buon marito non sarà già di sua volontà, mà verrà bensì sforzata da' parenti à farlo, e das quefto nc nascerà quello appunto, che, dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulieris ira , o irreverentia , & confufio magna: on- ; de guai à chi toccherà limile infortunio. ;  Sem. Mà che potrebbe fare chi li trovafle in simili miserie?Pub. Di prevalersi di quest' ottimo consiglio, riferito.da Gel. in Sat.Menip. Vitium uxoris's aut tollendum , aut ferens dum ; perche : Qui tollit vitium, uxorem commodiorem præftat , qui ferte se fe meliorem facit.  Sem. E cui riuscì il potere far questo in core rilevanti ?  Pub. Tra gli altri à Socrate; come ris ferisce Plutar.de Choib. ira: il quale avendo seco à defináre Euridemo, quando nel meglio si alzò in piedi Sancippe , e dopo di avere caricato di villanie socrate roversciò la tavola in terra; onde Euridemo si alzò in piedi addolorato per partirli; cui Socrate disse con gran Aemma: non accadè poco innanzi in casa tua, che una gallina yolando fece l' isteffo ? e pure niuno vi fu , che li contriftaffe disinile avvenimento; perche dunque voi ora lo fate 2  Sem. Non si è parlato Gin'ora, come fì abbiano da regolare le povere donne per iscegliersi un buon marito Pub. Nom dçe la donna sceglierli as  suo  suo compiacimento il marito; mà bensì riceverlo da' suoi più congiunti, e di questo ne parleremo nell'educazione de' figliuoli, mostrando le diligenze, che doveranno farg da' padri å fine di provederle bene.  Sem. Spererei di sapere scegliere las moglie, ora che ini trovo in ciò istruito; mà sposata che l'avefli mi troverei intricato nell'educare i figliuoli, quando Iddio me li concedeffe, non avendo ancor appreso à bastanza il modo das regolarmi per bene diriggerli.  Pub. Nella seguente Decade tratteremo di questo.  [ocr errors][merged small] Sopra l'educazione morale de' figliuoli  CONFERENZA PRIMA  Nella quale si mostra, che cosa sia educazione, cui appartenga più di ogni  altro; e se sia necessario luogo    particolare,ove debba farsi.   Sempronio , Publio , Mecenate  e Medico.  [ocr errors] Sem.  N che consiste l'edu-.  cazione? Pub.  Nello svellere da gli animi de' tcneri figliuoli tutti quei  vizi, che spontaneamente germogliano in elli, e nell inestarvi in loro vece i preziosi gerini delle virtù ; effepdoche, come ben'er  preffe Virgilio nella Georgica parlando degl'innesti ; Pomaque degenerant , fuccos oblita priores,  sem. Come! in noi spontaneamente nascono i vizj!  Pub. Non è da dubitarnę mentre nascono molti vizj con noi medesimi insę. gnandoci il Profeta : Ecce enim in iniqui, tatibus conceptus fum ; du in peccatis concepit me mater mea; verità conosciutas, anche da' gentili ; posciacche Orazio così scriffe:  Nam vitiis nemo finè nafcitur. Optimus  Qui minimis ur getur . E Democrito, che ; totus homo ab ipfo are fu'morbus eft ; ed inoltre, che secondo l'età in noi germogliano i vizi propri di effe, i quali se non saranno a tempo dçbito estirpaţi, quei della puerizia fivedranno adulti nelle altre età; ma vie peggio ancora, che vedo verificarsi ciò che diffe Orazio nell'Odę 6. lib.3. cioè i  Ætas parentum pejor avis tulit  Nos nequiores, mox daturos   Pro  ille eft,  Sopra l'educ. de figliuoli. 303 Progeniem vitiofiorem , E da ciò comprenderece à che segno debba essere ora l'educazione più esatta di prima.  Mec. Ed io che soglio conversare spesso co' miei amici ho veduto più di una volta, in occasione, che questi as. pertavano qualche visita di soggezione, verificarli ciò, che dice Giovenale nella satira 14,  Hofpite ventura ceffabit nemo tuorum ;  Verre pavimentum, nitidas oftende co-       lumnas,  Arida cum tota defcendat aranea tela,  Hic lavet argentum, vasa aspera fer-   geat alter,  Vox domini fremit inftantis, virgam.  que tenensis.  Ergo mifer trepidas ne stercore fæda cao  ning Atria difpliceans oculos veniensis amici, Ne perfufa luto fit porticus, tamen  uno  Semodio foobis , her emendat fervulusE quel ch'è peggio ancora , che vedo verificarli appresso alcuni ciò, che se  gue :  14  [ocr errors][ocr errors] Illud non agitas, ne sanctam filius      omni.  Afpiciat fine labe domum, vitioqae ca-        rentem,  Sem. Vi concorre altro alla cattivas   90 Educazione, che la trascuraggine ulata in non eftirpare à tempo debito gli ac GE cennati difetti  Pub. Potrebbero anche renderla peg el gior e i cattivi esempj dati a' figliuoli, luz dicendo Giovenale nell'accennata satira.  Sic natura jubet velociùs, du citiùs nos  Corumpunt vitiorum exempla domeftica       magnis  Cum   subeant animos auctoribus . Quali cattivi esempi potrebbero a’proprj accrescere gli altrui difetti .  Sem. Mà come possono essere capaci in di cattivi esempi i teneri fanciulli non distinguendo questi ancora il bene dal male?  Pub.  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Dice Plutarco nell'educazione de' figliuoli, che s'imprimono gli ammaestramenti in elli conforme appunta fanno nella cerà molle i sugelli, e che perciò il divino Platone saggiamente avertisce le balie à non raccontare loro  favole di ogni sorta , mà solamente u quelle, che ponno essere giovevoli al  buon costume;confermandoci ciò S.Ba,  filio, il quale, scrivendo à quei dellas  città di Neocesarea , confessò loro di  ellere debitore di una buona parte della  sua divozione alla nutrice, la quale,non  perdendo mai alcun sermone di S. Gre.  gorio, li serviva di molti belli derti uditi  da esso in tutte le congiuntùre, che se  le presentavano per imprimnerglieli benc  nel cuore ancora tenero ; laonde saggia-  mente diffe Focilide :     Mentre fanciullo lei, virtute impara ,  Ma oltre il malesempio', pregiudicano  anche ad elli molto le carrive insinua.  zioni,   Sem. Ma questi mali esempi non sa. ranno dati già loro dai genitori, quants  [ocr errors] 3  ci  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cunque fossero viziosi; perche vediamo i ciechi desiderare i figliuoli bene illuminati, ed i zoppi, che questi liano liberi, e spediti al moto: ne tampoco infinueranno loro cose cattive.  Pub. Così appunto dovrebb’essere, e pure ciò non liegue ; posciache alcuni hanno voluto insinuare à i loro figliuoJini l'invecchiati difetti da' quali esli erano contaminaci. Vi furono due di questi, di cui fa menzione Enea Silvio libr. 1. comment.; che dediti all'ubriachezza procuravano , appena slactati ch'erano i loro figliuoli, di affuefarli al vino facendone gustare loro de' più generofi, che si trovassero; ed uno fti, persuadendosi , che non averle il suo figliuolo bastantemente bevuto vino di giorno, volle di notte, in tempo chc dormiva,farglielo ingojare con un cannellino; mà perche sonnacchioso corceva la bocca ingiuriò aspramente las moglie ; dicendole, che non era suo fi. gliuolo legittimo, per non affomigliarsi ad esso, cui tanto piaceva il vino. E vi  [ocr errors] ed uno di que  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] re  [ocr errors] recherà orrore il sentire di vantaggio bu quello, che riferisce S. Gregorio di un li esecrando bestemmiatore il quale ingi  nuava ad un suo figliuolino di cinque anni di ritrovare bestemmie anche infoJite, e riferisce ancora il gastigo , che da Dio ricevette per sì detestabile dclitro,  Mec. Mà senz' and are cercando gli antichi esempi ; non ci è stato à giorni noftri un Padre, che premiava de' suoi figliuoli quello, che cimentandoli co  i suoi fratelli, rimaneya vittorioso nel d  fare à pugni ? cosa tanto crudele , che non fi racconta già praticata da Gladiatori Romani tra fratelli,  Sem. Le Madri però non saranno state così perverse nel mal'educarli,  Pub. Queste ancora sono state colpevoli di ciò; scrivendosi di Draomirad, : Principessa molto vana, che per colpa  fua diveniffe Boleslao parricida, e fratricida ; dove che il fratello Vinceslao  educato da Ludimilla sua ava molto fagi gia, e pia divenne un Sanco , come nela  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][merged small] la sua vita si riferisce; e da ciò comprendere quanco di profitto apporti la buona educazione.  Mec. Questo non è da porfi in dubio, scorgendoli anche ne bruti profittevole; mentre racconta Plutarco, che Licur. go per fare conoscere tal verità a? Spartani fè comparire due cani , uno de quali era avvezzato per la caccia, e l'altro, dedito in tutto alla sua naturale inclinazione, non attendeva ad altro, che à leccare pentole di cucina, e nel mede: simo tempo à vista loro fè portare anche una lepre, ed un carino di broda : nel vedere il primo fuggire la lepre li pose a seguirla ; e l'altro se ne andò verso il catino; soggiungendo egli a’Spartani: così faranno appunto i vostri figliuoli ancora , se saranno, ò nò istruiti. Quindi è che avendo Tolomeo Re di Egitto domandato ad un Savio quale foffe las negligenza maggiore, che regnava tra gli uomini, egli prontamente rispore : ch'era la trascuragginc nell'educare i figliuoli, mercecche da questa infinitimali ne potevano nascere:  Sem. Mà à chi dev'essere più à cuore questa educazione?  Pub. A coloro, cui dev'essa maggiormente premere, che sono i genitori, e questi debbono con industriose, e diligenti manière spogliarli d'ogni difetto, e d'andare ne i loro teneri cuori  giornalmente istillando il prezioso liy quore delle virtù, senza desistere mai;  essendoche, come avvertì Plutarco questa voce costume , pronunziata in lingua Greca, significa anche continuo esercizio, onde da ciò si può comprendere che non ci vuole trascuraggine nell'educare i figliuoli. Riferisce Orazio Flacco, le diligenze in ciò usate da suo padre; verso di lui lib. 1. Sat. 6. che furono. Sed puerum est ausus Romam portare  docendum; Ipfe mihi cuftos incorruptiffimus omnes Circum doctores aderat , quid mulia?  pudicum, Qui primus virtutis bonos , fervavit ab omni  Non  11  [ocr errors] V 3  [ocr errors][merged small] Non folùm facto verùm opprobrio quo  que furpi. Santamente dunque ordina Salomone ne' suoi proverbj : erudi filium tuum , do refrigerabit te, & dabit delicias anime tudo  Sem. Mà le saranno i Padri talmente occupati, che non abbiano tempo das poterlo fare?  Pub. Se averanno occupazioni più riLevanti di questa, saranno compatiti, caso che nò, sono tenuti di farlo, e non facendolo meritano la riprensione del vecchio Crate,qual disse;contro costoro: Dove andate meschini, d voi, che nel cercare di farvi ricchi movete ogni pietra; e nondimeno de' voftri figliuoli, a' quali lieto per lasciare le vostre facoltà, vi prendere poco pensiero ; al che sog. giugne Plutarco, che questi operano in quella maniera, come se alcuno governaffe bene le sue scarpe, e de i piedi non fi curaffe punto. Or ditemi di grazias qual potrà essere l'occupazione più riguardevole di questa ?  Sem.  [ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Sem. I publici affari, per esempio, oltre il decoro personale, i quali ricer. cano somma attenzione, e si può dalli buona amininistrazione di questi ricavarne molta gloria, e molto lustro, vantaggiosi ai figliuoli ancora,  onde  perciò non potranno distrarsi per educarli bene.  Pub. E questo lustro, e gloria se si  estingueffe nc'figliuoli mal educati qual i acquisto averebbero fatto i Padri? Gli  Ateniesi nelle feste di Cerere faceano un misterioso giuoco, ed era , che comparivano avanti l'alcare quei destinati ad effo à prendere ivi un luine acceso, qual dovea porgersi ad un'altro , che in una decerininaca distanza lo stava aspettando, per consegnarlo ancor esso ad altri, che in egual lontananza lo atrendevano: se il detto lume si foss' estinto prima di giugnere all'ultima mera , era in libertà di ogni uno beffeggiare colui in inani di cui si estinguěya. E Platone fu di se. timento nelle sue leggi, che : gignentes, alentes liberos vitam tanquam  1  [ocr errors] lampada alii aliis tradunt. Or figuratevi ancor voi, che questo splendore, che voi dite debba passare ne' posteri; come rimarrebbe colui , che per la sua malas educazione lo estingueffe ? in che ludibrj egli li troverebbe venendo da tutti, beffeggiato ? e sapendosi, che vi ebbe colp’anche la poca applicazione del padre in educarli, dirà facilmente qualcuno : quanto era meglio un poco meno di luftro, mà più durevole nella sua descendenza.  Mec. Da questo dunque procederà, che alcuni figliuoli di uomini illustri sono di costumi tanto diversi da efli , che pajono più tosto nati dal disonore, averanno quelli facilmente difefcato nell' educarli.  Pub. Plutarco ne adduce ancora un alıra cagione credendo egli che i fi. gliuoli degli uomini illustri divengano facilmente superbi, ed arroganci; e lo comprova coll'esempio di Diofanto figliuolo di Temistocle, il quale solevas, dire ne cerchi, che tutto ciò, che li fos  se  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] se piaciuto sarebbe anco al popolo d'A. tene piaciuto; perche quello , che voleva egli voleva la inadre; e quello che la madre Temistocie, e quello che Temistocle anco tutti gli Ateniefi.  Sem. Credo però , che più comparibili polfano essere le Madri se diferteranno in deira educazione, essendoche alcune di esse hanno impiegato turte le ore del giorno in adornarli, in ricevere, ò fare visite, in passeggi , ò conversazioni; talmente che pochissimo tempo potrebbe rimanere loro di badare a' figliuoli,quando non foffero diftrarte an. che nel giuoco .  Pub. Già sono capace, che premono oggidi ad alcune più i divertimenti, che i propri figliuoli. E vi pare, Sempronio, che debbanli queste scusare? Non averanno certameote occasione alcuna di lagnarli , se faranno questi cartivas riuscita ;. perch'esse vi hanno difettato non solamente colla trascuraggine, w cziandio col mal esempio dato loro ies S. Girolamo scrivendo a Leta non diffgià, che foss'esfa scufabile, dando a'figliuoli mal esempio, mentre così parla: Nihil in te, & in patre suo videat , quod fi fecerit peccer .  Sem. Non si potrebbe supplire coiu Maestri, & Aij alla propria trascurag  gine?  [ocr errors][ocr errors] Pub. Si potrebbe in caso di necessità; mà però è assai differente l'industria,che adoperano i propri genitori da quellas, che sia l'altrui, ed eflendo questa à proporzione dell'amore , quanto maggiore sarà quella de' propri genitori, che più di ogni altro li ainano? Si suol dire ingeniofus amor , e questo appunto è quello, che li ricerca nella buona edu. cazione .  Sem. Se dunque li può supplire, saranno scufabili quei genitori, che sostituiscono in loro vece chi lo faccia.  Pub. Non per questo però debbonli affatto allontanare da efsa, senza averci qualche sopraintendenza particolare, e non usando questa non si potranno mai scusare,  Mer.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Meg. Siete Publio troppo rigoroso, e questo credo , che proceda , perche voi foste l'educatore de' vostri figliuoli; mà non sono ora più quei tempi felici , ne' quali si pensava di lasciarli più rosto ben educati, che ricchi; non sarà poco, che abbiano ora i figliuoli un Ajo di ti. tolo , che non li lasci almeno precipi. tare in tutti i vizj ; onde da alcuni, che sono arrivati a conoscerlo a è trovato quel santo ripiego di porli nei seminarj, assai giovanetti, e prima che la malizia fi avanzasle in elli.  Pub. Or io non mi sono curato di porre i miei figliuoli in questi seminarj; perche ho voluto fare a modo del Profeta , il qual dice : Filii tui ficut novelle oliva. tum in circuitu menja tuk. Sono questi seminarj fantissimi,istituci ostimi per ap: prendere il rimore di Dio, mà oh quanto fà di più quel Padre amoroso , ed actento, quella Madre faggia, e divora, in educarli in tutto , avendoli appreffo di loro ! e questo ben lo conobbe Orazio ringraziando suo padre della buo  V  è  C.  na sua educazione in tal guisa .  Laus illi debetur,à me gratia major; perche : obiiciet nemo fordes mihi .  Mac. Voi aveste però la fortc,, che vi furono i vostri figliuoli, tanquam novelle olivarum ; perche, se riflettiamo alli rami di elli, sono simbolo di pace , e tali appunto sono li vostri ellendo dotati di ottimo naturale ; fe al frur. to, è vero  ch'essendo immaturo , inolto amaro, ma questo con industria diviene anche dolce, ed il fimile è seguito in elli, essendo giovani; se poi final. mente al sugo, che da' suoi frutti maturi si esprime, ch'è l'olio, questo non fà alcun movimento, solendosi dire per proverbio : è cheta come l'olio , e contimnili à questo sono anche i vostri figliuoli, contro de' quali aon si è senci. to alcun richiamo fin'ora, e spero, che trovandosi già avanzati negli anni , cresceranno sempre più in bontà: mà se in vece di novella olivarum Iddio ve li avelse dati, come piante di mirto, questi non iftavano bene in circuitu menja tud.  Sem.  [merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors] [ocr errors] Semi E per qual cagione, producendo il mirto un fiore gratissimo ?  Mer. Sì bene, mà però senza alcun frutto, ed è pianta dedicata à Venere, e tra esli facilmente si annidano i serpenti, e se fossero ftati di limile cattiva natura i vostri figliuoli, Publio, come vi fareste contenuto con efli loro?  Pub. Gli averei ben domati io; perche più fieri de'Leoni non potevano già essere, e pur questi coll'arre divengono mansueti, e vi assicuro, che non averei fatto da cerusico pietoso; avendo appreso da Salomone il rimedio qual'è; nos li subtrabere' à puero disciplinam ; fi enim percufferis eum virgâ, non morietur. ** Més. Sapete pur, che Dione, con forme racconta Plutarco nella sua vita, per il soverchio rigore usato , e fatto ufare, nell'educare il suo figliuolo, fu cagione, che per disperazione cgli si precipitasse da una finestra : il rigore paierno non è sempre moderato , per cagione, che il più delle volte questo parsa dal soverchio amore, al foverchio  (de  [ocr errors] 9  [deg no ; e poi i Padri vorrebbero in un tracto estinguere tutti i difetti de’loro figliuoli, e questi han d'uopo di tempo preparatorio non meno, che le valide medicine, come fa il Dottore.  Med, Questo è veriflimo, perche dandoli un violento rimedio, senza prepa, sare prima gli umori, danno maggiore potrebbe apportare ; quindi è che il noItro Ippocrate c'insegnò : Corpora cum quis purgare volucrit oportet Auida facere ,  Pub. Però se Neocle non avesse usato tanto rigore , con arrivar sino à privare della sua eredità il figliuolo , certamente, che la Grecia non avrebbe avu.  PC to il gran Temistocle, il quale ritrovan. doli in tali angustic ricavò dalla necefficà la virtù, essendo che bene spesso : veWatio dat intellectum .  GULE Mec. Questo esempio appunto fa conofcere, che sotto padri tanto rigorofi non possono educarli bene i figliuoli ; fpc posciache avendolo diseredato lo mandò ancora fuori di casa, e perciò averàalırove trovato chi lo cducasse con più discretezza; e poi questo fu un bene per accidente, il quale assai di rado rie. sce con tanta felicità, rimirandosi dall' altra parte infiniti, che discacciati da' propri genitori , datisi in preda maggiormente de vizj, terminarono infelicemente la loro vita negli spedali, ò disperati, di trovare modo da vivere, presero il soldo militare, per foftentarli in quel breve tempo, che vissero .  Pub. Or io sono di questo parere, che debbano i propri genitori educare i loro figliuoli; perche, se saranno buoni , e docili, riuscirà facile l'educarli; re poi perversi, ed ostinati niuno credo, che potrà usare diligenza , ed attenzione maggiore di cfli: saprete pure quel che seguì tra lo scolare, ed il maestro, fingendo il primo di studiare diceva sotto voce : tu credi, che io studj, e non istudio, al quale sotto voce anche risspoodeva il secondo : e cu credi, che jo mi curi di questo che nulla mi preme. Mec. Voi dite orcimamche, perche  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] fete capace di farlo, e fiete anche pru.  dente, mà come pretendete esiggere  tutto questo da un Padre imprudente, e  vizioso, il quale non rifletterà punto à  quel saggio documento di Giovenale  registrato nella Satira 14. il quale è:    Maxima debetur puero reverentia, so       quid  Turpe paras, nec tu pueri contempferis   annos,  Sed peccaturo obfiftat tibi filius infuns,  Nam fi quid dignum cenforis feceris ira,  Quandoque fimilem tibi ; te non corpore        Bantung  Nec vuleu dederit, murum quoque filius,            & cum  Omnia deterius tua per veftigia peccer.     Pub. Allorsì, che converrebbe tro-  vare chi foffe capace di farlo , per la ra-  gione, che Giovenale medefimo appor-  ta successivamente nella Satira da voi  citata :    Unde tibi frontem, libertatémque pa-        rensis  Cum facias pejora fenex? Wacuumque       cerebro   Jam  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Jampridem capul huc venioja cucurbito  quçrat . Mà però, che l'educatore insieme coll' educando dimorassero in propria casa.  Mec. E se in casa propria, oltre il mal esempio, la laurezza del vivere ritardassero i loro progressi?  Pub. Confesso,che in questo caso converrebbe mandarli fuori, ed in paesi anche remoti; acciocche il mal esempio, e la trascuraggine grande de' genitori, colà non giungeffero.Mà è possibile, che questi, a' quali non dev'esser cosa di maggior premura di questa, possano as proprio compiacinento dare mal efempio a' figliuoli? e poi se non sono prudenti, perche s'inducono à divenire Padri ? Certa cosa c,che i figliuoli mal ducati non apporteranno loro altro, che confulione, dicendo l’Ecclesiastico al 22. Confusio pat.is eft de filio in disciplinato.  Mer. Il mondo oggi corre cosi, mol. ti sono. Padri di nome, e solamente perche li hanno generati , onde perciò con  vie.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] X  viene ricorrere ad altri Padri savj, u prudenti , che gl' istruiscano, e fuori del proprio nido , essendo ora gran parte de' genitori divenuti imitatori de' corvi, è dello struzzolo, che gli abandonano, non già delle aquile, che con tanta attenzione istruiscono i loro polli.  Pub. Polliamo dunque conchiudere , che se i genitori saranno capaci, e diligenti nell'educare i loro figliuoli, niu. no meglio, di efli potrebbe farlo; e fe nella casa paterna si vivesse, come conviene non sarebbe d'uopo cercare altro luogo per educarli,potendosi con profit. to istruire in effa.  Sem. Che doverà fare il buono educatore, sia Padre, è estraneo, per isvellere da efsi i difetti?  Moc. Questo lo vedremo nella seguente Conferenza.  CON  [merged small][ocr errors] Intorno à quello, che debba farsi da'        Genitori   per  educar bene i figliuoli.  [ocr errors] Mecenate , Sempronio , Publio ,  e Medico  [ocr errors] мес. .  L peso maggiore, che abbiano i Pa. dri , mi persuado che sia l'educazione dei figliuoli s  perche si tratta di navigare sempre contro acqua, dovendo opporsi bene spesso alle loro cattive inclinazioni, e superarle à forza d'ingegno; e si trovano alle volte torrenti si rapidi, che si rende assai difficilc poterli alla prima superare.  Sem. Non mi fono risoluto fin ora di prender moglie; perche hò consideratoanch'io le molte difficoltà, che s'incontrano in questi tempi à ben’educare i fi. gliuoli , ne' quali vedo , che appenas slattati che sono, pretendono di fares à lor modo, senza avere alcun riguardo à quanto viene ordinato loro da'genitori .  Mec. Non vi sgomentate per questo ; Sempronio mio, essendoci il suo rimedio , quando chi sopraintende há prudenza, e la prendere, come li suol dire, la lepre col carro. Vi dirò io sci avvertimenti generali, che vi potranno molto giovare, allorche sarete Padre di famiglia ; nel particolare poi sarete meglio istruito da Publio.Ed il primo farà; che tanto voiquanto la vostra con. forte diare loro buono esempio.  Sem. Ed in quali cose ?  Mer. In tutte ; perche se voi sarete in continue discordie con vostra moglie, come potrete correggerli, quando mai foffero discordanti tra fratelli? se vorrete, che non disordinino nel nutrirsi, come lo potranno fare vedendovi cra  po  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][merged small] polare giornalmente se li bramerece divori, come potranno essere, se non mostrerete voi coll'esempio, ciò, che volete , ch'essi facciano 3 E scoprendovi tutti dediti agli spasli, e piaceri, come pretenderece,che siano applicari allo studio, divagandosi ancor elli collaa mente nel pensare di fare il simile quanto prima , per imitarvi? non fate 10 una parola, che quel difetto,che volete da effi (vellere lo rimirino in voi medeliini, dovendo voi imitare Agricola, quando fi portò al governo dell'Inghilterra , allorche si trovava molto rilassata, il quale prima da se medelimo cominciò à dare il buono esempio.  Sem. Ed il secondo qual sarà ?  Mec. Di trattarli ugualmente tutti, senza mostrare parzialità benche minima verso alcuno.  Sem. Che male potrebbe apportare questa parzialità paterna  Mes. Infinito ; percioche usandola voi, non solamente darette occasione di odio tra fratelli, ed ecco, che invece  [merged small][ocr errors] che il pre  ce di svellere da esli i vizj gli accrescere. ste di vantaggio, mà ancora, che il diletto sarebbe meno attento degli altri ad approfittarsi de' vostri buoni docu. menti, persuadendosi egli, che' compacirete i suoi difetti, per l'amore, che loro mostrate, e gli altri,dal mal esempio di questo, che profitco farebbero ? Igenitori debbono : imitare il Sole, e la Luna , che risplendono ugualmente as benefizio di cutri : e sappiate che la parzialità, che usò David per Ammone fu la sua ruina ; impercioche questa lo fè divenire incestuoso, e quell'amore troppo tenero, che fè trascurare tal mi. sfatto,incitò Abfalone à divenire fratri. cida; mancamenti tutti derivati dalla connivenza paterna.  Sem. Il terzo qual sarà ?  Mec. D'accomodare l'animo vostro alla dolcezza, ed al rigore secondo le occasioni, che vi si presenteranno.  Sem. E queste quali saranno ?  Mec. Se voi li vedrete attenti , e che & approfittino dei buoni documenti che  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] avete dati loro, in quel tempo sarà opportuna la dolcezza; mà se poi vedre. te, che trascurino, e diferčino, dovrete servirvi del rigore per correggerli.  Sem. In tutti i loro trascorsi mi dove. rò contenere ugualmente severo? ,  Mec. Ci sono alcuni difetti, de' quali non si dee far caso, essendo prudenza alle volte non darsene per inceso; altri sì, benche minimi in apparenza, non debbonsi lasciare impuniti : per esempio una tal inavvertenza, nata più tosto da disapplicazione, che da disubbidienza è compatibile; mà non già una benche picciola bugia , ò una finzione maliziosa anche minna, dovendosi quefte con risentimento svellere affatto dow principio ; perche se prendono piedes non li svellono più ; ed in correggerli di queste non dovete usare il rigore alla prima, mà bensì colle buone far loro confeffare la verità, e conoscere il mancamento, e dipoi con risentimento ainmonirli, facendo loro capire , per quan. to sarà poflibile, la deformità grande  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] di tali vizj, con non perderli sopra quefti più di mira ; concioliacosache come insegna l’Ecclesiastico al 20. Mores hominum mendacium fine bonore : du confufro illorum cum ipfis fine intermifione .  Sem. Il quarto quale sarà ?  Mec. Di essere tanto voi, quanto las Madre sempre concordi in ammonirli; perche se un di voi li coreggerà, e l'altra li vorrà scusaro, non solamente non fi approfitteranno della correzione , mà prenderanno animo di far peggio, trovando chi li difenda ; ed in questo errore fogliono cadere frequenteinente le Madri con danno evidente della buona educazione; come par che l'accenni Salomone ne' suoi proverbj al 29. Puer qui dimittitur voluntati sur confundit miirem suam : ond'effe , per non cadere in questo, debbono imitare quelle faggio miatrone del testamento vecchio tra le quali che non fece Sara per l'educa. zione d'Isac, Rebecca di Giacob, od Anna di Samuele ; siccome ancora Sansa Monaca, S. Celinia, che fecero ofetime educazioni de' figliuoli, dilendo-   ne da queste nati un S. Agostino, un  S. Remigio: tra le quali merita anche   di essere annoverata la pia , e zelance  Madre di S. Andrea Corfini, che non  desistè giammai d'industriarsi Gintanto,  che non lo vide di lupo cambiato in  agnello.   Sem. Riferitemi ora il quinto.  Mec. Dovete parimente tener celato l'amore, che portate loro, ne tampoco con quotidiani gaftighi far loro credere, che Giete disamorato affatto verso di essi ; perche il soverchio amore li farà prendere troppa confidenza con voi ; ficcome alli continui gastighi facendovi il callo,non li prezzeran più . Quella correzione risentita , fatta à suo tempo, cou parole, che li pungano, serve as molei di stimolo maggiore ad operare bene, più di quello che facessero le sferzate . La scimmia, allorche si moftras madre sviscerata de suoi parti,con troppo ftringerseli al lato li uccide, e questo segue per lo soverchio amore, che  por  [ocr errors] porta loro , non già per isdegno. Il destriero più generoso colle continue sferzate divien reftio. Ordinariamente de Madri sogliono peccare di troppo affetto , ficcome i Padri di soverchio rigore; e da ciò ne viene , che più amorosi li portano i figliuoli verso le Madri, che verso i Padri, de'quali hanno bensì maggior timore.  Sem. Ed il sesto finalmente ?  Mec. Di non farli trattare in assenza vostra con persone, che possano distrug. gere quanto di buono avere in esli inlinuato; posciache debbono anche credere, che cutti abbiano da operare in quella forma, che voi prescrivere , che elli vivano; e se per disavventura udiranno da qualche malvagio consigliero maslime contrarie alle vostre , quanto male apporterebbero queste infinuandosi in quelle tenere menti, e non atte ancora à ben discernere qual sia il veleno, e quale l'antidoto. Ne vi starò so-. pra di ciò à riferir esempj, perche di Umili miserie ne accadono giornalmen  tes  [ocr errors] E  te, come voi ben sapere ; vi addurrà solamente ciò che si osserva in un certo  animale (come riferisce il Salier Hs: - Juppon:) che dimora in una montagna  del regno di Gotto nel Giappone, il   quale è in grandezza, e figura fimile al  lupo ; viene però ricoperto da un pelo  morbidiffimo al par della seta, e la sua  carne è delicatissima al gusto;entra que-  sto animale bene spesso nel mare; mas   se     per   fua (ventura s'inoltra molio in effo, diviene pesce, ricoprendosi di squame, de' quali essendone stato presentato uno al Re di Gotto, che per metà era divenuto squamoso, e nel rimanente conservava il suo morbidissimo pelo, fè ciò conoscere tal verità. Or se il conversare co pesci può far divenire un'animal si morbido anch'effo squamoso,che farà l'innocente giovanetto conversando cou cattivi? Che apprenderà di buono da quel lacche vizioso? da quel cocchiere scapestrato, è da altri viziosi? quando non facesse altro discapito, imparerà a correre, ò pure à guidare land  carrozza, oh che belle prerogative di un giovane nato per governare, e reggere qualche parte del Mondo! Quindi è che rettamente ordina l’Ecclefiaftico al 7. Difcede ab iniquo , & deficient man la abfte. E S. Agostino scrisse che : fitcilius eft fortem stare in martyrio, quam in pravå societate .  Sem. I Genitori, Publio , debbono ugualmente essere à  parte  dell'educazionc  Pub. Certamente, che sì ; mà però in modo, che uniforine vada la dettaa educazione, e perciò debbono in tutto portarli concordeinenre: si possono bene tra loro dividere alcune incombenze; per esenipio la Madre, essendo assidua, e non vagabonda,averà maggior campo d'infinuare loro , ed anco di fare apprendere in primo luogo ciò che riguarda alli precetti Divini , dovendoli allan sofferenza donnesca questa lode, che, per non attediarsi punto in replicare le medesime cose infinite volte, riescono in ciò lingolari, cd in segucla d'iftruir.  [ocr errors] li nel Galateo oon affetrato, e vano, ma bensì nel serio , ed in quello, che insegna ciò, che appartiene ad un gentiluomo cristiano, il quale non solamente è diretto alle cose mondane, mi alle divine ancora; e sopra tutto al rispecto, e venerazione, che si dee à Dio in ogni tempo, come dispone l’Ecclesiastico al 2. Serva timorem illius, do in illo veterafce; perche soggiunge: Quis enim permanfit in mandatis ejus , & dereli&tus eft? aut quis invocavit eum, & difpexis ilum?  Sem. Ed il Padre quale incombenza doverà prenderli ?  Pub. Essendo un poco grandicelli, e come li fuol dire già smammari, dee il buon Padre cominciare ad iftruirli in modo, che possano riuscire graci, ed utili alla Republica, come faggiamence viene avvertito da Giovenale : Gratum eft , quod patria civem , popu  loque dedifi Si facis,ut patria fit idoneus, utiliser E per fare questo dev'essere vigilaore',non solamente à rimuovere da elli certi primi difetti, che sogliono in quell'età manifeítarli, come sono la pertinacia , e disubbidienza , con certa vivacità di spirito contenziosa , e questo farlo più tosto con uno sguardo severo , e con minaccie, che con percosse in sì tenera età ; e qualche volca ancora il togliere loro parte della colazione è un gastigo molto profittevole ; 'mà divenuti, che saranno alquanto più capaci dee istillar loro maslime nobili, cd onorate, e replicatamente, à fine, che se le imprimano bene nel cuore.  Pub. E queste quali sono ?  Pub. La prima, ch'è la più essenzia. le, sarà di amare sopra tutte le creature Dio, e di venerare tutci i Sanri, con fare loro comprendere , che tutto il bene, che abbiamo, viene da Dio, e che non amandolo, non lo potremo da esso conseguire, non potendo avere altro, che lui, che ci soccorra nei nostri maggiori travagli: dicendo appunto l’Ecclefiaftico al 33. Timenti deum non occur.  rent  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] rent mala, fed insentatione Deus illums confervabit, & liberabit à malis ,  Sem. E dopo questa ?  Pub. La seconda farà di amare il noftro prossimo come noi medesimi, e di non fare altrui ciò, che sarebbe discaro à noi stesi ; e far loro di vantaggio capire, che ognuno sarebbe miserabile in questo mondo , se non fosse soccorso dal compagno : e venendo l'occasione di comprare qualche cosa,andare infinuan. do loro in quel punto questa verità, che se quel povero uomo non avesse faticato per noi, se sarà farto per esempio , noi . anderemmo nudi , ò vestiti al più di pampini , con mostrar loro ancora, che conviene sodisfarlo delle dovute mercedi , affinche possa vivere per averci à servire con puntualità un'altra volta : Capitando lavoratori di campagna farà bene che conprendano,che se quei miserabili non iftassero di giorno al sole, e di notte allo scoperto,non si mangierebbes quel bel pane , nè li berebbe quel buon vino, che ci portano in tavola, onde  [ocr errors][subsumed][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] degli altri.  che debbonsi con prontezza sodisfare, acciocche possano con amore attendere à coltivare la terra, che li produce mediante la loro industria ; e non perdere alcuna delle occasioni , che capitano per meglio imprimere in quei teneri cuori l'amore verso il prossimo, clas puntualità in fodisfare quanto si dee a' poveri mercenarj.  Sem. Offervo però quei, che sono più puntuali in sodisfare,peggio serviti  Pub. Non è così, Sempronio, può effere che vi sia taluno, che operi con questa ingratitudine, mà nell'universalc offervo, che chi ben tratta è ben tractato, e poi non ci dee già muovere à ben operare il proprio vantaggio; mà bensì, perche in coscienza liamo tenuti di sodisfarli puntualmente, ed udite che grave eccesso commette colui , che traIcura di farlo : Panis egentium, dice l' Ecclesiastico al 34. vita pauperum eft : qui detrabit illum bomo fanguinis eft. Qui aufert in fudore panem, quafi qui occidis  pre  [ocr errors] proximum fuum . Qui effundit fanguinem, e qui fraudem facit mercenario , fratres '. funt.  Mec. Queste massime sono certamen. te necessarie , affinche divenuti adulti non si facciano guadagnare dal mal esempio di alcuni , che costumano di fa. re ciocche non conviene ; e sarebbe anche necessario nel medesimo tempo d’in. finuare ne'loro animi la benevolenza neceffaria verso la servitù ; affinche la possano riscuotere reciproca dalla medefima ; perchè, conforme chiaramente fa conoscere Seneca nell' Epistola 47, è falso quel detto : Quot servi tot hoftes , dicendo egli : non habemus illos boftes, fed facimus; per non tratçarli in quellas guila: Quemadmodum tecum fuperiorem velles vivere. Onde io sono camminato sempre colle massime di questo grande Uomo nel inorale ; che il servitore: 60lat magis dominum , quàm timeat, e për cagione di ciò assegna:quod Deo fatis eft, quod colitur, eu amatur ; onde che più di questo noi non dobbiamo esiggere,  Y  da  [merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] da noftri servitori, e tanto più che non paseft amor cum timorë mifceri.  Pub. Dice questo grand’uomo cercamente il vero ; perche se non farà reciproco l'amore tra il servidore, ed il Padrone, avendo continuamente questi. al.lato,continua sarà ancora l'occasione prossima di rammarico tra efl ; e fatto che averà l'abito in questo, non potrà più aftenersi di non contriftarlo, per ogni lieve cagione.  Sem. Dunque, Mecenate, al parere del vostro Seneca non si potranno licenziarei servitori, chcli porteranno male?  Mec. Non pretend' egli questo ; ma folamente, che non fieno i Padroni in fervos fuperbiffimi, crudeliffimi , dow contumeliofiffimi ; come pocrete vedere nella citata Epiftola. Sem. Essendo però noi li Padroni, toccherà ad efli soffrire qualche noftra ftravaganza .  Pub. Dobbiamo anche noi riflettere, fino a che segno possano quest' esferes forferte da cali perchè se le nostre stra-,vaganze fossero grandi, e continue, ci   renderemmo noi meritevoli di riprenfio.  ne : vietandoci l'Ecclefiaftico il farlo al  4. ove così dice: Noli effe ficut leo in doa  mo tua evertens domesticos tuos, & oppria  mens fubjeétos tuos . E c'insegna di van-'  taggio , come ci dobbiamo portare co")  fervitori senfati al settimo , dicendoci :  sonladas fervum in veritate operum, ne-  que mercenáriun danten animam fuam.  Servus fenfatus fit sibi dilectus , quas ani:  ma sua ; ne defraudes illum libertate, nebo   que inopem derelinquas illum,   - Sem. Ma se divenissero a noi importu.   ni, contradicendo a quello, che noi bra.  miamo di fare, doveremo anche collea  rarli?   Pub. Se saranno fedeli, e parleranno per zelo a bneficio voftro, dovrete non solamente tollerarli, ma eziandio amar-, li più di prima; perche farà segno, che non vi adulano,facendo cosa ucile a voi, quantunque la considerino svantaggiosa a loro medefimi, con moftrarne voi dispiacere ; ed udite l'oracolo dell'Eccle  siasti  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Aico al 33. Si eft tibi seruus fidelis, fortis bi quafi anima tua : quasi fratrem , fic cum tracta , quoniam in janguine anima comparasti illum. sibaforis eum iniuftè, in fugam convertetur. É cosa averete acquistato con perdere per vostro capriccio un servitore tanto fedele? quando ne trovarete un' altro fimile ad eiro ? & abbiate da me questa certa notizia, che l'adulazione ne' servitori, si è avanzata a questo segno , per il dispiacere,che alcuni Padroni mostrano nell'udire la verità fincera : laonde esli, per non perdere la loro grazia , vengono forzati ad adularli , c tradirli insieme. Ma vorrei, che questi, che hanno a male di udire da fervitori la verità, facessero attenta riflessio. be a quello che dice Giob al cap-31. che è questo: Si contempla fubire judicium cum Servo meo, e ancilla mea, cum discepia. rent adversus me : quid enim faciam cum Surrexerit  ' ad judicandum Deuse du cum quaferis quid respondebo illi ? Nunquid non in utero fecit me ; qui & illum operatus eft, & formavit me in vulva unus?  Semp.  Sem. Quando però saranno grandi li figluoli li scorderanno di questi utili avvertimenti .  Pub. Non sarà così quando il Padre, oltre il rammentarli frequentemente', li praticherà esso ancora, dal di cui buono csempio comprenderanno meglio, che debba farli così..  Sem. Vorrei sapere , Publio, fe il Pa. dre possa condurre i suoi figliuoli a vedere le maschere?  Pub. Anzi dee farlo, con que sta avvertenza però d'imprimere ne loro cuori , che quei,che con sembianti sì deformi, e spaventofi si trasmutano,sono paz. zi, e che quei sconci gefti, e parole oscene,chc dicono, sono tutticffetti della loro pazzia, con infinuare loro, che divenendo effi grádinon lo facciano per non essere anch'elli tenuti pazzi. Sole. vano i Spartani fare ubriacare i schiavi, c li facevano vedere a loro figliuoli, af. finchè prendessero orrore all’ubriacheza za da quelle pazzie, che da fimile get tc agitata dal vino fi commetreyades  rem  ied effendo riuscito a quelli profittevole; fperarei, che facesse il fimile anco a quefti, e tanto maggiormente non avendo il mal'esempio da i genitori, perchè se ne aftengono , cd essendo veriffimo quel detto : Quo fuerit imbuta recens fervabit ode  Tefta diu. Impreffe che faranno da principio ne' cuori de' fanciulli fimili verità, difficil. mente si cancelleranno più.  Sem. E crescendo negli anni, & avan. zandosi nella capacità, che averaano da fare i genitori?  Pub. Di prevenire tutti concorde mente i mali, ne'quali potessero cadere; insegnandoci l'Ecclesiastico al 18. Antò languorem adhibe medicinam , per lo che doveranno porre un antemurale a vizj in questa forma: Già efli averanno cominciato ad aver l'uso di ragione, e potranno comprendere qual fia il male, & il beno,cominciando a conoscere gli effetti dell’uno, e dell'altro; : onde venendo loro questi meglio spiegati comprende  ran.  ranno con più facilità qual mostro orrendo sia l'uomo vizioso, e quanto preggiabile sia colui, che abborrisce i vizi, quanto odiati da cucci siano i primi, ed amati li secondi, prenderanno in questa forma ancor efi orrore al vizio; efe non averanno compagni più che cattivi, i quali vadino seducendoli, come potrà cflere, che non s'incamminino ancor'eff per  la buona via ? ed una volta, che fi sono incamminati per essa colla grazia di Dio, e con l'occhio paterno vigilante sarà cosa difficile il discostarsi più das quefta .  Sem. E delle massime di onore, e de puocigli cavallereschinon ne discorrere?  Pub. E che credete voi , Sempronio, che le massime di Dio non siano anch'effe di onore, e cavalleresche? Impoffel fatevi bene di queste, che tutte le altre vengono di seguito ; non sapete voi, che la prima vircù : Eft vitium fugere, fapientia prima Stultitiâ caruifle. Datemi uno , che abbia in orrore il via zio, cche lo fugga, che io lo crederò perfetto in cutro.Sem. Io credeva, che queste matsime dovessero servire per i figliuoli, che s’indirizano alla vita religiofa,non per quel. li, che debbono vivere nel mondo, ove senza aver un poco d'inganno pare, che non a polla convivère;  Pub. Quanto ficte in errore ; perchè ugualmente sono necessarie le mailime di Dio per i Religiosi, che per i fecolari, dovendo tutti indirizarci per la via dell' ecernità ; nè crcdiate che godano quelli, che vivono,come voi dite al mondo, van. taggio alcuno di più di coloro, che ope. rano come si dee; anzi sono infelicillimi , & uditelo dall'oracolo dell'Eccle. {iastico al 2. V & duplici corde , d. labiis fceleftis, du manibus malefacientibus, peccatori terram ingredienti duabus viis. Va disolutis corde, qui non credunt Deo; & ideo non protegentur ab.co. Va his, qui perdideruns Justinentiam, & qui dereliquerunt vias rectas, diverterunt inue vias pravas. Et quid facieni cum infpicera esperit Dominus ? Se dunque lo mafime del mondo faranno differenti da queste  abban,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] - abbandonatele puré , che non fanno per voi , perchè come vi troverete senza il -Patrocinio di Dio?  Sem. Dicemi, se in casa ci saranno,oltre i genitori, altri parenti, li doveran. no ancor questi ingerire nell' educazione  Pub. Questi ancora , ma però più con dare loro buon' csempio, che con pas role; posciache è cola inolto difficile, che tutti questi siano uniformi nelle buone direzioni di effa'; oode fe taluno di questi-inlinuasse tal cosa, la quale sembrasse differente a quella , che udi da'genitori, o ficonfonderebbe, o per lo meno non prestérebbe la dovuta crea denza a quanto verrà foro insinuato da suo Padre, è questo lo mostrerò col segucnce. esempio . Nel domare i pola Icdri [ che "polledrucci anco possono chiamarsi i figliuoli, avendo bisogno'ral volta ancor esli di effere domati ] fcfaranno diversi li cozzoni, non folamen te ci vorrà più tempo in renderli docili , ma ancora potranno correre pericolo di  pren.  [ocr errors][merged small] -prendere qualche vizio ; perchè fentendo, oggi una mano più gravę, nel di seguente altra più legiera,e certe speronate differenti dalle altre , pon comprenderanno così bene quello , che doveranno fare; e cal, volca inasprendoli diverranno anche restj. Se questi paren. ti fossero tutti uniformi, e caminaffero colle medesime direzioni, potrebb'effere meno male, ma sempre meglio farà , che sia uno solo quel complesso , & armonia vaiforme de propri genitori savj, e prudenti, da'quali una sola volontà li forma.  i 37. Sem. Voi, Publio, che avete educa. toi vostri figliuoli da voi medesimo, in, segnatemi di quali documenti xifiere servito per iftruirli nelle þuo be creanze, cda cui gli apprendelte per potermene ancor'io prevalere a suo tempo 2  Pub. Per non crrare mi sono servito di quci, che non possono fallire, aven, doli ricavati dalla Sacra Scritsura.  Sem. E che parla quefta ancora delle buone creanze, che debbono insegnarli a'figliuoli?  Pub.  [ocr errors][ocr errors] Cena  Pub. Divinamente ne tratta l' Eccle. El di  fiaftico al 31. ove dice: Utere , quafi himo frugi iis , que tibi apponuntur , ne cum manduces multum, odio babearis; cela prior  causa disciplina , el noli nimius effe, ne * forsè offendas. Et fi in medio multorum fe.  disti prior illis , e exsendas manum fuam , nec prior pofcas bibere.  Sem. E del rispetto, che debbe avetfi a Maggiori, ne parla ?  Pub. Di questo ancora al 32. dicen. do: Adolefcons loquere in quâ causå vix', fibis interrogatus fueris ; babeat caput rée Sponfum fuum ; in multis efto quasi infciusi, audi taceus fimul' quçrens •  • In me dio Magnarum non presumas, & ubi sunt fenes non multùm loquaris : talmente che leggendo voi attentamente la Sacrae Scrittura , potrete divenire un'ottimo educatore de i vostri figliuoli.  Sem. Vorrei sapere ancora qual vizio giudicace peggiore di tutti gli altri, in un uomo civile, è facoltoso, sopra il quale fia d'uopo d'invigilarci più, che negli altri, per porerlo affatto svellere da figliuolis  [ocr errors] Pub. Io ho stimato sempre tutti i vizj per pesimi, non effendoci alcuno di effi tollerabile; quello però, che ho sem. pre proccurato di svellere con più attenzione da miei figliuoli, è stato l'avarizia; perchè ho sempre creduto, che, crescendo questa avesse superato tutti gli alcri, figurandomi l'avaro come una lacuna,che assorbisce in fe moltiffimi rivi, che debbono scorrerc ad inaffiare, e rendere fecondi molti campi; onde che, stagnando effi, possono apportare notabile danno a molti, c.quel ch'è peggio con danno notabile di chi li divia: ed udine, come a propofito l'efpreffe \'Eccicfiaftico al s.F4 & alia infirmitas peffima, quam vidi fub Jole : divitia conservala in malum Domini fui , pereunt enim in afflictione peffima, & in appresso miserabilis prorsùs infirmitas : quomodo venit,fic revertetur . Quid ergo prodeft ei , quod laborauit in ventum ? Cunétis dicbus vitæ fua comedit in tenebris , & in con ris multis, & in ærumna, aique friftitiâ ed il perche lo efpresc Orazio con dire Jemper Avarus eget.Sem. Ora io, che ho udito tanto, non sarà mai pericolo, che divenga avaro , sembrandomi la vita di questi infelicissima . E tornando all'educazione: se il Padre non fosse capace di educare, ela Madre fosse poco prudente, chi si dove. rà sostituire in loro vece?  Mec. Buoni Maestri, è se saranno ricchi , potranno provedersi anche dell' Ajo, di cui discorreremo nella ventura Conferenza.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] CON.  CONFERENZA III.  Intorno all'uffizio, e qualità dell'Ajo,  Ĉ dei Maestri:  [merged small][ocr errors] V  [ocr errors] Sem.  Ual'è l'uffizio dell'   Ajo ?   Pub. L'Ajo dee at-   tendere precisame-   te al costume, ed   a ciò ch'è ordina. to ad effo.  Sem. Ed al Maestro, che apparticoche di fire ?  Pub. Oltre quello, che riguarda il costume, dee ancora insegnare loro le scienze, & tutto quello, che ha da premettersi per il conseguimento di elle. Semp. Ma non potrebb’essere anche  Ajo  Ajo il Maestro, giacche attende questi al costume ancora ?  Pub. Alcuni lo praticano ; altri poi più facoltosi provedono di Ajo, è dit Maestro i loro figliuoli , credendo il far ciò diligenza maggiore.  Semp. Ma realmente, chi di quefti fa meglio?  Pub. Se s'incontrasse un uomo versacissimo nell’una, e nell'altra profesione , mi perfuado :, che questi foffe di profitto maggiore, ma per essere raris : fimi quefti,quindi è, che chi può li provede dell'uno, dell'altro.  Sem. Che condizioni dee avere l’Ajo?  Pub. Dovcado egl'istruire nel costume, lo doverà avere anche otti  mo in priino luogo , dovrà essere prus Idente, ed accorto, industrioso, e diri  piego prontojalliduo, crudito nelle ftoorie, non molto colerico, sostenuto, che di abbia ancora parti da faríi amare , fia  prarichissimo delle cose del Mondo , e se fosse versato in medicina, sarebbe anche ile requisito.  Sem.  [ocr errors] Sem, -Mà trovare tante parti in un uomo farà cosa molto difficile.  Pub. E perciòi rari fono quei , che facciano l'uffizio loro come si richiede; contenrandoli', alcuni Padri di averly nobile sì, mà nel riinanente , come si diffe; folamente di citolo, battando loro di avere l'ombra , e non tutto l'effenziale di efia, persuadendosi , che questa possa essere sufficiente.  Sem. E come, anderebbe Gmil'educa. zione?  Pub. Quafi nella medesima maniera , che se non ci foffe chi la dirigeffe , porendo fare l'educando a fuo modo .  Mac. lo so, che dovendosi provede re un Signore di qualità dell'Ajo, furongli proposti diverli ; trà quali vi era un nobile ,'mà poco erudito; un Poera infigne ; ed un eccellente Geografo, ed Aftrologo insieme ; niuno di questi volle al suo fervigio ; ricufando il primo, per il motivo, che di nobiltà il suo figliuolo nè aveva a sufficienza ; al secondo oppose , che Aimava fi fosse potuto  trop.  U troppo divagare dal suo ufficio chi at  tendeva a comporre poemi, nè volle il che terzo, perchè dubitava che l'aveffe fated  to troppo girare colla mente, non che avendo altro , che discorrere seco, che  di cielo, e di terra: alla fine gli fu pro* posto un buono Istorico, eccellente Fi.  losofo, e Matcematico , questi disse fà al mio bisogno: perchè gli mostrerà come fi dee yiyere cogli esempi altrui, l'insegnerà a tirare le linee recte , ed a prendere col compasso le misure giuste 3 ; e lo fermo al suo fervigio,  Sem. In qual'età li dee porre sotto la cuftodia dell'Ajo l'educando?  Pub. Più prestamente, che si può.  Sem. Mà 'non sarebbe fpefa superdua questa , ponendosi in età, nella quale non è ancora capace di comprendere i buoni documenti?  Pub. Non li chiama mai spesa super, fua quella, che & fà per educare i pro· pri figliuoli, essendo ucilisfimo rinvesti. ·mento,perciocchè, acquistato che averanno elli le virtù si troveranno un gran tesoro, e non soggetto alle vicende della fortuna; ed in quella età, quantunque non comprendano i buoni documenti, nulladimeno questi in qualche parte, cominciano ad imprimerli nella loro mente oltre;di che quanto gioverà, per conoscere le inclinazioni nacive l'averli ayuci in custodia da çenerį anni?  Meç. Si disse tempo fà di uno, che gettava il danaro avendo posto l’Ajo al figliuolo di età adulta, e divenuto già alquanto vizioso, perchè non averebbe allora potuto egli più emendarlo, aven. do prelo già possesso in esso i vizj.  Pub. Questo lo credo anch'io ; per. chè le piante tenere sono quelle , che si possono piegare a proprio compiacimento, dove che le già cominciare ad assodarfi vogliono crescere co’loro di. fepti , quantunque ci si adoperi ogni in. duftria per emendarli. Quindi è che l'Ecclefiaftico al7.così ordina. Filii ribi sunt, Erudi jllos, & curva illos à pueritia illorum.  Sem.  nes  [ocr errors] Sem. Qual onorario si dee dare all' ile Ajo ?  Pub. Non ci è danaro, portandosi be  che uguagli il beneficio, ch'egli apporta , onde deefi generosamente trattare,  Mec. V'era un’mio amico', che solea dire che se avesse trovato un educatore, a suo modo , per i suoi figliuoli, non solamente lo averebbe trattato assai bene, mà di vantaggio gli averebbe anche la. sciato nn grosso legato nel suo tcftamento , per maggiormente animarlo ad impiegare ogn'industria poffibile pro de fuoi figliuoli,  Pub. Costui mostrava conoscere cer. tamente l'utile maggiore de suoi figliuoli; perchè ben comprendeva, che rimanendo dopo la sua morte efli bene educati quancunque fossero alquanto meno ricchi di beni di forcuna , sarebbe questo stato compensato dall'utile assai più riguardevole, che risultaya loro dalle virtù acquistate, posciache al pa. rere di Cicerone.Ora:pro Sexto: virtus in  [ocr errors] tempeftate fava quieta eft,lucer in tenebris , expulsa loco manet tamen, atque hş. ret in patria , Splenderque per fe semper, neque alienis unquam fordibus obfolefcit , quale sorte cerçamente non godono le richezze.  Sem. In qual modo si hanno da prevalere della loro industria, e prudenza nell'educarli?  Pub. Secondo l'età si debbono anche regolare. Nè teneri fanciulli con maniere foavi debbono insinuare loro quello, a che dicemmo essere tenuti i propri genitori, ę fucceffivamente fecondo vedranno i narurali così debbono opcrare  Som. Di quante fpecie possono essere questi naturali?  Pub. E quì presente il Dottore, che meglio di me potrà fodisfarvi ; iftruite, lo di grazia in questo brevemente e con termini chiari da capirsi da ogn'uno :  Med. Secondo la diversità de temperamenti sono varj ancora i naturali ; posciache questi da quelli in gran parta  des  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] derivano, ed effendo quattro le specie bi principali de temperameati a quattro  sorte ancora si potranno ridurre li naturali de figliuoli, cioè all'igneo , o biliofo, che dir vogliamo , al femmatico, al melanconico, o al soverchiamente allegro, detto fanguigno. Ci sono poi altre specie subalterne, che nascono dalle diverse mescolanze dei liquidi, che nella massa umorale predominano, de quali ora non ne parlo.  Sem. Per meglio distinguerli dunque i  doverebbe l'Ajo essere Medico ancora.  Med. Cimancherebbe questo d'averci anche da impazzire co'ragazzi, forse che non ci danno da fare a bastanza allora che sono infermi?  Sem. Questi naturali sono sempre uniforme in tutte l'età?  Med. Sogliono variare fpeffe volte nelle mutazioni di esse, offervandoli ciò manifeftamente. Sem. E  per quali cagioni? Med. Perchè varia la massa de Avidi, secondo che ci avanziamo nell'età  acquis  [ocr errors][ocr errors] 2 3  acquistãdo energia maggiore alcuni fer, menti col crefcere gli anni, ficcome questa si può scemare ancora accostandoci alla vecchiaja.  Sem. Come si dovrà regolare con chi è di naturale biliosoa,  Med. In quefti, per quanto si può, è sempre meglio servirsi della dolcezza ; poscia che colle afprezze maggiormente si accendono, ed allora divengono pertinaci.  Sem. E se di questa si abusaffero?  Med. Allora la dolcezza dell' Ajo dee cambiarsi in rigore per far loro conofcere , che nel mele, e nel zuccaro ancora è nascosto l'amaro.'  Pub. Di questo già raggionammo baftantemente nella paffata conferenzas istruendone i Padri, onde non stiamo.a dilungarci di vantaggio  Med. Siami permesso di aggiungere, a quanto fù detto, una mia rifeflione, ed è quefta : che le severe correzioni riescono più utili fatte a sangue freddo, canto per profitto dell'educando quanto per vantaggio dell'Ajo , che può senza ira insinuargli le sue più mafurate ammonizioni , e restano anche maggiormente iinpresse ricevute di mattina a ventre vuoto, essendo la mente anche più limpida, dove che ricevute allorche si trovano già agitati dall'errore commesso, non sono cosìcapaci di comprenderle.  Sem. Come si doverà contenere co' sanguigni.  Med. Questi sono più facili de primi ad educarli  ; perchè sogliono essere difinvolti ;basterà tenerli frenati in certi eccelli , ne quali potrebbero cadere', di soverchia allegria, e curiosità, ed avvicinandosi all'età giovenile tenerli lontani da cose veneree .  Sem. Che potrà fare il povero Ajo allor che sono grandicelli, ed averanno quei stimoli, che fanno prevaricare anche i saggi?  Medi Il miglior antidoto , che fias contro li stimoli della lussuria c, di condurre qualche volta i giovani ne noftri  Spe.  [ocr errors][ocr errors][merged small] 24  spedali , ed in tempo, che si faccias qualche amputazione di parti genitali putrefatte, a cagione del morbo gallico: e cercamente induce loro tale spavento sì crudele spettacolo, che si sono alcuni di questi spogliati affatto di fimili pensieri, per l'orrore conceputo allorchè udirono, che da donne era ve. nuto quel tanto male, e che per esse conveniva soffirire sì atroce tormento di ferro, e di fuoco, e di vantaggio di non essere più uomo.  Sem. Ec i malinconici come vanno trattati?  Med. Questi appunto sono quelli , che fanno fofpirare non solamente i poveri Aji, mà ancora noi quando essi sono malati; perchè hanno un naturale stravagantissimo, é maggiormente fe regierà in elli qualche porzione di umore chiamato atrabilare : bene è vero però, che nell'età tenera non hà tal'umore. quella energia, che si manifesta colcrefcere essi negli anni, e questi ò danno al byono, e divengono eroi, ò al pessimo ,  elo.  [ocr errors] [ocr errors] e sono molto iniqui, e perversi; debmit bonsi dunque con grande industria  queili  fti trattare, e senza usar loro molta vios  lenza, e più coll'affiduirà , e colli efemin pj fatti da lor medesimi leggere, o rifei riti di persone viventi da loro cono, of sciute, che con aspre sferzate;debbonsi  anche tenere divertiti, & applicaci a più cose, alle quali abbiano genio.  Sem. Come divertiti, & applicati, parendo queste cose contrarie  Med. Divertiti, dico, con far loro prendere aria amena , conducendoliins  villa più frequentemente degli altri, & i applicati alle volte a cose diverse dallo studio, come farebbe il suono, il  quale se sarà di loro genio li può tenere lontani da que pensieri tetri, che occupa  no continuamente le loro menti; ma di o questo converrà discorrerne più diffusamente a suo tempo.  Pub. Egliflemmatici come van regolati ?  Med. Questi sono quelli, che se non faranno onore all'Ajo gli recano almeno  poo  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] pochi travagli; perchè fogliono essere pacifici, e tardi d'ingegno: Ben'è vero però, che nelle mutazioni dell'età sogliono alle volte sciogliersi, e divenire un poco più spiritosi, e fare ancora com  petente riuscita.  [ocr errors] Sem. Come suole essere, Publio, di profitto l’Ajo, facendo anche da Maeftro, nelle scienze ?  Pub. Se terrà lo stile praticato da Mae. Ari, riuscirà egregiamente come dicemmo ; ma se vorrà poi insegnare colla medesima maniera le scienze, che insinua il buon costume,anderà tutto peffimamente.  Sem. E perchè  Pub. Lo stile tenuto dagli Aji in istruire nel buon costume è d' infingare tutto in voce, il quale nulla giova per fare loro apprendere con fondamento le frienze ; perchè queste sarebbero superficialmente adattate , & à quella guifas appunto, che G soprapone loro ridotto in fogli al legno, il quale col tempo di. sperdendol rimane legno ciò, che mo.  Atraa  [ocr errors] tre ftrava di essere oro, dove che il Maes po stro, professore esperto, procura d'in=  finuarle nella mente colle sue regole, e collo scritto, affinche abbia pronto il comodo di ricordarli di quello , che si  fosse mai dimenticato. G Mec. Ora comprendo da che fia  pros ceduto, che viaggiando molti anni fono udj in una Città discorrere alcuni giovani co molto spirito in ogni scienza, i quali per essere di poca età mi recarono ammirazione ; ma avendo avuto curiosità alcuni anni dapoi di sapere se profitto maggiore avessero farto, mi fu risposto, che avevano più tosto deterio.  rato; bisogna dunque che il loro Ajo gli de aveffe istruiti a braccia , e non con fon10 damento.  Pub. Nerone, che fu istruito da Seneca in questa guisa, fece alla prima las < sua bella comparsa, ma terminò poi u peffimamente.    Sem. L'autorità dell' Ajo sin dove fi  Atende?    Pub. Tanto'oltre, quanto quella del Padre,dovendo essere amplifima, a fine che f. rendano ossequioli, & obedienti ad effo,  Mec. Le Madri però sono quelle, che procurano di ristrignerla,imponendo loro, che non li gastighino, nè li sgridino, ma che li compatiscano se non si approfittano de’loro documenti; e questo lo fanno per rimore, che non fiammalina, e bene spesso,per questo timore di male ideale , ne nasce il certo male della possima educazione loro ; perchè per non disgustarle gli Aji fanno a lor modo, comportando quanti difetti efG hanno: le saggie madri però lasciano che li gastighino ad arbitrio loro, eli correggano secondo il bisogno , conoscendo queste per isperienza, quello che per dottrina ancora conobbe Salomone al prover. 22.  ftultitia colligata eft in corde pueri, d virga disciplina fugabit Cam •  Sem. Debbono usare distinzione alcu, na in questo, secondo l'erà ? Pub. Essendo l'Ajo prudente saprà re.  go:  ne  [ocr errors] golarsi anche in questo , & accomoderă i il gastigo secondo l'erà, econ quei mo.  di, che conoscerà effere all'educando più sensibili ; per esempio se lo scorgessc goloso, il fargli sottrarre qualche pietanza in tavola gli sarà di gran gastigo ; se giocoliero, togliendoli quell'ora di divertimento, lo toccherà lül vivo; e fe averà un certo roffore in sentirsi sgridare, questo sarà appunto l'opportuno suo gastigo ; in somma il migliore sarà quel. lo, che si renderà più sensibile.  Sem. Può l’Ajo per qualche suo af. 1 fare allontanarsi da effo ?  Pub. Per quanto meno farà possibilu dee farlo; perche non mancano scelerati adulatori, i quali, per guadagnarsi la grazia de padroni giovani,infinuano loro ciò , che può dilettarli , quantun. que lia pregiudiziale, e per ciò se mai doveffe allontanarsi da effo per qualche tempo, dee avere di chi possa fidarsi in sua assenza .  Sem.E qual sorta di divertimento deb, bono permettere loro?  [ocr errors] [ocr errors] Pub,  :: Pub. Tutti quelli, che non sono viziofi, e fono ad esli geniali, per esempio il giuoco delle boccie, della palla, del volanıę, ed altri, anche più laboriosi di questi, competenti alla loro età.  Sem. Nel tempo che sono direrti li fi. gliuoli dall’Ajo possono i Padri educarli ancor effi?  Pub. Se saranno capaci di uniformarfi alle buone direzioni dell'Ajo, pofranno qualche cosa contribuire ancor essi, L'incombenza loro però è di offeryare qual profitco facciano, e di sentirne anche il parere di più persone capaci sopra i loro buoni progrefli , esaminati che li averanno; per altro scorgendo, che yą. da tutto a lyo dovere non debbono con fondere i figliuoli con documenti diffc. reori, ne contristare l? Ajo con varjare il loro metodo; bafterà la loro vigilante  Lopraintendenza ; mà muta quando non vogliano come doverebbero, effimedelimi in tutto instruirli.  Sem. Bramerei ora sapere le condi. zioni che doyerà avere un ottimo Mae. Aro  Pub.  [ocr errors][merged small] [ocr errors] 101  Pub. In primo luogo dev'essere di via ta esemplare, dotto , c prudeme , siccodel me è necessario ancora, che abbia buo  na comunicativa, per farsi ben capire,  fia sostenuto, diligente, e si sappia far 1 amare, e temere, e sia anche pratico  delle tristizie de figliuoli, per non farq gabbare da effi.  Sem. Trovandogi un uomo di tante buone qualità potrebbe anche servire I per maestro di casa, ed elascore nelme,  desimo tempo; perchè facendosi ben ca. pire, indurrebbe più facilmente i debi,  tori a pagare ciò, che debbono particos e larmente ora, che sono tanto renitenti di farlo,  Med. Questo e uno degli errori mal. fimis perch'essendo talunò ottimo per un impiego 2 con darglicne tanti fi fa in modo , che divenga trascurato in tutti; essendo grito quel detto; Pluribus intentus minor eft ad fingula fenfus. Or io coftumo questo s chi mi serve., faccia solamente l'ufficio suo ; perchè considero,' che non sia poco,che li riesca in una sola  cosa,  cosa, ed ho provato con isperienza, che se taluno procura ingerirsi in più, confondendole tutte , ne pur una ne farà bene.  Pub. Voi Sempronio vi figurate, che fia picciolo affare l'insegnare a figliuoli le dottrine , e ben picciolo il generarli, mà non già il farli divenire uomini eccellenti; perchè in un istante si generano, e con poca fatica , mà per bene addottrinarli non solamente vi è duopo di molti anni, mà ancora di attenta , ed induftriosa applicazione . Per abbozzare una statua ci vuole poco, mà per ridurla a somma perfezzione numero infinito di sealpellate di più ci vogliono; C riflettendo voi al valore della statuas abbozzata, ed a quello della ridotta a perfezione, ben comprenderete il van. tagio di più che ne ricaveranno i vostri figliuoli dal Maestro, che istruisce con profitto.  Sem. Io lo dicca a buon fine ; perchè risparmiandosi qualcheservitore,mi riufciva più comodo di fargli un buono af4 fegnamento , acciochè viveffe contea. to.  Pub. Glie lo dovete fare senza accrom (cergli maggiori brighe, se bramare, to che la statua da voi abbozzata abbia iti ma , e valore grande,  Mec. Veramente in quei casi conviene deporre l'avarizia', ed ogni parkmonia ; e non fare come quel Padre sciocco riferito da Plutarco, che domandando ad Aristippo ; quanto paga. mento ricercava per ammaestrare il suo figliuolo, udendo domandare inillo dramme rispose ; questo è troppo ; perchè con mille dramme potrei comperarç  un servo; çoi saggiamente replicò: duna que averai due servi, tuo figliuolo, e  e quello, che comprerąi: facendogli conoscere, che se non era bene ammacftrato, sarebbe diyenuto un servo il fuo figliuolo ancora.  Sem, Quale farà l'incombenza del Macftro?  Pub. Gjà per quanto appartiene al co. fune seguirerà quello, che si è detto  CON  [ocr errors] Аа  1  con cominciare prima da Dio ;' nel rima, nente poi lasciate pensare ad esso, per; che avendolo scelto pratico, e dotto faprà secondo l'età, e capacità andarlo itruendo come fi dee: bensi voi di. chiaratevi apertamente com voftri fi, gliuoli alla sua presenza , che volete,che lo ftimino, ed obbediscano da Padre, con dargli ogni più ampla facoltà di cor.  eggerli, e gaftigarli severamente in ralo di bisogno; perchè bramare di riconofcere per figliyoli solamente quei , che studieranno, e faranno passata nelle ccienze 1 Mec. Quanto fu mai eroico l'atto, che fece l'Imperatore Teodosio ; impercioche avendo scelto Arsenio per Maestro del fuo figlinolo, ed avendogli detto; Pofthac tu magis pater ejus quam ego, come riferisce il Baronio all’A.380-avvenne un giorno, che passando Teodo, 'fio per la camera, oye Arsenio faceva la repetizione a suo figliuolo, osservò , che il Maestro fe ne stava in piedi, e lo [colaro affifos ne bo potè coptcnere di  non  [ocr errors][ocr errors] non dimostrare ad Arsenio il suo dispia çimento ; veramente gli disse ini avvcdo, che voi non sapere far bene il vo. ftro uffizio ; tenete, tenere il grado di Maestro, e non di scolaro : Sagra Mac fta , replicò Arsenio, non sarebbe punto convenevole, che io mi ponelli a se. dere per dar la lezzione ad un Imperatore; ciò udito Teodofio tolfe la Coro, na di capo al suofigliuolo,c comando ad Arsenio , che fedesse ; & ad Arcadio suo  figliuolo, che stasse in piedi colla testad á scoperta, fin tanto che il Maçstro gli parlaffe ,  Sem. E se non faceffero tutto quello i profitto, che io defiderasli, che averò el da fare?  Pub, Vedere, Sempronio, parliamo chiaro, i Padri yorrebbero dopci in bre. yiflimo tempo  i loro figliuoli, onde in quefto non abbiate tanta fretta, lasciateci porre il sempo neceffario per impof  sessarsi bene; må se poi vi accorgette, nel che oon dare tempo al tempo non li apejet profitrassero, doveţe esaminare d'onds  A a 7  prox  ,  [ocr errors] erro  [ocr errors] [ocr errors] provenga la cagione, e se saranno più Hgliuoli, vedendo , che taluno di edi li  di approfittaffe, e gli altri rimanessero indietro, la colpa non sarebbe del MaeItro, ma bensi dei figliuoli, e che non applicassero, o che non fossero di mente ancor capace di apprendere. * Sem. E se la cagione venisse dal Mae. Itro, che fosse disapplicato , contenzio, so, o troppo bestiale ?  Pub. E'voi trovarene un'altro į mas non date fede loro alla prima ; perchè dopo , che averanno ricevuto il gastigo verranno a piangere da voi, el dole.  che il Maestro fia bestiale; ma non diranno già la cagione giusta; per çui li ha gastigati; ed in questo caso avvertite a non dar mai ragione a loro trovandosi presenti,anzicon volto afpro sgridageli , e dite loro che lo averanno meritato : informatevi però bene come è andato il fatto , per ritrovare la verità.  Sem. Ma venendo per colpa de figliuoli che averà da fare?  Pub,  ranno,  Pub. Se saranno disapplicati, vedete ancor voi di usarci diligenza , con promettere loro premi per animarli ad essere più attenti ; e fe poi venisse dall'incapacità in qualcuno, bisogna averci pazienza; e rimirate le dita delle vostre mani, che ancor’esse non sono uguali , e pur la mano turta insieme fa l'uffizio suo; così parimente sarà la figliolanza, quando venga secondo la sua capacità impiegata bene.  Sem. Dolendosi il Maestro di questo, e dichiarandosi di non poterci aver più pazienza?  Pub. Confolatelo, & animatelo ad averci ancor effo pazienza, conforme conviene, che P abbiate ancor voi  Mec. Si doleano con Antipatro i MaeAtri, che i suoi figliuoli non volevano per tante fatiche, e diligenze usate loro , approfittarsi punto dei loro documenti, e per consolarli egli dicevan che vi era un paese nel mondo, ove le parole si gelayano in tempo di verno appena uscite dalla bocca, a cagione digio  freddi ecceffivi, che le racchiudevano nell'aria, ma appena comparfa la primavera,fgelandoli queste allora si udivano.. Non dubitate , diceva loro » che verrà ancora in essi la primavera ; ed alloras queste parole, che odon'ora da voi , fi Igeleranno ancor effe; continuate pura parfare , per  , per uđitne all'ora di vantago Sem. Dovero comparire nel cempo , che si fa scuola?  Pub. Anche, frequentemente s per ve. dere che si fa, per aninarli insieme a portarfi bene, c tenerli in freno.  Sim. Stimate neceffario ohre di tea net loro il Maestro di mandarli alle fouo: le publiche?  Pub. Per godere di quei vantaggi, che apporta l'emuluzione può essere utile : debbonfi però avvertire due cofe; la prima , che vadano sempre accompa. gnati dal reperirore, perchè del fetvis rore in curto non vi dovete fidare, poa tendolo indurre fare a lor modo:Pal. tra poi che fixno vicini in feuola a come  pa  [ocr errors][ocr errors] mpagni bene accostumati, perchè ivi po.  trebbero divenire maliziosi trattando  con carrivi. eri  Mec. Bisogna ancora stare molto cau., telato nello scegliere questi reperitori, detçi comunemente Pedanti, perchè  vi è stato tra esfi cal’uno, che insegnaya of  a' figliuoli il fare la fabbatina , il giuoco delle carte, & altri vizj in vece delle virtù; e vi è stato chi di questi ancora così iniquo , che ha  procurato, che abbandonaffe il figliuolo la casa paterna , dopo d'ayer rubaro al Padre qualche fomma di danaro considerabile, e seco conducendolo fuori di stato , per ispre. garla. Onde se non si sappia che siano di ottimi costumi, non debbonli consesgnare ad effi i propri figliuoli, per non ricevere quella riprensione, che fece Diogenç Sinopio a quei di Megara, dicendo loro, come riferisce Eliano, che fi contentava di essere più rosto un ariete della lor mandria, che loro figliuolo, perchè a custodire quello impiegavano uomini fedelilimi, & ad iftruire questi  ripų  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] A a 4  riputavano abile chiunque fi folfe loro abbattuto dinanzi.  Sem. E le figliuole fi debbono regola. re nella medesima forma? :)  Pub. In alcune cose non vanno regolate così, conforme udirete nella seguente Conferenza.  w  CON  [ocr errors][merged small][merged small][merged small] Semn.  He differenza cie  tra l'educazione dei С  figliuoli, e quella delle figliuole ?  Pub. Primieramen:  te, che queste,non dovendosi incamminare per la via delles fcienze , non hanno d'uopo di tanti maeftri; e poi essendo diverli i loro vizj, e naturali inclinazioni,debbonsi quefticon differenti manicre correggere ,  Sem. ' quali sono questi vizj delle figliuole  22 Pub. La vanità par che nasca con lo ro, quçfta opera, che moltissime di  effe  [ocr errors] cffe sino dalla nascital  par  che mostrino compiacimento in fegtir lodare la loro bellezza : ha poi la maggior parte di cffe, un certo difpreggio, il quale viene da alcuni creduto per vivacità di fpirito; altre poi fin d'allora moftransi vezzofe, e molto affabili; e vi sono ancora di quelle, le quali danno a divede. re appena nate la loro dispettosa rozzez. za , contrafegni tutti non leggieri di ciò, che possa nell'età pid avanzata ope. rare la loro naturale inclinazione.  Sem. Di correggere tali difetti cui partiene principalmente  * Pub. Alle Madri, che con affiduità amorosa aflifton loro ; dovendo i Padri portarsi giornalmente fuori di casa per affari, che li tengono alle volte lungo tempo occupati; c quefte avendo bisogno di una affidua cuftodia da niuno meglio, che dalle Madrila poffono riccvc, re: debbono però i Padri per quaaco fa. rà perineslo lorosinvigilarci attenicamene te anch'effi. Sem. Che dovranno fare le Madri in quella tenera età, nella quale ne put capiscono ciò che loro si dice?  Pub. Poffono far tholco, con impea dire ancora, che non rimirino , ed odino ciò che non è convenevole; perchè quello, che mostrano inclinazione alla vanità; non bisogna cominciare ad ornarle vanamente, pe å far loro certi ýczzi disdicevoli, perchè s'imprimono quelle vanità, e quegli atti con facilità grande in si tenera età; quelle bensi che mostrano dispettosa rozzezza pof. fono follorarli con fimili vezzi  per  inco minciare a poco y a poco a renderle più  [ocr errors][ocr errors] umane.  [ocr errors] Sem. E di poi cominciando a capire , che dovrà farsi?  Pub. Allora farà tempo d'incomina ciare a far loro apprendere , che la bela lezza della donna non confiste ja altro che nella bontà de'coftumi.  Sem. Oh capiranno beneche cosa dano costumi le picciole figliaole?  Pub. Non importa, perchè quantunque allora pon lo capiscano, nulladime  nos  [ocr errors][ocr errors] no ,  effe continuando ad udirlo a fuo tempo ben lo comprenderanno; basta che allora non si secondino le innate inclinazioni loro viziose.  Sem. Mà fe la Madre avesse compiacimento di essere stimata bella, c fpiritofa, e forse anche vana , come potrà istruire la sua figliuola diversamente da sè medesima, e che non abbia da compiacerli anch'essa di ciò ?  Pub. Ora entriamo nei guai grandi, perchè se la Madre non diriggerà bene tal affire, l'educazione anderà pellina  menic.  Sem. In questo caso che dovrà farsi?  Pub. Quello appunto, che fù da me praticato, di provederli d'una buona matrona ; e se questa fù utile alla mia famiglia, essendovi la Madre capace, evigilance,  ; quanto più sarà geceffaria in questo caso, che voi mi rappresentare ?  Sem. Lo credo anch'io; dunque essendo duopo provedersi della matrona, ditemi quai requisiti dovrà avere per far bene l'uffizio fuo ; perchè essendog  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] dismesso questo buon servigio, non si potranno trovare con facilità quelle , che siano esperte.  Pub. Non dev' essere giovane , nè vecchia , mà di età conlistence,  Sem. Perchè non vecchia , pocendo quest' avere maggiore sperienza del mondo?  Pub. E vero , mà la vecchiaja ancora la può rendere più fastidiosa , e meno attenta : e poi se dovrà cuftodire le vostre figliuole, che hanno da nascere, chi sà se fosse allor viva ; e vivendo farebbo decrepita , quale età non lega.molto colla gioventù, e perciò non sarebbe ad effe accetta,dec ancora essere di buo. ni costumi, e pia,di parentato civile, ed onoraco , prudente , discreca, attenta, affezzionata', che sappia ben cucire di bianco , leggere , fcrivere mediocres mente, e che non sia curiosa di leggere: libri profani, e lascivi. p9  Sem. O che mal farebbe, se leggere ancora l'istorie profane, potcado fervire si di effe per meglio iftruirlo?  Pub,  -1  Pub. Le storie profane non tutge conferiscono alla buona educazione, el, fondovene alcune molto nocive ad essą come già dicemmo, onde chi sà, che prendendo diļetto in udirne riferire alGuna di queste, non prendessero amo, re anche l'educande a simile lectura  Sem. E se sapesse la lingua francese , o spagnuola, non sarebbe maggior van taggio , per insegnare loro quel parla. xe , che oggidi è tanto in uso ::Pub. Che pretendete ? forse di mari, farle in Francia, o in Ispagna ?  Sem. Non lo dico per questo fine, mà veáendo qualche lignora di quei paeli , o trovandoli con alcuna , che la parlasse, sarebbe da esse capita, e por trebbero risponderle.  Pub, Voi vorreft'educare le vostre fi, gliuole per far pompa del loro spirito , e non vi accorgete, che quefta non è la sua strada; e qual nccefficà avete,cheessa converfino , e tratejno con gence ftraniera s volere forse, che apprendano į cofumi loro diffepsadi dai noftri?  Sem,  [ocr errors] [ocr errors] GB  [ocr errors][ocr errors] Sem. Non bramo quefto, mà hò sentito dire , che sia vantaggio grandes e l'avvezzarle disinvolte, e spiricosc, perchè più facilmente fi maritano queste,  Pab. Voi prendereste moglie di spiritofa, e disinvolta  Şem. Io non già, ora chc sò come debi ba sceglierli.  Pub. E perchè dunque volete incam, minare le vostre figlie per una yia , che voi la ftimate non recta e non vi avve, dere , che in ţal guisa mostrarefte di amarle poco a  Sem. Il saper ricamare ancora mi per, suado, che la requisto necessario nella matrona :  i Pub. Per far che ? per educarle forse nella vanità e non sapete, che cosi fa comincia bel bello ; posciache dalla sem ta fi paffa al’oro, e dall'oro alle perle  per formarne ricami di gran valore.Cor. 4, nelia madre dei Gracchi fe conoscere  a quella gentildonna Capuana, la quale 0  era alloggiata in sua cafa, allorchè moArolle i ricami ida effa farsi,per mio fvario.  bano essere i layori delle Madri, con farde yeder i suoi figliuoli, ed in qual forma da effa fi aducavano, che non era già nelle vanità, mà bensì nelle virtù .  Sem. Bramerei almeno , che sapesse insegnar loro un poco fuono, e di canto,  Pub. Questo poi sarebbe peggio, per: che l'educherebbe cantarine, & im. parandolo per vostro syario, non lo di fimparerebbero già, per non dilectare an, che gl'altri.  sem. Contenendom’io in questo vo. fro antico rigore mi farefte mutare il mondo.  Pub. Io non pretendo tanto : voi mi vichiedere del regolamento della vostra cafa ;c chcaforse pretendece che da queta debba prendere la norma tutto il mondo a facciano gli altri ciò che vogliono , mi basterebbe di ottenere, che voi, che ricercate il mio parere appren. deste ciò, che dovrete fare,  Sem. Io resto perfuafiffimo di quanto dite per benefizio mio, ma sifetto añ,  cora  [ocr errors][ocr errors] cora nel medefimo tempo a quello , che li il mondo dirà, operando diversamente  da quanto ora li costuma dalla maggior parte .  Pub. Qual parte del mondo stimate voi, che sia più saggia, la maggiore, o la minore?  Sem. Ho udito sempre dire, che sia la minore,  Pub. Or dunque; perchè da voi medelimo volete porvi nel numero de i meno saggi? deh seguitate la più sana , e non vi prendere fastidio alcuno dell' altra , quantunque sia più numerosa :  prendete di grazia la mira verso quò eundi dum, non quò itur.  Sem. Rimango persuaso, e quanto m'insegnafte voglio risolutamente fare. Or ditemi per mia istruzione ; scelto che averò questa matrona , della quale voglio provedermi prima di prendere moglie, che averò da fare io, e qual' incumbenza apparrerrà ad essa ?  Pub. Voi, allor che le consegneretç la vostra figliolanza, le direte: che Bb  fia  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] lia cura sua d'istruirla principalmente nella pietà , e devozione, e che rimuova da essa tutti i difetti allorche li ye desse comparire , senza indugiarvi un momento ; anzi che meglio farebbe an. cora, se preveniffc al bisogno con semi, narę anticipatamente ne’loro animili preziosa semenza delle virtù, e che per questo procuri di non perder la mai di vifta : e vedendo ch'ella li porti diligen. te nel suo uffizio usatele più gratitudine, affinche non habbia da parerle penosas quella vita tanto soggetta, che farà ; e credetemi, che il premio è il maggiore incentivo a farci fare con amore quelle cose, che senza di esso ci parrebbono molto penose.  Mec. Questo è certiffimo, posciache chi mai li porterebbe il primo a scalare una muraglia, difesa da tanti nemici are mati, se non se {perasse da questo un premio grande ?  Sem. Fatto che avrò le mie parti, in che forma essa adempirà le sue ? Pub.. Nato che sarà alcuno de' vo  [merged small][ocr errors][ocr errors] ftri figliuoli, principierà il suo minister ro con invigilare, venendo lattato,dal...  la balia, a quanto sara necessario, con i fare anche da soprabbalia , nè permetteo ra già, come dicemmo, chc oda,quan  tunque non le comprenda ancora , cer, i te canzone amorose, nè pure, che fifli  i suoi occhi innocenti a'rimirare certi datti scomposti, & indecenti; perchè  quantunque non siano allora da esso conosciuti per quel che sono , nulla dime, no in progresso di tempo, conforme fi apprendono le parole, così ancora può  insinuarsi nell'animo qualche cintura noSeminaciva di tali difetti; e procurando, che D in vece di quelle oda, e rimiri cose  profittevoli,cd oneste, delle quali se ne i apprenderà alcuna particella, resterà  questa a benefizio dell'educazione, e i procurerà ancora nel tempo della lacta  zione colle buone sue maniere , di prin-  cipiare ad affezionarselo.    Sem. Che dovrà fare dipoi ?   Pub. Già toccherà ad effa slattarlo, e * si perderà il sonno più di una notte. B b 2  Sem,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] liri  Sem. Sarà bene, acciocche non lo perdiamo anche noi, di tenerlo in qualche mezanino lontano dalle nostre stanze,  Mec. Per questa cagione sono andato io più volte in collera co i miei amici , avendo osservato lontani dal loro appartamento i figliuoli anche lattanti,per timore, come dicean'o , che non turbarsero il loro riposo, e diceva loro: pere dete pur tanto tempo, e vegliate tanto per il giuoco, e continue conversazioni, oh bene non potete vegliare un poco pe’ vostri figliuoli? E se non lo volece perdere voi, cui tanto debbono premere , vi persuadete forse, che le donne mercenarie di servigio vorranno perdere il fonno? Dormiranno ben bene, e lasciefanno piangere chi vuole; ma da questo quanti mali ne saranno seguiti lo faprà meglio il Dottore.  Med. lo dalle offervazioni fatte sono arrivato a conoscere questa verità ; che più fortunati siano nel mascere, e nel imorire i poveri, che i ricchi; perchè quelli dalle proprie Madri sono lattaţi, eand custoditi diligentemente con amore;docal ve che questi sono consegnati alla indi  screta servitù, e trattati assai diversadai mente in tutto ; e posso riferire a que  fto proposito di averne curati alcuni,che caduti dal letto, per trascuraggine del. le balie , ebbero a perdervi la vita , ed altri, per il gran pianto fi allentarono , negando cal volta loro il latte le balie, allorche ne avevano bisogno; e per avere loro ripercosso secretamente il lat. time, quanti ne sono periti? Giccome ancora quanti ne sono morti af gati per averli tenuti negligentemente nel proprio letto ? avvenimenti tutti, che afa sai più di rado G odono accaduti tra po  veri , quantunque questi siano assai i più numerosi, che i bene stanti. Della  morte dei ricchi non parlo, perchè ave. rete uoi medesimo osservato questi, be  ne spesso, per li soverchi, e conculcati : rimedj, dati loro, più facilmente , che  i poveri perire, & alle volte in mano de  Ciarlatani.    Pub, Se voi dunque avercte amore   per  [ocr errors][ocr errors] Bb 3  per i vostri figliuoli non li terrete lontaa ni dalle vostre stanze in ogni tempo per. che tal vicinanza darà stimolo maggiore alla matrona di avere per loro più attenzione , & all'altre donne di fare me . glio il loro uffizio.  Sem. Riferitemi ora il modo, che doverà tenere in appresso per conoscere meglio s'ella, operi a suo dovere?  Pub. Già fu discorso, ma non sarà mai a bastanza, di quello, che dovrå farli intorno ad imbeverarli ben bene del fan. to cimor di Dio, e crediate pure per cofa certa, che questo è il fondamento principale della buona educazione; efsendo esso solamente capace di rimuovere tutti i vizj, non porendo questi far breccia ove si ricrova benradicato: è vero però, che questo feme santo noni basta piantarlo solamence, na decli col. rivare sempre con atrenzione, e fervore, acciocche non perisca, essendo che a poco a poco germoglia ne teneri par. goletti, ed in questo doverete aricor voi invigilarvi. In seguela poi dovrà,  appe  19  and appena che le figliuole faranno capa.  ci, tenerle impiegate ad apprendere qualche lavoro di quei necessarj a saperG dalle donne, che sono il cucire , far calzerte, cessere, e filare, e questi disporli secondo l'ctà, e capacità loro : nel medesimo tempo impareranno a leggere, e di poi a scrivere, e questa sarà l'incumbenza , che dovrà avere intorno al lavoro,  Sem. O ben le donne civili, e nobili averaono da teffere, e filare che han. no forse da procacciarsi il vitto con que. fti lavori  Mer. Intorno al filare non avete occasione di risentirvene, perchè è torna, ta l'usanza di farlo ; non sò però se per bizzarria, o per profitto ; averere pur veduto, Sempronio, nelle case civili conocchie sì ben fatre , che fanno venire la voglia di adoperarle anche a noi al. tri uomini.  Sem. Queste le ho veduce certamente, ma però stare oziose, onde mi perfyadeva, che fossero state fatte per col  locarle dentro i loro scarabattoli nonri: mirandole punto adoperate .  Mer. Nonaveranno filato in presenza vostra, perchè non avendo voi moglie non era tempo ancora, the imparaste a filare alla moda.  Pub. Le caste donzelle in questo s'im: piegavano anticamente, e tralasciando di riferire, che lo facessero Penelope, Lucrezia , & infinite Matrone Romane; Alffeandro Magno fi vestiva co gli abiti teffuti dalle fue Sorelle, come racconka Curzio ; & Augusto non portò già altri abiti , che quelli, che dalla sua Moglie, Figliuola , e Nepoti erangli ftati fatti, come riferifce Svetonio: Onde se no li vergognavano queste di farlo, per qual motivo potranno aftenersene le tanto inferiori ad effe ?  Sem. Ma fe non avessero genio di fardo , tanto più non vedendolo praticarea alle Madri?  Pub. Questo genio può farfi venire con riferir loro qualche bell'esempio, & appunto de racconta uno il Surio nel di  fe  fecondo di Maggio, che se coinincies ranno a gustare le cose di Dio sarebbe assal a propogto: dice dunqu'egli, che andando S. Antonino Arcivescovo di Firenze, per una contrada di qite!la città vide un buon numero di Angeli, che  formavano come un corpo di guardias e sopra il tetto di una povera časa ; li ven  , ne in pensiere di catrarvi, e di riconoscere l'occasionc y per cui meritava canto favore da Dio; non vi trovò, che und Madre con tre sue figliuole , le quali filavano per guadagnarsi un poco di pane, e stavano con gran modestia : vedendo il Santo il bisogno , che avevano, fc loa to una buona limosina :-Dopo qualche tempo ripassando per la medesima strada vide, che la stessa casa era ricoperta di piccioli folletti, armati di tutti quei stromenti, che fogliono portare li dediti alla libertà del mondo : entrò, evide le medesime, che passavano il tempo a ridere, scherzare', e motteggiare , e fare le belle: Riferito questo, si poa trebbe soggiungere loro, che se Iddiogradisce canto il non stare in ozio in quelle, che sono miferabili, quanto più lo gradirà in effe, che spontaneamente, e fenza bisogno alcuno lo fanno e credetemi, che non mancano modi per fare applicare le figliuole, effen. do queste più docili demaschi.  Sem. Oltre il lavoro, che averanno da fare di vantaggio ?  Pub. In tutte le cose deve esservi la buona ordinanza, la quale tutta dcpende dal sapersi ben compartire il tempo , onde queste essendo pratiche divideráno Je ore def giorno in questa guisa ; la pri. ma della mattina , dette che saranno le figliuole, e veftite di tutto punto, sarà impiegata al servigio di Dio con fare orazione, o sentire qualche cosa di quanto esso vuole da noi; ciò fatto dcefi ristorare colla colazione moderata il corpo, per poi passare quelle ore de. ftinate al lavoro; e terminate queste , conviene di fare alquanto esercitare il corpo in cose non violence, e permettendolo il tempo, in aria con affatto  [ocr errors] rac  [ocr errors] .. 395 K tacchiusa. Avvicinandosi poscia l'oras  del definare converrà prendersi il nutrimento a proporzione dell'età, e poi dopo di questo è neceffario godere alquan. to di riposo, per potere alle ore destitiate tornare al solito lavoro.  Sem. Sino a qual'età possono i maschi ftare sotto la custodia della matrona?  Pub. Fin tanto appunto, che, cono. scendo le lettere dell'alfabeto, possono consegnarli al Maestro, per tenerli in quelle ore , che dovrà far egli scuola fotto la sua custodia; ben è vero peròs che non essendovi l’Ajo,possono ritornare, per quelle ore, destinate al diverti  mento, sotto la cuftodia della medelima $ matroni.  Semi. Nascendo tra fratelli, e sorelle qualche contrasto come doverå regolarli la marrona?  Pub. Sogliono i fanciulli vivaci essere molesti alle forelle, e da ciò ne nascono bene spesso trà loro reciproche aleercam zioni, mà se la matronal manterrå fotenuta a segno, che non pregdano les  [ocr errors][ocr errors] confidenza , avendone rimore di essa, difficilmente si avanzeranno a contendere tra loro, ma caso che la sua efficacia non bastasse,dee di ciò farne consapevole il Padre, o il Maestro , affinchè pensano a prendervi il più opportuno rimedio con tenerli separati. .  Sem. Crescendo le figliuole in età, e scoprendosi in esse qualche differto donnesco, come li dovrà regolare la matrona per estirparlo?  Pub. Non aspetterà quefta , essendo prudente, che giungano fimili diffetti a manifestarsi ; perchè come dicemmo procurerà con preventivi ripari di ab. batterli prima che si manifestino.  Sem. Venendo le figliuole negli anni , ne' quali sogliono alcune cominciare a contristarsi, e fofpirare, che averà da fam rela matrona?  Pub. Le figliuole ben' educate difficilmente cadono in fimili debolezze; ma quando mai ciò seguisse in alcuna, alJora si conoscerà il senno, e la prudenza della matrona; posciachè si saprà inters  !  [ocr errors] e nare nella sua confidenza per consigliarl  a far cose non disdicevoli alla sua condi* zione,ed a lasciarsi regolare dal suo amo.  roso Padre. 3 Sem. Ma non sarebbe meglio, quan.  do si vedellero contristate, porle in monastero per compire l'educazione?  Pub. Se sarete sicuro , che colà possano vivere con più ritiratezza, che in casa vostra , ed abbiano migliori direttrici cui dia l'animo di calinare le loro passioni, potrebbe farsi ; mà se poi vivessero con libertà maggiore, qual vantaggio ne ricaverebbero ?  Sem. Vivono colà tanto ritirate, che la porta di rado si apre; ne viene permefso l'ingresso libero ad alcuno.  Pub. Qucfto non basta se gli occhi, c le orecchie staranno maggiormente aperte; perche per esse po lono entrare le cagioni de' sospiri: e poi voi, Sempronio,mostrate di non fidarvi della voftra matrona , la quale totalmente dipende da voi, enon diffidate punto di tanţe servenci de’monafterj, sopra le qua;  [ocr errors] di autorità niuna yoi avere.  Sem. Sarà ben vigilante in questo chi averà cura dell'Educayde,  Pub. Voi y’ingánate$épronio, se crede, te,che l'altrui vigilanza superi quella de genitori attenti , e capaci : onde mi perJuado , che nella casa paterna queste ftiano meglio , che altrove,  Mec. Voi dite bene,Publio , che fiee te capace di custodirle come li dee, mà datemi un Padre, ed una Madre, che ad ogn'altro pensino, che all'educazione delle figliuole , e tanto maggiormente se non averanno una tale donna capace , e fedele a ben diriggerle, o saranno prive di Madre, la sola casa pater. na sarà sufficiente a custodirle?  Pub. Credo certamente di no.  Mec. Or dunque, che fi hà da fare in questo caso per non lasciarle a discrezio. ne dell'infida servitù ? o bisognerà, chę qualche faggia parente la conduca in casa sua, o porle in monasterio , sotto Ja direzione di saggia Maestra, Pub. Non è questo il rimedio appro;od  [ocr errors][ocr errors] priato al loro male, che congste in una gran passione , la quale non si : può rimovere da esse senza cósolarle.Ne  certamente si cureranno già di ricevere i queste in casa loro le saggie parenti : e  ricevendole le imprudenti qual vantaggio ne potreste Iperare ? E ponendole in monaftcro sotto la cura di faggiaMaestra  qual bene potranno ricevere da essa ef$ sendo tra loro discordanti di genio ? fa  rebbe più capace tal una di queste di sedurre altre compagne,a far che si unifor  massero al suo genio , più tosto, che di u mutarlo; onde nè ad esse, nè al monastero oi tornerebbe conto , che vi entrassero, 1 Intorno poi al sudetto riincdio ne parleremo a suo luogo , e tempo,  Şem. E quelle figliuole, che non avea se ranno le accennate paflioni ponno eduei carsi ne monasteri?  Pub. Se i loro genitori sarın capaci, ed attenti, e viveranno all'antica, non fra farà d'uopo cercare altra casa , che las  paterna per educarle, come dicemmo parlando de figliuoli della Conferenzís  [ocr errors] 1, della presente decade ; mà se poi foffe il contrario,non sarebbe buona per esse, ¢ converrebbe anche fanciulle racchiu. derle in monafterio, affinchè si discostas sero dalrimirare i mali efsempj domesti ci, specialmente quei, che potrebbero dalle Madri ricevere ,  Sem. Vorrei che mi diceste, Mecena, te,in che possono difettare le Madri nella educazione dellc figliuole?  Mec, In due cose principali, che so. no l'eccessivo amore che portan loro,e la libertà che vogliono mantenere per  fare ancor esse tutto a lor modo. L'amore non le permetterà di contriftarle, ne riprenderle, e la libertà,che vogliono godere , le disanimerà a procurare di farle .vivere diversamente da quello ch'esse .coftumano, e vi voglio riferire un caso seguito in mia presenza, Si trovavano in una conversazione alcune gentildonne în tempo di carnevale , le quali domandavano l'una l'altra quante volte avevano condotte, le loro figliuole alle commediese per verità non udj già che alcu  na  if ve le avesse condotte poche volte; vi fù f, bensì la più attempata dell'altre, che hin disse in tempo ch'ella era zitella rare tudi volte G costumava condurvele, e se non # era modeftiffima l'opera, che si recitava cui non potevano già udirla le zitelle; vi fù  chireplicò ancora che non si poteva oggidi far di meno di non condurle;perchè altrimenti fi contrifterebbero tanto, che non ci si potrebbe più vivere ; non dico altro,che vedo il mondo andare da male in peggio come predisse Orazio.  Sem. Oh consideriamo come anderà l'educazione delle cittadine , e dello à plebce !  Mec. Sappiate, che a queste fi è dato da qualche tempo in qua un'ottimo regolamento, essendosi aperte scuole publiche in ogni Rione, e mantenute  dalla generosità del nostro Prencipe , - ove vengono dirette da Maestre molto  esemplari numerose figliuole,molte delle quali si tratrengono ivi tutto il giorno; onde non solamente hanno occasione tutte di apprendere il fanto timor di Сс  Dio,  Dio, ed il buon costume, ma eziandio d'approfittarli in molti lavori dooneschi utili, e necessari per la casa , tenendoli in oltre lontane da quelle occasioni, che potrebbero in esse introdurre difetti; onde fpererei, che quando questo fanto istituto giuagesse ad eliere sufficienre anche  per le più miserabili, un'infinito bene, e più universale se ne porelle ricevere  Sem. Bramerei ora di sapere quale sia il tempo più opportuno d'apprendersi de fcienze?  Pub. Si parlerà di questo quando ci rivedremo ,  [ocr errors][merged small] [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] 1  Sopra l' età opportuna d'apprendersi le scienze, cd il modo più façile per accertarsi delle par. ticolari inclinazioni  de' figliuoli,  Sempronio , Publio , Mecenate ,  & Medico,  [ocr errors] Pub.  A proporzione delle cose li può chiama.  re ànima del monL  do ; essendo che questa lo mäntic  ne, clo fà risplen. dete : sconcerto grande certamente formano quelle cose, che sono prive di efsa. Se per sua sventura veniffe genio ad uno, che avesse voçe rauca abituata di fare il Musico,non doverebbe certamen  Сс 2   quali deb  bago    Z       S  Semo    1  1   [merged small][ocr errors] [ocr errors][merged small]  3.      onde  to   H  fpo.   F 2   Dum  Sem,  A 2  Mec.  127. ÇON:  IOI  ani  te egli effettuarlo ; perchè non troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare, chi si prendesse diletto del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare ciò, di non ingannarli.  Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere le scienze quale sarà?  Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi prima applicare ad imparare la lingua latina , per meglio intenderle.  Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la possiedono.  Pub. Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia.  tc  * t'e a mico di fare poche novità nell'edu  care, & istruire i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i cavalli  da essi ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi abbaca  tefte per vostra disgrazia in Maestri, che $ volessero sperimentare modi nuovi per  addottrinarli, non vi prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe farli tornare da capo.  Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato Timor  teo, che pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che doppia facica glicon  veniva fare ; cioè, che disimparasfero  essi ciò che avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte :  onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non avessero pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc 3  an.  [ocr errors][ocr errors] anche a voi per doverli far dilimparare ciocche malamente apprefero.  Pub. E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la capacità di apprendere le scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ; ina non capirebbero già quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel documento generale,non ben capito,in molte particolari contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle scienze.  Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ?  Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per non vederlo divenire sterile, e poi chi  sà  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza frutto quello, che comparisce prima del suo  tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci đuti di minor ingegno si vedranno cari,  chi di frutti, questi non si rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum durabile.  Met. Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione in lode di un gran Personaggio, e recieztala alla  sua presenza con tanto spirito, che ne. i rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira  to; il meno ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra ftaja  composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi egli a quel Personag  gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c capacità grande da giovanetti,  la quale perdono poi avanzati che sono o negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma voi  Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura ! Rimafer  quel Signore in vdir si propra, ed argu  Сс 4  ta   ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere fata fua. ,  sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo.  Pub. Voi non dovere dubitare di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove tra i precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà del freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri.  Sem. Come mi dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più ad una, che ad altre scienze?  Pub. Dovrece principalmente fare esplorare il loro genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro capacità, e disposizione naturale.  Sem. Come si potrà conoscere, che fia stabile questo genio ?  Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i figliuoli dalla più tenera età cominciano a mostrare le loro inclinate egli effettuarlo ; perchè non troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare, chi si prendesse diletto del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare ciò, di non ingannarli.  Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere le scienze quale sarà?  Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi prima applicare ad imparare la lingua latina , per meglio intenderle.  Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la possiedono.  Pub. Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia.  tc  * t'e a mico di fare poche novità nell'edu  care, & istruire i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i cavalli  da essi ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi abbaca  tefte per vostra disgrazia in Maestri, che $ volessero sperimentare modi nuovi per  addottrinarli, non vi prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe farli tornare da capo.  Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato Timor  teo, che pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che doppia facica glicon  veniva fare ; cioè, che disimparasfero  essi ciò che avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte :  onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non avessero pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc 3  an.  [ocr errors][ocr errors] anche a voi per doverli far dilimparare ciocche malamente apprefero.  Pub. E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la capacità di apprendere le scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ; ina non capirebbero già quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel documento generale,non ben capito,in molte particolari contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle scienze.  Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ?  Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per non vederlo divenire sterile, e poi chi  sà  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza frutto quello, che comparisce prima del suo  tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci đuti di minor ingegno si vedranno cari,  chi di frutti, questi non si rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum durabile.  Met. Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione in lode di un gran Personaggio, e recieztala alla  sua presenza con tanto spirito, che ne. i rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira  to; il meno ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra ftaja  composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi egli a quel Personag  gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c capacità grande da giovanetti,  la quale perdono poi avanzati che sono o negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma voi  Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura ! Rimafer  quel Signore in vdir si propra, ed argu  Сс 4  ta  ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere fata fua. ,  sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo.  Pub. Voi non dovere dubitare di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove tra i precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà del freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri.  Sem. Come mi dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più ad una, che ad altre scienze?  Pub. Dovrece principalmente fare esplorare il loro genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro capacità, e disposizione naturale.  Sem. Come si potrà conoscere, che fia stabile questo genio ?  Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i figliuoli dalla più tenera età cominciano a mostrare le loro inclinapo  [ocr errors] ruti zioni, & in proseguimento di essa li van.  no spiegando meglio, & alla fine avvici. nandosi al tempo di risolversi , la palesano espressamente, ed in questo caso è  veramente stabile, e fissa. Oh quanto die   si conobbe bene fin da suoi teneri anni  il genjo di Marco Catone : posciache  quanrunque venisse violentato con fiere  minaccie a fare cosa da esso creduta di-  sdicevole da Quinto Popedio Latino, si  mantennc sempre costante nel suo senti-  mento; il di cui animo intrepido G. avan-  zò, crescendo negli anni; posciache  condotto alquanto più grandicello, da  Sarpedone fuo pedante a casa di Silla  per visitarlo, e vedendo nel cortile di   decto palazzo la lista de' proscritti, eb.  be a dire : è possibile, che non vi sia chi  ammazzi un tiranno sì crudele comes  Silla? domandò egli al suo pedante un  coltello, dicendogli , che ad esso fareb-  be riuscito facile il poterlo uccidere ;  perchè fi poneva a sedere accanto a lui  come riferisce Valerio Massimo,    Sem. E se nell'ecà genera avessero mo.   stra,  strato qualche inclinazione ad una scien. za, e poi dopo qualche anno li fossero invogliati di qualche altra , ed alla fine, venuto il tempo da determinarli, voJeffero apprenderne alera differente da queste, che doverà farsi?  Pub. Questi sono di genio istabile , e non li fiffano mai, onde a qualunque fcienza si applicheranno, non sarà mai di lor piena sodisfazione , ed in questo caso consigliatevi con chi ben conosce. rà il loro talento, come sono i Macítri, e da esli comprenderete in quale fcienza ciascun di loro potrà riuscire più atto, e fare in modo , che in quella fi applichi.  Sem. Ma fe moftraffero non avervi genio ?  Pub. Questo si fa venire con far suggerire loro, che quella scienza , la qua. Je si crede proporzionata alla loro abilità, sia la più bella, la più nobile, la più utile, c la più dilettevole, che li accomoderanno senza indugio a volerla apprendere.  Sem.  [merged small][ocr errors][merged small] Sem. Sarebbe necessario, che m'in formaste ancora sopra la facilirà , che uno possa avere in apprendere più una scienza, che un'altra  Pub. Se voi scorgerece un figliuolo serio, e prudente, per quel che potrà portare la sua età, divota', e che inclis ni all'ecclesiastico, questi pare nato per istudiare Teologia, Se serio parimente, e prudente , volonteroso di studiare, s che tal volta nelle picciole altercazioni nare tra fratelli effo fi frapponga , e mostri voler giudicare , chi di loro abbia corto, o ragione , a questi fate pur  studiare Legge, che diverrà un'altro Bartolo. Se poi obiecterà , sarà riflessivo, tirerà frequenti conseguenze , questi averà cutti'li buoni requisiti per divenire un'eccellence filosofo . Se lo vedrere ingegnoso in adattare, e difporre i suoi giocarelli puerili, prendere misure di alcune cose, il suo genio lo porterà ad apprendere le Marcematiche ; conforme seguì in Protagora, ed in Biagio Pa. fcali:c fs lo mirerete sonrinyamente  ap  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] applicato a disegnare, o rimirar picture, la sua inclinazione naturale lo porterà a fare il Pittore : finalmente se lo vedrete afliduo nel tempo, che qualcuno sia malato in casa, e desideroso d'allistergli, c stare con attenzione ad ascoltare ciò, che dirà il Medico, il genio, e l'abilicà lo portano a studiare Medicina.  Sem. Se sarà nobile però come potrà effere Medico, non costumandoli das pertutto che questi esercitino cale pro feffionc  Pub. Dunque sarebbe affai fortunato uno de’vostri figliuoli; se fosse Medico; perchè essendo singolare , che stimas grande averebbe egli, e che belli acquisti apporterebbe a casa vostra ?  Sem. E se tal uno morteggiaffe, che odoraffero questi alquanto di cattivo?  Pub. E voi fate, ciò che fè Vefpafiano a Tito, allorchè riseppe, che aveva ciò motreggiato, quando pofe la gabella fopra l'orina , cioè di fargli odorare i danari, che da detta imporzione furono esatti, e trovò il buon figliuolo,  che  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] il modo di medicar cavalli, alcuni nou  3 che non avevano alcun cattivo odore, Dita ed il (mile seguirebbe anche in questi.  Mec. Vorrei sapere da voi, Sempro>nio, se vi sia stato alcun nobile, che abbia imparato a medicare cavalli?  Sem. Che voi non lo fipete! essendo. !ci quel vostro amico, che non solamen  te lo sà fare, mà anco l'esercita , peel rò nobılmente.  Mec. Oh Dio buono,per medicare le bestie s’ha da impiegare senza alcun moc  teggiamento un nobile ! e per curare un -2.14 uoino tanto più nobile di esse hà d'ave. mai retinore di essere motteggiato! più no  bile dunque farà creduto da questi of l'esercizio del Manescalco, che quello  del Medico, giacchè quello è esercitato da nobili, e questo da essi viene abbor. rito?  Pub. Hanno dato alla luce libri,sopra bili, tra quali vi è Pasquale Caraccioli Cavaliero Napolitano, e Marino Gir, zoni Senatore Veneto ; laonde potrebbero meglio impiegarsi i nobili nello  elpi            scrivere di medicina, per imitarc Corne. lio Celso nobile Romano.  Med. Vi è stato anche a giorni nostri Roberto Boile nobile, e ricco Inglese , il quale non hà risparmiato, ne spefa , ne fatica per accrescere la filosofia fperimentale ; e quanto di bene egli abbia fatto, le sue opere lo mostrano , avendolo queste renduto glorioso a’posteri .  Mec. In questo particolare bisogna , che io parli contro di noi medesimi : per ispregare le nostre ricchezze in lussi, lo facciamo prontamente ; per impiegarle poi a beneficio della viriù, non ci sappiamo indurre, perchè pajono ad alcu. ni spregate, quantunque realmente non fiano. Mà torniamo al nostro assunto.  Sem. Vorrei sapere dal Dottore, da che proceda la varietà dei genj .  Med. Questo secondo il mio debole fentimento credo , che da temperamenti poffa in gran parte derivare, perchè colui , ch'è malinconico averà genio as cose serie, il bilioso ad altre più risoluto, il demmático gradirà la quiete, ed  1  [ocr errors][ocr errors] il sanguigno amerà la varietà delle cose,  e poi rifletto, che l'arie ancora, ove al-  cuni nascono, ponno contribuire molto  alla determinazione de genj, essendoche  vi sono alcuni luoghi,ove quasi tutti at-  tendono ad un solo metiero, ed in un   tal clima li osservano genj affai differen,  ti dall'altro; ben è vero però, che alle  volte ancora le altrui fortune fanno ve.  nire il genio più ad una cofa , che ad  un'altra per esempio l'essere un semplice  Soldato divenuto Generale, ha fatto  venire il genio a più d'uno di seguitare  la guerra : l'avere lasciato un Medico  ricchezze considerabili, ha dato moti-  vo a molti di applicare alla Medicina   ed il fimil è accaduto nell'altre profes-  sioni. Leggo però che nella Cina, cd  in alcuni altri dominj fuori dell'Europa  quefi genj sono già fissati , non essendo  permesso ad alcuno il fare differente me-  stiero da quello di suo Padre., e perciò   colà igenj sono stabili non potendoli   yariarere a suo modo.     Şem. E se quedo genio, che taluna   do  [ocr errors] de'figliuoli hà, non corrispondeffe alla sua capacità, che doverà farsi?  Pub. Questo suole per lo più corrifpondere, quando nasca spontaneamente, e aon da impegno; perchè ci potrebb' essere taluno, che avendo genio il suo compagno di applicare, per esempio alla legge , e questa quantunque non geniale nulladimeno per non discoftarli da esso, volesse anch'egli ftudiarla , ed in questo caso, vedendo voi, che non avesse quell'abilità, che tale profes. fione richiede, potreste farlo allontanare dal detto suo amico per qualche tempo, senza che penetrasse il perchè, e così il genio , che nasce dall'impegno,fi muterà facilmente, quando non vi concorra anche il proprio .  Sem. Come mi potrò allicurare, che fia proporzionato il genio, e l'abilità alla scienza , la quale bramano di acquiItare ?  Pub. Niuna cosa vel potrà far meglio conoscere , che lo profitio , che faran. no ja quclle, perché è impossibile che  con  [ocr errors][ocr errors] di concorrendovi l' abilità , ed il genio ,  questo non si faccia anche da principio,  ed accertato, che voi sarete di ciò vivea te pur quieto di mente, che ci è la sua of proporzione.  Sem. E se non ci sarà detto profitto, G doveranno levare da questa per porli ad apprendere alcra scienza?  Pub. Conviene maturare bene fimile si risoluzione, per conoscere meglio don  de proceda il non farsi profitto, poten. do ciò nascere da due cagioni, cioè,o da fimulata inclinazione, o da inabilirà : se provenissc dalla prima potrete fare  da qualche loro confidente scoprire i qual fia la loro propria inclinazione, ;  dove il genio li porti, e prima di perdere maggior tempo ponereli in quellas ad essi geniale ; se poi nascerà dalla inabilità, ovunque li porrete, questa farà sempre impedimento al conseguimento di essa.  Sem. E se procedesse dall'essersipenriti, ritrovandola più difficile di quello, che se l'erano figurata ? Dd  Pub.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Pub. Questi cenereli per istabili, poltroni, che poco di buono ne potrete tiçayare; perchè ovunque gli applicherere , sempre faranno il medesimo, non avendo fermezza , ge sofferenza per la fatica, Sogliono però alle volte alcuoi di questi rimetçerli nella buona strada , quando ciò venisse da una certa pufillanimità di cuore , onde farà bene di ajugarli da principio con buoni repetitori, mediante i quali animandosi , prosegui. ffono poi con profitto ,  Sem. E se non ayeffe taluno genio a fofa alcuna, come mi doyero regolare  Pub. Vi potrete con questi regolare a yostro modo , ogni qual volca či liau Pabilità, e l'ingegno ; perchè sogliono alcuni per modestia in tutço , e per tut: to forromergersi al volere paternoję queIti riescono per lo più virtuofi , ogni qual voltą abbia l'ayerţenza di farli applicare a quella scienza, che Gia proporzionata al loro talento, come già di. femmo Sem. Stimate bene che nel tempo,i che applicano alle scienze si possano , pare per loro divertimento, far applicare al plin suonogal canto, o ad altri civili diverčia 0,1 mçnti? open Pub, Şe li yoletę far divertire day * quells, fateli applicare anche a questi , A Colui, che applica, e li approfita in  cose ferie , non bisogna distrarlo con  çosę amene, perchè le prendeffe cal vol. i ha genio grande a queste come ande,  rebbero , Sempronio mio, le serie an  zi che, se ne moftrassero efli genio,dove. a fe da questo diftorli, con dire loro, che  approfittati, che saranno nelle scienze, * yoi medelimo volere, che si divețiano o in quelle, ed in turti gli alțri civili orna  mengi . In un caso solamente fi potrebbe ciò permettere, cioè quando il figliuolo fosse di temperamento molto malin. conico, e çetro per solleyargli l'animo contriftato,  Sem. E se la foyerchia applicazione allo {tudio danneggiasse la salute, che converrà farsi, Dottore? Med. Primieramente procurerere, DI?  che  [ocr errors][ocr errors] illbuono per evitare i nocu.  che si moderi ciocche sarà eccessivo;perchè quello che non fi può apprendere ia un giorno, fi apprenderà nell'altro, e fe voi vedrete , che ciò non basti, levateli affatto dallo studio ; perchè è me. glio il figliuolo fano, quantunque fias ignorance, che dotto divenuto inabile a godere il frutto delle sue faciche: e non vi fate dare ad intendere da parabolani, che a forza di rimedi possa superarsi tal incomodo, perchè in tal caso averà due nemici, che lo perseguiteranno;cioè l'applicazione soverchia, ed il rimedio da taluno credulo, o malizio. menti di effa, quando lo specifico rimedio consiste nella totale rimozione dall'applicazione:  Sem. Approfftrati che saranno i figliuoli, che dovrà fare il buon Padre di famiglia per provederli bene?  Pub. Ci penseremo trattanto, e la di. scorreremo in appreffo.  CON.  421  CONFERENZA VI.  [ocr errors] Sopra gl' impieghi, che dovranno darsi da faggi Padri a' figliuoli  ben’educati ,, e dotti.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub.  o sviscerato ainore de Padri verso i figliuoli, li fa bene spesso cadere in mol. ti eccelli, e partis  colarmente allorche questi nascono ; pofciache fino da quel punto di figurano alcuni di efi , e senza alcun fondamento, di far loro ottenere grandezze, & onori confiderabili, e per ciò allora dispongono d'indirizare il primo per l' Ecclesiastico, a fin che giunga a sublimi posti; di acca fare il fe  con  el  Dd 3  [ocr errors] condo , e fargli ottenere una groni lima dote : d'incamminare il terzo per un generalato di esercito: ed al quarto ; c quinto di dat per moglie figliuole ereditieres e ricche, acciocche poffano passare la quelle famiglic ad ereditarne archie il cognome. Se tali chimere, senza verun fondamento ideates riuscisfero , oh chie bella cosa che sarebbe! l'averebbero con quefti modi certamen. té accomodati tutti affai bene : mà benedetta sia quella volta, che pur una di queste si verifichi in tutto ; posciachè al destinato per l'ecclefiaftico viene genio di prender moglie; a quello per la moglie di farsi ccclefiaftico, o religioso; all'altro per condurre eserciti d'imparate a guidar bene un biroccio ; o muta i fei; ed agli altri destinati, pet rostegno di famiglie altrui, di rovidare, per quanto poisono s la propria , con giuochi , é bagordi ; a quali si darino in preda : e sapete ciò da che nasce dal non avere i Padri appreso bene da Salomone al 16. quello che debbatio fare , qual'è? Cor.  bos  st bominis difponii viam fuam, fed Domini eft. n diriģere grefus fuos; onde per voler fare to tutto da se medesimi, perciò non poffo. ! nio avere buon fine i loro disegni . of Mec. Questo l'ho confiderato anche dio più volte, in occasione, che seativa I dire a Padti: questo l'ho già destinato i per la tal via ; e quello per quell'altra s # conforme ch'elli fossero stati arbitri del  la Providenza Divina , che regge turto, a difpofitoti assoluti delle inclinazioni  de figliuoli ; é volendo ammonire sopra di ciò talun di quefti , mitróncava il dia scorso con dire che già poneva da para te gli assegnamenti necessari, e che pensava ancora alle fpefe straordinarie ; per i quando avessero conseguito quelle caris  che; che bramavano di fare orretiere 2 figliuoli; ed era quelto trent'aniti primas che le potessero conseguirt , onde mi sembra vano le loro menti teatri di commedie, ove fiori personaggi paffeggiano ·  Sem. Non ci averanno dunque das penfare, i Padri allorche nascono i Ai gliuoli di far conseguire loro vantaggi? DI 4Pub. Non hanno allora da pensare a questo, mà bensì di proccurare, che divengano abili a conseguire quella buona sorte , che Iddio 'averà preparata a meri. tevoli : e perciò fantamente un saggio Padre aveva in una tela fatti dipingere i suoi figliuoli colla sola camicia, e con questa iscrizione.  Tocca a Dio lo stabilire  In che guifa han da vestire . Volendo significare , che a lui non toccava fare altro, se non ricoprirli colla ca. micia, affinchè non comparisfero affatto nudi ; nel riinanentę poi si uniformavi colla volontà di Dio, acciocche li avesse rivestiti a suo modo, e che questa prima copertura non consisteva in altro, che nella buona educazione , alla quale dovea cffo pensare; onde non prima , che fiano educati, ed istruiti questi nelle virtù,possono i Padri comprendere, che voglia Iddio disporre di eli.  Sem. Qual di questi il Signore Iddio averà disposto per acca farsi? E sem. Quello , che conoscerece più (e  frio, sano, e sensato, e che averà inclina. kizione a questo, perchè avere pur  udito bu qual capacità , e segno ci vuole per prenaf dere moglie?  Sem. Se il primo genito , al quale si suol dar moglie, non avesse tutte queste condizioni, e foffe volonteroso d'accasarsi, che si averà da fare?  Pub. Se gli mancaffe la sanità, o faviezza sarebbe segno, che Iddio non vo. lesse; e voi potreste sostituire ad esso chi fosse più capace..  Sem. É se ci fosse il maggiorasco, che ma potrò far io venendo egli chiamato as  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Farete dal canto vostro tutto quello , che potrete ; perchè non manca. no, ripieghi in simili contigenze, per farlo rinunziare a questo, con serbarli un buon assegnamento; mà se poi non vi riufciffe converrà averci pazienza; perchà vostra non è la colpa , mà di chi lo chiamò a questo, che non pensò a tanto.  Sem. E per l'ecclesiastico, chi dielli a doverà incaminare,  Pub,  [ocr errors] Pub. Il più docilc, dotto, e divoto.  Sem. E se non avess' egli tal genio ?   Pub. Sarebbe segno che Iddio non lo volesse per questa via, e voi sostituitene un altro ad effo, che l'abbia , quartunque foffe men dotto; o pute incominciatead istradarlo per questa via alla lon. tana, che può essere's che tal genio gli venga .  Sem. É quale sarebbe questa via  Pub. Quella della Avvocatura, se fará inclinato alle materie legali; mà non to fare Avvocato di dome, perchè cið (crvirebbe a nulla.  Sem. Come mi dovrà regolare in far questo?  Pub. D'incaminarlo per la medesima via , che calcarono quelli che sono riufciti eccellenti in tale professione ; i quali ne'primi anni cominciarono a rivolta. fé protocolli negli offizj de Notari.  Sem. Mà una persona nobile non potrà far questo.  Püb. E percið non potranno forfe giugnere ancora alla perfezione di quellig che lo fecero:  More  [ocr errors][ocr errors] Med. Vannio pure alla guerra ventu. fieri moltissimi nobili con pericolo giornalmente di morte, e cominciano meri fanci di volontà; perchè dunques non possono fare ancor questo, nel quale non li incontra un fimile pericolo, ed il fine ancora, è retrissimo,onoratiffimos crfendo diretto all'atimigistrazione della giustizia ?  sem. E dipoi che dovranno fare  Pubs Prendere pratica delle cause appreffo i migliori Curiali , ed esercitari in questa, passare a prenderla dagli Avvo. cati con iftare sotto la loro dettatvra , se forà bisogno : e finalmeiite im poffeffati, che saranno in detta pratica ascoltare attentamente per qualche tempo i Giudici de primi tribunali; ed allor si, che po. tranno porsi a fare gli Avvocati , tros Vandofi colmi di doctrina , e di sperien2à.  Sem. Esercitato che averanno l'Avvocatura che faranno ?  Pub. Avendo acquistata perizia maga giore in tal ministerio , c per averlo lom  de.  [ocr errors] deyolmente qualche tempo esercitato , potranno per giustizia , non già per grazia pretendere i migliori posti della Republica, e di grado in grado avanzandosi, potranno conseguire ciò, che bra. mano:  Sem. E’lsudetto genio come verrà ?  Pub. Chi averà amministrato con rettitudine la giustizia, sarà senza dubio rimunerato da Dio; se lo fè a Salomone per avere solamente mostrato desiderio di esser giusto,fupplicandolo di ciò,come fi legge al 3. dei Rè: Quia poftulafti ver. bum hoc , bu non petiffi tibi dies multos ; nec divitias &c. ecce feci tibi fecundum Sermones tuos &c. fed, hæc que non poftulasti, dedi tibi : divitias fcilicet, do gloriam; ed udite ciocche dice per bocca d'Isaia al 51. Facite justitiam &c. ed ins appreffo: Beatus vir , qui facit hoc; e nel libro della sapienza al primo : diligite ju, ftitiam , qui judicatis terram ; come volete dunque che, a questi non dia las vocazione ancora di servirlo; cffendogli sì grata la sua servitù.Sem. Se taluno di eisi volesse farsi re, ligioso, che dovrò fare?  Pub. Non altro ch'esplorare se fia vera vocazione, o soggestiones perchè se farà vera vocazioneld, dioè, che lo chiama; onde a questa non dovete opporvi s perchè si sono veduti gastighi assai evidenti fulminati contro chi si è opposto al Divino Volcre , : Sem. Come mi porrò accertare di questa vera vocazione ?  Pub. Dovete alla prima mostrare res nitenza in dargli permissione, che lo faca cia : conducerelo continuamente con esso voi, ed informarelo sinceramente di tutte le difficoltà, che potrebbe in. contrare nella vita religiosa ; come anco delle astinenze, ad altre penitenze, che tra effi fi costumano, con doverfi privare della propria volontà, allorchè sarà religioso; e se si manterrà sempre saldo, é costante nel suo proposito, crem dete per certo, che farà vera vocazione.  Sem. Mà non sarebbe bene, che lo condücelli alle conversazioni, alle comig  me  medic, ed ai passeggi per divertirlo me, glio, caso che lo vedcili malinconico?  Pub. Questo poi non dovretç fare ; perchè allor îi che perderebbe quanto di buono egli acquisto nell'educazione; e non facendoli poi Religioso vi farebbe fofpirare, per averlo voi con defii mo: di improprj sedotto , E non crediatę gia che facendosi Religioso, per vera vocazione,egli viverà infelice, anzi che sarà il più contento, e felice degli altri, per, che godono questi , quando non abbia. no ambizione, ed altri attacchi mog, dagi, sommą tranquillità d'animo,  Sem, Sicchè dunquc sarebbe bene, che facefî venirç a qualcun aloro ancosa la yolontà di farsi religioso, giacchè elli vivono così feļici, e particolarmense a quelli, che fossero incapaci di alcu, no impiego della Republica .  Pub. Ayversite, Sempronio, di non far questo, con modi suggestivi, per fini mondani; come sarebbero, per far di, venire gli altri fratelli,che sono al secolo più facologi mediapre l'augumento delo  la  la sua parte șinunziara , o perchè non saperç a che impiegarlo, mentre questo non piacerà a Dio, onde contentatevi di dare solamente a Dio quelli, ch'esso yuole, e non quelli che non fanno per voi, come sogliono pure troppo effettuar re alcuni, che sc hạnno raluno de figliuo, li difertosi, o di poco fennolo consacra no a Dio, essendo questo il sacrificio apo punto di Çaigo , che gli daya le vittiine più magre, e tanto maggiormențe chę essendo questi turti suoi operarj? come volere, che poslano fervirlo bene, se non avranno capacità sufficiențe di farlo?  Mec, Sarebbero dunque, come quelle vittime, che si offerivano agl'Idoli di Moloc, ed a quello di Sapurno dai Gentili, che morivano nelle loro braccia jufocate senza esser capaci di alçro, che di piançi.  Sem. Se paluno & volçís'elimçre da qualunque impiego per starsene senza pensare a cosa alcuna,che averò da fare?  Pub. Coltui bramerebbe darG all' ozio, e non è volontà di Dio, che stia  l'uo  l' uomo ozioso leggendosi nella Geneli al 2. Pofuit eum in paradiso voluptatis, ut operaretur, e se in luogo di delizie non volle , che stesse ozioso l'uomo , come lo permetterà nel mondo? quando allorchè ye lo pose gli disse : In Judore vultus fui vefceris pane tuo, donec rever. teris in terram ; quale poi fa il danno, che apporta l'ozio uditelo dall'Ecclefiastico al 33. Multam malitiam docuit otio. fisas; e maggiormente questo può nuocere a chi hà beni di fortuna', perchè essendo l'ozio il padre di tutti i vizj, che ne seguirebbe da questo? Allorsi che la buona educazione gli gioverebbe poco; onde per ovviare a ciò potreste farli suggerire, se bramasse entrare in corte ove fi sta per lo più a sedere , gon si fatica, ne fi applica a cose di rilievo, discor, rendosi bensì delle novelle della città, e del mondo,e li fà una vita neghittosa,la quale farà facilmente confacevole al suo genio, e perciò, che la provasse un poco: caso poi, che ricusasse questa ancora, allora vedete a chc aveffe genio, e la.  [ocr errors][ocr errors] sciateglielo fare, perchè  sempre sarà meglio, che faccia qualche cosa', che stia coralmente in ozio ; e tra gl'impieghi onorevoli ci sono la pittura, nella quale alcuni malinconici i sono con genio esercitati : il lavoro alcorno : il dar las vernice indiana , ed altre cose simili , confacevoli a chi non voglia intraprendere affari di suggezione, ed udite ciocchè consigliava ancora San Girolamo Epist. ad Ruftic. Vel fifcellam texe junco, vel canistrum piecte viminibus ; più costo che ftare ozioso.  Sem. E se tal uno di essi volesse applicare a far negozj di cambi, e ricambi, edsagl’affitci'de dazj, averò da permetterglielo?  Pub. Ci penserei prima d'accordarglielo; non solamente perchè nostro Signore Gesù Cristo levò S. Matteo da far simili esercizj, mà ancora, perchè questi impieghi, che mediante un fallimento, o altri accidenti del mondo ponno scomodare di molto, non sono negozj licuri, anzi azzardolidimi in chihà da perdere molto del suo ; che questo lo faccia chi poco può discapitare di proprio gl’è tollerabile.  Sem. Avendo taluno genio alla caval. lerizza, e li dilettasse di mantenere più cavalli di quelli, che Geno necessarj,averò da collerarglielo?  Pub. Essendo tal genio diretto alle bestie, quando fi eccedesse nel numero , o nell'amore verso di effe, non sarebbe tollerabile:nel numero, perchè al parere del Petrarca: in Dial. de equo; Quot equorum mores totidem equitum pericula; e nell' amore, perchè gl'uomini quantūque grádi, che vi cadettero, furono di ciò biasi. mati; tra’quali Alessandro, Augusto, ed altri. Quindi è, che faggiamente dispone il Deutero.al 17. Rex non multiplicabit fin bi equos ; or dunque come potrà ciò permcttersegli, essendo anche dispendioso?  Sem. Vado or riflettendo come G rę. goleranno quei figliuoli educati benc da Maestri,criusciti eccellenti nelle scienze, se non averanno i Padri attcari, e 'capaci di dar loro direzioni buone in  [ocr errors] j  tempo, che debbono prendere stato : © che faranno ancora quci nati da Padri poco nobili, e meno ricchi,effendo d'uopo riflettere a tante cose per accomodarli bene?  Pab, La gran providenza di Dio supa plisce a questo ; effendoche : bong menfi fuccurrit Deus,Allorchè questi faranno divenuti capaci,cd abili, da loro medesimi comprenderanno qual ha il volere Divino, ed avanzandosi colla loro prudenza giugneranno felicemcate fin dove Iddio averà disposto, che arrivino.  Sem. Io sono rimasto sorpreso allo volte nel vedere cerți mal educati, e poco dotti , ed anco per vie indirctte , giu. gnere a gran posti; ed altri, alle volte quanrunque di vita esemplarc, meritevoli, e capaci, rimanere indietro,  Pub. Questo ancora è un arcano della Providenza Divina ; posciachc essas I tollererà , che caļuno s'avanzi per queste ich vie; mà che ? vedendosi questi nell'au, ge  delle loro fortunc cadere a terra, çi i fa credere, che senza il Divino ajuto  for  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] formino la statua di Nabucdonosor, 12 quale mediante un picciolo falsolino s' atterra, come appunto provò Sejano. I E quelli poi, che rimirate non avanzarsi, avendo merito, Iddio conosce, che quel posto,che voi credere, che compete. rebbe loro, e non lo conseguiscono, non fàrà per loro,effendoche, oc'incontrerebbero delle disgrazie, o pur sarebbe dannoso alla loro eterna salute, e di  quefta verità non dubiterere punto ; perchè alle volte: honores mutani mores, ondes chi sà, che in questi non seguisse cosi? se volete udire altre ragioni sopra di ciò leggete Seneca che tratta diffusamcnte di questo nel libro:quare bonis viris mala accidant cum fit Providentia .  Sem. E che dice di più di questo?  Pub. Tra le altre cose urili dice la Pro. videnza Divina a coloro, che di ciò si prendono rammarico al cap. 6.Quid habetis quod de me queri pofitis vos, quibus recta placuerunt? Aliis bona falsa circum. dedi , animos inanes velut longo , falla. rique fomnio luff, Auro illos , argento ,  ebo  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] ebore ornavi: intus boni nibil eft . Ifti quos profęlicibus aspicitis fi non quâ occurrunt, sed quâ latent videritis, miferi sunt , fordidi , turpes ad fimilitudinem parietum fuorum extrinfecus culti . Non eft ifta folida, sincera folicitas: crufta eft, quidem tenuis . It aque dum illis licet  ftare, co ad arbitrium suum oftendi, nitent , da imponunt cum aliquid incidit , quod difurbet; ac detegat , tunc apparet quantum alta , ac veræ feditatis alienus Splendor absconderit. Vobis dedi bona certa, manfura quanto magis versaveritis , & undique inspexeritis,meliora,majoraque permisi vobis , metuenda contemnere , cupienda fastidire. Non fulgetis extrinfecus : bona veftra introrsum obverfa sunt . Non egere feu  licitate fęlicitas veftra eft. Ferte fortiter, bc.  · Sem. Sin ora abbiamo discorso intorno al modo da provederli senza soccorrerli di proprio , vorrei , che ora m’ istruiste come mi doverò regolare con efli loro nel sovvenirli, vivendo io, e dopo la mia morte ?  Pub,  [merged small][ocr errors] Ec 3  Pub. Questo è un prudente quesito, e dev'esaminarsi seriamente, dependendo da questo il mantenimento ancora della buona educazione acquistata ; posciache bene spesso conforme diffe Tacito: felicitate corrumpimur.  Sem. Come dunque mi dovrò regola. re coll'ammogliato ? perchè non vorrei pensare al suo mantenimento , fentendo giornalmente molci dolersi de loro Pa. dri, che non li provedono in tempo opporcuno di quanto fa loro bisogno; oltre di che sò ancora, che così pensa mio Padre trattarmi.  Pub. Voi dovrete affegnargli unas convenevole, c fufficient entrata, che pofsa baftare per il suo mantenimento ; con questa considerazione di vantaggio di accrescerla, secondo che anderà mul. riplicando la famiglia.  Sem. Mà non averà d'avere qualche cosa di vantaggio del bisognevole?  Pub. Qualche cosarella credo anch' io di fi, perchè accadono alle volte certe spefarelle impensace, alle quali nonfi farà dato il suo equivalente assegnamento; mà per altro non debbono i buoni Padri di famiglia essere molto generoli co'suoi figliuoli ammogliati.  Sem. E per qual cagione?  Pub. Perchè dagli affegnamenti soprabbondanti ne nascono il lusso, las crapola, e cento altri vizj.  Sem. Mà se farà ben’educato non caderà in questi trascorsi .  Pub. L'essere ben’educato opererà , che questi non si dolga del conveniente, e giusto assegnamento fattogli da suo Padre ; mà per altro fate, ch'egli si ritrovi denaroso, troverà ben più d'uno, che gli li porrà d'intorno per farglielo spendere in cose voluttuose, onde toglieregli affatto l'occasione di far questo, che vivererc voi più quieto , ed egli più fano  Sem. Si dovrà quest'ingerire nell'amministrazione dell'azienda ?  Pub. Anzi sarà necessario, che lo facciate istruire in tutte le cose, dovendo egli, non solamente dopo la vostra mor  [merged small][merged small][ocr errors] te reggere la casa , mà eziandio se mai per disgrazia voi v'inabilitaste; o pure per la soverchia età volerte attendere alla quiere.  Señ. Ed agl'altri figliuoli dovrà farsi assegnamento per farli vivere da se ?  Pub. Questo nò: li doverece bensì voi provedere di quanto farà loro'bisogno, al più, che vi potreste stendere; sarebbe d'assegnare loro un tanto per vestirsi, con qualche cosarella di più, mà non già con prodiga mano ; perchè l'abbondanza del danaro è la rovina dei giovani, anco ben educati, e credetemi, ch' io sò qualche cosa in questo particolare, e Mecenate ne sarà tal-volta informato più di me.  Mec. Voi dire la verità, poichè se un figliuolo di famiglia maneggierà danaro, sarà corteggiato da più d'uno, e tentato da questi a prendersi divertimenti d'ogni genere, dove che se non averà, questi Teduttori faranno come le formiche, che non li accofano ove gon è grano ; come dille Ovidio.  Hora  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Horrea formicæ tendunt ad inania  nunquam Nullus ad amisas currit amicus opes. Sem. Guadagnando taluno di questi, dovrò continuare a fare con effo lui quello, che fo con gl' altri?  Pub. In questo caso voi potreste fargli da economo , affinchè non ispregasse, con rinvestire in faccia sua i suoi guadagni , per animarlo ad accrescerli; ed infieme, per eccitare gli altri fratelli ad imitarlo; e continuerete voi a mantenerlo, essendo la casa non bisognofa ; mà se non bastassero l'entrate al comune mantenimento, il figliuolo bene educato spontaneamente vi soccorerà col proprio guadagno; non potendol prevalere del consiglio di Solone, come riferisce Plutarco: che solamente i figliuoli, abbandonati da loro Padri, non fossero tenuti, allorche questi avessero avuto bisogno di esser soccorsi da figliuo, li, efli didarglielo.  Sem. E se uno de miei figliuoli foffo; destinato a qualche giverno, o 'alera  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ca.  [ocr errors] carica dispendiosa,per servigio del Prencipe?  Pub. In questo caso,Sempronio , con. verrà,che voi facciate tutti li sforzi por. fibili in soccorrerlo, anche oltre il bisognevole:e per queste cótingenze debbo. no i buoni Padri avere cumulato danaro per prevalersene, e non bastando, pofsono anche fare debito; perchè questo si chiama rinvestimento, che a suo tempo, oltre il decoro , recherà anco utile alla casa.  Sem. Vediamo ora come dovrò lasciarli dopo la mia morte, ed in primo luogo come averò da contenermi coll' ammogliato; se lasciarlo padrone libero, o usufruttuario con fare la primoge, nitura ?  Pub. Lasciandolo voi, che sia arrivaco in età affodata, e senza vizj, attento alla casa, e versato nel maneggio di effa, potreste anche fare di meno di legarlo con fidecommisso; con tutto ciò, perchè non potrete sapere i naturali de' figliuoli, che da esso nasceranno,  e se  [ocr errors] e se sarà in tempo, per qualche accidca: te di poterlo far esto, non sarebbe male d'istituirlo, con lasciare ad esso qualche porzione libera, per fargli conoscere, che non diffidate della sua bontà, ed at. tenzione in moltiplicare la roba.  Sem. Ed agl’altri, che dovrò lasciare  Pub. Un Ogorevole mantenimento per potere decentemente vivere fecon. do la loro condizione, ed a colui, che foffe capace di avanzarsi nelle cariche, qualche cosa libera per poterlenc prea valere ne'suoi urgenti bisogni , quando le averà ottenure ; må dite che farefta di vantaggio voi, Mecenate ?  Mes. Avendo veduto , che alcuni apa pena eftinti i genitori , quantunque fora to la loro dirczione foffero ftati mode  tariflimi in tutto, pull adimeno pelle o pompe funebri, clutto incominciarona di a slargarli in modo, che non mostravano o essere più quci di prima , cosi ben disci· plinati nella parhimonia ; questo dico mi o farebbe, avendoqualche rimedio, acciocche non foffe in tutta libertà loro di manifestare quel ge nio ch'era quando vivevano i padri fie mulaco,a fine di precluder loro affatto la via di darsi all'eccessivo lusso.  Pub, Sapete pure quanto sia difficile il volere regolare le cose canto al minuto dopo morte ? e quante disposizioni si fanno, che non fi osservano dagli eredi? or come potrete far mai, ch'elli allora fieno buoni economi di quello, che non è più vostro?  Mec. Tutto va bene, mà però certe cose possono farfi eseguire anche dopo morte , perchè li dispongono in vita, ed allor'appunto, che sono proprie; onde perchè non le potrei conseguire difpo. nendo, che si dovesse ogn'anno rinvestire una parte dell'entrate, la quale io credelli soprabbondante al loro decente. sostentamento?  Pab. E che pretenderefte farne di tal vincolato investimento?  Med. Vorrei che dovesse servire per dotare le figliuole ; e credetemi, che  que  [ocr errors] [ocr errors] queste doti d'oggidì, che sono divenute eccessive, sono la rovina delle care, onde quando queste non si dovessero linen. brare da' capitali mi persuado, che sarebbero esenti dal deteriorare per questa parte. Farei ancora assegnamento maggiore a Cadetti, di quello, che alcuni costumano di fare, e particolarmente a quei, che sono ben incaminati per la strada della letteratura, o militare, non servendo questo scarso, ed insufficiente assegnamento ad altro, che a fare maggiormente spregare a primogeniti, godendo più grosse rendite del loro bisogno con pregiudizio de progressi altrui, perchè in sostanza tutti debbonli, e gualmente considerare per figliuoli, e fenza demerito alcuno dell'amore paterno portandoli tutti seco rispettofi.  Sem. Voi Mecenat vorreste reftringere tanto i poveri Primogeniti, che poco rimarrebbe loro per vivere, perchè una parte dell'eredità paterna la vorreste porre a moltiplico, ed oltre di questo  pre  [ocr errors][ocr errors] pretendere ancora di accrefcere gli assegnamenti consueți de Cadetti;onde stencerebbero i poveri Primogeniti a vivere anchę mediocremente,  Mer, lo non hò preteso di appor. car ļoro danno alcuuo, ma bensi più fofto giovamento, liberandoli dallas penosa briga di dover pensare alle dori delle loro sorelle, e figliuoic, facendo trovare queste pronte in tempo , che ne potranno avere biso, gno,  Şem, Sę tante deligenze si dovranno praticarç per li figliuoli ben educati, e dosti , che doverà farsi per quei , che non si farango approficcati nell'educa, zione, e nelle scienze  Pub. L'esaminaremo ia appreso,  SON  [ocr errors][merged small] Come debbano i Padri regolarsi nel  provedere i figliuoli ignoranti,  ç yiziosi,  Publio , Sempronio , Mecenate ,  & Medico.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] Pub.  Alomone non solamente notificò il giubilo grande,che godono i Padri allorche vedono i lo  ro figliuoli ben di. sciplinati , come al 23. dc suoi Proyerbj dice ; Exultat gaudio paser jufti : qui fapientem genuis lætabitur inco; Må eziandio espresse il rammarico, che ne hanno quei , che li vedono viziofi al decimo ferrimo ove dice ; Ira patris filius ftultus,  dolor matris, qua genuit eum. Quindi  è, che  è, che l'Ecclesiastico al 16. conchiude: Utile eft mori fine filis , quàm impios habe  re.  · Sem. Questi cattivi , e viziosi forse non averanno avuto dircttori nei loro teneri anni, che gli abbiano ben'educari.  Pub. Ci sono di quei, che l'ebbero an. cora, e pure da essi niun giovamento ne riportarono  Sem. Come è possibile questo?  Pub. Dovete voi sapere, che quando il vizio è radicato nel cuore de figliuoli, e che di la si propaga al capo, ardua impresa fi renderà il poterlo svellere, perchè fi rende allora effo quali padrone della volontà ?  Sem. Mà perchè questi non possono. coll'educazione estirparsi dal cuore, e dalla mente quando di effa fi foffero impoffesfati ancora è  Pub. Ardua impresa, come disi farà prenderla con vizj chiamati da Salomone nelle sue Parabole al 2 2. Stultitia colligata in corde pueri; e tanto maggior. io figliuoli, pensare allnde  mente quando chi n'è contaminato non coopererà ancor ello per rimuoverli?  Sem. E come potrà farac di meno, avendo avanti gli occhi canti buoni esempj, ed udendo saggi documenti , e ragioni convincentisfime !  Pub. Si trovano questi talmente accecati, e sordi, che non veggono, nè capiscono nè esempj, nè ragioni ; e queIto nasce ancora dal loro naturale , egenio perverso, che in vece di apprende. re, e vedere con loro profitto li fà porre in deriGone quanto odono, e veggono, come saggiainente insegna Salomone al 15. de suoi Proverbj: Stultus irridet disciplinam patris fui, qui autem cuftodit increpationes astutior fiet.  Sem. Questi genj perversi donde nascono ?  Pub. Dalla poca cognizione dell'onefto, e del vero bene , e da questa deriva, che credono ogni qualunque cosa, che appag! la loro volontà, per onesta, quautunque sia detestabile, ed avendo, fatto in tal falfa ccedenza l'abito, quc  FF  Ito  [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Ito palsa in naturalezza, e genio, per es. ser divenuta la loro fantasia quasi consimile a quei cristalli con artificio lavorati, che fanno comparire le cose proporzionate,e belle per i isconcie,e le íconcie per belle , e proporzionate .  Sem. Indicatemi ora qualcuno di que. Iti vizj tanto perversi.  Pub. Se voi scorgerete in un fanciullo certa crudeltà ferina, qual fù di colui, che con un ago cavava gli occhi a cerci uccelli : d'altri che feriva col coltello, o bastone il compagno, e scorgendo sgorgare sangue maggiormente s'infieriva: o pure una certa inclinazione a trafugare, e nascondere cose non comestibili , prese anco da qualche scrigno: l'essere pertinace, e perseverante nel non dire mai verità, e fare qualche danno per imputarlo altrui; overo quantunque corretto,e gastigato più volte il continuare tuttavia a non volere apprendere cose di Dio, con avere dispiacere di sentirne anche parlare ; imparando ben l'altre dannose al buon costume : non rispettare  [ocr errors] i i genitori , anzi beffeggiarli di più quanworld do sono da elli correcci; e tutti questi di  fetti crescendo esli negli anni vedendosi avanzati più rosto, che diminuiti, credete pure, che limili vizj sono già divenuti padroni del cuore , e della volon. tà.  Mec. Vi fù uno di questi, che in età di cinque anni ammazzò con coltello un  fuo compagno, e non essendo capace, i per  essere di sì tenera età, di gastigo, o proporzionato a tal'eccesso, commesso anche con crudeltà  per  li rinovati colpi, a che gli diede, fu fatto caftrare in pe  na da quel Prencipe dominance, dicendo egli, che non voleva razza di simili fiere nel suo dominio .  Sem. Mà hò udito riferire più volte, che pur si rendono máfuete le fiere ache o più crudeli; com'è poflibile dunque, che  questi, in qualche modo, dall'industrias umana non si possano domare? esaminiamo di grazia, se vi poress’essere qual  che rimedio, per rendere mansueci anco o questi, o pur datemi sopra cio, per mio  Ff 2  re  regolamento, qualche buon consiglio ; perchè , fe Iddio per gastigarmi mi desse un di quefti figliuoli, io sarci il più infelice uomo tra tutti i vivenci.  Pub. Lo credo, e perciò bisogna, che cominciare da or'a supplicarlo, che non vel dia , ed essendo egli sì misericordio. fo, potrete dopo reiterate preghiere an. che sperarlo ; e voi, Dottore, avete alcun rimedio di quelli, che chiamare eradicativi per isvellere questi vizj?  Med. Se non foffero cotanto radicati spererei disì, mà farò qualche studio particolare , anche intorno a questi, per vedere se G trovasse alcuno specifico, almeno, che potesse minorar loro tant' orgoglio ,  Pub. Se si trovaffe questo sarebbe gran vantaggio ; perchè allora coll'educazione li potrebbe fare qualche cosa di più, se non in cutti, almeno in alcuni di esli , onde pensateci seriamente, e fare qualche sperienza tractanto , per riferire a suo tempo ciò, che averete ritrovato giovevole.  Sem.  [ocr errors] .  Elio Sem. Mà intanto insegnatemi almeno แบ่งชี้  quello, che li potcffe fare di vantaggio 11  nell'educare questi, perchè poi, che averà ritrovato qualche rimedio il Dotcore, mi informerà di quello.  Pub. Şe fi potesse discernere in tempo, che prende il latte quel figliuolo,in cui la crudeltà volesse fare progresi, la prima cosa che farei, sarebbe, di mutargli la nutrice, se fosse donna risentita , e tiera, ed in vece di questa gli farei dal Dottore scegliere un latte di balia pacifica , e femmatica; effendocche di ciò me ne porge morivo quello, che seguì all'Imperatore Commodo, il quale per essere stato nudrito da una donna rifen  tita, e barbata come un uomo , data* gliela affinchè diveniffe generoso; mà in  vece di questo divenne un gladiatore ,  per non dilergarfi di altro, che di sangue, j  e di caroificine, ed hà ben creduto talun che appunto detta balia fosse figliuola di gladiatore.  Med. Olrre lo sceglierla proposito,fi potrebbe anch'essa far nudrire di erbe,ed altri cibi di tenue sostanza, e toglierle ache affatto l'uso del vino, e slattato che fosse il fanciullo converrebbe non fargli gustare, ne vino, ne carne per alcuni anni; mà è cosa difficiliffima, per non, dire impossibile , a conoscer quisto ne? bambini.  Sem. A questi sarebbe bene, fin dalla tenera età cominciare ad usarglı gran rigore per vedere di domarlo?  Pub. Se si verificasse realmente che le vespe muojono nell'olio, e risuscitano nell'aceto,converrebbe,per estinguere vizj li perniciofi, valerli più costo del dolce lenitivo, che dell'afpro pungente; contuttociò per assicurarsi meglio con. viene regolarfi secondo gli effetti, che produrranno in loro i gastighi ; essendoche xlcuni fanciulli nella tenera era acora s'infieriscono allorchè fi veggono perciotere colla sferza, onde senza  pro ditco alcuno questi di batterebbero, come insegnò Salomone : ne suoi Proverbi al 27. fi contuderis ftultum in pila quafi pofanas feriente de super pile, non aufes retur ab eoftultitia ejus Semo  erli che  Sem. Ponendosi questi per la buona via , con deporre gran parte della loro fierezza, si potrà sperare, che divengano buoni?  Pub. Dee sempre temersi, che possano ricadere nel medesimo eccesso, non potendosi ne anco alle bestię togliere af. fatto la fierezza nativa, quantunque mostrino essere divenute mansuete.  Mec. Riferirò a questo proposito ciò che seguì di un Leone : questo era divenuto apparentemente fi mansueto,chę girava per tutta la città senza recare molestia ad alcuno; mà abbattendosi un giorno in un macellaro , che portava sulle spalle un gran pezzo di carne , se gli avventò alla vita, lo ferìgravemente colle unghie,e se non era pronto a dargli la detta carne,l'averebbe anche sbranato. Così mostrò la sua fierezza , che teneva di anzi celata.  Sem. E quelli , che mostrano inclinazione al furto ?  Pub. Questi ancora, se Iddio non gli ajuta', termineranno malamente la  lor  [merged small][ocr errors] Ff 4  loro vita; effendo cosa assai difficile, per non dire impoffibile, il poter svellere af. fatto tal vizio ; perchè quanrunque alcuni non siano forzati dal bisogno, las cattiva loro inclinazione li porta a rubare,  Sem. Si possono questi gastigare colle sferzate ?  Pub. Così fi dee fare, perch'essendo vili di natura, enon superbi come i primi , dalle percoffe possono ricevere profitto,almeno in aftenersene per qual  che tempo.  Mec. Abbiamo l'esempio di colui , che condannato a morte per ladro, conducendosi al paribolo fè premurofiffima istanza di rivedere sua Madre, ed oricnura che l'ebbe, avicinoffi tanto ad essa, che coi denti le svelre un orecchia, dicendole: per colpa voftra io vado al paribolo, perchè, fe foffi ftato da voi ga. ftigato da piccolo, non vedreste tale spettacolo, ne tampoco io soffrirei queIta ignominiofa morte. Pub. E neceffario ancora condurli a  31  2  vedere far giustizia, e con tal occasione insegnare loro qual gastigo meritano quei, che rubano', e che in oltre sono semprc miserabili questi infelici, come ben conobbe Salomone al is, de' suoi proverbj:Alii rapiuni non fua, & femper in egeftate  funt , Mec. Un simile obbrobrioso speccacolo indusse una volta gran terrore ad uno quantunque ftolido mendico ; poscia che per essere stato giustiziaco un monctario falso, aveva una collana appesa al collo di dette monete falsificato da esso, e credendo il mendico, che per quelle monete foffe fatto morire , al. lorchè taluno gli esibiva una moneta di argento, la ricusava con allontanarli da eslo , contentandofi solamente di quelle di rame, che non le aveva vedute appese in quella collana di vituperio.  Sem. Mostrando poco rimor di Dio , e meno rispecto a genitori?  Mec. Questo appunto, essendo il vi. zio peggiore di catti, diviene incorrig. gibile per opera de'genitori.  [ocr errors][ocr errors] Sem. E per opera di chi fi potrebbe emendare?  Mec. Polemone essendo giovane fu viziofiffimo a segno che si portò un giarno alla scuola di Zenocrate, non già per apprendere da esso alcun buon documento, mà bensì per disturbare più tosto quei, che aveano genio d'apprenderli; avvedutofi di ciò il saggio filosofo, cominciò a favellare sopra il vivere onesto, e li vantaggi, che da esso firiportavano, e con tali convincenti ragioni , che rimase sorpreso il vizioso giovane a segno, che abbandonò i suoi viziosi compagni per seguitare Zenocra. te, da i di cui buoni documenti, u modo di vivere esemplare, si cambiò da peffimo , ch'egli era , in ortimo, e da ciò ne deduco, che ancor voi non dovete indugiare un momento di più, essendo il figliuolo in età capace, di non mandarlo in qualche esemplare seminario , affinchè , co'i documenti, e colli buoni esempj apprenda , e miri ciocche fare gli convenga; e proccuracedi non farlo tornare più a casa vostra, se non averà mutato costume , e state ancor voi lontano da esso, mostrandovi dif. gustato del suo modo di vivere'; e sapranno ben quei buoni' directori, ayvezzi a domare fimiliceryelli, allertarlo al bene, e con modi più spedienti correggerlo, e punirlo, affinchè li emen. di.  Pub. Debbono parimente i Padri ftare cautelati nel gastigare i viziosi loro figliuoli, divenuti grandicelli, perchè fi potrebbe dare il caso, che questi sentendosi percuotere, fi rivoltassero contro di effi , e li znaltrattassero ancora :  Sem. Se per disavventurà de poveri genicori rimanessero questi incorriggibi. li , che fi averà da fare per provederli?  Pub, Udite come mai parla bene a in questo proposito l'ecclesiastico ál 22.  Confufio Patris eft de filio indisciplinato: onde come potrà mai in simile confun fione régolarsi egli con prudenza! Certa cosa è, che per prender moglie questi  non sono buoni ; per Rcligios- neanco; .  de  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] de maneggi della Republica non sono capaci; talmente che non sapranno, che impiego potessero far loro ottenere.  Sem. Perchè non sarebbero buoni a prendere moglie ; pofciachè chi sà, che divenendo capi di casa non mettessero giudizio ?  Pub. A voi darebbe l'animo di convivere insieme con costoro, se vi foffero compagni  Sem. A me difficilmente.  Pub. Or dunque, perchè volere porli a convivere con una giovane senza fpe. rienza? ed a che vica infelice fiespor. rebbe questa con marito si vizioso? E poi roi procurate fare il poffibile per togliere da effo i vizj, e non essendovi ciò riuscito , pretendere forse far razza de suoi difetti In quanto poi, che il prendere moglie li possa fare mutar coItume, non è credibile ; perchè, se Mulieres faciunt prevaricari fapientes, che faranno a vizioli di questa specie? Ne fi potrà persuadere alcuno, che questi tali non abbiano già provato le dissolu.,  sez:  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tezze di Vegere, perchè i vizj al parere di Seneca non vanno mai foli; e se quem ste non hanno moderato il loro orgoglio, che più potranno acquistar di buono conginngendosi in matrimonio Il dir poi, che si prenderanno il pensiero dei loro tigliuoli nell'educarli, questo è lontano dal vero ; perchè li vorranno bensì allevare limili adelli, e quando ciò non riuscisse loro palcsemence, mediante le diligenze usate in contrario dalle Madri, faranno il possibile nasco, ftamente di conservare in effi, alincno in propri difetci, acciocche non li dica, che non liano loro degni figliuoli; come ap parisce dagli esempj dell'ubriaco, e de beftemmiatore riferici di sopra .  Sem. E qualcuno di questi perchè non si potrebbe indirizzare per la vian Ecclefiaftica  Pub. Peasate voi che questi abbias vera vocazione di caminare per queIta santa via.  Sem. Mà se G dichiaraffe, che a volesse indirizare per essa , e mi pregafle,  che  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] che gl'impetrafli qualche pingue beneficio, averò da ricusare il farlo 2  Pub. Certamente che sì, perchè quefi farà mosso dall'intereffe, cioè dal conseguire l'utile del pingue beneficio, non già dal servire a Dio, come far dovrebbe ; onde farà non diffimile a colui, che brama prendere moglie, non per il fine del santo Matrimonio, mà per l'intereffe della pingue dore, che si ritrova colei , che vuole sposare.  Mec. A proposito di groffa dote fece una donna accorta una bella burla al suo futuro sposo: Ella era per verità alquanto deforme, e perciò più d'uno dicca al giovane, che la voleva prendere, il qual era molto bello, che l'aveffe rimirata meglio prima di sposarla,cui rispondea, che li bastava di effettuare il matrimonio , per dare di mano alla grossa dore , che aveva; per altro, che di tal moglie punto non si curava i Fù ciò riferito alla giovane, la quale fe portare da una sua damigella, allorchè fi dovea spofare, una grolla borsa di danaro in Chiesa, ed  aspete  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] aspettò , che il Parroco avesse domandato allo sposo se la voleva,il quale udito ciò disse, senza indugiarvi punto: disi; allora l'accorta donna si fe sporgere la preparata borsa , e tenendola nelle mani, allorchè fu ricercata anch'essa del suo consenso, nulla rispondeva ; ne fi sapeva che fine doveffe fare quella borsa; perchè il futuro sposo si speranzava, che dovesse servire per un publico donativo per  effo , ed i Chierici, che fosse la mancia per loro : alla fine stimolata più volte a rispondere ella disse; se questo fignore si è dichiarato volersi sposare collas mia dore, questa, mostrando la borsa,essendo parte di essa, mentre non risponde, è segno , che non lo vuole qual consenso dunque hò da dare io s'egli brama la mia doce, e non già me? e così confuso, e mortificato partì il giovane ; onde non vorrei , che facesse il beneficio ancora il Gmile, di ricusarlo, facendo con esso l'amore a cagione della sua dote.  Pub. E poi dovreste anche rifletreredi quanto scandalo sarebbe un ecclefiastico vizioso , dovendo cgli essere lo fpechio de'buoni costumi; ne fperace , che questi,che si muovono per fimile fine possano divenir buoni ; ponno divenire benli peggiori impiegando il danaro sa. gro in cose viziose.  Sem. E se caluno di questi volesse applicarsi al governo della Republica, c chiedesse il mio ajuto,per poter e ottencre qualche posto per via di favori, e di regali; perchè non ho da compiacerlo?  Pub. Questo ne tampoco doverete fare, perchè se fosse d'uopo amministrar la ! giustizia,nó direbbe già egli quello, che diffe Giulio Cesare : che per un Regno di poteva far torto alla giudizia, perchè lo farebbe per assai meno, effendo ano che  capace di farlo per sodisfare an folo de suoi viz); onde tanto voi, quanto chi vi avesse contribuito entrerette a parte di tutte l'ingiustizie, ed iniquità chia capace di commettere un vizioso.  Sem. Che dunque doverei fare , per non vivere da disperato , quando avelli alcuno di questi?  Pub.  [ocr errors] Pub. Mandarlo alla guerra per fargli provare come Gi vive, cd alle volte  qucIta è l'unica medicina di questi cali; perchè se fono fanguinarj possono faziarsi del sangue de nemici; se attendono alla rapina nc'saccheggiamenti possono sodisfare la loro ingordigia;se poco cimorati di Dio, e niente rispettoG a genitori, vedranno quanto temere Gi debba , e rispetrare un Capitano quantunque non gli abbia creati, o generaci; onde poirebbe essere, che il Signore Iddio gli toccaffe il cuore, e facesse comprende, re, che se tanto li fa per un uomo , quant. to di più fi doverà fare per Iddio, e per chi lo gencrò !e sappiate , che dalle lega gi di Mosè venivano questi condannati ad esser lapidati dal Popolo, come nel Deuteronomio al 21. Si genuerit homo filium contumacem, da proteruum, qui non audiat Patris , aut Marris imperium, co coercitus obedire contempferit, appraben. dent cum, ducent ad seniores civitatis illius, & ad portam judicii , dicentque ad ços c. lapidibus eum obruet populus Civis  Gg  tatis  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] taris, ut auferatur malum de medio ucStric. onde in vece di vedere fimile spettacolo sarà pur meglio mandarli alla guerra, la quale faggiamente fu difi. nita: Infolefcentis generis humani tonfura.  Sem. E se ricufaffe di andare alla guerra ?  Pub. E voi figuratevi, che vi sia già andato, e fatto prigione ; onde rinchiudetelo in qualche fortezza : non avendo però commessi ancora reati gravi , affinchè non siano puniti dalla giustizia con morte ignominiofa; conforme qualche volta è seguito; e tenerelo ivi fin tanto che camperere, che così farcte sicuro, che non commetterà gravi eccelsi, trovandosi guardato, e custodito , Non bisogna però, che prendiate cal risoluzione a sangue caldo, mà fateci matura riflessione : c regolatevi ancora col consiglio di qualche faggio , e buono amico,  Sem. Per dopo la mia morte comes avero da disporre le cose ?  Pub.  Pub. Con lasciare a cattivi figliuoli ma solamente tutto quello, che non potrei te cogliere loro, non per odio persona  le; mà de loro vizjicon questa condizio. ne però , ch'effendosi ravveduti, dopo un triennio di vita esemplare, poffino godere un tanto dei frutti della vostra eredità; e perseverando nel ben operare abbiano ancora d'avere qualche accrescimento maggiore ; qual perdano intieramente, ed immantinente, ricornando a menare vita scandalosa.  Sem. E se fingeranno di essere divenuti buoni a fine di poter godere quel i frutto maggiore?  Pub. Non sarà meglio, che facciano così,che operino sfacciaramente male ? de l'interno Iddio solamente lo rimira ; le  l'esterno appena è palese a gli uomini, i  quali di questo solamente pouno appa-  garsi; e poi vi è stato qualcuno ancora ,  ch’hà incominciato a menar vita mi-  gliore , per conseguire qualche premio,  che poi si è ravveduto da dovero.    Mec. Vi è l'esempio di quel Soldato,   che  [ocr errors][ocr errors] bu  COM  [ocr errors] [ocr errors] che si racconra essere stato convertito da S.Francesco Saverio : Questi era un pessimo uomo, ed iracondo a segno, che non averebbc sofferta una parola anche indifferente, che non l'avesse appresa detta per lui, e volesse anco vendicarsene . Le ainmonizioni, ed esortazioni faccegli dal Santo nulla giovavano; alla fine li disse mostrandogli una moneta di oro, se voleva guadagnarsela rispose francamente di sì : or sù dunque replicò il Santo venire meco , e giriamo d'incor. no l'esercito ; Io la porterò in mano, affinchè la miriate, e voi non avete a fare altro, che di sopportare con pazienza quello, che udirete dire contro di voi. Fù dato principio alla grande ope. ra,ed egli rimirando con occhi tifi l'oro, si rideva di quanto male udiva contro di sè, e cerininato felicemente il giro, guadagnò il premio. Allora il Santo tiratolo da parte gli disse: figliuolo mio per una si vile mercede voi avere potuto sopportar tanto, e per un Dio non poteie sofferire una minima particella diquesto ? il Signore Iddio in quel punto $ gli toccò il cuore , e fi ravvide per sempre.  Sem. Mà se poi i difetti de' figliuoli non fossero gravi a questo segno, e fos. sero di quelli, che pure non disdicano ganto, per essere divenuti ormai familiari, potrebbero con questi proporsi a sudetti ministeri, ed impieghi ?  Pub. Spiegatevi apercamente, quali voi intendere per questi vizj familiari?  Sem. Per esempio se caluno di esli avesse principiato da 14: 0 15. anni a dimorare la maggior parte della notte fuori di casa, e quancunque suo Padre l'avesse più volte ammonito, che non lo facesse , ed effo ciò non oftante continuafle ; contraeffe debiti; e perchè è figliuolo di famiglia, non potendosi obbligare, facesse obbligazioni dette pagherà. con grandissimo difcapito, senza data , per  firmarla dopo la morte di suo Padre; ed altre cosarelle non tanto familiari; come dir male del profimo , di mancare alle volte alla parola data ; ne  ga:  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] GS 3  [ocr errors] gare ciò, ch'egli averà avuto; e se riyscirà , di gabbare il compagao nel giuoco; con altri piccioli vizj di questa forte?  Pub. Cofarelle, piccoli vizj voi chiamate questi! E non riflettere,che quando il giovane li sarà abituato in questi ugua. glierà egli taluno de vizioli di primo rango: ad uno che sarà avvezzo  la  maggior parte della notte dimorare fuori di sua casa, e sarà giovane, voi volere impetrare beneficj Ecclesiastici, ed im. picghi gelosi della Republica ? Và forse a studiare in quelle ore, o a farsi la disciplina negli oratorj, quando i studj, e questi sono ferrari ? e come vi persuadete, che possano adempire l'obbligo loro, effendo scarf di dottrina , e di buoni costumi, ed applicati a cose, in cui per la meno inutilmente si perde il tempo a e fatta che averete rifcllione agli altri loro vizj, che avete apportati ; consigliatevi colla vostra coscienza se lo potrete fare : mà esaminiamo di grazia donde ciò proceda, e se sia solamente colpa de figliuoli canto deviamento.  Sem.  [ocr errors][merged small] Sem. É' loro certamente; perchè hò sentito lagnarsene i Padri di questo, col. le lagrime su gli occhi.  Pub. Questo fu il pianto del coccodrillo, che piagneva il suo figliuolo allorchè lo aveva ucciso: come si sono portati questi Padri nell'educarli?  Sem. Certa cosa è, che tante diligenze, quante ne hò udite nelle nostre conferenze,non le han faute.  Pub. Or dunque, se non gli hanno educati bene, a dolgano della loro trafcuraggine, perchè viziosi li vollero efli.  Sem. Mà che averanno da fare ora?  Pub. Questa penitenza appunto, che Iddio manda loro;di sopportare figliuo. li viziogi .  Sem. Ci sarà pure qualche rimedio?  Pub. Ciè certamente, ed è questo; di fare alli piccioli nepoti ciò,che non fece. ro a loro figliuoli, cioè di educarli bene; perchè altrimenti, non essendo capacii loro Padri di fare questo, i vizj non li fyelleranno mai dalle loro famiglie:  Sem. Voi diceste,che questo cocchi al Padre,  Pub,  [ocr errors][merged small][ocr errors] Gg 4  Pub. Sibene quando sia capace di farlo, e vi pare , che questi viziofi fiano abili ad educare i figliuoli a suo dove-' re? Il loro mal esempio come permetterà, ch'essi apprendano le virtùd Onde quantunque schiamazzino alle volte redendo i loro figliuoli viziosi,č incerco se lo facciano per zelo di amore, o per invidia , perchè non possono essi più con. tinuare fimile vita rilassata essendo vecchi.  Sem. Io hò cap to a bastanza , ed ora compreоdo la cagione; perchè nell'universale non si possono affatto estirpare i vizj, mà voglio approfittarmene per casa mia, per non avere anche io a fare il pianto del coccodrillo. Ma le povere figliuole come si doveranno provedere? essendo gran disgrazia loro, quando capitassero in mano di simili viziofi.  Pub. Esamineremo anche questo , nà non è ora tempo ; perchè richiede affare si rilevante lungo ragionamento.  CON  [merged small][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] Pub.  Onfesso ingenuamente che non séza rigione alcuni Pa. driffi contristano ál. lorchè nascono tan,  co loro figliuole ; perchè il penfare a collocarle bene non è piccolo intrico, chiamandoli questo affare dall'Ecclefiaftico al 7.opera grande dicendovi: Trade filiam, & grandes opus feceris, o bomini fenfato da illam; posciache saranno state educate alcune di effc col timore di Dio, senza lusso ,c vagità, modeste comc fi dee, istruite inquanto è necessario per il buon regolamento di una casa; mà che servirà loro tutto questo , se capiteranno in mano di un marito imprudente , vizioso, ed indiscreto! e fimile appunto a quello , ch' ebbe quell'innocente Giustina , il di cui Epitatio sepolcrale è questo.  Immitis ferro secuit mea colla mari.  [ocr errors] Dum propero nivei folvere vincla pedis  Durus, ante thorum , quo nupér   nupta coiur,  Quo cecidis noftrę virginitatis honos.  Nec culpâ meruisse necem bona Numi-       na testor,  Sed jaceo fasi forte perimpia mei  Discise ab exemplo Juftine , difcite pa.   tres  Ne nubat fatuo filia veftra viro. Or vedete Sempronio, che gran facenda è questa !  Mec. La conobbe afrai bene Democr. appresso Stob. dicendo: Qui bonum generum nactus eft invenis plium, qui verò, malum, fimul & filiam perdidit: quindi è,  che  [ocr errors] che saggiamente fù conligliato da Temiffocle quel Padre, che desiderava das effo fapere , cui dovesse dar per moglie l'unica sua figliuola; se al dotto povero, o al ricco vizioso, replicò egli a mè aggrada più l'uomo, che ha bisogno di ricchezze, che le ricchezze , che hanno bisogno di uomo : come dice Val. Mas.  Sem. Mà quando si sono fatte le dili. gen ze necessarie, e fiè già rincontrato, che sia imprudére, e vizioso chi la vuole perché non si esclude fimile soggetto ?  Pub. Se voi sapeste quante fraudolenti manifatture Gi fanno, per avere unas giovane savia per moglie, stupireste; anzi quante più d'imperfezzioni hanno i giovani, che vogliono accasarli seco, tanto maggiormente queste si adoperano, tanto si fa,che alla fine riesce fimile facenda.  Sem. Mà chi sono questi, che faranno tante manifatture , non essendo capace un fimil giovane di farle ?  Pub. Se non sarà cgli, saranno ben’i suoi congiunti , i quali raffidati, che per  [ocr errors] [ocr errors] Il fingo della futura sposa cffo possa divenire saggio, tanti ponti di oro le faranno , che alla fine caderà a dire di sì.  Sem. Mà i genitori come lo permetteranno?  · Pub. Saranno ancora effi sforzati a chinare la cesta, quando colla linguas non poteffero arrivare a proferire quel doloroso sì.  Sem. Saranno dunque anche i suoi genitori poco prudentia  Pub. Oh bene : non fiete voi ancora a pieno informato dal mondo; mà ne ben Mecenate.  · Mec. Ne sono pur troppo, anzi fono arrivato a conoscere , perchè fi dica insa geniofus amor; avendo scoperto, che amore aguzza l'ingegno de fuoi fenfali, e rende anche artificiofa la lingua alla menzogna .  Sem. Mà che potrebbero fare questi, quando il Padre steffe faldo in non volergliela dare?  Mes. L'ingegno agguzzato fi ferve dell'autoricà, e la dispone in modo , che  [ocr errors][ocr errors] niuno più degno di merito si affacci a chiederla, per rispetto di colui, col quale si tratta : e sapere pure, che in questi cali, per non fare inimicizie, non li vicne mai alla negativa scoperta , potendovi costringere ad addurre un ignominiofa cagione,per cui far non si vuole: Siprude bensì un mezzo, termine, quale è che la giovane pensa di farsi monaca; laonde in questo mentre dal sudetto pretendente fi fanno affacciare tutti li peggiori, ed i più scapestrati giovani, che siano nella Città a chicderla,e cutci inferiori di condizione ad ello; talmente che il Pae dre , che la vorrebbe maritare, trovan  dofi annojato, alla fine li piega, per non che trovare soggetto migliore, che la fac. i cia domandare : e tanto più, che si tro  verà circondato da consiglieri già guadagnati da chi la pretende.  Sem. Sarà dunque peggiore , e più id svantaggiosa la condizione della donna nell'accasarsi , che dell'uomo.  Pub. Non ci è dubbio alcuno, perchè l'uomo non è ricercato, ne violentaco  per  [ocr errors] en  [ocr errors] per parte della donna, mà beasi effa da chi la brama.  Mec. Può essere,che quando voi prendeste moglie ciò non li coftumaffe ; mà ora posso dirvi di certo,  che questo li pratica, essendo seguito in persona mia, che ho avuto più d'una richiesta fe.voleva accasarmi colla tale, senza ricer  carla.  Sem. Or io quantunque non fia versato sufficientemente nelle cose del mon. do, procurerei segretamente di trovare un giovane favio,quantunque meno ricco, e la darei a questi; perchè sposata , che fosse,hò sempre udito dire, che: multa facta tenent, così finirebbe ogni conresa.  Pub. In somma in questi casi, chi più sà, più s'inviluppa nelle difficoltà; onde alle volte riescono migliori certe risoluzioni fatte senza tante rifellioni ; c voi Sempronio, non avete detto male; mà non saprete già scegliere questo giovane savio così all'infretta; converrà dunque che l'impariats,     ed  [ocr errors][ocr errors] Ff 3   Ес   Pub. .  [ocr errors] 1  [ocr errors] 1  Sem. Come si doverà dunque fare per conoscerlo?  Pub. Il Padre che ha figliuole da mai ritare dev'essere un Argo, per rimirare  nel medesimo tempo cento giovani, ed offervare i loro andanlegri.  Mec. Oggidì però non è necessario averne tanti ; perchè con soli due occhi moltissimi difetti li possono ritrovare ne giovani, ed in breve; quantunque non corrano quei calamitosi tempi, che accenna Giovenale alla satira 13. Humani generis mares sibi noffe volenti  Sufficit una domus , paucos confus  me dies, do Dicere te miferum poftquam illic vec  [ocr errors] neris,  [ocr errors] Pub. Fatemi piacere dunque voi, Mecenate,d'istruirlo in questo giacchè fiece più pratico di mè nel discernere i giova. nili mancamenei correnti; perchè a tempo mio la gioventù viveva diversamen. te, e perciò fi ftentava più in iscoprire i loro difetti. Mec. Lo faro, perchè non voglio, ri  CU:  [ocr errors] cusandolo, che vi confermiate nellas credenza di qnello , che di me sospettafte,che io fia nimico delle doone,poscia. chè io ammiro la virtù in alcune di esse, e perciò non vorrei, che questa mancafse affatto, abbattendosi in viziofi mariti: onde se voi, Sempronio,vedrere un gio.. vane accompagnarfi, e conversare continuamente con taluno, conosciuto da voi per vizioso y tencte pur ancor esso per tale, senza fare altra diligenza; verificandoli quel proverbio:all'accoppiar ti veggio.  Sem. E se fi desse il caso, che questi non converfaffe con altri?  Mec. Questo è difficile oggidì, che fi conversa tanto; mà se caluno fuggisse le conversazioni,mirate bene la sua firo. nomia, e se la scorgerete tetra , e inalinconica tenerelo pure per uomo infociabile, e non senza i suoi difetti proprj; se poi foffe allegro, disinvolto, e non converfasse oggidi con altri, formatene buon concetto di esso; perchè lo farà a cagionc , che non troverà coma  pa  de pagni bene accoftunati uguali ad effo.  Sem. Vorrei qualche altra regola,per meglio potermene avvedere ; perchè se non conoscefli per viziofi quei, co’quali egli conversalle, potrei ingannarmi.  Mes. Se voi vedrete un giovane stare in chicfa con poca divozione, e discorserc ivi co i compagni comc farebbe in piazza, questi farà poco timorato di Dio; se frequenrerà le feste, cd i passeggi, e rimirerà con grand'arrenzione le donne, in cui si abbaite, farà egli effemminato ; se dispreggerà i suoi compagni, cvorrà avere sopra di essi una certa superiorità , farà superbo ; se li piacerà vestire con pompa , sarà vanos se poi oggi dirà una cosa, c domane ne farà una alıra, farà incostante; e finalmente se frequenterà i ridotti, ove si giuoca , gran genio egli avrà a questo vizio; in somma da se medesimo colle sue operazioni manifeftcrà i suoi difetti.  Sem. Starei fresco, se aventi d'accomodare una mia figliuola in questi tempi, dovendo fare tante diligenze; mi cor.  H  vers pa  [ocr errors] verrebbe prendere la fantcrna di Diogene, ed andare per la città dicendo: homi. nem quæro, e caminare più di un giorno per trovare, chi fosse in cucco; e per turto, senza alcun de'detti diferci.  Moc. Mà chi non vuole affogarla , dee anche servirsi del cannocchiale del Galileo,che scuopre le macchie del sole.  Sem. Io mi persuado, che se i Padri, c le Madri riguardassero al minuto curti i differti , pochi troverebbero moglie.  Mer. Sarebbe questo la fortuna de i giovani; perchè non trovandola allorsi che incomiacierebbero a spogliarfi do loro vizj, ed in breve diverrebbero bene accostumari, ed a tale proposito posso riferirvi ciò , ch'è seguito in una riguardevole città. Affinchè iCadetti andassero con più fervore, di quello faccano , alla guerra, cominciarono le donnc a non ammettere alle loro conversazioni coloro, che non avevano fatte almeno dues campagne in gucrra viva ; conciofiacofache li reputavano vili, e codardi.Servi tale renitepza di Aimolo grande a tutta  la  Die la gioventù per andare alla guerra;  segnoche pochi furono quci, che non Si seguitassero i primi, che vi andarono: " or se una fimile ripulsa molte canti ad  andare incontro alla morte; dovrebbe certament’essere di stimolo maggiore, per andare incontro alla vita migliore, quando questi non trovasfero inoglie.  Pub. Vedete voi,Semprouio,che sconcerti sono questi, di non potere con facilità come prima trovare mariti a proposito per le figliuole, c.questo da che na. sce, se non dalla cattiva educazione  della gioventù ? rifecrcte dunquc quano co debba premcre questo affare anco alla Repubblica,  Sem. Io lo scorgo molto bene; mà che fi dovrà fare ritrovandoci in queste an.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. Quello che disse quel Filosofo, che presc per moglie una donna allai picciola, allorchè fu interrogato, perchè l'avesse scelta così, egli rispose : perchè del male conveniva prenderne il minore: il fimile anche dirò io de'mariti difetto  Hhafi; di prendere quei che hanno vizj me. no considerabili , che fono appunto quelli che riescono men disdicevoli alla condizione del galantuomo.  Sem. Maritandofi dunque con questi, che buona direzione doverà darfcle da genitori?  Mes. Debbono i genitori allorche le maricano non seguitare quel caccivo costume di alcuni , che le consigliano a farli rispectare, e ftare sostenute con tutti, di non farli sottomettere alla prima, perchè diverranno, così facendo, infelicissime, quantunque portassero groffa dote, mà le consiglino bensì nella forma, che fecero i genitori di Sara, allorchè la consegnarono per isposa al secondo Tobia con groffa dore; ed uditc ciocchè fecero Tob, 10. Apprebendentes parentes fo. liam suam ofculari funs eam, & dimiferunt ire monentes eam, bonorare foceros, diligere maricum, regere familiam, gubernare domum, da se ipsam inreprebensibilē exhibere.  Sem. E se un Padre avesse tre , o quattro figliuole, che si volessero mari  tare  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tare cuite, chc dovrà egli fare, non efrendo molio ricco?  Mec. Maricarle , con dar loro quella dote più congrua, che può.  Sem. Mà li scomoderebbe troppo privandosi di sì considerabile somma di danaro, o quantità di roba, che con. veniffe dar loro maritandole turce.  Mec. E come potrebbe farac di me00?  Sem. Potrebbe farlo beniffimo con efortarlca fará Monache.  Mec. E se non Gi volessero fare?  Scm. Non mancano modi al Padre accorto, che ci facciago, o colle buones ocolle cattive.  Mec. Padre voi chiamare colui, che vuole sforzare la volontà delle figliuole? chiamatelo Padrigao, non accorto, màcrudele; perchè qual delitto hanno queste commesso da chiuderle in vitas. contro il loro genio?  Sem. Come chiuderle in vita, trattantandosi'di darle, e consagrarlo a Dio?  Mes, Non si chiama darle a Dio ,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] qualia  quando la loro volontà non ci concorra, nè consacrarle a lui, quando non ci sia il lor consenso : questo li chiamná porle a penare continuamente, non avendole iddio chiamare a questo stato : ( guai a quei Padri , che lo faranno, perchè del bene, facendone tanto poco, che non basterà loro , punto non ne parteciperanno: del male si che ne faranno partecipi di molto, essendo capaci di farlo, trovandoli in iftato di disperazione. E fappiate, che mi fù riferito un caso orribile di una di quelle, fatta Monaca per forža, la quale , quando ebbe eseguito quanto defideraya il Padre, lo chiamò alle grate del Monastero, cgli disse alle orccchie : fignor Padre or farcte conten. to, che mi avere levata di casa.in  que: fto mondo non ci rivederemo più ; må bensi nell' altro ed in pellimo luogo, perchè ci danneremo ambiduc . E che vitupero è questo ; per far godere i maschi, li hanno da porre in disperazione Je feminine? Se voi non potere dar loro dieci mila sçudi di dorc, dategliene me  no,  [ocr errors] cina  no , ed acca sacele; quando volontaria. mente non siano inclinate alla vita reli  giosa. Non vi chiederanno già quel tal e giovane per i sposo, mà vi faranno dire  bensì, che la loro vocazione sarebbe di  accasarli . Starà dunque al Padre marii tarle a chi più gli aggrada ; mà so ben io da che ciò procede.  Sem. E da chc?  Mec. Dall'eccellive doti, che corrono, le quali oltre il dispendio,che apportano per le spese grandi, che si richiedono allorchè â prendono, angustiaao ancora quando hango a darli altrui nel maricarsi le figliuole.  Sem. Or io non voglio nell'anima. mia questo peccato ; fe li vorranno maricare cutte, le lascierò mnaritare; mi diremi: che dote farebbe proporzionata, Publio ?  Pab. Quella , che fi foleva comune. mente costumare prima , che foffero inse dal Prencipe , come già dicemmo ; e  se  [ocr errors] Hh 4  feaveste da trattare co persone discrete, potreite anche di loro francamente, che non vi curate di tanti lussi, e perciò volece dare quella dote, che si costumava in quel tempo, che questi non vi erano: o fi contenteraano, e voi averete fatto doppio negozio, essendovi anche accertato di appareatare con gence discreta , e capace; se poi non lo vorranno fare , averete scoperto , che non sono a proposito per vostra figliuola, volendo clli vivere con pompa , e lusso eccellivo.  Sem. Questa dote li dovrà consegnare libera ?  Pub. Questo poi nò; perchè potreb. be alienarli , c restare la voftra figliuola indotata,  Sem. E se non vorranno concludere il matrimonio fenza la dote libera?  Pub, E voi sconcluderelo affatto ; perchè è un pessimo segno, quando si pretenda questo, denotando che ci sia bisogno in quella casa di danari. Questo sì, che sposata che farà, consegnare allo fpolo quanto gli avste prometo; perechè non porrere immaginarvi mai, quan. ti difturbi aascono tra conjugi per quem fta benedetta dote promessa, e non pio gaca ; provando bene spesso le povero mogli, per tal cagione, molti mali trace tamenti.  Sem. E se non mi trovali il danaro pronio?  Pub. Prendcrelo più costo ad interesse, e perciò i saggi Padri di famiglia sogliono essere buoni econoini, con met. tere da parte ogni anno qualche fommi di danaro, per essere anche puntuali allorchè locano le loro figliuolc; e fanno coato allora di fare vantaggioso rinvs. Itimento.  Som. Sarebbe dunqne bene, che s'iq. dutriassero i Padri di famiglia coi trafichi, e s'impiegaffero con fervore in fare confiderabili avanzi.  Pub. Di far qucfto non sono cenuri in costo alcuno; bilta ch'elli non fcia. lacquino le loro rendire, perchè li poslono anche fare avanzi congderabili in questo modo , ellendo che: Parfimonias eft magnum veftigab.  Sem.  [ocr errors][ocr errors] 1  [ocr errors] di ;  Sem. Almeno lo doverebbero fare, avendone molte da maritare.  Pub. Neanco; perchè il buon Padre re, ed avendole educate bene,molti concorreranno a prenderle, e con onesta doto,perchè porranno a cõro la buona educazione per qualche migliajo di scudi, essendo realmente essa l'equivalente;onde saggiamente diffe. Plauto in Aulu. Dummodo morata rectè veniat dotata      eft fatis, ed Orazio nell'ode 24.li: 3.  Dos eft magna parentum  Virtus, metuens alterius oiri  Certo federe caftitas.   Sem. Oggidi vogliono però dote, e non chiacchiare.  Pub. Sì quelli che s'innamorano della dote , o vogliono spendere più della loro pollibilità ; quelli però, chcbramerango avere una moglie saggia, conlide. reranno in primo luogo le sue buone qualicà, e di queste faranno maggior ca. pitale, che della dore, la quale è mero bene di fortuna, dove che quelle, non  fo  [merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] solamente non sono soggette alle sue in-  costanti vicende, mà sempre crescono  di valore , onde faggiamente Orazio eb-  be a dire nella r. Epistola.  Vilius argentum eft auro , virsusibus au-   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se il Signore mi delle', in 32stigo de mici peccati, una figliuola risentita', vana, pronta, loquace, contenziosa, che con tutta la buona educazione non si fosse potuta mutare,  volendo questa marito, che averò da fare?  Pub. Trovarle uno simile a Socrate, che fu li sofferente colla sua dispetrosa Sancippe ; cioè a dire un giovane sodo , prudente, non iracondo, mà soItenuto.  Mec. Vi fu però quel filosofo,il quale diede una sua figliuola simile a questa ad ug fuo nemico, e ricercato perchè avesse ciò fatto , rispose : per gastigarlo :  Sem. Doverò in quello caso conte. nermi nella moderata dore ?  Pub. Per levarvi di casa una figliuo: la di questa forra, non dovete reftare per  dat  [ocr errors] . 492 Conf. 8. Deco feconda la doro, perche date allo sposo un grande osso da rodere, onde, è di dovere, che gli diate ancora un poco più di polpa, per consolarlo , cd a fine, che ci abbia ancora un poco più di soff:renza.  Sem. E se questa, la prima volta , che contrastasse con suo marito, tornaflc a casa mia ?  Pub. Voi immediatamente dovete rimandarla a casa sua, senza darle alcun ricetto, e sgridarla ancora; acciochè non fi avezzafle a farlo più in avvenire ; con dirle apertamente, che colà hà da mori. re, perche se il Padre comincierà a dar. le ricetto, è finira; ogni giorno seguirango'nuovi sconcerti, e perciò il Profeta saggiamente disse: Obliviscere domum Pa. tris tui.  Mec. Un saggio Padre in fimile avveniincnto fè questo: Si portò egli medelimo colla sposa dal genero , e gli disse. Per grazia vi chieggo, che per questa prima volta le perdoniate per amor mio, nà se mai succederà cosa fimilc in avvemire, datele pure quel gastigo, che vor.  гс  [ocr errors] rece; perchè io non intendo più inters porre nè pur una minima parola a suo favore ; anzi che non la reputerò più per mia tigliuola , trasgredendo i vostri, e miei comandi. Ella , che credeva, che suo Padre fosse scco andato per isgridare fuo marito, perdè l'orgoglio a segno, che in avvenire muco modo di vivere.  Sem. Se avelli una figliuola brutta, c mal fina, e volelle marito, che avcrò da fare?  Pub. Primeramente vi dovrete informare col vostro Dottore,se possano i suoi difetti pregiudicarle nel pártorire, con porre a risico la sua vita ; accertato che farete di questo , che non poffa seguire, maritätela pure nel miglior modo, che potretc, darele anche buona dote  per avere un uomo di propofito.  Mec. Vi fu molti anni sono una lice per cagione, ch'essendosi sposata senza il consenso de suoi Genitori una giovane, perchè il di lei Padre pretendevas darle la dote stacutaria, e lo sporo ne chiedeva di vantaggio ; essendo che oltre gli altri difetti , che aveva era statas sempre senza denti : giunse queftas istanza all'orecchie del Prencipe , il quale ordinò  che fossero alla rolitas dote accresciuti duc mila scudi di più , per uguagliarc i difetti, che aveva la sudetta sposa.  Sem. Mà se non si affacciaffe alcuno, che li voleffe, non si potrebbe stimolare a farsi Monaca?  Pub. Questo sarebbe peggiore facrificïo dell'altre, che volevare dare a Dio, essendo stata rifiutata da tutti gli uomini; e militando per questa ancora le medefine ragioni, non lo dovete fare ; se non farà chiamata da Dio a questo stato; onde la potrete tenere in casa vostra , e procurate, che ha servita più degli altri voltri figliuoli:non dovendo voi permetrcre che all'interne sue imperfezzioni, vi si aggiungano anco gli esterni (trapazzi.  Sem. E con quelle che averanno la vocazione di farsi Monache, come mi doverò contenere ?,  Pub.  [ocr errors] Pub. Primieramente di far esplorare beo bene la loro volontà , per accertarvi, le lia vera vocazione, c non disperazione ; perchè alcune in questa cadono alle yo!ce, e precisamente quando non possono avere quel marito, che bramano; e scoperto che ayerere, che siano chiamate da Dio,adocchiare tre, o quat. tro Monasterj de più osservanti, į di  diversi istituti, e fare ad effe leggere le i loro regoles acciocchè sappiano ciò,che - doveranno fare ; e dipoi dice loro, che  fi scelgano quell'istituto,che piace loro, e fatele pur monacare.  Sem. Sarà bene di tenere loro una conversa  per  forvirle? Pub. Sc alcuna fosse stroppia, venendole permesfo,fatelo, per altro non inno. vate cosa di vantaggio di quello, che ivi fi suole praticare dalle altre ; questo sì che dovrete far loro il livello costumandosi, e consegnarlo, acciocchè lo faccia. no riscuotere a loro modo,affinchè nó ab. *biano da stare dopo la vostra mortc all' indiscretezza de fratelli, i quali foglio  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] no essere molto trascurati in soddisfarle, e trattatele in modo, che nő abbiano bi. sogno di soccorso altrui; perchè così viveranno staccatiffime dal secolo.  Sem. E se qualcuna volesse imparare a cantare,efsendol già dichiarata di far. fi Monaca?  Pub. Non permetterei quefto ; perchè, se poi fi mutasse , ilche sarebbe cosa ficile cantando delle belle ariette, voi rimarrette colla cantarina in casa; ditele bensì che lo imparerà allorchè larà Monaca, perchè ivi averà delle altre compagne ancora, colle quali si potrà esercitare per meglio apprenderlor  Sem. E se volesse viaggiare un poco per il mondo , prima di chiudersi?  Pub. Questo neanco firebbe ben fit. to ; perchè col viaggiare si può vedere, e trattandosi,udire più d'una cosa, che po. trebbero rimuoverla dal suo fervore, e. quando questo desiderio procedesse per cagione di divozione, conducerela in qualche luogo de più vicini,ove sia qual. chc divoro Santuario, per consolarla .  Soma  1  '1  Sem. Se bramasse vestirsi da sposa prima di monacarsi, e ricoprirli di gioje, hò da permetterlo ?  Pub. Alifte por motivo di potersi fare l'antichissima consuetudines per altro doyendofi sposare col Signore , non mi pa.  jono simili abiti da esso graditi, mà ben. † sì i più modefti: Una sola riflessione in & favor di ciò ci potrebbe essere, che si  portassero per dispreggio, facendo vedere allorchè li spoglia di esli per rivestira dei sacri, che li rinunziano tutte le pompe, e vanità mondane.  Sem. Rimanendo redove le figliuole , averò da riceverle più in casa inia?  Pub. Effendo uscire da casa vostra, ed essendosi già dimenticate, come vuole fil Profeta,di essa, non siete più tenuto di  riceverle :- e perciò fi foleva ancora nei Kriti degli átichi Romani praticare colle  Spose di muoverle nell'uscire dalla casa  paterna più volte in giro affinché si die : menticassero affatto di ritornavi più . 4  Sem. Mà se rimaneffero vedovc affai giovani,e senza figliuoli,che averebbero da fare così solc li Pub.  [ocr errors] Pub. In questo caso, se volessero corparvi, mostrerebbe essere crudele quel Padre, che ricusaffe riceverle.  Sem. E volendoli queste rimaritare toccherà al Padre penfarci?  Pub. Lo ponno fare senza il di lui consenso; bene è vero però, che le fuggie figliuole fogliono col consiglio pacerno regolarsi in tutte le cose, ed in particolare in affare di tanta premura , conforme è questo.  Sem. E se avesse più figliuoli anche pargoletti potrebbe penfare il Padre prima di morire a qualche ripiego, affinchè fossero questi ben' educaci;perchè rimaritandoli la loro Madre poco penlicro Gi prenderebbe di effi il Patrigno nell'edu. carli.  Pub. A questo ci vuole un poco di tempo per rillerrerci bene, onde ne pare leremo nella seguente.i Sopra l'educazione de Pupilli: e come debba ciascuno portarsi verso i  suoi genitori defonti.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] Mec.  A pena maggiore, che possa avere il Padre moribondo, essendo egli in sen. timenti, mi persua  do che sia questa: di lasciare i figliuoli pargoletti, dubicando, che non solamente possano esserc danneggiati nella roba, mà ezian. dio nell'educazione; posciache rifletterà facilmente , che quando la Madro pallasso alle seconde nozze, poco penGaro li prenderebbe di elli il Patrigno, ela  pro  propria Madre molto certamente farebbe dividendo l'affecto per merà trà elli , cd i figliuoli gencrati col secondo mari. to. Laonde la loro educazione Iddio sà comc anderebbe.  Sem. Mà ti è pur bastantemente proveduto 'a tali sventure, con Tutori, e Curatori ; come dunque potrebbe andar male l'educazione di effi, venendo cosi bene affiftiti?  Mec. Può essere , che a tempi antichi li Tutori fossero di giovamento a Pupil. li : oogidì però tra questi fanno nulla i mediocri; fanno bensì del gran male i cattivi, e gli occimi, che operino all'antica sono così pochi, che non sò se arriveranno al numero di quelli buoni , di cui parla Giovenale :  Boni quippe homines numero vix funt  totidem quof  Thebarum poriæ , vel divitis oftia Nili.  Sem. Udii pur da voi , Publio, nella Conferenza decima della decade passa. ta;effere utili alla Republicà gli Economi; or come dunque i Tutori, essendo  an  [ocr errors][ocr errors] anch'elli Economi, possono apportarc e questo gran mile.  Pub. Tra l'Economo, ed il Tutore ci è differenza potabile; conciofacosache all'Economo non appartiene l'educazione de figliuoli; ed essendo egli splendidamente riconosciuro delle sue fatiche procura di servire con somma fedeltà, per accrescere, o mantenersi almeno il credito acquistato , a fine di essere ados, perato in altre fimili contingenze; essendo che per profeffione lo esercita ; dove che il Tutore, dovendo anche invigilare alla educazione , vedendosi poco, O nulla riconosciuto delle sue maggiori fatiche, non è cosìgeloso della sua estimazione in cal ininisterio , per non cu. rara  punto di fimile briga inutile , fpecialmente chi non opererà per virtù, la qual'è da pochi seguirata, e maggiora mente se non si vede rimunerata secondo il sentimento di Giovenale, il quale dice:  Quis enim virtutem ample&titur ipfam  Prema fi tollis?   Laon.  [ocr errors] 0  li 3  Laonde non recherà maraviglia se eras efli vi saranno de cattivi.  Sem. E questi, che mali potrebbero apportare, Mecenate?  Mer. Primieramente di lasciar fare a figliuoli ciocche eff vogliono , e poi ponno prendere tanto amore alla roba de’Pupilli, che se vogliono, possono arri. vare ad appropriarsene buona parte di cffa.  Sem. Edin che modo ?  Mec. Faranno comparire debiti antichi, i quali furono gia pagati, ed accordandoli con detti finti creditori, fi divideranno per metà il furto, dando loro indietro l'antiche ricevure ; lascic. ranno vendere all'incanto i corpi più frucciferi , ed effi vi faranno offerire sot. to mano ; & farà cal vendita, nella quale farà grossa senfaria a lor favore; faranno rinvestimenti con persone fallite , e non senza considerabilitimi approvesci loro; in somma, per non infpiegarmi di vantaggio, sarebbe assai meglio, che questi non ci fossero ; perchè almeno se spregasscro  i figliuoli anderebbe per sodisfare i ca.  pricci di chi n'è padrone.     Sem. Costumeranno di far questo i più  bisognofi.   Mec. I bisognosi lo faranno per biso . gno, ed i non bisognosi per arricchirsi di vantaggio.  Sem. Mà è possibile, che nel Mondo ci sia gente così iniqua che lo faccia?  Mec. Questa è questione di fatco; di. cendomi il mio Procuratore , che giornalmente accadono liti di rendiinenti de'conti in cause de Pupilli, e che si vedono prodotti certi libri di amministrazione così intricati, per ricoprire le magagne, che ben si scorge essere stati fatti così da gente molto maliziosa .  Sem. Talinente che voi non lodate, che si diano a Pupilli questi Tutori?  Mer. I cattivi certamente noa posso lodarli.  Sem. E quali saranno i buoni?    Mec. Quelli, che ricuseranno di ac-  cettar qucfte brighe    Sem. I cattivi non sono a proposito, i buoni non vogliono accettarle ; dunque bisognerà cadere a prédere per necelfità i mediocri, che non fanno nè bene nè male. Oh confideriain corne p')trà andar bene l'educazion de figliu li !  Mec. E perciò doverebbe ogni b:100 Padre di famiglia aver un amico confidente di lom na integrità, è che fosse anche informato de fuoi interelli, e que. fti impegnarlo da molto tempo prima ad accettare, se li delle mai il caso, ch' egli morisfe in tempo, che i suoi figliuo. li avessero bisogno di guida, che voleffe fargli carità di tenerli, ed allevarli, come se foffero fuoi ; senza però discapito di borsa; ed è cosa facile , che prene desse allora l'impegno di farlo, perchè fi lusingherebbe, che ciò non fosse per seguire in breve.  Sem. Signor Mecenate mio, scusate. mi, se passo taor'olore; vedo oggidi il mondo così corrotto che dubiterei molto, che l'amico si ponesse anche in luogo di Padre con isposare la moglie del l'amico rimasta vedova .  Mec.  [ocr errors] Mec. Questo non doverebbe farli da un buono amico,  Sem. Questo ancora è di fatto, conoscendone qualcuno , che lo hà bevislimo praticaco, e lo sò con tutto che io ab. bi. meno anni di voi.  M:c. Losò anch'io; mà questo diceva per vedere di fuggire il maggiôr male; or dunque bisogna conchiudere, che doppia disgrazia lia, quando i Padri muojono giovani,  Sem. In fimile intrico dunque o biso. gierà , che il Dotcore trovi rimedio, che in tal erà non si inuoja , o pure tro. Vire chi poffi fedelinente indirizire cali Pupilli: avete voi, Doctore , un simile rimedio ?  Med. Rimedio per non morire non si è trovato fin'ora; ben è vero però, che a prolungare la vita con tenersi lon, tani da cerci spropositi massicci , che possono abbreviarla, a questo si può are rivare.  Sem. Ed in che modo  Med. Contenendosi con moderazione   nel  [ocr errors][ocr errors] nell'esercizio conjugale; perchè ci so. no taluni, che si pongono alla disperata in tale facenda, come se nel dì seguente la moglie dovesse essere loro rubata, senza avvederfi, che ruberà la morte elli alla moglie , continuando tal vita; oltre poi tanti altri disordini accompagnati a queste. Bisogna dunque, che viva re. golato chi ha figliuoli di tenera età , e non li fidi della gioventù ; perchè que. sta tradisce bene spesso, e che consideri il danno, che apporterebbe alla sua famiglia , con morire prima d'invecchiarli.  Sem. Questo si può fare ; mà se non baftaffe ? perchè hò veduto morire anchci giovani non aminogliari , e ben regolati ancora ; che doverebbe dunque farli per terminare la vita non tanto dolorosamente?  Pub. Hò udito riferire, che in alcune città vi lia una specie di magistrato , composto di persone di sperimentata integrità, le quali invigilano a questo ; onde introducendoli trà di noi potrebbe  con  consolar molto i Padri, cui seguiffc fimil e disgrazia duplicata, per lasciare i figliuo  li non atti ancora a poterli da se regola  [ocr errors] re.  [ocr errors] Sem. Questo mi piacerebbe, e vi prometro, che procurerei ach'io di entrare in derto magistrato.  Pub. Se vi avelli da porre io, due di difficoltà ci avrei ; la prima , che fiere  troppo giovanezessendo cariche da con. ferirsi a persone di provetta e à, e l'al  tra perchè voi lo chiedete, essendo che A finili impieghi, doyendosi conferire a  solimericevoli, aleuoi di questi più toe $ fto li ricusano, che li domandino; ed è a cosa cerca , che colui, che brama un ins  cumbenza, non solamente senza lucro, mà di molto incomodo ancora', qualche fine vi hà per lo più vantaggioso per se.. medesimo, il quale potrebbe rendere infructuoso ogni vantaggio, che da ello, si speraffe .  Serth Che averebbero da fare quefti?  Pub. Primieramenre d'inventariare fedelmente tutto quello, che avesse la.  [ocr errors] sciato quel defonto, di eficare poi il superfluo , e non fruttifero, e rinvestire il ritratto in faccia de Pupilli , con fare le cose chiare, e senza procacciarli emolumento alcuno .  Sem. E che altro?  Pub. Di dare fefto immediatamente all'educazione; con porre nel migliore feminario i maschi, se saranno di erá ca. paci, e le femmine in un Monastero dei più csemplari.  Sem. Ele rendite chi le amministrerà? • Pub. Un ministro salariato, che fia capace, o più secondo l'azienda che foffe, i quali rendessero esatto conto ad uno dei detti sopraintendenti dell'ope. rato ogni settimana, per potersi poi, da più di elli congregati ogni mese, risol. vere gli emergenti più difficili, che ac. cadeffero.  Sem. E degli avanzi, che si farebbe?  Pub. Andarli rinvestendo , allorche foffero arrivati ad una certa somma, con tutte le dovute cautele acciocchè fosse. ro fatti a ragione veduta.Sem. Nello stabilirli poi divenuci adulti chi ci penserebbe?  Pub. Quci deputati medesimi, che sopra intendono all'amministrazione.  Sem. E se caluno di questi avesse figliuolo , o figliola, ed apparenrasse cilin eli: 0 pur faceffe quello che fu obiettaco a Tutori.  Pub. Vi sarebbero sopra di ciò, le suc regole, in quali casi li dovesse proibi. re, o ammettere tra esli l'apparentarli; perchè quando mai fossero eguali, che male farebbe l'appareatare con gente scelta, e capace a bene dirigere. Oltre di che con qual amore di vantaggio liarebbe amministrata quella roba ; ¢ qual educazione più vigilante riceverebbero questi in cal casoBafteşebbe, che non entraffero poveri in detra soprainten denza affinchè non seguissero casi disdif cevali, che daffero occalione di inormo, rare , ed essendo questi scelti nobili, c bencftanti, non li indurrebbero a far quelle cose, che furono obiercare a Tucori, c tanto più ch'essendo molti a for  pra  [ocr errors] sopraintendere difficilmente tra questi vi sarebbe chi potesse, anche volendo, defraudare iPupilli in cosa alcuna per la vigilanza degli altri.  Sem. E se in detta amministrazione seguisse qualche disgrazia, chi sarebbe teauto-a risarcirla?  Pub. O questa seguirebbe casual. mente, senza colpa altrui, ed in questo caso non sarebbe a ciò tenuto alcuno , mà se poi ci fi scorgesse inalizia ; il delinquence farebbe obbligato a risarcirla.  Sem. A fare ottenere loro buoni impieghi, e provedecli di cariche proporzionate alle loro condizioni, e capacità, chi vi doverebbe pensare, fatti aduki ?  Pub. Il medesimo inagiftrato, atinchè con ragione di potessero chiamare quei, che lo compongono veri Padri della Patria, cgran sollevatori de Pupilli ; mà divenuti questi capaci sapranno da se medesimi farli strada per il conseguia mento di effe.  Sem. Sino a quale ctà doverebbero Rarc fotto tal depucazione?  Pub.  11  [ocr errors] Pub. Le femmine fino a canto,che fora ossero collocate ; i maschi poi non sareb* be male in tempi si calamitosi, che vi  stessero fino a tanto, che fossero atti, è 1 capaci di sapersi regolare da se mcdefifoto mi nell'amninistrazione de loro beni.  Sem. E se caluno di questi rimaneffe d incapace di operare a dovere?  Pub. Affinchè non dilapidaffe il fuo, converrebbe tenerlo soggetto sin tanto, i che vi fosse chi porelle prendere partii colare direzzione di effi, come sarebbe di qualche fratello di giudizio , o altro pa• from rente ricco; pio , ed onorato.  Sem. Mà questi pareori, perchè non potrebbero anch'elli prendersi il pensie. iro di amministrare detta roba de Pupilli, alineno lin tanto, che foffe ftabilico fimile magiftrato?  Mec. I Parenti , Sempronio mio, talia dc quali però, sono peggiori degli altri,  perchè prendono maggior contidenzas colla roba de fuoi parenti è perciò facilmente se l'appropriano;onde di questi non vi prevalec, se non quando li scor  gere  gerete con lunga sperienza, che siano ve. ramente difinteresati,  Pub. dove sono andati quei parenti antichi , che avevano premura maggiore della roba de loro congiunti,che della propria : hò veduto io alcuni di que. Iti mettere fuori somme confiderabili di danaro per folicvarli nelle loro angustic, ed ancor fenza alcuna usura ; ve ne fu uno tra gli altri, che prese l'amministrazione di un luo cognato, il quale eras quali che fallito, e lo ripose in piedi, con liberarlo da tutti i debiti da esso fatti, che ascendevano a fomma molto considerabile.  Sem. Ritornando alla grand'opera di cariià del sudetto Magistrato , mi perfuado, che in quei luoghi, ove li costu.  i Padri morranno senza avere da pensare all'indirizzo , che dover ango • avere i loro figliuoli divenuti Pupilli.  Pub. Occalione non hanno di ricerca.. re altri inodi : posciache questo Magiftrato pensa non solamente a diriggere i Pupilli ricchi, ma anche quei che riman  goo  [ocr errors] gono con mediocre commodo.  Sem. Oh luoghi fclici, ove la morte non reca tanto cordoglio, divenendo ivi l'amore, e l'autorità paterna a guisa di  fenice, che rinascono, ed alle volce più i profittevoli a figliuoli di quello, che fos  fero prima a cagione dei Padri trascura#ci, e nel costume , e nell'economia , e se  per questi ancora ci fosse qualche cenfoi se, quanto anderebbero meglio le cose?  Mer. Voi, Sempronio, che non avein te ancora piena sperienza del mondo  vorrelte aggiustarlo in un tratto ; come fogliono fare alcuni zelanti giovani , allorch' entrano a governarne qualche particella di efto. Abbiare de me questo configlio, cavato da Licurgo, che nelle riforme bisogna camminare affai lenta. mente, e con molta circospezione , per non cadere in peggio.  Sem. Che doveranno fare i figliuoli per mostrarâ grati verso i loro genitori defonti?  Pub. Due cosc, la prima è di mante, gere nel mondo la meinoria onorovolsdielli, e l'altra, che maggiormente preme, di alleggerire le loro pene, che possono foffrire nell'altra vita.  Mec. La prima dagli Egizi li praticava con imball mare i corpi de' loro genitori, e questi conservavano anco gli atavi , i tritavi, con quel auiero maggiore degli ascendenti, de quali furono eredi, e con quanta stima, c vencrazione universale! che se ac loro sommi bifogni avessero avuto necessità di danari, impegnando una di queste mumie, ne trovavano quanti facevano loro bisogno ; perchè avevano il pensiere di riscuoterle in breve. Gli antichi Romani ancora fabricavano tempj alle memorie de’loro Padri, o per lo meno ftatue per mano di eccellenti scultori.  Sem. Come si doverà fare per mantenere viva la memoria de genitori?  Mec. Se sono stati illustri per le loro rare virtù, e maneggi, debbonsi anche imitare da figliuoli, per fare scorgere a chi non li conobbe, di essere le loro virtù passare in effi; insegnandoci l’Ecclelia.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] ftico al 11. che in filiis agnofcitur vir.  Sem. E se avesse dato alla luce opero letterarie , doverà imitarlo in queste ?  Mer. Certamente più in queste che pcll'edificare ville sontuose, posciache quelle di Cicerone, e di Seneca fono già da gran tempo distrutte, ma non già i loro libri, i quali continuano i loro anni sempre più gloriofi alla fama.  Pub. Fù interrogato un favio, se fosse più defiderabile l'acquistare un regno, o l'avere dato alla luce qualche operas dottrinale, utile a posteri; rispose egli che la seconda ; perchè della prima non pofsiamo eslerne altro, che meri usufrutruarj, privandoci della proprietà di esso la morte, dove che della feconda ne Gamo perpetui poffeffori ,accrescendo più tosto la morte il valore di essa, e perciò con ragione diffe Giovenale : fat. 8.  Libera fi dantur populo fuffragia quis să  Perditus ut dubitet Senecam preferre        Neroni.    Sem. E se non avessero fatto cofa al-  cuna memorabile ?           Kka   Mer.  [ocr errors] Mec. Debbono i figliuoli incominciare a farl’elli ; perchè diccndoli poi fatte dal figliuolo del rale, anco i genicori faranno partecipi della gloria di efsi.  Sem. E se fosse stato un gran Capitano, ed il figliuolo non avesse quel coraggio, che si richicde in tal carica ?  Mec. Procuri egli di uguagliare la fua gloria in cose concerncati alla pace; perchè si dira:il Padre fè prodezze grandi in guerra, e questi le ha fatte in affari di  pace.  Sem. Lasciando debiti più del suo capitale dovrà il figliuolo fodisfarli del fuo, quando avesse? · Mec. Certamente che sì, per non farlo dichiarare fallito ; e di vantaggio le fors' egli ne paeli Elvetici, per non riceverne infamia; cottumandog colà gaftigare anche i defonci , che per malizia feceto più debiti del loro capitale.  Sem. E se avesse ricevuto fuo Padre qualche ignominioso gastigo?. Mec. Doverà egli allontanarli dos  quel  qu I paesc, per non udirne dir male pui blicamente, non potendolo scusare;  per altro se fosse stato' cattivo a quel fcgno , che non avesse meritaco‘limiles  ignominia,doverà colle opere buone, e a gloriofe cancellare ogni memoria po.  co buona di esso; perch' essendo pro? prietà della luce scacciare le tenebre  così ancora delle buone operazioni pre  fenti è di cancellare la memoria delle 8  carrive passate.  Sem. E se lo avesse privato dell'eredi. tà parerna doverà farannullare il testa. mento , avendo ciò fatto senza cagione?  Mec. Sofferendo ciò farà credere, che  certamente lo faceffe fenza cagione , . i poichè facendo altrimenti, se non l'ebbe  allorchè lo fè, la previde, per dichia. rarsi dopo la sua morte il figliuolo concrario alla sua volontà, e di ciò ne dierono un memorabil'esempio i figliuoli di Metello, i quali, quantunque esclisfi contro le leggi, non vollero,per riverenza dovuta ai Padre , far istanza alcuna in contrario.  Sem.  Kk 3  Sem. Se un Padre ainoroso de fuoi figliuoli, ed anche pio, volesse, allorchè stà vicino à morte, far distribuire qualche fomma confiderabile di danaro a poveri , ma perchè l'amore verso i figliuoli lo portasse a farne effi consapevoli, per vedere se fossero contenti di ciò, come dovranno contenerfi in fimi. le affare? - Mec. Uniformarsi in tutto , e per tutto al volere paterno , c sappiate che Iddio non solameate gradirà tal atco , mà lo rimunererà ancora .  Pub. Un caso prodigioso si racconta a questo proposito nel Prato spirituale di un uomo dabene, e fomnmo elemosiniere', il quale, ritrovandosi vicino a morte, chiamò il fuo figliuolo, cui dopo avergli fatto vedere una gran somma di danaro disse:figliuolo,che gradirete più, che vilasci questo danaro, o pure, che vi deputi Gesù Cristo per vostro curatore rispose il figliuolo: averò più accaro il mio Gesù per curatore : ciò udito fece dispensare a poveri tutto queldanaro: cosa fè il giusto, e supremo Cu. ratore? Si ritrovava in Costantinopoli, ove egli dimorava , uno de'principali, ch'aveva una sola figliuola, la quale per essere ricchissima veniva da molti desiderata per moglie ; il gran Curatore dell'orfano ispirò alla Madre di essa, che infinuaffe a suo marito, qualmente la loro figliuola avesse più bisogno di un uomo faggio, che di ricchezze, e che maritandola a qualche Signore correva pericolo ch'ella fosse malamente trattata: Piaccque cal consiglio al marito , il qnale repplicolle : preghiamo dunque Sua Divina Maesta, che glielo dia a foo compiacimento, ed andare voi in  quefto punto alla Chiesa a supplicarla,e có. ducetemi quello, che immediatamente entrerà in Chiesa dopo di voi ; qual fù appunto il pio, e generoso pupillo, dal suo grã curatore arricchito in un istáte.  Mec. Or vedere voi, Sempronio, ch' effetri buoni produce l'uniformarii colla pia volontà del Padre, e quanto si è detto del Padre doyerà aacora inrcn.  der,  [ocr errors][merged small][ocr errors] Kk 4  dersi della Madre, in tutto quello, che apparterrà a figliuoli.  Sem. In che doverà con Gftere il bene che sono tenuti di fare i figliuoli, per l'anima dei loro genitori?  Mec. In sodisfare in primo luogo tutti i loro debiti, e legati pij, ed adempio re prontamente le loro disposizioni.  Sem. Må se non ci saranno danari pronti, si averanno d'alienare gli effetti? vi saranno pure i suoi tempi da sodisfar-, li con commodo ?  Mer. Sapete che detti effetti , ne' quali ci è debito; non vanno considerati come propri, e per ciò, non entrando nell'eredità a favore dell'erede, che gli dee importare, che si vendano ? fe poi li vuole appropriare a se, ci prenda danari sopra, se non gli hà, e fodisfaccia chi dee averc;; e se per cagione di detta dilazione quella povera anima penaffe in. tanto,  oh che bcll'amore moftrerebbe il figliuolo per suo padre, lasciandolo cor. mentare ! Il più chiaro contrafegno di affetto verso fuo Padre è questo, di ob  be  [ocr errors] Les bedirlo sollecitamente in fodisfare cioco che diipone li faccia seguita la sua morte  Pub. Or io sono di questo parere, che non si debba aspettare fino alla morte a  fodisfare i debiti contratti, c le opere o pie, che si vogliono fare, e maggior  meate mi sono confermato in questo leggendo, che vi fosse un certo uomo civile sì, mà assai povero, non avendo altro, che quattro Sparvieri avvezzati alla caccia, coi quali si alimentava; vc  nendo egli a morte chiamò tre suoi fi& gliuoli, ene lasciò uno per ciascuno, di  cendo loro, che il quarto lo vendeffero,  e ne facessero tanto bene per l'anima sua  morto che fosse. I detti figliuoli il di  venente, per vivere se ne andarono alla  caccia coi quattro uccelli, uno de quali  seguitando la preda non tornò più : co-  minciarono a contrastare tra loro di chi  fosse il perduto, ed ogn'uno giurava, che  quello, che era ritornato, ed aveves   sulle mani era il suo ; fi accordarono alla  fine, che il perduro era quello , che do-  veva impiegarli in beneficio dell'anima   del  [ocr errors] !  [ocr errors][ocr errors] del loro comune Padre ; il quale rimase privo di quel bene.  Sem. Oltre di questo doveranoo far altro?  Mec. Avere giornalmente una viva memoria di essi, col raccomandarli a Dio in tutte l'orazioni, che faranno, fervencemente; perchè non è picciolo il bene, che da cfli ricevettero, conGitendo in tutto il loro etlere, e ciò facendo oltre il sodisfare a propri doveri, daranno anche chiaro indizio deila loro buona cducazione.  Sem. Vorrei sapere da voi , Publio, so la vedova possa essere capace di ben’ educare i propri figliuoli,parendomi che da principio ne dubitaffe Mecenate, con dire, che non farebbe poco a dividere il suo amore materno tra i primi figliuoli, e gli altri avuti col secondo marito,  Pub. Perchè nò ; quando ella perseyerasse costante nello stato vedovile, fosse dotata di senno, e prudenza, ftesse attenta , ed avesse petio da farsi ftimare, c rispettare da efl, e Mecenatc parlò  del  na delle vedove , che prendono altro mari  to, non di quelle di cui diffe Ovidio,  [ocr errors] che.  bes  01  ol  Sustinent in viduâ triftia figna domo.  Sem. A trovare però oggidi chi sia il dotata di tante virtù sarà cosa molto difficile, dicendo di queste Giovenale. Rara avis in terris nigroque fimillima  cygno.  Pub. Si a voi, Sempronio, che forse of anderete solamente in cerca de diferti ili donncschi, mà non già a chi brama di  trovare le virtù, per approfittarsene, o gi ainmirarle; e non crediare già, che ogbe gidi le virtù sieno affatto efiliate dal d mondo, anzi sappiare, che quando paa re, che i vizj (i dilatino maggiormente, do allora è il tempo , ch'esse li affaticano in  trovare ricetto dai più lavj, per risplendere maggiormente : ed io vi poffo finceramente palesare, che ci sono presentemente alcune vedove, le quali vivono con tanta csemplarità , che ponno uguagliarsi alle antiche matrone, delle quali i Scrittori fecero tanti grandi elogj.Sem. Bisogna che queste vivano molto ritirare ; c da ciò trascerà che, da me non son conosciute, laonde notificatemi chi sono, affinche possa anche io fodar. le, ed onorarle, come meritano , ed apprendere insieme dalle loro operazioni qualche urile documento.  Pub. Mostrare certamente troppa cu. riosità , Sempronio, con volerle conoscore', e se avete deliderio di apprendere qualche documento dalle loro operazioni , questo lo potrete appagare con udire le relazioni dell'operato da esse, e tanto maggiormente, che queste non operano a fine di acquistare gloria, må bensì di bene istruire i loro tigliuoli, e perciò non fi curaro punto di essere lodate da alcuno, ed a voi è vietato anco il farlo dall'Ecclefiaftico al 2. dicendo : Ante mortem non laudes hominem quemquam.  Sem. Informatemi dunque del modo, che questo hanno tenatoy e tragono in educare i figliuoli? Pub. Quefte , Sempronio , sono quela  le  res  ope  mogli,che amarono di vero cuore i loro  mariti, e perciò appresero da Didone  ciò, che rifeșisce nel quarto dell'Enei-  di Virgilio :   Ille meos primus qui me fibi junxit ame-  Abftulit ille, babe ai                    fecum, fervetque se-      pulchro.  laonde quantunque rimase vedove nel  più bel fiore degli anni, non vollero  giammai acconsentire a rimaricarsi ; inà  bensì rimirando ne'figliuoli qualche par.  ic de’loro genitori collocarono in elli, per   tal cagione cutto il loro materno affetto;  e non li potranno mai baftantemente   esprimere le deligenze da esse usare a   pro dei loro vantaggi ; posciache , ia cu-   ftodire, ed accrcfcere le sostanze di  clli, che cosa non fanno mai?   Sem. E come possono , essendo mancato il capo di casa, crescerle?  Pub. E pure ciò non ostante , l'hò osfervato in più di una di effe, c quello, che mirende ammirazione, senza fordida economia , perchè mantengono illo  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] ro  to grado decoroso, senza scemarlo puoto: laonde sono meritevoli di quell'encomio, che fè Cicerone a Craffo , ed a Scevoli, chiamando il primo moderatiffimo nello fpendere fra i fplendidi , e l'altro splendidiffimo tra i moderati ; vi potrei anche dire di vantaggio, che avendole osservate e faccillime jipitatrici del bombice, il quale per formare la sua casa poge tutta la sua miglior softanza in essa, onde spero, che l'imiteranno anche dopo morte, con divenire farfalle per volarsene più speditanicnte al Cielo.  Sem. Hò udito esaggerare tanto cótro il luffo nelle passare conferenze ; como mai queste si fanno così bene regolare in tempi, ne quali ci troviamo.?  Pub. Vidifli parimente in quelle , se ben vi ricorderete , che non mancava presentemente ancora, chi viveffe net costume ancico, e che non si osservalle da tutti chi operava in tal forma ; perchè pochi erano l'imitatori di efli, c da ciò nasce, che queste di regolano con  tan.  tanta aggiustacezza, perchè vivono a  quella usanza, e se li vagliono di qualby che cosa dello presente, lo fanno con  gran moderazione, e più per salvare una certa apparenza, a fine di non singolarizzarsi, che per vanità.  Sem. Mà nell'educarli di che norma si servono ?  Pub. Di quell' appimnto, di cui già i parlammo , ina con grandiilima atten#zione ; folamente di vantaggio hò osserte vato, che avendo quefte già bene im  bevuti i figliuoli del rispetto dovuto ad  effe ne'ceneri anni, divenuci poscia più ci adulti, deposto il rigore priiniero si so  no servite più costo della piacevolezza ; coli ed in questo modo hanno continuato  ad elggere curta la venerazione ad else dovuta da figliuoli.  Sem. E nel provederli d'impieghi comc li porrano?  Pub. Volelle Iddio, che con tanto fervore operaffino noi alori Padri conforme esse fanno' in questo; effendoche  taluna li ha così ben accomodaci , che :  non  non si è renduta loro fenfibile la perdita fatta del Padre, trovandosi presen!emente in istato tale, che possono contentarsi.  Sem. Oh fortunati figliuoli; se io fossi nei loro piedi , non mi dimenticherei gianımai di tanto beneficio ricevuto da effe.  Pub. Ed io pasferei più oltre, cioè a riflettere i disaggi, che averano sofferto, per fare conscguire questo bene,e quanto averanno cenuto occupata la mente co’pensieri, e quante vigilie averanno sofferte. Or ditemi, vi pare che qucftc, che operano in tal forma, si possano paragonare alle antiche Porzie , alle Cor. nelie, alle Avie , ed alle Pauline che cosa fecero quelle più di queste, che meritarono la corona di pudicizia, pero effere vivate nella stato vcdovile esem. plarissime e  Sem. Certamente che meritano qucm Ite ancora di esser coronate, e credecemi, Publio , che questo vostro racconto mi hà sommamente confolatozed animato ingeme a prendere moglie; perchè se io arrivafli á scegliermi una di queste, morrei certamente men contristato , avendo chi supplirebbe le mie veci nel ben educare i figliuoli.  Mec. Abbiamo finora parlato della cducazione dei figliuoli de benestanti, e di quelli de' poveri non abbiamo fatta menzione alcuna.  Pub. Conyerrà certamente discorrere anche di questi, essendo cosa essenziale ondc lo porteremo alla ventura Conferenza.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] CONFERENZA X.  Sopra l'educazione de' figliuoli poveri, e donde venga queita  danneggiata.  Publio , Mecenate , Sempronio ,  i Medico.  Pub.  He bella cosa fareb.  be , se nel monС do ognuno viveffe  conforme richiede l'obbligo cristiano:  di non fare altrui, ciò, che a se dispiace: oh bell’armonia, che nascerebbe da questo allorsì che ciascuno potrebbe vivere ad occhi chiuli, non trovandosi chi ingannasso il coinpagno ; c tanre sorte di supplicj , inventare per reprimere', c. gastigare la malizia degl'uomini rimarrebbero affas.  [ocr errors] to oziose; e li ministri di Giustizia a che | servirebbero, essendo ciascuno retrislimo  giudice di se medesimo? Oh felice, c mi fortunato vivere che sarebbe, essendo  ritornato il secol d'oro, nel quale come  lo descriffe Ovidio ne suoi fafti.    Proque metu populum fine vi pudor                                               ipfe       regebar,     Nullus erat justis reddere jura labor.  E Giovenale nella fac. 6.   Cum furem nemo timerer  Caulibus, aut pomis, tu aperto vive.          ret borte,  Mà quanrunque fiafi tanto affaticato  Platone per farlo ritornare , appena c  rimasto ogni suo pensiero riposto nel ga-   binetto delle sue Idee, senza recare vei runo profitto; onde si può conch iudere,  che questo probabilmente non tornerà  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] Sem. Mà non fi potrebbe almeno far ritornare quello di argento ? perchè a sopportare da gran tempo in qua il secolo di ferro, già divenuto rugginoso, fembra dura , ed insoffiribile cola.  L12  Sem.  [ocr errors] Pub. Questo è difficile; e non meno, che a far divenire un pezzo di ferro argento; intorno al cui lavoro tanti ci si affaticano indarno. Non sarebbe poco se a questo di ferro,che noi abbiano, il quale ben diceste, che sia divenuto rug. ginoso, se gli potesse dare una ripulitura, affinchè non comparisse tanto deforme, come presentemente par, che sia diveDuto •  Sem. Facciamolo dunque ; ma da che parte di esso si doverà principiare?  Pub. Da quella più tenera, come abbiamo fatto finora nei nobili, cioè dalla tenera gioventù, ove la lima può più facilmente attaccare : cominciate voi dunque a portarmi il lavoro, che io li. merò.  Sem. Qiello , che' mi premerebbe più d'ogni altra cosa, sarebbe che in. cominciassimo a ripulire un poco i servitori.  Pub. La ruggine in questi è troppo dura; come volete voi, che limi, efsendo di già quefti divenuti adulti; por  [ocr errors][ocr errors] tatemeli giovaneci, che io cominciero limarli.  Sem. E come potranno questi allora discernerli? Offervandoli, che ne pur i loro figliuoli hanno genio a fare tal meftiero; ideandosi tanco i Padri, quanto effi, allorchè cominciano a conoscere i vantaggi della vita civile, di voler parfare ad effa,con avanzarli di condizione.  Pub. Dunque se non si sà precisamente chi voglia incaminarli per questa via, cominciamo da tutti i figliuoli poveri , che cosi comprenderemo quelli da incaminarsi in cursi li mestieri nel inedeliino tenipo.  Sem. Che doverà farfi in questi prima di ogni altra cosa ?  Pub. Quello appunto, che già dicem. mc:infinuare bene nell'animo loro il fan.  to timor di Dio, base fondamentale di O tutte le virtù morali, e cristiane  Sem. E chi doverà far questo? th Pub. I loro genitori.  Sem. E se questi non ne avessero appreso tanto, che hastaffc loro ? Pub. Ci sono i Parochi de'quali è incombenza,non solamente di proccurare, che fieno istruiti i figlioli, mà anche, i genitori medelimi,  Mec. Se ci fosse un fol pastore in una gran greggia di pecorelle, molte ne divorerebbero di più i lupi ; onde come potranno baltare questi, che sono pochi a tanci?  Pub. Ci sono i Maestri, che supplisco. no ancor ela.  Mec. Mà quelli che non hanno modo da tenerli?  Pub.Sogovi tante scuole per i poveri, che possono ben ivi apprendere ciocche appartiene a questo  Mec. Mà fe trascureranno di andarvi, ed intanto innoltrandosi i vizj come firi. medierà?.  Pub. Colgastigo, che servirà dierempio agli altri, che non ci cadano, ed a tal effetto ci è per questi la casa di correzione, ove sono severamente morti. ficati. Mec. Vorrei, che vedeflimo, Publio ,  se  [ocr errors][ocr errors] fc ci fosse modo di non avere rovente bisogno di limili gastighi; perchè vado rifcttcndo, che molti pochi sono correcti da eso ; e quantunque ci licno le forche alzate, tanto i delicti fi comincitono gel inedefimo tempo.  Pub. E che prerendete forse, che nel monda non feguano delicti?  Mec. Non pretendo tanto, mà solamente che sceinino questi più notubilincnte, ed in conseguenza ci sia meno duopo digastigo.  Pub. E come fareste per procurare che minor numero deili presenti ne leguillero?  Mec. Vorrei in diverse parti della cietà scegliere i più caritativi ; e pii artetici, che ci foffero in ogni profeflione, ed a questi consegnare , e raccomandare più di uno dei giovanetti, arrivati in età di poter cominciare ad apprendere i principi di quell'arte, alla quale 'mostraffero inclinazione, ed abilità.  Pub. E prima di detto tempo chi ne averebbe il pensiero di andarli istruendo nel beo operare ?  Mr.  [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] Mec. Ci sono pur tanti pii, cd esemplari operarj , zelantisfimi del buon costume, cui non recherebbe gran briga l'invigilare sopra di elî, con un ben regolato ripartimento, li quali per rimediare a'disordini maggiori, che incontrasfero doverebbero avere chi desse loro assistenza, e braccio autorevole; e credetemi, che dupplicato bene da ciò ne risulterebbe: cioè, che non anderebbono in quelle ore vagabondando per la città, e li approfitterebbero insieme di molti buon iavvertimenti, e cosi la gregge averebbe pastori a proporzione del fuo bisogno: e fapere pure, che quantunque tanto si operi da questi zelancisfimi nello svellere i vizi già adulti, nulladimeno per lo più poco, o niente di frutto da cfsi si ottiene , onde mi parrebbero fatiche con profitto maggiore queste impiegate, allorchè i vizi sono anco teneri, potendosi allora con più facilità sradicare; che quando sono già adulti,senza tralasciare però d'invigilare a fradicare anche questi assodati.  Pub.  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Pub. E chi manterrebbe detti figliuoli da quei artefici; acciocchè l'istruiffero fin tanto, che il loro lavoro meritalse premio ?  Mer. Sarebbe facile qui tra noi a trovarsi il modo, essendoci si numerose, e considerabili limosine di pane , da diftribuirli a poveri; nè si potrebbe dubicare in conto alcuno, che questi non folsero tali ; onde sarebbero con giustizia , e profitto impiegare in essi ; nè potrebbero gli altri dolerli, perchè verrebbero anche distribuite colla discreta propora zione rispetto agli altri bisognosi invalidi; ne apporterebbero gran briga cinque, o sei ragazzi di questi, provedusi già di pane, avendoli in bottega; ecenendo loro gli occhi sopra, non potrebbero andare vagabondando in cerca de vizj conforme facevano.  Pub, E'pensiero questo da macurarsi meglio per discernere, che vantaggio conliderabile potesse apportare.  Sem. E se avessero genio di studiare?  Mec.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mer. Di questo ne discorreremo nel fine.  Sem, Or ditemi dunque quali sono i vizj familiari a ragazzi poveri ?  Mec. Possono essere innumerabili, se non sono sradicati alla prima da qual. cuno, e tanti appunto, quante sono l'erbe dannose , & inutili, che nascono in una siepe abbandonata da chi la coltivi. Posciache questi poffono essere primieramente affatto ignoranti dei misteri della Santa Fede; non hanno in bocca altre parole, che difonckte, appreses per istrada, e ral volia per essere figliuolini nè pur fapranno i loro ligniti. cati ; fi afsucfaranno da teneri anni al rubare, e cominciando dalle core commefibili faran passaggio all'altre ancora ; diverranno poi tanto impertin nenti, che daranno fastidio a tutti; bu. giardi , fraudolenci, bestemmiatori, e malizioli a segno, che quabrunque fico no di dieci, e undici anni saranno già capaci in pratica di tutti i vizj concernenti alla luffuria .  Puo.  [ocr errors]    [ocr errors][ocr errors] De   i buos  [merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors]  prove, e do  po  [merged small][ocr errors][ocr errors] Sem. Ma è poflibile, Dottore, che in sì tenera età facciano questo?  Med. Io più d’uno di questi ho vedy. to venire zoppi all'ospedale per ca. gione di buboni gallici, che avevano acquistati con tali viziose  ritrovata la verità gli ho anche mol. to bene sgridati.  Sem. Da che diviene questa gran facilità di cadere in fimili vizj?  Med. Lo spiegò Socrate a Teodata bellissima meretrice,allorche li gloriava di superarlo nel saper sedurre più facilmente essa i suoi scolari,di quello avess' cgli potuto fare colla sua dottrina in rimuovere dal suo amore i suoi drudi, con risponderle,che lo credeva , nè punto fi maravigliava di ciò; perch'ella li tirava all'ingiù , & a seconda del precipizio con poca sua fatica dove ch'egli dovendoli tirar fuori da questo aveva d'uopo impiegarvi fatica maggiore; come riferisce Eliano,  Sem. Oh so, che crescendo questi vizj con gli apoi, quanci mali effetti eli  pros  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] 540 Conf. 10. Dec. feconda produrranno ! riempiranno per la meno le galee di genec facinorosa, se pur que. fti non anderanno sulle forche; onde conosco anch'io, ch'è troppo necessa. rio darci riparo, altrimenti di questi viziosi ne toccheranno ad ogn'uno per servitori, o per arrifti: ma come fi potrebbe fare almeno , che non cre. scessero di vantaggio?  Mes. Se non li trova il modo, che non vadano vagabondando per le piazze, e di cenerli lontani da quei, che fono un poco più adulti di essi, sempre correranno tali pericoli; e perciò lag. giamente ordinò Ligurgo, che i figliun. li fossero allevati per i villaggi, e gli Egizi non li faceano porre alla mensa per cibarsi, se prima noa avcano corso a piè nudi due, o cre leghe. Ed appresso i Parci, se i loro figliuoli non avevano colla frezza colpito, e fatto cadere il pane, che posto avevano in luogo eminente, non facevano gustar loro altro; conforme ancora facevano le donne dell'Isole Baleari, ma colla fionda, c  CO:  [ocr errors][ocr errors] così li tenevano occupati , affinchè non aveflcro campo di avanzarli ne'vizj. Ma trovandosi tra noi impicghi con direttori discreti, sarebbero questi affai più profitcevoli; potendoli eziandio formare scuole d'apprendere arti, dove fossero istruiti, e nella pierà, & in quel mestiero al quale applicassero di genio ; ma per opere sì magnifiche crè cose si ricercano , le quali sono ; l'autorità del Prencipe ; valido soccorso; & allistenza allidua di uomini pii, ezclanti del buon costume.  Sem. Ma vi è pur S. Michele a Ripas grande ove si fa tutto queito; perchè dunque andate cercando altro?  Mec. Abbiamo certamente tal Ospizio Apostolico utiliffimo, esantißimo, ove col timor di Dio G avvezzano, e si approfittano ancora in diverse arci, era sendo usciti di là molti , ch'erano prima senza indirizzo, e modo da softcocarli, divenuti capaci d'alimentare se medesimi, e le loro famiglie; ma questo folo non è sufficiente per educare tutri i  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] nigliuoli poveri, che sono nella Città; nè è poffibile moltiplicarne canti altri confimili ad effo, che foffero fufficienti; onde bisognerebbe trovare un modo praticabile , acciocche fossero istruiti nella medesima forma, ma senza ag. gravio di spesa equivalente alla proporzione di quella .  Pub. Tutto si potrebbe fare, ma però se non si toglieffe prima quello , che dasse loro mal' esempio, gioverebbe a nulla.  Meo. Questo è veriffimo;.perchè entrando caluno al servizio, quantunque fosse semplice, e di buon costume ,' fe cominciarse a comandargli il suo padione certe cose, che non li possono dire in pubblico, effendo indecenti, como potrebbe far di ineno obbedendolo as non divenire ancor esso diviato ? effen. do che: a bove majori discit arre minor , Se quantunque foffe sobrio, e vedeff: continuamente banchettare , & a vesse tutto il commodo da disordinare anch' effo, come non diverrà gologfimo? E  par  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] last particolarmente se si abbatteffc in chi, come dice Giovenale,  Radere tubera terra  Boletum condire, codem in jure na,   tantes  Mergere facedulas didicit Sco ap  Et cana monstrante gula. Se si accorgerà poi, che manchi di pa. rola, imparerà anch'esso a farlo dicen. do: se lo fa il mio Padrone, ben lo posso far arch'io , perchè farà forse oggi  di civiltà prar carlo. Voi dunque, Semi pronio, vidolete attorto dei servirori;  doleceri bensì dei padroni, che gli ac-  coltumano viziosi.    Sem. Ma io   per  la Dio grazia non fò di questo, e pure mi sono capitati molci cattivi fervitori.  Pub. Saranno stati prima corrotti da altri padroni se non gli avete corrorti voi, e perciò imparare a non mutarli tanto spesso , potendovi abbattere ins peggiori, i quali non sarebbero più correggibili:  Barbatos licet admoveas, mille inde magiftros.Mec. Non solamente i servitori si approfittano del mal'esempio de' padroni, ma tutti gli artisti, e mercanti ancora, dandosi da caluno di esli a questi, invece del danaro, che avanzano, certe mercaozie, le quali non trovano ad clitare, e le pongono a prezzi altissimi, e da ciò essi imparano ad alterare i conti, ed in che forma !  Sem. Ma ci sono pure i periti, che li rivedono, e tarano?  Mec. Si bene, ma però elli l'informano, e fanno ben loro capire, che hanno ricevuto, a ragione di contanti, assai di meno di quello pretendevano di aver dato loro, a cagione dei prezzi alterati delle robe ricevute.  Sem. Sicche faranno un bel guada. gno questi , che daranno roba in vece di danaro; e ditemi, Dottore, se ciò si pratica collo Speziale ancora ?  Med. Taluno per quanto ho udito lo fa.  Sem. Consideriamo, che buone medicine daranno loro questi, che sono così malamente pagari.  Med.  Med. Li poveretti troppo fi sforzano die a servirli bene; ma certa cosa è, che vo  gliono starci in capitale almeno, c peri ciò non daraano già loro i migliori ri1 nedj.  Pub. I mercanti Moscoviti, prima che it fosse data loro la libertà di uscire dal El Regno, avevano una bella maniera di  contrattare, la quale era di chiedere soSelamente il giusto prezzo delle loro mer  canzic, e guai a colui, che l'avesse altea si raco; posciache sarebbe caduto in pene sd gravissime.  Mec. Sicoftumerebbe tra noi ancora, 1 se correffe puntualmente il danaro; må  dovendosi tener morto questo più anni, e poi pagarfi Iddio sà come, bisogna pur, ch'ella pensino al modo, che debbo.  no tenere per guadagnarci ; diano dunSe qne i primi ad edi buon csempio, che fa  raono imitati.  Sem. E per fare, che i servitori non divengano viziosi, olcre il non dar loro  mal'esempio, che si potrebbe fare di e vantaggio ?  Mer.  [ocr errors] Mm  Mec. Bisogn' anche procurare, che non abbiano occasione di addocrinarli in certe cose, che mal'interpretate da efli, da buone che sono potrebbero divenire pesime; e vi riferirò a tale proposito un esempio. Si abbatte un giorno un mio amico, che seco aveva due fervi. tori, ad udire un certo discorso morale, fatto da un buon religioso, mà molto semplice, sopra il furto, e venuto al par. ticolare, a che fomma questo doveste giugnere per essere peccaminofo , avvedutosi egli, ch'erano attentissimi i suoi fervitori in udirlo, chiese incontinente licenza,con iscusa di dover fare certo ur. gentislimo negozio in quel punto;mà come egli,ini riferì il negozio era, che non udifícro questi , che li potesse con ficura coscienza rubare una anche minima cosa, perchè, come diceva, costoro l'averebbero reiterato tante volte in un giorno, che in breve mi farei impoverito .  Pub. Mi persuado ancora, che non convenga dar loro il comodo di approvecciarsi malamente, con fidarsi alla sjeca di cili, dando loro gran maneggio;  per  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] perchè la comodità appunto fà l'uomo ladro.  Mec. Vi era uno di questi, il quale prendeva cutto all'ingrosso, e con vantaggio grande, e dipoi lorivendeva a minuto, ed a prezzo rigoroso al suo padrone, e vi faceva giornalmente guada. gno considerabile, scusandosi in far ciò, ch'era  per  sua industria , perchè non gli aveva ordinato di far questo il suo padrone ; onde ingannavafi costui in credere di non aver obligata, ad effo tutta la sua industria, come difatto avea .  Sem. Sarebbe dunque riuscito van taggioso per loro se avessero studiato , ed appreso le buone dottrine.  Mic. Se avessero fatto questo non si porrebbero a servire, come disse uno di questi al suo padrone, allorchè lo sgridava, ch'era un ignorante, cui replicó: signore se fossi dotto non servirei , mà bensì averei chi mi servisle.  Sem; Ne hò però ayuti di quei, che sono stati alla scuola, e sapevano anco ra un poco di latino.  Ner.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Mm 2  Mec. Mà che serviva loro questo?  Sem. A nulla ; mà però se non mori. vano i loro Padri si sarebbero tirati aranti nello studio, e forse sarebbono riusciti uomini dotti.  Mer. Vorrei , ch'esaminaflimo ora qual fosse meglio: chci figliuoli dei poveri s'incaminassero per la strada delle lettere , o pure fi ponessero da principio ad apprendere le arti,  Sem. E che pretendereste forse voi impedire, che ogn’uno non s'incamini a suo bellagio per la via , che giudica per fe più vantaggiosa ? Capece pure, che vi sono stati molti plebci , che sono riusciti in esso come accennò Orazio  fat.6.1.  Multos fape viros nullis majoribus oj  tos,  Ei vixise probos , magnis du honoribus  auctos. Mec. Questi non saranno stati però miserabili, perchè dice ancora GioveHaud facilè emergunt quorum virtutibus ebfas.Res angufta domi.    e poi se taluno di questi, inà molto  di rado, è riuscito, oh quanti sono andati  a inale! onde vorrei, che vedeffimo quali  di questi fieno quelli , che possono essere  capaci di compire questa carriera , ed a   quali non getti conto ; perchè il sen.  tiere delle scienze, é assai lungo , ed  crto, ed ha difficile ancora il suo ingres-  so; come bene lo descrive Silio Italico  dicendo.   Ardua faxofo perducit semita clive ,  Aspera principio, nec enim mihi fallera,     mos eft,  Profequitur labor ad nitendum intrare   volenti. Onde chi non potesse caminarvi fino al fine, che farcbbe trovandosi nel mezo di esso ? non vorrà tornare indiccro per vergogna, nè potrà ivi foftentarli., per essergli mancata la provisione neceffaria; onde non faprà a che partito appigliarfi; dove che la via delle arti, efiendo assai più piana, e più breve, ed ancomeno dispendiosa, li renderà più facile, e  [ocr errors] Mm 3  van.  vantaggiosa a questi di poterla cerminare.  Sem. Sicchè dunque farà meglio, e più vantaggioso per loro d'incaminarsi per il sentiero delle arti, giacchè questo si renderà più facile a poveri di compirlo.  Mec. Così credo anch'io, perchè almeno giugneranno a guadagnarli il pa. ne più spedicamente, e con minor pericolo di rimanere inesperti .  Sem. Come pensate voi di fare questa scelta, di chi sia capace d’incaminarsi per essa, e chi per l'altra più piano delle arti .  Mec. Se per esempio ci fossero figliuo. li di mediocre talento de poveri artisti, o di vedove, che appena colla loro fati. ca arrivano ad alimentarli parcamente, questi sarebbero perduti, volendoli incaminare per la trada delle scienze, e maggiormente, se saranno i loro genitori avanzati negli anni ; perchè morendo questi, chi li softenterà trovandoạ nella carriera a qualcuno di quei, che sono nel  principio del camino può essere, che;  torni indietro, econ ripugaanza gran3 de si ponga ad apprendere qualche arre,  quelli, che saranno però più inoltraci , vergognandosi di farlo, come si trove. ranno i meschini, non avendo chi più li sostenri ? talmente che per procac. ciarli il vitto saranno costretti di fare ogni viltà, purchè salvino l'apparenza del proseguimento di tale impiego , ch' esli si avevano figuraco di voler esercitare; laonde poftisi in doslo una toghetta,ed un perucchino, ne quali consiste il loro capitale, tutti lindi si porranno , essendo ignoranti, a far da guasta mestiere: e vi pare che questi possano apportare utile alla Republica, stroppiando cause, se prenderanno la via legale ? e quello ch'è peggio , che se per quella della medicina s'incamineranno quanti ne animazeranno impunemente ? Olere poi il discredito, che ne riceverebbono professioni (i nobili, per cagione di essi.  Sem. Mà perchè se ne prevalgono di questi?  Mec.  [ocr errors] Mm 4  Mec. Perchè la maggior parte, chc litigano sono ignoranti; e simili a questi ancora sono quelli, che si trovano malati; onde come potranno discerneru questi a che segno giunga la di loro abilità? ctanto più, che quantunque penuriando di dottrina i guasta mestieri, non si trovano già scarû di malizia, per dare ad intendere lucciole per lanterne quando vi sia duopo, essendo questi gran; mensognieri.  Sem. Quali voi crederefte, Mecenate, che potessero incaminarli per la via del le scienze con sicurezza maggiore?  Meo. Quelli solamenre a quali il Padre morendo in questo mentre , poresse lasciare 'ranto, che fosse sufficience a poter terminare i loro studj, cche fossero di buono ingegno; perchè se non saranno cali gertato averebbero quel danaro, e rimanendo mendichi, ed ignoranti, questi ancora fi porrebbero a fare molce viltà, e perciò l'Ecclesiast. al 27. csclama. Propter inopiam multi deliquerunt; de'quali così ebbe anco a dire Orazio .  Ma  Magnum pauperies opprobrium jubet.  Quiduis , @ facere, & pari,  Virtutisque viam deferit arduam.   Sem. A chi toccherebbe di farne la prova del loro ingeg:10 , e capacità ?  Mec. Niuno meglio de' loro maestri , che li avessero cominciati ad istruire sarebbe più a proposito; mà taluni di questi alle voltc consigliano i poveri Padri con poca carità a fare proseguire loro l'opera mal’incominciara .  Pub. Sapere, Mecenate, che non è disprezabile pensiero questo da voi apportato, e rifletto ora anch'io, che il voler porre con tanta facilità i poveri all'acquisto delle scienze possa essere una delle cagioni, che ritardano più tosto la buona educazione,e mi inaraviglio che non si dia già dato opportuno riparo a questo inconveniente,  Mec. Sicte pur pratico del mondo, e non riflettere , che non tutto arriva all' orecchie di chi vi può dare rimedio,perchè se vi giugnessero tutte le cose, quanti buoni regolamenti si prendereb  [ocr errors][merged small] Res  nale fac. 3:bero dalla vigilanza di effo.  Pub. Che imparassero i figliuoli de’ poveri, a leggere, scrivere , e l'abaco lo stimerei necessario ; mà che questi poi si applicassero alli studi delle scienze, non avendo nè capacità necessaria, nè modo da foftentarli, ora che voi ave. te mostrato tanti inconvenienti lo stimo dannoso anch'io.  Sem. Come fecero Publio, quei celebri filosofi antichi, i quali erano affatto privi de’beni di fortuna, a divenire così dotti; efsendomi stato raccontato di Diogene, che  appena  avesse una botte per  difendersi dall'inclemenze dell'aria : e di Socrate, chę altre di calcare sem, pre la terra co’piedi nudi, appena venisse ricoperto da un sordido mantello.  Pub. Affinchè meglio comprendiate la verità di quanto diffi, dovete sapere, che considera S. Tomaso la povertà in due maniere ; ove parla : Contra genti. Jes; cioè: aut ex coactâ neceffitate, aut ex propriâ voluntate. Questi filosofi da voi mentovati erano poveri; perchè non  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] si curavano punto de'beni della fortuna,  e riputandoli dannosi non istudiavano  di cumulare richezze, quantunque das  queste 'venissero adescati . Mentre , che  non fece Alessandro il grande per ri-  muovere dalla sua bramata povertà  Diogene , quantunque in darno? Quan,   . to non fi adoperò Archelao per fare divenire ricco Socrate ? mà egli per liberarsi dalla di lui generosa importunità li fè intendere , che in Atene a vile prezzo  si vendevano le farine, e che colà le acto que nulla costavano; e perciò questa voin lontaria povertà, non folamente non li * contristava , mà serviva loro più tosto  di ajuto per la filosofia; come riferisce 1 Stobeo, fer.93, che confeffalse, l'isteiro  Diogene . Anzi Epicuro passò più oltre,  come si ricava da Seneca nell'epift. 2 1.   persuadendosi egli,che la volontaria poi vertà , la quale si uniforma alle leggi di  natura , non debba riputarsi povertà, į inà più tosto ricchezza superiore a tutte 3 le altre, di qual sentimento , oltre molti  altri filosofi, fù ancora Democrito; men  [ocr errors][ocr errors] tre  tre venendo egli interrogato, come ri. ferisce Scobeo, qual fosse il vero modo da divenire molto ricco, rispose : con divenire povero di desiderio.  Sem. Potrebbero dunque i nostri poveri figurandoli volontaria la loro forzata povertà, divenire Filosofi ancor efli.  Pub. Non è più quel tempo antico, nel quale i poveri si contentavano audrirli di solo pane, ed acqua , o di sole erbc , come riferisce Eliano, che faceffe Diogene; onde questa povertà volontaria, senza un special dono di Dio si renderà impollibile a conseguirsi .  Sem. Vorei sapere, perchè questa povertà forzata abbia da ritardare l'acquisto delle scienze, c la volontaria più tosto da promoverlo?  Pub. Perchè la forzata contrifta fortemente l'animo,apprendendo chi la sof. fre di essere infeliciffimo, dove che la volontaria, riputandoli per feliçità da cui si gode, lo rende sommamente cranquillo : Laonde chi mai coll'animo con,  [ocr errors] tristato potrà applicare a cose tanto serie, conforme sono le scienze ? le quali richiedono attenta meditazione da cui brama d'approfittarsene. Quindi è, che Aristotile nel primo della sua Etica ebbe con ragione a dire: Impoffibile eft indigentem operari bona ; e più chiaramente nel secondo della politica : Impoffibile eft inte digentem ftudio vacare ; c non potendosi i poveri di spontanea volontà chiamare in digentes,non milita contro di esli l'autorità di Aristotile; perchè questi hanno ciocche, fà d'vopo al loro necessario sostentamento, ed è ciò sufficiente per effi , avendolo fatto conoscere Socrate, riferito da Stobeo al serm. 95. allorchè diffe: Si res 'mea mibi non fufficiunt, du ego ipfis fufficio, as fic etiam ipfa mibi; al opposto i poveri, che non hanno povero il loro desiderio ancora , non li appagano punto di ciò, chè fi trovano , braman. do sempre di vantaggio, sembrando loro quanto hanno per esli insufficiente, c per tale cagione vivono perperuamente contristati. Or ditemi, Sempronio, se  [ocr errors][ocr errors] avere da dire altro intorno al morale?  Sem. Non altro certamente intorno a questo, e credo di avere udito tanto, che se me ne approfitterò saprò scegliere la noglie approposito , ed allevare nel buon costume anche i miei figliuoli, che nasceranno : mi rimane solamente di sentire dal Dottore, quali vantaggi potrebbe apportare all'educazione la Medicina, e specialmente in quei figliuoli  , che ricalcitrano nello approfittarfi de buoni documenti morali.  Med. Di questo ne tratteremo nella ma Parte . seconda parte  Il fine della Prima Parte.Grice: “I like Gagliardi. In honest Italian prose, he manages to write a treatise for the week: the first day (or giornata) and so forth. It is an empirical ethical treatise along Aristotelian lines of the type I classify as ‘is’ rather than ‘ought’. Recall that the fundamental question I pose for pragmatics is why maxims ought to be followed rather than being, as they are, mainly and ceteris paribus followed! My answer to that is in three stages, and the first ‘answer, dull and empirical’ is that the maxims ARE, as a matter of EMPIRICAL fact, followed. This far Gagliardi goes – and succeeds!” – Grice: “He wrote extensively, knowing British parents, how a father must take care of his son, or at least find him a good tutor!” Domenico Gagliardi. Gagliardi. Keywords: “a dull (if at a certain level adequate) answer to the fundamental question about the conversational categoric imperative”; moralia, etica, mos, ethos – Grice on morality – morals – educazione – “We learn not to tell lies from our parents” Hardie, Ethica Nichomachaea, la formazione del carattere.  “Empirical fact we’ve learned since childhood and it would be difficult to diverge from the practice” – “This is a dull empirical.” --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gagliardi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691219431/in/photolist-2mPYy6p-2mPqEYR-2mKRfHn-2mKCfz1-2mKM1De-mw5RV7-mw5QTh-mw5PVA-mw4r44-mw2gNX-mw2JS4-mw5LT3-mw3Tvr-mw2Mpi-mw2eZ6-mw264R-mw45RG-mw2QUp-mw2Ton-mw27EB

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