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Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

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Tuesday, November 16, 2021

DIZIONARIO GRICEIANO D

 

Dalmasso (Milano). Filosofo. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie (Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. –  Hegel e l’Aufhebung del segno. L'implicatura del noi duale. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne Il tema della filosofia di Dalmasso ri­guar­da la do­man­da ori­gi­na­ria. Do­man­da e ori­gi­ne sono pro­ble­mi del pen­sie­ro che, fin dal­l’i­ni­zio della fi­lo­so­fia, non co­sti­tui­sco­no un ap­proc­cio di con­trol­lo e di do­mi­nio del­l’e­si­sten­za, quan­to piut­to­sto un ri­pie­ga­men­to su sé stes­si che si in­ter­ro­ga sulla pro­pria ge­ne­si. In ter­mi­ni meno esi­sten­zia­li e più an­ti­chi tale que­stio­ne oc­cu­pa il posto del­l’a­ni­ma. Dalla con­sa­pe­vo­lez­za del­l’in­com­be­re della morte nel primo sta­si­mo del­l’An­ti­go­ne al co­sti­tuir­si, per così dire, di un’interiorità nella so­fi­sti­ca e in Pla­to­ne, l’a­ni­ma (animatum) ha fun­zio­na­to come prin­ci­pio ori­gi­na­rio in una forma di­ver­sa che il do­mi­nio. Prin­ci­pio che an­no­da e che ma­ni­fe­sta, se­con­do vie non solo im­me­dia­te e spe­cu­la­ri, il logos (la ragione), il noein come co­no­scen­za e mi­su­ra di un or­di­ne. Quan­do il nous, at­tra­ver­so Ari­sto­te­le, ac­qui­sta tutto il suo svi­lup­po con­cet­tua­le e stra­te­gi­co, nel pen­sie­ro tardo-​an­ti­co, a par­ti­re da Plo­ti­no, l’ anima ri­ma­ne ed è ri­ba­di­ta come il luogo e il ve­ni­re a co­scien­za del rap­por­to con lo stes­so “nous,” cioè con il for­mu­lar­si del­l’o­ri­gi­na­rio (uno, bene o atto che sia).  Grice e Dalmasso scel­gono di leg­ge­re Bradley e Hegel. Scel­ta mo­ti­va­ta da loro in­te­res­si di ri­cer­ca, ma anche, più am­pia­men­te, dall’attualità di un lin­guag­gio che è in grado di ri­for­mu­la­re que­stio­ni sul­l’as­set­to mo­der­no del sa­pe­re e sul sog­get­to – e l’intersoggetivo -- di tale sa­pe­re. Su un ‘noi’ duale, che, nella espli­ci­ta stra­te­gia he­ge­lia­na, ar­ti­co­la e rad­dop­pia il ruolo di due anime. Sa­pe­re su di un noi duale è co­mun­que per Hegel un sa­pe­re sulle strut­tu­re di un noi duale chi, che sono in grado di for­mu­la­re una do­man­da ori­gi­na­ria.  Il testo, di cui Bradley propone al­cu­ne note es­sen­zia­li di com­men­to, ri­guar­da i pa­ra­gra­fi dal 440 al 458 della “Psi­co­lo­gia razionale” se­zio­ne della Fi­lo­so­fia dello Spi­ri­to con­te­nu­ta nella edi­zio­ne dell’En­ci­clo­pe­dia. A dif­fe­ren­za dell’“an­tro­po­lo­gia”, in cui due a­ni­me sono con­si­de­ra­te come l’a­spet­to im­me­dia­to della vita dello spi­ri­to (le due anime con­si­de­ra­te come il sonno dello spi­ri­to, pro­ble­mi del rap­por­to del­le due anime con I due corpori, que­stio­ni del sonno, della ve­glia, delle sen­sa­zio­ni ecc.) la Psi­co­lo­gia non è scien­za delle due a­ni­ma, ma scien­za del sa­pe­re in­tor­no al­le due a­ni­me, cioè scien­za ve­ra­men­te tale, nella sua por­ta­ta con­cet­tua­le. Per Bradley e Hegel, ‘scien­za’, Wis­sen­schaft, ogni scien­za, e so­prat­tut­to quel­la scien­za mas­si­ma­men­te ri­go­ro­sa che è la fi­lo­so­fia (‘regina scientiarum) è scien­za sem­pre di se­con­do grado: scien­za che con­trol­la e che ha come og­get­to la sua stes­sa ge­ne­si. La filosofia e la regina scientiarum, la scien­za che mi­su­ra il ne­ga­ti­vo ri­spet­to al suo as­sun­to e al suo stes­so me­to­do, scien­za che è in grado di smar­car­si dal piano del suo stes­so sa­pe­re e di com­pren­de­re il rap­por­to di­na­mi­co, ge­ne­ra­ti­vo e mai astrat­ta­men­te “spe­cu­la­re” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-co­no­scen­za si co­sti­tui­sce. Così, nel caso del testo com­men­ta­to da Bradley, i con­te­nu­ti della psi­co­lo­gia sono cu­rio­sa­men­te tutti di­ver­si da quel­li che nel­l’as­set­to della fine del­l’Ot­to­cen­to e del primo No­ve­cen­to ci si aspet­te­reb­be da una psi­co­lo­gia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and dispositions”. La psi­co­lo­gia filosofica o razionale non è scien­za delle leggi delle anime o psi­chai, ma del mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo delle leggi delle anime o delle psi­chai.  I testi che sono og­get­to del com­men­to di Bradley sono, come Bradley nota, estre­ma­men­te dif­fi­ci­li. Prima di co­min­cia­re Bradley fa qual­che ri­lie­vo sul pro­ble­ma della difficoltà in ge­ne­ra­le nella let­tu­ra del testo di Hegel. La que­stio­ne si pone se­con­do tre punti di vista. In­nan­zi tutto come que­stio­ne della na­tu­ra e della de­sti­na­zio­ne del testo. Ad esem­pio l’ “En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che”, nel no­stro caso, è pen­sa­ta come un rias­sun­to delle le­zio­ni per i ‘tuttee’. In se­con­do luogo il pro­ble­ma del si­gni­fi­ca­to espres­so, del voler dire del di­scor­so he­ge­lia­no. In terzo luogo, che è quel­lo de­ci­si­vo, la que­stio­ne del me­to­do di com­po­si­zio­ne del testo di Hegel, me­to­do che ri­guar­da, d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Que­stio­ni, dette al­tri­men­ti, di sin­to­niz­zar­si con il testo che, per quan­to ri­guar­da il me­to­do filosofico di Hegel, non può es­se­re altro che ri­per­cor­re­re l’e­le­men­to ge­ne­ra­ti­vo del si­gni­fi­ca­to di ciò che Hegel explicitamente communica. Senza di que­sto in­ces­san­te ri­per­cor­ri­men­to a li­vel­lo della ge­ne­si del testo, il suo ‘segnato’ posse appare in­com­pren­si­bi­le o ap­piat­ti­to. Ap­piat­ti­to come su di una su­per­fi­cie, in modo che il gioco delle in­ter­pre­ta­zio­ni del tutee, anche nel caso si trat­ti di stu­dio­so molto qua­li­fi­ca­to, tende spes­so a sbiz­zar­rir­si in gro­vi­gli di ipo­te­si fi­lo­lo­gi­che o di ca­rat­te­re ideo­lo­gi­co-​me­ta­fi­si­co. Il mi­ni­mo comun de­no­mi­na­to­re è la per­di­ta del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo di tale segnato. Così si può se­pa­ra­re per­fi­no il con­cet­to di ne­ga­ti­vo dal con­cet­to di ge­ne­ra­zio­ne so­vrap­po­nen­do l’uno sul­l’al­tro e ren­den­do in­com­pren­si­bi­li en­tram­bi. Que­stio­ne che si pone in modo non in­fre­quen­te, anzi ma­les­se­re spes­so dif­fu­so anche nel com­men­to di Bradley. Ini­zia­mo la let­tu­ra par­ten­do dalle prime righe del par. 440.  Lo spi­ri­to si è de­ter­mi­na­to di­ve­nen­do la verità del­l’a­ni­ma e della co­scien­za, cioè la verità di quel­la totalità sem­pli­ce e im­me­dia­ta e di que­sto sa­pe­re.  Ades­so il sa­pe­re, in quan­to forma in­fi­ni­ta, non è più li­mi­ta­to da quel con­te­nu­to, non sta in rap­por­to con esso come con un og­get­to, ma è sa­pe­re della totalità so­stan­zia­le, né sog­get­ti­va né og­get­ti­va, ma intersoggetiva. ll pro­ble­ma del rap­por­to fra il sa­pe­re e la ra­gio­ne inau­gu­ra qui il di­bat­ti­to sulla scien­za della psi­che. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne ini­zia a di­pa­nar­si nel pa­ra­gra­fo se­guen­te:  L’a­ni­ma è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui è de­ter­mi­na­ta im­me­dia­ta­men­te, cioè de­ter­mi­na­ta per na­tu­ra.  La co­scien­za è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui ha un og­get­to.  Lo spi­ri­to è in­ve­ce fi­ni­to, “in­so­fern ist end­lich,” nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re (in sei­nem Wis­sen) non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za, nel senso che è fi­ni­to per via della sua im­me­dia­tez­za e — che è la stes­sa cosa — perché è sog­get­ti­vo, è cioè come il Con­cet­to. Lo spi­ri­to è fi­ni­to nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re, non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za. Lo spi­ri­to sem­bra es­se­re quell’attività in grado di con­te­ne­re e con­trol­la­re l’in­trec­cio fra la ra­gio­ne e il sa­pe­re, anche se ora solo nella forma del­l’im­me­dia­tez­za. L’in­trec­cio si or­ga­niz­za su due poli: la ra­gio­ne e il sa­pe­re. Essi si im­pli­ca­no re­ci­pro­ca­men­te . A se­con­da che si con­si­de­ri come con­cet­to la ra­gio­ne o il sa­pe­re.  Qui è in­dif­fe­ren­te ciò che viene de­ter­mi­na­to come con­cet­to dello spi­ri­to e ciò che viene in­ve­ce de­ter­mi­na­to come realità o “Realität” di que­sto con­cet­to. Se in­fat­ti la ra­gio­ne as­so­lu­ta­men­te in­fi­ni­ta, og­get­ti­va, viene posta come con­cet­to dello spi­ri­to, al­lo­ra la realità è il sa­pe­re, cioè l’in­tel­li­gen­za; se in­ve­ce è il sa­pe­re a es­se­re con­si­de­ra­to come il con­cet­to, al­lo­ra la realità del con­cet­to è que­sta ra­gio­ne e la rea­liz­za­zio­ne (Rea­li­sie­rung) del sa­pe­re con­si­ste nel­l’ap­pro­priar­si della ra­gio­ne.  La fi­ni­tez­za dello spi­ri­to per­tan­to con­si­ste in ciò: il sa­pe­re non com­pren­de l’Es­se­re in-​sé-​e-​per-​sé della sua ra­gio­ne. In altri ter­mi­ni: la ra­gio­ne non si è ma­ni­fe­sta­ta pie­na­men­te nel sa­pe­re.4  C’è un di­sli­vel­lo dun­que strut­tu­ra­le con la ra­gio­ne che fun­zio­na nel sa­pe­re. Di­sli­vel­lo strut­tu­ra­le che per i greci era in­ve­ce co­sti­tui­to dal rap­por­to fra il sa­pe­re e la verità. Co­mun­que la realtà, con­si­de­ra­ta come realtà del sa­pe­re o come realtà della ra­gio­ne, si co­sti­tui­sce e fun­zio­na per Hegel come un farsi che è un in­trec­cio ine­stri­ca­bi­le. Una purità e verginità del­l’o­ri­gi­ne è in­tro­va­bi­le.  La que­stio­ne di un sa­pe­re dello/sullo spi­ri­to si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te nel pa­ra­gra­fo 442:  Il pro­ce­de­re dello spi­ri­to è svi­lup­po (Ent­wic­klung) nella mi­su­ra in cui la sua esi­sten­za, il sa­pe­re, ha entro se stes­sa l’es­se­re — de­ter­mi­na­to in sé e per sé, cioè ha per con­te­nu­to, “Ge­hal­te,” e per fine, “Zweck” il ra­zio­na­le, “Ver­nunf­ti­ge.” L’attività di tra­spo­si­zio­ne è dun­que pu­ra­men­te e sol­tan­to il pas­sag­gio for­ma­le nella ma­ni­fe­sta­zio­ne e, in que­sta, è ri­tor­no entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella mi­su­ra in cui il sa­pe­re, af­fet­to dalla sua prima de­ter­mi­na­tez­za, è sol­tan­to astrat­to, cioè for­ma­le, la meta dello spi­ri­to è quel­la di pro­dur­re il ri-em­pi­men­to og­get­ti­vo, “die ob­jec­ti­ve Erfüllung her­vor­zu­brin­gen,” e quin­di, a un tempo, la libertà del suo sa­pe­re. In que­sto testo il mo­vi­men­to del sa­pe­re e il suo sa­per­ne si ar­ti­co­la come que­stio­ne della co­no­scen­za del­l’o­ri­gi­na­rio. Tale que­stio­ne, che ha la forma del ri­tor­no, è pen­sa­bi­le come libertà. L’av­ven­tu­ra dello spi­ri­to che è sem­pre un ap­pro­priar­si, un far pro­prio, qui, e se­con­do la radicalità della sua strut­tu­ra, fun­zio­na come ap­pro­priar­si del sa­pe­re e coin­ci­de con l’av­ven­tu­ra della libertà.  Il cam­mi­no dello spi­ri­to con­si­ste per­tan­to nel­l’es­se­re spi­ri­to teo­re­ti­co, cioè nel­l’a­ve­re a che fare con il ra­zio­na­le nella sua de­ter­mi­na­tez­za im­me­dia­ta, e di porlo ades­so come il suo. Il cam­mi­no con­si­ste in­nan­zi tutto nel li­be­ra­re il sa­pe­re dal pre­sup­po­sto e, con ciò, dalla sua astra­zio­ne, e ren­de­re sog­get­ti­va la de­ter­mi­na­tez­za. Poiché in tal modo il sa­pe­re è in sé e per sé de­ter­mi­na­to come sa­pe­re entro sé, e poiché la de­ter­mi­na­tez­za è posta come la sua, quin­di come in­tel­li­gen­za li­be­ra, il sa­pe­re è  volontà, spi­ri­to pra­ti­co, il quale in­nan­zi tutto è an­ch’es­so for­ma­le. Il sapere a un con­te­nu­to che è sol­tan­to il suo. Esso vuole im­me­dia­ta­men­te, e ades­so li­be­ra la sua de­ter­mi­na­zio­ne di volontà dalla soggettività e l’intersoggetivita che la con­di­zio­na­ come forma uni­la­te­ra­le del pro­prio con­te­nu­to. In tal modo gli spi­ri­ti  di­vie­neno come spi­ri­ti li­be­ri, nel quale è ri­mos­sa quel­la dop­pia unilateralità. Lo scor­cio teo­ri­co for­ni­to in que­sto pa­ra­gra­fo me­ri­ta una pun­tua­liz­za­zio­ne. Ab­bia­mo in pre­ce­den­za ac­cen­na­to alla cor­ni­ce della psi­co­lo­gia filosofica o razionale come pro­get­to scien­ti­fi­co: scien­za delle anime che si pone come scien­za dei fat­to­ri ge­ne­ra­ti­vi delle anime.  Il per­cor­so dei spi­ri­ti che si sfor­zano di co­no­sce­re se stes­si, che tentano di com­pren­de­re l’e­spe­rien­za della lor libertà, che nella Fe­no­me­no­lo­gia dello spi­ri­to pren­de la via della mo­ra­le come sto­ria, in que­ste pa­gi­ne pren­de la via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà. Che il sa­pe­re possa af­fer­ra­re se stes­so, possa ap­pro­priar­si di sé. La stra­te­gia he­ge­lia­na im­pli­ca che l’o­ri­gi­na­rio, per i sog­get­ti (l’intersoggetivo) e per il sa­pe­re, fun­zio­ni e sia co­no­sci­bi­le come ef­fet­to di que­sto ap­pro­priar­si che è etico, pra­ti­co.  Se non si pensa il si­gni­fi­ca­to del sa­pe­re e di suoi sog­get­ti come etico, pra­ti­co, i sog­get­ti del sa­pe­re si di­bat­teno «in una bi-lateralità»: la rap­pre­sen­ta­zio­ne che i sog­get­ti fano di sé come suoi e l’im­me­dia­tez­za di tale rap­pre­sen­ta­zio­ne. Le libertà dell’anime è pen­sa­bi­le come lo spiaz­za­men­to in cui i sog­get­ti del sa­pe­re co­no­sceno il loro es­se­re fatto, no­no­stan­te e at­tra­ver­so il loro co-fare (co-operare) im­pos­si­bi­li­ta­to a co­glie­re l’identità fra sé e le loro im­ma­gi­ni. Que­sta di­vi­sio­ne e di­sli­vel­lo in­ter­no che è l’impossibilità di co­glie­re l’o­ri­gi­ne del pro­prio co­sti­tuir­si è per Hegel l’In­tel­li­gen­za (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and Intelligence” – Signs). Nel mon­tag­gio lin­gui­sti­co di que­sto testo tale di­vi­sio­ne e tale di­sli­vel­lo vanno ad oc­cu­pa­re il posto della clas­si­ca op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, in quan­to è que­sta unità con­cre­ta dei due mo­men­ti — vale a dire, im­me­dia­ta­men­te, di es­se­re ri­cor­da­ta entro sé in que­sto ma­te­ria­le este­rior­men­te es­sen­te, e di es­se­re im­mer­sa nel­l’es­se­re fuori-​di-​sé men­tre entro sé si in­te­rio­riz­za col pro­prio ri­cor­do —, è in­tui­zio­ne. Il cam­mi­no del­l’In­tel­li­gen­za sta pro­prio nel bat­te­re in brec­cia l’op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  Le in­tel­li­gen­za, quan­do ri­cor­dano ini­zial­men­te l’in­tui­zio­ne, poneno il con­te­nu­to del sen­ti­men­to nella pro­pria interiorità, nel loro pro­prio spa­zio e nel loro pro­prio tempo. In tal modo il con­te­nu­to è im­ma­gi­ne, li­be­ra­ta dalla sua prima im­me­dia­tez­za e dalla dualità astrat­ta ri­spet­to all’altro soggetto, in quan­to essa è ac­col­ta nella dualità del­ noi. Que­sto bat­te­re in brec­cia, visto dal punto di vista del­l’in­tel­li­gen­za, è l’im­ma­gi­ne. L’in­tel­li­gen­za pos­sie­de dun­que le im­ma­gi­ni. L’in­tel­li­gen­za è il Quan­do e il Dove del­l’im­ma­gi­ne.  L’im­ma­gi­ne è per sé “tran­s-eun­te”,  nomade, da una anima ad altra anima, e l’in­tel­li­gen­za stes­sa, in quan­to at­ten­zio­ne, è il tempo e anche lo spa­zio, il Quan­do e il Dove, del­l’im­ma­gi­ne.  L’in­tel­li­gen­za però non è sol­tan­to la co-­scien­za e l’es­ser­ci delle pro­prie de­ter­mi­na­zio­ni, bensì, in quan­to tale, ne è anche i sog­get­ti e l’In-​sé. Ri­cor­da­ta nel­l’in­tel­li­gen­za, perciò, l’im­ma­gi­ne non è più esi­sten­te, ma è con­ser­va­ta in­con­scia­men­te. Nell’An­mer­kung dello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel inau­gu­ra la me­ta­fo­ra del pozzo not­tur­no per de­fi­ni­re il fun­zio­na­men­to del­l’in­tel­li­gen­za come un luogo in cui sono con­ser­va­te im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che l’in­tel­li­gen­za stes­sa non co­no­sce. Hegel pro­se­gue la sua in­da­gi­ne at­tra­ver­so una sorta di tiro in­cro­cia­to fra in­tui­zio­ne ed im­ma­gi­ne, met­ten­do in azio­ne uno stile ago­sti­nia­no alla “De ma­gi­stro”. Anche la no­zio­ne, clas­si­ca, di “re-­praesentatum” (il rappresentato) entra, ri­com­pre­sa e ri­pen­sa­ta, come dal­l’in­ter­no, nel mo­vi­men­to pro­dut­ti­vo del­l’in­tel­li­gen­za.  La no­zio­ne di “me­mo­ria” (stato temporario totale) è an­ch’es­sa ri­per­cor­sa, nella sua strut­tu­ra clas­si­ca, come mo­vi­men­to at­ti­vo e im­pren­di­bi­le, fun­zio­nan­te nel­l’in­tel­li­gen­za e pro­dut­ti­va di essa, in una svol­ta de­ci­si­va del pa­ra­gra­fo. L’in­tel­li­gen­za è la po­ten­za che do­mi­na sulla ri­ser­va di im­ma­gi­ni e il rappresentato che le ap­par­ten­go­no. Essa è quin­di con­giun­zio­ne e sus­sun­zio­ne li­be­ra di que­sta ri­ser­va sotto il con­te­nu­to pe­cu­lia­re. L’in­tel­li­gen­za si ri­cor­da ed in­te­rio­riz­za in modo de­ter­mi­na­to entro quel­la ri­ser­va, e la pla­sma im­ma­gi­na­ti­va­men­te se­con­do que­sto suo con­te­nu­to. Essa è quin­di fan­ta­sia, im­ma­gi­na­zio­ne SIMBOLIZZANTE, al­le­go­riz­zan­te o poe­tan­te.  Que­sta for­ma­zio­ne im­ma­gi­na­ti­va più o meno con­cre­te, più o meno in­di­vi­dua­liz­za­te, e an­co­ra delle sin­te­si nella mi­su­ra in cui il ma­te­ria­le, in cui il con­te­nu­to intersog­get­ti­vo con­fe­ri­sce un es­ser­ci al rap­pre­sen­tato, pro­vie­ne dal Tro­va­to, “dem Ge­fun­de­nen,” del­l’in­tui­zio­ne. Passività, evi­den­za, sor­pre­sa di fonte al darsi ori­gi­na­rio delle cose ri­guar­da perciò per Hegel un mo­vi­men­to che ha come suo ele­men­to lo sce­na­rio dell’intersoggetività. Il tro­va­to del­l’in­tui­zio­ne, in­con­tro, evi­den­za, ac­co­glien­za della realtà è pen­sa­bi­le in un re­gi­stro che è già una tra­du­zio­ne, ‘trans-latum.” È nel re­gi­stro di una tra­du­zio­ne (“trans-latum”) che nel per­cor­so di que­sto testo di Hegel, di una tra­du­zio­ne (trans-latum) del fuori nel den­tro e vi­ce­ver­sa, che si può av­vi­sta­re ciò in fi­lo­so­fia si chia­ma realtà.  Quan­do l’in­tel­li­gen­za, in quan­to ra­gio­ne, parte dal­l’ap­pro­pria­zio­ne del­l’im­me­dia­tez­za tro­va­ta entro sé, cioè la de­ter­mi­na come un “universale”, ecco al­lo­ra che la sua attività ra­zio­na­le pro­ce­de dal punto at­tua­le, “dem nun­meh­ri­gen Punk­te,” a de­ter­mi­na­re come es­sen­te ciò che in essa si è svi­lup­pa­to in au­to-in­tui­zio­ne con­cre­ta, pro­ce­de cioè a ren­de­re se stes­sa Es­se­re, cosa, il reale. L’in­tel­li­gen­za stes­sa così si fa es­sen­te, si fa cosa, si fa il relae.  Quan­do è at­ti­va in que­sta de­ter­mi­na­zio­ne, l’in­tel­li­gen­za si estrin­se­ca, “aus­sernd,” pro­du­ce, “pro­du­zie­rend,” in­tui­zio­ne: è fan­ta­sia che si espri­me in un “segno,” “Zei­chen ma­chen­de Phan­ta­sie,” token-making fantasy – fantasia che fa segno, fantasia che segna. L’in­tel­li­gen­za esi­ste in quan­to fan­ta­si. Tesi non im­me­dia­ta­men­te pre­ve­di­bi­le nel di­spo­si­ti­vo, in­tri­ca­to, di que­sto per­cor­so he­ge­lia­no. Tesi cui pure spin­ge, con ri­go­ro­sa necessità, que­sta ana­li­si scien­ti­fi­ca delle anime – una anima segna, l’altra capisce. Que­sto testo di Hegel in­ne­sca con­sa­pe­vol­men­te una po­le­mi­ca ed anche una ri­for­mu­la­zio­ne me­to­do­lo­gi­ca ra­di­ca­le nei con­fron­ti della tra­di­zio­ne em­pi­ri­sta, dei sen­si­sti, di Con­dil­lac e degli ideo­lo­gues. At­tra­ver­so le scor­ri­ban­de del­l’in­tel­li­gen­za fra sa­pe­re e “segno” (Zeichen, la fantasia che fa segno, la fantasia che segna), scien­za e realtà, at­tra­ver­so e al di là della dia­let­ti­ca fra il po­si­ti­vo e il ne­ga­ti­vo, fra i sog­get­ti e la verità ecc, Hegel af­fer­ma che l’in­tel­li­gen­za è il suo atto. Esi­ste­re non è l’im­me­dia­tez­za di un che ri­spet­to a se stes­si, ma è l’at­to in cui, in un con­te­nu­to de­ter­mi­na­to, l’in­tel­li­gen­za si rap­por­ta a se stes­sa.  La fan­ta­sia è il punto cen­tra­le in cui l’u­ni­ver­sa­le e l’es­se­re, il pro­prio e il tro­va­to, l’in­ter­no e l’ester­no – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna -- sono per­fet­ta­men­te uni­fi­ca­ti. Le sin­te­si pre­ce­den­ti del­l’in­tui­zio­ne, del ri­cor­do ecc., sono uni­fi­ca­zio­ni del me­de­si­mo mo­men­to, tut­ta­via si trat­ta pur sem­pre di sin­te­si. Solo nella fan­ta­sia l’in­tel­li­gen­za non è più come il pozzo in­de­ter­mi­na­to e come l’u­ni­ver­sa­le, bensì è come sin­go­la­re, cioè come intersoggettività CONCRETA nella quale l’­re­la­zio­ne è de­ter­mi­na­ta sia come es­se­re sia come universale.L’in­tel­li­gen­za è intersoggettività con­cre­ta solo nella fan­ta­sia condivisa. Tale que­stio­ne è chia­ri­ta dal se­gui­to della stes­sa An­mer­kung. Tutti ri­co­no­sco­no che le im­ma­gi­ni della fan­ta­sia co­sti­tui­sco­no tali uni­fi­ca­zio­ni del pro­prio e del­l’in­ter­no dello spi­ri­to con l’e­le­men­to in­tui­ti­vo. Il loro con­te­nu­to ul­te­rior­men­te de­ter­mi­na­to ap­par­tie­ne ad altri am­bi­ti, men­tre qui que­sta fu­ci­na in­ter­na va in­te­sa sol­tan­to se­con­do quel mo­men­to astrat­to.  In quan­to attività di que­sta unio­ne, la fan­ta­sia è ra­gio­ne, ma è ra­gio­ne for­ma­le, solo nella mi­su­ra in cui il con­te­nu­to in quan­to tale della fan­ta­sia è in­dif­fe­ren­te. La ra­gio­ne in quan­to tale, in­ve­ce, de­ter­mina a verità anche il con­te­nu­to. Nell’An­mer­kung suc­ces­si­va nello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel opera la svol­ta de­ci­si­va nel per­cor­so che qui ci in­te­res­sa:  In par­ti­co­la­re bi­so­gna an­co­ra ri­le­va­re que­sto fatto. Poiché la fan­ta­sia porta il con­te­nu­to in­ter­no a im­ma­gi­ne e a in­tui­zio­ne, e ciò viene espres­so di­cen­do che essa lo de­ter­mi­na come es­sen­te, non deve sem­bra­re sor­pren­den­te l’e­spres­sio­ne se­con­do cui l’in­tel­li­gen­za si fa­ es­sen­te, si fa­ cosa, si fa il relae. Il con­te­nu­to del­l’in­tel­li­gen­za, in­fat­ti, è l’in­tel­li­gen­za stes­sa, e lo è al­tret­tan­to la de­ter­mi­na­zio­ne che essa gli con­fe­ri­sce. L’im­ma­gi­ne pro­dot­ta dalla fan­ta­sia è intersog­get­ti­va­men­te in­tui­ti­va, men­tre è nel segno (Zeichen, token) che la fan­ta­sia ag­giun­ge a ciò l’au­ten­ti­ca intuibilità (ei­gen­tli­che An­schau­li­ch­keit); nella me­mo­ria mec­ca­ni­ca, poi essa com­ple­ta in sé que­sta forma del­l’es­se­re.  L’im­ma­gi­ne solo nel “segno” (Zeichen, token) è au­ten­ti­ca intuibilità di ciò che è. L’es­sen­te è co­gli­bi­le come “segno” (Zeichen, token) non come dato, come dono. Dato e dono non sono pen­sa­bi­li, ma nep­pu­re spe­ri­men­ta­bi­li nella forma della pre­sen­za, cioè in un darsi (che, in ter­mi­ni he­ge­lia­ni, è la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne). Essi sono già tra­scrit­ti nel con­te­nu­to in­ter­no del­l’in­tel­li­gen­za, cioè come un segno (Zeichen, token). L’e­le­men­to im­pren­di­bi­le, enig­ma­ti­co della co­no­scen­za è il segno (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella strut­tu­ra di que­sto testo Hegel af­fer­ma che il non pro­prio, il non nostro so­vra­sta e spiaz­za nella forma del segno (Zeichen, token), non nella forma del dono.  In que­sta unità, pro­ce­den­te dal­l’in­tel­li­gen­za, di una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma, “selb-ständiger Vor­stel­lung,” e di una in­tui­zio­ne, la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne è certo in­nan­zi­tut­to un qual­co­sa di ac­col­to, di im­me­dia­to e di dato, “ein auf­ge­nom­me­nes, etwas un­mit­tel­ba­res oder ge­ge­be­nes,” per esem­pio il co­lo­re della coc­car­da e af­fi­ni. In que­sta identità però l’in­tui­zio­ne non ha il va­lo­re di rap­pre­sen­ta­re po­si­ti­va­men­te e di rap­pre­sen­ta­re se stes­sa, bensì di rap­pre­sen­ta­re qual­co­s’al­tro. Essa è un’im­ma­gi­ne che ha ri­ce­vu­to entro sé una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma del­l’in­tel­li­gen­za come anima, che ha ri­ce­vu­to, cioè, il suo segnato. Que­sta in­tui­zio­ne è il segno (Zeichen, token). L’in­tui­zio­ne, rap­por­ta­ta scien­ti­fi­ca­men­te alla sua ori­gi­ne, ha la forma del segno (Zeichen, token). Tale forma ha una strut­tu­ra che coin­vol­ge i ter­mi­ne stes­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tel­li­gen­za sem­bra fun­zio­na­re in una de­ri­va di cui il segno (Zeichen, token) co­sti­tui­sce una sorta di cer­nie­ra, snodo in cui l’in­tel­li­gen­za stes­sa è tolta-​con­ser­va­ta.  L’in­tui­zio­ne che im­me­dia­ta­men­te e ini­zial­men­te è qual­co­sa di dato e di spa­zia­le, “ge­ge­be­nes und raum­li­ches,” una volta im­pie­ga­ta come segno (Zeichen, token) ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa. Que­sta sua negatività è l’in­tel­li­gen­za.  Perciò la fi­gu­ra più au­ten­ti­ca del­l’in­tui­zio­ne, che è un segno (Zeichen, token), è di es­se­re un es­ser­ci nel tempo: un di­le­gua­re, “Ver­sch­win­den,” del­l’es­ser­ci men­tre l’es­ser­ci è.  Inol­tre, se­con­do la sua ul­te­rio­re de­ter­mi­na­tez­za este­rio­re, psi­chi­ca, la fi­gu­ra più vera del­l’in­tui­zio­ne è un es­se­re-​posta dal­l’in­tel­li­gen­za, esser-​posta che viene fuori dalla naturalità pro­pria, an­tro­po­lo­gi­ca, del­l’in­tel­li­gen­za stes­sa: è il tono, “Ton,” cioè l’e­strin­se­ca­zio­ne riem­pi­ta dell’interiorità an­nun­cian­te­si.  Il “tono” che si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te in vista del rap­pre­sen­tato de­ter­mi­na­te è il di­s-cor­so –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un si­ste­ma del di­scor­so è la communicazione. In que­sto am­bi­to il “tono” con­fe­ri­sce a una sen­sa­zio­ne, una in­tui­zio­ne e un rap­pre­sen­ta­to  un *se­con­do* (duale) es­ser­ci, più ele­va­to del­l’es­ser­ci im­me­dia­to. In ge­ne­ra­le con­fe­ri­sce loro un’e­si­sten­za che ha va­lo­re nel regno dell’attività rap­pre­sen­ta­ti­va. Que­sto pro­get­to he­ge­lia­no di una scien­za della psi­che tenta qui un ul­te­rio­re ra­di­ca­le ap­proc­cio alla ge­ne­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tui­zio­ne, in quan­to fun­zio­nan­te come segno (Zeichen, token), ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa, “zu einem Zei­chen ge­brau­cht wird, die we­sen­tli­che Be­stim­mung nur als auf­ge­ho­be­ne zu sein.” In que­sto esser ri­mos­so, tolto-​con­ser­va­to del­l’in­tui­zio­ne sta l’o­ri­gi­ne del­l’in­tel­li­gen­za. La negatività di cui essa è fatta si in­trec­cia strut­tu­ral­men­te alla no­zio­ne di tempo. L’in­tui­zio­ne non è do­mi­na­bi­le da due sog­get­ti se non nella forma del dopo, un di­le­gua­re del­l’es­ser­ci men­tre es­ser­ci è. Quel­l’al­tro in­trec­cio che co­sti­tui­sce l’in­tui­zio­ne, l’in­trec­cio fra il den­tro e il fuori si espri­me nel “tono,” suono ar­ti­co­la­to. Il tono, visto in rap­por­to ad una rap­pre­sen­ta­zio­ne de­ter­mi­na­ta, è il di­scor­so (“Rede”) e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua (Spra­che) e la communicazione. A que­sto punto del suo per­cor­so la stra­te­gia di Hegel si in­con­tra con il pri­vi­le­gio greco e pla­to­ni­co ac­cor­da­to all’espressione, la pa­ro­la, al logos in quan­to vi­ven­te pro­nun­cia­to, detto, dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel Cratilo di Pla­to­ne anche in Hegel l’espressione come segno è cen­tra­le nella vita del­l’in­tel­li­gen­za, ma di una centralità che oc­cu­pa il luogo di un mo­vi­men­to ori­gi­na­rio ed im­pren­di­bi­le.  Per un com­men­to cri­ti­co ed espli­ca­ti­vo dei pa­ra­gra­fi della «Psi­co­lo­gia» nella se­zio­ne sullo «Spi­ri­to sog­get­ti­vo», anche per ciò che con­cer­ne le fonti di Hegel e la sag­gi­sti­ca re­la­ti­va, cfr. La «magia dello spi­ri­to» e il «gioco del con­cet­to». Con­si­de­ra­zio­ni sulla fi­lo­so­fia dello spi­ri­to sog­get­ti­vo nel­l’En­ci­clo­pe­dia di Hegel, Mi­la­no, Gue­ri­ni e As­so­cia­ti, 1995. ︎  Uso la re­cen­te tra­du­zio­ne di Vin­cen­zo Ci­ce­ro (En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che in com­pen­dio, ed. 1830, Mi­la­no, Ru­sco­ni, 1996) che ri­ten­go pun­tua­le ed av­ver­ti­ta delle que­stio­ni poste dal testo, no­no­stan­te la discutibilità di al­cu­ne so­lu­zio­ni su cui per altro pesa in certa mi­su­ra la re­si­sten­za ad ab­ban­do­na­re tra­du­zio­ni fa­mi­lia­ri e con­so­li­da­te. Grice: “There’s something otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it  or better, that a dark cloud signs *that* it may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian ‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso. Keywords: sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen, zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dalmasso” – The Swimming-Pool Library.

 

Dandolo (Varese). Filosofo. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito. Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in “Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano). Un filosofo che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara, libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli” (Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano); “Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi  (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di Tullio Dandolo”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”; “Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di G. A. Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi, primo e secondo periodo, Assisi. di Roberto Guerri, direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano.  Colloqui col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico avere per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro non erano che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione efficace la filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con indifferenza la sposizione poetica che del sistema d'Epicuro loro presentò Lucrezio. Germi erano questi gettati in terreno non preparato ancora à riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’ quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica ad abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme vano come pericolosi e disprezzavano come futili. Catone il censore ottenne che si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale. I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido Censore non prevede che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di Cesare. Non possiamo trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione del passato e le  tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien  dietro la riflessione, saremo costretti di riconoscere  che a rintuzzare il progresso della filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe muovere accusa alla Divinità, quasi ch'ella con innestare il male nella conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien dunque adoperarsi  a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose, non  proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle  conscii dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del giusto, il risvegliare in  quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova dottrina. Ma l' impulso era dato, nè poteva fermarsi. I giovani romani conservarono impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare, quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi, furono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè medesima le proprie soddisfazioni. Gli uni tennero dietro alla filosofia nel suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degli eserciti furono i primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza generale degli spiriti. L'accademico Antioco fu compagno di Lucullo. Catone il censore cedè egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. Silla fece trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. Catone d'Utica allorch'era tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che lo stoico Atenodoro abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a dimorare con lui.  Pure gli spiriti che con siffatto entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la filosofia penetra in coteste menti dirò come in massa e nel suo insieme. Ma non s'indentificò col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia fu nel tempo stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza, piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni, allora suprema.  I romani si divisero in sette. Effetto della maniera d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a' padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione, la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere, contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone, a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone Uticense. “Non  possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine.  ERASM. in Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus, intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove; l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie dell'eloquenza.  All' Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste , nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo, comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu, come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro, commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza, piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo, solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive, la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali, sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in nugoli, e la terra colle piove feconda ; e ad ora ad ora pegli spazii trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira, col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte; coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra, allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa; pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura ; talora nell'ombra della terra s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora  cessa; spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la reciproca giacitura , che si poterono ad esse applicar nomi di determinate figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là fortuitamente ? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali , senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio; argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica sanzione dell'umana giustizia.  u Fondamento primo d'ogni legislazione, egli scrive,  sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito pratica il culto ; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse, onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme eloquenza.  Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii , ossia de' doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni; le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita , perchè sovraccaricate di vane disputazioni , oppurtune più spesso a trastullare l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone ( scrive- a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato  di luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti meditazioni. Ma Cicerone non possedeva lo spirito speculativo che si richiede a poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze : il tempo venivagli meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari. Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de' caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell' umano consorzio.  La situazione politica in cui M. Tullio si trovò collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà. Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici insegnamenti.  Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M. Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia? Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice ? Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!” -- Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Dandolo. Keywords: storia della filosofia romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”; “Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”; roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool Library.

 

Daniele (San Clemente). Filosofo. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica che era stata di Vico e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --;  “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) – dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio, e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’ re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi, , quanto in quella del medio evo --  “Monete antiche di Capua” (Napoli)  dove interpreta le antiche monete di Capua gia pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica, diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico, segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri” (Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius”, Lettere di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo Esperti’.  Francesco Daniele. Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole, Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio, filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro, vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di Sicilia. Daniele. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library.

 

Dati (Siena). Filosofo. Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus; “Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” – ristampato “Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, SismelEdizioni del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae A. Datii” – Grice: “Dati is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that ‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x = x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ – or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords: retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool Library.

 

Delfino (Padova). Filosofo. Grice: “Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu octava sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius.  Dizionario biografico degli italiani. Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus. Federico Dolfin. Federico Delfino. Delfino. Keywords: first sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere, fifth sphere, sixth sphere, seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera, seconda sphaera, tertia sphaera, quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera, septima sphaera, octava sphaera, holometria, fabrica holometri, aristotelismo padovano vs. platonismo fiorentino – aristotele – platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The Swimming-Pool Library.

 

Delia

 

Deliminio

 

Delogu (Nuoro). Filosofo. Grice: “We can call Delogu a Griceian; at least he has written a little tract that he entitled ‘questioni di senso’ – which is all that my philosophy is about!”  Si laurea a Sassari  e, come vincitore di una borsa di studio regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru.  È stato redattore del periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto da Pigliaru.  Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore.  Come vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e  prof. ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane.  Fa parte del comitato scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce.  È stato direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione sassarese della Società Filosofica Italiana.  È stato direttore della Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi, dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo, Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della Grande Guerra . Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari, Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma),  Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), SSatta, (Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa Carrara.  Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo.  È stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza nazionale dei Rettori.  Premio "Sardegna-Cultura" Premio "Giuseppe Capograssi”. Altre opere: “Insegnamento e implicamento empiegamento della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero,  Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi in  Sartre in Sartre, teoria scrittura impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto, Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense, Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil, in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri, FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico  Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza, in Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo internazionale mediterraneo nel 50º Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone, L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica. Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo; in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città, Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni, M. Corrias Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al confine ed oltre. La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma);  J. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru, Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press, Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue Theologique,  Prefazione all’analisi dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante, Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in Esperienza e verità-  Capograssi filosofo oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni Spes, Roma,  Ragione e mistero, in Orientamenti Sociali Sardi, XV, . Il pensiero di Noce sul Magistero della Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, , Cantagalli, Siena, Contro lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma, . Libertà di coscienza e religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità, libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano, . La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e A.M. Morace, Pisa, ETS,  Questioni di senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma, . La vita e il diritto nell’opera di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo , su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com. Festival di filosofia. Antonio Delogu. Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna part of Italy, as Sicily isn’t – they are part of the Italian republic – the ‘stato’ – but geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks are especially precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo of his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is about signs and comprehension. Keywords. “segno e comprensione” s_gn_ e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica comunitaria, etica universale.  -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library.

 

Demaria (Vezza d’Alba). Filosofo. Grice: “Demaria is what we at Oxford would call a philosophical theologian! And a dynamically realist at that!” Famoso per numerosi studi sulla tomistica.  Frequenta il seminario di Alba, entrò come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni, Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.  Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica realistico organico dinamica.  Negli anni sessanta fondò con Giacomino Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di formazione e divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.. Giacomino Costa strutturò volutamente la grande e innovativa impresa dell'Interporto di Rivalta Scrivia ( il così detto "porto secco" di Genova) come applicazione dell'"organico dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente liberiste.  Negli anni settanta fu il referente culturale delle "Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò alla "sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento. Continuò nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la diffusione della "ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico dinamica", una vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella marxista comunista.   Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu intensamente attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di san Tommaso d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica Demaria, passa attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La società alternativa".  L'indagine sui dinamismi profondi della società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale.  Aderisce al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in “rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia, azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo indirizzamento.  Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a “dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto.  Il realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo materialista.  Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente dinamico o anche ente di secondo grado.  Dalla osservazione di ciò che nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli “enti di primo grado”,  gli enti la cui essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a quello della monada – l’uomo, il soggeto,  un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità. Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado (la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la comunità).  Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico, oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente dinamico” per restare vivo e vitalmente operante.  Sul fronte della interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.  Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica” -- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale, è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici.  Le “ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre (3): capitalista, marxista, “dinontorganica” e queste sono costruite secondo i rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore (la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in funzione della vita.  Nella società dinamica secolare, che è laica e profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore del marxismo.  L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica. L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi, attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di “cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro.  L’impresa dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo, costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente dichiarazione , si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in ambito di fede e morale cattolica.  La scoperta dell’“ente di secondo grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula” (individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande) sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa (l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione industriale è l’azienda industriale.  Pur accogliendo nella sua “metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la “dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa mobilitazione.  La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società. Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società “dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è “dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa “ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria “ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli autocostruttivi.  Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione, Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici : genesi storico-dottrinale, testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano Lavoratori), Bologna, Luigi Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano, Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire, La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo, Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire,  L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma, Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca partecipata ., Bologna, L. Parma, Ugo Sciascia, Crescere insieme oltre capitalismi e socialismi : rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà : un itinerario filosofico esistenziale,Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Stefano, Apertura a “tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della notte? : analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila, Roma, LAS, Giuseppe Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza , Realismo dinamico : il problema metafisico della realtà storica come superorganismo dinamico cristiano / riduzione dell'opera di Tommaso Demaria , Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza ,L'ideo-prassi dinontorganica: la costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica : revisione del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Lorenzo Cretti , La quarta navigazione : realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa , Verona, Donato Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova . Globalizzazione e metafisica, Bari , Edizioni Levante, Oliviero Riggi, L'ideoprassi cristiana per una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università Pontificia Salesiana, Giulio Pirovano, Roberto Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu Enterprise, Mauro Mantovani, Alberto Pessa e Oliviero Riggi , Oltre la crisi; prospettive per un nuovo modello di sviluppo. Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona , Fede & Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su dinontorganico.  Scritti teologici inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti del convegno: Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure : un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano, Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente. La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a tutto l’essere in Nuove Prospettive,  Realismo dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere e  ragionata a cura dell'Associazione Nuova Costruttività., su dinont-organico. Tommaso Demaria. Demaria. Keywords: Tuomela, we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e cultura, dynontorganico – dinamico ontico organico -- l’implicanza di Speranza, implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demaria” – The Swimming-Pool Library.

 

Demetrio (Milano). Filosofo. Grice: “Demetrio and the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a Grecian, way, on the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the vehicle is phonic, it need not be – any non-expression is a tacit act --.” “And like me, Demetrio holds that there is a whole communication involving the un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice: “I like Demetrio. You see, Demetrio is sa good one. – and he enriches the Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio, due to the richness of the Italian language, can play with the ‘tac’ root. I often refer to the implicit as the tacit – and the tacit is nothing but the ‘silent’ –Demetrio has this brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are ‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit – his favourite scenario is a loving couple – the silence of love – he has also played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he explores most and relates to my explicit/implicit, tacit/non-tacit distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come pratica filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione, Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare, Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi,  Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi); “Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma, Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini di sé, Torino, UTET Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli adulti.  Saperi, competenze e apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per incontrare i «gentili», Padova, Messaggero,  Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano, Cortina, ,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis); “Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano, Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare in autunno, Milano, Cortina, Duccio Demetrio. Demetrio. Keywords: maschile, omossesuale, perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile, homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The Swimming-Pool Library.

 

Desideri (Roma). Filosofo. Grice: “I like Desideri; he would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of ‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre opere: “Il tempo e la forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema dell'arte” – “L’esperienza del  bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa: estetica e filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci);  “Percezione ed estetica” (Brescia, Morcelliana). Fabrizio Desideri. Desideri. Keywords: consentire, “i consenzienti del bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum, sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione, giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum, il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property, aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice ---- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library.

 

Diacceto (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’ – and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per distinguerlo dal nipote.  Divenne un canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma dell'abside.  Studiò diritto continentale e frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò le opere, in latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere la sua biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S. Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino); “Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino); “L’autorità del Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione spirituale utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita” (Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La superstizzione dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi & Marco Peri). I tre libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un Panegerico all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto Varchi (In Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto: Cultura teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani. FRANCISCI CATANEI DIACETII PATRICII FLORENTINI IN DIVINI PLA. tonis Sympoſium Enarratio ad Clementem VII.Pont.Max . Amoremdiftinguit atq, definit,antequam rei explicatio nem aggrediatur. رازدا ( 1 Ntequam Sympoſi enarrationem aggredia mur , operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis intelligendum . Secus enim fieri nequit , ut diuinú Platonem de Amore diſſereniem intelligamus. Solec itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade, finitur, aut exacta quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia, quæ cungilla ſit,Amorrectèdici poteſt. Sinautē exacta ratione, Amor eſt deſiderium perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot ſunt appetitus, totidem elle amores neceſſe eſt. Atqui ue rum efficiens propter intimam fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz ſeruare quodeffecerit. Vnde & diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipſum facta ſunt, & feorfum ab ipſo nihil , quod factum eſt:ſignificans,non ſolùm ex Deo, ideft,ex uero efficiente res effe ,uerumetiam eaſdem citra dei auſpicia nihilfieri. Dionyſius quo que Areopagita ſplendor Chriſtiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor, cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſuseſt ipſum in ſeipſo manere, quaſiſterile lit: ſed ipſum impulit ad opus ſe, cundùm exceſſum omnia efficientem . Seruat autem propterea om nium cauſa,beneficio fupereminentis amoris : quandoquidem non fimplici prouidentia extra ſe procedens ſingulis entium immiſcetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant, quaſi uehementem entium amatorem . Acuerò &res ipfæ femper in auctorem reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat, recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt, uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus N 146 FRANCISCI CATA NEI DIA ČETI Hierotheus in hymnis amatoris,Amorem ,inquit,fiue diuinum , li ueangelicum ,fiue intellectualem , ſiue animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam conciliantem facultatem intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam :quæ ueró funt eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem :inferiora uerò ad fuperio rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere concupiſcunt. Diuina enim a . &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex calefaciendi fa cultate calefactionecipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum lo cutus eſt Plato in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe Ariſtotelem ,ex his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima &fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem . piternum optimum. Quare uita &æuum continuum & æternum ineſtdeo . Ineft quod & materiæ primæ appetitus ad formam : qui quidem amordici poteft,quandoquidem merito formæ boniipfius particeps fit.Eft & alius appetitus, quo res compoſitæ ſibiipfæ cohæ reſcere amant , optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident. Quemſagax naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore poſſe rerum aſymmetriæ , quæfitex materia , mederi. Virenim naturæ ſtudioſus, quaſi Lunam è cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè ductilis,utinquitPlotinus, per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti excuſſo morboin fuam integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus agendum no biseſt. In plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt, amor dici poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue uirtutis,ſiue ſapientiæ , ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore, quipinguiquadam Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò quidem diuinæ animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu primùm apparet. Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò inſit: quæ quidem intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul. chritudinem uſqz adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos longè aliter diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima pulchritudine maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo intellectui infit, eidem quoq ineſſe amorem ; habere autem originem ex intelligen tia, IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO, 147 tia,quandoquidem appetentia omnis fequitur cognitionem . Atue rò diuina anima gemino amore, nonaduentitio quidem& acciden tario , ſed euidenti &intimo prædita eſt. Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper modumſeminis & naturæ in ſeipſa exprimerecon cupiſcit : & in materiamtransferre affectat idearum participationes. Sed de his in primo &fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui mus, &in ſequentibus uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos amores dupliciter in pulchrum aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia pulchræ prolis procreandæ , quali pulchrū in pulchro procreari oporteat ( atąhicamoranimam in generatio nem deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis, quamdeſcendens nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun que igitur ſpectaculo ſenſibilis pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò facillimèrecuperat alas, quibus ad diuinam pulchritudinem at collitur. Rectèigiturimmortales,ut inquit Homerus, Amoremap pellarunt Alationem : quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio primifermonis,qui Phadrieft: Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui Minerua, quid fit exacta ratione nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri ſermonem aggrediamur, in quo Phædrus non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo potius appecitu , qui rebus adue nitinter exordia,principiò uerba facit. Cornumèrans uerò ea com moda, quibus amoris beneficio participamus, in eum tranſit amo rem , quiab umbratili, Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos reuocat.Sedagèdum uideamus,quid Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo intelligibili,tum in anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur. Verumàmundo intelligibi liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe ubiqellentiæru ditatem: Terramuerò effentiæ firmitatem : Amorem autem eſſe Ap petitum . Plato in Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere Terminum&Infinitum ,quartum eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego uerò Plotinum ſequutus , non puto Termi num & Infinitumelleduas ſoliditates ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus & Proclus:fed quod àperfe uno primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe ,dici Terminuni, quoniam eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum : quate nus utrung ſimul complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone . er N 2 148 FRANCISCI CATANEI DIACETII miſtumappellatur , quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet. Chaosigiturin mundointelligibili nihil eft aliud , quàm miſtumex termino ac infinito , id eft, ipſum per feens,quod ratione poteſtatis dicitur,perfectioniobnoxium . Poftchaos eſt Terra, quoniam ens ipfum , quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus deſignatus per Terram . NamutPlato docet in Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel ſentia ,ftatu ,motu ,eodem , diuerſo . Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas, per quam fingula manent idipſum quod funt. Quamo brem autemfirmitas eſſentiædeſigneturperterram , paulo poſt de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam ens ipſum cùm fit actus pri: mus, perficitur perintimam actionem ,quieſt primus &intimus mo tus,habens originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus eſtà termi. no. Quapropterà Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele . mentum ,utprius ſitens, deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio ipſius entis,quæpropriè Vita dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerumdiuinarum actü per feipfius intellectus aſſeruiteſ ſe uitam optimam &ſempiternam . Inter actionem ac potentiam a. gendi,medius eft agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti prius ineſtagendi facultas ,deinde agere affectat,deinde agit. Ecce igitur quomodo appetitus agendi mediumobtinet locum inter po tentiam &actionem ,cuius eſt principium .Nam potentia omnis, quç cunc ſit ,deſiderat appetitőz ſuum actum . Quod etiam euenitprimæ materiæ ,ut Ariſtoteles ait . Sed de his paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ firmitatem ,qui propriè Status dicitur, efle principium intimæ actionis, quæ Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius beneficio ensin ideas diſtin Ctum eſt.Ex quo patet etiam quomodo amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides. Parmenides enim infueuit ſub Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens diſtinguitur peruitam & motū intimum , Vitæ autem appetituseſt principium , necefle eft appeci tumhuiuſmodi ideis eſſe priorem . Recte igituramor,quieft appeti. tus,antecedit deos omnes, ideft ,ideas. Sedut ad terram redeamus,a nimaduertendum eft fecundùm Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à mathematis uerò res naturalesnon : quod uelint res natura les ſecundùm materiam &formameſſe à mathematis ( licenim ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis eſſe figuras rerum naturalium , qui busconftituuntur. Proinde mathemata appellantur à Platone ob ſcura intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ funt clara intelli gibilia :ſicuti corporum imagines & umbræ ,quæ funt obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur ex proprijs figuris rerum natu. 1 349 IN SYMPOSIVM PLATONIS ÉNARRATIO. FC naturalium Placo in Timæodeſignat earundemingenium . Propte: reaignem & terram ac cæteraid genusex triangulis componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de. finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ , quem iuniores fextum exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc:Nempeutintelligamus, per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam . Atqui palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram , quæ ineptiſsimaeftad motum: quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem . Quodetiamex eo conijcere poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde & Plato in Phædro , Sola , inquit ,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte natura debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo componit folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius oftendat admotumineptitudinem . Verùm dehis fufius in Timæo. Terrai: gitur firmitatis prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili. Animauerò ab intellectu primo prodit , ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno , fi Plotino crédimus,ńső ,quiPlotinum ſe cuciſunt,Porphyrio &Amelio, quanquam Syrianus &Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq & Origenes contendunt, ab ipfo per ſeuno eſſe cummentem ,tum animam ,tum materiam , Chriſtianum dogma potius quam Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis momento inſig. nis prodit idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul tate Nam quemadmodum intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert unitatis participationem( quod ſummum eſtipſius intellectus, & quo ipſum per ſe unum attingit) ſic & animam proce dens ab intellectu indeſecum affert facultatis intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ proceſsionis momento habet idearum expreſsionem , habet & facultatem intelligendi, qua non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic enim intellectum auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum .Atqui intellectus etli primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per intimam tamen ac primam actio . nem , quædicitur per ſe uita ,cuius ope ſeipſum in ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata ,per ſe animal efficitur :per in telligentiam uerò uitæ ſummum ,përſe intellectus, ac mundusintel ligibilis. Sic &in anima , quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate intelligendi ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima ac ſua actio , per quamfeipfam in rationes diſtin 3 1 N 3 150 FRANCISCI CATANEI DIACETII guit, ac per quam propriè animadicitur ,uita eſt participarò, mo. tus autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione intelle, ctus, ratiocinatio autem perfe. Quo fit ,ut inſtar intellectus ſit orbi cularis. Intellectus enim circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam fecum habet & tempus. Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic & primum tempus. Nec quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum participaciones, hoceſt, no tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe. Namintelle. ctus & ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio. nesidearum ,altera uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen inter fe habent. Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes ) tanquam impartibiles acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ . Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua habenc affinitatem . VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem. Intellectum , quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. & tum agentem ,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ ,quidiui. duuseltacdiſcurſu agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè inquit The. miſtius,deſententia Ariſtotelis,unum eſſeagentem intellectum illu minantem ,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum ,inquam intellectum agentem ,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò eſt :complures autem , qui ſunt animarū , illuminati quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt: illuminantes uerò, quoniã ex his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig. niseſt idearum participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam tamen nondūin eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius diſtinguitur,nondumin eam , quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu , quibus propriè anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt ,effentia rudis. HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum interit,ut in Parmenide dictüeſt, quan doquidem motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit racionā ,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò dicitur deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos materia eſt,quam Platoin Ti inro IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO. 151 I. 11 mæo temere agitatam Auitantem appellat:materia,inquam ,omni no expers formæ,ſuapte natura, acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo dictum eſt.Idautem nihil eft aliud , quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad formam ,ut Ariſtoteles inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo contraria , ut Plato ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam duntaxat ipſum nihil inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi, pſum per ſe malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam ,perquam formæ ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem ſunt. Nam per defectum totius per fectionis eftunum : ſicuti deus perexceſſum eſtunum .Ad hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur ſit unum per defectum ,eo quòd careat omni perfectione : erit etiam obnoxi generis, cùm citra auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat. Profecto quaeſtunum per defectum , & cafus abente, di citurmateria: quàuero eſt obnoxii generis,dicitur ſubiectum , pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde & Plato ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem cognomentum materiæ tribuit,quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm utThemiſtio uiſumeft : cui placet,materiam eſſe earum rerum , quæ nondum faétæ aut ortæ ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu :quo fieri,ut materia fit cum priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum firmitatem , tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt,ut Ariſtoteles inquit. Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps: quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum &appetibile ,ut Ariſtoteles inquit.Hisita perſpectis, pa. tet materiam ,quà eſtunum ,per defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia Parmenidis. Nã uia generationis,priorineſtmateriæ appetitusformæ , quàm forma. Forma autem ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm Parmenidem , idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum. Amorigitur,hoceft formæ appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas participacionesmeritò dicitur antecedere. Dictú Auñ eft hactenus, quid GitChaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſ N 4 152 *** * 1s cÌ CATANE1 DIA CETII fimus; atqid tumin mundointelligibili,tumin anima, tum in mun do ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt , quæ ex amore nobis eueniunt. Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ purificationes. Animaenim dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno inficitur , neglectis plerunq; diuinis, quorum cognata eft :quodin decimode Rep. diuinus Plato indicat, dicens, animas quæueniuntin generationem , ſumpto potu ex Amelita flumine ad CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com mércio animis alioqui diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum . Reuocatur igitur anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum ,miniſterio uirtutum ,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter materiæ for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu dicit, perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando @ ex alñs,ſignificans uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo amorcauſanobiseft uirtutumomnium ,quarum beneficio maxima bona conſequiinur, hoc eſt, ipſam ſapientiam . Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum .Veritasenimpræ ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ , inftarauri quod igne defæca tur. Quod & Ariſtoteles quo & clara uoce afſeritin ſeptimo deNa turali auditu. Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut fiant expetibilia: hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum nonexpetere idipfum , quod ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur proſequutio. Appetitus enim principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio libro de Ani ma progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam refert. Voluptas autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit proſequendi expetibilis , Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat animam ,utetiam profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab expetibili uix commo ueatur , iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti uirtu tem , (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din fatetur Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo fimiles facit. Vnde & Plato in Theäteto , Fu. ga , inquit , hinc ad deum , iplius dei fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia & ſanctitas cum prudentia præſtant. His ita perſpectis , uidere poſſumus ; quomodo amor uirtutum cauſa . lit. Quod Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit , reuo cans IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 23 3 3 čansnosà turpibus, præter hæc æmulátio ad honeſta inultans,no- , bis fternit muniti uiam ad præclarè rectei uiuendum . Altera e nim dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando extrema, ſem per habet ob oculos mediocritatem .Quoeuenit, ut quicquid magni præclarię efficimus, horum ope efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in nobispudorem excitat, aut ſuſcicatçmulacionem : Amorenimuel abiectiſsimum quemq,licgnauum reddit ad uirtu tem conſequendam ,ut numine percitus uideatur. Amorquoq;fica mans amatúmque inſtruit,utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab altero ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt , Amoremuirtutes ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo &ratione. In præſentia uerò adſtruendum ,ex eodem quo que eſſe cum purgatiorias,tum etiam purgati animi uirtutes : quarü beneficio ſapientiæ acfelicitatis participamus. Cuius quidem rei Al ceſtidis atop Achillis fabula admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe prius, animam trahi in generationem affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis impura redditur:aſcendere uerò ad diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile,in quo nihilconitantiæ ,nihil firmitatis inuenias. Atuita intelligibilis ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius agemus in fequentibus,ubi declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit, quid ſibi Plato uoluerit in decimode Rep.dicens, a nimas in generationem deſcendere per Cancrum, per Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia uerò fatis ſitgeminum huncaf fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam fabulæmy ſterium aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum ,pro eo mori uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam reuocarunt. Alceſtidem puto eſſe animam , quęiaminue ritatem incumbat. Admetum uerò credo ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera intelligibilia excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti nequit. Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili uita , in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt ,quà exuit ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur.Namexuere uitam ſenſibilem ,nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat expetibilisproſequutionem . In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus enimhuiu £ ک 294 FRANCISCI CATANEI DIACETII ! modinonin purificatione,fedpotius in ipfa puritate conſiſtit. Purifi 'catio enim motio quædameſt. Atpuritas motionis terminus. Con fummatio igituruirtutis potius in termino motionis , quàmin ipſa motionecõliſtere debet. Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua quidem diſcimus etiam abipfo ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt &longèmaximū,& quod longo uſuacdiuina quadam ſor teuix comparatur,neceſſariūtamen ad fapientiam felicitatem con fequendam ,ita paratuminſtructumós eſſe ,ut corporeas tantùm fen tias affectiones,cetera prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos Orpheumimitatus, exiſtimat, dum ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in ueritatem patere aditum . Hicenim ſenſibilium notionibus,qua tenus ducuntadueritatem ,uti nequit, ſed quà ſunt duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit ,utumbras,hoceft ,fimulachrū Eurydices captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum fürentibusfae minis dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid euenit animæin puritatem iamredactæ . An talem uiteſtatum ſapien tia ſequituradhæſioc in deum , quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo utitur ſenſibilium ad ueritatem conſequendă. Namſenſibilia imagines ſunt rerum diuinarum. Vnde et Plato in Ti mæo idem fermètribuitanimædiuinæ ingeniū,quod priusin mun. di corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo ſenſibilium :quorum notiones in ipſa intelli gibilia excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones ,ubi primumintelligibilia conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis oratione agendum nobis eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli ( fabula nosadmonet. Achilles,inquit,mortuo Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus, non ſolum in uitam reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi habitandas.Patroclum puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia adminiculo ſenſibilium . Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus eft Patroclusamans, id eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium notionibus indigeat,quibus innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui deſinantelle animæad intelli gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles dícitur. Dij uerò huncuolunt reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus ſenſibiliú fiuntobuia ipſa intelligibilia :unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas euenit & bonum ,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An ſi comparetur uisintelligendi ad id quod intelligitur, longè I melius IN 155 SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili,ſcientiam uerò intellectui ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones, quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas : Pen dencenim à ſenſibilibus,ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ . Plato igitur quando dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum .Hæfanè intelligente animalongè ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim ,ut rectè inquit Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſtutrunca contemplari. Quandoqui demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum , ſicuti etiã ſenſus, &rei ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod inquit Plato, Amans propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore agitur. Verùm quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi amatum , in gratiam amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin gratiam amati, nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem , abijcere uitam fenfibilem ,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiadueritatem compa randam ,irritæ ſint: Amatumenim ſenſiliūnotionesſignificat. Quod exeo aſſeritur, quoddictum eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx , filieimpedimento ſenſibilis uita . Amatū uerò moriin gratiamamantis,ſignificat notiones ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem intueatur : quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere notiones ſen lilium , intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem , ut notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit , a matū pro amante,hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato ,hoceſtAlceſtidē in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad maiorem honorē cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia ,uerumetiam ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt ,Achilliin uitam à dis reſtitu to beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam reuocari ſatis fuerit. 257 2 156 IN SYMPOSII SECVNDVM SER: MONEM QVI PA VSAN IAE TRIB Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pauſania dictum eſt, totidemeſſe Amores, quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem , quideaſit:alioquiphiloſophia amoris( quod qui dem in præfentia quærimus ) lateat nos neceſſe eſt. Plotinus igitur putat, Venereineffe ipfam animam , proindecaulamamoris efficientem . Sunt etiam & alij, qui aliter ſen . tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia dimittere conſilium eſt. Vir enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt rationi bus,quam putateſfeueritatem ,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter aſſentior, qui credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento , in Phædro dictum eſſe furorem amatorium , & optimū effe furorum omnium , & ex optimis.Exoptimis quidem , quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur, optima ac præſtantiſsi ma eſtomnium , quæcunq ſenſui offeruntur: nam & exquiſiciſsima diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, & ſenſui omnium perſpi caciſsimo ficobuiam .Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel fi nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles ſint,ut Ariſtoteles inquit :præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus, quippe qua exquiſitius cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad intelligentiam traducere folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod &Ariſtoteles indicauit. Nam & in tertio uolumi ne eius libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, & in primo de Moribus adNicomachum , Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus eſt in anima.Patet igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine ſenſibili excitetur,quę optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe facile dabit is, quem non latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt Amor,indagancibus bonum obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus in ueſtibulo occur rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur ſen fibili pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem intelligibilem dirigitur , huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, utPlato inquit in Phædro :quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui Veneremcomitatur,pulchrorum dux puero. rum , IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 157 . 5 rum , eorumſcilicet animorum , quos pulchriuehementer prouocat {pectaculü :quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in . dicari : Nuncuerò quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt . Quod pulchritudo ſitex eorumnumero, quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat eius qualita tis , quæ uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam &pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur extenſionem , ſed temporis puncto ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft & alia qualitas uilibilis ,quæ tanquam imago acflos ellenti alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id igitur quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago acfloseſſentialis per fectionis,alliciens rapiens in bonum ,reuera eſtPulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum appellatur. Cæterum pulchritudi nieuenit,ut delicata,utiucunda,utamabilis ſit. Delicata,eo quodfe. quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat. Amabi. lis ,eo quòd allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon ſint, quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo.Eſto pulchrum omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim . Quid tum poftea.Num continuò ſequitur,bonum quidem genus ef ſe ,pulchrūuerò ſpeciem ? Alioqui& ſapiens,& iuftum , & perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft,ficédecęteris: nõtamen uiceuerſa.Nūcuerò neck perfectum ,negiuſtum , ne s fapiens boni ſpecies ſunt,alioquieſſent quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum eſſegenus,fiquidem genus totum eſt : totum uerò partibus obnoxium: Siigitur unum eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque impartibile eſt, quemadmodum in Sophiſtedeclaratur.Sedagedum ſidetur bonum eſſegenus, quídnam id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo patere poteſt, quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ beneficio uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio motusanima eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio formæ ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis autem non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici poſsit, perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum ,neminem inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt. Nónneignieſseignem ; 158 FRANCISCI CATANEI DIACETII bonumeſt:Atquis ambigat per formam ,quieſt actus, ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe uiuens, bonüeſt:Ve rùmalterūbeneficio uitæ ,altera beneficio motus, quorūutergeſta ctus,id euenire palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē bonüeſſe,uiciſsimo bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat, pulchrumàbono differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit inficias,fibonuminuniuerſum accipiatur, pofſe dari, gracia diſſertationis,idipſumgenus effe :contender tamen,fedebono uerba facere, non quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur, fed quatenus particulare definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem rerum perfectionem . Atque id quidem affirmat recta ra. tione . Nampulchritudo ingenium modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa rationeexploditur.Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo , reuera intima:quod ex co aſseritur, quoniam unumquodąeſſentia conſtat. Hinc quidem uidere poſlu . mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis . Ideas enim ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin ideas diſtinctumeſt : quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat Theoremata non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere,ubi nam&quo pacto lintideæ . Vtrumânt in eo ,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto ,uel totum in partibus, uel pars in parte , uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit. Namgenus &ſpecies totius partium ( habent ingenium . An ex diuiniPlatonis fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex . Anuelutiforma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt, quando alterius beneficio noneſtactu . Sed neque tano accidens in ſubiecto . Quis enim contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra foliditateseſse perſpicuum eſt,utignis, & terra, & cætera generis eiuſdé:Non ſuntquoq tanquãin caufa effe. ctus , quandoquidemeſsentpoteſtate. Nücuerò ideæ acti funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod perfici debet? Namper feanimal uita ipfa ,non ideis, tanquam actu animaleſt. At nequetanquam totum in toto , neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt . Non enim totum ſunt ideæ , quoniammultitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò unumeft. Nónneſi tanquam partemin parte IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 159 1 parte eſſe concedamus, oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm ideas,alicuius totius partes eſſe : Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe animal:Reftatigitur, ideas eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes. At id eft, quodin Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot formas mūdo èxhibere, quot fpe cies mènsuideratin ipſo per ſeanimali.Quemadmodum enim forme quas mundo exhibuit mundiOpifex , continentur in mundo , tano in toto partes:ficetiam ſpecies, quas mundi Opifex eſt imitatus,in ip ſo per le animalicontineri pareſt. Abipſo autem per ſèuno procedit primò ens: quodintima functioneabfolutum , quæ uita dicitur,fit per ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio cùm totum ſit, in partes quoce diſtribuatur neceſſe eſt . Totumenim& partes ſimul ſunt. Quapropteripſum per ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi ideæ ſunt.Ex quoli cetadmirari nõnullos:quicõminiſcunturideas aduenire extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü informi naturæ . Quo genere peccarenul lummaius poſſunt, qui amant uideri Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio quempiã laceſſendi ( quod à uiro philoſopho alienum ſem per duximus) fed quoniam ſunt nonnulli , qui dum alteros auidius quàm decetinfectantur,nõ cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui. Nãduxnoſter Marſilius , etſi alicubi dicitideas excrinſecus accedere, Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt patere arbitror, primā pulchritudinem non efle ideas, quemadmodumnonnulli ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt. Plato in Timæo di cit mundum eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse autemalicuius ſimulachrum , quodratione ac fapientia ſola compre, hendi poteſt:adhæcmundumpulcherrimum natura opus optimum que eſſè :effe , inquam , animal animatum intelligens.Ex quo intelli, gere poſſumus, de Platonisfententia,id exemplar quodmundiOpi fex eſt imitatus, tūanimal eſſe, tum etiã pulcherrimum . Quapropter pulchritudinem primò eſſe ipſius per ſe animalis,non idearum : nam ipſum per fe animal ideas antecedit. Adhæc, ſi pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ perfectionis : intimauerò perfectio ne ipſum per ſe animal fit : quis non uidet,ipſius per fe animalis prima pulchritudinēeſſe : Quomodo igitur idearu : Dehis tum paulo poft diſſerendūnobiseſt , tūetiã in libro de amore ſatis abūdediſſeruimus: Hactenus oſtenſum eſt, quid Venus ſignificet, quid ſit pulchritu do ubiſit.In præſentia uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia B 160 FRANCISCI CATANEI DIACETII ſitamoris,an potins finis.Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen tentia ,pulchritudinemeſſe materiam amoris. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non tanquam principium efficiens eius actus qui eſta mare , fed tanquam obiectum .AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò ſuntmateria, circaquam actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea Venusdicitur amoris mater.Nam materiam eſſe tanquammatrem ,efficiensuerò tanquam patrem ,con tendunt Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum . Sed non poſſum non uehementer admirari, quihæcproferunt in medium , uiri alioquigra ues &magni, &quos arbitror nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent adintegram caſtamos Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam . Non ſolum enim quæ dicta ſunt,Platoni Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi, pugnant quoque&his quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in ſextodeRep.libro dicit, fjs quæ intelliguntur inefleueritatem :intelligentiuerò ineſſeſci entiam ,ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa ſit intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do ueritas ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem :Veritas enim ſci entiæ longè præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin undecimoRerum diuinarum , Expetibile, inquit, &intelligibile mouetnonmotum , quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur. Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc:Mouet icaqz tanquamamatum . Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs finis ipſius habere ingenium . Siitam expetibile &intelligi bile mouetut finis, pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe poterit: Atprimapulchritudo ſoli intellectui eſtobuia,quemadmodum oſtēſum eſt ,cùm fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam eſt ,bonum au tem quà bonum ſemperexpetibile.Poſſent &alia multa afferri in me dium ,quibus oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ eſſe materiam actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs, qui uel breuem deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò &rationi recla mat,obiectum ueluti materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id ex quo ali quid fit .Nó fiūtaūtex obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie éta . Quo euenit,ut obiecta materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt, quandoquid exeo appetimus quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea quòdexpetimus.Expetibile autē obiectõeſt,quo fit, utbonum IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 16i 2:13 I utbonum obiectum ſit:Gaddas,obiectüeſſemateriam ,bonum quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione aſserendum , bonumipſummā teriam eſſe : Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi, tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies fit :bonum ueròde pulchro tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt bonum ,bonumuerò materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter meaquidem ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia : quo pacto Amorem exoriridicendum eſt : Anubi primumcognoſcendi facultas,pulchritudinem utdelicatam , ut iucundam ,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur .Appetitus enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat ſibi adeſse ac per frui delicato , iucundo ,amabili,utinde plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui quidemreuera Amoreſtappellandus,hoceft,appetitus &deſideriū perfruendæ pulchritudinis.Huius deſiderñ efficiens cauſa,uiseſtap . petendi:pulchritudo illud ,cuiusgratia. Quænam uerò materia ſit, in Socratis oratione declarabimus,exponentes, quid nobis per Peniam fit intelligendum , quam eſſematrem amoris affirmat Plato . Quod quidem euidens argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſemateriam amoris.Nunquam enim dicit Plato , Venerem ( quæ pul chritudinem ſignificat ) matrem eſse amoris , ſed potius amorem co , mitari ſequio Venerem ,quippe quiVenerisipſius eſt ,in Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius, non materiæ . Nonnulliſunt, quidicant,quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere id quod ab eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē hocipſum dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione lubnititur ( cognitio autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter deſideransacdeſideratum congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem nequit, utidquod deſide. ratur,à deſiderante quodammodonon participetur. Alioqui nulla eſſet inter utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē ſen tentia cómentitiử hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur. Cuius rei indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis deſiderat. Quo fit,ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe àqua cognitio ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid cognitione priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis. Sed fortè dicent,nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint,deſiderãs,quàdeſiderans, merito cognitionis cognit 1 3 162 FRANCISCI CATANEI DIACETII habere quodämodo poffefsionem illius,quod delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua cognofcit.Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali zrei cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit.Vtrūuerò id affequemur,alñ iudicabūt.Nobisſatis erit afferre in mediū ,nõ quæ adeo premất alios,eospræſertim ,quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari:fed quę caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere arbitramur.Quod quidem ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē. Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè poſsitambigere.Cognitio.n.inipſum cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio nullā habet cumuiſione affinitatem . Non enimqui poſsidet quodãmodo intuetur, ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum quod poſsidetur. Quoeuenit, ut poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis. Siigitur cognitio uifionis imitatur naturam ,poffefsio uerò non imitatur, quo pacto dicendum eft ,cognitionem eſſe poſſeſsionem . Adhæc,uerum & bonūnonidē funt.Quod ex eo patere poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In uerum dirigitur cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi.Ex ueriperceptioneaſseueratio certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu ( uoluptas. Si igitur cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret,uoluptatisquo particeps fieret. Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté cognoſcentem no perficit,fed appetētem .Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin miſto quodã ex lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia intellectum :altera uerò,hoceſtuoluptas , uoluntatem perficit. Sed de his infequentibus comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą deſiderat,huncipsūnon poſsidere ,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In preſentia uerò declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo auteſse autdici debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur fimilia ſunt,aut propterea dicuntur ſimilia , quòdcerto quodã tertio participent ( cuiuſmodico, plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non tamé uiciſsim :quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo uiuentem Socratem quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis contendet,uiuentē picto auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè inquit Plotinus.Sen lilia quoqhocpacto intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil cum eisha bentcõmune,niſi nomen. Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide Timæocz teftatur. Ex quo Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè diluitur. Quæcũçaūt ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt, & cætera generis eiuſdem , fimilia & ipſa dici poffunt, tū ijs quærecipiuntur,tumis quæ efficiunt.Horum eniin 11 IN SYMPOSIVM PLATONIS EN ÅRRATIO. 163 be Inic enim poteſtas quædam ſimilitudo uidetur eſſe. Dicitur quo &effi ciens finiſimile, quoniã efficiensomne à fine mouetur: illius enim gra tia omnia ſunt. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerūdiuiuarū ,Ěx petibile,inquit, & intelligibile mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat. Quod paulo poſtexpreſsit,dicés: Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq expoſitis,uidendū eſt, quopacto deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt, cuius ſimilitudinem meritò fibi deſiderati inſit poſſeſsio.Non eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur, quoniã tertio quodamparticipent. Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc pacto ſimiliaſunt,quando in tertio cócurrunt. Atdeſideras &idquod deſideraturita fe habent, ut idquod deſideraturnomotūmoueat,deſiderãs uerò moueatur:Quo euenit,ut ſecus id , quod deſideratur, deſiderāti: ſecus autem deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit. Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò &id quoddefideratur non ſimili côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ quoq nõ participare : Non ſunt quoqz ſimilia ,eo quòd alterü alteri duntaxat ſimile ſit:alio , quiaut alterum alteriusſimulachrū imagóą eſſet ,autfaltē imitaretur. Nuncuerò neutrūaut alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt, quo recipiensautei quodre cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur. Neutrumenim recipientis habet ingeniū, quandoquidem alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud cuiusgratia efficitur. Reſtat igitur, fi qua eft ſimilitu do ,utdeſideras &id quod defideratur propterea fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft efficiés . Quã quidē fimilitudinēnemoeſtomniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse:Quoenim pacto eo côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur . Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem . Nã propterea effici ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem ,nulla finispoſseſsio eſt:finis enimpoſseſsio actu eft,poſse aūtmoueripotencia. Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu : do poſseſsionēdicit . Adhæc lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod deſideratur,id quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet quogiãactu &uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt afseruerit,deſiderãs quà deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate:Nãdeſideriūmotio quædã uidetur, quãdo motionis pricipiūelt.Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē ſimulmoueri,acno moueri.Quod fieri nulla ratione po teft :Ěxhis perſpicuñeſse arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur pociūdi illius : quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt autem 164 FRANCISCI CATANEI DIACETIÍ quam uehementiſsimeſingulaſibibonumadeſle. Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit, cuius non fuerit &cognitio.Hæcquidem cognitio no intelligencia eſt,non ratiocinatio ,non opinio , ſiue cogitatio,nõ ſenſus aliquis, ex his quos particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula enim ftatimquàmfunt, intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem ,unde uenerunt,libieſſeproperandum , indebonumuberri mèadfequutura.Hicquidem ſenſus, quem IntimūNaturęgsappella mus,principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită intelligēciāõpro cedat.Nãuita intelligentiaõprogreſsioeftin bonū.Progreſsio aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim , quàmeft,præféntit ex auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt. Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis & ipſiusauctor eſt. Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus.Effentie, in quit,animæ ipfiusingenitaquedamineft deorum cognitio ,omniiu dicio melior,antecedens electionem ,ratiocinationem , demonſtrati onem omnem : quæ quidem interexordia inhærens in propriam cau fam ,coniúcta eſt cumeo animæappetitu ,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi, meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium , quaſi abextima intelligentia dirigantur .Namfieri nequit,utextima fit cognitio,appetitusuerò intimus. Appetitus enim cognitionem fequitur,eiuſdemqz rei eſt cognoſcere & appetere. Huncienſum ue . teres Magiobſeruauere, hincopera ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus quietum acline ſtrepitu appellauit . Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla indiget ope externorum , fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat . Qua propter mea quidemfententia , quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas ſuã habet ſentiendi facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi facultatē uolūtas, quibus nitătur ( alioquin he quidé quod reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico deſiderio cöplecterentur) fic & cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum dirigūrur, ſuāhaberecognitioné ( quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü præſentiatur,neceſſe eſt.Hecquidēcognitio quéadmodūnā 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 169 eſtbonipoſſeſsio ( alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius poſsidēdi principiū :pari ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem . Quo fit,utrecta rationedici nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête cognitioneſubnicatur, quaſicognitio ſitpof feſsio quædam . Quomodoautemnon folùm Amor, fed appetentia omnis,media ſitinter idquodbonum eſt,atquenonbonum : quidper Porum , quidper Peniam Amoris parentesdiuinus Plato ſibi uelit, in Socracis oratione uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus Pulchritudiném eſle Amoris finem , non materiam : declarauimus quoqs Amoremnullam habere pulchritu dinis poſſeſsionem , quemadmodumnõnulli comminiſcuntur . In præſentia declarandum eſt,quænam , qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem declarato,uidebimusquinam ,qualéſoamores ſint. Fi eri enim nequit,utcitra pulchritudinem ſit Amor. Vbiigitur fem per pulchritudinem fequitur, non ſolùm totidem eſſe amores, quot ſunt puichritudines, pareſt: uerùm etiam expulchritudinisingenio amoris eſſencia ,uires, opera ſuntæſtimanda. Sediamrem ipfamag grediamur. Rerum genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum . Rurſus intelligibile in partes duas diuiditur, in clarum ſcilicet &ob. {curum .Intelligibile clarum dici poteft, quod ſuapte natura obuiam fit intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi funt ideæ fiuemundus in telligibilis, ac liquid aliud tale eſt, quod non indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò intelligibile ,quod nonnili in claro intelligi bili apparet: cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid participant firmitatis.BrõrinusPythagoricus in eo libro, qui de Intellectu cogitationem inſcribitur,Cogitatio ,inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut & cogitabilemaius intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft ,citra compoſitionem ,id quod primò intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim citra partes, citra compoſitionem aliorum primum . At cogitatio tummultiplex eſt , tum partibilis,id quod fe cũdo intelligit:ſcientia enim demonſtrationeớ nititur. Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia demonſtrabilia ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem comprehenduntur. Ex quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud ſignifi cari, quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum. Obſcurūuerò per illud , quod dictur, Scibile ,demoſtrabile, uniuer ſale. Nam cogitabilia omnia, cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata,non attinguntur quafi recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro intelligibili:fed per rationem , & quandam ,ut fic dixerim ,ab ideis declinationem acdeſcenſum . Suntautē mathematare uerafluxus eorum generum ,quæcuque 166 FRANCISCI CATANEI DIACETII rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium , idearum imagines, ex empla ſenſibilium ,eandem habentia ad ideas comparationem ,quam habétumbræ &imagines in ſpeculis aduera corpora,quę& àcorpo ribus profluunt, & in eiſdem ,& beneficio eorundem , ſenſui fiuntob uiam.Sicutig &mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, & i, dearum beneficio habéntfirmitatem . Sicuti autemipſuminelligibile in clarumobſcurū < diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum eſt.Senſibile clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam , quodą ſuapte natura opinabile eſt, utcælum ,ut elementa , & reliqua corpora naturalia . Obſcurum uerò, quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet tamen ex corporenaturali tū quatenus fit ,tumetiamquatenusapparet. Hæcſunt corporum natu ralium imagines ac ſimulachra, quæ & à corporibus naturalibus pē dent, &citra eadem ſtatim dilabuntur,necſenſuifiuntobuiam . Hu iuſmodi autemſunt umbræ in aquis, in ſpeculis @ imagines. Addunt Syneſius &Proclus, eſſe quorundam corporum naturalium profu uia ,ad certam intercapedinem integrum feruantia characterem .Quę nõambigunt mirisquibuſdã machinis à Magis impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm & ipſa ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas Tarenti nus in eo libro,cuide intellectu & ſenſu titulus eft,quæcunqdicütur eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri uoluitàde, terioribus ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē tur.Diuinus quoạPlato in fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus, qualeſas ſintä animænoftræ uel habitus uel facultates, qui. bus uniuerfam illam rerum diſtributionem cognoſcimus.Quæom nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur . Nam ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur,noneftcurhæſitemus intelligibilis generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul,necinter diuina cõnumerabimus ( quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat manus extremeratio ni : proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris ſit, media quoơſciệtiãeſſe,cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt, ut credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur. Quid enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO 167 1 &umeft:Intellectus fortè diuinum quiddameſt &impatibile. Quin etiam nihil prohihet,inquit,partem animæ aliquam ſeparari:liquidē nullius corporis actus eſt.Præterea & illud :deintellectu autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud genusanimæ eſſe időzſeparari,tan quamæternumà caduco. In primoautem de partibus animaliumex erta uoce ait:Naturalemphiloſophum non de anima omnidiſſerere, quandoquidem non omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene ratione animalium ,folam mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe , cùm eiusactio no communicet cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum ( quêpleriq falsò fextum au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo) Naturalis, inquit,ip . ſius eſtnon omnemanimam contemplari,ſed quandam ,quæcunque non ſine materia fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur : Vita,inquit,poteſteſſe optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud:nobis autem fieri nequit. Ex quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis contemplationem de intellectu ad facultatem naturalem non pertinere . Proinde aliam quandamſcientiam eſſe, quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque Plato anima ipſam , quando ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin de intelligibilis generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum Platonis ,in quo multa de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura tituluseſt:nosutią quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi uotum, naturę opera contemplari: ficquoqzimusinficias, quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim præ ſe fertilledialogus, quæ naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò commiſcerimateriasobrjciendum eſt. Fuite nimoperæprecium de iis etiam fieri meditationem , quorumopus, & organum natura eſt . Huncautem eſſe diuinū opificem ,diuinamą. animam ,Plato afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem animam ge neris intelligibilis effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata ſunt:fed talis potius,cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis necalieno indiget adminiculo ,utmaneat, & fuapte na tura intellectui fit obuiã. Eftenimuera & abſoluta participacione, quicquid per femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui ipſius,tumalterins dicatur eſſe,ut rectèin quitProclus. Siquidem ipſius, quòd eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem , quòdin corpus propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit,utalteram quãdam animã producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur, quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum , quæ cunque cum materia commnicandæ ſunt . Hæc in præſentia de 268 FRANCISCI CATANEI DIACETII animafatis ſint:Namin fequêtibus eius philoſophiam uberrimècon. templabimur.Ergo animam rationalemègenere intelligibili,irratio nalemuerò èſenſibilieſſe aſsèremus . Quod etiam Plato ſignificauit in Timxo , appellans animam irrationalem mortale animæ genus; mortale autem omneſenſui obnoxium eſt. In plenum colligere poſ ſumus,ſub claro intelligibili animamrationalem , ideasý , hoceſtin telligibilem mundum ,quamprimam quoộmentem ,primumens,ac perſe animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò ſenſibilecomplectiirrationalemanimam ,complecti & om nia corpora naturalia , cælum ,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani malia,plantas,& cætera generis eiufdem . Obſcurum uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis, & fiqua ſunt alia id genus . Adhęc & ea profluuia corporum naturalium ,de quibus paulo ante mencio nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri tudines , quot rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem intelligibilem ,effe quoqj & ſenſibilem . Rurſusa intelligibilempul chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram . Claramquidem , tum quæmundiintelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam effe , quam in mathematiscontemplari poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum animæ irrationalis fiue naturæ , tum etiam corporum naturalium eſſe dicimus : quamquidem claram ap. pellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã eft, & fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non elegans admiſcetur, nonconcionum , undequaqcompofita, undequaqfibi ipficonfentiens. Animequoqrationalispulchritudo coeleſtis acdi. uinadici poteft:quæ tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima pulchritudine ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ, tumetiam corporum naturalium ,non fine materia eſſe poteſt . Anima enim irrationalis ſuapte natura circa corpora diuiduaeft , ut Plato inquit: undeuulgarisacplebeia pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci um. Siigitur duo pulchritudinisgenera funt,cæleſte ſcilicetacplebe ium :coeleſtisautem pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi intelligibilis ſit, ſiue mathematum ,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò univerſum ſenſibile: totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter amor ,qui cæleſtis pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ pulchritudinis,plebeius & ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse appe. 1 titum . IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 169 titum deſideriumộ pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile. Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor,circa primam pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret ,ut pauloante dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non ſolumin primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis (qua uis per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen tia mundi intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud, quàm pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui fitobuiam , in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ . Huiuſmodi autem conceptus, eius facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe pulchritudinem poteft effi cereEx. quo perſpicuum eſt,Amoremeffe principium producen di,quæcunq diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit, utpulchritudinis ſemina producant extrinſecus pulchritudinem ,ni. fi & ea quoqproduxerit, in quibus apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz amoris definitio eſt,ut defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ ,uerum etiam effingendæ pulchritudinis:ut in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu ,quòd cæteriduntaxaruolup tate contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic autem ada datetiam efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm fituera participacio pulchritudinis ,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine perfrui con cupiſcit,eandem affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ ,cu, ius eſt imago. Natura ueró animæ rationalis inſtrumentum ( quam ſecundam animam appellant)habetab anima ſuperiore pulchritudi nem :fed &ipſa per modum feminis. Quandoquidemper hanc ani marationalis componit uerſatớp materiam , in qua pulchritudo per modum ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini ſuntamo res:alter, qui eius pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi bili mutuatur:alter uerò qui in eam pulchritudinem dirigitur , quæ per modum ſeminis in natura fecundamanima effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam pulchritudinem , transfert in materiam pulchritudinis illius participationem ,quandopulchritudinis ſpecta culum in ea anima effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius generationis re uera principium eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget amor. Namubi ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus habet & ipſaſempiternum , quod uita donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis imaginem . Anima enimquàanima,uicam alicui exhi р 170 FRANCISCI CATANEI DIACETIT bere debet:quo fit, cùmfemper animafit,uitam quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti conditione participare dicendum eſt. Quapropter anima om nis rationalis,habet corpus æternum , quod Vehiculum appellant, cuiſemper uitam imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan quamPlotinus &lamblichus credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ ſine corpore fit. Sed dehis alibi latius. Ariſtoteles quo in fecundo libro deGeneratione animalium , Omnis, inquit, animæ ſiueuirtus,ſiuepotentia ,corpus aliquod participare uidetur, idő magis diuinum ,quàmea quæ elementa appellantur. Ex quibus uerbis colligere poſſumus,Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio nalialiquod effe corpus,quod cæloproportionereſpondeat. Quod etiam Themiſtius in ea paraphraſi, quam in primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis affirmat. Quapropter in omni ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter pulchritudinemin telligibilem ,alter ueròſeminalem explicare in corpore materias af fectat. Quo euenit,utinanima omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam & plebeius. Habet & alia ratione utrun amorem animano ſtra.Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie excitata præcipitatina moremexplicandorum feminum ,proindeq pulchro illo potiri im potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani mamgenerationi huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem pulchro nonadgenerationem , ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem in diuinam pulchritudinem reuocatur , unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille uerò ſummopere uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet : declaratum quoque quid fit pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps : quòdpulchritu do noneſtamorismateria,fed finis : quòd nonelt idex , necin ideis: quòd amor nullam habet pulchri poſſeſsionem , ſed potius mer dium tenet locum inter pulchrum atque non pulchrum : quod to. tidem ſunt amorum genera , quot pulchritudinum : quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur , quo fit ut amor partim plebeius , partim cæleſtis ſit : quòd in omni ani. ma rationali utrunque amorem ſit inuenire , in noftra autem duplici ratione. In præſentia uerò reſtat , ut diuiniPlatonis fer e uc uc moncm IN SYMPOSIUM ENARRATIO. 170 PLATONIS moneminterpretemur.Pauſanias apud Platonem laudaturus Amo rem ,improbatPhædrum , quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is rectus honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim plexoelt,oportet,inquit, declarare nos prius, quot ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem laudedignus,qui bonus & àbono ,& in bonum . Qui uerò necbonuseſt, neqz à bono, neq; in bonum :tantum abeſtutlaudari debeat,ut etiam uituperatione ſit di gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum ,hunc ipſum bonū effe ,nemoeſtomnium qui ambigat. Contrà uerò , quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus eſt putandus. Quapropter illé reuera laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt. Contrà ue rò ille uituperandus,à quo nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt amores. Amor,inquit, femper Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet Venus,unus &Amor utique eſſet. At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo nata, fine matre quę cæleſtis Venusdicitur: altera uerò ,quæ Plebeia nuncupatur, ex loueac Dio ne progenita : propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter .cæleftis eft, illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem : alter uero plebeius, qui plebeiam comitatur.Dux ,inquit,Veneres ſunt,hoceft,duo pul chritudinis genera :ut Plotinum ,alios omittamus. NamPlotinus putat, Venerem eſleipſam animam . Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à Platone dicuntur in Phædro, Ve nerem nihil aliud, præter pulchritudinem , ſignificare. Cui quidem ſententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit illud Platonis,Furorisamatorñpatrociniū tributum eſſe Ve. neri,apertè dicit ,Venerem ſignificare pulchritudinem . Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem . Quod quidem etiam obnixè contenderem , ni magnus Plotinusmeremoraretur.Tantum enimei uiro tribuendű cenfeo ,utexiſtimem , huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio , fiue is ſitNumenius Pythagoræus,fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter homines deum facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag . nus Syrianus,quem Proclus non ſecus acnumen colic. Ergo dug Ve neres, hoceſt, duo pulchritudinis genera ſint: quarum alteramdi cit Cælo natam finematre:alteram louis Dionesof ſtirpem . Vetus eſt dogma(cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt,Porphyrius, Amelius Longinusadftipulantur)tria effe rerü omnium principia, Perſeunum ,Mentem , Animam .Aperſeuno eſſe Mentem , quam uocant Mundumintelligibilem , à Menteeſſe Animam , ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus P 2 172 FRANCISCI CATANEI DIACETIL elargiri unitatem :Mentemſiue mundumintelligibilem elargiricon ftantiam :Animamueròmotum . Rurfus ,per ſeunum quandoque Cælumappellari,Mentemuerò Satúrnum , Animam louem . His itaqz conſtitutis,poſſumus dicere,E Cælo,hoceft, ex primo rerum omnium principio, quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem , ideſt,primam pulchritudinem ,quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam ,inquam ,exipſo per reuno, quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima pulchritudo,ex ipſo perfe uno prodïjt.Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio huiuſmodi nul Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus euenit. Prodit enim ſecundum à primo , per fimplicem quandam proceſsionem ( ſicuti lumen à Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto dicimus &animam ab intelle ctu , & materiam ab anima prouenire. In toto hocproceſſu concin git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum , Mundumin telligibilemn ,Animam ipſam ,Naturam animæ inſtrumentum , Cor pusMateriam , . Infra autem noneſt deſcenſus. Vnde & Orpheus, In ſexta,inquit,progeniecantilenæ ornatum finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato.Poteft &alia ratione, acnondeteri ore fortaſſe, Veneremdici Cælifiliam eſſe. Namin Cratylo dictum eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem : Saturnum purita tem intellectus: Iouem uerò uiuentem , & perquemuita, ita ſcilicet, atis aſpectus, quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is uerò, quo ſeipſum uidet , Saturnus, quali lit pura intelligentia , in ueritatem incumbens : Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra feipſum participabilem eſſe .Qui quidem dicitur mundi opifex , quandoquidem mundi principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem uita , quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui in ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo ante appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur , quandoquidem principi umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia dici poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc habet originem. Nam hicſenſus princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium pulchritudinis. Pul chritudo ením uitam fequitur,ut dictumeft. Eft autem fine matre: quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo longè materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platonediſſentire,qui dicit, Veneremcæleftem Saturni ſtir pem IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO , fo pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam ,quæ àprimo intellectu procedit.Sed hęchactenus de cæleſti Venere.Nuncuerò de plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe, afferens habere matré,quãCæleſtis Venusnon habebat. Iupiter ſig nificatMundianimā, quemadmodūpatet ex his ,quædicútur in Phę dro.Magnus uciądux in Celo lupiter,citans alatū currum ,primus incedit,exornans cuncta,prouide diſponens. Huncſequitur deo. rumdæmonumą exercitus,per undecim partes ordinatus. Solà autem in deorumædemanec Veſta.Ex quibus uerbis palàm effe po teft, louemeſſemundi animam . In Philæbo quoque dicit Plato, In magno loue eſſe regium intellectum , eſſe & regiam animam : lig. nificans,mundi animam tumuninerſaliintelligentia,tumetiam uni uerſaliuita præditameſſe. Ergo Iupiter mundi anima eſt; ſecun , dùm Platonem . Dione autem Materia dici poteſt. Anima enim quælupiter appellatur,mundumproducere debet. Mundusautem materia indiget. Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim pliciter,fed ex ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia fit neceffe eft. Vnde &Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex ſuppoſitione. Plato quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id eft, ex materia eſſe conſtituium : quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima mundum producere debet , mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut Dionérectara tiónė diči poſsit :quandoquidemand trüdros,hoceſt,à loue trahit ori ginem.Eft itaque plebeia Venus,louis Dioneső filia :quoniam ſe minaria naturæ pulchritudo tum pendet à mundi anima , cuius eſt inſtrumentum ad generationem , tum etiam materiam mundo ne . ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater, quòd ſuopte in. genio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia; quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria ſeiungiturubi , ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac plebeia, duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem ſequitur. Diuinæ pul chritudinis Amor diuinuseſt : qui non folùm diuina pulchritudi: ne perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per mo dum feminis. Plebeiæ pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem principium eſt generationis , quando pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi exprimere nequit, citra formarum omniumexplicationem : Sed ambigi poteſt,quo pacto dictum ſic, quot ſunt pulchritu dines, totidem efle Amores, Nónne pulchritudo finis Amoris eft : is 31 p3 174 ERIKOISCI CATANEI DIACETIT At vero quid prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut etiam nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar. Vnus enimHercules eſt: Herculisautem imagines complures. Vnde&illud Platonis in Timæo in contro uerliam trahitur,propterea, inquit,munduseft unus , quoniamex emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum imitetur : Ariſtotelescùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium ,ex tota ſua materia conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo eſſentia : non tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ fit in materia , femper amet eſſe uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ aſſumunt particulam :ut equus,utleo , & fi quaſuntalia generis eiuſdem . At ueròquæcunqextota materiafua conſtant, hæc quidem ſingulain ſingulis funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li brodeCælo agitAriſtoteles. Vnde colligere poſsumus,materia copiam ,multitudinemindicare ſingularium .Quod etiam in undeci. moRerumdiuinarumclara uoce dictum eſt. Verumenimuero de claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in Ti. mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde declarandum nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi pulchritudo finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum ,non ex eo oftendit, quòdmateria eſtuna (quemadmodum Ariſtoteles fecit ) nec.exco, quòdmundi eſsentia in corpus unum occurrat ,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim ſolus,aut maximèuſus eſt præcognofcente cauſa ,quemadmo. dum inquit Theophraſtus.Nam mundum eſse unum , acceptumre. fert exemplaricaufæ . Sienim exemplar unum, opifex unus,neceſse eft & mundum eſseunum . Nam opifexunus dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum , omnes exprimendi numeros impleat ne ceſse eſt. Alioquinon perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio nonniſi in uno perfectiſsima eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè exprimuntur , quid prohiberet , in infinituma bire : At aſserere , ab uno opifice infinitos eſse mundos , ſtupidi omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum , multa eſse quæ perfectiſsimè exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse perfe ctius, quandoquidem perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel exquiſitius in perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu perfluent:Quaproptermeaquidem ſententia, rectè adſtructum eft, Si 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 13. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse eſt &mundum eſseu num .Acexemplareſſeunum ,opificem unum , facilè oftendi poteſta Sienim multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio ex his præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem ſingula ualerent idem . Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio perfectiuseft,nónne in id ,quod eſt præſtan tius,ſemper opifex intuebitur unde & cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum . Quapropter recte dictumeſt à diuino Platone, Mundum propterea unum eſſe, quòd exemplar unumimitetur. Quo fit,ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum , quòd exem plar unumimitaretur:quando uidemus,exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe. Namomnino fierinequit, utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex unus, ifíp perfectiſsimus : cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo fimulachrorum ,autex opificis de bilitate : autex multitudine uarietateof fic. Quòdfiobijcitur, ani marum ideameſleunam , opificem unum , huncés perfectiſsimum : complures tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, & fiqua ſunt generis eiufdem , ideam eſſe unam , complura tamen quæ ideam i plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non eſſe animarum om nium ideam unam, proinde nec exemplarunum . Sed fingulas ani mas, ſingulas habere ideas. Vnde & animæ omnesrationales, de Pla tonis fententia,fpecie differunt. Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In his,inquit ,quæ ſunt ſeorſumà materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe . At intellectum ſiue rationalem animam ſe orſum eſſe ,ſecundùm Ariſtotelem facilè dabuntij, qui multis in lo cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius in tertio libro de Anima dicit de mente Ariſtotelis, intellectum illuminantem eſseu num , illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter & animarum diſcurſiones , & uitæ , ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi latius agendum eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon eſſeideam unam . Soluitur & alia ratio .Nam propterealeoniseftidea una , exemplar unum , par ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non eſt unum ac perfectum ,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim dij mundani, & cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem . Quod etiam Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens,ab homine & ſole hominem generari, Hactenusdeclaratum eft,liexemplareſtunū, quo pacto id, quod exemplarimitatur,unumeft, quo pacto contingitmultitudinem in cidere.Nuncuerò reſtat,ut eirationi reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines, propterea quòd concin git finemeſſeunum :complura uerò, quæ illius gratia ſunt. Nampul chritudò finiseft amoris.Dicimusigitur,id quod habetrationemfi nis,expetibile effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximèexpetibile .Quapropterquoniamper ſeunum &per febonnmomnium eſt finis ,reuera & primòab omnibus effe expe tibile. Vndeapud Ariſtotelem legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt. Significatur enim idquodab omnibus, fed pro ſua cuiuſque facultate ,expetitur,eſleid ,quodreueraac primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat appetitum , ubi plura expetibilia ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus enim ſemper expeci bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura con iuncta lint.Vbiuerò unumexpetibile,appetendigenusunumquo. queſitoportet. Quo fit,cùm unum idem's omnibus commune bo , numſit,unumquoqlıtomnibuscommuneappetendi genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt. Atqz ita in cunctis unum eſt. Præter autem id bonum ,quod cùmprimòbonumſit,omnibusadeſt,ſuntalia & bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi pulchrumeft, cuiuſ modiiuſtī , & fi qua ſuntgeneris eiuſdem . Rectè igiturà diuino Pla tone dičtum eſt,totidem effèAmores,quot ſunt Veneres. Venus énimpulchritudo eſt:amor autem pulchritudinis deſiderium . Cum igiturduæ ſint pulchritudines,altera diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia: ſintóshæc genera duo expetibilium :neceffe eft, totidem quoq; effe appetendigenera,qui duo ſuntAmores. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius, quàm quibus uiſumeft, pul chritudinem Amoris eſſe materiam . Ex his ratio illa facilè diffolui tur.Adftruitenim polito appetibili uno , contingere, ut complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt , non tamen continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam pulchritudo fi unafit , etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle , unum tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis ſententiam èffe : arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem , alterum ple bcium appellauit:quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur,altera plebeia,accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus ipſe ſitæſtimandus. Hactenus IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO, 177 Hactenus de his amoribus tranſegimus, quiomnibus animis inſunt , ſiue hæ deorum ſint, fiue dæmonum , ſiue illius generis, quodcorpus caducum ſibi induit, cuiuſmodi hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt expediendi, qui propriè hominum dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem , ſiue in diuinam pulchri tudinem reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius pulchritudo , intel ligibilis exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima eſtcu iufuis hominis pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati curam habet: ut in Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf : cung ſpecies ſortiatur, ſiue deorum uitam uiuens , ſiue cæleſtem ac dæmonicam ,fiuecorpus terrenum , elementarech nacta, totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori, etſi uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat uniuerſi facultatem , quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima omnis eft uniuerſum ,. quin profuo efficiatingenio ,ubicunq efficit. Hinc legas apud Pla tonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam diuinum ,in animantium genere , fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis conſtitutum . In ſeptimo quoc eiuſdem operis , Deus, in quit, omni beato ſtudiodignus eſt :homo uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt, hominem habereomnia in numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur dei ludo con ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus , fuo quodam modo fit uniuerſum . Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat,homi- . nis pulchritudinem ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq; huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum ,niſi quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem talisaggreditur, quodcunqobtigit,ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem , quoni amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli,materiçuicem gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò ,quoniã quandoquſą adeo inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur,ut credat ſeibi generationé conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus omnino in pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan . doquidéanimus diuina res eſt ,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria exhibitură. Amatquo & potius ſinementehomines, 178 FRANCISCI CATANEI DIACETI prudentes.Quoniam non facile eft prudentes decipere, qui mente ualentacnitunturratione.Noneftautem conſilium , ea incommoda in præſentia recenſere, quçtalesamatores ſuis amatis adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu noctub cogitant,niſiquo pacto ualeant uolup tatem explere: Vndeſiamatipauperes fuerint , ſine neceſſarös , ſine clientelis,lineamicis ,adheline omnianimi cultu , cuiuſmodi ſuntdi ſciplinæbonarumartium , ſinequibus nemo uirmagnus eſle poteft, denią fine diuina philoſophia, quæ homines facit prudentiſsimos, miruminmodum gaudent,quafiex calamitatibuseorum ſuam felici tatem auſpicaturi.Quapropterimprobandi,reiciendi,inſectandig ſunt,tanquam maximèpernicioſiac noxij, quippequigenus huma nummaximis detrimentis,bonisuerò nullis afficiant. Quid igitur mirumfi legibus cautum eſt,nullo pacto uulgares amatores audien dos eſſe, quaſi impudentiſsimiiniuſtiſsimiĝzlint: Huiuſmodi igitur ac fimilium affectuũauctoreſtilla ſenſibilis pulchritudo , quam Ve neremplebeiam appellat Plato. Trahitenim , utdictum eſt, rapitớs animamadcorpora (quodanimæmaximummalumeſt ) niſi optimi morešdiuiniacobftet philoſophia,cuius beneficio ueritatis partici pamus. Atuerò ſipulchritudo ſenſibilis ſit inſtrumentum addiuină pulchritudinem , Venuscæleſtis rectè dicitur:affectusõz ille,qui cir ca hancuerſatur, Amorquoq cæleſtis iure appellatur. Prouocatau tem ad diuinam pulchritudinem ,non fæminæ pulchritudo ,ſed ma ris. Amatorenim diuinus,cùm probè nofcat fæminamgenerationi deſeruire, in mareuero generationem expediri non poſle, abhorreat autem penitusà generatione (quandoquidem totus in diuinum in hæret)fit utiqz maſculæ pulchritudinis & fectator adeò &admira tor: quippe qui pulchro uti amet,non tanquam in quo explicet ſemi nalem pulchritudinem ( quemadmodum euenit plebeio amatori) fed tanquam inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem , ac tumdeinde in diuinamattollatur. Probat autemnon pueros adhuc mentis expertes,fed adoleſcentes, quimente ualere iam cceperint. In certum eſtenim ,an pueri uirtute præditi futuri ſint. Ille autem in pri mis uirtutem , optimum (Banimi habitum admiratur. Ergo adole ſcens ubi furentem amicumcontemplatur, quàm omni uirtutum ge nere abundet,non minus obferuareac colere debet, in omne oble quium paratiſsimus,quàmdeorum immortalium ſtatuas colendas cenfet. Scit enim cumeo diuinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibicogitandum efle,niſiquo pactoualeatomneuirtu tumgenus explicare,utdiuino amatore dignus amatus & uideatur & fit.Hactenus Pauſaniæ ſermonem explicaſſe ſatis erit. Nam quæ dicunturde Ariſtogitonis &Harmodñjamicitia,quæíz deuarijsa mandi legibus, tum apud Græcos,tumetiam apud Barbaros, expli canda alijs relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſi liumeft,quæuideanturadPhiloſophiam pertinere. Grice: “If these Italians, pretentious as some are, want to use more than one surname – their loss!” – Grice: “It was an excellent idea of  Diacceto to translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of Plato’s little dialogue on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar Florentine!” -- Franciscus Cathaneus. Franciscus Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M. Francesco Cattani da Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords: diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library.

 

Diano (Vibo Valentia). Filosofo. Grice: “I love Diano, but Italians usually take him to be a bit too Hellenic; recall that a true Roman considers himself a Troian, i. e. an enemy of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus, I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte giovanili.  Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.  Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli. Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue la libera docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista, come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.  Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di lingua italiana presso le Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi che ricoprì fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune opere.  Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945 è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista.  Dal dicembre del 1946 ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso la Facoltà di Lettere dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione aristotelica nel Veneto.  Molte delle sue traduzioni dei tragici greci sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani, interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai. Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito, dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro.  Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo Valla.  Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade, Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson, Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita culturale e artistica del 900.  Tra i suoi allievi più noti troviamo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari.  Per i suoi amplissimi studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del filosofo di Samo.  Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di analisi generale di una cultura.  Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri); “Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro, GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085 dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno, L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson, Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura). Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro, Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D. (con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti, (traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura) Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia Editore); “Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito, Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova, Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki); “La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano, Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano, Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR);  Platone, Il Simposio (traduzione e cura), Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino, Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari.  e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra. Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito, Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside, Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945); Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze, Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Diano, .  Carlo Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di Corallo", di Francesca Diano. Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Diano. Keywords: il segno della forma, il simposio ovvero dell’amore, Mario l’epicureo – homosocialite – forma, segno, convite, Orazio, Virgilio, filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The Swimming-Pool Library.

 

Dionigi (Barletta). Filosofo. Grice: “I like Dionigi; for one, he wrote on Cratylo, which I love!” – Grice: “In Plato’s Cratylo there’s possibly all the vocabulary you need to understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W. Morris!” -- “Postmodern Italians like Donigi, and they created a cocktail in his honour! His philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on semeiosis proves Whiteheads’s dictum that all pragmatics is footnotes to Grice, and all Grice is footnotes to Plato!” Si laurea a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale, nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche), analizzato sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un lucido bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il processo di ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta "linguistica", vista come approfondimento della critica della metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo ermeneutico”), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose. Intorno il “Cratilo” di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite descriptions – descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa stessa" della filosofia.  “Cocktail Dionigi” e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari, Marramao.  Altre opere: Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia: “Un filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un filosofo tra Aristotele e il pub”.  su ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi.  The development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia romana antica. Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla correttezza -- dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è un dialogo di Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della “correttezza” -- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e Cratilo.  La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. Incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema e delle due tesi sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una espressione o nome. Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e “per natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene crede invece che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale, physikos; l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla convenzione.  Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in sé qualcosa della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del discorso (A e B, S e P), è evidente che l’espressione utilizzata nel discorso vero deve essere ‘corretta’. Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso l’espressione, il legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione all' ‘idea’ o concetto (implicatum) dell’espressione, adattandolo poi a questa o quella necessità descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa, del reale.  Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in considerazione l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità dell'uomo, come l' “anima” o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il ‘corretto” dell’espresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento si dilunga sulle qualità morali dell'uomo. Il corretto di una espressione si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa  caratteristica di essere un compost (complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale, l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”, Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce. Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta, propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa) bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende il reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf. muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima, ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre l’espressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dell’espressione risiede nella stabilità del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre uguale, allora è possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione “Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’ spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale (hairy-coatedness).  Cratilo simboleggia invece la concezione naturale (pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto, assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura non e un segno; Non tutto e un segno -- .  Platone fonda la sua concezione della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita. Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura del legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di Cratilo. Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità del legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno. Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno, nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette, nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per argomentare l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da Grice con il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il collegamento tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A segna che p” no implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate, storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della prammatica. Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la concezione platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un legame naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum.  Sedley, Plato's Cratylus, Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il Melangolo, Luigi Speranza, “Platone e il problema del linguaggio” seminario. Lettura e commentario di testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico. Traduzione integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo greco presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus, in Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Bibliografia su Cratilo. Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate · Critone · FedonePlato-raphael.jpg II tetralogiaCratilo · Teeteto · Sofista · Politico III tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro IV tetralogia Alcibiade primo · Alcibiade secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete · Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia maggiore Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia IX tetralogia Minosse · Leggi · Epinomide · Lettere Opere spurie Definizioni Sulla giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco AlcioneEpigrammi. Linguistica Categorie: Opere letterarie in greco antico Dialoghi platonici Opere letterarie del IV secolo a.C.  CRÀTYLVS PLATONIS, VEL DE RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS Ficino Florentino, ad Petrum Medicem uirum clariſſimum. A MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostrū et cum hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo : Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus hic ô Socrates, rebus singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid esse nomen, quod quidã ex constitutione vocant, dum vocis suæ particulam quandā pronunciat, sed rectam rationem aliquam nominū & græcis et barbaris eandé omnibus innatam. Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur. Socrati vero quod nomen, inquam :Socratesait.Nónne cæteris omnibus,inquã ,id eft nomen quo quenquocamus.Illenõ tibi tamen ait Hermogenes nomen eſt,nec etiã ſi omnes homines teita uocarint. Dumýobfecro ut ſciſcitanti mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorſus declarat, sed me ludens, simulatſeſe aliquid uerſareanimo,quali nõnihil hac de re intelligat,quod li uellet exprimere,cogeret meidipfumfateri,eadēý dicere quæ ipſe dicit. Quamobrem libenter ex te audirem , siqua ratione Cratyli uaticiniâ potes conījce se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem tibiplacet,audi rem.soc.Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur. Pulchra eſſe cognitü Prouerbia e difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua res eft.Equidem ſi ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam olim audiffem , in cuius traditione etiã hæc inerant,ut ipſeteſtatur, nihil prohiberet quin tu ſtatim nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun audiui, fed illamdrachmæunius duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio ,inueftigare autem tecum ſimul &cum Cratylo paratus ſum .Quodautem dicit ti bi noneſſe reuera nomen Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi pecu niarum auidus ſis , & impos uoti. Verum ,ut modo dicebam, diſficilia hæc cognicu ſunt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum ita sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet frequenter cum hoc cær terisc permultis iam diſputauerim ,nondum tamen perſuaderimihi poteft aliã eſſe no minisrectitudinem , conuentionemipfam conſenlionemě.Mihi quidē uidetur quod cungnomen quis cuig imponit,id eſſerectů.Acſi rurſus comutat,aliudó imponit, ni hilominus o primum , quod illi ſuccedit nomen rectấexiſtere, quemadmodüſeruis no mina cómutare solemus: nulli quippe rei natura nomē ineſſe,fed lege &uſu illorum qui fic uocare conſueuerunt.Quod quidem ſi aliter ſe habet,paratus ſum non à Cratylo tan tum ,uerumetiã àquouis alio diſcere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conſideremusitap.quodcũq imponit quis cuinomen uocato , id illi nomen effe af feris:HER .Mihi ſane'ita uidetur. Soc.Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER. Affero . soc. Quid vero si ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus , ego “equum” nominē, quem'ue equum , hominē: publice quidem erit eidē homo nomen, pricatim “equus”, &priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita loqueris: HER .Ita uider.soc. Diciterum num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifalſa .HER. Equidem . Soc. Nónne illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio falſa : HER.Ita prorſus. So c.Illa uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit ut exiſtűt, vera est ,quæ ut no exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est autem hoc,oratione,ea quæ ſunt, & quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum .soc. Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum tota quidem eft uera,partes non uerærher.Imò&partes ueræ . soc. Vtrữ partes magnæ ueræ ,exiguæ uero particulæ fallæ ,an ueræ ſunt omnes. HER. Omnes arbitror.soc.Habes orationispartem aliquã minorēnominer HER.Nequaç , Orationis hęceſ pars minima.so c.Etnomen quidē hoc pars orationis ueræ.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars utiq uera,utais ipſe.HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma eſt nos ergonomen uerű , & nomen falſum dicere, fiquidē & orationem.HER. Quid prohibet, men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id & cuiq; nomen eft ? HER. Idipſum . soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter hanc nominis rectitudinem am rerum ipſas effe dinens,utuidelicetliceatmihi quidē alio rem uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti. Ita equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, & Græcis ad alios Græcos,& Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. musHermogenes,utrum resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ minem effemenſuram , ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia & mihiſint: item qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ effentiæ ſuæ quandã habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc deductusfum , quæ tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc. Nunquid & ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem eſſe hominem omnino malum : her . Non per louem.imò fæpenumero ita fum affectus,utexiſtimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, & quidem plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci. soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus vero prauos imprudentes omnino: HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eſto hæcipfa ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur,talia ſint fieri'ne poteft,ut alij hominum prudentes ſint,imprudentes alí :HER.Nequaquam.soc.Atqui hæc, ut arbitror,tibi omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam & imprudentia fic,Protagorā baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera prudētiorerit,fi quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe ſimiliter ac ſemper.Nec enim ali boni,alí mali effent,fiſemper & æ nibuselle û que omnibus & uirtus ineffet & prauitas. HER. Vera loqueris. soc. Ergo fineqom . militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato ſimiliter,ne cuiq proprium unumquodq , cõſtat res femper quæ effentiam quandam firmam in fe habent,ne® quo ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą diſtractæ , fed fecundum feipras quoad ipfarum elfen tiam utnatura inftitutæ ſunt permanentes.HER. Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipfæ ita natura conſiſtunt,actiones autem illarum non ita,ſed aliter: an & actiones ipfæ fimiliter quædam rerum fpecies ſunt:HER.Et ipfæ omnino. soc. Er go actiones ipfæ fecundum naturam ſuam ,non ſecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum finosrem quampiam diuidere ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que eft,utnos uolumus, & quo uolumus: an potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun dum naturam qua diuidere & diuidioportet, item eo quo ſecundum naturam diuiſio fieri debet,diuidemus utiqrecte, & aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus: Sinau tem præternaturam ,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita uidetur. soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem opinio nem comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam . hæc autem eſt qua ratione naturaliter quode comburi debet atæ comburere,& quo debet. HER. Vera hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio : HER . Eadem .Soc. Annon & dicere una quæ dam operationữeſt: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut ſibi dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipſa rerum natura dicere diciç requiritiet fi quo natura exigit,eo & dicat,aliquid dicendo proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós efficier. HER.Ita equidem utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est nominare: & quinominant, loquuntur quodamodo? HER.Omnino.soc. Etnominareactio quæ dam eft: quandoquidem & dicereactio quædam circa res eft. HER . Prorſus. soc.A. Ationes autem nobis apparuerunthaud ad nos reſpicere,fed propriam quandam ſui ha bere naturam. Her. Est ita.so c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipſarum natu . ra nominareacnominaripoftulat,& quopoftulat,nõ autem pro noftræ uoluntatis arbi trio ,liftandum eſt in his quæ dicta ſunt. HER. Sic eſt.s o c.Ato ita aliquid peragemus, nominabimusý ,aliter uero nequaquam . HER. Apparet. soc. Quod incidendum eſt, aliquo incidendű.HER. Aliquo.soc. Etquod texendữ, aliquo certe texendű, quodue perforandum ,aliquo perforandū.HER.Plane.so c.ltem quod nominandũ,aliquono minandum.HER.Sic oportet.soc. Quid illud ,quo aliquid perforareoportet? HER. Terebrum.soc.Quid quo texere: HER . Radius pecteng. soc. Quid quo nomina. Reč HER.Nomen.soc.Beneloqueris,ideog inſtrumentum aliquod nomen eft.HERErt Eft.soc.Siquærerē quod inſtrumentū eſt radiuspectený ,reſponderes quo teximus: HER.Non aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non fubtegmen & ſtamina con fuſa ,radio diſcernimus. HER.Iſtuc ipſum.so c.Idem de terebro ac cęteris reſpondebis: HER. Idem .soc.Potes & circa nomen ſimiliter declarare, quid facimusdum nomine Nomen, res ipfo quod inſtrumentū eſt,aliquid nominamus. HER.Nequeo.so c.Nűquid docemus tias docen's inuicem aliquid ,acres ut ſunt diſcernimus. HER .Nempe. soc. Nomen itaqrerű ſub di diſcernen Itantiasdocendidiſcernendig inſtrumentū eſt ,ficutpecten & radius ipſe telę.HER.Sic diğinftru eft dicendű.soc.Radiusporrò textorių eſt inſtrumentū.HER. Quid nir'sOCR.Texcor mentum icaç radio ac pectinerecte uterur,recte,inquā,ſecundű texendirationē.Ille uero quido cet,nomine utetur, & recte,recte uidelicet ſecundű docendipropriâ rationē: HER. Cer te.soc. Cuius artificisoperebene uteturtextor,quando radio pectineś utetur: HER. Fabrilignari. soc.Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha . betartē.soc.Cuius item opere recte perforator utetur? HER.Aerarijfabri.soc. Num quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER .Quiartē. soc. Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER .Neſcio.soc. Allignare & hocneſcis: quis nobis traditnomina quibus utimur.Her.Ignoro & hoc.soc. Nónne lex tibiuidet nobis nominaſtatuiſſe HER. Videtur. soc. Ergo legislatoris utet opere doctor,quádo nomineipfoutetur.HER.Opinor.soc. Códitor legis quilibettibiæque uidetur,an quiarte eſtpræditus.HER.Arte præditus.soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenesnomen imponere,uerũ cuiuſdam nominữautoris. hic autem etiam , ut ui detur,nominữ inſtitutor , quirarioromniartifice interhominesreperit.HER.Apparet. Soc. Animaduerte obſecro , quô reſpiciens nominü inſtitutor,nomina rebus imponit: imòſuperiorű exempla dýjudica,quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit.nonnead tale aliquid quodad texendum natura fit aptum: HER.Prorſus. soc. Siin ipſo operera dius hic frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan potius ad ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus eſt,fecerat: HER . Adipſam ut arbitror, speciem .soc. Nónneſpeciem ipfam merito ipſius radij rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo oportet cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis alteriradiữ apparare, radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis uero cuiqznaturaliter eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű ,ut natura poftulat,adhibere.HER.Oportet ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis eftratio .Nam quod natura cui & congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq id illiattribuendű,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu ra ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ accommodatum ſcire oportetin ferro perficere. HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc ſunt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius telæ alteri competit, & in alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum inftitutor nomen Quomố no natura rebus ſingulis aptű in uocibus & fyllabis exprimat, ad idý reſpiciés quod ipſum minabit qui nomen eſt, ſingula nomina fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor eſt futurus. recte nomi Quod ſinonñſdem ſyllabis quiſq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt, quod neq fabriomnesærarñ eodem in ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio , & alio ferro ,eatenus recte ſe habet inſtrumentum ,ſiuehic,fiue apud Barbaros fabricēt. Nónne; HER.Maxime. soc.Nónne & eodem modo cenſebis,donec inſtitutor no minum quiapud nos eſt, & qui apud Barbaros, nominis speciem cuim cõpetentem tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű altero in nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum conueniens radij species cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an textor uſurus. HER . Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus, cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem inſtruere poteft, & opus recte'ne an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis ergo: HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo . ris nauiữ. HER.Gubernator.soc.Quis item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, & expletû dijudicabit & apud Græcos & apud Barbaros: Nónne & quiuteſ: HER. Is certe.so c.Annõ is eſt qui interrogare ſçitç HER . Iſte. $ 0 c.Idem quog reſpondere, HER nabic zi HER. Nempe. $ o c. Eum uero qui interrogare ſcit ato reſpondere,aliumuocas i diale Dialecticus nouit recte cticum : HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri ita opuseſt temonem facere guber impofita no natore præcipiente,li bonus futuruseſt temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt nomina. HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue quiddam ,utipfecenſes,nominis impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum &quorumuis hominum opus.NempeCra tylus uėra loquitur,cum nomina dicit natura rebus competere,neg unum quemuis eſſa nominum autorem, sed illum duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag ſpeciem eâ literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates qua ratione his quæ dixiſti,lit repugnandã:forte'uero non facile eſt ſubito fic perſuaderi. Videor autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi oftenderis quam dicaseſſe natura rectano. minis rationem . soc. Equidem ô beate Hermogenes,adhucnullam dico , ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà, meuidelicet hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul inueftigantibus hoc duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem aliquã natura nomen habere , nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne: her.Valde.soc.Conſiderandum reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deſidero equidem .soc. Animaduerte igitur. HER. Quauia inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab his qui ſciūt hæc perquirere,oblatis pecunis, & gratöjs inſuper actis:hi uero ſophiſtæ ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês euafiffe ui detur.Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt fratrem ſupplex ores, ut te doceatnominârectitudinem quam à Protagora didicit. HER.Quàm abſurda hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam Protagoræ ueritatem nullomodo recipiã ,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa dicuntur,alicuius precí æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut ironicũ mero cæterisý poetis est diſcendum . HER. Quid de nominibus, & ubi Homerus ô Socrates,tradic:so c.Paſimmulta, maximauero & pulcherrimaſuntilla ,in quibus diftin guitcirca eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi inducunt. Annoncenfes ipſum in his magnificum alíquid & mirandumde recta ratione nominữ tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti, quæ natura conſiſtunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio ,fiqua dij uocant,recte eos admodum nominare. Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano flumine, quod ſingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant, uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs, Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas,ut fciat quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam aros Myrinen , alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum iſtarữrerum inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē &Altyanax quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com prehendi,facile & percipi poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ dico: HER. Omnino.soc. Vcrum iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire magis puero, Aſtyanacta'ne,an Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem conſidera:liquis te interrogaret, utrữ putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an minus ſapien. tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe.soc.Vtrũmulieresin urbibus sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri : quantı ad genus attinet. HER. Viri.so c.Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a mulieribus Scamandriū nuncu patum : quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare conſueuerűt. Her . Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam mulieres eorũ exiſtimauit: HER . Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta igiturrectius quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER .Apparet.SOCR. Animaduertamusquam ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit, ciuitatem ipſis cutatus eſt amplas mænia . Quapro prer decet, ut uidetur,protectoris filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč ,eius, quam pater ipſiusſeruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider : Soc.Quod aức hoc maxime;porrò &ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis: HER. Nõ perlouem.soc.Arqui & Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit. HER. Quamobrem : soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya sactieſſequamproximum : ferme'enim idemſignificant, putanta Græciutraq hæcno mina regiaeffe. Cuiuſcunæ enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft & fxTue,id eſt poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ , & habere.An forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam : HER.Nullo modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR .Decet,utmihiuidetur, leonis filiū leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico, liquid tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus:fed cuius generis ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum naturam filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum ,non pullus equinus di cendus eſt hic ,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana producit , quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris omnib. iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem.soc.Obſerua me nequid defraudem . Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in alíis uero & alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc ſiue addatur litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec eſſentia reiſignificatæ in ipſo nomine dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum'ue dico, uerű ita ut in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonów, o fixpou & whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes liceras ,ut Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus. Verum quo uſg elementi ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud uocare ipſum quod nobis fignificet elementum , ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.éc, nihil obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur, cuiusnominum autor uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit : Erit ex regerex , ex bonobonus, ex pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet genere alterữ quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano : mina.Variare autem licet per fyllabas,ut uideantur homini rudi,quæ ſunteadem ,eſſe di Gería. quemadmodữ pharmaca medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem fint,nobis diuerſa uidentur : Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem iudican tur ,neß eum additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in nominibus eruditus, uim illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua litera addita eſt, uel tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis eadē uis nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector, liceras omnino diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod &exémolis, id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum duobus ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil aliud quam regem ſignificant. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem ſignificant,ut čys, worém cedoOMG , .Alia item quæ medicinæ profefforem declarant,ut ictportas, a xecik @ poro. Aliaó permulta reperiri poflunt,fyllabis & literis diſcordantia, ui autem fignificationis penitus conſonantia. Sic ne & ipſe putas, an alia ter : HER. Sic certe.SOCR. His profecto quæ fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER. Omnino. SOCR. Quoties uero præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie monftri , uelut quum ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non genitoris nomen ſortiri debet, ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum ſuprà diximus,ſi equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium ,fedbo uem denominandum .HER. Siceſt. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa rentis, sed generis nomen attribuendum . HER . Vera hæc ſunt.soc.Neque igitur6tocosia Agy , id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id eſt Dei memorem, uel talem aliquem huiuſmo diuocarefilium talem decet, Ted cótraria ſignificantibus nominibus appellare, ſi modo recte nomina inſtituta effe debent.HER. Sic prorſusagendum ô Socrates. soc. Profe dio Oreſtinomen recte,o Hermogenes,uidetur impoſitum , fiue aliqua ſors illi nomen dedit, liue poeta quidā, ferinam cius naturã agreſtē &moncanã nomine eo ſignificās. HER.Sic apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER. Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon,utſibi laborandũcenſeat,to lerandumý, &in ijs quædecreuit,per uirtutem perfeuerandã.Argumentũuerotoleran tiæ ſuæ apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prębuit. Quod igitur mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen ſignificai Agamemnon , quali ayasos 967 oli ümrovlu . Fortè uero & Atreusrecte eft nominatus.Nexenim Chryfippi, & crudelitas aduerſus Thyeſten ,noxiữ perniciofumo illum demonſtrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, & clam innuit,ut non quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum periti ſunt, ſatis Atrei ſignificatio pater. Dicitur enim ſecundum erogès, afeger's atypów, quaſiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit. Videtur & Pelopi nomen haudab re tributum. Hominem quippe quæ prope ſunt uidentem ,nomen iſtud congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicæde, utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus pſpicere quãta toti generi ex hoc calamitas im mineret. Quæ enim antepedeserant, &ad præsentia tantum respiciebat, hoc autem eſt prope aſpicere: quod & fecit, cum Hippodamiæ coniugium omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos, quodad uiſionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipſa uidetur impofitum , ſi uera ſunt quæ circunferuntur. HER. Quænam iſta : soc. Quoduiuentiadhuc illi aduería plurima &grauia contige runt,tandemý patria eius omnis fubuerſa eſt. Defuncto præterea faxum in caput immi. net, ſors certe duriffima. hæcprorſuscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to you ,id eft, inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus obſcurius, pro Talancato Tantalum poſuifler. Taleutiæ nomen fortuna eius aduerſa ipſorumore gentium præ buiſſe uidetur. Quinetiam patri eius loui recte nomen eſt indicum ,nec tamen facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio quædam louis nomen , quod quidcm bifaijā partientes,par tim una,partim altera parte utimur. Quidamfive , quidamdia, uocani. Quæpartes in unumcópofitæ, naturam dei ipſius oftendűt, quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim nobis cæterisomnibus uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter decens nomen eſt hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus ineſt.Sectum autem in duo eft unum, ut diccbam ,nomen ,in diæ uidelicet ata awa. Hinc Saturnifilium cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit. Verű probabile eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin Hóp - dicitur,non puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, & fynceram integria tem. Est aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus ad ſupera merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o Hermogenes, 17 qui derebusiutli mibusagunt,puram mentem adeffe, & recevo, iure nomen impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente tenerem , & quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem oftendere tibérecte illis nomina infcripta fuiffe ,quo ad huius fapicntie periculü facerem ,liquid ipſa proficiat peragator, & an deficiatnecne, quæ mihi tam ſubito ignoro equidem unde nuper illuxit . HER. Profecto mitttiden som Ô Socrates iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor equidem ,ô Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio emanalie. Illi fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur eum deo plenú non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, & reliqua quæ ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc conſenſerimus,excutiamuscam , expiemusý ,aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem , feu ſophiſtam qui purgare hæc ualeat. HER. Probo hæc maxi. me Socrates. libentiſſime nang quæ de nominibus reſtant, audirem. soc. Ira prorſus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiendű iudicas,poftquam formulam quandam præfcripfimus,ut pernoſcamusſi etiã nomina nobis ipía teſtantur non caſu quodama. » ata fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam continere:Nomina quidem heroum atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang multa ſecundum cognomenta maiorum pofita) ſunt, & fæpe nequağ conueniüt , quemadmodã in principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ , Itópinoy, alia “ permulta.Talia itaq ) prætermittenda cenſeo.decens eñconſentaneumg maxime reperire nos quæ in rebus ſempio Lempiternis &naturæ ordine cõſtitutis recte ſunt poſita. Nam circa iſta in condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero ipſorūnonnulla diuiniore quadam poten tač humanaſunt inſtituta. HER. Præclare mihi loqui uideris,ô Socrates. soc.Nonne pareſtabipfisdíjs incipere ,rationemý inueſtigare qua bcos uocati ſunt: Her.Nempe, soc.Equidem ita conício.Videnturutiq mihi Græcorű priſci deos ſolos putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbarorű plurimiarbitrantur, solem, luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hæc omnia perpetuo in cursu esse coſpicerent,ab hac natura moldatu få nominalle uidentur,deinde &alios animaduertêtes omneseodem nominenuncu pale.Habeoquod dico uerifimile aliquid, nec'ne HER . Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum : Conſtat de dæmonibus heroibusø &hominibus quærendum eſſe, HER . Dedæmonibusprimum. soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun nomen animaduertenum aliquid dicam .HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit, HER.Non.soc.Nec etiam , quod aureum genus hominum zitin principio extitiſſe ? HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt przſentis uitæ fara fieri dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ expullores,& cu licdes liominum.HCR . Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde conſcio, genus noftrum fereum eſſe dicit. HER . Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis nunc ex noſtris bonus fc ,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum eſt.soc. Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdæmones præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex noſtraiſtud priſca lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, & cæteripoetæ permultipræclare loquuntur,quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus eſt, maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic & dæ monſecundum ſapientiæ cognomentūIca & ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle hominem , quicung ſitbonus,eumódæmonicum effe ,id eſt felicem ,uiuenten » acc defunctũ, recteý dæmonem nũcupari.HER Videor . mihi ô Socrates, in hoctecum s maxime conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu difficile.paur lo enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem illorum čre WTO manaſſe. HER.Qua rationeid ais: s o c.Anignoras ſemideos heroas effe : HER. Quid tum : soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres humanas, uel amore uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam Acticorum linguam con fideraueris ,magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper mutatū eſt nominis gratia ex UTO ,undeſunt heroes geniti:quod'ueaut hincheroum nomen eſt ducium ,aut ex eo quòd fapientes ,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, & ad interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam ,& diſputatores&amatori uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica prolesexiſtit. Verum nõ iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű, quamob cauſam homines ävbewmoinominantur.habesipfe quid afferas: HER.Vndeid habeābone uir: Quin ſi reperire quoquo modo poffim ,nil cotendo, ex eo quòdtemo lius facilius“ quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione confider se mihiuideris.HER.Abſc dubio.soc.Ec merito quidem confidis.Nam belle nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam ,nehodie ſapiêtior quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis circa nomina animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus,lepe ctiam demimus pro arbitrio,dum nominamus, & a cuta ſæpenumero tranſmutamus,utcum dicimus dicíres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum , inde excerpfimus, & pro acuta fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs quibuſdam literasinterſerimus,alia uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc.Hoc & in ävegen O côtingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum eſt,uno a excepto,grauiorig fine effecto.HER.Quomodo iſtud ais 's o c. Itak" hominis nomen illud ſignificat, quod cætera quidem animalia quę uident,non confide rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem & uidet ſimul &contemu platur,animaduertito quod uider.Hincmerito solus ex omnibus animátibus homočvrse @puro eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ ön WT5, id est, uidit. Quid poft ce haqquæram :Anuidelicet quodlibenter perciperem HER: Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi uideturdeanima & corpore cõſideratio .Nam anima& cor pusaliquid hominis funt.HER.Sine cótrouerſia.soc.Conemurhæcquemadmodū ſu: periora diſtinguere. Quærendum primodeanima putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore: HER :Equidem.soc.Vtigitur ſubito exprimarn quod primumm . hinunc ſe offert,arbitror illos qui ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod » hæc quoties adest corpori, caula est illi uiuendi, reſpirandi,& refrigerandi uim exhibês: 9 & cum primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu noni 21 naffeuidentur,quaſi awatúzov, reſpirando refrigerans.Atuero, si placet, fifte parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos quiEuthyphronem ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut arbitror, & durû quiddã eſſe cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű .HER. Dicmodo.soc. Quid aliud animatibiuidetur corpus continae, uehere, & utuiuat & gradiatur efficerer HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagoræ ce dis,rerum naturam omniẩmente quadam & anima exornari ſimul & contineri: HIR . Credo equidem.soc.Pareſt igitur eam potentia nominare quelw.quæ quan,naturan, oxa & xe , id eft uehit & continet.politius autem fuxó proferſ.HER . Siceſtomninoji detur & mihiiſtud artificiofius effe .soc. Eft profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin hocnominepauliſper ab origine declinari. nen . pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ quidam eſſe tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia animaper corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco & rivec iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid potiſſimữpoſuiffe,q anima in corpore hoc delictorũ det pænas, & hocci: cũſepto uallo claudatur,uelut in carcere quodā ,utolor ferueſ. Effeitac uolunthoc ita utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ expendar,neq literam aliquã adăciendam putant. HER .Dehis fatis dictum ô Socrates,arbitror. Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita utdeloueactum eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica : soc. Per Iouem nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes,precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam , neq deipſorīnominibus quibus iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare.Secundâ uero recte denominatio nis modum exiſtimo, utquemadmodülex in uotis ftatuit precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita & nos ipfos uocemus,tanğ nihil aliud cognoſcētes.Recte não , utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis ,ad hanc inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc. Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen 9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes priminomināautores non hebetes quidā fuisse, verum acuti fublimium rerum inueſtigatores HER. Quamobrem : soc. Talium quo rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi quisperegrinaconlide. retnomina,nihilominus quod ſibiuult,unumquodq;reperiret.quemadmodőhocquod  nos días, eſſentiam nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia .Primo quidem ſecundum alterum nomen iſtorum ,haud procula rationeuidetur rerum effentiam ésiav uocari. & quia nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex hocrecte éstæ poffet denominari.Superioresnoftriquondam šriav,tola uocabant.Quinetiã ſi quis facrorí ritusanimaduerterit,exiſtimabit ſic eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim ante deosom nes Veltæ facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Veſtam cognominarunt. Qui item wola nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc fluere omnia femper, nihilo conſiſtere.Cauſam igitur & ipſorum originem ducem ipſum wow , quod impel lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam nominari.Dehis hactenusitalic dictų ,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam aất, deRheaato Saturno conſidera reconuenit,quanğ de Saturninomine in ſuperioribus diximus.Forte'uero nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O boneuir,ſapientiæ quoddam examen animaduer ti. HER . Quale iſtud: soc. Ridiculum dictu.habet tamen nonnihilprobabile.HER : Quid ais: & quo pacto probabile.so c.Infpicere mihiHeraclitum uideor,iã pridem ſa pienter nonnulla de Saturno Rhea tradentem , quæ & Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum amnis fluxuicomparás,haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou gas.HER.Vera hæcſunt.soc.An uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire , qui aliorum a deorum progenitoribus inſeruitRheam atą Saturnữ :Nunquid putas temere illum no mina iſtis impoſuiſſe.Quin & HomerusOceanum deorum originem inſtituit, & The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, & Heſiodus.Aitpræterea Orpheus, Oceanű primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe, quicum Tethy germana ſeſua commiſcuit. Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ in opinionēHeracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem nomēhaud fatis quid ſibiuelit, in telligo.soc.Hocutißidem fermeſignificar:quoniam fontis nomēeſt reconditů.Nam doctons & xlsus ,id eſt ſcaturiens & tranſiliens,fontis imaginem præ ſe ferunt, ex utrif queuero hiſce nominibusnomen tudúceſt compoſitum . HER.Hoc quidem belliſi mum eſt ô Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres autem eius dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum uocant.HER.Prorſus.soc. VideturNeptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco mooddãy uocatusfuiſſe, quia euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro , grediultra permitit,ſed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov, id eſt pedum uinculũ .& uero decoris gratia forte adie ctum fuit. Forſitan nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit pofitum, quafi dicat mom sidós, id eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod dicitur códy, id eft quatere,okwu ideft quatiens eſtnominatus, cuiw & d fuitadiectū . Plutonem autem quali zašto, id eſt diuitiarī datorem dicimus, quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus eruuntur:& dxs uero multitudo interpretatur, quali addis, triſte tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes Plutonem uocitant.HER.Tuuerò quid fentis Socrates. soc. Videnturmihi homines circa potētiam Deiiftiusmultifariam errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime deceat.Porrò quiſ ex hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit, quod'ueanimanudata corpore,illucabit.Cæterum hęcomnia & regnum & nomen hư ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto :soc.Dicam quod fentio . Dic age. Vtrữ horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű , neceſſitas'ne, an cupiditas? HER.Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ plurimi,&dw quo tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos quiillucdeſcendunt,uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam eos,utuidetur,potius ő neceffitate deuincit, fi modouinculo nectitfortiſſimo.Her.Apparet.soc.Nónne rurſus multæ cupiditates funt HER.Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate nectit eos, fimododebet inſolubilinodo conectere.HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla cupiditas, ş ea qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudinemeliorem feuirūſperat euadere: HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C.Hacdecaufa dicendűHermogenes,neminem hucillincuel lereuerti,nec etiã Syrenesipfas, imò & eas & cæterosomnes ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý ,utratio hæcteſtat,deus is ſophiſta proculdubio diſertiſſimus & ingentia confert his quipenes ipſum habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat,uttantanobis bona ſuppeditet,unde & Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo . phitibiuidet officium , q nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ admittateos, cũanimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus: Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore & infania corporis ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere ualeret,fecumý tenere.HER .Nonni hil loquiuiderisÔ Socrates.soc.Longeabeft Hermogenes utnomē& dos, quali cudes id eft trifte tenebroſum'uefit dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt noſle omia pulchra.Ex hoc itaq deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid præ terea dicimusde Cereris nomine, Iunonis“ , Apollinis & Minervæ,Vulcanig & Martis,cæterorumýdeorum : soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa alimentorī largitione, quaſi didolæ pektyg ,hoc est exhibensmáter. Kex uero,id eſt Iuno, quali fatá, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans quihoc nomen inſtituit,aeram ,spav denominauit, & obſcurelocutus est, ponensin fine principiữ quod quidem patebittibi,finomen illud frequenter pronüciaueris. DefélQKT say,id eſt Proſerpinam ,& denómwnominare nõnulliuerent,propterea quòdillis ignota eſt nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregóvlw ipsam considerant,graue id illis apparet. hocautēdeæ ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft quæ resfluentes attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem gegéraqemerito dea hæcnominaretur,propter fapientiam , & Encolu , id eſt contacta , qepomlis, id elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret illi ſapiens ipſe édes, quia ipſa talis eſt .Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem quoq circa Apollinis nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ noſti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime cõuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet, quod & cöprehenderet omnes, & iplius quodammodo declaret musicam, uaticinium, medicinam , & sagittandiperitiam. HER. Aperias iam .Mirum quiddã nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoſitõeſt, conſonatý ,utpote quod ad de um pertinet muſicum . Principio purgatio purificationesø & ſecundum medicinam ,& ſecundum uaticinium ,item quæ medicorum pharmacis peraguntur, ac uatum incanta tiones expiationes , lauacra, & afperſiones, unum hocintendunt, purum hominem & corpore & anima reddere. HER. Sic omnino. soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn & Ösp núwy,id eft abluensa malis, solvens ,q Apollo ipfe ſignificat? HER. Abſque Tubio.soc. Quatenusitap diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda vero divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more Theſſalicorűnominarehuncpoſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt. Quatenusaấtási Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy dicipo teſt,hoc eſt ,perpetuus iaculator.Secundữueromuſicam , dehoc eſt cogitandū quemad modum de eo quod dicit & nórolo & « xomis,id eftpediſſequus,comes, & uxor, in qui. bus& ur & in alijsmultis, idem quod ſimul ſignificat.Hic quoq && zónas ſignificant uerfionem quæ ſimul & unaperagitur, quam cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos fit quos sónos uocamus:in cantu uero & quovia , quam dicimus ovuqwricw . Quia in his, uttraduntmuſicæ & aſtronomiæ periti,harmonia quadā ſimulomnia cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ præfidet omonwy,id eft fimuluertenshæc omnia,& apuddeos & apud homines.Quemadmodum igitoorkeudoy & Oxóxosniv , id eft ſimuleuntem & ſimul iacentē,uocauimus anonovlov & KOITIY, o in « permutantes, ita Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy, altero a interiecto , quia æquiuocũfuiſſetduro cum no mine.quod & his temporib. ſuſpicati pleriq , ex eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt, perindehocmetuunt, ac si perniciem quandã fignificaret.Sed reueranomen hocomneshuiusdei uires cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim plicem ,perpetuũiaculatorem , expiatorē & conuertentem .Muſarā uero & muſicæno men,ab eo quod dicitpães, id eft inquirere,indagatione & ftudio ſapientiæ tractõelt. agtá,id eſtLatona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy, id eſt prompta & expofita & Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű. Forte'uero ut peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe uident,quia non rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos lenis & mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés, quali integra modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua fiageplisoge,id eft uirtutis conſciã,uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit uiricum muliere.Vel enim propterhorâ aliquid ,uel propteromnia huiuſmodinomen eſt inſtitutű .HER: Quidue ro dióvvoos & espositor's O.Magna petis Hipponici fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet & iocoſa.Seriã quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi fanè & difunt: Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor, quafi nobivuosioco quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati,oisdocevouü exay, ideftmentem habe rele putent.DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter ipfam ex dogo, hoc eſt ex ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, ô Socra tes,Vulcanūča & Martem ,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ præteribis.soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen quamobrē ſit impofitũ , haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam uocamus.HER . Planè.soc.Nomen hoc cenſendum eſt à faltatione in bello ductum fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à terra attolles re ſeu manibusaliquid efferre,dicimus cámay, & wameat,id eſt uibrare,agitare & agitari,& ſaltare, & ſaltationem perpeti.HER.Ablo controuerſia,Palladem hac ratione uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo pacto interpretaris: so c . állwaữ quæris: HER. Id ipsum.soc. Grauiushocamice: vident prisci å blwaw exiſtimare,quemad , modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus ſunteruditi.Nam iftorum plurimiHomerữexponuntåbwaw tano mentem cogitationemg finiſſe . Et qui nomi na inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,imò etiam altius eam extollēs,utDeimen tem induxit, perinde ac fi diceret sleovõu , hoc eftutens æ pro y externo quodam ritu , s uero & o detrahens,fortè'uero non ita , ſed IGavónas, id eft,utpote quæ diuina cogno ſcat,præ cæterisomnibus deoroli , id eſt diuina cognoſcentē, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus uoluiſſe illũappellareeam klovólw , qualiipſa in more intelligentia fit. Ipſe poſt modữ,uel eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid producendo,Athenean de nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nominãt: so'c. Quidais:Num ge neroſum ipſum páso- isogæ ,id eſt luminispræfidem quæris? HER.Hâc quæliffe uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft , quiso eft,& x ſibiuendicat.Vnde igas id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet: niſitibiquoq modo adhucaliter uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte,interroga.HER .Interrogo.soc.Siplacet,õpys, id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt maſculã, & av dogov,id eſt forte . Quinetiã fi uolueris ob na turam quandãaſperam ,duram atq inuictã,immutabilemý, quod totumägøæby appella tur,ogy uocatum fuiffe,hoc quo & Deo penitusbellicoſo cõueniet.HER. Prorſus.Soči Deosiam mittamus per deos obsecro.Nãdehis diſſerere uereor.Adalia uero quecung uis,meprouoca,ut qualesEuthyphronisequiſunt,noueris.HER.Faciam utpetis,ſi unű deme quæfiuero.meliquidē CratylusHermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita quid épus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc. équis, id eſtMercurius,adſermonēpertinere uidetur, quatenus égjelw rús eft,hoc eſt interpres & nuncius, furtiuús inloquendo ſeductor,ac uehemens concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in fuperioribus diximus, kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero dehocHomerusait £ukcal, id eft machinatuseſt. Ex utriſq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo quod loquieſt,tum ex eo quodmachinari & exco gitare dicenda, perindeac ſi nominis autornobis præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id eſtloquimachinatus eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice legan tius eloqui, éguli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu , id eſt loqui, nomen habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius Hermogenē elleme Cratylus ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes ſum .Soc. Conſentaneâ quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî .HER.Qua rationer'soc. Scis quòd fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý & uoluit ſemper,eſtó geminus uerusuidelicetac fal ſus: HER.Equidem . soc. Annon id quod eſt in ſermoneuerum ,leue eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod falſum ,infrà in hominữmultis,afperű ato tragicũ : Hincenim fabularum comenta & falfa & plurimacirca tragicam uitam reperiunt.HER . Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw , id eft totâ nuncians, & æs monasy, id eſt femper uolutans,7 dezóros biformisMercurij filiusdiceret, ex ſuperioribus partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus aſper atok hircinus.Eftg Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis frater,fiquidem eſt Mercurij filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum :Ce terüiã o beate, ut & paulo ante rogabā, ſermonem dedñshunc abrumpamus.HER.Ta. les quidem deos,li uis,mittamuso Socrates,huiuſmodiuero quædam percurrere quid prohibet.Solem ,lunam , ftellas,terram ,ætherem ,aerem,ignem, aquam, ver & annum : D soc. Multa funt acmagna quæ poftulas. Sicamen gratum tibi futurum eſt,obfequar. HER.Pergratum plane.soc. Quid primum poſcis: an utipſenarrabas in primis stov , id eft folem; HER.Profecto.soc.Manifeſtius id fore uidetur,li Dorico nomine quis uta tur.Dorici enim asoy uocant,ato ita uocatur ſecundữ &nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum homines,cum exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper reuoluitur.Præterea quia uariat circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem & duo. agy idem eft. HER . Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum : soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid fert antiquius, quod ille nuperdixit, quodlunaà fole lumen haurit.HER.Quo pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER . Idem . SocR.Lumen hocperpetuo circa lumen voy & güvoy eſt id eſt nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue renouatur, Vetusautem eſtmenſis præteritilumen.HER.Vtig.soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe. soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus ſemperhabet,merito uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo ahavice uocatur. HER . Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id eftmenſem :& äspe quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab vas. atroce, id eſtàminuendo, iure nuncuparetur. Astra uero & sectic, id eſt coruſcationis co gnomentum habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uiſum ad fe conuer. tit, ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men trahil mie& idap, id eft ignis & aqua :'Soc. Ambigo equidē,uideturg autMuſa meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte obſecro quò confu giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam : soc. Dicam tibi.ſcis ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER.Non hercle.soc . Vide quid dehoc ſuſpicer.Reor equidêmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preſertim quiſub Barbaris ſunt, habuiſſe. HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis rectam iſtorũ impoſitionem fecundum græcã uocem quærat,non ſecundum eam qua eſt nomen inuentũ nimirum ambiget.HER. Verifimile id quidem . soc. Vide itaç nenomen hoc quebarbaricum ſit.neo enim facile eft iſtud græcæ lin guæ accomodare , conſtataita hocPhrygios nominare parum quid declinantes, & ý. dwg & xuías,id eft canes,alia permulta. HER. Vera hæc sunt. soc. Ergo distrahereiſta nihil oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere quiſquã poteſt.Quapropter nomina illa ignis & aquæ huncinmodum reñcio kázautēſic eft dictus Hermogenes, quia quæ circa terram ſunt, deed,id eſteleuat.uel quia aega , hoc eft ſemperfluit,uel quia eiusflu xu ſpiritusconcitatur.Poetæ quippe flamina aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur quali avocTócow , agzóſſow id eſt ſpiritus fluens, uel fluens flamen , dedica præterea fic exponendum arbitror, quoniã đa dicirca ãégæ pêwy, id eft ſemper currit circa aerem fluens, quocirca čeddeks dicipoteft.gæ autē, id eſt terra,planius fenſum exprimit,ſigara dicatur.yaa enim recte görkodea, id eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum in re,inquit.Quid reftat deinceps. HER . Ver & annus, ô Socra tes. soc. Spore quidē, id eftueris temporapriſca & Attica uoce dicendaſunt,ſi uis quod conuenienseſt,cognoſcere. Horæ nanquocant, quia ief80, id eſt terminant hyemem atçæftatem uentosca & fructus ex terra nafcentes. giveau tos aất & čnos, id eft annus,idem effe uidet.Quod eñ in lumen uiciſlim educit,quęcung naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat & diſcernit,annus eft: & ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab aliquibus Pavæ ,ab alijs diæ uocari,ita & annữ quidam giardy yocant,quia in ſeipſo, quidā quia examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo examinat.Vndeexo ratiõeunanominaduo ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū étolov,id eft in ſeipſo examinās, diſtinctum dicitur griaunos, & £70s, id est annus. HER. Atuero Ô Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin philoſophia uideor euagari. HER . Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes.Her.Verum pofthancfpeciē libentiſlime contêplarer ,qua rationerectenomina iſta præclara uirtutūſint impofira,ut ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's,iuftitia, ac reliqua huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū ſuſcitas,ô amice. Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud deterreridecet,imò præclara ipfa,utais,nomina prudentiæ ,intelligentię,co gitationis ſciêtiæ cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc. Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam ,antiquiflimos uidelicet illos nominữ autores, ut & fapientiâ noftrorum plurimis accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter ceteros in cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri & vacillareil lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem uertiginem ,ſed exterior ? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura habere ſe putāt , ut nihil in eis firmum . ZE & ftabile fic,fed fluantomnesferanturo ,& omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC & defluant. Quod quidem in his nominibus, quæ nuncrelata ſunt, conſpicio . HERM.CC Quo pacto Socrates.soc. Haudaduertiſti superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus, & iugigenerationetranslatis impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis percepi.soc.Prins cipio quod primûretulimus,ad aliquid huius generis attinet.HERM . Qualeiſtud: soc. apórnois,id eſt prudétia eft,qopás a govórous, id eſt lacionis & fluxus animaduerſio. Signi ficare quog poteſt,recipere övnou dopás,id eſt lationisutilitatê.Tádem circa ipfam agita tionem uerſatur. Quinetia liuis yvaus id eft cogitatio fignificat govis várnoip ,id eft gene rationis cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem , id eft intellectio , eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res eſſe,ſignificat eas fieri ſemper.atqß hoc deſi derare & aggredi animum indicat qui nomēillud inuenitvsotow .principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro ,duo se proferēda erant,ut rebois, quafivéov , id eſt noui toisappe. titio & aggreſſio.ow poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus , id eſt prudêtiæ ,falus & conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia ,ab eo quod inftar & fequit tra &tum eſt,quafi res fluentesſolas animusperſequatur,inſtetø & comitetur:at negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare& interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio quædam eſſe uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur etiska . Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix , id eft fapiêtia ,agitationis eft tactus.Obſcurius autem , & alieniushoc à nobis. Verum animaduertendữeſt in poetis, quotiesuoluntaduentantem aliquem & irruen tem exprimere,ovulo.id eſt erupit,profiljjt,dicere.Quin & illuftricuidam apud Lacedæ. moniosuiro nomen erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones cõcitationis impe tum indicant. Qualiitaqomnia perferantur,huiusipſiusagitationis, quę eo quod oos di citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia demonſtrat..yglóxid eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile,amabile,delectabile ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia ,quod xaiov oubsou ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid autem ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis quod dictum eſt cocellum ,reliquum uero dubium .Etenim quicung totum mobile arbitrantur, plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo fingula fiant, quod'ue tenuiſlimum fit & uelociſſimum.Nec enim per omniadiſcurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi ſtancibus utatur.Quoniam uero gubernatomnia, dlačov , id eſt diſcurrens & permanans, merito dinglov eft appellatū, x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te diſcēdideſiderio flagranshæc omnia perfcrutatus ſum ,& in arcanis percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, & cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt caufa:proprieś ita uocariiſtud debere quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam auditis iftis nihilominus diligenter ex ., quiro quid ipfum iuftum ſit, quando quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, & caueam ,utdicitur,uallūý ſupergredi.Satis enim femperrogaſſeme & audiſ- Prouerbia fereſpondent,meg uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra coſentiunt. Quidam ait iuſtű hoc, folem effe.Solâ quippe folem diſcurrendo calefaciendog omnia gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualipræclarum audierim , refero, ftatim ille meridet, quærito nunquid exiftimem post solis occaſum iuftűnihil hominibus superef le: Percontanti itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem iuftâ exiſtere.neqid cogni tu facile,quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum potius innatum ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iuſtā mētem illâ quâ induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam exornare omnia inquit, per omnia pe netrantem .Hic quidem ô amice in maiorēambiguitaté fum prolapſus, quàm antea dum nihil deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad id cuiusgratia diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ .her. Videris Ô Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer deprompſiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita.s o c.Atten de igitur; forte'nançsin reliquis te deciperem , quali quæ afferam non audierim.Poſtiu ftitiam quid reſtare avdgíay,id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia faneobſtacu lum eiuseſt quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna in rebus fi quidē fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d ſubtraxerit ex nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat. constat planè quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo eft,fed oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo eſſet laudabilis.žeệw autem ,ideft mas, & civip,uir à ſimili quodã ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu .pusuero,id eſtmulier, quafi jová, id eſt fæcunda & generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn ? Begrãs,id eſt papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft germinare pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere ,augmentum'iuuenum repræſentat, quaſi uelox quiddam & fu bicum , quod innuitille quinomen conflauit ex leiv , id eſt currere, & &Ma, id eft faltare. Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus ſum : Mul ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc şuu vä , id eſt habitum mentis oſtendit, ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter x & v,& interv & nézován: HERM. Aridenimiū Socrates & inculte.soc.Anignorasbeateuir no mina uetera diſtracta iam effe,atq cõfuſa à ſermonis tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad« dentibus & fubtrahentibus literas,ac partim tēporis diuturnitate , partim exornationis& ftudio undiq peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo, abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū : Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris illecebras pluris æſtimantő ueritatem. Quamobré cũ multanominibus ipſis adiecerint,tãdem effecerűt, utnemoiam nominūdu fenfum animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl oqiya pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto fidareturcuiş arbitratu ſuo & de mere& addere,magna utic eſſet licentia, & quodlibetnomē cuiæ rei unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ſed enim mediocritatem quandam aros decorum ſeruare te decet præsidem sapiętem .HERM.Outinam.soc.Atqui& ipſe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium diſcuſſione, uir felix , exquiras, neuim meam prorſus exhaurias.Afcendam quippead ſupradictorum apicen: posto post artem cõli. derauerimus Myjavlw ,id eftmachinationéexcogitationemg ſolertem . Videtautem li gnificare idem quodmultum pertingere & aſcēdere.Componitur ergo ex his duobus, púxos, id eſtlonge & multum, & dvey,id eft aſcendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam , adſummam dictorum perueniendum eft, quærendum quid nomina iſta significant, opeta, id est uirtus, & xcxiæ ,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum patere uidetur.Nam ſuperioribusomnibus conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards sok ,id eſt male uadens:xariæ ,id eft,prauitas erit . quarecum animamale adres ipfas accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa. culcas inoshiq ,id eſt timiditate patet, quam nondum declarauimus. prætermiſimuse nim.Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre.Multa inſuper alia prę teriſſeuidemur.ddníc ſignificat durum animæ uinculum.domés enim uinculum eſt.nian uero forte quiddam durumg ſignificat.quare timiditasuehemensacmaximum eſt ani mæ uinculum : quemadmodum & exeíc ,id eſt defectus inopia , dubium ,malum quiddã eſt,ac fummatim quodcuną progreſſus ipfius impedimentum ,idé male progredi uide tur oſtendere,in ipſa uidelicetmotione impediri atą detineri. Quod cum animaſubit, prauitate plena dicit.Quod ſi illud prauitatis nomen talibus quibuſdam cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus ſignificabit.In primis quidē facilē agilemą progreffum , deinde folutum & expeditū animæ bonæ impetum effe oportet. Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog és béov,id eſt ſemperfluens iure cognominari poffet adgfútn.fortè uero & αριτίω degerli uocatquis,quia litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ . Verum colliſo uocabulo obetxdenominatur.Forſitan mefingere dices:ego autem aſſero, ſimodo no men illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum ,recte quoc & iſtud uirtutis nomen induci.HERM.Arranów ,id eftmalum ,per quod in ſuperioribusmulta dixiſti, quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem ,ac inuétu difficile. Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam.HERM. Quid iſtud: SOCR . Barbaricum quiddam & hoc esse dicam .HERM.Probeloquiuideris.soc.Cæterum hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon & degeóv, id eſt pulchrum & turpe, conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere uidetur.Nempecum ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit,paſſim agitationis impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw , id eft femper impedientifluxum nomen dedit aegóggow . Nuncuero collidentes degsów appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum : soc.Hoc cognitu difficilius, quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat & longitudinis gratia ipſum æ ſit productum . HERM.Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum quoddam esse videtur. HERM .Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc cogitatio est veldeorũ, vel hominum ,uel amborum : HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa ,ideft quoduocatres, & kxaóv,idem accogitatio ſunt.HERM.Apparet.soc. Quæcunq mens & cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ non,uituperanda.HERM.Prorſus.soc. Quod medicinæ par . ticeps,medicinæ opera efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu vero quid fentis ? HERM . Idem.soc.Pulchrum ita pulchra.HERM.Decet.so c.Eft autem hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM.Maxime.soc.Nomen ita @ hoc naróv, id eſt pulchrum ,merito erit pru dentiæ cognomentum ,talia quædam agencis, qualia affirmantes pulchra eſſe,diligimus. HERM. Sicapparet.SOCR . Quid ultra generis huius reftat inveſtigandum : HER M. Quæ ad bonum & pulchrum ſpectant,conferentia uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum contraria . soc. Quid our popov ,id eſt conferens ſit ,ex ſuperioribus ip ſeinuenies. Nam nominis illius quodad ſcientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim præ ſe ferc aliud quam qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum rebus, quæ ue hinc proueniunt,uocari orredoporre & ovu qopa, id eſt conferentia,ex eo quod fimul circumferuntur.Herm . Videtur.soc.Losdantov autem ,id eft emolumentum : 7 koše dos,id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud excogitauit pro vap ponens,ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut cauponeshoc utuntur, idcirco Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id eſt ſumptusuitat & minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit lationem réao-,id eft finem progreſſionis accipere atæ ceffare : ſed ſoluitfemper ab illa fugató ,fi quis terminusfuperueniat, ipfamós indeſinentem immor talemg præbet.hac rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum enim motionis aú ou do río , id eft foluens terminum ,avandou uocari uidetur.coénomoy uero, id eſt con ducibileperegrinum nomēeſt, quo ſæpenumero Homerus eſt uſus. Eftauté hocaugen difaciendio cognomētum.Her.Quid de horâ contrarijs eſt dicendûrsoc. Quæ per ne gationem iſtorum dicuntur,tractarenequaquam oportet.HER.Quænã iſtar'sOc.co.uk gogov ,kiw deres davandés,axopdes.HERM.Vera loqueris.s o c .Sed Brabopov & yusão s, id eft noxium & damnofum . HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how effe dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire & coercere:pšu id eft fluxum :hocautem passim uituperat:quodő uultanlay góp pouw , recte bonomopou appellaret.uerum ornatus gratia Brabopón arbitrornominatū. HERM.Varia tibifuboriâtur,ô Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladiæ legispraeludiữ quoddã præcinuiſſe,dum no men Bracoitopöy pronunciares. so.Nõego in cauſa ſum Hermogenes,fed quinomēip ſum inſtituerunt.HERM. Vera loqueris. Verum Cauãdoquid : soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: & uide uere loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria ſignificationéinducãt.quod apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top & {mps&d ov,fenſum ipſum cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais: soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero & d utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro uelipfum & uelx adhibent, produe. ro ( quali hæcmagnificentius quiddam ſonent.HERM .Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem uocabant,pofteriores autem partim čuopov ,partim su'épow ,co cant.HERM.Vera hæc funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit declarari.Nam ex eo quod imeipzory , id eſt deſiderantibus homini bus gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam intelli. gas.quanquam arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta quæg efficiat. HERM.Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum , dvozov uocauiſ fe.HERM.Planè.soc.Enimuero luzów nihil aperit.at d'voyou ,divoiy dywylw ,id eſt duori conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø eftdemultis alijs iudicandű.HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum cótrarium nominum omniâ quæ ad bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies exiſtens,déondeouós,id eft uinculum quod dam & impedimētum proceſſionis effe uidet,tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam .HERM.Icamaximeapparet,ô Socrates.Soc.Verum nõſicin nomineueteri, quod ueriſimilius eſtrecte inſtitutum fuiffe, quàm noftrum. Nempe cum ſuperioribus bonis conſenties,fi pro 4,1 uetus reſtituas.Nec enim deby ;ſed toy bonum illud ſignificat,quod ſemper nominūlaudat inuentor:Atą ita fecũipſenõdiſſidet, imòad idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ, λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν , συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro , greffum.uniuerſü hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq pe rornans,idő ubiq laudatü : qd uero obftat & detinet, improbata . Quinetiã nominehoc {Butãds,liyeterű mored profpoſueris ,apparebit tibinomen iſtud disutisè boy, id eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum .unde & Musãdes cognominandum eſt .Herm. Quid ádura,númy, uslupia ,uoluptas ſcilicet,dolor, cupiditas, Socrates, & huius generis reliqua: soc.Haudnimis obſcura mihi uidentur Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis illiusnomen eſt, quæ adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut pro eo quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à Stanús Gews,id eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione corpus diffol uitur.xvíc , id eſt triſtitia , quod impeditigio ,id eft ire,demonftrat.& aguda , id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab ängdvö dictum.éduig,id eft dolor & afflictio,ab güdlü Oews,id eft ingreſſionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Cårigoló ,id eftmoe ror languor ,lationis grauedinem tarditatemg ſignificat. ãxto enim onuselt.ioy uero pergens.xapod uero ,id eſt lætitia gaudium ,à diazúrews,id eft profuſione, & progias,id eft facilitate,poas, id eſtmotionis animæ,dicitur. Tosalesid eſt delectatio,ab toptivs,id eft oblectamento ducitur.Topavoy autem à trom,id eft inſpiratione delectationis in animā Quaremerito uocaretur égaršv,id eſt inſpirans. Temporis autem interuallo ad Top Arvo deuentum eſt.cuqpoouis,id eſthilaritas & alacritas, quam ob cauſam dicatur,aſſignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo quod dicitur eü , id eſt bene. oum @ opeally id eft unaſequi qualidicat animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw appellamus.Sed neg difficile est assignare quid üsgutta, id eſtcupidi. tas ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id eft animam & iram & fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft flagrantia, feruore,& impetu animę. proindeiupo ,id eft fuauis & blandaperfuſio,dicitur,jm ,id eſt fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga ,ideft incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos uocatur,id eſt deſiderium , quod fane'præfentem fuaui tatem nõ reſpicit, quemadmodū iuepo ,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG ,id eft abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co quod cupitur iuopo ,abſente wólo denominatur.iews autem , id eſt amor,quia doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo , id eft influctio ,amor ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem épwsdicitur,wproo interpoſito . Ve. rum quid deinceps conſiderandum præcipis?HERM. dlófæ, id eft opinio ,& talia quædã, undenomen habentisoc.déke,uel à diwa,id eſtperſecutione dicit, qua pergit & pro ſequituranima,conditionem rerum inueftigans:uelà tófo Borm,id eft arcus iactu . uides turautem hinc potiusdependere.oinois, id eft exiſtimatio ,huic confonat. oftendit quip pecioiy,id eſt ingreſſum animæin unumquodß conſiderandum ,oioy,id eſt quale fic:quê admodum & bons,id eft uoluntas a Borá,id eſt iactu dicitur: & Bóns, id eſt uelle , pro pter ipſum attingendinixum ſignificat etiamélis,id eſt cupere:& Bonbuch , id eſt cõſu lere.Omniahæcopinionem fequentia,Boras ipfius, id eſt iactus & nixus imagines eſſe uidentur.quemadmodum contrarium , & boniæ,id eſt priuatio uoluntatis,defectusquidã conſequendiimpos apparet, quali non contendat, neq etiam quod intendit,uult, cupit, inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora hæc congerere uideris, ô Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen adhuc,ávéyxlu & Exšonoy,id eſt neceſſarium & uo luntarium declarari.Nempe ſuperioribusilta ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id eſtcedensneg renitens,hocfiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces denseunti, quod'ue ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium & obfi ſtens,cum præter uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam uerſabitur.deſcribiturautem ex proceſſu ſecundum neceſſitatem , quoniam in uia aſpera denſa inceffum prohibent. Vndeavaysazov dictum eſt ,quali per & yroscop ,id eſt per uallē uadēs.Quouſ uero uiget robur,ne deſeramus. Quamobré interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce rogo quæ maxima ſunt& pulcherrima:« aksaa ,id eft ueritatem , & fordo ,id eftmendacium , & öy,id eft ens, & quareid quodehicagimus,övoua,id eft nomen ,dicitur.SOCR. Quid vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum, quo dicicuröv, id eſt ens esse ,cuiusnomen inquiſitio eſt. Quod clarius certe comprehendes in eo quod dicimus óvojasóy, id eſt nominandum . hic enim exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet inquiſitio. &ikbļa uero ficut & alia componiuider.Nam diuina entislatio ,nominehocincluditur,ankódæ , quaſi exiſtensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium motionis.Rurſushic uſurpatur agitationis obs ftaculum , quod'ue ſiſtere cogit.Nam à reboudw, id eſt dormio dicitur. 4 uero adiectum ſenſum nominis occulicouuero & Xoia , id estens et essentia ,cum & rx66ą, id eſtueritate , congruunt: fic apponatur.namrov,id elt uadens ſignificat.Atdrøv id eſt non ens,quidam nominant xxcov, id eſt non uadens. HERM. Hæcmihiuideris, 6 Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturquæ fitrecta iſtorum interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt uadens:géov,id eft fluens,doww,id eſt ligansac detinens, quid illi potiſſi. mum reſpondebimus: habes'ne: Socr. Habeo equidem.profecto nuper ſuccurrit no bis aliquid , cuiusreſponſione quicquam uideamur afferre. HERM . Quale iſtud : soc. Viquodminimecognoſcimus,barbaricum eſſe dicamus. fortè enim partim reuera talia ſunt: forte'uero partim , ac præſertim nomina prima,temporum confuſione infcru . “ tabilia.Etenim cum paflim uocabula diſtrahantur,nihilmirum eſſet ſi priſcalingua cum Ç noſtra collatanihilo à barbarica uoce differret. HERM .haud alienum eſtà ratione quod a dicis. Socr . Conſentanea quidem affero , non tamen idcirco certamen excuſationem uideturadmittere.Sed conemur hæc diſquirere, ato ita conſideremus: fiquis femper uerbailla per quænomen dicitur,quæreret,rurſus illa per quæ dicuntur uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita perquirere,non'ne qui refpondet, defatigari tandem & renuere cogeretur: HERM.Mihiſane'uidetur. S O CR. Quando ita quireſponſum denegar, merito ceſſabit: An non poftquam ad nominailla peruenerit, quæ cæterorum ſunt& ſermonum & nominum elementarHæcutio fi elementa funt,ex alñsnominibus com pofita uiderinon debent.quemadmodum ſupra & yalóy,id eſt bonâ diximus, ex « y så, id eſtiucundo amabilio , & 805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex alijs conftare di cemus,illağ ex alijs.ſed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex alíisnominibusno coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe dicemus,nec ulteriusbocin alia nomina , referendum. HERM .Scite mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina eleméta funt oportet rectam illorõrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile id quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hæcredacta uidentur:ac ſi ita ſe res habet,utmihiuidetur, rurſusage hic unamecum conſidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento. HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc . Arbitror equidem in hoc tecõſentire,unam efferectam & primi& ultiminominisrationem, nul lumğ illorum eo quod nomen est, ab alio diſcrepare.HERM.Maxime.so c.Etenim om 2 nium quæ ſuprà retulimusnominum recta ratio in hoc cõſticit, ut qualis quæ res litin 7) dicaretur.HERM . Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt.HERM. Prorſus.so-c .Atquipoſteriora no. minaper priora hocefficere poterant.HERM. Apparet. soc. Primauero quibus alia nõ præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendēt, ſi nomina effe debet: Adhoc mihireſponde. ſiuoce & lingua caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara re,nonneperindeac nuncmuti,manibus capite & cæterismembris ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates, soc. Ergo supernữ quippiam ac leue demon. ftraturi,cælum uerſusmanum extuliffemus, ipſam rei naturam imitantes: inferiora uero & grauia deiectione quadã humiinnuillemus. quinetiã currentem equũuelaliud quic quam animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi nem quamproximequiſo finxiſſet.Herm .Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc. Huncinmodűutarbitror his corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce, lingua, & ore declarare uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio : HERM.Neceſſarium puto . soc.Nomen itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua quiſquis aliquid imitatur,per uocem imitat & nominat. HER.Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum tamen recte dictum existimo. HERM .Quamobrē: Soc. Quoniam hos ouiū & gallorum cæterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem quæ imitantur.HERM .Vera loqueris. SOCR .Decereid cenſes: HERM . Nequaquam sed quænam ô Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ permuſicam fit ,quamuis uoce fiat,nec etiã eorundem quorum & mu. fica imitatio eſt,nec enim permuſicam imitationem nominareuidemur. Dico autê ſic: Adeſtrebusuox & figura colorø plurimus. HERM.Omnino.soc.Videturmihiſiquis hæcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cõfiftere.hæfiquidem ſunt partim muſica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc: nonne essentia eſſe cuiq putas, quemadmodú colori & cæteris quæ ſuprà diximus: an nõ ineſt coloriacuocieſſentia quædam ,& alijs omnibus quæcunc essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą eſſentiam imitari literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit declararet: HERM . Maximequidem . Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem partim muſicum ,partim pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM. Videturhicmihiô Socrates quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc eſt,conſiderandum iam denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu ,igra ,id eſt ire, géoews, id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis reuera effentiam imitantur,nec'ne.Herm .Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid hæcſola primanominaſint,an fint & alia præterhæc. HER.Alia equidem arbitror. Soc. Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari incir pitimitator:Nónne quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fitimitatio , præſtatprimu elementa diſtinguere : quemadmodum qui rhytmis dant operam , elementorum primo uiresdiſtinguunt,deinde fyllabarum tanium ,rhythmoscandem iprosaggrediuntur,pri usnequaquam . HERM. Vtiq.soc.Annon ita & nosprimooportetliteras uocales die ſtinguere,poftea reliquas ſecundum ſpecies,mutas & femiuocales: Ita enim in his erudi ti uiri loquuntur.acrurſus uocales quidem ,non tamen ſemiuocales, & ipſarű uocalium ſpecies inuicem differentes.Etpoftquam bæcbene omnia diſcreuerimus,rurſus induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ omnia referuntur,quemadmodum elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa, & fi in ipſis ſpecies continentureodem modo ficutiner lementis.His omnibusdiligenter cogitatis,Icire oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą ,ſiueunum uniſit admouendum, ſeu mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat coloré adhi bent,interdum quemuis alium colorem , quandoq multoscômiſcent,ueluti cum imagi nem uiri quam ſimilimam effingere uolunt,uel aliud quiddãhuiuſmodi, quatenus ima goqueo certis coloribusindiget. haud ſecus & noselementa rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur :oumbona “ , id eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eisö nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam & pulchrum & integrum conſtrue mus:& quemadmodum totum ipſum compoſitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegrű ; orationem uel nominandi peritia ,uel rhetorica fábricatam ,uel alia quauis quæ id efficiatarte.Imòno nos iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref fus fum , quippe ueteres ita conflarunt,fi ita eſt conſtitutum .Nosautem oportet,fimodo artificiofe conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes , fiue ut conuenit primano mina & pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita excogitare.Aliter autem cõnectere uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit error.Her. Forte per louem ô Socrates. soc.Nun quid ipfe cöfidis ita te posse diſtinguere:Ego enim mepoſſe diffido . HEŘ .Multo igitur magis ipſe diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum quid horum noſſe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita & nấcper gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda hæc fuiffent, uel ab alio quopiam ,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet: nuncautem ,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit.Admittishęc'uel quid ais.HER. Sic prorſusopinor. soc.Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes,arbitror, quod res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát.Neceſſarium tamen:nec enim meliushochabemus quic quam ,ad quod reſpicientes deueritate primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt, cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita & nos ocyusrem expediamus,dicentes deos primanominapoſuiſſe, & idcir corecte inſtituta fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille,quod ipſa a barbaris quibuſdam accepimus:Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem ita ea diſcerninequeuntut & barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, & belliſſimæ quidem , illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû reddere rationem . Ete nim quiſquis rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium cognoſcerene quit.hæcporrò ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin potius neceffe eft fequê tium peritiam profitentem ,multo prius & abfolutius antecedentia comprehendiffe,por feq oſtendere,aliter autem ſciredebet fe in fequentibus deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter Socrates.soc.Quæ ego ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum eſſe mihiuidentur,eaç tecû , ſi uelis, comunicabo . Siquid uero tumelius inueneris,mecum & ipſe comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo. soc.Princi pio ipſum g uelut inftrumentum omnismotuseſſe uidetur.Curautem motuslivrosap pelletur,non diximus.patet tamen quoditors ,id eftitio eſſe uult.Non enim » quondam , fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire, quodperegrinum nomen eft,& igra ,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum eiusnomen reperiatur in uocem noftram translatum , recte i'eois appellabitur.Núc autem ab kiau nomineperegrino , & ipfiusy conmutatione, & vipſius interpofitionelivyoisnuncupatur.Oportebat autem sidingoy uel any dicere . súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga , id eft ire eſle uult, ſed ornatuscaufa séas denomi natur.Elementū itaq ipſum qopportunűmotusinſtrumentum ,utmodo dicebā ,uiſum eſt nominum autori ad ipfam lationis fimilitudiné exprimendā : paflim itaggad motus expreſſionē utitur.In primo quidem ipſo jau & goñ, id eſtfluere, fluxuğ per literampla tioně imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya aſpero .item in uerbis huiufmodi, kódy percutere,&gaver uulnerare , oʻúrdy trahere, @ gúndu frangere eneruareg , kopuerto siddy incidere,pêué du uacillare, irritare, & circumuerſare. Hæcomnia ut plurimâperpad fimilitudinémotionis effingit.Mitto enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius cocitatur . Quocirca ad iſtorũ expreſſione iplo s potiſſimữ uſus fuiffe uider. Vfus eft & , scilicetiota, ad tenuia quæ per omniamaximepenetran tia.idcirco igra & icadou , id eft ireprogredió per o imitatur . Quéadmodū per 4.0, quæ E literæ uehementioris fpiritus ſunt,talia quædam nominum autor exprimit, fuzeów frigt dum, ( soy feruens, osoatare concuti, & communiter aconoy, concuſſionē quaffationem : quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum imitari uult nominum inftitutor, tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam ipſiusd cõpreſſionem aco,linguæ & uelut ha . rentis retractionem ,peropportunã exiſtimaſſe uideturaduinculi&ftationis potentiâ exprimendam.Etquia in a proferendo maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit nga , id eſt lenia & órcdaerah labi , & noMūdeslie quidum ,Ascrapov pingue, cætera huiuſmodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto formauityhioggoy lubricum , gauxudulce , yrādes uiſcoſum , luculentum. Animaduertens quo&ipfius v ſonum imoin gutture detineri, eo nominauit so výdby & te gutos, id eſtąd intus eſt,& quæ intrinfecusſunt, utres per literas repræſentarer.Ipſum uero w ,meyer@ ,id eſt magno tribuit &ipſum % ukus ,id eſt longitudini, quoniamma. gnäliteræ ſunt.in nomineautem spozzinoy, id eft rotundum ,ipfo o indigens, o ut pluri mummiſcuit. Eadem ratione cętera ſecundum literas ac ſyllabas rebus ſingulis accom modare uidetur nominum autor,ſignữnomenoconſtitués,ex his deinde ſpecies iamre liquas per ſimilitudinem conſtituere.Hæc mihi Hermogenes recta uidetur effe nomina ratio, niſi quid aliud Cratylus hic afferat. H ER.Etenim ở Socrates,fæpemeturbat Craty lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã afferit rectam nominû rationem , quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere nequeam utrum de induſtria , nec'ne adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô Cratyle,coram Socrate dicas , utrum placeant ea tibi quæ Socrates de nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre poffis:quodfi potes,adducas in me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos ambos erudias. CRAT. Videtur'netibi Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere quoduis atque docere,nedum rem tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER. Non mihi per louem , quinimò ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod operęprecium ſit paruum paruo addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne graueris, fed & Socratem istum iuua ,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem ô Cratyle,nihil eorum quæ ſupra comemoraui;aſſererē.Nem peutcunq; uiſumeſt, cum Hermogenehocindagaui. quocirca aude fi quid melius ha bes, exprimere,tanquã ſim libenter,quod dixeris,ſuſcepturus.Neqz enimmirarer liquid tu hiſcehaberespræclarius. Videris porrò &ipfe talia quædã conſideraffe, &ab alijs di diciſſe. Siquid ergo præstantius dixeris, me interdiscipulos tuos circa rectam nominā rationem unum connumerato. CRAT. Certe mihi ô Socrates,utais , curæ hæc fuerunt,ac forte diſcipulum te efficerem .Vereortamen ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te dicere, quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex ſententia protulifti.Ita cu quo queô Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inſpira tus,ſiue Muſa quædam tibipridem inhærens nuncte protinus concitauerit. soc. O uir bone Cratyle, ego quoß fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis confido.qua re examinãdum quid dicam ,exiftimo.Namaſeipſo decipi grauiſſimum eſt.nimis enim 2 periculoſa res eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum proximecomita,  tur.Oportetitao superiora frequêter animaduertere, & utpoeta ille ait, ante illa retros conſpicere.Atqui &in præsenti videamus quid à nobis sit dictum. Rectam diximus no minis rationem , quæqualisquæqres fit, oftendit.Nunquid ſufficienter eſſe dictâ afferi mus: CRAT. Ego quidem aſſero .soc. Docendi igitur gratia nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus.soc. Annon & artem eſſe hancdicimus, & ipfius artifices : CRAT. Maxime. soc.Quos.CRAT.Quos à principio tu legum &nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem ſimiliter atą alias ineſſe hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam deteriores ſunt,quidam pręſtantiores? CRAT.Sunt.soc. Nónne præſtantiores opera ſua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: cætericontra: Aedificatoresquoq ſimiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficiūt: CRAT.Sic eſt.soc. Nónne et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora, partim turpiora efficiunt: CRAT.Haud ampliusiftud admitto.soc. Non ergo leges aliæmeliores,deteriores aliæ tibiuidentur.CRAT.Non.soc.Nec etiã nomen utapparet, aliud melius,aliud deteriusimpoſitum arbitraris. CRAT. Negiſtud. soc.Ergo omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr. soc.Quid de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt,nomine:Vtrum dicendű non effeilli iftud impoſitum ,niſiquod équo geridews,id eft Mercurijgenerationis illicompe car:Animpoficum quidem ,non tamen recte:CRAT.Nec impofitum eſſe ô Socrates, arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura inest quæ nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe eum dicit:Nec enim hoc eft dubitandum , quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non fit.CRAT. Quaratig ne id ais : so c . Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa ,ſermo tuus conftat, & circa id uerſacur.permulci nempeô amice Cratyle, & nunc prædicant, & quondam aſſerue runt.CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum dicit quis quod dicit quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ ſunt dicere: soc.Præclarior hic fermoamice ,quam con dicio mea & ætas exigat.Attamen mihi dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui detur,fariautē pofle? CRAT.Neq fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu tare:Quemadmodum liquis tibi obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat Salue hoſpes Athenienſis, Šmicrionisfili Hermogenes.illeloqueretiſta,uel fari dicere tur,uel diceret,uel falutaret,appellaretę ita, non te quidem ,ſed hunc Hermogenem ,aut nullum: CRAT.Videtur mihi ô Socrates,incaſſum hæc iſte uociferare.so c.Šat habeo. utrū uera uociferat,qui ita clamat, an falſa: Anpartim uera, partim falſa: Namhoc quo queſufficiet.CRAT. Sonare huncego dicam feipfum fruſtra mouentem , ceu fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle ,utrum quoquo modo conueniamus.Nõne aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem. soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū . So c.Etpicturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero,force'ego quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has imitationes utraſą &picturas & nomina rebus his quarű imitaciones ſunt,attribuere,nec'ne: CRAT.Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit aliquisuiri imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, & in alijs eodem pacto : CRAT.Sic certe.soc.Num &contra ,uiri imaginem mu lieri,& mulieris uiro : CRAT. Ethoc. soc.An utræquediſtributioneshuiuſmodirectæ sunt: uelpotiusaltera,quæ cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT.Mihi quidem uide tur.SOC.Ne igitur ego actu cum ſimusamici,in uerbis pugnemus, aduerte quod dico. Talemego diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső picturis rectã uo co . & in nominibus nõrectam modo,fedueram. Alteramuero diſsimilisipſius tributio nem illationem non rectam ,& in nominibus præterea falſam. CRAT. Atuide ô Socra tes,nefortè in picturis duntaxat id contingere poſſit,ut quis male diſpertiat, in nomini bus autem minime,fed neceſſariū ſit recte femper adſcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt: Nonefieri poteſt ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hæctua figuraeſt, oſten datók illi forte'uiri illius figuram, forte'etiã mulieris: Oftendere,inquam ,ſenſibus oculo rum offerre.CRAT.Certe.soc.Nónneiterum ut eidem factus obuiam dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen est ,quemadmodũ & figura. Dico autéita.Nón ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in aurē idem infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod uir eſt ,forte' uero fæminæ cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod mulier: Non uidetur tibihoc aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o Socrates,licefto.soc.Recte facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam tolletur. Porrò si in his huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui falſa uocamus.Si hocaccidit , & poſſumus non recte nomina diſtribuere, & quænon propria funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba nominağ ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter. Oratio quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta Cratyle: CRAT. Quod & tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima nomina ad literas ipſas quadã imitatione referimus,cótin . gere poteſt in his quemadmodã in picturis ,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg; adhibeamus.Item ( ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha mus,plura & pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so.. Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas & imagines reddit.Quiuero addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe. soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed non pulchra:Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT. Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex ,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne huic nomen erat nomi numcõditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in cæteris artibus con . ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo fuperiora illa inter noscon ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô Socrates, quotiens has literas « & B & quoduis elementorű nominibus per artē grammaticamattribuimus, ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus, quod nomen quidem ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo fcribimus,quin potius ſtatim aliud quiddã eſt ,cũ primum horű aliquid patitur.soc.Videndű Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortaſſis quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta reneceſſe eſt,idquod ais perpetiuntur, quemadmodūdecem ,autquiuis alius numerus. Nam quilibet numerus quocûç additouel ablato,alius ſtatim efficitur. Fortè uero qua litatis cuiuslibet & imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg enim omnia imago ba bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago futura. Animaduerte num aliquid dicam .Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet, & ipfius imago, ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut pictores ſolent,ſed interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem eandem ,caloremý,motum ,animā, fapientiā; &ut breui complectar,talia prorſus effinxerit omnia,qualia tibiinſunt: Varum , inquá, alterum iſtorum Cratylus erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT.Cratyli ô Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem eſſe quærendam , quàmillorum quæ paulo ante diximus.'ne cogendum effe liquiduel additum ,uelablatum fuerit ,ut non ampliusſit imago Annonſentis quantã deeſt ima ginibus,ut eadem habeantquæ & illa quorû imagines sunt: CRAT. Equidem.soc.Ri. diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina ſunt, fi prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrumą illorūutrum effetpo tius dici poffet ,res'ne ipſa annomen. CRAT. Vera loqueris. soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum aliud bene,aliud contra pofitum effe :nec cogas omnes literas continere,adeò ut penitus tale fit, quale & id cuius eft nomen :ſed mitte literá quoq mi nus congruam afferri quãdoq:ſi literam , &nomen ſimiliter in ſermone: ſi in fermoneno men,ſermonem inſuper nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari diciç ,quoad rei ipſiuscuius fermo eft figura,inſit: quemadmodü in elemento rum nominibus quæ nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT. Recordor equidem ,soc. Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om nia conuenientia prorſus adſint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum pau ca.Diciitap ô beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu circumuagãtur, fero iter peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera ſerius quàm deceat, perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam nominis rationem ,nec confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porrò ſi ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire non poteris. CRAT. Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita pono.soc.Poſtquam de his conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men poſitum eſſe debet,oportere diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT. Plane. soc.Conuenit autem ut literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc. Quæigi tur recte ſunt poſica ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt ut plurimum qui demex conuenientibus ſimilibusý literis conſtat, fi quidem imago eſt.habet auté & ali quidnon conueniens,propterquod non rectâ eſt,nerecte nomen eſt inſtitutű,Sic'ne an aliter dicimus:"CRAT.Nihileft ô Socrates,utarbitror,contendendã:neq enim mihi placet,utņomen quidem eſſe dicatur,non tamērecte poſitű . soc.Vtrum hoc tibi non placet,quodnoměreiipfiusdeclaratio lit :CRAT. Placet.soc.At vero nomina partim ex primis constituta esse, partim esse primanon probedictâ putas:CRAT.Probe.soo Enimuero prima ſi quorundā declaraciones effe debent, habes'ne modû commodiore quo id fiat, qa li talia fiát,qualia illa funt quæ declarari volumus:Anmodus iſte pocius ei bipla. i  biplacet,qué Hermogenesalijý plurimi tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint ijs qui ita coſtituerunt,acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű eſt de cernat, an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum cognominetur, wuero quodmodow magnum , w paruum dicatur : Vter iftorum magis tibimodus pla cer: CRAT. Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult, quouis alio. soc. Scice loqueris.Nõnelinomen rei ſimile eſt,neceſſe eſt elemēra ex qui bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus eſſe fimilia: Sic autem dico: an aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei cuiuſquã ſimilem effinxiſſet,niſi colores ipfi qui bus cõſtatimago,efTentnatura reiillius ſimiles quam pictoris ſtudium mitatur : Anno impoſſibile: CRAT.Impoſſibile plane.soc.Eadem rationenomina ipſanun alicuius fimilia fierent,niſi illa quibus nomina cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum rerű , quarum nomina imitationes ſunt. Ea vero quibus conſtant nomina , elemen ta funt.CRAT. Sane . soc . lam tu ſermonis eiuseſto particeps,cuiusnuperHermoge nes.An rectediceretibi uili ſumus, quod ipſum plationi,motui,aſperitati congruit? CRAT.Rectemihi quidem.soc.Ipfum aūta leni & molli, accæteris quæ narrauimus: CRAT. Profecto.so c.Scis'ne quod idem ,id eſt aſperitasipſa nobis quidē oxigpótys uo icatur, Eretrienſibus uero oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo hæclp& o, eidem fimilia uidentur,idemg oſtendűc tam illis per ipliuse determinacionē,quam nobis pero nouiſſimű,uel alteris noſtrum nihil referunt: CRAT. Vtriſą plane demonſtrant. soc. Vtrum quatenus fimilia ſuntp & o ,uel quatenus diſſimilia: CRAT. Quatenus fimilia . soc. Nunquid penitus ſimilia ſunt,ad lacionē æque ſignificandā : quin & ipſum a inie ctum ,cur non contrariū aſperitatis ipſius ſignificat: CRAT. Forte'non recte iniectữeſt ô Socrates, quamadmodūea quæ tu in ſuperioribus cum Hermogenehoc tractabas,dum &auferebas &inferebas literas ubimaximeoportebat. Acrecte mihi facere uidebaris. &nunc forte pro 1, s apponendű eſt.so.Probeloqueris. Quid uero nuncuc loqui nihil percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat : nec tu quidnuncego dicã, intelligis: CRAT.Intelligo equidem propter conſuetudiné.soc.Ouir lepidiſſime,cum confuetudinem dicis , quid aliud præter conuentionem dicere putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id pronuncio,illud cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis :Nonhocdicis: CRAT. Hoc ipsum.soc.S ;id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio ,ex diſſimili uidelicet eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipſum , diſſimile eft eius quo tu ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe habet, profecto ipfe ad id teipfum aſſuefacis, & ex hac conuentione rectam tibi nominis ratio nem proponis ,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles literæ repræſentãt propter ipfum conſuetudinis & conuentionis acceſſum.Sinautem conſuetudo conuentio minime fit; haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē eſſe declarationem, imò cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex ſimilitudine&diſſimilitudine conſuetudo declarat , Hisaricco ceffis,ô Cratyle nempe ſilentiñ tuum pro cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid conuentionēģconcere,conferreġ ad eorû quæ ſentimus& loquimur expreſſio nem.Nam ſi uelis ,optime uir,ad numerorũ conſiderationem defcendere, quo pactoſpe ras, adeò propria reperturű te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen attribuas, ſi no permiſeris cõcefſionem tuam , conuentionemý autoritatê aliquam circa nominū ratio nem habere: Mihi quidē et illud placet,ur nomina quoad fieri poteſt, rebus fimilia ſinta Coc Vereor tamen neforte,utdicebatHermogenes, tenuis quodãmodoſic iſtius ſimilitudi nis uſurpatio , cogamurg & oneroſa hacre,cõuentioneuidelicet uti, ad recta nominum rationem :quoniã tunc forte pro uiribus optime diceretur,cum uel omnino ,uel maxima ex parte ſimilibus,id eſt cõuenientibus diceremus,turpiſſime uero cữ contrà . Hocautē poft hæc inſuper mihi dicas: quã nobis uim habētnomina, quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis afferimus:'CRAT.Doceremihi quidē nomina uident,ô Socrates,idý fimplicia ter aſſerendű , quòd quiſquis nomina ſcit, & res itidē ſciat.so. Forte ô Cratyle,tale quid cuc dam dicis, q cũnoueritaliquisquale ſitnomē,eſt aūt tale qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam agnoſcet, quandoquidē nominis eft res ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor ter ſe ſimiliū .Hac ratione inductusdixiſſe uideris; quod quiſquis nomina cognoſcit, res ecc quoghi quoq ipfas agnoſcet.cRAT.Veraloqueris.soc.Age ,uideamus quismodus docenda rum rerum iſte ſit ,quem ipſenuncdicis, & utrum alius prætereaſit,hic tamen potior ha beatur,uel alius præcerhuncnullus. utrum iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte, quòd nullusuidelicet alius ſit,fed hic folus & optimus.soc.Vtrum uero & resipſas ita reperiri cēſes,ut quicung nomina reperit,ea quoq quorum nomina ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium modum quendā,hunco diſcendű.CRAT.Maximeomniale cundum iſtahuncipfum & quærendű & inueniendum . soc.Age,ita conſideremus,ô Cratyle: ſiquis dum res inueſtigat,nominaipſa ſequitur,rimatur; quale unãquodą uule elle,uides maximum decepcionis pericula ſubit:CRAT. Quo pacto: soc.Quoniam qui principio nominapoſuit, quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba mus,effinxit.Nonne itar CRAT.Ita prorſus. Soc.Siergo illenõrecteſenlit, & ut ſenlie inſtituit,nõne & nos fequentes eius ueftigia deceptos iri exiſtimasť CRAT.Haud ita elt imòneceffe ſciencem fuiffe illum quinomina poſuit.Aliter autem ,ut iamdudâdicebam , nomina nequaſ effent.Euidentiſlimoautem argumento id eſſe tibipoteſt, haudà ueri tate aberrauiffe nominum autorē,quòd ſimale ſenſiſſet,nequaq libiita omnia conſona. rent.An non aduertiſti & ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta obo. neCratyle,ualet defenſio .Quid enim mirum eft, li primodeceptus nominâ institutor, se quentia rurſusad primum ui quadã traxit,& ipfi conſonare coegit:Quemadmodücirca figuras interdűexiguo quodam primo ignoto falſof exiſtente , reliqua deinceps multa Circa prin , inuicem conſonant . Debetenim quiſo circa rei cuiuſ principium ſtatuendű differere » cipium ſta , multa,diligentiſſime conliderare,utrum recte decernat,nec ne . quo quidem fufficiens tuendă diſ ter examinato ,cætera iam principium fequidebent, Miror tamen ,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt. Conſideremus iterum quæ ſupra retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ſignificare qualiomnia currat,ferant & defluant. Ita'nelignificare cenſes ? CRAT. Ita certe. & recte quidē.soc.Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes . Principio nom hocwrshug,id eſt ſcientia ambiguum eſt,magis a ſignificare uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus animam , ĝ quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut principium eiusutnuncüdishulu dicamus, per e ipſius eiectionem , & pro 4, 5 potius adijciamus. Deinde Bébajok , id eſt firmum dicitur, quoniam badoows & scotas, ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Præterea igoelæ ad forte ſignifi cat quod isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum , & ipſum nisov,id eſt credendum , isaw , id eſtfira mare omnino ſignificat.Quinetiã uykusid eſtmemoria,oftendit prorſus quod in anima nõagitatio eft,fedpovni,id eft quies,ſtabilise permanſio. Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ & ovuqoça ,id eft error & cótingentia caſus ,idem uidebuntinferre,quod owens & ufiskur, id est intelligentia at scientia, & cætera nomina quæ præclarisſunt rebus impoſita.ltem cualíc & cronacíc , id eſt inſcitia & intêperantia ,proxima hisui dentur .icuclic quidē importareuidetur,&cket demi loves aegear, id est simul cum deo eun tis progreſſum . cronæriæ uero omnino quandam ipfarum rerum arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum .At ita quæ rerum turpiſſimarű nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa pulcherrimaſunt, ſimillimauidebuntur.Arbitror & aliamultare periri poffe,fiquis ad hæc incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur rentes delataso res,imò ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates ſecundi agitationis ſignificationē uides illum conſtituiffe.soc. Quid agemusô Cratyle : Nun quid fuffragiorû calculorum inſtarnomina ipſa dinumerabimus : at ad hancnormă derecta ratione nominū iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes plu rium nominum fuffragantur: CRAT.Haud decet . soc. Non certe amice. Sed his iam omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixiſtinuper,firecordaris,neceffariñelle, illűquinomina ſtatuit,prænouille ea quibus nomina tribuebat:perſtasadhuc in ſenten tia ,nec'ne'CRAT. Adhuc.so c.Nunquid & illum quiprimanominapoſuit,nouiſicais dum poneret: CRAT. Nouiſſe.soc.Quibusex nominibus resueldidicerat,uel invene rat, quando necdâ primanomina fuerāt inftitutar cum dicta ſit impossibile esse resuelig vuenire, uel diſcere,niſi qualia nominaſint,didicerimus,uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil ô Socrates, dicere. soc.Quo igitur pacto dicemus eos ſcientes, nomina poſgillexuellegum & nominü conditores ante poſitionem cuiuslibet nominis extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe,fiquidem nõ aliter quam ex nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socratesueriſsimum eum effe fermonem quo diciturex.co cellentiorem quandam potentiam quam humanam primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa . soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum autorē li dæmõ aliquis ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur: CRAT.Forte'nondum alterum iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti me; num quæ ad ftatum uerguntian quæ ad motum potius Neq enim , utmodo dixi mus,multitudineiudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque diſſentiant contendanto de ueritate inuicem nomina, & tam hæcquàm illa uero propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus.Quò nos uertemus: Nec enimad alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter nomina quæren da funt,quæ nobis oftendantabſque nominibus,utra iſtorum uera ſint, rerum uidelicet monſtrantia ueritatem . CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc uera ſunt Cratyle , pof ſunt,utuidetur, res line nominibus percipi. CROT. Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res ipfas percipere:Nónne per quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem , fcilicet fiquomodo inuicem cognatæ sunt, & perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft ab illis , aliud quiddam non illas significat. CRAT. Vera loquiuideris.soc.Dicobſecro nonne iam fæpe conceſsimus,nomina quæ recte pofita funt,fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe: CRAT. Con ceſsimus planè.soc.Si ergo licetrespernominadiſcere , acetiam per ſeipfas, quæ præ ftantior erit lucidiorý perceptio :Num si ex imagine cogitetur et imago ipſa utrum re cteexpreſſa fit, & ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex ueritate tam ueritas ipſa . quàmipſius imago,nunquid decenter imago ad eam fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt.ERAT. Sicapparet ô Socrates .soc.Animaduertamus & hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto illiuelut in quan dam delapfi uertiginem , & ipfi uacillant iactanturcs, & nosin eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego sæpenumero fomnio , utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum ,& unum quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe uidetur.so c .Illud igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid taliú pulchrum eſt, quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ dicimus,nonneſemper tale quale eſt perfeuerat : CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid possibile eft ipſum recte denominare si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud fic dein de quale ſit dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim fieri,iugitero dif fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq eodem modo fe habet , eo in tempore minimepermutatur:fin autem ſemper eodémodo ſe habet;idemg exiſtit , quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non deferat: CRAT. Nullo pacto: so ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim cognitura uis ipsum aggrederetur, aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut quale cognoſcinõpoffet .nam cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe habentem percipiat. CRAT. Eft ut ais.soc . Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandẫeſt ô Cratyle ſi deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio eſtnon decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem cognitionis ſpeciesipſa diſcedit,ſimul & in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,neæ cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat , ſempernon erit cognitio. Aro hacra . tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum ,ſemper erit. Sinautem fem per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft & bonum , eſtý deniq exi. Itențium unűquod & quæ in præſentia dicimus,fluxus lationis ſimilia non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores, alijg permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum animumg luū nominibuscredere; & autorem nominum sapientem asseverare, atqz ita de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut putet nihil integrum firmumą exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces , arque tibi fufficitætas. Et liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam Socrates. Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero . Nuncautemut conſtituiſti in agrum perge. Atqui & Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita. Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords: ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dionigi” – The Swimming-Pool Library.

 

Disertori (Trento). Filosofo. Grice: “I like Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the archer, and, ‘under the sky (or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta il Ginnasio liceo Prati. Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si laurea con “Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si trasferisce a Milano e si specializza in neurologia e psichiatria con Besta. Torna a Trento, dove esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista.  Antifascista da sempre, negli anni quaranta partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando fra gli altri Reale, Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a riparare in Svizzera. Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e psichiatria a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento.  Pubblica più di 300 saggi di filosofia.  Per tutto il secondo dopoguerra si occupa attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa .Altre opere: “Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato di psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, 1975. La collezione si trova già chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura, documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche scientifiche.  Coppola, Passerini, Zandonati.  SIUSA.  G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati , Un secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” Beppino Disertori. Atti del convegno di studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di Beppino Disertori, Manfrini, Calliano (TN), L. Menapace et al. , Note biografiche, R. Bacchi et al. , Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento, Beppino Disertori. Giuseppe Disertori. Disertori. Keywords: libro della vita (why do we live?), il messagio di Timeo, itinerari pitagorici, pitagora e aligheri – tensione dell’arco vuolo – eraclito – platone – politeia di Platone – Grice on Plato’s Republic – plato carmide e la medicina – dell’anima – psicologia teoretica -- sul segno dell’uomo, de anima. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Disertori” – The Swimming-Pool Library.

 

Dòdaro (Bari). Filosofo. Grice: “Dòdaro is an interesting one – totally cryptic of course! It is as if he were Nowell-Smith, Austin, and Donne, combined into one! Recall Nowell-Smith’s challenge to Austin: “Donne is incomprehensible,” “He surely ain’t!”  Costretto a riparare a Turi per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si legò a Maglione, Castellano, Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri artistici e letterari del caffè-pasticceria Il Sottano (in quegli anni frequentato da Moro, Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Calò ecc.), fondato da Scaturchio, e agli incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso periodo conobbe Nazariantz, il quale rappresentò per Dòdaro una sorta di guida, fu lui, infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove ebbe modo di stringere amicizia con Bodini, Calò, Scotellaro. Abbandonò presto Bari, tentando una prima fuga a Parigi, città in cui sarebbe tornato a vivere altre volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe, prima del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi, presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attività artistica furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto: Verri riporta in suo intervento: arriva con la novità dei colori "bruciati". Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato incantesimo di barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione presso il premio "Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a Lecce, lavora presso l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto contatto con Fiore, figlio di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo. Sempre nel clima della Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al suo arrivo a Lecce riallacciò i rapporti con Bodini e Calò, oltre che con Suppressa, conosciuto in occasione del premio Il Maggio di Bari, entrò, inoltre, in contatto con quelli che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici: Durante, Massari, Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse importanti sodalizi amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in corrispondenze private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e collaborazione come il "sodalizio Caruso-Dòdaro". A Leccesi rese protagonista, con Candia, di un grande falò in cui i due bruciarono tutti i quadri realizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica  "Svergognato incantesimo di barca", insieme a pochi altri, si salvò dal falò perché all'epoca custodito presso la casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui si dedicò allo studio intenso nel tentativo di scoprire il perché del linguaggio, rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento di Arte Genetica con sede a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci l’origine dell’italiano o romano nel battito materno ascoltato in età fetale, teorizzando il romano o italiano come una congiunzione volta a rifondare la dualità dell’essere umano non un regressus ad uterum, bensì la coppia, la dualità, ovvero la dimensione originaria della comunione con l’altro e come lutto, annodandolo alla mancanza di Lacan. Il movimento si doterà di due riviste: “Ghen”, giornale modulare ideato da Dòdaro con sede a Lecce, e “Ghen Res Extensa Ligu” con sede a Genova e diretta da Mignani. L’idea del modulo come unità di misura sarà alla base della struttura modulare di “Ghen” oltre che della concezione dello spazio, mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale, fino a sfociare nel manifesto "Incliniamo l’orizzonte”. L’italiano o il romano diventa una congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si alimentava il trionfo del lutto e la mancanza. L’orizzonte diventa orizzonte mediale: poesie per i treni, per gli altoparlanti e più in là romanzi in tre cartelle, romanzi su cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da proiettare per le strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su leaflet, romanzi da muro-narrativa concreta, romanzi di cento parole da pubblicare in store, nelle vetrine dei negozi. Al Movimento di Arte Genetica aderirono, o ruotarono attorno alle sue riviste e attività, un numero considerevole di autori provenienti dalle sperimentazioni poetiche e poetico-visive, performative, sonore, plastiche: Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari, Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano, Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari, Miglietta, Center of Art and Communication (Toronto), Giorgio Barberi Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra, Sicoli, Souza, Alternativa Zero, Experimental Art Foundation (South Australia), Block Cor (Amsterdam), Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany, Etlinger, Caruso, Verri, Miglietta, Nigro ecc.  Con la nascita del movimento di Arte Genetica, avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue modalità fruitive, avviava il progetto "Archivio degli operatori pugliesi", per una catalogazione degli operatori estetici e culturali. Crea e anima «il centro di ricerca 1.4.7.8. (strutturato, nel nome, sulle coordinate della Classificazione Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di ricerca: filosofia, linguistica, arte, letteratura), ospitato dalla Libreria Adriatica di Lecce, e con il quale coinvolge numerosi operatori del territorio (docenti universitari, il gruppo Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a Novoli da Greco e Lorenzo, il gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori del gruppo di Arte Genetica da lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice Conte di Lecce, ha fondato a Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa in store. La sua attività letteraria ed editoriale è  stata caratterizzata da uno spiccato senso per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da lanciare, rappresentando sul territorio pugliese un autentico volano per operazioni di ampio respiro che andavano spesso a coinvolgere autori del panorama letterario internazionale. Idea e dirige una mole notevole di collane editoriali volte al rinnovamento dell’oggetto-libro, fra queste: «Scritture» (Parabita, Il Laboratorio), «Spagine. Scritture infinite» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca formato poster, spaginate, «Compact Type. Nuova narrativa» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle, «Diapoesitive. Scritture per gli schermi» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca da proiettare, «Mail Fiction» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, «Wall Word» (Lecce, Conte Editore,)tradotta in giapponese ed esposta all’Hokkaido Museum of Literature di Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta, «International Mail Stories» (Lecce, Conte Editore), «Internet Poetry» (Lecce, Conte Editore) una delle primissime esperienze italiane di net poetry, «Walkman Fiction. Romanzi da ascoltare» (Lecce, Argo), «E 800 European Literature», in 5 lingue (Lecce, Conte Editore), «Pieghe narrative» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe poetiche» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe della memoria» (Lecce, Conte Editore), «Foglie nude» (Doria di Cassano Jonio), «Locandine letterarie» (Lecce, Il Raggio Verde), «Romanzi nudi» (Lecce) in unico esemplare, «Carte letterarie» (Lecce, Astragali), «792 Mail Theatre» (Lecce, Astragali), «New Page. Narrativa in store», (Lecce) narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole, collana che guarda alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su crowner, pannelli cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed esposti in store, nelle vetrine dei negozi.  Nell'ambito della poesia verbo-visiva e del libro-oggetto, è presente in numerose manifestazioni di «Nuova scrittura»: Ma il vero scandalo è la poesia. Un salto di codice, Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo, Strudà (Lecce), Ospedale psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo D'Elia; Centro internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti sulla Puglia, Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce,1981; Cercare Bodini, Bari / Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro. Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari, Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta. Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L. Pignotti, “La poesia visiva”, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo, Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale. Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione, Archivio libri d' artista. Laboratorio 66, G. Gini e F. Fedi, Milano, È presente in Musei, Biblioteche, Archivi. Tra i più importanti: Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze“Libri e pagine d'artis ta”con l’opera Mar/e amniotico, 1983; Galleria d’arte moderna di Gallarate, con le opere Mourning Processes. The word, 1991 e Processi di lutto. Notizen: dis, 1991; Museo S. Castromediano di Lecce, con l'opera Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami Beach, e Archivio Della Grazia di nuova scrittura, Milano, con varie opere; Hokkaido Museum of Literature, con la collane “Wall Word”, nteramente tradotta in giapponese; Imago mundi-Visual poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc.  Altre opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,); Disianza Congiuntiva (Livorno); Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico (Caprarica di Lecce); Tracce di un discorso amoroso (Caprarica di Lecce); Compact Type. Nuova narrative Con A. Verri, (Caprarica di Lecc); Sconcetti di luna (Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free Lances Con A. Verri(Caprarica di Lecce); Navigli (Caprarica di Lecce); Void Fiction (Sibari,); Street Stories (Lecce)tradotto in giapponese(SapporoJapan); Parole morte. Dead Words (Lecce); L’addio alle scene (Lecce); Antonio Verri. Schegge del contestocon M. Nocera (Lecce); 18 i titoli pubblicati su leaflets (Lecce), 16 «Pieghe narrative» e 2 «Pieghe poetiche»: “Pieghe narrative”: Vento, vento, I colombi della clausura, Il figlio dell'anima, La Balilla , Graziato, Il monumento, Dove volano i gabbiani, La mimosa, Ricordanze zigane, Franco, Joe Cocker, All'ombra del grande vecchio, Reparto «P», Il tradimento, 27 marzo, L'esame. “Pieghe poetiche”: Rosa virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza (Lecce); 7 i «Romanzi nudi», titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era d’autunno, Il falò, L’Objet trouvé, Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma (Lecce); Di viole. D’incanti. Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco di frammenti (Lecce), La parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate (Lecce) interrogatorio violento (Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori dell’anima (lecce, ), Di un solstizio d’amore (Lecce, ), Maria la magliaia (Lecce, ), Teresa. L’Altrove, (Lecce, ), La mer. Ma mère (Lecce, ), Una notte senza stelle (Lecce). Le distese di grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce), Una sua lettera (Lecce), Trincee matricali (Lecce), Compagno d’accademia (Lecce). Tra i gabbiani (Lecce), Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale (Lecce). La tromba dell’altrove (Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce); ‘Operatori culturali contemporanei in Puglia. Archivio storico divulgativo, Lecce); “Ambivalenze genetiche”, Ghen (Lecce) ora in “Genetic Ambivalencie”, Art Communication Edition, Toronto-Canada) “Links”, Ghen (Lecce), “Il complesso di Edipo e quello di Caino”, Quotidiano (Lecce); “I processi di lutto. La Weltanschauung ghenica” in , La parola tra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio, “Codice yem: le origini del linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia”, Ghen (Lecce) (ora in Regione Puglia, Creatività e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie); “Dis-astro”, in A. Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, “L’area inter-media”, in F. Gelli, Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; “Ipotesi interpretativa del fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella poetica. Della scissione. Della prevenzione” in Tossico-dipendenza: progetto di lotta per gli anni ’80Centro studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; “Mater externata”, in L. Caruso, Mater: poesia. Madre e signora dell’acqua, Lecce; “Lontananze genetiche. Ad cantus enclitico”, in Manifesto mostra gruppo Ghen, Milano; Progetto negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi nell’arte contemporanea, Roma-Bari); “La letterarietà di Caruso”, in E. Giannì, Poiesis: Ricerca poetica in Italia, Arezzo; “La poesia totale di Spatola. Il convegno di Celle Ligure”, On Board, Lecce; “Wall Word: parole da muro, romanzo da muro”, in F.S. Dòdaro, Street stories, Lecce; “Dodici haiku. Dodici punti di rilevamento”, in E. Coriano, A tre deserti dall’ultimo sorriso meccanico. Three deserts from the shadow of the last mechanical smile, Lecce; “Una pagina diversa, up to date”, in Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura e Mappatura schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; “L’ampliamento della flessione”, in Archivio libri d’artista. Laboratorio 66, Milano; “Le anime narranti di Alberto Tallone”, in Alberto Tallone. Manuale tipografico, Alpigiano (Torino), New Page (Lecce); L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in New Page (Lecce). Francesco Aprile, Già così tenera di folla, in Intrecci, Napoli, Oèdipus,  Edoardo, un cavaliere senza terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit.  Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di teoria letteraria/editoriale, su utsanga.  Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org.  Cantata duale, Imago mundi-Visual poetry in Europe, su imagomundiart.com.  Antonio Verri, Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un cavaliere senza terra, SudPuglia, Francesco Aprile, Già così tenera di folla, Napoli, Oèdipus,  Francesco Aprile, La parola intermediale: lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola inter-mediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo,  Aprile, Fra parola e new media, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti del convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo,  Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale: un itinerario pugliese , Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo,  Visual poetry: A short anthology, in utsanga, L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in utsanga, Testi di teoria letteraria/editoriale,  Codice Yem, le origini del linguaggio: ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga, Letterarietà di Caruso, in utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di Celle Ligure, in utsanga Francesco Aprile, Il rapporto Dòdaro-Verri attraverso la critica, in utsanga Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in utsanga, Aprile, L’Arte Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa, Poesia, Teatro, Scavi in store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio etnografico, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di critica letteraria, Sondrio, Edizioni CFR,  Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco Aprile, in utsanga Lamberto Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere, immagini da leggere, in utsanga, Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine, Omaggio alla "O" in Francesco Saverio Dòdaro, in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro Laporta, cercarlo dove non appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again. Risarcimento dei supporti o della signatura dei segni, in utsanga Egidio Marullo, F. S. Dòdaro. L'ultimo mentore, in utsanga  Omaggio, in utsanga  Cantata plurale, materiali 01, Caprarica di Lecce, Utsanga. Francesco Saverio Dòdaro. Dodaro. Keywords: mappatura, signature, segnatura, cantata duale, cantata plurale, origine del romano, edipo, caino, mancanza di Lanca, communicazione inter-mediale, communicazione inter-mediale e luto, immagine e signo, sensibilia, visibilia, Freud, Jakobson, Levi-Strauss, Magritte, “silenzo silenzo silenzo silenzo” Catullo poema rima ritmo batto cuore figlio madre padre orale genitale ma-ma etymology of ‘altro’ – Hegel on conscience of ego and conscience of alter, Sartre on ‘nous’ and love affair – infinito – lingua a codice – codice come ripetizione – ripetizione dei suoni del cuore – ontogenesi ripete filogenesi – commune, vacuum del ventre della madre, etimologia di termine chiave, fonema, unita etica, unita emica, Speranza, Schultz, unita emica come classe di unita etica – criterio: un accordo o codice di relevanza – l’intenzione del mittente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dòdaro” – The Swimming-Pool Library.

 

Donà (Venezia). Filosofo. Grice: “Well, Donà has philosophised on almost anything – I drank wine; he philosophises on it – ‘bacchiana,’ he calls it – he has also philosophised on ‘eros’ for which he uses the very Italian idea of ‘sesso.’ – And he has also punned with ‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo il corso degli anni ottanta, a diversi convegni e seminari in varie città italiane. A partire dalla fine degli anni ottanta, collabora con Massimo Cacciari presso la cattedra di Estetica a Venezia e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta, inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre con Romano Gasparotti e Massimo Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Andrea Emo. Dirige per la casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e "Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste, settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale "L'Espresso".  Attività musicale In qualità di musicista, dopo aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera. Nasce così il Massimo Donà Sextet. Suona con musicisti che sarebbero diventati protagonisti della scena musicale italiana. Suona in jam session anche con alcuni padri storici del jazz, come Dizzy Gillespie, Marion Brown, Dexter Gordon e Kenny Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo gruppo: il Massimo Donà Quintet, con il quale si esibisce in Italia e all'estero. Il quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con cui Donà suona da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben sette CD incisi con suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la "Caligola Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà, fratello di Massimo e importante critico musicale jazz.  Altre opere: “Il 'bello, o di un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia); “Le forme del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una reinterpretazione dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del fondamento” (La Città del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “L' Uno, i molti : Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città Nuova, Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani, Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte” (Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio, Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia” (Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere” (AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano ; Non avrai altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile. Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine  PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia. Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa” (il Mulino, Bologna  Abitare la soglia. Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio, Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti Editore, Reggio Emilia  Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità della natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la verita come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide. Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova)  Misterio grande. Filosofia di Giacomo Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte trinitario” (Città Nuova, Roma  Erranze (Alfredo Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la musica” (Mimesis Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme dell'immaginazione” (Moretti & Vitali, Bergamo  J. Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il sacro. Il tempo della verità, Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica. Sistema di estetica” (Bompiani, Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia alla fede, tra misura e dismisura, Orthotes, Salerno); “Senso e origine della domanda filosofica, Mimesis, Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno all'irrisolutezza” (Mimesis, Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della conoscenza” (Rosenberg & Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare” (Bompiani, Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica” (Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In Principio. Philosophia sive Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie, Mimesis, Milano-Udine); “Di un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte” (Bompiani-Giunti, Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine); “Un pensiero sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La nave di Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni sull'incontraddittorietà a partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua, di là. Ariosto e la filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano); “Miracolo naturale. Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte e Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo. Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle mani di Dio, Caligola Records  Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati, in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Massimo Donà. Dona. Keywords: eroticamente, per una filosofia della sessualita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library.

 

Donatelli (Roma). Filosofo. Grice: “I like Donatelli – his titles can be too expansive, like the one about ‘philosophy and common experience,’ as a subtitle, which incorporates the all too controversial notion of experience simpliciter!” L’etica, la sua storia e le problematiche contemporanee sono al centro dei suoi interessi. Studia a Roma, dove ha conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss Guido Carli. Insegna a Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei classici dell’etica alla filosofia morale contemporanea. Si occupa della riflessione sulla vita umana, in bioetica e nel pensiero teoretico e politico, e del pensiero ambientale. Nel dibattito bio-etico ha difeso una concezione laica delle istituzioni. La sua proposta si situa nella filosofia di ispirazione wittgensteiniana (Cavell, Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del pensiero democratico e perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige la rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di numerosi comitati, tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista Interdiscliplinare ed Etica & Politica. Altre opere: “Filosofia morale. Fondamenti, metodi, sfide pratiche” (Milano, Le Monnier,  Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune” (Bologna, il Mulino,  Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive, Torino, Einaudi); “Quando giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza); Decidere della propria vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima persona duale” (Roma-Bari, Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le Lettere); “James Conant e Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein , Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari, Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e la vita morale , Roma, Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein e l’etica, Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni” Milano, LED,I destini dell'etica  Bioetica e progresso morale dell'Italia, su ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.  Bioetica Consulta di bioetica  Piergiorgio Donatelli. Donatelli. Keywords: let’s cooperate (cooperiamo), let’s make the strongest utterance; let’s trust each other; let’s be relevant (siamo relevanti), let’s be perspicuous (siamo perspicui), prima persona, prima persona duale – noi – nostro – numero nel verbo greco: singolare, duale, plurale, Mill,  virtu, Conant, ambi, both – the dual – Both conversationalists must cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donatelli” – The Swimming-Pool Library.

 

Donati (Budrio). Filosofo. Grice: “I like Donati; most of what he says is very basic, and he says it from what he thinks is a scientific perspective – but then he writes about morality and you start to wonder – anyhow, his central concept is that of reflexitvity, which he multiplies into goal-centred, rule-centred, means-centred, and value-centred – Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel a lot of affection for Donati and his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale la tematica epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia filosofica’, re-interpretata alla luce della "svolta relazionale”. Su tali basi, vengono svolte l'analisi del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno associativo della società civile e della politiche di welfare state nelle società altamente differenziate; l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che emergono dai processi di morfo-genesi sociale, in particolare nelle sfere di terzo settore; l'apertura di una nuova prospettiva negli studi sul capitale sociale e sui processi di “riflessività” in rapporto alla legittimazione di nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione di una ‘sociologia filosofica relazionale' è andata di pari passo con la fondazione filosofica di un nuovo e più generale ‘paradigma relazionale' che si pone come superamento della contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra l’individualismo o intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico. Questa prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del welfare nelle società.  L'etichetta "sociologia filosofia relazionale" viene usata, oltre che da Donati, da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un ‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto indipendente rispetto a Donati. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni studiosi assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische ), altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi della società (Donati, Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,, l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società: la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia. Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli. Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto distinto nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San Michele per  "Pensiero sociale cristiano e società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la promozione della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia, Donati mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa essere conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica -- e non come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria relazionale della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione alla sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di “Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva, ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale, secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2), bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto, ‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico, Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”, ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che Donati chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la sfera in cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due soggetti che stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la relazione sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e qualità le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali elaborati da Donati sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in molte leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è stato utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto di ‘beni relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come Zamagni e Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato dal Centro studi Erickson). Il concetto di ‘differenziazione relazionale’ si applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi di Donati, Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale all'indagine sociologica, Carocci, Roma, Donati, Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari, Carocci, Roma, è il più recenteDonati "La famiglia. Il genoma che fa vivere la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è quella della salute: si veda Donati  Manuale di sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale” (Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive” (Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile: Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge, Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori, FrancoAngeli, Milano, Donati, I. Colozzi, Capitale sociale delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole statali e di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi, la sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha dimostrato la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano delle applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di intervento sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e le valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna di esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia relazionale, FrancoAngeli, Milano, .  Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e pratiche.  I, il Mulino, Bologna, Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi , Il servizio sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss, Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in Donati , Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori Donati, I. Colozzi , FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano, Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza, Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, 1991 La famiglia come relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale. Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale. Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica, Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli, Bologna). Pierpaolo Donati. Donati. Keywords: relazionalismo, internal conversation, l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io, intersoggetivismo metodologico, communicazione come realta fra, implicatura, reflessivita, reciprocita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” – The Swimming-Pool Library.

 

Dondi (Chioggia). Filosofo. Grice:  “I like Dondi and I like a watch chain!” Figlio di Jacopo, studia filosofia a Padova. Insegna a Padova. Si trasferì a Pavia. Dopo un periodo a Firenze, vi ritorna come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a Pavia.  Scrittore di rime, amico e corrispondente di Petrarca, fu anche tra i pionieri dell'archeologia. In occasione di un viaggio a Roma, descrisse e misura monumenti classici, copiò iscrizioni e trascrisse i dati rilevati nel suo ‘'Iter Romanorum'’.  La sua fama è legata soprattutto all'astrario da lui progettato a Padova e costruito a Pavia, dove, era conservato, nel castello di Pavia, presso la biblioteca Visconteo-Sforzesca.  L'astrario è un orologio astronomico che mostra l'ora, il calendario annuale, il movimento dei pianeti, del Sole e della Luna. Per ogni giorno sono indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla latitudine di Padova, la "lettera domenicale" che determina la successione dei giorni della settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della Chiesa. L'orologio astronomico (o astrario) di Dondi è andato distrutto, ma è ben conosciuto perché il suo ideatore ne dette una particolareggiata descrizione nel saggio “Astrarium”, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di un congegno mosso da pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa 70), racchiuso in un involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi l'astrario riproduce i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti. Esso indicava anche la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come misuratore del tempo esso, oltre all'ora, indicava (forse per la prima volta tra gli orologi meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati di astrologia nella biblioteca di Dondi fa sospettare che la progettazione sia stata influenzata da astrologi antichi. L'orologio astronomico che si può tuttora ammirare sulla Torre dell'Orologio, Padova, in Piazza dei Signori, è una copia non dell'astrario di Dondi, ma dell'orologio costruito dal padre Jacopo. Secondo la tradizione sarebbe stato Dondi ad introdurre a Padovala gallina col ciuffo, oggi nota come gallina padovana. In realtà, il giornalista padovano Franco Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi è documentazione alcuna che attesti che Dondi abbia mai avuto contatti con la Polonia o che l'abbia mai visitata. A lui è dedicata una delle statue che adornano il Prato della Valle, a Padova. Il Circolo Numismatico Patavino gli ha dedicato una medaglia commemorativa opera dello scultore bellunese Massimo Facchin. A Giovanni De'Dondi è dedicata la ballata iniziale di Mausoleum. Siebenunddreißig Balladen aus der Geschichte des Fortschritts del poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger. Altre opere: Rime, Antonio Daniele, Neri Pozza, Vicenza); “Astrarium, E. Poulle, CISST);  Opera omnia Jacobi et Johannis de Dondis, corpus pubblicato sotto la direzione di Emmanuel Poulle. Padova. Andrea Albini, Op. La Biblioteca Visconteo Sforzesca, su collezioni. Musei civici.pavia. Andrea Albini, L'astrario di Giovanni Dondi, su Museoscienza. Ricerche d'Archivio riguardanti la famiglia Dondi dall'Orologio. Di Franco Holzer.  Andrea Albini, Machina Mundi. L'orologio astronomico di Giovanni Dondi, Create Space, Astrario, Gabriele Dondi dall'Orologio Università degli studi di Padova. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario, su clock maker. Replica in scala ¼, su pendoleria. com. Grice: “I thought it was a good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon idea of ‘time’ (as stretch – a rather English root – cf. German ‘zeit,’ our ‘tide’ --, and borrow from Latin, ‘tempus’, which gives us ‘temporary’, as I use in my ‘Personal Identity,’but also ‘tense’ – This tense is better than by vice/vyse, since vice and vyse are both cognate with violence. But tense and tense are not. One is cognate with Latin tension. The other is just a mispronounciation of Fremch ‘temps,’ Latin/Roman ‘tempus’ – So as Cicero would have it, it’s ‘tempus’ we should care about!” -- Giovanni Dondi dall’Orologio. Giovanni De Dondi. Dondi. Keywords: Leibniz’s Law, time-relative identity, total temporary state (Grice: “I’m thinking of Hitler”); Wiggins, Myro, The Grice-Myro Theory of Identity, sameness and substance, Mellor, filosofia del tempo, Prior, Creswell, Mellor – logica cronologica, ‘tense logic’ ‘tense implicature’ -- “iter romanorum”. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Dondi” – The Swimming-Pool Library.

 

Dorfles (Trieste). Filosofo. Grice: “Must say my favourite Dorfles is his ‘artificio e natura,’ on the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre goriziano di origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica allo studio della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo, denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a quelli propri della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale contribuì a precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di articoli, saggi e manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose collettive, tra le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano, l'esposizione itinerante, e la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle arti", svoltasi nella Galleria del Fiore di Milano. Risulta componente di una sezione italiana del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo alla realizzazione dell'Associazione per il Disegno Industriale. Si dedica quindi in maniera pressoché esclusiva all'attività critica. Con la personale presso lo Studio Marconi di Milano, torna a rendere pubblica la propria produzione pittorica. L'arte non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del gusto. Considerevole è stato il suo contributo allo sviluppo dell'estetica italiana, a partire dal Discorso tecnico delle arti, cui hanno fatto seguito tra gli altri Il divenire delle arti e Nuovi riti, nuovi miti. Nelle sue indagini critiche sull'arte contemporanea si è sovente soffermato ad analizzare l'aspetto socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. È autore di numerose monografie su artisti di varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols, Scialoja). Pubblicato due volumi dedicati all'architettura (Barocco nell'architettura moderna, L'architettura moderna) e un famoso saggio sul disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica). è il primo a vedere tendenze barocche nell'arte moderna (il concetto di neobarocco sarà poi concettualizzato da Calabrese) riferendole all'architettura moderna in: Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al Manifesto dell'antilibro, presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza artistica e comunicativa dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come artista. A Genova si occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla presentazione del libro Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam Cristaldi, di cui Dorfles ha scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha pubblicato Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria massmediatica ha soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e Fattoidi. Pubblica un inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette la teoria alla prova con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e problematiche come il cinema, la fotografia, l'architettura.  è uscito Irritazioni: un'analisi del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi dell'editore Castelvecchi. Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua inconciliabilità con i tempi che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica e corrosiva all'attuale iperconsumismo. NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1 risposte di Dorfles nella collana Carte Comuni. Un'intervista "lunga un secolo" con la quale il critico ripercorre la sua vita e alcuni incontri d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da Castelli a Fini. La Triennale di Milano ospita la mostra "Vitriol, disegni" Aldo Colonetti e Luigi Sansone; V. I. T. R. I. O. L.  è un simbolo alchemico, acronimo del motto rosa-crociano “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come Anceschi, Enrico Baj, Marchesi, Mulas e Niccolai, partecipa al numero quattordici di BAU..  Muor e a Milano, nella sua casa di piazzale Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico letterario della trasmissione televisiva Per un pugno di libri (il padre di Piero, Giorgio, era fratello di Gillo).  Tra i riconoscimenti ricevuti: Compasso d'oro dell'Associazione per il Design Industriale, Medaglia d'oro della Triennale, Premio della critica internazionale di Girona, Franklin J. Matchette Prize for Aesthetics. È stato insignito dell'Ambrogino d'oro dalla città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova e del San Giusto d'Oro di Trieste.  È stato Accademico onorario di Brera e Albertina di Torino, membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico, Fellow della World Academy of Art and Science, dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo gli conferì la laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la laurea honoris causa in Lingue moderne.  Onorificenze Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, Di iniziativa del Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco nell'architettura moderna” (Studi monografici d'architettura, Libreria Editrice Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso tecnico delle arti, Collana Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il pensiero dell'arte, Milano, Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie sapere tutto, Milano, Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma e vita, Milano, Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino, Einaudi, ed. accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani); “Ultime tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF, Milano, Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il disegno industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in Aut Aut, Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica del mito (da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del cattivo gusto, Milano, Gabriele Mazzotta Editore); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano, Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino, Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I quattro grandi: Wright, Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe); Dall'espressionismo all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere, Milano, Mondadori, Mode & Modi, Collana Antologie e saggi, Milano, Mazzotta, II ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale. Linguaggio e storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo perduto, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal costume alle arti e viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal Neobarocco al Postmoderno, Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I turbamenti dell'arte, Genova, Edizioni Costa & Nolan, La (nuova) moda della moda), Costa & Nolan, Elogio della disarmonia: arte e vita tra logico e mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico, Milano, Studio Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari, Bologna, Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione, con VII tavole di Giulio Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste Edizioni, Preferenze critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari, Dedalo, Design: percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti, Fulvio Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli pseudo-eventi nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana Attraverso lo specchio, Luni, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di Architettura, L. Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy Press, Flavia Puppo, Dorfles e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti, Bologna, Editrice Compositori, L'artista e il fotografo, Verso l'Arte, Conformisti. La morte dell'autenticità, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e comunicazione: comunicazione e struttura nell'analisi di alcuni linguaggi artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato alla Biennale, A. De Simone, Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni, Movimento Arte Concreta, Luigi Sansone e N. Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta, Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore senza specchio, Quaderni di prosa e di invenzione, Milano, Edizioni Henry Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Aldo Colonetti et al., Bologna, Editrice Compositori, Arte con sentimento. Conversazione, Marco Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa Edizioni, Essere nel tempo, Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato, Luigi Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita, Aldo Colonnetti, Silvana, Estetica senza dialettica. Scritti, al , Luca Cesari,Milano, Bompiani, Paesaggi e personaggi, Enrico Rotelli, Milano, Bompiani, La mia America, Luigi Sansone, Milano, Skira; "Interviene Gillo Dorfles", in alterlinus "Calligaro: parole e immagini", in Preferenze critiche, Dedalo, "Né moduli, né rimedi", in Agalma,  "Disarmonia, asimmetria, wabi, sabi", in Agalma,  "Feticcio", in Agalma,  "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening. Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Rudolf Arnheim, Guernica. Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a Gillo Dorfles: «La mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone», su corriere. Aldo Cazzullo: la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, Corriere della sera, 1 il Redazione, Novità formali e riesumazioni di precedenti esempi, il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un sapere condiviso, QM, su quid magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il Bulino, Galliano Mazzon, Mostra antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, MMilano, Civico Padiglione d'Arte Moderna, Mostra antologia di Galliano Mazzon : Civico Padiglione d'Arte Moderna, Milano, Luciano Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco, Processo edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano: Franco Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno, Dedalo, Bari Di Giovanni Marilisa, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron : materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù (BAU14). Celeste Prize BAU 14 Antonio Gnoli, Gillo Dorfles, il rivoluzionario critico d'arte, La Repubblica,  Bucci, Morto, critico poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma Dorfles, signora di cultura, Il Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su Quirinale, dettaglio decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai. Sergio Mandelli, Capire l'arte contemporanea su youtube.com Gillo Dorfles ,«Mi sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere della Sera, Aldo Cazzullo,  la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, in Corriere della Sera.  Gillo Dorfles. Angelo Eugenio Dorfles. Dorfles. Keywords: “Artificio e Natura, natura, artificio, communicazione, mito, simbolo, segno, linguaggio, interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dorfles” – The Swimming-Pool Library.

 

Doria (Genova). Filosofo. Grice: “I love Doria: a nobleman who should be sailing off Portofino, is writing a ‘progetto di metafisica’ after discussing the ‘filosofia degl’antichi’ – you HAVE to love him! Plus, he philosophised WHILE sailing!” Figlio di Giacomo e Maria Cecilia Spinola, appartenente alla nobile casata dei Doria Lamba dalla quale provennero ben quattro dogi della repubblica di Genova, ha un'infanzia travagliata segnata a cinque anni dalla morte del padre. L'uscita dalla famiglia delle tre sorelle lo fa rimanere solo con la madre che influenza negativamente il suo carattere melanconico ma vivace, il suo desiderio di virtù e Gloria. La madre, che egli accusa esser stata de' miei errori la prima e principal cagione, si era disinteressata del figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a filosofi bigotti che lo fano crescere con la paura delle malattie e della morte, che gli viene indicata dai suoi educatori gesuiti come un positivo castigo all’uomino re. Divenne quindi vivace e grazioso nelle conversazioni affabile con tutti, facile e condiscendente con gli amici e allo stesso tempo pieno di sé e fatuo divenendo un Petit Maitre disinvolo e alla moda, e prende per idea di virtù vera ed esistenta ogni vanità e molte volte prende con l’idea di virtù il vizio ancora! Pieno di sé e fatuo. Compì con la madre il “grand tour” – Firenze, Capri, Girgentu -- dei ‘viri’ ben nato dal quale ne usce libero dall’inibizione religiosa, ma con un nuovo abito di un anima viziosa, la quale lo fa mirare come idea di virtù la rilassatezza nel senso, la prepotenza con i deboli e la vendetta. Tornato a Genova, la trovò bombardata dal mare dalle navi di Luigi XIV. In quell'occasione conosce il conte di Melgar che l’avvia nell’arte militare e lo introduce nel giro del patriziato mondano. Innamoratosi fortemente di una meritevole donna che muore poco tempo dopo, cadde in depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi dispendiosi viaggi. Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per recuperare certi suoi crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di leggi e cavillose procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un certo profitto per ottenere dal tribunale quanto gli spetta.  La sua fama di spadaccino gli fa guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che ritiene massime di cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non punire un uomo a sé inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e che il perdonare generosamente fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema vergogna il non chiamare a duello un nobile a sé uguale quando da quello si era qualche offesa ricevuta. Si diede quindi a duellare per qualsiasi puntiglio cavalleresco tanto da essere messo in prigione aumentando così la sua fama di duellista e vendicativo presso la nobiltà locale. Comincia a disgustarsi di questa sua vita fatua e falsa trasformandosi in filosofo metafisico ed entrando nella cerchia degli intellettuali cartesiani e gassendisti che caddero sotto l'attacco della Chiesa preoccupata che il loro sensismo approdasse a un conclamato materialismo. La posizione della Chiesa fu esplicitata dal grande processo contro gl’ateisti, quegli intellettuali che si erano illusi di poter modernizzare la dottrina cattolica.  Si schierò con questi frequentando il salotto filosofico Caravita che si era già battuto contro l'Inquisizione e che era divenuto il centro di diffusione della filosofia cartesiana. Qui il Doria ebbe modo di conoscere il protetto di Caravita, quel Giambattista Vico che scriverà del genovese che «fu il primo con cui poté cominciare a ragionar di metafisica» nella quale si intravedevano «lumi sfolgoranti di platonica divinità. Per organizzarsi contro le polemiche dei tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il Caravita pensò di fondare un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo diverse difficoltà, finalmente vide la luce col nome di Accademia Palatina e che annoverava fra i 18 soci fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede lezioni concernenti la teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore) dove sostene la superiorità della nobiltà per virtù e non per nascita, e dove contestava la base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi (Dell'arte militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza, Della scherma). La guerra, scriveva Doria, non e un privilegio della nobiltà di spada ma un'attività che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando affidato a ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano filosofo, Napoli)  Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe, criticata da alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha inteso il Cartesio, o  ad arte ne tronca o perverte il senso. Critica la politica di Tacito e Machiavelli sostenendo che questa va basata non sopra l'idea degli uomini quali sono ma sulla virtù, il giusto e l'onesto». Lo Stato anda guidato, come dettava l'insegnamento platonico, dal filosofo facendosi così sostenitore, secondo le nuove idee riformatrici che cominciavano a circolare in Europa, di un assolutismo moderato nel Regno di Napoli. Doria cominciò ad interessarsi a temi scientifici mandando alle stampe le sue Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili e de' corpi insensibili (Augusta) e una Giunta d iM. Doria al suo libro del Moto e della Meccanica. Opere queste, dove si critica il metodo di Galilei e si mette in discussione la distinzione cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome del principio neo-platonico dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo sperato e vennero anzi aspramente criticate da più parti. Divenne un personaggio ambito da nobili e femmes savantes che lo invitavano nei loro circoli culturali dove riceve numerosi attestati di stima. Per ricambiare le nobili dame, sue discepole, pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la donna, in quasi tutte le virtù più grandi, non essere all'uomo inferior. La donna ha gli stessi diritti naturali dell’uomo e puo governare e fondare grandi imperi ma non e adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre una sapienza storica e filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere che Dio avesse dato a tutti eguale abilità per intender le scienze, mentre iddio non ha ugualmente a tutti gli uomini distribuito e perciò vediamo che molti non son capaci nelle scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo ricambiavano con tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo stato ma non puo essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che rimase problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il matrimonio una legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia. Si considera ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il platonismo ha pressoché distrutto li saggi di filosofia del signor Giovanni Locke ed in parte ancora la filosofia di Renato Des-Cartes. Compiva un capovolgimento delle sue convinzioni moderniste passando nel campo degli antichi quando il suo Nuovo metodo geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna l'arte di esaminare una dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria sintetica la conoscenza del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente criticati da parte della rivista Acta eruditorum. Ancora più aspre le contestazioni ricevute a Napoli che gli costarono un sonetto denigratorio che così recitava. Di rispondere a te nessun si sogna /de' nostri, e strano è assai che Lipsia mandi/ risposta a un uom che 'l matto ognun lo noma.  Illustrazione alla recensione pubblicata sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. Gl’Oziosi, dove profuse tutte le sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero filosofico di Locke, dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che aveva detto di lui «il Doria ha ristampato tutte in un corpo le sue coglionerie. Con l'avvento del re riformista Carlo III di Borbone nel Regno di Napoli, si trova completamente isolato col suo platonismo pratticabil che continua a difendere scrivendo “Il Politico alla moda”. Si rendeva ormai conto di come fosse irrealizzabile il suo ideale di un governo ad opera del concetto di “sovrano virtuoso” e di “filosofe legislatore.” Il magistrato, il capitano, il sacerdote e tutti gli ordini che governano hanno diviso la filosofia dalla politica per unire alla politica la sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono governare lo stato colla politica del mercadante, e non con la politica del filosofo. Constatava come vi fosse ormai una generale crisi dei valori perché in questo nostro tempo si corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di Locke e di Newton e si pratica solamente la politica mercantile. Completamente ignorato dall'ambiente intellettuale, Doria malato e in difficoltà economiche muore indicando nel suo testamento la volontà che fosse pubblicata a spese di un suo cugino, a saldo di un debito da questi contratto, l'opera “Idea di una perfetta repubblica”. Quando il saggio e infine edito fu condannato dai revisori ad essere bruciato per il suo contenuto contro Dio, la religione e la monarchia. In realtà contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilità del matrimonio, la castita, l'eternità delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia etico-politica dei gesuiti.  Il governo perfetto doveva essere a imitazione di quello della Roma repubblicana, perché posto il governo in mano agli uomini, è forza che sia moderato da un magistrato ordinato alla difesa del popolo contro la tirannia. Gli unici a esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi napoletani difendendo i libri di quel savio e cordato vecchio di Doria, di cui s'infama la venerata memoria. E al centro del saggio “La distruzione della fiducia e le sue conseguenze economiche a Napoli”. Si argumenta che il governo nell'azione di depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virtù e della ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e infelicità. Altra azione, che si rivelerà in seguito disastrosa per la società napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento dell'Inquisizione, l'inasprimento della segretezza dell'attività di governo, l'incremento delle cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento della diseguaglianza davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente perseguito del rapporto armonioso che si era creato in passato tra i diversi ordini del Regno: tutto ciò al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica, l'ascesa di una classe imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri diritti e rompesse l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale che gli spagnoli intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel rapporto di fiducia tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento dell'attività di co-operazione e di intrapresa economica, non tarderanno a produrre effetti duraturi sulla società meridionale, non solo a livello mentale-culturale, e di converso a livello economico, costituendo uno dei fattori prodromici dell'arretratezza socio-economico-culturale del Mezzogiorno d'Italia.  Altre opere: “Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili, e de' corpi insensibili, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper); “Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili, e de' corpi insensibili. Giunta, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi, Amsterdam, Esercitazioni geometriche, In Pariggi, Duplicationis cubi demonstration” (Venezia); “Discorso apologetico” (Venezia); “Soluzione del problema della trisezione dell'angolo” (Venezia); “Vita civile” (Napoli, Angelo Vocola. Pierluigi Rovito, Dizionario Biografico degli Italiani.  “L’arte di conoscer se stesso, in De Fabrizio , Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini , Opere filosofiche, R. Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S. Rotta in Politici ed economisti del primo Settecento. Dal Muratori al Cesarotti, V, Milano-Napoli, L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo, GALIANI, Celestino in Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli, Manoscritti, La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta repubblica  "accorato"  Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile, Torino; Massime del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto nel volume miscellaneo Diego Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi, Torino, D. Gambetta, Pierluigi Rovito, «DORIA, Paolo Mattia», in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roberto Scazzieri, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Economia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Giulia Belgioioso, Il Contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. Paolo Mattia Doria. Doria. Keywords: co-operazione, duelo – duel, the duelists, cooperation – il sensismo, roma repubblicana, la aristocrazia romana, Romo, aristocrazia.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Doria” – The Swimming-Pool Library.

 

Dottarelli (Bolsena). Filosofo. Grice: “I like Donatelli; he is an Etruscan, from Balsena, and it’s only natural that he is obsessed with the one and only Etruscan philosopher, Musonio!” Si è formato alla Facoltà di Filosofia dell'Perugia, dove ha studiato con Cornelio Fabro e si è laureato con una tesi sul dibattito epistemologico del Novecento (K. PopperFeyerabend, I. Lakatos, T. Kuhn) sotto la guida di Massimo Baldini. Si è poi specializzato in Filosofia all'Urbino, dove ha avuto come maestri Italo Mancini e Pasquale Salvucci, con cui ha discusso una tesi sulle implicazioni epistemologiche della filosofia di Immanuel Kant. Ha insegnato nei Licei ed è stato docente a contratto di Filosofia della scienza, Filosofia morale, Bioetica nelle Università della Tuscia, di Macerata e Firenze.  Ha sempre coniugato il lavoro didattico e di ricerca con l'impegno civile. Per 13 anni consecutivi è stato Sindaco della città di Bolsena (VT). Eletto la prima volta nel 1986, con una lista civica di sinistra, è stato successivamente confermato nel 1990 e nel 1995. Dal 2005 al  ha ricoperto il ruolo di Direttore generale della Provincia di Viterbo e in tale veste, oltre al coordinamento e alla sovrintendenza della gestione complessiva dell’Ente, ha avuto la responsabilità diretta della formazione e organizzazione delle risorse umane, del percorso di certificazione EMAS, del processo Agenda 21 locale e del progetto Arco Latino, strumento per la definizione di una strategia integrata di sviluppo dell’area del Mediterraneo. Con Pasquale Picone, filosofo e psicoanalista junghiano, nel 2004 è stato cofondatore della Società Filosofica Italianasezione di Viterbo, di cui è attualmente vicepresidente. Nel  ha costituito il Club per l’UNESCO Viterbo Tuscia, di cui è presidente.  I suoi interessi teorici si sono rivolti all'epistemologia, all'etica, alla filosofia politica e alla pratica filosofica. In Popper e il gioco della scienza ha svolto un'analisi critica dell'epistemologia falsificazionista, mostrando come l'ultimo Popper, pur rendendosi conto della coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria epistemologia, arretrasse e resistesse dal trarne le estreme conseguenze, restando fedele al paradigma del razionalismo critico, difendendolo sino in fondo, ma con ragioni sempre più deboli. Nei suoi lavori su Immanuel Kant (Kant e la metafisica come scienza, Abitare un mondo comune. Follia e metafisica nel pensiero di Kant) ha evidenziato sia il proposito kantiano di fondare come una scienza rigorosa la metaphysica generalis, prima parte della metafisica come era intesa nella tradizione razionalistica tedesca, sia il carattere che viene ad assumere la metaphysica specialis, dopo la critica: un pensare congetturale e analogico che è anche prassi, vita. In questa prospettiva la filosofia kantiana viene valorizzata per la sua peculiare dimensione "cosmica", come «scienza della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione umana con lo scopo essenziale di essa», e viene ricollegata alla filosofia come era praticata soprattutto nell'antichità: arte di vivere, esercizio spirituale. Il filosofo pratico, il maestro di saggezza tramite l’insegnamento e l’esempio, è così «l’autentico filosofo», che, nel quadro della complessiva ed originale riorganizzazione kantiana dell’orizzonte utopico di derivazione platonica e rousseauiana, diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che più si è avvicinato è stato Socrate, per via della sua esemplare coerenza di vita. In Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del fondatore della psicoanalisi viene letto come un episodio della lunga tradizione che ha interpretato la filosofia come "medicina per l'anima". Il rapporto di Freud con la filosofia si nutre di una profonda ambivalenza: da un lato un'irresistibile attrazione; dall'altro quasi la necessità di rassicurare se stesso e gli altri su una propria «incapacità costituzionale» (Autobiografia, 1924) alla pura speculazione e sulla sua ferma volontà di sottrarsiproprio lui, formidabile affabulatoreal fascino delle narrazioni filosofiche. La riflessione di Freud non trascura nessuna delle dimensioni fondamentali della ricerca filosofica. Neanche quella teoretica, volta a costruire visioni complessive dell’uomo e del mondo; quella che gli appare la più rischiosa, perché la più astratta, la più esposta alla frequentazione della metafisica e della religione, sempre in procinto di cadere nella trappola della verità assoluta. Più a suo agio Freud si sente invece nel lavorare lungo un'altra linea d’impegno tradizionale della filosofia: la riflessione critica sui saperi e sulle pratiche umane. Nell'opera di smascheramento dei meccanismi con cui le ideologie e le prassi individuali e sociali ammantano la loro miseria “umana, troppo umana”, le potenzialità della psicoanalisi si esprimono al meglio. Masecondo l'interpretazione di Luciano Dottarellila fatica intellettuale di Freud trova la propria collocazione più appropriata nella dimensione della ricerca filosofica che interpreta se stessa come un’attività in cui l’uomo si dedica alla cura e alla fioritura di sé, alla coltivazione della propria umanità. Questa dimensione della filosofia come arte di vivere è stata approfondita da Luciano Dottarelli attraverso la ricostruzione della vita e del pensiero del filosofo stoico Musonio Rufo nella monografia su Musonio l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita. Testimonianza della vitalità della tradizione culturale etrusca in epoca romana, la filosofia di Musonio è espressione significativa di quel crogiolo di idee ed esperienze di ricerca della felicità che è l'ellenismo della tarda antichità, in cui si rispecchierà poi la civiltà medievale e soprattutto quella umanistico-rinascimentale. Musonio ha dato il tono di fondo all'impegno prevalente nella tradizione filosofica della Tuscia: ricerca di una scienza di vita, studio di perfezione, imitazione di Dio, àskesis, esercizio per sviluppare la conoscenza e la coltivazione di sé, finalizzata alla fioritura dell’autentica esistenza umana. L’adesione del filosofo di Volsinii allo stoicismo è decisamente sotto il segno di Socrate: la filosofia può proporsi come arte regia in quanto, in primo luogo, è arte di governare se stessi. L’ideale dell’autosufficienza del saggio si traduce nella predilezione per l’agricoltura, come attività più appropriata per il filosofo. «La terra in effettiaffermava Musonioricambia con i frutti più belli e più giusti coloro che si prendono cura di essa, dando molte volte tanto quel che riceve ed offrendo grande abbondanza di tutto quanto è necessario per vivere a chi ha la volontà di faticare: e tutto questo con decenza, nulla di ciò con vergogna». Ad un analogo sentimento di appartenenza al cosmo e ad un profondo rispetto per gli altri esseri umani e per tutti i viventi, sono ispirate anche le sue riflessioni sui rapporti sociali, sulla schiavitù, sulle donne, sulla nonviolenza, sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare. Riflessioni che Musoniosecondo la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe tradurre con coerenza esemplare in una efficace pratica di elevazione spirituale, diretta a coinvolgere, insieme, il corpo e l’anima. Sobrietà, rispetto, universalità e condivisione sono le parole di riferimento di una visione etica che anticipa in modo sorprendente istanze fondamentali della moderna sensibilità ecologista. La visione della filosofia come arte di maneggiare gli assoluti è approfondita nel libro Maneggiare assoluti. Immanuel Kant, Primo Levi e altri maestri. «La filosofiasostiene Luciano Dottarellianche quella più incline a farsi coinvolgere nell'impresa di estinguere la sete dell’assoluto, contiene in sé, nella propria vocazione alla ricerca di una comune verità mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio distruttivo che può annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere la totalità, l’infinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli uomini non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente addomesticare i dèmoni che una frequentazione inadeguata del sacro può evocare. Dèmoni che portano il nome di fanatismo, intolleranza, totalitarismo e di cui la storia degli uomini alla ricerca della verità assoluta, della totalità autentica ed incondizionata, dell’esperienza integrale è purtroppo costellata. La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente innocente, non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione più profonda di quest’originale forma di esercizio spirituale: una ricerca appassionata del bene e della verità, capace di resistere alla suggestione del possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilità dell’errore che è presidio di autentica libertà per sé e per gli altri».  Altre opere: “Il gioco della scienza” (Massari); “Metafisica non scienza” (Massari); “Abitare un mondo comune: follia e metafisica nel pensiero di Kant (Introduzione al Saggio sulle malattie dell’anima di I.Kant” (Massari); “Utopia e ragione come luoghi del incontro dell’ego ed il tu”, in  Le ragioni della speranza” (La Piccola Editrice); “L’assoluto e il relative” (Il Prato); “Musonio” (Annulli Editori); Freud. Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori,  Riverberi Di Tuscia e d’altro, Annulli Editori); “La farfalla dell’anima e la libertà , Armando Editore. Luciano Dottarelli. Dottarelli. Keywords: Musonio, Etruscan influence on Roman philosophy, Why Roman philosophy is not Greco-Roman – The Etrurian connection. Etrurian as ‘antique’ – Etrurian as exotic for Indo-European Aryan Latins (Romans). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dottarelli” – The Swimming-Pool Library.  

 

Duni (Matera). Filosofo. Grice: “I like Duni; but of course he errs, as Kant does – for how can a ‘sitte’ a mere costume, become ‘universal’ – yet that’s the oxymoronic title of his tract, ‘scienza dei costume, ovvero, diritto universale’. Figlio di Francesco, maestro di cappella della cattedrale di Matera, e fratello dei compositori Egidio Romualdo ed Antonio, nell'ambiente familiare impara la musica scrivendo anche alcune composizioni da gravicembalo, pur se non seguì le orme dei fratelli maggiori in campo musicale, e fu avviato agli studi religiosi nel Seminario della città di Matera. Si laurea in Napoli. Torna a Matera dove aveva già intrapreso la pratica di avvocato presso la Regia Udienza e dove, chiamato da Lanfranchi, fu insegnante presso il Seminario; lo stesso Palazzo del Seminario divenne in seguito sede del Liceo Classico di Matera, che fu a lui intitolato. Dopo la morte del padre, lascia Matera trasferendosi dapprima a Napoli e successivamente a Roma.  Presso l'Università degli Studi La Sapienza fu docente di diritto canonico e di diritto civile, e pubblica un Commentarius in cui esponeva la dottrina giuridica del codicillo, con una dedica a Benedetto XIV che in seguito lo sostenne nella sua nomina alla cattedra universitaria; a Roma entrò in contatto con le opere di Vico, del quale divenne un convinto sostenitore. Eleggendo Vico a suo maestro, si propose di realizzare un programma di diritto universale come fonte di tutte le leggi e costumi umani. Partendo dalla sua formazione cattolica, crede in Dio creatore del mondo e suo legislatore, e non distinse l'etica e la giurisprudenza considerandole integrative in quanto tendenti allo stesso fine, cioè a dare il senso della vita, e quindi facenti parte entrambe della filosofia. Nacque così il “Saggio sulla giurisprudenza universale”; sua opera fondamentale, dedicato al promotore della politica riformatrice del Regno meridionale, il ministro Tanucci. Il “Saggio” indica esclusivamente nel vero il principio unitario delle conoscenze umane, a cui ricondurre anche la fondazione delle scienze morali. Il bene o vero morale (Cicerone e buono), che differisce dal vero metafisico perché comporta anche l'elezione volontaria del vero conosciuto, si esprime come onestà e come giustizia. La morale propone l'honestum, cioè il bene secondo coscienza, e opera dall'interno, invece il diritto indica la via per andare al giusto, regolando i rapporti tra gli individui o soggetti e quindi la vita sociale. Successivamente al Saggio, scrisse un'opera sul rapporto tra filosofia e filologia nell'ambito della storia di Roma, ed in seguito una Risposta ai dubbi proposti da Finetti in cui polemizzava contro Finetti difendendo la memoria del Vico. Pubblica a Napoli la “Scienza del costume o Sia sistema del diritto universale”, dedicata a Antonelli, in cui prosegue l'opera iniziata con il Saggio. Opere: “De veteri ac novo iure codicillorum commentaries; “Saggio sulla giurisprudenza universale”; “Origine e progressi del cittadino e del governo civile di Roma”;  “Scienza del costume o sia sistema del diritto universale”.   LA A falſa comune opinione adotta ta co me un'affioma dai Politici , che le So cieti Civili naſcono colla forma di Governo Monarchico , diede occaſione non meno agli antichi , che moderni Scrittori della Storias Romana di formare di queſta Nazione tutt ' altra idea di quella , che fu realmente . I vo caboli di Re e di Regno appreſi nel ſenſo di quei tempi , in cui viſſero gli Storici , quando già fioriva in Roma la Monarchia , gli traſportarono a credere , che il Governo cominciaſſe fin dal tempo di Romolo colla , forma Monarchica . Taluni peraltro convinti da’ fatti contrari della Storia furono obbligati a confeflare che ne' primi tempi di Roma quantunque regnaffe la Monarchia , pure.que Ita non poteſſe dirá alſoluta ma che folle accom DI ROMA . 17 accompagnata , e mifta di Ariſtocrazia , ' é, Democrazia ; ' e che in conſeguenza i Patrizi inſieme co ' Plebej rappreſentaſsero qualche dritto nel Governo , di cui peraltro la ſomma foſse preſso de' Re . L'Idea adunque che tam luni Scrittori fecero del Governo di Roma fin dal fuo nafcere , fu di conſiderare Romolo co'ſuoi Succeſsori o per veri Monarchi ; o per Monarchi, che aveſsero comunicato parte dell'amminiſtrazione ai due Ceti di Patrizi, e Plebej , riputando i Patrizi e Senatori , come Ceto di Cittadini illuſtri ricchi e favj , im piegati dai Re nelle cariche più gelofe del lo Stato , ed i Plebej per Ceto anche di Cit tadini ma ignoranti e vili , che ſerviſsero per le faccende ruſtiche , e per la guerra ; e che aveſsero qualche parte anche ne' pubblici affari . Venne , come diſi , tal falfa opinione fo ſtenuta da quel comune errore , che tutte le Società Civili non poſsano altrimenti comin ciare , fe non con la forma Monarchica , non fapendo eſli immaginare con qual altra for ma di Governo poſsa mai unirli , e comporli Tom. II. B un > 7 18 DEL GOVERNO CIVILE un Ceto di famiglie a convivere tra loro , ed a formare un corpo . Imperciocchè , dico no efli , non è poſſibile di concepire il prin cipio di tal unione , ſenzachè qualcuno di eſſi, o per violenza , o per fraudolente ambizione induca gli altri alla di lui foggezione e Si gnoria ; tantoppiù che non ſi faprebbe in al tra maniera immaginare , come i Padri di fa miglia, i quali prima di entrare in Società Ci vile , facendo ſenza dubbio la figura di Mo narchi nella propria famiglia , pofsano ſenza il mezzo della violenza , o dell'inganno , ab bandonare la propria Signoria col foggettarfi al Governo Civile . Su queſta mal fondata , opinione incontrandoſi nel fatto della Nazio ne Romana , in cui intefero parlare di Re , e di Regno nel ſenſo appreſo di Monarca , e Monarchia non dubitarono punto di defi nire il Governo fotto Romolo , e Tuoi fuccef fori per Monarchico . Ma poichè i fatti ſteſſi della Storia realmente non s'uniformano all ' Idea di una perfetta Monarchia , furono co ftretti ad ainiettere una Mon : irchia mitta di Ariſtocrazia inſieme , e Democrazia . Tutte DI- ROMA . 19 Tutte le ragioni politiche , che ſogliono ads durſi dagli Scrittori nel pretendere , che le So cietà Civili non poſſano altrimenti nafcere che colla forma Monarchica , fono a mio giu dizio tanto lontane dal dimoſtrarla , che anzi provano tutto il contrario , cioè , che la unione de' Padri di famiglia , nel comporre la Società Civile , debba neceſsariamente pro durre forma di Governo Ariſtocratico , e non Monarchico ; poichè fe effi non fanno im maginare , come tali particolari Monarchi di famiglia poſsano ſoggettarſi alla pubblica , Podeſtà ſenza frode o violenza di qualcuno di loro , io al contrario non ſo concepire , .come tal violenza o frode d' un ſolo por fa eſser valevole ad obbligare un Ceto in tiero di Padri di famiglia avvezzi a ſignoreg . giare in caſa propria per ſoggettarſi al Mo narca , Qualunque voglia figurarfi la frode o la violenza d'un folo , egli è chiaro che tali mezzi non faprebbero indurgli a foffrire di buon animo un totale cambiamento di con dizione , quanto, lo è il paſsare da quella , in cui trovavanli di Signori aſsoluti , a queſta di B 2 fud 20 DEL GOVERNO CIVIL E fudditi, trattandoſi di cambiare condizione in tieramente oppofta ; ed ognun fa , quanto rin . : creſce al Signore il paſſare di fatto dallo ſta to di comandare a quello di ubbidire . Che ſe mi diceffero , che ciò nafce dalla violenza, cui non ſi può reſiſtere , io gli riſpondo , che nei naſcimenti delle Repubbliche la for za d'un ſolo non è , ne può eſſere parago nabile alle forze unite di tanti Padri di fa miglia , quanti converranno ä formare la So cietà . Sicchè tanto è fupporre , che la forza d'un folo baſti per opprimere gli altri , quan to è dire , che molti non fiano in grado di vincere la violenza d' un folo ; ciò che o non è affatto poſſibile , o almeno lo potrà eſſere in qualche caſo troppo raro , e ſtravagante ; ma la ſtravaganza e la rarità non può in durre un ſiſtema generale . Quindi il preten dere , che le Società Civili debbano necella riamente cominciare colla forma di Governo Monarchico , è lo ſteſso , che fupporre la violenza , o la frode d' un folo maiſempre ſuperiore alla forza , ed alla deſtrezza di mol ti ; e ciò non baſta , perchè biſognerebbe an che > DI ROMA . 21 1 che ſupporre , che al numero di molti non fc gli preſenti mai occaſione favorevole per re fiftere , e liberarſi dall' uſurpato potere di un ſolo ; cioche realmente s’oppone ad ogni no ftra immaginazione. Se poi vorranno fingere, che dopo la violenza , o frode uſata dal Mo narca per ſoggettare gli altri , poffa ſeguire il compiacimento degli ſteſſi ſoggetti , forſe perché il Monarca ſia dotato di virtù tali , che baſtino ad innamorargli , oltreché une tal ſupporto non ſi può ammettere general, mente , incontra il maſſimo oſtacolo di non poterſi concepire , come gli Uomini avvezzi a dominare poſſano cosi preſto invogliarſi della condizione oppofta di ubbidire per qualunque ammirazione di virtù nella perſona del Moia. narca . Ma poi non è poſſibile il concepire nel Monarca virtù degna di ammirazione preſo co loro , che naturalmente, non fanno ſpogliarli di fatto del proprio carattere di dominare , ſenzaché entrino almeno a parte della pub blica amminiſtrazione ; fe pure non vogliamo fingerli per Uomini affatto ftolidi ed alieni dalla maſſima delle Umane paſſioni . B 3 Qui 22 DEL GOVERNO CIVILE Qui potrei co ' monumenti pervenutici de gli antichiſsimi Popoli dimoſtrare col fatto l? inſuffiſtenza di un tal ſentimento dei Politici col riconoſcere nelle origini delle Nazioni tutt altra forma di Governo , che la Monar chica ; e che laddove eſli ſuppongono , che la Monarchia ſia ſtata la prima a forgere nel le Società Civili , fi troverà maiſempre l'ulti tima a venire dopo l' Ariſtocrazia , e Demo- ' crazia ; perché la naturalezza delle Umane vicende è tale , che i Padri di Famiglia nel formare la Società Civile dovendo decadere da quella podeſtà afloluta , che eſercitavano in Caſa , cercheranno di cedere il meno che ſia poſſibile dell'antica Signoria ; poichè l'Uo mo per natura non fa mutarſi di fatto da , uno ſtato ad un altro direttamente oppoſto al primo , e perciò quando trovali nella contin genza di dover paſſare da una condizione ſuperiore all' inferiore , procura ſempre di paſſarci per gradi , e non di ſalto . Quin di è , che fe vogliamo ragionare a ſeconda , dell'idee Umane , dobbiam dire , che tali Pa dri di famiglia qualora li vedranno obbligati dalla DI R O M A. 23 dalla neceſſitii di laſciare la Monarchia del ta loro famiglia , ſebbene converranno vo lentieri in Società Civile per trovare mag gior ſicurezza coll'erezione della poteſtà pub blica compoſta di forze unite , e per confi gliare ai vantaggi, e comodi della vita ; pu Te non ſi diſporranno mai a cedere dell'anti ca poteſta , fe non quanto biſogna per reg gerſi il Corpo Civile , e quanto meno liane poflibile di quella dominazione , che lafciano . Or la forma di governo , che dovranno fce gliere , farà certamente l'Ariſtocratica , come quella , in cui fi cede il meno dell'anticas Signoria , formandoſi una Podeſtà pubblica che riſiede nondimeno preſſo gli iteſi mem bri , che la compongono , e nel tempo ſtello col Governo Ariſtocratico ſieguono a ſignorega giare ſul Volgo , e ſulla Plebe , che ſi ricovera ſotto la loro protezione . Che ſe poi vorremo fare un' efatto giudizio , come coll' andar del tempo dall'una forma di Governo ſi fuol para ſare all'altra , poſſiamo qul accennare breve. mente , che ſtabilitaſi la Societ : Civile nella ſua origine colla forma Ariſtocratica , che dee ellere 1 B 4 priva d'ogni dritto Civile i Indi l'oppreſſo 24 - DEL GOVERNO CIVILE eſsere la prima a naſcere , gli Ottimati na turalmente faranno traſportati dall’amor pro prio ad opprimere , e tirannizzare il Volgo , o ſia la Plebe , che ricoverandoſi ſotto la lo ro protezione, per ſoſtentare la vita , rimane Volgo creſciuto in numero , maſſime col mez zo della procreazione , pel deſiderio iſpiratoci dalla Natura di fottrarci dall' altrui tirannia , cogli ammutinamenti e ſedizioni cerca di li berarſene ; e quindi avviene , che dall' Ari ftocrazia ſi paſſa alla Democrazia . Finalmente il Popolo tutto reſo partecipe del Governo , naturalmente ſi divide in fazioni , le quali agi tandoſi continuamente tra loro , non trovano altro ſcampo per ſalvarſi dalle guerre Civili , che di ricoverarſi ſotto la Monarchia . E que Ito ſembra il corſo ordinario e naturale delle Origini e de' progreſſi delle Nazioni tutte uniforme altresì alle memorie pervenuteci del le antichiſſime Nazioni. Ma per non partirci dal noſtro argomento , ci conviene di fermarci ſull' eſame del Go verno Civile di Roma . E ſulla prima fa duo po DI ROMA: 25 po di ſviluppare dalle tante incoerenze , che troviamo nella Storia , quella prima forma di Governo , che venne iſtituita ſotto Romolo nel naſcimento della Città Romána . Dicia ino adunque , che la prima forma diGover no iſtituita fin dal tempo di Romolo tanto è lungi , che fofle ftata Monarchica , o miſta di Monarchia , che anzi ſi riconoſce chiaramen te Ariſtocratica delle più feverè , che mai li poſſa immaginare , come realmente lo furono le Nazioni tutte nei loro forgimenti . E pri mieramente l'efferſi attribuita a Romolo , e ſuoi Re fucceffori la Monarchia , nacque fo vratutto , come diſli , dalla falſa intelligen-. za della voce Rex , col di cui nome vennero chianati tutti quei , che da Romolo fino al la creazione de' due Conſoli Annali ebbero la cura di preſedere , e far da Capi del Se nato regnante . La voce Rex nei tempi , in cui gli Storici, come Livio e Dioniſio 'com pilarono la Storia Romana , fu certamente appreſa in ſenſo di Monarca , come temps , in cui fioriva. la Monarchia e con un tal Suppoſto non ſapendo neppur eſi immagina. re 26 DEL GOVERNO CIVILE re altra forma di Governo nel naſcimento della Città Roinana , andarono a credere , che o in tutto , o in parte regnaſſe la Monarchia . Ma ſe vogliamo inveſtigare la vera originaria fignificazione della voce Rex , troveremo , ch'ella viene da reggere , e ſoſtenere , e che propriamente dinotava un Capo e Dace del la Repubblica , e non un Monarca di pode Atà aſſoluta . La ſtella eſpreſſione di Rex tro viamo uſurpata in tutte le altre Nazioni , di cui ci è pervenuta la Storia ; ma il Governo del le niedeſime non ſi può attribuire a Monar chia ſenza ſmentire i fatti medefimi, dai quali ſcorgeſi , che tali Re altro realmente non era no , che Capi, e Duci delle Repubbliche : per che inſieme colla perſona del Re troviamo i Senati , da cui definivanfi gli affari pubblici dello Stato . Soleaſi per altro diſtinguere l' incombenza dei Re in pace ed in Città da quella , che rappreſentavaſi in guerra ; poi che qualora erano in piegati a far da Capita ni Generali a comandare l'eſercito , ſpiega vano certamente una podeſtà affoluta , come quella , ch'è troppo necelaria nel Capitan Gen DI ROMA 27 Generale per lo buon regolamento delle fac cende militari . Trattaſi in guerra di porre in eſecuzione all'iſtante le opere militari , le qua li non ſoffrono dilazione , e richieggono la più rigoroſa ſegretezza per forprendere l'ini mico , ed in conſeguenza i Re in guerra per natura dell'impiego medeſimo ſpiegavano po teſtà aſſoluta , perchè non giova di eſercitarſi colla dipendenza dal volere degli altri , è maf fimamente de' Cittadini, come lontani e che non poſſono eſſer preſenti alle diſpoſizioni mi Jitari , e perciò non ci dee far maraviglia , fe per conſigliare al pubblico bene fafi co ſtumato di concedere al Re , quando coman da in guerra , una poteſtà indipendente e Monarchica . Ma di qualunque carattere ftata foſſe lae poteftà dei Re in guerra , non dobbiamo con fonderla colla podeſtà da effi loro praticata in pace e nel Governo Civile dello Stato . In fatti Tacito narrando i coſtumi degli antichi Germani ci fa ſapere che prello tali antis chi Popoli ſi diſtinguevano i Re propriamen te 1 28 DEL GOVERNO CIVILE te detti nel ſenſo di reggere la Repubblica dai Capitani Generali ; poichè i primi fi eleg gevano dal Ceto degli Ottimati e . Signori , ed i ſecondi fi ſceglievano tra quei , che li erano reſi celebri pel valore , ' I Re , dices egli , ſi eleggono dal Ceto de' Mobili , e per Capitani Generali ſi ſcelgono i più celebri nel valore ; Ma i Re non rappreſentano pode fà libera ed illimitata (a ) ; quanto a dire che la qualità di Re preflo gli antichiſſimi Germani non produceva poteſtà fuprema , e Monarchica , tuttoche Tacito gli aveſſe at tribuito il nome di Rex . Dioniſio parlando degli antichi Re della Grecia fcrive , che i Re delle antiche Greche Nazioni , preffo di cui il Principato era ereditario , o pure elettivo , governavano col conſiglio degli Ottimati , come lo atteſtano Omero , e gli antichiſſimi Poeti. Nè quei tali antichi Re eſercitavano il Prin cipato con poteſtà aſſoluta , come veggiamo a tempi (a ) Tacit. de moribus Germanorum 9. VII. Reges ex nobilitate , duces ex virtute fumunt . Nec Regi bus infinita , aut libera poteftas . DI ROMA . 29 tempi noftri (a ) . La voce Rex adunque nell' originaria ſignificazione Latina dinotava une Capo di qualunque Ceto , o di Repubblica , e non un Monarca z e queſto Capo qualora veniva deſtinato a comandare in guerra ; al lora fpiegava la poteſtà aſſoluta ; Ma nei tem pi poſteriori , quando le Nazioni pervennero allo ſtato di Monarchia fi ritenne la ſteffa voce Rex , che paſsò a ſignificare il Monarca , quan to a dire , che il nome di Rex attribuito a Romolo , ed agli altri Re ſucceſſori, non può eſſere un argomento per definire il Governo Monarchico nel naſcimento della Città Ros mana . Parliamo ora ad eſaminare i fatti narratici dagli Storici , dai quali unicamente dipende lo ſchiarimento di queſto articolo . Dioniſio , il quale a differenza degli altri s'impegna a de ( a ) Dioniſio Antiq. Rom . lib . 2. Graecanici Reges çerte , qui haereditarium Principatum fumerent , quolve Populus fibi ipfe praeficeret , confilium habebant ex Optimatibus , ut Homerus , & antiquitlimi quique Poetarum teftantur .. neque ( ut fit in noſtro feculo ) veteres illi Reges ex ſui tantum animi fententia poo feſtatem exercebant . 30 DEL GOVERNO CIVILE deſcriverci minutamente l'origine del Govere no Civile ſotto Romolo , febbene non ſeppe , formare un' eſatto e coſtante giudizio della forma del Governo , pure ci ſomminiſtra ba . ftanti lumi , onde poſſiamno ſcovrire il vero . E ſulla prima introduce un allocuzione fatta da. Romolo ai ſuoi Compagni ſul propoſito di doverſi ſtabilire una forma di Governo che foſſe più utile , e più atta per tener lon tana la Città dalle fedizioni Civili , e per di fenderla dagl' inſulti dei Popoli eſteri . E qui ci rappreſenta Romolo per Uomo ben iltrutto ed erudito delle Nazioni Greche , e delle Barbare , delle forme del loro Governo della difficoltà nello ſcegliere la migliore ; indi gli conſiglia a riflettere maturamente l' affare , affinchè poteſſero riſolvere , se piutto fto voleano ubbidire a un ſolo , o pure a pochi, moſtrandoſi pronto e pieno di moderazione a ſeguire il loro volere (a) . Dopo una ſpe cio ( a) Dioniſio antiq. Rom. lib. 2. Quum autem diffi çilis fit earum ( vitae uempe rationum ) electio , juf lit DI ROMA . 31 ciofa allocuzione i compagni di Romolo te. nendo conſiglio tra loro , non dubitarono di preſcegliere la forma del Goveno Regio in perſona dello ſteſſo Romolo , non ſolamente perchè l' aveano ſperimentata la migliore per quanto l'aveano inteſo approvare dai loro Maggiori , ma perchè giudicavano , che con una tal forma di Governo ſi otteneffero i due maſimi vantaggi , cioè la libertà propria , e · l' impero preſſo degli altri (a) . Da un tal racconto ognun vede , che Dio. nilio fit eos re per otium conſiderata dicere , NUM UNI RECTORI , AN PAUCIS PARERE MALINT . Etenim , inquit , quamcumque Reipublicae formain in ftitueritis , ad eam recipiendam paratus fum , nec principatu me indignum cxiſtimans , nec detrcaans imperata facere . (a) Dioniſio loc.cit.Illi, communicato inter fe con filio, reſponderunt in hunc moduin : nobis nova Reid publicae forma non eft opus ; nec a majoribus proba tam , & per manus traditam mutabimus , fed & pri fcorum conlilium fequimur, quos non ſine inſigni prů. dentia illam Reipublicae formam inſtituiſſe credimus, & praefenti fortuna contenti ſumus ; cur enim illam in. cuſemus , quum fub Regibus contingerint nobis bona , quae apud homines habentur praecipua , LIBERTAS ET IMPERIUM IN ALIOS Haec eft noftra de Republica fententia &c. 32 DEL GOVERNO CIVILE niſio compoſe tali narrazioni piuttoſto allas maniera , com'egli avrebbe penſato di fare , che con quella , che Romolo realmente ufaf ſe preſſo i lnoi compagni'. E tralaſciando di riflettere le tante improprietà di ſimile allo cuzione , in cui ci propone Romolo per Uo mo iſtrutto delle Barbare , e delle Greche Na zioni, anzi delle varie forme del loro Gover no ; quando al contrario , come dimoſtraremo a fuo luogo , i Romani per molti ſecoli fu rono affatto ſconoſciuti ed ignoti , mallime alle Greche Nazioni , ci giova quì di notare quell'eſpreſſione , che il Governo Regio po tea loro conſervare il pregio della libertà , il quale certamente non ſi può ottenere colla Mo narchia preſa nel ſuo vero fenfo di podeſa d' un ſolo aſſoluta , ed arbitraria; poiché an che ſul ſuppoſto d'un Monarca dotato della più retta politica ę ſaviezza , e di coſtumi i più ſublimi ed innocenți , il Popolo non può godere altro pregio di libertà , ſe non quello, che deriva dalla rettitudine dell'animno dalla ſaviezza del Monarca medeſimo ; mais non ſi può pretendere ſotto la Monarchia di 1 DI ROMA . 33 godere il dritto e la libertà di reſiſtere , ed oppora al di lui ſentimento e comando ; poiché la forma Monarchica , come tale , racchiude la fuprema poteſtà preſſo di una folo ; e tutto il reſto del popolo potrà fo lamente eſercitare quell'autorità , che pia ce rà al Monarca di comunicargli ; ficchè ſi conſidera allora ' tale autorità come dipen dente e ſoggetta maiſempre al voler del Monarca e non libera del popolo , che l' eſercita per comando del Principe . Ed ecco cheDioniſio leffo finora ci propone il Gover no Regio non già in ſenſo di Monarchia , ma di Capo e Duce d ' un ceto d' Uomi ni , che intendono d'eſser membri del Go verno medeſimo , per eſſere anch'eſſi a par te della libertà di comandare . Siegue indi Dioniſio a narrare la diviſione del Popolo in Tribù , e Curie , inſieme colla egual partizione de' campi , e de' terreni tralle Curie ; e poi paſſando alla diviſione de' Ceti fatta in Padri e Plebe , nel riferire il carat tere che i Patrizi doveano rappreſentare nella Repubblica , chiaramente ci atteſta , Tomo II. С che 34 DEL GOVERNO CIVILE che ai Patrizi apparteneva la cura dei Sacri , l'eſercizio de' Magiftrati, l'amministrazione della Giuſtizia , ed il Governo della Repubblica unitamente con Romolo (a ). Ę poco dopo narran do l'erezione del Senato dal Ceto de? Patrizj replica lo ſteſſo , cioè , che Romolo avendo ri dotto le coſe in buon ordine , immediatamen- : te creò dal Ceto de' Patrizj i Senatori , i quar. li doveſſero ſeco lui amminiſtrare la Repubbli 64 (b) . E queſta ' erezione di Senato l'affomi glia alle Repubbliche delle antiche Nazioni Greche ſulla teſtimonianza di Omero , e di altri Poeti Greci , che fanno menzione di fimi li Senati regnanti, cui preſedeva il Re , il qua le per altro facea da Capo e Duce, in ma niera $ (a) Dionifo loc. cit. Romulus porro poftquam difcre vit potiores ab inferioribus, mox legibus latis praefcri plit , quid utriſque faciendum effet : ut Patricii facra curarent, Magiſtratus gererent , jus redderent ,SECUM REMPUBLICAM ADMINISTRARENT. ( b ) Dioniſio loc. cit. Ceterum Romulus poftquam haec in decentem ordinem redegit , confeftim decrevit Se fatores creare , ut ellent , QUIBUS CUM ADMINI STRARET REMPUBLICAM . DI ' ROMA . 35 niera però , che il Governo della Repubblica riſedelle prello il Senato compoſto degli Ot timati , come per l'appunto furono i Patrizi di Roma (a) . Indi riferiſce le particolari in combenze attribuite a Romolo , come Capo del Senato , cioè , che prello di lui eſſer do veſſe la principal cura dei Sacrifizj e del le coſe Sacre : che doveſſe aver cura delle Leggi e de' Coſtumi Patri ; che ſi riſerbaf ſe il giudizio per gli delitti più gravi, e de' minori ne giudicaſſero i Senatori ; che foſſe di ſua incombenza di convocare il Senato ed il Popolo tutto , colla prerogativa di dover eſſere il primo a profferire il ſuo ſentimento , ma che le determinazioni del Senato dovef ſero dipendere dalla pluralità dei fuffragi ; e finalmente , che poteſſe ſpiegare Poteſtà aſſo luta in guerra ( b) , Paſſando poi a ſpiegare , C 2 qua (a) Dioniſio 796x it. Graecanici Reges certe > qui hereditarium Principatum fumerent, quoſve populus fibi ipfe praeficeret , conlilium habebant ex Optimatibus , ut Homerus & antiquiſſimi quique Poetarum teſtantur &c. ( b) Dioniſio loc.cit. His conſtitutis, honorcs, & potefta tes in fingulos Ordines diſtribuit . Regi quidem eximia mune 36 DEL GOVERNO CIVILE quale eller doveſſe l'autorità del Senato , fcri ve , che gli affari del Governo ſi doveſſero dal Re proporre al Senato, preſo di cui non di meno doveſſe riſedere la potefta fuprema di decidere col mezzo della pluralità dei ſuf fragj , ſoggiungnendo inoltre, che un tal fix ſtema di Governo folle ftato appreſo dalla Repubblica dei Lacedemoni , ( fempre col falfo fuppofto , che Romolo in tali tempi aveſſe avuto cognizione de' Papoli della Gre cia ) in cui i Re non erano Monarchi , nè Die {potici del Governo , ma ſemplici Capi del Senato il quale fpiegava la fuprema pote ftate munera fuerunt haec: Primum , ut Sacrificiorum , & re liquorum Sacrorum penes eum eflet principatus, per quem çumque gereretur quidquid ad placandos Deos attinet ; deinde uit legum ac conſuetudinum Patriarum haberet cuſtodiam , omniſque Juris , quod vel natura di&ar , vel pacta & tabula fanciunt curam ageret ; utque de graviſſimis delictis ipſe decerneret , leviora permitteret Senatoribus , providendo interim , ne quid in judiciis pece caretur ; utque Senatum cogeret , Populum in concio nem vocaret , primus fententiam diceret , quod pluçi bus placuiſſet , ratum haberet . Haec Regi attribuit mu nia , & practerea fummum in bello Imperium , DROMA. 37 ( be neppur ftà nell'amminiſtrazione della Repubblica (a ). Da tutto queſto racconto di Dioniſio non v'è chi pofſa negare , che Romolo non eb l'ombra, della poteſtà Monarchica; poichè colla coſtituzione del Senato la poteità ſuprema riſedeva preſſo il Senato medeſimo , e preſſo gli Ottimati ; e che tutto quello , che fu attribuito alla perſona del Re , conſiſte va nel fare da Capo del Senato Regnante col la ſemplice prerogativa di poter proporre gli affari, e di eſſere il primo tra i Senatori 2 profferire il ſuo fentimento ; ma che la poteſtà di determinargli riſedeſſe preſſo il Ceto dei Senatori , in maniera che le determinazioni ſi coſtituivano colla pluralità de' Suffragj, a cui il Re medeſimo dovea foggiacere ; ciocchè non ſolamente eſclude ogni idea di Monarchia , ma C3 ci (a ) Dioniſio loc. cit. Senatui vero dignitatem ac po teſtatem hanc addidit , ut is s de quibus à Rege ad ipſum referretur , de his decerneret , & ferret calculum, ita ut ſemper obtineret plurium ſententia . Id quoque a Laconica Republica defumtuin eſt; Lacedaemonio, rum cnim Reges non erant fui arbitrii , ut, quidquid vellent , facerent ; fed penes Senatum erat tocà publi cæ adminiftrationis poteftas . 38 DEL GOVERNOICI V ILE ro ci manifeſta chiaramente una perfetta Ariſto crazia compoſta di Senatori , i quali furono eletti dal Ceto nobile de' Patrizj. Egli è ve che il Re di Roma ſpiegava la poteſtà aſſoluta ſoltanto in guerra ; ma queſta , come dicemmo , non toglie, nè s’ oppone alla for ma del Governo mero Ariſtocratico , perchè in tutte le Ariſtocrazie troviamo tal poteſtà ſuprema nella perſona del Capitan Generale , per la ragione di non poterſi altrimenti eſer citare con felice effetto il comando del Du ce dell' Eſercito : E qui giova d' oſſervare , che ſebbene nelle Ariſtocrazie il Capitan Ge nerale faccia ufo di poteſtat aſſoluta in guer ra ; pure la dichiarazione della guerra , e tut to ciò , che appartiene al ſiſtema generale di eſercitarla , dipende dal volere dello ſteſſo Se nato regnante , quatito a dire , che tutta live poteſtà ſuprema del Capitan Generale ſi ridu ce ad eſeguire gli ſteſſi ordini del Senato éd a riſolvere all'iſtante da ſe medeſimo ciò che non ſoffre dilazione , e l'attendere l'ora colo del Senato ſarebbe inutile e dannoſo Del rimanente la forma del Governo ſi diſtin gue ITDI ROMÀ. 9. 39 gue non già dall'uſo della poteſtă , che ſi eſercita in guerra , ma dalla ragione delle pubbliche determinazioni , le quali , qualora dipendono dall' arbitrio di quei pochi , che compongono il Senato , ci manifeſtano chiara mente l'Ariſtocrazia , e non la Monarchia , anzi neppure un miſto dell'una è dell'altra ; perchè la coſtituzione d'un Capo del Senato , ſempreche tutte le pubbliche determinazioni ſono riſerbate alla pluralità de' Suffragj dei Senatori s non ſi può aſcrivere , che ad un più ordinato regolamento del Senato mede ſimo , come avviene in tutti i Ceti di per fone , in cui vi ſia un Capo , il quale ſembra effer neceſſario , affinchè ſia meglio regolato il Corpo intiero di quei , che lo compongo ño ; ma non già che la coſtituzione del Capo vaglia à mutare o alterare in minima parte il fiftemå del Ceto medeſimo. So bene , che anche nelle Monarchie fogliono eſſervi i Se nati , maſlime de Grandi dello Stato ma cali Senati ſono di gran lunga diverſi da quello, che fu ſtabilito in Roma forto Romolo ; poi chè il Monarca talvolta ſuole commettere a C4 quals 40. DEL GOVERNO CIVILE 0 qualche Geto di Perſoné la deliberazione de gli affari , o pubblici , o privati ; ma tali de liberazioni non oltrepaſſano i confini d'un mero configlio , ſicchè rimane maiſempre al Monarca la facoltà di approvare , di repu diare la deliberazione ; quanto a dire , che la determinazione dipende maiſempre dall' arbitrario fuo volere e non dai ſentimenti dei ſuoi Conſiglieri; ragion, per cui nelle Mo narchie ſi trovano talvolta ſtabiliti tali Ceti di perſone , che ſogliono aver nome di Con ſiglieri del Monarca . All'incontro il Senato di Roma era compoſto di perſone , di cui ognu na ſpiegava uguale autorità a quella di Ro molo per le pubbliche determinazioni , e queſta tal ſorta di Senato Regnante è quel la propriamente , che coſtituiſce la vera forma di Governo Ariſtocratico . Quindi pof ſiamo francamente affermare , che dove re gna la Poteſtà fuprema nel Senato , ivi non vi può eſſere neppur l'ombra della Monar chia , ed al contrario dove regna la Monar chia , ivi non può eſſervi Senato di poteftà ſuprema; perchè l'una e l'altra forma di Go verno DI ROMA . 4.1 3 come verno non ſi diſtinguono in altro , ſe non che nella Monarchia la poteſtà fuprema riſiede in un folo , e nell' Ariſtocrazia in molti . Ma per eſſer meglio convinti d'una tal ve rità , ci conviene di eſaminare con maggior diſtinzione quel Capo di Poteítà , che riguar da lo ſtabilimento delle Leggi , il quale più d'ogni altro fa diſtinguere la Monarchia dal? Ariſtocrazia , ſecondo che venga eſercitata da un ſolo , o da molti , è che ſecondo il ſenti mento di tutti i Politici ſi conſidera la maſſima nell' amminiſtrazione dello Stato . In fatti tra tutte le pubbliche deliberazioni la più ſpecioſa ed importante è certamen te quella , che diceſi poteſtà Legislativa ; poi chè lo ſtabilimento delle Leggi , come quel lo , che più d'ogni altro riguarda l'intereſſe e la pubblica tranquillità , è il punto più ge lofo , che poſſa eſſervi nel regolamento del le Società Civili , e come tale ci manifeſta , e ci fa diſtinguere ad un tratto la Monarchia dall'Ariſtocrazia . La ragione ſi è , perchè pre ſcriver la Legge allo Stato altro non è , che obbligare e ſoggettare tutti i particolari mes 42 DEL GOVERNO CIVILË membri del Corpo Civile alla cieca obbedien za di ciò , che la Legge comanda ; e perciò ñon li può riconoſcere poteſtà più ſublime di quella di poter comandare la Legge . Or fen za biſogno di ſoggettarci ſu tale articolo ai ſentimenti degli Storici ; qualora ci riuſciſſe di dimoſtrare , che la Poteſtà Legislativa di fat. to riſedeva non nella perſona di Romolo , ma preſſo l'Ordine del Senato regnante , non ci rimarrà luogo da dubitare , che l'iſtituzio ne del Governo folle di forma mera Ariſto craticào É qul fa d’uopò di ricorrere alla narrazio ñê del Giureconfulto Pomponio nella Legge feconda de Origine juris į ove impreſe con particolari cura à trattare dell'origine delle Leggi Romane · Ci fa egli ſapere , che ſul principio il Popolo Romano ſi regolava ſenzos leggi certe e determinate ; ma che tutto ſi go Bernava col mezzo della dutorità del Re (a) . A tal (a ) L. 2. 9.1. de Orig. Juris : Et quidem initio Ci vitatis noftrae Populus fine lege cerca , fine jure certo pri DI R O M A. 43 A tal narrazione di Pomponio gl' Interpreti del Dritto Civile , valutando aſſai più la di lui Autorità , che quella di Dioniſio li dettero a credere che realmente il Governo iſtituito fotto Romolo folle itato Monarchico , poichè (dicono eſli ) ſe ne primi principi della fonda zione di Roma al dir di Pomponio non v'era no leggi ſtabilite , e determinate , ma tutto li regolava collº autorità del Re , ne liegues neceſſariamente , che la forma del Governo cominciare dalla Monarchia . Ma io non sò , come tali Interpreti poſſano formare da quelle parole di Pomponio un tal giudizio , quando dall' altre , che ſeguono , li dimoſtra il con trario . Indi ( fiegue Pomponio ) eſſendoſi ing qualche maniera ingrandita la città , dicéſi , che lo ſtesſo Romolo aveſſe diviſo il Popolo in trenta parti , chiumate CURIE a motivo , che allo primum agere inſtituit , omniaque manu Regis guber nabantur . NellePandette Fiorentine leggefi MAŇU A REGIBUS GUBERNABANTUR ma de ciocchè fregue , e dall' eller direito il diſcorſo di Pomponio alla perfona di Romolo , dee fi piuttosto abbracciare la lezio ne volgata , omniaque manu Regis gubernabantur. 44 DEL GOVERNO CIVILE allora Spediva gli affari della Repubblica coi ſentimenti , e colle determinazioni delle medeſime Curie ; ed in tal maniera promulgò egli alcune leggi dette CVRIATE , come fecero altresì i Re ſuoi ſucceſſori (a ) . Or fe folle vero , che Romolo cominciaſſe a governare la Città colla fornia Monarchica , dovrebbe eſſer falſo , che lo ſteſso Romolo indi ſtabiliſſe la Repubbli ca degli Ottimati , con attribuire al Senato l' Autorità ſuprema di diſporre degli affari pub blici per mezzo della pluralità de' Suffragi . Nè vale il ſupporre , che Romolo regolaſſe , la Città coi ſentimenti delle CURIE di puro conſiglio , quafi che ſi riſerbaffe l'arbitra rio volere di ſeguire , o di ripudiare tali fen timenti . Imperciocchè lo ſtello Pomponio chia ramente s'eſprime , che gli affari ſi determi navano per Sententias partium earum , che in buon ( a ) Poftea au&a ad aliquem modum Civitate ipfum Romulum traditur , Populum in triginta partes divififfe , quas partes Curias appellavit , propterea quod tunc Reipublicae curam per Sententias partium caruni expediebat ; & ita leges quaſdam & ipfe Curiatas ad Populum tulit. Tulerunt & fequentes Reges . DI ROMA . 45 buon latino non poſſono ſignificar Configlio ; ed oltracciò le Leggi ſi chiamarono Curiato non per altra ragione , fe non perchè le de terminazioni venivano preſcritte co' ſentimens ti delle ſteſse Curie , e non dall' arbitrario vo lere di Romolo . Egli è vero , che tali Leggi coll'andar del tempo furono anche dette Regie a cagion che ſi proponevano dai Re ne' Co mizj Curiaci; ma poichè tutti gli Storici con vengono nell'affermare , che gli affari li de terminavano dalSenato a relazione degli ftelli Re , come Capi di quella adunanza , non ci dee far maraviglia , ſe le Leggi ſi foſſero dette anche Regie ; perchè venivano propoſte dal Capo del Senato , cui ſi dette il nome di Re . Dunque fe vogliamo credere più a Pompó nio , che a Dioniſio , pure ſiamo obbligati coll'autorità dello ſteſſo Pomponio di ammet tere ne' tempi di Romolo l ' Ariſtocrazia , u non la Monarchia ; perché altrimenti non ſi potrebbero comporre le prime colle ſeguen ti parole del Giureconſulto . All'incontro egli farebbe coſa ridicola il ſupporre , che pri ma di ſtabilirſi le leggi certę , Romolo go f ver 46 DEL GOVERNO CIVILE vernaſse da Monarca , e che poi iſtituiſſe l' Ariſtocrazia ; e quando anche potefle'aver luogo una tal fuppoſizione , non dobbiamo at tenerci a quel che foſſe ſeguito , prima che ſi dalle una certa forma al Goveșno , la quale non fi dee ripetere , fe non dal tempo , in cui la Città preſe i ſuoi certi regolamenti. Ма ,per meglio chiarirci di tal verità, con „ viene di riflettere , che quella eſpreſione di Pomponio , cioè , che fu i principi della cit tà non v'erano leggi certe , ma che tutto ve niva regolato coll'autorità di Romola , non può ſignificare forma di Governo Monarchi co , come è itata appreſa dagl' Interpreti. E qut fa d 'uopó d'inveſtigare la vera ſignifi çazione di quelle parole , Omniaque manu Regis gubernabantur . La voce Manus , è vero , che per traslato • ſtata anche appreſa da' Latini in ſenſo di poteftà (a) ; pure non hanno 1 ( a ) I Latini quandą apprefero la voce Manus in senſo di POTESTA' , s' avvalſero di quelle locuzioni IN MANU ESSE , HABERE, IN MANUM CON VE DI ROMA , 47 hanno mai detto gubernare manu in ſenſo di governarc , colla poteſtà ; nè mai trovaremg gubernare , o regere , o altre fimili parole in ſieme colla voce manu , per ſignificare poteſta nel governo , Molto meno può adattarſi alla voce manus la ſignificazione di arbitrio , o la diſpotiſmo , come piacque ad altri Inter preti ; perché un tal difpotiſmo altro non è , che poteft fuprema , ed indipendente ; ma comunque ſi apprenda tal poteſtà , ſiamo pur troppo ſicuri , che nel linguaggio latino quel gubernare many non ſi può apprendere in ſen ſo di poteft . In queſta eſpreſſione adunque di Pomponio la voce manus deeſi riferire a tutt'altra intelligenza , che a quella di po teſtà ; e poichè tal voce è ſtata anche appre fa dai Latini in ſenſo di forza , e di valore di corpo , o d'animo , come la troviamo in tan te locuzioni (a) , non poſſiamo fpiegare il detto VENIRE > DARE , MANU MITTERE fimili . ( a) Nel fenſo di FORZA , VALORE , E CO RAGGIO i Latini han detto MANUS MILITARIS , MA 48 DEL GOVERNO CIVILE detto di Pomponio , ſe non nel ſenſo d ' ef ferli in quelle prime origini della Città re golati gli affari colla forza , col valore , e col la guida di Romolo , come quegli , che tra quelle poche perſone , che ſi unirono ſeco lui nella fondazione della Città , facea la fi gura di Capo e Duce . E queſta intelligen za ci fa intendere altresì tutto il compleſſo del racconto di Pomponio ; poichè , dic'egli, che ne' principi il Popolo vilfe ſenza legge certa , fine lege serta , fine jure certo ; perché prima di ſtabilirſi moltitudine cale di abitanti, che formafle un corpo abile a comporre una Società Civile , non v'era biſogno di formare leggi e regolamenti pubblici , ma tutto re golavaſi con quei medeſimi coſtumi , fecon do i quali erano ſtati educati quegli ſteſli , che unironſi con Romolo ; e perciò dice Pomponio , che ſi vivea ſenza Leggi certe , perché MANUS ARMATA , MANUM CONSERERE, IN JICERE , INFERRE MANUM ALICUI REI IMPONERE , MANU DOCERE , e fimili . E noz Italiani abbiamo ritenuta l'eſpreſione di MANO RE GIA per hgnificare la forza legittima dello Stato di pronta , e spedita eſecuzione . D'L ROMA . 49 perchè allora la Legge era la voce mede ſima del Capo dell'unione , il quale poteva occorrere ad ogni diſordine . Ma quando poi crebbe la moltitudine degli Abitanti , allora biſognava di ſtabilire le Leggi , non poten doli regolare un Corpo Civile colla fola voce parlante del Duce . In fatti le Leggi certe e ſtabilite altro non ſono , che voci mute di chi governa ; e ſiccome per regolare i pic coli Corpi può baltare la voce parlante di chi gli regge , cosi moltiplicataſi l'unione degli abitanti , e pervenuta al grado di formarli un Corpo conſiderabile richiede neceſariamente lo ſtabilimento di Leggi certe , le quali pre ſtino l'uffizio della voce medelima di quel Ceto , preſso di cui riſiede la pubblica pote ftà . Ciò ſuppoſto , fino a tanto che Roina ven ne abitata da piccol numero di perſone , la vo çe parlante di Romolo baſtava per regolare gli affari ; ma moltiplicatoſi il numero , fi do vette venire alle determinazioni delle Leggi certe , non potendoſi altrimenti ſoſtenere un Corpo Civile . Ma prima di ſtabilirfi tali Leg gi non poſſiamo ſupporre , che Romolo co Tom . 11. D man 50 DEL GOVERNO CIVILE mandaffe coll'arbitrario fuo volere ; perchè lo Steffo Po mponio ci aficura , che quando ci fu biſogno di stabilire le Leggi certe , furono queſte determinate colla pluralità de' fuffragi delle Curie , o ſia del Senato ; e poichè non è poſſibile l'immaginare , che il Governo per coså breve tempo dipendeſse dal voler del Mo barca , e che immediatamente poi paffalle nella poteſtà Ariſtocratica , perciò dobbiams conchiudere coll' autorità dello ſteſſo Pompo nio , che fin dal principio la Città fu eretta colla forma del Governo Arittocratico . Ne G può conoſcere altra divertità tra quel tempo , in cui fi vivea ſenza Leggi certe , e quell' altro , che venne immediatamente, in cui furo no ftabilite le Leggi , fe non che in quello la poteſtà degli Ottimati ſpiegavafi colla voce parlante di Romolo , manu Regis , laddove in quefto il Senato fpiegava la ſua poteſtà colla voce muta delle ſtabilite Leggi; ma l' uno e l' altro tempo riconobbe la medeſima forma , Ariſtocratica ; Quindi è ancora , che quelle locuzioni di Pomponio ſine Lege certa , fine's jure certo , non si poſſono apprendere , come fecea DIROMA . 51 fecero alcuni Interpreti , quaſiché il regola mento in quel tenipo folle vario ed inco ftante , perché non ſi può fingere ſocietà di Uomini , che vivano ſotto un yario fiftema di Regolamento , ma ſi debbono riferire a quella intelligenza , che meritano , cioè che tutto veniva preſcritto a voce ſecondo le opportu nità delle contingenze , che ſpiegavali col mezzo di Romolo loro Capo ; perché non v ' era biſogno ancora di ſtabilirſi leggi certe , come figui poi colla moltiplicazione degli abitanti , Siegue Pomponio a narrare , che eſéndoli diviſo il Popolo in trenta Curie , coi di cui ſentimenti li determinavano gli affari , allo ra cominciaffero a ſtabilirli le. Leggi cere te , che furono perciò dette Curiate , come fecero altresi i Re fuoi fucceffori : Et ita le ges quafdam cuo ipſe Curiatas ad Populam tri lit , tulerunt eam fequcntes Reges : 1 qut gł Interpreţi del Dritto Romano per ſoſtenere la fognata Monarchia di Romolo caddero in tun'al tro equivoco nell'apprendere l'eſpreſſione di Pomponio di ferre legem ad populum in fente D2 d'ef 52 DEL GOVERNO CIVILE d'eſſerſi comandate le leggi da Romolo , e dai Re fuoi fucceffori . E febbene una tale interpretazione ſi oppone direttamente a cioc. chè lo ſteſſo Pomponio riferiſce nelle parole antecedenti , cioè che il governo della Re pubblica ſi amminiſtrava per mezzo de' fen timenti delle Curie : propterea quod tuma Reipublicæ curam per ſententias earum partium expediebat ; pure abbagliati da quel guberna bantur manu Regis , ſi videro obbligati a rico noſcere nella perſona di Romolo e degli al tri Re la poteſtà fuprema di comandare le leggi . Siminaginarono dunque , che lo ſta bilimento delle Curie non toglieva al Re la poteſtà Monarchica , poichè febbene il Sena to interveniva nelle deliberazioni dello Stato, pure i ſentimenti delle Curie ſi debbono ri ferire piuttoſto a ragion di conſiglio , e che in conſeguenza la poteſtà di comandare le Leggi riſedeſſe preſſo di Romolo , e ſuoi Re ſucceſſori. Or (dicono eſli) ſe la poteſtà di co mandare le Leggi , al dir di Pomponio , fpie gavaſi dal Re , ne ſiegue , che la forma del Governo debbafi attribuire anzi a Monarchia , che , DI ROMA che ad Ariſtocrazia . Ma io non só intendere con qual fondamento poſſano afcrivere l'e ſpreſſione latina di ferre legem ad populum al fenſo di comandare , e preſcrivere la legge , quando al contrario egli è coſa notiſlima pref fo i Latini , che il ferre legem nella ſua vera intelligenza ſignifica ſemplicemente il propor re la legge per determinarji , o ripudiarſi , e non il preſcriverla , e comandarla ; anzichè qualora dagli Scrittori Latini al ferre legem fi aggiligne ad populum , ad plebem , e ſimili , non v'è eſempio , che foſſe ſtata mai tal lo cuzione appreſa in ſenſo di comandare la leg ge al Popolo , alla Plebe, ma ſempre nel ſen ſo di proporla , per determinarſi dal Ceto del Popolo , o della Plebe ( a ) . E quando la lega ge propoſta veniva coi fuffragi ſtabilita v preſcritta , allora diceaſi lex juſſa , condita ; ſic chè altro era il ferre , altro il jubere legem ; il ferre fignificava proporre , ed il jubere pro D 3 pria ( a ) Vedi Briſſonio de Formulis lib. 2. cap. 17. 2 109. il quale traſcrive i laoghi degli Scrittori Latini ſu sale articolo DEL GOVERNO CIVILE priamente dinotava la determinazione , o sia le juffione della legge . Tra gli altri Scrittori Latini ſono innumerabili i luoghi di Livio , in cui cgli îi avvale dell' eſpreſsione di ferre legem , o pure rogationem , nel ſuo vero ſenſo di propar re , e non già di comandare , e ſoprattutto quando riferiſce le pretenſioni de' Tribuni del la Plebe , in cui fa uſo della voce ferre ine fenſo ſempre di proporre o promuovere , e lis mili , e non mai di preſcrivere , o comandare, perchè i Tribuoi della Plebe non aveano altra facoltà , fe non quella di promuovere , e di eſporre le petizioni del Ceto plebeo , e non già di comandarle . Ma per eller convinti di queſto vero ſenſo ſecondo l'originaria fua fi gnificazione baſta un luogo folo di Livio , in eui eſpreſamente ſi addita la differenza tra "! ferre , e jubere legem . Racconta egli , che pell'anna 372. il Senato -ordinà , che ſi fosſe pro poſto al Ceto plebeo la deliberazione d' intimark la guerra a' Popoli di Veletri . I Patrizi co nofcendo d' eſſerſi laſciata più volte impunitra la ribellione de' cittadini di Veletri , decreta rono, che al più preſto che fosſe poſſibile, ſi pro poneffc DI ROMA SS ponefe,al Ceto plebeo l'affare d' intimarye loro la guerra , e che propoftafi una tal delibera zione tutte le Tribù conſentirono a coman dare' , e determinare una tal guerra . E qui Livio eſpreſſamente fi avvale della voce fer re , quando parla di proporſi l'affare al Ceto plebeo , e della voce jubere , quando riferiſce la juffione della guerra ſeguita coi fuifragj di tutte le Tribù (a ). Egli è vero , che l' eſpreſ Gone di ferre legem é ſtata poi dai Latini tra ſportata anche a fignificare la promulgazione della legge in quelle locuzioni Lata lex eft , e limili ; ma neppure "la trovaremo uſurpata in queſto ſenſo , quando ci ſi aggiugne ad Populum , ad plebem c. perchè allora ritie ne l' originaria ſignificazione di proporre , e non di promulgare (.b). Comunque però fi D4 ap ( a ) Liviv lib. 6. Cap. 21. Id Patres rati contemptu accidere , quod Veliternis Civibus ſuis tamdiu impuni ' ta dete &tio effet , decreverunt , ut primo quoque rem pore ad populum FERRETUR de bello cis indicen do ...... Tum , ut bellum JUBERENT , latum ad Populum eft ; & nequidquam diffuadentibus Tribu nis Plebis , omnes Tribus bellum JUSSERUNT . ( b) Tum ut bellum juberent , LATUM AD PO PULUM EST . Livio loc. cit. 56 DEL GOVERNO CIVILE apprenda , o in ſenſo di proporre , o di pro mulgare , egli è fuor di dubbio , che non mai può ſignificare juffione è determinazione della legge . Ciò ſuppoſto , per ritornare ora a Pomponio, ognun vede , che le di lui parole : Et ito leges quaſdam & ipfe Curiatas ad populum tue lit ; tulerunt ex Sequentes Reges non pofſono apprenderli nel ſenſo , che Romolo , e gli altri Re aveſſero preſcritte le leggi Curiate ſe non vogliamo tacciare il Giureconſulto per ignorante del linguaggio latino , ma quel tu lit ad populum deeſi riferire a quella facoltis che riſedeva ſoltanto preſso la perſona del Re , di proporre gli affari pubblici in Senato , ed in conſeguenza le leggi , la di cui juffio ne nondimeno dipendeva dal fuffragio delle Curie medesime per fententias earum partium , e non dall'arbitrario volere del Re ; e le leg gi fi diſſero Curiate non per altra ragione , ſe non perché vennero preſcritte , e comandate dalle Curie , e non dal volere del Re , quan tunque egli come. Capo del Senato , e come riconoſciuto per lo più abile e favio trai Senapa " DI ROM A 57 Senatori godeſſe la facoltà di proporre cioc chè gli ſembrava più eſpediente per l'ottimo regolamento dello Stato ; ma' una tal prero gativa fu fpiegata' altresì dopo il diſcaccia- , mento de'Re dai Conſoli , dai Tribuni mili tari di poteſtà Confolare , dai Ditcatori , e da altre Magiſtrature di ſublime autorità, le quali tutte proponevano al Senato , alla Plebe , al Po polo tutto , le determinazioni degli affari pub blici , e maſſime delle leggi ; niuno però fin è ſognato finora di aſcrivere la forma del Go verno ſotto i Conſoli a Monarchia , perchè la ragione di Capo d'un Popolo ſenza carat tere di poteſtà aſſoluta non può produrre Monarchia , fe non vogliamo confondere ! idea del Governo Monarchico coll' Ariſtocra tico e Democratico . winno Conchiudiamo adunque. Gli Scrittori chepiù degli altri ci narrano con qualche diſtinzione la forma del Governo tenuta ſotto Romolo , fo no Dioniſio , e Pomponio . Il primo ci de fcrive chiaramente la coſtituzione del Senato , dal di cui arbitrio dipendevano le determina zioni degli affari e l'intiero regolamento dello 58 DEL GOVERNO CIVILE dello Stato , ciocchè eſclude di fatto ogniom bra diMonarchia in perfona di Romolo . Il fecondo non ſolamente non fi oppone a quan to riferiſce Dioniſio , anziché ce lo conferma più chiaramente , prima col riferirci , che nel naſcimento della Città non v'erano leggi cer te e preſcritte , ma che tutto regolavaſi col conſiglio e guida di Romolo , ed indi cot narrarci, che creſciuta in qualche maniera la moltitudine degli abitanti , fu neceffario di venirli allo ſtabilimento delle leggi certe . Quali leggi inſieme col reſto de' pubblici af fari , eſſendoſi diviſo il Popolo in trenta Cu rie , furono preſcritte col fuffragio delle me defime ; ragion , per cui fi diſsero leggi Cum riate; e che finalmente la prerogativa di Rom molo , come Capo del Senato , fi riduceaus alfa - facoltà di proporre predo il Ceto de Se natori ciocchè gli ſembrava opportuno per determinarli gli affari dal Senato medeſimo per ſententias carum partium . In fomma, che Je leggi col reſto delle pubbliche determinazia -ai fi ſtabilivano colla juſsione delle Curie , o fia del Senato , non si può negare per l'alt torita DI ROM A . 1 59 torità di Pomponio , di Dioniſio , di Livio , e di tutti gli Storici , i quali concordemente combinano ſu tale articolo . Il determinarli gli affari per ſententias delle ſteſſe . Curie e de Senatori , in buon latino non può fignifica re pareri confultivi , ma juſsione per mezzo della pluralità de* fuffragi. Quel tulit leges ad populum attribuito a Romolo , ed ai Re fuc celori , altro non contiene , che la facoltà del Re nel proporle , e non già nel comandarle , e prefcriverle . Dunque dai detti degli ſteffi Storici siamo convinţi , che la forma del Gom verno iſtituita fatto Romolo non ebbe nep pur l'ombra dellaMonarchia , perché doves vi è Senato , preffo di cui rilieda la poteftà. ſuprema di decidere gli affari dello Stato , ivi non vi può regnare il Monarca . E per ultimo troviamo nella Storia Civile di Romaun fatto incontraſtabile , che di ſya natura ci dimoſtra , quanto foffe lontano dalla Monarchia il Governo Civile iſtituito foto Romolo . Egli è troppo noto il dritto di Pa tria poteſtà , che eſercitavaſi in Caſa dal Citta dino Romano ſulla ſua famiglia ſenza limiti, @fen . 60 DEL GOVERNO CIVILE 3 e fenza la minima dipendenza dal Re, o dal Senato . Non intendā io qui di quella potefta patria praticataſi nei tempi poſteriori , e maf fime fotto gl’Imperatori , ma di quell'affolu to Impero Paterno eſercitato fin dalla fonda zione di Roma , e che dai Decemviri fu tra- . ſcritto nelle xir. Tavole , come riferiſce Dio-, niſio (a ) . Era certamente la Patria poteſtà di quel tempo fornita d'un aſſoluta dominazio ne ſulla ſua famiglia , finanche verſo i pro prj. Figli , fovra di cui il ' Padre eſercitava dritti di vera Monarchia, com'era l'effer di ſpotico della vita , e della morte loro (b) , eltre dell'arbitraria facoltà di poterli vende re , in manierachè dopo la terza vendita i Fi gli di liberavano dal diſpotiſmo Paterno ( c) . Or queſto dritto Patrio , che con vera efpref fione ( a) Antiq. Rom. lib. 2. ( b ) Sull' autorità di Dioniſio gl' Interpreti del dritco Romano compoſero quel capo di legge delle mit . Tavole con quelle parole : ENDO LIBERIS JUSTIS VITAE NECIS VENUM , DANDIQUE POTE STAS EI ESTO . (c ) SI PATER FILIUM TER VENUM DUIT , FILIUS A PATRE LIBER ESTO : altro capa delle ? DI ROMA. 61 fione da Valerio Maſſimo ( a) e da Quintilia no (b) venne detto Patria Majeſtas , fu eſerci tato dai Romani non ſolamente dal teropo della promulgazione delle XII. Tavole , ma fin da’ pri ra , delle xir . Tavole riferito da Ulpiano tit. 10.5. 1. E Dionifio loc. cit: Romanorum autem legislator ( inc tende di Romolo ) omuem ur breviter dicam , pour teſtatem patri dedit in filium , idque toto vitae tem pore , five in carcerem eum detrudere ; five fla gris caedere , five vinctum ablegare ad ruſtica ope five necare libeat , etiamli filius tractet Rempue. blicam , etiamfi Magiftratus gefferit maximos , etiamſi fudii erga Rempublicam laudem fit promeritus. Jux ta hanc certe legem illuſtres viri pro roftris favente plebe concionantes in Senatus invidiam , fruenteſque aura populari, detracti e ſuggeſto , abducti ſunt apa tribus , poenas daturi ex ipforum fententia ; quos , duin per forum ducerentur , nemo adftantium eripere poterat , non Conſul , non Tribunus , non ipſa turba , cui tuin adulabantur , licet omnem poteſtatem ſua minorem exi ftimans . Taceo , quot viri fortes necati Gnt . a patri bus &c . ... Nec contentus hanc poteſtatem parentibus dediffe Legislator Romanus , permifit etiam vendere fi lium .. Majorem largitus poteſtatem patri in filium , quam hero in mancipiuin ; lervus eniin ſemel venditus , deinde libertatem adeptus , in poſterum fui juris eſt ; fi lius vero a patre venditus , fi liber fieret , rurſum fub ра tris poteftatem redigebatur ; iterum quoque venunda tus , & liberaçus , fervus patris crat tertiam demum yendiționem eximebatur e patris po teſtare & c . (a) Lib. 7. Cap. 7 . ( b ) Declamat. 378 . , ut ante ? poſt 62 DEL GOVERNO CIVILE primi tempi di Roma , poichè Ulpiano ( a ) afferma d'ellerli introdotto moribus , cioè , non per legge ſcritta , ma per antichillimo coftu me Patrio ; Dioniſio (6) lo riferiſce ad una legge di Romolo ; e Papiniano (c) l' attri buiſce ad una legge Regia . Ma Ulpiino a mio giudizio l'indovina meglio di tutti , coll' affermare d'eſerli tal dritto di Patrią poteſtå ricevuto per coſtume ; e la ragione ſi è , perchè una tal poteſtà diſpotica del Padre di famiglia dobbiamo fupporla nata inſieme col la coſtituzione delle Famiglic medefime , e prima che quefte conveniſſero a formare So cietà Civile , ſicchè troyandofi tal coſtuine già introdotto nello Stato di famiglie , natu ralmente fu conſervato e ritenuto dalle Fa miglie , che convennero con Romolo nella fon dazione di Roma . In fatti tal coſtume trovali quaſi uniforme in tutte le Nazioni ne'loro for gimenti per le chiare teſtimonianze degli an tichi (a) L. 8. de his , qui ſunt fui , vel alieni juris. ( b ) Loc. cit. ( c ) Collar. leg. Mofaic. tit. 4. ). 8 . DI KO MA . 63 3 tichi Scrittori (a ) . E ſebbene Triboniano (b ) credette , che folle queſto dritto proprio de' Romani , pure s'inganno , forſe dall' avere of fervato , che ne’tempi , in cui i Romani eſer citarono queſto dritto con aſſoluta poteſtà , e. nel maſſimo ſuo rigore , l'altre Nazioni l'avea. no già raddolcito con ridurlo a limiti più be. nigni ed umani , come avvenne altresì pref fo gli itefli Romani , mallime fotto gl'Im peradori , nella di cui età la poteità Patria decadde in buona parte dall'antico fuo ri gore . Comunque sia , quanto al preſente ar gomento çi baſta di potere afficu are colla tea ftimonianza di tanti Scrittori , che il Diſpo tilmo Patrio fu eſercitato da'Romani fin dai primi tempi di Romolo . Qui cade in acconcio di riflettere ciocche gli Storici ci narrano dell'accuſa d'Orazio per aver ucciſa la Sorella in atto , che ritornava trion ( a) Ariftotele Nicomache lib . 8. cap. 10. Cefare lib. 6. de bell. Gill. cap. 9. Plutarco in Lucullo · Giustiniane Novel la 1 34 • ( b ) Inf . lib . 1. tit. 9. 1. 2 . 64 : DEL GOVERNO CIVILE trionfante per la vittoria contro i Curiazi . Dioniſio fembrami', che racconti il fatto al ſai meglio di Livio , allorchè cinarra l'accuſa , e'l giudizio d'Orazio , in cui non fa men zioné né del Giudizio de' Duum viri , nè dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo , che ſono le due circoſtanze che fi leggo no in Livio (a ) ; ma ſemplicemente ci rac conta , che füll'accuſa propoſta da taluni con tro Orazio al Re Tullo , il Padre di Orazio , oltre di aver dichiarato di non meritare fuo Figlio la minima pena , pretendeva, che un tal giudizio apparteneſſe privativamente alla di lui cognizione , tractandoſi d'un fatto acca duto tra i ſuoi figli , e che in confeguen za per dritto di poteſtà Patria dovea egli ef fere il giudice di queſta Cauſa (b) . Ma il Re per una parte credeva anch'egli di doverli af fólann (a) Lib. 1. cap 26. (b) Dioniſ. Antiquit. Romanarum lib. 3. Pater contra patrocinabatur filio , acculans filiam , & negans eam dicendam cædem , fed poenam verius , poftulabatque fibi de fuis malis permitçi Judicium ut qui ambo rum effet Pater . 2 • Í Ř OM Å 68 folvere Orazio io benemerenza della vittoria ed in conſiderazione dell'inſulto di parole fat to dalla Sorella al Fratello in tempo , che aſpettava dà lei piùcche da ogni altro lode , ed applauſo per un'opera egregia preſtata alla Pa tria ; è molto più à cagione , che il Padre preſſo di cui rifedevå fecondo i coſtumi di que' tempi l'indipendente poteſtà di giudica re ſulle perſone de propri Figli fi era dichia rato d'averlo già adoluto (a ) .Dall'altra parte il Re temeva il tumulto Popolare eccitato dagli emuli , ed inimici d'Orazio . Tra tali dubbiezze pensò di prendere l'eſpediente di rimettere la cognizione della Caufa al Popo lo , il quale confermò il giudizio Paterno con affolvere l' accufato Orazio . Un tale rac conto è molto più verifimile di quel ; che ci narra Livio fúl giudizio de ' Duumviri, e dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo ; poichè in que' tempi l'Impero Paterno eras Tomo 11. E nel ( a ) Dioniſ. loc. cit. Praeſertim patrc quoque ipſum abfolvente , quem potiſſimum Filiae ultorem jus * natura fecerar : 66 DEL GOVERNO CIVILE nel ſuo miglior vigore ; nè il Re fenza of fendere le leggi del Patrio Impero potea to gliere il giudizio di queſta Cauſa dallauto gnizione del proprio Padre , e tasferirlo ai Duumviri , e molto meno in ſimili Cauſe era permello al Popolo di prenderne cognizio ne in pegiudizio del dritto Paterno ; Ma la contingenza ſtraordinaria d ' eſſerſi mella, la Città in rivolta per queſto fatto , produſela neceflità di ſedarſi il tumulto coll’eſpedien te politico di rimettere l'affare al giudizio del Popolo , e l' Impero privato del Padre dovette cedere alla ragione della pubblica tranquillità ... E quindi intendiamo ancora la ragione , per cui Dioniſio riferiſce , che que Ita fu la prima volta , in cui il Popolo preſe cognizione d ' un giudizio Capitale (a) , non gia perchè prima di queſto tempo non aveſſe mai il Senato giudicato di delitti capitali , come (a) Pion. lor. cit. Populus autem Romanus tum pri mum Capitalis Judicii poteftatem nactus , compro bavit Patris fententiam Juvenemque abſolvit a cac dis crimine , DI ROMA .. 67 come ſe prima non foſſero mai accadute con tingenze fimili o fe al Senato , che gode vala ſuprema poteſtà del Governo folle mancata fino allora quella di poter giudica re di delitti Capitali ; Ma l'eſſere ſtata que. fta la prima volta , in cui eſercitoſli dal Po polo il dritto di giudicare d ' un delitto Ca pitale , deeſi riferire al fatto particolare , di cui ſi trattava , cioè alla poteſtà di giudicare d'un Figlio di Famiglia contro il ricevuto ca ſtume dell'Impero Paterno , a cui privativa mente ne apparteneva la cognizione . Or per tornare al noſtro propoſito diciamo, che fe que? Scrittori, i quali s'immaginarono , che Romolo infieme coi Re ſucceſſori fpiegaro no carattere di Poteſtà Monarchica, aveſsero fat to oſſervazione ſull'Impero Patrio , e familia re praticato da ’ Romani fin dalla fondazione della Città , ſi ſarebbero accorti dell' impof ſibilità di poterſi unire inſieme Monarchia , Civile prello del Re , e Monarchia familiare preſſo i privati Cittadini ; poichè chi dice Monarchia familiare prello de' privati Citta dini cfclude ogni ombra di Monarchia preſſo E 2 il 68 DEL GOVERNO CIVILE ma dello il Re ; e la ragione ſi è , perchè fe i Padri di famiglia ſenza la minima dipendenza non folamente del Capo del Senato fteſſo Senato regnante erano gli aſſoluti Mo narchi dell'intiera loro famiglia , ſia de ' figli, fia dei fervi , e famoli , come mai poſſiamo figurarci , che tali Monarchi familiari foſſero nel tempo ſteſſo ſoggetti alla Monarchia Ci vile ? Chiamaſi Monarchia Civile quello fta TO , in cui tutto l'intero Corpo Civile in tutte le ſue faccende pubbliche e private trovali ſoggetto all'autorità fuprema d'un folo che comanda . Or chi non vede la manifeſta diſſonanza e contradizione nel ſupporre il Ceto 'de' Cittadini fornito di po* teftà ſuprema, ed indipendente nella fua fa miglia , é foggetto nel tenipo Ateſo al Mo narca ? E come mai poſſono fingerfi unite in ſieme poteſtà fuprema , e foggezzione ? In tutte le Società Civili , ove regna la Monar chia , non trovaremo mai poteftà familiare in dipendente dal Monarca , perchè l'una eſclu de direttamente l'altra . In fatti tali poteft:s private in perſona de' Cittadini non pollonio altri 3 1 1 1 DI ROMA . 69 altrimenti eſercitarſi , fe non in quelle Socie tà Civili , che ſiano governate colla formas Ariſtocratica perchè tal forma di Gover no ſolamente può comportare diviſioni di po teſtà pubblica , e privata ; pubblica preſso il Ceto degli Ottimati e privata preſo le perſone particolari degli ſteſſi rappreſentan ti della Repubblica , i quali ſpiegano la po teſtà pubblica , quando uniti inſieme com pongono l'autorità regnante , e la privata , quando ſeparatamente regolano gli affari para ticolari delle loro famiglie : Or quanto tal diviſione di poteftà pubblica , e privata è comportabile call' Ariſtocrazia , altrettanto fi oppone direttamente alla Monarchia veggiamo colla ſperienza , la quale coſtan temente ci atteſta , che la Monarchia non mai ammette un tale impero paterno nelle famiglie , come in fatti avvenne preſſo i Ro mani in tempo , che la Repubblica cadde nella poteſtà aſſoluta del Monarca . Ne poſliamo figurarci , che la poteſtà fa niliare de' Romani foſſe ſtata in qualche ma niera ſubordinata alla poteſtà pubblica ; pero E 3 chè 9 come / 70 DEL GOVERNO CIVIL E ché ſono troppo chiare le teſtimonianze de gli Storici, come abbiam veduto , dalle quali Siamo a ſacurati , che l'Impero Paterno de' Romani in que' tempi avea carattere di po teſtà aſſoluta ; ed indipendente ; e quando al tro mancaffe il dritto vite e necis , e di vendere i propri figli ci dimoſtra chiaramen te , che non potea eſſere un dritto ſubordina to ; poichè i dritti ſubordinati , e dipendenti riconoſcono neceffariamente certi confini, ol tre de' quali non lice di eſercitarli; ma qualo ra ſi tratta di dritto ſulla vita , ch' ċ l'ulti mo termine di ogni poteſtà aſſoluta ſi poſſa uſare ſulle perſone , ceſsa ogni ſoſpetto di ſubordinazione ; ed oltracciò colle chiare teſtimonianze degli Storici ſiamo convinti , che l'impero paterno di fatto fu eſercitato da’ Romani ſenza la minima dipendenza del la poteſtà pubblica . Dunque non abbiam cam po da fuggire da quel dilemma , cioè , che o fi dee ammettere per punto di Storia certa , che quei Padri di famiglia eſercitavano poteſtà fuprema in caſa , e non poſſiamo fingere poteſtà Monarchica Civile ; o fe vogliamo nega DI ROMA . 71 negare tal poteſtà familiare ai Padri di fami glia , allora ci ſi chiude affatto la ſtrada di fapere la Storia Civile di Roma ; perchè fe voglianio mettere in dubbio i punti di Sto ria confermatici concordemente da tutti gli Scrittori, non ſiamo più in grado di dar fe de a tutto il reſto. Grice: “Unfortunately, Duni, being the elitist he is, spends more time on the monarchy than the republic, and focuses on the concept of ‘citizen.’ Emanuele Duni. Duni. Keywords: diritto universale – diritto filosofico -- Vico, filologia, Roma, universalita – Cicerone e buono. Cicerone e onesto – Cicerone dice la verita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Duni” – The Swimming-Pool Library.

 

Duso (Treviso). Filosofo. Grice: “While Duso is right that Hegel makes constitution and freedom analytically connected, the Romans didn’t! -- Grice: “My favourite Duso is his study of Hegel on freedom and the constitution – but Duso, who could have drawn from ‘diritto romano’ doesn’t!” Studioso dei concetti della politica moderna e riconosciuto per i suoi interventi su Althusius e sul giusnaturalismo. Studia a Padova. Si laurea con “Hegel interprete di Platone” (cf. “L’influenza di Hegel su Platone”). Assistente di Storia della filosofia e Professore di Storia della logica. Insegna a Padova. Dirige un Gruppo di ricerca sui concetti politici. È stato membro della redazione delle riviste "Il Centauro" e Laboratorio politico. Membro della Direzione della rivista "Filosofia politica", membro fondatore dell'associazione "Centro di ricerca sul lessico politico europeo", insieme a Roberto Esposito, Alessandro Biral, Adone Brandalise, Nicola Matteucci e altri. Fonda con alcuni colleghi il Centro Inter-Universitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo (CIRLPGE), con sede presso l'Istituto suor Orsola Benincasa a Napoli, di cui è Direttore. Ha tenuto corsi di Storia della Filosofia politica, di Filosofia politica e di Analisi dei Linguaggi e dei Concetti Politici a Padova. In occasione della sua ultima lezione "ufficiale", gli allievi del gruppo di ricerca padovano sui concetti politici hanno edito in suo onore il volume "Concordia discors”.  Il 27 maggio  l'Universidad Nacional de San Martín gli conferisce la laurea honoris causa per il suo lavoro accademico in quanto "costituisce un fondamento teorico indispensabile per comprendere l'attualità" -- è tra i principali fautori italiani di una riflessione sui concetti del politico, che si inserisce nel solco della Begriffsgeschichte tedesca di Brunner, Conze, Koselleck. Nei confronti di quest'ultima il gruppo padovano coordinato da Duso ha elaborato una originale linea di ricerca caratterizzata in modo duplice dalla filosofia: in primo luogo in quanto i concetti che si affermano e si diffondono con la Rivoluzione francese sono esamila loro genesi, che avviene nell'ambito delle dottrine del ‘contratto’sociale e dei sistemi di ‘diritto’ naturale; ma soprattutto perché filosofico è il movimento di pensiero di chi pratica una storia concettuale consistente nell'interrogare e mettere in questione (nel senso dell'elenchos socratico) il concetto (‘diritto’, ‘ius’, ‘uguaglianza’, ‘libertà’ ‘potere’ ‘democrazia’) che sono in genere ritenuti ovvii sia nel dibattito intellettuale, sia nella lotta politica. La storia concettuale consiste in questo modo nel comprendere la genesi, la logica e le aporie dei fondamentali concetti politici. "Storia dei concetti" (Begriffsgeschichte) compare per la prima volta nelle “Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte” diHegel. Stanti le caratteristiche di quel testo, non si sa se ‘Begriffsgeschichte’ sia di conio hegeliano, o non piuttosto frutto di interpolazione. Esso allude ad una delle tre modalità storiografiche discusse da Hegel, ed in particolare alla "storia interpretativa" (“reflektierte Geschichte”), che indirizza la storia generale o storia del mondo o storia universale (“Weltgeschichte”) alla filosofia, da un punto di vista universale. Quest'uso della “Begriffsgeschichte” resta senza seguito. La tradizione storico-concettuale evolve invece, tra il XVIII secolo ed il XIX, nell'alveo della lessicografia filosofica.   Nella riflessione di Duso, la filosofia politica da una parte coincide con il lavoro critico della storia concettuale, e dall'altra tende, sulla base delle aporie emerse, a trovare linee di orientamento per un nuovo pensiero della politica. In tal modo viene messa in questione la modalità generalmente accettata di pensare la politica, che ha la sua radice nello sviluppo teorico che va dalla nascita della sovranità sulla base del concetto di ‘libertà’ ai concetti fondamentali delle nostre costituzioni democratiche, in particolare ‘sovranità del popolo’ e ‘rappresentanza politica’. Il lavoro critico sul concetto ha perciò una sua ricaduta nella messa in questione del dispositivo formale sia della ‘democrazia rappresentativa’ che della ‘democrazia diretta’, e nel tentativo di pensare la politica mediante nuove categorie.  Altre opere: “Hegel e Platone, Padova; Contraddizione e dialettica nella formazione in Fichte, Argalìa, Urbino; Weber: razionalità e politica Arsenale, Venezia; La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt Arsenale, Venezia; Il contratto nella politica (Il Mulino, Bologna); Filosofia politica e pratica del pensiero: Eric Voegelin, Leo Strauss e Hannah Arendt” (FrancoAngeli, Milano); “Il potere. Per la storia della filosofia politica modernaCarocci, Roma (disponibile su cirlpge); “La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica” (Laterza, Roma-Bari (Polimetrica, Monza  (disponibile su cirlpge); “La libertà nella filosofia classica tedesca. Politica e filosofia tra Kant, Fichte, Schelling e Hegel (ed. con G. Rametta), Milano, FrancoAngeli); “La rappresentanza politica: genesi e crisi del concetto, Franco Angeli Milano, cirlpge)(Duncker & Humblot, Berlin, 2006 (disponibile su cirlpge); “Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici” (Carocci, Roma); Sui concetti giuridici e politici della costituzione dell'Europa (ed. con S. Chignola), FrancoAngeli, Milano, Polimetrica, Monza;  Ripensare la costituzione. La questione della pluralità, (ed. con M. Bertolissi e Antonino Scalone), Polimetrica, Monza, (disponibile su cirlpge) Storia dei concetti e filosofia politica, (con Sandro Chignola), FrancoAngeli, Milano; Come pensare il federalismo? Nuove categorie e trasformazioni costituzionali (ed. con A. Scalone), Polimetrica, Monza  (disponibile su cirlpge). Santander, Il concetto di ‘libertà’ e costituzione repubblicana nella filosofia politica di Kant, Polimetrica, Monza,  (disponibile su cirlpge) Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», (centropgm.unifi) Libertà e costituzione in Hegel” (FrancoAngeli, Milano,  Parti o partiti? Sul partito politico nella democrazia rappresentativa, in «Filosofia politica» cirlpge); “Buon governo e agire politico dei governati: un nuovo modo di pensare la democrazia? (A proposito di Rosanvallon, Le bon gouvernement), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», centropgm.unifi.  libri scaricabili gratuitamente in formato dal sito del Centro Interuniversitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo. Nello stesso sito sono disponibili inoltre altri saggi dello stesso autore.  Carl Schmitt Georg Wilhelm Friedrich Hegel Johann Gottlieb Fichte Roberto Esposito Alessandro Biral Adone Brandalise Gianfranco Miglio. CIRLPGE: Sito Ufficiale. Grice: “I consider myself, like Rawls, a contractualist – my steps towards a quasi-contractualism, are formulated elsewhere.” Grice: “I should not be confused with Grice – a FULL-BLOWN contractualist!” Grice: “’May’ only has one sense – it may rain, you may run. Credibility and desirability modalities are not Fregeian senses! ‘may’ is aequi-vocal. In Latin it is more obvious, since there is only ‘possum’ for ‘I may’. ‘Can’ is of course a solecism!” Giuseppe Duso. Bepi Duso. Keywords: Plato-Hegel, Aristotle-Kant – Plathegel, Ariskant – zoon politikon – contratto sociale – democrazia – repubblica – il primo contrattualista cita Aristotele – Contratto nel diritto romano – aporia della rappresentazione – concetto di politica, concetto di soveranita – concetto di potere – io posso – concetto di liberta – la filosofia politica italiana – l’influenza di Fichte nell’idealismo rivoluzionario del risorgimento --. Regime di governo – storia del concetto – aporia del concetto --  Welsh philosopher Geoffrey Russell Grice, modalita, verbo modale, verbo servile, verbo aussiliare, puo, posso, possiamo. Modalita aletica o doxastica (posso passarti la sale) e deontica (puoi ma non puoi – you can but you may not --. Contract, pact, compact. Foundations of morality – contract in ethics, meta-ethics, politics, meta-politics.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Duso: zoon politikon” – The Swimming-Pool Library.

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