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Wednesday, July 28, 2021

Bozzelli: L'implicatura di Lucano

 Per quanto voglia rifrugarsi attentamente negli annali della letteratura latina, risalendo fino all'epoca in cui la con quista della Macedonia menò con altri Greci a Roma Polibio e Panezio , e per mezzo di essi fe’scintillare i primi raggi di una positiva coltura intellettuale tra quei feroci repubblicani, è difficil cosa il concepire quali fossero ivi le origini , quali segnatamente i progressi dell'arte tragica. Non possiamo di rettamente giudicarne da ciò che tentarono in questo genere Andronico e Gnevio , Ennio e Pacuvio , i quali precedettero il principato di Augusto ; perchè le loro opere non sono giunte insino a noi . Lo stesso è a dirsi relativamente a quelle che furono scritte alquanto più tardi , quali , a cagion d'esem pio , furono la Medea di Ovidio e il Tieste di Vario, con altre molte che le ingiurie de' tempi ci hanno ugualmente involate . Questo fatto notabile ci vien però attestato da Orazio , che alla sua età la moltitudine interrompea spesso ne' teatri la 394 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . rappresentazione di una favola tragica , per chiedere che se le desse invece a spettacolo un combattimento di fiere o una pugna di accoltellanti : ond' egli stimava che ciò scoraggiasse o distraesse i poeti dall'intraprendere quella carriera. Ecco i suoi versi all'uopo : Saepe etiam audacem fugat hoc terretque poetam , Quod numero plures , virtute et honore minores, Indocti , stolidique , et depugnare parali , Si discordet eques , medio inter carmina poscunt Aut ursum , aut pugiles: his nam plebecula gaudet. Il fatto dee tenersi per innegabile . Orazio lo afferma sto ricamente ; nè può supporsi ch' ei si piacesse di mentire in faccia a ' suoi proprii contemporanei , ed allo stesso Augusto , a cui quei versi erano indirizzati. Ci vorrà intanto esser per messo di non consentir di leggieri nella induzione ch'egli ne cava , dando quel disordine , vergognoso invero a un popolo incivilito , a motivo di scoraggiamento ne' poeti. È certo che una simile plebecula esisteva pur essa in Atene , quando la tragedia vi nacque ; e , gridando d 'impazienza che tal novità non avea niente a fare con Bacco , ella ben avrebbe gradito di veder piuttosto satiri, col volto intriso di feccia di vino , avanzarsi giocondi sopra ornate carrette per divertirla con racconti osceni e con ditirambi da ebbri . Non però Eschilo ne fu smagato. Forte del sentimento ardito che lo ispirava , e della profonda conoscenza che acquistato avea del cuore umano , ei seppe con la occulta seduzione operata da' suoi prodigiosi dipinti , innalzare il popolo insino a lui ; e riem piendolo di maraviglia e di stupore , obbligarlo ad accoglier le sue opere co ' più straordinarii applausi , per cosi produrre una rivoluzione istantanea nella maniera di sentire, non già guasta , ma non ancora educata , del pubblico , in fatto di tragedia. E un simil fenomeno fu osservato poco tempo dopo, rela tivamente alla commedia greca. Il basso popolo , avvezzo a udir sulla scena il licenzioso linguaggio Aristofane , e a vedervi rappresentate sconce o grossolane situazioni , benchè sempre condite di un lepore comico ammirabile , mal sof CAPITOLO OTTAVO . 395 ferse che Cratino , cangiando sistema per la ingiunzione delle nuove leggi che miravano a reprimere quello scandalo , gli offrisse a spettacolo più decenti orditi ; e un giorno andò fino a scacciarlo dal teatro con tutta la comitiva de' suoi attori. Chi non lancerebbe a piena mano i motteggi e il disprezzo su tanta corruzione di gusto e di costumi ? E questo esempio frattanto non valse a scoraggiar Menandro , il quale, creando la nuova commedia , la depurò delle antiche sozzure , e ne fu coperto di lodi . Il popolo adunque s'increbbe non del decoro dell'azione , perchè lo applaudiva in Menandro , bensi del poco senno e della insipidezza onde Cratino , che era un me diocrissimo poeta , si avvisò di adombrargliela : ed era natu rale , se non lodevole , ch' ei preferisse le lascivie che gli te neano sveglio ed ilare il sentimento , ad una decenza freddis sima che lo facea sbadigliar di noia . Or fu il citato disordine che impedi ad un Eschilo di apparire, o non piuttosto la man canza di un Eschilo che suscitò un tal disordine in Roma ? Questo problema non è sfuggito' a' critici moderni : e , benchè tutti lo abbiano riguardato da un solo aspetto , e non forse il più sicuro , ciascuno ha pur tentato di scioglierlo a suo modo. Interpretando a capriccio , ed oltre misura esten dendo il frizzo di Orazio , alcuni hanno attribuito quella penu ria di tragici presso i Latini alla grande ignoranza del popolo , il quale , avviluppato nelle sole abitudini di una vita pratica e materiale , non offria stabil presa a' poeti da esaltarlo ad alti concepimenti con lo spettacolo di azioni drammatiche . Altri ha soggiunto che ciò inoltre derivasse dall'affluenza de' tanti stranieri ammessi a cittadinanza , i quali aveano tras formata la città di Roma in un miscuglio informe di nazioni senza omogeneità nelle maniere di credere , di vivere e di sentire . I più arditi alfine , risalendo a cagioni ancor più uni versali, han pensato spiegar l'enigma con la mancanza presso che ivi assoluta di tradizioni eroiche, di abbaglianti remini scenze , di antichità remote , le quali , ricongiungendo l'ori gine delle umane razze a quella delle razze celesti , furono si feconde di nazionale orgoglio e di spontanee ispirazioni presso i popoli della Grecia. Esaminiamo in breve ciò che può es servi di falso e di vero in queste diverse ipotesi . 396 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . Innanzi tutto , allor che gli eruditi con si franco animo attribuiscono il difetto di tragici ne' Latini alla grande igno ranza del popolo , par ch' essi non abbiano presente di quella storia se non lo splendido periodo in cui le vacche di Evan dro ivano mugghiando non custodite per le strade ancor de serte di Roma. Se non che la curiosità dell'osservatore non è suscitata che dal vedere quel difetto continuarsi nel cosi detto secolo di Augusto , il quale vantò storici ed oratori e naturalisti e filosofi e giureconsulti di tanta eccellenza ; e pro dusse in breve spazio di anni nobili poesie di ogni genere , se non di conio eccelsamente originale, ritemprate almeno con felicità portentosa e con mirabile forza d'immaginazione. Quando dunque con la parola popolo non voglia significarsi una frazione infinitesima della società , quella pretesa igno ranza in tanto apogeo di coltura intellettuale rimane incom prensibile , come l'idea di un vasto incendio che si súpponga scoppiato senza materie combustibili atte a servirgli di ali mento . Ed a chi volesse limitar l'accusa ad un solo oggetto , domanderei , onde tanta cecità in quel popolo per la ' sola poesia tragica , in mezzo a tanto e si dilicato senso di ammi razione per tutte le altre arti gentili ? Noi ignoriamo alle opere drammatiche di qual poetonzolo il popolo impaziente facesse l ' oltraggio di cui parla Orazio . Quel si discordet eques, che questi non obblia d'indicarne a motivo , può interpretarsi in tante maniere ! .... È certo non esservi memoria che ivi fosse interrotta del pari la rappresen tazione delle commedie di Plauto e di Terenzio : ed è sopra tutto nota la lusinghiera accoglienza che il primo eccitava sempre da parte degli spettatori. Taluno ha preteso che ciò dipendesse dalle troppo libere immagini onde talvolta questo comico solea rifiorire il suo dialogo : ma , non essendo questa libertà da imputarsi al nodo de ' suoi orditi , è poco presumi bile ch'ei fosse unicamente applaudito per l'espressione licen ziosa degli ornati . Senza che il divulgato aneddoto , che un fre mito di assenso e di approvazione universale si levò un giorno nel pubblico , udendo dire a un personaggio teatrale , Homo sum , nihil humani a me alienum puto , prova interamente il contrario : anzi ci dà a divedere di qual gusto squisito e di CAPITOLO OTTAVO . 397 qual diritto senso morale fossero allora dotate le genti latine ; poiché quel motto , riunendo in sė poetica bellezza a filosofica verità , par dettato alle muse latine nella santa scuola di Ari stide e di Focione. In quanto al concorso degli stranieri ammessi a cittadi nanza , per effetto del quale si è voluto far di Roma una Ba bele , in cui per la diversità de' linguaggi l'uno per poco non intendea più l'altro, mi sia permesso di riguardarlo come una esagerazione di dati e di conseguenze ugualmente privi di rea lità . Allor che il dritto di cittadini romani concedevasi a in tere popolazioni , come avvenne a molte del Lazio e prima e dopo lo stabilimento della repubblica , queste non trasmi gravano subito , a guisa di mulacchie, per andarsi ad attendare nel recinto de'sette colli : e allor che si conferiva quel dritto a semplici individui , eran questi ordinariamente principi e magnati che il senato volea rendere a sè benevoli , soffre gando loro quel titolo reputato , come avvenne a tanti celebri Germani, Celti ed Iberi , i quali essi stessi non sempre lascia vano le loro patrie per dimorare stabilmente in Roma. Nella sola classe de servi , il numero degli stranieri era immenso per l'abuso delle conquiste : ma nè il teatro era instituito pe’servi o frequentato da servi, nè la potenza de liberti usciti del loro seno , che infestarono Roma delle loro turpitudini, appartiene al secolo di cui qui si tratta . Una massa di veraci e purissime antiche razze romane esisteva dunque in quel centro di universal dominio , a cui i tragici poteano indiriz zarsi con buon successo : e l'osservazione che siegue ne dará evidentemente la prova. I latini scrittori non ebbero tutti la culla alle falde del Tarpeo ; ne vennero dalle diverse regioni d'Italia , e sin dal l'Asia, dall'Africa dalla Spagna : ' e non dettavano al certo le loro opere ne' dialetti municipali o nelle straniere favelle 1 Cicerone , Vitruvio , Orazio , Ovidio nacquero in quel che oggi chiamasi regno di Napoli : Catullo , Livio , CornelioGallo , Virgilio , in quel che oggi chia masi regno Lombardo - Veneto : Plauto e Properzio nacquero nell'Umbria , Sal Justio ne' Sabini, Tacito in Terni , l'ersio in Volterra , Plinio il giovinc in Como : Fedro fu trace , Terenzio cartaginese ; e più tardi Columella , Seneca , Marziale , Lucano , furono spagnuoli , ec . BOZZELLI. 1 . 34 398 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . ch'essi erano stati avvezzi a balbettar nell'infanzia , ma in quella lingua nobile , purgata , numerosa , che , parlata gene ralmente in Roma , ogni di s’illeggiadriva e si magnificava nelle strepitose discussioni del fòro e della tribuna . Or come spiegar questo fenomeno allor che si niega ivi l'esistenza di un fondo, e di un fondo estesissimo di ingenua romana gente , la quale avesse quella rigorosa omogeneità nelle maniere di credere , di vivere e di sentire , senza cui una lingua nè sì forma, nè s'ingrandisce , nè si conserva ? Era dunque per incantar le orecchie de' non Latini , che quegli scrittori avean cura di esprimersi nel più gentile latino idioma ? era con la grammatica scarmigliata e con la mozza fraseologia de' Ger mani , de' Celti , degl'Iberi e de' Britanni di quella età , che si giudicavano meritevoli di elogio le tante sublimi opere di poesia , di storia e di eloquenza che videro ivi la luce ? E può mai supporsi composta d'ignoranti o barbari quella folla di popolo che , siccome Tacito narra , uditi un giorno in teatro alcuni versi di Virgilio , tutta si levò in piedi con entusiasmo spontaneo , e fecegli riverenza come se fosse stato Augusto ? Ne’ teatri di Roma erano stabiliti seggi distinti pe'con soli , pe’ senatori, pe' pontefici , pe' tribuni , pe' magistrati d'ogni ordine e d'ogni specie , e fin anche per le vestali ; chè sotto il principato di Tiberio troviamo un decreto del senato , con cui si conferisce a Livia il privilegio di seder tra le vestali negli spettacoli . E dee dirsi che i vecchi sopra tutto li fre quentassero ; essendo ivi legge antica , la quale obbligava i giovani , ovunque nelle sale degli spettacoli un vecchio si pre sentasse , a levarsi immediatamente in piedi , e cedergli il luogu per venerazione . Di questa massa principalmente for mavasi colà dunque il pubblico de' teatri : ed a questa massa dovea senza fallo aver Terenzio la mente , allor che asseriva non esser altro lo scopo di un poeta drammatico , se non quello di far gradire al popolo spettatore le favole ch'egli or diva ; onde esclamò nel prologo dell’Andriana : Poeta cum primum animum ad scribendum appulit , Id sibi negoti credidit solum dari Populo ut placerent quas fecisset fabulas. CAPITOLO OTTAVO . 399 Or io ripeto : era per lusingare un popolo di barbari e d'igno ranti che quel Cartaginese mettea tanto studio nel portar la favella de’ Latini al sommo della grazia e dell'eleganza , era per lusingar barbari ed ignoranti che Lelio e Scipione , rino mati a quei giorni per saviezza , per virtù e per credito , con fortavano questo poeta de' loro benevoli aiuti e de’ loro illu minati consigli ? È fuor di dubbio finalmente che ad attingere svariate ma terie di rappresentazioni tragiche i Romani ebbero anch'essi dovizia di memorie nazionali ed eroiche ; ove guerre di pas sioni , assedi di città, imprese di vendetta , mutamenti di sta ti , ratti di donne , e fratricidi e commozioni e rovesci e ma raviglie di ogni specie si succedono e si confondono ad im prontar di poetica grandezza le più lontane origini di quel popolo . Nè al mio soggetto fa ostacolo che quelle famose tra dizioni siensi trovate spoglie di storica certezza dalla nuova scuola in questo genere , che , aperta dal Vico in Italia , ė stata poi continuata dagli Alemanni. Verità o favole , storie positive o allegorie inventate per vaghezza di portenti , basta per me il sapere che eran generalmente divolgate e facean parte delle credenze pubbliche de' Romani a' tempi della loro intellettuale coltura . Per quanto infatti si tenga oggi per as surda la venuta di Enea in Italia , è pur vero nondimeno , e Tacito non isdegna di attestarlo gravemente , che la famiglia de' Giuli , perché supposta discendere da quel Troiano , si ri guardava di buona fede come del sangue di Venere. Le menti anzi con tal fervore si pascevano di siffatte finzioni, che dopo averle vagheggiate in quei vecchi canti rozzissimi che ne ser barono da prima le oscure reminiscenze , le videro un giorno con applauso universale rinfrescate di si egregi colori ne' qua dri dell’Eneide , la quale può da questo lato considerarsi co me un vasto tesoro delle più remote antichità latine . E se non vi ebbe tra’ Romani quella profusione di celesti discendenze onde i Greci avean abbellite le origini delle loro più insigni razze principesche , pur nondimeno una illusione prestigiosa , capace ivi d'imprimere forte movimento a tutte le facoltà poetiche , preoccupava tenacemente gli spiriti. E fondavasi nell'immagine di Roma , per memorandi oracoli ri 400 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . guardata come potenza eterna , invincibile , dominatrice; in nanzi a cui tutti i popoli della terra doveano tardi o presto piegar la fronte sommessi; che i numi stessi del cielo non aveano forza di abbattere ; che la religion civile avea riposta finalmente a simbolo d'immensità fra le tenebre misteriose onde nell’Olimpo era inviluppato lo stesso Destino . Sicché ad un Romano bastava il tenersi parte integrale di questa città per credersi di discendenza più che celeste , e trovar nell'esaltazione di cosi nobile sentimento l'alito animatore di tutte le grandi imprese nelle arti della pace , come in quelle della guerra. E a far della tragedia una creazione indigena , oltre all'abbondanza delle loro nazionali antichissime vicen de, oltre a quel fermento di orgoglio che l'immagine di Roma suscitava in tutti , i Romani ebbero il medesimo o pri mitivo impulso che per facili associazioni d'idee la fe ’ nascere dalle feste di Bacco ne' Greci; avendo pur essi posseduto in certa guisa i loro Epigeni e i loro Tespi negli autori di quelle rinomate favole Atellane , che veniano rappresentate sopra palchi ambulanti nelle pubbliche solennità . Rimosse adunque come false o mal distinte le spiegazioni addotte sinora intorno all'oggetto che ci occupa , e sino a quando da’ricercatori dell'antichità non ne sieno poste innanzi delle meglio fondate , a me non resta che di attenermi al nudo fatto , quello cioè che grandi e veri tragedi mancarono assolu tamente a Roma per trasportar l' animo anche de' più ritrosi nella sublimità di questo genere di produzioni ; e non conve nir quindi trattar con troppo di asprezza il popolo che osò far sene beffe . Nè poi questo fatto è realmente unico : chè lo veggiamo più volte ripetuto nella storia delle lettere moder ne . Or domando : trovandoci spiacevolmente arrestati dalla penuria di siffatte opere presso i Romani della età di Augusto, scenderemo noi ad attinger ivi contezza di quest'arte dal solo teatro di Seneca , apparso in tempi ne'quali, non che annien tata ogni reliquia dell'antica virtù , libertà ed altezza di so ciali condizioni , la stessa lingua che risonò con si dolce fre mito ne’versi di Catullo e di Orazio , di Lucrezio e di Virgilio , cra caduta quasi che pienamente nel fango ? In verità , se per avventura il popolo romano potesse ri CAPITOLO OTTAVO . 401 sorgere alcun poco da quel sepolcro che si erge smisurato al par di lui nella immensità de' secoli , e ricollocarsi gigante qual era nel periodo della sua letteraria grandezza , non so se oserebbe assumer senz' onta titoli di gloria per l'arte tragica , indicando unicamente codesto suo retore famoso , che rubò non saprei donde la maschera di Melpomene per introdursi sconosciuto nella schiera degli eminenti e benemeriti cultori di lei . Eppure , avendo egli acquistata una celebrità che nel suo genere assomigliasi di molto a quella di Erostrato , non è più concesso a' di nostri di tacerne , senza destar maraviglia ne' più timorati . Ognun rammenta che il Corneille , il Racine e l'Alfieri, benchè , grazie alla dirittura delle loro menti , uscissero incontaminati dalla compagnia di questo autore , non però sdegnarono di corteggiarlo : ognun rammenta che fra quei veterani dell'erudizione classica , i quali dal decimoquinto secolo in poi attesero con si lunghe vigilie a impinguar di chiose , di comenti e di elucubrazioni d'ogni specie tutte le opere de' Latini , i più valenti si fecero suoi campioni. Ma vi è alcun lume a trarre dall'autorità di questi ultimi , quando noi li veggiamo per troppa carità di patrocinio avvolgere i loro panegirici in mille ampollose stranezze , e storti giudizi ; e contraddizioni evidentissime ? Eccone in breve alcun passeg giero esempio. Giulio Cesare Scaligero sostiene che le tragedie di Se neca non sono per maestå in nulla inferiori a quelle di tutti i Greci , e che anzi per ornamenti e per grazia superano di molto le tragedie di Euripide . Questa bestemmia , uscita francamente dal labbro autorevole del patriarca de' dotti , non fu combattuta nel suo general dettato : ma i confratelli di lui della medesima scuola non si peritarono d'indebolir la , accapigliandosi bizzarramente fra loro per emendarla ne' particolari . Non si può senza rimanere attoniti percorrere quel che ne scrissero a vicenda Giusto Lipsio , Daniele Einsio, Giuseppe Scaligero , ed altri moltissimi che sarebbe infinito il citare . Uno trova la Tebaide si bella da crederla degna del secolo di Augusto ; l'altro prendendo scandalo di questo giu dizio , la estima indegna della stessa penna di Seneca . Questi antepone la Troade a quanto sul medesimo argomento ci ha 34* 402 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . uno , di più alto fra i Greci ; quegli la dichiara bruscamente opera di un poeta da bettola . Qui si esalta come magnifica l' Ottavia ; lå si deprime come la più vil cosa della terra . E avvisi di tal sorta , non pur diversi , ma del tutto opposti fra loro , baste rebbero da sè soli a spandere il discredito su quel teatro : pe rocchè il bello è come il vero ; e la natura doto gli uo mini , con più o meno di piezza , ma indistintamente tutti , della facoltà di scernerlo dovunque splende : sì che dissen sioni cosi risaltanti non possono altrimenti spiegarsi , che at tribuendole tutte a un inesplicabile delirio . Noi non vorremo a ogni modo , usando di un metodo che il buon senso condanna , nè accoglier cieche prevenzioni con tra il teatro di Seneca , sol perchè i giudizi che se ne fecero da molti sono fra loro contradittorii ; nè cercar troppo innanzi ne'motivi da cui que' giudizi medesimi derivarono in tempi ne' quali era vastissima l'erudizione , ma non ancor nata la critica . Astretti a parlarne un po' minutamente , non foss' altro per indicarlo a' giovani poeti come uno scoglio fu nesto , a cui senza pericolo di naufragio non è lor permesso di avvicinarsi , il nostro cammino intorno a questo autore sarà più spedito e più breve . Indagheremo da prima di qual tempra fossero le potenze costitutive del suo ingegno , le tendenze morali che il dominavano da presso , le filosofiche dottrine ond’ era inflessibilmente preoccupato , e qual necessaria in fluenza esercitassero le particolari circostanze del secolo in cui visse , a rafforzare ed estendere queste predisposizioni del suo essere . Scendendo in seguito all'esame imparziale de' fatti , ci avverrà forse di scoprire ch ' ei fu il discepolo ingegnoso nelle cui mani ebbero sviluppo ed incremento i germi delle innovazioni di cuiEuripide fu l'inventore ; e ch'egli pervenne ad esagerarle ne' più strani modi , a crearne delle più mo struose ed ardite , ed a svolger cosi l'attenzione pubblica dalle originarie bellezze ond'Eschilo e Sofocle aveano rivestito que sto ramo dell'arte . In assai fresca età Seneca era stato condotto di Cordova sua patria nella capitale del mondo ; e correano forse gli ultimi anni del regno di Augusto. Vi fece i suoi studii sotto la dire zione di quei celebrati retori e filosofi, i quali prendean CAPITOLO OTTAVO. 403 vanto d'insegnare a'loro allievi tutte le scienze umane e di vine : concutiebant foecunda pectora, ut inde omnigenas cogitationes exprimerent. Dotato di uno spirito severo , vi goroso , penetrante , abbracciò le dottrine della setta stoica che ancor predominava in Roma ; dedicossi alla carriera del fòro , ove acquistò riputazione di felice oratore , e mancò poco che un tal successo non gli riuscisse funesto , perchè suscitò le gelosie del frenetico Caligola. Fu avido di gloria e di sape re ; ma e altresì di onori e di ricchezze ; e a procacciarsi que st' ultimo intento gli era mestieri di un mecenate . Ne trovo uno efficacissimo in Domizio Enobarbo , rinomato a quei tempi per credito e per potenza , perchè del sangue de' Cesari : ed è fama che Seneca gli pervertisse la moglie , quasi a dargli un pronto attestato di riconoscenza per la protezione ottenutane . Se non che la nerezza di questo attentato pare attenuarsi nel rammentare che quella moglie fu Agrippina , il cui nome non venne mai registrato per avventura nel novero delle vestali : tal che non può determinarsi con sicurezza s'ei fosse il sedut tore o il sedotto . Ne’primi anni dell'impero di Claudio , accusato da Mes salina di aperta complicità nelle turpitudini di Giulia , nipote di quel principe , fu esiliato duramente in Corsica , fosse vera o non vera la sua colpa . Ivi compose il suo libro de Conso latione, in cui adulò bassamente l'imperadore , e lo indirizzò a un costui favorito liberto , perchè quei servili omaggi non si restassero ignorati e senza effetto : il che non impedi che più tardi , non avendo più cagioni da temerne , gli scrivesse contro una velenosissima satira . Non si potrebbe definir net tamente s'ei mentisse innanzi alla sua coscienza quando pro fuse le lusinghe o quando scagliò le ingiurie : è certo che , toccando in cosi brusca guisa i due opposti estremi , non mo strò di avere un culto troppo edificante per gl'interessi della virtù e della verità . Intanto Agrippina avea lanciato l'inco modo marito nella eternità ; e , divenuta sposa di Claudio suo zio , dopo l ' uccisione di Messalina , sua prima cura fu di ri chiamar Seneca dall'esilio . Reduce in Roma , ei fu accolto festosamente in corte , decorato delle insegne pretorie , e dato a precetlor di Nerone , il quale tenne a fortuna il poter ap 404 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . prendere da tanto maestro le scienze morali , le lettere genti li , e l'arte di regnare , a cui Agrippina sua madre occulta mente lo destinava . " Ignoro quai progressi facesse quel giovinetto eroe nella pratica della virtù : so che non ne fece molti nelle lettere , perchè fu pessimo poeta e scrittor da nulla : e si segnalò solo nella perizia del canto e della musica , che non gli furono cer tamente insegnati da Seneca. Quindi è che, proclamato impe radore ad esclusione di Britannico , più prossimo erede del trono , bisognò a Seneca dettargli le orazioni, le lettere , i re scritti da recitarsi o da inviarsi al senato : e divenne questa per lui una nuova sorgente di gloria , essendosi divulgato in Roma che que' lavori eran suoi , e che Nerone parlava imboc cato . La voluttà che egli traea da questo genere di distrazioni intellettuali , si trasformò subito per esso in cosi dolce abitu dine , che, avendo quel pietoso principe ucciso prima il fra tello e poi la madre , ei non seppe resistere al solletico di scri verne le apologie da comunicarsi a’ Padri, in nome di lui : e non già ch'egli approvasse quei misfatti, ciò disdicendosi a filosofo ; ma per non defraudar forse il popolo romano di una elegante perorazione in favor del fratricidio e del matricidio . Si può comprendere quanto ei si rendesse caro al suo augusto allievo per cotai servigietti , a ' quali aggiugnevansi quelli di essergli sempre intimo consigliere nelle alte cure dello stato , e talvolta per indulgenza verso la troppo fragile gioventù , anche mezzano in qualche intrigo d'amore con le sue liberte . Fu quindi colmato di ricchezze , che Tacito porta fino a trenta milioni di sesterzii; si fabbricò magnifiche abita zioni in villa ed in città ; tolse in isposa la bella Paolina ; e cercò di obbliare nell'opulenza i dispiaceri che gli cagiona vano i piccoli traviamenti a cui Nerone lasciava di tanto in tanto trasportarsi per eccesso di zelo in vantaggio del buon 1 Fu alla morte di Claudio , che Seneca , immemore de' mendicati favori , onde questi lo avea ricolmo , gli detto contra , sotto il titolo di Apocolokintosis , la satira di cui è detto pocanzi. Fa meraviglia che Agrippina potesse in questo li bello veder con tanta indifferenza smascherate le brutture di una Corte , di cui essa era l'arbitra . Ma vi si parlava della grand'anima di Nerone , il quale dovea succedere al defunto principe, come il più degno : e ciò spiega tutto l'enigma. CAPITOLO OTTATO . 403 ordine ; traviamenti che Seneca vedea col medesimo occhio del suo collega Burro , morens et laudans. Non per ciò i suoi principii stoici cambiarono d'indole ; anzi si tennero sempre incontaminati. Nuotando nelle ricchezze , scrivea su di una tavola d'oro con uno stiletto di diamante massime nobilissime in lode della innocente povertà : e , ritraendosi dalle stanze di Nerone , opere della più pura morale sgorgavano dalla sua intelligenza ad esaltare i preyi- della virtù e dannare il vizio all'obbrobrio de'secoli . Ma era Seneca veramente stoico ? Intendiamoci . La filo sofia stoica fu coltivata in Atene nella sua parte teorica e nella sua parte pratica . Que' savi che la professavano, aspirando a un cotal sommo bene di cui si erano formata un'idea miste riosa , spregiavano gli onori , le ricchezze , le delizie della vi ta , e viveano intemerati e paghi solo di quell'interno con tento che vien luminoso e spontaneo da una coscienza in pace con sè medesima . Da gran tempo era stata introdotta in Ro ma; e , per analogia di abitudini austere , vi fiori pura e splendida fino alla morte dell'ultimo Romano, il quale bestem miando la virtù per impeto d'indignazione , parve segnar quasi direi il cominciamento alla decadenza di quelle famose dottrine. La filosofia pratica di Epicuro , se non pur forse quella di Aristippo , sottentrava destramente a tenere il cam po : e ad assicurarle il trionfo concorreano tutte le volontà , quantunque per diversi motivi : chè quell' efferato Governo aveva interesse di evirar tutti gli animi con la corruzione, per comprimere gradatamente le forze politiche dello stato , e cosi dar base alla concentrazione di un poter unico ed assoluto : ed il popolo avea bisogno di sommergersi in tutta l'ebbrezza de' piaceri sensuali per non sentir l ' acerbo contrasto fra una servitù divenuta inevitabile , e una libertà , che , di fresco spenta , non erasi ancor tutta obbliata . Per quanto però la depravazione de' costumi fosse gene rale e progressiva , le rimembranze della filosofia stoica non erano poi del tutto cancellate : ne restavano ancora le teorie astratte , i pomposi dettati e l’esteriore affettazione de’modi : e quei ne faceva più solenne apparato che più tendeva precipito samente a seppellirsi in tutte le iniquità della vita domestica 406 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . e sociale . Pur nondimeno , quando sotto i successori di Augu sto le persecuzioni inferocivano , e Roma erasi trasformata in un miserando teatro di stragi e di rapine , lo stoicismo parve risorgere a metter vigore negli animi per un solo oggetto..... il disprezzo della morte. Il suicidio , quest'atto si altamente riprovato dalle più sante leggi della natura e della religione , rivesti la falsa maschera di una virtù , che per nuove malva gità di tempi fu abbracciata da moltissimi. Da prima fu ispi rato da tenerezza paterna . Le condanne per imputazioni poli tiche importavano la confisca de’ beni a vantaggio de’delatori : ma il senato pendeva per la regola che un individuo non per desse il suo patrimonio , quando preveniva la condanna con morte volontaria : si che , appena un Romano sentivasi accu sato , si affrettava subito ad uccidersi , per non gittare i suoi figliuoli nella miseria . E non vi era da nutrire speranze illu sorie ; perché la semplice accusa era in quei tempi una sen tenza di morte . Tiberio contraddisse ; dimostrò al senato esser quella una regola scandalosa ed assurda ; sarebbe mancato co' premii il coraggio a' sostegni dello stato ; e intendea con questo nome indicar le spie e i delatori . Questa prima cagione di strutta , non però i suicidi diminuirono in numero ed in fero cia : restava un altro non men potente motivo a renderli po polari ed onorati : quello cioè di sottrarsi all'infamia di cadere sotto la scure del carnefice . Accesi da questo sentimento che rammentava i bei giorni della romana fierezza, vedeansi uo mini, rotti ad ogni perversità , morir da forti dopo esser vi vuti da vili . Le storie latine son piene di siffatte risoluzioni che imprimono un particolar carattere di sopraumana costanza a quei popoli , e di cui non vi ha che pochissimi esempi presso gli altri popoli dell'antichità , anche de'più famosi e magna nimi. Erano anime maschie , gigantesche nelle virtù come ne' delitti , che riunivano in sè tutti i contrari : nobili pre cetti , azioni scelleratissime , vite degradate , morti eroiche e generose . Seneca fu stoico in questo senso , perchè in que sto solo senso lo furono tutti i suoi contemporanei. Or cer chiamo di ritornare al nostro proposito con un'altra general considerazione , che metterå suggello a tutte le precedenti . CAPITOLO OTTAVO . 407 ne , La fantasia non può supporsi disgiunta dagli affetti, dalle opinioni , dalle abitudini dell'uomo : chè anzi questa facoltà non sembra attinger vita se non dal concorso di tutti i feno meni sensitivi , i quali agiscono in essa per conferirle tempra e serbianze analoghe , e su i quali essa reagisce dal suo canto ad estenderne e rafforzarne l'indole : si che , immedesimati in un sol tutto indivisibile , rivestono in comune caratteri, at titudini e colori identici . Un essere morale non si forma inol tre da sè solo e indipendentemente dagli altri esseri di simil natura che lo circondano . Rarissimi sono i casi , ove pur ve ne abbia di positivi a citarne , in cui un uomo , ergendosi come gigante isolato sulla terra , ben altro che ricevere la menoma impronta dalle condizioni de' suoi tempi , sembra de stinato a comunicar loro le sue proprie fattezze , e a divenirne a un tratto l'arbitro e il modello. Nelle ordinarie occorrenze della vita , l'uomo , considerato sotto tal rispetto , può dirsi come il lento prodotto dell'azion progressiva che in esso eser cita il secolo in cui si trova ; onde , ritrattane in sé l'immagi ei lo rappresenta al vivo nelle sue moltiplici maniere di vivere e di sentire . Seneca , non ostante il suo fortissimo e riflessivo inge gno , era precisamente di questa tempra ; e non avea in se nulla di straordinario che lo rendesse capace di luttar con le circostanze per imprimer loro una direzione più alta . Mancava sopra tutto di quel carattere d'indipendenza che la storia ci mostra come dote inerente a tutti i grandi poeti. La condotta che ei tenne con Claudio lo prova ; e in quella cheadottò con Nerone , vi è peggio . Non arrossendo in prima di asserire che Nerone col suo regno lietissimo avea fatto obbliar quello di Augusto , andò poi sino a chiamarlo amantissimo della veri tà , modello d'innocenza , benevolo e clemente a'suoi stessi nemici : e non seppe scuotere la polvere de' suoi piedi , e ri trarsi da quella fogna di nequizie , se non quando la morte violenta di Burro gli fe' prevedere la sua , e sentir la neces sità insuperabile di rassegnarvisi . Quindi la sua fantasia , svi luppata e quasi direi nutrita in mezzo a tante nefandigie, non poteva esser troppo abile a sfangarsene per trasportarsi in altri elementi, e vagheggiarvi la creazione dal suo lato pill 408 DELLA MITAZIONE TRAGICA . splendido. Egli stesso par che fosse ingegnoso a spezzarne le ali con quella sua trista inclinazione ad ammassar tesori : per chè lo veggiamo accusato in Tacito di rapace , e in Dione di prestatore ad usura. E se queste imputazioni son false , con vien dire almeno che il suo procedere fosse tale da dar facile presa a simili calunnie. Basterà dunque collocarlo nella sua propria sfera per riassumere in brevi detti quali esser potessero le disposizioni del suo spirito nell ' intraprendere la carriera tragica . Vide i principati di Tiberio , di Caligola , di Claudio e di Nerone : e questo nobile quadrumvirato non era certamente fatto per ispi rargli nozioni troppo rallegranti sulla dignità della natura umana. Ovunque ei volgesse lo sguardo , non iscopriva che orrori; e profondo indagatore qual erasi delle più occulte pas sioni del cuore , non ravvisava intorno a sè che depravazione di sentimenti , sete d'oro e di dominio , tendenze alla ven detta ed alle stragi, tanto da non poter egli rappresentarsi l'uman genere, se non come una congrega di mostri , bale strati sulla terra dal genio del male , perchè vi si divorassero a vicenda. Preoccupato quindi come attore e come spettatore più nella conoscenza degli uomini che in quella dell'uomo, egli dovea per necessità sentirsi tratto a rigettare in un mondo d'illusione ogni specie d'infortunio , che , derivante da for tuiti casi , potesse rannodarsi poeticamente alla segreta in fluenza di una fatalità invisibile : e a non veder quaggiù di positivo e di reale se non delitti e virtù in contrasto , carne fici e vittime in azione , e sempre il più debole schiacciato con perfidia o con violenza dal più forte . Non altrove in fatti che su queste basi egli attese ad innalzare il suo tra gico edifizio . Determinata cosi l'idea fondamentale che dovea servir di unico anello agli orditi , era geometricamente inevitabile che a riempirli con analoga successione di parti , gli fosse pria d'ogni altro mestieri di spingere ancor più oltre il sistema di conferire intensità concentrata alle situazioni , a' caratteri ed agli affetti, onde in tal guisa tutto concorresse ad isolar le im magini per rappresentarle ne' loro nudi e più rilevati contor ni . Quindi nelle sue sceniche figure vi ha sempre , se cosi è CAPITOLO OTTAVO . 409 permesso di esprimersi, un esagerato lusso di anatomia , ed una secchezza di commessure che colpisce e non incanta : nulla è in esse tracciato sopra linee ondeggianti , ove l'occhio possa riposarsi con equabile digradazione di movimenti ; nulla è la sciato ad arte nelle ombre da esser supplito dalla fantasia dello spettatore. La materia de' suoi componimenti, definita per ciò appunto sin da' suoi primi sviluppi con metriche dimensioni, e le più volte attinta più da' tesori della scienza che da quelli della poesia , non poteva allora che rivestire forme rigide , scarne e prive di calore e di vita ; perché non si riferiva ad alcuna flessibile immagine che dominasse da lunge a spander vaghezza ed armonia di variati colori ne' suoi dipinti. E ciò spiega nettamente il biasimevole abuso che ei fe'de' monologhi , in cui talvolta si avviene a comprender l'esposizione intera di una tragedia. Il monologo è certamente in natura. Quando le passioni fermentano , l'uomo si piace a disvelare a sè stesso i sentimenti da cui la sua anima è coster nata ; e riesce così a comprimerne o a rinfiammarne l'impe to , secondo che la ragione esercita in esso un impero più forte o più debole . Ma questa rivelazione ha pur essa le sue leggi rigorose ed inviolabili . Perché abbia luogo , bisogna che in quel momento gli affetti si trovino in un certo stato di equi librio e di moderato temperamento che loro permetta di rive stir forme possibili di linguaggio . Per l'opposto , le passioni attualmente in tumulto sono mute ; perchè aggorgandosi con veemenza per le vie dell'anima , la rendono incapace di espan dersi di fuori e di manifestarsi con altra eloquenza che con quella di un convulsivo silenzio : sopra tutto quando esse son prossime a risolversi in atti esterni , perchè allora si opera e non si parla ; e l'azione scoppia in tanto più spaventevole , in quanto fu meno preceduta da quella loquacità importuna che l'annunzia più romorosa che devastatrice . È sol quando mo strasi grave di calma passeggiera e bugiarda , che la tempe sta minaccia una più desolante rovina. A ciò si aggiunge che la rivelazione degl ' interni affetti è propria dell'infelice e non del colpevole : poichè il primo , as sorto ne’dolori che gli vengono da vicissitudini accidentali ed estranee , sembra ne' suoi solitari lamenti voler interrogare BOZZELLI . - 1 . 35 410 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . Dio e l'universo intorno alla cagione de' suoi infortuni; dove il secondo , il quale opera per impulsioni di volontà consapevo le , apprestasi a compiere il meditato delitto, ma rifuggendo sempre dal trovarsi troppo in presenza del suo delitto ; altri menti se gli solleverebbe la coscienza , e le più volte sarebbe distolto dall'iniquo disegno diconsumarlo. Quindi avviene che in questo ultimo caso il personaggio è tratto sovente a discor rere con sè stesso , non di affezioni, ma di avvenimenti : e questo in poesia drammatica è un assurdo ; perchè gli avve nimenti sono di loro essenza inalterabili, e , considerati nu damente in sè medesimi , non ribollono mai nell'anima a segno da indurci a rivelarli partitamente a noi stessi per alleviarne il peso. Or si osservino da presso i monologhi di Seneca : sono spessissimo declamazioni fuori natura , det tati da intemperanza prosuntuosa di far pompa di parole , o di narrar fatti che il poeta non sa rinvenir mezzi migliori da comunicare al pubblico ; e agghiacciano la immagina zione , perchè interamente privi di convenienza e di verità poetica . Si richiedea l'occhio penetrante di Aristotile per disco prire che in Euripide i cori deviavano talvolta dalla loro bel lissima ed originaria istituzione ; ma non vuolsi tanto corredo di sagacità per discernere ne' cori di Seneca un simile difetto ; perchè vi è portato sconciamente all'estremo , e snatura l'in dole di questa preziosa macchina teatrale per cosi ridurla scientemente ad un vano frastuono di cantici estranei all'azione rappresentata . Sono ivi d'ordinario introdotti a tener veci di sinfonie per indicare i trapassi da un atto all'altro ; e quindi senza alcun legittimo scopo in quanto al fondo dell'arte ; se già non fosse per dar pretesti all'autore di sfoggiar la sua abilità nella lirica . Nè vorrò qui ripetere a lungo quanto dissi nel precedente capitolo intorno alle cagioni che spogliarono il coro tragico , si efficace ne' due primi Greci , di ogni specie di drammatico prestigio . Basti aver sempre innanzi agli occhi , che questo era un danno inevitabile per qualunque poeta , il quale , pari al tragico latino , tendesse unicamente verso un genere di immagini esclusivo di ogni conforto di pompa e di espansione . Non potendo io cessar mai d'insistere sopra un og CAPITOLO OTTAVO . 411 getto che reputo importantissimo , mi sia dato di riassumerne per un'ultima volta il senso . Lo spettacolo delle sventure , dipendenti da' casi della vi ta , eccita , per l'infelice che ne soffre , una serie di compas sionevoli simpatie , le quali si prolungano di là da' recinti del teatro , e si risvegliano con forza tutte le volte che noi ci fer miamo a riflettere sul nulla della condizione umana : per con seguenza i cori riescono splendidissimi ed utili a preparare , ad accendere ed a protrarre quelle tumultuose affezioni che il poeta seppe far nascere in altri . Per l'opposto , lo spetta colo della distruzione del più debole derivata dalla malvagità del più forte , eccita meno simpatie di pietà per l'oppresso , che sentimenti di abbominio per l'oppressore : e queste non son durevoli , perchè richiamano a non so quale immagine di desolante necessità , la quale concentra l'anima in sè stessa , e non lascia luogo alla fantasia di svagare in alcuna idea di possibilità che la vittima avesse potuto sfuggire al carnefice : quindi allora non vi è alcun partito a trarre dall'intervento de' cori ; perchè le passioni odiose non han nulla di effusivo da esigere imperiosamente che si dispongano personaggi in termedi per farle passar con rapidità e veemenza nell'animo degli spettatori . Non vi ha dubbio esser questi propriamente difetti che appartengono alla sola esecuzione : ma io non mi sono tratte nuto alquanto ad indicarli, se non perchè li veggo suggeriti dalla stessa particolare idea che l'autore si elesse a guida , ed a cui si ricongiungono strettamente come necessari effetti di una cagione aperta ed immutabile. E non da altro fonte derivò pure quello smisurato lusso di motti , di sentenze e di arguzie , di cui Seneca si piacque d'ingemmare con tanta pro fusione le sue tragedie , le quali da questo aspetto rassomi gliano ad una collezione di aforismi spessissimo empi e sto machevoli. L'asprezza delle situazioni si presta difficilmente ad una calda ed espansiva magniloquenza ; e sembra esigere di siffatti modi saltellanti di linguaggio , che dieno scolpiti ri salti ad attitudini si rigorosamente stentate . Nè gli era biso gno di molta tensione di spirito per rinvenirne in abbondan za : bastava frequentar , come lui , le anticamere de'potenti, 412 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . per ammassarne de' più spaventevoli , si veramente che ne' suoi personaggi vien rappresentata piuttosto la natura de' Latini de' suoi tempi , che la natura umana in generale : e in cotal guisa perdė fin anche il merito della invenzione . Procuriamo di somministrarne in breve una prova. Quel suo celebre si recusares , darem , dato in risposta da un principe malvagio a chi gli chiedea la morte per uscir di tormenti, non è in sostanza che il feroce motto di Tiberio , il quale osò dir freddamente a coloro che gli domandavano in grazia di far perire un Romano ch'ei perseguitava : Adagio ; non l'ho ancor perdonato . Quel detto del suo Atreo : Mise rum videre volo , sed dum fit miser , appartiene di diritto a Caligola , il quale prendea diletto ad assister personalmente alla tortura delle sue vittime , per pascere i suoi sguardi nel veder messe in pezzi le loro membra : e sdegnavasi contra i car nefici che non erano abbastanza lenti nella esecuzione de' loro nefandi incarichi : e Seneca dovè udirlo più volte dallo stesso Nerone , il quale non ordinava l ' assassinio di un infelice , se non dicendo à' suoi satelliti : Fategli sentir la morte ; tal che nella congiura di Pisone un suo sgherro si vantò di aver tronca la testa di un cospiratore con un colpo e mezzo. Quell'ini quo tratto della sua Medea , Perfectum est scelus — vindicta nondum , era l'espressione favorita di tutti mostri che da Silla in poi aveano insanguinato Roma. Se si confrontassero alfine le sentenze di Seneca con quelle qua e là rapportate da Tacito e da Svetonio , si troverebbe ch'esse in gran parte sono di origine storica , più che formate dalla sola riflessione del tragico . Nė la ricca merce che in questo genere gli offrivano i suoi contemporanei, gli era pur sufficiente : spigolava ne' Greci at tentissimo ; e dovunque scorgea una massima atroce , era in gegnoso ad annerirla più oltre per appropriarsela. Euripide , a cagion di esempio , fe’ dire ad Eteocle nelle Fenisse , che se per possedere un trono bisognava violar la giustizia, era pur bello il divenire ingiusto : massima che il buon Cicerone dolevasi di udir sempre ripetere da Cesare , come se Cesare avesse potuto aver massime di diversa specie . Ma Seneca la trovò gretta e leggiera : una semplice violazione della giusti CAPITOLO OTTAVO . 413 zia avea per lui certo che di vago e d'indeterminato che non rilevava troppo l'orrore della immagine : gli bisognò quindi ritoccarla per darle maggior precisione ; e fe' dire più netta mente a Polinice : Pro regno velim patriam , penates, coniu gem flammis dare. Per la patria e i penati s'intende ; rap presentano il capro espiatore di tutte le colpe d'Israele : ma quella povera Argia che gli avea somministrato un esercito floridissimo, avrebbe mai potuto credere che il tenero marito fosse disposto in ricompensa a gittarla tutta vivente nelle fiamme per ottenere un trono ? Non per ciò Seneca mancò sempre di altissimi dettati . Quel Siste ne in matrem incidas, profferito dal cieco Edipo, allor che dopo la morte di Giocasta ei brancolando cercava una via per uscir di quella reggia contaminata , esprime un terror profondo di cui è difficile immaginar l'eguale . Si è tanto ammirato quel Medea superest , imitato in seguito con tanta felicità dal Corneille : ma ne' frammenti che di lui ci ri mangono delle Fenisse , vi è un tratto di simil natura che a me sembra non meno poetico ed eloquente. Antigone , per metter calma nell' esule padre , gli dice affannosa : nell' uni verso intero che più ti rimane a fuggire ? Me stesso , risponde Edipo con fremito disperato . Ed è immagine bellis sima , perchè disvela come lampo tutta la tremenda condizione di quell' infelice famoso. Nella stessa tragedia , Edipo , volendo nell'eccesso del suo delirio uccidersi , sollecita Antigone a porgergli il ferro col quale ei versò il sangue paterno ; ed ac cortosi del silenzio di lei , esclama con impeto : hai tu quel ferro , o i miei figli lo han conservato per essi con la mia corona ? E questa terribile e veramente tragica idea riceve lume dagli amari motteggi , ond' ei riversa le sue imprecazioni sugli empi fratelli, che , dopo averlo bandito del regno , sel contendeano fra loro con le armi : Me nunc sequuntur : laudo et agnosco lubens..... Exbortor aliquid ut patre hoc dignum gerant..... Agite , o propago clara ; generosam indolem Probate factis ..... Frater in fratrem ruat.... Ciò prova senza equivoci che, almeno nel linguaggio , Se 35 414 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . neca non mancò al certo di bei momenti di forza . Ma che va le ? È forza d'un ingegno fantastico ed intemperante , che non conosce modi , non ammette leggi , e confonde spesso il su blime con lo strano . Perocchè talora , imbattendosi in un alto concepimento , non gli giova esprimerlo d'un sol tratto ; ei vi ritorna le mille volte , lo stempera in mille diverse guise , ne amplifica le forme con mille ricercati contorni , ed an nientando gli effetti di prima impressione , produce sazietà e disgusto : tal altra , per troppa smania di dire e di ripetere e di girar lungamente intorno ad un medesimo dettato , inciampa senza far colpo , e va sino a render puerili e ridicoli i più tra gici caratteri ; perchè le immagini di spavento ch' ei cerca di eccitare , si risolvono allora prestamente in concetti ed in arguzie di spirito , e da'concetti e dalle arguzie si passa a poco a poco a vere scene di farsa . Nè vi ha uopo d'indagarne al trove la cagione che in quella perenne boria di mostrarsi nuovo ad ogni costo , e di prender dagli aridi campi di una prevenuta intelligenza quel che non sa troppo facilmente rin venire ne' regni fertilissimi di una spontanea immaginazione. Siemi concesso di trarne un solo esempio dalle medesime Fenisse. Edipo annunzia di voler morire; ma non per le ragioni che altri per avventura supporrebbe: ama le tenebre , e desi dera procurarsene di foltissime nella notte del sepolcro , per chè quelle della sua cecità non gli sono abbastanza profonde. Antigone piange in udir questa risoluzione ; non si costerni dunque l'amata figlia ; non più si muoia ; eidecide di piantarsi ritto sul pendio di una rupe a proporre indovinelli a’ viandanti. A questo nuovo disegno le lacrime di Antigone si aumenta no , perchè vede allora nel padre , non più indizi di cordoglio , ma di demenza ; si consoli dunque la infelice , non si rinnovi la storia della sfinge. Si crederà forse ch'egli le promet tesse di sopportar con dignità e rassegnazione la sua sventu ra ? No : per render la calma a quella sconsolata donzella , e darle ampio attestato della sua riconoscenza , ei le offre di volere a un cenno di lei traversare a nuoto l’Egeo , e andare a raccogliere nella sua bocca tutte le fiamme dell'Etna. Hic OEdipus ægæa tranabit freta , CAPITOLO OTTAVO . 415 Jubente te ; flammasque , quas siculo vomit De monte tellus igneos volvens globos, Excipiet ore. Or non doveva essere per Antigone un gran principio di con forto , udendo il cieco padre che per diminuire le angustie di lei vuol mostrarle di possedere il coraggio di Leandro e i pol moni di Encelado ? Seneca finalmente sentiva in astratto , che non è poesia dove non è pompa d'immagini ; e che la stessa semplicità , piuttosto che nuocere alla pompa , concorre a renderla più splendida e più evidente . Se non che obbliava che questo in dispensabile pregio di esecuzione prende la sua prima radice nell'indole stessa del soggetto , il quale spontaneamente la produce , come fiore ingenerato dal successivo sviluppo del germe che ne contiene in sè le forme vaghissime, benchè in visibili all'occhio nudo : ond'è che dove il soggetto non ne somministri gli elementi , il poeta si studia invano di crearla per sua sola opera dal nulla ; specialmente allor che le dispo sizioni del suo animo lo traggono ad abbandonar le illusioni della fantasia per tutto concentrarlo nella sollecitudine di sfog giar dottrine e di annerir la natura . La sua infatti riesce sem pre pompa di esteriore apparenza , 0 , per dir meglio , pompa sovrapposta e forzata , che, non ricongiungendosi per alcun legame al fondo dell'idea , degenera sovente in apertissima stravaganza , e vien come clamide imperiale, che, gittata sulle spalle di un satiro , contribuisce meno ad abbellirlo , che a farne risaltar più oltre la villana difformità . Ne addurremo più giù gli argomenti di fatto incontrastabili . Ei tolse tutti i soggetti delle sue tragedie dalla mitologia greca ; nè l'Ottavia fa eccezione , perchè ormai gli eruditi convengono non esser sua. A raggiugner però quelle situa zioni richiedeasi il volo dell'aquila ; ed il tragico latino avea per avventura un manto di piombo ancor più grave di quelli che Dante pone addosso a una schiera di dannati . Per valu tarne il merito in complesso , giovi poter distinguere anche in lui tre diverse maniere di concepire e di dipingere i suoi qua dri. Allor che il soggetto era di tal condizione fitta ed inva 416 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . riabile ch'egli non potea da verun canto cangiarne l'idea pri mitiva , s' industriava di farne un'amplificazione da collegio , e di acquistare in una specie di morbosa gonfiezza quel che dovea necessariamente perdere in forza ed in elevazione : e fu questo particolarmente il caso dell'Edipo. Quando alcuna materia se gli offriva da esagerare a suo modo l'immagine del delitto , ei sentivasi nel suo vero elemento a dar libero corso alle sue predilette tendenze : e ne diè prova nel trattar la Me dlea. Piacendosi alfine di spingere all'estremo la dipintura delle atrocità meditate , riprodusse il Tieste , quasi a chiuder la strada che altri confidasse di sorpassarlo in questo mo struoso genere. L'esame analitico di queste tre sole fra le sue tragedie giustificherà quanto finora si è detto intorno alla in trinseca tempra di questo autore . Edipo. Se un contagio sterminatore non si fosse ma nifestato in Tebe , che obbligo di ricorrere agli oracoli per ap prendere i mezzi di porvi un termine , i casi di Edipo non si sarebbero mai scoperti. Quindi Sofocle, nella magnifica espo sizione della sua tragedia su questo soggetto , parla di quel flagello , ma in poche linee : il sacerdote non ne fa menzione al re che a solo fine di spiegargli il motivo per cui tutto il popolo è accorso in atto supplice a implorare i consigli e l'aiuto del savissimo de'principi . Seneca per l'opposto , ob bliando esser quello un incidente su cui non bisognava molto fermarsi , giudicò necessario d'impiegar tutto il primo atto del suo tessuto a una minuta descrizione della peste onde la città è tribolata . Edipo , dopo aver accennata la maledizione che pesa sul suo capo di divenir parricida e incestuoso , senza che alcun ordine d'idee ancor lo esigesse , togliesi di raccon tare a Giocasta , che dovea pur supporsene istruita , i feno meni meteorologici onde quella calamità pubblica era disgra ziatamente accompagnata : calori eccessivi , calme soffocanti , torrenti disseccati , campagne isterilite, tenebre profondissi e in mezzo a questo disordine degli elementi , prodigi straordinari, apparizioni di ombre , spiriti ululanti la notte sull'alto de' tempii , e simiglianti. — Usciti appena di questa prolusione di fisica sperimentale , l'autore ci introduce in una sala di clinica, menando il coro con una descrizione patolo me : CAPITOLO OTTAVO . 417 gica della peste a fare una mala giunta a quella di cui ci gra tificò Edipo. Gli spasimi , le convulsioni , le febbri, l'abbatti mento delle forze , i gavoccioli , e fin la tosse che affligge gl' infermi, somministrano materie al suo canto : nė vi man cano pure i portenti : perchè le fontane versano sangue invece di acqua , forse per alcuna chimica trasformazione operata dagl'influssi del pestifero contagio . Creonte , che era stato inviato a consultar l'oracolo , giu gne al secondo atto per dire al re , che , a cessar que’mali, era volontà de’numi che l' uccisore di Laio fosse punito : nė tras cura di narrare a lungo le difficoltà incontrate dalla Pitia per destar lo spirito profetico nel suo seno e dare i responsi analoghi alle domande. Mentre il re lancia , come in Sofocle , le sue tremende imprecazioni contra il colpevole , il cieco Tire sia , seguito dalla sua figliuola Manto , che gli serve di scorta , vien sulla scena , non si sa da chi chiamato , traendosi dietro altri ministri di tempii con un toro e una giovenca per fare un sacrifizio ..... nella reggia : e richiesto del nome dell'omi cida , protesta di non saperlo ; ma i numi glielo rivelerebbero mediante quell'olocausto . La cerimonia è immediatamente disposta ; e le particolarità che l'accompagnano , benchè visi bili a tutti , pur vi sono minutamente notate per mezzo di lungo dialogo tra l'indovino e la figlia , pieno di mistiche al lusioni a' futuri casi di Edipo e di Giocasta , e fin di Eteocle e Polinice , che son personaggi estranei all'azione . La fiamma del rogo scintilla de' più variati colori , ed è solcata di strisce sanguinose ed insolite , si divide in due da sè stessa , ed oltre ogni espettazione si spegne prima che le manchi l'alimento. Il vino offerto in libazione si cangia in lurido sangue, e globi di fumo si spiccano dall'altare e van rotando intorno al dia dema del re . La giovenca cade al primo colpo della scure ; ma il toro spaventato sembra fuggir la luce del sole ; e men tre stenta a morire , il sangue che gli sgorga dalle ferite , spandesi a coprirgli gli occhi e la fronte. Le viscere sono aperte alle vittime per leggervi il gran segreto : ma nulla vi si scorge al suo luogo , cuore , fegato , polmoni , tutto è in dis ordine : le leggi della natura vi appariscono violate : la gio venca inoltre ha concepito , e il frutto che porta nel ventre , 418 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . é extrauterino ; fenomeno di cui Manto pare istruita più che a vergine si convenisse. Compiuta però questa dimostrazione anatomica , il re crede invano aver tocca la meta de' suoi desiderii con la sco perta del reo ; quel romoroso apparato di strane investiga zioni fu opera perduta : Tiresia dichiara esser tuttavia al buio della verità , e quindi bisognargli evocar da' regni della morte l'ombra stessa di Laio che gliela riveli. Ei parte infatti per adempiere in luoghi solitari questa specie d'incanto magico: e Creonte , che con altri fu deputato ad assistervi , ritorna ed apre il terzo atto col racconto di tutto ciò che quivi era avve nuto. Poco lungi da Tebe è una selvaggia boscaglia : ei ne descrive la posizione , gli alberi , le acque , e fino i venti che vi dominano. Tiresia ordina che vi si scavi un ampio fosso , che vi s'innalzi sopra un rogo , e vi si gittino molti animali in sacrifizio con le consuete libazioni di vino e di latte , men tr' egli intonando lugubri carmi con voce minacciosa , invoca gli spiriti ad uscir fuori dell'Erebo. Si odono allora urlare i cani di Ecate ; la terra trema; e sprofondandosi apre le vora gini dell'abisso , in fondo al quale si veggono le pallide divi nità infernali passeggiar confuse con le ombre ; e con esse le Furie armate di serpi , i fratelli nati da' denti del dragone di Dirce , la Sfinge che fu flagello di Tebe , e tutti i mostri spa ventevoli che abitano quel nero soggiorno. A cosi tetro spet tacolo gli astanti sono inorriditi : ma Tiresia , intrepido sem pre , invoca con maggior forza gli spettri , che a torme innu merevoli arrivano volando sulla terra , e si spandono con fre mito, lungo la selva. Ne sono indicati i nomi come in una rassegna di eserciti : e lo spettro di Laio , che sfigurato dalle ferite è l'ultimo ad apparire , annunzia infine con voce tre menda , che a rimuovere i disastri di Tebe , doveasi cacciarne Edipo , ad espiazione di aver egli ucciso il padre , e di essersi congiunto in matrimonio con la madre . Udita la narrazione di tanto prodigio , il re costernato esclama esser falsa l'accusa , perchè suo padre Polibo ancor vive , ed egli è lontano dalla sua madre Merope. Quindi sospetta che sia quella una calunnia di Tiresia per torgli lo scettro e darlo a Creonte , cui altresi ca rica di rimproveri e minaccia di morte. CAPITOLO OTTAVO . 419 Si osservi di passaggio che questo sospetto è ragionato in Sofocle , perchè l'accusa vien dal labbro di un uomo qual è Tiresia : ma in Seneca è stolto , perchè quella rivelazione è fatta dall'ombra stessa di Laio che tutti hanno udita. Intanto Edipo , compreso di cruccio e di terrore , ricomparisce al quarto atto con Giocasta ; e chiesti nuovi schiarimenti sulle circostanze della morte di Laio , sovviengli di aver egli ucciso un uomo pria di condursi a Tebe ; e mentre alle risposte di lei i suoi timori si accrescono , un vecchio pastore corintio sopraggiugne a dirgli che Polibo avea cessato di vivere , e ch'egli era invitato ad occuparne il trono . A questo annunzio ei si piace che l'oracolo da cui fu minacciato di divenir parri cida , siesi pienamente smentito ; ma , temendo egli tuttavia l'incesto , il vecchio lo affida , svelandogli che Merope non era sua madre , e ch'ei , ricevutolo bambino da un pastore di Tebe , lo fe ’ adottare in quella corte . Quest'ultimo è appellato per dichiarar la nascita di Edipo , e tutto alfine si scopre come in Sofocle . Al quinto atto un messo accorre a narrare che il re, dopo aver percorso da furioso la reggia , avea risoluto in prima di uccidersi : ma poi , avendo meglio e più filosoficamente pe sate le cose , erasi contentato di strapparsi gli occhi; e che , fatto cieco , ancor levava in alto la testa per assicurarsi s' ei lo fosse interamente , stracciando una per una le fibre che nelle cavità nude gli rimaneano , per impedir forse che qual che filamento muscolare non si trasformasse in nervo ottico a dar passagio alla luce. Edipo stesso apparisce in questo de plorabile stato ; e Giocasta gli è a fianco per convincerlo che i suoi delitti erano sola opra del fato : se non che alle voci di lui, che inorridito cerca di allontanarla da sè , delibera an ch'essa di morire. In qual parte del corpo le conviene intanto ferirsi ? Quistione essenziale in tanta circostanza ; ond' ella la esamina con logica rigorosa , e si colpisce al ventre , che die ricetto a un figlio divenutole marito . A questo nuovo accidente Edipo riconosce sè stesso doppiamente parricida, avendo la sua disgrazia provocata la morte anche della ma Nell'Ercole all Eta di Seneca , Deianira propone presso a poco a sè stessa le medesime quistioni prima di uccidersi . 420 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . dre : e disperato abbandona la patria , invocando tutti i mali di Tebe a seguirlo nel suo esilio . Se per una di quelle insensate pratiche , usate nelle vec chie scuole di rettorica , un giovine studente fosse stato inca ricato dal suo maestro di fare un'amplificazione a sua guisa della greca tragedia di Edipo , io non credo che il mal senso delle descrizioni estranee all’azion fondamentale avesse po tuto esser spinto più oltre . Era serbato a Seneca il sommini strar compiuti modelli di siffatta specie di mostruosità : nė chiunque ha fior di gusto e di senno esigerà che io m'impacci a provargli un difetto sì aperto con appositi commentari; ba stando la nuda esposizione dell'ordito a convincerne senza più anche i meno veggenti . Un critico francese ha cercato di giu stificarne l'autore , allegando che quelle opere teatrali non erano destinate alla rappresentazione ; e che in conseguenza il lusso delle descrizioni eterogenee avea per iscopo di ren derne meno inefficace la lettura in alcun privato crocchio di conoscitori , ove soleano venir declamate . Se non che la tra gedia è un particolar genere di poesia che ha le sue leggi sta bili e determinate : e non mi consente la ragione che queste leggi nella tragedia letta , possano esser diverse da quelle re putate indispensabili nella tragedia rappresentata. Quando uno e fisso è il genere , non può esso andar soggetto a variazioni pel vario ed accidental modo di darne conoscenza altrui . Se il poeta estimava che le ampollose descrizioni , bene o mal coerenti a un tragico tessuto , fosser le sole che avesser potuto fare impressione in un'adunanza di ascoltanti oziosi , potea comporne a suo bell'agio distaccate con titoli convenienti, senza contaminarne un'arte che non è fatta per accoglierle . Sarebbe cosi divenuto il precursore di Stazio , lasciando una collezione di Sylvæ , più o meno sopportabili, in luogo di scene tragiche meravigliosamente insopportabili. Medea . Sin dalle prime scene , sentendosi tradita e derelitta , Medea non respira che sangue ed eccidii : ma gli eccidii e il sangue non le sembrano ancora se non leggeris simo alimento al suo animo inferocito . Vorrebbe ritrovare un' atrocità nuova , sconosciuta , straordinaria , che facesse parlar di lei nella più lontana posterità. Nel vederla si libera CAPITOLO OTTAVO . 421 ne' suoi spaventevoli disegni , la nutrice , che l'è da presso , non sa immaginare altre vie a calmarla , se non rammentan dole che per menar tutto a termine sicuro ella dee nasconder la sua collera ; perocchè, ove questa si mostri di fuori troppo apertamente, ricade le più volte sopra colui che ne e animato, e distrugge i mezzi della vendetta. Massima infernale , ma vera ; e posta leggiadramente in pratica da tutti i contempo ranei di Seneca. Il re intanto , che teme le arti e le insidie della irritata maga , vien cruccioso ad ordinarle di sgombrar subito da' suoi stati . Indarno ella fa lungo racconto di tutto il passato per mettere in risalto la iniqua condotta di Giasone e la ricompensa infame onde l'ingrato la rimerita de' tanti be nefizii ricevuti ; indarno cerca di muovere in quel principe tutt' i sentimenti capaci di piegarlo a rivocare quella dura ri soluzione ; questi si rimane inflessibile ; e nel ritrarsi dalla scena consente solo a permettere , com' ella ferventemente chiede , che almeno i due suoi figliuoli continuino a dimorar ivi col padre , e che diesi a lei un giorno di tempo per ab bracciarli , e disporsi ad abbandonar per sempre quelle re gioni : favore di cui ella gode nel suo segreto , giudicando bastarle quello spazio a poter tutta rfversar la sua ira contro i suoi implacabili persecutori . Giasone offresi allora con bizzarro monologo a far com prendere che il re minaccia morte a lui ed a' suoi figli, ov'ei nieghi d'impalmar Creusa : nė vi ha cenno che in parte spie ghi o giustifichi questo mezzo speditissimo di concludere un matrimonio ; se già qualche maligno spirito non voglia sup porre che Creusa fosse incinta , onde, a salvarle la fama, si obbligasse il profugo seduttore a scegliere fra il talamo nu ziale e la scure . Medea, che di lui si accorge , gli va incontro scoppiante rabbia e dolore . A' veementi rimproveri di lei egli dice che il re l'avrebbe fatta perire , s' ei non lo avesse in dotto a contentarsi di scacciarla solamente dal regno : la solle cita quindi a sottrarsi tusto allo sdegno di chi ha il potere di opprimerla. A fin di scoprire il lato debole del cuore di lui , ella finge di cedere, ed implora che non le sia vietato di menar seco que’ medesimi figliuoli che pocanzi pregava il re a lasciare in cura del padre ; e compiacendosi nell'udire esser BOZZELLI. 36 422 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . sulla scena , per lui impossibile di staccarsi da quei fanciulli , si restringe a chiedergli di poter dar loro l'ultimo addio ; grazia che il re le avea di già conceduta. Rimasta sola , medita il disegno di disfarsi della rivale , inviandole in dono una veste avvelenata ; e corre a farne confidenza alla sua nutrice . Questa rivien e narra i prodigi operati da Medea per compiere il suo funesto disegno . Con le sue arti magiche avea nelle sue stanze attirati il dragone della Colchide, l'idra uccisa da Ercole, e i più mostruosi rettili della terra ; e ne' loro veleni , misti a sangue di uccelli impuri ed a fiamme divoratrici , avea confuso i succhi di quante erbe narcotiche allignano sulla faccia del globo. Dopo questa relazione, che è lunga e minuta più che non bisognerebbe a descrivere anche il laboratorio di un farmacista , la maga ella stessa riapparisce ; e invocando Ecate con orribili scongiuramenti a discendere dal cielo per assisterla , si ferisce al braccio per far del suo sangue una libazione alla Dea. Terminato cosi l'incantesimo con un sa lasso , intinge in quel liquore la veste già preparata , e manda i figliuoli a farne presente a Creusa . L'effetto è subito prodotto . Un messo viene a raccontar distintamente che l'incendio si è manifestato nella reggia al solo contatto di quel dono fatale , e che il re e la figliuola vi sono rimasti amendue spenti . Medea , che in udir tale annun zio gioisce di aver colto il primo frutto delle sue trame, si dispone a coronar l'opera , uccidendo i figli , per cosi vendi carsi delle perfidie del marito . Questi era corso con gente d'arme a sorprenderla : ma ella erasi rifuggita co ' due fan ciulli e la nutrice sull'alto della casa . Di là parlando a sè stessa intorno a quel che le conviene di fare , dice che il de litto è compiuto , ma non ancor la vendetta ; trucida furi bonda uno di quei disgraziati , e ne gitta il cadavere sangui noso a Giasone che dal basso la mira imprecando e fre mendo : e mentr' egli la scongiura inorridito a conservare almen l'altro in vita , ella lo trafigge sotto i proprii occhi; e chiamandosi dolente di non averne avuti che due soli ad immolare, vuol cercar nel suo seno se vi sia il germe di qualche altro figliuolo per istrapparselo a brani dal fondo delle viscere . Innalzandosi alline sul suo carro magico , Ri. CAPITOLO OTTAVO. 423 cevi, dice al marito insultando , ricevi i tuoi nati ; io mi slancio al di sopra delle nuvole. Si , quei le risponde , assorto nel raccapriccio e nella disperazione ; và per gli alti spazii dell' acre ad attestare all' universo che non esiste al cun Dio : Per alta vade spatia sublimi ætheris Testare nullos esse , qua veheris , deos. Tratto divino ! .... esclamava un critico : veramente , ripigliava un altro scherzando sulle parole , non vi è nulla che sia men divino ! Sull'indole di questa ributtante favola drammatica dissi altrove abbastanza : e qual pessimo governo Seneca ne facesse ad ancor più oltre annerirla ed a gonfiarla di vento , ciascuno può giudicarne da se medesimo. Non è intanto superfluo il notare una circostanza che sembra sfuggita costantemente a' dotti illustratori di questo tragico antico . Orazio inculcava severamente a ' poeti di non mai dare a spettacolo una Medea che trucida i figli al cospetto del popolo ; poichè un simile atto da far fremere sterilmente la natura, dee riuscir più or rendo che tremendo per chiunque non abbia rinunziato ad ogni sentimento di umanità. Che Seneca infrangesse un cosi savio precetto , chi ben conosce la tempra della sua fantasia ne comprenderà facilmente i motivi. Ma donde Orazio lo trasse ? Questo fu per me sempre un enigma. Un precetto che vieta una difformità in poesia , è come una legge che vieta un delitto in politica : suppongono amendue che un dis ordine abbia esistito per lo passato , e mirano ad imporre un freno affinché non si riproduca nell'avvenire : e non vi ha esempio in cui la giurisprudenza civile fulmini un'azione che non ha mai avuto luogo nella condotta degli uomini, come non vi ha esempio in cui la critica letteraria basimi un difetto di gusto del quale non vi è traccia nella storia delle arti . L'in duzione a trarsi da questo principio è semplicissima. Orazio non potea certamente aver letta la sconcezza , ch' ei riprova con si grave dettato intorno a Medea , nè in Euripide il quale avea saputo evitarla , nè in Seneca il quale fioriva quando egli era già spento. In conseguenza è a dirsi , ch ' ei la scor 424 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . caso , gesse in qualcuno de' poeti latini suoi predecessori o contem poranei, le cui opere sono a noi sconosciute . E in questo che io lascio agli eruditi di verificare , non possiamo nel precettor di Nerone ravvisar nè anche l'esistenza di una facoltà , disgraziatamente assai comune ; quella cioè di saper ritrovare da sè stesso una turpitudine . La predilezione de' Latini per la favola di Medea costi tuisce inoltre un fenomeno che merita ugualmente di esser notato. In Grecia non imprese a trattarla che il solo Euri pide ; e dopo di lui una tragedia sopra il medesimo soggetto , che non è pervenuta alla posterità , fu scritta da un tal Neo frone, di cui non ho mai saputo novella. In Francia non è da citarsi che la Medea del Corneille ; poichè i tentativi di Pe louse , di Longepierre e di Clement sono ormai obbliati . Nella sola polvere degli archivii se ne additano due in Italia , una del Torelli , l ' altra del Gozzi : e parlo fino al 1820 ; perchè , se altre ne sieno apparse dopo , lo ignoro , e non ho mai cu rato d'informarmene. Non ne apparvero , a quanto io creda , fra gli Alemanni e fra gli Spagnuoli ; e può dirsi nè anche fra gl' Inglesi ; poichè quella del Glower non è calcata sulle memorie antiche . Questo poeta , in ciò di squisito senso , benchè non di alta sfera nel resto , osò con fermo proposito guastar piuttosto la tradizione ricevuta , che denigrare con una esagerazione si assurda il prezioso carattere di madre : ei suppose che Medea uccidesse i figli in un eccesso di frene tico delirio che le impediva di riconoscerli. E ritornata in sė stessa , la dipinse preda alla disperazione per l'involontario attentato , anzi che lieta e trionfante di aver dato opera a una vendetta che innanzi ad ogni essere ben costituito dalla na tura dovea necessariamente colpir di preferenza il di lei pro prio cuore . In Roma per l'opposto par che non vi fosse poeta tragico il quale non avesse tentata una Medea . Vi si segnalarono Ennio , Pacuvio, Accio , Ovidio , Seneca , Materno ed altri : e Tertulliano parla di un Osidio Geta , che nel primo secolo dell'era cristiana compose tutta di versi di Virgilio una nuova Medea , di cui lo Scriverio si è dato l'inutile pena di raccogliere alcuni frammenti. Con queste tendenze di ferocia ne' drammatici latini , vi è poi tanto a stupire CAPITOLO OTTAVO . 425 che ivi la sana tragedia non mai prosperasse con la dignità richiesta ? Tieste . La scena è nella reggia di Micene ; e l'azione si apre con l'Ombra di Tantalo , la quale , tratta sulla terra da una delle Furie infernali , è da essa spinta a metter odio e furore nell'animo de'due fratelli Tieste ed Atreo, suoi discen denti , onde seguano fra loro i più orribili misfatti. Al solo aggirarsi dello spettro in quelle mura fatali , Atreo , che vi tenea scettro , è subitamente invaso da fieri desiderii di ven detta contra Tieste , che gli ebbe un tempo pervertita la sposa ed involate le ricchezze , e che állor viveasi profugo in terre straniere nella più estrema miseria. Memore de' torti rice vuti , ei non più spira che minacce di esterminio : e trattiensi a parlar con uno schiavo suo conſidente intorno al modo più sicuro da immolar l'abborrito fratello all'ira che lo investe . Il ferro per lui è arma di tiranni volgari : ei vuol supplizii e non morte ; poichè nel suo regno la morte debb' esser consi derata come una grazia. Meditando un eccesso che possa spa ventar gli uomini e la natura , ei risolve di richiamar Tieste dall'esilio con finte proteste di pace e di obblio del passato ; ed attiratolo cosi nella reggia, trucidargli a tradimento i figli, e preparargliene pasto neſando in una cena notturna. Ei va gheggia lungamente il suo infernale disegno ; e già ordina i mezzi da eseguirlo. Tieste , sollecitato da iniqui messaggi, cade nella rete insidiosa ; e , costretto dall'indigenza , presen tasi con tre suoi figli in Micene , non senza terribili presenti menti di ciò che possa ivi essergli ordito di atroce. Atreo , che ne è subito avvertito , affrettasi ad incontrarli ebbro di esultanza nella certezza di aver finalmente le vittime fra i suoi artigli; e coprendo il suo empio pensiero , avanzasi con benevolo sembiante ad abbracciar Tieste ed a chiedergli il bacio fraterno . A udirlo , era quello per lui un vero momento di felicità ; onde bisognava deporre gli antichi rancori, e non più ascoltar che la voce della pietà , della concordia e del sangue. Tieste si precipita a' suoi piedi , implora il suo per dono , e tra le lagrime della tenerezza e del pentimento lo prega di accogliere sotto la sua mano protettrice quegl' inno centi giovinetti. Da prima ei ricusa di accettar la metà del 36 426 DELLA IMITAZIONE TRAGICA . regno che il re gli offre con simulati affetti: si terrebbe felice di vivere suo suddito , e di poter espiare i suoi falli co' suoi fedeli servigi : ma cede alfine alle iterate insistenze del per fido Atreo , il quale , invitandolo a cingere sul suo capo vene rando il diadema reale , annunzia con espressioni di doppio senso che, a suggellar la pace tra loro , ei va intanto a disporre un sagrifizio. Questo inviluppo in sè occupa i tre primi atti della tragedia. Al quarto un messo appare sbigottito , e con le più rac capriccianti particolarità narra il già consumato eccidio al coro . Innanzi tutto ei descrive la parte remota del palazzo ove so leano soggiornare i principi di quella contrada , ed a lungo enumera gli straordinari ed incredibili portenti di cui quel sito sembra essere il magico ricettacolo . Ivi Atreo erasi con dotto in segreto con suoi fidati sgherri, trascinandosi dietro i figliuoli del fratello , ch'egli stesso avea già carichi di catene , ed a foggia di vittime inghirlandati di fiori e di bende. Or rendi altari vengono al momento eretti , arde l'incenso , le libazioni versate spumeggiano , la scure tocca il capo di que' mi seri, e tutte le formalità di un ordinario sacrifizio son diligen temente osservate . A tal sacrilego apparato , ed a'cupi urli di Atreo, che pronunciando funebri preghiere intuona l'inno della morte , la vicina selva trema : la reggia sembra crollar dalle fondamenta , il vino effuso cangiasi tosto in sangue , il dia dema cade tre volte dal fronte del re , il quale pari a fame lica tigre avventasi su i tre indifesi nipoti , e l'un dopo l'altro trafiggendoli , spande il terrore ne' circostanti satelliti . Ciò compiuto , egli strappa loro le viscere per leggervi entro i presagi del destino ; mette finalmente in pezzi le loro membra ancor palpitanti , ne prepara col fuoco l'infame cena , e la fa recare a Tieste , che ignaro degli eventi , lo attendea nelle sale dell'ordinario convito : e cosi quel padre infelice, che in abito festivo crede per la prima volta gustar la voluttà della con cordia con lo snaturato fratello , divora le carni de' propri figliuoli . A questa immonda narrazione, che può star leggia dramente a fianco delle additate nelle due precedenti trage die , il coro prorompe in esclamazioni analoghe allo spavento di cui si trova compreso . CAPITOLO OTTAVO . 427 Il quinto atto ci rappresenta il ritorno di Atreo, il quale, dopo aver pasciuto i suoi sguardi in quella mensa infernale , vien fuori gridando con frenetica ed orribile compiacenza : Æqualis astris gradior , et cunctos super Altum superbo vertice attingens polum, Nunc decora regni teneo , nunc solium patris . Dimitto superos : summa votorum attigi . e Ma il fatto atroce non ancora lo appaga : gli bisogna compiere il lutto di un padre , rivelandogli il tremendo mistero , a fin di saziarsi di vendetta in veder gl' impeti del suo disperato dolore . All'appressarsi quivi di Tieste , ei da prima si cela per udirne il solitario linguaggio : indi si mostra ; ed invi tando il fratello a finir seco di celebrar quel giorno di letizia , gli offre una tazza di vino in cui è misto il sangue de' prin cipi uccisi . Questi , contento in parte della riacquistata pace , e in parte agitato da oscuri perturbamenti di animo , chiede affannoso che gli sia concesso di porre il colmo al suo giubilo abbracciando i figliuoli. Atreo lo tien sospeso con espressioni equivoche, e lo sollecita sempre più a bere in quella tazza : se non che a quel misero , nel riceverla , sembra veder fuggire il sole , scuotersi la terra , sconvolgersi gli elementi ; e rinno vando le istanze di rivedere i figliuoli , il mostro si scopre , glie ne gitta a ' piedi le teste sanguinose , dicendo : gnatos ecquid agnoscis tuos ? Qui Seneca ritrova uno di quei felici motti , per la cui vibrata energia è solamente notabile : peroc chè Tieste ansante a cosi nero attentato , non richiama in se gli accenti smarriti, se non per esclamare , agnosco fra trem ! .... e cade in delirio smanioso . Credendoli solamente uccisi, ei domanda con fremito di poterne almeno seppellire i cadaveri ; allor che l'empio gli svela ch ' ei li avea già divo rati , e gli narra tutto lo scempio che si era studiato di farne . Le furie di Tieste e le insultanti risposte di Atreo , che gode a quello spettacolo di orrore , chiudono la scena. Vi ha certa memoria che una tragedia di Tieste fosse anche stata scritta da Euripide, la quale va fra le tante di quel teatro che si sono sventuratamente perdute : e Seneca forse l'ebbe sott'occhio , ad attingerne per lui , non foss' al 428 DELLA IMITAZIONE TRAGICA. tro , la stomachevole idea . Quali forme particolari di dramma tica esecuzione il Greco poi avesse adottate con destrezza per temperar l'orribile del soggetto fondamentale , non vi ha sto rico indizio da poterne rettamente decidere. Altrove si è però notato , che non ostanti le tendenze di quel poeta per la di pintura degli eccessi dolosamente criminosi, tendenze che fra le sue mani pervertirono si bruttamente l'arte , il popolo di Atene gli era pur tuttavia di costante freno a non lasciarsi precipitare in troppo aperte mostruosità ; ed ei più volte ne avea fatto a suo danno e scorno il crudele esperimento. Può in conseguenza tenersi ch' ei procurasse di velare in gran parte le incredibili atrocità onde le vecchie tradizioni aveano corredato a' posteri quel famoso avvenimento de' tempi eroici della Grecia ; e che Seneca s ' industriasse al suo solito di anne rirlo oltre misura , frastagliandolo a modo proprio con quella sua fantasia pregna dello spettacolo reale di tutte le più turpi enormezze. Alcuni han creduto infatti, che la descrizione di quella parte della reggia di Micene ove si finge che Atreo spegnesse i nipoti , fosse fedelmente ritratta da quella parte del palazzo de' Cesari in Roma, che Nerone avea destinata alle sue laide passioni e crudeltà segrete. È possibile ancora che Seneca traesse altre ispirazioni alla sua opera dalla tra gedia latina , che, siccome Ovidio narra , Vario e Gracco com posero insieme su i casi di Tieste , e che probabilmente è la stessa in seguito divulgata sotto il solo nome di Vario , di cui la storia di quel secolo ci ha serbata rimembranza. A ogni modo , il fatto vero o non vero su cui si fonda questo tragico lavoro , non meritava esser cosi rilevato in tutta l'asprezza delle sue giunture e l'abbominevole nudità delle sue forme, che in un secolo in cui i più esecrandi at tentati e le più truci e inudite vendette facean parte integra e special delizia della vita pubblica e privata di ogni uomo. Col sicuro presentimento che a' suoi contemporanei non ne sarebbe incresciuta la dipintnra, Seneca lo tratto senza velo : e i suoi sforzi nel dare alcun contrasto di luce a quelle tene bre infernali, restarono inefficaci. I tre giovinetti sacrificati all'ira dello scettrato cannibale di Micene, non muovono che una pietà volgare e ſuggevole , poiché cadono pari a mutoli CAPITOLO OTTAVO . 429 agnelli che il famelico lupo divora mugolando nelle sue grotte di sangue. Nè alcuna di più eminente ne muove pure lo sten tato ritorno di Tieste sulle vie della virtù e della giustizia , si perchè un tal ritorno può sospettarsi dettato dalla pienezza delle sue miserie , e si perchè il suo violento e consumato in cesto con la sposa del germano , è un fatto di sua essenza ir reparabile , e non si cancella o ripurga per pentimenti per lacrime. L'orror cupo e nefando che spira il carattere di Atreo , è l'unico affetto che domina e inviluppa ferocemente l'azione : se non che, soffocando a un tratto tutte le potenze dell'anima , le addormenta in uno stupor convulsivo , che di strugge ogni vitalità di sentimento negli spettatori , ed abban dona il personaggio alla sola compagnia di sè medesimo. E conviene saper grado all'autore di aver nell'ordito messa giù ogni maschera d'ipocrisia . Conscio che il suo Atreo è un mo stro fuor di natura , ei lo allontana diligentemente da ogni specie di contatto con la natura . In lui , niuno di quei palpiti precursori che si associano al concepimento di un grave e spaventevole delitto ; niuno di quei terrori salutari che arre stano involontariamente la mano armata di un pugnale omi cida ; niuno di quei rimorsi che la rea coscienza genera a un tempo e ritorce contro a sè stessa innanzi allo spettacolo di una già eseguita scelleratezza . A che infatti porre in mostra gli ordinari fenomeni del cuore umano per attaccarli a un essere al cui tipo la tempra dell'umanità rimansi compiuta mente estranea ? .... Ma usciamo alfine di questo pattume : i comentari sono superflui dove i fatti parlano da sè in guisa , che ad ogni uomo di mente sana e di cuor non guasto è facil cosa il valu tarli . Ne mi rimane intorno a questo autore se non a preve nir brevemente qualche obbiezione che molti per avventura saran tentati di oppormi. Alcuni , per esempio, col bel romanzo del Diderot alla mano , diranno che io in questo esame ho troppo annerito il carattere morale di Seneca ; ed a costoro , senza inutili contese , lascio piena libertà di alimentare la loro passione pe' romanzi , e di farsene un idolo : l’umana viltà sovente ha deificato tanti mostri, che aggiugnervi anche quello il quale, giusta la grave testimonianza di un Tacito , diede 430 DELLA IMITAZIONE TRAGICA. apertamente opera , se non a concepire , a consumare almeno un matricidio , non dee poter cagionare alcun nuovo scan dalo . Altri , con l'autorità di Marziale e di Sidonio Apolli nare , diranno , dall'altro canto , che vi ebbero tre fratelli conosciuti sotto il nome di Seneca ; e che il teatro venne ascritto sempre , non al primo che fu precettore di Nerone , ma bensì ad Annio Novato , ch'era il secondo. Potrei rispon dere che uomini dottissimi in fatto di latina erudizione , quali sono un Giusto Lipsio , Erasmo, Einsio , i due Scaligeri , ed altri non pochi , attribuirono al filosofo gran parte di quelle trage die, senza lasciarsi punto illudere dalla circostanza ch'esse fos sero state pubblicate col nome del fratello : e ch'egli real mente vi abbia cooperato, lo attesta Quintiliano , il quale net tamente lo addita come autore della Medea . Potrei soggiu gnere che , ove quelle tragedie si paragonino attentamente con le prose del filosofo , basta la più leggera critica per rav visar nelle une e nelle altre le medesime tendenze di spirito , le medesime pretensioni di dottrina , spesso il medesimo fondo di pensieri , più spesso ancora le medesime stentate forme di lingua e di stile . Se non che tutte queste discettazioni erudite sono di niuna importanza per me. Quando anche mi si dimostri con matematica evidenza che le persone eran diverse , niuno potrà luminosamente provarmi che la tempra delle anime non fosse la stessa . Nelle mie investigazioni è stato in me principal di segno di apprendermi, non all'individuo materiale , che in teressa la storia degli uomini più che la.critica de' tempi , ma bensì all' individuo astratto , che vien come lucido specchio in cui fedelmente si riflettono le sembianze di un secolo con tutte le caratteristiche impronte , e tenaci abitudini , e maniere sue proprie di sentire , di pensare e di vivere. Se infatti biz zarria taluno volesse attribuir quel teatro ad altro poeta con temporaneo , a Lucano , per esempio , ch'era figlio del terzo fratello di Seneca il filosofo , cangerebbe egli mai lo stato della quistione ? Il famoso cantore della Farsalia non fe' onta all' egregio zio : prese parte attiva in una congiura celebre , che mise Roma tutta in commozione ; e , scoperto appena , tentò fuggir morte , denunziando vilmente i suoi complici , tra per CAPITOLO OTTAVO . 431 i quali era sua madre : condannato indi a perire , perchè non era facile il placar Nerone per simil genere di meriti , affetto eroica fermezza ; e ne’momenti supremi declamò versi allu sivi al suo stato ; e del sangue che gli usciva dalle segate vene fe ' generosa libazione a Giove liberatore. A che andar più oltre mendicando prove , fatti e ravvicinamenti ? Eran tutti cosi : ed il mio scopo essenziale si fu di chiarire, che ingegni educati disgraziatamente in mezzo a realità prosaiche e ributtanti, non poteano produrre che opere drammatiche ributtanti e prosaiche. Le ingenue ispirazioni della natura esigono am piezza di spazii congiunta a splendore di analoghe circostan ze ; e le grandi fantasie non si sviluppano al certo nelle piazze de' patiboli.

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