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Wednesday, July 28, 2021

Grice e Bozzelli

 FRANCESCO PAOLO BOZZELLI (1786-1861). 1. La morale di questa filosofia fu scritta da un altro napole tano esiliato per i moti politici del 1820 21 ; che merita anche lui almeno un breve ricordo in questa storia : Francesco Paolo Bozzelli. La sua vita ha molti punti di contatto con quella dello scrittore del quale abbiamo ora finito di parlare ; e meriterebbe uno studio speciale. Il Bozzelli nacque in Manfredonia il 22 aprile 1786 (1).A venti anni era a Napoli a studiar leggi sotto Michele Terracina e Ni cola Valletta. Si laureò avvocato ; ma presto abbandonò la car riera forense, essendo stato nel 1813 nominato per concorso U d i tore del Consiglio di Stato. Nel 1815 fu ispettore generale della Sopraintendenza generale di salute ; e l'anno seguente per lo zelo e l'operosità dimostrata in occasione della peste di Noia, pro mosso Segretario generale della stessa Sopraintendenza e nominato cavaliere. Nel 1820 presentato dal Parlamento in una terna per Consigliere di Stato ; ed ebbe infatti questo alto ufficio nel di cembre di quell'anno (2).Nel successivo fu nominato Commissa rio civile per l'approvvigionamento delle truppe in Abruzzo. Ma, caduta la libertà, dovette anch'egli cadere ; e fu imprigionato, quindi proscritto. Nel giugno 1822 si rifugiava a Parigi ; donde passò nel '26 a Londra, per tornarvi nel 1828. E a Parigi quindi (1) Traggo le notizie biografiche di lui da un clogio funebre, scritto su informazioni fornitedalnipoteomonimo del Bozzelli:Sulferetrodelcav.F. P.Bozzelli,paroledette il 27 febbraio 1861 nella Congrega dei ss. Anna e Luca dei professori di belle arti, dal l'architetto CAMILLO CASAZZA.Napoli,Cons,1864;opuscolo di 8 pp.in-4.°posseduto dalla Società napoletana di Storia patria. (2)Diluinon sidicenullanell'opuscolo,delrestopertantirispettideficientissimo, diVINCENZOFONTANAROSA,IParlam.nas.napol.perglianni1820e1821,mem.edoc., Roma,Soc.D. Alighieri,1900.    FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 173 rimase fino al 1837 ; nel qual anno gli fu dato finalmente di ri tornare a Napoli.Dove riprese la carriera forense,e rimase tutto il r e s t o d i s u a v i t a . N e l ' 4 4 , p e r s o s p e t t o d i c o s p i r a z i o n e , f u a r restato e tradotto nel forte di S. Eramo; ma riottenne subito la libertà, anzi acquisto la fiducia di Ferdinando II. Il quale lo n o mino socio ordinario della R. Accademia delle scienze morali e più tardi Presidente perpetuo dell'intera Società Borbonica,ora Reale ; e nel 1848 lo chiamò a far parte del Ministero, come ministro del l'interno . E d egli redasse lo statuto . Si ritirò nell'aprile e fu n o minato un'altra volta Consigliere di Stato.Ma nel maggio tornò al potere e condusse la reazione che seguì all'infausto 15 di quel mese . E ministro resto, da ultimo col portafogli dell'Istruzione, fino all'agosto 1849. Quindi si ritrasse a vita privata,in una villa della collina di Posillipo,dove fini isuoi giorni il2 febbraio 1864. 2. Come scrittore è particolarmente noto per le sue ricerche Della imitazione tragica presso gli antichi e i moderni (1), dove in tese a combattere la tesi difesa dallo Schlegel nel suo Corso di lette ratura drammatica.Ma eglifuanche poeta non mediocre(2),eau tore di parecchie altre soritture di estetica ; fra le quali meritano speciale menzione le seguenti : De l'esprit de la comédie et de l'in suffisance du ridicule pour corriger les travers et les caractères, p u b blicata in francese a Parigi nel 1832 ; Cenni estetici sulle origini e le vicende della poesia ebraica (3), nonchè due memorie lette al l'Accademia di Napoli : Cenni cstetici sulle origini e le doti del teatro indiano; In quale dei cinque sensi a noi conosciuti è da scorgere il proprio ed efficace organo della bellezza. Il solo titolo di questa memoria basta, mi pare,a farci intendere che razza di estetica fosse quella del Bozzelli. Nel 1838 annunziava un trat tato di estetica, pubblicandone l'introduzione in una rivista(1); (1) La 1.a ediz, fu fatta a Lugano nel 1838 in 2 voll. L'edizione corrente è quella delLeMonniernel1861purein2voll.Mafral'anael'altracen'èunasecondacorretta e d a c c r e s c i u t a d i u n c a p i t o l o s u l t e a t r o s p a g n u o l o , i n 3 v o l l ., N a p o l i , s t a m p e r i a d e l V a g l i o 18:50 (sulla copertina 1856) in quella Biblioteca italiana pubblicata per cura di B. Fabbrica tore,che accolso anche la Storia generale della poesia del Rosenkranz, tradotta dal De Sanctis (1853-54). E l'editore annunziava che all'Imitazione avrebbe fatto seguire altri 2 voll.contenenti scritti del tutto inediti del Bozzelli.Sull'Imitazione,v.ULLOA,op.cit., II,330. (2)VedilesuoPoesievarie,Napoli,DeBonis,1815;eintornoadesseULLOA,I,244, e l'articolo di V. IMBRIANI nel Giorn,napol.della domenica,1882,an.I,n.20.  (3) Milano, 1842. (1) Vodi il suo art. Filosofia dell'estetica nel Progresso del 1838.   174 CAPITOLO V ma disgraziatamente il manoscritto gli fu involato, come ci dice un biografo, nella prigione di S. Eramo. Anonimo uscì nel 1826 un suo Esquisse politique sur l'action des forces sociales dans les différentes espèces de gouvernement, che egli aveva mandato m a noscritto da Londra a un suo amico di Brusselle, e fu da questo p u b b l i c a t o a s u a i n s a p u t a . F u l o d a t o d a l T r a c y e il n o m e d e l l ' a u tore scoperto in una recensione che ne fece con lode il Daunou nel Journal des Savans ; onde valse a prolungare l'esilio del Boz zelli, non potendo le idee liberali sostenute in quel libro essere approvate dal governo di Napoli. E molti brevi scritti inseri in riviste straniere, durante l'esilio,e negli Atti dell'Accademia a Napoli, che non giova qui ricordare (1); essendoci qui proposti soltanto di dare una notizia d'una sua più notevole opera : Essais sur les rapports primitifs qui lient ensemble la philosophie et la morale,stampata a Parigi nel 1825,eristampata nel 1830 col ti tolo più breve De l'union de la philosophie avec la morale (2); la quale rappresenta davvero un tentativo storicamente considerevole. 3. Il Bozzelli si prefigge in essa lo scopo di dare alla scienza della morale quell'ordine rigoroso , quell'unità sistematica , che erano stati raggiunti, secondo lui,dalla filosofia speculativa dopo Bacone, ossia da quando essa cominciò a fondarsi sull'esperienza : di fare perciò della morale, che si trattava ancora sotto la forma vaga d'una raccolta di osservazioni staccate, una vera scienza filosofica. Perchè, egli dice,« la philosophie n'est pas seulement (1)Una sessantina di saggi dice il Casazza, che ne dovette avere innanzi l'elenco. Ma noi non no conosciamo cho pochi: e menzioneremo solo il Disegno di una storia delle scienze fllosofiche in Italia dal risorgimento delle lettere sin oggi (ostr. dagli Atti dell'Ac cademia di sc.mor.e pol.di Napoli,del 1847); dove sono alcune considerazioni superfi ciali intorno alle tendenze spiccatamente filosofiche delle menti del mezzogiorno d'Italia e a quel giusto mezzo che,quasi per il loro vivo senso artistico, gli Italiani in generale avrebbero , secondo l'A., mantenuto tra le dottrine estreme del materialismo e dello spi ritualismo astratto. (2) Noi non conosciamo che questa 2." odiz. di Paris, Grimbert et Dorez, 1830 (vol.di pp . 564 in -8. ). Anche in questa ediz.,del resto,il titolo ripetuto dopo un Discours prélimi naire è Essais sur les rapports ecc.E a quest'edizione si riferiscono le nostre citazioni.Il PICAVET (Lesidéologues,Paris,Alcan,1891,p.549),dandouna brevissimanotiziadellibro, che citaEssaisecc.,dà la data del 1828. Ma dev'essere una svista.La data del 1825 è data dal Casazza e dal cenno che sul Bozzelli si trova nella Grande encyclopédie. Sul libro, si cita una recensione del Lanjuinais nella Revue encyclopédique, vol.26.o Il Casazza infine nel 1864 diceva che il nipoto omonimo già ricordato « con rispettosa ossequenza al nomo dello zio,or ora porrà allo stampe la traduzione dell'opera Saggio sui rapporti,ecc.>,    FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 175 la clef de la morale,elle en est l'essence même ».Non disconosco che importanti concezioni rigorose della morale c'erano già state in Germania après les ramifications de la doctrine de Kant (1). M a non erano che concezioni di unitari, com'egli chiama gl'idealisti; di unitari o teisti, o assoluti. E ormai è chiaro di quale filosofia l'autore intendesse parlare, volendo filosofica la morale. Egli insomma voleva per questa qualche cosa che potesse paragonarsi agli scritti concernenti la teorica della conoscenza (philosophie egli dice) di Locke, di Condillac, di Destutt de Tra cy : « ces trois écrivains qui semblent se succéder exprès pour ajouter l'un à l'autre, pour serrer de plus en plus l'analyse et l'enchaînement des faits, pour que l'erreur echappée à la pour suite de l'un soit atteinte par l'autre jusque dans ses derniers retranchemens; ces penseurs enfin qui brillent comme trois points lumineux dans l'histoire de l'esprit humain , et qui éclairent la route de la vérité,pour empêcher que personne ne puisse plus s'égarer dans le vague des hypothèses »(2). 4. Le azioni umane , la cui direzione costituisce l'oggetto della morale, non sono apprezzabili se non a patto che si riferiscano alle affezioni che le determinano. La scienza della morale, per tanto, si fonda sulla conoscenza delle cause per cui tali affezioni si g e n e r a n o , si s u c c e d o n o , si c o o r d i n a n o : si f o n d a , o g g i si d i r e b b e , sulla psicologia. E come il principio d'ogni fatto spirituale è nella sensazione, bisogna cominciare da questa. 5. La sensazione è un fenomeno del nostro essere,che avviene internamente,dentro di noi(3);questa è una verità intuitiva,at testataci dalla coscienza. Il numero delle sensazioni è infinito; ma esse entrano fra di loro in certi rapporti; il che non sarebbe possibile senza un sostegno, un centro, un principio generale e permanente di tutte queste affezioni.È un'induzione questa asso lutamente necessaria, perchè unica. Noi non conosciamo diret tamente questo qualche cosa che è la base delle sensazioni; m a lo scopriamo per i suoi effetti, come la prima condizione di essi, come una potenza particolare,che sipotrà indifferentemente chia mare essere senziente, anima, spirito, intelligenza, sensibilità. (1)Ma non pare conoscesse le opero oticho di Kant o de'suoi epigoni.Di Kant cita solo le Considerazioni sul sentimento del bello e del sublime;e,salvo errore,nella tradu zionefrancesedolKoratry.L'accennochesifaap.464eseg.allamorale disinteressata di Kant non prova una cognizione diretta delle opere kantiane. (2) Pag. 12. (3) Pag. 41.  ..   6. M a la sensazione rappresenta 'sempre qualche cosa di estra neo all'essere che sente : non si potrebbe concepire in noi la pre senza d'una sensazione, spogliata da ogni rapporto con oggetti dif ferenti da noi.Sicchè bisogna convenire,che vi sono realmente causc esteriori che noi conosciamo soltanto dai loro effetti su noi, e che sono la seconda condizione, non meno indispensabile della prima, per lo sviluppo della sensazione : e il loro insieme si dirà natura, mondo , universo, o, più semplicemente, esistenze che ci sono estranee. Per ammettere queste esistenze l'argomento più luminoso, se condo il Bozzelli, è che quando mancano certe date sensazioni, non accade mai d'imbattersi negli oggetti che possono produr le(1).Ognun vede che l'argomento è molto debole, per non dir nullo: ma infine « tous ceux qui se tiennent dans les bornes d'une espèce de doctrine pratique et de simple sens c o m m u n , en sont pleinement d'accord ». E questo è verissimo. 7. Contentiamoci, ad ogni modo, per la scienza dell'anima e dell'universo,diqueste semplici verità d'induzione:erinunziamo alle ricerche metafisiche sull'essenza dell'anima e sul principio generatore dell'universo. L'impossibilità d'una soluzione scienti fica dei problemi metafisici è dimostrata dal fatto che non ci sono due pensatori che abbiano dato una stessa soluzione : quot capita totsententiae.Se oggi,diceilBozzelli,sisaqualchecosadichiaro in questa materia, si deve piuttosto ai lumi della religione po sitiva che ha tagliato i nodi con la sua autorità (2). 8. La sensazione non importa semplicemente la rappresentazione di cause esterne,l'appercezione delle qualità dell'oggetto, ma an che una immancabile alternativa di dolore o di piacere. Una sen sazione che non s'accompagni con un'emozione gradevole o in cresciosa,è un'astrazione senza realtà. La sensazione è tutta la sensazione: ossia fatto rappresentativo oggettivo e fatto emotivo ( 1 ) P a g . 4 3 . D e l r e s t o , il B o z z o l l i a m m e t t e l a o g g e t t i v i t à d e l l a c o s a , m a n o n a m m e t t e quella dello qualità: « Dans la réalité, une sensation ne représonte rien en elle-même, parcequ'ellen'estriendesemblableàl'objetquilaproduit (pag.56).  176 CAPITOLO V chia come fisica ; e i positivisti d'oggi e gli altri agnostici non hanno nessuna la nuova conclusione È la vec de 'critici negativi di ogni m e t a della sottomissione rità religiosa. È la conseguenza ragione di scandalizzarsi forze della ragione. del Bozzelli logica e fatale all'auto della sfiducia nelle (2) Pag. 45.   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 177 soggettivo. Donde la vera classificazione delle facoltà dell'anima inintuitiveeattive;leunestrumento dellaconoscenza,lealtre dell'azione.Le forme rappresentative sono icaratterifilosoficidella s e n s a z i o n e ; i f e n o m e n i d i p i a c e r e e d i d o l o r e , i c a r a t t e r i m o r a l i (1). 9. Il piacere e il dolore ci sono noti immediatamente, perchè li proviamo : m a la ragione del loro accadere è impenetrabile. In compenso,la loro conoscenza è nettae distintaper modo che a nessuno è possibile confondere l'uno con l'altro ; anzi ognuno sente il piacere come un'affezione di natura diametralmente op posta al dolore. 10. Ora, l'idea di sensazione è inseparabile da quella di m o vimento. Già essa, consistendo in fondo in un cangiamento di stato, ossia in un passaggio da uno stato ad un altro, non può avvenire senza movimento ! Ma essa stessa poi genera un m o vimento ; e come essa ha un doppio carattere morale, secondo che è piacevole o dolorosa,è chiaro che determinerà una doppia specie di movimenti. Quei fenomeni esteriori e visibili che si osservano nell'uomo investito dalla gioia o dalla tristezza, non sono che una conseguenza organica d'un primo movimento che si determina per tali sentimenti nell'anima. E per analogia con i movimenti che si vedono nel corpo, noi possiamo dire,che ilm o vimento correlativo dell'anima ora è espansivo,ora è coercitivo: espansivo quando si tratta di piacere, coercitivo quando sitratta di dolore. 11. Il Bozzelli combatte la vecchia dottrina edonistica epicu rea, rinnovata nel sec. XVIII da Pietro Verri nel suo Discorso sull'indole del piacere e del dolore (1773)(2), che il piacere con sista nella cessazione del dolore.Che significa che ildolore cessa? Il dolore,come il piacere,è un carattere della sensazione: sicchè può cessare se cessa la sensazione dolorosa. E se cessa la sen sazione, non può esserci nè anche il piacere ; perchè anche il piacere è carattere della sensazione, e non può esser prodotto da niente. E poi : contro la dottrina del Verri sta l'esperienza comune degli oggetti, parte noti come causa diretta di sensa (1) Ecco perchè e in che senso il Bozzelli distingue la scienza della morale dalla filosofia. (2)Vedi M. LOSACCO, Le dottrine edonistiche italiane del sec.XVIII, Napoli,1902 (e s t r . d a g l i A t t i d e l l a R . A c c . d i S c . m o r . e p o l . d i N a p o l i , v o l . X X X I V ), s p e c i a l m e n t e pp.35 e segg.; dove appunto sarebbe stato opportuno ricordare le osservazioni fatte al Verri dal Bozzelli (Essai premier,chap.VI).    zioni gradevoli, e parte, di sensazioni dolorose : gli uni e gli altri come forniti di caratteri dipendenti dalle loro qualità par ticolari ed intrinseche. Se il piacere fosse generato dalla cessa zione del dolore, delle due l'una : si dovrebbe ammettere cioè, o che in natura non esistono oggetti piacevoli di nessuna specie, e che tutto l'universo non è che una causa unica e continua di dolore; o che, se alcun oggetto piacevole esiste, esso dev'essere considerato come una creazione inutile o come un'aberrazione e una mostruosità fuori dell'ordine normale delle cose. E in verità non si può concepire niente di più strano e di più assurdo.Certo, bisogna riconoscere che il piacere attinge un maggior o minor grado d'intensità secondo che succeda a un dolore più o meno vivo,o più o meno rapidamente cessato. Ma il piacere è uno stato positivo, come il dolore. Nè vale ricorrere come fa il Verri a quei dolori oscuri, equi voci, quasi inconsci, che egli dice dolori innominati, per ren der ragione di quei piaceri che l'esperienza non ci mostra come successivi a un dolore. L'affermazione di siffatti dolori è asserzione vaga,diceilBozzelli,epocodegna dellaseverità dell'analisi: contraddetta dal fatto delle serie di sensazioni associate, tutte piacevoli (1). 12. Ma torniamo ai gradi dello sviluppo dell'anima. Il primo è dunque quello attestatoci dal sentire:ossia l'attitudine dell’a nima a sentire, o sensibilità propriamente detta. Questa facoltà, come ogni altra, è attiva, checchè ne dica il Laromiguière. In fatti, dire facoltà passiva è una contradictio in adiecto : perchè fa coltà viene da facere, sinonimo di agere ; ed è perciò lo stesso che attività. La sensibilità si dice passiva, perchè le sensazioni sono necessarie e come imposte: non essendo in poter nostro di evi tare l'eccitamento degli stimoli esterni, nè, una volta eccitati, di non provarne le impressioni sensibili. M a il senso non è semplice recettività ; ei non ha niente di simile a un corpo fisico in riposo che riceva un urto meccanico da un altro corpo che è in m o v i mento . L'anima nell'atto che riceve quel dato stimolo, risponde all'impressione esterna, facendo nascere la sensazione, cioè « (1) Il Bozzolli ha ragione di notare al Verri che oltre e meglio di Platone, Montai gne , Cardano e Magalotti, avrebbe potuto citare tra coloro che avevano sostenuto la sua dottrina, Epicuro : pel quale il vero piacere era appunto oneExipeous Tavtos toj a d yoovtos (DIOG.L.,X,139).Vediunmio articolonellarivistaLa Criticadir.daB.CROCE, fasc.di marzo 1903,an.I,pp.127-33.  178 CAPITOLO V un   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 179 13. In questa facoltà del senso tutte le altre trovano il prin cipiodellorosvolgimento.Datoilcarattereespansivo delpiacere, bisogna ammettere nell'anima una specie di attività differente da quella del senso. L'essere senziente pel piacere « ne sent pas simplement ; il s'élance dans sa propre modification , et s'efforce à tout prix de s'y attacher ». C'è qui uno sdoppiamento d'atti vità:un'attivitàsente,eun'altrasisforzadiconservareuno stato.. L’una e l'altra sono facoltà elementari;e la seconda dicesi volontà. Di qui si vede che lo sviluppo della volontà comincia dalla prima sensazione piacevole ; poichè il dolore è coercitivo . M a il dolore ha un'altra funzione (2). Il piacere sviluppa la doppia attività dell'anima sensitivo -v o litiva; il dolore la sola attività sensitiva. Sicchè ilsuccedere del dolore al piacere non può riuscire indifferente all'anima; la quale non può non raffrontare i due stati, e sentire la loro diversità . Ora, sentire questa disparità tra isuoi modi di essere,non è sen tire gli stessi modi di essere separatamente, e ciascuno per sè. Questo nuovo sentire è quindi l'effetto d'una terza facoltà, ele mentare anch'essa, dell'anima ;è ciò che dicesi propriamente un giudizio . 14. Queste del senso, del volere e del giudizio sono le tre fa coltàprimitivedellospirito;leleggi,perdirlaconDugald Ste art, della nostra costituzione mentale. Esse non sono distinte per modo che ciascuna di esse sorga a misura che condizioni particolari del suo sviluppo vengano sucessivamente a verificarsi; perchè l'essere sensitivo è uno ; e fin dalla sua prima risposta aglistimoliesterni,eglisielevaintuttalapienezzadellesue po t e n z e , c o m e m e c h e s e n t e , m e c h e v u o l e , e m e c h e g i u d i c a (3 ). P u r e , c o m e l ' e s p e r i e n z a u m a n a n o n si o c c u p a a f f a t t o d e l l e e s i s t e n z e in quanto indipendenti da ogni rapporto con noi (non le afferma, nè nega), cosi per la nostra esperienza non importa che le fa coltà primitive dell'anima siano tutte e tre originarie: essa non  fenomeno sui generis, che si riferisce all'oggetto esterno, senza però rassomigliargli e senz'aver nulla di comune con esso » (1).Il cheèattivitàenonpassività.– Sicchéquest'argomentodelLa romiguière per togliere la sensazione dal seggio in cui il sensi smo , fino a quella che il Picavet chiama la seconda generazione di ideologi, l'aveva collocata, come fonte e base di ogni prodotto dello spirito, non ha alcun valore. (2) Pag. 141. (1) Pag . 133. (3) Pag . 149.   tien conto nel me che sente,del me che vuole,nè del me che giu dica:questi me non ancora sirivelano; sono,ma per noi come non fossero. Per tenerne conto,sì da non ammettere nessuna gra duazione,nessuno sviluppo nella formazione dell'anima, la filoso fia dovrebbe spingere l'analisi al di là di ciò che si è manifestato allanostraanimainun modopositivoereale(1).Insomma,ilBoz zelli afferma,come sa e come può,la necessità razionale di conci- . liare il concetto dell’a-priori dell'anima col concetto dello sviluppo di essa. 15. In questo sviluppo la volontà ha una parte importantis sima,come s’è visto.Senza la volontà l'anima non potrebbe che sentire, e non si eleverebbe mai all'altezza del giudizio. E poichè volontà senza piacere è impossibile, il piacere è il cardine e il centro della vita dello spirito. Esso è l'unico motivo del volere : e il Bozzelli non accetta nulla della dottrina del Locke che il volere sia determinato da un'inquietudine attuale (2). Il dolore non cimuove,macimortifica.Ildolorecimuove quandofuoridi noi ci sia qualche cosa di piacevole il cui acquisto ci prometta u n s o l l i e v o . M a a l l o r a n o n è p r o p r i a m e n t e il d o l o r e il v e r o m o tivo, anzi quella sensazione piacevole che l'oggetto esterno ci fa pregustare.Ildolorecome taleèassolutamentequietivo:nessuno può volervisi sottrarre senza l'esperienza d'uno stato diverso, che sarà quindi il reale motivo del voler suo. Non ci sono desiderii vaghi di liberarsi da dolori attuali senza saper nulla dello stato in cui si cangerebbero. Si ha sempre un'idea dello stato diverso che si desidera. Condillac disse bene (3): « Les besoin ne trouble notre repos, ou ne produit l'inquiétude, que parce qu'il déter mine les facultés du corps et de l'âme sur les objets, dont la privation nous fait souffrir. Nous nous retraçons le plaisir qu'ils nous ont fait : la réflexion nous fait juger de celui qu'ils peuvent nous faire encore ; l'imagination l'esagere; et, pour jouir, nous nous donnons tous les mouvemens dont nous sommes capables. Toutes nos facultés se dirigent donc sur les objets dont nous sentons le besoin ». Or questo,osserva il Bozzelli, non è che un commento di Locke; il quale, indicando il dolore come causa delle nostre determinazioni,esige che v’abbia nello stesso teinpo fuori di noi quel tale oggetto piacevole che ci promette un sol lievo. Ma in questo modo è un aperto tradirsi, è ammettere di  180 CAPITOLO V (1) Pag. 150. (3 ) L o g i q u e , p a r t . I , c a p . V I I . (2)Vedi LOCKE,Saygio,lib.II,cap.XXI,§ 31.   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 181 fatto ciò che con tanta fatica si combatte in teoria. Si, è « pour jouir, come dice Condillac, que nous nous donnons tous les m o u vemens dont nous sommes capables ». Il vero motivo dunque delle determinazioni volitive è quel l'oggetto volibile posto fuori di noi,di cui parla lo stesso Locke. Ma come s'ha da intendere questo fuori di noi ? Non certo nel senso spaziale: perchè in questo senso l'oggetto resta sempre fuori del soggetto che lo sente. Qui si tratta invece di posizione nel tempo ; vale a dire, l'oggetto è fuori di noi in quanto non è ancora , può in avvenire esser posseduto da noi: in quanto rispetto a noi è un oggetto futuro, laddove l'oggetto goduto può dirsi presente e attuale. Di qui il principio, su cui il Bozzelli insiste a lungo e difende da ogni possibile obbiezione, che il motivo di tutte le azioni umane sia la sensazione piacevole dell'avvenire (1). 16. Or donde, dato un unico motivo possibile, tanta varietà nelle azioni umane ? Egli è che l'anima, a cominciare dalla sensa zione,non è,come fu già osservato,uno strumento passivo.Un'af fezione poi, com'è data dalla sensazione, non resta immobile e inerte nell'anima,che la elabora e la spiritualizza, decomponen done gli elementi costitutivi (un oggetto nelle sue varie qualità di cui non è che l'insieme) per distinguere questi l'uno dall'altro, e d'ognuno farne un centro d'associazione d'altre affezioni o m o genee che concorrono a fissarvisi. Quindi un intreccio di vincoli per cui le rappresentazioni sono fra di loro legate ; e quindi una maggiore o minor forza in ognuna a seconda del più o meno stretto collegamentocon altre;ecorrelativamente,una maggioreominor facilità in ciascuna di esser ricordata e come d'esser proiettata pel futuro.Ora questa forza intrinseca dell'anima,elaboratrice dei materiali dell'esperienza sensibile,non pervenendo a uno stesso grado in tutti gl'individui e in tutte le età, è chiaro che confe rirà un contenuto diverso al motivo del volere,e produrrà quindi la varietà delle azioni. Insomma, essendo identica in tutti la natura dell'anima e identici gli organi esterni che le porgono alimento, si genera ne'diversi individui un diverso contenuto psi cologico, da cui dipendono le determinazioni del motivo in so unico dell'umano volere. « Certo,dice con enfasi ilBozzelli,quell'inflessibile Bruto che condanna a morte i suoi figli, e che con occhio fermo assiste all'ese cuzione della sua terribile sentenza,sarà un essere inconcepibile  ma (1) Essai troisième, chap . I e II.   fuori del primitivo concetto della grandezza romana . Egli si slan cia attraverso la notte dell'avvenire, e vede per quell'esempio di giustizia spiegarsi sotto isuoi occhi,in una successione magnifica, cinque secoli di gloria e di prosperità; vede la nazione più colos sale uscirne tutta intera e coprire della sua potenza la faccia della terra ; e concezioni che spaventano le anime comuni, rien trano per le anime straordinarie nei rapporti immutabili del l'esistenza dell'universo »(1). 17. Il principio delle azioni umane, dunque, è la sensazione piacevole di un oggetto futuro: o con termine più semplice, il piacere. E la storia ce ne fornisce una conferma evidente. L'ori gine della società non è che l'effetto di tale principio. Esso conduce il selvaggio dalla caccia alla pastorizia, quando l'esperienza gl'insegni che le intemperie o le malattie potranno impedirgli un giorno di procacciarsi la preda necessaria al vitto : ed egli provvede all'avvenire impadronendosi, quando può, di g r a n n u m e r o d i a n i m a l i p a c i f i c i , p e r e s e m p i o d i c e r v i , e li c o n s e r v a vivi, per potersene nutrire al bisogno. Esso fa sorgere accanto alla pastorizia l'agricoltura, quando l'uomo conducendo gli a r menti alla pastura, acquistata la conoscenza degli alberi e delle piante, comincia a sperimentarne l'uso, e a poco a poco a calco larne ivantaggi che ne può ricavare con la coltivazione.Esso mena il pastore e l'agricoltore a scambiarsi i prodotti superflui della loro diversa operosità,segnando quindi la data della più potente rivo luzione nell'insieme dei loro bisogni e delle loro facoltà. Quindi, dividendosi sempre più il lavoro e moltiplicandosi gli scambii, sempre quell'identico motivo aduna insieme ad abitare in un sol luogo consumatori e produttori, e crea le città. Poscia perfe ziona le arti, regola le industrie, e fa nascere perfino le scienze. È questa la molla segreta di tutto l'umano progresso. 18. E che è la proprietà se non un sostegno dell'avvenire ? E a che si ricerca e si stabilisce, se non per assicurarsi il piacere futuro? La proprietà è necessaria appunto perchè è necessario cotesto sostegno dell'avvenire. E coloro che declamano contro la proprietà, esaltando la comunanza dei beni, non sanno che si di cono , e si stenta a credere che parlino in buona fede (2). E che ? La comunanza dei beni esclude forse la proprietà?Una massa di mezzi di sussistenza appartenente a una colonia intera senza appartenere agl'individui che la compongono,è inconcepibile.La  182 CAPITOLO V (1) P a g . 253 . (2 ) P a g . 276 .   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 183 proprietà individuale ci sarà sempre, sebbene ridotta al libero uso che ciascuno può fare dei beni comuni; perchè in quest'uso è assicurato appunto a ciascuno il sostegno dell'avvenire; che è la vera sostanza del concetto di proprietà. Ma cogliendo il frutto, non s'è padroni di tagliare l'albero che lo produce. Ma l'albero non è per ciò sempre una proprietà,alla quale ognuno ha diritto di ricorrere, quando vuol soddisfare la fame ? M a questo diritto appartiene egualmente a tutti gl'individui della colonia. Ma da quando in qua la solidarietà del possesso ha distrutto il diritto di proprietà, che ciascun solidale ha sullo stesso fondo ? E tanto è vero questo modo di vedere che,quando questa massa di beni comuni cessi, per dissensi o usurpazioni, di soddisfare ai bisogni di tutti gli individui della comunanza , cessa anche di essere una proprietà, pel solo fatto che nessuno più vi riconosce l'appoggio del suo avvenire;e allora ognuno per sussistere fa assegnamento sul suo lavoro personale, e si crea una proprietà a sè, di cui gli altri non partecipano punto il godi mento. Declamare, dunque, conchiude il nostro scrittore, contro la proprietà è pigliarsela colle affezioni costitutive del n o stro essere. Pretendere la proprietà con la comunanza dei beni, è giuocar di parole, é appigliarsi a una differenza, che rispetto alla nostra natura sensitiva è nulla (1), 19. E che è la legge se non una garenzia dell'avvenire ? Tutte le definizioni diverse date da Cicerone, da Montesquieu , da G r o zio,da Rousseau contengono forse ciascuna una verità,ma par ziale e incompleta. La legge non è una semplice volontà, nè un pensiero generale, nè un'astrazione filosofica: ma « una potenza sempre attuale, sempre formidabile,che nasce dal bisogno di con servare inviolabili le affezioni più generose dell'anima. La pro prietà basterebbe come sostegno dell'avvenire;ma questo soste gno è ad ora ad ora scosso dalla violenza e della mala fede, con tro le quali urge appunto la garanzia delle leggi . Certo la legge provvede a un vizio della convivenza civile; e Tacito ha ragione : corruptissima republica,plurimae leges! 20. E se si riflette, la stessa religione rispecchia quel fonda mentale motivo di tutte le umane produzioni. Non è religione quella del selvaggio, che, atterrito dal rimbombo del tuono nel mezzo della tempesta,si prosterna innanzi al corruccio d'un Dio che ei si rappresenta posto sulla cima delle nubi ; o del selvaggio  (1) P a g g . 276-7 .   181 CAPITOLO V che all'apparire del sole vedendo sorridere la natura, adora in ginocchio l'astro luminoso , ond'egli fa la dimora sacra d'un Dio benefattore : perchè il vero sentimento religioso è ben altrimenti profondo. Religioso è l'uomo la cui anima si espande a tutto ciò che v'è di più tenero e di più simpatico nei rapporti della natura vivente , e sdegnando fieramente i limiti d'una tomba fredda e s i l e n z i o s a , i n n a l z a l e s u e p i ù n o b i l i a s p i r a z i o n i o l t r e il c o n f i n e d e l tempo e dello spazio : l'uomo virtuoso che l'ingiustizia dei suoi simili ha gettato nelle tribolazioni dellavita,eche,non vedendo se non nella morte il termine delle proprie miserie,apre l'anima alle illusioni lusinghiere d’un'altra vita imperitura,e sospira la calma che si ripromette di trovarvi.Negli uomini diquesta tem pra conchiude il Bozzelli s'eleva il santuario della reli gione, dond'essa apparisce raggiante delle speranze più consola trici. La religione nasce pertanto come l'infinito dell'avvenire(1). Disse lo Shaftesbury, che il primo ateo dovette essere certamente un uomo triste e malinconico. Il contrario anzi è vero, secondo il nostro romantico scrittore. Le reveries seducenti della tristezza malinconica fecero nascere la religione ; e l'ateo è un 21. Tutta l'umanità dell'uomo,dunque,cidice,che ogni deter minazione dello spirito procede dal bisogno d'un piacevole avve nire. E in questo bisogno perciò occorre cercare il reale fonda mento di quel fatto umano,che è a sua volta la morale. L'etica del Bozzelli è,come ognun vede,schiettamente edo nistica. E come ogni edonista, il Bozzelli concepisce la morale come un fatto naturale,ed è risoluto avversario del concetto normativo di essa. « L'homme, egli dice, ne doit être que ce qu'il est : la règle de sa conduite ne répose que sur les lois de sa constitution fondamentale... Dire que l'homme doit être par choix une cose tout-à-fait différente,de ce qu'il est par essence, c'estprétendrequ'unarbrefaitpour produiredespommes,pro duise des poulets ou des poissons » (3). E direbbe invero benissimo se questa concezione realistica della morale egli non riattaccasse alla veduta metafisica dell'antico edo nista,che honeste vivere est secundum naturam vivere; e se ricer  cui cuore freddo e gretto è incapace di allargarsi deliziose d'un'anima alle espansioni tenera e gentile. La réligion et l'irréligion ne constituent en dernière analyse qu'une simple sibilité (2) question de sen essere il (1) Pag . 283. (2 ) P a g . 2 8 7 . (3 ) P a g . 2 9 2 .   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 185 cando nell'uomo stessoilfondamento effettivo dellamoralità,egli non si mettesse innanzi l'uomo nella sua nudità primitiva (1). L'uomo ancor nudo, il bestione di cui parla G. B. Vico, non ha ancora moralità , è ancora natura : e bisogna aspettare, per dir così, che si vesta, perchè diventi quell'essere nella cui costituzione una concezione realistica della morale possa trovare il fondamento di fatto di questa.Ad ogni modo,vediamo come quest'uomo ancor nudo acquisti col solo motivo del piacere la moralità, secondo il Bozzelli . 22. La morale non è che una continuazione, o, se si vuole, un'applicazione dell'analisi fin qui fatta delle forze operanti nello spirito(2),Si rifletta. Se tutti gli oggetti circostanti fossero uni formemente piacevoli,per obbedire alla propria natura, ed essere quindi completamente felice, l'uomo non dovrebbe che abbando narsi agl'impulsi della sua volontà spontanea . Ma , pur troppo, questa età dell'oro non è che nell'immaginazione di Esiodo e de gli altri poeti antichi che la descrissero. Purtroppo, le cose e gli stati sono ora piacevoli e ora dolorosi; e l'uomo, che non ab bia accumulato una sufficiente esperienza, spesse volte s'inganna : crede di seguire il piacere , e si trova innanzi il dolore : e p r o cede sempre nella vita come naviglio in mezzo all'Oceano,ora favorito dal bel tempo , ora sbattuto dalla tempesta . Ma i disinganni e i dolori lo rendono riflessivo, distruggono in lui quel naturale abbandono agl’impulsi ciechi del volere; lo rendono sempre più prudente, e più difficile nelle determinazioni future. Gli farebbero contrarre l'abito della perplessità e della irresoluzione, se non soccorresse il giudizio,che solo ha il po tere di leggere nell'avvenire fondandosi sul passato,ed è in grado perciò di fornire una garanzia all'anima che vuole, mostrandole il bene verace, incoraggiandola, rassicurandola. Il giudizio, ricercando sempre i rapporti del mondo esterno con l'uomo a fine di garentire il volere per il futuro, accumula via via un gran tesoro di fatti positivi ; che non restano patri monio esclusivo dell'individuo che ne fa esperienza,ma si comu nicano nelle famiglie, e si ereditano di generazione in genera zione ; moltiplicandosi col tempo per l'esperienza degli altri in dividui;permodo cheinfinel'uomositrovariccodituttiimezzi che occorrono ai suoi vasti bisogni (3). (1) « L'analyse de la pensée a dissipé les romans,a désenchanté les osprits,a montré l'homme dans sa nudité primitive >;pag.293. (2)Pag.300. (3)Pag.308.    Se non che questo fardello di esperienza che cresce sempre, non può crescere indefinitamente : perchè finisce con essere in sopportabile alla memoria. E che avviene ? Una parte di esso va lentamente perdendosi nell'oblio.È vero che intanto nuove espe rienze aggiunge di proprio l'individuo ; m a è tutto un versar acqua nella botte delle Danaidi.() almeno sarebbe,se In queste massime, in questi apoftegmi, in tutte queste gene ralizzazioni è la morale, una morale pratica, che diventa scienti fica quando tutti i precetti, tutte le massime sono coordinate e messe d'accordo tra loro,ridotte a sistema e subordinate a un'idea unica e centrale. La morale, insomma, si riduce a una precet tisticadiprudenza;ogni imperativo,potremmo direcon Kant,è ipotetico . 23. Come accade che la morale apparisca qualche cosa di di verso ? 11 Bozzelli spiega anche la psicogenia del concetto corrente della morale, come di un insieme di obblighi superiori, imposti alla nostra natura sensibile e non derivati affatto da questa. Una volta formate le massime generali, è naturale che, invece di fare ai figli delle lezioni pratiche richiamando o narrando tutte le singole esperienze, si preferisca d'imprimere nella loro m e m o ria quelle regole determinate che essi potranno poi applicare nel loro interesse secondo i casi della vita; giacchè in tal modo siri sparmierà tempo e fatica,e sarà tanto di guadagnato per l'inse gnamento che si vuol dare. M a come fare accettare tali regole ai figli? La loro vera giustificazione sta nell'insieme dei casi par ticolari, da cui sono estratte. E rifare la storia di quei casi è impossibile ; tanto varrebbe continuare nel vecchio sistema, e la sciar da banda le regole. Si pensa ad imporle incutendo per esse un rispetto stabile e profondo, col dare ai fanciulli un'idea m i steriosa della loro natura ed origine. Non si presenta la verità tutta nuda : si crede anzi di ren  186 CAPITOLO V tervenisse di genio, che, fatta una cernita non in l'opera degli uomini dotati d'una gran mobilità sieme tutti i catenano e fondono masse di quelle esperienze simili e quindi generalizzando con finezza e profondità carico di fatti individuali , in caratteri coloriti e sfumati casi particolari intere di tali esperienze , e le rendono al pubblico cui originariamente mero di parole partenevano,secondo lafineosservazione in piccol n u ap del La Bruyère , coniate, chiare e precise, in apoftegmi per dir cosi, in massime ed eleganti, in pensieri ingegnosi semplici : con cui si sostituisce e minuziosi. da tutti il pesante e forza , messi in , in   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 187 derla più bella vestendola e abbigliandola in costume da teatro.Si dice che quelle regole hanno un'origine soprannaturale, che sono innate in noi ; che ognuno le porta impresse nel cuore. E vera mente come figure rettoriche queste espressioni, dice il Bozzelli, potrebbero correre. Si può dire, infatti, che Dio ci abbia dato queste regole nel senso che egli ci ha fornito i mezzi di scoprirle e constatarle ; si può dire che siano innate in noi, nel senso che noi siamo dotati delle facoltà adatte a farcele scoprire (1). M a così potrebbe dirsi egualmente,che Dio ci ha comunicate le leggi del moto,e che esse sono impresse nelnostrocuore,per ciò solo che ci ha così fatti da apprenderle mercè l'esperienza e la rifles sione . 24. Non già che le leggi morali sieno convenzionali e arbi trarie. Esse sono fisse e invariabili nell'ordine eterno delle cose ; dipendono dalla nostra natura sensibile; come le leggi fisiche ap partengono intrinsecamente ai corpi.Noi non possiamo cangiarle, nè sottrarci ad esse. Ma l'origine loro nel nostro spirito non è differente in nulla dall'origine dei concetti che pure abbiamo delle leggi fisiche. Certo, nel mondo fisico, sarebbe meglio limitarsi a insegnare a un contadino come, coltivando e curando erbe ed alberi sel vatici,i nostri padri pervennero col lavoro a sostituire alla fine, per la nutrizione , frutti più dolci e più succulenti alle ghiande e alle radici. Ma in pratica,è indifferente che gli si dica al con trario,che tutto si deve al solo dono degli Dei ; e che a Minerva dobbiamo l'ulivo, a Cerere le biade e a Bacco la vite.Il sistema è diventato falso,perchè si è esagerato ; e a forza di voler cavare tutto dai cieli,s'è finito col farne scendere perfino il delitto e la corruzione . M a oggimai , pare al Bozzelli che meglio si farebbe dicendo il vero ai giovani ; mostrando loro come quelle regole di morale che, si additano ad essi, non sono altro che la quintessenza del l'umana esperienza accumulata a prezzo di infiniti dolori; e che seguirle è fare il proprio interesse, perchè esse insegnano i mezzi di sfuggire al dolore. La morale del Bozzelli è per questo essenzialmente intellet tualistica come quella di Socrate (2). Esser virtuoso è sapere : sa (2) Ma la fonte diretta è HELVELTIUS; il quale già aveva detto che bisogna « décou vrir aux nations les vrais principes de la morale ; leur apprendre qu'insensiblement en  (1) Pag . 320.   per veramente. E come Hobbes scrisse un libro De computatione seu logica, bisognerebbe scriverne un altro : De computatione seu ethica : perchè non si tratta anche in morale che di un calcolo (1). 25. Ma a questo punto il Bozzelli prevede un'obbiezione: la vostra morale è impossibile, perchè, incatenando la volontà al piacere, voi avete distrutta la libertà che è la condizione sine qua non della morale. Intendiamoci : bisogna distinguere libertà da libertà. Io ammetto , egli dice accordandosi pienamente col Bor relli,lalibertà,ma comepotenzad'agiresecondoledeterminazioni (lella volontà, senza che alcuna forza estranea Questa libertà d'agire esiste, ed è assoluta ; perchè non vi sono ostacoli estranei di nessuna natura che le si possano opporre.Non ve ne sono fisici; perchè, p.es.,l'impossibilità di saltare un fiume dipende dalla limitazione naturale delle nostre facoltà muscolari, ossia da condizioni del nostro essere. Non ve ne sono morali, a maggior ragione: perchè il non poter derubare, il non poter as sassinare la gente, è un ostacolo alla determinazione del volere, p i ù c h e a l l ' a z i o n e ; d e l v o l e r e , c h e t r o v a il p r o p r i o i n t e r e s s e n e l n o n determinarsi mai per ciò che può distruggere la sua felicità.Non ve ne sono,infine,sociali;perchè lostato sociale,checchè ne dica Rousseau, non importa la menoma limitazione della libertà natu rale ; perchè chi consideri le leggi civili secondo il fine per cui sono istituite, esse non possono che essere d'accordo coi motivi della volontà di tutti gl'individui per le quali sono dettate. E se in pratica, scrive il liberale del '20, si osserva il contrario, la colpa non è del principio:ora si parla della società, non delle società (2) 26. Qui il Nostro ha un'osservazione preziosa, che avrebbe vivificata tutta la sua etica, se egli se ne fosse ricordato a tempo , e che ci fa desiderare il suo Esquisse politique, che non ci è riu scito di vedere.Il concetto dello stato di natura in cui ogni uomo èlupoall'altrouomo,parealBozzelliun romanaffreur;esime raviglia che sia mai potuto entrare nella testa di un essere ragio traînées vers le bonheur apparent ou réel la douleur et le plaisir sont les seuls moteurs do l'univers moral ; et quo lo sentiment de l'amour de soi est la seule base sur laquelle on puissojeterlesfondementsd'une moraleutile»(Del'esprit,disc.II,chap.XXIV).An che per Helveltius la virtù era un calcolo, e il vizio un effetto dell'ignoranza .  188 CAPITOLO V Senza opponga ostacoli. questa libertà la felicitàsarebbe impossibile ; e sarebbe quindi anche impossibile la morale. (1)Vedi pag.461. (2)Pag.332.   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 189 nevole. Il vero stato di natura, egli dice, non è che lo stato so ciale : e ciò è così semplice, cosi chiaro, così intuitivo che non è mestieri dimostrarlo(1).Ma l'osservazione è quasi guastata dal commento :che sarebbe stata un'inconseguenza quella della natura di aver fatto l'uomo per la felicità e per la società che ne è la condizione fondamentale, e avergli conferito insieme tali diritti (ipretesi dirittidinatura,abbandonati,secondo Rousseau,perla sicurezza di altri diritti acquistata con lo stato sociale) da esser egli obbligato a disfarsene tosto per compiere il suo vero destino. Tutte le limitazioni, insomma, sono limitazioni del volere, o del corpo stesso dell'agente : non sono mai estranee ad esso ; e . non si può dire mai, quindi, che importino una restrizione della libertà di agire. Quanto questo agente, considerato non solo come volere,ma anche come organismo corporeo,sappia di crudo m a terialismo, non occorre spiegare. Era la tendenza intrinseca di tutto il pensiero bozzelliano, che dalla sola sensibilità si proponeva di cavare anche ciò che ha natura essenzialmente superiore. 27. Dunque, libertà di agire, si: ma se si pretende anche li bertà di volere, il Nostro non dubita di affermare che un tal concetto è parto d'immaginazione indelirio(2).La libertà presup poneilvolere;enonpuòquindi esserpresuppostadaessa,perchè, per esser libero, bisogna prima volere ; laddove la libertà del volere importerebbe che si fosse liberi prima di volere. L'argo mentazione qui è evidentemente viziosa, avvolgendosi in un cir colo : giacchè si vuol dimostrare che l'unica libertà è quella di agire, e contro quella di volere si toglie una ragione dalla li bertà di agire. Giacchè solo rispetto all'agire la volontà precede la libertà. 28. Ma il Bozzelli domanda che significhi la frase libertà di vo lere. Se si crede, egli dice, che si possa volere senza motivi, ciò è assurdo. Si vuole perchè si sente;mancando la sensazione pia cevole, la facoltà di volere resta inattiva, demeure en silence.Non si può volere, senza voler qualche cosa, senza un fine: voler nulla è non volere. E non è possibile nessuna distinzione tra fine e motivo. Se poi s'intendesse per volere libero un volere non impedito da ostacoli, non si direbbe nulla di positivo; perchè gli ostacoli possono opporsi ai movimenti comandati dal volere, non al volere. Il volere è come il pensiero: nessuno e nulla può comprimere la libertà del pensiero in se stesso, che non è suscet  (1) Pag . 333. (2 ) P a g . 3 3 7 .   tibile di nessuna opposizione diretta.Impedire si può la mani festazione del pensiero, con la parola o con gli atti. Il concetto d'una possibile determinazione contraria a quella effettivamente datasi, è assolutamente arbitrario : perchè la v o lontà indipendente dalle sue reali ed effettive determinazioni, qual'è quella cui tale possibilità si riferisce,è un'astrazione senza nessun fondamento di realtà. La volontà è volta per volta determinata in maniera neces saria. « L'uomo non può volere che il piacere: non è padrone di volere il dolore, perchè dolore e volontà s'escludono a vicenda . Questa risposta è perentoria »(1). 29. Questa necessità del volere però, lungi dal contrastare la morale, è la sola che possa salvarla. Data la libertà del volere, ogniideadimoralesarebbeannientata(2).E laragioneèovvia. Questa libertà importa che la volontà sia indifferente al piacere e al dolore ; epperò , che quelli che si dicono oggetti piacevoli , e quelli che si dicono oggetti dolorosi producano di fatto impres sioni analoghe. In verità, non si potrebbe volere il dolore senza ammettere insieme che questo possa produrre sull'anima un'im pressione simile a quella prodotta dal piacere . M a questo sarebbe distruggere ogni differenza, e quindi ogni distinzione di male e di bene, e ogni ragione di merito o di demerito delle nostre azioni, ogni fondamento insomma della morale.Importerebbe inoltre, con la possibilità di scegliere il male , una certa relazione invariabile tra i bisogni umani ed il male, come ve n'ha di certo tra i bi sogni e il bene : onde non sarebbe una colpa l'abbandonarsi al male. Ne inganni il fatto che, malgrado la ripugnanza naturale,il vo lere si determini talvolta pel male ; ciò accade perchè il male si presenta allora sotto l'apparenza di bene, e il dolore riveste non di rado a'nostri occhi le forme seducenti del piacere. La stessa morte al suicida stanco di soffrire apparisce come una liberazione o un sollievo,e perciò appunto un piacere.Rousseau,ostinato libe rista, in un momento di felice ispirazione esce in un'affermazione importantissima e tanto più preziosa, in quanto è fatta da lui: « Non , egli dice,je ne suis pas libre de ne pas vouloir mon propre bien,je ne suis pas libre de vouloir mon mal : mais la liberté con siste en cela même que je ne puis vouloir que ce qui m'est con venable,ou que j'estime tel.S'ensuit-ilque je ne suis pas mon  190 CAPITOLO V (2) Iri. (1 ) P a g . 3 4 1 .   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 191 maître,parce que je ne suis pas le maître d'être un autre que moi?» Ora,sipuòmodificareilpuntodivista:maquestoè verissimo : che libertà vuol dire e deve voler dire esser se stesso, non già poter esser altro che sè. 30. Il Bozzelli insiste molto nel combattere tutte le astrazioni, tutte le creazioni,come direbbe Hegel, dell'intelletto astratto nel campo dell'etica. Perciò egli richiama l'attenzione sul parallelo sviluppo dei bisogni e delle conoscenze umane corrispettive, per cui è possibile che i bisogni sieno soddisfatti, attraverso i secoli. I bisogni crescono sempre e si complicano ; crescono e s'affinano insieme le conoscenze relative; anzi il desiderio di nuovi piaceri stimola a nuove conoscenze, e le nuove conoscenze suscitano e creano nuovi desiderii e nuovi bisogni. I bisogni sono oggi infi nitamente di più e maggiori che una volta ; e la loro soddisfazione è certamente più difficile; e quindi più difficile la felicità. La vita d'una volta era un navigare su un lago tranquillo,donde si discopra con uno sguardo la ridente e pittoresca riviera ; la vita d'oggi è un traversare un oceano tempestoso e pieno di scogli,i cui confini si confondano con l'immensità dello spazio. Ma non pertanto quei moralisti che, per assicurare agli uomini la felicità, vorrebbero farli risalire, a ritroso degli anni , verso lo stato di semplicità primitiva in cui li pose la natura, rassomigliano al medico che chiamato a curare un'indisposizione, visto che è s e m plice effetto di vecchiaia , imputasse al malato la decadenza da quella prima età in cui questi mali sono ignoti,e gli consigliasse per tutto rimedio di tornare agli anni fiorenti della giovinezza. V’ha una successione di età come per l'uomo fisico così pel morale ;come per l'individuo, così per l'umanità.L'uomo col suc cedersi dei secoli passa di condizione in condizione, si trasforma naturalmente ; e tornare indietro è impossibile ; concepire il ritorno è sogno seducente dell'uomo dabbene, che crede possibile tutto ciò che l'immaginazione gli presenta come desiderabile (1). 31. Nello stesso errore cadono stoici ed epicurei,dimezzando l'uomo e creando un essere fittizio non corrispondente punto alla realtà. Gli uni credono di poter assicurare la felicità all'uomo, spogliandolo di tutti i bisogni , e facendolo impassibile a tutti i piaceri, intento unicamente a non so quale virtù selvaggia, posta non come d'ordinario in un luogo alto e difficile,ma addirittura in una regione eterea al di là della na ra umana, e appena ac  (1)Pag.354. 1   cessibile agli slanci d'una immaginazione ardita e malinconica (1). Gli altri vorrebbero sottrarre anch'essi l'uomo alla inquietudine dei bisogni suggerendogli il carpe diem , il partito di appigliarsi ai piaceri più prossimi per procurarsi la voluttà del corpo e l'in dolenza dell'anima.I Cinici e i Cirenaici,precorrendo queste dot trine, le avevano di già screditate esagerandole. L'uomo di Z e none è un'astrazione; perchè l'uomo come essere sensibile non esiste che pel mondo esterno, al quale deve lo sviluppo della sua sensibilità; e non può chiudersi in se stesso e rinunciare a tutte lesensazioni,come dovrebbe,persottrarsiatuttiibisogni.L'uomo segregato dall'universo e divenuto come una statua, è l'uomo sna turato, l'uomo distrutto. Così l'uomo di Epicuro, che rinunzia alle più alte soddisfazioni per pascersi dei piaceri più facili, con trasta con ogni idea di progresso , di attività umana : è mezzo uomo ancheesso;èsimileall'aquila,che,dotatadialiper slan ciarsi verso la luce fiammeggiante del sole, preferisse di sbaraz zarsene per somigliare ad un rettile (2). 32. M a già queste opposte dottrine ci dicono che oggetto unico della morale è per tutti il piacere ; principio unico da cui partono e a cui tendono tutte le azioni umane . La virtù selvaggia degli stoici non è che il pegno simulato d'un piacere infinito ; « e il torto di Epicuro non è.di aver fondato la morale sulla voluttà, per chè la voluttà è certo il sinonimo del piacere; ma di averne pro stituito l'idea,e tagliato lepiù splendide ramificazioni »(3).Lo si combatte grossolanamente, laddove si tratta di rifiutare il senso stretto che egli vi lega: perchè infine la pratica della virtù è essa stessa una voluttà (4); e come dice con molto acume M o n taigne: pour être plus gaillarde, nerveuse,virile, robuste,elle n'en est que plus sérieusement voluptueuse. L'uomo,insomma, è tutto l'uomo,e il piacere, motivo delle sue azioni, non esclude nessuna forma di piacere. 33. Di qui è chiaro che tante saranno le forme di piaceri, quante sono le attività o gli stati dell'uomo; perchè altrettanti saranno i suoi bisogni. Il Bozzelli distingue nell'uomo la sua esi stenza animale e la sua esistenza sociale : le due condizioni, egli (2) Non occorre qui notare la inesattezza storica di questa interpretazione del pensiero di Epicuro.E già nell'inesattezza il Bozzelli è in buona compagnia ;perchè anche Kant pensava lo stesso.  192 CAPITOLO V (1) Pag . 355. (3) Pag. 359-60. (4)Vedi gli Essais,lib.I,cap.XIX.   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 193 dice, che lo comprendono e costituiscono tutto intero (1). Quindi i piaceri sono classificabili in piaceri animali e piaceri sociali.La de duzione degli uni risulta dal già detto. Donde gli altri ? Anche il Bozzelli accetta la teoria della simpatia morale :il piacere degli al tri è nostro piacere,per l'identità di natura tra noi e i nostri si mili (2). M a questi piaceri animali e sociali sono in relazione fra loro. Quali naturalmente prevalgono ? E qui il Bozzelli rifà la solita critica dei piaceri egoistici,animali. Questi piaceri si riferi scono ai bisogni fisici, che non hanno nessuna latitudine, nè spa ziale nè temporale. Le condizioni della materia ne fissano i limiti. Portano sempre con sè sazietà e disgusto.Il godimento ne dissipa tutta l'attrattiva.Non hanno successione,nè continuità:si gene rano e svaniscono come fenomeni effimeri e staccati. Nascono col bisogno, e finiscono col bisogno :saziata la fame, la vista sola dei resti del pasto è importuna e sgradevole.Il letto, sollievo all'uomo stanco,diviene tormentoso a chi vi debba restare a lungo senza interruzione. Il fasto viene a noia, e dopo averne lungamente goduto,si cerca la campagna e idisagi.Questi piaceri insomma sono, per dirla con Plutarco (3),come aurette di venti graziosi che spirano le une su una estremità, le altre sull'altra estremità del corpo , e passano e svaniscono incontanente : così breve ne è la durata ; simili alle stelle che si vedono la notte cadere dal cielo, o traversarlo da un punto all'altro, essi si accendono e si spengono sulla nostra carne in un istante. Dipingete un quadro con le tinte contrarie; e avrete la rap presentazione dei piaceri sociali.Di qui ilmaggior pregio (edoni stico, s'intende) e la naturale prevalenza dei piaceri sociali sugli (2) Nell'espressione di piaceri sociali, questa designazione ha però un senso molto largo : altri direbbe sentimenti spirituali. L'autore infatti li contrappone ai piaceri animali , dicendo questi jouissances directes du corps, e quelli jouissances directes de l'ame. Gli o g getti dei primi « consistent dans tout ce qui & rapport à l'entretien matériel de la vie et auxagrémensimmédiatsdessons»;glioggettideglialtriconsistonoinvecein«toutce qui a rapport à cette correspondanco, harmonique des sensibilités, en vertu de laquelle noussympathisonsavec lesjouissancesaussibienqu'aveclessauffrancesdenossemblables; etnousnous tentons poussésàaugmenter lesunes,àsoulagerlesautres,ànousréjouir du bonheur,à nous afsiger du malheur de notre prochain »;pag.433. (3 ) Il q u a l e , c o m e il N o s t r o , n o n s ' a c c o r g e v a c o m b a t t e n d o E p i c u r o , c h e a n c h e E p i c u r o aveva cosi criticato i piaceri sensuali. Vedi l'opuscolo di Plutarco , ( he non si potrebbe ri vere felicemente secondo la dotlrina di Epicuro.  (1) Pag . 369. 13   194 CAPITOLO V animali. Di qui la superiorità della morale sopra le fisiche incli nazioni ad essa contrarie. 34. Tutti i piaceri sociali si risolvono in quelli della giustizia e della beneficenza. La giustizia è il riconoscimento della invio labilità della proprietà, di cui s'è già parlato. La beneficenza è la sodddisfazione degli altrui bisogni, sentiti come nostri per effetto della simpatia. I due fatti si suppongono e quindi s'in tegrano a vicenda. La beneficenza è una conseguenza della giu stizia; che ha luogo quando uno o più individui dell'aggregato sociale a cui apparteniamo, non abbiano quel sostegno dell'avve nire, che è la proprietà. E del pari la giustizia è una conseguenza della beneficenza, poichè se siamo benèfici per non soffrire con altri, non possiamo violare quella giustizia che è la condizione della proprietà. Questi due fatti sono la base della società,di ogni ocietà, vuoi domestica,vuoi civile,vuoi politica: sono la pratica della virtù. 35. Ma che è propriamente virtù, e che è vizio? Il Bozzelli richiama un principio notissismo di psicologia : che l'abitudine at tenua la coscienza e quindi il grado di piacere e di dolore pro dottoci dalle impressioni; e osserva che non si può perciò fuggire il dolore abbandonandosi al piacere, se non si vuol fare come il medico che per guarire la malattia uccide l'ammalato. Bisogna lottare contro il dolore, per disarmarne la violenza, acquistando l'abito di soffrirlo, e quindi affrontando il dolore, anzi che vol gergli le spalle o accasciarsi sotto il suo peso : m a occorre i n sieme lottare contro i piaceri per impedire che l'abitudine di g o derne non ne distrugga ilbeneficio,usandone quindi con prudente moderazione. Epperò occorre dare all'anima tal forza di carattere che le permetta di padroneggiare la tempesta delle passioni. E quella tempra acquisita, che rende l'anima capace di soggiogare con successo tutti i dolori, e restare ferma contro le seduzioni dei piaceri che tentano di snervarla, è quel che il Bozzelli dice propriamente virtù; e il contrario,vizio(1).Insomma, la virtù è l'arte di godere. Fermezza nei dolori,moderazione nei piaceri, sono i suoi caratteri; come debolezza nei dolori, intemperanza nei piaceri,sono i caratteri del vizio (2). Quindi il grande uffizio della pedagogia : che imprima alla fibra animale, quand'è ancor tenera e flessibile, e all'anima, quand'è ancor nuova e accessibile a tutte (1) P a g . 4 1 3 .  (2) Pag. 415.   FRANCESCO PAOLO BOZZELLI 195 le affezioni, una serie di abitudini che le rendano atte a quella fermezza e moderazione,che crea insomma la virtù(1). 36. La quale, secondo il Bozzelli, è unica e indivisibile, se si distingue dagli atti virtuosi,in cui può manifestarsi.Per la povertà naturale del linguaggio o pel desiderio di nobilitare cose ordinarie e comuni,si decora sovente del nome di virtù ogni qualità ac quisita a forza di fatica e di studi e perfezionata dall'abitudine di un lavoro continuo e ostinato. E in questo senso,per esempio, in Italia si dice che un pittore,un musico,un ricamatore, un fa legname e perfino un muratore ha della virtù ; e qualche volta si aggiunge, ed è un'espressione più felice, che ha questa virtù nelle mani . M a tale virtù non si può confondere con la virtù morale : la quale non è indirizzata*a vincere ostacoli che si oppongano alle mani: ma è solamente quell'energia abituale dell'anima che signoreggia dolori e piaceri, schermendosi dai primi per non re starne vittima, e tenendosi lontana dai secondi per serbarne la freschezza. Ogni altra accezione del termine virtù è falsa, o equi voca,od esagerata(2). 37. Queste le linee principali della concezione etica bozzel liana: alla quale non si possono per certo negare ipregi della coe renza , del rigore e dell'acume filosofico. È vero che l'originalità si riduce a ben poco, quando si pensi alla dottrina di Adamo Smith (Teoria di sentimenti morali, 1759) e a quella di Helvetius ( Trattato dello spirito, 1758): delle quali è come una contaminazione. Dal l'una è tolta di peso la teorica della simpatia ; dall'altra il pretto edonismo e lo spiccato intellettualismo : e questi tre sono i tre ele menti principali e costitutivi dell'etica che abbiamo esposta.Ma è innegabile tuttavia,che il Bozzelli ha saputo fondere insieme que sti elementi e imprimervi uno stampo proprio, formandone un si stema ben organato e compiuto : tale che la letteratura contempo ranea francese e italiana non ha nulla da mettervi accanto.Con ciò, s'intende, non si dice che è tutto vero quello che il Bozzelli crede tale.Ma farne la critica sarebbe inutile ormai che quella po sizione è di lungo tratto oltrepassata. Era stata,anzi,oltrepassata prima che il Bozzelli pensasse a scrivere: ma in una parte della storia delle idee, che non entrò nella sua cultura di ideologo. (1) È noto quale importante parte all'educazione attribuisce l'Helvetius.Cfr.A Piazzi, Helvetius nel Dizionario illustr, di pedagogia dei proff. Martinazzoli e Credaro ; e l'arti colo dello stesso, Le idee filosofiche e pedagogiche di U. Adr. Helvetius, nella Rivista di filosofia scientifica del 1889. (2)Pag.430.    CAPITOLO

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