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Saturday, August 28, 2021

Grice e Barzellotti

Se questa ricostruzione, che vengo tentando, del movimento filosofico nella seconda metà del secolo XIX in Italia,dovesse rigida mente obbedire alle leggi di una storia della filosofia,alcuni scrit tori,che rientrano nel nostro quadro,ne andrebbero certamente esclusi. Lo notammo a proposito di T. Mamiani;e torna opportuno dichiararlo per Giacomo Barzellotti. La prima legge della storia della filosofia è, che il suo oggetto è costituito dal pensiero filosofico, ossia dalla metafisica, o concezione della realtà, che voglia dirsi.E però non potranno far parte di essa gli spiriti che a questa conce zione non abbiano comunque lavorato,o che non ne abbiano sentito il bisogno o che non ne abbiano avuto le forze. Il Mamiani non ne ebbe le forze, benchè vivamente desiderasse di pervenire a una filosofia, e ben presto creasse a se medesimo l'illusione di esservi pervenuto. Il Barzellotti pare invece che non abbia sentito il biso gno ; e, ingegno letterario anche lui, abbia cercato nell'attività este tica piuttosto che nella speculativa il vanto di scrittore : più accorto in ciò e sia detto a sua lode del Mamiani, che per voler essere quel che non era, non fu nè anche quel che fino a un certo segno,avrebbe potuto essere. Il Barzellotti, invece, è stato uno degli scrittori italiani più noti e più letti dell'ultimo trentennio del secolo: il suo nome può dirsi a buon dritto che sia divenuto popolare : il solo forse tra quelli di scrittori di cose filosofiche. Chi non ha letto i due volumi di saggi pubblicati dallo Zanichelli : Santi, solitari e filosofi (1) e Studi e (1)Santi, sol.efil., saggi psicologici, Bologna, Zanichelli,2.a ediz.,1886. ritratti?(1).A questa popolaritàegliappuntoaspirava,consciodelle attitudini del suo ingegno; e ha messo da parte i problemi, a cui non era nato. Li ha messi da parte come fanno tutti quelli che limettonodaparte,--negandon e il valore. Ma nell'averlimessi intanto da parte per suo conto è il suo merito e il segreto della sua fortuna letteraria. Rileggiamo una confessione, che è nella prefazione ai Santi, solitari efilosofi: « Più d'una volta al sentirmi chiedere quasi come tessera d'ingresso ai posti distinti dell'insegnamento o al favore di certi cenacoli letterari o filosofici una di quelle professioni di fede assoluta nei dommi di qualche sistema,ho pensato involontariamente a quelle domande che le signore fanno spesso nei giuochi di sala o nei loro albums profumati, mettendo vi in mano illapis per la risposta:-- Guardi, mi faccia ilpiacere di dirmi o di scrivermi qui, subito,che cos'è l'amore,e poi che cosa ella pensa dello Shakespeare epoianche,secrede, del Goethe;ma chelarispostasiabreve,la prego,non più che dieci righe,perchè,quaggiù,vede,ha da seri vere anche la mia nipotina ». Vale a dire:il Barzellotti ha bensì aspirato ai posti distinti dell'insegnamento filosofico.C'era avviato,era quella la sua car riera:e l'ha percorsa ormai tutta con onore,fino alla cattedra di storia della filosofia nell'università di Roma ; ma egli non ha potuto mai persuadersi che per occuparsi di filosofia bisognasse aver fede assoluta in un sistema:che per mangiar frutta,direbbe Hegel, bi sogna contentarsi di mangiare ciliege,pere,uva ecc.Non che pro prio abbia ricusato la filosofia, in generale. La sua filosofia l'ha avutaanche lui; ma «diametralmente opposta» aquelladichigli venne sempre chiedendo a qualesistemaegliaderisse;opposta «appunto in questo: che il suo resultato più sicuro, e ormai consentito da quanti oggi vivono la vita intellettuale dei nostri tempi, si è la dimostrazione critica dell'impossibilità di chiuder la mente umana inunaforma sistematica d'interpretazione dell'universo da potersi dire definitiva per la scienza».Un'opposizione,come puòvedere chiunque abbia studiato con mente filosofica la storia della filosofia, affatto illusoria:fondata sopra quella confusione dell'universale e del particolare (per rispetto al concetto della filosofia) messa in canzonatura da Hegel nel luogo citato dell'Enciclopedia. In realtà, nessuna forma sistematica ha voluto mai essere definitiva; ma s'è (1) St. e ritr., ivi, 1893. sforzata di organizzarsi a sistema, per essere qualche cosa di filoso fico, per vivere nel pensiero, che non può esser pensiero senz'esser uno. E lo stesso Barzellotti nota una volta che perfino il Kant,il grande avversario dei sistemi,costrui anche lui la sua Critica in forma complicata ma strettamente organata di sistema. E che questo orrore dei sistemi significhi, pel Barzellotti,non negazione critica della metafisica (com'egli, si vedrà,avrebbe voluto significasse), ma, a dirittura, liquidazione,anzi evaporazione della filosofia, negata nella sua universalità perchè negata in tutte le sue forme particolari;loattesta,non foss'altro,ladichiarazioneseguente: che il valore intimo di cotesta sua superstite filosofia « sta tutto nel penetrar ch'essa fa oggi del suo spirito critico i metodi e la parte più alta delle scienze naturali e matematiche non meno che delle morali».Sit diva, dum nonsitviva.L'ideale delfilosofo,Helm holtz (tante volte citato dal Barzellotti): un fisico. Voltando,quindi,in effetti le spalle alla filosofia,ilBarzellotti sentiva bene di non dover riuscire ostico ai nemici della filosofia, ossia agl'ignoranti di filosofia. Le sue idee intorno a questo punto della secolarizzazione delle menti, riescono molto interessanti e istruttive, perchè aiutano a intendere tutta la psicologia dello scrit tore:« Tra noi in Italia,oggi,lo so da lunga esperienza,solo a far balenare un momento sul frontespizio d'un librolatestadifilosofia c'è da vedersi impietrar davanti dallo spavento o dalla noia quante facce di lettori s'eran chinate a guardarlo ». Di chi la colpa ? Della filosofia o dei lettori? Il Barzellotti avrebbe una gran voglia di gettarla tutta addosso alla prima ; m a poichè una certa filosofia deve credere di coltivarla anche lui,una filosofia invisibile perchè cela tasi nelle scienze speciali o nell'arte, un pochino di colpa l'ha pur da dare ai lettori, lamentando « quell'abito come lo chiamerò d'antipatia o di pigrizia mentale? – che nella scienza e nell'arte ci fa rifuggire dalle forme più alte e più complicate del pensiero, che ci sanno di aspro o di esotico ». Ma , s'intende, il maggior torto è della filosofia: È l'effetto del discredito meritatissimo, in cui la filosofia cadde tra noi parlando per tanto tempo il gergo barbaro del pensare e dello scri vere di troppi ormai che ne hanno fatto una casistica da medio evo in ritardo,e che,o predicassero dal pulpito delle nostre scuole ortodosse,o negassero Dio e l'anima mettendo in cattivo italiano i loro imparaticci francesi, inglesi o tedeschi, hanno nella filosofia impedito tra noi quasi sino ad oggi quella definitiva secolarizzazione delle menti che per tutto fuori di qui segna da un pezzo l'avvenimento della cultura moderna. In Italia,un lettore che abbia familiare l'abito di mente inseparabile dalla cultura e dalla scienza contemporanea,è raro che,aprendo per distra zione o in mancanza d'ogni altra lettura,un libro di filosofia,non lo faccia con quello stesso viso con cui un giornalista della capitale si la scia,in viaggio,dare le ultime notizie di una crisi ministeriale da un suo corrispondente di Cuneo o di Brindisi.E avrà anche torto;ma che dire,quando il fatto stesso del mancare tra noi un pubblico di lettori per la filosofia mostra chiaro che in Italia la filosofia non sa,meno rare eccezioni,farsi leggere,cioè non sa pensare e scrivere,non voglio dire coipiùepeipiù,ma almeno coipiùcolti,con coloro che pensano;il che poi significa ch'essa non vive ancora tra noi la vita della mente contemporanea? La filosofia, per vivere la vita di questa mente contemporanea, deve abbandonare il suo barbaro gergo. Si potrebbe pensare dataluno che l'unico movimento di qualche vigore che si sia avuto in Italia negli ultimi tempi,è quello hegeliano di Napoli. Ma quello, secondo il Barzellotti, riuscìpiùascuoter elementi,chea fecon darle di germi durevoli,a cagione appunto della sacra tenebra delle formule, nella quale i più di quegli scrittori s'avvolgevano, del gergo tra barbaro e bizantino che facevano parlare al loro pensiero oracoleggiante (1). Ma, che cosa è questo gergo e quest'oracoleggiare se non la forma specifica della filosofia,inaccessibile,naturalmente, non solo ai più, ma anche ai più culti, quando la loro cultura non abbracci anche la filosofia; e la filosofia non liquida o vaporante nellasuaastrattauniversalità,ma solidaeconcretanellasuccessione progressiva delle sue forme storiche, fino a quella, alla quale una determinata ricostruzione della storia mette capo? E la secolariz zazione dello spirito, e il farsi leggere della filosofia che altro p o s sono significare se non distruggere quella differenza specifica che costituisce il valore del grado spirituale proprio della filosofia ? Intendiamoci: non già che il filosofo debba scriver male. Il Barzellotti dice della Vita del Vico che « ha dal lato letterario il difetto di tutti i libri delgranfilosofo: èmalescritta»(2). E non è vero,com'è vero invece che è « mal composta,oscura,involuta ). Oscuro e involuto rimase appunto gran parte del pensiero delVico; e quindi l'oscurità e l'involuzione della forma. Ma il Vico scriveva benissimo,esprimendo con efficacia potente d'immagini i (1) Vedi lo scritto Il pessimismo filosofico in Germania e ilproblema m o . rale dei nostri tempi, nella N. Antologia del 1.0 maggio 1889, p. 56. (2) D a l r i n a s c i m e n t o a l r i s o r g i m e n t o , P a l e r m o , S a n d r o n , 1 9 0 4 , p . 2 0 1 . suoi concetti; ma,s'intende,quando avevadeiconcetti:laddoveè certo, come lo stesso Barzellotti dice, che a lui mancò « la co scienza chiara, luminosa del proprio pensiero, che è la parte prima ed essenziale dello scrittore ». In altri termini, egli non pervenne alpossessocompletode'suoiconcetti,parecchideiquali,enon i secondarii, rimasero in uno sfondo di penombra in quella gran mente che così largo giro ne volle stringere nella sua speculazione, sbozzata con persistente lavorìo intorno a una materia non veramente omogenea,tradistoriaedifilosofia.IlVico scrive male dove e in quanto pensa male ; e questo è il Vico che non conta nella storia. Ma ilVico che conta, il filosofo vero e proprio è uno scrittore sommo.E non potrebbe essere altrimenti,perchè l'arteelafilosofia non sono due muse sorelle,ma l'unico Apollo,lo spirito,che non sale alla filosofia se non attraverso l'arte, e non supera mai se stesso, come avvertì per primo Aristotile, se non conservando se stesso, crescendo sempre sopra disè.– Chiscrivemale,perciò,appunto perchè scrive male non è filosofo. Ma lo scriver bene del filosofo non è lo scriver bene del poeta;altrimenti verrebbe meno la differenza, tra l'uno e l'altro, che nessuno vuol negare. E comeil poeta scrive sempre bene se vien poetando, così il filosofo scrive bene anche lui se, anzi che pensare a scriver bene, pensa piuttosto e riesce a filosofare, anche a costo di finire per ravvolgersi in un gergo. Non c'è pure il gergo della poesia? O non era poeta chi diede l'espressione classica della impopolarità essenziale delle forme alte dello spirito nell'odi profanum vulgus? Pel Barzellotti,invece,il filosofo può farsi leggere,se si contenta di metter da parte la filosofia. Nella menzionata confessione, premessa ai Santi, solitari e filosofi (1), lo dice chiaro : « lo vorrei, senz'aver l'aria di presumer troppo,poter dire press'a poco quello che un amico mio diceva ai lettori d'un giornale,annunziandovi la prima edizione del Lazzaretti: perdonate a questo libro quel po' di filosofia che l'Autore ci ha voluto,a ogni costo,mettere (giacchè patisce, poveretto!,diqueste malinconie);perdonateglielaingrazia di quel tanto dipiùedimeglioche illibro visaprà farpensare oviracconteràovidescriverà come opera d'arte».Vedremo fra pocoinche consiste quel po' di filosofiadacuiilBarzellottinon s'èvoluto mai distaccare;ma non bisogna dimenticare,che quel che di più e di meglio egli ha inteso di mettere ne'proprii scritti (1) Santi, p. 52 n. Perchè dunque parliamo qui del Barzellotti, e in questa parte dedicata ai platonici Ecco: queste note, senza voler essere propriamente una storia,mirano piuttosto a rivedere criticamente i giudizii correnti intorno agli ultimi scrittori italiani di filosofia. Ora il Barzellotti, per giudizio comune, avrebbe partecipato al movimento dei nostri studii filosofici, e avrebbe agito nella cultura nazionale appunto come filosofo. Domandate ai suoi molti lettori se egli sia uno scrittore di filosofia o un prosatore, un artista; novantanove su cento vi risponderanno che è sì un artista,ma un artista-filosofo, o meglio un filosofo-artista; uno dei pochi, o il solo dei nostri filosofi, che abbia saputo liberare la scienza della forma pedantesca della scuola e del barbarico gergo abituale, per esporla in saggi eleganti, ossia in maniera accessibile a tutte le persone colte e di gusto. Ripeterebbero, insomma, quel che il Barzellotti stesso ha sempre pensato e detto di sé. Perchè, bisogna pur dirlo, niente riesce più a render perplessi e a sviare igiudizii,di questa specie di sofisticazioni della scienza,operate dai secolarizzatori o popolarizzatori della medesima. Il po ' di filosofia viene apprezzato non in ragione del suo valore,che può esser nullo,ma in ragione dell'arte, in cui si diceepuò parere che si siamesso; l'operad'arte,egual mente, non è giudicata con tutta la severità che si userebbe verso le opere di arte pura, che non avessero quella difficoltà di una materia ribelle all'elaborazione artistica; e i critici letterarii, inetti a giudicare quel po'di filosofia, indulgono a quell'arte gravida o s a z i a d i s a p e r e. Perchè , s e h o d e t t o c h e il B a r z e l l o t t i è u n a r t i s t a p i ù che un filosofo,non credo poi (se mi è lecito proprio questa volta una digressione letteraria (1)) che possa dirsi un artista finito, e che il suo capolavoro (ilLazzaretti) siaun capolavororiuscito. È ilmeglio riu scito di questi suoi tentativi artistici, pel senso vivo del paesaggio e dell'anima popolare di quell'angolo della Toscana, in cui il B a r è al di qua della filosofia: è qualche cosa che può far pensare,una riflessione morale e psicologica;è soprattutto opera d'arte.Dello scritto su David Lazzaretti, che può forse considerarsi come il ca p o l a v o r o d e l B a r z e l l o t t i , il q u a l e i n e s s o si p r o p o s e b e n s ì d i f a r e u n o studio di psicologia religiosa,lo stesso autore dice che « vorrebbe essere,se pure non pretende troppo,un'opera d'arte,ma senzadar nel romanzo ».(1) Vedi in questo fasc. l’art. del Croce, pp. 337-8. zel lot ti era vissuto fanciullo, e tornato spesso a rinnovare le sensa zioni dei primi anni.Ma anche lì quel po'di filosofia come stuona in quell'ambiente pastoraleenell'ingenua psicologiadel misticismo lazzarettiano! E come appiccicato è lo studio sull'origineelosvol gimento e i caratteri di quel moto religioso sulla cornice dell'im mediata azione, in cui l'autore l'ha voluto inquadrare, per aver agioa descrivere meglio iluoghi,che furono scena dei fatti del Lazzaretti,e individuare itipi de'suoi seguaci!L'azione, troppo povera,è una gita di caccia,a cui l'autore per altro non partecipa, restando sempre in disparte ad almanaccare sull'anima del barocciaio di Arcidosso.Dopo la caccia c'è una colazione,sull'erba;e alacolazione questa volta pare pigli parte anche il Barzellotti Ma quale parte? Egli titrova nel cerchiounuomo del paese, Filippo, il,bigonciaio, un discepolo del Lazzaretti ; e subito ne profitta, dicen dogli che avrebbe avuto caro di sapere « molti particolari intorno aDavid e alla vita che i suoi seguaci avevano fatto con lui in quelluogo »,lisulla torre di Monte Labbro.Il lettore,nemico della filosofia, a cui il Barzellotti s'indirizza, s'aspetterebbe la conversa zione dell'autore con Filippo,il quale dovrebbe farci entrare a poco a poco con i suoi ricordi in tutto quel mondo morale che l'autore civuolrappresentare.Difficileimpresa,certo;ma soloachi,come ilBarzellotti,non avesse davvero il suo Filippo rivelatore vivo e parlante nella fantasia; sibbene gli scritti del Lazzaretti,gli appunti delle relazioni fornitegli da amici del luogo,le deposizioni dei lazza r e t t i s t i, e p o i i v o l u m i d e l R e n a n , e l e o p e r e d e l l ' H a r t m a n n e q u a l che fascicolo del Nineteenth Century sul tavolino. Il Barzellotti,che pure ha scritto un bel saggio sulla sincerità nell'arte,in quel punto della sua opera non si ricorda di quelle sue giustissime idee : e dopo aver detto come inducesse Filippo a parlare,continua : « Mi rispose con un leggero atto della testa che acconsentiva,e ci mettemmo tutti amangiare ».Ma alla conversazione non ci fa assistere.«E ora mi pare da vero tempo che anche i lettori conoscano per :filo e per segno i fatti cui ho accennato tante volte, e li conoscano, quello che più importa,in ordine alle loro cause e alle condizioni sociali e morali de'luoghi, o, come oggisidice, dell'ambiente nelquale ebbero origine ».E segue infatti il corpo,per dir così,dello studio sul Lazzaretti: centoquaranta pagine (1), in cui Filippo e la colazione sondimenticati.Poi l'autoreripiglia:«Questecosemi andavano per la mente cinque anni dopo la morte di David mentre co'miei (1) Santi, pp. 121-262. amici stavo nel piazzale davanti all'eremo di Monte Labbro.Passato quel silenzio profondo dei primi bocconi. »;– e torna a saltar su finalmente Filippo,che però il B. non ci fa mai udire.Sicchè nel l'immaginazione dell'artista durante quella colazione,oltre che per tutte le considerazioni seguenti sul carattere della fede di Filippo, ci sarebbe stato il tempo per andar pensando a tutte quelle 140 paginediroba! L'elementodescrittivoedrammaticorestaaffatto estraneo e sovrapposto allo studio storico-psicologico. E questa so vrapposizione,questa mancanza di fusione,che accuserebbe per sè, quando non vi fossero le dichiarazioni esplicite dello scrittore,le sue preoccupazioni artistiche, mentre egli realmente non si mette mai inunasituazionesinceramenteartistica,sonoilmaggiordifetto che io vedo in questi suoi tentativi d'arte.- E un altro mi sia lecito anche notarne,che è in fondo una conseguenza del primo,e mi fa tornare al mio soggetto speciale: la lungaggine, la prolissità dello scrittore:difetto da lui stesso additato come uno degli effetti più gravi della rettorica, della vuotaggine di gran parte della lette ratura italiana. « Solo chi ha poco o nulla da dire dice sempre di più di quello che dovrebbe dire »(1).Appunto,la esiguità del con tenuto spirituale del Barzellotti gli ha fatto scrivere molte e molte pagine a cui s'attagliano parecchie delle osservazioni da lui fatte intorno a cotesto difetto della letteratura italiana, dominata dallo ideale umanistico.Non c'è scritto di lui in cui sia detto breve e chiaro quello che l'autore s'è proposto di dire;e spesso si stenta ad afferrare il suo concetto, tra le molte parole non abbastanza precise e determinate,in cui egli si sforza d'esprimerlo,cioè di concretarlo,quasi per una serie di approssimazioni al pensiero, che non si riesce afermare inuna formavivente.Tipica,per questo riguardo,mi sembra la prolusione letta a Napoli nel 1887:La morale come scienza e come fatto e il suo progresso nella storia (2). E valga per esempio questo squarcio,che ne tolgo a caso: Perchè è bene che io lo dica fin da ora,o signori,anche a titolo di quella schietta professione di fede scientifica che mi pare d'esser tenuto a farvi qui.Il modo in cui io concepisco la legge intima dell'organismo e della vita delle scienze morali o,meglio,delle scienze che io chiamo più propriamente umane,e quindi dell'etica,che se ne può dire quasi il centro, non è quello stesso che pare presupposto da quanti oggi ponendo, (1)Dal rinascimento al risorgimento, p.206. (2)Rivista ital.difilos.del FERRI, a.I, vol.II(1887), pp.3-33. con ragione, l'esperienza a fondamento di tutto il sapere umano,non di stinguono con qual divario profondo il processo di costruzione ideale del pensiero scientifico sui dati sperimentali si faccia nelle dottrine naturali e in quelle morali e storiche. Là l'ufficio, l'opera della scienza sta nel ritrarre, nel rilevare a uno a uno, sino a i piùintimi, i tratti della fisonomia eternamente immota e impassibile della natura, che anche nel l'inesausta ricchezza delle sue produzioni, ripete eternamente se stessa; stanel far penetrare,se posso dir cosi,la parola,più e più criticamente riveduta delle teorie e delle ipotesi,quasi scandaglio che tenti un fondo impossibile però a toccare mai tutto,sempre più verso l'ultima espres sione approssimativa di un vero che, inesauribile in sé,sappiamo però essere e durare ab eterno eguale a sè stesso. Ed ecco perchè, una volta messe queste scienze sulla via maestra del metodo sperimentale, e fu, o «signori, merito imperituro dellafilosofiadelsec.XVI, latradizione del l'acquisto lento, faticoso, ma sicuro del vero,vi si stabili con una fermezza che non ha pur troppo riscontro alcuno nella storia delle scienze del l'uomo e della società. In questa l'opera ideale costruttiva,la funzione che vi ha il pensiero scientifico di assimilare a sè il vero dei fatti sperimentati e osservati e di trarlo quasi in sostanza sua, è, mi pare, tutt'altro. È un farsi, uno svol gersi della vita e dell'organismo riflesso della scienza insieme con quello spontaneo del vero umano e sociale che si spiega,che fluisce inesauribilmente ricco, fecondo e vario ne'secoli.E l'occhio delle scienze morali, intento a scrutarne le leggi,è simile a quello di un osservatore che da punti di prospettiva via via sempre nuovi studiasse, camminando, le forme,le proporzioni e la direzione di un'immensa folla di oggetti che gli simostrano dinanzi. Sbaglierò; ma a me pare che, tolti i fronzoli e i particolari inutili, il pensiero adombrato in tutta questa pagina sarebbe stato espresso forse più chiaramente, se si fosse detto press'a poco così: lescienzemoralisifondano,alparidellescienzenaturali,sul l'esperienza;ma siccome la natura è sempre quella, el'uomohauna storia, le verità scoperte dalle scienze naturali hanno una stabilità e fermezza incompatibile con quelle via via determinate dalle scienze morali, alle quali spetta di seguire il processo storico del loro o g getto. Egli è che al Barzellotti, mente coltissima, è mancata proprio quella qualità ch'egli è andato sempre cercando:l'intimità,il con tatto dell'anima con le cose. Quindi l'artifizio e lo stento,la forma levigata, elegante,ma alquanto vuota e sonora. Le sue professioni difedefilosofica,percuilodovremmo aggregareaineokantiani, sono semplici adesioni formali, spesso ripetute con la premura di chi tiene ad apparire spirito moderno, del proprio tempo (come (1)Nella N. Antologia del 15 febbraio 1880,pp.591-630. (2)Fil.sc.ital., 1878,XVIII,42-3.(3)Pag.38n. egli ha detto di sè tante volte); ma non corrispondono a una par tecipazione effettiva della sua mente ai problemi critici e morali, ridestati dal ritorno a Kant.Lo scritto,che secondo lo stesso Bar zellotti, dovrebbe essere più significativo per questa sua adesione al criticismo (La nuova scuola del Kant e la filosofia scientifica contemporanea in Germania ) (1); e al quale egli infatti s'è riferito ogni volta che ha voluto documentare l'affermazione sul suo in dirizzo di pensiero,è un'esposizione informativa,condotta innanzi senza un indizio di vero consenso, che le considerazioni dei neo kantiani trovassero nell'anima dell'autore. E quando verso la con chiusione questi dice che « la natura relativa d'ogni nostra cogni zione sensata è inconciliabile colla pretesa che ha il dommatismo di determinare positivamente l'essere delle cose in se stesse, di poter penetrare sino alle sostanze e alle forze ch'egli suppone al di là de'fenomeni » non puoi dire sicuramente se questo sia il pensiero di chi scrive,o il pensiero di quegli scrittori di cui que sticihaparlato. Meno che meno potresti cogliere ilpensierodel Barzellotti nel suo precedente scritto La critica della conoscenza e la metafisica dopo ilKant (1878-79), lavoro prevalentemente storico, per cui l'autore si attiene più alle storie del Fischer e dello Zeller, che alle fonti originali.In una storia dell'idealismo postkantiano,di cui questo scritto voleva essere un saggio (ma si arrestò allo Schelling), un n e o k a n t i a n o v e r o n o n p u ò n o n f a r apparire i s u o i c r i t e r i i filosofici; e non c'è sforzo d'oggettività storica che possa fargli dire che l'interpetrazione realistica (a cui tenne sempre più fermamente lo stesso Kant) della critica risponde alla lettera del kantismo,e l'interpetrazione idealistica del Maimon,del Beck,del Fichte, ri sponde piuttosto allo spirito. Un neokantiano non avrebbe scritto che il concetto realistico del noumeno (come qualche cosa che è in sè,indipendentemente dalle forme del conoscere,ed opera sui sensi)è in Kant un residuo del dommatismo antico che la Critica non era mai riuscita a spogliarsi interamente, e che stuonava coi risultati negativi e idealistici della dottrina della conoscenza;e che era una contradizione (2): un pensiero non pienamente consentaneo a se stesso in ogni sua parte (3).Al Barzellotti il partito di superare idealisticamentelaCritica,come feceilFichte,dopol'Enesidemo, pare «ogni giorno più,non che consigliato, imposto inesorabilmente dalla necessità logica che trascinava le dottrine del Kant alle loro ultime conseguenze» (1).– Ma tutto questo è detto,anziripetuto, non con l'accento energico di una convinzione maturata per proprio conto;sibbene con quella stessa indifferenza che è propria di chi osserva da spettatore assolutamente disinteressato. Che cosa pre cisamente debba pensarsi di quel benedetto noumeno,che è lo spettro pauroso dell'idealismo moderno,non sembra che sia affare che tocchi l'animo del Barzellotti: il quale potrà dirsi a sua voglia neokantiano(2);ma nonfarà mai ilneo-kantiano,perchè non sen tirà mai veramente il problema filosofico. E non ha fatto quindi nè anche ilplatonico,benchè all'indi rizzo dei platoneggianti italiani egli si accostasse ne'suoi scritti gio vanili,il principale dei quali è la tesi Delle dottrine filosofiche nei libridi Cicerone (1867),in cui si vede ancora lo scolaro di A. Conti edi T. Mamiani.Egli doveva pensare anche a sè quando,discor rendo della Filosofia delle scuole italiane,— della quale fu sempre uno dei compilatori ordinarii,e se ne poteva dire la sentinella avan zata verso le letterature filosofiche straniere,di cui scriveva una cronaca;– disse: «I collaboratori di quellaRivistahannopienali bertà di pensiero e di discussione ; anzi varii tra di essi professano dottrine molte diverse da quelle del Mamiani ; ma si raccolgono intorno a lui come al rappresentante più autorevole di quel moto speculativo,che aiutò il nostro risorgimento e ci riscosse da una inerzia intellettuale di più che due secoli » (3). Anche al Barzellotti, insomma,piaceva di essere un filosofo delle scuole italiane,insieme col Mamianielasuaonrevolgente.Anche aluipareva,p.e.,che il«merito innegabile della scuola hegeliana(diNapoli)apparirebbe maggiore allo storico imparziale,se essa avesse tenuto più conto delle disposizioni naturali e tradizionali dello spirito italiano » (4). Egli dunque si mise nella schiera del Mamiani ; e io non potevo staccarnelo, non avendo potuto trovare ne'suoi scritti la dottrina filosofica sua, che ne lo separasse. (1) Pag. 45 (2)Vedi specialmente le proteste nella pref, ai Santi,p.xxm n. (3) La filosofia in Italia, nella N. Antologia del 15 febbraio 1879, p. 630 (4) Ivi,p.639. (1) Nella Rivista difilos,scientifica, 1882,vol.I,pp.496-525. (2 ) P a g . 4 9 8 . (3) Cosi nel libro sul Taine qui appresso cit.,p. 168 dirà sempre : « La dot trina idealistica chefa del mondo sensibile esterno un mero ordine di fenomeni e di segni datici dalle sensazioni, debba dirsi, per ora almeno, l'ultima parola della scienza, venuta a confermare la parte indubbiamente vera delle teorie del Berkeley e del Kant ».Vedi poi l'articolo su L'idealismo di A. Schopenh. e la sua dottrina della percezione, nella Fil. dellesc.ital.,1882, XXVI, 137-65; la cui conclusione favorevole ai filosofi che « tempo e spazio accolgono in se elementi , a u n t e m p o , ideali ed empirici, subbiettivi e  obiettiv i , h a n n o il l o r o e s s e r e e la loro legge così nel pensiero come nelle cose,così in noicome fuori di noi – non vedocomepossaacc larsiconl'idealismoberkeleiano!Masipuòpar lare di contraddizione ? (4) Credaro nel Grundriss di UEBERWEG-HEINZE,I,1,364. ( 5 ) C f r . L a m o r a l e c o m e s c i e n z a e c o m e f a t t o , n e l l a R i v . i t a l . d i f i l o s ., 1887,II,15-16elapref.aiSanti,p.xxi n. Nella prolusione con cui iniziò a Pavia il suo insegnamento ufficiale universitario, nel 1881, Le condizioni presenti della filosofia e il problema della morale (t), puoi ravvisare tutto lo scrittore. Ivi più schietta la professione di fede neo-critica: l'idealismo da Fichte a Hegel accusato non solo di aver voluto costruire luni verso da un sol punto, con un solo principio assoluto,ma di avere altresì dimenticato « quello che le aveva lasciato detto il maestro, che cioè,se i fatti senza le idee sono ciechi,queste alla lor volta, non cimentate coll'esperienza, riescon vuote e ingannevoli » (tra vestimento del genuino pensiero kantiano e disconoscimento del genuino pensiero hegeliano); la riflessione filosofica definita per artifizio(2); approvato- comegià nella Morale della filosofia positiva (1871)– l'indirizzo psicologico-sperimentale dato dagl'inglesi alla filosofia dello spirito; fatto buon viso alla loro teoria della re latività del conoscere (dove l'autore vede un kantismo ricondotto addietro fino a Berkeley (3); dato corpo in certo modo a quella specie di eccletismo, che gli è stato talvolta attribuito (4), e a cui egli stesso in alcuni scrittisi può dire che abbia accennato parlando di una mediazione tra il criticismo e l'evoluzionismo (5); rifatta un'altra volta la storia del ritorno a Kant, nonchè della scuola spe rimentale inglese,per conchiudere che oggi il filosofo « non prova più in sè quello che pure era,ed è tuttora,così proprio de'meta fisici, il sentimento superbo di un preteso primato sui cultori dell altre scienze, la vana persuasione di potersi segregare da loro nella solitudine di un infecondo sapere assoluto, superiore alle indagini pazienti de fatti e all'esperienza, e ambizioso di tutto darle, senza nulla riceverne ». Qui si abbandona,come ognun vede, esplicitamente l'eterno proposito della filosofia. Niente di superiore ai fatti e all'esperienza. Il filosofo non deve aspirare se non,come tutti gli altri scienziati,a fornire col proprio lavoro alcuni pochi tra gl'infiniti dati, tra le infinite verità d'esperienza e di ragionamento a c cessibili alla mente umana nel suo sublime tentativo d'interpretare l ' unità delle cose e delle loro leggi. Nien t ' a l t r o c h e d a t i ! Non c e r t o «un'assolutadisperazionedelvero»,ma «una fede assai condizionata nel valore di quelle forme del vero che la mente umana accoglie in sè successivamente »; un « abito di mente critica inquisitiva per eccellenza, che non riposa mai o quasi mai in una conchiusione, che rifà di continuo i proprii convincimenti ». Abito di mente, insomma,da spettatore,non da artefice della verità. E chi lo afferma si vede bene che,accortosi della vanità di questo affaticarsi perenne nel tentativo sublime,quanto a sè,intende mettersi da un canto,e stare a vedere.Qui, nella ricerca della verità, non c'è l'anima del Barzellotti.Di questa ricerca egli non vede se non una vita vana,dicui nessuno spirito può vivere.Onde vidirà: l'uomo è nato non tanto a pensare quanto ad operare.E per operare ci vogliono quei saldi convincimenti,che la scienza non può dare. Perciò è che la filosofia non può prendere il luogo delle credenze religiose. Il Barzellotti non dice propriamente perchè, e gira attorno a questo problema,che è dei più delicati circa il valore della filosofia. Ma fa alcune osservazioni,che ritraggono lo spirito dello scrittore. Non tutti possono vivere su principii, che siano il risultato del ragionamento; infiniti sempre attingeranno la norma delle azioni « dal cuore,dall'immaginativa, dalla fede, dalla per suasione affettuosa immediata,da un che in somma non ragionato, m a sentito e i n t u i t o » . C o n t r o c h i c r e d e , c o m e il R e n a n , che p o s s a la scienza un giorno trasformare e governare tutta la vita,bisogna notare che « delle due forme di conoscenza ond'è capace la nostra mente,la concreta e diretta,o vuoi intuitiva, ha sull'astratta e sulla riflessa infiniti vantaggi nella pratica della vita. Se non che,tale appunto quale è,ottimo istrumento e guida all'azione,la conoscenza intuitiva ha in sè questo di più specialmente proprio e suo e d'op posto all'indole del sapere scientifico.; appunto perchè concreta, particolare e attinta dalla viva esperienza e quasi dal contatto delle cose e degli uomini, essa è tutta individuale, e per ciò incomunicabile:più che vera e propria cognizione, potrebbe dirsi un certo tatto finissimo. La scienza stessa., in ciò ch'essa ha in sè di più intimo e d'organico, presa come un tutto che si muove e vive d'una vita inseparabile da quella d'ogni mente che l'ha in sè e l'ha fatta sua propria, riesce non meno individuale e incomunicabile di quello che sia l'intuito, l'arte, l'esperienza immediata,la convinzione istintiva ». Qui n d i l ' i n e f f i c a c i a della scienza ; q u i n d i il segreto della forza delle religioni,che s'impossessano di tutto l'uomo. Perchè la religione abbia quest'afflato, che manca alla scienza, il Barzellotti non dice.E la verità dell'osservazione consiste,a parer mio ,nell'esperienza personale dell'autore, di cui essa deve ritenersi un indizio. È la scienza sua,da cui egli si sente ingombra la mente,non riformata l'anima,che non può cacciar di nido la religione.Se la metafisica, l'alta veduta speculativa investe tutto l'uomo nei grandi pensatori, egli è che il pensatore in fondo è un artista.Onde ilBarzellotti plau dirà al pensiero del Taine (in Idéal dans l'art): « che tra i diversi modi,in cui l'uomo coglie la verità delle cose,il più potente e il più vero è l'Arte.Essa infatti penetra,per dir così,giù sino al cuore del grande organismo della natura,e non si limita a darcene,come falascienza,soloilprofiloesterno,leleggigenerali quantitative,ma ce n'esprime l'intimo senso,ce ne fa sentire nel loro lavorìo se greto le forze vitali, le potenze originarie e germinali » (1). E al Taine tributa la gran lode di aver avuto « anima e mente da ca pire come la scienza,che ci dà solo gli elementi generali e comuni dei fatti e delle cose,non riesca nello studio dello spirito umano a rendercene tutto il vero, se non è compenetrata con l'Arte, che intuisce il particolare, l'individuale, ciò che sfugge all'analisi e al l'astrazione » (2), E l'autore continua : « Qui sta con buona pace dellapedanteriatogataditanticheoggisichiamanodotti– la superiorità dell'Arte,se siagrande e vera, sulla scienza pura, quanto al comprendere l a vita, il c a r a t t e r e e i sentiment i u m a n i . Si può esser certi infatti che nessuno specialista, nessuno scienziato nello stretto senso della parola,arriverà mai a scuotere una di quelle grandi verità della coscienza e dell'ordine morale,che finora sono state trovate tutte dai fondatori di religioni, dai metafisici sommi – artisti del pensieroessipure— daipoeti,dagliscrittori,da co loro che il volgo degl'indotti e dei dotti chiama uomini non p o sitivi » (3). (1)Ippolito Taine, Roma, Loescher, 1895,pp. 191-2. (2) Ivi, p. 149. (3) Pag. 150. E così ci accostiamo al po'di filosofia del Barzellotti: a quel po'almeno, che è la nota metafisica vera e sincera, che risuona nel l'anima sua. E questa nota suona spesso negli scritti del Barzellotti, benchè non sia che una nota.La religione,dice in uno scritto su L'idea religiosa negli uomini di stato del risorgimento (1887), è «qualcosa di analogo all'artee d'irriducibile,per una legge del nostro spirito,ad altre forme della sua vita interiore »: « la cer tezza delle verità religiose venirci dal sentimento e dall'intuito, e appartenere a un ordine affatto diverso da quello della certezza che cipossonodare le dimostrazioni della ragione» (1).– Enellostudio La giovinezza e la prima educazione di A. Schopenhauer e di G. Leopardi (1881): « L'uomo, egli (lo Sch.) soleva dire con parole che esprimono forse l'aspetto più nuovo e più vero della sua filo sofia, ha le sue radici nel cuore, non nella testa » (2). Quindi quel sentimento,che in uno scritto,anche precedente,sullo stesso Schopenhauer, è detto « ormai cessato da un pezzo in Germania; ma dura tuttavia, e cresce nei lettori colti d'ogni paese.: quello del bisogno che tutti abbiamo,ma che in specie gli studiosi hanno di stringersi in più intima armonia colla natura e colla realtà » (3). Questo estetismo o misticismo estetizzante venne al B. dai ro mantici tedeschi,dallo Schopenhauer,oggetto di suoi studi insistenti? Certo non ha che vedere col suo preteso criticismo, che è uno scetticismo ingenuo, appenalarvato. Ma visiriconnettenelsensoche, dimostrandoci il temperamento spirituale dell'uomo, ci fa inten dere la sua naturale avversione alla vera e propria filosofia.Questo estetismo a me pare appunto la tendenza naturale del suo spirito; e non prende infatti la forma dimostrativa e sistematica,che in altri scrittori si atteggia almeno a una critica gnoseologica del natura lismo, dal Barzellotti non mai fatta; ma resta sempre una ten denza, che determina l'indirizzo degli studii del Barzellotti, quando egli trova la sua strada.Più che un concetto pensato e ragionato dalla sua mente,è un carattere reale della sua mentalità:per cui egli si può dire che abbia trovato la sua strada quando ha comin ciatoascrivereisuostudiieritrattiesaggipsicologici,intorno a scrittori,indirizzi di cultura,epoche o popoli:dove non ha certo teorizzato sulla tendenza, che ho detto, ma ha obbedito ad essa, cercando il concreto, l'individuum ineffabile, con l'intuizione del (1) D a l r i n a s c . a l r i s o r g ., p . 163 . (2 ) S a n t i , p . 4 1 5 . (3) Op . cit ., p . 4 0 5  - l'artista, vedendo, come egli disse, « nello studio dell'uomo oltrechè un'arte d'intuito e di divinazione felice,la lenta opera d'una scienza che ormai ha saputo prendere la sua via in disparte dai sistemi »: rimettendo,insomma,in armonia sè con se stesso, riducendo tutta lafilosofiaall'arte, cui natura più lo traeva. Se nonsivogliadire arte,dicasi storia; ma illavoro mentale del Barzellotti non mira al di là della rappresentazione individuale del concreto.E questa è la sua filosofia; la quale ha inteso a «unireilpiùpossibile- egli dice l'arte alla scienza » e « provarsi a ritrovare sui modelli vivi, che danno la storia, le biografie intime e l'osservazione delle cose sociali,quanti più poteva dei tratti veri,parlanti di quell'anima umana, che la scienza delle scuole e delle accademie ci ha per troppo tempo fatta conoscere solo in copie vaghe,generiche,lavorate di fantasia e di maniera »(1). Da S. Agostino al Lazzaretti, dalla psicologia delle tentazioni a quella del pessimismo filosofico, dal Taine al Nietzsche, dallo spi rito paganeggiante del rinascimento alla tempra morale della deca denza, alla religiosità dei nostri uomini del risorgimento, al river bero della nostra anima nazionale nella letteratura, il Barzellotti dall'8o in circa ad oggi si può dire che abbia raccolto tutte le forze della sua mente intorno a particolari problemi storici di psicologia, cercando così attraverso i procedimenti intuitivi dell'arte quella ve rità alla cui visione non s'era potuto elevare col metodo razionale del pensiero speculativo:spargendo, in verità,gran copia di osser vazioni fini ed acute principalmente sulla storia dellaforma mentis, com'egli ama dire, del popolo italiano.Se incotestaarte, peraltro, egli sia riuscito di solito a toccare il segno,non è il luogo questo di ricercare: se dovessi esprimere il mio giudizio,direi che per sif fatte indagini di storia psicologica al Barzellotti manca,per otte nere la rappresentazione piena e viva dell'anima umana,ciò che forma davvero lo storico e l'artista: lo sguardo diretto all'intimo della individualità; la quale non si potrà mai ricostruire,se non s'affisa prima di tutto il centro vitale del suo organismo; laddove il Barzellotti gira troppo con considerazioni e divagazioni generali intorno ai personaggi e agli stati morali presi a studiare.E gli manca altresì, per lo più, quella piena e diretta conoscenza dei particolari, in mezzo ai quali soltanto è dato d'imbattersi negl'individui vivi, in quelle anime vere, che il Barzellotti è andato cercando. (1) Santi, pp. XII-XIII. Di questa sua veduta estetizzante dello spirito umano bisogna ricordarsi per intendere nel loro genuino significato i motivi della comunicazione fatta dal Barzellotti intorno al metodo storico nella trattazione della storia della filosofia al congresso romano di scienze storiche nel 1903 (1): contro la quale insorse il vecchio Lasson in nome della universalità della ragione e della scienza (2). Pel Barzel lotti la filosofia dev'essere rappresentata dallo storico come la filo sofia di una nazione o di un'altra,quale in una certa epoca essa si costituisce in stretta attinenza con tutte le condizioni della cultura circostante, e sulla base degli abiti e delle forme di mente individuali del filosofoo prevalenti nel tempo dilui.E certo una storia per ogni parte compiuta della filosofia non può non tener conto ditutta cotesta condizionalità dei sistemi filosofici; ma ad un patto: che si rammenti non essere la condizionalità, nè qui nè altrove, la realtà condizionata;e quando tutta la cultura contemporanea che agi sullo spirito di Kant sia nota,e tutta spiegata la psicologia per sonale di questo pensatore e del suo secolo,restare tuttavia da in tendere tutta la sua filosofia, in quel che ha di veramente filosofico, ossia di valore universale ed eterno. Qui la verità affermata dal Lasson,edal Barzellotti disconosciuta, per quel suo occhio, fatto per vedere il particolare,cieco all'universale. E poichè l'universale è l'intimità vera delle menti speculative,anche qui ei conferma ilsuo difetto di attitudine vera a penetrare nell'intimo degli spiriti. Egli vede i p e n s a t o r i, e n o n v e d e il pensiero; e però non vede n è a n c h e veramente i pensatori.Ne son prova isuoi molteplici saggi sullo Schopenhauer e sul Kant. Ma il Barzellotti è stato forse letto invano per la cultura intellettuale e morale italiana? Io non credo:non èstato un filosofo, e neanche un artista riuscito; ma è pure stato un nobile scrittore, che ha agitato molte menti e molti cuori intorno a questioni morali e religiose troppo trascuratetra noi; è statoun lucidospecchio di molta parte della cultura filosofica straniera contemporanea;ed è stato un forbito scrittore, imitabile esempio ai pedanteschi filoso fanti italiani degli ultimi tempi. (1) Di alcuni criteri direttivi dell'odierno concetto della storia, che re stano tuttora da applicare pienamente e rigorosamente alla storia della fi losofia, massime di quel periodo che va dal Rinascimento a Kant, negli Atti d e l C o n g r . i n t e r n . d i s c . s t o r . ( R o m a ). 


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