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Tuesday, April 6, 2021

Grice ed Enriques

 

Coloro che s'immergono nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno come i mangiatori di gam¬ beri : per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra un mucchio di scaglie. Ma W. Hamilton, riportando il motto ('), vi aggiunge un’osservazione che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni : da noi, dice, lo studente di logica perde il tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa. Infatti il giovane matematico che ha percorso gli studi classici, domanderebbe invano alla logica che gli fu insegnata, un concetto adeguato di quello che è 1 ordinamento di una scienza deduttiva come la geometria, nonché una spiegazione del significato e del valore dei principi che s’incontrano in tale scienza. Che cosa sono definizioni, assiomi, postulati? che posto occupano nell’organismo della teoria? quali sono i cri¬ teri che presiedono alla loro scelta o che permettono di (') Rivista d'Edimburgo, 1833. Enriquei I2 Capitolo I giudicare della loro accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel nostro studente, se pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dot¬ trina del concetto ; certo esse non ricevono lume dalle minute classificazionisillogistiche, per mezzo delle quali egli vien abilitato, quando mai, a verificare ciò che non ha alcun bisogno di verifica, cioè la coerenza formale delle dimostrazioni geometriche. Ora è essenziale rilevare che il matematico, ponen¬ dosi il problema dell’ ordinamento della propria disci¬ plina, si ritrova in faccia alla logica nella posizione stessa dei pensatori che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo della scienza del ragio¬ namento procede appunto dalla critica dei matematici o di filosofi che hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine delle verità matematiche. Come padre della logica viene designato Aristo¬ tele; ma egli non può essere ritenuto se non racco¬ glitore e sistematore di ciò che — in questo campo — fu elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver recato al sistema ('). L'affer¬ mazione precedente apparirà tosto giustificata quando si ricordi; 1) Che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno sviluppo assai elevato, (*) Il vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine degli Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga tutto il paragrafo, riferirsi alia scienza della discussione o dialettica in senso stretto, e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chic (circa 450 a C.) — si cominciò a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. 2) Che anzi, proprio all'epoca di Platone, (cioè nella prima metà del 4 sec. a C.), ed in più o meno stretta connessione colla scuola de! filosofo ateniese da cui pure è uscito Aristotele, alcune teorie mate¬ matiche furono oggetto di una profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il precedente storico degli Elementi d'Euclide. 3 ) Che, d altra parte, la dialettica aveva rice¬ vuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei Sofisti ; sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi — come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il razionalismo meta¬ fisico delle scuola d Elea; sia, più specialmente, presso i Megarici ed altri pensatori affini, che — in connessione coi circoli socratici — ripresero e svolsero in un senso formalistico le vedute eleatiche. La finezza di alcuni sofismi attribuiti a filosofi di questa scuola, basterebbe da sola a testimoniare della profondità del¬ l’analisi da essi ragggiunta ; di fronte a cui fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele negli Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche contro avversari non nominati (per esempio intorno alla necessità e al carattere dei principi negli Analy- tica posteriora, I, 3) valgono ad indicare che il pro¬ blema logico dell’ordinamento di una scienza deduttiva era stato dibattuto secondo vedute diverse, alcune delle 4 Capitolo / quali si riveleranno — ad un esame approfondito — più vicine alle vedute moderne, in confronto a que'le adottate dal filosofo di Stagira. I trattati d’Aristotele, che furono raccolti sotto i! nome comprensivo di Organimi, manifestano la doppia origine : dalla critica delle matematiche e dalla pratica delle discussioni. Infatti i primi due trattati (Cathe- goriae e Herméneia o De Interpretatione) si riferiscono alla classificazione delle parole isolate e delle propo¬ sizioni, formando quasi una introduzione a tutta 1 opera; i due successivi (Analytica priora e posteriora) svol¬ gono appunto la logica come scienza, quale risulta dall’analisi del ragionamento matematico; invece i due ultimi (Topicaed Elenchi Sophistici) concernono l’arte dell'argomentare, mirante — non al vero ma soltanto al probabile, in rapporto alla pratica delia discussione. Aristotele ritiene per quest’arte il nome (eleatico-platonico) di « dialettica », mentre distingue col nome di «analitica» l’esame del procedimento della scienza dimostrativa, in cui dalla possibilità della scienza si desumono le condizioni del suo ordinamento questo senso è stato ripreso da Kant in quella parte della « Critica della ragion pura » che costituisce la « Analitica trascendentale » ). Il termine « logico » è usato dal Nostro per designare procedimenti discorsivi che, non partendo da principi, non hanno valore dimo¬ strativo (')• Ma questo termine s'incontra, già prima, (1) Quest’o»servRzione è falla da Pranll, Geschichle dtr Logik , voi. 1°, Lipsia, 1855, pag. 116, 336. La logica degli antichi ne j titolo di un’opera perduta di Democrito d’Ab- <jera (460-360 a C.) : rtepi Xoytxwv i) xavwv ( J ) ; e nella misura in cui si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il significato, rivelerebbe una diversa con¬ cezione (più relativa e formale) del ragionamento: la quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spal¬ mente presso gli Stoici. Ora questi filosofi appunto _ a partire da Z e n o n e Cizio (circa 340-265 a. C.) — designano come xo Àoyixóv (') quella parte della filosofia che ha relazioneal discorso, e che comprende questioni attinenti al ragionamento e questioni rettoriciie o gram¬ maticali; mentre la scuola contemporanea di Epicuro (341-270 a. C.) ha tratto sicuramente da Democrito il nome di « Canonica », con cui designa le regole del metodo. Siffatte osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta opera aristotelica sui suc¬ cessori, non fu così esclusiva come di solito si ammette, e c’inviterà a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle opinioni più antiche, ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera ('“). Ma di ciò più avanti. Ora, per formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante di ricercare se e quali ( l ) Diels, Die Fragmenle Jer Vorsokraliker: Dem.A 33, B. 10^. (*) Diog. Laert. VII, 33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che Prantl (op. c. pag. 515, 561) opina che il nome proprio vj , come appellativo della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo di esso e della rellorica, «'introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli stoici. Capitolo I rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici e le sottili disquisizioni dei sofisti. Clairaut, per spiegare il rigore del ragionamento di Euclide, ha sciitto ( ) che « ce geomètre avait à convaincre des Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux vérités le plus évidentes » e Houel (‘) ha ripetuto che la forma dogmatica d’ Euclide è dovuta a * sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que la Grece avait le tori de prendre au sérieux ». « De là » egli aggiunge « son habitude de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de demontrer qu’ elle est . ». Queste affermazioni sono state frequentemente con¬ testate, giacche è difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza diretta, non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi prede¬ cessori, che hanno elaborato criticamente la scienza matematica ('). Tuttavia si può citare, a questo pro¬ posito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora ( 4 ) e di Antifonte (“) tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il carattere empirico ai concetti della geometria: argomenti dello (‘) Elementi de geometrie, Parigi, 1741 (pref. pagg. 10-11)., (-) Essai critique sur tea Principe s fondamenlaux de la Géo- métrie, 1“ cd. Parigi, I6b7, (pag. 7). ( 3 ) Nondimeno i rapporti amichevoli di Protagora col mate¬ matico 1 eodoro di Cirene sono attestati da Platone: Teeleto 161 b 162 a. ( 4 ) Aristotele, Mei. II, 2. (20). (’’) Cfr. Simplicio in Aristotele Phvs.: Diels B. 13. La logica degli antichi stesso genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la dia¬ lettica dei sofisti, poiché 1’una e l’altra sono generate insieme dalla filosofia eleatica. Infatti Zenone d’Elea è additato, dallo stesso Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica (') ; e — d’altra parte — l’analisi penetrante di P. Tannery e di H. G. Zeuthen sui celebri argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo in evidenza il loro significato e valore mate¬ matico, sicché il sottile dialettico — in cui la tradi¬ zione non ha veduto che un ragionatore paradossale — si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione e il procedi- (*) Adversus Aialhcmaticos, I. III. ( 2 ) Cfr. Diog., L., Vili, 57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot, voi. 5°, 2 a parte, pag. 42.Capitolo I dimento di riduzione all'assurdo ('). Democrito che spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide, viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimo¬ strazione delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati ( 3 ), ed anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar- mente questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel commento al primo libro dell' Euclide, l principali teorie geometriche che costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevet¬ tero già in questa scuola uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto il nome di * teorema di Pitagora ». D altronde vi sono numerosi indizi che la geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (o della misura), basata sopra un concetto empirico del punto-esteso, preso come ( ) Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo. <c Bollettino della Mathesis », 1919. {') Cfr. in ispecie P. Tannery, Pour la Science hellcne , cap. X. La logica degli antichi elemento unitario di tutte le cose (monade) : così l’affermazione pitagorica che « le cose sono numeri » è da interpretare nel senso che i corpi, o le figure geometriche — che in questo stadio del pensiero si pensano in maniera concreta — sono aggregati di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica traeva con se la commen¬ surabilità di due segmenti qualsiansi, che appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa con¬ seguenza doveva urtarsi — nella stessa scuola pitago¬ rica — colla scoperta che la diagonale e il lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pita¬ gorici si affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti dai medesimi circoli ('), iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo che un pensiero razionale, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoonaturalmente condotti alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono gli Eleati: Parmenide e il suo discepolo Zenone. La loro specu¬ lazione (appartenente alla prima metà del secolo 5° a. C.) segna un punto decisivo nella storia della filosofìa greca, perocché essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il pensiero coerente viene assunto *) P» r me ni de è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di Giarablico (Diels, Pyth, 45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci viene attestato da Diogene Laerzio. CapitoloSenz’ altro a misura della verità, cioè dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione proba¬ bile che si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per ser¬ bare rigida fede ai suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne inda¬ gava criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla teoria fondamentale degli incommensurabili e delle propor¬ zioni — veniva ad involgere 1’ intiero problema del- l’assetto rigoroso della geometria, la ricerca logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordi¬ namento della scienza e alla valutazione dei suoi principi. 2. Giudizi di Platone sull’ordinamento della cienza. — In rapporto a ciò che precede riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene forse, si sia esagerata dallo Zeuthen ( ! ) 1' influenza che il filosofo ateniese può ( l ) .« Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à laquelle elle est devenue Science raisonnée (in danese con riassunto in francese : Memorie dell’ Accademia di Co¬ penhagen, 1917). La logica degli antichi avere esercitato su pensatori matematici quali EudossoTeeteto, allorché designa il movimento criticoel tempo col nome di « riforma platonica dèlie matematiche ». Riferiamo alcuni passi della Republica (‘):Republica ( 510 , c, d, e) * .... Quelli che si occu¬ pano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il pari ed il dispari, e le figure e tre speciedi angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni ; e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè agli altri ; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto giungendo infine a ciò che si proponevano di dimo¬ strare.... Essi si valgono, per ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a quelle di cui queste sono 1' immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano ; e cosìutte le figure che formano o disegnano (quasi ombre o im¬ magini specchiate dall' acqua), tutte le adoperano come rappresentzioni, cercando di vedere attraverso di esse i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ». (511) « .... Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che l’anima nell’ investi¬ gazione di essa, è costretta a valersi di remesse, e (‘) Ci valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare oltre alle premesse, ma si vale, come d’ im¬ magini, degli originali appartenenti al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di fronte a quelle, » mentre « il ragiona¬ meno che usa la forza della dialettica, considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al prin¬ cipio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee *: di qui la distinzione posta fra la ragione del dialet¬ tico (vo’jc, vóy}oic) e l’intelligenza del geometra (3:xvo:s() che * sta di mezzo fra 1’ opinione e la ragione ». La stessa distinzione ritorna in : Rep. (533c,...) «.... la geometria e le scienze affini... sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad occhi aperti, {intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non sanno ren¬ derne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla scienza ?... » .Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto giova respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché non si riesce a dare alcun significato alle La logica degli antichi idee platoniche, se non ammettendo che esse « esi¬ stano » nello stesso senso in cui si afferma l’esistenza di rapporti o di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo d'in¬ tendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come scienze (pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del Nostro, quanto alle matematiche considerate come arti (zl'/yy.:) ( ). Ed in appoggio a tale veduta si possono citare altri passi dello stesso dialogo, p. es. : Rep. (527) .... anche coloro che sono poco pro¬ fondi in geometria, non metteranno in dubbio che questa scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe dalla terminologia che usano quelli che la professano... È una terminologia troppo ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere ; invece tutta la scienza si coltiva collo scopo di co¬ noscere ». Ma qual’ è l’ordinamento della geometria vagheg¬ giato da Platone? su che base vorrebbe egli edifi¬ carne i principi ? I passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla scienza un valore razionale, il filosofo (*) Cfr. G. Milhaud: Les philosophes géometres de la Grece. Parigi, Alcan, 1900 (Ch. lì). Enriques: Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli, pag. 50. vorrebbe eliminare quelle domande che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati («•tr'pzra), mercè cui si assume la possibi¬ lità di certe costruzioni, facendo appello ad opera¬ zioni pratiche sopra modelli sensibili. La base della geometria, edificata secondo i criteri della dialettica, consisterebbe duue in pure definizioni (il procedi¬ mento dialettico ha appunto come scopo di definire i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi — che Platone riguarderebbe come conoscenze in¬ nate, giusta la teoria della reminiscenza esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà elementari che le figure visibili hanno porto occasione di riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice (oixvoia), appari¬ rebbero fondate sulla pura ragione (voO;). . Il concetto della scienza dimostrativa in ristotele: Analytica posteriora. — Ora, ri¬ volgendoci agli Analytica di Aristotele, vi trove¬ remo notizie più precise sui criteri adottati dai geo¬ metri nell ordinamento logico della scienza, criteri che sara interessante di raffrontare a quelli che ap¬ paiono, in atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli Analytica priora, l’autore definisce il concetto della scienza di cui imprende lo studio. « Anzitutto e da dire il soggetto e lo scopo di questo studio : il soggetto è la dimostrazione e lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/) ». Quindi, negli stessi Analytica priora, viene a sta¬ bilire la teoria del sillogismo, e passa poi ad esami- nare — nei posteriora — l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi perciò continuamente alle ma¬ tematiche. Quest’ ultimo trattato, che qui occorre special- mente esaminare ('), si apre coll’ enunciato che « Ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva sempre da conoscenze anteriori. 'L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte le scienze: infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione, di tutte le altre arti ». Ora dal concetto stesso del sapere « segue necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da prin¬ cipi immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui precedono » ( 2 ). Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di due specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono : 1) o che non vi sieno principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo ad un regresso all’ infinito ; 2) o, all' opposto, che il procedimento della dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice .dar luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari (*) Cfr. Enriques: Il concello della Logica dimostrativa secondo Aristotele in « Rivista di filosofia », Gennaio 1916. ( 2 ) An. post. I, 2 (6). a cui il Nostro si riferisce: forse la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presen¬ tata nei circoli megarici (imbevuti del relativismo eleatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici, critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa — che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta con talune vedute moderne, come avremo occasione di rilevare in appresso. Aristotele doveva combattere questo relativismo, poiché tutta la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle spe¬ culazioni, che dalla scienza presocratica erano pas¬ sate nel dominio del costume e delle credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel mondo ellenico. 11 parallelismo che gli Eleati avevano scorto fra il pensiero e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano interpretato nel senso di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una interpretazione inversa : infatti la teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di verità che stanno di fronte al pensiero come dati, sopra cui esso ha da modellare l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classiicazione delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la quale si rispecchia nquel procedimento più generale di divisione e di definizione che costi- tuisce la dialettica. Ed analogamente per Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra cause ed effetti, offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse e conseguenze della scienza dimostrativa; la quale perciò possiede un ordine naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno assolutamente indimostrabili : An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui si parte sieno indimostrabili; altrimenti, non pos¬ sedendone la dimostrazione, on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione ». Ora, proseguendo l’esame degli Analityca po- steriora, veniamo istruiti più precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più specie : 1) Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del significato delle parole (in linguaggio moderno : assunzioni di concetti primitivi non definiti) e defini¬ zioni propriamente dette (*). 2) Supposizioni d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai termini. 3)Proposizioni immediate che occorre necessa- (*) La teoria logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente 1*estensione del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — le differenze che lo delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione delsoggetto da definire. Enriques 2 18 Capitolo I riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono chiamate assiomi (ófiwpaTsc) * giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad esse si riserva abitualmente questo nome »( 1 ). 4) Infine anche ipotesi o postulati (odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro ; giacché da una parte egli sembra ammettere (come Platone) che i postulati potrebbero essere elim¬ nati : * postulato... e ciò che si pone senza dimo¬ strazione, quantunque potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8) ) ; e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli avverte (9) che « le definizioni non sono ipotesi perchè non dicono se le cose definite esistano oppur no... ». Ma probabilmente il suo pen¬ siero è che il sapere dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere di neces¬ sità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali « non si possono considerare come ipotesi o postu¬ lati.... » (1, 10(7)), imperocché * la dimostrazione.... si rivolge non alla parola estariore, ma alla parola interiore dell’animo ». Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del pensiero che Platone 0) Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6).La logica degli antichi 19 ha rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse parole ('). Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza ( 2 ), negando che vi siano conoscenze innate ; la conoscenza universale dei principi viene per lui acquisita indubbiamente dalla ensazione : essa si produce mercè 1' unità dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post. 11, 15 (5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idea- lizzatrice (òtavaa), fondamento della scienza, confe¬ risce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). 4. I principii negli Elementi d’ Euclide. — Alle dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento degli Elementi di Euclide ( :! ). ( l ) (189 c.) « (Il pensare è) un discorso che l'anima rivolge a sè stessa, per sè, intorno alle cose che consideri ». (190) « .... nemmeno in sogno hai ardito dire a te stesso che.... il dispari è pari, o altra simile cosa ». (-) An. priora II, 21 (7) e An. post. I, I (7). ( 3 ) Heiberg « Euclidis opera omnia » Teubner, Lipsia, 1883-88. Secondo le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanzio (412-485 d. C.), Euclide sarebbe vissuto in Alessandria al tempo del re Tolomeo. Così può argomentarsi che gli Elementi sieno stati scritti intorno al 300 a. C. (Le opere di Aristotele che conosciamosembrano appartenere all’ultimo decennio della sua vita, terminata il 322 a. C.),Nei quali si trovano tre specie di principi : 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni (y.otvof Ivvoiat). Non èqui il luogo per sottoporre ad un’analisi appio- fondita queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti, tanto che dal Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità ; solo, rife¬ rendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen 0). « limiteremo ad alcune osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide abbia usato il termine « nozioni comuni » per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici pitago¬ rici) * assiomi », tanto più che — si dice — la parola « evvow » compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo rilevare che la stessa parola si trova pure in Democrito ( s ), e in un senso che richiamerà più avanti la nostra at¬ tenzione. il rilievo assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni prima d’ Eu¬ clide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli ( :J ) ; tanto più che questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari (Parigi, Gauthier-Villars 1902): n. 14, 69 94. ( 2 ) Cfr. Sesto in Diels, A, III. ( 3 ) rsti>|isi?t>t(óv (A, li ?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0 , I |P). La logica degli antichi scorgere un ordinamento della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero appunto designati come * no¬ zioni » o € nozioni comuni », e che il geometra alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa ma¬ teria, in rapporto ai progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo illustre prede¬ cessore: al quale di preferenza doveva guardare (')• Diciamo ora che la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata da Gemino in Proclo ( 2 ), come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi assegnano costruzioni elementari, ciò che — nel concetto dei Greci — significa affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni. Questo carattere co¬ struttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli ngoli retti sono uguali fra loro) ; ma Zeulhen spiega come in tale affermazione debba vedersi un comple¬ mento del post. 2, nel senso di affermare che il pro¬ lungamento di una retta è unico. (*) In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un passo del noto commento « Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato commentari! • (ed. Friedlein, pg. 194, linee 8-9) in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei geometri di chiamare « nozione comune » ciò che Aristotele chiama « assioma ». ( 2 ) 1. c. pg. 193 e seg. Cfr. Vailati, Scritti, pag. 547. Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati differiscono anche per essere : questi, principi particolari della geometria, e quelli, principi comuni alle varie scienze ; infatti si tratta qui delle proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio d'Aristotele, che rico¬ nosce negli assiomi delle verità cessarie ed indi¬ mostrabili, perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità — partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano : la natura dei principi, enunciati da Euclide come nozioni comuni, sembra infatti rispondere a questo criterio.Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di distinguere assiomi e postulati, mancano tuttavia indizi per affermare che essi respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora (secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione, così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto — considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati, da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal riferimento dello stesso Proclo (1. c. pg. 194) circa un tentativo di dimostrare l'assioma I (cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da Apollonio. Infatti della tentata dimostra- La logica degli antichi zione viene porto il seguente cenno : « Sia a uguale a b, e b uguale a c ; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche a occupa lo stesso luogo di c ». Questo ragionamento indicherebbe forse che Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo dell’eguaglianza geometrica al caso della sovrappo¬ nibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione identica laproprietà transitiva di quella relazione : mentre il ricorso a siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto assioma 1 ha un significato sntetico e non può ritenersi come una semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifri¬ mento accennato lascia presumere che la critica deiprincipi sia stata spinta innanzi da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome di ós: termini o definizioni. Se essi vengono considerati come defini¬ zion,non si può a meno di rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a indi¬ care la genesi psicologica dei concetti : così, p. es., in 3 e 3, dove si dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiega¬ zioni sono da considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idea¬ lizzazioni dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato della critica eleatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza larghezza, e la superficie non ha spessore ('). Anche quelle che si presentano come definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio (ondamentale enuncato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa 1 estensione del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo motivo sembra insufficiente la def. 4 « linea retta è quella che e posta ugualmente rispetto ai suoi punti » ; imperocché, se s interpreta come si usa comu¬ nemente « retta è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto », si enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche all’elica (cfr. Apo llonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che Euclide, non sol¬ tanto suppone I esistenza di ciò che viene immedia¬ tamente designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi criten seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione dinpostulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi (secondo che osserva 0) Cfr. Proclo 1. c. pg. 94, linea II. La logica degli antichi lo Zeuthen) mediante la definizione (15) del cir¬ colo come figura piana compresa da una sola linea. Ma non giova insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo, avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enun¬ ciare esplicitamente i casi d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico prin¬ cipio generale di continuità (‘), onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Pla¬ tone, che— come si è visto — repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬ lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede ( 5 ) sembra classificare e distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (*) Cfr. p. e*. I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguar¬ danti le matematiche elementari raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli, 1912. (-) De sphaera et cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg. Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, 1897. Capitolo I Dositeo) chima « assiomi » (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da supposizioni d’esistenza : p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da una parte ecc., e queste si dicono concave ; mentre poi dà il nome di * assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli àfjuojtara archimedei il nome di opy.. 5. Considerazioni sintetiche sulla logica dei Greci; — Se ora, riguardando soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide, cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla logica degli antichi, doman¬ dandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni : I) La logica dei Greci suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la copia o la visione di una natura esterna. Così il « numero » dai pitagorici e lo « spazio continuo - dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato natu¬ rale (la epa:;) di tutte le cose. La supposizione reali¬ stica è tipicamente espresa nella teoria delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggia¬ cente alla logica d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte, nelle vedute dei geometri. 2) Ma dallo stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocamentDi qui il criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato dei ter¬ mini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà (geometrica ecc.) che è oggetto del pen¬ siero. Ma ciò significa autorizzare nel ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di tale domanda non si riesce neanche a defi¬ nire il senso ! E quindi non si comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri — alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. 3) Aggiungiamo che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del siilo- gismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale, immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo statico della classificazione delle forme geome¬ triche : tale è infatti il carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina platonica non superata veramente da Aristotele (*). Soltanto Democrito, come diremo più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Stuart Mill), opponenti alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragiona¬ mento, pur riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora, non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive (significate da particelle come « e », * o » ecc.) che accanto al sillogismo ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi, 1910. riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro costruttivo del pensiero. 4) Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito (*) e Aristotele ( s )) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele: De Inlerpretatione, 1, (4). Le parole della lingua parlata sono l'immagine delle modificazioni dell'anima e la scrittura è l’immagine delle parole espresse dal linguaggio.3) Come la scrittura non è identica per tutti gli uomini, così anche le lingue differiscono fra loro. Ma le modificazioni dell’anima, di cui le parole sono i segni immediati, sono identiche per tutti gli uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modi¬ ficazioni esattamente rappresentano ». E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, (*) Proclo, nel commento al Cratilo, riferisce appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia delle parole, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note alla trad. frane, del Cratilc di Cousin). ( 2 ) De Inlerpretatione, 2 (1), 30 Capitolo I che culmina nel concetto aristotelico di trarre dalle forme grammaticali una classificazione delle « Ca¬ tegorie ». 6. La logica di Democrito e i suoi influssi sopra Stoici ed Epicurei. — In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero degli antichi Greci traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute. Ma, per 1 intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i predecessori dellStagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee. Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive — in qualche modo — alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale filosofia esprime la metafisica del senso comune. E 1 anzidetta tendenza liberatrice si esplica: 1) in un progresso verso il formalismo logico, che procede dallo studio degli schemi discorsivi, for¬ mante oggetto degli Analytica priora : questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo scrittore di una storia delle matematiche, e Teo- frasto il raccoglitore delle opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure passata 1 eredita dei dialettici megarici ; 2) in una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto l’origine e il La logica degli antichi valore dei concetti generali da cui muove la scienza imostrativa: qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai grandi pre¬ decessori di Platone e di Aristotele ; sulle quali l’inte¬ resse della questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente le idee di codesti predecessori, la figura di Demo¬ crito d'Abdera, deve attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto cent’ anni e nato intorno al 460 a. C. (40 anni dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo più anziano di Platone (427-348/7) ; così, soltanto i pregiudizii do¬ minanti la ricostruzione della storia del pensiero greco nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare più da vicino i rapporti fra i due filosofi, relegando Democrito tra i presocratici e perfino tra i presofisti, in onta alla cronologia (') Democrito è il ande fondatore della teoria atomica, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica ; attraverso questa dottrina egli giunse ad una rigorosa concezine del determinismo meccanico, e verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo ( ! ) Fanno ecfcezione Windelband e Burnel, che restitui¬ scono airAbderita il suo posto cronologico, ma che — tuttavia — non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza del suo lavoro scientifico. 32 Capitolo I ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da cui in ispecie la storia svoltasi sotto I influenza hegeliana, nel secolo decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente : quantunque un esame accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre dello spiri¬ tualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di far risalire a lui l’argomento per I immortalila dell anima basato sulla sua * sempli¬ cità » o « indivisibilità », che s'incontra nel Fe¬ done 78, b, c, (‘). Le opere di Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle mate¬ matiche alla fisica, alle scienze naturali, all’agricol¬ tura, alla grammatica, alla poetica, alla teoria della conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Prota- (*) Di ciò mi propongo fornire altrove la prova col confronto- dei testi aristotelici. La logica degli antichi 33 aora : (*) si tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo. Ma, poiqhè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione di caratere positivistico al razionalismo metafisico della scuola d’Elea, è naturale che De¬ mocrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamen¬ tale che i sofisti avevano formulato. Egli non poteva semplicemente riprendere come oggetto della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all* opinione (tot;*) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una razionalizzazione dell’ empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni (ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata mediante il ragio¬ namento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel Teeteto, ed una comparazione analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che il riferimento deve essere attribuito a Democrito ( 2 ). Ma, poiché la spiegazione razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che Democrito ne basasse il ossesso da parte della mente umana. Qui socco^ rono alcune indicazioni. / . ' ( l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. ( ! ) Cfr. Enriques: La teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia, 1920, n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Ari¬ stotele come il primo a trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali (‘). Conviene intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola so¬ cratica, in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito ; è più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti ; e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate sembra avere attinto. 2) In un frammento della già citata opera logica di Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto ( 2 ), vengono distinte due spcie, di conoscenza, l’una relativa all’ intelligenza (à7j; Siavaas) l’altra alle sensazioni (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente Democrito: * Vi sono due forme della conoscenza : una cono¬ scenza pura o legittima (yvyjafyj) eduna adombrata o spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima forma : la vista, l’udito, il gusto, l’odorato, il tatto. Ma la conoscenza pura è completamente distinta ». Ed ag¬ giunge ce questa conoscenza pura è relativa ad un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223, 2). ( ! ) In Diel» B. II. La logicaegli antichi orbano di pensiero più raffinato che prende il posto di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo (mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi).Anche in altri modi Democrito esprime la rela¬ zione fra le due forme del conoscere ; per esempio ove dice: ( l ) « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce, apparenza l'amaro ; in realtà soltanto gli atomi e il vuoto ». Ma poi, facendo parlare i sensi contro l’in¬ telligenza, soggiunge « povera me,prendendo da noi la tua fede, tu vuoi confonderci ; la tua vittoria è la tua caduta » . Troviamo qui una notizia estremamente interes¬ sante : Democrito, al pari di Platone e di Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell' origine delle idee ; egli non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione di conoscenze innate (teoria della reminiscenza), anzi piuttosto sembra derivare le idee dalle sensazioni, sicché è lecito pensare che a lui possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An. Post. Il, 15.Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi questa dottrina colla dignità attribuita alle nozioni induttivamente acquistate, che debbono costi¬ tuire le premesse necessarie della scienza dimostra¬ tiva, ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sen¬ sazioni di Democo (in rapporto alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9. Capitolo I supposizione atomica) e ben atto a sciogliere la dif¬ ficoltà. Ammetteva infatti il Nostro (‘), che le sen¬ sazioni in generale derivassero da piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli organi di senso ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la luce impressiona una lastra foto¬ grafica : le immagini rispondenti alle conoscenze intel¬ ligibili partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine ; si comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più grossolane che colpiscono i sensi, quando il confronto di sensazioni ripetute, in rapporto ad una moltepli¬ cità di oggetti, permette di fissare i caratteri comuni che definiscono il concetto. 3) Che effettivamente Democrito riconoscesse il valore logico dei concetti, quasi come anticipazioni dell'esperienza, resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401 ('), che egli assu¬ meva « come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come criterio della ricerca'il concetto » : èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole lo del termine : Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche ab- biam pur detto che codesto termine non si trova nella (*) Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. ( 2 ) Diels, A. III. 37La logica degli antichi letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece, più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£ sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro (*), ove dice che « oli Stoici allegano a causa di ciò (cioè della possi¬ bilità di arrivare a cose che non si conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa? ». D’altronde Dio- oene Laerzio (VII, 54) ( 2 ) c’informa che - Crisippo... dice esservi due criteri della verità, la sensazione e il concetto » ; qui in cambio di svvoia viene adoperata la parola TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epi¬ curei, designando « anticipazione (dell’esperienza) ».Ora il significato preciso che gli Stoici davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De Civitate Dei di S. Agostino ( 3 ) dove si parla di coloro che riposero la verità nei sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici :« qui cum vehementer aaerint sollertiam dispu¬ tando quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere notiones, quas appellant èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo explicant... ». Da questi riferimenti sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele, la dottrina democritea dell’ origine sensibile dei concetti ( l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a. C.). (*) In Arnim, op. c. 105. ( 3 ) In Arnim, 106. Capitolo I (cui soltanto gli Epicurei conservarono come fonda¬ mento ! ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i concetti di quella dignità superiore che i razionalisti cercano conferire agli intelligibili ; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene ridotta, per dirla con Cicerone (‘), ad una « ratio, quae ex rebus perceptis ad id, quod non percipiebatur, adducit ». In corrispondenza di queste vedute, di carattere più empirico, è interessante rilevare come si modifichi la dottrina democritea della scienza, che Zenone Cizio dice * essere una comprensione sicura e ferma e immu¬ tabile dalla ragione » (à,u£-*sov ùttò Àóyo j ■/./.- ovvero anche « un possesso immutabile dalla ragione, nell’acco¬ glienza delle rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o oPertanto gli Stoici non giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da Epicurq, per cui è accettata sempre come vera ogni sensazione o appa- lenza: richiesero anzi che all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo ("), che per il saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o logos universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola (*) Arnim, 111. ( ) Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim : Zeno- Citius, n. 68. (' ) Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim : Zeno Citius, nn. 63 e 61 . La logica degli antichi 3stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla veduta posteriore degli eclettici (Cicc¬ ione), per cu ‘ l e communcs noliones vengono ritenute _ non più come uniformità della natura bensì come idee innate, attestanti la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo : onde la teoria stoica (ritor¬ nando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica. Più direttamente degliStoici (che pure ne deri¬ varono il principio del determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adot¬ tarono la teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico. Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro (341-270 a. C.) e lungi dal razionalismo del maestro d’Abdera. La sua Canonica, comprende poche regole di cui abbiamo chiaro rife¬ rimento da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua Logica ( )• Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulati: I) Sensus nunquam fallitur... II) Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta, in quam veritas aut falsitas cadit. Ili) Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel non refragatur sensus evidentia. (‘) Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. 1277, Voi. 1. Pari 1, De Logicae origine el varietale. 40 Capitolo I V) Omnis quae in mente est anticipatio, seu prae- notio, dependet a sensibus ; idque vel incursione, vel proportione, vel similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di formazione dei concetti appare negli Stoici). VI) Anticipatio est ipsa rei nodo, sive definitio... \ II) Est anticipatio in omni ratiocinadoe prin- cipium... Vili) Quod inevidens est, ex rei evidenti antici¬ paticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità. Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di Democrito che con¬ trapponendo la conoscenza pura o legittima alla cono¬ scenza oscura, veniva appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro valore : senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento, diviene per Epicuro chiarezza sensibile ('). Toccherà poi a Descartes, diciannove secoli dopo, di ritornare al criterio dell’evidenza rispetto al pensiero, riguar¬ dando come vere le idee chiare e distinte (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). 7. La logica degli scettici. — Dopo aver parlato degli Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli (*) Notisi che già in Teofrasto si applica il criterio dell’evi¬ denza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr. Sesto Adv. Malh. v La logica degli antichi sceltici : i quali — per verità — non formano ugual¬ mente una setta o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide (circa 365-275 a. C.) e dal suo amico Timone — ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. Arcesilao di Pitane (circa 315-241) e Cameade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono la filosofia scettica nella media Accademia. Più tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso (vissuto probabilmente ad Alessandria sul principio dell’era cristiana), un secolo dopo A grippa, e finalmente Sesto Empirico (3° secolo dopo Cristo) che rias¬ sume tutto questo movimento nella sua opera pre¬ gevole, fonte cospicua di notizie per la storia del pensiero greco. ! rapporti esteriori che la tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro, Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito. D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia o imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con Democritoresulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia indifferente degli atomi, negando le qualità Capitolo I sensibili; un passo ulteriore della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva naturalmente estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il grande atomista aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E certo questo sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬ nalisti, sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (iposta¬ tizzate sotto il nome di idee) che 1 altro aveva con¬ siderato vane apparenze. Inoltre, anche nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad ammettere — 1 Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana da quella per cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di Locke (i quali ripresero la distinzione fra le qualità primariee le qualità secone) alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità, costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza : lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del positivismo moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più progredita ispira oggi ai critici della meta¬ fìsica. Ma per la storia della logica interessa soprattutto esaminare gli argomenti di Cameade contro il con¬ cetto aristotelico della dimostrazione : intorno ai quali siamo informati da Sesto Empirico (')• Ricompare qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e da questi oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum, poiché ogni premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬ mento prende forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli scettici pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui si ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della sensazione si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame l'opinione che sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno fatte ferme e valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il passo di Sesto che critica questa opinione (") non dice chi ne sia l’autore ; ma resulta assai chiaro che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici matematici, e vi è forse qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per primo propose alla scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni. Infatti abbiamo già accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e Vili in ispecie 367-463. ( s ) Vili, 375.Capitolo Ipotesse essere preso di mira da Aristotele, ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le conclusioni costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la tesi aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso ; e certo l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa, Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esi¬ stenza di criteri assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem, VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche : soltanto appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il sentimento degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che alla mentalità di matematici — a quella dei cir¬ coli medici, in cui Io scetticismo antico ebbe acco¬ glienza. Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle conseguenze che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale della scienza moderna. (') L. c. An. posi., I, 2 (6). La loca degli antichi 45quale si disegna in Kepler, Galileo e Descartes: siccome vedremo più avanti. L' esame intorno allo sviluppo della logica posta¬ ristotelica, in cui abbiamo cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha mostrato che — in verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero greco ; il quale ha toc¬ cato posizioni affatto conformi alle più alte vedute moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo Euclide, abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e — secondo le appa¬ renze — dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo soggetto non abbiano tro¬ vato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi che hanno riflettuto sulla scienza, nel periodo elle¬ nistico, non aderendo propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di proseguire il pensiero pro¬ fondo dei più antichi filosofi matematici, la confuta¬ zione di un ordine di verità necessario, quale è af¬ fermato da Aristotele, deve apparire una confutazione dell stessa possibilità della scienza. Resta nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che ci viene offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della logica si associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se co- desto sviluppo formale approdò ad un arido schema-tismo (di fronte a cui comprendiamo il disprezzo manifestato dallo stoico Aristone di Chio, nelle parole riferite al princpio di questo scritto), tuttavia non si può disconoscere il valore delle analisi logico¬ grammaticali, mercè cui si riesce a scorgere — in qualche modo — nel linguaggio, 1’ espressione di una attività costrttiva de! pensiero. Fino a che punto gli stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare ; ma certo si scopre in essi quella distin¬ zione fra subiettivo ed obiettivo, che — elaborata attraverso il travaglio religioso dell'anima cristiana — 4 riapparirà, agli inizii dell’epoca moderna, come fon¬ damento della filosofia. 8. Brevi cenni sulla logica medioevale. — Dalla storia greca passeremo, senza indugiarci al movimento delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo moderno. Basterà rilevare il carattere generale degli sviluppi che la logica ha ricevuto nel periodo intermedio, arido se non del tutto infecondo. Diremo per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta da Boezio (470-525) presso i Romani : le sue traduzioni dei primi due trattati dell’Organum (Cathegoriae e De Interpreta- tione), nonché della Isagoge di Porfirio, e i com¬ menti con cui egli stesso ed altri scrittori neopla¬ tonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale, secondo la tradizione stoica), costi¬ tuiscono — in questo campo — il fondamento della -cultura del più antico Medio Evo. Del resto, la cui- tura generale, nel periodo di cui discorriamo, sembra ^ppjesentata da un certo numero di Enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano Capella (del 5° secolo): nelle quali si tratta delle sette Artes liberales che, nel tirocinio scolastico, for¬ marono il trivio (grammatica, rettorica e logica) ed il quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica).  specialmente degno di nota che questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche, fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del Timeo, tradotto in latino da Calci dio. Una più estesa conoscenza di queste opere, ed insieme del movimento scientifico antico, è dovuta ai rapporti dell’ Europa colla civiltà araba, di cui si comincia a sentir l’influenza nel se¬ colo 12" (Pietro Ispano); più tardi il Rinasci¬ mento umanistico doveva venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi greci, in seguito alla caduta dell’impero d'Oriente, che addusse numerosi profughi greci segnatamente in Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota : 1) la progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè le sottili distinzioni di origine arabo-bizantina ; 2) e la grande questione della realtà degli universali, di cui a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto, sebbene sa-Capitolo I rebbe interessante per la storia della logica mate¬ matica, di mostrare, per esempio, inBuridano (morto circa il 1360) il riconoscimento della proprietà di¬ stributiva della particella « non » rispetto alle « et » e « vel » : non (a et b ) = non a vel non b (notizia segnalatmi dall’amico Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo Veneto. Ma, quanto alla questione degli universali, diremo che si tratta dell'antica questionollevata dalla ideo¬ logia platonico-aristotelica, se alle idee generali cor¬ risponda una realtà fuori della mente umana. La quale questione fu riaccesada un passo dell’ Isagoge di Porfirio (I, 3) : « E anzitutto, per ciò che riguarda i generi e le specie, io eviterò di ricercare se esistano di per sè, ovvero se esistano soltanto come pure nozioni dello spirito; e — ammettendo che esistano di per sè — se apartengano alle cose corporee o incorporee ; e infine se abbiano esistenza separata ovvero solo nelle cose sensibili... E una questione troppo profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este. Nel vasto intreccio della polemica medioevale appare che i nominalisti (neganti la realtà degli uni¬ versali) rappresentano, in generale, le tendenze scien¬ tifiche, avverso il misticismo platonizzante dei realisti. Ciò è vero soprattutto per riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo 14°: Guglielmo Occam La logica degli antichi 49 (m 1347) e Giovanni Buridano, rettore dell'Uni¬ versità di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha p-eso il nome di lerminismo. Questa teoria (che si accosta al concettualismo di Abelardo) ritiene i concetti ( termini ) come segni subiettivi(signa) delle singole cose, o delle classi di cose, realmente esi¬ stenti : la logica si riferisce soltanto alle reazioni di questi segni — scritti, parlati o concettuali — delle cose(Occam, Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che il concetto assume il suo |proprio significato nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine: < terminus conceptus est intentio seu passio animae aliquid naturaliter significans aut consignificans, nata esse pars propositionis mentalis ». Sifftta dottrina supera Io stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo : cioè nega che il significato reale delconcetto sia da cercare nella sua compren¬ sione o connotazione, ossia nell’ insieme delle note o attributi, di cui esso esprimerebbe  l'unità sostanziale; e si afferra invece all’ estensione o denotazione, cioè all’ insieme degli oggetti rappresentati dal concetto, che — sotto la specie di certe reali somiglianze — vengono vramente unificati nella mente umana. Al lume di questa veduta, la definizione scola¬ stica, discendente dal generale al particlare, e la logica stessa perdono importanza : onde è fatto invito a volgersi dalle spiegazioni verbali al concreto della esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appas¬ sionato  della polemica intorno agli universali che — Earquet Capitolo I nel mondo sociale e morale — doveva rivendicare la libertà dell' ndividuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità delle credenze e dell’inse¬ gnamento tradizionale. Nulla sembrava più proprio a favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbat¬ tere alla radice l’albero delle deduzioni infeconde, ricostruendo induttivamente tutto il sapere. Onde I a stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione antiaristotelica degli umanisti purificatori della logica dalle sottigliezze scolastiche (Valla , Agricola, Vives) e si manifesta poi — in nuove forme — nella rinascita del movimento sci entifico.

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